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Italian Pages 264 [267] Year 2007
GIOVANNA NICOLAJ
LEZIONI DI DIPLOMATICA GENERALE I Istituzioni
BULZONI EDITORE 2007
TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22/04/1941 ISBN 978-88-7870-246-2 © 2007 by Bulzoni Editore 00185 Roma, via dei Liburni, 14 http://www.bulzoni.it e-mail: [email protected]
ai miei Studenti e ai miei Maestri: Elena Bronner, Maria Petrucciani Cisternino, signorina Graneris, Enzo Monferini, Giorgio Cencetti, Giulio Battelli
INDICE
Premessa
........................................................................................................................................................... p.
I
Capitolo I – Oggetto e confini della diplomatica .................................................................. »
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Preliminari: problemi e propositi; alcune avvertenze ............................................. » Definizione generale della materia: documento e documentazione; documento diplomatico .............................................................................................................. » Sulla giuridicità ................................................................................................................................. » Riferimenti minimi di diritto .................................................................................................. » Sulla scrittura ..................................................................................................................................... » Documentazione e storia; sistemi di documentazione .......................................... » Prime nozioni e classificazioni generali .............................................................................»
9
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Capitolo II – Le funzioni del documento 1. 2. 3. 4. 5. 6.
7.
.................................................................................. »
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Introduzione al problema .......................................................................................................... » Intermezzo: breve storia della diplomatica ..................................................................... » Un panorama di funzioni del documento italiano nell’ordinamento contemporaneo ................................................................................................................................. » Le funzioni della documentazione latina delle origini ........................................... » Punti salienti sul documento in funzione probatoria ............................................. » Problemi circa il documento in funzione negoziale (ad substantiam, ad sollemnitatem): il rompicapo della stipulatio; il successo dei contractus in scriptis; i casi misteriosi dei cosiddetti titoli di credito ........................................... » Corollario: i generi documentari ...........................................................................................»
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..................................................................................... »
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Capitolo III – Le forme del documento 1. 2. 3.
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Introduzione: tipicità e storicità delle forme, processi e fattori di trasformazione delle forme, categorie di forme .......................................................... » Forma-base del documento pubblico: protocollo, testo, escatocollo (ess. 1-5) ................................................................................................................................................ » Forme del discorso nel documento pubblico (ess. 6-9) ........................................ »
58 63 69
73 84
89 93 111
6
Indice
4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
Forma del documento pubblico collegiale (ess. 10-14) ........................................ » Forma del documento pubblico d’ufficio (ess. 15-18) ..........................................» Forma-base del documento privato: protocollo, testo, escatocollo ............... » Forme del discorso nel documento privato (ess. 19-43) .......................................» Altre forme di documento d’ufficio (ess. 44-54) .......................................................» Notitia o breve: origine e sviluppi (ess. 55-68) .............................................................» Altre forme di struttura documentaria: forme complesse; forme a sequenza; forme composite .......................................................................................................» 11. Forme di contrassegno, di marcatura, distintive (signa) ........................................» 12. Forme di documentazione sussidiarie e complementari ........................................» 13. Forme materiali del documento .............................................................................................»
115 128 133 137 170 180
Sigle e abbreviazioni usate
.....................................................................................................................»
239
.......................................................................................................................................................»
241
Bibliografia
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PREMESSA
Sono in debito della pubblicazione di queste Lezioni con tutti quegli studenti che da tempo seguono i miei corsi sempre poco ortodossi e svolti in ordine più a dubbi e problemi che a risposte certe, e li seguono senza un testo fermo di riferimento, ma solo con l’ausilio di appunti volanti, stralci di temi diversi, abbozzi di sintesi, insomma zibaldoni la cui circolazione incontrollata ha reso non facile la loro preparazione agli esami. D’altronde, proprio e soprattutto gli studenti sanno quanti scavi abbiamo provato anche insieme, quante piste abbiamo seguìto e quanti materiali abbiamo messo in tavola e in discussione nell’esplorazione del nostro campo di ricerca e di scuola, non raramente in controcorrente rispetto alle direzioni pur validissime di tanti colleghi della materia; e sono loro infinitamente grata per le sfide che hanno raccolto, gli sforzi che hanno sostenuto, la curiosità e la partecipazione che in tanti hanno espresso e dimostrato, perfino proponendo essi stessi allargamenti ad altri testi e questioni. Ho così deciso di mettere un primo punto al nostro percorso e di articolarlo intanto in due tappe – la prima di Istituzioni o elementi e ‘modellistica’ fondamentali e generali, la seconda di una Storia della documentazione che seguirà il divenire della prassi diplomatica dalle origini agli inizi dell’età moderna –, e lascio finalmente alla stampa le sorti del I volume. Naturalmente sottopongo anche ai colleghi diplomatisti e magari pure storici giuristi il disegno di queste pagine, sperando nella loro attenzione, pronta ad accoglierne e considerarne correzioni e obiezioni e grata di eventuali discussioni. Un congedo non è tale senza saluti e ringraziamenti: a Ugo Petronio e Ennio Cortese, insieme ai quali per lunghissimi anni ho preso familiarità con logiche, storie e culture giuridiche, e interlocutori e trainer migliori non avrei potuto avere; e a Francesca Santoni, Cristina Mantegna e Francesca Macino per la collaborazione preziosa alla preparazione di questa edizione. G. N. Roma, settembre 2007
I
Oggetto e confini della diplomatica
1. Preliminari: problemi e propositi; alcune avvertenze. 2. Definizione generale della materia: documento e documentazione; documento diplomatico. 3. Sulla giuridicità. 4. Riferimenti minimi di diritto. 5. Sulla scrittura. 6. Documentazione e storia; sistemi di documentazione. 7. Prime nozioni e classificazioni generali.
1. Preliminari: problemi e propositi; alcune avvertenze. – La diplomatica per tradizione studia i ‘documenti’, e in particolare i documenti dell’età medievale; questa disciplina appartiene dunque all’ambito delle cosiddette scienze storiche, ed è apparsa materia tanto specialistica da essere stata considerata e da essere ancora considerata una “science auxiliaire de l’histoire” 1. La diplomatica, nata nel XVII secolo come materia di erudizione e insieme di utilità ad forensem disciplinam 2, ha prodotto grandi risultati sia sul piano delle edizioni di fonti storiche assai importanti, sia sul piano di innumerevoli ricerche particolari, sia sul piano della trattatistica generale, come al meglio esemplifica il poderoso manuale del “principe dei diplomatisti” Harry Bresslau 3. E a tutt’oggi in questa disciplina continuano a promuoversi edizioni di fonti e svariatissimi studi, come può vedersi, per esempio, nei lavori ininterrotti della Commission internationale de Diplomatique del Comité international des sciences historiques 4 o nelle serie di riviste specialistiche come l’«Archiv für Diplomatik» o in bibliografie di trattati dedicati alle fonti come quello di van Caenegem 5 o nelle serie poderose delle Chartae Latinae antiquiores (ChLA e ChLA2). Questo non è certamente un manuale che vuole sostituire testi più o meno recenti, di impostazione ‘tradizionale’ e tuttora in uso 6; né qui si tratta di una diplomatica aggiornata rispetto ai grandi manuali classici: peraltro, per un quadro aggiornato e generale della materia, oggi, sarebbero indispensabili gli ap1 2 3 4 5 6
GUYOTJEANNIN-PICKE-TOCK, Diplomatique médiévale, p. 15. V. cap. II, par. 2. VOCI ROTH, Harry Bresslau; BRESSLAU, Handbuch. PREVENIER, La Commission. VAN CAENEGEM, Introduction aux sources, in part. pp. 457-462. Per l’Italia: PAOLI, Diplomatica; VALENTI, Il documento medioevale; PRATESI, Genesi e forme.
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Giovanna Nicolaj
porti dei tanti specialisti dei vari paesi europei, e, in particolare, sarebbe necessario un impegno della Commission internationale de Diplomatique, così come ha auspicato Peter Herde 7. E neanche si tratta di ‘rinfrescare’ la disciplina seguendo alcune tendenze attuali che persuadono poco: tendenze ispirate in alcuni casi ad un troppo generico sociologismo, che, pur essendo una chiave di lettura attraente e facilmente orecchiabile, appare più appiattire che mettere in luce le cose; o seguendo tendenze mirate, in altri casi, a quadri meramente e largamente descrittivi dei materiali (magari sorretti anche dall’uso di metodi quantitativi), con risultati di dubbio significato. Qui invece si fa quasi un passo indietro e si ripropone una riflessione generale sull’oggetto stesso della materia – il documento – e sul fenomeno documentario considerato in sé e per sé e nella sua globalità e soprattutto si sollevano molti dubbi e alcuni problemi teorici (e pratici) di fondo, riprendendo il bandolo di una matassa forse un po’ trascurata nel suo insieme e forse ormai meritevole di una messa a punto e di una valorizzazione più ambiziosa che mai. Le ragioni di tale riconsiderazione e delle eventuali nuove proposte sono molteplici, e in seguito si segnalerà qualche argomento significativo, peculiare e di fondo. Il fatto è che, ormai da tempo, studio e insegno la diplomatica nelle linee di queste dispense, e che queste linee sembrano rafforzare e favorire l’interpretazione dei documenti e sorreggere una visione ampia e integrata di tutto il fenomeno documentario nelle sue varie manifestazioni. Invece, come ragioni generalissime e basilari di ripensamenti e di nuove considerazioni, bastino tre richiami: 1) nel 1961 Heinrich Fichtenau denunciava, forse non troppo seriamente, una “crisi della diplomatica”; la denuncia, comunque, fu presa sul serio, discussa e anzi dibattuta un po’ in Italia 8, e tutto finì lì. D’altra parte, insieme al ricordo di quel dibattito senza sbocchi, è forte nella memoria la insoddisfazione di Giorgio Cencetti, grande studioso di paleografia e diplomatica e professore alla Sapienza di Roma scomparso prematuramente nel 1970, che, richiamandosi ai Pietro Torelli e ai Luigi Schiaparelli, esprimeva spesso scarsa convinzione e insofferenza per l’impostazione generale della disciplina diplomatistica di quei suoi ultimi anni, almeno in Italia; 2) come s’è accennato, lo statuto tradizionale della diplomatica ne fa una disciplina storica essenzialmente medievalistica, quasi sospesa in un vuoto di prima e di poi, e inoltre limitata ad alcune (poche) tipologie di documento, tanto che uno storico proprio del medioevo può lamentarne fondatamente la “incertezza di definizione” rispetto al complesso delle fonti scritte medievali 9. È sembrato allora necessario: a) ripartire dalle (poche) tipologie testuali e formaHERDE, Rec. a Harry Bresslau, p. 710. FICHTENAU, La situation actuelle, pp. 5-10 (e su di lui ora HAGENEDER, Heinrich Fichtenau) e, da ultima, NICOLAJ, Sentieri di diplomatica, pp. 328-331. 9 CAMMAROSANO, Italia medievale, p. 20. 7 8
Oggetto e confini della diplomatica
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li tradizionalmente considerate dalla diplomatica e, per via logica e in particolare analogica, ricercare nessi di tali tipologie con altre contigue che integrino la materia e la collochino su un piano più compiuto e sistematico; b) risalire allo stesso tempo alle origini dei fenomeni di documentazione, ricercandone un intrinseco funzionamento, e insieme non trascurare il divenire degli stessi fenomeni in età moderna e in età contemporanea, per vedere come le cose siano andate avanti e siano andate a finire e magari anche per promuovere l’utilizzazione di concetti e di strumenti della nostra disciplina in funzione di temi e problemi della attuale e futura prassi documentaria planetaria; 3) da più parti si lamenta la eccessiva polverizzazione disciplinare, che è solo degenerazione di un’originaria specializzazione funzionale al sapere scientifico 10. Per esempio, solo nel nostro settore disciplinare, si affastellano ormai paleografia, codicologia, diplomatica, tante esegesi, tante archivistiche e tante ‘scienze del libro’... e innumerevoli storie, con effetti spesso negativi se non addirittura talvolta grotteschi. Quanto poi alla diplomatica, in particolare, un eccessivo ‘regionalismo’ degli studi, da un lato, e una babele concettuale in tema di ‘documentazione’, dall’altro, rimpiccioliscono, disperdono e insomma minacciano la validità di tanti sforzi di ricerca e i loro eventuali, possibili sviluppi. Per di più, circa la ricerca scientifica d’oggi, tutta e in generale, risultati spesso straordinari inducono a sicurezze che appaiono inversamente proporzionali ad un qualche ‘stato d’allerta’ planetario, magari negato od eluso ma certamente sotteso e pervasivo; uno ‘stato d’allerta’ accompagnato anche dalla assoluta incomunicabilità fra materie di campi diversi tanto frequentemente denunciata: non comunicano fra loro le tante scienze dell’uomo – storie, archeologie, antropologie, sociologie, neurobiologia, psichiatria, psicologia... –, e queste tantomeno comunicano con le varie scienze della natura – per esempio geologia, biologia, fisica e quant’altro –. E invece tutto, uomo e natura, si integra all’interno di quella sfera misteriosa che chiamiamo mondo: tanto che ormai alcuni auspicano insistentemente consiliance, e cioè una qualche ricomposizione del sapere o quantomeno qualche attenzione reciproca fra scienze diverse e una virtuale convergenza fra aree specialistiche 11. Sullo sfondo dei problemi enormi appena accennati non sembra perciò del tutto stravagante sostare un momento, riconsiderare un percorso dato, sarchiare e riordinare il campo. La spinta a un ripensamento, che proviene dall’interno stesso della materia diplomatica e dalla più ampia sfera limitrofa del sapere, si riassume allora in una ricerca di senso e di significati di quei documenti che la diplomatica studia nelle ROSSI, Specializzazione del sapere, pp. 315-317. A tal proposito, colpisce e insieme affascina, per esempio, una teoria recente, secondo la quale un modello di andamento comune e “ubiquo” sembrerebbe applicabile non solo agli “sconvolgimenti” dei cosiddetti sistemi complessi studiati dalla fisica, ma anche ai terremoti, alle crisi economiche o di ecosistemi o addirittura storico-politiche: BUCHANAN, Ubiquità. 10 11
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loro forme e che invece rischiano talvolta una configurazione opaca e una intelligibilità limitata se non sono considerati nella loro natura intrinseca. Una riflessione utile deve ripartire, dunque, dalla nozione stessa di documento diplomatico e approfondirne fondamenti e caratteri. Ma, come si è già accennato e come si vedrà, tale proposito, una volta avviato, si propaga senza forzature e anzi per logica naturale ed evidente fino a ricondurre allo stesso ambito diplomatistico tanti altri documenti in genere non considerati dalla disciplina; e si propaga fino a ridisegnare i confini di campo, di riferimento e d’indagine di un complesso di materiali intrinsecamente coesi, coerenti e integrati. A piccolo esempio di ciò: a) documento d’obbligazione, 1107 Arezzo:
AREZZO, Archivio Capitolare, Badia di SS. Fiora e Lucilla, nr. 470.
Oggetto e confini della diplomatica
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b) documento relativo alla consacrazione di un nuovo altare nella chiesa parrocchiale di Calcara (Bologna), consacrazione effettuata nell’anno 2002 mediante riti e simboli (aspersione, unzione, accensione di fuoco e poi incensazione, vestizione dell’altare) e formule orali:
(per gentile concessione del parroco don Giuseppe Donati)
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Aspersione
Unzione
Accensione del fuoco
Incensazione dell’altare
Oggetto e confini della diplomatica
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c) titolo De consecratione ecclesiae vel altaris (X, 3, 40) dal Liber Extra, il ‘codice di diritto canonico’ promulgato da papa Gregorio IX nel 1234:
da: Decretales d. Gregorii papae IX, p. 968.
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d) assegno del XV secolo e assegno del XXI sec. in.:
da: MELIS, Documenti, nr. 158/2
e) scontrino fiscale emesso a Roma nell’anno 2002 a seguito della compravendita di mezzo litro di latte:
(per gentile concessione del sig. Aniello Vannetiello)
Oggetto e confini della diplomatica
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I cinque testi appena elencati sono tutti riconducibili al campo disciplinare della diplomatica e possono tutti connettersi per nessi e intersezioni in comuni insiemi o sistemi documentari storici, ripercorribili in sincronia (uno spazio e un tempo) e in diacronia (uno spazio e una sequenza di tempi), se non addirittura in uno spazio-tempo ‘antropologico’ e cioè definito solo dall’esistenza di uomini. Questo obiettivo può apparire troppo eccentrico rispetto al territorio e ai percorsi tradizionali della diplomatica, mentre invece aspira a metterne a frutto e ad incrementarne la robusta strumentazione scientifica e ad esplorarne le straordinarie possibilità. Questo stesso obiettivo comporta, infine, dei rischi. A parte quello dell’errore, sempre scontato per tutti, se ne vedono essenzialmente tre: 1) quello della superficialità, delle generalizzazioni e insomma della scarsa adeguatezza quanto a padronanza di temi, problemi e linguaggi, che approfondimenti e allargamenti e un sia pur minimo desiderio di consiliance recano con sé; 2) quello di capacità impari alle aspirazioni e ai propositi, con conseguenze nocive di inutili complicazioni e confusioni. Ma, in questo caso, non resta che prendersi poco sul serio e eventualmente essere disposti ad unirsi a più larghe e allegre compagnie, se è valida, come crediamo, la teoria sulla stupidità umana proposta da Carlo M. Cipolla, in base alla quale una stessa e assai alta percentuale sigma di imbecillità riguarda in misura costante ogni gruppo umano (di uomini e donne), così come, per esempio, nel circuito di una qualunque università del mondo, essa riguarda indifferentemente i gruppi costituiti dai bidelli, dagli studenti e dai professori su su fino ai premi Nobel 12. D’altra parte, un allontanamento dalla strada principale e tradizionale della disciplina per esplorare i territori che quella stessa strada attraversa può essere un azzardo che si deve correre; 3) quello, infine, di una modellistica che sottragga densità, complessità e spessore alla storia e alla vita degli uomini. D’altra parte, modelli e categorie teoriche sono strumenti necessari per ordinare materiali e dati concreti d’esperienza, e forniscono anche quella utile distanza dalla corrente travolgente della vita che ne permette l’osservazione. Il proposito di una riflessione generale sul documento diplomatico e sul fenomeno documentario tutto porrà in campo una gran complessità di temi e di prospettive: come si vedrà, la diplomatica sarà più impegnata sul piano giuridico, non guarderà alla storia ma sarà storia essa stessa, toccherà implicazioni antropologiche. Queste intenzioni certamente ambiziose richiedono perciò alcune avvertenze sul metodo, sulla bibliografia, sulla terminologia, su certe proporzioni o sproporzioni interne al quadro che sarà abbozzato.
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CIPOLLA, Le leggi fondamentali della stupidità, pp. 48-50.
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Nei decenni appena trascorsi si sono fatti un’infinità di discorsi di metodo. E mentre da un lato è cresciuta una filosofia della scienza e si è posta prepotentemente la questione epistemologica, d’altro lato, nell’area umanistica e storica soprattutto, nel secolo appena trascorso in particolare e fatte salve tante felici eccezioni, hanno imperversato non Galileo, non Newton, non Kant, ma retorica e oratoria, e cioè quelle arti del discorso e della persuasione, pure assai duttili a manipolare le cose: retorica e oratoria che dall’antichità, attraverso le arti liberali, si sono travasate nel dictamen medievale e poi nell’umanesimo italiano del Quattrocento e che sono arrivate all’età moderna, continuando a pesare sulla cultura e sulla mentalità umanistiche. Perciò, mentre nelle scienze per antonomasia (scienze sperimentali o matematica) si procede secondo regole e protocolli di metodo controllati o controllabili, secondo teorie/verifiche e secondo non la separazione ma la distinzione scienza/tecnica (a parte che anche lì cominciano a pesare enormi problemi antropologici), nelle discipline umanistiche, insieme ad avanzamenti nella comprensione e a pagine illuminanti, continuano a defluire canali e canaletti di ideologie, di mode, di fumi. Allo stato delle cose, oggi, ‘metodi’ e discorsi di metodo sembrano proprio aria fritta, ferri arrugginiti, vestiti tarlati e polverosi, anche se quella epistemologica resta una questione fondamentale e assai seria. Comunque, per essere franchi con gli studenti, e per chiarezza: a) si rifiutano, o meglio si usano indifferentemente (ove siano utili) metodi e chiavi interpretative che si riferiscono a filosofie della storia eterogenee, per esempio al positivismo, allo storicismo crociano o marxista e via ideologizzando 13; b) si rifiutano in linea di massima metodi tecnico-empirici fondati sul “contare e misurare”, per i quali “i ricercatori scelgono problemi insignificanti, perché i risultati possono facilmente essere tradotti in grafici e formule matematiche, anziché scegliere problemi rilevanti ed elaborare nuovi metodi per risolverli” 14: questa tendenza, che nel nostro ambito imperversa – rilevamenti di misure di supporti di scrittura o di tonalità di inchiostri, pagine e pagine sulla pergamena o la carta –, se in misura ragionevole potrebbe essere utile alla ricerca, nell’enfasi di oggi appare inevitabilmente come uno pseudoscientismo e insieme come l’impotenza di un inconsapevole positivismo. Si riparte, insomma, dalle “lezioni” di metodo offerte da un grande storico, Federico Chabod, rivolte a criteri di lavoro nitidamente tecnici e ben distinti da una interpretazione che non può che essere lasciata al “fiuto” o all’orecchio dell’interprete 15. D’altra parte, al “fiuto” postulato da Chabod fanno eco altre voci di grande autorevolezza e in nessun modo trascurabili: per esempio quella
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Sempre fondamentale e formativo POPPER, Miseria dello storicismo. FROMM, I cosiddetti sani, p. 110. CHABOD, Lezioni di metodo, p. 3 per la citazione.
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di Hans Georg Gadamer, con la sua affascinante teoria dell’interpretazione – una teoria di sfida a meditare, per la quale “il problema ermeneutico oltrepassa i limiti che gli vengono posti dal concetto di metodo della scienza moderna” e che difende “una verità che non può essere verificata con i mezzi metodici della scienza” 16 –, o quella di Giorgio Cencetti, con il suo “metodo storico” così stupidamente trascurato dalle ultime generazioni di studiosi del settore, metodo che “consiste nel non avere alcun metodo e nell’averli tutti..., nessun metodo, nessuno schema prestabilito, nessun paradigma” 17. Aggiungo, per parte mia, una cosiddetta ‘teoria dell’accrocco’ (la definizione è evidentemente ironica e di formazione onomatopeica): infatti non riesco, in nessun momento, a trascurare la convinzione che l’uomo e il mondo siano due oggetti/soggetti misteriosi – il grande genetista McKusick ha affermato che “mentre il raggio della conoscenza si allunga, la circonferenza dell’ignoto aumenta ancor di più” –, e che perciò le espressioni, i comportamenti e la storia individuale e collettiva degli uomini siano appunto un ‘accrocco’, un arrangiamento o un bricolage di ragione (logica razionale aristotelica o razionalismo critico alla Popper che sia) e di ragioni ‘altre’: emotive e del ‘cuore’, biologiche e di specie, di archetipi mentali e di un inconscio personale o collettivo così come li hanno pensati per esempio Carl G. Jung o Mircea Eliade. Perciò, se si può tentare di leggere questa storia con l’uso congiunto e simultaneo di almeno tre chiavi, e cioè con la considerazione basilare e costante di un’incognita X, con il principio aristotelico di non contraddizione e, allo stesso tempo, con la logica dei contrari e degli opposti, non si può in ultimo negare agli uomini la possibilità e l’arte d’arrangiarsi e di cercare di cavarsela anche con pastrocchi. Naturalmente tutti gli sforzi possibili possono servire a qualche passo di approssimazione non si sa bene neanche a cosa, perché possibili verità ultime e assolute sono inarrivabili per vie scientifiche e forse solo intuibili poeticamente: costringo i sapienti a ritrattarsi e trasformo in follie le loro scienze (Is 44, 25); ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento (Qoelet 1, 17, III sec. a.C.); penosamente un uomo si intesta a ponzare su un libro, cercando la luce della verità: e intanto la verità a tradimento pian piano gli toglie la luce degli occhi... Ben poco ricavan gli eterni sgobboni dai loro sudori, se non citazioni erudite da altri scrittori (W. Shakespeare, Pene d’amor perdute, I, 1, secc. XVI-XVII).
16 17
GADAMER, Verità e metodo, le cit. alle pp. 18-19. CENCETTI, Il fondamento teorico, p. 42, e cf. NICOLAJ, Giorgio Cencetti, pp. 39-40.
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Alle somme, comunque, anche se il fondale tutto degli studi è così sfumato e chiaroscurato, la diplomatica nei suoi limiti di disciplina va intesa come studio storico e antropologico del fenomeno della documentazione, come studio della natura e degli svolgimenti del fenomeno stesso quale espressione umana, funzionale e culturale. E una diplomatica come tale “trova il suo ritmo e metodo in se stessa e non può derivarlo da altre discipline” 18, né da una generica storia della cultura, né dalla storia del diritto, né da altro. Quanto alla bibliografia, questa non sarà né esauriente né, come s’usa dire, ragionata. Non sarà esauriente sia perché queste sono dispense, sia per i vuoti di memoria o di conoscenza di chi scrive, sia soprattutto perché ormai si scrive alluvionalmente e perciò non è più possibile non solo raggiungere tutta la produzione in circolazione, ma anche e soprattutto riflettervi sopra, valutarla e vagliarla. La bibliografia, poi, non sarà ragionata, ovvero sarà soggettivamente ragionata, proprio a motivo di quella riflessione accennata sopra. La bibliografia, infatti, sorretta dai consumi, dalle accademie, dalle case editrici, da critica e dibattiti, e ingigantita dall’ausilio dell’informazione elettronica, tende oggi sia ad evocare spauracchi di quella “ignoranza enciclopedica” di cui parlava un tempo un vecchio professore, sia a provocare bulimia e rigetto e ad ottundere uno stato di attenzione critica, pretendendo invece quasi una indiscussa forza d’auctoritas. Ma: esistono scritti intelligenti, scritti utili, scritti inutili, scritti sbagliati, quando non addirittura scritti stupidi, avventurosi e grotteschi, che però cancellano dall’uso opere di grandissimi studiosi precedenti e ripassano, magari con minore intelligenza e cultura, attraverso le stesse problematiche e presentano “come novità la scoperta dell’acqua calda”, come s’usa dire 19; così come, nel circuito scrittori-lettori, esistono ricercatori/lettori di qualità diseguale, “draghi” e “dragonetti”: per esempio può esserci un drago che capisce “i libri senza leggerli, mentre i dragonetti li leggono senza capirli” 20. Pertanto, userò soprattutto i ‘classici’ e, fra questi, alcuni degli autori che amo e che mi sembra mi abbiano dato tanto o tantissimo, o alcuni degli autori che mi sembra mi abbiano offerto qualche o molti dati: per esempio, trovo assai belle alcune sintesi storiche anche eccentriche come quella di Braudel, storico ed economista del Mediterraneo fra Cinque e Seicento, sul Mediterraneo delle origini, quella di Toynbee, filologo classico e bizantino, o quella di Gombrich, storico dell’arte 21; o per esempio, in campo giuridico – a parte le mie in-
CENCETTI, Vecchi e nuovi orientamenti, p. 27. VIVARELLI, I caratteri, p. 12: uno scritto assai polemico tutto, ma anche serio, fondato e di grande valore. 20 SATTA, Sottofondo, pp. 300-301. 21 BRAUDEL, Memorie del Mediterraneo; TOYNBEE, Il racconto dell’uomo; GOMBRICH, Breve storia del mondo. 18 19
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vincibili preferenze per certi autori, come De Francisci, Arangio Ruiz, Bonfante o Pugliese per l’età romana, o come Besta e Calasso per il medioevo – trovo assai utili per i non giuristi le voci dell’Enciclopedia del diritto, che spesso sono curate dai migliori esperti del tema e perciò impostate al meglio e coronate da una calibrata bibliografia di riferimento. Eviterò invece di citare autori che o io non ho capito e saputo sfruttare o a me non hanno dato niente o addirittura mi hanno costretta a un lungo lavoro di smontaggio, noioso, esasperante e senza sugo (perché qualche volta, invece, lo smontaggio di una seria teoria ci aiuta a procedere e a capire). Purtroppo e per forza di cose, nella selezione di tanti titoli, peraltro provenienti da tante discipline confinanti ma diverse dalla nostra, dimenticherò scritti che ho amato o che mi sono stati utili o tutte e due le cose: ne chiedo scusa agli autori, e comunque a me resta il rimpianto di aver perso tante pagine interessanti o addirittura importanti che ho studiato. Quanto al linguaggio e alla terminologia, si rischiano due forti limiti: quello dell’astrazione, tipico di un corso generale e però anche vizio perverso dell’accademia italiana; e quello dell’approssimazione, sia per le pretese trasversali e gli obiettivi di frontiera di questo corso, sia in particolare per le peculiarità complesse, spiccate e forse anche eccessivamente autoreferenziali del versante giuridico con tutta la sua concettosa terminologia. Quanto però a questo ultimo limite, la diplomatica non è una storia del diritto nei suoi classici capisaldi (istituti, dottrine, ecc.), ma, al più, una storia della prassi giuridica, come si dirà, e perciò forse può, e anzi deve, staccarsi dai tecnicismi raffinati del diritto; così come la storia, per parte sua, deve familiarizzare con qualche aspetto giuridico della nostra civiltà. Un ultimo cenno circa certi sbilanciamenti della trattazione. Qui si tenta un quadro di sintesi, e questo dovrebbe giustificare molte sproporzioni: per esempio, studiando funzioni, fini e dinamiche del documento si insisterà sulla dottrina moderna, perché questa ha approfondito e messo a punto concetti e categorie logiche, e sull’età romana, che con le sue forme e tipologie documentarie presenta, a mio parere, forse tutti i prototipi dei secoli a venire. Se il medioevo perciò, che è protagonista degli studi di diplomatica fin dall’origine della disciplina, sarà qui un po’ trascurato, confido di trattarne più diffusamente nel II volume del corso progettato e confido anche nelle capacità di marcia di chi avesse curiosità e voglia di sfidare se stesso su una pista in alcuni tratti appena tracciata. Un altro rilievo di ‘squilibrio’ potrebbe riguardare i cenni non rari ma fugaci a problemi enormi, a teorie complesse, a ‘voci’ estravaganti e distanti rispetto ai nostri precisi statuti disciplinari e al filo principale del discorso, e questa critica sarebbe senz’altro fondata; ma eventuali divagazioni sono precisamente volute sia perché certi (anche miei) percorsi mentali talvolta funzionano così, sia perché il mondo nel quale siamo tutti immersi e che cerchiamo di studiare è troppo coeso e troppo fitto di correlazioni per essere sempre fatto a fettine impunemente e anche l’angolo visuale di una diplomatica riflet-
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te tanto di più della portata del suo spicchio, sia perché proprio chi è giovane (studente o studioso, è lo stesso) è capace di amare le sfide. 2. Definizione generale della materia: documento e documentazione; documento diplomatico. – Oggi si parla molto e spesso di documento e documentazione, e queste parole hanno ora un significato meno perspicuo di un tempo; è quindi necessario chiarire di cosa si parla. I termini documento e monumento indicano, originariamente e in generale, ciò che serve ad istruire, mostrare, provare e ciò che serve a ricordare (registrare) e informare 22, e possono usarsi per cose svariatissime: non solo scritti, ma anche ‘pezzi’ archeologici e artistici, o fossili e strati geologici, o fotografie e registrazioni e via dicendo. In campo storico e “in senso restrittivo” indicano le cosiddette fonti scritte “documentarie o narrative che siano” 23 – sources, Quellen, records – depositatesi di regola nel corso dei tempi in quei giacimenti che sono gli archivi e le biblioteche. E poiché il tempo continua a scorrere, tali ‘documenti’ continuano a raccogliersi in numero sempre crescente negli archivi e nelle biblioteche d’oggi. Già in anni lontani Giorgio Cencetti insisteva con decisa chiarezza sulla distinzione fondamentale fra archivio e biblioteca e fra i rispettivi ‘documenti’, gli uni (quelli d’archivio) a funzione giuridica in primo luogo e poi, eventualmente, a funzione storica, gli altri (quelli di biblioteca) in funzione informativa di qualunque curiosità, dalla più “inconcludente” a quella sottesa alla più “severa indagine scientifica” 24. Ancora Cencetti, non trascurando e non sottovalutando “la rivoluzione che, indubbiamente, sarà operata dai nuovi mezzi tecnici”, denunciava la cosiddetta nuova “documentazione” come una “creatura concettualmente mostruosa”; e paventando un naufragio di cultura “di fronte all’empirismo tecnicistico anglosassone”, sottolineava di nuovo e con forza, a futura memoria, “quanto meno... il problema dei rapporti fra l’archivistica, tecnica fondata sulla categoria della storia... e la documentazione, tecnica fondata sulla categoria della pratica” 25. La rivoluzione è arrivata intorno agli anni ’70 del secolo scorso, alimentata da varie e impetuose correnti. Sull’onda del mito contemporaneo della comunicazione/informazione si è delineata una teoria generale della documentazione per la quale “la documentazione è l’attività di rilevamento, elaborazione, comunicazione, ricerca e diffusione di documenti” o, ancor di più, “l’azione mentale che analizza e interpreta il contenuto concettuale del documento al fine di individuarne le unità informative e diffonderle con apposite procedure... e con
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Lexicon totius Latinitatis, e Thesaurus linguae latinae, s.v. CHABOD, Lezioni di metodo storico, p. 54. CENCETTI, La preparazione dell’Archivista, p. 145. Ibidem.
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linguaggi adeguati” 26: dove, se ‘documento’ equivale a ‘dato’ e ‘dato’ è termine applicabile alle cose più diverse e spesso neanche proprio semplici da rendersi in nozioni, nella prima definizione risalta la funzione meramente operativa dell’attività stessa, mentre nella seconda sembra richiedersi l’impegno perlomeno rischioso di una interpretazione di contenuti rivolta a qualsivoglia ‘documento’. E resta ancora un problemuccio: vista una ‘documentazione’ siffatta, senza confini, è sufficientemente meditato, giustificato, controllato e controllabile lo slittamento di un’attività fondata sulle capacità matematiche della macchina dalla primitiva databank o banca dati a prevalente informazione numerica verso i trabordanti database a informazione testuale? Sull’onda, poi, di una “storia totale” alla moda francese, si è affermato ed è divenuto dogma, o slogan, che “il documento è monumento” in quanto “è il risultato dello sforzo compiuto dalle società storiche per imporre al futuro... quella data immagine di se stesse” 27: quindi, “ogni documento è menzogna”; e naturalmente (e non poteva mancare) bieco “strumento di potere”. Una teoria così, facilmente orecchiabile, è in primo luogo sbagliata e, in secondo luogo, può diventare più impegnativa del dovuto per lo storico che la utilizzi: è sbagliata e deviante perché se io mento nella mia dichiarazione dei redditi (che è un documento diplomatico), così come magari ha mentito un uomo del medioevo in un suo documento di acquisto, le nostre menzogne non sono certo dirette al pubblico o ai posteri ma solo ad aggirare termini di legge e a raggiungere un qualche fine del tutto pratico e concreto; quella teoria è anche impegnativa per lo storico che ci creda e che magari sia anche un intellettuale in servizio permanente e effettivo, perché, se il cartulario monastico medievale è “strumento di potere” appunto e deve essere demistificato dall’interprete, questi allora sarà tenuto a fare lo stesso, per esempio, con la Costituzione della Repubblica italiana (che, quando non è un tabù intoccabile, è anche un documento) o a fare lo stesso con quel che proprio lui scrive, forse proprio in funzione di un suo qualche ‘potere’, magari intellettuale e accademico o di mercato o politico o le tre cose insieme 28. Una terza ondata ‘rivoluzionaria’, infine, costituita da un dilagante quanto generico storicismo marxista e insieme da un americanismo alla Coca-Cola, ha preso in pieno, fra gli altri, gli stessi archivisti; ed essi negli ultimi decenni, con qualche eccezione, si sono entusiasmati di ‘memoria’ e informazione, trascurando il fatto che i documenti dei loro archivi sono nati per fini giuridici, e, in
BISOGNO, Teoria della documentazione, pp. 17-18. LE GOFF, Documento / monumento, p. 46. 28 BOBBIO, Stato, governo, società, pp. 72-73: sulla tipologia dei “tre poteri, economico, ideologico, politico, ovvero della ricchezza, del sapere, della forza”, ove il secondo potere è quello detenuto e esercitato da “i sacerdoti nelle società tradizionali,... i letterati, gli scienziati, i tecnici, i cosiddetti intellettuali nelle società secolarizzate”. 26 27
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concorrenza con i bibliotecari, si sono tuffati senz’altro nella comunicazione e nei database all’americana. Peraltro, se è certo una necessità, oggi, organizzare le carte contemporanee e correnti, gli operatori del settore tengono sempre ferma la differenza, complessa e profonda, di ordinamento e di cultura e perciò di prassi documentaria che intercorre fra paesi di Civil Law, come l’Italia, e paesi di Common Law come gli Stati Uniti e il Canada ? Peraltro, il vasto e intricato movimento che ha coinvolto e coinvolge il termine e la nozione di documentazione, forse avviato in partenza anche da fattori economici (tanti, dai produttori di macchine allo sviluppo di un terziario di servizi culturali, volto a creare occupazione e consumi), ha poi trovato proprio nel ‘mercato’ una potentissima spinta e un fortissimo incremento: “siamo diventati consumatori di tutto: scienza, arte, conferenze, amore” 29. E lo stesso movimento, oltre al mercato, ha raggiunto la politica, ove è stato assunto e legittimato dall’attuale regime dei famosi e anch’essi ‘mitici’ ormai Beni Culturali. Ma non mi soffermerò su quest’ultimo punto, visto che l’escalation istituzionale che ha coinvolto, a mio parere, anche chiarezze intellettuali e concettuali – e che va dalla legge Bottai del 1939 alla commissione Franceschini alla legge Spadolini – è assai lucidamente analizzata da Massimo S. Giannini e poi ripercorsa da Sabino Cassese 30. Si è accennato fin qui ai molti equivoci e ai molti problemi connessi oggi con i termini ‘documento’ e ‘documentazione’ sia per ritagliare e distinguere meglio, poi, il campo specifico della diplomatica sia per esigenze di chiarezza e per segnalare, nella differenziazione, i rischi di una categoria contemporanea di ‘documentazione’ a tutto campo: certo, i ‘prodotti documentari’ del presente e di domani vanno organizzati, usando pure dei vantaggi delle macchine e delle relative masse informative, ma senza appannare mai fondamenti, logiche e protocolli di un percorso scientifico che è eredità e ricchezza dell’uomo; e perciò, circa questa nostra esaltante information age, realisticamente e lucidamente, non si sottovalutino, come avvertono grandi specialisti del settore, i tanti problemi posti dalla “deperibilità dei materiali”, dallo “specifico disordine” creato dalla macchina informatica, dal tecnicismo di scritture e di linguaggi di nuovi ‘mandarini’ e quindi dal “costo monetario della ricerca”, dalla nuova “retorica” di una “conoscenza democratica e universale”, e infine, per ironia e paradosso (e per non parlare di cose più grosse di noi, per esempio delle ricadute di queste pratiche sulle strutture mentali e psicologiche dell’uomo), dalle “perdite di memoria” 31. Veniamo dunque al documento che è oggetto della diplomatica: esso è tradizionalmente e comunemente definito come “una testimonianza scritta di un fatto
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FROMM, I cosiddetti sani, p. 36. GIANNINI, I Beni Culturali, pp. 3-38; CASSESE, I Beni Culturali, pp. 116-142. MARTINOTTI, Informazione e sapere, pp. 373-374, 376-377, 385.
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di natura giuridica, compilata coll’osservanza di certe determinate forme, le quali sono destinate a procurarle fede e a darle forza di prova”, e quindi “la diplomatica è… la scienza che ha per oggetto lo studio critico del documento, nell’accezione ora specificata, al fine di determinarne il valore come testimonianza storica” 32. Qui si pone subito la necessità di una prima correzione di rotta, perché se il documento diplomatico è uno scritto a funzione giuridica redatto secondo certe determinate forme, esso però non adempie funzioni sempre le stesse e cioè non può essere ritagliato e ridotto nei contorni di una testimonianza/prova/testimonianza storica se non a costo di troppe e ingiustificabili forzature. Argomenteremo questo punto fondamentale nel capitolo seguente, mostrando come si spieghi la divaricazione fra la nozione tradizionale di documento e quella dalla quale si parte qui. Qui si definisce documento qualunque scritto di natura giuridica, formato cioè per funzioni e per fini giuridici (di vario tipo), redatto in forme idonee ad adempiere le funzioni previste. Tale documento sarà scritto su qualunque supporto (per es. pietra, legno, papiro, pergamena, carta, supporto magnetico e elettronico) e sarà collocabile e ordinabile per formazione e per uso in uno dei vari sistemi storici di documentazione, sistemi o contesti più o meno semplici o complessi. Come è evidente, la nozione di documento proposta è saldamente ancorata al suo profilo giuridico, profilo che non è dato in via diretta dal contenuto del testo – è bene sottolineare ciò –, ma consiste invece nelle ragioni della sua scrittura, determinandone perciò esistenza e natura. Per intanto un cenno iniziale alla parola ‘diplomatica’, che viene da lontano: viene dal greco e poi latino diploma (da dipløv = raddoppio), un termine che nel mondo greco e poi in quello romano ha indicato alcuni tipi di documento diplomatico, di forma appunto raddoppiata, e cioè redatti su legno, bronzo o altro materiale piegato a libello o tagliato in due o più tavolette (dittici, polittici) legate insieme a libello. Erano di questa foggia, per esempio, i salvacondotti per usufruire del cursus publicus e cioè del servizio postale imperiale che collegava il centro con tutto il corpo dell’Impero, ovvero i diplomi militari che attestavano la concessione imperiale ai legionari in congedo dello ius civitatis e dello ius connubii, ovvero le lettere papali citate, per esempio, nel concilio di Efeso del 431 come apostolicae sedis diplomata. La parola diploma fu ripescata dalla erudizione umanistica nel XV secolo: Biondo Flavio da Forlì (1392-1463), nel quarto libro della sua Roma triumphans, restaura la parola diplomata per i privilegia del Principe, così come il Budeo (Guillaume Budé, 1467-1540), grande umanista francese, la usa per le lettere patenti e altra documentazione del suo tempo 33; il termine, poi, ro-
Così PAOLI, Diplomatica, p. 18 e PRATESI, Genesi e forme, pp. 12 e 13. BLONDI FLAVII FORLIVIENSIS de Roma triumphante libri X, p. 90: “Diplomata, quae singularium virorum et vicorum privilegia fuisse tenemus”; BUDÉ, Adnotationes reliquae in Pandec32 33
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tondo, colto e eminente in quanto riferito ad importanti documenti pubblici, è stato canonizzato nel titolo del primo grande trattato della materia e cioè i De re diplomatica libri VI di Jean Mabillon (1681). Quanto alla definizione di documento proposta sopra, essa poggia su tre elementi-chiave di tutta evidenza e di portata generale: giuridicità, scrittura, documentazione e storia. 3. Sulla giuridicità. – Il connotato della giuridicità riconduce al fatto che ogni comunità di uomini, elementare o complessa che sia, ordina comportamenti e rapporti fra i suoi membri secondo reticoli di regole: regole religiose, regole morali, regole di comportamento e di etichetta e via dicendo, tutte più o meno dotate di qualche forza impositiva derivante o dal carisma di qualcuno o dalla mentalità e dagli usi comuni o dal conformismo dei più o dal peso dei gruppi di appartenenza del singolo. E sembra che questi ‘codici’ di regolamentazione siano in qualche modo necessari ai rapporti fra individui, visto che anche le aggregazioni di uomini o ‘irregolari’ o ‘contro regola’ si danno sempre e comunque alcuni o molti modelli di riconoscimento e di comportamento. Le regole giuridiche sono, sopra tutte le altre, di peculiare e dichiarata forza coattiva; esse sono dettate, prescritte e tutelate dallo ius o diritto, che è connotato fondamentale di qualunque comunità – secondo Cicerone Ius hominum situm est in generis humani societate (Tusc. I, 26, 64) o secondo un antico adagio ubi societas, ibi ius –, anche della società più elementare e primitiva, come insegna l’ormai classico Malinowski 34. E tali regole sono talmente pervasive che noi, persone comuni, le seguiamo senza neanche accorgercene. Per esempio, se acquisto al mercato un chilo di patate, compio con l’ortolano un negozio giuridico, un contratto obbligatorio e cioè una compravendita. Oppure, se spedisco una lettera, metto in moto una filza di regole giuridiche, come illustra ampiamente un esempio proposto da Bobbio che vale la pena di riportare per capi: “L’acquisto del francobollo è un negozio giuridico, in particolare un contratto di compra-vendita, regolato minutamente dal nostro codice civile, dal quale derivano obblighi e quindi limiti ben precisi alla condotta (l’acquirente, ad esempio, è tenuto ad offrire il giusto prezzo e il venditore a dare una merce non avariata). Quale francobollo debbo applicare sulla lettera ? Il tipo di francobollo è prescritto da un’altrettanto minuziosa regolamentazione delle tariffe postali: e dipende non solo dal tipo di missiva, ma dal suo formato, dal suo peso, dalle maggiori o minori garanzie che io voglio avere per il suo arrivo a destinazione. Come devo attaccare il francobollo ?... Dal momento in cui io ho applicato il giusto francobollo, sorge un nuovo rapporto nientemeno che tra me tas, c. 30v: “Diplomata sunt quas literas patentes nunc appellamus, cuiusmodi sunt edicta et mandata principum... et quas bullas pontificias vocant”. 34 MALINOWSKI, Diritto e costume, che studiò il tema sulle comunità della lontana Melanesia.
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e la pubblica amministrazione... Infine, come se non bastasse, scrivere una lettera impegna anche la costituzione...” 35. Il carattere della giuridicità espone la diplomatica alla complessità e alle difficoltà di terminologie, categorie e concetti specialistici, a cominciare da quelli generali e ‘pesanti’ (che invece spesso sono usati dagli storici con troppa disinvoltura e genericità), quali per esempio: diritto 36, potere 37, istituzione 38, giurisdizione 39, sovranità 40, norma 41, ordinamento 42, Stato 43 e tanto altro. Peraltro le difficoltà di terminologie e di concetti specifici vanno viste e trattate con il massimo di consapevolezza in quanto quei concetti e quelle terminologie, riferendosi a connotati di comunità umane, hanno una loro storia e hanno fatto storia, seguendo delicati mutamenti semantici. In questo terreno vastissimo e irto di scogli si può ritagliare una prima collocazione per la diplomatica. Come s’accennerà nel paragrafo seguente le regole di diritto nascono da fonti determinate, ma poi sono calate nella vita reale e usuale d’ogni giorno e sono applicate negli innumerevoli casi d’esperienza attraverso forme previste e tipiche: forme orali, gestuali, simboliche, scritte. La diplomatica, allora, troverà il suo proprio posto e la sua propria via, insomma la sua identità, nello studio delle forme scritte che configurano il documento, consapevole sempre perciò che quelle forme, per non restare vuote e secche o per non essere interpretate in chiavi di banalità o per non essere fraintese, devono essere in primo luogo riferite all’ambito del giuridico. Il diritto, a sua volta, dalle sue fonti ai suoi usi, si sostanzierà di politica e di economia (istituzioni e negozi); quindi diritto, politica ed economia, insieme ad arti e scienze, si connetteranno ad una vita biologica, psicologica e interiore degli uomini, e tutto quanto si mescolerà nell’insieme o nella unità sfaccettata di quel prisma che chiamiamo esistenza storica. Più avanti si accennerà al problema ‘storia’. In via di premessa, si ricorda che anche i giuristi, evidentemente, studiano e scrivono per coordinate storiche: diritto romano, diritto medievale (italiano ed europeo), diritto moderno, diritto positivo e cioè vigente. E parlano anche di uno sviluppo storico da un diritto arcaico, sacrale, magico-religioso – intessuto di tabù, riti, simboli e così via – ad un diritto sempre più razionale.
BOBBIO, Teoria generale del diritto, pp. 6-7. CESARINI SFORZA, Diritto (teoria generale), e ivi i concetti di potestas, auctoritas, imperium; v. anche NOCERA, Autorità (premessa storica), e LAVAGNA, Autorità (diritto pubblico). 37 ZANFARINO, Potere. 38 MODUGNO, Istituzione. 39 SATTA, Giurisdizione (nozioni generali). 40 CALASSO, I glossatori e la teoria della sovranità; CORTESE, Il problema della sovranità. 41 MODUGNO, Norma (teoria generale); CORTESE, Norma (storia). 42 FROSINI, Ordinamento giuridico (filosofia). 43 FARIAS, Stato (filosofia del diritto), e FIORAVANTI, Stato (storia). Consiglio vivamente BOBBIO, Stato, governo, società, in particolare cap. 3, Stato, potere e governo, pp. 43-125. 35 36
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Se la storicità del diritto è assiomatica, lo sviluppo/progresso del diritto forse è vero e non vero allo stesso tempo. Si ritiene, infatti, che un ordinamento giuridico arcaico sia tale perché deriva la sua forza coattiva da un ordine soprannaturale e divino, perché è costellato di tabù, di riti e di simboli e perché sembra improntato a particolare durezza, se non ferocia. Ma anche un ordinamento ‘evoluto’ continua ad usare, anche se in misura ridotta e mescolati a schemi razionali, simboli o riti, come per esempio la pronuncia di formule e le fedi nuziali per il contratto di matrimonio o come il giuramento preventivo alla testimonianza in giudizio (sulla Bibbia in paesi anglosassoni e invece annacquato in Italia dagli anni ’80 del secolo scorso): e d’altra parte, per me persona comune, ha molto più significato ed è molto più pregnante un rito o un simbolo che uno schema logico. E anche un ordinamento ‘evoluto’ continua ad avere tabù o ne inventa di nuovi; e continua a risalire e a riferirsi a fonti astratte e carismatiche di giustificazione e di legittimazione – per esempio, sostituisce al cielo, agli dei, al dio unico, la dea Ragione della rivoluzione francese, figlia del giusnaturalismo illuminista, la Nazione per l’Ottocento, il Popolo, lo Stato..., come si esemplifica nella sequenza qui elencata:
1. Ziqqurat: osservatori astronomici delle città cosmogoniche (periodo neolitico) a “riproduzione” della “montagna cosmica” protesa verso il cielo; tali città avevano per centro un axis mundi che congiungeva il cielo (piano di “regole universali”), il piano terrestre, gli inferi, piano di forze oscure (DELLA PERGOLA, Le città antiche cosmogoniche).
2. Egitto, la dea Maat: Maat = ordine (ordinamento), giustizia, diritto (da: BRESCIANI, Sulle rive del Nilo, tav. 9; cf. CIMMINO, Vita quotidiana degli Egizi, p. 95).
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3. Prologo del ‘codice’ di Lipit-Is]tar (aa. 2017-1985 a.C., su tavolette), da SAPORETTI, Antiche leggi, pp. 122-123: “Quando il grande An, padre degli dei, ed il dio Enlil, re dei paesi, signore del destino... hanno proclamato Lipit-Is]tar principe del paese, Lipit-Is]tar, il pastore che ascolta... per imporre la giustizia nel paese... Allora io, Lipit-Is]tar, il pastore mansueto... per ordine del dio Enlil ho imposto la giustizia... ed ho ristabilito l’ordine... ho dato ogni regola alla proprietà... Ed ora le leggi: [...]”.
4. Il ‘codice’ di Hammurapi (aa. 1792-1750 a.C.), su stele: “... allora gli dei Anu (re degli dei) ed Enki (re del cielo e della terra) per migliorare il benessere del popolo hanno chiamato me, Hammurapi, il principe devoto... perché proclamassi la giustizia... io sono Hammurapi il pastore... sono di stirpe regale, generato dal dio,... sono l’umile e il supplichevole... sono il re saggio... sono il forte... sono il drago... sono il toro selvaggio che annienta il nemico... sono il principe pio... sono il pastore delle genti... sono colui che proclama la giustizia... Ed ora le leggi:...” (da SAPORETTI, Antiche leggi, pp. 159-161).
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5. Bibbia, Es 19 e ss.: monte Sinai, popolo davanti al monte, Mosè sul monte e “Dio allora pronunciò tutte queste parole”, “Mosè scrisse tutte le parole del Signore... e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù di Israele”; il libro dell’alleanza viene collocato in un’arca “di legno e di acacia”. 6. Codice di procedura civile pel Regno d’Italia, anno 1806: “Napoleone I, per la grazia di Dio, e per le Costituzioni, imperatore de’ Francesi e re d’Italia”. 7. Decreto di approvazione del Codice Civile italiano, anno 1942: “Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della Nazione re d’Italia e d’Albania, imperatore d’Etiopia... 2. Un esemplare del testo del Codice Civile, firmato da Noi e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato per la Grazia e Giustizia, servirà di originale e sarà depositato e custodito nell’Archivio del Regno. Dato a Roma, addì 16 marzo 1942 Vittorio Emanuele Mussolini – Grandi” 8. Costituzione della Repubblica Italiana. “Principi fondamentali. Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo... La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato. Data a Roma, addì 27 dicembre 1947. Enrico De Nicola (Presidente della Repubblica). Controfirmano: il Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini, il Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide de Gasperi. Visto: il Guardasigilli Grassi. Insomma, gli ordinamenti giuridici si sono susseguiti e ‘sviluppati’; quanto si sono realmente evoluti ? Quanto sono effettivamente progrediti nel secondo medioevo, quando da prove giudiziarie di tipo ordalico si passò a strumenti di prova ‘razionali’, fra i quali la fama, ambigua e volatile, o la terribile tortura ? Quanto sono oggettivamente fondati oggi, quando in un processo penale si condanna sotto il peso di una testimonianza oculare, mentre è noto e provato che, a parte la malafede, anche la percezione e la fissazione di alcunché nella memoria di un teste oculare sono altamente inaffidabili ? E il processo continua ad essere improntato al carattere ludico e “se ha uno scopo, lo ha in se stesso, il che è come dire che non ne ha alcuno”, mentre “il mito della verità”, nella scienza giuridica, ha da tempo ripiegato sulle “presunzioni o finzioni di verità”
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o “verità legali” 44, un tempo almeno regolate da qualche ratio giuridica, oggi invece sempre più spesso incalzate e condizionate da un’opinione pubblica eccitata, vellicata e gonfiata da potentissimi media che toccano tasti emotivi e patetici e insieme risvegliano, con il bisogno di giustizia, anche aggressività e istinti di caccia. Per inciso, divagando sui trionfalismi di un sicuro progresso, si potrebbe notare che, nell’arco dei nostri pochi millenni e nell’orizzonte dei nostri spazi, s’aggira, misteriosa e emblematica, la figura del pastore: i re-pastori della Mesopotamia che dettano le leggi per le genti (come s’è visto sopra, negli es. 3-4), il Cristo-pastore che non è “per giudicare il mondo” ma per salvarlo con comandamenti d’amore (Gv 3, 17), il pastore errante dell’Asia di un Leopardi moderno e illuminista, che va senza risposte e canta un “abisso orrido” e una “solitudine immensa”. C’è da chiedersi anche, con franchezza e senza sarcasmi, se a proposito di un altro tema oggi di moda in diverse discipline, quello del rapporto oralità/scrittura, l’auspicio di una maggiore oralità nella procedura del processo civile ai fini di una “socialisation progressive du droit” e di una “démocratisation de la procédure” medesima non sia solo una bella esercitazione accademica circa “finalement, la tendence évolutive... en connexité avec une conception sociale du droit” 45, un’esercitazione dimentica di tanto e di tanti, a cominciare dal vecchio Cicerone. Ed è emblematico, a proposito di sviluppo, il tema della libertà: Giustiniano nel VI secolo aveva il coraggio e la lucidità di affermare che la libertas è una naturalis facultas condizionata solo dalla forza (vis) o dal diritto (ius) e che questo condizionamento è sì legittimo ma contra naturam (I. 1, 3); oggi noi cancelliamo dai nostri codici queste limitazioni, che però continuano ad esistere e in misura elevatissima, definita solo dalla vis e neanche più dallo ius. D’altronde, se l’idea di sviluppo si lega nel nostro bagaglio culturale o semplicemente nel nostro immaginario collettivo alla teoria evoluzionistica di Charles Darwin (aa. 1809-1882), sembra che lo stesso Darwin abbia scritto: “l’intelletto dell’uomo non è divenuto superiore a quello dei Greci: questo va contro all’idea di uno sviluppo progressivo. L’intelletto dell’uomo potrebbe anche degradarsi. Nella mia teoria non c’è nessuna tendenza assoluta al progresso, a meno che non vi siano le circostanze favorevoli”. Un’altra faccia della stessa medaglia potrebbe essere proprio quella di un’evoluzione legata al tempo e alla storia: perché, come s’accennerà più avanti, la storia degli uomini è ancora talmente giovane da caracollare e sbandare di continuo, e perciò forse un’eventuale linea di sviluppo non è commensurabile con l’infinitesimo tempo per-
44 HUIZINGA, Homo ludens, pp. 104-117; SATTA, Il mistero del processo: la citazione è da p. 24; e cf. NICOLAJ, Formulari e nuovo formalismo, pp. 376-379; GIANNINI, Certezza pubblica, p. 770. 45 CAPPELLETTI, Procédure orale et procédure écrite, la citazione dalle pp. 92-99.
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corso dall’uomo. Tutto ciò non è di per sé negativo, anzi può costituire una sfida in qualche misura attraente, ma deve porre un dubbio serio e pesante su ingenui o subdoli trionfalismi, e deve far riflettere con umiltà circa quei “pregiudizi evoluzionisti” usati nello studio del diritto e denunciati per esempio da Norbert Rouland 46. 4. Riferimenti minimi di diritto. – A “varcare i sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili” degli dei, richiamate dall’Antigone di Sofocle (sec. V a.C.), o a prosecuzione del diritto naturale – ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit. nam ius istud non humani generis proprium est, sed omnium animalium, quae in caelo quae in terra quae in mari nascuntur (I. 1, 2, pr.) e omnes leges aut divinae sunt aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant (Graziano, Concordia discordantium canonum, dist. I, c. I, a. 1140 cr.) – ecco le regole giuridiche degli uomini, positive, che per essere valide e coattive – per divenire insomma norma giuridica – devono formarsi in modi determinati. Le matrici e i canali riconosciuti e canonizzati di formazione del diritto, le cosiddette fonti del diritto, sono: 1) lo ius scriptum e cioè per esempio i senatoconsulti di Roma, le costituzioni del Principe, i codici ufficiali, insomma, con parola tecnica, la legge; 2) la consuetudine, e cioè l’osservanza reiterata in sequenze temporali lunghe di procedimenti e di figure o modelli di comportamento riconosciuti per esempio dai tribunali e pertanto giuridici 47; 3) l’interpretatio, e cioè la giurisprudenza e la dottrina 48. Una grande distinzione, storica e spesso problematica, delle regole giuridiche, è quella proiettata dalle categorie diritto pubblico – diritto privato 49; una distinzione che per la nostra civiltà risale all’età romana e in particolare a un grande giurista degli anni d’impero di Caracalla (aa. 211-217), Ulpiano, così poi codificata nelle Istituzioni e nel Digesto dell’età di Giustiniano: publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, privatum, quod ad singulorum utilitatem pertinet (I. 1, 1, 4; D. 1, 1, 2) dove status è da intendersi come situazione, condizione, e res Romana come Stato 50. Potremmo insomma dire in modo un po’ astratto e grossolano che il di-
ROULAND, Antropologia giuridica, pp. 271, 425 e passim. Come sempre molto formativo BOBBIO, La consuetudine come fatto normativo, in sintesi in Consuetudine (teoria generale). 48 Il tema è trattatissimo, per una prima occhiata alla storia ‘moderna’ di esso v. il bel libro di ASCHERI, I diritti del Medioevo, pp. 228 e ss. 49 S. PUGLIATTI, Diritto pubblico e diritto privato, pp. 696-746. 50 Belli sempre e classici, p. es., MOMMSEN, Disegno del diritto pubblico romano, e TENENTI, Stato: un’idea, una logica. 46 47
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ritto pubblico, ad espressione del potere legale, si ramifica in quelli che oggi chiamiamo diritto costituzionale, diritto amministrativo (relativo alla funzione esecutiva), diritto penale e diritto processuale, diritto ecclesiastico, diritto internazionale. Il diritto privato riguarda e regola i fatti giuridici e gli atti giuridici dei cittadini privati: fatti giuridici sono accadimenti naturali che però sono rilevanti per il diritto, che perciò li disciplina, come per esempio la nascita e la morte di un soggetto, che modifica il corpo sociale regolato dal diritto, o come una grandinata che può avere rilevanza giuridica, per esempio, in relazione ad un contratto di assicurazione di un frutteto; atti giuridici invece sono quei comportamenti che muovono dalla volontà di uno o più soggetti e che il diritto disciplina nelle due grandi categorie degli atti illeciti, che sono repressi e puniti, e dei negozi giuridici, che sono invece garantiti negli effetti voluti se appunto attuati nei modi e nelle forme previste dal diritto stesso in figure e schemi chiamati tecnicamente istituti. Sono per esempio negozi giuridici il testamento o, fra i contratti obbligatori – obligatio est iuris vinculum (I. 3, 13, pr.) –, la compravendita di un paio di scarpe o di un palazzo o il mutuo che consiste in parole povere in un prestito di cose fungibili, per esempio denaro, che verrà restituito 51. In ambito di diritto privato è particolarmente interessante e da ricordare la distinzione di diritto romano fra diritto civile o diritto di un determinato popolo e diritto delle genti (ius gentium) o diritto costituito da norme comuni a tutti i popoli giunti ad un certo grado di sviluppo e civiltà: una distinzione che si è evoluta nell’età romana classica per regolare fra i due poli del binomio i rapporti commerciali fra cittadini romani e non, nell’orizzonte ormai slargatissimo dei mercati mediterranei (e questo fino alla costituzione di Caracalla del 212, che concedeva la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell’Impero e con ciò unificava l’ordinamento). Soggetto giuridico è l’uomo, tecnicamente la persona, protagonista di una situazione o di un’azione giuridica, se nelle condizioni di capacità giuridica previste dall’ordinamento storico: per esempio nella società romana, il cui ordinamento prevedeva i servi, tali condizioni erano lo status libertatis e lo status civitatis, o per esempio oggi non ha piena capacità giuridica il minore o l’interdetto. È ancora soggetto giuridico qualunque istituzione pubblica, per esempio in età romana il municipium, la colonia o il populus Romanus ( lo Stato come ente politico). Per concludere queste minime indicazioni, si consideri che le regole giuridiche sono in genere formate da tecnici e in ambiti tecnici e cioè da giuristi teorici e/o pratici – notai, giudici, funzionari, in cancellerie, ‘commissioni’, se-
51 Sui contratti obbligatori ho trovato assai formativi GROSSO, Il sistema romano dei contratti, e ASTUTI, I contratti; comunque sempre assai stimolante CALASSO, Il negozio giuridico.
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greterie e uffici – e sono poi applicate e vissute dal corpo sociale (nella sua dimensione politico-istituzionale e nella dimensione privata di ogni cittadino) nella pratica e nell’uso di ogni giorno, come recita un commento cinquecentesco: leges deglutiuntur, in palatiis digeruntur quia praxis est scientia digestiva et ubi theoricus desinit, practicus incipit 52. Ecco, la pratica quotidiana e concreta di quelle regole, la loro ‘digestione’ nell’uso, la loro applicazione in forme orali, rituali, simboliche, scritte, come s’è detto, costituiscono e disegnano il fiume della prassi giuridica: prassi amministrativa e di governo, giudiziaria, negoziale per i privati. La diplomatica studia i fenomeni di documentazione proprio sotto l’angolo visuale della prassi giuridica, proprio perché un ampio ramo di questa fluisce in forme e formalismi scritti e determina il funzionamento logico e storico dei fenomeni documentari: insomma, la documentazione non è altro che un filone importante della prassi giuridica. Di più: in alcuni periodi e contesti storici che sono carenti di norma scritta o legge, di giurisprudenza e di dottrina, come si vedrà per tutto l’alto medioevo latino, la prassi giuridica scritta – ripetitiva, per lo più fissamente modellata in schemi e ancorata all’autorevolezza della scrittura – sale di rango e può essere considerata consuetudine e cioè fonte di diritto essa stessa, fissazione e normalizzazione di iura, e come tale viene recepita nei tribunali e dalla società tutta. E non solo. La prassi documentaria, nel suo multiforme e cangiante profilo, non solo è ‘digestione’ della legge, non solo può assurgere a consuetudine (in senso tecnico) e come tale a fonte di diritto essa stessa, ma anche, sempre e comunque, agisce e preme sulle fonti di diritto riconosciute (legge, consuetudine e dottrina), che allora, nel lungo periodo, sono costrette ad adattamenti, reinterpretazioni e ammodernamenti (un altro noto adagio recita infatti “il diritto nasce vecchio”) in un processo circolare ininterrotto. 5. Sulla scrittura. – Altro elemento fondante del documento diplomatico è la scrittura. Scrittura è rappresentazione grafica della parola: rappresentazione ideografica, come quella geroglifica egiziana, e ideografica stilizzata, come quella della scrittura pittografica cinese; scrittura pittografica e sillabica, come quella cuneiforme mesopotamica; e infine, a massima economia di tempo e di sforzi, scrittura alfabetica che sembra nascere (ma qui le ricerche archeologiche continuano a far ballare i dati) non a caso dalle comunità dei Fenici, che sono soprattutto navigatori e mercanti, e finisce nel nostro alfabeto latino.
52 BALDI UBALDI in primam Digesti veteris partem Commentaria, de minoribus ff L. Aemilius, I, nr. 35, f. 234 (ringrazio Ugo Petronio che mi ha segnalato il passo).
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Scrittura geroglifica egiziana
Pittogrammi cinesi
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Scrittura cuneiforme mesopotamica
Che l’invenzione della scrittura abbia rappresentato un fattore di grandissimo peso nella storia degli uomini è un dato scontato 53; che questa invenzione sia nata da esigenze economico-amministrative e giuridico-religiose è un altro dato scontato. Che questa straordinaria invenzione presenti esclusivamente vantaggi non è del tutto pacifico: si pensi alla intuizione di un testo sumero, per il quale il segno scritto, la parola segnata sulla tavoletta “ha forma di chiodo, la sua struttura trafigge” 54, o si pensi alle resistenze di Socrate al diffondersi della scrittura 55; o si pensi al dilagare oggi (in moltiplicazione esponenziale grazie ai computer) di testi scritti incontrollati e difficilmente controllabili, con esiti di informazione manifesta/disinformazione occulta. L’incontro fra giuridicità e scrittura ha avviato tanto tempo fa un fenomeno storico imponente che è appunto quello della documentazione diplomatica: un connubio peraltro annunciato da suggestive pratiche di sigillatura adottate nell’amministrazione di civiltà protostoriche 56. Il fenomeno documentario è noto, è stato ed è studiato e conosciuto soprattutto dal punto di vista dei pro-
53 Tema trattatissimo oggi, v. per tutti GODART, L’invenzione della scrittura; ma v. anche ESCARPIT, Scrittura e comunicazione; ONG, Oralità e scrittura, e HAVELOCK, La Musa impara a scrivere; su “la stabilità, la permanenza dell’iscrizione... e... la legalità della lettera”, BARTHES, Lettura e testualità, p. 227. Quanto al tema confinante e oggi assai trattato dell’alfabetismo, basti rinviare a CIPOLLA, Istruzione e sviluppo, in particolare capp. I e II. 54 Mitologia sumerica, p. 18. 55 Platone, Fedro, 274 e ss. 56 Archives before Writing; v. anche FISSORE, Dall’oggetto come documento, pp. 75-79.
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Scrittura alfabetica fenicia
Alfabeto latino arcaico
Scrittura latina – anno 166 (da: STEFFENS, Paléographie latine, tav. 9)
Scrittura latina – anno 1223 (da: Rolandino 1215-1300, ill. a p. 67)
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Littera antiqua – XV secolo (da: Umanesimo e Padri della Chiesa, tav. 101)
duttori di esso: sono note e si continuano ad illustrare la competenza, l’attività e la rilevanza sociale dello scriba nell’Egitto faraonico o in altre società antiche, o del mandarino cinese (in primo luogo un calligrafo) nell’amministrazione di quel secolare Impero, o del notaio e del tabellione romano e poi bizantino nell’età greco-romana, o del notaio e delle cancellerie dell’età di mezzo e di oggi ancora, delle burocrazie dal secondo medioevo a oggi, fino al diffondersi attuale del notariato latino negli ordinamenti di paesi di altre radici e tradizioni, come per esempio alcuni paesi asiatici o alcuni paesi africani. Tale fenomeno invece è stato troppo poco studiato in se stesso, nella sua propria e intrinseca natura complessiva; e questo sarà il punto di vista privilegiato nelle nostre lezioni, con un assoluto e deciso capovolgimento di termini: dunque, in primo luogo la documentazione e poi, a complemento, le sue ‘sedi’ di produzione. 6. Documentazione e storia; sistemi di documentazione. – S’intende per documentazione sia l’esercizio e la pratica di uno scrivere giuridico – per fini e funzioni peculiari e per procedure tipiche di formazione dei documenti (compreso il cosiddetto iter documentario) –, sia il risultato e prodotto di tale attività, e cioè l’insieme delle scritture diplomatiche considerate nelle loro piccole o grandi masse e nelle loro varie tipologie. Come s’è detto, quello della documentazione è un fenomeno storico: esso cioè, sempre intrecciato a oralità, riti e simbolismi, si svolge per coordinate di
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tempo e di luogo e si sviluppa in contrappunto con altri fenomeni storici – politici, economici, culturali – in un fluire continuo, che periodizziamo per consuetudine e per utilità di ricerca. Ma di che storia si parla ? Naturalmente si parla di quel racconto e di quelle ricostruzioni di eventi riguardanti l’uomo come singolo e come comunità, che registriamo in quanto fatti: ma – e accenno appena a problemi storiografici immensi – ai fatti cerchiamo di dare un senso o almeno “sprazzi di senso” 57; o per essi cerchiamo anche “ragioni profonde”, se percepiamo la “struggente bellezza della vita” 58. Ecco allora, anche per lo spicchio della nostra disciplina, il nodo di vita e storia degli uomini e, ficcato in quel nodo, l’enigma di una vita/storia ‘altra’: una storia che da una manciata di attimi si spalanca verso le misure inimmaginabili della fisica, verso i misteri della biologia e magari pure verso il problema dell’ominazione, e cioè dell’origine dell’uomo secondo la teoria evoluzionistica 59; per non accennare neanche ad un possibile ‘oltre’, che comunque resta la grande incognita X. Per curiosità e per un cenno alla difficoltà di commensurare gli sfondi della nostra storia richiamo qualche misura, fermo restando che cifre e misure continuano ad oscillare nelle ricerche tumultuose di oggi: – 13 miliardi di anni circa sembrano essere l’età dell’universo; – a 4/3 milioni di anni fa sembrano databili i primi ominidi, anello di raccordo, se e nella misura in cui funziona la teoria evoluzionistica, fra scimmia e homo non ancora sapiens sapiens; – a oltre 30 mila anni fa risalgono le ‘grandi madri’, prime e famosissime raffigurazioni umane; – a 9/5 mila anni fa risalirebbero raffigurazioni di danza a girotondo (Vicino Oriente), forse simbolo di stanziamenti di gruppi prima erratici e segno del prevalere dell’agricoltura sulla caccia, della struttura collettiva di tali gruppi e di unione fra essi e natura fertile; a 8 mila anni fa, poi, risalirebbe la prima rappresentazione del figlio mentre viene partorito dalla madre (Anatolia), forse indizio di un’inversione gerarchica fra i sessi in senso patriarcale; a 8/7 mila anni fa risalirebbe il primo dei numerosi insediamenti stratificatisi a Gerico (valle del Giordano); – nel IV millennio a.C. si scrive in Mesopotamia, terra fra due fiumi, e in Egitto, lungo la valle del fiume Nilo;
BODEI, Se la storia ha un senso, p. 79 per la citazione. BRAUDEL, Storia, misura del mondo, pp. 24 e 36 per la citazione. 59 Ma tale teoria, nella letteratura circa la storia evolutiva dell’uomo, ora “rivela delle discordanze interessanti”, v. PISCICELLI, La luna, pp. 91 e ss. 57 58
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nella seconda metà del III millennio si scrive nelle terre unite dal mare Egeo (Creta) e nella Siria settentrionale (Ebla); – fra II e I millennio trionfa la scrittura alfabetica di mercanti e navigatori del mare, siro-palestinesi e fenici. Se si guarda a questa minima e incerta scaletta, ci si accorge che tutta la scienza della nostra civiltà è insieme eccellente e assai modesta, che le ricostruzioni accademico-aristoteliche possono scintillare d’intelligenza ma sono solo una barchetta di carta in un mare sconfinato, che sulla lunga durata la storia umana è cominciata solo nei pochissimi ultimi attimi, insomma che “il re è nudo” come insegna la favola. Se magari “si diventa ciò che si pensa”, come sostiene la più antica speculazione indiana intorno all’universo (Maitry Upanishad, VI, 34), sulla base del rapporto temporale fra la nostra storia e la vita dell’universo, che cosa in effetti riusciamo per ora a pensare e a diventare noi uomini ? Possiamo solo avere il sospetto che sia “la vita, più che la morte, a non avere limiti” 60; possiamo avere il sospetto che esistano misteriosissime ‘leggi universali’, tant’è che le stelle non ci cadono in testa; e certo, possiamo solo fiutare qualcosa, come il Maigret di Simenon, o cogliere qualche analogia e qualche coincidenza fra le cose come la miss Marple di Agatha Christie. Fermo tutto ciò a prendere un po’ di misure, a contenere prospettive sbagliate e stupide sicurezze circa i nostri pur faticosi studi, la diplomatica di queste dispense si muoverà lungo il segmento finale di quei pur pochissimi attimi accennati sopra e si muoverà in casa, e cioè in Italia, quale centro di un Occidente latino nell’età romana e in quella medievale; e si fermerà alla documentazione medievale, per una serie di evidenti motivi, anche se, per gli stessi evidenti motivi, bisognerebbe costruire una diplomatica degli Stati di ancien régime, quindi una diplomatica dello Stato moderno, e porsi anche il problema generale di una documentazione diplomatica nelle prospettive planetarie postmoderne. Comunque, anche le tappe dell’antichità romana e del medioevo si pongono all’interno di un percorso che viene da lontano e lungo una rotta che ha cambiato e cambia direzione: alle origini ci sono civiltà di scritture giuridiche sparpagliate nelle terre d’Asia e d’Africa orientale a sud del Mediterraneo; poi c’è il mondo mediterraneo unificato da Roma; infine, l’ago della bussola punta, almeno per noi occidentali, più a nord, verso l’Europa e i mari settentrionali. Cambia pian piano la geografia storica, cambiano condizioni di habitat per gli uomini (paesaggi, luci, colori, odori, temperature), lungo le tappe di un viaggio straordinario che qui si può solo suggerire con alcune ‘mappe’:
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Così conclude Gabriel García Marquez l’Amore ai tempi del colera.
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1. Mondo mesopotamico e egiziano, lungo fiumi; mondo egeo, in isole raccolte nel mare, e spazi fenici, basi costiere lungo rotte sul mare;
Percorso e tappe indicati nelle mappe 1 e 2 non sono solo dei precedenti cronologici per noi, ma in qualche modo sembrano fare da sfondo proprio ad una diplomatica latina e poi medievale, pur nel mistero che sempre avvolge le origini di un fenomeno: sappiamo di contatti e tramiti fra Mesopotamia ed Egitto; grazie alle ricerche e all’energia di Sabatino Moscati, sappiamo della mobilità delle popolazioni siro-palestinesi e poi fenicio-puniche non solo all’interno del Vicino Oriente ma soprattutto verso il Mediterraneo occidentale (Sicilia, Sardegna, coste iberiche) 61; si colgono di più e meglio tramiti fra civiltà latina dei primi secoli e civiltà ellenistiche, e poi di nuovo, dal III sec. d.C., si colgono “colori d’Oriente” nell’Impero di Roma 62. C’è poi, di particolare evidenza e forza archetipica, il ‘caso’ ebraico, un paradigma per l’antichità come modello sociologico del diritto 63 e origine di un robusto filo conduttore passante dall’antichità alla tarda antichità e al medioevo cristiani. 61 MOSCATI, per es. Civiltà del mare, o Luci sul Mediterraneo, o Tra Tiro e Cadice, o anche Apparenza e realtà. 62 CORTESE, Il diritto, I, p. 16. 63 WEBER, Economia e società, III, in particolare pp. 87 e ss.
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2. Mondo greco; mondo ellenistico, dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) all’espansione romana nel Mediterraneo;
3. Impero di Roma;
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4. Quadro europeo al sec. XII, con un Sacro Romano Impero (tedesco), un Impero bizantino ad Oriente e un Islam allargato a tutte le sponde meridionali del Mediterraneo;
5. Quadro europeo all’anno 1500: età delle grandi scoperte geografiche e vigilia della Riforma protestante e della Controriforma cattolica.
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Per l’antichità: 1) L’intenso nomadismo 64 e le tante fughe o deportazioni del popolo ebraico (per esempio, Abramo viene da Ur dei Sumeri, Giuseppe finisce nell’Egitto dei Faraoni, Mosè torna dall’Egitto alla Palestina degli avi) conferiscono a quel popolo una identità profonda e preservata e insieme lunghe familiarità e consuetudini con popoli e culture diverse, che quasi gli affidano il destino di un grande collettore e di un potente veicolo di culture. 2) La Bibbia non è solo un grande libro di fede (e di poesia) ma è anche un grande libro di storia, comunque filologia ed esegesi vogliano giustamente e più o meno correttamente ancorarlo a fatti e date 65; ebbene, questo libro disegna paradigmaticamente le vicende strutturali di un popolo, dal patriarcato di Abramo al profetismo e comando supremo di Mosè (XIII sec. a.C.), che per volere di Dio e per il popolo scrive le leggi, fa censimento di tribù, famiglie e casati, organizza l’insediamento e le prestazioni sociali dei gruppi, istituisce giudici e scribi, fino alla costituzione monarchica. 3) Proprio nei racconti della Bibbia si incontrano molte testimonianze di documentazione diplomatica: per esempio, nell’Esodo e nel Deuteronomio la fissazione della legge “con scrittura ben chiara” e su tavole imbiancate a calce (Dt 27, ma v. anche Es 20, 21, 24, 31, 34 e Dt 5, 10); nei Numeri la registrazione di un censimento appare un archetipo di censimenti romani e di catasti medievali; nel libro di Tobia (Tb 5) è ricordata e descritta la scrittura di un debito contratto in Media, redatta nelle forme della autografia (del chirografo greco e romano) e della charta partita, che ritornerà nel medioevo europeo attraverso la mediazione insulare e cioè la tradizione biblica delle isole britanniche, come poi si vedrà; nel libro di Ester (Est 3, 12-14, ma cf. anche l’editto di Ciro re di Persia in 2 Cr. 36, 22 e Esd. 1) viene riportato un decreto di re Serse di Persia, che è un documento sigillato, redatto nella forma testuale di quello che sarà l’editto romano, “Il grande re scrive...: io dispongo...”, con tanto di arenga e narratio, e prodotto in esemplari multipli da spedire in tutte le province del re, così come avverrà per tanti documenti imperiali romani o pontifici. È ovvio che, vista la peculiarità e la complessità della ‘questione biblica’ quanto alle sue redazioni e tradizioni testuali, se si guarda al ‘paradigma ebraico’ dalla parte del nostro mondo greco-romano e poi occidentale ci si riferisce evidentemente al filone greco-latino di trasmissione di quei testi, con tutti i suoi scontati, e noti, accomodamenti storico-linguistici e concettuali 66. Per la tarda antichità e per il medioevo, l’eredità culturale ebraica, calata appunto nella Bibbia, mescolata all’eredità culturale romana e convogliata dalla
64 VARDIMAN, Il nomadismo. Come sempre suggestivo ELIADE, Prima e dopo il “miracolo biblico”, pp. 93-98. 65 SOGGIN, Introduzione; cf. anche FINKELSTEIN-SILBERMAN, Le tracce di Mosè; CLAUSS, Israele; LIVERANI, Oltre la Bibbia; e soprattutto ZENGER, Introduzione. 66 GROSSI, Borsa o chirografo ?; ma v. LEVY, Sur trois textes bibliques, 40 e ss.
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Chiesa, rappresenterà poi uno dei filoni più consistenti delle vicende europee e uno dei fattori più potenti di cultura in genere e in ispecie di cultura e prassi di documentazione. Il fenomeno della documentazione, dunque, sembra dispiegarsi e quindi sembra percorribile per due vie. Una prima via è quella storica, che è distesa lungo l’asse del tempo e che proprio nel suo dispiegarsi temporale passa per una successione di sistemi di documentazione, più o meno semplici o più o meno complessi. Vale a dire che ogni singolo documento, ogni gruppo di documenti, ogni tipologia documentaria richiedono di essere letti e studiati all’interno del coevo sistema documentario generale nel quale si collocano: un documento d’età carolingia o un documento del pieno Duecento bolognese non prescindono dai sistemi giuridicodocumentari del loro tempo, sistemi disegnati da documenti pubblici di varie tipologie e da documenti privati anch’essi di varie tipologie; così come oggi uno scontrino rilasciato per l’acquisto di una matita o di un chilo di patate – che è un documento di ricevuta del prezzo pagato per il compratore e di computo e controllo fiscale per il venditore – non è avulso dal quadro di documentazione dell’ordinamento italiano vigente, un quadro tanto complesso da comprendere, con lo scontrino, per esempio la scrittura di una legge dello Stato o il giornale di bordo di una nave da carico 67. Inoltre, ogni sistema documentario sembra anch’esso ‘vivere’ un proprio ciclo storico, più o meno lungo, all’interno del quale funzioni e forme della documentazione seguono dinamiche ricorrenti: prima si pongono in abbozzo e in strutture instabili, poi si normalizzano e si tipizzano, e infine decadono o irrigidendosi e ossificandosi oppure piegando e mutando verso nuovi modelli. Una seconda via di manifestazione dei fenomeni di documentazione e quindi di esplorazione di essi potrebbe essere quella antropologica. Infatti, sia nel lungo o lunghissimo periodo, sia comparativamente e cioè in contesti storicoculturali e storico-giuridici contemporanei ma diversi, nella documentazione si rilevano costanti e varianti, ricorrenze o solo coincidenze di fini, di forme e di procedure, che sembrano riguardare questioni antropologiche e risvegliano curiosità di semeiotica. Se per semeiotica si intende una disciplina che rilevi e interpreti segni 68, e nel nostro caso rilevi e interpreti parole, grafemi, immagini, gesti, simboli, suoni e via dicendo come indizi e spie di realtà umane e sociali che si manifestino nella prassi giuridica, allora proprio le forme della docu-
67 BOBBIO, Teoria generale del diritto, cap. III, pp. 201 e ss. sull’ordinamento giuridico come ‘sistema’ e sui significati di sistema giuridico. 68 Introduttivamente si possono vedere RIVIÈRE, Introduzione all’antropologia; BARTHES, Elementi di semiologia, e CALABRESE, Breve storia della semiotica.
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mentazione presentano bacini ricchi di espressioni, protocolli, significanti riconducibili alla natura e ai comportamenti dell’uomo. 7. Prime nozioni e classificazioni generali. – Ordinamento, prassi giuridica o documentazione sono termini che rinviano necessariamente, per non restare malinconicamente vuoti, agli uomini che in quelle intelaiature vivono, si muovono, agiscono e operano; insomma la documentazione viene da mani di uomini e in mani di uomini ritorna e finisce. Chi sono allora i principali uomini in campo, dietro la quinta di un papiro, di una cartapecora, di un bip del computer? Anche qui, purtroppo, gli schemi sono astratti e perciò anonimi, ma di volta in volta, in ogni caso concreto, si tradurranno in nomi propri, in ruoli e in vesti, forse anche in volti e in scene. Ogni documento, dunque, riguarda innanzi tutto due soggetti o persone: l’emittente e il destinatario. L’emittente (Aussteller, in tedesco) è la persona (o le persone o la persona giuridica o l’istituzione) che ha disposto o richiesto l’emissione del documento e al nome del quale il documento stesso viene intitolato, così da risultarne secondo la terminologia italiana l’autore. Il destinatario è la persona (o le persone o la persona giuridica o l’istituzione) alla quale il documento è indirizzato e destinato appunto. Emittente/autore e destinatario sono i personaggi del testo/documento, così come da questo sono rappresentati secondo modelli e usi di prassi; in realtà, la fattura e il rilascio del documento sono spesso ‘richiesti’ dal destinatario, come per esempio nel caso di un documento di compravendita di terra – emittente il venditore, destinatario il compratore –, nel qual caso l’interesse e quindi la committenza dello scritto proviene certamente dal destinatario e nuovo proprietario della terra. La diplomatica italiana, poi, sulle orme del Paoli 69, chiama spesso in campo l’autore dell’azione giuridica: questa è un’indicazione delicata, che talvolta rischia di sovrapporsi alla rappresentazione documentaria (che soprattutto ci riguarda); sarà bene, allora, esplicitare sempre o sottintendere fermamente che si tratta dell’autore dell’azione giuridica così come è documentata, cioè così come è riportata e rappresentata nello scritto, visto che per esempio in un contratto di compravendita (che è un’obbligazione consensuale e bilaterale) gli autori giuridici sono paritariamente due, il venditore e il compratore. Nel documento poi possono comparire testimoni: possono intervenirvi perché lo sottoscrivono o possono esservi citati e elencati. Si dovrà distinguere allora fra testi alla documentazione (testi documentali) e testi all’atto. Nel caso di atti e documenti sovrani, la presenza di testimoni o di astanti, e sempre si tratta di grandi rappresentanti dell’establishment (per esempio, i proceres Palatii
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PAOLI, Diplomatica, p. 20, cf. PRATESI, Genesi e forme, p. 35.
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e il consistorium Principis di C. 1, 14, 8, i grandi vassalli dell’Impero medievale, i cardinali della Chiesa), pone di volta in volta quesiti interessanti, anzi importanti, circa gli equilibri e l’assetto ‘costituzionale’, di potere di fatto o legittimo, del contesto di riferimento 70. Oltre alle persone suddette, ci sono poi quelle che il documento lo formano, lo concepiscono e lo realizzano materialmente, e cioè i fattori o produttori di documentazione. In questo settore, le varianti sono molte e andranno viste di volta in volta, storicamente e in concreto. In via del tutto generale e schematica, per l’intanto si può dire che un documento può essere scritto e prodotto: – dall’emittente stesso, e allora si parlerà di chirografo con antico termine greco, di autografo, di documento olografo, e cioè tutto quanto di mano dell’emittente, visto che nei primi due casi basterà la sottoscrizione autografa ad una redazione anonima o di terzo; – da uno scrivano, scriba, notaio, e cioè da una persona capace di scrivere (magari in notae e cioè con segni tachigrafici/stenografici) e di usare termini e forme e formule di tipo tecnico, o da un tabellione, e cioè da uno scrittore professionale di documenti, nell’età romana; da un ‘notaio’ altomedievale, e cioè da una persona che può chiamarsi così (e spesso lo fa) perché è in grado di scrivere documentazione; infine da un notaio ‘moderno’ (dalla fine del XII secolo ad oggi e alla l. 16 febbraio 1913, n. 89), e cioè da un redattore che è allo stesso tempo sia libero professionista sia pubblico ufficiale, titolare di una funzione pubblica quale è quella di certificare l’autenticità (legale) del documento stesso; – da appositi ambiti di documentazione, come segreterie, cancellerie, uffici. La produzione documentaria realizzata da persone singole – dallo scrivano/notaio al tabellione al notaio moderno – avvia e muove un’altra storia lunga e complessa, tutta occidentale e in particolare tutta italiana, che è appunto la storia del notariato latino, e che va vista a corollario e a complemento delle vicende del documento privato 71. La produzione documentaria effettuata in ambiti specifici quali le cancellerie, le segreterie o gli uffici conduce anch’essa ad una storia ricca e variegata. Qui si potranno per l’intanto notare alcuni punti. Al primo punto, si sottolineerà che un documento prodotto da una cancelleria comporta, in via di principio, un iter burocratico e di documentazione articolato e variabile per periodi storici, per materie o per altro. Si deve pensare, per esempio, a una fase di avviamento e istruttoria dell’atto e del suo procedimento documentario: potrebbero esserci in principio libelli, petizioni (preces, supplicationes), quesiti pre-
70 BRESSLAU, Handbuch, pp. 842 e ss.; per le sottoscrizioni cardinalizie, pp. 721 e ss.; per i testimoni nei documenti regi pp. 861 e ss. 71 NICOLAJ, Documento privato e notariato, p. 974.
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sentati all’autorità, quindi l’esame della pratica (C. 1, 22, 4: de veritate precum inquiri oportet, da cui poi la formula ex certa scientia) 72, una relazione su di essa magari da parte di referendarii, l’intercessione di qualcuno; o si deve pensare ad una fase di studio e ‘programmazione’ di una certa questione, per esempio ad una consultatio del sovrano coi proceres, nel caso di decisioni e provvedimenti sovrani presi per spontaneus motus (C. 1, 14, 3). Si deve poi considerare la fase di documentazione – che peraltro in alcuni momenti si allaccia alla prima, quando ‘minute’ della disposizione sono sottoposte all’approvazione del sovrano –: in questa seconda fase potrebbero entrare in scena dettatori che concepiscono e compongono il testo documentario (in molti casi, tecnici del diritto e della politica, come nel caso dei vir magnificus quaestor et viri spectabiles magistri scriniorum, qui... qualemcumque divinum responsum dictaverint di C. 1, 23, 7, a. 477), uno scrivano e grossatore che lo mette in bella scrittura cancelleresca (in grossam litteram), un terzo che vi appone o vi appende il sigillo di convalidazione. E sia nella prima che nella seconda fase devono presupporsi altri momenti-chiave dell’iter descritto, momenti che in linea generale lasciano un segno sul documento emesso: l’assenso dell’autorità emittente e magari la sua approvazione di un testo definitivo e l’intervento conclusivo di un responsabile della documentazione in partenza. C’è ancora una fase di grande importanza da considerare, quella nella quale, a presidio dell’atto e del relativo documento, si provvede o all’archiviazione di un doppione del documento spedito o ad una sua registrazione, proprio presso la sede di emissione. Un altro punto di grande rilevanza sta nel fatto che, se segreterie, cancellerie e uffici indicano contesti differenti – e cioè, quanto alla segreteria, un ambito in rapporto più ravvicinato e diretto con l’emittente, quanto alla cancelleria, un ambito più ‘istituzionalizzato’ e anche più articolato e insieme unitario, quanto agli uffici, ambiti suddivisi per competenze specifiche e funzioni pubbliche diverse (come avviene, per esempio, nei Comuni italiani o negli Stati moderni) –, comunque tutti questi ambiti e queste strutture di documentazione costituiscono ambienti di molteplici e spiccate presenze e competenze: politicoistituzionali, teologico-ecclesiastiche, giuridiche, letterarie e stilistiche, magari finanziarie, e infine archivistiche. Sulla base della provenienza dei documenti – costituita dall’emittente e autore – la diplomatica distingue fra documenti pubblici e documenti privati. Rinviando a Bresslau, si possono considerare pubblici i documenti “emessi da sovrani indipendenti o semiindipendenti, vale a dire re e imperatori,... i documenti pontifici, e in Italia... anche tutti i documenti emessi sulla base di un or-
E per procedure medievali in questa materia v. HERDE, Audientia litterarum, e HAGENEProbleme des päpstlichen.
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dine giudiziario di documentazione,... nel periodo tardomedievale... i documenti dei principi, dei signori territoriali e delle città”, mentre si considerano privati “tutti i restanti documenti” 73. Si osservi, per inciso, che la definizione di publicum instrumentum, usatissima nel secondo medioevo per il documento notarile e perciò per il documento privato per antonomasia, non tocca e non sposta la questione, perché instrumentum è nome tecnico del documento di prova – ut instruatur iudex – e publicum significa dotato di publica fides e quindi legalmente autentico. Forse, poi, combinando più strettamente criteri di provenienza, di forma e di tenore degli atti, si potrebbe precisare qualche altro punto. Si potrebbe ricordare che alla categoria del documento privato sono da riferire sia i documenti notarili sia le cosiddette scritture private, e cioè, per esempio, le scritte dei mercanti. Rientrano altresì in questa categoria i documenti provenienti da una persona giuridica, e cioè da un’associazione di più persone o da una fondazione che agiscano come soggetto di diritto privato: nel medioevo, per esempio, sono comunissimi gli atti giuridici di congregazioni monastiche la cui comune volontà è espressa dall’abate, dalla badessa, da un procuratore. Sono ancora da considerarsi documenti privati quegli scritti di atti privati che, proveniendo da soggetti rivestiti anche di una ‘funzione pubblica’ o collocati in una qualche posizione socio-economica di ‘potentato’, si presentano come documenti con qualche solennità eventuale: per esempio, quando Matilde di Canossa compie una donazione per l’anima il documento di donazione reca comunque la nota sottoscrizione ‘cancelleresca’ della gran contessa e magari la sottoscrizione di qualche giurista della sua curia 74. Si potrebbero ancora distinguere nella categoria generale del documento pubblico: – i documenti pubblici singolari e cioè emessi da un potere monocratico, di norma attraverso segreteria o cancelleria; – i documenti pubblici collegiali e cioè provenienti da autorità collegiali come un senato, un concilio, un parlamento, di norma attraverso la redazione del procedimento decisionale scritta da estensori operanti all’interno dell’assemblea; – i documenti pubblici d’ufficio, e cioè emessi da chi detiene una funzione pubblica distaccata e delegata o in qualche misura autonoma rispetto a un potere superiore o sovrano 75, redatti da scribi (notai) che espletano un officium di complemento. In concreto, per esempio, sono documenti pubbli-
BRESSLAU, Handbuch, p. 11. La documentazione matildica è ora edita in M.G.H., Laienfürst., II, con grande varietà di tipologie diplomatiche. 75 Prima bibliografia al cap. III, nt. 46. 73 74
Oggetto e confini della diplomatica
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ci d’ufficio le notitiae iudicati dei placiti altomedievali, che provengono da procedimenti a sentenza tipici della funzione giudiziaria, o vari tipi di documentazione comunale redatti da un notaio-officialis. Procedendo nelle classificazioni di base, per tradizione di studi si distinguono dalla diplomatica generale alcune diplomatiche speciali: per esempio, quelle dei regni romano-barbarici, degli imperatori del Sacro Romano Impero, dei re (e per noi dei re d’Italia), la diplomatica pontificia, comunale, vescovile, signorile, e infine la diplomatica del documento privato con la sua lunga coda di storia del notariato: tali specializzazioni, come è evidente, attengono a singoli soggetti emittenti e a singoli modi di convalidazione/autenticazione dei documenti considerati. Infine, all’interno di diplomatiche speciali e in relazione a pratiche particolari di documentazione, esercitate e applicate in partenza da un ente emittente (come la cancelleria di un principe o come il notaio di secondo medioevo) o all’arrivo da un ente destinatario, la disciplina tratta da tempo temi importanti e specifici, che si vedranno meglio più in là: il tema dei registri nella diplomatica pontificia o in quella di re, imperatori, monarchi (dalle Variae di Cassiodoro del VI secolo per i re goti a Ravenna, ai registri perduti di Federico II, a quelli angioini, o a quelli dei monarchi nazionali di secondo medioevo); il tema dei protocolli notarili nella diplomatica del documento privato; ovvero il tema dei cartulari, magari monastici, o dei libri iurium della diplomatica comunale.
II
Le funzioni del documento
1. Introduzione al problema. 2. Intermezzo: breve storia della diplomatica. 3. Un panorama di funzioni del documento italiano nell’ordinamento contemporaneo. 4. Le funzioni della documentazione latina delle origini. 5. Punti salienti sul documento in funzione probatoria. 6. Problemi circa il documento in funzione negoziale (ad substantiam, ad sollemnitatem): il rompicapo della stipulatio; il successo dei contractus in scriptis; i casi misteriosi dei cosiddetti titoli di credito. 7. Corollario: i generi documentari.
1. Introduzione al problema. A che serve un documento e perché lo si scrive ? A quali fini è diretta la documentazione, o meglio quali funzioni svolge nei quadri economici e sociali di una civiltà e più precisamente nel suo ordinamento giuridico o, più semplicemente, nella prassi giuridica e nella vita pratica di una società? Questo sembrerebbe essere un quesito fondamentale, che però non è mai stato posto con chiarezza, globalmente e soprattutto in via preliminare; e ancora oggi sembrano incombere su questo quesito un po’ di confusione e qualche approssimazione. Infatti, come s’è già accennato, archivisti e storici vedono volentieri il documento come ‘memoria’, ma questa ottica, che è scontata e banale per la ricerca storica, è assai riduttiva e inadeguata: persino il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, che con motuproprio del 1779 istituiva in Firenze un pubblico Archivio Diplomatico per “gli antichi documenti manoscritti in cartapecora”, sottolineava “li importanti lumi, che tali documenti possono apportare non solo all’erudizione, ed all’istoria, quanto ancora ai pubblici e privati dritti”. Neanche i diplomatisti si occupano granché delle funzioni del documento, e anzi hanno messo in sonno i primi e ormai lontani e genialissimi spunti in proposito, offerti un tempo da Ficker e da Brunner: la diplomatica perciò ripete in linea di massima, e con qualche ambiguità 1, la definizione di campo del glorioso Mabillon (1681) e, come vedremo, la questione finisce lì.
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V. paragrafo seguente.
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D’altronde, a parte la separatezza assai dannosa della cultura giuridica dalla cultura generale 2 e in particolare da quella storica e storico-diplomatica, vuoti e limiti in materia di documento toccano anche gli stessi giuristi. Infatti proprio fra i giuristi s’aggira un grave pregiudizio, denunciato da qualcuno di loro, e cioè “la diffusa indicazione della funzione probatoria siccome connotato essenziale del documento: in realtà (e questa può dirsi opinione comune in dottrina, anche se non sempre emergente dalle definizioni), se è vero che il documento ha sempre, attuale o potenziale, una funzione di prova, è altrettanto vero che la formazione di esso può essere sollecitata da una diversa finalità” e per una diversa “esigenza primaria” 3. Fatto sta che da quel pregiudizio discendono due conseguenze: l’egemonia del documento di prova, anche negli interessi e nella cultura degli addetti ai lavori; e insieme, una inconsapevole indifferenza per altre e diverse funzioni addirittura “primarie” del documento e per il fenomeno complessivo della documentazione. Tant’è che proprio i giuristi, in interventi rapsodici e parziali anche se di grandissimo interesse, rilevano qua e là altri limiti: per esempio, che “lo studio del documento in sé sia stato finora quasi assolutamente trascurato dai giuristi” 4, ovvero che in materia di documentazione costituzionale oggi regni certa “fluidità” circa questioni di grande “rilevanza sostanziale” 5, ovvero la mancanza di “un intervento legislativo che portasse un po’ d’ordine” in materia di documentazione amministrativa 6. Si tenterà, allora, proprio in un capitolo preliminare di diplomatica, di cogliere e raccogliere una gamma di funzioni primarie del documento, diverse dalla sua eventuale funzione probatoria, che introducano e diano un senso alle forme basilari di esso. La ricerca di tali funzioni e poi delle forme significanti sarà condotta coniugando passato e presente, punti di partenza e punti d’arrivo, e sarà indirizzata e sorretta dal principio di tipicità: vale a dire che, se le situazioni e i comportamenti umani sono infiniti, il diritto ordina le cose secondo modelli, fattispecie, figure appunto tipiche. Il criterio di tipicità va comunque utilizzato con flessibilità e attenzione critica poiché: – un documento può assolvere ad una o più funzioni insieme, tenute invece distinte per chiarezza concettuale ed espositiva; ed anzi, se tenessimo in considerazione una legge generale della biologia e dell’evoluzione, dovremmo considerare la possibilità che quando si sviluppa una funzione superiore e più complessa, la funzione precedente si faccia ausiliaria della successiva; – la tipicità, intesa come modellistica di funzioni e di forme, è prodotta dagli uomini e dalla storia, e perciò non può essere usata in misura eccessiva
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ASCHERI, I diritti del Medioevo, Introduzione. CANDIAN, Documentazione, p. 588. CARNELUTTI, Documento (teoria moderna), p. 87. AMATO, Documentazione costituzionale, p. 606. GIANNINI, Atto amministrativo, p. 178.
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e con rigore astratto, soggetta com’è a mutamenti e fluttuazioni, a sviluppi e decadenze, addirittura ad errori e sviste, anche se di tanto in tanto, e per un certo tempo, essa è fermata e fissata in schemi canonizzati dalla legge, dalla dottrina o dalla prassi; la tipicità, e in particolare la tipicità delle forme, può vedersi oscillare fra due poli, quello di una misura ridotta (ridotta tipicità), che equivale ad una caratterizzazione meno complicata ed anche più flessibile e plastica dello scritto, e il polo di una spiccata misura (forte tipicità), che equivale ad una caratterizzazione più netta ma anche più rigida e conclusa.
2. Intermezzo: breve storia della diplomatica. – Prima di procedere alla considerazione delle varie funzioni assolte dalla documentazione è utile però cercare di capire perché e come il campo diplomatistico è stato definito così come è arrivato ad oggi, ripercorrendo a grandi linee la storia della disciplina. La diplomatica intesa come critica del documento, o più precisamente come veri ac falsi discrimen in vetustis membranis ai fini del ruolo probatorio delle membranae stesse, secondo una definizione del 1675 7 ancor oggi condivisa e fondante, trova le sue premesse già nell’antichità, ma sul terreno pratico. Infatti, il problema del falso documentario nasce di seguito alla funzione di prova assunta dallo scritto giuridico e si pone pesantemente in ambito processuale e proprio in tema di prove: una famosa costituzione di Giustiniano del 538 (Nov. 73 pr.) dubita già fortemente del metodo della collatio litterarum e cioè del confronto di scrittura nel caso di un documento di prova, tecnicamente instrumentum, sospettato di falso, sia perché i falsari sono tanto bravi e furbi ut ad imitationem litterarum semet ipsos maxime exercerent, sia perché una eventuale diseguaglianza di scritture saepe quidem tempus facit (non enim ita quis scribit iuvenis et robustus ac senex et forte tremens), saepe autem et langor hoc facit. Et quid haec dicimus, quando calami et atramenti mutatio similitudinis per omnia aufert puritatem? Gli scopi pratico-giudiziari di un qualche esame critico del documento di prova s’indeboliscono alquanto nel primo medioevo, per ragioni che vedremo in seguito e che hanno comunque a che fare con mutamenti profondi del processo tutto, per riproporsi poi con forte urgenza dal XII secolo e rinverdire da allora problemi di critica documentaria, sempre in relazione al tema del falso, più volte trattato dai grandi giuristi medievali, e in particolare dai canonisti, nell’ambito della materia processuale e più precisamente probatoria. Un indirizzo più storico-culturale è impresso, invece, alla disciplina da Lorenzo Valla, nel clima dell’umanesimo italiano. Grande umanista, e anche figlio
7 Inserita da Daniel van Papenbroeck nel titolo del Propyleum antiquarium, e cioè dell’introduzione al secondo volume degli Acta sanctorum... Aprilis.
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di un avvocato concistoriale, nel 1440 Valla sostiene la falsità della famosa Donazione di Costantino – con la quale l’imperatore Costantino († 337), appunto, avrebbe lasciato a papa Silvestro le province imperiali d’Occidente –, tràdita da un testo costruito probabilmente fra VIII e IX secolo e usato soprattutto dal Duecento per sostenere le pretese ierocratiche della Chiesa verso l’Impero e già lungamente discusso dai giuristi di diritto comune. Valla, dunque, rigetta l’autenticità del testo su basi filologiche; ma la questione ha ormai coloriti soltanto eruditi ed ideologici, poiché “la funzione politica” del testo stesso ormai può “dirsi del tutto esaurita”, tanto che “alle soglie dell’età moderna se ne scherzava con lo stesso pontefice romano” 8. Un nuovo e potente impulso alla critica del documento viene, invece, dalle spinte tempestose della Riforma protestante e della Controriforma cattolica: i Centuriatori di Magdeburgo, studiosi protestanti tedeschi, riscrivono una Ecclesiastica Historia, componendola per secoli (di qui il nome di Centurie), in 13 volumi (aa. 1559-1574), raccogliendo e vagliando documenti; dal campo cattolico, Cesare Baronio risponde con i suoi Annali, ma le discordie tracimano sul piano politico, nei campi di battaglia e di nuovo nelle guerre giudiziarie. Si arriva così a quelli che solo più tardi furono chiamati bella diplomatica: in Germania, la guerra dei Trenta Anni (1618-1648) fra protestanti e cattolici si conclude con la pace di Westfalia, ma gli scontri proseguono in contese giuridiche – a cominciare da quelle dell’arcivescovo di Treviri e del monastero di Lindau –, combattute a colpi di documenti 9; in Francia e in Belgio, e ad opera di dotti benedettini (i Maurini) e gesuiti (i Bollandisti), il consolidamento delle fondamenta della Chiesa con le grandi imprese degli Acta sanctorum Ordinis S. Benedicti e degli Acta sanctorum è condotto attraverso il vaglio di moltissimi documenti antichi e medievali, a cominciare dagli Acta Martyrum spesso provenienti dagli atti di veri e propri processi che hanno riguardato i cristiani delle origini, come se ne vede un esempio negli Atti di Giustino del II secolo o come se ne coglie forte l’eco nello splendido Apologetico di Tertulliano indirizzato ai magistrati dell’Impero romano 10. Ed è proprio uno dei benedettini della Congregazione di S. Mauro, Jean Mabillon, a comporre nel 1681 il primo grande trattato della materia, che nel titolo epigrafa il nome della materia stessa e nell’impostazione raccoglie le linee direttrici di essa, emerse fra XV e XVII secolo: infatti, il suo De re diplomatica libri VI esordisce con la premessa che magnopere interest ad antiquariam foren-
MAFFEI, La donazione, pp. 345-346. Cf. BRESSLAU, Handbuch, pp. 27-31, che indica “diversa motivazione” per gli studi diplomatistici di Germania e Francia, una diversità che attenuerei visto il comune clima politico-religioso del tempo. 10 V. per esempio nell’antologia di SIMONETTI-PRINZIVALLI, Letteratura cristiana, pp. 248 e ss., 786 e ss. 8 9
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semque disciplinam haec tractatio (I, 1) e subito tratta De variis instrumentorum nominibus ac generibus, ecclesiasticis, regalibus, ac pagensibus seu privatis (I, 2), e cioè dei documenti di prova per il foro e di ‘testimonianza’ per la storia. In Italia, nel 1765 il Senato di Bologna istituisce una prima cattedra universitaria di Paleografia e Diplomatica; un decreto di Napoleone del dicembre 1802 riorganizza l’Università di Bologna e sposta la cattedra di Storia e diplomazia nella Classe morale e politica, insieme alle scienze legali 11. L’utilizzazione storica del documento diplomatico dilaga poi nell’Ottocento, quando, passata la tempesta napoleonica, nel riassetto degli Stati nazionali d’Europa e nel clima del romanticismo con il suo ritorno al medioevo e alle origini dei popoli europei, si istituiscono grandi scuole storiche proprio per il recupero dei vasti giacimenti di fonti 12, per esempio la Societas aperiendis fontibus rerum Germanicarum nel 1819 (e da qui poi i magnifici Monumenta Germaniae historica) o l’École des chartes in Francia nel 1821. Questa fase si caratterizza per lo straordinario apporto che, accanto alle gigantesche edizioni o inventariazioni/regestazioni di fonti, alcuni storici e diplomatisti tedeschi imprimono alla disciplina: Johann Friedrich Böhmer (1795-1863) elabora il concetto di Kanzleimässigkeit (da intendersi come regola, consuetudine normativa o norma cancelleresca); Julius Ficker (1826-1908) approfondisce il problema della formazione del documento e mette in rilievo la distinzione concettuale, fra ‘azione giuridica’ e ‘documentazione’ di essa; Theodor von Sickel (1826-1908), insistendo sulle cancellerie e sull’iter di documentazione, mette a punto metodologicamente criteri di analisi come il confronto di scrittura (quella collatio litterarum della quale i giuristi di Giustiniano non si fidavano poi tanto) e il confronto stilistico; Heinrich Brunner, da una prospettiva giuridica, solleva il problema di una funzione “dispositiva” del documento nella sua memorabile ma oggi accantonata Zur Rechtsgeschichte der römischen und germanischen Urkunden del 1880. Questa fase di grande fioritura, che con Ficker e Brunner ha aperto il tema delle ragioni e delle funzioni della documentazione, approda anche a grandi manuali di diplomatica, come quelli di Harry Bresslau (1a ed. 1889), di Artur Giry (1894), di Cesare Paoli (1899) o di Alain de Boüard (1929, 1948). Le edizioni e gli studi sono continuati e anzi si sono largamente diffusi nel XX secolo appena conclusosi, tanto che su una proposta avanzata da Jndr]ich S}ebánek al Congrès international des sciences historiques (Vienna 1965) è stata istituita a Roma nel 1971 la Commission internationale de Diplomatique 13.
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MALAGOLA, La cattedra. GUYOTJEANNIN, Les grandes entreprises. PREVENIER, La Commission.
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Questo lungo e straordinario cammino (qui sintetizzato al massimo) ha seguito il solco tracciato un tempo dal Mabillon, e cioè quello del documento considerato come mezzo di prova e come testimonianza storica, senza invece raccogliere la sfida più attraente implicita nelle ‘aperture’ di Ficker e Brunner. Come s’è già accennato nel capitolo precedente, la definizione ormai canonica di Bresslau “chiamiamo documenti (Urkunden) le dichiarazioni scritte secondo forme determinate..., destinate a servire come testimonianze di fatti di natura giuridica” – definizione resa ancora più ambigua in nota dall’asserzione che “ha scarso rilievo il fatto che uno scritto deve servire come mezzo di prova o no: esistono innumerevoli documenti privi di ogni forza di prova” – privilegia la prospettiva rivolta ad antiquariam disciplinam; la formulazione di Bresslau diventa poi in Paoli e Pratesi “il documento è una testimonianza scritta di un fatto di natura giuridica, compilata coll’osservanza di certe determinate forme, le quali sono destinate a procurarle fede e a darle forza di prova”, con il corollario che dunque la diplomatica studia il documento “al fine di determinarne il valore come testimonianza storica” 14. Insomma, intanto persiste nella materia una certa fumosità tra il profilo giuridico probatorio e quello storico di testimonianza dello scritto diplomatico; e poi, come si fa a studiare e ad approfondire la natura, la sostanza e le dinamiche di una ‘cosa’ (e una cosa che ha a che fare con la giuridicità della vita sociale) senza partire dalle sue ragioni originarie – da tutte le sue ragioni – e dai suoi propri funzionamenti ? Solo la scuola francese mantiene certe distanze dal canone, talvolta, come per esempio mostra una bellissima prolusione di Robert-Henri Bautier del 1961: poiché questa scuola sottolinea sempre il contatto stretto della diplomatica con la storia del diritto e delle istituzioni ed è rivolta alle realtà complessive dei giacimenti archivistici, trova dunque “ormai stranamente (o terribilmente: Bautier scrive étrangement) ristretto” l’oggetto della disciplina 15. Restano così strettoie concettuali e ambiguità irrisolte, che segnano tra l’altro il pur utile Vocabulaire di diplomatica – tanto seguìto da Bautier stesso, il quale però non riesce a conciliare sources diplomatiques e acte écrit – o un pur ottimo e recente manuale francese 16. Il fatto è che se strettoie ci sono, e ci sono, non se ne esce né attraverso altre discipline – la storia del diritto e delle istituzioni –, né attraverso un elemento esterno come la realtà dell’archivio. Appare invece chiaro, e lo si è sottolineato nel capitolo precedente, che, come è già avvenuto per la paleografia sotto gli impulsi di Traube e Steinacker, di Schiaparelli e Cencetti 17, anche la
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BRESSLAU, Handbuch, p. 9; PAOLI, Diplomatica, p. 18; PRATESI, Genesi e forme, p. 8. BAUTIER, Leçon, p. 201. Vocabulaire, p. 21, nr. 2 e 3; GUYOTJEANNIN-PYCKE-TOCK, Diplomatique, pp. 15-16. V. CENCETTI, Vecchi e nuovi orientamenti, pp. 26-27.
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diplomatica può trovare un suo filo robusto al proprio interno, considerando cioè il fenomeno documentario in se stesso, nella sua interezza e nella sua complessità. Infatti, come s’è accennato, accanto all’instrumentum redatto appunto ut instruatur iudex et ostendat quod factum est e accanto alla fonte storica a posteriori, i documenti nascono e vivono anche per altri scopi: lo scriptum, la scriptura, la redazione in scriptis riguardano anche tanti altri materiali giuridici espressi in forme assolutamente diplomatiche o riducibili per analogia e per associazione a forme diplomatiche. Si confrontino, ad esempio, il celeberrimo Edictum de beneficiis Regni Italici emanato da Corrado II nel 1037 e un diploma (praeceptum) del 1026 dello stesso Corrado II:
Edictum de beneficiis regni Italici 1037 maggio 28, Milano
Diploma di donazione 1026, Verona
(C) In nomine sancte≈ et individue≈ Trinitatis.
In nomine sancte et individue Trinitatis.
Chuonradus gratia Dei Romanorum imperator augustus.
Chuonradus Dei favente clementia rex.
Omnibus sancte≈ Dei Ecclesie≈ fidelibus et nostris tam presentibus quam et futuris notum esse volumus, quod nos...
Notum est omnibus et notum esse volumus nostris fidelibus tam presentibus quam futuris, quia nos...
Si quis hanc iussionem infregerit, auri libras centum componat...
Si quis vero presumptuosus huius nostri precepti violator extiterit, sciat se compositurum ducentas libras purissimi auri...
Signum domni Chuonradi serenissimi Romanorum imperatoris augusti (M). Kadolohus cancellarius vice Herimanni archicancellarii recognovit.
Signum domni Chuonradi gloriosissimi regis invictissimi (M). Hugo capellanus et cancellarius vice Ariboni archiepiscopi et archicancellarii recognovit.
Datum V kal. iunii, indic. V, anno dominice≈ incarnacionis millesimo XXXVIII. Anno autem domni Chuonradi regis XIII, imperii XI.
Data anno dominice incarnationis millesimo vicesimo sexto, indictione octava, anno vero regni domni Chuonradi secundi regis invictissimi secundo.
Actum in obsidione Mediolani; feliciter amen.
Actum Verona; feliciter amen.
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Come è evidente le forme dei due scritti, il precetto e la constitutio, sono speculari e appartengono ad un medesimo quadro documentario. Ma mentre per il documento di donazione si può presumere una funzione di testimonianza e di prova, è difficile fare lo stesso per la iussio: si tratta infatti di una constitutio imperiale (D. 1, 3, 1), che come appunto dice il Digesto est commune praeceptum (cf. la glossa medievale Lex est allo stesso passo: id est communi utilitate statutum vel dic commune preceptum toti universitati factum), e una constitutio (o lex) è ius scriptum (Gaio, I, 2-5 e I. 1, 2, 3-6), è cioè diritto che nasce da un atto sovrano e in forma scritta, e certo non è materia di prova. La diplomatica di linea italiana allora, in via logica e di principio, dovrebbe occuparsi soltanto del documento di precetto, per restare nei suoi limiti tradizionali; e anche la diplomatica di tradizione tedesca troverebbe difficoltà per restare nei limiti delle sue “testimonianze”. Ma quei limiti, mai discussi né quindi argomentati e giustificati, sono forzati e quindi illogici, tanto che il praeceptum di donazione, che può essere messo in nesso con la iussio legislativa, può essere correlato a varie altre tipologie della letteratura giuridica del suo tempo, quella letteratura appunto che costituisce la prassi giuridica scritta. Questa appunto sembra una prima motivazione forte a sostegno del problema di fondo già accennato: a quali scopi si scrive nel quadro giuridico, un quadro che ha fatto e fa da intelaiatura a qualunque società umana ? A quali funzioni, a che servono gli scritti giuridici, che non appartengano al genere dottrinario, e che siano definibili come documenti ? Si comincerà a considerare il quadro e il regime attuale della documentazione per le concettualizzazioni e definizioni che in essi si possono pescare. 3. Un panorama di funzioni del documento italiano nell’ordinamento contemporaneo. – Come s’è accennato ed è bene ripetere, il tema è intricatissimo, anzi appare un guazzabuglio, sia perché la dottrina giuridica lo tratta saltuariamente e in modo frammentario per sottotemi, sia perché le singole trattazioni non sempre si combinano armonicamente e non sempre si collegano per esempio attraverso terminologie uniformi, sia perché, se gli stessi giuristi positivi mostrano o ammettono di avere difficoltà in materia, questa materia appare abbastanza indigesta per un non giurista che provi a capire tecnicismi specialistici e ad entrare in labirinti logici. Insomma, nella prospettiva qui proposta, la diplomatica si muove avventurosamente lungo una pista di frontiera. Quindi, si farà un tentativo, un riassunto semplificato e una panoramica elementare delle funzioni del documento a partire da quello contemporaneo, perché da qualche parte si deve pur cominciare, tenendo fermo che la documentazione nello Stato di oggi vive nelle maglie di un ordinamento evidentemente distinto rispetto a quelli dell’antichità e del medioevo.
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Si dà, intanto, per ferma e per assodata la eventuale funzione probatoria del documento (primaria, se si tratta di instrumentum, o eventuale). Comunque la nozione di documento di prova va allargata a tipi di scritture generalmente non considerati dalla diplomatica, come per esempio ai libri di commercio (a cominciare da quelli dei mercanti medievali), ai libretti colonici o ai libri di bordo di una nave 18, e andrà studiata nei diversi contesti processuali e specificatamente probatori nei quali l’instrumentum è destinato ad operare: infatti, una cosa è il processo altomedievale, romano-barbarico, altra cosa quello di secondo medioevo, altra cosa ancora il processo moderno e contemporaneo. Per ricercare altre funzioni primarie della documentazione si può partire da due studi di teoria generale sul documento 19 e poi cercare di aggregare in una scaletta d’insieme altri studi specialistici e vari, che, in un ampio ventaglio, vanno per esempio dalla documentazione costituzionale ai titoli di credito. Il documento è un mezzo di rappresentazione, è un testo rappresentativo di fatti o atti giuridici della sfera pubblica o della sfera privata; tale rappresentazione è verbale e scritta (in qualche punto può essere anche completata da elementi figurativi, per esempio oggi da un timbro o per il passato da un signum tabellionis), donde la sinonimia fra documento e scrittura nel linguaggio giuridico. La rappresentazione documentale può dunque riguardare fatti e situazioni o atti e attività giuridici; e può altresì consistere in una descrizione (narrativa) o può essere forma e veicolo di una dichiarazione, dichiarazione di scienza (verità) o di volontà, dichiarazioni che mi sembra i giuristi chiamino anche manifestazioni o esternazioni: e le dichiarazioni di scienza saranno contenute in documenti testimoniali, quelle di volontà in documenti che in qualche modo sono partecipi della struttura sostanziale e essenziale (fondamentale e fondante) dell’atto rappresentato, pubblico o privato che sia. Nel caso di dichiarazione di volontà, di evidentissima rilevanza, il problema si complica subito, perché i giuristi parlano di documento a forma dell’atto, e cioè di scrittura ad sollemnitatem, ad substantiam, a manifestazione o a esternazione, a riproduzione, e questa terminologia resta tutta un po’ fluida. Peraltro, tale funzione di forma riguarda tipi di atti di grande importanza, per esempio: la legge, il decreto, la sentenza, o il negozio giuridico e alcuni contratti obbligatori in campo privatistico, oltre che alcuni provvedimenti o atti amministrativi, la cui esternazione in forma scritta, oggi, è piuttosto requisito di prassi 20 (e non di legge). Comunque, per l’intanto e per fissare qualche punto, si può distinguere fra:
18 CANDIAN, Documentazione, pp. 568 e ss.; GAETA, Documenti di bordo, in particolare pp. 644 e ss. 19 CARNELUTTI, Documento (teoria moderna), e CANDIAN, Documentazione. 20 GIANNINI, Atto amministrativo, p. 178, e anche Certezza pubblica.
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a) funzione dispositiva (di documento dispositivo), ove la volontà agente si manifesti direttamente nello scritto e per iscritto, insomma coincida con lo scritto 21; b) funzione costitutiva (di documento costitutivo), ove la forma scritta dell’atto, che non coincide con, ma “accede alla dichiarazione” 22, sia “vincolata” e cioè prescritta dalla legge, sia dunque un requisito necessario dell’atto a pena di nullità dell’atto stesso 23, ovvero ove essa, per esempio nel caso di un contratto, sia voluta dalle parti; in questo caso, si dice anche che la forma scritta ‘perfeziona’ l’atto, come già recitava la glossa medievale contractus a C. 4, 21, 17: hac lege dicitur quando contractus debet perfici in scriptis; c) funzione riproduttiva o ricognitiva (o confirmatoria), ove la volontà agente si sia manifestata già nei modi dovuti, per esempio oralmente o simbolicamente, ma sia anche ripetuta per iscritto 24. Si tornerà nel par. 6 sulla distinzione fra documento a funzione dispositiva e documento a funzione costitutiva, che può apparire un po’ speciosa; per intanto, si può suggerire che la distinzione risponda ad una diversa struttura dell’atto rappresentato: ove quest’atto, dalla legge e dalla dottrina, sia articolato in un congegno complesso e più accentuatamente tecnicistico, allora il documento non sarà determinante per l’esistenza dell’atto stesso e non sarà quindi dispositivo, ma sarà più sofisticatamente ritagliato come un requisito necessario e sarà quindi costitutivo. Ho aggiunto di mia iniziativa la definizione di ‘confirmatoria’ alla funzione riproduttiva o ricognitiva del linguaggio giuridico moderno, perché essa, senza cambiamenti sostanziali di significato, sembra adattarsi bene a tanta documentazione sovrana medievale (o meglio, altomedievale): i sovrani d’Oltralpe, carolingi o tedeschi, per consuetudini germaniche loro proprie avranno certo compiuto molti atti in forme solenni e non scritte, ma dal momento in cui la legittimità del loro potere si stringe alla Chiesa erede di Roma e il loro destino si volge al regnum in Italia, con tutte le sue pur sconnesse tradizioni latine, tutti i suoi longobardi così fortemente romanizzati e tutte le sue enclaves romaniche, quei sovrani aggiungono certo una veste solenne scritta a formalizzare la loro volontà. Oltre alle funzioni probatoria e formale (dispositiva, costitutiva e riproduttiva), credo poi che si possano individuare le seguenti altre funzioni: d) funzione di pubblicità (notorietà, conoscibilità) erga omnes, come nel caso del documento della legge pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – chiarendo che la legge finisce in tre documenti finali, quello che viene depositato pres-
CARNELUTTI, Documento (toeria moderna), e PUGLIESE, La simulazione, pp. 164-165. AMATO, Documentazione costituzionale, p. 600. 23 GIORGIANNI, Forma degli atti, § 3. 24 CARNELUTTI, Documento (teoria moderna), p. 87; CANDIAN, Documentazione, pp. 590-591, e GIORGIANNI, Forma degli atti, pp. 997-999. 21 22
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so l’Archivio Centrale dello Stato e che sembra doversi considerare come forma dell’atto e due altri esemplari o ‘secondi originali’, l’uno da inserire nella Raccolta ufficiale delle leggi e decreti (dal 1987 Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana) in funzione certativa e l’altro da riprodurre nella Gazzetta Ufficiale appunto in funzione pubblicitaria 25 –; funzione di notificazione e trasmissione nel caso di destinatari determinati 26; funzione di certezza circa la precisa ed esatta formulazione di una disposizione, come nel caso del documento della legge inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e decreti 27; funzione certativa e di controllo circa la regolarità di procedure attuate, come nel caso di verbali o più precisamente processi verbali 28, che narrano la sequenza temporale di dichiarazioni e atti; funzione di rilevamento ed esposizione di rappresentazione ‘vincolata’ di dati fattuali e di situazioni, accertati da autorità pubbliche a fini fiscali, tributari e civili, come nel caso di registri – o albi, schedari, casellari, elenchi, ruoli, liste, inventari, come per esempio il Registro di stato civile –, o del catasto e cioè dell’inventario generale dei beni immobili 29; funzione negoziale e obbligatoria, come nel caso del titolo di credito, che ha appunto “natura di documento obbligatorio costitutivo di un diritto letterale ed autonomo” 30: la categoria dei titoli di credito (titoli al portatore, titoli all’ordine), come la cambiale o come l’assegno bancario, è per l’Italia una costruzione dottrinale recente (1942) relativa a negozi per la circolazione di cose mobili, di crediti, insomma per la regolamentazione giuridica della ricchezza mobiliare ed è anche una normazione della “prassi del commercio internazionale” 31; prevede una connessione particolarmente “intensa” fra titolarità del credito e detenzione del documento, tanto da esprimersi nella formula di “incorporazione del diritto nel documento” 32 e da consentire che il detentore del documento possa esigere appunto il dovuto; funzione esecutiva, come nel caso della sentenza o della cambiale e dell’assegno bancario: documenti come la cambiale o l’assegno bancario, che sono titoli di credito (v. sopra), posseggono anche la “straordinaria efficacia, propria dei provvedimenti giurisdizionali, di valere all’attuazione della ese-
AMATO, Documentazione costituzionale, p. 602. Si vedano in ED le varie voci riunite sotto il titolo collettivo di Notificazione e curate da C. Punzi, C. Taormina, P. Stella Richter, F. d’Ayala Valva, G. Cansacchi, V. Starace, pp. 641 e ss. 27 AMATO, Documentazione costituzionale, pp. 599-600. 28 GIORGIANNI, Forma degli atti, p. 1000. 29 GIANNINI, Certezza pubblica; MASTROPAOLO, Registrazione di atti. 30 MARTORANO, Titoli di credito, p. 580. 31 BONELL, Norme ed usi, p. 533, normazione raccolta in una compilazione privata dalla Camera di Commercio internazionale fra 1929 e 1974. 32 MARTORANO, Titoli di credito, p. 576. 25 26
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cuzione forzata”, e ciò serve sempre a “facilitazione della circolazione” in un’economia creditizia 33; i) funzione procedimentale, nel caso che “l’esternazione documentale” riguardi un atto che o “è inserito in un procedimento al cui svolgimento si coordina l’azione di una pluralità di agenti” o sia “presupposto” di un altro atto 34: questo tipo di funzione, attribuita ad alcune scritture della documentazione costituzionale, sembra estensibile ad altre scritture, come alcune della documentazione processuale. Queste in sintesi sembrano essere le funzioni della documentazione che la legge e la dottrina di oggi considerano, se abbiamo ben capito. Esse sono state qui elencate e assai semplificate; ma è da ripetere e da sottolineare che, in molti casi, tali funzioni anche per i giuristi non sono sempre pacifiche, anzi sono motivo di riflessioni e di qualche insoddisfazione, sono fonte di tecnicismi talvolta forse esasperati e talvolta generano ghirigori un po’ barocchi. D’altra parte, proprio in uno Stato moderno come il nostro e in un mondo tecnologico come quello di oggi, le cose sembrerebbero dotate di una loro propria forza e sembrerebbero lanciare nuove sfide alle capacità regolatrici dell’uomo. Per toccare solo un tasto: se già qualunque burocrazia sembra, da un qualche momento in poi, funzionare soprattutto per il mantenimento e l’incremento di se stessa e assai meno per i servizi ai quali sarebbe destinata, questa ‘patologia’ s’aggrava talmente nello Stato di oggi che paradossalmente questo Stato deve ‘appaltare’ compiti suoi di documentazione al notariato privato. Infatti, fra autonomia privata, che è uno dei fondamenti dell’ordinamento, e separazione dei poteri (legislativo, giudiziario ed esecutivo) dello Stato moderno – funzioni statali e organi diversi 35 –, ove la funzione esecutiva (o potere esecutivo) viene esercitata dalla Pubblica Amministrazione (quel serpente che si snoda non senza ambiguità fra il versante politico-sociologico e il versante giuridico e legale), le masse e i flussi documentari sembrerebbero aver alimentato e continuare ad alimentare un mondo di carte del quale è difficile disegnare mappe semplici. E sembrerebbe anche che l’uso di computer per scrivere e organizzare quelle carte, se non disciplinato da scetticismi e severità intellettuali, possa imbellettare di illusioni e trionfalismi i nostri modernissimi archivi. Comunque, problemi e pessimismi della ragione a parte, le funzioni del documento, che il diritto contemporaneo considera e affronta in acrobatiche concettualizzazioni, suggeriscono alla nostra diplomatica due importantissime piste: quella di funzioni primarie della documentazione diverse dalla funzione proba-
33 La citazione da CANDIAN, Documentazione, p. 592; v. anche GRASSO, Titolo esecutivo, pp. 685 e ss. 34 AMATO, Documentazione costituzionale, p. 600. 35 BOBBIO, Teoria generale del diritto, pp. 235-238.
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toria sempre e solo considerata (che peraltro, e converso, è da riconsiderare con maggiore attenzione) e quindi di forme più comprensibili in una prospettiva così allargata; e la pista che sembra indicare già in tempi antichissimi origini e radici delle funzioni moderne sopra indicate. D’altronde, la possibilità di guardare in simultanea al documento antico, al documento medievale e al documento moderno, che pure si succedono nei secoli, è data dal fatto che le varie funzioni di quei documenti sembrano, in un modo o nell’altro, riferirsi ad alcuni bisogni e ad alcuni fini generali e antropologici connessi ai contenuti dei testi raccolti e trasmessi: manifestare, dar forma, fissare e render certo (firmare); rendere conoscibile erga omnes o a determinati destinatari (edere, publicare, notum facere); testimoniare e provare (probare). 4. Le funzioni della documentazione latina delle origini. – Si partirà allora dall’incontro di diritto e scrittura nella storia di Roma, tagliando fuori, ma pur tenendo presenti, precedenti e tessere importanti del quadro, quali quelle rappresentate dalle due colonizzazioni dall’Oriente, greca e fenicia, in varie aree d’Italia, dalla civiltà etrusca e infine dai contatti di Roma, già in espansione, con l’eredità composita della civiltà ellenistica 36. Le origini di Roma sono uno dei temi più indagati dall’archeologia, come è noto, eppure restano soffuse di mito, al di là delle teorie degli specialisti: Roma, anche secondo le ultime ricostruzioni di Andrea Carandini, sarebbe stata fondata da Romolo alla metà circa del sec. VIII a.C. sulla sommità del Palatino, sarebbe stata quindi delimitata dal “solco primigenio” tracciato da Romolo ai piedi del colle Palatino stesso e infine, fra 725 e 700 a.C., sarebbe stata dotata di un primo Palazzo regio, d’argilla, costruito nella “sacra radura” a valle e accanto alla casa delle Vestali. Da quel momento la storia di Roma si svolge per lunghi secoli e si spande per larghi spazi: nei secoli, si svolge dalle origini e dall’età dei re all’età repubblicana, a quella del Principato, a quella del Dominato e giù giù fino a Giustiniano († 565) e al distacco definitivo di Roma e dell’Occidente dalla nuova Roma (Costantinopoli o Bisanzio) e dall’Oriente; negli spazi, si spande dalla valle del Tevere al Mediterraneo (lungo l’Asia minore, l’Africa e la Penisola Iberica), all’Europa continentale e del Nord fino alle Isole Britanniche. E in quei secoli e quegli spazi si ritrovano tutti i prototipi e gli archetipi dei modelli documentari dei tempi a venire. Il tema della documentazione d’età romana non è esplorato spesso dai diplomatisti, che però possono trovare alcune importanti basi storiografiche di partenza in una piccola e preziosa antologia di documenti romani curata da Lui-
36 Classici ormai gli studi-quadro di S. Moscati, per es. Luci sul Mediterraneo, Tra Tiro e Cadice, Italia ricomparsa.
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gi Schiaparelli, che in parte preannuncia la monumentale prima serie delle Chartae Latinae antiquiores 37, in due straordinarie e fondamentali trattazioni di Giorgio Cencetti dedicate ai documenti pubblici 38, che peraltro vagliano la imprescindibile storiografia tedesca in materia a cominciare dal gigantesco Mommsen, e nei magnifici papiri ravennati (privati e d’ufficio) editi da Jan-Olof Tjäder 39, oltre che eventualmente nella monografia relativa alla prosecuzione bizantina della documentazione imperiale di Dölger e Karayannopulos 40. Altrimenti, bisogna ricorrere agli storici giuristi, per esempio ai grandi e preferiti classici Brunner 41, Arangio Ruiz 42 o Astuti 43, fino a Peter Classen, autore di una robusta monografia sul documento pubblico da Roma fino ai re germanici, alla Chiesa degli inizi, all’Impero bizantino 44. Componendo e seguendo gli spunti che si colgono in questi vari studi, si può provare allora a tracciare una linea di ragioni funzionali per documenti che emergono man mano nei secoli e negli spazi di Roma. I primi documenti scritti di Roma, noti per tradizione indiretta, sembrano essere stati i foedera o trattati internazionali, come quello stretto con Gabii al tempo dei Tarquini e inciso su uno scudo di legno ricoperto di cuoio, o come quello pattuito con la Lega Latina nel 493 a.C., o quello fatto con Cartagine e ricordato dallo storico Polibio: i trattati, suggellati da giuramenti e sacrifici rituali e poi scritti su tavole in genere di rame e prodotte in due o più esemplari destinati alle varie parti alleate, e affisse presso templi e santuari (a Roma, in particolare, presso il tempio della Fides populi Romani), sembrano essere stati scritti a memoria/monito/monumento eterno della fides o “vincolo alla parola data” come nucleo della pax o patto federale 45. Il più antico documento pervenutoci e, come sembra, ‘in originale’ è il famoso cippo del Foro del VI secolo a.C., un’iscrizione su cippo o stele, appunto, in tufo e acefalo, che stabilisce quel che sembra un divieto di passaggio su luogo sacro decretato ed emesso da un rex (nel testo arcaico regei): il provvedimento (annunciato anche oralmente e controllato da un kalator/araldo ?) è san-
37 SCHIAPARELLI, Raccolta. La prima serie delle ChLA è insuperabile per quantità di materiali, ma per l’età romana il quadro documentario va integrato secondo quell’“intento diplomatico” dichiarato da Schiaparelli (p. VII) e cioè soprattutto con i grandi materiali diplomatici copiati o doppiati su pietra o su tavole. 38 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma e Tabularium principis. 39 TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri. 40 DÖLGER-KARAYANNOPULOS, Byzantinische Urkundenlehre. 41 BRUNNER, Zur Rechtsgeschichte. 42 Per es. ARANGIO RUIZ, Studi epigrafici e papirologici, o FIRA, III. 43 Per es. ASTUTI, I contratti obbligatori. 44 CLASSEN, Kaiserreskript; v. anche KRÜGER, Histoire. 45 MOMMSEN, Sui modi, pp. 300 e ss., 303 e ss.; SCHULZ, I principii, pp. 193 e ss.; cf. BOYANCÉ, Les Romains, e BENVENISTE, Il vocabolario, pp. 85-88.
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zionato da una pena giuridico-sacrale secondo i principi di ogni diritto arcaico (nel testo sakros essed); la sua documentazione scritta, analoga a quella di altre leges sacrae scoperte intorno a Roma, sembra funzionale alla pubblicazione. E proprio quello della pubblicazione dei provvedimenti sovrani generali – come manifestazione erga omnes ai fini di una conoscibilità collettiva – resterà uno dei cardini, forse il primo, del formalismo autoritativo di quei provvedimenti in qualunque civiltà di scrittura 46. Lo stesso meccanismo di pubblicazione, infatti, ha un suo peso nella scritturazione delle leggi delle XII Tavole 47 effettuata nel V secolo a.C., al costituirsi della Repubblica: i mores orali e consuetudinari, ancora custoditi e interpretati dai pontefici (provenienti dal patriziato), di seguito ad un movimento popolare sarebbero stati redatti per iscritto da magistrati appositamente nominati (i decemviri legibus scribundis) e incisi come leges su tavole di bronzo da esporre ai rostri per essere apertamente conosciute e cioè pubblicate: quas in tabolas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, ut possint leges apertius percipi (D. 1, 2, 2, 4). Quindi, appunto, di nuovo una funzione pubblicitaria della documentazione, anche se questa volta vicaria o quanto meno complementare ad una funzione primaria e superiore: la messa per iscritto dei mores, infatti, e la loro trasformazione in leges ha per scopo che tali leggi siano in tal modo “precisamente formulate” 48 e ‘fermate’ e perciò sottratte all’esclusiva custodia e interpretazione di un gruppo. D’altronde, certo nessuna norma alle origini prescrive la scrittura delle attività e decisioni conclusive dei magistrati e dei corpi legislativi e amministrativi; ma fatto sta che, attraverso un processo lento di uso politico e di prassi giuridico-istituzionale, tali attività vengono man mano ‘registrate’ in commentarii ed acta, che Cesare nel 59 a.C. rende ufficiali e pubblici, mentre le decisioni finali, le sententiae a conclusione dei procedimenti vengono redatte in scritti separati e appositi 49. C’è allora da pensare che mentre commentarii ed acta abbiano funzioni di controllo e garanzia circa l’iter di formazione della legge o decisione che sia, i documenti finali – i senatusconsulta, per esempio – via via si pongano come mezzo insostituibile di fissazione del testo e di esternazione e perciò maturino a requisito di forma, tanto da costituire poi lo ius scriptum per antonomasia (Gaio, I, 2-7 e I. 1, 2, 3). È anche da
46 Edito in CIL, VI, 4, n. 36840, e CIL, I2, fasc. 4, n. 1, nonché in FIRA, I, pp. 19-20; riproduzione in STEFFENS, Paléographie, tav. 1. Classico, GOIDANICH, Rapporti culturali, in particolare pp. 467 e ss.; per la datazione su confronti paleografici e linguistici CENCETTI, Ricerche, pp. 141-142 e n. 2; per altri esempi di leges sacrae su cippi v. PANCIERA, La produzione epigrafica di Roma, pp. 36-37. 47 Ed. in FIRA, I, pp. 23-75; v. ARANGIO RUIZ, Storia, pp. 62-63. 48 PUGLIESE, Istituzioni, pp. 34-35. 49 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 175-179, e fra gli altri CONDRY, Sénatus-Consultes et Acta Senatus, pp. 65 e ss.
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rilevare come, nella e per la complessità del cammino dell’intelletto umano (che si sviluppa lentamente nel tempo e nella storia), la funzione certativa e la funzione pubblicitaria svolte dalla scritturazione di testi tanto importanti non si accompagnino da subito, nel diritto romano, a quella certezza ulteriore che sarebbe rappresentata dal deposito e da una buona custodia degli stessi testi scritti 50: le XII Tavole ci sono arrivate per trasmissione orale e tradizioni indirette – discebamus pueri XII tabulas ut carmen necessarium, quas hodie nemo discit (Cicerone, de leg. 2, 23, 53) –; Cicerone stesso – che dice legum custodiam nullam habemus (ibid. 3, 20, 46) – e più tardi anche la corrispondenza di Plinio governatore della Bitinia con Traiano (Plinio il Giovane, epp. 10, 65, 3 e 10, 66, 1) rivelano problemi e noncuranza in questo ambito 51, malgrado prassi ormai affermate e direttive d’archiviazione. In fondo, le codificazioni sia ‘private’ o d’ufficio della fine del III secolo d.C. (Codici Gregoriano e Ermogeniano), sia ufficiali del V e del VI secolo (Codici Teodosiano e Giustinianeo), hanno anche avuto, fra gli altri, lo scopo di rendere più certo e conchiuso uno ius scriptum disperso in fiumi di carte. È ancora da aggiungere, a proposito di ius scriptum, che i magistrati preposti all’amministrazione della giustizia – il pretore urbano e dal 242 a.C. il pretore peregrino – al principio della carica enunciavano per edictum i criteri generali ai quali si sarebbero attenuti e che tale programma veniva “scritto sulle solite tabulae dealbatae” 52, dando così il via ad un’altra ramificazione del genere testuale ius scriptum, in una ulteriore e tipica forma documentale, quella appunto edittale. Un altro cospicuo filone di documentazione scritta è costituito precocemente da quelle scritture che in forma di lista, elenco, ruolo, inventario vengono redatte dai censori per censire appunto persone e beni ai fini dell’imposizione d’imposta e dell’arruolamento militare, o da quei ruoli militari e da quelle liste di magistrati che riproducono quadri della res publica, o da quegli elenchi del patrimonio pubblico immobiliare e mobiliare tenuti “per stabilire il bilancio” 53: la funzione dei documenti di questo tipo sembra essere quella di rilevare e rappresentare, in ‘forme accertate’ e legali, quadri di dati omogenei che siano di riferimento e di base ad attività di vari e importanti settori dell’amministrazione pubblica. Fra III secolo a.C. e III secolo d.C., in ambito giurisdizionale, l’ordinamento romano adotta ed usa il processo formulare: il magistrato titolare di iurisdictio detta cioè la formula, un documento complesso con il quale designa il giudice per una data vertenza – iudex esto X – e di seguito ne determina il compito in
SCHULZ, I principii, pp. 206, 210 e ss. Vedi DE MARINI AVONZO, Critica testuale, pp. 28-30 e per la conservazione MOMMSEN, Sui modi, e CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 174-192. 52 ARANGIO RUIZ, Storia, p. 153. 53 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 192-197, 204 e ss.; v. anche MOALTI, Les archives des terres publiques, e NICOLET, Documents fiscaux. 50 51
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tipiche clausole o partes formularum, “indicandogli che cosa doveva risultargli vero o non vero per potere e dovere condannare il convenuto” 54. Possiamo allora attribuire a questo tipo documentale una funzione sia dispositiva, e cioè di manifestazione della volontà del magistrato emittente, sia forse anche procedimentale, e cioè diretta a far partire e a scandire in passaggi formali il procedimento mosso dall’attore. Una funzione certamente dispositiva svolgono tutti quei documenti che rappresentano ordini, praecepta, mandata 55. Dalla seconda metà del III secolo a.C. e dalla fine della prima guerra punica Roma comincia ad assommare province (per prime la Sicilia, la Sardegna e la Corsica) e ad organizzarne l’amministrazione: di qui, una massa di scritture contabili pubbliche, come per esempio i rendiconti o rationes dei governatori provinciali, che servono evidentemente a controllare, verificare e eventualmente provare la sempre più complessa gestione finanziaria pubblica attuata da compagini amministrative sempre più sviluppate e ramificate 56. Quanto all’ambito privatistico dei negozi giuridici, al periodo “preclassico” (242 a.C. – 87/86 a.C.), periodo “caratterizzato da una forte carica innovatrice... nonché da grossi fermenti sociali” 57, sembrano risalire due tipi di documento, e precisamente il testamento scritto in tabulis cerisque e il famoso e misterioso nomen transscripticium: nel caso del testamento, al rito orale e simbolico dell’istituto del testamentum per aes et libram – e il simbolo sta appunto nei lingotti di bronzo e nella bilancia per pesarli – s’aggiunge l’uso, che diviene prassi, di redigere le disposizioni testamentarie su tavolette cerate, le quali vengono presentate chiuse al rito e ai testimoni, cosicché la scrittura viene a coincidere con la dichiarazione di volontà e il documento viene ad assumere funzione dispositiva, come peraltro esprime bene la nuncupatio o dichiarazione solenne del testatore con la formula haec ita, ut in his tabulis cerisque scripta sunt, ita do ita lego ita testor 58; nel secondo caso, la semplice e secca scritturazione a debito o a credito di una somma nel libro delle entrate e delle uscite o codex accepti et expensi – scritturazione in formule tipiche, e cioè id expensum tibi fero e id acceptum a te fero (‘riporto che ho speso per te’ e ‘riporto che ho ricevuto da te), priva di indicazioni di merito o causa, ma certamente soggetta ad un forte controllo sociale “in una società più circoscritta e limitata, rispetto al momento della grande esplosione dei rapporti commerciali” 59 – sembra aver avuto la funzione di formalizzare in astrat-
54 PUGLIESE, Istituzioni, pp. 286 e ss.; sul “valore costitutivo” della scrittura della formula cf. ARANGIO RUIZ, Documenti probatorii, p. 427, 429. 55 DELL’ORO, “Mandata” e “litterae”; MAROTTA, Mandata Principum. 56 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 205-206. 57 PUGLIESE, Istituzioni, p. 180. 58 ARANGIO RUIZ, Documenti probatorii, pp. 427-429; PUGLIESE, Istituzioni, pp. 669-671. 59 PUGLIESE, Istituzioni, pp. 553-554.
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to (e cioè a prescindere dalla causa negoziale alla quale si accennerà più avanti) l’obbligazione di debito o credito. È da rilevare che in ambedue i casi proprio la scrittura documentaria nella sua struttura formulare sembra assolvere ed espletare in primo luogo il formalismo necessario, mentre altri eventuali caratteri del documento stesso possono mutare: nel caso del testamento, per esempio, il grande Ulpiano chiarisce che tabulas testamenti accipere debemus omnem materiae figuram: sive igitur sint ligneae sive cuiuscumque alterius materiae, sive chartae sive membranae vel corio alicuius animalis... (D. 37, 11, 1), mentre la sigillatura da parte dei testimoni a garanzia e difesa della funzione probatoria delle stesse tavole rimane inalterata; nel caso del nomen transscripticium, poi, Arangio Ruiz ipotizza che la documentazione del negozio potesse essere “su qualsiasi papiro o tavoletta” e su “foglio volante” e non su libro mastro o codex 60, ma penso che, libro o non libro, una qualche formalità ‘diplomatica’ – consistente sia nelle formule riportate sopra sia nella composizione testuale ‘a catena’ di crediti e debiti o anche solo nella composizione materiale, per esempio anche di fogli volanti ma tenuti insieme e in serie in qualche modo come per infilzatura o per coperta 61 – fosse essenziale per una forma giuridica che fosse obbligatoria. Infine, in campo processuale, dopo un’età di prove arcaiche e dopo un periodo di prove retoriche (artificiales) alla moda greca – si pensi a Cicerone e alle sue orazioni da grandissimo avvocato –, fra I e II secolo d.C. tutta la materia probatoria si fa più tecnico-giuridica: in primo luogo, le prove vengono connesse precisamente alle questioni di fatto, mentre in precedenza riguardavano fatto e diritto e quindi le leggi, per esempio, rientravano fra le prove; in secondo luogo, fra le prove di fatto crescono il ruolo e il peso del documento, delle tabulae, in funzione probatoria: così, invero, sostiene Quintiliano, non solo “forse per l’influenza della più matura giurisprudenza del I sec. d.C.” 62, ma forse anche per le spinte della prassi così come è rappresentata, per esempio, dall’archivio di tavolette del banchiere pompeiano Lucio Cecilio Giocondo. La somma, l’accumulo di funzioni dispositive, formali e obbligatorie, e probatorie sul documento privato e l’allacciamento della prassi negoziale romana con quelle mediterranee, in un mercato allargato, daranno poi origine, nei fatti, nella prassi e in alcune fattispecie negoziali e documentarie, a funzioni ancora ‘più spinte’ rispetto all’ordinamento e al quadro dottrinale romano di base e di partenza, funzioni come quella ‘costitutiva’ di C. 4, 21, 17 d’età giustinianea o quelle che oggi sono proprie dei titoli di credito e dei titoli esecutivi; ma vedremo questa questione, spinosa e insieme assai interessante, nel par. 6.
ARANGIO RUIZ, Le tavolette cerate ercolanesi, p. 361. Testuale se nelle tabulae del codex, materiale se su fogli sciolti e cioè sugli adversaria (note, appunti) disiecta, come dice Cicerone, Rosc. 6-7, ma assai verosimilmente impilati o infilzati o tenuti da una coperta. 62 PUGLIESE, Istituzioni, p. 325, ma soprattutto PUGLIESE, La prova, pp. 386-424, o 277-348. 60 61
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5. Punti salienti sul documento in funzione probatoria. – Fra i vari mezzi di prova – elencati, per esempio, da Cicerone o da Quintiliano o dal medievale Speculum iudiciale di Guglielmo Durante – testimoni e documenti sono ravvicinati e concorrenti, vox viva di testimoni (già in Nov. 73) e vox mortua di documenti. La scrittura in funzione probatoria non sempre e non a tutti piace: per esempio, alla metà del XIII secolo, Innocenzo IV, papa e giurista di gran livello, commenta una decretale di Gregorio IX dedicata al documento scritto (in X, 2, 22, 14) in termini pesanti – Certum est quod contra ius est officium tabellionis, quia chartae animalis mortui creditur –, o nel XV secolo, un altro canonista famoso come il Panormitano (Niccolò Tedeschi), ancora sulle decretali di Gregorio IX, sostiene: Probatio per instrumentum est supernaturalis et contra ius, ut credatur pelli animalis mortui. Sed probatio quae fit per duos testes est naturalis, secundum ius divinum et humanum: ergo haec est preferenda (in X, 2, 22, 10, n° 13). D’altra parte, la scrittura di prova ha indubbi caratteri di stabilità e “permanenza” 63 rispetto alla prova testimoniale, può cioè superare l’oblivio ed aspirare a una memoria sempiterna, come afferma un documento del VI secolo 64, o come cantano con reminiscenze sallustiane alcuni proemi (arenghe) di documenti calabresi dei primi decenni del XIII secolo 65: Cum vita hominis brevitate transeat velut fumus et memoria more fluminis oblivionis sortiatur effectum, iure sancitum est in scriptis redigere quod nec vita nec memoria potuit humana industria perpetuo ad posteros emanare, ovvero Sicut nox celi sidera non extinguit, sic in scribtis redactam oblivio non perimit veritatem. Tutto ciò può essere di grande vantaggio nel caso di negozi immobiliari e in particolare per quella bestia nera del diritto che è la prova della proprietà di un immobile, per esempio; ma il documento di prova ha anche ottime prerogative nel caso di negozi mobiliari, perché in un mondo allargato al Mediterraneo e fitto di traffici e affari uno strumento di prova rappresentato da un documento scritto circola agevolmente per mare e per terra. Quindi, un primo punto da rilevare è che nello slargarsi delle frontiere di un mondo la prova rappresentata da uno scritto s’impone per evidente e insuperabile praticità e determina una incontenibile crescita del fenomeno documentario. Peraltro si consideri che noi si guarda al passato in una prospettiva
63 CARNELUTTI, La prova civile, pp. 109-110, 140-142; per Carnelutti altro carattere della prova documentale è l’“immediatezza”, visto che la testimonianza scritta non è mediata dalla memoria umana, ma questo lineamento sembra discutibile se si considera la mediazione del formalismo testuale. 64 P. Tjäder 8, a. 564. 65 PRATESI, Carte latine, nn. 112 e 152, aa. 1218 e 1228.
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spesso fortemente falsata: infatti, se i materiali documentari superstiti sono già pochi per motivi stranoti – deperibilità, eventi storici, mutamenti secolari e via dicendo –, tutta una documentazione commerciale e creditizia sembra quasi non essere esistita, e invece deve essere stata imponente, come indica chiaramente l’insistenza della norma su di essa, e poi deve essere progressivamente scomparsa, man mano vacuata e cioè distrutta o riusata come materiale scrittorio all’estinguersi dell’obbligazione attestata, così come noi oggi, dopo un certo tempo, buttiamo le carte ormai inutili dei nostri archivi personali (ricevute, bollette, scontrini), ma non stracciamo il documento d’acquisto di casa. Un secondo punto di rilievo riguarda le spinte che la scrittura usata in funzione probatoria deve avere inevitabilmente esercitato sul piano sostanziale del negozio. La logica giuridica distingue sì nel negozio giuridico la questione sostanziale – quoad substantiam, e cioè come nasca e come si debba conchiudere e perfezionare un negozio perché l’ordinamento lo consideri esistente e valido – e la questione probatoria – quoad probationem, e cioè come eventualmente se ne difenda l’esistenza –, ma le due facce sono anche inevitabilmente connesse. Infatti, se come rileva Salvatore Satta una prova come quella scritta presenta un profilo dinamico, che all’occorrenza prende rilievo nel momento processuale, e un profilo statico, che appare già nel momento negoziale quando essa viene precostituita 66, o se come sottolinea stringentemente Guido Astuti “tutta la storia del sistema romano dei contratti ci mostra la interdipendenza e connessione inscindibile dell’aspetto processuale e di quello sostanziale” 67, se insomma un negozio può pur essere stato posto in essere e compiuto validamente per l’ordinamento, ma può finire col ‘non esistere’ se non può essere provato, è facile aspettarsi che il documento probatorio man mano tracimi sul piano di formazione del negozio documentato e cioè sul piano sostanziale e lì tenda a mettere radici. Ma riprenderemo questo punto nel paragrafo successivo. Un terzo punto da considerare sarà, di volta in volta, la posizione occupata o la parte giocata dal documento come mezzo di prova nel suo quadro probatorio di riferimento e nel contesto complessivo del procedimento processuale del suo tempo. In parole povere, vista la concorrenza del documento con altre specie di prova (testimoni, giuramenti, fama e quant’altro), il ruolo giocato dal documento in contesti di prova libera, e cioè lasciata al libero apprezzamento del giudice, o di gerarchia di prova, o addirittura di prova ‘ordalica’ (come per ricorrenze storiche sarà fra IX e XI secolo), tale ruolo sarà certamente da considerare e valutare ogni volta non secondo principi astratti ma in modi congrui 68.
SATTA, Commentario, pp. 452-453. ASTUTI, I contratti, pp. 116, 129 e passim. 68 Un’ampia panoramica sui sistemi di prova in La preuve: trovo sempre assai utili i contributi di G. Pugliese, J.-Ph. Lévy e J. Gaudemet. 66 67
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Un ultimo e importantissimo punto circa il documento di prova è quello rappresentato dal problema del falso. Infatti, se lo strumento di prova per iscritto offre indubbie convenienze, come s’è detto, esso è anche certamente esposto al rischio del falso; e più cresce l’uso del documento scritto, più questo circola, più deve essere circondato di cautele: d’altronde, se scopo di un processo è l’accertamento di un diritto controverso o disatteso, ciò vuole preliminarmente l’accertamento della verità dei fatti. Una prima distinzione circa il falso documentale 69 è quella che intercorre fra falso materiale – che riguarda il contenitore/documento e ne compromette la genuinità per soppressione, alterazione o contraffazione – e falso ideologico o per mendacio – che riguarda il contenuto del documento e ne compromette la veracità –: e la genuinità del documento è da garantire innanzi tutto. Il problema è già di spicco nel I secolo d.C., quando la prassi già opera con la sigillatura di chiusura attestata dalle tavolette pompeiane e quando un senatoconsulto dell’anno 61 decreta poi che tale sigillatura sia requisito necessario e generale per la capacità probatoria delle tabulae: Amplissimus ordo decrevit eas tabulas, quae publici vel privati contractus scripturam continent, adhibitis testibus ita signari, ut in summa marginis ad mediam partem perforatae triplici lino constringantur, atque impositae supra linum cerae signa imprimantur, ut exteriori scripturae fidem interior servet. Aliter tabulae prolatae nihil momenti habent 70. Ma tale problema del falso dilagherà soprattutto dal III secolo, sempre compendiato e conchiuso nel termine di fides e più precisamente indicato nelle locuzioni di fides scripturae, fides instrumentorum da collegarsi al tema strettamente giuridico della fides probationis. Fides significa infatti nell’antichità “essere di parola, tener la parola..., vincolo alla parola data” 71 e perciò credito che si ha, garanzia che si offre 72; e fides scripturae, fides instrumentorum significa perciò un qualche credito, garantito, della parola scritta circa quanto essa stessa testimonia, cosicché per converso il giudice possa prestarle fiducia, insomma significa la sua capacità probatoria o fides probationis (la nostra diplomatica parla più genericamente di “credibilità”). E la questione della fides, dal momento in cui si pone, riquarda anche le scritture pubbliche: per queste una prima soluzione consiste nel loro ‘ancoraggio’ archivistico, tant’è che a Roma “il con-
69 CARNELUTTI, Teoria del falso, in particolare cap. 13, Del falso documentale; MALINVERNI, Teoria del falso documentale, e SCARLATA-FAZIO, Falsità e falso. 70 Paolo, Sent. 5, 25, 6, cf. Svetonio, Nero, 17; sulla sigillatura del testamento v. ARANGIO RUIZ, Il testamento di Antonio Silvano, pp. 382 e ss. 71 SCHULZ, I principii, p. 193. 72 BENVENISTE, Il vocabolario, p. 87.
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cetto medesimo dell’archivio si evolve”, fors’anche per influenza dell’Egitto ellenistico 73, e passa da un ruolo diretto a “concreti scopi amministrativi” a sede di conservazione di una perpetua rei memoria e di securitas dei diritti dei cittadini (C. 1, 4, 30, 2). Così definito, il problema della fides del documento di prova troverà lungo una storia secolare soluzioni diverse escogitate dagli ordinamenti giuridici storici, nella scalata al “mito della verità” e poi nel ripiegamento, comunque senza pace e soluzioni definitive, su verità legali e sulle cautele logiche di un’autenticità legale 74, come vedremo più avanti. D’altronde, una bellissima, straordinaria silloge di lezioni tenute fra il 1949 e il 1958 da Salvatore Satta s’intitola proprio a Il mistero del processo e fa capire quanto siano relative la reale portata e la effettiva realizzazione di tanti nostri ‘valori’ astratti, a cominciare da quello di giustizia. Quanto al “mito della verità”, penso che in campo documentario una “linea di ripiegamento” non sia cominciata fra XIX e XX secolo, come dice in un acutissimo articolo Massimo S. Giannini 75; ossia, forse è cominciata allora per la nostra età moderna e contemporanea, dopo le ebbrezze illuministiche e grazie al realismo e tecnicismo logico dei giuristi e grazie anche forse alla più moderna cultura scientifica, per esempio fisica o epistemologica 76. Ma il mito della verità si era già incrinato più volte in precedenza, non solo con l’autenticità legale medievale (XII-XIII sec.), ma ancor prima, in età romana, sia per il realismo e la concretezza dei giuristi classici, sia per l’incidenza del cristianesimo antico nella nostra civiltà: per esempio, quanto alla concretezza dei giuristi, Paolo in D. 48, 10, 23, chiarisce Quid sit falsum, quaeritur: et videtur id esse, si quis alienum chirographum imitetur aut libellum vel rationes intercidat vel describat (e cioè copi), non qui alias in computatione vel in ratione mentitur; o per un esempio di tutt’altro registro, quanto alla rivoluzione ontologica operata dal cristianesimo, se il Vangelo di Giovanni riporta il famoso Beati quelli che pur non avendo visto crederanno (Gv 20, 29), i Vangeli gnostici e apocrifi del II secolo insistono nella distinzione fra pistis/fede e gnosis/conoscenza, e versetti come quello del Vangelo di Filippo: La verità non è venuta al mondo
73 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 219-220 nt. 142; primi cenni di una “pubblicità legale” dei documenti privati anche prodotti in ambiti burocratici, con archivi annessi, in MACINO, Documenti d’Impero, che affronta in termini diplomatistici materiali interpretati per lo più dai papirologi. 74 Sulla nozione di autenticità, che “devrait être fondamentale en diplomatique”, e altro ancora, già molti decenni fa presentava “aux diplomatistes le cahier de doléances des juristes” A. DUMAS, Etudes, che avrebbe dovuto sollevare grande interesse (le citazioni alle pp. 150 e 39). 75 GIANNINI, Certezza pubblica, p. 770. 76 POPPER, Il mito della cornice, in particolare cap. VII: Un approccio pluralista alla filosofia della storia.
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nuda, ma è venuta in simboli e immagini 77, la dicono lunga, credo, sullo stacco fra una verità assoluta e inattingibile per l’uomo e verità ‘relative’ della conoscenza umana. Il ‘mito della verità’, dunque, con il monoteismo giudaico-cristiano si trasforma in ‘mistero della verità’; per tutti, anche per l’ateo che sia veramente laico. E un diritto razionale e laico punterà al meglio possibile e non a traguardi impossibili se non addirittura pericolosi. Per concludere, il tema del falso, così centrale per la diplomatica, andrà necessariamente connesso con il problema storico della fides; tanto che, per esempio, per tutto l’alto medioevo e fino alla fine del XII secolo – prima che logica dottrinale e norma definiscano verità processuali e capacità probatoria della documentazione 78 – il falso andrà trattato e considerato con metodi appropriati e non solo con gli strumenti formali e inadeguati per questa materia di una filologia rigida. 6. Problemi circa il documento in funzione negoziale (ad substantiam, ad sollemnitatem): il rompicapo della stipulatio; il successo dei contractus in scriptis; i casi misteriosi dei cosiddetti titoli di credito. – Una larga e importante parte degli atti giuridici è quella compresa nella categoria generale detta del negozio giuridico, una nozione logica, questa, che è stata elaborata in età moderna e precisamente fra XVIII e XX secolo, ma che può usarsi utilmente anche per l’età romana 79 e per l’età medievale 80. Rientrano nel negozio giuridico il testamento o la donazione, per esempio, o tutto l’ambito delle obbligazioni o contratti obbligatori – iuris vincula scaturiti ex negotio contracto –, e cioè costrizioni a un dare, a un facere, a un praestare che Tizio può imporre a Caio in forza di un negotium ‘stretto’, contractum, o ellitticamente ex contractu 81. Tutto il tema è assai difficile e dibattuto, e certo poco consono alla diplomatica; però, nella costruzione e nell’esistenza, insomma nella substantia, di un negozio giuridico può entrare in gioco e entra non raramente il documento, come aveva ben colto Giorgio Costamagna nel caso della charta altomedievale 82, e perciò toccare sia pur in pillole la questione sembra un passaggio obbligato, anche se del tutto inusuale. Il negozio giuridico si compone di tre elementi: causa + volontà + forma. Sulla forma torneremo poi. Sulla causa non ci soffermeremo, perché si tratta di
Cito Filippo 67 da I Vangeli apocrifi, p. 524. NICOLAJ, Originale, pp. 8-21. 79 PUGLIESE, Istituzioni, pp. 50-52. 80 CALASSO, Il negozio giuridico, pp. 13-51. 81 GROSSO, Il sistema romano, pp. 29-72. 82 COSTAMAGNA, in AMELOTTI-COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano, pt. II, cap. III, pp. 273-283, che però, malgrado il dibattito giuridico serratissimo sul tema, si rifà alla posizione del solo Brandileone, sbagliando, a mio parere, pista: v. NICOLAJ, Il documento privato, pp. 163 e ss. 77 78
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un concetto giuridico assai difficile e discusso; si dirà solo, in parole povere, che si tratta dello scopo pratico – per esempio, l’acquisto di diritti – che la volontà privata vuole raggiungere e che la legge riconosce e tutela, regolandolo però in uno schema di condizioni e limiti che tuteli anche l’interesse generale. Quanto alla volontà del soggetto che agisce (o dei soggetti che agiscono), essa deve essere ben manifesta, ben dichiarata; e proprio questo punto è importante per la distinzione, non sempre perspicua invece, fra documento dispositivo e documento costitutivo, nel senso che nel caso del documento dispositivo la scrittura coincide con la manifestazione, nel caso del documento costitutivo la scrittura accede alla manifestazione, è cioè parte necessaria del meccanismo negoziale. È da Giovanni Pugliese che si ricava un po’ di chiarezza su tale questione spesso confusa: “l’essere requisito essenziale per l’efficacia della dichiarazione di volontà è proprio dei documenti costitutivi, sia la forma scritta richiesta dalla legge... o dalle parti; invece se il documento esprime la volontà come fatto presente e perciò partecipa al perfezionamento di un negozio, ma tale volontà potrebbe validamente manifestarsi anche in altra forma, il documento è semplicemente dispositivo” 83; e come s’è accennato nel par. 3, la differenza è soprattutto questione di congegno negoziale, che nel caso del documento costitutivo è più costruito di tecnicismi, per l’“emersione” delle cause negoziali e per lo sviluppo verso tipicità contrattuali differenziate che la scrittura concorre a segnare mediante l’“elemento esterno della forma” 84, mentre nel caso del documento dispositivo è più essenziale e diretto. Vedremo come questa linea distintiva sia e sarà calzante con documentazioni concrete, come nel caso del testamento romano scritto e dispositivo già visto sopra, o dei contractus giustinianei (C. 4, 21, 17) messi in scriptis in documenti costitutivi, o della charta altomedievale dispositiva 85. Quanto alle obbligazioni romane, in particolare, esse si dividono in due specie: quelle che nascono, che traggono origine ex contractu e quelle che nascono ex delicto (Gaio, III, 88). Le obbligazioni che traggono origine da contratto, i contratti obbligatori, che poi si sviluppano come tipici ovvero si configurano in schemi peculiari, si dispongono di base e preliminarmente in quattro generi, secondo che si contraggano re (e cioè con la dazione di una cosa, come nel mutuo), verbis, litteris, consensu (e cioè in forza del consenso bilaterale o plurilaterale dei contraenti, come nella compravendita, nella locazione/conduzione, nella società e nel mandato) 86. I contratti verbis o litteris, invece, sono generati da precise formalità (sollemnitates), indifferenti alla causa o scopo pratico (anche se,
PUGLIESE, La simulazione, pp. 164-165: il grassetto è mio. ARCHI, Indirizzi, pp. 1780 e ss.; ASTUTI, I contratti, cap. II, e I principi fondamentali, pp. 1035 e ss. 85 NICOLAJ, Il documento privato, in particolare pp. 163-198. 86 Sui contratti romani v. GROSSO, Il sistema romano, e ASTUTI, I contratti obbligatori, capp. I-III. 83 84
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sottostante, questo naturalmente c’è) e perciò sono definiti ‘astratti’, e queste formalità sono espletate oralmente, verbis, o graficamente, litteris, come nel caso dell’arcaico nomen transscripticium visto sopra: e qui nascono i problemi, da qui derivano minacce di collisioni, confusioni e mescolanze fra quel contratto verbis amatissimo e centralissimo nel sistema romano che è la stipulatio e il documento scritto. E queste minacce affaticano e mettono in crisi le esigenze logiche degli storici giuristi, perché toccano temi delicatissimi per il diritto – come quello della volontà soggettiva, dell’autonomia privata e del consenso in ambito negoziale, o come quello del rapporto contratti/patti – e costituiscono una vera croce per una straripante storiografia. Certo, anche tutto ciò può essere un po’ indigesto per i diplomatisti. Ma poiché le forme dei documenti modulano le funzioni di essi e poiché la storia della documentazione non è che storia della prassi giuridica scritta, queste questioni appaiono ineludibili e il percorso ad ostacoli va affrontato. È ineludibile in primo luogo il problema tormentato e tormentoso della stipulatio, alcune fonti circa la quale, assai famose e assai discusse, dovranno essere necessariamente anche se rapidamente lette, perché costituiscono dei passaggi obbligati per arrivare a conclusioni riguardanti la documentazione; tali passi pertanto non possono essere ignorati qui e la loro lettura deve anche essere proposta all’eventuale parere degli storici giuristi. Secondo dunque una certa maggioranza di storici giuristi e secondo la migliore manualistica, la stipulatio, che consiste nell’articolazione di una domanda e di una risposta orali e congruenti, per esempio Promittis? Promitto, Spondes? Spondeo, Dabis? Dabo, in coincidenza con il fenomeno dell’affermarsi e del dilagare della documentazione scritta, dall’età di Diocleziano in poi, sarebbe degenerata e decaduta o si sarebbe evoluta e trasformata – le sfumature e le ottiche sono varie – nel documento scritto, nel quale la forma/veste scritta avrebbe appunto sostituito la forma/modulo orale. E il disagio che nasce da questa problematica sostituzione/trasformazione della stipulatio s’accresce ulteriormente dal momento che le fonti alludono anche ad una fantomatica obligatio litteris tardoantica, nuova e diversa dal nomen transscripticium da tempo scomparso 87, che s’aggiunge all’intrico intorno alla stipulatio stessa.
87 La letteratura sulla stipulatio è vastissima; a titolo indicativo mi limito a: BRUNNER, Zur Rechtsgeschichte, pp. 62-63, 66, 87; RICCOBONO, Stipulatio ed instrumentum; BRANDILEONE, La “stipulatio”; ARCHI, Studi sulla “stipulatio”; ARCHI, Indirizzi e problemi del sistema; GROSSO, Il sistema romano, pp. 130-132; ASTUTI, I contratti obbligatori, cap. II, pp. 85-132; NICHOLAS, The Form of the Stipulation; LEVY, Weströmisches Vulgarrecht, pp. 34-59; WINKLER, Gaius III, 92; VAN OVEN, La stipulation a-t-elle dégénérée ?; BIONDI, Contratto e stipulatio; ARANGIO RUIZ, “Sponsio” e “stipulatio”; PASTORI, Appunti in tema di sponsio e stipulatio. Va detto che Brandileone, Nicholas e van Oven hanno resistito in modi vari alla teoria dominante, pur cedendo un po’ in ultimo, a fronte della legislazione di Leone e di Giustiniano: a mio parere, la loro resistenza va condotta fino alla fine e fino in fondo, perché anche le fonti ultime, come si vedrà, possono essere ricondotte nella trincea della tradizione.
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La stipulatio, dunque, è una fonte d’obbligazione e una forma obbligatoria applicabile a qualsivoglia atto, ed è quindi usata largamente sia per negozi immobiliari sia per obbligazioni mobiliari, pecuniarie e creditizie (I. III, 19 pr.: Omnis res, quae dominio nostro subicitur, in stipulationem deduci potest, sive illa mobilis, sive soli sit), poiché è fonte di contratto e allo stesso tempo dà ai contratti tutti firmitas e cioè consistenza (Paolo, Sent. 5, 7, 1: obligationum firmandarum causa stipulatio introducta est) e li tutela processualmente con una specifica actio ex stipulatu. Questa stipulatio, allora, degenera e decade o si trasforma in scrittura col passare del tempo ? Dalla prassi scritta superstite proprio non sembrerebbe: le tavolette d’età vandalica (fine del V sec.), provenienti dalla vecchia provincia d’Africa e relative a 31 atti di vendita intercorsi fra berberi romanizzati delle steppe subsahariane 88, nelle loro clausole formali fanno tutte riferimento sia al contratto consensuale sia a una stipulatio di rinforzo; i papiri ravennati del VI secolo, relativi per lo più a vendite e donazioni di immobili, attestano tutti l’avvenuto intervento sollemniter della stipulatio 89. Inoltre, in linea generale, non convince che la stipulatio sia degenerata o si sia trasformata in veste scritta, quando le Istituzioni di Giustiniano le dedicano ancora 5 titoli (I. III, 15-19); quando a detta di autorevolissimi giuristi “il sistema contrattuale giustinianeo non presenta nel complesso radicali trasformazioni che possano giustificare una nuova impostazione teorica generale, in antitesi ai principi classici. Il sistema dei contratti obbligatori rimane sempre fondato sulle categorie dommatiche tradizionali e sulla tipicità di determinate figure concrete, obbiettivamente individuate e caratterizzate nei loro elementi essenziali, materiali e formali” 90; e infine quando il congegno/modulo astratto di domanda/risposta non è confrontabile strutturalmente con scritture intessute di clausole e incentrate sulla causa contrattuale, concreta e determinata (per esempio, nella compravendita di un bene, sono precisamente indicati d’un lato il bene stesso descritto e misurato, d’altro lato il prezzo convenuto e pagato). Insomma la teoria dominante non sembra proprio convincente.
Cf. Tablettes Albertini. In varie forme, v. P. Tjäder 16, 17, 20, 38-41; P. Tjäder 18-19, 31; P. Tjäder 30, 33; P. Tjäder 34; v. anche P. Tjäder 13, e in particolare 7. DE’ DOMINICIS, Di alcuni testi occidentali delle ‘Sententiae’, circa l’opera che va sotto il nome di Paolo, ma sulla quale si sono stratificate aggiunte d’età dioclezianea e poi del IV e V secolo, sottolineando che essa “rappresenta la parte più viva e autonoma e più genuina dello stato del diritto nella prassi del IV e V secolo” (p. 530), nota che in materia di contractus e di obligationes le Sentenze trattano esclusivamente di stipulatio (Paolo, Sent. 2, 3 e 5, 7) e ne desume “la larghissima applicazione della stipulatio nell’uso del Basso Impero d’Occidente, nel cui schema viene assunta qualsiasi convenzione o patto s’intenda tutelare con azione” (pp. 530-531). 90 ASTUTI (e prima di lui Grosso), in I contratti obbligatori, capp. II e III e di nuovo ne I principî fondamentali dei contratti, da cui la citazione a p. 1042. 88 89
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Una teoria un po’ diversa potrebbe invece accordare apparenti stonature di logica e sciogliere nodi ‘oscuri’ e forse un po’ elusivi di norma, risolvendo forse in parte il rompicapo. Si potrebbe pensare che il documento scritto, cresciuto in diffusione e cresciuto nella considerazione generale e nella mentalità comune per le sue peculiarità di ‘sicurezza’, di utilità, addirittura di percepibile materialità, in particolare nei confronti dei negozi immobiliari, senza confondersi con la nobilissima stipulatio, sia però tracimato dal piano processuale al piano sostanziale; e peraltro, il problema sostanziale, con il tempo e con l’allargamento geopolitico della società romana, si è spostato pian piano dalla fonte obbligatoria di Gaio (II sec.) alla firmitas dell’obbligazione, come si sottolinea nelle Sentenze intitolate a Paolo (sec. III ex./IV). Queste spinte varie ma convergenti sarebbero precipitate in un risultato complesso ma non illogico, che un’osservazione illuminante di Francesco Carnelutti sembra spiegare: se, visto il congegno negoziale di causa + volontà + forma, “un negozio non può avere più di una volontà né più di una causa, ma può avere invece più di una forma” 91 e se insomma, per sicurezza e a maggiore garanzia, io posso adottare una forma ed anche un’altra a “pezzo di ricambio del meccanismo negoziale” 92, nei negozi immobiliari che soprattutto richiedono firmitas io posso aumentare i ‘pezzi di ricambio’; e perciò, per esempio nel caso di una compravendita di terra, il contratto nasce sì per consenso, ma le parti lo rinforzano con la forma stipulatoria, e lo rinforzano ancora con la forma scritta. È insomma questione di firmitas, che echeggia quindi quella firmitatem conscribtam subscriptam formulata da P. Tjäder 12 per una donazione del 491. Questa chiave permette anche di combinare senza sforzi e senza forzature alcuni testi cruciali e assai discussi, come, per cominciare, la costituzione di Leone del 472, di fronte alla quale si sono arresi anche i pochi sostenitori di una stipulatio viva e vegeta fino al Corpus giustinianeo, e come la costituzione di Giustiniano del 529, ambedue accolte nel Codex. La costituzione di Leone in C. 8, 37, 10: Omnes stipulationes, etiamsi non sollemnibus vel directis, sed quibuscumque verbis pro consensu contrahentium compositae sint, legibus cognitae suam habeant firmitatem = ‘Tutte le stipulazioni riconosciute dalla legge, che siano articolate in frasi verbali qualunque, anche non formalmente determinate e stereotipe, ma comunque congegnate e modulate a esprimere il consensus, siano valide’, può essere riferita alle espressioni e forme linguistiche della stipulatio, ormai troppo rigide 93, senza toccare affatto la forma essenziale del contratto che è rap-
CARNELUTTI, Documento e negozio giuridico, pp. 194, 195. Ibid., p. 197. 93 Il problema delle forme linguistiche è peraltro risalente. Infatti già Ulpiano nel II secolo a proposito dell’obligatio verbis sosteneva: an alia lingua respondeatur, nihil interest. Proinde si quis 91 92
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presentata comunque dall’aggancio o appaiamento o binomio di una domanda e di una risposta congruenti – Verbis obligatio fit ex interrogatione et responsione, scriveva Gaio III, 92 nel II secolo e ripetono le Istituzioni del 533 –, e cioè da una compositio pro consensu (orale, perché, se la si fosse pensata scritta, la cancelleria avrebbe preferito probabilmente un più usuale conscribere o un in scriptura componere inequivocabile, come in C. 6, 36, 8, 3), tenuta ferma e bloccata nella bilateralità del congegno negoziale. Allora la stipulatio resta in piedi e rimane uguale a se stessa nella sua conformazione di fondo. Ma per altre vie – a cominciare da quella probatoria – anche il documento s’è ormai affacciato da tempo sul piano sostanziale del negozio come prova precostituita, anzi preme per assumervi un ruolo più largo e la mentalità comune è rilevata e recepita dalla prassi, che a sua volta preme per una soluzione; e allora ecco nel 529 la costituzione di Giustiniano in C. 4, 21, 17: Contractus venditionum vel permutationum vel donationum, quas intimari non est necessarium,... vel alterius cuiuscumque causae, illos tamen, quos in scriptis fieri placuit, transactionum etiam, quas instrumento recipi convenit, non aliter vires habere sancimus, nisi instrumenta..., con la quale la norma sistema e regola certa prassi e certe esigenze generali e sancisce che, se ai contraenti placuit o se tra loro convenit, una inedita ‘classe’ di contractus in scriptis abbia validità (vires) nell’ordinamento, e regola la configurazione del documento, vincolandone certe forme, certi requisiti: siamo così al documento costitutivo e siamo, per il sistema romano, ad un congegno contrattuale complesso, che si è sviluppato lungo il tempo ma senza rompere la linea della tradizione e i quadri di partenza. Tanto che una vendita ravennate del VI secolo continua a nascere come contratto consensuale e solo incrementa le sue forme (quindi, si riveste di una pluralità di forme), aggiungendo alla stipulatio di sempre una nuova scrittura ad substantiam 94. È anche da pensare, diversamente da Gallo che di questa costituzione ha fatto un’imponente esegesi 95, che la volata verso i contractus in scriptis e verso il documento costitutivo Latine interrogaverit, respondeatur ei Graece, dummodo congruenter respondeatur, obligatio constituta est: idem per contrarium. Sed utrum hoc usque ad Graecum sermonem tantum protrahimus an vero et ad alium, Poenum forte vel Assyrium vel cuius alterius linguae, dubitari potest. Et scriptura Sabini, sed et verum patitur, ut omnis sermo contineat verborum obligationem, ita tamen, ut uterque alterius linguam intellegat sive per se sive per verum interpretem (D. 45, 1, 1, 6). 94 NICOLAJ, Il documento privato, pp. 159-163. 95 GALLO, Riflessioni: l’interpretazione di Gallo non convince, perché se la costituzione ha certo una “portata generale”, essa non sembra invece introdurre una disciplina “organica e precisa” (p. 420) in materia di contratti. Non convincono neanche le argomentazioni, sia pure sovrabbondanti, che conducono a quella interpretazione: per esempio, non convince che C. 4, 21, 17 fosse “emanata allo scopo di disciplinare la stipulazione dei contratti che non era necessario
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sia avvenuta proprio all’ultimo, fra V e VI secolo: è dell’imperatore Leone e del 472 una costituzione che spinge forte sul ruolo probatorio dell’instrumentum, da cui origina e deriva una vindicatio di diritti reali (C. 8, 17, 11); è dell’imperatore Zenone e degli anni 476-484 la costituzione circa lo ius emphyteuticum che dichiara che iustum esse validumque contractum... interveniente scriptura (C. 4, 66, 1), mentre la confluenza di istituti romani antichi e istituti ellenisticoorientali – o magari lo sviluppo di istituti di una romanità mediterranea – sta ormai allentando le maglie del sistema antico 96. Le piste sopra accennate devono aver riguardato soprattutto negozi e contratti relativi a beni immobili. Resta, allora, da vedere cosa può essere successo nell’economia mobiliare e più precisamente per le obbligazioni pecuniarie e a tempo determinato, peraltro di sempre maggiore portata nello spazio di Roma spalancato al Mediterraneo, a province lontane (orientali e ellenistiche, in particolare), a traffici commerciali ad ampio raggio. A complicare questo diverso ‘registro’ o settore negoziale si pone anche il problema di una eventuale interferenza dei contratti commerciali ellenistici, per esempio di una famosissima scrittura di dåneion e cioè di mutuo, nelle prassi latine, contratti (o negozi ?) orientali che a mio parere sono ancora assai poco chiari, ma che certo si sono incontrati con gli istituti romani nelle comuni piazze commerciali e che perciò più volte sono stati connessi dagli storici con la storia contrattuale romana 97. Certo, allora, i contatti di Roma con realtà sociali ed economiche diverse e con ordinamenti e pratiche giuridiche straniere hanno sollevato questioni, e ne cogliamo indizi in certi chiaroscuri delle fonti romane. Ma proprio il punto di vista romano, se tenuto fermo, semplifica le indagini. insinuare” e di “determinare quali contratti si potevano concludere anche sine scriptis”, dovendo essere sempre e ex lege per iscritto i contratti da insinuare (pp. 414-415, 417, 421), perché l’obbligo d’insinuazione vale per la sola donazione, come ribadisce il quas di C. 4, 21, 17 che va riferito appunto alle donazioni e non alle venditiones, permutationes ecc. richiamate invece dal loro termine di contractus con un illos... quos; e non convince che, muovendo da una sensata considerazione di Archi che “Giustiniano... non sapesse in definitiva tener ben distinte... la funzione sostanziale e la funzione probatoria”, si affondi fino a dire che “Giustiniano non distingueva chiaramente” le due funzioni (p. 428; il grassetto è mio). Insomma, C. 4, 21, 17 ha sì un peso di “portata generale”, ma accoglie una novità proposta dalla prassi e che comunque resta alla scelta delle parti in una materia contrattuale la cui organicità tradizionale continua a tenere, come pensano Grosso e Astuti. 96 ARANGIO RUIZ, Storia, cap. XIII. 97 A seguito di GNEIST, Die formellen Verträge, e MITTEIS, Reichsrecht und Volksrecht, possono vedersi per es.: BRANDILEONE, Sulla supposta “obligatio litterarum”, e Note a recenti difese del contratto letterale; ARANGIO RUIZ, Lineamenti del sistema contrattuale; SEGRÉ, Note sul documento, Note sulla forma e Note sul documento esecutivo; ARANGIO RUIZ, Documento romano, greco romanizzato, bizantino; SEGRÉ, L’obbligazione letterale. Sulla formazione del diritto privato ellenico v. ARANGIO RUIZ, Storia, cap. XIII, pp. 328 e ss.
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Si parte da un famosissimo passo di Gaio dedicato all’obligatio litteris romana e in particolare al nomen transscripticium ormai desueto (Gaio III, 128). Gaio, che è un grande giurista romano del II secolo, ma è anche probabilmente di origine provinciale, proprio come provinciale e come giurista di ampie vedute, conclude così il titolo strettamente romanistico: Praeterea litterarum obligatio videtur chirographis et syngraphis, id est si quis debere se aut daturum se scribat; ita scilicet si eo nomine stipulatio non fiat. Quod genus obligationis proprium peregrinorum est, e cioè conclude il discorso sull’antico contratto letterale romano, ammettendo che, al presente, ad occhi romani appare – videtur – come obligatio litteris certa documentazione ‘ellenistica’ – chirografi e singrafi di debito –, ‘ove naturalmente di quel dato credito (nomine) non ci sia una stipulatio’ (ove cioè non sia intervenuta una stipulatio romana a formalizzare il contratto) e chiarendo che quel genus obligationis è proprio degli stranieri: d’altronde, una straordinaria singrafe di mutuo (dåneion) egiziana degli anni 25-26 d.C. attesta chiaramente la validità obbligatoria di quanto è scritto e la sua funzione esecutiva ‘come secondo una sentenza’ 98. Che un qualche parallelismo, e non confusione, sul piano concreto ci sia fra figure romane e figure altre, usate nell’Impero, sembra suggerirlo un altro famosissimo e spinosissimo passo, questa volta di Paolo, altro grande giurista romano appena successivo a Gaio (aa. 199-222 cr.): Non figura litterarum, sed oratione, quam exprimunt litterae, obligamur, quatenus placuit non minus valere, quod scripturae, quam quod vocibus lingua figuratis significaretur (D. 44, 7, 38); se infatti ci si ricorda che il testo, prima di essere inserito nel Corpus giustinianeo come legge, è nato come riflessione e parere di un giurista, allora possiamo leggerlo nel senso che non si può negare che ‘ci si obbliga non per la configurazione/rappresentazione (veste orale o scritta) delle lettere dell’alfabeto, ma per una dichiarazione, manifestazione o espressione (di senso compiuto: oratio) che le lettere alfabetiche esprimano’ e che quindi ‘è stato deciso che valgano alla pari sia la manifestazione configurata/rappresentata per segni grafici sia quella configurata per segni vocali’: così l’interpretazione di Paolo, che assai probabilmente si riferisce alla stipulatio romana e a scritte obbligatorie d’altrove e cioè dei diritti provinciali e locali (e vale ricordare che siamo intorno al momento della costituzione di Caracalla del 212 d.C., che concede la cittadinanza romana a tut-
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ChLA, XI, nr. 465; MACINO, Documenti diplomatici romani e provinciali, nr. 70.
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ti gli abitanti dell’Impero), non confonde forma orale e scrittura, anzi le tiene ben distinte, ma le mette in concorrenza sul piano obbligatorio. D’altronde, per i traffici e i commerci a distanza, un documento che rappresenti la dichiarazione e sia perciò ‘dispositivo’ oltre che probatorio è certo assai più pratico di una stipulatio semplicissima nel modulo, ma che richiede sempre e comunque la praesentia dei contraenti, e poi deve essere anche provata. Questa situazione del traffico ‘internazionale’, per la quale agli occhi romani si sommano e si mescolano problemi probatori e problemi sostanziali, è così evidente e così pressante da spingere sulla norma romana, che certo non si spezza, ma concretamente si flette alle esigenze sociali o all’utilitas contrahentium (C. 8, 37, 14, a. 531): tale progressivo adattamento, che sembra percepirsi già agli inizi del III secolo (C. 8, 37, 1, a. 200), è suggerito da una manciata di testi, anch’essi assai discussi dai giuristi, che scegliamo di leggere al modo di Brandileone 99, e cioè nel senso che, ove un documento di prova attesti la compresenza dei contraenti, l’ordinamento romano presume, dà cioè per avvenuta la stipulatio. Quindi, per quest’ultimo filone di testi, il problema è probatorio, non sostanziale, riguarda anche in generale la storia del processo tutta e in particolare la cognitio extra ordinem in età tardoantica, che qui non è possibile toccare, e tale problema si risolve con un ripiegamento su presunzioni e ‘verità legali’, come riassume sinteticamente I. III, 19, 12: ideo nostra constitutio propter celeritatem dirimendarum litium introducta est,... per quam disposuimus tales scripturas, quae praesto partes indicant, omnimodo esse credendas. E non solo. Ancora sul piano processuale la tendenza sempre più spinta a favorire i flussi di credito con una procedura sveltita o sommaria, come si vedrà poi, è evidente anche in quel passo di I. III, 21, sull’obligatio litteris o scriptura, che è un’altra croce per i giuristi: Olim scriptura fiebat obligatio, quae nominibus fieri dicebatur, quae nomina hodie non sunt in usu. plane si quis debere se scripserit, quod numeratum ei non est, de pecunia minime numerata post multum temporis exceptionem opponere non potest: hoc enim saepissime constitutum est. sic fit, ut et hodie, dum queri non potest, scriptura obligetur: et ex ea nascitur condictio, cessante scilicet verborum obligatione, e che leggerei così: ‘Un tempo si faceva un’obbligazione per scrittura, l’obligatio litteris per l’appunto, che si diceva consistere in nomina (transscripticia e ar-
99 Si tratta, per esempio, di C. 8, 37, 1 e 14 (aa. 200 e 531); D. 45, 1, 30 e 45, 1, 134, 2; D. 50, 17, 92; Paolo, Sent. 5, 7, 2 (= I. III, 19, 17): v. BRANDILEONE, La “stipulatio”, pp. 431, 439-450, 454.
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caria di Gaio III, 128) oggi non più usati. Per dirla tutta (però), se uno scrive di essere debitore di qualcosa, che (invece) non gli è stata contata, del denaro non contato non può più opporre exceptio dopo qualche tempo: ciò è stato infatti sancito più volte. Allora avviene che anche oggi, dal momento che non si può più esigere, ci si trovi obbligati in forza di una scrittura: proprio da questa nasce una condictio, mentre viene a cadere e cioè cessa di operare l’obligatio verbis, e cioè l’eventuale stipulatio che avesse formalizzato l’obbligazione’. Insomma, a mio parere, anche qui non c’è confusione o fusione fra stipulatio e documento; c’è il fatto che il piano sostanziale è superato concretamente dal piano processuale: il documento rappresenta ormai una prova perentoria, che opera per via breve e sommaria e che, paralizzando con una condictio ‘risolutiva’ un’eventuale actio ex stipulatu, conduce all’esecuzione dell’obbligo che attesta. Alle somme, la stipulatio romana non decade né si trasforma in forma scritta, e anzi dal punto di vista logico resta una pietra angolare del sistema romano: ma per i negozi immobiliari si trova ormai accanto un documento che assomma in sé funzioni di forma e di prova, mentre nei negozi mobiliari è aggirata da meccanismi processuali di maggiore utilità ‘internazionale’ e di maggiore speditezza. Anzi, a questo proposito, sarebbe opportuno riprendere in esame quel frequente agere ex cautione, agere ex chirographo, agere ex instrumento postclassico, che, se non sta ad indicare una nuova actio, come pensava Riccobono, probabilmente ha a che vedere con quella litis denuntiatio introduttiva del processo tardoantico, nella quale l’attore si limitava “ad indicare più o meno correttamente la situazione giuridica di cui lamentava la violazione da parte dell’avversario” 100, situazione certo ben rappresentata dal documento: tant’è che C. Th. 11, 39, 6 (a. 369), nelle sue ottiche orientali, tagliava corto con un Cum res agatur ex scripto aut infirmari scripturam aut probari. I problemi posti da una documentazione creditizia per noi scomparsa (i paradossi sono sempre stupefacenti) non finiscono qui. Infatti, se il documento di prova, sul fronte romano, è oggetto di spinte particolari in ambito creditizio, nel medesimo quadro romano sembra cogliersi qualcosa anche circa altre scritture che partecipino in qualche modo alla substantia dei negozi. Intanto, ricordiamoci che trattando di traffici per mare e per terra, noi ci riferiamo in primo luogo a quello splendido bacino del Mediterraneo che dai mediorientali (siropalestinesi e fenici) e dagli altri abitanti delle regioni ellenistiche, tutti popoli di mercanti e non a caso di scrittura, è stato percorso e ripercorso, prima e dopo le conquiste romane. Ricordiamoci anche che, con l’espansione nel Mediterraneo, Roma ha avviato quel ramo forte del diritto che è lo ius gentium o diritto dei popoli, in parte costituito “dagli usi del commercio marittimo e terrestre fra romani e stranieri, usi conformi a criteri etico-sociali come quelli della
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PUGLIESE, Istituzioni, pp. 775-776.
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fides o della bona fides” 101. Come negoziare, allora, a distanza ? Il diritto romano ha in effetti un istituto per questo ed è il contratto di mandato proprio iuris gentium, uno dei contratti consensuali, i quali di per sé inter absentes quoque contrahuntur, veluti per epistulam aut per nuntium (I. III, 22 e 26, D. 17, 1, 1): quindi, epistula o litterae (come in C. 4, 35, 7), la norma apre uno spiraglio su una massa di documenti il cui tenore, se il contratto poggia sul consenso rappresentato dalla emissione e spedizione e dalla recezione del documento stesso, ha svolto quella che oggi chiameremmo una funzione dispositiva retta da un ‘rogo’ sive ‘volo’ sive ‘mando’ (D. 17, 1, 1). E questo sarà colto dai bravissimi giuristi medievali. Insomma, si potrà e si dovrà continuare a discutere sui percorsi logici e di legge dell’ordinamento romano; ma sarà più prudente non sottovalutare la prassi, nel canale della quale si svolge il fenomeno di rapporti economici fitti e lontani per mare e per terra: allora forse non sarà un’assurdità ma sarà più semplice e facile pensare ai rami lunghi di una documentazione a funzione sia dispositiva (e quindi negoziale) sia probatoria-‘esecutiva’, che abbozzi di lontano e nel suo proprio quadro storico quel genere di ‘titoli di credito’, che sono stati costruiti dottrinariamente molto più tardi e cioè solo nel 1942 102. D’altronde, questa vicenda tardoantica lascia alcuni echi nel protomedioevo – per esempio in una pagina sufficiente ad exigendum un’eventuale penale, in una cartula sufficiente ad exigendum il debito scaturito da una violenza o omicidio (compositio), in un altro scritto di prestito valido ad exegendum 103 –, quando la clausola ad exigendum non può che arrivare dal linguaggio tecnico della tarda antichità, del tipo Executores a quocumque iudice dati ad exigenda debita ea, quae civiliter poscuntur... (C. 8, 16, 7). E tutta questa tesi, infine, trova rinforzi nel ripetersi dello stesso fenomeno giuridico-documentario nel secondo medioevo, quando fra ’300 e ’400 la ripresa e l’incremento dei commerci a lungo raggio e le esigenze di un ceto sempre più forte di mercanti, italiani o nordeuropei, ripropone problemi e soluzioni analoghi, questa volta fortunatamente sopravvissuti al tempo in masse documentarie imponenti, come quella dell’Archivio Datini di Prato 104, o in una dottrina di prima età moderna, come quella che, a metà del XVI secolo, sostiene: Literae mercatorum... habentur pro sententia et transeant in iudicatum 105. In conclusione, fin dall’antichità si colgono nella documentazione scritta le seguenti funzioni: dispositiva, costitutiva (o di forma ‘vincolata’), obbligatoria
101 Ibid., p. 185. E sul Mediterraneo dell’antichità v. le ampie e magnifiche ricostruzioni di BRAUDEL, Il Mediterraneo, e MOSCATI, Civiltà del mare. 102 V. sopra, pp. 61-62. 103 CDL, II, nr. 143 e nr. 258; ChLA, XXV, nr. 796. 104 MELIS, Documenti per la storia economica, p. 4. 105 Si tratta di una decisione della Rota di Genova, v. PIERGIOVANNI, Il notaio, p. 88.
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tout court ed esecutiva. Queste sfaccettature peraltro sono riscontrabili anche nella documentazione pubblica: si pensi a un mandato imperiale, nella forma della epistula e a funzione dispositiva, alla scrittura ‘vincolata’ di una constitutio imperiale, alla scrittura di una sentenza a funzione esecutiva. Questa realtà complessa e articolata, che l’antichità già presenta tutta, si riproporrà, magari in capitoli separati, nei tempi a venire, nel medioevo, che sarà un crogiolo incandescente di eredità e consuetudini diverse, non mediterranee soltanto, ma europee (romane e germaniche). Per esempio, l’alto medioevo, per vie, per ragioni e per fattori vari, arriverà ad un documento privato dispositivo, la charta 106, mentre in ambito di diplomatica pubblica manterrà una scrittura dispositiva nella forma in genere dell’epistula e arriverà con i diplomi dei sovrani germanici a scritture sia dispositive tout court sia riproduttive o ricognitive o confirmatorie quando – nello scarto fra azione giuridicamente valida, espressa per riti solenni, e successiva documentazione – il documento servirà a firmare, confirmare, corroborare la volontà già espressa e perciò andrà interpretato come “una ripetizione della prima azione” 107. Il secondo medioevo recupererà un sistema negoziale ed obbligatorio nel quadro logico di Roma ma allo stesso tempo, per la forza dei mutamenti, userà soprattutto del tocco finale di quel quadro e cioè dei contractus in scriptis di C. 4, 21, 17 108; l’Italia e poi l’Europa dei mercanti avranno bisogno di scritte adatte ai loro traffici, che il diritto – nelle sue facce di prassi, di norma e di dottrina – si sforzerà di regolamentare 109. Il fatto è che il fenomeno giuridico tutto, così come quello particolare del documento nelle sue funzioni, si muove a slalom lungo una pista segnata da due poli: il polo teorico, che guarda a regole nitide, logiche e sistematiche, e il polo pratico, che deve far funzionare le cose. E le cose hanno una loro forza, indifferente alla logica, e riottosa ai dogmi e agli algoritmi degli uomini. E se la piccola Lucy d’Etiopia, quella tenera ominide che potrebbe essere nostra nonna, è appena alle nostre spalle, fra il Codice di Hammurapi o il chirografo di Tobia 110, l’Editto di Carlo V contro Lutero nel 1521 o l’Editto di Maria Teresa contro la libertà di stampa nel 1780 e le nostre rogatorie, oggi, o la nostra firma digitale il cammino è stato lunghissimo e brevissimo insieme. 7. Corollario: i generi documentari. – La prassi giuridica scritta, pubblica e privata, copre dunque un vasto territorio nel quale vive e si muove il diritto, e consta di una massa straordinaria e varia di testi formali e tipici. Una massa che, né confusa né caotica, potrebbe intanto essere ordinata in grandi filoni di ge-
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NICOLAJ, Il documento privato, pp. 163-178. BRESSLAU, Handbuch, pp. 731 e ss., la citazione a p. 743. PETRONIO, Stipulazione e documentazione. V. più avanti, cap. III, par. 7. Sul chirografo antico di Tobia v. sopra cap. I, par. 6.
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nere: documenti di atti privati; documenti pubblici autoritativi, graziosi e imperativi; documenti giudiziari; documenti di censimento, rilevamento, ricognitivi, pubblici e privati; documenti contabili, commerciali e fiscali; carteggi politici e di governo; formulari 111. I documenti di atti privati, notarili e non, riguardano tutto il campo del negozio giuridico e dei rapporti fra cittadini privati. I documenti pubblici autoritativi, graziosi e imperativi riguardano attività e manifestazioni di poteri legittimi, poteri di diritto (e non solo di fatto) e perciò tradotti in autorità e detentori di imperium. Essi riguardano vari e larghi tipi di attività, in particolare normativa (legislativa) e di governo (amministrativa). In linea di massima, porrei fra i documenti normativi, per un primo esempio, le constitutiones principum, i libri giustinianei (Istituzioni, Codice e Digesto) e le singole Novellae, fino al privilegium (documento grazioso) inteso come privata lex 112, gli editti dei re longobardi, i capitolari carolingi, il Liber Augustalis di Federico II e le codificazioni della Chiesa come il Liber Extra di Gregorio IX e il Liber Sextus di Bonifacio VIII, e così via via fino alle normazioni in scriptis di ius proprium e cioè fino agli statuti comunali e alle reformationes, provisiones, deliberationes, ordinamenta 113, compresi gli statuti di istituzioni e categorie come quelle delle arti medievali. Porrei invece fra i documenti di governo, per esempio, i codicilli di nomina, i praecepta, i mandati e via dicendo. Rientrano fra i documenti pubblici gli eventuali processi verbali o acta che formalizzino procedimenti decisionali. I documenti giudiziari o forensi fanno anch’essi riferimento, naturalmente, al potere legittimo in primo luogo e al suo esercizio giurisdizionale – anzi, in contesti arcaici come quello biblico o quello altomedievale la iurisdictio è il primo attributo della sovranità 114 –; essi, però, possono rappresentare un filone di genere a sé stante, visto che – siano essi imperiali, regi o signorili, ecclesiastici o comunali – rappresentano procedimenti comunque analoghi nei medesimi tempi e spazi, procedimenti tutti segnati all’origine da una vertenza (e conflitto di interessi) da dirimere e chiudere o meglio dalla necessità di risarcire o tutelare un’obbligazione ex delicto o ex contractu, e tutti organati in un contraddittorio 115.
111 Per molti dei generi diplomatici indicati possono vedersi utilmente, a introduzione, alcuni volumetti della collana Typologie des surces du Moyen Âge occidental, fondata da L. Genicot e pubblicata dagli anni ’70 del secolo appena trascorso, come ad es. GENICOT, Les actes publiques; FOSSIER, Polyptyques et censiers; CONSTABLE, Letters and Letters-Collections. 112 Per il privilegium, che è “al fondo dell’esperienza giuridica altomedievale”, v. SANTARELLI, Privilegio (diritto intermedio). 113 Sul ruolo dello ius proprium basti ASCHERI, I diritti del Medioevo, pp. 246-249; sui testi normativi di istituzioni e categorie v. ancora ibid., pp. 326-328. 114 CORTESE, Il diritto, I, p. 317; sui tratti generali del concetto di giurisdizione, oggi, v. SATTA, Giurisdizione. 115 NÖRR, Iudicium est actus.
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I documenti di rilevamento e ricognitivi, pubblici e privati, raccolgono una ampia e varia massa di materiali: per esempio, censimenti, ruolini militari, la Notitia dignitatum del V secolo 116, inventari di beni privati d’età romana 117, polittici altomedievali 118, il Domesday Book dei beni fondiari nell’Inghilterra del 1086 119 o il Catalogus baronum del Meridione normanno 120, i catasti antichi e bassomedievali 121, comprese le mappe di misurazione e delimitazione dei terreni, o le visite pastorali con accertamenti di condotte e di patrimoni. Le scritture contabili, pubbliche – come per esempio i Libri rationum della Camera di Bonifacio VIII 122 – e private, vanno da tutte le scritture d’imposta (estimi e pagamenti), ai libri rationum dei mercanti, ai libretti colonici: tali scritture sono spesso plurime e cioè articolate e incrociate fra loro a riscontro, e hanno una funzione giuridica probatoria aggiunta a quella contabile-finanziaria. I carteggi politici e di governo, lettere e copialettere, così come una parte dei carteggi dei mercanti, rientrano nel raggio di un agire giuridico-istituzionale e non possono in molti casi essere estrapolati dal campo della diplomatica senza sconnessioni o forzature storiche: penso, per esempi a caso, a lettere di magistrati e dignitari d’età romana o addirittura alla produzione dello scrinium epistularum imperiale, o ai carteggi della cancelleria fiorentina fra ’300 e ’400 123, o ai carteggi dei ministri di Maria Teresa imperatrice nella seconda metà del ’700 per accasare i tanti figli della sovrana, ove questo tipo di politica matrimoniale è fattore anche dell’assetto ‘istituzionale’ e dei rapporti internazionali del tempo, per non parlare della tecnicità e tipicità della lettera nell’ambito del diritto internazionale di oggi e dei rapporti diplomatici 124. O penso ai carteggi dei mercanti, che impongono di distinguere attentamente la semplice lettera di comuni notizie dalle lettere di cambio, di credito, di vettura, di porto e via dicendo, che sono senz’altro documenti diplomatici. È insomma da fare una precisazione forse elementare e banale per gli specialisti: quello della lettera – epistula o litterae – è un modello semplicissimo e perciò forte – (e)mittente, destinatario, testo, saluto esplicito o sottinteso, ‘firma’, data –, che fin dall’antichità è stato usatissimo nella documentazione diplomatica: di primo acchito vengono in mente rescritti imperiali
Notitia dignitatum, edita da O. Seeck, e ora NEIRA FALEIRO, La Notitia. Per es. P. Tjäder 8 (a. 564): tre brevi o notitiae. 118 Per es. quegli Inventari altomedievali editi da Castagnetti, Luzzati, Pasquali e Vasina. 119 Domesday Book, edito da A. Farley, v. CARAVALE, Ordinamenti giuridici, p. 328. 120 Catalogus baronum, edito da E. Jamison. 121 TALAMANCA, Catasto (diritti antichi), e CORTESE, Catasto (età medievale e moderna). 122 SCHMIDT, Libri rationum camerae Bonifatii. 123 Per es. l’Epistolario di Coluccio Salutati, nel quale alle lettere private si mescolano lettere politiche o anche ufficiali; sulla cancelleria fiorentina v. il classico MARZI, La cancelleria. 124 SENATORE, “Uno mundo de carta”, e LAZZARINI, Materiali; un bell’esempio, fra i tanti, di lettere-documento sono quelle dogali del ’400, inviate nelle Marche, edite da AVARUCCI-PACIARONI, da ultimo Lettere dogali. 116 117
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in forma epistolare 125, le lettere graziose o esecutorie dei papi, mandati e procure di privati d’età romana o le tante epistulae proposte dai formulari diplomatici di alto e basso medioevo o anche le epistole contenute nello Specimen di una nuova collana dedicata proprio alle Lettere originali del medioevo latino (VII-XI sec.) 126 che richiamano quei libelli e quelle petitiones ad iurisdictionem (querelae, postulationes, denuntiationes), redatti proprio in forma epistolare fin dal tardoantico 127, che sono tecnicamente importanti e schietti documenti diplomatici, pertinenti al genere giudiziario o forense. Certo, la forma epistolare, proprio perché è semplice e di tipicità ridotta, è perciò flessibile e adattabile ed è in grado di essere usata come struttura compositiva di tanta documentazione: in questa prospettiva è di grande interesse il panorama documentario d’età rinascimentale disegnato, per esempio, per la Milano sforzesca 128. Un genere molto particolare, poi, è costituito dai formulari di ogni tempo (anche oggi si pubblicano svariati Formulari). Essi riuniscono modelli di documenti ad uso della pratica (cancelleresca o notarile), e forse potrebbero essere visti come l’unico genere ‘dottrinale’ e letterario della prassi, un genere comunque importantissimo, quando c’è, come referente ‘normativo’ per notai, per cancellerie ed uffici, per curie giudiziarie 129. Un genere molto delicato, infine, interessante certamente ma che solo in alcuni casi imputerei alla diplomatica, è rappresentato sia dai “cartulaires historiques” o “chroniques-cartulaires” 130, sia dai ‘libri di ricordi’. Quanto al filone ‘cronachistico’, che però comprende un’ampia gamma di tipologie testuali e quindi richiede ulteriori riflessioni, due punti generalissimi e di partenza vengono in mente. Quanto al primo punto, è da notare il fatto che, sin dai tempi biblici, il nocciolo del genere cronachistico consiste di genealogie o elenchi di cariche istituzionali che sembrano essere usati a fondamenta e a validità di quadri costituzionali nascenti: si pensi a Cronache 1-2 dell’Antico Testamento che rappresentano l’“organizzazione del regno” citata da 1 Cr 27, o si pensi al proemio-protocollo dell’Editto di Rotari con la serie dei re longobardi e la genealogia di Rotari stesso. Quanto al secondo punto, viene in mente poi l’idea che nei famosi cartulari con cronaca del XII secolo, come quello di Casauria 131, se il cartulario
Rescritti di Vespasiano (a. 78), Domiziano (a. 82), Teodosio II (aa. 425-450), ed. SCHIARaccolta, nr. 54, 55, 62. 126 Lettere, pp. 13 e ss. 127 Esempi in FIRA, III, nr. 173 (a. 338), 175 (a. 368), 176 (a. 487). 128 SENATORE, “Uno mundo de carta”. 129 BRESSLAU, Handbuch, pp. 870-918; per l’Italia e sui formulari notarili italiani del rinascimento giuridico e dell’età di diritto comune – dei maestri Ranieri, Salatiele, Rolandino, Zaccaria –, si v. innanzitutto la scuola bolognese di Gianfranco Orlandelli e Roberto Ferrara. 130 Così R.-H. BAUTIER, L’historiographie, pp. 816-822. 131 Di cui si è occupato più volte Alessandro Pratesi, v. per es. PRATESI, Prefazione. 125
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ha un fine probatorio (di prova scritta), la cronaca annessa abbia anch’essa un fine probatorio (di testimonianza messa per iscritto), e che le due prove, documentaria e testimoniale, si rinforzino reciprocamente: questi indizi sarebbero suggeriti dalle assonanze che si colgono fra cronache e testimonianze – i testi interrogati nei processi rispondono de visu ma anche de auditu –, dal caso famoso e straordinario della cronaca genovese di Caffaro 132 e da altro ancora, come per esempio la glossa per libros antiquos (in X, 2, 19, 13) ad una decretale su un problema di confini diocesani, glossa che recita scriptura antiquorum librorum facit fidem... Item si reperiatur scriptura in columna vel lapide ei statur. Quanto ai libri di ricordi, che spesseggiano dal tardo medioevo e che registrano storie di famiglia, essi non hanno certo una rilevanza giuridica originaria; ma possono contenere documenti – per esempio ricevute riguardanti l’economia familiare – o possono funzionare a tratti come ‘scritture di stato civile’ e precedenti dei registri battesimali delle parrocchie: tant’è che in un Tractatus de instrumentis pervenuto in apografo quattrocentesco una nota a margine recita Item creditur libro patris in quo scripssit diem nativitatis filiorum suorum ad probandam etatem eorum, ut l. I, C. Si minor se maiorem dixerit (C. 2, 42, 1) 133.
132 ARNALDI, Cronache, pp. 360-362: Arnaldi da non diplomatista si è occupato a più riprese di questo tema e sempre con grande acume. 133 Il Tractatus è opera di Niccolò Matarelli, doctor utriusque iuris di fine Duecento, e ne sto approntando l’edizione; esso è tràdito nel codice Vat. lat. 4773, cc. 47v-50v: la nota in questione è a c. 49v.
III
Le forme del documento
1. Introduzione: tipicità e storicità delle forme, processi e fattori di trasformazione delle forme, categorie di forme. 2. Forma-base del documento pubblico: protocollo, testo, escatocollo (ess. 1-5). 3. Forme del discorso nel documento pubblico (ess. 6-9). 4. Forma del documento pubblico collegiale (ess. 10-14). 5. Forma del documento pubblico d’ufficio (ess. 15-18). 6. Forma-base del documento privato: protocollo, testo, escatocollo. 7. Forme del discorso nel documento privato (ess. 19-43). 8. Altre forme di documento d’ufficio (ess. 44-54). 9. Notitia o breve: origine e sviluppi (ess. 55-68). 10. Altre forme di struttura documentaria: forme complesse; forme a sequenza; forme composite. 11. Forme di contrassegno, di marcatura, distintive (signa). 12. Forme di documentazione sussidiarie e complementari. 13. Forme materiali del documento.
1. Introduzione: tipicità e storicità delle forme, processi e fattori di trasformazione delle forme, categorie di forme. – Il termine forma viene da lontano ed ha avuto ed ha significati molteplici: ontologici, logici, gnoseologici. Nel caso della diplomatica chiamiamo forme tutte quelle modalità di scrittura e tutte quelle caratterizzazioni mediante le quali fatti ed atti giuridici vengono rappresentati nel documento scritto e per le quali il documento stesso sussiste, svolge le sue funzioni e poi può essere studiato. Tali forme sono quindi essenziali al documento, sono significanti di esso e, all’interno del tema più generale del “formalismo giuridico” 1, sono requisiti necessari a conferire capacità operativa, rilevanza e validità giuridiche alla documentazione, rivestendone le funzioni e raggiungendone gli scopi previsti: tant’è che uno scritto privo di forme peculiari se non addirittura tipiche non è un documento diplomatico ma solo un testo qualunque. Le forme documentarie si caratterizzano per storicità e per tipicità. Si caratterizzano per storicità, perché sono ideate ed usate dagli uomini e pertanto
1 Basti rinviare a: ORESTANO, Formalismo giuridico; TARELLO, Diritto, pp. 19-51; JORI, Il formalismo giuridico; CAMMARATA, Formalismo giuridico. Interessante, come sempre, ASCHERI, Formalismi di giuristi.
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si connettono inevitabilmente alle esigenze, al grado e al tipo di civiltà e di cultura generale della società storica di riferimento. Si ispirano poi, come tutta la materia giuridica, al criterio di tipicità per essere funzionali, riconoscibili, rappresentative, ‘normative’ e difendibili nell’ordinamento storico che le adotta, insomma per applicare e/o costituire regola. Certo, poiché la documentazione di una certa epoca vive nel diritto usuale o volgare (come dicono i giuristi) di quella stessa epoca, e documentazione e diritto usuale esistono nei tanti casi di realtà e di esperienza, la tipicità delle forme diplomatiche può stemperarsi, o invece intricarsi, nella fluidità e instabilità del suo terreno concreto d’applicazione: insomma, un modello astratto è definito e stabile, mentre gli innumerevoli esempi concreti riconducibili a quel modello sono dinamici e mutevoli. Peraltro, in linea generale, una tipicità ridotta, minimale, ‘leggera’ – come, per esempio, quella della struttura semplice dell’epistula (emittente, destinatario, tenor, eventuale saluto e data) o quella ‘piana’, meramente rappresentativa del breve o notitia (v. più avanti, par. 9) – è proprio perciò assai flessibile, adattabile, funzionale e polivalente, plastica e persistente, mentre una tipicità forte e accentuata è perciò stesso assai più rigida e ferma e in qualche modo debole. Nella coniugazione di storicità e tipicità sembrano cogliersi alcune costanti. Vale a dire che forme e formalismi diplomatici, se seguiti nel lungo periodo o osservati in panoramica nei contesti delle loro epoche, mostrano di disporsi secondo alcune linee o tendenze generali. Per esempio, in diacronia, in genere si passa da forme appena abbozzate e ancora fluide (per varianti e incompletezze) di età primitive – romana arcaica o protomedievale – a forme normalizzate, tipiche e nitide di età più mature – quella classica fino a tutto il Principato o quella dei secoli altomedievali dal IX alla prima metà dell’XI secolo –, a forme di età avanzatissime e di senescenza, o anche di transizione e trasformazione, che allora sono poco nitide, varie, complesse e barocche, ma anche un po’ sbiadite e confuse, come nel tardoantico, oppure irrigidite e poi un po’ erose e sfaldate, come nell’ultimo periodo altomedievale quando, per esempio, la struttura della charta si rompe qua e là all’infiltrarsi di caratteri provenienti dal breve o notitia. Peraltro, nel corso storico della nostra civiltà occidentale, anche i sistemi documentari complessivi sembrano aver seguito loro archi di sviluppo o ‘cicli vitali’, da una nascita o rinascita a una maturità a una decadenza: così nell’età romana, nell’altomedioevo, nel secondo medioevo (dal XII secolo). Ancora su certe costanti del fenomeno. In sincronia, dato un sistema storico di documentazione, le forme diplomatiche possono dispiegarsi in un largo spettro di tipologie, che vanno dalla relativa atipicità e povertà figurativa di un ruolino militare, di una notitia tardoantica, di una scrittura di conto o dalla semplice tipicità di una lettera fino all’estremo opposto di una struttura formale massima, unitaria sempre ma complessa, di un Codice giustinianeo (a. 529, 534) o di un Editto di Rotari (a. 643), due testi che considero appartenere al genere documentario (v. più avanti, par. 10). E, guardando an-
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cora in sincronia, un sistema storico di documentazione, proprio perché storico, è sempre più complicato, mutevole ed anche casuale di come lo si possa schematizzare e descrivere; infatti il quadro nel quale va collocato il sistema stesso presenta, per esempio, aree di documentazione periferiche, alternative o arretrate, segnate da divergenze, anomalie o ritardi rispetto a quello che noi consideriamo l’epicentro del sistema o rispetto alla direzione e ai tempi di una evoluzione e alla mèta di una normalizzazione funzionale e formale: si possono prendere ad esempio le prassi documentarie ellenistiche, divergenti rispetto all’Occidente romano nell’età antica, se guardiamo i fenomeni da Roma; o si possono confrontare ambienti tradizionalisti rispetto a certe avanguardie, in Italia e fra XI e XII secolo; o si possono paragonare ancora certi conservatorismi locali fra XII e XIII secolo rispetto al modello vincente dell’instrumentum notarile di scuola bolognese. Se la tipicità delle forme è soggetta ai mutamenti e alle dinamiche della storia, il processo di trasformazione riguarda sia la figura complessiva e maggiore di un documento sia alcune parti o porzioni di esso: per esempio, se una forma come l’intitulatio si compone di nome e titolo o titoli dell’autore emittente, varianti e trasformazioni insisteranno su questi due elementi 2. Quanto ai fattori che determinano un corso di trasformazione, se ne vedono di tre ordini: 1) fattori giuridici e istituzionali in primo luogo, dacché nelle trasformazioni storiche di ordinamento e istituzioni, si modellano in conformità anche i caratteri con i quali la prassi si riveste nelle scritture diplomatiche; 2) fattori culturali, i più diversi, da quelli di cultura materiale (si pensi, per esempi di cultura materiale, ad usi di pietra, papiro, pergamena, carta, e ai relativi e possibili assetti di questi materiali) a quelli di cultura giuridica e politico-istituzionale, a quelli di cultura grammaticale e retorica, a quelli più specifici e tecnici di cultura diplomatica di notai e personale di cancellerie e d’uffici; 3) fattori più genericamente sociali e di mentalità, comune e collettiva, che operano nei modi più vari, talvolta evidenti e espliciti – per esempio nell’uso dell’invocazione del Signore messa in testa al documento in una società permeata di cristianesimo o nell’incidenza del simbolismo e della lingua gestuale (traditio chartae) in una società formalista e ritualista di un alto medioevo romanobarbarico –, talvolta impalpabili e sommersi, come per esempio si possono intuire nella spinta generalizzata che preme e sposta la documentazione privata tardoantica dal piano processuale e probatorio al piano sostanziale (v. sopra, cap. II, par. 5 e 6) o nella moda dilagante del sigillo nel secondo medioevo.
2 Per esempio: MAGIONCALDA, Lo sviluppo della titolatura imperiale, e BUSSI, Fra unione personale e stato sovranazionale, pp. 76 e ss., circa i titoli di Francesco II d’Austria.
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Sarà consigliabile, comunque, tenere ferma una qualche gerarchia o meglio una certa ‘logica’ che intercorre fra i fattori indicati sopra, richiesta dalla specificità della documentazione diplomatica, che è prassi giuridica, come non ci si stanca di ripetere: per un solo esempio eclatante, l’uso facile, diffuso e insistito, anche in campo diplomatistico, di referenti come quelli di “classe dominante/dirigente” o di “élite di potere”, tratti dalle scienze sociali italiane (volte in questa direzione da Gaetano Mosca, 1858-1941, e Vilfredo Pareto, 1848-1923), può sfociare in interpretazioni assai generiche e talvolta addirittura sbagliate se, quell’uso, non è controllato attraverso il filtro giuridico-istituzionale che è sotteso a qualunque testo diplomatico. Viste queste premesse, dunque, la diplomatica non può che risolversi in una storia della documentazione, dinamica e mutevole 3. Allo stesso tempo, però, poiché nel trascorrere del tempo e nel succedersi sulla scena storica di civiltà e culture, nella documentazione ricorrono alcuni tipi funzionali e formali, l’interpretazione e la ricerca sono indotte a porsi anche questioni antropologiche. Per forma s’intende sia la figura maggiore (totale e d’insieme) del documento, sia qualunque figura o carattere minore di esso volto a segnarne e significarne contenuti e funzioni, ad assicurarne e convalidarne la provenienza, a rappresentarne e segnarne stadi di formazione o di destinazione; evidentemente per formula (letteralmente ‘piccola forma’) s’intende una figura minore specificamente linguistica e cioè espressa in parole. Tenuto conto della gamma ampia degli elementi formali da ordinare quantomeno in una sistemazione generale, complessiva e di base, le forme documentarie possono essere suddivise nelle seguenti quattro grandi categorie: 1. forme di struttura e disposizione del testo e forme di costruzione del discorso; 2. forme di contrassegno, di riconoscimento, distintive e di evidenza figurativa usate a corredo e a marcatura; 3. forme sussidiarie e complementari, distintive di fasi e percorsi tipici di formazione prima e di trasmissione poi di un documento ‘compiuto’ e ‘principale’, cioè del cosiddetto iter del documento; 4. forme materiali del documento, e cioè forme del supporto e forme di inquadramento, intelaiatura, impaginazione ed eventuale montaggio del testo connesse sia con la materia del supporto stesso, sia con la lunghezza dello scritto, sia anche con la tipologia documentaria. La diplomatica considera una “partizione” e speciali “caratteri intrinseci ed estrinseci” del documento, in base ai quali descrive il suo oggetto-documento, inteso nel senso tradizionale che s’è detto, e perciò inteso soprattutto in pro-
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Già NICOLAJ, Sentieri di diplomatica, p. 330.
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spettiva medievalistica e considerato nelle sue figure di charta o pagina o notitia o instrumentum. Qui si parte dagli stessi schemi ed elementi analitici di base, ma seguendo un criterio strettamente di forma s’allargherà poi la visuale a tutti quei testi che sono da considerarsi ‘documenti diplomatici’, come s’è detto più volte. Delle quattro categorie di forme individuate indicheremo un certo numero di esempi: questi saranno solo di riferimento e senza pretese di completezza, ma avranno anche un qualche scopo antologico; dovrebbero poi servire a segnare, in un primo spazio di coordinate cartesiane, le posizioni delle varie tipologie documentarie e magari, attraverso i loro testi talvolta pure assai lunghi, potrebbero suggerire quali flussi di vita (dalle leggi di un sovrano alle spezie profumate di un mercante) passano per le maglie della documentazione diplomatica. D’altronde, alle categorie proposte e agli esempi di riferimento si potranno sia opporre obiezioni e correzioni sia riportare ed aggiungere eventuali altri dati ed altre peculiarità ricavabili dalla documentazione nella sua storia. Negli esempi proposti metto in evidenza, qua e là e in modo rapsodico, parolechiave o segmenti formulari basilari nella struttura dei testi e qua e là segnalo con sigle P(rotocollo), T(esto), E(scatocollo), A(renga), N(arrazione) ecc. alcune partizioni del documento. 2. Forma-base del documento pubblico: protocollo, testo, escatocollo (ess. 1-5). – Nella forma-base ogni testo o contesto o tenor documentario è “incorniciato” – il termine significativo di cornice lo si deve al Paoli 4 – in apertura e in chiusura da forme-formule particolarmente distintive e di evidenza che costituiscono il cosiddetto protocollo iniziale e finale ovvero il protocollo e l’escatocollo. Non occorrerà ripetere che tale schema appartiene ad una documentazione già evoluta – nel Lapis Niger del Foro Romano o nelle Leggi delle XII tavole il testo si caratterizza per il solo verbo imperativo –, mentre anche il termine di protocollo (dal prvtøkollon greco o primo foglietto del rotolo di papiro) è tardo e risale ad una Novella di Giustiniano del 536, che prescrive per i documenta dei privati redatti dai notai di professione (tabelliones), della sola Costantinopoli però, l’uso di quella charta pura... quae initio (quod vocatur protocollum) per tempora gloriosissimi comitis sacrarum nostrarum largitionum et tempus quo charta facta est et quaecumquae in talibus scribuntur, et ut protocollum non incidant, sed insertum relinquant (Nov. 44, 2). Protocollo di documento pubblico Perno del protocollo è l’intitolazione (intitulatio) consistente nel nome e nei titoli dell’autorità emittente, come nei seguenti esempi:
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PAOLI, Diplomatica, p. 25.
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aa. 6-5/3 a.C., editto di Augusto agli abitanti di Cirene: Imperator Caesar Augustus, pontifex maximus, tribunicia potestate septimum decimum, imperator quartum decimum dicit 5; • 78 d.C., epistula di Vespasiano ai Saborenses (Spagna): Imp. Caes. Vespasianus Aug., pontifex maximus, tribuniciae potestatis VIIII, imp. XIIX, consul VIII, p(ater) p(atriae) salutem dicit IIIIviris et decurionibus Saborensium 6; • da Gregorio Magno saltuariamente, dopo il secolo VIII regolarmente, nei documenti pontifici l’intitolazione è N. episcopus servus servorum Dei: tale intitolazione, a ben guardare, è definizione di suprema umiltà e insieme titolo di suprema eminenza nell’ecumene della Chiesa, se si ricorda uno dei principi evangelici: “Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi ovvero colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo” (Mt 19, 30; 20, 16; 20, 26-27); • 17 luglio 808, diploma di Carlo Magno: (C) In nomine patris et filii et spiritus sancti. Karolus serenissimus augustus a Deo coronatus magnus pacificus imperator Romanum gubernans imperium, qui et per misericordiam Dei rex Francorum et Langobardorum 7; • 16 marzo 1942, decreto di Vittorio Emanuale III per l’approvazione del Codice Civile: “Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione re d’Italia e di Albania, imperatore d’Etiopia” 8. Appare dai pochi esempi indicati che l’intitolazione è spesso a sua volta contornata da altre forme/formule, come si indica di seguito. L’invocazione a Dio (invocatio) al principio, è quella componente formale che segna il passaggio del mondo romano classico ad una civiltà cristiana e poi, in seguito, ad un mondo europeo, cristiano e romano-germanico. Può trattarsi di un’invocazione simbolica – e cioè rappresentata da un segno di croce o dalle iniziali di Iesus, Christus, Iesus Christus (un X e un P legati nel cosiddetto monogramma costantiniano, o I e C o soltanto C) –, o di un’invocazione verbale del tipo In nomine Domini o In nomine domini Dei nostri Iesu Christi (come nei documenti dell’imperatore Giustiniano, aa. 527-565), e simili; e può trattarsi di un’invocazione di ambedue i tipi. Tale invocazione, invece, proprio nei documenti dei papi fu spesso omessa e infine lasciata cadere dai pontificati di Leone IX e di Gregorio VII (aa. 1049-1054 e 1073-1085), quando l’ideologia ecclesiale e politica dei riformisti impose alla cristianità il primato della Chiesa Romana e del suo pontifex, lui solus universalis come successore di Pietro e vicario di Cristo (Gregorio VII, Dictatus papae, § 11) 9.
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FIRA, I, nr. 68, p. 404. FIRA, I, nr. 74, p. 423. M.G.H., Dipl. Kar., I, nr. 208, p. 279. R.D. 16 marzo 1942, nr. 262 M.G.H., Epist. sel., II, nr. II/55a, pp. 201-208.
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L’iscrizione o indirizzo (inscriptio), generale (a tutti) o parziale (e questa seconda collettiva – per esempio, ai veterani di una legione romana o ai cittadini di un Comune medievale – o individuale), è dunque l’indicazione del destinatario o dei destinatari del documento. Nelle litterae papali, dal secolo XII in poi, dirette a persona che riveste una carica o un officium vel dignitas, il documento è indirizzato alla carica stessa (per esempio, all’abate di un monastero) preceduta da due punti di sospensione (gemipunctus) in luogo del nome proprio. Nel caso di documenti spediti piegati e chiusi, per esempio nel caso delle litterae clausae papali (secoli XII-XV), l’inscriptio naturalmente è posta sul verso del documento, che resta all’esterno e visibile. La posizione reciproca di intitolazione e iscrizione è evidentemente determinata dalla gerarchia politico-istituzionale ed ecclesiastica di emittenti e destinatari e quindi è regolata da precise regole ‘di protocollo’ o di etichetta, regole trattate meticolosamente, per esempio, dai tanti maestri di ars dictandi di secondo medioevo 10. Nel caso notissimo delle suppliche rivolte al pontefice – tipiche quelle approvate sola signatura, e cioè senza la confezione e il rilascio di un documento di risposta autonomo e costoso per le spese di procedura e di cancelleria – nello scritto di supplica, poi approvato dal pontefice con una breve formula aggiunta in calce (al modo degli antichi rescritti imperiali romani), l’indirizzo, al primo posto, è al Beatissime Pater 11. Altre eventuali componenti formali del protocollo sono: il bando o edictio (dicit/edicit) tipico dell’editto; il saluto (salutatio), proveniente dalla forma dell’epistula – il Vale/Valete in calce o altre formule d’età romana – e tipizzato, per esempio, nel salutem et apostolicam benedictionem delle lettere papali; o la formula di perpetuità, in perpetuum, solenne e tipica dei privilegi pontifici medievali; ovvero formule più svelte di chiusura del tipo feliciter o amen (apprecatio). Resta da dire che, inclusa nell’intitolazione, può essere la formula di devozione o humilitatis del tipo ‘re per grazia di Dio’: di essa, che è quasi una ripresa della invocazione d’apertura, e con quella è incastonata nel protocollo a segno forte, è bene ricordare, per inciso e in un breve excursus, tutto il valore politico-‘costituzionale’. È noto l’antico, originario e profondo legame del diritto e, in particolare, della sovranità con il sacro, con un metastorico e un assoluto divino 12: un legame necessario, perché per esso deriva ai re e ai governanti di tutta la terra la legittimità del loro potere supremo, come dice la Bibbia: “La vostra sovranità proviene dal Signore” (Sap 6, 3, e cf. Deut 16, 18, rivolto ai giudici e
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Cf. i molti trattatelli editi nel classico Briefsteller und Formelbücher. Esempi nel classico Specimina supplicationum, e v. in Acta pontificum, nr. 30a. Basti WEBER, Economia e società, III, in part. p. 95.
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agli scribi; oppure Os 8, 4: “Hanno creato re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa”). Un legame talmente persistente che ancora si coglie, per esempio, nella formula d’intitolazione del re d’Italia usata nel secolo XX (v. sopra), o nell’inno nazionale inglese God save the Queen/King. Ed è un legame talmente decisivo che anche nella laicizzazione e secolarizzazione dei tempi moderni sembra trascolorare e stingere sui termini di Popolo, Nazione, Stato e via dicendo, in qualche misura astratti e ‘metafisici’ ed anche deificati: d’altronde, la legittimazione/legittimità/legalità del potere non può che essere fatta scaturire da una fonte superiore all’individuo e ai gruppi, pur consistenti, di individui. In particolare per la nostra parte di mondo e per le vicende della nostra civiltà, dacché la tradizione giudaico-cristiana e il cristianesimo si diffusero nell’Impero romano e poi nell’Europa medievale, i fili fra Impero e Chiesa s’intrecciarono per un lungo futuro, e alcuni momenti culminanti e eventi di questa storia secolare segnano suggestivamente e utilmente tappe di particolare significato e evidenza: • l’editto di Tessalonica emanato da Teodosio I il Grande nel 380, che eleva il cattolicesimo niceno-romano a religione di Stato; • la famosa lettera di papa Gelasio nel 494 all’imperatore ormai residente a Costantinopoli, ove si epigrafa il dualismo (detto appunto gelasiano) del governo del mondo – Duo quippe sunt, imperator Auguste, quibus principaliter mundus hic regitur: auctoritas sacrata pontificum et regalis potestas –; • la statura e il ruolo epocale di Gregorio Magno, questo altissimo papa che si fa erede della cultura romana e in particolare di quella politico-giuridica e diplomatica e nel 603 cita per la prima ed ultima volta in Occidente il maestoso Digesto imperiale; • nell’800 l’incoronazione di Carlo, re dei Franchi e dei Longobardi, a imperatore dei Romani per mano del papa romano; • la renovatio Imperii degli imperatori ottoniani (aa. 962-1002); • la riforma della Chiesa del secolo XI, la cosiddetta lotta delle investiture e lo scontro fra Gregorio VII e Enrico IV per il primato romano (il Dictatus papae è del 1075-1076); • la rivendicazione degli iura regalia di Federico I Barbarossa, la pace di Costanza del 1183 e la teocrazia di Innocenzo III (aa. 1198-1216); • la vittoria della Chiesa su Federico II, e poi la impetuosa riaffermazione ierocratica, a fronte ora della monarchia di Francia, di Bonifacio VIII che con la bolla Unam sanctam del 1302 e la ripresa dell’enunciazione dei duo gladii (la spada spirituale e la spada temporale) decreta Oportet autem gladium esse sub gladio, et temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati. Nam cum dicat Apostolus: Non est potestas nisi a Deo... Subito dopo, però, ecco un andamento più realistico e ‘moderno’, e quindi ecco il papato Avignonese (1309-1376), rivolto più ad una ‘moderna’ poli-
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tica e ad una ‘moderna’ amministrazione 13 che ad un’ideologia teocratica e quindi più al passo con le monarchie europee del tempo, per esempio con la Francia dei Valois (1328-1498), con la Napoli angioina (1282-XV med.), con l’Inghilterra dei Plantageneti, mentre, coerentemente, a metà Trecento (1353, 1364) si attua il recupero e il riordino dei domini della Chiesa in Italia ad opera dell’energico cardinal legato Albornoz. Poi altra acqua sotto i ponti, fino agli albori dell’età moderna, alla dissolvenza di un Impero medievale e insieme alla definizione di uno Stato della Chiesa. Ma è straordinario vedere, per esempio attraverso gli ordines coronationis imperialis, come, pur nel trascorrere dei secoli e nei vari cambiamenti di scena, il vincolo dell’Impero con Dio, in cuius manu sunt corda regum e cuius est omnis potestas et dignitas, resti fermo: è il Papato ad imporre il diadema o corona al nuovo imperatore che giura sui Vangeli, è ancora il Papato (dal XII secolo) autore della traditio dello scettro o virgam virtutis et equitatis, dell’anello regiae dignitatis e del gladio a difesa della Chiesa, del pomum aureum, e così fino alle cerimonie previste nel 1529 per l’incoronazione a Roma di Carlo V, che poi fu incoronato a Bologna nel ’30 14. E ci fermiamo alla Riforma protestante e alla Controriforma italiana che nel Cinquecento, dopo più di cinque secoli dallo scisma della Chiesa d’Oriente (1054), separano da Roma e dall’antico centro dell’Impero, dapprima mediterraneo e poi europeo, altre parti cristiane d’Europa 15. E allora, tornando alle formule d’invocazione e humilitatis tardoantiche e medievali, sono evidenti la loro pregnanza e le loro valenze: esse traducono in senso biblico e cristiano sia la posizione cosmogonica della ‘città terrena’ di s. Agostino (aa. 354-430) sia l’antico e profondo legame della sovranità con il sacro, da cui si è partiti sopra. Allo stesso ordine di motivi, calati e vissuti però entro un orizzonte più piccolo e domestico, si può ricondurre la formula d’onore usata in tanta documentazione comunale 16, riferita al mondo di Dio e in endiadi al santo eponimo e protettore del Comune, per esempio: In Dei nomine, amen. Anno Domini... Ad honorem et reverentiam Dei et beate gloriose virginis Marie matris eius et beatorum apostolorum Petri et Pauli et
GUILLEMAIN, La cour pontificale d’Avignon, in part. Conclusion alle pp. 697-723. I cerimoniali sono editi in M.G.H., Font. iur. Germ., IX, nr. II, XI, XXVII, pp. 3-6, 2531, 161-186. 15 Per tutta questa lunghissima vicenda mi limito a rinviare a: BALLADORE PALLIERI-VISMARA, Acta, con 510 regesti di documenti fra Papato e Impero; CORTESE, Il diritto, II, largo e approfondito sulle successive tappe politico-istituzionali; HAGENEDER, Il sole e la luna, mirato particolarmente ai secc. XII-XIII. 16 BARTOLI LANGELI, La formula d’onore. 13 14
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beati Iohannis Baptiste, patroni et defensoris Comunis et populi civitatis Florentie... 17. Testo di documento pubblico Il testo contiene il determinato e concreto fatto o atto giuridico, documentato nella sua fattispecie. Esso perciò presenta dati ed elementi di vario interesse storico, politico e sociale – una cosa è un documento emesso da Carlo Magno, una cosa è una charta riguardante la vendita intercorsa fra un Pinco e un Pallino –; ma esso presenta in primo piano anche elementi di grandissimo interesse giuridico e diplomatico, poiché proprio il tenore del testo e la sua articolazione e formulazione – che vanno necessariamente inseriti, oggi diremmo contestualizzati, in un quadro globale giuridico-istituzionale e ‘costituzionale’ (di norma o di prassi, ovvero di norma e prassi insieme) – sono fonte del documento stesso e gli conferiscono le sue funzioni. Il testo di un documento pubblico può articolarsi nelle seguenti componenti formali. 1) Arenga (o preambolo, exordium, pröemium). Si tratta di un prologo all’atto che segue, intessuto di principi etici, politico-religiosi, giuridico-istituzionali, che motivino e collochino in prospettiva alta e generale l’atto stesso: forma assai antica se già Platone (428/427-347 a.C.) sostiene la necessità di un proemio persuasivo per la formulazione di una legge (Le leggi, IV, 722 e 726, e cf. Cicerone, de leg. 2, 6), e forma in molti casi significativa di concezioni storicamente importanti, in altri casi clausola di stile interessante come segno di certe tipologie documentarie, di certi periodi di cancelleria e via dicendo, in altri casi ancora testimonianza di motivazioni generali e concrete 18. Ad esempio di quest’ultimo caso, si veda l’arenga di un documento legislativo di Giustiniano del 541, che impone la sottoscrizione (adnotatio) del quaestor Sacri Palatii (diremmo oggi del ministro della giustizia) a tutte le divinae iussiones spedite dalla cancelleria, contro i falsari: Nostrae serenitatis sollecitudo remediis invigilat subiectorum, nec cessamus inquirere, si quid sit in nostra republica corrigendum: ideo namque voluntarios labores adpetimus, ut quietem aliis praeparemus. Unde ad universorum utilitatem pertinere perspeximus, si sacras etiam iussiones cum competenti iubeamus cautela procedere, ne aliquibus liceat eas pro sua voluntate conficere (Nov. 114). 2) Pubblicazione, promulgazione oppure notificazione (publicatio, promulgatio, oppure notificatio). Si tratta, nel primo caso, di una formula redatta in vari
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Documenti per la storia della città di Arezzo, III, nr. 781, p. 17. FICHTENAU, Arenga.
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modi – Notum sit omnibus tam presentibus quam futuris..., Pateat omnibus..., Cognoscant universi... –, che è funzionale alla pubblicità dell’atto erga omnes. La pubblicazione solenne, erga omnes, di alcuni generi di documenti sovrani è certamente un elemento essenziale, pertinente e necessario agli atti documentati. In primo luogo e originariamente, si fa mediante propositio, e cioè affissione del documento in luogo pubblico – foro, santuari –; si continua nel tardoantico (Aereis tabulis vel cerussatis aut linteis mappis scribta per omnes civitates Italiae proponatur lex: C. Th. 11, 27, 1, a. 315) e ci si serve anche, per la legge imperiale, di un’affissione durevole aut tabulis aut lapidibus in porticibus sanctissimae ecclesiae (editto agli arcivescovi e ai patriarchi della terra post Nov. 8, a. 535). In prosieguo di tempo e con lo sviluppo ma anche con l’invecchiamento della macchina burocratica, può supporsi che la pubblicazione sia stata in parte surrogata dalla insinuatio, e cioè dalla trascrizione del documento all’arrivo in acta publica di vario tipo oppure dalla inserzione in sezioni d’archivio pubblico – a questo farebbe pensare la formula lecta actis che spesso chiude in calce una costituzione raccolta nel Codice Teodosiano 19, o l’insinuatio sub gesta con anche propositio prescritta da Nov. 17, 16 (a. 535) –, anche se il termine e la procedura di insinuazione sono in genere noti per pratiche documentarie riguardanti i privati 20. In un lungo alto medioevo, poi, spoglio di un sistema amministrativo e coperto invece di boschi, paludi e di città in rovina, la pubblicazione viene affidata a ‘procedure’ formali diverse: o ad una formula diplomatica inserita in scritti sciolti, come quelle appena accennate sopra, e a un’eventuale lista documentata di intervenientes; ovvero, per altri atti, come l’emanazione di una legge o di un corpo di leggi, ad un rito solenne come quello per gairethinx registrato nell’escatocollo dell’Editto di Rotari (Roth. 386); ovvero, ancora, ad un consenso popolare presupposto da un ‘nuovo’ imperatore d’Occidente: lex consensu populi et constitutione regis fit, a. 864 21. Nel secondo medioevo, invece, la rete ‘mediatica’ più larga e ufficiale, fitta e verticalizzata, è incentrata ad Occidente sulla Chiesa di Roma, che rappresenta di nuovo, attraverso il suo sistema istituzionale, uno straordinario medium di trasmissione e pubblicazione, come per esempio nel caso di una scomunica papale pronunciata contro un imperatore: la bolla di scomunica emessa da Giovanni XXII contro Ludovico il Bavaro, attraverso un sistema piramidale e capillare di gerarchie ecclesiastiche, viene fatta arrivare alle chiese sparse per universum orbem e lì, durante le messe festive, viene pubblicata sollemniter e cioè attraverso simboli (suono di campane e candele accese e spente), lettura dal pul-
C. Th., I, Prolegomena, pp. CLV-CLVI. Sul profilo “paraprocessuale” e sulla funzione probatoria di un’insinuatio apud acta di documento privato insistevo ne Il ‘signum’, pp. 27-28; cf. anche Recensione a Chartae Latinae Antiquiores, pp. 293-307. Ma insinuatio può significare anche ‘consegna’. 21 M.G.H., Capit., II, nr. 273, p. 313. 19 20
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pito ed anche traduzione in vulgari loquela, e di questa avvenuta pubblicazione fanno fede innumerevoli instrumenta notarili; peraltro, le carte sive membrane del processo di scomunica sono state affisse in maioris ecclesie Avinionensis hostiis seu super liminaribus 22. Un’altra pubblicazione sui generis, ma del tutto commisurata ai tempi e alla situazione, è quella adottata per i ‘codici’ di diritto canonico: il Liber Extra promulgato da Gregorio IX nel 1234, o il Liber Sextus promulgato da Bonifacio VIII nel 1298 vengono inviati ai doctores et scholares universi dell’università di Bologna – la prima per lo studio del diritto in Europa – e delle altre grandi università d’Europa come Parigi, volentes igitur (come decreta Gregorio IX) ut hanc tantum compilationem universi utantur in iudiciis et in scholis 23. Diverso il significato, invece, di formule del tipo Universis et singulis ad quos presentes (litteras) advenerint, come in un salvacondotto concesso dal doge di Venezia nel 1444 24: qui si tratta di una notificazione diretta a chiunque debba essere presentato il documento nella sua funzione dispositiva (si tratta di un mandato) e probatoria. 3) Narrazione (narratio). Si tratta di un riferimento, più o meno esteso, ai precedenti e alle circostanze – anche politiche, giuridico-istituzionali, amministrative – che hanno mosso l’atto e la sua documentazione. Può essere perciò di vario tipo: per esempio, nella costituzione del 528 con la quale l’imperatore Giustiniano indìce la composizione del Codex (costituzione Haec) si riferisce delle lungaggini giudiziarie dovute ad un labirinto legislativo (codici Gregoriano, Ermogeniano, Teodosiano e successive costituzioni), dello scopo di uno autem codice... componendo e delle persone incaricate dell’opera (grandi magistrati dello Stato, Teofilo iuris doctor a Costantinopoli e due togati fori amplissimi praetoriani); oppure, in un mandato di Bonifacio VIII del 1297, che tanti studenti leggono e conoscono, il breve accenno ai precedenti riguarda la famosa ribellione della famiglia Colonna al papa e alla sua famiglia Caetani 25; oppure, ancora, nei privilegi di concessione o nei provvedimenti in materia di giustizia diretti a singole persone spesso si ricordano le richieste da queste avanzate – le petitiones trattate, per esempio, dal dettatore Boncompagno da Signa († dopo a. 1240) 26 – e l’eventuale intervento (intercessio) di qualcuno.
22 Documenti notarili che attestano l’avvenuta pubblicazione sono editi da LOPEZ, Instrumenta publicationis, pp. 318-333, 442-448, e da FRASCADORE, La scomunica, pp. 29-95, che però, a mio parere, non coglie la peculiarità dell’atto di pubblicazione e parla genericamente di “informazione” e di “lettura pubblica” e “commento” (?) del documento pontificio. 23 CORTESE, Il diritto, II, pp. 219-221; BERTRAM, Gregorio IX, pp. 13-14, 16. 24 AVARUCCI-PACIARONI, Lettere dogali. 25 Acta pontificum, nr. 20. 26 Sono le preces di C. 1, 29; per le petitiones del dettatore medievale Boncompagno, cf. Briefsteller und Formelbücher, I, p. 154.
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4) Disposizione (dispositio). Riguarda ed esprime l’atto giuridico-istituzionale documentato ed è retta tutta da un verbo che esprime sia il tipo di atto in questione – una cosa è l’emanazione di una norma, una cosa la concessione di un privilegio a qualcuno, una cosa l’emissione di un mandato, ordine o incarico, e via dicendo – sia le capacità e prerogative dell’autorità emittente nel suo storico profilo ‘costituzionale’: una cosa è l’imperatore nell’età del Principato, un’altra cosa è l’imperatore in età tardoantica – quando si passa da Constitutio principis est, quod imperator decreto vel edicto vel epistula constituit. Nec umquam dubitatum est, quin id legis vicem optineat, cum ipse imperator per legem imperium accipiat del famoso Gaio del II secolo (I, 5) al Quod principi placuit, legis habet vigorem... Quodcumque igitur imperator per epistulam et subscriptionem statuit vel cognoscens decrevit vel de plano interlocutus est vel edicto praecepit, legem esse constat. Haec sunt quas vulgo constitutiones appellamus di D. 1, 4, 1 e I. 1, 2, 6 –; un’altra cosa sono i re e gli imperatori altomedievali, qui in Occidente; un’altra cosa è la sovranità del secondo medioevo 27; un’altra cosa ancora è il papato nella sua storia millenaria. E che il verbo del dispositivo – dai censemus, iubemus, statuimus, sancimus, mandamus tardoantichi, ai decernimus, decrevimus, praecipimus o confirmamus, donamus altomedievali –, il contenuto o i contenuti del dispositivo stesso e le clausole/formule relative, come quella dell’ex certa scientia 28, siano tutte tipicità formali di spiccato significato – il mandamus per esempio segnerà documenti a funzione dispositiva – lo segnalano robuste e sostanziose indagini come per esempio quelle di Cencetti e di Classen per l’età romana 29 o dell’Hageneder citato sopra. 5) Sanzione (sanctio, minatio). Si tratta della minaccia di una pena prevista per i trasgressori delle disposizioni emesse (sanctio negativa), o anche eventualmente di una promessa di ricompensa per gli osservanti (sanctio positiva); è spesso molto interessante e significativa sia nel suo tenore complessivo sia per singoli termini del dettato, come manifestano i pochi seguenti esempi: • 853, diploma di Ludovico II per il monastero di Monte Amiata (Siena): Si quis vero, quod futurum minime credimus esse, quilibet homo magna parvaque persona contra hoc nostrum imperiale muniminis praeceptum temerario ausu contendere aut inrumpere, molestare aut inquietare seu evacuare vel diminorare aut etiam inbeneficiare predictas cellulas et curtes pre≈sumpserit aut aliqua violentia quandoque tempore inferre pre≈sumptor extiterit, sciat se compositurum argentis libras .XXX. et auri ebrizi libras .V., medietatem palatio nostro et medietatem eisdem aecclesiae rectoribus 30;
CALASSO, I glossatori e la teoria della sovranità, e CORTESE, Il problema della sovranità. V. sopra, cap. I, testo corrispondente a n. 72. 29 CENCETTI, Tabularium principis; CLASSEN, Kaiserreskript; HAGENEDER, Päpstliche Reskripttechnik, per il basso medioevo. 30 M.G.H., Dipl. Kar., IV, nr. 71, pp. 207-208; v. anche ChLA2, LXIII, nr. ** tra il nr. 29 e il nr. 30. 27 28
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a. 1116, diploma di Enrico V per Tribuno, abate di S. Giorgio di Venezia: Quod si quis hoc edictum fregerit sciat se compositurum .C. libras auri, medietatem imperatoris camere et medietatem prenominato Tribuno... 31; • a. 1177, diploma di Federico I Barbarossa per S. Giorgio di Venezia: Si quis autem contra hec nostre≈ imperatorie≈ preceptionis statuta et iussa aliquatenus venire et aliqua ex his infringere aut violare attemptaverit, pena centum librarum auri purissimi noverit se condempnatum, quarum medietas imperiali fisco, residua predicte≈ ecclesie≈... 32; • a. 967, privilegio di papa Giovanni XIII per il capitolo di Bologna: Si quis autem, quod minime credimus, contra hanc nostram apostolicam iussionem aliter, quam supradiximus, agere praesumpserit vel molestare aut pignorare... sciat se, nisi resipuerit a tali inlicito opere, auctoritate Dei et beati Petri, apostolorum principis, et nostra et trecentorum decem et octo sanctorum patrum excommunicatum et a Christi ecclesia extraneum, insuper anathematis vinculis innodatum et cum Iuda, traditore domini nostri Iesu Christi, eiusque atrocissimi flammis dimergatur in voraginem inferni, ut nunquam inde redigatur ad superos, quousque ad veram satisfactionem et emendationem cito non cucurrerit. Qui vero custos et observator huic nostrae apostolicae iussioni in omnibus supradictis extiterit, benedictionis gratiam et misericordiam a Iesu Christo, domino Deo nostro, et beato Petro apostolorum principe, et a nobis consequi mereatur, et vitae aeternae particeps atque cum sanctis omnibus sociatus permaneat 33. 6) Corroborazione (corroboratio): si tratta di un segmento formulare che riporta sia l’ordine di documentazione dato dall’autorità (iussio, admonitio) sia il mezzo di convalida usato, per esempio il sigillo; in alcuni casi la terminologia adottata è particolarmente significativa, per esempio: a. 880, diploma di Carlo III il Grosso per il monastero di S. Salvatore in Tolla: Haec vero nostrae confirmationis praecepto ut per futura tempora ratam ac stabilem optineat firmitatem, manu propria subter ea confirmavimus et anuli nostri impressione adsiggillari iussimus 34. Protocollo finale (escatocollo) di documento pubblico Questa ‘cornice’ di chiusa ha spesso un aspetto assai importante per forme di contrassegno e marcatura che vedremo a loro luogo. Quanto alle tipiche forme di struttura del testo esse sono:
Diplomi imperiali e reali, nr. XIII. M.G.H., Dipl. reg. imp. Germ., X/3, nr. 696, p. 223. 33 Acta pontificum, nr. 2; per la forma di sanctio più usuale nel documento pontificio, v. ibid., nr. 23. 34 M.G.H., Dipl. Kar. Germ., II, nr. 26, p. 44. 31 32
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– sottoscrizioni, autografe o non autografe: dell’emittente, dall’adnotatio e subscriptio imperiale, in inchiostro di porpora in età tardoantica (C. 1, 23, 6), ai pochi eventuali segni autografi dei sovrani medievali; di eventuali intervenientes; di dignitari di cancelleria, come, per esempio, nell’anno 541 aveva prescritto Giustiniano per le divinae iussiones, che appunto dovevano recare la adnotatio o subscriptio del quaestor Sacri Palatii (Nov. 114). Delle ‘sottoscrizioni’ di rescritti e suppliche – per rescripsi, recognovi e per fiat – si dirà più avanti. – datazione (datatio) di tempo e di luogo (cronica e topica). La datazione cronica segue evidentemente i vari sistemi storici di cronologia 35, e quindi è data per consoli in età romana – Si qua beneficia personalia sine die et consule fuerint deprehensa, auctoritate careant (C. 1, 23, 4) –, almeno fino a Giustiniano, che nel 537, in una bellissima Novella (che nella praefatio = arenga/narrazione ricorda Aeneas Troianus rex reipublicae princeps, e poi i reges Romulus et Numa e infine i Cesari), prescrive che la documentazione sia datata innanzi tutto per anni d’impero (Nov. 47); in pieno medioevo, infine, si cominciano ad usare gli anni di Cristo 36. – eventuale apprecatio di chiusa, del tipo amen amen amen, feliciter. Esempio 1 Costituzione di Giustiniano, 7 aprile 529, Costantinopoli. Da: Codex Iustinianus, pp. 2-3. Si tratta della costituzione di promulgazione del Codex Iustinianus indirizzata al prefetto del pretorio: lo straordinario documento rappresentato dall’insieme di questa costituzione e del textus Codicis tutto (v. più avanti, par. 10), segnato dalla subnotatio imperiale, sarà pubblicato e inviato alle singole provincie dell’Impero dal prefetto stesso, edictis ex more propositis. (P) IMPERATOR IUSTINIANUS PIUS FELIX INCLITUS VICTOR AC TRIUMPHATOR SEMPER AUGUSTUS MENAE VIRO ILLUSTRI PRAEFECTO PRAETORIO II EX PRAEFECTO HUIUS ALMAE URBIS AC PATRICIO. (A) Summa rei publicae tuitio de stirpe duarum rerum, armorum atque legum veniens vimque suam exinde muniens felix Romanorum genus omnibus anteponi nationibus omnibusque dominari tam praeteritis effecit temporibus quam deo propitio in aeternum efficiet. istorum etenim alterum alterius auxilio semper viguit, et tam militaris res legibus in tuto collocata est, quam ipsae leges armorum praesidio servatae sunt. merito igitur ad primam communium rerum sustentationis semina nostram mentem nostrosque labores referentes militaria quidem agmina multiplicibus et omnem providentiam continentibus modis correximus, tam veteribus ad meliorem statum brevi tempore reductis, quam novis non solum exquisitis, sed etiam recta dispositione nostri nu-
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DEL PIAZZO, Manuale di cronologia; sempre utilissimo CAPPELLI, Cronologia. PIATTOLI, L’èra di Cristo.
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minis sine novis expensis publicis constitutis, legum vero praesidia primo servando positas, deinde novas ponendo firmissima subiectis effecimus. (N) 1. Sed cum sit necessarium multitudinem constitutionum tam in tribus veteribus codicibus relatarum quam post eorum confectionem posterioribus temporibus adiectarum ad brevitatem reducendo caliginem earum rectis iudicum definitionibus insidiantem penitus extirpare, ad hoc commune praestandum beneficium deo praesule prono animo nos dedidimus et electis viris gloriosissimis tam doctrina legum quam experientia rerum studioque pro re publica indefesso et laudabili proposito pollentibus sub certis finibus magnum laborem commisimus, per quem tam trium veterum Gregoriani et Hermogeniani atque Theodosiani codicum constitutiones quam plurimas alias post eosdem codices a Theodosio divinae memoriae ceterisque post eum retro principibus, a nostra etiam clementia positas in unum codicem felici nostro vocabulo nuncupandum colligi praecepimus: tollendis quidem tam praefationibus nullum suffragium sanctioni conferentibus quam contrariis constitutionibus, quae posteriore promulgatione vacuatae sunt, similibus etiam praeter eas, quae eadem paene sanciendo divisionem iuris aliquam facere noscuntur, ex qua dividendo vetera novum aliquid nasci videtur, multis insuper aliis ad rectam huiusmodi codicis compositionem pertinentibus isdem prudentissimis viris a nostro numine mandatis. 2. Et nostro studio pro re publica instituto suum praesidium deus omnipotens adnuit. ad istum enim laborem et tanti operis consummationem electi vir excellentissimus ex quaestore nostri palatii consularis ac patricius IOHANNES et vir sublimissimus ex praefecto praetorio consularis atque patricius LEONTIUS virque eminentissimus magister militum consularis atque patricius PHOCAS et vir excellentissimus ex praefecto praetorio per Orientem et patricius et nunc praefectus praetorio per Illyricum BASILIDES et vir gloriosissimus quaestor sacri nostri palatii et ex consule THOMAS, immo et vir magnificus magisteria dignitate inter agentes decoratus TRIBONIANUS virque illustris comes largitionum inter agentes et magister scrinii libellorum et sacrarum cognitionum CONSTANTINUS et vir illustris ex magistro et iuris doctor in hac alma urbe THEOPHILUS, viri etiam disertissimi togati amplissimi fori tuae sublimitatis DIOSCORUS atque PRAESENTINUS omnia, quae eis mandavimus, cum sedula et pervigili industria moderataque digestione cum dei auxilio ad prosperum tulerunt terminum et eundem novum Iustinianum codicem nobis obtulerunt ita compositum, ut et rebus profuturus esset communibus et nostro convenisset imperio. (D) 3. Hunc igitur in aeternum valiturum iudicio tui culminis intimare prospeximus, ut sciant omnes tam litigatores quam disertissimi advocati nullatenus eis licere de cetero constitutiones ex veteribus tribus codicibus, quorum iam mentio facta est, vel ex iis, quae novellae constitutiones ad praesens tempus vocabantur, in cognitionalibus recitare certaminibus, sed solis eidem nostro codici insertis constitutionibus necesse esse uti, falsi crimini subdendis his, qui contra haec facere ausi fuerint, cum sufficiat earundem constitutionum nostri codicis recitatio adiectis etiam veterum iuris interpretatorum laboribus ad omnes dirimendas lites, nullaque dubitatione emergenda vel eo, quod sine die et consule quaedam positae sunt, vel quod ad certas personas rescriptae sunt, cum omnes generalium constitutionum vim obtinere procul dubio est. sed et si quae earundem constitutionum detractis vel additis vel permutatis certis verbis, quod et ipsum praefatis excellentissimis viris specialiter permisimus, compositae sunt, nulli concedimus ex libris veteris iuris interpretatorum aliter eas habentes recitare, sed solam iuris interpretatoris sententiam commendare, ut tunc teneat, cum minime adversetur eiusdem nostri codicis constitutionibus. 4
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Si quae vero pragmaticae sanctiones, quae minime in eodem nostro codice receptae sunt, civitatibus forte vel corporibus vel scholis vel scriniis vel officiis vel alicui personae impertitae sunt, eas, si quidem aliquod privilegium speciali beneficio indulgent, omni modo ratas manere, sin vero pro certis capitulis factae sunt, tunc tenere, cum nulli nostri codicis adversantur constitutioni, praecipimus. sed et si qua regesta in tui culminis iudicio vel in aliis iudiciis civilibus vel militaribus vel apud principia numerorum pro publicis expensis vel quibuscumque titulis ad publicum pertinentibus posita sunt, ea etiam, prout communis rei commoditas exigit, firma esse censemus. 5 Illustris igitur et magnifica auctoritas tua pro innato sibi circa rem publicam nostrasque dispositiones explendas studio ad omnium populorum notitiam eundem codicem edictis ex more propositis pervenire faciat, ipso etiam textu codicis in singulas provincias nostro subiectas imperio cum nostra divina subnotatione mittendo, ut eo modo ad omnium notitiam eiusdem nostri codicis constitutiones valeant pervenire, ut extantibus festis diebus, id est ex die sexto decimo kalendas Maias praesentis septimae indictionis consulatu Decii viri clarissimi recitationes constitutionum ex eodem nostro codice fiant. (E) Data VII id. April. Constantinopoli Decio viro clarissimo consule.
Esempio 2 Precetto di Carlo Magno, 17 luglio 808, palazzo di Aquisgrana. Da: M.G.H., Dipl. Kar., I, nr. 208, pp. 278-279. (C.) * In nomine patris et filii et spiritus sancti. Karolus serenissimus augustus [a] deo coronatus magnus pacificus imperator Romanum gub[ern]ans imperium, qui et per misericordiam dei rex Francorum et Langobardorum.* Notum sit omnium fidelium nostrorum magnitudini praesentium scilicet et futuror[um], qualiter nos deo favente et sanctorum principum apostolorum merita interc[eden]te regnum Langobardorum adquesivimus et pro credentiis aliquos Langobardos foras patriam in Francia ductos habuimus, quos in postmodum ad depraecationem dilecti filii nostri Pippini gloriosi regis ad patriam remisimus et eorum legitimam hered[it]atem, quam habuimus in fisco revocatam, reddere aliquibus iussimus. Ex quibus unus ex illis nomine de civitate Regia ad nostram accedens clementiam serenitati nostrae petiit, ut per praeceptum auctoritatis nostrae omnes res, quascumque tunc tempore iuste et rationabiliter in hereditate legitima possidere videbatur, quando in Francia ductus est, et nos ei in postmodum reddere iussimus, denuo plenissima deliberatione cedere et confirmare deberemus. Cuius petitionem denegare noluimus, sed pro mercedis nostrae augmentum et aelimosina antedicti filii nostri ita concessisse et in omnibus confirmasse cognoscite. Praecipientes ergo iubemus, quod perpetualiter circa eum manere volumus, ut, quamdiu nobis ac dilecto filio nostro fideliter deservierit, omnes res, ut diximus, proprietatis suae, undecumque tunc tempore iusto tramite vestitus fuit, quando in Francia per iussionem nostram ductus est, et nos ei in postmodum reddere iussimus, deinceps per hanc nostram auctoritatem iure firmissimo teneat atque possideat vel quicquid exinde facere voluerit, liberum in omnibus perfruatur arbitrium. Et ut haec praeceptio atque confirmatio nostris futurisque
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temporibus inviolata permaneat, manu propria subter conroborare decrevimus et de anulo nostro sigillari iussimus. *Signum (MF.) domni Karoli piissimi ac serensiimi imperatoris.* (C.) * Blado advicem Ercanbaldi scripsi et* (SR. NT.: Blado advicem Ercanbaldi scripsi et subscripsi). (SI. D.) Data XVI kal. augustas anno VIII Christo propitio imperii nostri et XL anno regni nostri in Francia atque XXXVIII in Italia, indictione prima; actum Aquisgrani palatio nostro; in dei nomine feliciter amen. Esempio 3 Mandato di Federico I Barbarossa, a. 1155. Da: M.G.H., Dipl. reg. imp. Germ., X/1, nr. 121, pp. 204-205. F(ridericus) dei gratia Romanorum imperator semper augustus Mantuanis, Brixiensibus, Pergamensibus consulibus et cuncto populo tam minoribus quam maioribus gratiam suam et bonam voluntatem. Scire debet universitas vestra, quod Mediolanenses ob plurima incendia et rapinas, que in Italia sce[leratis]sime exercuerunt, nostram indignationem meruerunt et, cum sepius vocati iusticiam fugerent, ex sententia principum imperiali banno eos subiecimus et in penam sue perfidie in celebri curia ex iudicio multorum principum tam Italicorum quam Teutonicorum omnibus regalibus et nominatim moneta et teloneo eos privavimus. Quia vero eadem moneta in nostra potestate relicta est et nostro arbitrio eam dandam iustitia dictavit, placuit nobis fidelissimis nostris Cremonensibus ius eiusdem monete donare et imperiali auctoritate confirmare. Universitati itaque vestre mandamus et sub obtentu gratie nostre et per fidelitatem, quam nobis iurastis, vobis precipimus, quatinus novam monetam a Mediolanensibus factam per terram vestram ubique dari accipi proibeatis et eam tamquam falsam et adulterinam in omni commercio refutari faciatis. Mandamus preterea et per iuramentum, quod nobis iurastis, vobis precipimus, ut Mediolanensibus nullum transitum per terram vestram ad lesionem Papiensium, Cremonensium et Nouarensium concedatis nec ullum eis auxilium impendatis, sed ipsos Papienses et Nouarienses [et Cremonenses] pro [nostra] gratia fideliter et viriliter adiuvetis. Esempio 4 Privilegio di Innocenzo III, 13 ottobre 1207, Viterbo. Da: Acta pontificum, nr. 13. Innocentius episcopus, servus servorum Dei, dilectis filiis Clario abbati Sancti Leucii quod in civitate Tudertina situm est, eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regularem vitam professis, in perpetuum. | Religiosam vitam eligentibus apostolicum convenit adesse presidium, ne forte cuiuslibet temeritatis incursus aut eos a proposito revocet aut robur quod absit sacre religionis in|fringat. Eapropter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus clementer annuimus et prefatum Sancti Leucii mona-
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sterium quod speciale nostrum est, in quo di|vino estis obsequio mancipati, ad exemplar predecessorum nostrorum sancte recordationis Eugenii et Alexandri pontificum Romanorum sub beati Petri et nostra protectione suscipi|mus et presentis scripti privilegio communimus, statuentes ut quascumque possessiones, quecumque bona idem monasterium impresentiarum iuste ac canonice | possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit adipi|sci, firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis: ecclesiam Sancti Benedicti infra civitatem, ecclesiam Sancti | Iacobi de Colle de Cuti cum omnibus pertinentiis suis, ecclesiam Sancti Sixti iuxta Natam, ecclesiam Sancti Martini de Puliano, ecclesiam Sancte Marie de Gradelle cum duabus | capellis, Sancti Christofori et Sancti Laurentii et cum omnibus pertinentiis suis, ecclesiam Sancti Iohannis de Metata, ecclesiam Sancte Marie de Colle Catonis cum ecclesia de Montione et | omnibus pertinentiis suis, ecclesiam Sancti Iohannis in Plano cum omnibus pertinentiis suis, ecclesiam Sancti Ilarii de Ripaioli, ecclesiam Sancti Laurentii de Loreto, ecclesiam Sancti Ze|nonis cum omnibus pertinentiis earum, ecclesiam Sancti Angeli de Mastramilt cum pertinentiis suis, et ecclesiam Sancti Laurentii de Monte Arci cum pertinentiis suis et ho|spitale Sancti Cataldi iuxta Arnatam fluvium. Crisma vero oleum sanctum, consecrationes altarium seu basilicarum, ordinationes clericorum qui ad sacros ordines fuerint | promovendi a diocesano suscipietis episcopo, siquidem catholicus fuerit, et ea gratis et absque ulla pravitate vobis voluerit exhibere; alioquin liceat vobis quemcumque | malueritis adire antistitem qui nostra fultus auctoritate vobis quod postulatur indulgeat. Ad hec presenti decreto sancimus ut nulli nisi Romano pontifici debe|atis esse subiecti aut aliqua subiectione astricti ut libere ac quiete Domino ibidem servire possitis. Obeunte vero te, nunc eiusdem loci abbate, vel tuo|rum quolibet successorum, nullus ibi qualibet subrectionis astutia seu violentia preponatur, nisi quem fratres communi consensu vel fratrum pars consilii sanioris secundum | Dei timorem et beati Benedicti regulam providerint eligendum; electus autem ad Romanum pontificem munus benedictionis percepturus accedat. Decernimus | ergo ut nulli omnino hominum liceat prefatum monasterium temere perturbare aut eius possessiones auferre vel ablatas retinere, minuere seu quibuslibet vexa|tionibus fatigare, sed illibata omnia et integra conserventur eorum, pro quorum gubernatione ac sustentatione concessa sunt, usibus omnimodis profutura, salva | sedis apostolice auctoritate. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere venire temp|taverit, secundo tertiove commonita, nisi presumptionem suam digna satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat reamque se divino iudicio | existere de perpetrata iniquitate cognoscat et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini redemptoris nostri Iesu Christi aliena fiat atque in extremo examine districte | ultioni subiaceat. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Iesu Christi, quatinus et hic fructum bone actio|nis percipiant et apud districtum iudicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen. (R) Ego Innocentius catholice ecclesie episcopus ss. (BV) + Ego Iohannes Albanensis episcopus ss. + Ego Iohannes Sabinensis episcopus ss. + Ego Nicholaus Tusculanus episcopus ss. + Ego Guido Prenestinus episcopus ss.
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+ Ego Cinthius tituli Sancti Laurentii in Lucina presbiter card. ss. + Ego Benedictus tituli Sancte Susanne presbiter card. ss. + Ego Rogerius tituli Sancte Anastasie presbiter card. ss. + Ego Gregorius Sancti Georgii ad Velum Aureum diaconus card. ss. + Ego Iohannes Sancte Marie in Via Lata diaconus card. ss. + Ego Iohannes Sanctorum Cosme et Damiani diaconus card. ss. + Ego Pelagius Sancte Lucie ad Septa Solis diaconus card. ss. Datum Viterbii, per manum Iohannis [sancte] Marie in Cosmidin diaconi cardinalis sancte Romane ecclesie cancellarii, III idus octubris, indictione XI, incarnationis dominice anno MCCVII, pontificatus vero donni Innocentii pape III anno decimo. (S) Esempio 5 Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II, a. 1996. Da: «Acta Apostolicae Sedis», 88 (1996), pp. 305-343. Cf. PIAZZONI, Storia, pp. 298 e ss. (P) IOANNES PAULUS PP. II SERVUS SERVORUM DEI AD PERPETUAM REI MEMORIAM (A) Universi Dominici Gregis Pastor est Romanae Ecclesiae Episcopus, in qua Beatus Petrus Apostolus, divina disponente Providentia, Christo per martyrium extremum sanguinis testimonium reddidit. Plane igitur intellegitur legitimam apostolicam in hac Sede successionem, quacum “propter potentiorem principalitatem, necesse est omnem convenire Ecclesiam”, usque peculiari diligentia esse observatam. (N) Hanc propter causam Summi Pontifices, saeculorum decursu, suum ipsorum esse officium aeque praecipuum ius extimaverunt opportunis normis Successoris electionem moderari. Sic, proximis superioribus temporibus, Decessores Nostri Sanctus Pius X, Pius XI, Pius XII, Ioannes XXIII et novissime Paulus VI, pro peculiaribus temporum necessitatibus, providas congruentesque curaverunt regulas de hac quaestione ferendas, ut convenienter procederent apta praeparatio atque accurata evolutio consessus electorum cui, vacante Apostolica Sede, grave omninoque difficile demandatur officium Romani Pontificis eligendi. Si quidem nunc et Ipsi hoc aggredimur negotium, id certe facimus haud parvi aestimantes normas illas quas e contrario penitus colimus quasque magna ex parte confirmandas censemus, saltem quod ad praecipua elementa et principia primaria attinet quae eas informarunt. Ad hoc suscipiendum movemur propterea quod Nobis sumus conscii mutatas esse condiciones in quibus hodie Ecclesia versatur, atque proinde esse necesse ut canonica lex, funditus retractata, prae oculis habeatur, quae feliciter, cunctis plaudentibus Episcopis, primum Codicis Iuris Canonici deinde Codicis Canonum Ecclesiarum Orientalium per editionem et promulgationem ad effectum est adducta. Huic retractationi, quam Concilium Vaticanum II suasit, Nobis deiceps fuit curae ut Romana Curia Constitutione Apostolica Pastor bonus accommodaretur. Ceterum id quod canon 335 Codicis Iuris Canonici statuit, quodque canon 47 Codicis Canonum Ecclesiarum Orientalium
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confirmat, officium innuit ferendi atque ad praesentia accommodandi peculiares leges quae canonicam Romanae Sedis provisionem, quavis ratione vacantis, moderentur. In nova constituenda disciplina, quamquam nostrae aetatis postulata respeximus, ne in re a via declinaremus sapientis et venerandae traditionis usque adhuc servatae curavimus. Sine controversia illud videtur principium cuius vi Romanorum Pontificum est proprium modum definiendi, congruentem cum temporum mutatione, secundum quem persona designanda est, quae in Romana Sede ad Petri successionem vocatur. Id ante omnia personarum coetum respicit, cui officium concreditur Romani Pontificis eligendi: secundum millenariam consuetudinem, quam definitae canonicae leges sanxerunt quae expressa vigentis Codicis Iuris Canonici norma quoque confirmantur (cfr can. 349 C.I.C.), ipse e Cardinalium Sanctae Romanae Ecclesiae Collegio constat. Si quidem doctrina est fidei Summi Pontificis potestatem ab ipso Christo oriri, cuius ipse in terris est Vicarius, illud etiam pro certo est habendum talem supremam in Ecclesia potestatem eidem tribui legitima electione ab ipso acceptata una cum episcopali consecratione seu ordinatione. Gravissimum ideo est officium coetus huic electioni deputati. Quapropter admodum certae persicuaeque esse debent normae quae processum temperant, ut electio ipsa quam dignissime explicetur et ea consentanea sit officio summae auctoritatis, quam electus per divinam immissionem seu assensu suscipere debet. (D) Confirmantes idcirco vigentem Codicis Iuris Canonici regulam (cfr can. 349 C.I.C.), in qua plane apparet millenarius Ecclesiae agendi mos, denuo iteramus electorum Summi Pontificis Collegium solummodo constitui ex Patribus S.R.E. Cardinalibus. In iis, quodam quasi mirabili compendio, duae rationes habentur quae figuram officiumque Romani Pontificis designant: scilicet Romani, quia idem est ac Episcopus Ecclesiae quae est Romae, ideoque inter Ipsum et huius Urbis Clerum, cuius personam ferunt Cardinales titolorum presbyteralium et diaconalium Romae nec non Cardinales Episcopos Sedium suburbicariarum, arta intercedit necessitudo; Pontificis Ecclesiae universalis, quoniam visibiliter ad sustinendas partes vocatur invisibilis Pastoris, qui ad vitae eternae pascua ducit integrum gregem. Ecclesiae porro universalitas ipsa Patrum Cardinalium Collegii compositione demonstratur, quod singularum continentium Purpuratos amplectitur. In hodiernis historicis adiunctis facies universalis Ecclesiae a Collegio centum et viginti Cardinalium electorum satis iam significari videtur, quod constat ex Purpuratis undique terrarum oriundis diversissimisque culturis. Hunc igitur absolutum Cardinalium electorum numerum confirmamus, dum interea plane dicimus minoris aestimationis argumentum illud videri non debere, servatum scilicet praescriptum a Decessore Nostro Paulo VI statutum, cuius vi electioni non intersunt ii qui ipso die inceptae vacationis Sedis Apostolicae octoginta vitae annos iam expleverunt. Huius namque legis ratio in illa tantum voluntate exquirenda est ne venerandae aetatis ponderi aliud addatur onus, quod secum fert responsalitas eum eligendi qui Christi gregem convenienter secundum temporum necessitates regere debeat. Id tamen non obstat quin Patres Cardinales, qui octoginta annos excesserunt, congressionibus Conclave praeeuntibus intersint, prout infra disponitur. Ad iis proinde peculiariter requiritur ut, Sede vacante ac potissimum Summi Pontificis electione eveniente, quasi duces Dei Populi facti in Patriarchalibus Urbis Basilicis coadunati perinde ac aliis in dioecesium ecclesiis ubique terrarum dispersis, plurima prece et Divino Spiritui supplicationibus electorum opus iuvent, pro eis necessarium Lumen deprecantes, ut suum eligendi officium obeant Deum tantum ob oculos habentes et solummodo spectantes ad “salutem animarum, quae in Ecclesia suprema semper Lex esse debet”.
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Peculiari modo ad Conclavis antiquissimum institutum cogitationem nostram intendimus: leges latas pariter ac de hac re usus sanxerunt et definierunt sollemnia complurium Decessorum Nostrorum quoque praecepta. Diligens autem historica inquisitio non modo opportunitatem confirmat, quae hoc institutum respicit, propter adiuncta in quibus tempore progrediente ipsum ortum est atque lege definitum, verum etiam eius constantem utilitatem ad eandem electionem ordinate, sollicite et composite agendam, temporibus potissimum occurrentibus contentionis et perturbationis. Hac prorsus de causa, quamvis conscii Nobis simus de theologorum et omnium aetatum canonistarum iudicio, qui communi sententia hoc institutum putant non necessarium suapte natura ad validam Romani Pontificis electionem, hac Constitutione iubemus eius essentialem structuram manere, quibusdam additis immutationibus, ut eius disciplina hodiernis postulatis accommodetur. Praecipue opportunum esse iudicavimus ut, toto electionis tempore, Cardinalium electorum domicilia et illorum qui ad opera praestanda vocantur quibus electio ordinate evolvatur, in convenientibus locis Civitatis Vaticanae collocentur. Quamvis parva, Civitas Vaticana par est, aptis adhibitis quae infra significabuntur rationibus, ad segregationem illam et ideo meditationem intra ipsius moenia conciliandas, quas actus tanti ponderis cuncta pro Ecclesia ab electoribus postulat. Spectata simul sacra actus indole ideoque etiam necessitate ut idem expleatur convenienti in sede, in qua hinc liturgicae actiones scite cum iuridicialibus formulis coniungantur, atque illinc ut electoribus facilius animos disponendi ad interiores Spiritus Sancti motus suscipiendos potestas detur, decernimus ut electio in Sacello Sixtino futurum in tempus etiam explicetur, ubi omnia Dei praesentiae conscientiam alere iuvant, in cuius conspectu quisque, ut iudicetur, comparere debebit. Apostolica Nostra auctoritate confirmamus praeterea strictissimi officium secreti servandi de his omnibus quae recte obliquove ad electionis actus attinet: hac de re tamen simpliciores reddere normas volumus, praecipua tenentes, ut haesitationes dubitationesque atque conscientiae forte angustiae vitentur illorum qui electioni intersunt. Formam tandem ipsam electionis censuimus renovandam, hodierna postulata ecclesialia ac sana recentioris hominum culturae proposita ob oculos etiam habentes. Sic visum est electionem per conclamationem factam quasi ex inspiratione non relinqui, quia non idoneam iudicamus ad mentes significandas electivi collegii iam sic numero amplificati et ortu distincti. Necessarium pariter putamus electionem per compromissum aboleri non modo quia difficile agitur, quemadmodum normarum cumulus inextricabilis demonstrat quae praeteritis temporibus hac de re latae sunt, sed etiam quia talis est natura, ut quandam electorum officii conscientiam imminutam secum ferat, quippe qui, hoc si ita evenit, ad sua suffragia ferenda non ipsi vocentur. Re igitur mature perpensa, decrevimus unam esse formam, per scrutinium scilicet secretum, in qua electores sua suffragia significare possunt ad Summum Pontificem eligendum; quod secundum normas infra descriptas explicatur. Modus namque hic quam optimas praebet perspicuitatem, rectitudinem, simplicitatem, perspicientiam atque praesertim certam et constructivam omnium singulorumque Patrum Cardinalium participationem, qui ad conventum electivum Petri Successoris vocantur. His quidem permoti animi sensibus, hanc Constitutionem Apostolicam promulgamus, in qua normae continentur quibus, Sede Romana quavis ratione causave vacante, stricte est parendum a Cardinalibus qui ius tenent officiumque Petri Successoris eligendi, qui est universae Ecclesiae visibile Caput atque Servus servorum Dei.
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[Pars prima, de Sede Apostolica vacante, cc. I-V] [Pars altera, de electione Romani Pontificis, cc. I-VII] Has igitur normas, omnibus rebus graviter perpensis atque Decessorum Nostrorum exemplum secuti, statuimus et praescribimus, decernentes ut nemini hanc Constitutionem et quae in ea continentur qualibet de causa impugnare liceat. Ea quidem religiosis servetur, contrariis quibusvis nihil obstantibus, etiam specialissima mentione dignis. Quam volumus plenam et integram vim suam sortiri et obtinere, ut subsidio sit omnibus quorum interest. (E) Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XXII mensis Februarii, die festo Cathedrae sancti Petri Apostoli, anno MCMXCVI, Pontificatus Nostri duodevicesimo. Ioannes Paulus pp. II
3. Forme del discorso nel documento pubblico (ess. 6-9). – Prendiamo le mosse dall’età romana, perché da questa muovono termini, tipi documentari e forme che passeranno al medioevo – all’alto medioevo impoverite e semplificate, al secondo medioevo di nuovo complesse e multiformi, anche se adattate, tradotte e usate ‘alla moderna’ –, e passeranno poi all’età moderna fino alla nostra contemporaneità. Il tema delle tipologie documentarie d’età romana è assai intricato e la questione presenta tutt’ora moltissimi problemi, malgrado gli apporti di grandi specialisti in materia, sia perché riguarda un periodo di tanti secoli, con tutti i mutamenti verificatisi, sia per la difficoltà di interpretare in modo sicuro e univoco le tante fonti indirette che sopperiscono al naufragio dei documenti veri e propri. Si tratterà in una seconda parte di praecepta e mandata, di decreta, adnotationes e subscriptiones, privilegia e beneficia, di pragmaticae sanctiones e quant’altro; per intanto, si guarda a tre forme basilari di composizione del discorso che in vario modo incidono su molte tipologie diplomatiche di ogni tempo: l’edictum, l’epistula, il rescriptum. L’editto – prima dei magistrati, poi in età imperiale dell’imperatore e dei magistrati –, è documento a carattere generale e solennissimo, che nella sua forma originaria – prima un discorso introduttivo e indiretto, XY (e )dicit, poi il dispositivo in prima persona – sembrerebbe sottolineare sia un passaggio dall’oralità alla scrittura, sia la manifestazione più diretta e proclamata (e-dicere) della volontà sovrana. Tale forma sembra assai antica; e, per inciso, il suo modulo – discorso indiretto e poi discorso diretto – sembra richiamare temi, di grandissimo interesse ma a me ignoti, circa lo sviluppo mentale dell’uomo dalle origini alle prime fasi di verbalizzazione: il bambino comincia a parlare di sé in terza persona, dice per esempio di sé “Giuseppe è buono” 37. Comunque la forma documentaria edittale si ritrova, per esempio, nelle tavolette cu-
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Per es. PIAGET, L’épistémologie génétique, e PISCICELLI, La luna.
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neiformi di Ebla (aa. 2350-2300 a.C.) per le ordinanze del sovrano – Così (dice ) una persona ad un’altra persona e a seguire il discorso diretto 38 – oppure riportata in uno straordinario capitolo della Bibbia (Est 3, 11-15) riferita a re Serse di Persia (V secolo a.C.). Ed anche quando, nel tardoantico, la tipicità di essa si perde ed è surrogata, per esempio, dalla forma dell’epistula (v. di seguito), resta il nome di editto sia per solenni documenti imperiali, sia per documenti di pubblicazione/promulgazione emanati dalle alte cariche dell’impero (v. sopra es. 1, in fine ). L’epistula indica sia un tipo di documento sia una forma del discorso: una forma che è la pura messa per iscritto di un discorso diretto – ‘Io (dico) a te...’, con eventuale saluto e data –, e che può rivestire altri tipi documentari come l’editto visto sopra o il rescritto che segue. Il rescritto (rescriptum) è, come dice il nome, una risposta dell’imperatore ad una istanza di qualcuno (preces o libellus o supplicationes), una istanza sia su un punto di diritto, e cioè su una questione giuridica, sia per una richiesta di beneficio o simili. A parte l’importanza e la mole di rescritti emessi da una sovranità universale (imperatore, papa), è assai interessante ed anche non sempre e non del tutto chiara la loro forma, o le loro forme, connesse con la procedura seguita e con i possibili modi della risposta: il sovrano, dopo una fase di istruttoria, poteva rispondere o con un documento, che allora prendeva magari la forma della lettera, oppure con formule tipiche scritte in calce all’istanza stessa, per esempio un fiat o fieri placet, ovvero con la soluzione giuridica richiesta completata dalla notissima e dibattutissima sottoscrizione rescripsi, recognovi 39. Esempio 6 Editto di Domiziano, a. 88/89. Da: FIRA, I, nr. 76, pp. 424-427 (già in CIL 16, nr. 12, p. 146). L’editto, destinato alla collettività dei veterani, è giunto su dittico ligneo nella copia convalidata voluta da uno dei congedati: la copia è tratta dalla tavola bronzea proposita e cioè esposta ad Alessandria d’Egitto, è eseguita su permesso del prefetto d’Egitto, e doveva essere signata da testimoni. scriptura exterior L. Nonio Calpurnio Torquato Asprenate T. Sextio Magio | Laterano cos., VI Non. Iulias, anno XIII Imp. Caesaris Domitiani | Aug. Germanici mense Epip die VIII Alex(andreae) ad Aegyptum, | M. Valerius M. f. Pol(lia) Quadratus vet(eranus) dimmissus honesta | missione ex leg(ione) X Fretense testatus est se descriptum | et reco-
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Da Ebla a Damasco, nr. 80, p. 211; v. su questa documentazione ARCHI, Gli archivi di Ebla. CENCETTI, Tabularium principis, in part. pp. 237-243; CLASSEN, Kaiserreskript, pp. 17-41.
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gnitum fecisse ex tabula aenea, quae est fixa | in Caesareo Magno, escendentium scalas secundas | sub porticum dexteriorem secus aedem Veneris mar|moreae, in pariete, in qua scriptum est et id, quod infra scriptum es[t]. | Imp(erator) Caesar divi Vespasiani f. Domitianus Aug. Germanicus | pontifex maximus trib(unicia) potest(ate) VIII imp(erator) XVI censor perpetuus | p(ater) p(atriae) dicit: Visum est mihi edicto significare universoru[m] | vestrorumve veterani milites omnibus vectigalib[us] | portitoribus publicis liberati immunes esse deben[t] | ipsi coniuges liberique eorum parentes qui conubia [eo]|rum sument omni optumo iure c(ives) R(omani) esse possint et om[ni] | immunitate liberati apsolutique sint, et omnem i[mmu]|nitatem q(ui) s(upra) s(cripti) s(unt) parentes liberique eorum idem iuri[s] | idem condicionis sint, utique praedia domus tabern[ae] | invitos intemniqui veteranos s...onis................................. scriptura interior [. . . . . . . . v]eteranorum cum uxoribus et liberis s(upra)s(criptis) in aere in|cisi aut si qui caelibes sint cum is quas postea duxissent | dumtaxat singuli singulas, qui militaverunt Hierosolymnis | in leg(ione) X Fretense dimmissorum honesta missione stipendis eme|ritis per Sex(tum) Hermetidium Campanum legatum Aug(usti) pro praetore | V K(alendas) Ian(uarias) Sex. Pompeio Collega Q. Peducaeo Priscino co(n)s(ulibus), qui militare | coeperunt P. Galerio Trachalo Ti. Catio et T. Flavio Cn. Aruleno co(n)s(ulibus). | Ex permissu M. Iuni Rufi praefecti Aegypti L. Nonio Calpurnio | Torquato Asprenate T. Sextio Magio Laterano co(n)s(ulibus) k(alendis) Iulis, anno | XIII Imp(eratoris) Caesaris Domitiani Aug(usti) Germanici mense Epip die VII. | Ibi M. Valerius M. f. Pol(lia) Quadratus coram ac praesentibus eis, | qui signaturi erant, testatus est iuratusque dixit per I(ovem) O(ptimum) M(aximum) et Genium | sacratissimi Imp(eratoris) Caesaris Domitiani Aug(usti) Germanici in militia | sibi L. Valerium Valentem et Valeriam Heraclun et Valeriam | Artemin omnes tres s(upra) s(criptos) natos esse, eosque in aere incisos civitatem | Romanam consecutos esse beneficio eiusdem optumi principis. Esempio 7 Epistola di Vespasiano ai Saborenses, a. 78. Da: FIRA, I, nr. 75, pp. 422-423 (già in CIL, 2, nr. 1423, p. 195). In copia ufficiale su tavola di bronzo. Imp. Cae[s]. Vespasianus Aug. pon|tifex maximus tribuniciae | potestatis VIIII, imp. XIIX, consul | VIII, p(ater) p(atriae), salutem dicit IIIIviris et | decurionibus Saborensium. | Cum multis difficultatibus infirmita|tem vestram premi indicetis, per|mitto vobis oppidum sub nomine meo, ut | voltis, in planum extruere. Vecti|galia, quae ab divo Aug. accepisse dici|tis, custodio; si qua nova adicere vol|tis, de his proco(n)s(ulem) adire debebitis; ego | enim nullo respondente constitu|ere nil possum. Decretum vestrum | accepi VIII ka. August.; legatos dimi|si IIII ka. easdem. Valete. | IIviri C. Cornelius Severus et M. Septimi|us Severus publica pecunia in aere | inciderunt.
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Esempio 8 Rescritto di Adriano, a. 121. Da: FIRA, I, nr. 79, pp. 430-431 (già in CIL, 3, Suppl. p. 2077, nr. 12283). Su cippo marmoreo mutilo. [M. Annio Vero II. Cn. A]rrio Augure co[s]. | A Plotina Augusta. | [Quod studium meum] erga sectam Epicuri sit, optime scis, d[om]ine. Huius successioni a te succurrendum | [est: nam, quia n]on licet nisi ex civibus Romanis adsumi diad[o]chum, in angustum redigitur eligendi | [facultas. | Rogo e]rgo nomine Popilli Theotimi, qui est modo diado[c]hus Athenis, ut illi permittatur a te et Graece | [t]estari circa ha[n]c partem iudiciorum suorum, quae ad diadoches ordinationem pertinet, et peregrei|nae condicionis posse substituere sibi successorem, s[i i]ta suaserit profectus personae; et quod Theotimo | concesseris, ut eodem iure et deinceps utantur fut[uri] diadochi sectae Epic[u]ri, eo magis, quod opservatur, | quotiens erratum est a testatore circa electionem [di]adochi, ut communi consilio substituatur a studio|sis eiusdem sectae qui optimus erit: quod facilius fiet, si e[x] compluribus eligatur. | [I]mp. Caesar Traianus Hadrianus Aug. Popillio Theotimo. Permitto Graece testari de eis quae pertinent ad diado|chen sectae Epicureae. Set cum et facilius successorem [el]ecturus sit, si ex peregrinis quoque substituendi facul|tatem [h]abuerit, hoc etiam praesto en deinceps ceteris, q[ui] diadochen habuerint: licebit vel in pegreinum vel | in civem Romanum ius hoc transferri. Esempio 9 Supplica sola signatura ad Eugenio IV, 3 novembre 1440. Da: Acta pontificum, nr. 30a. eatissime pater. Cum nonnunquam contingat excommuni|catas seu interdictas personas ad devotorum sanctitatis vestre clericorum canonicorum Sancti Geor|gii in Allega nuncupatorum de Venetiis, Castellane dyocesis, ecclesias, dum inibi misse et alia divina | officia celebrantur, accedere et, si dicte persone de ecclesiis ipsis expellerentur, vel clerici predicti a | divinis huiusmodi cassarent, posset exinde scandalum oriri, supplicatur eidem sanctitati per prefatos clericos quatinus, eis in pre|missis paterno consulentes affectu, eis et eorum cuilibet presentibus et futuris, ut, si contingat, tam in ecclesiis suis huiusmodi | quam alibi, missas et divina prefata, etiam in presentia excommunicatorum seu interdictarum personarum quarumlibet, celebrare et | cum personis huiusmodi quomodolibet participare, participatio huiusmodi ad aliquod peccatum, penam vel notam nul|latenus eis aut alicui eorum imputetur, dummodo non facerent ex contentu, dum tamen persone predicte publice ex|communicate non sint, seu interdicte, denuntiate, concedere et indulgere dignemini de gratia speciali. Constitutionibus et or|dinationibus apostolicis non obstantibus ceterisque in contrarium facientibus quibuscunque. Fiat ut petitur. G(abriel) |
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Et quod simplex signatura sufficiat, absque eo quod | littere apostolice desuper conficiantur, decernere dignemini de gratia speciali. | Fiat. G(abriel) Datum Florentie, tercio nonas novembris, anno decimo.
4. Forma del documento pubblico collegiale (ess. 10-14). – Le forme-base elencate sopra riguardano in primo luogo i documenti emessi da un’autorità o potestà unica, monocratica: in tal caso, la manifestazione di volontà rappresentata nel e dal documento può essere resa in forma immediata e diretta, e la redazione dello scritto risulta effettuata, almeno virtualmente, da un ufficio unico che chiamiamo cancelleria, che si tratti di uno scriba o di più fattori. Nei casi nei quali, invece, l’autorità che emette il documento sia costituita da una magistratura collegiale, e quindi l’atto giuridico si formi attraverso un procedimento assembleare, lo scritto, che rappresenta l’atto, deve assumere naturalmente alcune forme, anch’esse tipiche ma diverse da quelle elencate e descritte sopra, che riproducano insieme la formazione e la manifestazione di volontà. Quindi, il documento avrà, come sempre, un protocollo e un testo, ma uno schema proprio. Tale schema può ben essere offerto in partenza da un documento di senatoconsulto romano, ed è il seguente: – protocollo (per i romanisti praescriptio): data di tempo e di luogo; presenti e partecipanti alla documentazione, secondo la formula scribendo/scribundo adfuerint X, Y, Z ad indicare i responsabili del processo verbale; eventuale numero dei senatori presenti; – relatio, o presentazione della proposta da discutere, secondo la formula Quod... verba fecit/fecerunt; – discessio, o votazione, e sententia, o decretum, secondo la formula de ea re ita censuerunt 40. Questa struttura – eventualmente con varianti, come la formula consuluit per un magistrato che interroghi il Senato o quelle petimus, rogamus o intercessit nel caso di altri interventi nel procedimento di delibera 41 o la formula placuit per il Senato che accolga una richiesta 42 – è assai persistente e la si ritrova simile, per esempio, nelle deliberazioni comunali di secondo medioevo 43. Può in qualche misura ricondursi a questo tipo di documento la documentazione di atti di concili ecclesiastici. In questi casi, infatti, se il concilio è costituito dal collegio dei vescovi che agiscono pari voto parique consensu e consona voce 44, l’attività conciliare è però avviata (evocata) da iussio o admonitio so-
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FIRA, I, pp. 237-239. FIRA, I, nr. 34, pp. 248-255, nr. 37, pp. 266-267. FIRA, I, nr. 30-35, 41, pp. 240-259, 276-280. Vari esempi nel classico La scrittura delle cancellerie. V. ad es. il concilio di Aquisgrana dell’816, M.G.H., Conc., II/1, nr. 39, p. 308.
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vrana e la sententia sacerdotum è anche ‘fermata’ dal consensus del re (magari manifestato per adclamatio, come nell’antichità), tutto a specchio di quel dualismo costituitosi fra Stato e Chiesa nella tarda antichità al quale si è accennato sopra: tant’è che questa variante di documento pubblico collegiale presenta anche qualche punto di connessione con il documento pubblico d’ufficio (v. par. 5). Lo schema di questa documentazione è di massima il seguente: – protocollo, qui consistente in una narratio, più o meno lunga e introdotta da un Cum/Dum, della convocazione del concilio, con data, ordine sovrano, motivi ed oggetto da trattare; – dispositivo della decisione presa, esposta ordinatamente per singoli capitoli o item; – sottoscrizioni dei vescovi, a conferma dell’atto e a convalida del documento. Esempio 10 Senatoconsulto, a. 138. Da: FIRA, I, nr. 47, pp. 291-293 (già in CIL, 8, nr. 270, p. 46). In copia su lapide calcarea (B’’) di una prima copia diretta dal liber sententiarum in senatu dictarum (B’). SC. de nundinis saltus Beguensis in t(erritorio) | Casensi, descriptum et recognitum ex libro sen|tentiarum in senatu dictarum Kani Iuni Nigri, C. Pompo|ni Camerini co(n)s(ulum), in quo scripta erant A[fr]icani iura et id | quod i(nfra) s(criptum) est. Idibus Oct(obribus) in comitio in curia Iu[l(ia)]. Scribundo | adfuerunt Q. Gargilius Q. f. Quir. Antiq(u)us, Ti. Cl(audius) Ti. f. Pa[l]. Quartinus, | C. Oppius C. f. Vel. Severus, C. Herennius C. f. Pal. Caecilianus, M. Iul(ius) | M. f. Quir. Clarus, P. Cassius P. f. Cla(rus) Dexter q(uaestor), P. Nonius M. f. Ouf. Mac|rinus q(uaestor). In senatu fuerunt CC[L..]. | SC. per discessionem factum. | Quod P. Cassius Se|cundus, P. Delphius Peregrinus Alfius Alen|nius Maximus Curtius Valerianus Proculus M. Nonius Muci|anus coss. verba fecerunt de desiderio amicorum Lucili Afri|cani c(larissimi) v(iri), qui petunt: ut ei permittatur in provincia Afric(a), regione | Beguensi, territorio Musulamiorum, ad Casas, nundinas | IIII non(as) Novemb(res) et XII k. Decembr(es), ex eo omnibus mensibus | IIII non(as) et XII k. sui cuiusq(ue) mensis instituere habere, quid | fieri placeret, de ea re ita censuerunt: | permittendum Lucilio Africano, c(larissimo) v(iro), in provincia Afric(a), regione Beguensi, territorio Musulamiorum, ad Casas, | nundinas IIII non(as) Novemb(res) et XII k. Decembr(es) et ex eo om|nibus mensibus IIII non(as) et XII k. sui cuiusq(ue) mensis in|stituere et habere, eoque vicinis advenisq(ue) nundinandi | dumtaxat causa coire convenire sine iniuria et in|commodo cuiusquam liceat. Actum idibus Octobr(ibus) | P. Cassio Secundo, M. Nonio Muciano. | Eodem exemplo | de eadem re duae tabellae signatae sunt. Signatores: T. Fl(avi) Comini scrib(ae), C. Iuli Fortunati scrib(ae), M. Caesi Helvi Euhelpisti, Q. Metili Onesimi, C. Iuli Periblepti, | L. Verati Philerotis, T. Fl(avi) Crescentis.
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Esempio 11 Gesta Senatus Romani de Theodosiano publicando, a. 438. Da: C. Th., I, Textus, pp. 1-4. Il notissimo documento rappresenta la straordinaria, solennissima e ampollosissima procedura attraverso la quale l’esemplare del Codice Teodosiano destinato all’Occidente viene trasmesso al Senato di Roma. (P) Domino [nostro] Flavio Theodosio Aug(usto) [XVI] et Anicio Achillio Glabrione Fausto v. c. consulibus Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl(ustris), tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius in domo sua, quae est ad Palmam; Fl(avius) Paulus v. c. et inl. urbis praefectus; Iunius Pomponius Publianus vir spectabilis vicarius urbis aeternae; proceres amplissimusque ordo senatus dum convenissent habuissentque inter se aliquamdiu tractatum, ibi ingressis ex praecepto Anastasio et Martino constitutionariis, Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit: (A) Aeternorum principum felicitas eo usque procedit augmento, ut ornamentis pacis instruat, quos bellorum sorte defendit. (N) Proximo superiore anno cum felicissimam sacrorum omnium coniunctionem pro devotione comitarer, peractis feliciter nuptiis hanc quoque orbi suo sacratissimus princeps dominus noster Theodosius adicere voluit dignitatem, ut in unum collectis legum praeceptionibus sequenda per orbem sedecim librorum compendio, quos sacratissimo suo nomine voluit consecrari, constitui iuberet. Quam rem aeternus princeps dominus noster Valentinianus devotione socii, affectu filii comprobavit. Adclamatum est: Nove diserte, vere diserte. Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl., tertio expraefecto urbi, p(raefectus) p(raetorio) et consul ordinarius dixit: Vocatis igitur me et inl(ustri) viro illius temporis Orientis praefecto singulos codices sua nobis manu divina tradi iussit per orbem sui cum reverentia dirigendos, ita ut inter prima vestrae sublimitatis notioni provisionem suam sacratissimus princeps iuberet offerri. In manu est acceptus codex utriusque principis praeceptione directus. Constitutionarii praesentes sunt: si placet amplitudini vestrae, has ipsas leges, quibus hoc idem fieri iusserunt, amplitudo vestra relegi sibi iubeat, ut consultissimis aeternorum principum praeceptis consentanea devotione pareamus. Adclamatum est: Aequum est, placet, placet. Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus (praetori)o et consul ordinarius legit ex codice Theodosiano, libro primo, sub titulo ‘de constitutionibus principum et edictis’: (P) DD. NN. IMPP. THEODO(SIVS) ET VALENTINIANVS AA. AD SENATUM. (N) Ad similitudinem Gregoriani atque Hermogeniani codicis cunctas colligi constitutiones decernimus, quas Constantinus inclitus et post eum divi principes nosque tulimus edictorum viribus aut sacra generalitate subnixas. Et primum tituli, quae negotiorum sunt certa vocabula, separandi ita sunt, ut, si capitulis diversis expressis ad plures titulos constitutio una pertineat, quod ubique aptum est, collocetur; dein, quod in utramque dici partem faciet varietas, lectionum probetur ordine, non solum reputatis consulibus et tempore quaesito imperii, sed ipsius etiam compositione operis validiora esse, quae sunt posteriora, monstrante, post haec ut constitutionum ipsa etiam verba, quae ad rem per-
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tinent, reserventur, praetermissis illis, quae sanciendae rei non ex ipsa necessitate adiuncta sunt. Sed cum simplicius iustiusque sit praetermissis eis, quas posteriores infirmant, explicari solas, quas valere conveniet, hunc quidem codicem et priores diligentioribus conpositos cognoscamus, quorum scholasticae intentioni tribuitur nosse etiam illa, quae mandata silentio in desuetudinem abierunt, pro sui tantum temporis negotiis valitura. Ex his autem tribus codicibus, et per singulos titulos cohaerentibus prudentium tractatibus et responsis, eorundem opera, qui tertium ordinabunt, noster erit alius, qui nullum errorem, nullas patietur ambages, qui nostro nomine nuncupatus sequenda omnibus vitandaque monstrabit. Ad tanti consummationem operis et contexendos codices – quorum primus, omni generalium constitutionum diversitate collecta nullaque extra se, quam iam proferri liceat, praetermissa, inanem verborum copia recusabit; alter omni iuris diversitate exclusa magisterium vitae suscipiet – deligendi viri sunt singularis fidei, limatioris ingenii, qui, cum primum codicem nostrae scientiae et publicae auctoritati obtulerint, adgredientur salium, donec dignus editione fuerit, pertractandum. Electos vestra amplitudo cognoscat: Anthiocum virum inl(ustrem) exquaestore et praefecto elegimus; Anthiocum virum inl(ustrem) quaestorem sacri palatii; Theodorum virum spectabilem comitem et magistrum memoriae; Eudicium et Eusebium viros spectabiles magistros scriniorum; Iohannem vir(um) spectabilem excomite nostri sacrarii; Comazontem atque Eubulum viros spectabiles exmagistris scriniorum, et Apellem virum disertissimum scholasticum. Hos a nostra perennitate electos eruditissimum quemque adhibituros esse confidimus, ut communi studio vitae ratione deprehensa iura excludantur fallacia. (D) In futurum autem, si quid promulgari placuerit, ita in coniunctissimi parte alia valebit imperii, ut non fide dubia nec privata adsertione nitatur; sed ex qua parte fuerit constitutum, cum sacris transmittatur adfatibus in alterius quoque recipiendum scriniis et cum edictorum sollemnitate vulgandum. Missum enim suscipi et indubitanter optinere conveniet, emendandi vel revocandi potestate nostrae clementiae reservata. Declarari autem invicem oportebit nec admittenda aliter, et cetera. (E) DAT. VII K. APRIL. CONSTANTINOPOLI FLORENTIO ET DIONYSIO CONSS. Adclamatum est: Augusti Augustorum, maximi Augustorum. Dictum VIII. Deus vos nobis dedit, deus vos nobis servet. Dictum XXVII. Romani imperatores et pii felices, multis annis imperetis. Dictum XXII. Bono generis humani, bono senatus, bono rei publicae, bono omnium. Dictum XXIIII. Spes in vobis, salus in nobis. Dictum XXVI. Ut vivere delectet Augustos nostros semper. Dictum XXII. Orbe placato praesentes triumphetis. Dictum XXIIII. Haec sunt vota senatus, haec sunt vota populi Romani. Dictum X. Liberis cariores, parentibus cariores. Dictum XVI. Extinctores delatorum, extinctores calumniarum. Dictum XXVIII. Per vos honores, per vos patrimonia, per vos omnia. Dictum XXVIII. Per vos arma, per vos iura. Dictum XX. Dispositioni vestrae gratias agimus. Dictum XXIII. Constitutionum ambiguum removistis. Dictum XXIII. Pii imperatores sic consulunt. Dictum XXVI. Causis consulitis, quieti consulitis. Dictum XXV. Plures codices fiant habendi officiis. Dictum X.
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In scriniis publicis sub signaculis habeantur. Dictum XX. Ne interpolentur constituta plures codices fiant. Dictum XXV. Ne constituta interpolentur, omnes codices litteris conscribantur. Dictum XVIII. Huic codici, qui faciendus a constitutionariis, notae iuris non adscribantur. Dictum XII. Codices in scriniis habendi sumptu publico fiant, rogamus. Dictum XVI. Fauste, aveas. Dictum XVII. Bis consulem te. Dictum XV. Omnia explicas, neminem laedis. Dictum XIII. Codices conscripti ad provincias dirigantur. [Dictum] XI. Tantorum beneficiorum dignus perlator. Dictum X. Paule, aveas. Dictum XII. Consulem te. Dictum XI. Ut in scriniis publicis habeantur, rogamus. Dictum XV. Ad curam pertineat praefecturae. Dictum XII. Singuli praefecti signacula sua adhibeant. Dictum XV. In officiis suis singulos codices habeant. Dictum XII. Ut ad preces nullae leges promulgentur, rogamus. Dictum XXI. Aeti, aveas. Dictum XV. Ter consulem te. Dictum XIII. Excubiis tuis salvi et securi sumus. Dictum XII. Excubiis tuis, laboribus tuis. Dictum XV. Fauste, aveas. Dictum XIII. Bis consulem te. Dictum X. Desideria senatus ut suggeras, rogamus. Dictum XX. Conservator legum, conservator decretorum. Dictum XVI. His subreptionibus possessorum ius omne confunditur. Dictum XVII. Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus p(raetori)o et consul ord(inarius) d(ixit): Quae lecta sunt sui cum veneratione, gestis adhaerebunt et addentur. Hanc quoque partem inter beneficia aeternorum principum numero, quod per me magnitudini vestrae ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt, intimarunt. Adclamatum est: Fauste, aveas. Dictum XVI. Bis te consulem. Dictum X. Consuli oraculi. Dictum XIII. Anicius Achillius Glabrio Faustus v. c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus p(raetori)o et consul ord(inarius) d(ixit): Erit nunc meae diligentiae secundum dominorum praecepta et desideria culminis vestri, ut hic codex fide spectabilis viri Veroniciani, quem amplitudinis vestrae mecum consensus elegit, nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus, per tria corpora trabscribatur, ut hoc quem detuli in officio praetoriani apicis remanente paris fidei viri magnifici praefecti urbi scrinia alterum teneant, tertium vero constitutionarii sua fide et periculo apud se edendum populis retinere iubeantur, ita ut nisi a constitutionariis ex hoc corpore eorumdem manu conscripta exemplaria non edantur. Si quidem erit meae diligentiae etiam illam tractare partem, ut conscriptus per hos alius codex ad Africam provinciam pari devotione dirigatur, ut illic quoque paris fidei forma servetur.
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Adclamatum est: Fauste aveas. Dictum XVI. Bis consulem te. Dictum XV. Omnium virtutum viro. Dictum X. Esempio 12 Concilio ecclesiastico, a. 511, Orléans. Da: M.G.H., Conc., I, pp. 1-14. Il documento nr. 2, che attesta le decisioni conciliari e che è stato sottoscritto dai vescovi, è trasmesso al re perché lo confermi (nr. 1). (1) Domno suo catholicae ecclesiae filio Chlothouecho gloriosissimo regi omnes sacerdotes, quos ad concilium venire iussistis. Quia tanta ad religionis catholicae cultum gloriosae fidei cura vos excitat, ut sacerdotalis mentis affectum sacerdotes de rebus necessariis tractaturos in unum collegi iusseritis, secundum voluntates vestrae consultationem et titulos, quos dedistis, ea quae nobis visum est definitione respondimus; ita ut, si ea quae nos statuimus etiam vestro recta esse iudicio conprobantur, tanti consensus regis ac domini maiori auctoritate servandam tantorum firmet sententiam sacerdotum. (2) Cum autore Deo ex evocatione gloriosissimi regis Clothouechi in Aurilianensi urbe fuisset concilium summorum antestitum congregatum, communi omnibus conlatione conplacuit hoc, quod verbo statuerunt, etiam scripturae testimonium roburare. I. De homicidis, adulteris et furibus... [seguono altri 30 capitula] (E) Cyprianus episcopus de Burdigala suscribsi in die VI. idus mensis quinti, Felice v.c. cunsule. Tytradius episcopus de Betorigis suscripsi. Licinius episcopus de Turnisi suscripsi. Geldaredus episcopus de Rotomao suscripsi. Eufrasius episcopus de Aruernus suscripsi. Camillianus episcopus de Trecassis suscripsi. Hyraclius episcopus de Parisius suscripsi. Quintianus episcopus de Rotenus suscripsi. Petrus episcopus de Santonas suscripsi. Boetius episcopus de Cadurco suscripsi. Cronopius episcopus de Petrocoricus suscripsi. Nicetius episcopus de Auscis suscripsi. Leontius episcopus de Elosa suscripsi. Sextilius episcopus de Uasate suscripsi. Adelfius episcopus de Ratiate suscripsi. Lupicinus episcopus de Equilesima suscripsi. Principius episcopus de Celemannis suscripsi. Eustochius episcopus de Andecauis suscripsi. Epyfanius episcopus de Namnitis suscripsi.
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Melanius episcopus de Redonis suscripsi. Eusebius episcopus de Aurilianis suscripsi. Modestus episcopus de Uenitus suscripsi. Litardus episcopus de Uxuma suscripsi. Lupus episcopus de Sessionis suscripsi. Nepus episcopus de Abrincates suscripsi. Edebius episcopus de Ambianis suscripsi. Suffronius episcopus de Ueromandis suscripsi. Libanius episcopus de Siluinectis suscripsi. Leontianus episcopus de Constantia suscripsi. Maurusus episcopus de Ebroicas suscripsi. Teudosius episcopus de Altasiodero suscripsi. Auentius episcopus de Carnotas suscripsi. (Explicit). Esempio 13 Concilio ecclesiatico e lettere imperiali ai vescovi Sicario di Bordeaux, Arnone di Salisburgo e Magno di Sens per la trasmissione dei deliberati conciliari e con ordine di esecuzione, a. 816, Aquisgrana. Da: M.G.H., Conc., II/1, nr. 39, pp. 307-464. (In nomine Dei summi incipit prologus) (P) Cum in nomine sanctae et individuae trinitatis christianissimus ac gloriosissimus Hludowicus superno munere victor augustus anno incarnationis domini nostri Iesu Christi DCCCXVI., indictione X., anno siquidem imperii sui tertio, Aquisgrani palatio generalem sanctumque convocasset conventum et coepisset secundum ardentissimam erga divinum cultum sibi caelitus inspiratam voluntatem multa congrua et necessaria de emendatione sanctae Dei ecclesiae, illius videlicet amore, qui eam suo sancto et praetioso redemit sanguine eique se adfuturum usque ad consummationem pollicitus est seculi, sollerter ac curiose pertractare, eo usque inter cetera perventum est, ut eundem sanctum et venerabilem Deo annuente adgregatum conventum consuleret, immo consulendo admoneret super quibusdam ecclesiarum praepositis, qui partim ignorantia, partim desidia subditorum curam parvipendebant et hospitalitatem minus iusto diligebant, quid facto opus esset. Adiunxit etiam monendo, ut, quia canonicorum vita sparsim in sacris canonibus et in sanctorum patrum dictis erat indita, propter simplices quosque minusque capaces aliquam ex eisdem sacris canonibus et sanctorum patrum dictis institutionis formam pari voto parique consensu excerperent, per quam patenter praelatorum et subditorum vita monstraretur, quatenus omnes, qui canonica censentur professione, per viam propositi sui inoffenso gressu incederent et in Christi militia devotius unanimes atque concordes existerent. Sed ut id nutu divino fieret, Dominum in commune humiliter exorandum praemonuit, ut servorum suorum exorabilibus pulsatus praecibus eius admonitionem secundum suam voluntatem fieri suaque gratia eam praecedere et subsequi dignaretur. Ad quam etiam admonitionem sacer conventus intimo gaudio repletus, expansis in caelum manibus,
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creatori omnium gratias agens benedixit, quippe qui talem tam pium tamque benignum ecclesiae suae sanctae principem cunctisque eius necessitatibus sapientissimum ac devotissimum praetulerit procuratorem. Suscipientes ergo libentissime hilariterque eius saluberrimam multis Deo miserante profuturam admonitionem, licet plerique auxiliante Christo devote ac relegiose cum sibi subiectis canonicam servent institutionem et in plerisque locis idem ordo plenissime servetur, omnium tamen id animis sedit, ut secundum eiusdem principis admonitionem, una divino freti auxilio et eiusdem piissimi principis non modico adiuti iuvamine, eius videlicet liberalissima largitione copiam librorum prae manibus habentes, ex canonica auctoritate et sanctorum patrum dictis, veluti ex diversis pratis quosdam flosculos carpentes, hanc institutionis formam excerperent et canonicis observandam conferrent, ut, quorum forte labore ob tarditatem ingenii seu inopiam librorum sparsim digesta difficile comprehendi posset, sollerti studio in eodem opere breviter congesta perfacile ab his repperiri posset, per quam, ut premissum est, et prelati recto tramite incedere et subditis normam vivendi absque ignorantiae obstaculo salubriter nossent praebere. Vigilanti ergo studio eandem institutionis formam colligere studuerunt, in qua plenissime continetur, qualiter et prelati vivere et subiectos regere eisque ecclesiasticos sumptus administrare et in Dei servitio constringere, bene operantes quoque ad meliora provocare, protervos quosque et neglegentes debeant corripere. Cum igitur huius institutionis formam coram memorato glorioso principe prolatam sacer conventus laudibus extulisset et ecclesiastica auctoritate fulcitam laudeque dignam ac sancte aecclesie utillimam atque proficuam consona voce praedicaret nihilque in ea reprehensionis ab his, qui sanum sapiunt, repperiri posse profiteretur, ab eodem victoriosissimo principe et ab omnibus, qui aderant, ‘Deo gratias’ adclamatum est. Nec inmerito: quippe qui et occulta sua dispensatione et gratissima inspiracione prefatum principem, ut id moneret fieri, compulit et, ut ad effectum perduceretur, miserando adiuvit. (D) Proinde omnium sententia statutum est ab omnibus, qui in canonica professione Domino militant, hanc institutionis formam tot ecclesiasticorum virorum vigilanti studio congestam dignisque preconiis laudatam iuxta virium possibilitatem modis omnibus observandam, quatenus hanc sive aliarum sanctarum scripturarum documenta sedula meditatione perlegentes et prelati et subditi vocatione, qua vocati sunt, ope divina adminiculati, infatigabiliter ambulent et pro tam piissimo principe, qui ob lucrum animarum hoc sacrum et venerabile concilium ad hanc formam congerendam et statuendam salutiferis admonitionibus excitavit, modernis futurisque temporibus Dei inmensam clementiam iugiter exorent. Nam in altero libello idem sacer conventus eodem religiosissimo augusto monente quandam institutionis formulam ex sanctorum patrum dictis studiose excerpsit et in unum breviter satisque congruenter congessit et sanctimonialibus canonice degentibus tenendam percensuit, in qua continetur, quales eis abbatissae preferende sint, qualiter eisdem sanctimonialibus infra claustra monasterii vivendum, quid a prelatis stipendiorum dandum, quibus documentis et virtutum instrumentis exornandae sint, quatenus hac formula vivendi inspecta et, Deo sibi adiutorium prebente, humiliter suscepta et efficaciter impleta cum bonorum operum lampadibus venienti sponso apparere adque eius thalamum ingredi mereantur. (Incipiunt capitula) [...] [ai vescovi Sichario e Arnone] [al vescovo Magno]
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(P) In nomine domini Dei et salvatoris nostri Iesu Christi. Hludovicus divina ordinante providentia imperator augustus venerabili in Christo Sichario archiepiscopo in Domino salutem. (N) Sacrum et venerabile concilium divino nutu nostroque studio in Aquisgrani palatio nuper adgregatum, in quo multa ob propagandam aecclesiaticam dignitatem, praecedente et subsequente gratia Christi, diligenter tractata atque instituta sunt, tuam nullatenus credimus latere sanctitatem. Sed quia contigit eidem sancto et venerabili concilio tuam non interfuisse paternitatem, (D) ad tuam destinare decrevimus beatitudinem per praesentem missum nostrum nomine Adalhelmum formulam canonicae institutionis ab eodem sacro conventu ex sanctorum patrum sparsim digestis sententiis collectam atque in unum congestam; quam etiam idcirco penes palatium nostrum diligenter scribi fecimus, ut, nichil in se scriptorum vitio depravationis aut detruncationis habens, ad te usque incolumis perferretur. Quapropter volumus atque decernimus, ut iuxta metropolitanae sedis tibi canonice conlatam dignitatem nostraeque auctoritatis sanctionem dioceseos tuae episcopos et ceteros aecclesiae praelatos tempore et loco congruenti ad te accersire facias et his coram capitulatim memoratam institutionis formulam praelegi iubeas et, quod ob exaltandum ecclesiastici culminis fastigium et animarum salutem idem sacer conventus eam ediderit, liquido demonstres, sed et his, qui in uno collegio canonice degunt, tenendam observandamque coram memorato misso nostro conferas. At si alicuius cordis obtunsio eam intelligere nequiverit, huic sive abs te sive ab aliis episcopis, conprovincialibus scilicet tuis, doctrinae fulgore enitentibus, sobrie tradatur. Sed et in hoc nihilominus circumspectam monemus esse tuam prudentiam, ut ab his, qui eam transcripturi sunt,
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(P) Gloriosissimus Hludowicus superno munere victor semper augustus venerabili in Christo Magno, Senonicae urbis archiepiscopo, in Domino salutem. (N) Sicut vobis nuperrime in sacro conventu, quem Deo annuente Aquisgrani palacio aggregavimus, ubi multa favente Christo ecclesiatice, immo catholice acta sunt, meminimus promisisse, (D) misimus tuae venerandae paternitati per praesentes missos nostros, Ermenfredum videlicet et Haymonem, formulas canonicae institutionis, quam idem sacer conventus ex sanctorum patrum sparsim digestis sententiis colligere atque in unum congerere studuit: quam quia vobis transcribendi angustia temporis facultatem denegavit, studii nostri fuit eam diligenter transcribi iubere, ut absque ulla depravatione aut detruncatione textus eius ad vos incolumis usque perferretur. Proinde has litteras ad tuam direximus sanctitatem, per quas iubemus, ut, memor admonitionis nostrae, suffraganeos tuae dioceseos loco et tempore competenti ad te convocare studeas et eandem institutionem per singula capitula coram ecclesiasticis ordinibus perlegi facias et, qualiter eam sacer conventus ob emolumentum animarum instruere salubriter curaverit, patenter edoceas et his, qui canonicae professionis censentur nomine, secundum ministerium tibi divinitus collatum et nostrae auctoritatis praeceptum coram memoratis missis nostris observandam percenseas. Eorum autem, qui tardioris sunt ingenii et eam forte plene intelligere nequeunt, tuo sive comprovincialium tuorum episcoporum, dono scientiae pollentium, studio eius notitia sensibus perfundatur. Nam et tuam nihilominus providam volumus esse beatitudinem, ut eam solerti cura praedicti missi nostri omnes, prout insinuaveris, transcribere absque ulla depravatione et detruncatione praemoneant, quoniam, qualiter
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ita transcribatur, ut nec depravata vitio scriptoris nec detruncata ab aliquo fiat, sed, sicut a praedicto misso nostro eis demonstratum fuerit, absque aliqua depravatione vel detruncatione transcribatur. Noveris etiam, quia ideo illius exemplum apud armarium palatii nostri detentum est, ut eo probari patenter possit, quis eam incuriose transcripserit vel quis aliquam eius partem detruncaverit. Ut enim conperimus, dum in eodem sacro concilio perlegeretur, antequam coram nobis ab eodem concilio prolata et necdum mensura cibi et potus statuta fuisset, quidam magna ex parte illam detruncantes quaedam capitula inconsulte ex ea transcripserunt. Unde necesse est, ut, si aliquem in tua diocesi tale fecisse reppereris, huiuscemodi factum coram provincialium tuorum episcoporum conventu et coram praescripto misso nostro frustreris et hanc autenticam, ut praemisimus, diligenter, sicut missus noster eis insinuaverit, transcribi percenseas. Omnes ergo tuae dioceseos episcopi et ceteri praelati eam vigilanti cura transcribere, sollerti studio intelligere, instantissimae assiduitatis exercitio divinitus adiuti operibus conplere decertent, ut, cum nos huius rei gratia inquirendae venturis Kalendis Septembribus, sicut eidem sacro et memorabili concilio meminimus nos dixisse facturos, missos nostros per imperium a Deo nobis conlatum destinaverimus, remota cuiuslibet difficultatis obpositione eiusdem salutiferae institutionis et praelati et subditi, prout Dominus posse eis dederit, strenui inveniantur operatores, quoniam diligenti indagine, vita comite, perquirere iubebimus, quis praelatorum iniunctum sibi officium strenue peragat vel quis in claustris canonicorum et ceteris habitationibus construendis et in necessariis stipendiis eis tribuendis et in domibus ad receptacula pauperum praeparandis sanctioni nostrae paruerit quisve
diligenter studioseque, distincte et aperte transcribatur, illo satis instituimus. Cuius nempe exemplar idcirco in armario palatii nostri recondi fecimus, ut per hoc nosse et inquirere possemus, utrumne ab aliquo negligenter transcripta fuerit, quia,
ut comperimus, dum in eodem sacro concilio perlegeretur, antequam coram nobis ab eodem concilio prolata et necdum mensura cibi et potus plane statuta fuisset, invidi magna ex parte illam detruncantes quaedam capitula inconsulte ex ea transcripserunt. Unde necesse est, ut, si aliquem in tua diocesi tale fecisse reppereris, huiuscemodi factum coram provincialium tuorum episcoporum conventu et coram praescriptis missis nostris frustreris et hanc authenticam, ut praemisimus, diligenter, sicut missi nostri eis insinuaverint, transcribi percenseas. Volumus ergo, ut omnes praelati canonicorum diligenter illam trascribant, studiose intelligant, efficaciter, quantum Dominus eis posse dederit, ob suam subditorumque utilitatem opere adimplere procurent, ut, quando nos, sicut in eorum sacro et venerabili concilio generaliter omnibus diximus, missos nostros huius negotii inquirendi gratia per universum imperium nostrum Kalendis Septembris venturis direxerimus, omnes, praelati videlicet et subditi, iuxta capacitatem et possibilitatem suam eadem institucione informati atque instructi eiusdemque operatores inveniantur strenui, quoniam diligenti indagine, vita comite, inquirere iubebimus, qualiter unusquisque praelatorum ministerium suum expleat, qualiter iussioni nostrae in claustris et caeteris canonicorum necessariis habitationibus et in eorum stipendiis dandis et receptaculis pauperum praeparandis obtemperaverit vel quis cle-
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clerum suum eadem institutione et caeteris spiritalibus documentis instruere curaverit vel quis causa avaritiae eos, quos in Christi milicia rationabiliter alere poterat, propulerit, quia unius anni spacium dedimus, ut ea, quae premissa sunt, absque ullius difficultatis excusatione perfici, ubi necdum facta erant, facillime possent. (S) Proinde qui hoc anni tempore in hoc negotio nostrae admodum iussioni pro viribus obedire neglexerit ceteris sine dubio terrori erit, ne tale admittere praesumant. Direximus sane tibi institutionis formulam, quam eiusdem sacri concilii par consensus parque studium ex sanctorum patrum dictis enucleatim excerpsit et castimonie dicatis in una societate canonice degentibus observandam statuit. Quam volumus a te sive a tuis conprovincialibus episcopis studiose iubere transcribi et monasteriis puellaribus in tua diocesi consistentibus, in quibus scilicet canonice vivitur, tenendam conferri, qualiterque abbatissis et ceteris sanctis monialibus religiosissime ac devotissime observari debeat, apertissime perdoceri, quoniam, nisi quando nos aliquam abbatissarum nostram adire iusserimus praesentiam, alio tempore volumus in monasteriis resideant et secundum eiusdem institutionis formam vitam ducant sibique subditas in sanctae religionis proposito constringant et nulla illarum foras evagandi aut occasione qualibet accepta per villas residendi suisque voluptatibus deserviendi licentiam sibi adtribuat. Quamquam enim nonnulli clerici monasteria puellarum et nonnulli laici monasteria virorum etiam et puellarum habeant, tua tamen debet praevidere solertissima industria, ut omnibus locis sub tua diocesi constitutis, ubicumque congregationes clericorum et sanctimonialium sunt, iuxta possibilitatem et facultatem re-
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rum suum secundum huius institutionis normam et caetera spiritalia exercitia informare studuerit aut si quis quem eorum, quos in Dei servitio rationabiliter gubernare potuit, causa avaritiae abiecerit, quia, ut haec, quae praemisimus, absque ullius difficultatis oppositione in locis, in quibus facta nondum erant, fieri opportunissime possent, unius anni spatium, sicut nosti, ad haec peragenda tribuimus. (S) Qui vero hoc annuo tempore nostrae immoque Dei iussioni iuxta vires obtemperare neglexerit caeteris, ne talia facere audeant, terrorem procul dubio incutiet. Misimus itaque tibi institutionis formam, quam idem sacrum et venerabile concilium ex sanctorum patrum sententiis diligenter excerpsit et sanctimonialibus in uno collegio canonice degentibus observandam percensuit. Quam sive per te sive per comprovinciales tuos episcopos in omnibus tuae dioceseos puellaribus monasteriis, in quibus canonice vivitur, studiose praescriptam haberi volumus. Sed et hoc decernimus, ut a vobis tam abbatissis quam caeteris sanctimonialibus tradatur, ut, qualiter eam tenere debeant, vestro studio informentur. Ceterum, nisi aliquam abbatissarum quando nos ad praesentiam nostram venire iusserimus, alio tempore volumus, ut abbatissae propriis in monasteriis resideant et secundum hanc institutionis formam vivere sibique subiectas gubernare decertent et nullis illarum per villas residendi aut foras qualibet occasione accepta evagandi suisque voluptatibus deserviendi licentiam adtribuant. Quamquam enim nonnulli clerici monasteria puellarum et nonnulli laici monasteria virorum etiam ac puellarum habeant, tua tamen debet providere solertissima industria, ut in omnibus locis sub tua diocesi constitutis, ubicunque congregationes clericorum et sanctimonialium sunt, iuxta possibilitatem et facultatem re-
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rum secundum huius institutionis formam vivant, quia nulla est omnino aecclesia, que facultates habeat, ubi non possint tot talesque gubernari, qui divinum expleant officium, et ubi hospitalitas iuxta vires non possit diligi. Nos quoque praefatum missum nostrum tue sanctitati ideo direximus, ut tuum ceterorumque ecclesiasticorum in tua diocesi consistentium diligenter atque subtiliter in hoc negotio intueretur studium et tibi opem in ceteris ammonendis ferret, qui etiam nobis referret, qualiter praelati et praelatae eam libenter susceperint diligenterque transcribere studuerint et devote adimplere iuxta vires curaverint, quoniam tamdiu illum in tua vel conprovincialium tuorum diocesi morari et discurrere una cum misso tuo iussimus, donec ab omnibus memoratae formulae transcriberentur, ut videlicet, cuncta procurans diligenterque perficiens, cum ad nos illum redire opere expleto tempus permiserit, cuncta, quae acta sunt, vestro utrorumque scripto notentur atque per ipsum tuumque missum nostrae dinoscentiae intimentur, ut sciamus, quibus gratiarum acciones referre, quosque etiam dignis correptionibus corrigere debeamus. (S) Quodsi aliquis tuae dioceseos eidem institutioni vestraeque admonitioni procaciter reniti voluerit et ea, quae ab eodem sacro conventu salubriter constituta sunt, pro viribus observare neglexerit et subinde ammonitus non se correxerit, quicunque ille est, ante praesentiam nostram tua vel missi nostri admonitione venire festinet, quatenus a nobis iuxta quantitatem culpe digne corrigatur. Direximus praeterea tibi pondus et mensuram, secundum quae clericis et sanctimonialibus panis et potus aequaliter tribuenda sunt, quae ut ab omnibus firmissime atque inviolabiliter teneantur decer-
rum secundum huius institutionis formam vivant, quia nulla est omnino ecclesia, quae facultates habeat, ubi non possint tot talesque gubernari, qui divinum expleant officium, et ubi hospitalitas iuxta vires non possit diligi. Nos quoque praefatos missos nostros ad tuam sanctitatem ideo direximus, ut tuum caeterorumque ecclesiasticorum in tua diocesi consistentium diligenter atque subtiliter in hoc negotio intuerentur studium et tibi opem in caeteris commonendis ferrent, qui et nobis referrent, qualiter praelati et praelatae eam libenter susceperint diligenterque transcribere studuerint et devote adimplere iuxta vires curaverint, quoniam tamdiu illos in tua vel comprovincialium tuorum diocesi morari et discurrere una cum misso tuo iussimus, donec ab omnibus memoratae formulae transcriberentur, ut videlicet, cuncta procurantes diligenterque taxantes, cum ad nos illos redire opere expleto tempus permiserit, cuncta, quae acta sunt, vestro utrorumque scripto notentur atque per ipsos tuumque missum nostrae dinoscentiae intimentur, ut sciamus, quibus gratiarum acciones referre quosque etiam dignis correptionibus corrigere debeamus. (S) Si vero aliquis tuae diocesis eidem institutioni nostraeque admonitioni procaciter reniti voluerit et ea, quae ab eodem sacro et venerabili concilio constituta atque decreta sunt, quantum Dominus eis posse dederit, observare contempserit, praecipimus, ut, si antea huiusmodi non se correxerit, quicunque ille est, ante praesentiam nostram tua vel missorum nostrorum admonitione venire festinet, quatenus a nobis iuxta quantitatem culpae digne corrigatur. Direximus praeterea tibi pondus et mensuram, secundum quae clericis et sanctimonialibus panis et potus aequaliter tribuenda sunt, quae ut ab omnibus firmissime atque inviolabiliter teneantur decer-
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nimus et, ne quid incrementi aut detrimenti a quoquam paciantur, modis omnibus inhibemus. Tuam igitur in calce huius epistole admonemus sanctitatem, ut secundum ministerium tibi divino munere conlatum nostrae in hoc negocio saluberrimae admonitioni oboedienter atque inexcusabiliter pareas et ceteris in parendo exemplum bonum tribuas. Dignum quippe iustumque est, ut, quanto sublimius sacerdotii dignitate aliis superemines et a nobis venerabiliter diligeris, tanto magis ad Dei nostramque voluntatem exequendam devotiorem te atque promptiorem exhibeas. (S) Vale in Domino et ora pro nobis.
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nimus et, ne quid incrementi aut detrimenti a quoquam patiantur, modis omnibus inhibemus. Tuam igitur in calce huius epistolae admonemus sanctitatem, ut secundum ministerium tibi divino munere collatum nostrae in hoc negotio saluberrimae admonitioni obedienter atque inexcusabiliter pareas et caeteris in parendo exemplum bonum tribuas. Dignum quippe est, ut, quanto sublimius sacerdotii dignitate aliis superemines et a nobis venerabiliter diligeris, tanto magis ad Dei nostramque voluntatem faciendam devotiorem te atque promptiorem exhibeas. (S) Vale in Domino et ora pro nobis.
Esempio 14 Deliberazioni del Consiglio Generale di Arezzo, novembre 1410 – febbraio 1411. AREZZO, Archivio di Stato, Deliberazioni del Consiglio Generale, reg. nr. 5, cc. 2531: le registrazioni tenute in queste carte sono state effettuate dal notaio e cancelliere Giovanni, noto soprattutto come copista di codici in littera antiqua, v. NICOLAJ, Per la soluzione di un enigma, e quindi MIGLIO, Giovanni Aretino. (P) In Dei omnipotentis et eterni atque altissimi, amen. Inferius describentur et per ordinem annotabuntur ac descripte et annotate apparebunt omnes ac singule reformationes, provisiones, deliberationes, ordinamenta et conducte alieque scripture et actus varii et diversi facti, editi, celebrati ac confirmati in communi Aretii tam per consilium generale ipsius civitatis et in ipso consilio quam etiam per collegia, officia et seu officiales civitatis eiusdem ac prout inferius per ordinem et seriosius describetur per me Ioannem Cennis filium Aretinum civem notarium et cancellarium... de ordinaria bursa et ad dictum officium deputata extractum et legitime atque solemniter deputatum... Anni ab incarnatione salutifera domini nostri Iesu Christi millesimi quadringentesimi decimi, indictione quarta, tempore pontificatus... De quibus quidem omnibus ac singulis rogatus et requisitus fui, diebus ac mensibus dicti temporis inferius annotatis. (T) Seguono sette consilia: ognuno di essi è strutturato in un proprio protocollo – invocazione verbale, data cronica, convocazione e data topica, presenti e ‘numero legale’ – e un proprio tenor formulato come provisum, deliberatum, obtentum et solemniter reformatum fuit quod...; possono intervenire nel procedimento petitiones-supplicationes (e formula placeat providere), narrationes, eventuali interventi di uno dei consiglieri, del tipo:
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Ioannes Niccole unus de consiliariis dicti consilii surgens in arengheria animo consulendi super prima proposita dixit et consuluit quod... Super secunda proposita consuluit quod... Et sic obtentum fuit in dicto et per dictum consilium, tradito ac misso partito ad fabas nigras et albas per trigintaquinque consiliarios reddentes fabas nigras pro sic, non obstantibus septem consiliariis reddentibus pro non (cc. 25v-26). (E) A c. 31 l’escatocollo generale costituito dalla sottoscrizione del cancelliere: (ST) Ego Ioannes Cennis filius Aretinus civis imperiali auctoritate iudex ordinarius publicusque notarius et cancellarius Aretinus supredictis omnibus et singulis in presenti facie et in sex proximis precedentibus chartis contentis et descriptis ut sic ut prefertur solemniter agerentur ac deliberarentur interfui et de iis omnibus rogatus eadem vigore mei officii supradicti scripsi et auctentice publicavi.
5. Forma del documento pubblico d’ufficio (ess. 15-18). – Si pone in questa ‘categoria’ una gran varietà di documentazione e dalle molteplici forme. Si dà il caso che più magistrature o corpi o organi esercitino funzioni pubbliche in posizione distaccata, ausiliaria o delegata, rispetto ad un ente maggiore o supremo e sovrano, e che i loro atti – nei diversi uffici designati a tali specifiche attività – producano documentazione, la più diversa. Certo questa delimitazione di campo è assai generica e prescinde dalle difficoltà storiche (istituzionali e costituzionali) e dalle complessità semantiche poste da temi e termini come ‘funzione’, ‘officium’ 45, ‘magistrato’ 46; pur tuttavia molteplici documenti pubblici si presentano in forme peculiari che sembrano trovare chiavi d’interpretazione e sistemazione secondo le linee indicate. Per ora ci si limita a proporre alcuni spunti. Un caso esemplare di questa tipologia documentaria, è dato dalla notitia iudicati (v. più avanti, par. 9) del processo altomedievale (placito) e dagli acta poi di un processo bassomedievale: nel caso più semplice del placito – in una pagina, procedimento e sentenza –, ove il tribunale non sia presieduto dall’imperatore o dal papa, l’officium iudicis è esercitato da dignitari e tecnici, e lo schema del documento relativo all’atto giurisdizionale è il seguente.
MONTORZI, Il notaio di tribunale; v. anche ID., Fides in rem publicam. Questi temi e termini, assai complessi, rinviano tutti a quel punto di vista nello studio del diritto che poggia sulla teoria del diritto come istituzione, ordinamento, organizzazione socio-giuridica (BOBBIO, Teoria generale del diritto, pp. 7 e ss.), ed è perciò che sono in genere trattati dagli storici delle istituzioni. Qui, per un primo accostamento, mi limito a richiamare: MODUGNO, Funzione, e AGRIFOGLIO, Ufficio (diritto amministrativo); v. anche MODUGNO, Istituzione. In prospettiva storica ricordo solo: CANCELLI, Saggio, e Ufficio (diritto romano); BURDESE, Magistrato (diritto romano); e oltre ai classici DEL GIUDICE, Storia della procedura, SALVIOLI, Storia della procedura (per l’ordinamento giuridico) e TORELLI, Studi e ricerche, pt. I, pp. 5 e ss. (per gli ordinamenti comunali), ricordo: KANTOROWICZ, Christus-Fiscus, e I misteri dello Stato; CALASSO, Gli ordinamenti; DE VERGOTTINI, Lezioni; BRANCOLI BUSDRAGHI, La formazione, sul feudo come istituzione; CARAVALE, Ordinamenti; ASCHERI, I diritti del Medioevo, in part. pp. 329 e ss. Per una linea più storico-politica di questi temi rinvio soltanto a CHITTOLINI, Il ‘privato’, il ‘pubblico’, lo Stato. 45 46
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Esempio 15 7 giugno 1072, Calceraki nel contado di Chiusi. Da: I placiti del “Regnum Italiae”, III, nr. 426, pp. 304-307. Questa tipologia documentaria, redatta da notai, è convalidata dalle sottoscrizioni dei giudici. (P) (S) Dum in Dei nomine in loco qui vocatur Calceraki, resideret domina Beatrix comitissa ac ducatrix et Matilda eius filia, ibique adessent Raginerius et Bernardus comites ipsius comitatus Clusini, et episcopus | Clusinus, nec non Senensis episcopus, atque Ardericus iudex, et Ubertus, seu Girardus, atque Iohannes, et Rolandus, et Petrus, atque Adelbertus iudices, seu Adegerius, et Iohannes, et iterum Iohannes causidicus, et Paganus de Corsena, et Ilde|brandus filius Vuidonis, atque Ugo filius Supi, et Tegizo, et Saxo filii quondam Ildebrandi, et Ubertus filius Boki, et reliqui plures. (T) Ibi in eorum presentia venit Maurus habas de e≈cclesia sancti Salvatoris de Monte Amiata, una cum Pepo av|ocato suo, et retulit: ‘Habeo et teneo racam de Semzano, una cum omnibus pertinenciis et aiacenciis ad curtem predicte roce≈, et ad proprietatem a parte e≈cclesie sancti Salvatoris. Et si aliquis homo adversus nos de predicta roca et eius pertinenciis | aliquit dicere vult, paratus sum cum eo ad racionandum et legiptime finiendum. Et, quod plus est, que≈rimus si Lanfrancus episcopus Cluxinus et Bonizo abas de sancto Petro de Campo, una cum Rolando avocato suo aliquit de iam dicta roca et | suis pertinenciis ut supra legitur, adversus nos dicere aut subtraere aliquit querat, an non, dicant’. Tunc cum iam dictus Maurus habas cum suo avocato taliter retulissent, ad hec predictus episcopus Clusinus et iam nominatus Boni|zo habas cum predicto Rolando avocato suo responderunt: ‘Vere iam dicta roca cum suis pertinentiis, qualiter supra legitur, propria est parti e≈cclesie≈ sancti Salvatoris, nec vobis eam contradicimus nec contradicere querimus, quia cum | lege non posumus, eo quod propria est e≈cclesie sancti Salvatoris et cum lege esse debet. Nec scriptum, aut aliquam firmitatem habemus, per quam posimus adversus, vos exinde agere aut causare cum lege. Et insuper | spondimus et obligamus nos iam dictus Lanfranchus episcopus et abas una cum nostro avocato, ut si umquam in tempore nos aut nostris subcessores per nos aut nostras sumitantes personas contra vos vel vestros successores agere aut causa|re presumpserimus, vel exinde omni tempore taciti et contenti non permanserimus, vel si apparuerit ullum datum aut factum vel quodlibet scriptum, quod nos exinde in aliam partem fecissemus, et clarefactum fuerit, | tunc componere promittimus nos, qui supra Lanfrancus episcopus et iam dictus Bonizo abas ad tibi iam dicto Mauro abati tuisque successoribus a parte supradicti monasterii sancti Salvatoris pene≈ nomine argen|ti libras duocentum et suprascriptas res in duplum, qualiter pro tempore fuerint meliorate≈ aut valuerit in consimilibus locis. Et ad hanc transhactionem confirmandam haccepimus nos qui supra Lanfrancus episcopus et Bonizo | habas exinde launachild annulum aureum, et insuper libras treginta denariorum Lucensium’. His actis rectum predictis iudicibus et auditoribus quoniam esse comparuit, iudicaverunt, ut iusta profesionem episcopi Lanfranci et | Bonizonis habatis et Rolandi avocati eorum exinde de predicta roca et suis pertinenciis taciti et contentis esse debent, idest ipse Lanfrancus episcopus et Bonizo abas et eorum successores cum eorum avocato a parte sue e≈cclesie≈, et predictus | Maurus habas et sui successores exinde debent esse secu-
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ri, soluti et indempnes omni tempore a parte predicti monasterii sancti Salvatoris. Post hec iam nominatus Maurus abas cum suo avocato dixit: ‘Domine≈ comitisse≈ ac duca|trices et domine Ragineri et Bernarde comites, que≈rimus et volumus, ut propter Deum et animam domni imperatoris ac vestri mercedem mittatis banum super nos et partem nostri monasterii et supra predictis rocam cum omnibus suis pertinen|ciis, ut nullus quislibet homo de ipsis rebus nos et partem nostre e≈cclesie≈ sine legali iudicio disvestire presumat’. Cum ipse Maurus abas et suus avocatus taliter re≈tulissent, tunc iam nominate≈ ducatrices et predicti comites mi|serunt bannum suum supra eundem Maurum abatem et suum avocatum et partem predicte e≈cclesie≈ sancti Salvatoris et super predictam rocam cum suis pertinenciis, ut nullus quislibet homo vos et partem predicte e≈cclesie≈ sancti Salvatoris de predictis rebus | sine legali iudicio disvestire presumat. Qui vero fecerit, presciat se compoxiturum ducentum libras optimi arienti, medietatem camere≈ domni regis et medietatem parte predicti monasterii sancti Salvatoris. | (E) Quidem et ego Ardecio notarius sacri palaci ex iussionem supradictarum ducatricum et comitum et iudicum amonicione, hanc paginam noticie≈ scripsi. Anno dominice≈ incarnacionis millesimo, septuaieximo | secundo, septimo idus iunii, indicione decima. + (Signum crucis Beatricis comitisse et ducatricis). + (Signum crucis Matilde comitisse et ducatricis). (S) Ego Ardericus iudex interfui et subscripsi. (S) Ubertus iudex domni imperatoris interfui. (S) Ego Petrus iudex sacri palatii interfui et subscripsi. (S) Ego Rollandus iudex sacri palatii interfui et subscripsi. (S) Ego Iohannes iudex domni imperatoris interfui et subscripsi. + Subscripsi dictis presens Aldhierius istis. (S) Ego qui supra Ardecio notarius sacri palacii scripsi et complevi inperacionis supradictarum ducatrix et comitum et iudicum in hoc ato. Esempio 16 Marzo 1076, Marturi. Da: I placiti del “Regnum Italiae”, III, nr. 437, pp. 333-335. Non si tratta qui di una tipica notitia iudicati, comunque questo famosissimo documento processuale è formalizzato dalla sottoscrizione del ‘presidente del tribunale’, peraltro espressa in una forma assai interessante. (P) (S) In Christi nomine. (T) Brevis recordazionis [pro futu]ris temporibus ad memoriam habendam vel retinendam, qualiter in presenzia Nordilli, | missi domine Beatricis ductricis et marchionisse≈, et Iohannis vicecomitis.........., in iudicio cum eis residentibus Guillielmo iudice, et Pepone legis doctore, | et Rodulfo filio bone memorie Segnori, et Rolando filio bone memorie Rustici, et Aldiberto filio bone memorie Baruncelli, et Stefano filio bone memorie Petroni, et Benzo | filio bone memorie Benzi, et Segnoritto filio bone memorie Boniti, et reliquis pluribus, proclamavit Iohannes advocatus ecclesie et monasterio sancti Michaelis site in castello, | qui vocatur Martuli, una cum prepositus Gerardo eiusdem ecclesie et monasterii ad-
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versus Segizonem de Florentia de quibusdam terris et de ecclesie sancti Andree≈, sitis in loco Papaiano, que | fuerunt Wuinizonis filius bone memorie Ugonis, et ostendi[t cartulam], per quam predicto Vuinizo res [istas Ugoni] marchioni, concessit, et quandam aliam, qua continebatur, | Ugonem marchionem easdem res prefato monasterio dedisse. Huic intenzioni prefatus Sigizo temporis prescriptionem obiecit dicens, inter se suumque patrem predictas res per quadrainta | annorum curricula esse possessas. Quam Sigizonis excepzionem pars suprascripti cenobii allata replicazione infirmavit affirmans, infra prefata tempora huius litis | factam esse proclamationem. Et tribus idoneis hominibus productis, silicet Iohanne predicte ecclesie advocato, et Stefano filio bone memorie Petroni, et Aldiberto filio bone memorie Baruncelli, | dixerunt abatem Iohannem de predictis rebus marchioni Bonifazio, et Guidricum abatem duci Gotifredo et comitisse Beatrici proclamasse; et ita se iuraturos promiserunt. Et insuper | predictus Iohannes advocatus, tactis sacrosanctis evangeliis, iuravit [ut supra]; Stefano quoque et Aldiberto [suprascriptis] iurare volentibus, utraque pars consensit advocati | sacramentum sufficere. His peractis, supradictus Nordillus, predicte domine Beatricis missus, lege Digestorum libris inserta considerata, per quam copiam magistratus | non habentibus restitutionem in integrum pretor pollicetur, restituit in integrum ecclesiam et monasterium sancti Michaelis de aczione omnique iure, quod amiserat | de terris et rebus illis, que fuerunt Vuinizonis de Papaiano, quas ipse Ugoni marchioni tribuit et Ugo marchio in ecclesiam sancti Michaelis contulit. (E) Actum est | hoc anno ab incarnatione domini nostri Iesu Christi septuagesimo quinto post mille, mense marzio, indizione quartadecima, feliciter. Factum est hoc intus burgum, qui vocatur | Martuli, prope plebem sancte Marie, territurio Florentino, feliciter. (S) Addo fidem dictis scribens ego Nordilus istis.
Un’altra tipologia di documento pubblico d’ufficio, che vale la pena di segnalare in particolare per l’epoca medievale, è costituita dai documenti vescovili, quando appunto emanano dall’esercizio di un officium cardine secondo l’ordinamento della Chiesa. Esempio 17 Privilegio vescovile, 13 ottobre 1106, Camaldoli. Da: Documenti per la storia della città di Arezzo, I, nr. 297, pp. 408-409. GREGORIUS DEI GRATIA ARETINE E≈CCLESIE≈ QUALISCUMQUE MINISTER dilecto et venerabili fratri Martino suisque successoribus in perpetuum. Quoniam in disponendis rebus ecclesiasticis curam nos oportet habere perspicuam, ut et loca religiosa spiritualiter et temporaliter augeantur operam dare, ne ab his que≈ a predecessoribus nostris iuste et canonice disposita sunt videamur deviare, camalduliensem heremum quam semper ut matrem venerabiles antecessores nostri venerabiliter protexerunt, nos sequentes eorum vestigia, ut matrem veneramur et dominam. Et quia in episcopatu nostro caput et perfectio est vere≈ et summe≈ religionis ad eius augmentum, quia de-
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bitores sumus, prout possumus insudamus. Petisti igitur, venerabilis magister et pater, ut bona nostre≈ ecclesie≈ que≈ Bernardinus Sydonie≈ filius aut pater eius ab e≈cclesia SANCTI DONATI tenuerunt ad supplendas fratrum necessitates sancte≈ heremi concederemus. Nos itaque, quia iustas petitiones et religiosorum vota surda aure repellere nec possumus nec debemus, damus atque concedimus vobis vestrisque successoribus in perpetuum omnia bona que≈ prenominati viri tenuerunt, tam a predecessoribus nostris, quam ab e≈cclesia sancti Donati: nominatim plebem sancte MARIE in MICIANO, cum pertinentiis suis, et quod habuerunt in castello et curte Montisaurei et in Viario et ubicumque inventa fuerint in comitatu aretino et castellano, aut aliis quibuscumque locis. He≈c nobis nostrisque successoribus reservantes synodum, capitulum, paratam et penitentiam eorum qui in sacro sunt ordine constituti, et per singulos annos letanias, sicut moris est, nostre≈ e≈cclesie≈, et omnem canonicam obedientiam, salvo tamen in omnibus iure camalduliensis heremi. Concedimus etiam vobis in curte Soci feudum quod Bernardinus et Feralmus pater eius habuerunt ab e≈cclesia nostra. Insuper etiam confirmamus eidem sacrosancte heremi quicquid predecessores nostri iuste et canonice contulerunt: nominatim e≈cclesiam sancti Miniatis in villa que≈ dicitur Alina, cum suis pertinentiis, cum medietate trium mansuum, et alium mansum in Monte; et decimationes prenominate≈ ville≈, et Porgentine≈ et Corsignano et Avana et Largnano, et mansum unum in villa Porgentina; et unum mansum detentum ab incolis Gerardo et Teuzone; et quartam partem unius mansi in Ventulina. Preterea visitationes plebium Biblene, Buiani et Partine, cum omnibus massariis ex sua decimatione singulis singula sextaria frumenti deferentibus ad victum predictorum fratrum heremitarum, sicut a predecessoribus nostris collate≈ sunt confirmamus, et, ut perpetuo dentur, episcopali auctoritate precipimus. Addentes ut quicquid deinceps infra terminos nostri episcopatus prescripte heremi iuste et canonice collatum fuerit, firmum illibatumque permaneat. Ad hec decernimus et huius privilegii auctoritate firmamus, ut nulli omnino mortalium liceat prenominatam venerabilem heremum perturbare vel eius possessiones auferre aut ablatas retinere, minuere aut temerariis vexationibus fatigare, sed omnia integra con[ser]ventur eorum usibus omnimodis profutura, pro quorum sustentatione et gubernatione collata sunt vel deinceps conferenda. Si quis autem diabolica temeritate ductus sciens contra huius constitutionis paginam venire temptaverit, secundo tertiove commonitus nisi resipuerit et congrua emendatione satisfecerit, hic a sacratissimo corpore et sanguine domini nostri Iesu Christi alienus fiat, et in futuro e≈ternis subiaceat concremandus incendiis. Observantibus autem gaudium, pax et securitas, quatinus hic centuplicatum fructum obtineant in futuro premia sine fine mansura. Ego Gregorius Dei gratia aretine ecclesie qualiscumque minister ss. Ego Ugo indignus primicerius ss. Ego Iohannes prepositus ss. Ego Bonus presbiter ss. Ego Gotizo canonicus ss. Datum in heremo camalduliense III id. octubris, anno dominice incarnationis millesimo centesimo sexto, indictione quintadecima, pontificatus eiusdem domini Gregorii episcopi anno secundo. Testes fuerunt Landulfus frater predicti episcopi et Gerardus filius quondam Ugonis et Rolandinus filius quondam Pagani et Ildebrandus filius quondam Rolandi vicedomini et Raginerius filius quondam Pagani. Scriptum per manum Petri notarii feliciter.
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Esempio 18 Lettera del vescovo Guglielmino che concede indulgenze a chi presti opera e sovvenzioni per la riedificazione del Monastero di S. Spirito, 13 agosto 1262, Arezzo. Da: Documenti per la storia della città di Arezzo, II, nr. 621, pp. 362-363. Guillielmus miseratione divina episcopus aretinus dilectis in Christo filiis universis tam clericis quam laicis civitatis et diocesis Aretine salutem et benedictionem. Guerrarum atrox discrimen Aretinam civitatem et eius provinciam ad extremam fere desolationem peccatis civium exigentibus iam deduxit, a quibus desolatione et dampnis religiose et Deo dicate persone non excluse sed potius sunt incluse, sicut patet de monasterio sancti Spiritus inclusarum ordinis sancti Damiani, olim sito prope muros civitatis eiusdem, quod funditus est eversum, nec abbatissa et sorores que ibi famulabantur Christo pauperi in altitudine paupertatis habent ubi capud reclinent quamquam vulpes foveas habeant et volucres celi nidos; propterea quod ne vagabunde percurrant provinciam in depressionem et ignominiam tam excelsi ordinis, oportet eas de reedificatione eiusdem loci el aliis que indigent cogitare; quod quidem absque magnis sumptibus et laboribus initiare nequeant nec ducere ad effectum. Quocirca universitatem vestram rogamus, monemus et exortamur in remissionem vobis peccaminum iniungentes, quatinus cooperatores et cooperatrices efficiamini operum pietatis eisdem abbatisse et monialibus, ac earum questoribus et questricibus in piis et largis elymosinis aperientes viscera caritatis ut eedem ancille et Christi sponse in refectione ipsius operis attingere valeant sue intentionis metas, et vos per hec et alia bona que, Deo auctore, feceritis, felicitatis eterne possitis gaudia promereri. Nos autem de omnipotentis Dei misericordia confisi, sanctorum quoque martirum Donati et Ilariani patronorum nostrorum suffragiis roborati, omnibus qui prefati sororibus suas duxerint elymosinas erogandas, quadraginta dies criminalium et quartam partem venialium misericorditer in Domino relaxamus, aliis indulgentie nostre litteris generalibus quas eis olim concessimus in suo robore duraturis. Sane hominibus et mulieribus que pro elymosinis predictis, instincti sancti spiritus assumpserint onus et officium questorie, illam eandem indulgentiam condonamus quacumque die iverint pro iam dictis. Hanc preterea indulgentiam tam elymosinas erogantes quam questores et questrices vere penitentes et confessi dumtaxat sibi noscant et non aliis valituram. Datum Aretii, idus augusti, anno Domini Millesimo CCLXII, V indictione.
6. Forma-base del documento privato: protocollo, testo, escatocollo. – Anche il documento privato è strutturato per protocollo (iniziale e finale) e testo; la cornice protocollare è costituita da quelle che la dottrina e la prassi di diritto comune chiameranno tecnicamente publicationes: “una compiuta serie di elementi nella quale si ibridavano espressioni di religiosità cristiana (le croci, le invocazioni), prescrizioni di legge e di rito (la data, il luogo, i testimoni), caratterizzazioni professionali e individuali della scrittura (i signa, la sottoscrizione notarile)” 47, ma evidentemente quelle forme sono assai risalenti. 47
Cito dal bellissimo studio di FERRARA, La teorica delle publicationes, p. 1053.
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Protocollo • • • • •
56 Pompei, documento di prestito: Q. Volusio Saturnino, P. Cornelio Scipione cos. VIII k. Iulias 48; 572 Ravenna, documento di vendita: Imperante domino nostro Iustino perpetuo Augusto anno septimo et post consulatum eius secundo anno quarto, sub die tertio nonarum Iuniarum, indictione quinta, Ravennae 49; 882 Salerno, documento di matrimonio: + In nomine Domini. Sesto anno principatu domni nostri Vuaimari, mense haprilis, quintadecima indictjone 50; 1251 Bologna, instrumentum notarile: In nomine Domini, amen. Anno eiusdem millesimo ducentesimo quinquagesimo primo, indictione nona, die octavo intrante octubre 51; 1400, chèque della Compagnia Datini del Banco di Firenze: + Al nome di Dio, a dì 28 di gugnio 1400 52. Testo di documento privato
Il testo dei documenti privati – o negotii tenor, come dicono i trattatisti di diritto comune 53 – non riguarda certo la storia politica e istituzionale. Esso però, soprattutto nelle grandi quantità, è assai importante per la storia giuridica ed economico-sociale: tant’è che, assai meno disteso e retorico che in tanti documenti pubblici, è però zeppo e irto di dati e di clausole, e proprio in questi vela le lotte del vivere e del sopravvivere ed usa le armi del diritto, per quel che valga. Nel testo del documento privato mancano di norma arenga e narrazione, con alcune significative eccezioni, per esempio di narrazioni che espongono la ‘causa’ dell’atto giuridico documentato nel caso di documenti di divorzio: • VI secolo Egitto, documento di ripudio: Cum ad aures meas pervenerit impiis quibusdam studiis, quae nec Deo nec hominibus placent quaeque per litteras exprimere non decet, te indulgere bonum putavi coniugium quod est inter te eandemque filiam meam Euphemiam dissolvi eius rei causa quod, ut iam dictum est, te praedictis impiis rebus indulgere audivi, dum tranquillam placidamque vitam filiam meam agere volo 54. • 569 Palestina, documento di divorzio: Iampridem invicem in matrimonii et vitae societatem nos coniunximus iusta cum spe et ad legitimorum liberorum
48 49 50 51 52 53 54
FIRA, III, nr. 130b, p. 413. P. Tjäder 35, p. 108. ChLA2, LII, nr. 17. Da Atti & formule, p. 27. MELIS, Documenti, nr. 1583, p. 472. E così per es. ROLANDINO, Tractatus notularum, in Summa, c. 470r. FIRA, III, nr. 21, p. 57.
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bonam procreationem, placidum et sempiternum duraturum esse putantes mutuum consortium in omne utriusque nostrum vitae tempus: ex contrario nescimus quomodo spes nos fefellit, et turpis pravique diaboli causa passi sumus nos vexantis ut alter ab altero discederemus 55. Nel medioevo il documento può presentare qualche arenga di stile, come quelle sulla fragilitas humana 56 o come nel caso della donazione o della permuta altomedievale: • 757 Lucca, documento di donazione: Rerum omnium creaturarum creator Deus fecit hominem ad imaginem sue similitudinis, dans ei intellictum, et ea que futura sunt agnoscat, et de animabus suis a longe prevideant prodenter 57; • 761 Pavia, documento di permuta: Commutatio bone fidei noscitur esse contratum ut vicem emptionis optineat firmitatem eodemque nexu obligat contrahentes 58. Ma si hanno anche casi, rari, di narrazioni o di arenghe d’autore, come quando, nel dettato, s’inseriscono varianti alle formulazioni di prassi; nel primo dei due esempi che seguono l’emittente piange mestamente fra le righe la morte del figlio, nel secondo il redattore ragiona inusualmente di un istituto giuridico: • 765 Lucca, documento di successione: eo quod ex germine meo habui dulce bone memorie filio meo, cuius nomen Fortes nuncupavatur, quem ego sine lacrimis menime memorare poteo... et sicut Redemturi meo fuit iussionem et ipse filio meo de seculo recessissit, et menime alios filios habere videor... 59; • 1088 Arezzo: Cum non pretium sed res pro re alienanda datur contractus permutationis a legibus nuncupatur... 60. Il testo di un documento privato manca anche, evidentemente, di una formula di pubblicazione, visto che riguarda interessi e questioni della sfera appunto privata (tutt’altra cosa è la eventuale publica fides impressa al documento stesso come mezzo di prova); può invece essere richiesta dalla legge per atti particolarmente delicati quali la donazione, da fare non occulte aut privatim (C. 8, 53, 56; cf. C. 8, 53, 30), una pubblicità che è espressa, per esempio, dalla formula praesens praesentibus dixi. Il dispositivo, poi, è conforme al tipo di negozio documentato e ai profili che i vari istituti giuridici hanno assunto nella prassi e talvolta nella norma, insomma nella cultura giuridica, di un’epoca e di una area o territorio diploma-
FIRA, III, nr. 22, p. 60. FICHTENAU, Arenga, pp. 122-156. 57 CDL, II, nr. 125, p. 4. 58 CDL, II, nr. 155, p. 78. 59 CDL, II, nr. 186, p. 168. 60 Documenti per la storia della città di Arezzo, I, nr. 274, p. 374, cf. NICOLAJ, Cultura e prassi, p. 84. 55 56
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tico determinato: per esempio, nell’alto medioevo è uso distinguere aree romaniche da aree più longobardizzate, ma l’elemento ‘territoriale’ è importante anche in ordinamenti più robusti e sistematici come quello d’età romana, dove il fenomeno del volgarismo tipico della prassi (come riflesso di usualità e perciò anche di costumi locali) è assai imponente e incisivo 61. Può comunque proporsi a schema o modello un testo che abbia: – gli essentialia negotii, e cioè nomi ed eventuali qualifiche delle persone impegnate nell’atto documentato, natura giuridica tipica di esso (per esempio, vendita, testamento, e via dicendo), oggetto dell’atto precisamente determinato per confinazioni, misure, pertinenze eventuali ed eventuali accessioni (per esempio, in diritto romano la scrittura accede alla carta, mentre la tavola accede al dipinto, ovvero una piantagione di alberi ormai radicati accede al terreno); – i naturalia negotii, e cioè quegli elementi che rispondono alla natura del negozio e perciò sono tipici e di regola presenti (a meno che non siano esplicitamente esclusi), come la defensio e la pena contrattuale; – gli accidentalia negotii, e cioè eventuali elementi che modifichino il negozio-tipo, e cioè condizioni e convenzioni espresse in specifiche clausole; – le renuntiationes ad eventuali benefici di legge. Per questa parte basti rinviare a Rolandino 62: Defensiones, exceptiones et beneficia a legibus sunt quaedam in favorem, quaedam in odium introducta... Aliquae vero sunt, quibus renunciari potest et renunciacio facta tenet... Aliquae sunt, quibus quo ad quid renunciari potest... Beneficium Macedoniani senatusconsulti..., Beneficium restitutionis in integrum..., Beneficium ut quis condemnetur..., Beneficium quoddam est..., Beneficium seu privilegium fori..., Exceptio non numerate≈ pecunie≈..., Exceptio non numerate dotis..., Exceptio non solute≈ pecuniae..., Beneficium quod vocatur nova constitutio..., Beneficium divisionis..., Beneficium epistole≈ divi Adriani..., Condictio indebiti..., Condictio sine causa..., Exceptio doli mali..., Beneficium quod dicitur conditionis incertum..., Beneficium iuris hipothecarum...
61 Nel linguaggio degli storici giuristi “il significato più accettabile di volgarismo” poggia sull’equivalenza di ‘volgare’ a ‘non scientifico’ (TALAMANCA, Istituzioni, pp. 41-42; v. anche PUGLIESE, Istituzioni, pp. 720-721, ma soprattutto PATETTA, Storia, pp. 53-59, e CALASSO, Diritto volgare), e perciò il diritto volgare è quello meno fedele al rigore e ai principi e invece più aperto a “soluzioni... di tipo sociologico o suggerite da esigenze pratiche” (PUGLIESE, Istituzioni, p. 720): ecco, forse il punto è qui, perché, se il diritto è regole, principi e cultura, al dunque è poi prassi, uso quotidiano e concreto. E la prassi non può essere che plastica, adattabile, flessibile. 62 Tractatus notularum, in Summa, cc. 451v e ss.; e cf. anche Renunciationes iuris civilis editae et compilatae ab eximio legum professore d. Iacobo Butrigario Bononiensi, ibid., II, cc. 98 e ss.
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ultima parte del testo è la rogatio e cioè, nel caso che il documento non sia autografo dell’emittente, la esplicita richiesta di scritturazione rivolta per esempio al notaio. Escatocollo
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Actum con data di luogo (topica). Sottoscrizioni: a) autografa dell’emittente (in un segno o nella scritta) nel caso del documento probatorio chirografario o nei casi di documenti dispositivi o costitutivi, espressa eventualmente in un semplice segno nel caso che l’emittente sia analfabeta; b) dei testimoni, nel caso siano testi documentali oltre che negoziali; c) dello scrittore o notaio, con forme e valore diversi secondo la storia di documentazione e notariato intrecciati: a grandi linee, si tratta di completio in età giustinianea e nell’alto medioevo 63 e di subscriptio nel secondo medioevo.
7. Forme del discorso nel documento privato (ess. 19-43). – In via di principio si modulano sulla funzione che il documento svolge. Come s’è detto sopra (cap. II), il documento è rappresentazione di fatti od atti giuridici. Esso può essere redatto in forma descrittiva e narrativa (per es. nel documento probatorio) o in forma dichiarativa, e nel secondo caso può trattarsi di una dichiarazione di scienza (e allora si tratta ancora, in via di principio, di documento probatorio) ovvero di volontà (documento dispositivo). Poiché la storia del negozio giuridico e del connesso documento privato è assai complessa e si snoda in età e periodi successivi e diversi – per noi, età romana: periodo classico, periodo tardoantico; età medievale: periodo altomedievale, periodo bassomedievale – conviene che si facciano poche considerazioni generali e di base, insistendo sull’età romana e proponendo alcuni rinvii ad epoche successive. Infatti, già nell’età romana si coglie una grande ricchezza di forme e una magnifica mescolanza di esse, che deriva dalla tessitura di caratteri originariamente e più propriamente romani con caratteri provinciali, ellenistici o, vorremmo dire, mediterranei, guardando al Mediterraneo come a un bacino di raccolta – comprese in esso le antiche eredità del Vicino Oriente tràdite dalla cultura ellenistica e forse soprattutto giudaica – e come ad un crogiolo straordinario di pratiche. Ecco quindi il discorso diretto, in prima persona, di documenti dispositivi come quelli dei testamenti; il discorso diretto e la redazione autografa (chirografaria) dei documenti dispositivi e probatori di mandato (contratto consensuale bilaterale); il discorso diretto introdotto da formule del tipo Fateor o Scripsi me...
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NICOLAJ, Il documento privato, pp. 162-163, 166-167, 171-172.
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nei documenti di debito e probatori in forma chirografaria. È da precisare che la forma chirografaria o autografa che convalida lo scritto diplomatico può consistere anche solo nella sottoscrizione autografa del garante (Êpograf¸/subscriptio). Esempio 19 Testamentum Antonii Silvani equitis, a. 142. Da: FIRA, III, nr. 47, pp. 129-132. Si tratta di un testamento in tabulis cerisque su polittico di cinque tavolette (cf. ARANGIO RUIZ, Il testamento). tab. 1 verso Antonius Silvanus eq(ues) alae I | Thracum Mauretanae, stator praef(ecti), turma Valeri, testamentum fecit. Omnium bonor[um meo]rum castrens[ium et d]omesticum M. Antonius Sat[ri]a ÛnÛus tab. 2 recto filius meus ex asse mihi heres esto: ceteri ali omnes exheredes sunto: cernitoque Û hereditatem meam in diebus C proximis: ni ita creverit exheres esto. Tunc secundo gradu [..] Antonius R..[.....].[.].[.].lis frater tab. 2 verso meus mihi heres esto, cernitoque hereditatem meam in diebus LX proximis: cui do lego, si mihi heres non erit, (denarios) argenteos septingentos quinquaginta. Procuratorem bonorum meorum castrensium ad bona mea colligenda et restituenda Antonia Thermutha tab. 3 recto matri heredi mei s(upra) s(cripti) facio Hieracem Behecis dupl(icarium) alae eiusdem, turma Aebuti, ut et ipsa servet donec filius meus et heres suae tutellae fuerit et tunc ab ea recipiat: cui do lego (denarios) argenteos quinquaginta. Do lego Antonia Thermutha matri heredi mei s(upra) s(cripti) (denarios) argenteos quingentos. Do lego praef(ecto) meo tab. 3 verso (denarios) arg(enteos) quinquaginta. Cronionem
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servom meum pos mortem meam, si omnia recte tractaverit et traderit heredi meo s(upra) s(cripto) vel procuratori, tunc liberum volo esse vicesimamque pro eo ex bonis meis dari volo. tab. 4 recto H(oc) t(estamento) d(olus) m(alus) (besto). Familiam pecuniamque t(estamenti) f(aciendi) c(ausa) e(mit) Nemonius dupl(icarius) tur(mae) Mari, libripende M. Iulio Tiberino sesq(uiplicario) tur(mae) Valeri, antestatus est Turbinium sig(niferum) tur(mae) Proculi. Testamentum factum Alex(andreae) ad Aeg(yptum) in castris Aug(ustis?) hibernis leg(ionis) I |I | Tr(aianae) For(tis) tab. 4 verso et alae Mauretanae, VI kal. Ap[ri]l[es] Rufino et Quadrato cos. (seconda mano) |Ant√niq SilbanØq ∏ progegramm™noq Ωnt™balon tÓn prokim™nhn moy diau¸khn kaÁ Ωnagn√sue kaÁ ˚res≤™ moi k≥au◊q prøkitai. tab. 5 verso (terza mano) Nemonius -- | dupl(icarius) t(urmae) Mari | s Ûi ÛgnÛÛ a Ûv Ûi Û. (quarta mano) |Io¥liq Tibere¡no(q) — — shskoypl≤ik≥åriq — t¥rmhq Oªal≤erºoy≥. — (quinta mano) Turbinius eq(ues) | sig(nifer) turm(ae) | Pr[oculi]. | (sesta mano) Valerius [--] | Rufus eq(ues) sig(nifer) |.e.tur[.]..v Ûi Ûs Û. | (settima mano) Maximus dupl(icarius) | [....]...u Ûs Ûti si|[gnavi] (ottava mano illeggibile) (nona mano) |Ant√niq Si—anØq sign≤åoyi ?≥ Esempio 20 Mandato di procura, Egitto, a. 148. Da: FIRA, III, nr. 159, pp. 488-490. Su papiro: malgrado i contraenti siano due veterani con cittadinanza romana sia la forma del documento sia la disposizione d’aggiunta inclusa nell’escatocollo e relativa alla nipote e pupilla dell’emittente sono ibridate di stilemi provinciali (v. l’introduzione di V. Arangio Ruiz in FIRA, cit.). Si noti poi che il documento è prodotto in doppio esemplare (si tratta qui di un contratto consensuale). Gå›oq Oªal™rioq XairhmonianØq |Antinoe¥q — Ner≤o≥y›ånioq ∏ kaÁ \Esti≤a≥¡oq MårkÛ SemprvnºÛ Klhmhst(i) — oªe≤tr≥anˆ xaºrein. Syn™sthså soi katÅ to†to tØ xeiøgrafo(n) — frontio†ntå moy t©n ®n |Arsinoeºtë Êparxøntvn kaÁ — Ωpait¸santa toÂq misuvtåq, k•n d™on Ïn, misu√santa — — ∑ aªtoyrg¸santa kaÁ ΩpoxÅq prohsømenon aªto¡q ®k to≤†≥ — ®mo† πnømatoq kaÁ pånta tÎ ®pi≤tro≥pÎ Ωn¸konta ®pi—tel™san-
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ta kauÅ kΩmoÁ parønt≤i ‘≥jestin, kaÁ diaºresin — tøpon poihsåmen≤o≥n d≤.≥.asmoy ®n Karanºdi, ®f´ˆ tÅ — periesømenå moi Ωpokatast¸si moi ®nuåde para — — genam™nÛ tÎ „ayto† pºsti, kaÁ ≤e≥ªdok© o¡q ®Ån prØq — ta†ta ®pitel™së. T≤Ø≥ xeirøgrafon to†to dissØn gra—f‚n Êp´®mo† k¥ri≤o≥n ‘stv. Gå›oq |Io¥l≤i≥oq Satorn¡loq — oªetranØq ‘graca tÅ ple¡sta. (=Etoyq) ia Aª≤to≥kråtoroq — Kaºsaroq Tºtoy A˝lºoy \Adriano† |Antvnºnoy Sebasto† — — Eªsebo†q T†bsz. Poi¸setai d‚ kaÁ t©n t∂q frontizo—m™nhq Êp´®mo† ygatrido†q moy Logginºaq Tasoyxa—rºoy kaÁ t©n Êparxøntvn aªt∂q frontºda kaÁ Ωpaº—thsin kaÁ tÅ “lla pånta katÅ tØn prokeºmenon ®p´®mo† — trøpon. (seconda mano) Gå›oq Oªal™rioq XairhmonianØq syn™sthsa — — tØn M˙rkon Sempr√nion Kl¸menta ®pÁ p˙si to¡q prokeim™n(oiq). — (terza mano) M˙rkoq Sempr√nioq Kl¸mhq syn≤™≥stame kaÁ ’kas—ta poi¸sv t©n prokeim™n≤vn≥ kau◊q prøkitai. (sul verso, in perpendicolare): |Epitropik∂q Semprvnºoy samp.....q (nel margine inferiore): |ApØ systå≤sevq≥ — Semprvnºoy. (P) C. Valerius Chaeremonianus veteranus Antinoites Nervianius qui et Hestiaeus M. Sempronio Clementi veterano salutem. (T) Mandavi tibi per hoc chirographum ut bona mea quae in Arsinoitico pago sunt administres et a conductoribus exigas et ut oportuerit sive loces sive ipse colas colonisque apochas meo nomine proferas et omnia ad curam spectantia ita perficias ut mihi praesenti liceret, et in agrorum divisione quae in vico Caranide fiat partem capias, et reditus ad me spectantes cum in loca venerim numeres ex tua ipsius fide; et rata habebo quae in haec impenderis. Chirographum duplex a me scriptum efficax esto. (E) C. Iulius Satornilos veteranus huius documenti corpus scripsi. Anno XI imperatoris Caesaris Titi Aelii Hadriani Antonini Pii Augusti Pii, mense Tybi VII. Curam habebit etiam neptis pupillaeque meae Longiniae Tasucharii eiusque bonorum et exactionem faciet et cetera omnia ad eum modum qui quod ad me pertinet supra scriptus est. (di mano del mandante) C. Valerius Chaeremonianus M. Sempronio Clementi mandavi omnibus condicionibus suprascriptis. (di mano del mandatario) M. Sempronius Clemens mandatum suscepi et singula suprascripta faciam ita ut supra scriptum est. Esempio 21 Chirografo di mutuo, a. 153, Alessandria d’Egitto. Da FIRA, III, nr. 121, pp. 391-393. Su papiro; è autografa la sottoscrizione del debitore. (P) [Antonius] HÛeron[ian]us eques alae veterana Ûe Û | [Gallicae] Arr ÛennÛi Ûo Û [St]lacc[i]o AÛntÛ istiano [-- | --]mÛ s Ûalut Ûe Ûm. (T) Fateor mÛe accepis Ûse et debere | [......da]t[o]s mihi per
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manum in pretium armorum Û Û | [denarios qui]nquaginta, f(iunt) * L, quos et redda(m) stipendio || [------] cum usuris legitimis | [tibi aut p]rocuratori heredive tuo aut ad quem | [ea res p]erti[n]ebit sine controversia et | [spe futu]r Ûa Ûe di[la]tionis. (E) Actum Alexandriae | [ad Aegy(ptum) i]nÛ ca Û[str(is)] AÛug(ustis) in hibernis leg(ionis) II || [Traianae F(ortis)] et a Ûla[e v]eteranae Gallicae tertium | [---- Br]utio Praesente et Iunio | [Rufino cos.]. (seconda mano) |Ant√nioq \HrvnianØq ppeÂq — ≤∏ prog≥egram≤™≥noq ‘laba kaÁ πfºlv — ≤tÅ pro≥kºmena dhnåria pent¸kon— —≤ta k≥aÁ Ωpod√sv ka≤u≥◊q prøkitai (= Antonius... suprascriptus accepi et debeo suprascriptos denarios L et reddam sicut supra scriptum est). | (terza mano) [- -]q Ωrmok≤o≥¥stvr martyr© (= N.N. armorum custos testis) | (quarta mano) [------]e Ûtis adfui. | (quinta mano) [------] ian≤.≥q .≤..≥na≤... t≥Å pr≤o≥k≤e≥ºm≤e≥na — ≤dhnåria pent≥¸konta kaÁ ≤..≥ prøkitai | | [-------]a dºkaia uoy xirogråfoy .
In discorso diretto è anche la forma documentaria ipomnematica (v. più avanti), usata nell’Egitto romano per affitti di terreni 64, e tipica del contratto tardoantico d’enfiteusi, largamente usato dalla proprietà ecclesiastica 65, e di tanti contratti agrari proseguiti nell’alto medioevo, come la precaria, il livello, l’enfiteusi appunto 66: il nocciolo di questa forma sta in uno schema dialogico consistente di una preghiera o domanda o istanza o petitio di concessione e di un’accoglimento della richiesta da parte del concedente; i discorsi alterni del concessionario e del concedente, in via di principio, possono manifestarsi per iscritto in due documenti distinti, ma in concreto e più agevolmente possono essere riportati in vario modo su un’unica pagina. Tjäder ricostruisce e propone lo schema seguente 67: I. Protocollo iniziale: invocazione, simbolica e verbale; datazione, cronica e topica; intitulatio (nel documento di concessione, con formula humilitatis); inscriptio II. Arenga III. Narratio (richiesta del concessionario, oggetto dell’enfiteusi) IV. Dispositio (condizioni generali per l’attuazione del negozio; accoglimento della richiesta; definizione della pensio; disposizioni per il pagamento; altri obblighi per i concessionari) V. Clausole penali (sanctio) VI. Restituzione al proprietario di ciò che è stato dato in enfiteusi
ARANGIO RUIZ, Sulla forma, pp. 605 e ss., e ID., Lineamenti, p. 16. TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri, II, pp. 153-171, e BARONE ADESI, Il sistema giustinianeo, pp. 75-120. 66 Fondamentale sempre PIVANO, Contratti agrari. 67 TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri, II, pp. 152-171. 64 65
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VII. Indicazione dei mezzi di convalidazione (corroboratio): accenno allo scrittore; accenno alla propria sottoscrizione; accenno alla convocazione di testimoni (nella petitio); accenno alla futura archiviazione (nella petitio) VIII. Protocollo finale (richiamo della datazione, sottoscrizioni). Tale forma attraverserà in vario modo l’alto medioevo per contrarsi, infine, e cristallizzarsi, all’inizio del XII secolo, nella notissima formula Petitionibus emphyteuticariis annuendo, probabilmente elaborata da Irnerio 68. Ecco poi la forma narrativa e oggettiva e il discorso indiretto, per esempio nei documenti probatori di vendita, o per i documenti probatori di mutuo, le testationes. Si tratta di una forma più ‘romana’, almeno per i contratti obbligatori, che nascono re, verbis, litteris, consensu, e che perciò, in via di principio, hanno bisogno solo di una scrittura probatoria. Esempio 22 Compravendita di un bambino, a. 166, Seleucia (Siria). Da: FIRA, III, nr. 132, pp. 425-427 (facs. in STEFFENS, Paléographie latine, tav. 9, e in ChLA, III, nr. 200). Su papiro: il documento è incorniciato in testa dal margine superiore della pagina ripiegato 4 o 5 volte e chiuso da 7 sigilli (probabilmente nasconde una scriptio interior); rappresenta poi l’atto del compratore e quello del venditore; è infine incorniciato in calce da un escatocollo importante, consistente nella data topica e cronica, dalla sottoscrizione del venditore, di un Tiziano in sostituzione del fideiussore analfabeta, e di tre testimoni. C. Fabullius Macer, optio classis praetor(iae) Misenatium III | Tigride, emit puerum, natione Transfluminianum, | nomine Abban quem Eutychen sive quo alio nomine | vocatur, annorum circiter septem, pretio denariorum | ducentorum et capitulario portitorio, de Q. Iulio || Prisco, milite classis eiusdem et triere eade[m]. Eum pue|rum sanum esse ex edi[cto], et si quis eum puerum | partemve quam eius evicerit, simplam pecuniam | sine denuntiatione recte dare stipulatus est Fabul|lius Macer, spopondit Q. Iulius Priscus: id fide sua || et auctoritate esse iussit C. Iulius Antiochus, mani|pularius III Virtute. Eosque denarios ducentos, qui s(upra) s(cripti) sunt, probos recte | numeratos accepisse et habere dixit Q. Iulius Priscus | venditor a C. Fabullio Macro emptore, et tradedisse ei || mancipium s(upra) s(criptum) Eutychen bonis condicionibus. | Actum Seleuciae Pieriae in castris in hibernis vexilla|tionis clas(sis) pr(aetoriae) Misenatium VIIII Kal(endas) Iunias, Q. Servilio | Pudente et A. Fufidio Pollione cos. |
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ORLANDELLI, “Petitionibus emphyteuticariis annuendo”.
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(seconda mano) Q. Iulius Priscus, mil(es) III Tigride, vendedi C. Fabullio Macro, optioni || III eadem, puerum meum Abbam quem et Eutychen, et re|cepi pretium denarios ducentos ita ut s(upra) s(criptum) est. | (terza mano) C. Iulius TÛi Ût Ûi Ûa Ûnus, suboptio III Libero Patre, et ipse rogatus pro Gaio Iulio Antihoco manipulario III Virtute, qui negavit [se] literas | scire, eum spondere et fide sua et auctoritate esse Abbam quem et Euthychen puerum, et pretium eius denarios ducentos | ita ut s(upra) scrptum est. || (quarta mano) C. Arruntius Valens suboptio III Salute signavi. | (quinta mano) C. Iulius Isidorus (centurio) III Providentia signavi. | (sesta mano) C. Iulius Demetrius bucinator pricipalis III Virtute signavi. | (settima mano) P[ub.] Domitius [--] III P[r]ovident[ia signavi]. | (ottava mano) =Etoyq doq |A≤rtemis≥ºoy dk Dom™tioq GermanØ≤q m≥isuvtÓq kyinta≤nØq≥ Meishnåtvn ®k...ka — — tÎ prå≤sei to† paid≥eºoy |Abb˙ to† kaÁ Eªt¥xh. Esempio 23 Documento di mutuo, 28 maggio 15, Pompei. Da: FIRA, III, nr. 128a, pp. 405-406. Su tavolette cerate in dittico. (Sestertios) n(ummos) DXX ob mulum | venditum [M.] Pomponio | M. l(iberto) Niconi, quam pequniam | in stipulatum LÛ. Caecili | Felicis redegisse dicitur | M. Cerrinius Euprates. | Eam pequniam omnem, | quae supra scripta est, || [n]umeratam dixit se | [a]ccepisse M. Cerrinius M. l(ibertus) | [E]uphrates ab Philadelpho | [C]aecili Felicis ser(vo). | Actum Pompeis V k. Iunias | Druso Caesare | C. Norbano Flacco cos.
Ma le cose, nella prassi, si mescolano velocemente e velocemente perdono la purezza della teoria. Ed ecco allora le forme miste: per esempio di testatio e chirographum nei documenti probatori di mutuo già attestate nel I secolo dalle tavolette di Pompei 69; e poi, ancora forme miste in età giustinianea, nei documenti probatori ma anche costitutivi di donazione o di vendita intonati all’apertura legislativa offerta da C. 4, 21, 17, che, se sono redatti nella forma descrittiva e probatoria per esempio di un Constat eum (P. Tjäder 35), recano però in calce la sottoscrizione dell’emittente, autografa e in discorso diretto. Esempio 24 Ricevuta, 12 dicembre 56, Pompei. Da: FIRA, III, nr. 129a, pp. 408-409 (ma cf. anche SCHIAPARELLI, Raccolta, nr. 5, pp. 7-9). Testatio + chirographum su tavolette cerate, in trittico, con sigilli in calce. (sul margine di tav. 2, ad inchiostro) [Perscriptio] Umbricia[e Ianuariae]. 69
FIRA, III, pp. 407 e ss.
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scriptura interior: testatio HS. n(ummum) ⊂⊂|...... ∞ XXXVIIII, | quae pecunia in | stipulatum L. Caeci|li Iucundi venit | ob auctionem | Umbriciae Ianuariae || mercede minus | persoluta habere se | dixsit Umbricia Ianua|ria ab L. Caecilio | Iucundo. | Act(um) Pom[p(eis)] pr(idie) id(us) Dec(embres) | L. Duvio P. Clodio cos. (nomi dei 7 signatores) Q. Appulei Severi. | M. Lucreti Leri. | Ti. Iuli Abascanti. | M. Iuli Crescentis. | P. Terenti Primi. | M. Epidi Hymenaei. | Q. Grani Lesbi. | T. Vesoni Le... | D. Volci Thalli. scriptura exterior: chirographum L. Duvio Avi[to P. C]lodio Thrasea cos. | pr. i[d(us)] Decembr(es). | D. Volcius Tha[llus] scripsi rogatu Um|briciae Ia[nua]riae eam accepisse | ab L. Caecil[io Iuc]undo HS n(ummum) XI (milia) XXXIX | ex auction[e eius] mercede minus | ex inter[rogati]one facta | tabellaru[m signatarum] ti|-----s. A[ct(um) Pomp]e Ûis (nell’angolo inferiore destro traccia di due sigilli cerei). Esempio 25 Documento di compravendita, 10 marzo 591, Classe. Da: P. Tjäder 37. Im]p(erante) d(omi)n(o) n(ostro) Mauricio Tiberio p(er)p(etuo) Aug(usto) anno nono, p(ost) c(onsulatum) eiusdem anno octab[o], [su]b Û d(ie) sexto Iduum Martia Ûrum, ind(ictione) nona, in Classe Ravenna[t]i Û. Honoratus v(ir) h(onestus), tabellio, scribsi rogatus a Rus Ût Ûicia[n]a Û h(onesta) [f(emina)], fi[l(ia) F]elici defensoris s(an)c(t)ae eclesiae Romanae, et ab eiusque iugale a Ûuctore et spontaneo fideiussorem Tzittane v(iro) d(evoto), militem numer Ûi Û felicum PersoarminÛ( iorum), ipsos presentes, adstantes, consen[ti]entes et inferius manibus propriis signa f[a]cientes, et [t]e Û[stes], ut subscriberent, pariter conrogavit. Constat eos h(ac) d(ie) cum c Ûommuni consensum distraxisse, et distraxerun, tradedisse, et tradederunt, iure optimo et legibus sub dupplariae rei et rei quoque melioratae Iohanni v(iro) c(larissimo), adoratori num(eri) felicum Rav(ennatium), qui nunc mÛilÛex Û Û nÛum Û Ûeri f[e]licuÛ Û m lec Û Ût Ûum, filio Û Û q(uon)d Û(am) [.....], iure directo in perpetuum h(ere)dibus posterisque eius, id e ÛstÛ Û sex in integro uncias iuris sui ex fundum Geneciano, territorio Ariminensi const(itutum) inter adfines fundum Maurianum et fundum Preturio et in reliquis sex unciis Hildigerno, qui nunc sunt, et si qui alii adfines sunt vel ab origine fuerunt, q(ua) q(uemque) t(angit) et p(opulum), finibus, spatiis, terminis, campis, pratis, pascus, vineis, a Ûrbustis, arboribus pomyferis fructiferis et infruc[t]i-Û feris diversisque generibus, silvis, salectis, sationalibus, ribis, fontibus, aquis perennis cum earum iure et omni pro-
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prieta Ûte Ûque omnib Ûus Ûqu Ûe Û ad easdem sex uncias s(upra)s(crip)ti fund[i] Geneciani generaliter longo lateque pertinentibus vel universis adiacentibus, sicuti ante a s(upra)s(crip)tis vendetores auctoribusve eorum bono, optimo et inconcusso iure possesse sunt et nunc usque in h(anc) d(iem) possidentur, ita et tradentur. Venientes sibi dixit s(upra)s(crip)ta sex uncias fundi Geneciani q(uae) s(upra) Rusticiana, h(onesta) f(emina), ex testamentaria voluntate q(uon)d(am) Iustini anterioris iugalis sui, pretium inter eosdem placitum et definitum pro s(upra)s(crip)tas sex uncias id est auri solidos dominicos, obriziacos, optimos, pensantes numero viginti quattuor tantum, qui eisdem venditoribus ac die dati, numerati et traditi sunt domi ex arca et ex sacullo s(upra)s(crip)ti emptoris, dante, numerante et trade Ûn Ûte s(upra)s(crip)to comparatore, suscipientes prefati venditores hac sibimet in integro omnem pretium perportantes, nihilque sibi ipsi vendetores ex hoc omni pretio s(upra)s(crip)torum viginti quattuor auri solidorum quidquam amplius rediberi aut remansisse dixerunt et promiserunt, hac se suosque omnes exinde ex eadem rem exisse, excessisse discessisseque dixerunt, et eundem comparatorem in rem ire, mittere, ingredi possidereque permiserunt. Liberas autem inlibatas ab omni nexu fisci, deviti populi pribatibe et ab ere alieno, litibus controversihisque suis omnibus, sed et a dotis titulo, donationis subsignationisve et a ratione tutelaria nec non et cure seu oble Ûgationis citerisque aliis titulis vel honeribus seu contractibus, nullique ante a se donatas, cessas vel opposita neque antea alicui distractas nec cum quoquam eas habere commune sed sui iuris eas esse dixerunt. Si quis autem s(upra)s(crip)tas sex uncias fundi supramemorati Geneciani, de q(ua) ag(itur), h(ac) d(ie) partemve earum inve quam partem aut usumfructum quis aevicerit, quominus emptori ipsum h(ere)des successoresque eius ei ad quem ea res erit, de qua pertinet pertinevit, habere, tenere, possidere, donare, vindere, commutare hac suo iuri dominiumque more quo voluerit in perpetuo vindicare recte liceat eidem comparatori, quod ita alii licitum non erit, aevictum ablatumve quid erit, tunc quanti ea res erit, quae aevicta fuerit, dupplum numerum s(upra)s(crip)to Ûrum viginti quattuor auri solidorum et rei quoque melioratae, sicut adsolet, a s(upra)s(crip)tis venditoribus eorumque h(ere)dibus secundum legum ordine dari convenit sub oppositione rerum facultatumque s(upra)s(crip)torum vendetorum, quas habent habiturive erunt, de qua vero venditione q(ui) s(upra) venditores quinquem dies usumfr[uc]tum sibi retenuerunt, quod denuo emptori pro sollemnem tr[a]ditionem constavit, d(o)l(o) m(alo), vim, metum et circumscribtione cessante. Gestis municipalibus si allegandi
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aelegeris, tribuerut s(upra)s(crip)ti venditores licentiam sub stipulatione et sponsione interposita. Actum ind(ictione) s(upra)s(crip)ta. Signum + s(upra)s(crip)tae Rusticianae h(onestae) f(eminae) vendetricis, l(it)t(eras) n(escientis). Signum + s(upra)s(crip)ti Tzittani v(iri) d(evoti), iugalis s(upra)s(crip)tae vindetricis, auctoris et spontanei fideiussoris, l(it)t(eras) n(escientis). Domninos v(ir) c(larissimus), exepodecta, his instrumentis sex in intigro unciarum fundi Geneciani, sicut superius legetor, rogatos a Rusticiana h(onesta) f(emina), vindetricae, eiusque iugale Tzittane v(iro) d(evoto), autore et ispontaneo fedeiusure, qui me presente signa fecerunt, et eis relictum est, testis subscribsi, et s(upra)s(crip)to pretio auri soledos viginti quattuor eis in presenti a Iohanne v(iro) c(larissimo), cumparatore, adnumeratus et traditus vidi. Pakeifikoq b.h. eiq estormentiq sej en intigro oynkeiaroym foyndi Genekeian≤i≥, sikot soyperivq legitor, rogatoq a ss. Roystikeiana h.f., bendetrikai, eioyqkae ioygalh Keitane b.d., aytoyre ed espontanev fediioyssoyre, koe me presente signa feikaeroym, ed eeiq relikto es, testiq soyskrici, et soypraeskripto prekeiv ayqi solidoq beienti kaytoyr eeiq en presinti Ivanne b.k., konparatvre, atnomiratoq et traditoq beidi. Petrus v(ir) c(larissimus) his strumentis sex in integro unciarum fundi Geniciani, sicut soperius legitur, rogatus a s(upra)s(crip)ta Rusticiana h(onesta) f(emina), vindetrice, eiusque iogale Tzitane v(iro) d(evoto), autore et spontaneo fedeiossore, qui me presente signa fecerunt, et eis relictum est, testis suscribsi, et s(upra)s(crip)to pretium auri solidos viginti quattuor eis in presenti a Iohanne v(iro) c(larissimo), conparatore, adnomeratus et traditus vidi. [ ]. Lumenosus v(ir) h(onestus) hi estromentis sex in intigro unciarum fundi Geneciani, sicud soperius laegitur, rogatus a s(upra)s(crip)ta Rusticiana h(onesta) f(emina), vendetricem, eiusquae iogalae Tzittane v(iro) d(evoto), autorem et espontaneo fedeiussorem, qui me presentem signa fecerunt, et eis relictum est, testis suscribsi, et s(upra)s(crip)tum pretium auri sodus vigenti quattuor eis in presenti a Iohanne v(iro) c(larissimo), conparaturem, adnomeratus et traditus vidi. S(u)s(cribs)i. Deusdedit v(ir) c(larissimus) his instrumentis sex in integro unciar(um) fundi Gene Ûciani, sicut superius legitur, rogatus a s(upra)s(crip)ta Û Rusticiana h(onesta) f(emina), vendetrice, eiusque iugale Zittane v(iro) d(evoto), autore et spontaneo fideiussore, qui me praesente signa fecerunt, et eis relictum est, testes suscribsi, et Û s Û(upra)s Û(crip)tum praetium auri solidos viginti quattuor eis in praesenti a Iohanne v(iro) c(larissimo), compar[a]tore, adnu Ûmerato Ûs et traditoÛs vidi. Honoratus v(ir) h(onestus), tabellio Cl(assis), scriptor huius documenti sex uncia Û[rum] fund(i) s(upra)s(crip)ti, roboratum a testibus traditum conplibi et absolvi.
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Nell’alto medioevo, la pratica della documentazione privata, là dove riprende e prosegue il suo cammino, segue i molteplici modelli lasciati dalla civiltà romana, ma opera ormai in un mondo rarefatto e spezzato: proprio perciò si può parlare per quest’epoca di particolarismo documentario 70, e cioè di una raggiera di ‘canaletti’ tipologici che defluiscono per qualche secolo senza più alcun riferimento ad un ordinamento giuridico unitario. Inoltre, per la povertà culturale di quei tempi, che corrisponde bene alle ‘semplificazioni’ sociali ed economiche degli stessi tempi, i modelli romani vengono ripresi nei loro schemi di base e scarniti di tante forme e formule ormai incomprensibili. Esempio 26 Carta di vendita, giugno 897, Piacenza. Da: ChLA2, LXVII, nr. 7. + In Christi nomine. Lambertus gracia Dei imperator augustus, anni imperii eius Deo propicio hic in Italia sexto, | mense iunii, indicione quintadecima. Constat me Solesca, qui professa sum legem | vivere salicha et sum abita[t]rice in fundo et loco Siliano, ubi Subtu Basilica dicitur, acce|pissem et coram testium accepi ad te Augustinus presbitero filio quondam Marani de Luvenciasi | in argentum solidos viginti, finitum precium sicut inter nobis bona convenit | [vo]luntatem pro omnibus casis vel rebus iuris meis, quicquid abere visa sum in | fundo et loco Siliano, ubi Subtu Basilica dicitur, vel eius adiacenciis ex ipsis suprascriptis | rebus, cum casis, curtis, ortos, areis, terris, vineis, silvis, pratis, pascuis, actalariis, | ripis, rupinis, coltis et incoltis rebus, cum iuris et adiacenciis vel pertinenciis earum, | cum usibusque aquarum, egresso vie, qui mihi obvenit tam de paterna vel materne | ehreditatem seo per vindicionem, donacionem, commutacionem, promissionem, oblicacionem seo per nexo | fiducie aut undecumque aut comodocumque mihi per qualicumque ingenio mihi | legibus pertinens hic in finibus Placentina aut pertinentem inventum fuerint, una | cum accessione et introito suarum, cum superiora et inferiora suarum, cum omnia | super adstantem vel abentem ex integrum; a presenti die pro suprascripto precio finitum vin|do, trado et mancipo coque liberam potestatem ab omni nexo publico privatoque, | ita ut ab his die quicquid de predictis casis et rebus qualiter superius legitur | facere aut iudicare volueritis tu qui supra Augustinus presbitero vel tuis ehredibus seo cui | vos dederitis liberam et firmissimam in omnibus abeatis potestatem ita haben|di, tenendi, donandi, vindendi, commutandi et faciendi exinde propietario nomine quitquit | volueritis; in eo videlicet hordine ut nec me qui supra Solesca, nec meis ehredibus, | nec auctores, nec defensores unquam in tempore querere debeatis, nec ego esse | promitto, set dabo vobis Augustini presbitero omnes cunctes strumente cartarum, | quomodo ipsis casis et rebus ad me devolute esse videtur vel sicut in eas | legitur, ut una cum ipses strumente cartarum et cum
70 Sul particolarismo documentario protomedievale NICOLAJ, Il documento privato, pp. 163170, e di nuovo Dal particolarismo documentario altomedievale, in corso di stampa.
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ista cartula tu qui supra | Augustinus presbiter vel tuis ehredibus seo cui vos dederitis per vos ipsis in omnibus auc|toris et defensoris esse debeatis ubicumque vobis oportunum fuit. Et, quod fi|eri esse non credo, si umquam in tempore ego qui supra Solesca vel meis ehredibus contra | te qui supra Augustinus presbitero vel contra tuis ehredibus de suprascriptis casis et rebus causa|re aut agere quesierimus, aut si de sub vestra iura subtraere quesierimus per verunum | ingenium, vel si alicuna cartula anteriore aut posteriore apparuerit cui ego | vel meis ehredibus exinde de suprascriptis casis et rebus in aliis hominibus emisisemus aut | in antea mitere presumserimus et cusam probatam fuerint ut certe sit veritas, | tunc tantum et alterum tantum vobis daturis esse promittimus in consimilem | loco sub extimacione, sicut in tempore fuerint remmeliorata et insuper auro ob|timo libra una vobis coactum exsolvamus. Et taliter secundum legem meam | salicha, in qua vivere profiteor, per vuasone de terra, coltellum et fistucum notatum | et per meum andelant vobis facio vestituram et me exinde foris vuarpisco | et hec vindicio ista firma et stabilis permaneat, cum stipulacione subnixa. Et bergamena et agrementario de terra levavi et Savinus notarius scribere rogavi, in qua subter confirmans testibusque obtulit roboranda et omnia suprascripta. Actum Placencia. + Signum manus suprascripte Solesci viventem legem salica, qui anc cartula vindicionis fieri rogavi. + Signum manus Andrei filio quondam Vuandelgerii ex genere Francorum testis. + Signum manus Gariverti filio quondam Vuandelgerii ex genere Francorum testis. + Signum manus Guasemarii ex genere Francorum de civis Placencia testis. + Signum manus Hodelberti de Strada Placentina ex genere Francorum testis. + Signum manus Anscheri salicho de Strada testis. + Ego Guaselmus rogatus me testis subscripsi. + Ego Agustus rogatus subscripsi. + Signum manus Roteperti de Strada viventem legem Romanam testis. + Signum manus Vuarimberti de Strada testis. + Ego Savinus notarius scripsi, pos tradita complevi | et dedi.
Facciamo, allora, un salto di secoli e restringiamo l’obiettivo all’Italia dal XII secolo in poi: in Italia, come è noto, rinasce un diritto colto, concettoso, dottrinale, elaborato sul recupero dei testi romani – il Corpus iuris civilis di Giustiniano – e sulle ‘moderne’ riflessioni, concezioni e soluzioni della prassi e della teoria dei giuristi del tempo, civilisti e canonisti 71. Sul piano della prassi diplomatica e in particolare nell’ambito del documento privato, i grandi produttori di documentazione privata sono due: il notariato e, in certi circuiti commerciali, i mercanti. Il notaio erige un documento che è l’instrumentum, e cioè un mezzo di prova, della cui autenticità legale è garante, e pertanto usa in linea di massima un discorso indiretto per descrivere ciò che è intercorso fra le parti, mentre usa il discorso diretto per la sua propria dichiarazione espressa nella
71 Il fenomeno storico è epocale, e il tema è enorme. Qui mi limito appena a CORTESE, Il rinascimento giuridico, e NICOLAJ, Cultura e prassi.
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sottoscrizione. I mercanti, invece, quelli che non ricorrono al notaio, per i loro negozi adottano documenti dispositivi e probatori insieme e perciò per essi usano di massima la forma del discorso diretto. Esempio 27 Documento di compravendita, 24 luglio 1251, Bologna. Da: Atti & Formule, nr. VIII, p. 25, con facs. In nomine Domini, amen. Anno eiusdem millesimo ducentesimo quinquagesimo primo, indictione | nona, die octavo exeunte mense iulii. Lambertinus, Palmirolus et Gerardus fratres, filii condam | Iohannis Petri Rosi, dederunt, vendiderunt et tradiderunt, si proprium in perpetuum, si condicticium unde pertinuerit, | fratri Lamberto condam domini Ramberti Buvalelli pro se et suis heredibus recipienti et ementi duas do|mos positas in strata Sancti Stephani, in parochia Sancti Iohannis in Monte vel Sancte Tecle, quarum tales | esse dixerunt confines: ab uno latere est strata publica Sancti Stephani, ab alio est via qua itur ad ecclesiam Sancti Iohan|nis in Monte, a tercio possidet Bonvillanus pelliparius, a quarto heres Rodolfini fornarii, ad habendum, te|nendum, possidendum et quicquid sibi suisque heredibus deinceps placuerit perpetuo faciendum, cum omnibus et singulis | que infra predictos continentur confines vel alios si qui forent, accessibus et eggressibus suis usque in vias publicas, et | cum omnibus et singulis que habent super se vel infra seu intra se in integrum, omnique iure et actione, usu seu requi|sitione sibi ex eis vel pro eis rebus aut ipsis rebus modo aliquo pertinente, pro precio ducentarum treginta|quinque librarum bononinorum, quod precium confessi et contenti fuerunt atque asseruerunt se ab ipso emptore habuis|se et recepisse ac eis integre datum, solutum et numeratum esse, exceptioni sibi non dati, non soluti et non numerati pre|cii, doli et in factum omnino renunciantes. Quarum domorum possessionem se ipsius emptoris nomine possidere con|stituerunt usque quo ipsarum possessionem acceperit corporalem, quam accipiendi sua auctoritate et retinendi deinceps ei | licenciam omnimodam contulerunt. Promittentes per se et eorum heredes, unusquisque eorum principaliter et in sollidum, | sine aliqua exceptione iuris vel facti, se obligando dicto fratri Lamberto pro se et suis heredibus stipulanti, | litem vel controversiam ei vel eius heredibus de dictis domibus aut aliqua vel parte ipsarum ullo tempore non inferre nec | inferrenti consentire, sed ipsas domos tam in proprietate quam possessione ei et suis heredibus ab omni homine | et universitate legitime defendere, auctoriçare et disbrigare et vacuam possessionem tradere et predictam ven|dictionem et omnia et singula suprascripta perpetuo firma et rata habere atque tenere, observare et adimplere et non contrafacere vel ve|nire per se vel alios aliqua causa vel ingenio, de iure vel de facto, sub pena dupli dicte quantitatis precii, stipulatione | in singulis capitulis huius contractus in sollidum promissa, et reffectione damnorum et expensarum litis et extra et ob|ligatione omnium suorum bonorum, et, pena soluta vel non, predicta omnia et singula firma perdurent, renunciantes | novarum constitutionum et epistule divi Adriani benefitio, exceptioni doli, condictioni sine causa, in factum actioni et omni | alii auxilio. Insuper dictus Gerardus, quia minor erat vigintiquinque annis, maior tamen quatuordecim, iuravit | corporaliter ad sancta Dei evangelia predicta omnia et singula firma et ra-
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ta habere atque tenere et observare et non contra|venire occasione minoris etatis vel minoris precii vel non sibi soluti vel in utilitatem suam non conversi vel non | durantis aut alia quacumque ratione vel causa. | Actum Bononie ante ecclesiam Sancti Stephani, presentibus domino Artinixio Buvalelli, domino Angellino de | Bancis, Corvolino notario, Deutisalvi de Ragnis et Ugolino Comandi testibus ad hoc vocatis et rogatis. | (S.T.) Ego Rolandinus Rodolfini Florette imperiali auctoritate notarius hiis omnibus interfui et | rogatus scripsi.
La documentazione dei mercanti (non notarile), invece, è assai ricca, interessante e complessa, ma, poiché finora se ne sono occupati quasi esclusivamente gli storici dell’economia e gli storici giuristi, un suo studio da parte della diplomatica e un suo ‘trattamento diplomatistico’ sono tutti da fare. D’altronde, se tante scritture di mercanti – per esempio, i libri contabili – sono del tutto ignorate dalla nostra disciplina, anche la cosiddetta ‘scritta’ (tipologia segnalata infra, a partire dall’es. nr. 34) è vista tradizionalmente come una forma documentaria nettamente inferiore alla carta notarile in quanto “non ancora legalmente autenticata” 72. Ma questa prospettiva mi sembra del tutto sbagliata. È infatti un limite non considerare un documento sia in se stesso e nella sua peculiare autonomia, sia in ordine alle varie funzioni che esso svolge e in relazione al sistema generale nel quale si posiziona, come s’è visto nel precedente cap. II. Vale a dire che le scritture dei mercanti, in epoche di traffici intensi, intanto pongono problemi circa eventuali funzioni dispositive, esecutive e del tipo dei titoli di credito, o anche magari di rappresentazione ‘vincolante’ e di controllo (come forse nel caso delle ‘polizze’ agli ess. nr. 36-38). Quanto poi alla funzione probatoria e al problema della autenticità legale che preoccupava Paoli o Bresslau, la questione è complessa. Infatti, da un lato il tema dell’autenticità forse va posto diversamente che in passato ed è più intricato di quanto in genere non si consideri 73; d’altro lato, per la dottrina medievale, già fra ’200 e ’300, le questioni circa la capacità probatoria dei documenti sono diverse da come le vede la diplomatica. Per esempio, in un trattato importante dedicato agli instrumenta, circa una scriptura privata che abbia le sottoscrizioni dei due contraenti (proprio il caso dell’es. nr. 34) si dice: quando scriptura facit pro utroque, ut est contractus locationis, et scribitur per unum ex contrahentibus et subscribitur per alium vel per terium ex voluntate sua, ideo et si scribitur per ambos contrahentes vel per alios eorum voluntate: nam tali modo suppletur defectus publice persone et etiam defectus testium, ut ei stetur etiam sine testibus 74.
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PAOLI, Diplomatica, pp. 45-46, 121-122, e cf. BRESSLAU, Handbuch, pp. 1005-1006. NICOLAJ, Originale, e ora HAGENEDER, Original, che muove dagli anni di Innocenzo III. NICCOLO MATARELLI, Tractatus super instrumentis, ms. Vat. lat. 5773, c. 50va.
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Comunque, tutto il tema è importante e non è eludibile. Qui, per intanto, mi limito perciò a proporre alcuni esempi tratti dall’utilissima esposizione dell’economista Federigo Melis e in particolare dalle seguenti categorie in essa ordinate, come: carteggio specializzato (ess. 28-33), scritture private (ess. 3438), contabilità (es. 39), banca (ess. 40-43) 75. Esempio 28 Estratto-conto per un trasporto di panni da Bruges, a. 1367, Genova. Da: MELIS, Documenti, nr. 51, p. 234. Carteggio specializzato (abbreviazioni: d.= denari; f. = fiorini; lb. = lire; s. = soldi). (P) Mccclxvij, die prima iunii, Ianue. Dominis Guirardo et Iohanni de Sancassano: Christofanus Pallavicinus, salutem cum amore. (T) Mixi vobis, in barcha Iohanni de Riihardo de Portuvenero, ballas 2 panorum borssellini; pecias 14 constant carigatas in cocha Andallo Cataneo, computatis velluto pecia 1 de frixa, que constat soldos 10 grosorum: in summa constiterunt libras 49 s. 5 d. 6 tantum grosorum; et vallent, quilibet lb. 1 florenos decem, sunt f. 492 s. 1 d. 9; vallent, ianuinorum summa, lb. 615 s. 19 item, pro lucro, de 10 per centenarium, lb. 61 s. 11 d. 6 item, pro naullo et pilloti avisso, lb. 7 s. 10 item, pro drito de Ianua, ad racionem de 2 1/4 per centenarium, poxitis lb. 630 lb. 14 s. 9 d. 6 item, pro naullo de Tallamono Ianuam, lb. 1 s. 17 d. 6 item, pro panno vermilio, quem possuimus ad una ex dictis ballis, lb. 5 s. –– item, pro camalli, lb. ––– s. 3 item, pro securitate de Ianua in Pissis, acipiente Bunvita de Cassio, per f. 600, licet non vallent tantum, secundum hoc fuit pro arro, lb. 7 s. 10 Summa lb. 714 s. –– d. 6 Supradictos pannos vobis mixi cum Cumssillio Petro de ser Nino, factore vestro; et verum non ipsos hic dedissem pro isto precio, ideo scribatis michi finem de ipso et quid vultis michi dare detis michi; scribo hic suterium ilud quod michi debetis: primo, debetis michi pro supradicto Comssillio pecias 14 cum due velutis; summa pecuniarum naullum quod solvebitis f. 1 et plus id quod vobis videbitur, lb. 714 s. –– d. 6
75
MELIS, Documenti, pp. 28-40, 41-48, 49-74, 75-103.
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item, pro pannis, facta racione cum supradicto Petro, in mense 4 iulii, computatis f. unum pro naulo de pannis de Anglia, de Talamono in Ianuam, Dominis, eri hic apricuit cocha Alberti Beret de Flandera, super qua michi venit certum pannum, ideo sic de ipsis indigetis scribatis michi et paratus sum facere per vos, tamquam proximi fratres. Respundatis ad ista littera sic vobis placet et quam breve potest. (E) Per vos in omnia paratus.
lb. 647 s. 13 d. 11
Esempio 29/1 Estratto-conto per il trasporto di una partita di mandorle da Valencia, a. 1396. Da: MELIS, Documenti, nr. 54, p. 242. Carteggio specializzato (abbreviazioni: car. = carati; d.= denari; grs. = grossi; lb. = libbre; lib. = libbre; qt. = quintali; s. = soldi). Nel verso la nota di registrazione: al Memoriale B, a c. 231, cf. documento seguente (es. 29/2). (T) Direnvi conto di balle 30 di mandorlle ricievemo da’ vostri di Barzalona, per le navi di Nicolaio Madringhex e d’Andrea Gironese: 7 balle ne vendemo a uno alamanno, oste d’Utrovazar; pesoro’ lorde lib. 2926; abati di tara lib. 22 per balla, resta neto lib. 2772: son car. 7, men lib. 28; a lb. 7 s. 4 la car., di lb. 3 la lb., monta 6 balle ne vendemo a Cristofano Varicanpo; pesaro’ lorde lib. 2506; abati di tara lib. 22 per balla, resta nete lib. 2374; son car. 6, men lib. 26; a lb. 7 s. 2 la car., di lb. 3 la lb., monta 4 balle ne vendemo a Iacopo Canella; pesaro’ lorde lib. 1678; abati lib. 22 per balla, resta nete lib. 1590; son car. 4, men lib. 10; a lb. 7 la car., di lb. 3 la lb., monta 13 balle ne vendemo a uno conpangno de Levieri Scotelar, che le divison per 1/3, chè furon 3 a la conpera: l’uno à nome Iacopo Agrestin e Iohanni Aron e Diedriche di Clecle; pesarono lib. 5428; abati di tara lib. 22 per balla, resta nette lib. 5142: son car. 13, men lib. 58; a lb. 6 s. 15, di lb. 3 la lb., monta e per 30 involture, s. 30, Somma lb. 70 s. 7 d. 7 di grossi. Abati di nolo, di 20 balle, demo a Nicolaio Madringhex, per qt. 84, a grs. 16 qt., e per ’varia e scuta da le Schiuse qui, s. 8 d. 4: in somma, lb. 6 s. –– d. 4, Abati di nolo, di balle 10, ad Andrea Gironese, e ’varie e scuta, Abati s. 10 di senseria; e per trare di scuta e recarlle a l’ostello e portare al peso, s. 5; cortesia al pesatore, s. 3; per ostelaggio,
lb. 16 s. 12 d. 7 lb. 14 s. 1 lb. 9 s. 5 d. 6
lb. 28 s. 18 d. 6 lb. 1 s. 10
lb. 6 s. –– d. 4 lb. 2 s. 14 d. 1
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s. 10; per nostra provigione, a 2 per cento, lb. 1 s. 8: in somma, lb. 2 s. 16, lb. 2 s. 16 Somma lb. 11 s. 10 d. 5 di grs. Resta ritrato nette di dete mandorlle lb. 58 s. 17 d. 2 di grs.: e tanto ponete a nostro conto riscossi vi sieno ressi. (E) Che Cristo vi guardi. Luigi e Salvestro Mannini e comp., in Brugga, salute. Esempio 29/2 Registrazione del documento precedente nel Memoriale della Compagnia Datini, 12 aprile 1396. Da: MELIS, Documenti, nr. 55, p. 244. Carteggio specializzato (abbreviazioni: bl. = balle; car. = carati; d.= denari; grs. = grossi; lb. = libbre; lib. = libbre; qt. = quintali; s. = soldi). La nota in calce (Posto a Libro nero, a c. 82, debian dare) indica che questa scrittura di credito è riportata nel libro mastro del ‘dare’ e ‘avere’. (P) Mccclxxxxvj. (T) Luigi e Salvestro Manini e chonp. di Brugia deono dare, a dì 12 d’aprile, venderono di nostro e’ 3/4 e l’altro 1/4 di que’ di Barzalona: A uno allamano, oste d’Untrovarzare: mandorle, balle 7, pesoro’ lorde lib. 2926; abati per tara, lib. 22 per bl., restoro’ nette lib. 2772: sono cariche 7, meno lib. 28; per lb. 7 s. 4 la car., di lb. 3 la lb., monta A Cristofano Varicanpo: mandorle, bl. 6, pesoro’ lib. 2506; tara, lib. 22 per bl., restoro’ nette lib. 2374: sono car. 6, meno lib. 26; per lb. 7 s. 2 car., di lb. 3 la lb., monta A Iacopo Canella: mandorle, 4 bl., lib. 1678; tara, lib. 22 per bl., resta nette lib. 1590: sono cariche 4, meno lib. 10; per lb. 7 carica, di lb. 3 la lb., monta A uno conpagno de Levier Scotelara, che furo’ 3 le conpere, per 1/3, cioè: a Iacopo Agrestin e Giovani Aron e Diedriche di Clecle: mandorle, (bl.) 13, pesoro’ lib. 5428; abati lib. 22 per bl., resta nete lib. 5142: sono car. 13, meno lib. 58; per lb. 6 s. 15 car., di lb. 3 la lb., monta e per 30 involture, In somma lb. 70 s. 7 d. 7 grs.
lb. 16 s. 12 d. 7
grs.
lb. 14 s. 1
di grs.
lb. 9 s. 5 d. 6
di grs.
lb. 28 s. 18 d. 6 s. 30
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Abàtesi per nolo di balle 20, a Niccolaio Madringo, per qt. 84, a grs. 16 qt.; e per avarie e sicurtà, da lLe Schiuse a Brugia, s. 8 d. 4: in somma, lb. 6 (s.) –– d. 4; e per nolo di bl. 10, ad Andrea Gironese, e avarie e sicurtà, lb. 2 s. 14 d. 1; e per trar di scurta e porto a casa e porto al peso, s. 5; cortesia al pesatore, s. 3; per ostelagio, s. 10; per senseria, s. 10; per loro providigione, a 2 per 100, lb. 1 s. 8: in somma dette spese, Resta se ne ritrae, netto di spese, Tòcchaci, per li nostri 3/4 Posto a Libro nero, a c. 82, debian dare
lb. 11 s. 10 d. 5 di grs. lb. 58 s. 17 d. 2 grs. lb. 44 s. 2 d. 10 1/2 di grs. lb. 44 s. 2 d. 10 1/2 grs. lb. 44 s. 2 d. 10 1/2 grs.
Esempio 30 Fattura per tessuti serici, a. 1408. Da: MELIS, Documenti, nr. 82, p. 290. Carteggio specializzato. ‘Fattura’ è l’elenco di merci spedite o ricevute, detto a Firenze ‘legaccio’. Il documento presenta lungo il margine destro alcuni curiosi disegni, come peraltro indica il testo; manca invece di ogni formalismo d’uso, che è invece presente nel documento successivo della stessa categoria. (T) 1 peza di zetani veluttato, canpo vermiglio di grana e pollo verde, con certi fiori di pello: cilistri e bianchi e con brocatti d’oro fine, d’uno ramo dissegnacto dirinpeto. 1 peza di zattani veluttato, canpo azurro e pello azuro, chon cierti fiori chermusi e bianchi di pello, col ganbo verde brocacto d’oro fine di brocho; di sopra detti brocho ne sono 5 nella largeza del velutto. 1 peza di zettani veluttatto, canpo azuro, con pello verde brocatto d’oro fine, a corone, e con un cordiglio d’oro fine tesuto a traverso, disegnato qui apreso. 1 peza di zettani veluttato, canpo verde, con pello vermillo con brochi, du’ corone d’oro fine, legacte d’un cordiglio d’oro fine, dissegnacto qui apresso . . . . . . . . E anche 5 di questi. 1 peza di zettani veluttacto, chanpo di grana, pello verde e brocatto d’oro fine; e di questo ne sono 4 della largeza. 3 peze di zettani velluttatto, canpo vermiglio, sanza brocco, con pello de’ 2 verdi: che ll’uno verde è quassi giallo, a’ lavori qui ssono; e l’un è a buciolli e l’altro àe stecacti; e l’altro sono fogliacti. 2 peze di zettani veluttato, canpo verde, lavoro come domaschino, di setta vermiglia e con lavori di pello verde e con fioretti di pello azuro e bianchi. 1 peza di velutto afiguiracto a schallie di 4 colori, cum nero, verde, bianchi e cremusi, come dirinpetto è dissegnacto; e sono 8 scaglie nella la(r)g(h)eza. 1 peza di zettani verde veluttatto, canpo verde e pello verde, con picc(i)uoli di pello chermussi e bianchi: e di queste ragioni cie ne sono asai.
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4 peze d’inperialli, tesutte d’ariento, che ssonno di[ssegnacti qui appresso], larghi di braccia 2: le 2 sono canpo verde, e gli alt[ri sono a scag]lie e ’l canpo. 8 peze di taffettà vergacti: le 4 sono a canpo di grana e 4 canpo azure. E le verghe sono larghe due ditta; e tra l’una e vergha e l’altra à un ditto; e ssonno le dette verghe la mettà d’ariento e di setta, cioè le 4 peze; e l’altre 4 sonno d’oro e di setta; a la ssetta à di più collori, quassi così, cio(è)... Tutti e’ sopra detti zettani e vellutti sono la peza da le 34 a le 40 braccia. Esempio 31 Legaccio o elenco di panni di Wervicq, 23 luglio 1399. Da: MELIS, Documenti, nr. 83, p. 292. Carteggio specializzato (abbreviazioni: lb. = lire; s. = soldi). I nomi registrati accanto agli item dei panni sono quelli dei ‘maestri’ (oggi diremmo stilisti ?), che li hanno realizzati. (P) + Al nome di Dio, amen. A dì 23 di luglio ’399. (T) Apresso scriveremo leghaggio di 3 torselli di panny di Vervy, che, dì 22 di questo, leghamo in Bruggia, per mandarllivy, per la via di Milano, a guida di Dino Forteghuerra da lLuccha; ne’ quali torselli sono i panny apresso diremo e di questo segnio segniati..., di n° 1/2/3. Fàcciali Idio salvy. Partirano a dì 25 di luglio: Nel torsello di n° I si à: 1 porrea di Vervy, Venant Gherbode, 1 paonazo di Vervy, da lluy, 1 cilestrino di Vervy, Johanni van den Bergha, 1 cilestrino di Vervi, Vilelmo di Bure, 1 bruschino di Vervy, Johanni van der Bergha, 1 feretto di Vervy, Venant Gherbode, 1 feretto di Vervi, da lluy, 1 feretto di Vervy, da lluy, 1 scharlattino di Vervy, Frans van Moscher, 1/3 peza di paonazo di Coltray, Daniello Brolouto, (Somma lb.) 284. alle 7 1/3 di frusone, alle 25 di tela lina, per 9 bandinelle, e alle 14 di chanovaccio e 3 chuoia e 5 corde. Nel torsello n° II si à: 1 verdello di Vervy, Gillis Schuonevelt, 1 azurrino di Vervy, Johanni da Asa, 1 cilestrino di Vervi, Diedrie Gherbode, 1 cilestrino di Vervi, da lluy, 1 feretto di Vervy, Johanni van Holebeke, 1 bruschino di Vervy, Venant Gherbode, schuri, 1 ferretto di Vervy, Volmo di Bave, 1 feretto di Vervy, Filippo Robe,
panno di lb. 29 s. 10 –– di lb. 29 s. 10 –– di lb. 28 s. 10 –– di lb. 30 –– –– di lb. 28 –– –– di lb. 29 s. 10 –– di lb. 29 s. 10 –– di lb. 29 s. 10 –– di lb. 25 –– –– di lb. 25 panno
di lb. 28 –– –– di lb. 28 –– –– di lb. 28 s. 10 –– di lb. 30 –– –– di lb. 27 –– –– di lb. 29 s. 10 –– di lb. 29 s. –– –– di lb. 32 s. 10 ––
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1 scharlattino di Vervy, Iohanni van den Bergha, 1/3 peza di paonazo di Coltray, per invoglia, Daniello Brolout, (Somma lb.) 282/10 alle 7 1/3 di frusone, alle 25 di tela lina, per 9 bandinelle, e alle 14 di chanovaccio e 3 chuoia e 5 corde. Nel torsello n° III si à: 1 verdello di Vervy, Gillis Schuonevelt, 1 azurrino di Vervy, Johanni da Asa, 1 cilestrino di Vervy, Frans van Moschera, 1 cilestrino di Vervi, Diedre Gherbode, 1 bruschino di Vervy, Johanni van den Bergha, son schuri, 1 bruschino di Vervy, Diedre Gherbode, sono schuri, 1 feretto di Vervy, Johanni van Holebech, 1 feretto di Vervy, Filippo Robe, 1 scharlattino di Vervy, Diedre Gherbode, 1/3 peza di paonazo di Coltray, Daniello Brolout, (Somma lb.) 283/10. alle 7 1/3 di frusone e alle 25 di tela lina, per 9 bandinelle, e alle 14 di chanovaccio e 3 chuoia e 5 corde. (E) Cristo vi ghuardi.
di lb. 25 –– –– di lb. 25 panno
di lb. 28 –– –– di lb. 28 –– –– di lb. 28 s. 10 –– di lb. 30 –– –– di lb. 28 –– –– di lb. 30 –– –– di lb. 27 –– –– di lb. 32 s. 10 –– di lb. 26 s. 10 –– di lb. 25 panno
Diamante e Altobiancho delli Alberti e compagni, salute, di Brugga
Esempio 32 Carico di nave per trasporto da Venezia a Maiorca, a. 1398. Da: MELIS, Documenti, nr. 95, p. 322. Carteggio specializzato (abbreviazioni: duc. = ducati; lb. = lire; grs. = grossi). (P) + Al nome di Dio, a dì 12 d’aprile 1398. (T) Mandianvi, questo dì, chol nome di Dio e di salvamento, per la nave di ser Nicholò di Verzoni: 2 barletti d’arsenicho, di Bruno di Franciescho e Anbruogio del maestro Giovanni e conpangni di Gienova, segnati di vostro segno e, da lato, per chontrasegno, B: quando gl’avete, ne fate la loro volontà. 1 balla di 3 panni turchini, d’Inghilese d’Inghilese di Firenze, segnata di vostro segno e, per chontrasegno, da lato, Z: quando gl’avete, ne fate la volontà di detto Inghilese. Al padrone avete a dare, per suo nolo, d. uno e mezo: chosì siamo d’acordo di qua. E ponete per metà a conto d’Inghilese, de’ panni; e l’altra metà a chonto di Bruno, cioè 3/4 di danari per uno. Tenuta a dì 26 d’aprile: e, a dì 18, avemo una vostra lettera, per da Firenze, fatta a dì 7 di marzo, e abbiamo visto quanto dite: rispondiamo per questa.
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Siamo avisati chome la nave Mariona è giunta a salvamento, grazia a dDio; e chome avete ricieuto 16 chapi di ghalla e 8 di spigha e che per ancora no’ ll’avete dischariche: dipoi l’arete dischariche e fatone il dovere, el padrone arete chontento. Allumi sono qui montati, per la nave Marzanghola, andava in Fiandra, rupe e altri navili gienovessi; ragionate: di rocca, duc. 13 migliaio, e di sorta, duc. 8 1/2 migliaio. Àcciene pocchi; ma tosto cie ne verano. Qui à spezie d’ongni ragione e assai; e venne la ghalea da Modone, che ne rechò buona somma: e in questo vi mandiamo suo charicho. E di dì in dì s’aspetta le 2 navi andarono a Baruti, per le spezie, sicchè cie ne fia gran quantità e l’uscita fia pocha: che Dio provegha. Pepe si sta a lb. 144 in 145. Zaferani ci reghono molto chari, posto cie n’abi assai; di chatalani non ci à oncia; vèneciene un pocho in su la nave di Verzoni, che grs. 71 si vende; di Marcha s’è venduto grs. 69; lonbardo, grs. 80; toschano, grs. 82 in 84. Giengiovi beledi, duc. 28 in 30; michini, duc. 11 1/2 in 12; chanelle fini, duc. 32 in 34; gharofani, grs. 14 1/4. Zucari domaschini non ci è: àcci di rifatti, belli che mai vedessi, e sono asuti: duc. 26 si sono venduti. Siatene avisati. Altro non vegiamo per questa avervi a dire: siamo a’ vostri piacieri. (E) Che Dio vi guardi. Inghilese e Donato e conp., in Vinegia. 1398. Charicho d’una ghalea venne da Modone, a dì d’aprile; chapitano meser Angioletto Gradenigho. pepe pondi 360 gengiovi pondi 95 macie pondi 21 zettovaria pondi 19 gharofani pondi 35 bochaccini pondi 22 incienso pondi 53 ispezie minute pondi 21 noci moschade pondi 36 channella pondi 19 frusti pondi 28 lacha pondi 19 verzino pondi 19 ghalangha pondi 10 ciennamonio pondi 2 spighonardi pondi 1 tuzia pondi 1 indacho ciurli 16 zuchero colli 8 pepe lungho colli 2 mira colli 1 turbitti colli 1 chappelletti colli 3
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Esempio 33 Carichi di nave per Pisa, a. 1399 (?). Da: MELIS, Documenti, nr. 97, p. 326. Carteggio specializzato. Il documento è scritto su bifolio, e il testo presentato dal Melis riguarda solo c.2r; nella tav. relativa sono riprodotti evidentemente tutti i curiosissimi segni o meglio contrassegni che rinviano a quelli corrispondenti applicati ai vari colli. (T) Charicha Dino Ghunigi, in nome di ser Natale Valoro(se) di Vinegia, in nave di Martino Ramondo d’Ondero, chome diremo apresso: 32 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . 1 balla, disse esere panni, segnata choxì . . . . . . . . le dette poche 32 e balle una si debono chonsegnare a Pisa, a Iachopo del Testa, chanbiatore. Charicha Alamanno e Antonio Mannini e fratelli, in detta nave di Martino Ramondo, del messe di dicenbre e di gennaio, chome diremo apresso: 17 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . 8 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . le dette poche 25 si deono chonsegnare a Pisa, a Nicholò de l’Amann[a]to e Tano Amidei. Charicha i detti Alamanno e Antonio e fratelli, in detta nave: 8 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . 3 poche di lana . . . . . . . . 5 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . 5 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . 1 balla, disse esere panni, . . . . . . . . 4 balle, disse eser panni, . . . . . . . . le dette poche 21 e balle 5 si deono chonsegnare a Pisa, a Francescho di Marcho e Manno degl’Agli e comp. Charicha Alamanno e Antonio Manmini e frateli, in deta nave di Martino Ramondo, del mese di gennaio, chome apresso diremo: 9 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . le dette si deono chonsegnare a Pisa, a Andrea di Bancho. Charicha ser Gannino Ganni di Vinegia, in detta nave, del mese di gennaio: 10 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . le dette si deono chonsegnare a Pisa, a Francescho da Prato e comp. Charicha ser Gannino detto, in detta nave, del mese di gennaio: 8 poche di lana, segnate choxì . . . . . . . . le dette si deon chonsegnare a Pisa, a Nicolò de l’Amanato e Tano Amidei.
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Esempio 34 Scritta chirografaria di costituzione di compagnia, 25 aprile 1406 – 1 maggio 1410. Da: MELIS, Documenti, nr. 102, pp. 336-338. Scritta privata (abbreviazioni: duc. = ducati; f. = fiorini). Il documento è di mano di uno dei soci. (P) + Al nome di Dio, amen. (T) Sia manifesto a chi vedrà o udirà legiere questa iscritta, che questo dì, 25 d’aprile anno millequatrocentosei, che Giovanni d’Averardo vochato Bicci de’ Medici e Benedetto di Lipaccio de’ Bardi, come conpangni, da una parte, e Giovanni di Franciescho da Ghaliano, da l’altra prate, è ferma e fatta una conpangnia nel modo come apresso direno, che d’esere possa, e ssia, a onore di Dio e de la Vergine Maria e di tutti e’ santi e sante de la corte del Paradiso, che per loro meriti ci facino grazia sia principiata in buono punto, per le nostre anime e sì per li corpi: e che così seghuiti e finischa. In prima, che i detti Giovanni de’ Medici e Benedeto de’ Bardi debino mettere, e fermi tenere, in conpangnia duchati settemila in Vinegia e ’l detto Giovanni di Franciescho duc. mille d’oro: che in tutto venghino a esere duc. ottomila d’oro. Le quali somma per detti Giovanni e Benedeto, e sì per lo detto Giovanni di Francescho, debono aver conpiuto di mettere per tutto il presente mese di magio prosimo e fermi li debino tenere quanto dura, o durare deba, detta conpangnia. La detta conpangnia siàno d’acordo sia in Vinegia e là stia il detto corpo di duc. ottomila e che ’l nome di chi, come è usato, coè, Giovanni de’ Medici e conpangni, e ’l sengno anche sia il sengno usato, coè, così . . . . . . . . È tenuto il detto Giovanni di Franciescho, durante la detta conpangnia, stare fermo a Vinegia e quivi, bene e diligientemente, come si richiede, la sua persona asercitare intorno al mestiero del canbio, come usati siamo, e così anchora se di merchatantia deliberasimo trafichare. E tutto fare bene e realemente, come si richiede al mestiere trafichare. E in nesuna sua cosa propia no’ possa, né debia, attendere; ma solo al fatto da la detta conpangna. Non debia, il detto Giovanni di Franciescho, di danari di detta conpangnia, né d’avanzi si facesono durante il tenpo di detta conpangnia, sanza licenza di deto Giovanni de’ Medici o di Benedeto de’ Bardi: la quale licenza, quando fosse, s’intenda quando per iscritura o per lettera apaia, trarne oltre a fiorini ciento l’anno; e, se piùe traese, s’intenda di quello piùe dovere ristorare la conpangnia, a ragione di 15 per 100 l’anno. Promette il detto Giovanni di Franciescho no’ giuchare, né fare giuchare a veruno guocho di dadi o d’altro giuocho non è honesto, né ragionevole, né da doverne fare stima: e, se ’l contradio facesse, e achadesse che vincese, una volta o piuè, che valicasse la somma di f. venticinque: che quelo piùe che vincesse deba dare a loro volontà al detto Giovanni de’ Medici e Benedeto de’ Bardi la loro prate, come se fossono danari ghuadangnati per detta conpangnia; e, in chaso perdese, abia il danno a ’ndare sopra il deto Giovanni di Francescho proprio. E, se per chaso al detto Giovanni di Franciescho, in fra ’l tenpo di detta conpangnia, (acadesse di) venire a Firenze per sue facende propie, o altrove, il che no’ deba fare sanza licenza, licenza di detti Giovanni de’ Medici e Benedeto de’ Bardi; e pure
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quando l’avese, deba andare e tornare a sue spese propie: e così sopr’a lui propio, se alchuno sinestro, nel suo andare o tornare, li ocoresse. Siàno d’acordo che il detto Giovanni di Francescho, per l’asercizio de la sua persona, e sì anchora per lo danaio deba mettere, del profitto, che nostro Singnore ne concederà, tragha la quarta prate, coè, per ducati dumila: e detti Giovanni de’ Medici e Benedetto de’ Bardi, per tre quarti, coè, per duc. semila: e così, a l’avena(n)te, ciascheduno debia protare, se danno seghuise: di che Idio ghuardi. Sono d’acordo detta conpangnia s’intendi esere cominciata a dì 25 di marzo prosimo pasato e duri anni quatro, che verebe a finire a dì 25 di marzo, anni millequatrocentodieci: e, finito il detto tenpo, s’intenda esere finita detta conpangnia, se già innazi al tenpo no’ si rifermasse di nuovo. E innazi a la fine di detto tenpo è tenuto il detto Giovanni di Francescho a sommare la detta ragione. E, ancora dopo la fine de la detta conpangnia, a piacimento di Giovanni de’ Medici e di Benedeto de’ Bardi detti, è tenuto, il deto Giovanni di Francescho, per bene esercitarsi ne’ bisongni che restasono di detta conpangnia, in Vinegia o in n’altra prate. E sono d’acordo, finita la detta conpangnia, coè, a dì 25 di marzo Mcccc°dieci, prima paghato chi deba avere da detta conpangnia e trattone ciascheduno quello che miso avesse di corpo, partire: partire e pilgliare ciascheduno la sua prate degli avanzi vi fossono; e così, se per chaso vi fosse danno, ciascheduno sia tenuto, ne la fine di detta conpangnia, mettere e paghare la sua parte. E sono d’acordo, finita la detta conpangnia, tutti i libri e scriture de la detta conpangnia rimanghiono apresso di detto Giovanni de’ Medici e Benedetto de’ Bardi; e sì anchora che ciascheduno creditore che restasse a detta conpangnia, per che ragione si fosse, restino ne’ detti Giovanni de’ Medici e Benedeto de’ Bardi e ’nanzi a la mano trarne de la detta ragione per quella somma che montasono i detti creditori, sicchè in beneficio di detti Giovanni de’ Medici e Benedeto de’ Bardi restino per insino a paghare s’avesono e che in cciò il deto Giovanni di Franciescho niente abia a ffare. Sono d’acordo il detto Giovanni di Franciescho no’ debia prestare, né ciedere ad alchuno danaio ad alchuno singnore o cherici o secholari, né a niun’altra giente che merchatante no’ sia riputato, e di buona riputazione, oltre a la somma di fiorini ciento: e questi anchora s’intenda esere stato a fine di bene e utile de la detta nostra conpangnia. E, se per chaso facese il contradio e danno ne seghuisse, debia andare sopra di lui propio; e, se utile ne seghuise, deba pure restare ne la conpangnia. So’ d’acordo che parendo al detto Giovanni di Franciescho mettere e trafichare di danari del deto corpo, o d’altri danari di detta conpangna, in merchatantia per insino a la somma di fior. dumila, coè, fiorini 2000, lo possi fare durante il tenpo de la deta conpangnia; ma di pùe somma no’ vi possa mettere, se già d’acordo no’ ne fusimo, o che per scritura aparise. E sono d’acordo che i detti Giovanni de’ Medici e Benedetto de’ Bardi non sieno tenuti a ’sercitare le loro persone, né in Vinegia, né fuori di Vinegia, ne’ servigi de la detta conpangna piùe che sia di loro piaciere. (E 1) Io, Benedetto di Lipaccio de’ Bardi, di consentimento di Giovanni di Bicci de’ Medici ò scritto questa di mia propia mano e lui si sottoiscriverà di sua per piùe chiareza. Io, Giovanni di Bicci de’ Medici sono cotento a quanto in questa iscritta si contene e perrò mi sono soscritto di pro(p)ia mano, anno e mese e dì detto sopra.
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(Rinnovo) Rafermamio, dipoi, detta conpagnia col detto Govanni di Francescho, noi Govanni e Benedetto, per altri quatro anni a venire, coè, per tutto l’anno millequatrocentoquatordici. Cho’ detti e patti e chondizioni ch’era di prima, ecetto che nel potere trafichare di marchatantia, li diàno comesione e siàno cotenti che ‘l detto Govanni possa, in pocho e in asai, chome a lui parrà o vedrà eserre utile per quela somma li parrà traficarne. E sì anchora che dove si chotenea certa limitazione de l’an(n)o si potesse partire siàno cotenti ognora li fosse di piacere, l’anno una volta, sanza atendere altra nostra licieza venire qua a Firenze e a spese della conpagnia. E anchora siàno contenti che per la faticha à di più per trafichare, il soprracorpo ch’à più o ragioniàno tengha più tra lui e noi, che ’l detto Giovanni degli’ava(n)zzi si faranno in detta ragione tragha inanzzi la mano, per sé, f. cento d’oro ogn’anno. (E 2) A chiareza de le sopra dette cose, io, Giovanni di volontà di Benedetto, atesi a questa iscritta qua(n)to di soprra si contiene, questo dì, primo di maggio 1410. Esempio 35 Documento di noleggio di nave, a. 1473. Da: MELIS, Documenti, nr. 106, p. 352. Scritta privata (abbreviazioni: grs. = grossi ). (P) + Ihesus, Maria. Mcccclxxiij, a dì 8 di marzo. (T) Al nome de Dio e della sua Madre Verzene Maria e de bon viazo e sallvamento e guadagno, ser Allvuixe Baxeio, fo de miser Francesco, nolliza la bona nave, patron ser Zuan de Belli, per el viazo di Puia, con i pati sotoscriti. E prima promete, ditto patron, dar ditta nave ben conza e armada e choreada, segondo i ordeni de Veniexia; e die partir di Veniexia per dì 15 de questo prexente mexe, sallvo iusto he inpedimento. E, partido di Veniexia, die andar a dretura a lLeze, nel qual luogo ditto patron die star zorni hoto chargadori, non metendo el dì del zonzer, né del partire. E llì, a Leze, à llevar tuto quello i serà dato per el chomeso del ditto nollizador. He, spazado da lLeze, die andar a Otranto, nel qual luogo ditto patron die star zorni hoto chargadori, non metendo el dì del zonzer, né del partire; e llì, à llevar tuto lo resto darà el chomeso del ditto nollizador, fina alla suma serà hobligato a chargare: e, dipoi spazato, die venire a dretura a Veniexia. Dechiarando ch ’el ditto nollizador hè hobligato de dar e fare chargare, sì a lLeze, chome a Otranto, botti otanta di hogllio de fermo e botti otanta di respeto; el qual rispeto, per el chomeso del ditto nollizador, lli die risponder in termene de zorni quatro, da poi che ditta nave serà zonta a lLeze. Dechiarando ch ’el ditto patron die tuore botti sesanta del ditto nollizador; le qual boti 60, chome eziandio delle boti i darà el patron di tuto, el ditto patron serà tenuto a farlle conzare e a darlle ben conze e stagne. E di quelle darà el patron, sia daglli chiari di lle mexure consuete per el viazo di Puia. Esendo tenuto, dalle boti 60 darà el nolizador, darlli tutte lle alltre boti per lla suma vorà chargare ditto nollizador. Esendo ditto nolizador obligato a pagare di nollo: grs. 28, di quelle boti darà el patron; e di quelle darà el nollizador a pagare grs. 25. E tuto se intendi neto di ’varia. lLi qual nolli se averà a pagare da poi serà discharga lla nave con sallvamento a Veniexia, a mexi
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sie. Apreso, ditto patron promete a portare de qui fina a lLeze, hover Hotranto, tavolle hotozento he mier 24 di fero, he chase do’ de veri: e tuto senza nollo, né spexa alguna. E simel, se lla nave porà portare pllùi, ditto patron serà tenuto a portare tante pllùi tavolle; esendo obligato, ditto patron, che né llui, né alltri e sia chui se voglli, non porterà tavolle sopra de ditta nave: e, portandosi, sia tuto del ditto nollizador. E di quelle el patron i ne averà a fare conto. He chusì promete una e l’altra parte di atender e oservare, soto pena de’ dani e interesi a chui conttrafarà: che priego Idio mandi a bon salvamento e vadagno. E per chiareza zaschaduno sotoscrierà di suo mano esere contento a tuto quanto hè scrito di sopra. (E) Io, Alvixe Baxeio, son contento: e chuxì prometo de atendere, oservare a quanto soprascrito, che priego Idio doni bon viazio e quadagno. Io, Zuane di Belli, sono chontentto quanto à soprascritto. Esempio 36 Alcune polizze di trasporto merci “a quantità”, aa. 1475 – 1488. Da: MELIS, Documenti, nr. 107, p. 354. Scritta privata. La struttura dello scritto qui esemplificato è così indicata dal Melis: “1) in testa ( seguito dalla data), il nome del mittente; 2) al centro, dopo l’indicazione della merce, il peso dei colli (ed eventualmente, la tara); 3) in basso, il nome del destinatario, accompagnato da quello del trasportatore” ( in questi esempi l’azienda di Alvise Baseggio e Polo Caroldo di Venezia); un ‘trattamento’ diplomatistico può riconoscere nelle parti suddette i seguenti formalismi: un protocollo suddiviso ad incorniciare il documento in testa e in calce ( mittente e data cronica / destinatario e trasportatore ), e l’oggetto dell’operazione ( negli esempi, indaco, lacca, cotone, seta) descritto nelle sue precise misure di peso. (P) Piero Zehrin. 1488, i’ dì 17 mazo. (T) Endego: cc xxiij 6 cc xxv 6 c lxviij 6 c lxxj 6 dcc
soma lxxxviiij
(tara) 77/9 neto dcc xj /3 (P) Ser Rigo Famela e fradeli, di ser Alvuixe Baxeio. (P) Lorenzo Rufeldelli. 1479, a dì 3 zugno.
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ccc ccc ccc ccc ccc M
ijM
(T) Lacha: lxxxvij lxxxviiij lxxviij lxxxxij lxxxxvij
.6 .6
soma dcccc lxxxxvij
liiij .3
soma lj
.3
(tara) 184/6 neto M dccc lxvj. 9 (P) Ser Piero e ser Andrea Zuchato, de ser Alvixe Baxeio e ser Polo Charoldo (P) Francescho Bonamigho. 1475, a dì 26 fevrer. (T) Gotoni: dcc dcc lv dcc lxxvij ijM
ijM
soma cc dc
xxxij viij
soma dccc
xl
filladi: dccc dccc dcc dccc
xxxij xviiij l lxxx
soma iijM cc lxxxj (P) Ser Francescho Terantin da Bresa, da ser Pollo Charoldo e ser Alvixe Baxeio.
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(P) Meser Charlo, 1479, a dì 12 mazo. (T) Seda kruda: c lxxxviij .9 (P) Ser Pollo Singeler da Chologne, de ser Alvixe Baxeio e ser Polo Charoldo. Esempio 37 Polizze “descrittive”, a. 1418. Da: MELIS, Documenti, nr. 108/b, p. 356. Scritte private (abbreviazioni: duc. = ducati). (P) + 1418, a dì 25 avosto, in Vinexia. (T) Ser Anttonio e ser Alvixe Venier charga in galia chapettania, gropo uno. Disse eser duc. zinquezentto, zioè 500, signade de questo. Di’sse dar, a Baruti, a ser Lorenzo Mudazo de miser Nicholò, ho a chi per lui fosse. (E) Alvixe Tomaxini, soscrise (P) + In Christi nomine. 1418, a dì 25 avosto in Veniexia. (T) In galia patron miser Piero Mudazo, al viagio da Baruti, charga ser Antuonio Venier, fo de miser Marcho, gropo uno, segnado di l’avanti segnal. Disse essere duc. zinquezento e dièsse dar a Barutti a ser Donado Foschari, ho chi per lui fosse. (E) Cristofalo Zarattin, soscrise. Sachi dise i era 13 in 7 ruodolo.
Esempio 38 Polizza di assicurazione, 22 settembre 1385. Da: MELIS, Documenti, nr. 111, p. 364. Scritta privata (abbreviazioni: f. = fiorini; s. = soldi). (P) Al nome di Dio, ame’. Fatta a dì 22 di settebre 1385. (T) Sia manifesto a chi legierà, o udirà legiere, questa iscritta che, qesto dì ano e mese ditto di sopra, Niccholò de l’Aman(a)to prese una sichurtà di f. 300 d’oro, per Franciescho di Marcho da Prato, da Iacchopo di Francescho Fafi, a f. 3 1/2 per 100 di rischio e sichurtà al ditto Iachopo che sichurò in su uno forziere di merce grose e due balle di merce grose e uno chasone di merce e due balle di chotone tinto: in tuto, chapi 6; di valuta di f . . . . . . . o circha; segnati chosì . . . . . . . ; chariche per Batista Lomelino, in sui la nave di Piero Borsaio, chiamata «Santa Maria», in Porto Pisano, per insino a Bocholi, in Provenza, renduta in Bocholi a . . . . . . .
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È rischio che il ditto Iachopo chorre sopra la ditta roba sie che, dal dì che lla detta nave partirà o fose partita, per andare al detto porto di Bocholi, giuta e scharicha in terra a salvamento di mare e di giete e di fuocho e di gitto di mare, e di ritenuto di signore o d’altra persona o di rapresaglia o di qaluqe altro inpedimento intervenire ne potese, salvo che di stiva. E, se per chaso avenise che della detta roba alchuno disastro ne ’ntervenise – del qale Idio ne gardi –, che, gute le vere novelle infra due mesi, il ditto Iachopo Fafi debia dare e ristituire i ditti f. 300 d’oro, per lui asichurati al ditto Fracescho di Marcho da Prato, o ad altri per lui. E, qando la ditta roba sarà guta e scharicha nel ditto porto di Bocholi a salvameto, di tute le sopra ditte chose s’itende il detto Iachopo esere disobrighato della ditta sichura. (E) E, per chiareza delle dette parti, io, Micchele di Marcho, sensale del ditto merchato, ò fatta qusta iscritta di mia propia mano, dì e anno e mese ditto di sopra. Io, Iachopo di Francescho Faffi, sono chontento d’avere fatta la sopra deta sichurtà di f. trecento d’oro, per lo modo che à iscrito Michele di Marcho, sansale, e ònne riceuto f. dieci s. dieci a oro: e, per chiareza di ciò, mi sono soscrito di mia propia mano, a dì detto di sopra. Che ‘l nostro Singnore Idio la chonducha a salvamento, amen. Esempio 39 Scritture di crediti tenute da mercanti fiorentini in Bologna, a. 1211. Da: MELIS, Documenti, nr. 116, p. 378. Contabilità (abbreviazioni: d. = denari; lb. = lire; s. = soldi). (P) In nomine Domini, amen. San Brocolo Mccxj. (T) Orlandino, galigaio da Santa Trinita, no(i) die dare lb. xxvj, per metzo magio, per buolongnini ke i demmo a Bolongna, per lo mercato San Brocoli. Se più sstanno, a iiij d. (per) lb. il messe: e, s’elli non pagasse, sì nne promise da pagare Angiolino Bolongnini, galigaio. Testi: conpangno Avanelle e Bellacalza. Itam, die avire s. xliij, per Mikele f. Galleti: levamo di rascione de lo Scilinquato Maineti. Orlandino ci àne dato lb. vij e s. viiij; ebele Manetto f. Quidi dell’Avogado, per Aldobrandino Avekari Porcelle de Quittoncino f. Gianni (e ) Griffo Konankede, tredici dì anzi kalende giungno. Item, ci die’ Orlandino lb. vj s. iiij; rekolle Iakopo a quessto termine. Item, Orlandino ci à dato lb. iiij e s. xvj, ke i diede ad Arrigo f. Rugieri de lo ’Ngemmato; pagavalli per Quaskone tTortolini, xj dì anzi kal. giunnio. Item, diede per noi a Buonaquida de la Gattaia s. xlvij: e no li davavamo di rasione Rinieri Orlandini, x dì anzi kal. giunnio. Item, diede ( per) noi a Uguiccione f. Kastellani s. l, v dì anzi kal. giunnio. Item, ci die’, di ssua manno, Orlandino s. xj, ankonpangnò Giannozo. (P) Mccxj.
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(T) Angiolino, galigaio, no die dare lb. xl, per bulongnini ke i demmo a Bolongna, per lo mercato San Brocoli; e de’ pagare per metzo matgio. Se più sstanno, a iiij d.: e, s’elli non pagasse, sì nne promise di pagare Orlandino galigaio, prode e capitale, quant’elli istessero. Testi: Matzingo, Manetto d’Albitzo conp. e Bernardo Bertti. Angiolino ci à dato lb. xj, di ssua mano, quatro dì anzi kal. giugnio. Item, ci die’ Benivieni galigaio, per Angiolino, lb. iij e s. x; rekò Albizo da fFerra, pezzaio di Lungarno, a questo termine. Item, ci die’ Orlandino lb. x; rekò Kanbio da lo Scotto, pezzaio, lb. tre; e da Iakopo del Canpo lb. quatro, meno soldi tre; e le tre lb. e tre s. diede Orlandino, di ssua manno, a questo termine di ssopra. Item, Angiolino, di ssua manno, s. cx, un die anzi kal. giugnio; ed à pagato il prode. Item, ci die’ Orlandino lb. iij e s. xvj, per Iakopo, un die anzi kal. giugnio. Item, ci die’ Orlandino lb. iiij e s. iij; rekò Kanbio da Bernardo, lo pezaio, tre dì intrante giugnio. Item, ci die’ Orlandino, di ssua manno, s. xl, ankonpagnò Arnolfino, j dìe anzi metzo giugnio. Item, diede Orlandino s. iij; ed à pagato in quiderdone de la ssu’ parte a Aldobrandino, per 1/2 giugnio. Esempio 40 Conto corrente e chèques, a. 1374. Da: MELIS, Documenti, nr. 155, p. 466. Banca (abbreviazioni: f. = fiorini; lb. = lire; s. = soldi). (P) Mccclxxiiij. (T) Arrigho da Crespina, lanaiuolo, de’ avere, a dì 28 di genaio, f. dicessette d’oro, li quali avemmo per lui da Niccholaio da Chalci banchieri, Àne avuto, a dì 31 di genaio, lb. tre s. 10, li quali demmo per lui ad Arrigho da Vizigniano; ebe lo canbio, Àne avuto, a dì 7 di ferraio, f. tre d’oro, demmo per lui a Matteo Bellasta, in suggello, Àne avuto, a dì 11 di ferraio, f. uno d’oro, demmo per lui ad Arrigho tessitore, Àne avuto, a dì 18 di ferraio, f. uno, portò Giovanni, Àne avuto, a dì 23 di ferraio, f. uno, portò Iachopo di Piero, suo garzone, Àne auto, a dì soprascritto, f. uno d’oro, portò Giovanni di Tone, Àne auto, a dì 25 di ferraio, f. 2, portò Giovanni soprascritto, Àne avuto, a dì 28 di ferraio, f. uno, portò Iachopo soprascritto, Àne auto, a di primo di marso, f. 2 d’oro, portò Giovanni di Tone, Àne auto, a dì 2 di marso, f. 2 d’oro, li quali demmo per lui a Noccho Tegrimo, portò Giovanni Bonchonte, Àne avuto, a dì 3 di marso, f. 2 d’oro, li quali ebbe elli in picciuli, Soma, f. 17 d’oro.
f. 17 d’oro f. 1 d’oro f. 3 d’oro f. 1 d’oro 1 d’oro f. f. f. f. f.
1 d’oro 1 d’oro 2 d’oro 1 d’oro 2 d’oro
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(D) Parazone, darai a ’Rrigho da Vizingnano lb. 3 s. 10 E darai, a Bellasta da Pistoia, f. 3. (E) Arrigho da Crespina.
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(D) Parazone, darai a ’Rrigho, tessitore, f. uno d’oro; et pone a mia ragione. (E) Arrigho da Crespina.
Esempio 41 Lettera d’ordine di pagamento e altre scritture correlate, a. 1396. Da: MELIS, Documenti, nr. 157, p. 470. Banca (abbreviazioni: f. = fiorini; lb. = lire; pic. = piccoli; s. = soldi). (P) + Al nome di Dio, a dì 22 d’aprile 1396. (T) L’aportatore di qesta lettera à nnome Domenicho del Piovanno, chalderaio, da Firençe, il quale m’à rachoncio due chaldaie di rame e de’ avere di resto da noi f. due lb. otto pic., tra rame che mise di suo e suo maestero, egli e uno suo gharçonne: e chosì vi pregho gli diate per noi e ponetegli a nostro chonto. Noi no’ gli avìanno qua ed e’ no’ potea istare qua per qesti danari a ’spetare che noi gli avesimo: prreghovi voi glie diate a l’auta di questa. Noi avemo ieri e ogi sacha quatordici di ghuado da’ vostri di Pisa: ditello loro per la prrima lettera. Arei charo mi dicieste se i panni del chonpare di Nicholò voi gli chonperaste, o chome istà la chosa: chè mai non ò saputo nulla che n’è seghuitto. Altro no’ mi richordo avrevi a dire: (E) che Dio vi ghuardi senprre, per Franciescho di Marcho e Nicholò di Piero, tintori di Prrato. •
Coppie di partite che provano l’ordine di pagamento eseguito (in tondo la parte relativa all’ordine di pagamento che interessa qui):
Franciescho di Marcho e Niccholò di Piero, tintori a Prato, deono dare, a dì 20 di novenbre (1395), f. novecientosessantadue s. 10 d. 1 a oro, i quali abiamo posto che debino avere, in questo, c. 160, E deono dare, a dì primo di dicienbre, f. ventotto lb. 28 s. 3 d. 5 pic., ebe chontanti più tenpo fa in più partite, come a Uscita E, c. 157; sono, a s. 75 1/2 (il) f., [...] E deono dare, a dì 26 d’aprile (1396), lb. quindici s. 13 d. 4 pic., demo per loro a Domenicho del Piovano, chalderaio; portò e’ detto; sono per rame e rachoncatura di chaldaie; a Uscita E, c. 166,
f. 962 s. 10 d. f. 35 s. 9 d. 5 [...]
f. 4 s. 2 d. 2
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E deono dare, a dì 18 di maggio, f. dieci d’oro, demo per sua lettera a Niccholò di Piero da Chastello; portò e’ detto in fiorni nuovi; a Uscita E, c. 167, •
f. 10
Contropartita nel «Libro dell’entrata e dell’uscita»:
(P) Mercholedì, a dì 26 d’aprrile. (T) A Franciescho di Marcho e Nicho’ di Piero, tintori in Prrato, f. due lb. otto pic., per loro a Domenicho del Piovano, chalderaio; portò e’ detto in quatrini; a Libro roso, a c. 201; chome per suo letera ci scrise: dise ero’ per rame e rachonciatura caldaie,
f. –– lb. 15 s. 13 d. 4
Esempio 42 Scritte di una girata fuori del titolo, a. 1392. Da: MELIS, Documenti, nr. 161, p. 478. Banca (abbreviazioni: f. = fiorini; s. = soldi). Le scritte considerate sono tre e precisamente 1) la lettera di cambio, 2) la girata, 3) registrazione di debito/credito nel memoriale della Compagnia Datini a Pisa. 1) (P) + Al nome di Dio, a dì 17 di settebre 1392. (T) Pagate per questa prima, a usanza, a Matteo Trenta, f. trecentoquatordici d’oro s. cinque a oro, sono per f. trecento d’oro, auti qui da Iacopo Sardo: pagate e ponete a conto de’ nostri di Firenze e rispondete. (E) Che Idio vi guardi. Francescho da Prato e Andrea di Bonanno, in Genova. Acietata a dì 24 di settebre. Posto a Memoriale A, c. 39. tergo: Ricevuta a dì 29. Francescho di Marcho e Manno d’Albizo e chomp., in Pisa. P(rim)a. 2) (P) Al nome di Dio, amen. (T) Siemo contenti che li f. 314 e 1/4 aceptaste a Simone Sardo di pagare per la lettera di Genova, la quale è in nostro nome, paghiate, al tempo, a Bartholomeo Guarzoni e Kastello (Castiglioni): e così fate e fatevi dare a Simone Sardo la lettera del cambio e lui ve la darà perchè lui l’à: e di questo è informato, quando questa lettera li mostrerete. Né più dichiamo: (E) Cristo v’abia Matteo Tremta, in Lucca, salute. Die 28 septembre ’392. tergo: Framciescho da Prato e compagni, Pisa. 3) [...]
[...]
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Matteo Trenta de’ avere, a dì 30 di settenbre, f. trecientoquatordici s. 5 a oro, promettemo per lettera da Genova de’ nostri, per f. 300 n’ebono in Genova da Iacopo Sardo e conp.: e sono per li nostri di Firenze; posto, qui di sotto, debino dare, f. 314 s. 5 a oro Àne auto, a dì deto, f. trecientoquatordici s. 5 a oro, demo per lui a Bartolomeo Ghuarzoni e conp.: e per noi gli pagò meser Niccolò di Pagnozo e conp., qui di sopra, debi avere, f. 314 s. 5 a oro [...] [...] Esempio 43 Scritta di girata cambiaria, a. 1410. Da: MELIS, Documenti, nr. 162, p. 480. Banca (abbreviazioni: d. = denari; fr. = franchi; lb. = lire; s. = soldi). Nell’atto compaiono il “datore” (Compagnia di Bartolino Bartolini), il “prenditore” (Antonio di Neve di Montpellier), il “trattario” (Compagnia Datini di Barcellona), il “beneficiario” (Gherardo Cattani), mentre “la girata è stata fatta a favore del mercante lucchese Iacopo Accettanti”; una seconda girata è annullata o, come è scritto, chassata. Melis riproduce insieme alla scritta di girata anche la c. 116v dal libro di conti della banca di Bartolino che ha effettuato il pagamento. (P) + Al nome di Dio, a dì 5 di febrao 1410. (T) Pagate, per questa prima lettera, a dì 16 vista, a Guirardo Catani, libre quatrociento ot[antatre] s. dodixi d. cinque, cioè lb. 483 s. 12 d. 5 barzelonesi; sono per franchi [617] s. 7 d. 8 a oro, avuti da noi stesi, a s. 15 d. 8 per franco. Fatene buon pagamen[to e ponete a conto] di Bartolino di Nicolao Bartolini di Parixi. (E) Cristo vi guardi. Pagate a dì se[dici vista]. Antonio di Neve, di Monpulieri [salute]. Aciettata, dì 15 febrayo 1409 Io, Gherardo Chattani, sono contento che de’ soprascritti danari ne faciate la volontà di Iachopo Aceptanti. tergo: Io, Iacopo Acettati, son contento ch’e’ ditti danari diate per me a ’Ndrea de’ Pazi e conpagni. Chassata. Francesco di Marcho da Prato, in Barzalona. P(rim)a. [...] [...] Bartolino di Nicholayo e conp., abitanti in Parigi, deono dare, a dì prosimo, dì 3 di marzo, lb. quatrocientoottantatre s. dodici d. 5, ci trasse per loro, da Monpulieri, Antonio di Neve in Gherardo Chattani; e per lui li demo, chome disse, a Iachopo Aciettanti, a dì 6 detto; e per noi li disse la Tavola lb. 483 s. 12 d. 5 della Città; in questo, c. 114, E per prrovigione di questo conto, in questo, a c. 249, debi ave- lb. ––– s. 9 d. 8 re prrovigione, [...]
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[...] La Tavola della Città de’ avere, a dì 13 di febrayo, disono per noi a Piero Chardona; in questo, a c. 49, E, a dì 15 detto, disono per noi a Iachopo Aitanti e sono per Domenicho de’ Benedetti; in questo, a c. 63, debbi dare, [...] E, a dì 3 di marzo, disono per noi a Franciescho Giovanni; in questo, c. 106, [...] E, a dì 6 detto, dissono per noi a Iachopo Aciettanti, per Gherardo Chattani, per una lettera di chanbio di Monpulieri, di fr. 617 s. ––, e sono per Bartolino di Nicholayo di Parigi; in questo, a c. 116, debi dare, [...]
lb. 180 s. –– lb. 99 s. 7 d. 6 [...] lb. 11 s. –– [...]
lb. 483 s. 12 d. 5 [...]
8. Altre forme di documento d’ufficio (ess. 44-54). – Esistono fatti ed atti di diritto privato che riguardano sia la persona sia tutto il corpo sociale: per esempio, l’esistenza delle persone fisiche, dalla nascita alla morte, e il loro status (per esempio, di libertà o schiavitù) o la loro capacità economica toccano sia le persone stesse sia una res publica, che deve conoscere e perciò censire il popolo che amministra e deve imporre tasse e eventuali servizi. Di qui filoni di documentazione i cui autori sono insieme il privato e l’amministrazione attraverso i suoi uffici: il privato ‘denuncia’ la nascita di un figlio o la morte di un avo e l’amministrazione tiene i registri di nascite e morti, il privato denuncia per iscritto i suoi redditi e l’amministrazione dall’insieme delle dichiarazioni ricava i suoi ‘libri di conti’. Esistono poi atti di diritto privato come per esempio l’adozione o la tutela che richiedono la partecipazione dell’autorità pubblica o che si compiono davanti ad un’autorità amministrativa, come per esempio il negozio romano del testamentum apud acta. Esistono infine atti la cui documentazione privata prosegue in una successiva documentazione d’ufficio e cioè nell’insinuatio apud acta (pubblici), come per esempio avviene in età romana per l’apertura del testamento o per la trascrizione in pubblici registri della donazione al di sopra di 200 solidi. Un procedimento in qualche modo analogo a quello dell’insinuazione romana – un’analogia non concettuale né dottrinale, ma per atteggiamento antropologico e soluzione di prassi – è quello altomedievale dell’ostensio charte 76. Tutta questa massa documentaria, nelle sue varie forme e tipologie, viene qui trattata, almeno provvisoriamente e a partire dai prototipi d’età romana, come documentazione d’ufficio, perché, secondo le diverse fattispecie, si conclude con una formula o in un formalismo di tipo amministrativo. Ma essa è assai poco conosciuta e ordinata dalla diplomatica. Di essa sappiamo solo tangenzialmente: si sa per esempio che, nel secondo medioevo, atti come l’adozio76
NICOLAJ, Formulari e nu ovo formalismo, pp. 353 e ss.
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ne saranno documentati in instrumenta notarili, nei quali la presenza e la partecipazione del giudice saranno debitamente solo richiamate (e d’altra parte, a ben pensare, tutta la documentazione notarile è una documentazione d’ufficio, anche se sui generis). O sappiamo che, nello stesso periodo, le dichiarazioni circa le persone fisiche e dei redditi saranno portate a formare quei catasti sui quali torneremo (v. più avanti, par. 10) e in capo ai quali si svilupperanno ‘rami’ di documentazione interconnessi: per esempio nel caso molto ben studiato di Arezzo, dalle Portate, e cioè dalle dichiarazioni dei singoli, gli uffici deriveranno il Catasto con il calcolo dell’imponibile, di qui il Libro della lira con i coefficienti d’imposta e infine i Daziaioli con la riscossione delle imposte 77; mentre le nascite saranno anche documentate indirettamente negli elenchi dei battezzati delle parrocchie e perfino nei libri di famiglia 78, fino a che, dal secolo XVIII, a fini di certezza legale, si useranno registri di stato civile 79. Esempio 44 Professio legitimi filii civis Romani nati, a. 242, Alessandria d’Egitto. Da: FIRA, III, nr. 1, pp. 3-5. Su tavoletta cerata, da dittico. La ‘terza mano’ appone in calce allo scritto le forme d’ufficio: la formula di ricevuta dichiarazione con data e la convalida del documento esibito. [C. Vettio Attico Sabiniano C. Asinio Lepido Praetextato co(n)s(ulibus), XVI Kal(endas) April(es), anno V Imperatoris Caesaris M. Antonii Gordiani Pii Felicis Augusti] | mense Phamenoth die XXI, [Alexandr(eae) ad Aeg(yptum)]. | Apud C. Do[mi]tium Philippum pr[aefectum Aegypti] | L. Aureli[us] Theodorus profes[sus est filium sibi] | natum es[se] L. Aurelium Ammo[n . . . . L(ucii) fil(ium) ex] | Valeria I[ul]ia uxore, non(is) Ia[nuariis . . . . . . . . . ] || Sabino Se Û[..] Venusto co(n)s(ulibus). | (seconda mano) Lo¥kioq Aªr¸≤lioq≥ Ueødvroq Ωpogråf≤omai yøn moi geghnn™s≥— uai Lo¥ki≤on A≥ªr¸lion |Ammvn≤ . . . Loykºoy yøn ®k t∂q≥ — gynaikøq m≤o≥y Oªalerºaq |Ioylºaq ≤kau◊q prøkeitai Aªr¸≥—lioq S√patroq ∏ kaÁ |Ammv≤ . . . . ‘graca Êp‚r aªto†≥ — — gråmmata mÓ e˝døtoq. | (prima mano) (=Etoyq) e Fam(en◊u) ≤ka?≥ Exemplum subscrip[tionis]. | (terza mano) Acc(eptum) XVI Kal(endas) April(es) A[ttico Sabiniano Lepido Prae]|textato cos. Recogn[ovi]. 77 Fonti per la storia del sistema fiscale. Sul catasto vedi anche TALAMANCA, Catasto (diritti antichi) e CORTESE, Catasto (età medievale e moderna). 78 CAMMAROSANO, Italia medievale, pp. 232, 287. 79 GIANNINI, Certezza pubblica, 769, in part. 772; SANDULLI, Documento (diritto amministrativo), pp. 615-616.
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Esempio 45 Estratto di nascita, a. 62, Alessandria d’Egitto. Da: FIRA, III, nr. 2, pp. 5-7. Su tavoletta cerata (dittico). La clausola in calce e in sigle dovrebbe provenire dagli uffici. P. Mario L. Afinio Gallo cos. | X K(alendas) Augustas, | anno VIII Neronis Claudii Caesaris | Augusti Germanici Imp(eratoris), mense | Ephip die XXIX, || Alex(andreae) ad Aeg(yptum).| Descriptum et recognitum ex tabu|la professionum quibus || liberi nati sunt, quae tabula | proposita erat in Atrio Magno, | in qua scriptum erat id quod in|fra scriptum est.| L. Iulius Vestinus praef(ectus) Aeg(ypti) || nomina eorum qui e lege Pap(ia) | [P]opp(aea) et Aelia Sentia liberos apud | [s]e Û natos sibi professi sunt proposu(it) | P. Mario L. Afinio Gallo cos.| XV K(alendas) Augustas.|| L. Valerius L(ucii) f(ilius) Pol(lia) Crispus (sestertiorum) CCCLXXV (milium) | [sibi ?] filium natum L. Valerium | L(ucii) f(ilium) Pol(lia) Crispum ex Domitia L(ucii) f(ilia) | Paulla III K(alendas) Iulias q(uae) p(roximae) f(uerunt) [c.] r. [e.] a[d] K. Esempio 46 Testatio liberorum ex incerto patre natorum, a. 145. Da: FIRA, III, nr. 4, pp. 9-11. Su tavolette lignee (dittico). Sempronia Gemella t(utore) a(uctore) C. Iulio | Saturnino testata est eos qui | signaturi erant se enixam esse | ex incerto patre XII Kal. Aprel(es) | q(uae) p(roximae) f(uerunt) natos masculinos ge||minos eosque vocitari MM. | Sempronios Sp. filios Sarapionem | et Socrationem: ideoque se has | testationes interposuisse dixit, | quia lex Aelia Sentia et Papia || Poppaea spurios spuriasve | in albo profiteri vetat. D. E. R. E. E. | B. T. SS. . Actum Alex(andreae) ad Aeg(yptum) III Kal. | Maias imp. Caesare T. Aelio Hadriano | Antonino Aug. Pio IIII M. Aurelio || Caesare II co(n)s(ulibus), anno VIII imp. Caesaris | Titi Aeli Hadriani Antonini Aug. | Pii, mense Pachon die IIII. | Semprvnºa G™mella metÅ kyrºoy — GaÇoy |Ioylºoy Satornºloy ®martyro — — poihsåmhn yoÂq d¥o did¥moyq ge—genn∂suai ®j Ωd¸loy patrØq to¥toyq — te ®pikekl∂suai Mårkoyq Semprv—nºoyq S
oyrºoy yoÂq Sarapºvna k(aÁ) — Svkratºvna kau◊q prøkeitai. Gå›oq — — |Io¥lioq Satorn¡loq ®pegråfhn aªt∂q — k¥rioq k(aÁ) ‘graca perÁ aªt∂q mÓ ˝dyºaq grå—mmata.
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(nomi dei testimoni) M. Vibi Pollionis, | M. Octavi Sereni, | L. Aemili Maximi, | L. Caponi Saturnini, | C. Aebuti Saturnini, | C. Vibieni Crassi, | M. Holconi Ampiss[i]. Esempio 47 Testatio filiae militi patri natae, a. 131. Da: FIRA, III, nr. 5, pp. 11-12. Su tavoletta cerata. Il documento non reca note d’ufficio e perciò deve essere considerato un documento privato. Epimachus Longini mil(es) coh(ortis) II Theb(aeorum) (centuriae) Octavi Alexan|[d]r Ûi Û [testatus est eos qui signaturi erant] f[i]l[i]a ÛmÛ | sibi natam esse Longiniam VII Kal(endas) Ianuar(ias) quae | proxumae fuerunt ex Arsute Luci fil(ia) hospitae | suae. Idcirco hanc testationem interposuisse || se dixit propter districtionem mil(itiae). Actum Pil(adelphiae) | hib(ernis) coh(ortis) II Theb(aeorum) VII Kal(endas) Ia[nuar(ias) S(ergio) Octavio] Laen[ate] | Pontiano M. Antonio Rufino cos., anno XVI Imp. Caes(aris) | Traiani Hadriani Aug(usti) mense Choeac die XXX. | |Epºmaxoq Longºnoy strati√thq — — ∏ progaigramm™noq ®martyråmhn — uygat™ra gegenn∂suai Longinºa — kau◊q prøkite. Esempio 48 Dichiarazione censuale, aa. 47-48?, Egitto. Da: FIRA, III, nr. 8, pp. 18-19. Su papiro. La dichiarazione è stata resa presumibilmente al prefetto d’Egitto in occasione del censimento del 47-48. [-- profes]sus es[t] Pompeiam I ....] dos Nigram R[-----]. [Idem professus se e]t filios civitate donatos esse [ab | Ti. Claudio Caesar]e Augusto Germanico imp. | [Ti. Plautio Silvano Aeli]ano Tauro Statilio Corvino [cos. || Domum Aegypto nomo Oxyry]nchite metropol(i) (sestertiorum) CCCC | [communem sibi cum apio]ne et Serapione Syri filis [ et | Syro pro parte IIII in]ter adfines Ischyran Theonis et | [Ha]myn Seleuci l(ibertum).| [Domu]m item Oxyrynchite metropoli (sest.) D || [com]munem sibi cum Didymo et Apollonio et Hatrione | [filis] Hatrionis et Hatrione pro parte III inter adfines | [Apol]loni[um A]polloni et Ctesan Ctesatis.| [--] (sest.) CC.| [Supelle]ctilem [--] (sest.) CL.|| (dopo uno spazio di circa tre linee si vedono residui della datazione, di lettura incerta:) ≤K≥l(aydºoy) q ‘≤toyq≥, [C]l[audii) VI a[nno]
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Esempio 49 Dichiarazione o portata al Catasto, a. 1427, Firenze. Da: FIRENZE, Archivio di Stato, Catasto 1427, Portate, Quartiere S. Giovanni Gonfalone Lion d’oro, 49, cc. 814r-815v; cf. ibid., Campioni del Catasto, 78, c. 105v. A c. 815v le seguenti annotazioni d’ufficio che, insieme all’inserzione del bifolio nel vol. 49 della serie Portate, formalizzano diplomaticamente lo scritto: “G. Lione d’Oro, a di 11 di luglio. Domenicho di Christofano, f 4, 5 s, n° 29. Messa a lib(ro), 105. R(egistrata) o R(iscontrata)”. La nota finale rinvia al successivo ramo di questa documentazione e precisamente alla serie Campioni del catasto, 78, dove appunto a c. 105v è calcolato l’imponibile del dichiarante Domenico. Dinanzzi a voi signori uficiagli de chatasto del populo e comune di Firenzze sustanza e beni e charichi di me Domenicho di Christofano detto Lillo de Ghofalone de Lione d’Oro / chone / di f. 4 2/3 I° chasa posta nelo detto Ghofalone e ne populo di Sa Lorenzo chofinata da prima via . . . , la quale tengno per mio abitare e per la mia famiglia. Item più maserizie i detta chasa per mio uso e mia famiglia. Item uno podere posto . . . , e tolo a mia mano che no vene lavoratore. Item uno podere ne chomune di . . . , lavoralo Antonio chiamato e Lepre su quale ricoglio mia parte . . . grano istaia 32, biada istaia 10, vino barili 30, olio 1/2 orccio . . . Item col detto podere uno pezzo di boscho di chopetino posto nel detto chomune. Uno rozino per mio chavalchare, chostomi f. 7, s. 16 . . . Apreso iscriverò tuti i mie dibittori . . . Apreso iscriverò tuti i danari a me a dare ad atrui . . . Apresso vi dirò le teste e l’età d’esse: Domenicho di Christofano de ser Piero, d’ettà d’ani 40 mona Lena sua dona, d’ettà d’ani 24 Franciesco di Domenico, . . . ani 12 la Maria . . . , . . . ani 10 Michele . . . , . . . ani 9 Christofano . . . , . . . ani 6 l’Orsina . . . , . . . ani 4 la Ghitta . . . , . . . ani 2 Nicholò . . . , . . . ani 2 Giovanni . . . , . . . ani 1 Esempio 50 Testamento e codicilli di veterano e loro apertura, aa. 191 e 194. Da: FIRA, III, nr. 50, pp. 146-153. Su papiro. Il testo che segue è in traduzione latina dell’editore da testo greco, che a sua volta è stato approntato dall’originale latino (perduto) all’atto dell’apertura.
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Interpretatio testamenti (C. Longinus Castor ve)teranus, honesta missione dimissus (ex classe praetoria) Misenensium, testamentum fecit. (Liberas esse iubeo) Marcellam servam meam maiorem annis (triginta et Cleopatram) servam meam (maiorem) annis triginta, (et ambo) mihi heredes (sunto) ex aequis partibus (--: ceteri omnes) exheredes (mihi) sunto. Adeant hereditatem meam unaquaeque pro sua parte simul ac (cognoverit et testari possit) se mihi heredem esse. Ne liceant vendere neque hypothecae dare: si quid vero humani contigerit Marcellae suprascriptae, tum eius partem hereditatis ad Sarapionem et Socratem et Longum pervenire volo: item quoad Cleopatram, cuius partem ad Nilum pervenire volo. Quisquis mihi heres erit, dare facere praestare damnas esto omnia quae in hoc testamento meo scripta sunt, eaque fidei eius committo. Sarapias ancilla mea, Cleopatrae libertae meae filia, libera esto, (cui) insuper do lego aruras frumentarias quinque, quas habeo prope vicum Caranidem in loco qui dicitur Strutho, item aruram unam et quartam partem in valle, item tertiam partem domus meae et (alterius?) domus tertiam partem, quam olim emi a Prapetheute matre Thaseute, item tertiam partem palmeti, quod habeo prope fossam quae vocitatur Fossa Vetus. Sepeliri et pollingi me volo cura et pietate heredum meorum. Si quid vero post haec scriptum reliquero manu mea scriptum, quolibet modo ratum mihi esse volo. Hoc testamento dolus malus abesto. Familiam pecuniamque huius testamenti faciendi causa emit Iulius Petronianus sestertio nummo uno, libripende C. Lucretio Satornilo, ‘agnovi’; antestatus est M. Sempronium Heraclianum, ‘agnovi’. Testamentum factum est in vico Caranide Arsinoitici pagi ante diem XV Kal. Novembres duobus Silanis coss., anno XXX Imp. Caesaris Marci Aurelii Commodi Antonini Pii Felicis Augusti Armeniaci Medici Parthici Sarmatici Germanici, mense Athyr XXI. Sin autem ultro scripturam manu mea scriptam reliquero, ratam esse volo. Apertum et recitatum in metropoli Arsinoitici pagi in foro Augusto, statione vicesimae hereditatum et manumissionum, IX Kal. Martias coss. qui sunt, anno II Imp. Caesaris L. Septimii Severi Pertinacis Augusti, mense Mechir XXVII. Reliqui signatores C. Longinus Aquila, ‘agnovi’, Iulius Volusius, M. Antistius Petronianus, Iulius Gemellus veteranus. Interpretatio codicillorum diptychorum. C. Longinus Castor veteranus, honesta missione dimissus ex classe praetoria Misenensium, codicillos feci. M. Sempronium Heraclianum, amicum fide dignum, procuratorem ex ipsius fide feci. Iulio Sereno cognato sestertium nummum IV (milia) do lego. VII Idus Februarias mea propria manu scripsi: signaverunt Longinus Aquila et Valerius Priscus. Signatores C. Longinus Aquila, ‘agnovi’, Iulius Philoxenus, C. Lucretius Satornilus, ‘agnovi’, C. Longinus Castor, Iulius Gemellus veteranus. Aperti et recitati eodem die quo et testamentum apertum est. (sottoscrizione del traduttore) C. Lucceius Geminianus, Latinarum litterarum scriba, praecedens exemplum interpretatus sum, quod cum genuino testamento congruit. (rubrica) C. Longini Castoris.
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Esempio 51 Documentazione di testamento ‘edita’ da acta municipalia, a. 474, Ravenna. Da: FIRA, III, nr. 58, pp. 175-179 (cf. anche P. Tjäder 4-5). Su papiro. ---- Leone jun(iore) p(er)p(etuo) Aug(usto) s(ub) d(ie) prid(ie) Nonar(um) Novembr(ium) Rav(ennae) apud Pompulium | [Prejecticium jun(iorem) & Fl(avium) Projectum et iterum mag(istratus), praesentibus] Aelio Marino Commodiano Constantio jun(iore), Tremodio Victore, Popilio Calomnioso & Melminio Cassiano principalibus, Pascasia h(onesta) f(emina) d(ixit): ‘Offero carta testamenti | [quam Constantius maritus meus mihi credidit commendandam. Peto ut a competenti officio laudabilitas] v(estra) suscipi jubeatis, testibus praesentibus ostendi, ut si signacula vel superscribtiones suas recognoscunt dignentur edicere, eam resignari praecipiatis, linum in||[cidi aperiri & per ordinem recitari faciatis, quo voluntas defuncti possit agnosci’. Pomp]ulius Prejecticius jun(ior) & Fl(avius) Projectus mag(istratus) d(i)x(erunt): ‘Suscipiatur carta testamenti quae offertur, testibus praesentibus ostendatur, ut si signacula vel superscribtiones | [suas recognoscunt singuli edicere non morentur’. Cumq(ue) ca]rta testamenti suscepta f(uisset) & testibus praesentibus ostensa, Fl(avius) Bonifatius v(ir) d(evotus) apparitur inl(ustris) p(raetori)o d(ixit): ‘In hoc testamento interfui, agnosco signaculum & superscribtionem meam, | [sed et intrensicus subscripsi.’ Heraclius --- dixit: ‘E]|go in hoc testamento interfui, agnosco anuli mei signaculum superscribtionem meam, sed & infra subscripsi’. Fl(avius) Probatius v(ir) d(evotus) app(aritor) sedis s(upra) s(criptae) d(ixit): ‘In hac voluntate interfui, agnosco | [anuli mei signaculum & superscribtionem meam, sed &] intrensicus subscribsi’. Et iterum mag(istratus) d(ixerunt): ‘Quid [& de aliis testibus, quorum] signacula hoc testamento infixa [vidimus]?’. Fl(avius) Bonifatius, Proba[tius], Heraclius v(iri) d(evoti) d(ixerunt): ‘Constat una nobiscum Simplicius || qui mortuus est, Exuperium v(irum) h(onestum), Pamonium v(irum) d(evotum) & Georgio viro devoto, qui absentes sunt, in hoc testamento interfuisse, quorum signacula & superscribtiones recognoscimus’.| Mag(istratus) d(ixerunt): ‘Quoniam de agnitis signaculis vel superscribtionibus testium responsio patefecit, nunc carta testamenti resignetur, linum incidatur, aperiatur et per ordinem rec(itetur)’.| Et inciso lino ex off(icio) recit(atum) est: ‘Fl(avius) Constantius v(ir) h(onestus) tinct(or), publicus procedens sanus sana mente integroque consilio, cogitans conditiones humanas & repentini casus, praesenti|bus testibus numero competenti in hac cartula testamentum feci, idque scribendum dictavi Domitio Johanni for(ensi), cuique ipse litteras ignorans subter manu propria signum feci: | quod testamentum meum si quo casu iure civili seu praetorio vel alia quaelibet iuris ratione valere non potuerit, etiam ab intestato vice codicellorum meorum valere illud || volo ac valeat, ratamque hanc voluntatem meam esse cupio & jubeo. Pascasia h(onesta) f(emina) iugali’.
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Fl(avius) Aurelianus vir gl(oriosissimus) el(ectissimus) o(ptimus) et Fl(avius) Petrus Taurinus & Johannis d(ixerunt): ‘Quae lecta sunt gesta | suscipiant, quid autem aliud adstantes defensores fieri desiderant?’.|| Domesticus Primicerius notariorum & Thomas Secundocirius idem notariorum una cum Cypriano & Thomate defensoribus Ecclesiae sanctae catholicae Ravennatis | per unum ex se Thomatem Secundocirium d(ixerunt): ‘Gratiam agimus gloriosae potestati quia petitionem nostram ad effectum congruum per|duxistis: nunc petimus ut ex his quae acta sunt gesta nobis edi propitii censeatis’.| Fl(avius) Marianus Michaelius Gabrielius Petrus Johannes Narses Aurelianus Limenius Stefanus Aurelianus vir gl(oriosissimus) el(ectissimus) & o(ptimus) & Fl(avius) Petrus Taurinus Johannes d(ixerunt): ‘Gesta | vobis ex his quae acta sunt competens ex more edere curavit || officium’. Edantur. Fl(avius) Severus except(or) pro Bonila praerogativario edidi.
Esempio 52 Richiesta e nomina di tutore per una donna, a. 247, Egitto. Da: FIRA, III, nr. 24, pp. 66-67. Su papiro. (prima mano) [C]l(audio) Valerio Firm[o praef(ecto) Aeg(ypti)] | ab Aurelia Ammo[nario]. | Rogo, domine, des mi[hi] | auctorem Aurel(ium) PÛ[lutammonem] | e lege Iulia Titia et [ex s(enatus) c(onsulto)]. || Dat(um) do(minis) no(stris) Philippo Aug(usto) II e[t] | Philippo Caesarib(us) c[o(n)s(ulibus)].| (seconda mano) [A]ªrhlºa |Ammvnårion ≤®pid™dvka≥. | (terza mano) [A]ªr¸li Ploytåmm≤vn eªdok© tÎ a˝t≥¸si. | (quarta mano) (=Etoyq) d T†bi i [?]. (quinta mano) Quo ne ab [iusto tutore tutela] | abeat, Pl[utammonem] | e leg(e) Iul(ia) et [Tit(ia) et ex s(enatus) c(onsulto) tutorem] | do. (sesta mano, del prefetto) Le[g]i. Esempio 53 Formula di instrumentum di tutela legittima, secolo XIII. Da: Summa, c. 191r-v. Dominus Scan. iudex et assessor d(omini) Ricar. de Villa Potestatis B(ononiae) d. M. matrem D. fi(lii) q(uondam) Anto(nii) in ipsius praesentiam constitutam eiusdem filii sui tutelam petentem, et affectantem, cum eadem tutela sibi secundum iuris ordinem deferatur, et ipsa sit in ea caeteris preferenda, eidem pupillo tutricem constituit et decrevit. Quae tutrix promisit mihi Ro(landino) notario infrascripto vice et nomine dicti pupilli stipu(lavit) et iuravit corporaliter ad sancta Dei evangelia, omnia et singu(la)
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dicto pupillo utilia facere, et inutilia praetermittere, ipsiusque personam et res bona fide custodire atque salvare, et inventarium de rebus eius facere, et administrationis suae tempore debito rationem reddere cum integra residuorum restitutione, salvo eo quod semper uti valeat veritate. Renuncians Velleiano sentatusconsulto, et secun(dae) nup(tiae) et omni alii iuris auxilio de ipsis iuribus, et beneficiis plene certificata, quae sint, et quid dicant. Insuper dictus Philip(pus) dicte≈ tutricis suis precibus extitit fideiussor. Demum huic actui legitimo ipse iudex suam et communis Bo(noniae) authoritatem interposuit, et decretum. Esempio 54 Notitia iudicati su ostensio di precetto imperiale, a. 998, Cremona. Da: I placiti del “Regnum Italiae”, II, nr. 232, pp. 356-360. Dum in Dei nomine civitate Cremona, in domo ipsius civitatis, in laubia maiore ipsius domus, ubi domnus Otto gloriosissimus imperator preesset, in iuditio residebat, per eiusdem domni Odelrici licentiam, Otto dux et missus domni ipsius Ottonis imperatoris, unicuique iustitias fatiendas ac deliberandas, residentibus cum eo Henricus dux seu Nothecherius, Vuidraldus et Petrus episcopi, Gribertus musicus seu Leo qui Vuannus, capellani ipsius domni imperatoris, Autecherius, Adelbertus, item Adelbertus, Marco, Radaldus, Iohannes iudices sacri palatii, Rogerius de Bariano, Odelricus de Colonie, Albericus de Mauringo, vassi ipsius domni Odelrici episcopi, et reliqui plures. Ibique eorum veniens presentia ipse domnus Oldericus ipsius sancte Cremonensis ecclesie et Lanfrancus eius advocatus, et ostenserunt ibi preceptum unum continente in eo ab ordine, sicut hic subter legitur: “In nomine sancte et individue Trinitatis. Otto divina favente clementia Romanorum imperator augustus. Notum sit omnibus nostris fidelibus, presentibus scilicet ac futuris, sub nostre dominationis culmine degentibus, episcopis, marchionibus, comitibus ceterisque in inferiori statu viventibus, Cremonenses cives nefanda deceptionis fraude nos circumveniendo decipientes, contra dive memorie avi patrisque mei veneranda incunvulse et intemerate permansura precepta de Cremonensi districtione infra civitatem et extra per quinque miliariorum spatia, curratura, videlicet teloneo, ripatico ceterisque redibitionibus sive negotiis, que in eisdem preceptis leguntur et continentur, que universa nos remeante beati Petri apostolorum principis corpus per nostri precepti paginam manu propria in sinodo iam antea roboravimus et confirmavimus, ex nostri parte nobis nescientibus apud nos a nodo falsum, et ideo [evacuandum] ac destruendum inlegitime ac subdole acquisivisse preceptum. Quod cum nostre celsitudinis maiestati per venerabilem Odelricum eiusdem civitatis episcopum revelata fraude intimatum fuisset, quia dignum nobis et rectum visum est, ut per ea que iustificatione prefate Cremonensi ecclesie data et confirmata fuerant, hoc iniuste factum et rite abolendum preceptum deposita fronte verecunde taceret silentio, ne forte, quod Deus avertat, iustitia et rectitudo obviante mendatio dei[iciatur] pura mente firmoque consilio statuentes decrevimus quatenus ex nostri precepti pagina quasi grave iugum predicto callide acquisito precepto imponeretur, cuius iusto pondere ad nichilum omnimodo redigatur et annuletur, vigore careat, virtutem non habeat, silens tacitumque permaneat, atque in nullo omnino valeat, sed quod
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avus seu genitor noster iam dicti curti Cremonensis ecclesie dederant et confirmaverant et nos, ut diximus, confirmando roboravimus, inconvulsa et intemerata omni tempore maneat, hoc superaddito imperialis nostre securitatis precepto, eo nimirum ordine, ut nullus episcopus, dux, marchio, comes, vicecomes, sculdasio, gastaldio, decanus, seu quilibet regie aut imperialis potentie procurator noster, nostrorumque militum miles sive cuiuscumque ordinis sint, persona magna vel parva, per illud iniustum et a nobis omnino contritum et evacuatum [preceptum prefate e≈cclesie] et prenominato Odelrico eiusdem sedis episcopo, vel suis successoribus, aliquam iniuriam vel molestiam aut diminutionem de his omnibus, quod predicta continent precepta, inferre presumat. Si quis [vero], quod non credimus, huius precepti nostri violator temerarius existerit, sciat se compositurum auri optimi libras centum, medietatem camere nostre, et sepedicte e≈cclesie atque Odelrico eiusdem [sedis episcopo] suisve successoribus medietatem. Et ut verius credatur diligentiusque ab omnibus observetur, manu propria presentem paginam roborantes et confirmantes, sigilli nostri impressione iussimus insigniri. Signum domni Ottonis serenissimi et invictissimi imperatoris augusti. Erimvertus cancellarius vice Petri Comani episcopi et archicancellarii recognovi. Data tertio nonas augusti, anno dominice incarnationis .DCCCC.XC.VI., inditione nona, anno vero tertii Ottonis regnantis .XIII., imperii autem eius .II. Actum Papie, feliciter. Amen.”. Preceptum ipsum ostensum ab ordine lectum, interrogati sunt ipsi domnus Odelricus episcopus et Lanfrancus eius advocatus, per quod preceptum ipsum ibi ostenderat. Qui dixerunt: ‘Vere ideo preceptum istum hic ostensimus presentia, ut ne silens appareat; si ullus homo versus nos seu pars ipsius episcopii de hoc quod in istum legitur preceptum, versus nos aliquid dicere vult, parati sumus cum eo exinde in ratione standum et legitime finiendum et, quod plus est, querimus, ut dicant iste domnus Otto gloriosissimus imperator et Liuzo iudex eius advocatus esse constitutus, si preceptum ipsum, quem hic ostensimus, bonum et verum est, aut ipse domnus Otto gloriosissimus imperator eum fieri rogavit, et ab eius annulo in calce iussit sigillare’. Ad hec responderunt ipse domnus Otto gloriosissimus imperator et Liuzo eius advocatus et iudex, dixerunt et professi sunt: ‘Vere preceptum ipsum, quem vos hic ostensistis, bonum et verum est, et ego ipse domnus Otto gloriosissimus imperator eum fieri rogavi, et meum annulum in calce iussi sigillare, et de hoc quod per ipsum preceptum parte ipsius episcopi concessit habere, et in eo omni tempore firmum et stabilem ita iubeat permanere’. Tunc ipse domnus dux Otto per eiusdem domni Ottonis gloriosissimi imperatoris licentia per fuste, quem in sua tenebat manu, super eundem domnus Odelricus episcopus et Lanfrancus eius advocatus seu super ipsum preceptum bannum ipsius domni Ottonis gloriosissimi imperatoris pro Dei amore et anime sue mercedis emisit in mancosos auri duomilia, ut nullus quilibet homo de eo quod in ipsum legitur preceptum, aliqua violentia aut minuatione seu contraditione parte ipsius episcopii facere audeat sine legali iuditio. Qui vero fecerit, predicta duomilia mancosos auri se compositurus agnoscat, medietatem parte camere ipsius domni Ottonis gloriosissimi imperatoris, et altera medietate parte ipsius domni Odelrici episcopi suisque successoribus, seu pars ipsius episcopii. Hanc notitiam pro securitate eiusdem episcopii fieri ammonuerunt. Quidem et ego Dominicus notarius sacri palatii, ex iussione prefati missi et iudicum ammonitionem scripsi. In nomine domini Dei et salvatoris nostri Yesu Christi, tertius Otto gratia Dei imperator augustus, anno imperii eius Deo propitio secundo, quartodecimo kalendas februarii, inditione undecima. (C) *Otto dux et missus subscripsi.*
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(S) Autecherius iudex sacri palatii interfui. (S) Adelbertus iudex sacri palatii interfui. (S) Iohannes iudex sacri palatii interfui. (S) Radaldus iudex sacri palatii interfui. (S) Marcus iudex sacri palatii interfui. (S) Adelbertus iudex sacri palatii interfui.
Come s’è accennato, d’ufficio sarà anche, a suo modo, la documentazione notarile, a partire da quando il notariato raggiungerà il publicum officium di certificare l’instrumentum privato (secolo XII ex.); ma su ciò si tornerà più avanti. 9. Notitia o breve: origine e sviluppi (ess. 55-68). – La diplomatica considera un’altra forma-base di documento, quella del breve o notitia 80, e la studia in particolare per l’età medievale, insieme e in alternativa alle forme di pagina, charta, instrumentum. In realtà, questa forma medievale prende le mosse da uno schema-modello e da concetti antichissimi, semplicissimi e plasticissimi e perciò fruibilissimi e di lunga durata. All’origine infatti si tratta di liste od elenchi di censimento di uomini e cose sulla cui base si disegnano i primi ordinamenti di qualunque società, organizzandone fondamenti come gli obblighi d’imposta, gli obblighi di servizio militare, i diritti di voto: è così nella storia ebraica (ess. nr. 55, 56); è così fin dall’antica storia repubblicana di Roma 81. Si tratta quindi di una forma documentaria che riveste e svolge una funzione riproduttiva e rappresentativa, e perciò, in prosieguo di tempo e per estensione logica, probatoria di fatto (per Quintiliano instruere iudicem notitia rerum), proprio come sosteneva Brunner; una figura applicabile in ambito giuridico sia pubblico – e in tal caso già Cicerone parlava di una memoria publica . . . tabulis publicis impressa 82 – sia privato, che sembra proporsi in due varianti. Nella variante più antica, e secondo gli esempi fatti subito di seguito, appare, dunque, che tale forma documentaria o è adnexa e subiecta e cioè allegata (subordinata e congiunta) ad una pagina o a una charta e cioè ad un documento principale, che ne costituisce la cornice formale e formalizzante, o è in posizione autonoma ma è collocata nello spazio-cornice ‘protocollare’ e formale di un archivio d’ufficio pubblico, come nel caso dei ruolini militari o della Notitia dignitatum, dal quale archivio perciò deriva la validità di documento diplomatico. Dalle definizioni, intercambiabili, di brevis/breve/notitia si ricava che si tratta di uno scritto conciso ma completo nella totalità (somma) dei capi essenziali annotati e descritti a fini cognitivi. Pertanto tale forma, alle radici, riveste elenchi di dati da conoscere, disposti in sequenza, appunto: item omologhi o per genere – che si tratti di dignitates o coloni o barones – o per posizione giuridica che accomuna i dati di un caso specifico – per esempio, tutti i vari ce80 BRUNNER, Zur Rechtgeschichte, pp. 8 e ss., 211 e ss.; REDLICH, Die Privaturkunden, pp. 8, 27; BRESSLAU, Handbuch, pp. 51-52. 81 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 192 e ss. 82 Cf. ibid., p. 193 nt. 68.
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spiti che costituiscono un patrimonio –; la notitia o breve descrive e rappresenta una certa situazione, un certo stato. Scritti di annotazione e descrizione di dati in sequenza continuano nel medioevo, dall’età longobarda in avanti 83, per arrivare ai polittici di terre (v. sotto, es. 66), al Catalogus baronum – il grande censimento delle forze militari del Regno normanno voluto da Ruggiero II 84 – e via dicendo. Esempio 55 Lista degli Ebrei ritornati a Gerusalemme (Esd 2). Questi sono gli abitanti della provincia che ritornarono dall’esilio, i deportati che Nabucodonosor re di Babilonia aveva condotto in esilio a Babilonia. Essi tornarono a Gerusalemme e in Giudea, ognuno alla sua città; vennero con Zorobabele, Giosuè, Neemia, Seraia, Reelaia, Mardocheo, Bilsan, Mispar, Bigvai, Recun, Baana. Computo degli uomini del popolo di Israele: Figli di Paros: duemilacentosettantadue. Figli di Sefatia: trecentosettantadue. Figli di Arach: settecentosettantacinque. Figli di Pacat-Moab, cioè i figli di Giosuè e di Ioab: duemilaottocentodieci. Figli di Elam: milleduecentocinquantaquattro. Figli di Zattu: novecentoquarantacinque. Figli di Zaccai: settecentosessanta. Figli di Bani: seicentoquarantadue. Figli di Bebai: seicentoventitré. Figli di Azgad: milleduecentoventidue. Figli di Adonikam: seicentosettantasei. Figli di Bigvai: duemilacinquantasei. Figli di Adin: quattrocentocinquantaquattro. Figli di Ater, cioè di Ezechia: novantotto. Figli di Bezai: trecentoventitré. Figli di Iora: centododici. Figli di Casum: duecentoventitré. Figli di Ghibbar: novantacinque. Figli di Betlemme: centoventitré. Uomini di Netofa: cinquantasei. Uomini di Anatot: centoventotto. Figli di Azmavet: quarantadue. Figli di Kiriat-Iearim, di Chefira e di Beerot: settecentoquarantatré. Figli di Rama e di Gheba: seicentoventuno. Uomini di Micmas: centoventidue. Uomini di Betel e di Ai: duecentoventitré. 83 84
NICOLAJ, Il documento privato, pp. 175 e ss. CAMMAROSANO, Italia medievale, pp. 115-116.
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Figli di Nebo: cinquantadue. Figli di Magbis: centocinquantasei. Figli di un altro Elam: milleduecentocinquantaquattro. Figli di Carim: trecentoventi. Figli di Lod, Cadid e Ono: settecentoventicinque. Figli di Gerico: trecentoquarantacinque. Figli di Senaa: tremilaseicentotrenta. I sacerdoti: Figli di Iedaia della casa di Giosuè: novecentosettantatré. Figli di Immer: millecinquantadue. Figli di Pascur: milleduecentoquarantasette. Figli di Carim: millediciassette. I leviti: Figli di Giosuè e di Kadmiel, di Binnui e di Odavia: settantaquattro. I cantori: Figli di Asaf: centoventotto. I portieri: Figli di Sallum, figli di Ater, figli di Talmon, figli di Akkub, figli di Catita, figli di Sobai: in tutto centotrentanove. Gli oblati: Figli di Zica, figli di Casufa, figli di Tabbaot, figli di Keros, figli di Siaa, figli di Padon, figli di Lebana, figli di Cagaba, figli di Akkub, figli di Cagab, figli di Samlai, figli di Canan, figli di Ghiddel, figli di Gacar, figli di Reaia, figli di Rezin, figli di Nekoda, figli di Gazzam, figli di Uzza, figli di Paseach, figli di Besai, figli di Asna, figli di Meunim, figli dei Nefisim, figli di Bakbuk, figli di Cakufa, figli di Carcur, figli di Bazlut, figli di Mechida, figli di Carsa, figli di Barkos, figli di Sisara, figli di Temach, figli di Nesiach, figli di Catifa. Figli dei servi di Salomone: Figli di Sotai, figli di Assoferet, figli di Peruda, figli di Iaalà, figli di Darkon, figli di Ghiddel, figli di Sefatia, figli di Cattil, figli di Pocheret Azzebaim, figli di Ami. Totale degli oblati e dei figli dei servi di Salomone: trecentonovantadue. I seguenti rimpatriati da Tel-Melach, Tel-Carsa, Cherub-Addan, Immer, non potevano dimostrare se il loro casato e la loro discendenza fossero d’Israele: figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekoda: seicentoquarantadue. Tra i sacerdoti i seguenti: figli di Cobaia, figli di Akkoz, figli di Barzillai, il quale aveva preso in moglie una delle figlie di Barzillai il Galaadita e aveva assunto il suo nome, cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono; allora furono esclusi dal sacerdozio. Il governatore ordinò loro che non mangiassero le cose santissime, finché non si presentasse un sacerdote con urim e tummim. Tutta la comunità così radunata era di quarantaduemilatrecentosessanta persone; inoltre vi erano i loro schiavi e le loro schiave: questi erano settemilatrecentotrentasette; poi vi erano i cantori e le cantanti: duecento. I loro cavalli: settecentotrentasei. I loro muli: duecentoquarantacinque. I loro cammelli: quattrocentotrentacinque.
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I loro asini: seimilasettecentoventi. Alcuni capifamiglia al loro arrivo al tempio, che è in Gerusalemme, fecero offerte volontarie per il tempio, perché fosse ripristinato nel suo stato. Secondo le loro forze diedero al tesoro della fabbrica: oro: dramme sessantunmila; argento: mine cinquemila; tuniche da sacerdoti: cento. Poi i sacerdoti, i leviti, alcuni del popolo, i cantori, i portieri e gli oblati si stabilirono nelle rispettive città e tutti gli Israeliti nelle loro città. Esempio 56 Registro dei rimpatriati (Ne 7,5) Il mio Dio mi ispirò di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento. Trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dall’esilio la prima volta e vi trovai scritto quanto segue: Questi sono gli abitanti della provincia che sono tornati dall’esilio: quelli che Nabucodonosor re di Babilonia aveva deportati e che erano tornati in Gerusalemme e in Giudea, ognuno nella sua città. Essi erano tornati con Zorobabele, Giosuè, Neemia, Azaria, Raamia, Nachamani, Mardocheo, Bilsan, Misperet, Bigvai, Necum e Baana. Computo degli uomini del popolo d’Israele: Figli di Pareos: duemilacentosettantadue. Figli di Sefatia: trecentosettantadue. Figli di Arach: seicentocinquantadue. Figli di Paat-Moab, cioè i figli di Giosuè e di Ioab: duemilaottocentodiciotto. Figli di Elam: milleduecentocinquantaquattro. Figli di Zattu: ottocentoquarantacinque. Figli di Zaccai: settecentosessanta. Figli di Binnui: seicentoquarantotto. Figli di Bebai: seicentoventotto. Figli di Azgad: duemilatrecentoventidue. Figli di Adonikam: seicentosessantasette. Figli di Bigvai: duemilasessantasette. Figli di Adin: seicentocinquantacinque. Figli di Ater, cioè di Ezechia: novantotto. Figli di Casum: trecentoventotto. Figli di Bezai: trecentoventiquattro. Figli di Cafir: centododici. Figli di Gabaon: novantacinque. Uomini di Betlemme e di Netofa: centottantotto. Uomini di Anatot: centoventotto. Uomini di Bet-Azmavet: quarantadue. Uomini di Kiriat-Iearim, di Chefira e di Beerot: settecentoquarantatré. Uomini di Rama e di Gheba: seicentoventuno. Uomini di Micmas: centoventidue. Uomini di Betel e di Ai: centoventitré. Uomini di un altro Nebo: cinquantadue.
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Figli di un altro Elam: milleduecentocinquantaquattro. Figli di Carim: trecentoventi. Figli di Gerico: trecentoquarantacinque. Figli di Lod, di Cadid e di Ono: settecentoventuno. Figli di Senaa: tremilanovecentotrenta. I sacerdoti: figli di Iedaia della casa di Giosuè: novecentosessantatré. Figli di Immer: millecinquantadue. Figli di Pascur: milleduecentoquarantasette. Figli di Carim: millediciassette. I leviti: figli di Giosuè, cioè di Kadmiel, di Binnui e di Odeva: settantaquattro. I cantori: figli di Asaf: centoquarantotto. I portieri: figli di Ater, figli di Talmon, figli di Akkub, figli di Catita, figli di Sobai: centotrentotto. Gli oblati: figli di Zica, figli di Casufa, figli di Tabbaot, figli di Keros, figli di Sia, figli di Padon, figli di Lebana, figli di Agaba, figli di Salmai, figli di Canan, figli di Ghiddel, figli di Gacar, figli di Reaia, figli di Rezin, figli di Nekoda, figli di Gazzam, figli di Uzza, figli di Paseach, figli di Besai, figli dei Meunim, figli dei Nefisesim, figli di Bakbuk, figli di Cakufa, figli di Carcur, figli di Baslit, figli di Mechida, figli di Carsa, figli di Barkos, figli di Sisara, figli di Temach, figli di Neziach, figli di Catifa. Discendenti dei servi di Salomone: figli di Sotai, figli di Soferet, figli di Perida, figli di Iaala, figli di Darkon, figli di Ghiddel, figli di Sefatia, figli di Cattil, figli di Pocheret Azzebaim, figli di Amon. Totale degli oblati e dei discendenti dei servi di Salomone: trecentonovantadue. Ecco quelli che tornarono da Tel-Melach, da Tel-Carsa, da Cherub-Addon e da Immer e che non avevano potuto stabilire il loro casato per dimostrare che erano della stirpe di Israele: figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekoda: seicentoquarantadue. Tra i sacerdoti: figli di Cobaia, figli di Akkos, figli di Barzillai, il quale aveva sposato una delle figlie di Barzillai il Galaadita e fu chiamato con il loro nome. Questi cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono e furono quindi esclusi dal sacerdozio; il governatore ordinò loro di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote con urim e tummim. La comunità nel suo totale era di quarantaduemilatrecentosessanta persone, oltre ai loro schiavi e alle loro schiave in numero di settemilatrecentotrentasette. Avevano anche duecentoquarantacinque cantori e cantanti. Avevano settecentotrentasei cavalli, duecentoquarantacinque muli, quattrocentotrentacinque cammelli, seimilasettecentoventi asini. Alcuni dei capifamiglia offrirono doni per la fabbrica. Il governatore diede al tesoro mille dracme d’oro, cinquanta coppe, cinquecentotrenta vesti sacerdotali. Alcuni capifamiglia diedero al tesoro della fabbrica ventimila dracme d’oro e duemiladuecento mine d’argento e sessantanove vesti sacerdotali. I sacerdoti, i leviti, i portieri, i cantori, alcuni del popolo, gli oblati e tutti gli Israeliti si stabilirono nelle loro città. Come giunse il settimo mese, gli Israeliti erano nelle loro città. Esempio 57 Ruolino militare di una legione romana, 1-10 ottobre 87. Da: ChLA, I, nr. 7b.
CÛ DÛOM Û ÛITÛ ÛIVÛ ÛSÛ CÛE Û[L ÛE ÛR Û]
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C IVLIVS VAL[E]NS
L IVLIVS OCT[AV]IA[NUS]
P CLODIVS [S]ECVNDV[S]
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L SEXTILIVS G[E]R[MA]N[VS]
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C IVLIVS LONGVS SIDO
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XII
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XXIII C VALERIUS FELIX
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XVIII CÛ AÛE ÛMÛILÛ ÛIVÛ ÛS........
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XV
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XXXVI MÛ IVÛ ÛL ÛIVÛSÛ Û LOÛÛ NGÛ ÛVÛSÛ
XXXV L VI.....EIUS SERENVS
XXXIV C SOSSIVS CELER
XXXIII T FLAVIVS VALENS
XXXII M IVLIVS FELIX
coÛ ÛmÛe Û
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_
Le forme del documento
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Esempio 58 Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis rerum venalium, a. 301. Da: Diokletians Preisedikt (già in CIL 3, 2, pp. 824 e ss.). Si tratta, come è noto, di un colossale calmiere emesso da Diocleziano ed emanato, vista la riforma costituzionale in tetrarchia, insieme al collega M. Valerio Massimiano e ai due Cesari, Costanzo e C. Galerio Massimiano. (P) [Imp. Caesar C. Aurel(ius) Val(erius) Diocletian]us P(ius) F(elix) Inv(ictus) Aug(ustus), p[o]nt(ifex) max(imus), Germ(anicus) max(imus) VI, Sarm(aticus) max(imus) IIII, Persic(us) max(imus) II, Britt(anicus) max(imus), Carpic(us) max(imus), Armen(icus) max(imus), Medic(us) max(imus), Adiabenic(us) max(imus), trib(unicia) p(otestate) XVIII, co(n)ss(ul) VII, imp(erator) XVIII, p(ater) p(atriae), proco(n)ss(ul), et Imp. Caesa[r] M. Aurel(ius) Val(erius) Maximianus P(ius) F(elix) Inv(ictus) Aug(ustus), pont(ifex) max(imus), Germ(anicus) max(imus) V, Sarm(aticus) [max(imus) IIII, Persic(us) max(imus) II, Britt(anicus) max(imus), Carpic(us) max(imus), Armen(icus) max(imus), Medic(us) max(imus), Adiabenic(us) max(imus), tri]b(unicia) p(otestate) XVII, co(n)ss(ul) VI, imp(erator) XVII, p(ater) p(atriae), proco(n)ss(ul), et Fla(vius) Val(erius) Constantius, Germ(anicus) max(imus) II, Sarm(aticus) max(imus) II, Persic(us) max(imus) II, Britt(anicus) max(imus), max(imus), Armenic(us) max(imus), Medic(us) max(imus), Adiaben(icus) max(imus), trib(unicia) p(otestate) VIIII, co(n)ss(ul) III, nobil(issimus) Caes(ar), et G(alerius) Val(erius) Maximianus, Germ(anicus) max(imus) II, Sarm(aticus) [max(imus) II, Persic(us) max(imus) II, Britt(anicus) max(imus), Carpic(us) max(imus), Armenic(us) max(imus), Medic(us) max(imus), Adia]b(enicus) max(imus), trib(unicia) p(otestate) VIIII, co(n)ss(ul) III, nobil(issimus) Caes(ar), dicunt: (T) Fortunam rei publicae nostrae, cui iuxta inmortales deo bellorum memoria, quae feliciter gessimus, gratulari licet tranquillo orbis statu et in gremio altissima[e] quietis locato, etiam pacis bonis, p[r]opter quam sudore largo laboratum est, disponi fideliter adque ornari decenter honestum publicum et Romana dignitas | maiestasque desiderant, ut nos, qui benigno favore numinum aestuantes de praeterito rapinas gentium barbararum ipsarum nationum clade conpres|simus, in aeternum fundatam quietem [deb]itis iustitiae munimen[ti]s saepiamus. etenim si ea, quibus nullo sibi fine proposito ardet avaritia desaeviens, quae sine res|pectu generis humani, non annis modo vel mensibus aut diebus, sed paene horis ipsisque momentis ad incrementa sui et augmenta festinat, aliqua continentiae ratio | frenaret, vel si fortunae communs aequ[o] animo perpeti possent hanc debachandi licentiam, qua pessime in dies eiusmodi sorte lacerantur, dissimulandi | forsitam adque reticendi relictus locus videretur, cum detestandam inmanitatem condicionemque miserandam communis animorum patientia temperaret. | Sed quia una est cupido furoris indomiti nullum communis necessitudinis habere dilectum, et gliscentis avaritiae ac rapidis aestuantis ardoribus | velut quaedam religio apud inprobs et inmodests existimatur in lacerandis fortunis omnium necessita-
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te potius quam voluntate destitui, adque ultra | conivere non possunt, quos ad sensum miserrimae condicionis egestatis extrema traxerunt, convenit prospicientibus nobis, qui parentes sumus | generis humani, arbitram rebus intervenire iustitiam, ut, quod speratum diu humanitas ipsa praestare non potuit, ad commune omnium temperamen|tum remediis provisionis nostrae comferatur. et huius quidem causae, quantum communis omnium conscientia recognoscit et ipsarum | rerum fides clamat, paene sera prospectio est, dum hac spe consilia molimur aut remedia inventa cohibemus, ut, quod expectandum fuit per iura naturae, | in gravissimis deprehensa delictis ipsa se emendaret humanitas, longe melius existimantes non ferendae direptionis notas a communibus iudiciis | ipsorum sensu adque arbitrio submoveri, quos cottidie in peiora praecipites et in publicum nefas quadam animorum caecitate vergentes inimicos singulis | et universis reos atrocissimae inhumanitatis gravis noxa dediderat. Ad remedia igitur iam diu rerum necessitate desiderata prorumpimus et securi quidem querellarum, | ne ut intempestivo aut superfluo medellae nostrae interventus vel apud inprobos levior aut vilior aestimaretur, qui tot annorum reticentiam nostram | praeceptricem modestiae sentientes sequi tamen noluerunt. Quis enim adeo obtumsi pectoris et a sensu humanitatis extorris est, qui ignorare possit, | immo non senserit in venalibus rebus, quae vel in mercimoniis aguntur vel diurna urbium conversatione tractantur, in tantum se licentiam difusisse | pretiorum, ut effrenata livido rapiendi nec rerum copia nec annorum ubertatibus mitigaretur? ut plane eiusmodi homines, quos haec officia exercitos habent, | dubium not sit senper pendere animi[s] etiam de siderum motibus auras ipsas tempestatesque captare neque iniquitate sua perpeti posse ad spem | frugum futurarum inundari superis imbribus arva felicia; ut qui detrimentum sui existiment caeli ipsius temperamentis abundan|tiam rebus provenire. et quibus semper studium est in quaestum trahere etiam beneficia divina ac publicae felicitatis afluentiam | stringere rursusque anni sterili[tate de messi]s Û iactibus adque institorum officiis nundinari, qui singuli maximis divitiis | diffluentes, quae etiam populos adfatim explere potuissent, consectentur peculia et laceratrices centesimas persequan|tur, eorum avaritiae modum statui, provinciales nostri, communis humanitatis ratio persuadet. Sed iam etiam ipsas cau|sas, quarum necessitas tandem providere diu prolatam patientiam conpulit, explicare debemus, ut, quamvis difficile sit toto orbe | avaritiam saevientem speciali argumento vel facto potius revelari, iustior tamen intellegatur remedii constitutio, cum intemperatis|simi homines mentium suarum indomitas cupidÛ[ ines desig]natione quadam et notis cogentur agnoscere. quis ergo nesciat utilita|tibus publicis insidiatricem audaciam, quacumque exercitus nostros dirigi communis omnium salus postulat non per vicos modo | aut per oppida, se n omni itinere, animo sectionis occurrere, pretia venalium rerum non quadruplo aut oct[uplo, sed i]ta extorquere, ut | nomina estimonis et facti explicare humanae linguae ratio non possit, denique interdum distractione unius rei donativo militem | stipendioque privari et omnem totius orbis ad sustinendos exercitus collationem detestandis quaestibus diripientium cedere, | ut manu propria spem militiae suae et emeritos labores milites nostri sectoribus omnium comferre videantur, quo depraedato|res ipsius rei publica tantum in dies rapiant, quantum habere nesciant? His omnibus, quae supra conprehensa sunt, iuste ac merito | permoti, cum iam ipsa humanitas deprecari videretur, non pretia venalium rerum – neque enim fieri id
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iustum putatur, cum | plurimae interdum provinciae felicitate optatae vilitatis et velut quodam afluentiae privilegio glorientur –, sed modum statuen|dum esse censuimus, ut, cum vis aliqua caritatis emergeret – quod dii omen averterenti –, avaritia, quae velut campis quadam immensitate dif|fusis teneri non poter, statuti nostri finibus vel moderaturae legis terminis stringeretur. placet igitur ea pretia, quae | subditi brevis scriptura designat, ita totius orbis nostri observantia contineri, ut omnes intellegant egre|diendi eadem licentiam sibi esse praecisam, non inpedita utique in his locis, ubi copia rerum perspicietur afluere, | vilitatis beatitudine, cui maxime providetur, cum praefinita avaritia compescetur. inter venditores autem | emptoresque, quibus consuetudo est adire portus et peregrinas obire provincias, haec communis actus debebit esse | moderatio, ut, cum et ipsi sciant in caritatis necessitate statuta rebus pretia non posse transcendi, distractionis | tempore ea locorum adque discursuum totiusque negotii ratio subputetur, qua iuste placuisse perspicitur nusquam | carius vendituros esse, qui transferunt. Quia igitur et apud maiores nostros hanc ferendarum legum constat fuisse | rationem, ut praescripto metu compesceretur audacia – quod rarum admodum est humanam condicionem sponte beneficam | deprehendi et semper praeceptor metus iustissimus officiorum invenitur esse moderator –, placet, ut, si quis contra formam | statuti huius conixus fuerit, audentia capitali periculo subiugetur. nec quisquam duritiam statuti putet, cum in promptu ad|sit perfugium declinandi periculi modestiae observantia. eidem autem periculo etiam ille subdetur, qui conparandi cupiditate avaritia | distrahentis contra statuta consenserit. ab eiusmodi quoque noxa immunis nec ille praestavitur, qui habens species victui adque usui neces|sarias post hoc svi temperamentum existmaverit subtrahendas, cum poena vel gravior ese debeat inferentis paenuriam quam contra statu|ta quatientis. cohortamur ergo omnium devotionem, ut res constituta ex commodo publico benignis obsequis et debita religione teneatur, m[a|x]ime cum esmodi statuto non civitatibus singulis ac populis adque provinciis, sed universo orbi provisum esse videatur, in cuius pe[rnici]|em pauci atmodum desaebisse noscantur, quorum avaritiam nec prolxitas temporum nec divitiae, quibus studuisse cernuntur, m[iti]|gare aut satiare potuerunt. [Quae pr]etia [singularum specierum ex]cedere nemini licitum sit, [i]nfra oste[nditur]. (Brevis) I de frugibus 1a Frumenti k. mo. [ centum] 2
hordei k. mo. unum s[exaginta]
3
centenu sive sicale k. mo. unum sexa[ginta]
Le forme del documento
4
mili pisti k. mo. unum centu[m]
5
mili integri k. mo. [unum] quinquaginta [...]
31 papaveris k. mo. unum centum quinquaginta 32 cymini mundi k. mo. unum ducentis 33 seminis raphanini k. mo. unum centum quinquaginta 34 sinapis k. mo. unum centum quinquaginta 35 sinapis confectae Itali(cum) s. unum octo II Item de vinis 1a Piceni Italicum {s.}s. unum triginta 2
Tiburtini Italicum s. unum triginta
3
Sabini Italicum s. unum triginta [...]
17 conditi Ital. s. unum viginti quattuor
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18 apsinthi Ital. s. unum viginti 19 rhosati Ital. s. unum viginti III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX XX XXI XXII XXIII XXIV XXV XXVI XXVII XXVIII XXIX XXX XXXI XXXII XXXIII XXXIV XXXV XXXVI XXXVII
Item olei Item carnis Item pisces [Item] De mercedibus oper[arior]um De pellibus Babulonicis seu Tralliensis vel Foenicis De formis caligaribus De loramentis De saets caprinis sive camellinis De materiis Item de radiis Item de oneribus lignariis Item de lignis in vehiculis Item de materiis satoriis Item de vecturarum mercedibus item de pluma item de vestibus [De mercedi]bus plumariorum et sericarioru[m] De fullonibus Item de sericis Item de purpura Item de lana Item de lino Item de linteis Item de linteis Item de clavis Item de auro Item de pretiis mancipiorum Item de pecoribus Item de marmoribus Item de feris Libycis Item de chartis Item de aromatibus et medicamentis Item ex quibus locis ad quas provincias quantum nauli excedere minime sit licitum
Le forme del documento
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Esempio 59 Costituzione di Valentiniano (II) e Teodosio circa le dignitates afferenti agli scrinia officiorum sacrarum largitionum, a. 384 (C. 12, 23, 7). (P massimato) Idem AAA. Trifolio comiti sacrarum largitionum. (T) Scriniis omnibus largitionum comitatensium infra scriptas decernimus dignitates, ut his contenti ambiendi sibi aditum interclusum esse cognoscant, etiamsi speciale beneficium emendicato suffragio quisquam valuerit impetrare. annonas etiam iuxta definitum dignitatum modum volumus postulari nec amplius quicquam praesumi. Brevis, quas dignitates per singula scrinia officiorum sacrarum largitionum habere statuimus, hic est: Scrinii exceptorum: perfectissimus ordinis secundi numero unus, id est primicerius omnis scholae. perfectissimus id est primicerius exceptorum numero unus. ducenarii duo, id est tertiocerius et quartocerius. centenarius unus, id est primicerius instrumentorum. epistulares numero duo. formae primae numero triginta sex. formae secundae numero quattuor. formae tertiae numero tres. Scrinii numerorum: perfectissimus ordinis tertii numero unus. ducenarius numero unus. centenarii numero duo. epistulares numero duo. formae primae numero tres. formae secundae numero unus. formae tertiae numero duo. Sacri scrinii tabulariorum: perfectissimus ordinis tertii numero unus. ducenarius numero unus. centenarius numero unus. epistularis numero unus. formae primae numero tres. formae secundae numero quinque. Scrinii canonum: perfectissimus ordinis tertii numero unus. ducenarius numero unus. centenarius numero unus. epistulares numero duo. formae primae numero quattuor. formae secundae numero quattuor. Scrinii mittendariorum: ducenarius numero unus. centenarii numero quinque. epistulares numero novem. formae primae numero septem. formae secundae numero triginta tres. Scrinii auri massae: perfectissimus ordinis tertii numero unus. id est primicerius sacrae massae. perfectissimus numero unus, id est secundocerius. ducenarii numero duo, id est tertiocerius et quartocerius. centenarii numero quattuor. epistulares numero quattuor. Aurifices specierum: perfectissimus numero unus. ducenarii numero tres. centenarii numero sex. epistulares numero octo. formae primae numero decem et octo. formae secundae numero quattuor. Aurifices solidorum: ducenarius numero unus. centenarii numero septem. epistulares numero sex. formae primae numero novem. formae secundae numero triginta. Sculptores et ceteri aurifices: centenarius numero unus. epistulares numero quinque. formae primae numero sex. formae secundae numero decem et octo. Scrinii auri ad responsum: perfectissimus ordinis primi numero unus. perfectissimi ordinis secundi numero duo. ducenarii numero tres. centenarii numero duo. epistulares numero tres. formae primae numero tres. formae secundae numero duo. formae tertiae numero unus. Scrinii a militarensibus: perfectissimus ordinis primi numero unus. ducenarius numero unus. formae primae numero unus. formae secundae numero duo. formae tertiae numero tres.
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Scrinii vestis: perfectissimus primi ordinis numero unus. perfectissimus secundi ordinis numero unus. ducenarius numero unus. centenarius numero unus. epistulares numero duo. formae primae numero septem. formae secundae numero decem. formae tertiae numero quattuor. Officialium sacrarum vestium: ducenarii numero duo. centenarii numero duo. epistulares numero duo. formae primae numero septem. formae secundae numero decem. formae tertiae numero novem. Deputati sacrae vestis: perfectissimi secundi ordinis numero duo. ducenarii numero duo. centenarii numero duo. epistulares numero duo. formae primae numero tres. Scrinii ab argento: perfectissimus ordinis secundi numero unus. centenarius numero unus. epistularis numero unus. formae primae numero quattuor. formae secundae numero tres. formae tertiae numero unus. Ad pecunias: perfectissimus ordinis secundi numero unus. formae primae numero duo. formae secundae numero duo. formae tertiae numero quinque. Argentarii comitatenses: ducenarius numero unus. centenarii numero duo. epistulares numero duo. formae primae numero octo. formae secundae numero viginti quinque. Barbaricarii: centenarius numero unus. epistulares numero duo. formae primae numero octo. formae secundae numero unus. (E) Dat. IV id. Iun. Heracliae, Ricomere et Clearcho co(n)ss. Esempio 60 Costituzione di Giustiniano per il riordino della prefettura d’Africa, a. 534 (C. 1, 27, 1). (P) IN NOMINE DOMINI NOSTRI IHESU CHRISTI. IMPERATOR CAESAR FLAVIUS IUSTINIANUS ALAMANNICUS GOTTHICUS FRANCICUS GERMANICUS ANTICUS ALANICUS VVANDALICUS AFRICANUS PIUS FELIX INCLITUS VICTOR AC TRIUMPHATOR SEMPER AUGUSTUS ARCHELAO PRAEFECTO PRAETORIO AFRICAE. (T) Quas gratias aut quas laudes domino deo nostro Ihesu Christo exhibere debeamus, nec mens nostra potest concipere nec lingua proferre. Multas quidem et antea a deo meruimus largitates et innumerabilia circa nos eius beneficia confitemur, pro quibus nihil dignum nos egisse cognoscimus: prae omnibus tamen hoc, quod nunc deus omnipotens per nos pro sua laude et pro suo nomine demonstrare dignatus est, excedit omnia mirabilia opera, quae in saeculo contigerunt, ut Africa per nos tam brevi tempore reciperet libertatem, ante centum et quinque annos a Vvandalis captivata, qui animarum fuerant simul hostes et corporum. Nam animas quidem diversa tormenta atque supplicia non ferentes rebaptizando ad suam perfidiam transferebant: corpora vero liberis natalibus clara iugo barbarico durissime subiugabant. Ipsas quoque dei sacrosanctas ecclesias suis perfidiis maculabant: aliquas vero ex eis stabula fecerunt. Vidimus venerabiles viros, qui abscissis radicitus linguis poenas suas mirabiliter loquebantur: alii vero post diversa tormenta per diversas dispersi provincias vitam in exilio peregerunt.
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Quo ergo sermone aut quibus operibus dignas deo gratias agere valeamus, quod per me, ultimum servum suum, ecclesiae suae iniurias vindicare dignatus est et tantarum provinciarum populos a iugo servitutis eripere ? Quod beneficium dei antecessores nostri non meruerunt, quibus non solum Africam liberare non licuit, sed et ipsam Romam viderunt ab eisdem Vvandalis captam et omnia imperialia ornamenta in Africam exinde translata. Nunc vero deus per suam misericordiam non solum Africam et omnes eius provincias nobis tradidit, sed et ipsa imperialia ornamenta, quae capta Roma fuerant ablata, nobis restituit. Ergo post tanta beneficia, quae nobis divinitas contulit, hoc de domini dei nostri misericordia postulamus, ut provincias, quas nobis restituere dignatus est, firmas et illaesas custodiat et faciat nos eas secundum suam voluntatem ac placitum gubernare, et universa Africa sentiat omnipotentis dei misericordiam et cognoscant eius habitatores, quam a durissima captivitate et iugo barbarico liberati in quanta libertate sub felicissimo nostro imperio degere meruerunt. Hoc etiam deprecantes exoramus precibus sanctae et gloriosae semper virginis et dei genetricis Mariae, ut, quidquid minus est rei publicae nostrae, per nos, ultimos servos suos, restituat in suo nomine deus et dignos nos faciat servitium eius adimplere. Deo itaque auxiliante pro felicitate rei publicae nostrae per hanc divinam legem sancimus, ut omnis Africa, quam deus nobis praestitit, per ipsius misericordiam optimum suscipiat ordinem et propriam habeat praefecturam, ut sicut Oriens atque Illyricum, ita et Africa praetoriana maxima potestate specialiter a nostra clementia decoretur. Cuius sedem iubemus esse Carthaginem et in praefatione publicarum chartarum praefecturis aliis eius nomen adiungi, quam nunc tuam excellentiam gubernare decernimus. Et ab ea auxiliante deo septem provinciae cum suis iudicibus disponantur, quarum Zeugi, quae proconsularis antea vocabatur, Carthago et Byzacium ac Tripolis rectores habeant consulares: reliquae vero, id est Numidia et Mauritaniae et Sardinia, a praesidibus cum dei auxilio gubernentur. Et in officio quidem tuae magnitudinis nec non pro tempore viri magnifici praefecti Africae trecentos nonaginta sex viros per diversa scrinia et officia militare decernimus. in officiis vero consularium ac praesidum quinquaginta homines per singula officia esse sancimus. Quae vero emolumenta sive magnificentia tua sive consulares et praesides et quid unusquisque ex officio eorum de publico consequi debet, notitia subter adnexa declarat. Optamus ergo, ut omnes iudices nostri secundum voluntatem et timorem dei et nostram electionem atque ordinationem sic suas administrationes gubernare studeant, ut nullus eorum aut cupiditati sit deditus aut violentias aliquas vel ipse inferat vel iudicibus aut officiis eorum aut quibuscumque aliis collatoribus inferre permittat. licet enim per omnes provincias nostras deo iuvante festinemus, ut illaesos habeant collatores, maxime tamen tributariis dioeceseos Africanae consulimus, qui post tantorum temporum captivitatem meruerunt deo iuvante per nos lumen libertatis adspicere.
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Ergo iubemus omnes violentias et omnem avaritiam cessare et iustitiam atque veritatem circa omnes nostros tributarios reservari. sic enim et deus placatur et ipsi possunt celerius, sicut collatores alii nostrae rei publicae, relevari atque florere. Sportulas etiam ab officio tam viri magnifici praefecti Africani quam reliquorum iudicum sic exigi iubemus, quomodo in nostris legibus est dispositum et ab omni re publica nostra custoditur, ut nullus audeat quocumque tempore vel quocumque modo earum excedere quantitatem. Hoc etiam praesenti sanctione credimus ordinandum, ut non multa dispendia pro completione chartarum vel codicillorum vel in nostro laterculo vel in scriniis praefecti praetoriorum per Africam iudices sustinere videantur, quia, si ipsi dispendiis laesi non fuerint, nullam habeant necessitatem eiusdem nostrae Africae tributarios praegravandi. Iubemus ergo, ut iudices dioeceseos Africanae tam civiles quam militares in nostro laterculo pro codicillorum atque chartularum promotionis suae consuetudinibus nihil ultra quam sex solidos praebeant, at vero in scrinio praefectorum non ultra duodecim solidos cogantur inferre. Quem modum si quis excesserit, ipse quidem iudex triginta librarum auri dispendio subiacebit, officium vero eius non solum simile dispendium, sed et capitale periculum sustinebit. nam si aliquis ex quacumque parte ausus fuerit iussiones nostras excedere et non festinaverit cum dei timore eas servare, non solum dignitatis aut substantiae periculum sustinebit, sed etiam ultimo supplicio subiacebit. Et est notitia deo auxiliante: pro annonis et capitu pro tempore praefecti praetorio per totam Africam auri libras centum. pro annonis consiliariorum auri libras viginti. pro annonis cancellariorum auri libras septem. Item officiis eius ita: in scrinio primo hominibus decem pro annonis XVIIIIS, pro capitu XIIS, fiunt solidi CXLVIIS. ita: numerario pro annonis VI annona solidorum V et pro capitu IIII capitus solidorum IIII, fiunt solidi XLVI. secundo pro annonis III annona solidorum V et pro capitu II capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXIII. tertio pro annonis II annona solidorum V et pro capitu IS capitus solidorum IIII, fiunt solidi XVI. quarto quinto et sexto ad annonas IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXIIIIS. reliquis quattuor ad annonas IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXVIII. In scrinio secundo ut supra scriptum est. in scrinio tertio ut supra scriptum est. in scrinio quarto ut supra scriptum est. In scrinio primiscrinii, quod est subadiuvae, hominibus decem annonae XIIII capita XIIS, fiunt solidi CXVI. ita: primiscrinio pro annonis III annona solidorum V et pro capitu II capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXIII. secundo pro annonis II, annona solidorum ut supra scriptum est, et pro capitu IS, capitus solidorum ut supra scriptum est, fiunt solidi XVI. tertio et quarto pro annonis IS, annona solidorum ut supra scriptum est, et pro capitu I, capitus solidorum ut supra scriptum est, fiunt solidi XXIII. reliquis hominibus sex ad annonam I annona solidorum V et pro capitu I capitus solidorum IIII, fiunt solidi LIIII. In scrinio commentariensis hominibus duodecim annonae XVII capita XIIIIS, fiunt solidi CXLIII. ita: primo commentariensi annonae III annona solidorum V, pro capitu II capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXIII. sequentes homines tres ad annonas II annona solidorum V, pro capitu IS capitus solidorum IIII, fiunt solidi XLVIII. reliqui ho-
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mines octo ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi LXXII. In scrinio ab actis hominibus decem annonae XIIII capita XII, fiunt solidi CXVIII. ita: primo annonae III pro annona I solidi V, capita II capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXIII. secundo et tertio ad annonas II pro annona I solidi V et ad capitum IS capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXII. reliquis septem ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi LXIII. In scrinio libellorum hominibus sex annonae VIIS capita VIS, fiunt solidi LXIIIS. ita: primo annonae II pro annona solidi V, pro capitu IS capitus solidorum IIII, fiunt solidi XVI. secundo annona IS pro annona solidi V, pro capitu I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XIS. reliquis hominibus quattuor ad annonas I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXVI. In schola exceptorum hominibus sexaginta annonae LXXIIII capita LXII solidi DCXVIII. ita: primo et secundo ad annonas III pro annona solidi V et ad capita II capitus solidorum IIII, fiunt solidi XLVI. aliis hominibus quinque ad annonas II annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi LXX. reliquis hominibus decem ad annonas IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi CXV. reliquis hominibus quadraginta tribus ad annonas I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi CCCLXXXVII. In schola singulariorum hominibus quinquaginta annonae LIIS capita l solidi CCCCLXIIS. ita: primo annonae II annona solidorum V, capitus I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XIIII. secundo tertio et quarto ad annonas IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXIIIIS. reliquis hominibus quadraginta sex ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi CCCCXIIII. In schola mittendariorum hominibus quinquaginta annonae LIIS capita l solidi CCCCLXIIS. ita: primo annonae ii annona solidorum V, capitus I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XIIII. secundo tertio et quarto ad annonam IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXIIIIS. reliquis hominibus quadraginta sex ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi CCCCXIIII. In schola cursorum hominibus triginta annonae XXXIIS capita XXX solidi CCLXXXIIS. ita: primo annonae II annona solidorum V, capitus I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XIIII. secundo et tertio et quarto ad annonam IS annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XXXIIIIS. reliquis hominibus viginti sex ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi CCXXXIIII. In schola nomenculatorum hominibus duodecim annonae XIIS capita XIII solidi CXV. ita: primo annonae II annona solidorum V, capitus IS capitus solidorum IIII, fiunt solidi XVI. reliquis hominibus undecim ad annonam I annona solidorum V et ad capitum I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XCVIIII. In schola stratorum hominibus sex annonae VII capita VI solidi LVIIII. ita: primo annonae II annona solidorum V, capitus I capitus solidorum IIII, fiunt solidi XIIII. reliquis hominibus quinque ad annonas I pro annona solidos V et ad capitum I pro capitu solidos IIII, fiunt solidi XLV.
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In schola praeconum hominibus decem annonae XI capita XS solidi XCVII. ita: primo annonae II pro annona solidos V, capitus IS pro capitu solidos IIII, fiunt solidi XVI. reliquis hominibus novem ad annonam I pro annona solidos V et ad capitum I pro capitu solidos IIII, fiunt solidi LXXXI. In schola draconariorum hominibus decem annonae XI capita XI solidi XCVII. ita: primo annonae II pro annona solidos V, capitus II pro capitu solidos IIII, fiunt solidi XVI. reliquis hominibus novem ad annonam I pro annona solidos V et ad capitum I pro capitu solidos IIII, fiunt solidi LXXXI. In scrinio operum hominibus viginti annonae XXVIII capita XXI solidi CCXXIIII. ita: primo annonae III pro annona solidi V, capita II pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XXIII. reliquis hominibus tribus ad annonas II pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XLII. reliquis aliis hominibus sex ad annonam IS pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi LXVIIII. reliquis aliis hominibus decem ad annonam I pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XC. In scrinio arcae hominibus viginti annonae XXVIII capita XXI solidi CCXXIIII. ita: primo annonae III pro annona solidi V, capita II pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XXIII. reliquis hominibus tribus ad annonas II pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XLII. reliquis aliis hominibus sex ad annonam IS pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi LXVIIII. reliquis aliis hominibus decem ad annonam I pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XC. In schola chartulariorum hominibus quinquaginta annonae LVIII capita LIIS solidi d. ita: primo annonae III pro annona solidi V, capita ii pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XXIII. reliquis hominibus tribus ad annonas II pro annona solidi V et ad capitum IS pro capitu solidi IIII, fiunt solidi XLVIII. reliquis aliis hominibus sex ad annonam IS pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi LXVIIII. reliquis aliis hominibus quadraginta ad annonam I pro annona solidi V et ad capitum I pro capitu solidi IIII, fiunt solidi CCCLX. Fiunt homines CCCXCVI, annonae CCCCXCVIII solidorum I |I |CCCCXC, capita CCCCXXS solidorum MDCLXXXII, fiunt solidi I |I |I |I |CLXXII. Item pro annonis et capitu consularis solidi ccccxlviii. officiorum eius solidi CLX. Pro tempore medicis hominibus quinque annonae XLVIIII capita XVIIIS solidi CCCXVIIII. ita: primo pro annonis XV capitibus VI solidi IC. secundo pro annonis X capitibus V solidi LXX. reliquis hominibus tribus ad annonas VIII et ad capita IIS solidi CL. Grammaticis hominibus duobus ad annonas X et ad capita V, ad solidos LXX. sophistis oratoribus hominibus duobus ad annonas X, ad capita V, ad solidos LXX. Haec igitur, quae pro disponendis civilibus iudicibus Africae eorumque officiis, id est tam scriniariis amplissimae eius praefecturae quam cohortalibus, per hanc divinam constitutionem statuimus, tua magnitudo cognoscens ex kalendis Septembribus futurae tertiae decimae indictionis effectui mancipari observarique procuret atque edictis publicis omnibus innotescant: his scilicet, qui ordinati fuerint a tua sublimitate secundum praesentem divinam constitutionem, firmitatem sui status in perpetuo habituris. nam deo iuvante de militaribus iudicibus et de officiis eorum et de alio nostro exercitu per aliam sanctionem statuimus. (E) Emissa lex Constantinopoli dn. Iustiniano pp. A. iiii et Paulino vc. conss.
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Esempio 61 Costituzione di Leone circa il regime dei decreti di nomina detti probatoriae, a. 472 cr. (C. 12, 59, 10). Sui documenti detti probatoriae, diversi dai più noti codicilli, v. CLASSEN, Kaiserreskript, pp. 44-45. (T) Hac sanctione decernimus, ut in posterum nemini licentia sit edendi exemplaria his, qui sociandi sunt cuicumque militiae, quam sine divinis probatoriis adipisci non possunt, sed periculo primatum uniuscuiusque officii ipsas authenticas sacras, quae divinam nostrae pietatis continent adnotationem, cum subscriptione administrantium, sub quorum iurisdictione consistunt, his qui militare volunt praestari: exemplaribus videlicet earum cum subscriptione eorundem iudicum apud singula quoque officia, prout convenit, reservandis. Quamvis autem manifestum sit de huiusmodi probatoriarum observatione excepta esse certorum iudicum officia, tamen ne ullius ignorantiae relinquatur occasio, omnium officiorum, quibus necesse est per sacras probatorias militiae sociari, notitiam in sacris apicibus subdendam esse censuimus. Sub hac igitur observatione omnes, qui sive in hoc sacro palatio nostro sive in aliis quibuscumque officiis deinceps militare cupiunt, qui tamen, ut dictum est, non possunt pro tenore sacrarum constitutionum vel vetere consuetudine nisi praecedentibus sacris probatoriis militiae sociari, sicut subnexa notitia demonstrat, adipisci praecipimus: scientibus his, qui ex aliqua parte praesentis nostrae serenitatis legis formam conventia vel neglegentia quadam colludere temptaverint, non tantum amissione bonorum omnium, sed etiam capitis periculo utpote criminis falsitatis obnoxios semet esse plectendos. Et est notitia. scrinii memoriae probatoriae agentium in rebus, palatinorum largitionum, palatinorum rerum privatarum partis Augustae. Item scrinii sacrarum epistularum sic: in officiis virorum illustrium praefectorum praetorio Orientis et Illyrici et urbis, officii proconsulum Asiae et Achaiae, officii praefecti Augustalis, officii comitis Orientis, officii comitis divinarum domorum, officii vicariorum Thraciae Ponti Asiae et Macedoniae et thesauriensium classis. Item scrinii sacrorum libellorum: officii virorum illustrium magistrorum militum utriusque militiae in praesenti, Orientis et Illyrici, invitatorum, admissionalium, memorialium omniumque paedagogorum, cellariorum, mensorum, lampadariorum eorum, qui sacris scriniis deputati sunt, decanorum partis Augustae, cursorum partis Augustae, officii virorum spectabilium ducum Palaestinae, Mesopotamiae, novi limitis Phoenices, Osrhoenae, Syriae et Augustae Euphratensis, Arabiae et Thebaidis, Libyae, Pentapoleos, utriusque Armeniae, utriusque Ponti, Scythiae, Mysiae primae, secundae, Daciae, Pannoniae, officii virorum spectabilium comitum Aegypti, Pamphyliae, Isauriae, Lycaoniae et Pisidiae. Esempio 62 Notitia dignitatum. Da: Notitia dignitatum, pp. 103-110 (v. da ultimo anche NEIRA FALEIRO, La Notitia dignitatum).
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I. Notitia dignitatum omnium tam civilium quam militarium in partibus Occidentis (index) Praefectus praetorio Italiae. Praefectus praetorio Galliarum. Praefectus urbis Romae. Magister peditum in praesenti. Magister equitum in praesenti. Magister equitum per Gallias. Praepositus sacri cubiculi. Magister officiorum. Quaestor. Comes sacrarum largitionum. Comes rerum privatarum. Comes domesticorum equitum. Comes domesticorum peditum. Primicerius sacri cubiculi. Primicerius notariorum. Castrensis sacri palatii. Magistri scriniorum: Memoriae. Epistolarum. Libellorum. Proconsul Africae. Vicarii sex: Urbis Romae. Italiae. Africae. Hispaniarum. Septem provinciarum. Britanniarum. Comites rei militaris sex: Italiae. Africae. Tingitaniae. Tractus Argentoratensis. Britanniarum. Litoris Saxonici per Britannias. Duces duodecim: Limitis Mauretaniae Caesariensis. Limitis Tripolitani. Pannoniae primae et Norici ripensis. Pannoniae secundae. Valeriae ripensis. Raetiae primae et secundae. Sequanicae. Tractus Armoricani et Neruicani.
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Belgicae secundae. Germaniae primae. Britanniae. Mogontiacensis. Consulares viginti duo: Pannoniae. Per Italias octo: Venetiae et Histriae. Aemiliae. Liguriae. Flaminiae et Piceni annonarii. Thusciae et Umbriae. Piceni suburbicarii. Campaniae. Siciliae. Per Africam duo: Byzacii. Numidiae. Per Hispanias tres: Baeticae. Lusitaniae. Callaeciae. Per Gallias sex: Viennensis. Lugdunensis primae. Germaniae primae. Germaniae secundae. Belgicae primae. Belgicae secundae. Per Britannias duo: Maximae Caesariensis. Valentiae. Correctores tres: Per Italiam duo: Apuliae et Calabriae. Lucaniae et Brittiorum. Per Pannoniam unum: Saviae. Praesides triginta unum: Per Illyricum quattuor: Dalmaticarum. Pannoniae primae. Norici mediterranei. Norici ripensis. Per Italias septem: Alpium Cottiarum.
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Per Per
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Per
Raetiae primae. Raetiae secundae. Samnii. Valeriae. Sardiniae. Corsicae. Africam duo: Mauritaniae Sitifensis. Tripolitanae. Hispanias Quattuor: Tarraconensis. Carthaginensis. Tingitaniae. Insularum Balearum. Gallias undecim: Alpium maritimarum. Alpium Poeninarum et Graiarum. Maximae Sequanorum. Aquitanicae primae. Aquitanicae secundae. Novempopulanae. Narbonensis primae. Narbonensis secundae. Lugdunensis secundae. Lugdunensis tertiae. Lugdunensis senonicae. Britannias tres: Britanniae primae. Britanniae secundae. Flaviae Caesariensis.
II. Insignia viri illustris praefecti praetorio per Italias. Sub dispositione viri illustris praefecti praetorio Italiae dioceses infrascriptae: Italia. Illyricum. Africa. Provinciae: Italiae decem et septem: Venetiae. Aemiliae. Liguriae. Flaminiae et Piceni annonarii. Thusciae et Umbriae. Piceni suburbicarii. Campaniae. Siciliae.
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Apuliae et Calabriae. Lucaniae et Brittiorum. Alpium Cottiarum. Raetiae primae. Raetiae secundae. Samnii. Valeriae. Sardiniae. Corsicae. Illyrici sex: Pannoniae secundae. Saviae. Dalmatiarum. Pannoniae primae. Norici mediterranei. Norici ripensis. Africae septem: Byzacium. Numidia. Mauretania Sitifensis. Mauretania Caesariensis. Tripolis. Praefectus annonae Africae. Praefectus fundorum patrimonialium. Officium viri illustris praefecti praetorio Italiae: Princeps. Cornicularius. Adiutor. Commentariensis. Ab actis. Numerarii. Subadiuvae. Cura epistolarum. Regerendarius. Exceptores. Adiutores. Singularii. [...] Esempio 63 Costituzione di Giustiniano Ut iudices sine quoquo suffragio fiant, a. 535 (Nov. 8). IMP. IUSTINIANUS AUG. IOHANNI
PP. SECUNDO.
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(A, N). Omnes nobis dies ac noctes contingit cum omni lucubratione et cogitatione degere semper volentibus, ut aliquid utile et placens deo a nobis collatoribus praebeatur: et non in vano vigilias ducimus, sed in huiusmodi eas expendimus consilia pernoctantes et noctibus sub aequalitate dierum utentes ut nostri subiecti sub omni quiete consistant sollicitudine liberati, nobis in nosmet ipsos pro omnibus cogitationem suscipientibus. Per omnem namque curiositatem et inquisitionem subtilem discurrimus illa agere quaerentes, quae utilitatem nostris subiectis introducendo omni eos onere liberent et omni damno extrinsecus illato, citra publicum censum et iustam legitimamque collationem. Invenimus enim plurimam ingressam causis iniustitiam, et hanc non olim, sed ex quibusdam temporibus violenter accessisse et nostros subiectos ad inopiam compulisse, ut ad novissimam ipsi penuriam devenire fluctuarentur, et neque consueta et legitima tributa et pro veritate pias functiones secundum publicum censum possint sine maxima necessitate persolvere. Quomodo enim valerent collatores, cum ex aliquo tempore imperatores semper aliquid lucrari ex proventu iudicum cogitarent, et merito hos sequerentur etiam gloriosissimi praefecti, ex hac iniustitia et damnis extrinsecus illatis et sollemnibus piis collationibus sufficere ? Cogitatio igitur nobis facta est, quid agentes omnia quaecumque in nostris provinciis sunt, uno actu communi ad meliora migraremus. Hoc enim omnino eventurum credimus, si praesides gentium, quicumque civiles administrationes, habent, puris procuraremus uti manibus et omni abstinere acceptione pro illis, solis contentos eis quae a fisco dantur. Quod non aliter fiet nisi et ipsi cingula sine mercede percipiant, nihil omnino dantes nec occasione suffragiorum, neque his qui cingula habent nec alio omnium ulli. Consideravimus enim quia, licet quaestus non modicus imminuitur imperio, attamen nostris subiectis incrementum maximum percipientibus, si indemnes a iudicibus conserventur, et imperium et fiscus abundabit utens subiectis locupletibus, et uno hoc introducto ordine plurima rerum et innumerata erit ubertas. An certe non omnibus manifestum est, quoniam qui aurum dat et ita administrationem emit, non dat hoc solum, quantum occasione adinventum est suffragiorum, sed et aliud extrinsecus addit amplius occasione commodi administrationem aut dantibus aut spondentibus? et iam uno principio illicito dato plurimas necesse est manus circumire eum qui dationem facit, et hoc, aurum non de suo forte praebere, sed mutuatum, et ut mutuare possit, damnificatum, et computare apud se, quia convenit eum tantum ex provincia percipere, quantum liberet quidem ei debita, sortes et usuras, et damna pro ipso mutuo: computabit autem et in medio expensas largiores iam et iudicem vel qui circa ipsum sunt decentes, et quendam sibimet etiam recondere quaestum in tempore sequenti, in quo forte non administrabit. Quapropter eius quod ab eo datum est triplum, magis autem, si oportet verius dici, decuplum erit, quod a nostris subiectis exigitur. Et ex hoc etiam fiscus imminuitur: nam ea, quae oportebat in fiscum inferri, eo qui administrationem habet, puris utente manibus, haec ad propriam utilitatem redigens, qui administrationem habet, et inopem faciens nobis collatorem, inopiam illius, quae per ipsum agitur, nobis reputat. Quanta impia talia fiunt, ad horum furtorum merito relata occasionem! Administrationes namque habentes provinciales ad hanc acceptionem respicientes multos quidem reorum dimittunt, vendentes eis delictum, plurimos autem innoxiorum condemnant, ut noxiis praestent: et hoc non solum in pecuniariis agitur causis, sed et in criminalibus, ubi de anima est periculum. Fugaeque fiunt ex provinciis, et confluunt hic omnes ingemiscentes, sacerdotes et curiales et officiales et possessores et populi et
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agricolae, iudicum furta merito et iniustitias accusantes. Et non haec fiunt sola, sed etiam civitatum seditiones et publicae turbae plerumque fiunt atque sedantur: et omnino una quaedam est haec omnium occasio malorum, et accipere suffragium a iudicibus totius nequitiae est principium et terminus: est quoque hoc sacrorum eloquiorum mirabile et verum, quod avaritia omnium sit mater malorum, et maxime quando non privatorum, sed iudicum inhaeret animabus. Quis enim sine periculo non furetur, quis non latrocinabitur sine reatu administratorem respiciens? illum namque videns omnia auro vendentem, et praesumens quia, quidquid egerit illicitum, hoc pecunias dando redimet. Hinc homicidium et adulterium et invasiones et vulnera et raptus virginum et commerciorum confusio et contemptus legum et iudicum, omnibus haec venalia proposita esse putantibus, tamquam aliquid optimorum mancipiorum. Sed neque sufficemus considerate exponere, quanta ex furto provincialium iudicum fiunt pessima, nullo eos praesumente cum fiducia redarguere, cum illi repente cingula se emisse pronuntient. (D) 1. Haec omnia apud nos cogitantes et hic quoque participem consilii sumentes eam quae a deo data nobis est reverentissimam coniugem, et tuae celsitudini causam communicantes et quiddam etiam a tuo sumentes consilio, ad hanc sacram venimus legem: per quam sancimus, neque proconsulariam ullam neque hactenus vocatam vicariam neque comitem Orientis neque aliam quamlibet administrationem, neque proconsularem neque praesidalem, quas consularias et correctivas vocant (quarum expressim meminit supposita huic sacrae nostrae legi descriptio, quasque solas sub hac lege ducimus), dare aliquod suffragium neque pro administratione quamlibet donationem, neque iudici ulli neque horum qui circa administrationem sunt alicui neque alteri per occasionem patrocinii: sed gratis quidem sumere administrationes, pauca vero praebere occasione horum quae pro singulis dantur cingulis, codicillis et chartis. Nam etiam subiecimus descriptionem huic nostrae sacrae legi declarantem, quid competat unamquamque administrationem nostram praebere in sacro nostro laterculo aut in foro tuae celsitudinis occasione codicillorum aut praeceptorum: unde et illud adbreviatum est, ne praestet illi maximum damnum. [seguono altri 13 capitoli] . Haec igitur tua celsitudo universa cognoscens in omnibus gentibus sub se constitutis fieri manifesta procuret, sollemniter praeceptis utens apud omnes provinciarum praesides, ut ipsi cognoscentes nostrum circa subiectos studium et habemus circa ordinationem iudicum voluntatem, considerent, quanta eis bona participantur, neque imperii medelae pro eorum felicitate parcentes. (E) DAT. XII KAL. MAI. CP. BELISARIO V.C. CONS. [segue un Edictum scriptum in omni terra deo amabilibus archiepiscopis et sanctissimis patriarchis] SCRIPTUM EST EXEMPLAR EDICTI CONSTANTINOPOLITANIS HABENS ITA: Quantam subiectorum posuimus providentiam, ostendit a nobis nuper posita lex, quam ad gloriosissimos nostros praefectos scripsimus. Sed competens est et vos ipsos scire nostram providentiam, quam circa omnes homines habemus: et propterea legem ipsam et in edicti proposuimus figura, ut vos et domino deo ac salvatori nostro Iesu
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Christo iuste referatis hymnos et nostro imperio, quia omnem pro vestra utilitate perferimus laborem. NOTITIA EORUM QUAE AB UNAQUAQUE SUBDITARUM ADMINISTRATIONE DEBENT PRAEBERI CIRCA CONSUETUDINUM QUANTITATIS AB HIS QUI ADMINISTRATIONES HABENT; NULLO PRAESUMENTE EXTRA EA QUAE SUPRASCRIPTA SUNT NEQUAQUAM REQUIRERE ALIQUID AMPLIUS. Ab spectabili comite Orientis : In sacro cubiculo solidos LXIII, primicerio clarissimorum tribunorum notariorum cum quattuor scriniariis sacri laterculi solidos numero L, eius adiutori solidos III, officio gloriosissimorum praefectorum praetoriorum (pro iussione) sol. LXXX. A proconsule Asiae ita: in sacro cubiculo sol. num. XIII, primicerio clarissimorum tribunorum notariorum cum quattuor scriniis sacri laterculi sol. num. XL, eius adiutor sol. num. III, officio gloriosissimorum praefectorum praetoriorum (pro iussione) sol. n. LXXX. A spectabili comite Phrygiae Pacatianae ita: Chartulariis tribus sacri cubiculi sol. num. IX, primicerio clarissimorum tribunorum notariorum sol. num. XXIV, eius adiutori sol. num. III, officio gloriosissimorum praefectorum praetoriorum sol. num. L. A spectabili comite Galatiae primae ita: Spectabilibus chartulariis tribus sacri cubiculi sol. num. IX, primicerio clarissimorum tribunorum notariorum sol. num. XXIII, eius adiutori sol. num. III, officio gloriosissimorum praefectorum praetoriorum sol. num. L. A vicario Longimuri ita: Chartulariis tribus sacri cubiculi sol. num. IX, primicerio clarissimorum tribunorum notariorum sol. num. XXIV, eius adiutori sol. num. III, officio gloriosissimorum praefectorum praetoriorum sol. num. XL. [seguono altre due notitiae: Et quaecumque administrationes consularivae sunt ed Et quaecumque praesidales aut correctoriae administrationes sunt; infine il Iusiurandum quod praestatur ab his qui administrationes accipiunt]. Esempio 64 Insinuazione negli acta municipalia di una carta con breve allegato, a. 564, Ravenna. Da: P. Tjäder 8. [Imp(erante) d(omino) n(ostro) Iustiniano p(er)p(etuo) Aug(usto) anno XXXVIII, p(ost) c(onsulatum) Basili anno XXIII, su]bÛ d(ie) XVI KÛalÛ end(arum) Augustarum, ind(ictione) XII, Ravennae, | [..................................................140.....................................] q(uon)d(am) Collicti, dixit: “Cuiusmodi chartula plenariae securitatis mihi fecerit Gratianus v(ir) r(everendus), legitimae constitutus tutore Stefani h(onesti) p(ueri), de it, quod ipsius | [..................................................140.....................................] indi. Deinde una mecum principales viros pariter et except(orem) ad memoratum Gratianum v(irum) r(everendum), legitimum constitutum tutorem Stefani h(onesti) p(ueri), dirigi iube|[atis,.................................................. 150..................................... scribenda]m dictaverit, et ipse in eadem manu propriaÛ Û signum inpraesserit testesque, ut suscriberent,
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conrogaverit, vel si mobilia, quae inferius leguntur, si a me | [.................................................. 140..................................... e]am lau(dabilitatis) v(estrae) allegare v Ûoluerit, seu quam habeÛ Ûa Ût voluntatem, hiÛ s actis edicere non moretur.” | [..................................................140..................................... r]ecitatum est: “Imp(erante) d(omino) n(ostro) Iustiniano p(er)p(etuo) Aug(usto) a Ûnno tricensimo oÛctavo, Rav(ennae), p(ost) c(onsulatum) Basili anno vicensimo tertio, s(ub) d(ie) Iduum Iuliar(um), ind(ictione) duodecima, Ravennae. | [..................................................140.....................................]s vel condicionibus radici[t]us possit esse c Û[o]nputata; et ideo, dum inter Gratianum v(irum) r(everendum), legitimae constitutum tutorem Stefani inpuveris, et | [..................................................140.....................................] et res gesta documentis asscribi, ut omnes d[e] c[i]tero sopiatur oblivio, et res memoriae sempiternae mandetur, nec probatio, cum necesse fuerit, | [..................................................140..................................... legiti]mÛae constitutum, a te s(u)p(ra)d(ic)ta Germana, cl Û(arissima) f Û(emina), oÛmnem tertiam portionem praefato minori conpetentem secundum tenorem testamenti | [..................................................140.....................................]d conservandum nihilom[i]nus percepisse, [et] de omnibus superadnexis capitulis vel de quibuslibet aliis decisam esse omnem causationem | [..................................................140.....................................] poterant, deducta inter nobis ad liquÛÛ [ id]uÛm omnem rationem s(upra)s(criptae) sucessionis te manifestum est omnia persolsisse, et sine alicu|[ius..................................................140.....................................] p[ro]mÛ i t Û Ûtens neÛ que me nec s(upra)s(criptum) Stefa ÛnÛ[ u]mÛ heredesque nostros ultra adversus te s(upra)s(cripta) Germana heredesque tuos inquire|[re..................................................140.....................................] invictissimi Û principis R[oma]nuÛ m gubernantis imperium me ea omnia, quae superius leguntur adscribta, inviolata custodire | [..................................................140.....................................] c Ûo Ûntigerit Û a Ûut qu Ûolibet arti[ficium] memo Ûr Ûa Û[tae] s[ucces]si Û onis Û intentionÛibÛ Û[us.....]ecare, vel noÛ Ûviter [a]liÛquid Û pe[t]ere aliud, Û | tunc non solum ut periurii reatus incurram secundum leges, verum Û etiam daturum me promitto, heredesque meos, tibi s(upra)s(crip)ta Ûe Û Germanae heredesque tuis poenae nom(ine) ante litis ingressum auri solidos triginta et sex, suppositis omnibus rebus meis ypoticae titulo, quas haveo habiturusve sum, ma[n]ente | nichilominus hanc plenariam securitatem in sua firmitate, ubi ubi et in cuiuslibet iudicio prolata fuerit; quamque plenariae securitatis Iohanni tabellioni civitatis Rav(ennae) scribendum dictavi, in qua pro ignorantia litterarum subter signum feci, auctoritateque roborata praesentibus testibus optuli | suscribendum, quam si gestis municipalibus allegare, ubi ubi aut quando tibi placuerit, non amplius spectata mea professionem, quam praesentibus testibus sum aelocutus, tribuo ex more licentiam, stipulatione et sponsione interposita. Actum Rav(ennae) s(ub) d(ie) et p(ost) c(onsulatum) s(upra)s(crip)ti, ind(ictione) s(upra)s(crip)ta duodecima. (Breve allegato) Item | inserendo breve. Breve de diversas species, quae vinditae sunt de successionem s(upra)s(crip)ti q(uon)d(am) Collicti, seu mercides mancipiorum quam etiam pensionem domus, sed et de cautiones vel de praetio ancillae Ranihildae,
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seu boves et de res q(uon)d(am) Guderit liberti, quod accepit Gratianus v(ir) r(everendus) in portio|ne s(upra)s(crip)ti Stefani popilli; fieri simul in auro solidos quadraginta et quinque et siliquas viginti tres aureas, nummos aureos sexaginta. Item et in speciebus secundum divisionem argenti libras duas, hoc est cocliares numero septem, scotella una, fibula de bracile et de usubandilos, formulas duo|decim, stragula polimita duo valentes solido uno tremisse uno, scamnile aco Ûpicto valente solido uno, plicton vetere siliquas quattuor aureas, camisia tramosirica in cocco et prasino valente solidos tres semis, sarica prasina ornata valente solido uno et semisse uno, arca clave clausa | valente siliquas duas, sareca misticia cum manicas curtas valente siliquas aureas duas, bracas lineas valentes siliqua aurea una, culcita valente solido mediÛ o,Û conca aerea una, cucumella una, orciolo aereo uno, lucerna cum catenula unixa Û aerea una, ferro fracto libras duodecim, | butte de cito valente tremisse uno, butte minore valente siliquas duas semis aureas, nummos quadraginta, butte granaria valente siliquas aureas duas semis, nummos quadraginta, arca granaria minore ferro legata valente siliquas aureas duas, falce missuria valente siliqua | aurea una, cuppo uno, runcilione uno, orcas olearias duas valentes siliqua una semis argenteas, armario uno valente siliquas aureas quattuor, socas tortiles duas valentes siliquas aureas sex, sella ferrea plictile valente semisse uno, sella lignea plictile valente nummos aureos | quadraginta, mensa et catino ligneos valentes siliqua aurea una, mortaria marmorea dua valentes siliqua aurea una, albiolo ligneo valente nummos aureos quadraginta, sacma valente asprione aureo uno, scamnile cum agnos valente siliquas aureas duas, servo nomine Proiecto. Item | notitia de res Guderit q(uon)d(am) liberti, id est arca clave clausa ferro legata valente siliquas aureas duas, alia arcella minore rupta valente siliqua una semis asprionis, tina clusa valente siliqua una asprionis, cocumella cum manica ferrea vetere pensante libra una semis, caccavello | rupto pensante libra una, catena ferrea desuper foco pensante libras duas semis, satario valente siliqua una asprionis, cute olearia valente siliquas duas asprionis, panario rupto uno, capsicio valente nummos octuginta, orciolo testeo valente nummos octuginta, olla testea | rupta una, talea valente asprione, albio valente nummos octuginta, rapo valente asprione, modio valente asprione uno, butticella granaria valente siliqua una asprionis, sareca una vetere tincticia valente siliquas aureas tres, camisia ornata valente siliquas aureas | sex, mappa valente asprionis siliqua una, lena vetere una, sagello vetere uno. Item notitia, quod accepit s(upra)s(crip)tus Gratianus de domus, quae sunt intra civitate Ravenna, seu praedia rustica, quae sunt in diversis territuriis: ex domo, quae est ad Sancta Agathae Rav(ennae) secundum | fidem documenti uncias duas; ex domo, quae est post basilica Sancti Victoris Rav(ennae) secundum fidem donationis uncias quattuor; ex casa, qui appellatur Casa Nova Rav(ennati) terr(itorio) secundum fidem donationis uncias quattuor; ex unciis fund(o) Saviliano, quod obvenit | per donatione Gunderit, uncias duas; ex casale Petroniano terr(itorio) Bononiense in Tellino secundum fidem documenti uncias duas; ex uncias tres fund(o) Verutiano, quod vendedit Gaudentius in s(upra)s(crip)to terr(itorio) et loco, uncia una; ex uncias tres fundi s(upra)s(crip)ti, quas vendedit Afrio, | uncia una; ex uncia una semis fundi s(upra)s(crip)ti, quas vero vendedit Bonosa, semeuncia; ex portiones Urbicii et Staturiani, quos vindederunt Am[..................................................140.....................................] | ad Ponticello et Lupatis s(upra)s(crip)to terr(itorio), nec non ex domo intra civitate Corniliense, quos fun-
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dos vendedit Messor episc(opus), uncias quaternas d[..................................................140.....................................] | portionem eius siliquas quattuor et punga una tantum. Signum s(upra)s(crip)ti Gratiani v(iri) r(everendi) subdiaconi litteras nescientem. Et alia manu su[..................................................140.....................................]| scribto Stefano popillo de suscessionem s(upra)s(crip)ti q(uon)d(am) Collicti competere poterunt, rogatus a s(upra)s(crip)to Gratiano v(iro) r(everendo) subdiac(ono), tutore s(upra)s(crip)ti pop[illi.................................................. 140.....................................]| gestis allegandi muniÛ cipalibus tribuit licentiam, et quadraginta sex solidos cum s(upra)s(crip)to argento eis traditos vidi. Montanus vir st[.................................................. Û 140.....................................] | rogatus a s(upra)s(crip)to Gratiano v(iro) r(everendo) subdiac(ono), tutore s(upra)s(crip)ti popilli, qui me praesente signum fecit et ei relectum est, testis suscribsi, et omnia mÛ[..................................................140.....................................] | s(upra)s(crip)to argento eis traditos vidi. Stefanus v(ir) d(evotus), scr(i)n(iarius) gl(oriosae) s(edis), huic plenariae securitati, sicut superius legitur, de perceptam omnem te [..................................................140.....................................] | sente signum fecit, et ei relictum est, testis suscribsi, et omnia mobilia, quae superius leguntur, ei traditos vidi. Inmobilia vero [..................................................140.....................................] |curitati, sicut superius legitur, de percepta omnem tertiam portionem, quod s(upra)s(crip)to Stefano popillo de successione s(upra)s(crip)ti q(uon)d(am) Col[..................................................140.....................................] | quae superius leguntur, et traditos vidi. Inmobilia vero se habere professus est, et gestis allegandi municipalibus tribuit licenti[am..................................................140.....................................] |tionem, quod s(upra)s(crip)to Stefano popillo de successione s(upra)s(crip)ti q(uon)d(am) Collicti conpetere poterunt, rogatus a s(upra)s(crip)to Gratiano v(iro) r(everendo) subdiac(ono), tutor[e..................................................140.....................................] |fessus est, et gestis allegandi municipalibus tribuit licentiam, et quadraginta sex solidos cum s(upra)s(crip)to argento ei datos vidi. [..................................................140.....................................] |pilli in Germana cl(arissima) f(emina), relectam, roboratam et traditam conplevi et absolvi diae s(upra)s(crip)ta.” | Ag(ens) mag(isterium) d(ixit): “Lecta chartula plenariae securitatis in acta migravit”. Et adiecit: “Secundum petitionem Germanae c(larissimae) f(eminae), relictae q(uon)d(am) Collicti, perga Û[nt..................................................140..................................... po]|pilli, ita ut, dum eidem chartula plenariae securitatis seu brevis subter adnexi ostensa relectaque fuerit, si a se in s(upra)d(ic)ta Germana [ Esempio 65 Notitia brevis di una divisione di uomini, a. 761. Da: CDL, II, nr. 154, pp. 73-76 (v. anche ChLA, XXXIII, nr. 965). + Exemplar ex autentico.
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Notitia brevis qualiter devisi ego | Sunderad inter me et d(om)n(o) Peredeo ep(iscop)o homenis de ista parte Arnu: | in primis, Ansprandulo de Tramonte; | Maurulo germano ipsius Aspranduli; | Rodulo; | Magnip(er)tulu; | Angari filii ipsius Roduli; | Cospulo filio Barinchuli maiure; | Maricindula muliere Barinchuli; | Cospula mulier Aialdi; | Geipergula filia Marcianuli minore; | Sisula mulier Magnip(er)tuli de filio Roduli cum filio suo Sisaldulo; | Marcianulo de Caricini; | Auripertulo filio ipsius Marcianuli minore; | [...] Item breve de homenis quos antea inter nos divisimus: | Romaldulo calicario; | Gaudip(er)tulo pistrinario; | Liutpertulo vestorario; | Mauripertulo caballario filio Sanduli; | Arcausulo filio Fridip(er)tuli; | Martinulo cl(erico); | Gudaldo quocho frater Gaudip(er)tuli; | Causula soror Ghitioli; | Auria nepote Uuidaldi; | Lucipergula nepote Marcianuli; | Tachipergula de Massa; | Aldula filia Magnip(er)gule; | [...] Item breve de homenis quos livertavet barbane meus: | Sichiprandulu; | Uualiprandulu; | duo filii et una filia Radipertuli de Monacciatico; | mulier Pertuli de Vico cum tres infantes suos; Uuarnip(er)tulo nepote Teuduli de Lamari; | Aurulu russu nepote Uuidaldi de Quosa; | Bonip(er)tulu filio Bonisomuli de Tramonte; | due consubrine Dulciari de Coloniola | nepote Bonusuli de Roselle. Item breve de homenis quos liveros emiset barbane meus pro anima | b(one) m(emorie) genitori meo Sundip(er)t germani sui: | Alpergula soror Alpuli; | Causeradula soror Aspranduli; | Bonaldulo frater Gaudipertuli; | Cellulo frater Causuli; | Bonusula soror Sanduli; | Liutp(er)gula soror Magnuli de Valeriano cum infantes suos; | Causerdula soror Gaudip(er)tuli cum tres infantes suos; | Alo filio Radaldelli; | Aunifridulo de Cincturia. | Isti omnes s(upra)s(crip)ti homenis, quos barbane meus Peredeus in D(e)i nom(ine) ep(iscopu)s | pro anima sua et pro anima b(one) m(emorie) genitori meo Sundip(er)t liveros emiset, | quod sunt insimul homenis viginti et octo, in hoc ordine eos commemo|ravi in hunc breve, ut in eo ordine p(er)maneant, sicut de ipsi inter nos p(er) | cartule convenientia et promissio facta est; nam non dedi isti home ÛnÛ[ is] | in divisione s(upra)s(crip)ti barbani mei, sicut alii s(upra)s(crip)ti homenis. Facta s(upra)s(crip)ta n[o]|titia tempore d(om)n(o) n(ostr)o Desiderii et Adelchis regib(us), in anno regni eor(um) quint[o] Û | et secundo, idus mensis magii, p(er) ind(ictione) quarta decima. Et scripsi eg[o] | Osprandus diaconus. | Ego Sunderad in hunc breve a me facto, sicut supra legitur, manu | mea subscribsi. | Ego Peredeus exiguus ep(iscopu)s in hanc breve subscripsi. | Signum * * man(us) Uuileradi filio Teudip(er)t testis. | Signum * * man(us) Causeram(i) subdiac(oni) testis. | Signum * * man(us) Ermisindi cl(erici) filio q(uon)d(am) Ghilduli testis.| Ego Osprandus diac(onus) scriptor post breve tradita in | s(upra)s(crip)tor(um) presentia conplevi et dedi. | Ego iam dictus Osprandus diac(onus) scriptor ex | autentico breuium exemplaui fideliter, nec pluÛÛ s Û | addedi, nec menime scribsi.
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Esempio 66 Breviarium dell’abbazia di S. Cristina di Olona, secolo X ex. Da: Inventari altomedievali, pp. 27-40. (S) Anno a nativitate Domini millesimo ducentesimo | octuagesimo octavo, indicione prima, die veneris vigesimo p(r)imo me(n)sis | madii, in claustro monasterii sancte Christine de Ollona. Dominus do(m)nus | Guaschus de Becharia Dei gratia p(re)fati monasterii abbas p(re)cepit michi Berardo | not(ar)io infrascripto ut auctenticarem et in publicam formam reddigerem qua(n)dam | scripturam vetustissimam et valde antiquissimam inventarii in antiquis libris, | privillegiis et memorialibus monast(er)ii sup(ra)dicti, p(rese)ntibus testibus inf(rascrip)is, que | scriptura sic incipit. In nomine Domini n(ost)ri Iesus Christi. Incipit breviarium de abbacia | sancte Christine, que no(m)i(n)atur de Ollona. In primis t(er)minum de occidentalle parte | que no(m)i(n)atur Pecorille et p(er)venit(ur) usq(ue) ad Caprariam et usq(ue) ad terram Inver|nascham, excepto q(uod) inter hoc habet sanctum Systum et aliquot homines | liberi; de terra Invernascha vadit a rivollo que dicit(ur) Frigido et usq(ue) in Foldo | maiore et usq(ue) in costa que dicit(ur) sancte Margarite et desendit(ur) Affopinecto | et p(er)venit in valle que dicit(ur) Furia et usq(ue) in roncho, q(ue) no(m)i(n)atur Barozo, et est | p(ro)prio s(an)c(t)e Christine; et inde vadit in casteneto s(an)c(t)e Christine; deinde vadit in brayda | Bergomascha et usq(ue) in Vicolongo et usq(ue) in Castello des(er)to et usq(ue) in via publica | et usq(ue) ad fontana, que dicit(ur) sancti Ambroxis et usq(ue) ad Ronchoimani, et usq(ue) ad | Casaluto et usq(ue) ad terram, que dicit(ur) de Maschalli que aliq(ua)n(do) Forestarii fuerunt, | sed p(er) cauptionem p(re)cepti dati domini Ludovici imperatoris t(er)ris et p(er)sonis s(an)c(t)e | Christine oblat(e) sunt. Omnia cetera terre usq(ue) in Lambro, Montemallo, Broylio, Salvatiolla, | Cuniollo, Lapollito, Castelloni, Vallinascha et usq(ue) in curte Sinna et usq(ue) in Pado | totum et integru(m) est sancte Christine. + Ad Montellivione et usq(ue) in valle s(an)c(t)i Petri | et usq(ue) ad rio Frigido et descendat(ur) a Salle usq(ue) in Narione est comunia s(an)c(t) Christine | et s(an)c(t)i Systi atq(ue) sancti Anestasii. + Item in valle Furia asscendit(ur) a Cadeberio|ne usq(ue) in Mussatorio et descendit(ur) in brayda, ubi sedebat Romaldus p(re)po(s)itus | a dieb(us) antiquis, et descendit in Bissaria; et Albaretum totum et Carponia ex | integro cum palludibus et rivollis et paschuis et pischationib(us), silvis, venationibus, | coltis et incoltis q(uan)tum ad imperatoria et ragallia po(tes)tate p(er)tinuit usq(ue) in Pado | p(er) s(upra)s(crip)tas coh(e)ren(cias) Deo et sancti atq(ue) beate virginis Christine ad p(ro)prietate donate | sunt; unusquisq(ue) homo sup(er)sedente et laborante has terras reddere debent granu(m) | terciu(m), vinu(m) mediu(m), legumina diverssa et linum millio et panigo et marino t(er)ciam | p(ar)tem reddere debent; et unusquisq(ue), qui duodecim iugeas habet inter manssio(n)e(m) | et curtem et ortum et vineam coltam et incoltam, p(er) sing(u)llos annos p(er)solvant | p(ro) augusto me(n)sse duos pullos,
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q(uos) vocamus spicarollos, in vendemia porcum unu(m) | vallentem den(arios) duodecim, in sancto Martino signaria den(arios) quatuor, pullos duos, oves | decem et per sing(u)llos me(n)ses op(er)a una; et in natalle s(an)c(t)i Stephani tam maiores q(uam) | minores, qui sedimen h(abe)nt cum oblacio(n)e ad dominu(m) suum p(er) (con)suetudine(m) cum una | spalla porcina vallente den(arios) duos, unum sextarium annona(m) blancham et emina(m) | vini p(rese)ntari debent; et unusquisq(ue) homo [...] + Habemus in Augea terra quieta manssos sex, q(ui) reddunt | granum terciu(m), vinu(m) medium, signaria et op(er)a et legumina et minuta ut s(upra)s(crip)t(u)m | est. + Et habem(us) in eadem Augea, quam donaverunt p(er) p(re)cepta Ludovicus | imp(er)ator et Rodulfus rex, Bere(n)garius anticus et Ugo atq(ue) Lotharius rex, t(er)ram | que olim de curte Ollona p(er)tinuit. Terminatur v(er)o sic: ex uno latere p(er)curit | rivus Tortus [...]. Quicq(ui)d vero | infra istos terminos videtur habere de territorio curtis Olone totum ad integru(m) | eidem sanctu(m) locum iure p(ro)prietario concederu(n)t et p(er)petual(ite)r ad victum monacho(rum) | h(abe)ndum donaveru(n)t. Item habemus in eadem Augea terra(m) p(er) menssura(m) iug(e)a | octuaginta, que Lamb(er)tus imp(er)ator p(er) p(re)cepta sancti Petri ap(osto)li et s(an)c(t)e virginis Christine | dedit; et habet ip(s)am terram coh(e)ren(cias) ab oriente t(er)ra Agullini, [...]; ip(s)a quoq(ue) via | seperat atq(ue) disiu(n)git n(ost)ra terra, que nostre p(ar)ti seu po(tes)tati res(er)vavimus; et h(abe)t | unusquisq(ue) homo sup(er)sedentes eandem condicionem et reddicion(em) sicut s(upra)c(ri)ptum | est. + Habemus in Modolleto t(er)ram amplam et spaciossam, que reddit granu(m) | tercium, vinu(m) medium, minurtum et legumina cum lino; et unusq(ui)sq(ue) homo den(arios) | quatuor, pullos duos, oves decem et op(er)a duodeci(m). + Habemus in Ablatico | manssos duos; in Vigalffio manssum unum; in Compiano manssum unum; in | Campraria manssum unu(m) amplo et spaciosso; in Inv(er)no manssum unu(m) amplum et | spaciossum; in sancto Angello manss(os) quinq(ue); [...]; qui om(n)es s(upra)s(crip)ti reddunt granu(m) | terciu(m), vinu(m) medium, legumin(a) et minut(um) cum lino tercia p(a)rte, den(arios) quatuor, pullos | duos, oves decem et op(er)a duodecim; habemus in Vicolongo manss(um) unu(m) q(ui) reddit | simil(ite)r. + Habemus in Cassine p(ro)pe Adua terra(m) arrabil(em) ampla(m) et spaciossam, que | reddit granu(m) terciu(m), vinu(m) mediu(m) et cet(er)a sicut sup(ra) legit(ur). + Habemus in Gambio(n)e | manssos duos et ad sancta Maria Cabllo(rum) manss(um) unum et ad cerro s(an)c(t)i Martini | manss(um) unum et in campo Bovialli manssum unu(m); omnes sup(ra)dictos ampllos et | spaciossos, qui reddu(n)t granu(m) t(er)cium, vinu(m) mediu(m) et cetera sicut sup(ra) legit(ur). [...] Et inde dictus d(omi)n(u)s abbas hac scripturam exemplari et | autenticari et hanc cartullam inde fieri p(re)cepit. |
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Adfuere ibi Iohan(n)nes de Erba, Ayroldus Pultronus, Tabianus de Sypioo, Iacob(us) | de Becharia, Henricus de Mulinello et alii q(uam) plures inde rogati testes. | (S) Ego Berardus de Castello sacri pallacii not(ariu)s auctenticum huius | exempli vidi et legi et sicut in eo (con)tinebat(ur) ut in hoc exemplo legit(ur) | p(re)ter litteram v(e)l sillabam plus minusve et iussu ac mandato p(re)dic(t)i d(omi)ni | abbatis exemplavi auctenticavi et scripssi. | [...]
La seconda variante di scritti definiti notitiae o brevia sembra collegarsi alla prima, che io sappia, sia per caratteristiche funzionali – dirette a rappresentazione, a cognizione e a ‘notorietà’ –, sia per il principio formale della sequenza: è in sequenza un elenco di dati, ma è in sequenza narrativa anche una notitia intesa come racconto, storia, testimonianza ( orale o scritta che sia), che peraltro in questa seconda accezione sembra ben proseguire nella linea dell’antica testatio romana. Fatto si è che, a mia conoscenza oggi, le notitie iudicati altomedievali, e cioè le memorie processuali e di placito, a narrazione, riproduzione e ‘controllo’ di procedura a sentenza, non fanno che ripetere una formula sententiae del 603 contenuta nel Registro di Gregorio Magno (v. infra es. 67), mentre parallelamente, dal secolo VIII ( sembra), appare in abbozzo quel filone di documenti ‘a memoria’ e ‘a prova’: notitia breve memoratorium qualiter . . . , che ‘raccontano’ appunto o atti giuridici non connessi con la forma della charta o negozi non romani (e perciò anch ’essi estranei al modulocharta), come le wadiationes longobarde nel meridione d’Italia e poi le traditiones franche nel Regno 85. Esempio 67 Gregorio Magno, formula sententiae, a. 603. Da: M.G.H., Epist., II, l. XIII, nr. 49, pp. 413-414. GREGORIUS IOHANNI DEFENSORI EUNTI SPANIAE. In nomine Domini. Imperatore, indictione et die. Cui officium cognitoris iniungitur, ita se pura atque intemerata conscientia debet in omnibus exhibere, ut ex his quae aliis iudicat ipse ultionem aeterni examinis non incurrat. Dum igitur ex deputatione sanctissimi et beatissimi atque apostolici domni mei papae Gregorii ego Iohannes defensor inter Ianuarium episcopum civitatis Malacitanae atque item illum et illum episcopos cognitor resedissem, necesse habui causam praedicti Ianuarii interna inquisitione discutere et a partibus suptiliter quaerere veritatem, an, sicut petitio eius continet, transmissis clericis a memoratis episcopis una cum hominibus gloriosi Comitioli de ecclesia fuerit violenter abstractus. Qui dum multa contra se invicem, sicut gesta testantur, obicerent, ad conclusionem in re adque partes aliquando terminum pervene-
85
NICOLAJ, Il documento privato, pp. 175-176; MANTEGNA, Tra diritto romano.
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runt petentes me debere de agnitis iudicare. Et . . . ego . . . pronuntio . . . , condemnans . . . statuo atque decerno . . .
La funzione probatoria del breve, o notizia, e le sue forme corrispondenti, a forte impronta descrittiva, rappresentativa e narrativa, spiegano bene certe inflenze formali di esso, o essa, sull’assetto del documento privato nel suo mutamento e passaggio da charta a instrumentum, documento, quest’ultimo, a decisa e primaria funzione probatoria di fatti avvenuti e narrati appunto per iscritto: fra XII e XIII secolo, come avevano ben indicato Voltelini e Redlich, il vasto movimento giuridico, e perciò anche documentario, che segna il rinascimento introduttivo al secondo medioevo, passa anche per vecchie e nuove combinazioni concettuali e formali 86. Nell’esempio che segue (nr. 68), della fine del secolo XII, colpisce subito la mescolanza colorita di termini e concetti che culmina con la ‘vecchia’ completio del giudice e notaio, ma che il notaio stesso dichiara di imponere, compiendo un’avanzata decisa verso l’imponere fidem del nuovo notariato con il suo ‘nuovo’ instrumentum. Esempio 68 29 maggio 1190, Firenze. Da: CASAMASSIMA, Tradizione corsiva, tav. XXIII. (S) In Christi nomine. Breve investitionis, concessionis, finitionis et transacti|onis et de ulterius non petendo pactionis omnisque iuris et actionis, re|missionis, securitatis ac firmitatis pro futuris temporibus ad perhennem me|moriam habendam vel retinendam quod factum est in civitate Florentia. In presen|tia Mieti filii Boni et Octaviani filii Bilenki et Deotiguerii filii Marti|nitti et Venture filii Zucke et Beneintendi filii Petri, in eorum predic|torum presentia Truffa filius bone memorie Rustikelli et Eusebia iugalis eius sibi as|sensum prebentis communiter ipsi iugales investierunt, concesserunt, finierunt, pactumque | de non petendo fecerunt et transigendo remiserunt domino Gerardo | presbitero et ecclesie≈ Sanctae≈ Mariae≈ Novelle gratia divina rectori per omnia venerando | recipienti vice et utilitate eiusdem ecclesie, videlicet omne ius et actionem et requi|sitionem et quicquid umquam aliquo modo requirere poterant de omnibus illis fructibus | quos idem venerabilis sacerdos percepit de possione data ipsi Truffe a consulibus de | Sancto Michaele; item quicquid ei requirere poterant de medietate totius poderi quod | quondam presbiteri Ugonis et patris sui fuit et de omnibus fructibus; inde ab eo perceptis | et insuper generaliter undecumque eum quoquo modo convenire poterant quati|nus deinceps idem venerabili sacerdos et eius successores sint omni tempore securi | et quieti et idem iugales eorumque heredes sint omni tempore taciti et contenti. Et in|super spoponderunt et promiserunt predicti iugales nec non et
86
VOLTELINI, Die Südtiroler Notariatsimbreviaturen, Einleitung, pp. LXXX e ss.
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obligaverunt pro se suisque he|redibus ut si umquam in tempore per se ipsos vel per eorum summissam aut summittentem personam | vel ingenium seu per eorum factum contra predictum venerabilem sacerdotem vel contra eius | successores in aliquid exinde de omnibus supradicti agere, causari vel eos molesta|re aut in placito vel extra placitum fatigare seu petere presumpserint et | omni tempore taciti non permanserint pene nomine bonorum denariorum expendibilium | libras viginti eidem sacerdoti stipulanti dependere promiserunt, hoc instru|mento firmo illibatoque manente. Factum est hoc anno dominice incarnationis | milleno centeno nonagesimo, IIII kalendas iunii, indictione VIII. Signa ++ manuum iam dictorum iugalium qui hoc breve ut superius legitur fieri rogaverunt. | Signa ++++++++++++ manuum iam dictorum Mieti et Octaviani et Venture et Deotiguerii et | Beneintendi et Barocoli filii Spine et Germani filii Sime rogatorum testium pro qua | finitione et transactione idem iugales receperunt ab ipso sacerdote solidos quadraginta et quinque. | (S) Ego Galitius iudex idemque notarius huic instrumento imposui completionem.
10. Altre forme di struttura documentaria: forme complesse; forme a sequenza; forme composite. – I prototipi di pagina/charta e breve/notitia fin dall’età tardoantica si sviluppano e si combinano, originando e rivestendo di forme altri tipi di scritti, che la diplomatica tradizionale non considera come suoi documenti, ma che a filo di logica e di storia sembrano rientrare, quanto a funzioni e a forme, nel quadro di essa. Proprio sul piano storico, infatti, tali scritti, trascurati e forse apparentemente estranei al campo diplomatistico, correlati ai tipi documentari ‘canonici’, sembrano disegnare e completare quei quadri o contesti o sistemi documentari, ai quali si accennava precedentemente, intendendo il termine di sistema nel senso delle scienze sociali: e cioè come un insieme di parti interdipendenti e di variabili interconnesse, i cui raccordi possono essere osservati attraverso analogie e regolarità (costanti), un insieme insomma per il quale tout se tient. Così, sul piano storico, non possono pensarsi i documenti pubblici e privati tardoantichi senza raccordarli alle codificazioni teodosiana prima e giustinianea poi e ad un sistema di atti sostenuto da una rete burocratica formidabile. Oppure, non possono interpretarsi i documenti pubblici e privati altomedievali se non in un contesto di scritti sciolti, singoli e separati, un contesto di particolarismo documentario privo di codici normativi e di unità giuridica e variamente disegnato da spezzoni d’eredità romana, da consuetudini germaniche (anche se messe per iscritto), da usus loci. O ancora, non possono sistemarsi in qualche modo gli scritti pubblici e privati di secondo medioevo senza una loro correlazione con le codificazioni civili e canoniche, con gli statuti delle città, con i vari sistemi d’atti dei regni, dei comuni, dei principati, e con i tanti altri filoni di documentazione tardomedievale e di prima età moderna che attraver-
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sano sia ampie zone di quella geografia delle fonti scritte di cui parla Cammarosano per la storia 87 sia la più larga parte di una qualunque mappa d’archivio. Quanto ai nessi logici e formali, s’è vista sopra l’analogia fra una iussio (edictum) e un praeceptum medievali (cap. II, par. 2). Allarghiamo il discorso allora ad altri casi di connessione, casi a questo punto più importanti ed anche scottanti. La costituzione giustinianea Summa rei publicae, con la quale il Codice è promulgato nel 529, è a tutti gli effetti un importantissimo documento pubblico (imperiale), pervenutoci evidentemente in copia (e qui il discorso sarebbe complesso), e strutturato canonicamente in protocollo (intitulatio e inscriptio), testo (arenga, narratio, dispositivo, sanzione falsi crimini subaudis his qui contra haec facere ausi fuerint) ed escatocollo (divina subnotatio imperiale e data topica e cronica). Il dispositivo dichiara valido e vigente novum Iustinianum codicem . . . ita compositum, nel suo intero e solo contenuto – solis eidem nostro codici insertis constitutionibus necesse esse uti – e nel suo dettato letterale – sed et si quae earundem constitutionum detractis vel additis vel permutatis certis verbis . . . –: il dispositivo dunque promulga il textus Codicis nella sua interezza e stabilità-firmitas di lezione. E che il Codice tutto, nella sua complessità, sia una costituzione lo ribadisce la costituzione Haec: uno autem codice . . . componendo, in quem colligi . . . in unam sanctionem; e che questa legge abbia una forma diplomatica e sia espressa quindi in un documento, certo ampissimo, è evidente nella sua struttura di fondo: si può infatti schematizzare tale struttura in una cornice formalizzante fortissima (la costituzione in testa) + una poderosissima notitia a rappresentazione dell’enorme contenuto del dispositivo. Insomma, in via logica e pure in via storica, il textus Codicis, organizzato in 12 libri e questi a loro volta distribuiti in titoli e i titoli ordinati in costituzioni elencate cronologicamente, è parte integrante del documento imperiale, una parte redatta e tràdita nella forma della notitia, subnixa o subter adnexa al documento principale e di vertice. La differenza fra il Codice giustinianeo e una vendita di vari immobili a Ravenna nel VI secolo, dal punto di vista diplomatistico, non è logico-formale, ma solo di misura. Così come è per uno zoologo, che dovrebbe saper trattare, dal suo punto di vista, un elefante e un moscerino. Un altro caso di connessione o di grande ponte, questa volta medievale. In una notitia iudicati altomedievale o documento di placito si ha, compendiata in una sola pagina, tutta una procedura (dalla querela alla sentenza) che pur è passata per fasi varie, talvolta anche staccate e distanti nel tempo. D’altronde, questa forma di documentazione è commisurata al mondo altomedievale, con il suo tipico processo 88 e con i suoi tribunali senza sedi stabili e senza uffici e invece
87 88
CAMMAROSANO, Italia medievale, capp. 2, 3 e 4, pp. 113 e ss. Bastino in sintesi le considerazioni generali di ASTUTI, Spirito del diritto longobardo.
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itineranti. Quando, dal rinascimento giuridico e dai profondi mutamenti intervenuti nella materia processuale, la documentazione relativa al processo si dispiega nei vari acta e in scritture diverse allegate e acquisite agli atti (per esempio, un consilium sapientis), che costituiscono il processo verbale, e quando per la rinascita delle città l’amministrazione della giustizia si stabilizza in sedi localizzate, noi abbiamo di risulta un procedimento documentato in una serie di scritti 89: e tali scritti costituiscono, logicamente e sostanzialmente, sia un solo documento scandito in tanti segmenti – il processo verbale coi suoi acta è da considerare una unità documentaria superiore e d’insieme –, sia, al di sotto, tante singole unità documentarie quanti sono quei segmenti, che o hanno una loro cornice formale/protocollare autonoma o, in mancanza di questa, trovano comunque una pari cornice nella posizione procedimentale che spetta loro nel processo verbale. Alle somme e al dunque, oltre le forme-tipo del documento descritte in partenza, diploma o charta o notitia o instrumentum, sembra sia logico considerare ulteriori forme diplomatiche e precisamente: forme complesse; forme a sequenza o seriali; forme composite. A rinforzo delle argomentazioni fin qui avanzate, sottolineo che tali ‘nuove’ tipologie diplomatiche riguardano scritti di natura giuridica (non dottrinale), formalizzati, e tali che nei propri contesti storici convergono a formare sistemi documentari coerenti. Per di più, ‘vecchie’ e ‘nuove’ tipologie, pur nella loro molteplicità, non solo trovano coesione intrinseca negli spazi unitari d’archivio, ma tutte insieme sorreggono un bel ponte fra i cosiddetti ‘diplomatici’ (depositi di documenti singoli) presenti oggi negli archivi e i successivi depositi seriali, e dunque fra la diplomatica e l’archivistica, e a monte la storia giuridica. Forma complessa La tipologia documentaria a forma complessa, dunque, che è rappresentata da ‘codificazioni’ ufficiali, che è redatta in cancelleria – o, come nel caso dell’Editto di Rotari, da un embrione di cancelleria: Rotari ordina che dell’Editto nulla alia exemplaria credatur aut suscipiatur nisi quod per manus Ansoald notario nostro scriptum aut recognitum seu requisitum fuerit, qui per nostram iussionem scripsit (Roth. post 388) –, e che è spedita, per esemplari multipli, ai destinatari istituzionali (come s’è visto sopra nell’es. 11 del Codice Teodosiano), insieme a una fondamentale interpretazione storico-giuridica, può evidentemente e deve fruire di un ‘trattamento diplomatico’ almeno per la sua prima fase di tradizione manoscritta, un trattamento del tipo di quello che, in altra sede, ho abbozzato per il Digesto e per le Novelle di Giustiniano 90.
89 90
La diplomatica dei documenti giudiziari, a raggio europeo. NICOLAJ, Documenti e libri legales, pp. 783-789 e figg. 1 e 2, pp. 792-793 e fig. 3.
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Naturalmente sono da considerare come documenti a forma complessa solo quei corpora che nascono come tali e che sono emessi/emanati/promulgati dai poteri e nelle sedi e nei modi legittimi (variabili nei diversi quadri storici ): è un documento il Liber constitutionum o Augustalis pubblicato da Federico II nella dieta di Melfi del 1231 91, mentre non lo era, in senso stretto, il Liber cosiddetto Papiensis, raccolta degli editti longobardi e dei capitolari carolingi per l’Italia, messa insieme ad usi pratici ( usi di giudici e di cancelleria) e di scuola, ma mai emanata come corpus da un sovrano. È da considerare, invece, un documento il Liber Extra di decretali promulgato come unum volumen da Gregorio IX con la bolla Rex Pacificus del 1234 diretta a tutti i dottori e a tutti gli scolari di Bologna 92: a Bologna l’università è ormai considerata Studium generale per l’utrumque ius (civile e canonico) 93 e il dispositivo papale è chiaro e autoritativo nel suo dettato: Volentes igitur ut hac tantum compilatione universi utantur in iudiciis et in scholis, districtius prohibemus ne quis presumat aliam facere absque auctoritate sedis Apostolice speciali. Per riassumere, dunque, la forma complessa consiste in una cornice formalizzante ‘forte’ e assai rilevante e in un dispositivo il cui testo eccezionalmente poderoso e articolato costituisce un corpus, e questo aggregato, proprio per le sue articolazioni e dimensioni, non può che essere trattato partitamente e precisamente secondo il modello della notitia. Di tale forma complessa si hanno due varianti: una variante che chiameremo A – che per intenderci è quella del Codice, del Digesto e delle Istituzioni giustinianee, o del Liber Extra di Gregorio IX – retta all’inizio da una cornice-documento; e una variante B – che per intenderci è quella dell’Editto di Rotari (a. 643) –, nella quale la notitia relativa al contenuto del dispositivo specificatamente indicato è incorniciata all’inizio e alla fine da un protocollo e da un escatocollo (Roth. 386, 388). Nello schema della forma complessa si caleranno altri testi diplomatici come per esempio, nel secondo medioevo, i tantissimi Statuti delle città quali corpora di iura propria o ordinamenti dei Comuni. La funzione degli scritti appena citati è quella di forma – la lex è per definizione scripta –, certativa e pubblicitaria della volontà emittente.
Basti CORTESE, Il diritto, II, pp. 325 e ss. Ibid., pp. 325 e ss.; BERTRAM, Gregorio IX. 93 C’è da ricordare che proprio il glossatore ordinario al Liber Extra, Bernardo da Parma, commenta l’inscriptio della bolla papale, al passo Bononie commorantibus, sottolineando che a Bologna lo studium è communius et generalius praecipue in utroque iure et ibi quasi de omnibus partibus mundi sunt studentes; e sul fatto che l’espressione studium generale, prima che la definizione di un’istituzione, sia una realtà visibile v. NICOLAJ, Forme di Studi medioevali, pp. 198-212. 91 92
Le forme del documento
variante A: Codice di Giustiniano
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variante B: Editto di Rotari
È da precisare che nel caso delle Istituzioni giustinianee citate sopra la cornice configurata dalla costituzione Imperatoriam maiestatem sostiene i 4 libri nei quali sono suddivisi i totius legitimae scientiae prima elementa, per i quali la primitiva notitia per item si è già sviluppata in una esposizione ordinata della materia. È notevole, infine, che in un protocollo come quello dell’Editto di Rotari, a seguito e a complemento delle forme consuete – intitolazione, data cronica e topica, arenga e dispositivo –, siano annotati sia i nomina regum antecessorum nostrorum, ex quo in gente nostra Langobardorum reges nominati coeperunt esse, da Agelmondo (come ricorda anche Paolo Diacono, Hist. Lang. I, 14) a Rotari stesso, sia la genealogia di quest’ultimo: secondo un antichissimo modo (per esempio biblico) la discendenza, personale e regia, sorregge la sovranità del legislatore. Forma a sequenza La forma a sequenza, o seriale, che ripropone e sviluppa la struttura originaria e seriale dell’antica notitia, è propria degli acta di qualunque tipo – processuali, deliberativi o altro –, e cioè è propria delle scritture in successione di attività svolte secondo dati procedimenti ed esercitate in modo stabile e continuativo 94; e da essa e per essa, nel tempo, si formano e depositano tante serie
94
NICOLAJ, Gli acta giudiziarî, in part. pp. 2-4, 21-24.
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archivistiche. È interessante sottolineare come il termine e il concetto di sequenza spicchino già in testi antichi, per esempio in quello del IV Concilio di Calcedonia: et petimus sequentia omnium gestorum relegi iudices et amplissimus senatus dixerunt: “Sequentia relegantur” 95. Le funzioni svolte da questa tipologia documentaria possono essere: certativa e di controllo, quanto al profilo complessivo del procedimento (processo verbale); procedimentale, per ogni singolo atto la cui scritturazione sia parte integrante del procedimento; formale ed esecutiva, per la delibera o la sentenza finali 96.
forma a sequenza
Forma composita Si tratta di una forma derivante dal deposito d’ufficio di scritture documentarie omogenee quanto a materia: gli esempi possono andare dal tømoq sygkoll¸simoq, o volumen fattizio di tradizione ellenistica 97 e forse dal Liber mandatorum e dal Liber Novellarum 98 al catasto medievale (v. sopra, es. 49). Tale forma, dunque, che chiamo così usando di una terminologia codicologica, consiste in un tomo all’interno del quale tante singole scritture, o documenti, hanno comunque una loro autonomia diplomatica o forma ‘minore’. La forma composita e ‘maggiore’, logica e sostanziale prima che esteriore e materiale, è data dalla riunione e da eventuali montaggi o legature (per incollatura o cuci-
MANSI, Sacrorum Conciliorum, 6, a. 683 med. Non mi sembra qui “fondamentale” la “distinzione degli atti giudiziari basata sulla forma della loro materiale tradizione” (in libri o atti sciolti) della quale ragiona TORELLI, Studi e ricerche, pt. II, pp. 210-211, a fronte di KANTOROWICZ, Albertus Gandinus, pp. 65 e ss.: la differenza è solo materiale, mentre quel che interessa è un’eventuale diversità funzionale e concettuale fra atti scritti costitutivi del procedimento e scritti solo complementari. 97 Ess. in FIRA, III, nr. 6, 7, pp. 12-18. 98 Sul Liber mandatorum, DELL’ORO, “Mandata” e “litterae”, e MAROTTA, Mandata Principum; sul Liber Novellarum da ultima NICOLAJ, Documenti e libri legales, pp. 792-793 e fig. 3. 95 96
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tura) dei singoli scritti e da eventuali note d’ufficio apposte al ‘libro’, ma può essere anche data da una coperta o camicia o da una cassetta o da una filza o altro che tenga uniti fogli mobili 99.
tømoq sygkoll¸simoq
catasto bassomedievale
11. Forme di contrassegno, di marcatura, distintive (signa). – Si tratta di forme varie e diverse secondo gli ambiti di emissione del documento (cancellerie, uffici, ambiti privati per lo più gestiti dal notariato), consistenti in rappresentazioni simboliche e ideografiche atte a caratterizzare e a tipizzare il documento in modi immediatamente percepibili e riconoscibili, che ne assicurino la provenienza, la riconoscibilità, la identificabilità d’autore 100, insomma la validità.
99 100
MASTROPAOLO, Registrazione di atti, pp. 447 e ss. MALINVERNI, Documento (diritto penale).
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La prima forma distintiva inerente al documento sta nella scrittura: scrittura autografa, scritture tipizzate, scritture d’evidenza. L’autografia 101 dell’emittente è il primo e più persistente carattere di convalidazione. Ma restano fermi – per i giuristi, per i diplomatisti ed anche per i paleografi puri, spesso troppo attenti alle mere forme grafiche – i problemi già messi in luce nel 538 dalla premessa della Nov. 73 di Giustiniano, dove si evidenzia come: litterarum dissimilitudinem saepe quidem tempus facit (non enim ita quis scribit iuvenis et robustus ac senex et forte tremens), saepe autem et langor hoc facit. Et quid . . . dicimus quando calami et atramenti mutatio similitudinis per omnia aufert puritatem? Et nec invenimus de reliquo dicere, quanta natura generans innovat . . . Scritture tipizzate sono quelle di cancelleria: per esempio, le litterae coelestes riservate ai documenti dell’imperatore nel 367 (C. Th. 9, 19, 3) (fig. 1), probabilmente l’onciale B-R per i codici di leggi ufficiali del VI secolo 102, la scrittura merovingica 103, forse la scrittura beneventana delle origini (fig. 2) 104, la scrittura curiale di Tjäder 105, le tante cancelleresche medievali 106, in misura minore – minore perché più generale, fluida e usuale –, la minuscola notarile di secondo medioevo 107, probabilmente la scrittura mercantesca riconosciuta nei fori speciali dei mercanti 108. Scritture di contrassegno sono ancora per esempio la scriptio purpurea riservata alla subnotatio della subscriptio dell’imperatore nel 470 (C. 1, 23, 6) o le litterae elongatae o ingrandite dei diplomi e dei privilegi medievali, e del nome del pontefice nelle litterae gratiosae (figg. 3, 4). Altre forme di marcatura sono i signa speciali, per esempio: la rota disegnata a circoscrivere un segno di croce, tipica dei documenti pontifici (fig. 5), ma anche adottata per altri documenti pubblici come i sontuosi privilegios rodados di
VEZIN, L’autographie dans les actes. NICOLAJ, Ambiti di copia, pp. 479-481. 103 CENCETTI, Dall’unità al particolarismo grafico, in particolare pp. 245 e ss. 104 NICOLAJ, Sulle rotte del tempo, in part. pp. 159-163. 105 TJÄDER, Le origini. 106 Esemplare sul tema KOCH, Die Schrift der Reichskanzlei, con 94 facsimili. Sulle cancelleresche del ’400 v. da NICOLAJ, Spazi di scrittura, nt. 49 a p. 35. Sui caratteri estrinseci in generale di importanti gruppi di diplomi v. BRÜHL, Diplomi e cancelleria, cap. III, pp. 47 e ss., e M.G.H., Dipl. reg. Franc. e stirpe Merov., I, pp. XIX-XXI, che per la scrittura utilizza naturalmente ChLA, voll. XIII-XIV, XVII e XIX, curati da H. Atsma e J. Vezin, e le analisi paleografiche degli stessi AA. 107 Sul ritorno di una scrittura “usuale” o “comune” nella lunga durata dell’età carolino-gotica v. CENCETTI, Lineamenti, pp. 198 e ss., e NICOLAJ, Alle origini della minuscola notarile, in part. pp. 73-77, 80-82, e Spazi di scrittura, pp. 26-27. 108 ORLANDELLI, Osservazioni, e MIGLIO, Criteri di datazione. 101 102
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Spagna 109; i monogrammi, come il famoso Bene valete dei documenti pontifici (fig. 5); il signum recognitionis di tanti documenti cancellereschi, che proviene dall’antica formula (rescripsi), recognovi, passata per la tachigrafia e arrivata alla rouche (figg. 3, 4); il signum notarii altomedievale; e infine, i signa tabellionis di secondo medievo (figg. 6, 7). Quanto al segno notarile, è preferibile adottare, almeno in genere, la definizione di signum tabellionis per quello, personale ed esclusivo, che si evolve nel XII secolo e che riflette una determinante evoluzione del notariato italiano avvenuta all’interno di tutto il rinascimento giuridico, con la sua straordinaria cultura vecchia e nuova (di qui la preferenza per il termine colto e romanistico di tabellio) e con l’avvio di tanti nuovi ordinamenti. Questo segno, in endiadi con la sottoscrizione dello stesso notaio, basterà a conferire publica fides all’instrumentum, e cioè a imprimergli autenticità legale, dovrà essere depositato nelle matricole ufficiali dei collegi notarili distrettuali (v. figg. 6, 7) e pian piano, con il tempo, si trasformerà in timbro (v. fig. 8) 110. La dottrina giuridica della fine del XII secolo si occuperà di un’altra forma forte di contrassegno, antichissima e suggestiva, che è quella costituita dal sigillo (figg. 9, 10). Del sigillo in sé – materia e matrici, forme, impressione e apposizione, tipi – si occupa una materia specifica, la sigillografia o sfragistica 111; ma il tema è assai importante nella storia della documentazione per i suoi profili giuridico-diplomatici, tanto che il grande Bresslau, a suo tempo, ne ha trattato in lunghe pagine 112. È noto che dagli scavi archeologici di siti antichissimi emergono oggetti che chiamiamo sigilli o pintaderas: i più antichi sembrano risalire al neolitico (VIIIVII millennio a.C.), compaiono nel Vicino Oriente (Anatolia, Mesopotamia) e poi nell’Egeo e nell’Egitto dell’Antico Regno (2700-2200 a.C. cr.), ed evidentemente servivano ad imprimere o a rappresentare essi stessi un segno o simbolo di riconoscimento. Nelle successive fonti scritte si parla di s¥mbolon 113, di shme¡on (s∂ma), di h’thm in ebraico 114, e poi in latino di signum, signaculum, sigillum: è forse importante sottolineare che tutti questi termini significano ‘segno di riconoscimento’, ma anche, etimologicamente, ‘portento’ e ‘presagio’ e cioè sono, anche,
Sevilla, Ciudad de privilegios, bellissimo volume di studi e riproduzioni. Un ottimo esempio di matricola è, fra i tanti, quello di Arezzo, v. NICOLAJ, Notariato aretino, con il deposito continuato per quattro secoli di sottoscrizioni e signa notarili. 111 V., per esempio, BASCAPÈ, Sigillografia, o MARTINI, Il sigillo nella storia, o MENÉNDEZ PIDAL DE NAVASCUÉS, Il messaggio, ma v. anche il classico BRESSLAU, Handbuch, cap. XIX, pp. 1154 e ss. 112 Ibid., pp. 617-664. 113 PURPURA, Diritto, pp. 122-127. 114 LEVY, Sur trois textes bilingues, pp. 30-32. 109 110
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tutti espressivi e carichi di un forte significato simbolico e suggestivo. D’altra parte, il significato e il valore pregnanti del sigillo si attenuano in età più ‘moderne’ e in circolazioni più fitte e ‘di massa’, come per esempio nel tardo medioevo e in età moderna, e allora quel segno si pone fra usi legali ben definiti, da un lato, e costumi di moda, dall’altro. Come che sia, la Roma dell’antichità conosce ed usa la sigillatura a complemento dei suoi documenti scritti: una sigillatura di chiusura (Versiegelung), che protegge e custodisce lo scritto documentario all’interno, come nei testamenti; e una sigillatura in calce o di compimento (Untersiegelung), che più che a garanzia della scrittura sembra imprimervi auctoritas, come nel caso dei sigilli imperiali. È noto il passo di Svetonio relativo ad Augusto: In diplomatibus libellisque et epistulis signandis initio sphinge usus est, mox imagine Magni Alexandri, novissime sua, Dioscuridis manu sculpta, qua signare insecuti quoque principes perseverarunt (Svetonio, Aug. 50). Non è dunque difficile pensare che l’uso del sigillo passi ai Germani, in primo luogo a quelli che già nel tardoantico migravano all’interno dei confini romani e poi vi si stanziavano e vi costituivano regni “senza mai disconoscere né l’ideale dell’Impero, né il mito della romanità”, a cominciare dai Visigoti 115. Lo stesso vale per i Longobardi in Italia: Rachi nomina espressamente un ‘salvacondotto’ con i termini di signum aut epistola regis, di sigillum di iudex aut clusarius, di signum de anolo regis (Ratch. 13); d’altra parte, in un placito dell’898 vengono prodotti, e riconosciuti bona, un precetto di Astolfo e un precetto di Liutprando, ognuno ab anolo domni regis sigillatum 116. Francamente non so di sigilli nella documentazione della Chiesa dei primi secoli. Agli inizi del V secolo Agostino risponde ad una tractoria, e cioè a una lettera ufficiale e ‘diplomatica’ di convocazione a un concilio, che, redatta in forme non corrette e ‘protocollari’, è sospettabile di falso, e risponde significativamente con una epistola signata “annulo qui exprimit faciem hominis attendentis in latus”, e certo, appena agli inizi del VI secolo, i vescovi mostrano di avere un loro sigillo 117. E certamente sarà il papato con la dottrina canonistica della seconda metà del XII secolo a dichiarare che l’authenticum sigillum è contrassegno di autenticità legale 118. Naturalmente, nel mondo degli uomini le soluzioni sono sempre parziali e provvisorie. Tant’è che, quanto a signum tabellionis e a sigillum, ricomincerà presto il tormentone: la dottrina e la pratica giuridica cominceranno subito a chiedersi 115 La cit. è da CORTESE, Il diritto, I, p. 55. Per un sigillo regio visigoto v. BRESSLAU, Handbuch, p. 621 nt. 172. 116 I placiti del “Regnum Italiae”, I, nr. 106, pp. 385-400. Per sigilli d’età longobarda v. ora I Signori degli Anelli, e Anulus sui effigii. 117 La lettera 59 di Agostino, della cui segnalazione ringrazio p. Rocco Ronzoni O.S.A., è in PL 33, coll. 226-227; per il VI sec., v. in M.G.H., Capit., I, nr. 1, p. 2, documento di Clodoveo (aa. 507-511). 118 Sull’autenticità NICOLAJ, Originale, e HAGENEDER, Original.
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quanto vale un instrumentum scritto rispetto ai testimoni, nel regime di gerarchia delle prove del droit savant o romano-canonico 119, o a chiedersi quod dicimus authenticum sigillum? (gl. sigillum a 2, X, 2, 22). E, quanto alla sigillatura di chiusura, che vista dal medioevo e dai medievisti appare così caratteristicamente romana e medievale, che dire dei sigilli di oggi, messi a “chiusura” appunto e “al fine di assicurare la custodia”, per esempio di locali 120? Ma questa è un’altra storia.
1. Rescritto imperiale del secolo V. Da: STEFFENS, Paléographie latine, tav. 16.
2. Diploma di Grimoaldo II principe di Benevento, a. 810 Da: ChLA2, LIII, nr. 2.
119 120
LÉVY, Le problème, pp. 148-167, e Les classifications, pp. 34 e ss. GROSSI, Sigilli (apposizione e rimozione di), pp. 522 e ss.
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3. Diploma di Carlo Magno – dicembre 781, Quierzy. Da: STEFFENS, Paléographie latine, tav. 41: il signum recognitionis è accompagnato da note tironiane nelle quali si legge: Uuidolaicus [advicem] Radoni recognovi et subscripsi. Folrad[u]s ordinavit.
4. Diploma di Ludovico il Germanico – 16 giugno 856, Ulm. Da: STEFFENS, Paléographie latine, tav. 59.
5. Privilegio di Pasquale II – 9 gennaio 1110, Roma Da: Acta pontificum, tav. 6.
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6. Signum tabellionis e sottoscrizione di Giovanni Aretino, a. 1410. Da: AREZZO, Archivio di Stato, Deliberazioni del Consiglio Generale, reg. nr. 5, c. 31.
7. Matricola dei notai di Arezzo – aa. 1418 e 1420. Da: AREZZO, Archivio di Stato, Collegio dei dottori e notari, nr. 1, c. 62.
8. Matricola dei notai di Arezzo – a. 1676 (sottoscrizione con signum a nerofumo). Da: AREZZO, Archivio di Stato, Collegio dei dottori e notari, nr. 1, c. 84v.
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9. Litterae di Lucio III del 1184-1185. Da: BROMM, Die Entwicklung, Abb. 43.
10. Sigillo di Enrico VI del 1192. Da: CSENDES, Die Kanzlei, in copertina.
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12. Forme di documentazione sussidiarie e complementari. – La necessità o l’utilità di questa categoria di forme nasce da un problema, un problema assai complesso e che certo richiederà, se non è un falso problema, larghi approfondimenti. La diplomatica, nell’ambito della Tradizione e riproduzione dei documenti o Tradizione e conservazione dei documenti 121, tratta ampiamente di originali singoli o plurimi e di copie semplici, autentiche, imitative, e nelle sue edizioni indica con sigla A i primi e con sigla B le seconde. Fermo tutto ciò (non cambierei infatti gli usi diplomatistici), restano però alcune questioni: quella del rapporto originale/copia nella cultura e nella prassi diplomatiche storiche; e la questione di quelle forme che si connettono all’iter più o meno complesso del documento, dalla sua genesi e trasmissione ad un suo eventuale deposito d’ufficio e di garanzia nell’archivio non d’arrivo (dove lo trovano gli storici) ma di partenza e cioè nell’archivio della sede di emissione, visto che questa archiviazione è da considerarsi una forma importante di convalida del documento emesso e spedito 122. Tutto ciò è questione di formazione del documento e del suo uso giuridico primario, è questione di forme documentarie che, nelle varie procedure di documentazione, sono intermedie rispetto al documento ‘perfetto’ e spedito e cioè o preliminari o conclusive e convalidanti ma comunque necessarie per norma di prassi e talvolta di legge. Perciò l’utilizzazione in diplomatica di schemi derivati dalla filologia e dalla tradizione manoscritta per i testi letterari – minuta, originale, eventuali copie (autografe, autentiche, semplici, imitative) –, senz’altro giustificata, non sembra però del tutto idonea e sufficiente. Insomma, se anche per il genere testuale diplomatico si pone il rapporto originale-copia, per questo genere, data la sua peculiarità, sono assai importanti i profili della valenza e della validità giuridiche, le garanzie e i controlli sui procedimenti di formazione e la regolamentazione della destinazione d’uso del testo stesso, visto e considerato che l’eventuale ‘uso privato’ di documenti e archivi, per esempio da parte degli storici, è altra cosa. Perciò, per esempio nel caso del documento pubblico, quando sia prodotto e usato in epoche di civiltà giuridicamente evoluta, di forte, ampia ed articolata amministrazione dello Stato o res publica e quindi di possente burocrazia, come in età tardoantica o in età bassomedievale (tutt’altra solfa, naturalmente, nel medioevo dei secoli VIIXII), la formazione del documento stesso nei quadri della prassi burocratica pone non pochi problemi circa la posizione di ‘originale’ o di ‘copia’ degli strati o stadi testuali previsti per ogni singola scrittura. Intanto, c’è per primo il problema del nesso exemplar-exemplum, un nesso che – in linea di massima e fatti salvi i tanti casi di promiscuità fra i due termini –
121 122
BRESSLAU, Handbuch, cap. IV, e PAOLI, Diplomatica, cap. VII. Ess. imperiali in CENCETTI, Tabularium principis, pp. 238 e ss.
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preferisco sciogliere al modo di Sickel e invece diversamente da Bresslau 123: e dunque, in linea di massima e di principio, exemplar è da considerarsi il modello ad imitandum . . . , ex quo simile faciamus di Forcellini 124, l’exemplar formaque di Cicerone, De republica 2, 22, e exemplaria sono i documenti che partono paritariamente da una cancelleria per le loro destinazioni (per es. Nov. 6, ep. 2; Nov. 17, 16, o gli søtypa di Nov. 22, ep.); mentre exemplum è l’apografo, la copia, anche se ‘edita’ e cioè pubblicata in sede ufficiale (come in D. 49, 14, 45, 6). Due stadi di documentazione che sono largamente conosciuti e trattati dalla diplomatica riguardano i registri e i cartulari. I registri raccolgono, in fascicoli o libri, documenti emessi e spediti da parte di cancellerie e uffici, restando quei fascicoli o libri presso le sedi di emissione: sono famosissimi e sono studiati da specialisti i Registri pontifici, la cui tenuta risale al IV secolo, e dei quali resta per l’antichità quel vero monumento che è il Registro di Gregorio Magno; i Registri dei papi riprendono regolarmente nel medioevo a partire da Innocenzo III e da allora in prosieguo di tempo alimentano le serie poderose dei Registri Vaticani, Avignonesi e Lateranensi 125. È ancora un ‘pezzo’ residuo di Registri imperiali il notevolissimo Registro di Federico II per l’amministrazione di Sicilia degli aa. 1239-1240, andato distrutto nel 1943, ma per fortuna fotografato e quindi edito 126, relitto di un apparato burocratico formidabile ora ricostruito 127. Il tema dei registri non solo continua a presentare spunti e quesiti per l’età medievale, ma soprattutto pone il problema delle origini di questa tipologia e dei suoi primi sviluppi, che forse illuminano anche aspetti fondamentali del tema stesso circa la funzione, la natura e di conseguenza le modalità di tenuta della documentazione in forma di registro. Sulle origini ci limitiamo a riferire in sintesi la ricostruzione e le ipotesi di Cencetti per l’età di Roma. Alle origini, in età romana tardorepubblicana, ci sono i commentarii che o trascrivono e registrano o raccolgono e giustappongono – anche la dottrina giuridica moderna considera un volume di fogli legati che chiama registro, e una raccolta di fogli mobili che chiama schedario 128 – tutti i documenti prodotti dall’attività pubblica di un magistrato, ovvero riferiscono e fanno relazione di questa attività “in forma narrativa, a guisa di giornali o di annali” 129. Cominciati come documen-
Cf. BRESSLAU, Handbuch, p. 85 nt. 6. Lexicon totius Latinitatis, sub voce. 125 Per una prima informazione v. GIUSTI, Studi sui Registri; v. anche HAGENEDER, Die Register Innozenz’ III. 126 Il Registro della Cancelleria, edito da C. Carbonetti Vendittelli. 127 FRIEDL, Studien. 128 MASTROPAOLO, Registrazione di atti. 129 CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, pp. 175 e ss. 123 124
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tazione personale del magistrato, anche se “in certo modo già ufficiale, perché spiegata nell’esercizio e per l’esercizio” delle sue funzioni 130, i commentarii vennero man mano considerati tabulae publicae e “negli ultimi anni della repubblica o nei primi anni dell’impero, fu reso obbligatorio il versamento di essi nei pubblici archivi” 131 allo scopo di “assicurare l’esecuzione” dei provvedimenti e “l’autenticità” degli acta, per esempio dei decreti del Senato 132. Se questi sviluppi diedero il via all’archivistica dell’antichità romana, essi, parallelamente alla crescita dell’amministrazione e quindi della burocrazia e delle procedure, inaugurarono anche molte problematiche relative alla formazione del documento, complicando quell’iter che spesso semplifichiamo astrattamente in un rapporto fra minuta, originale e copia. Per un rescritto imperiale, per esempio: la cancelleria prepara una minuta o periculum da presentare all’imperatore; questa prima minuta, eventualmente corretta, torna in cancelleria ove se ne trae una minuta definitiva o forma, approvata dall’imperatore; da quest’ultima deriva il rescritto 133. Ma le cose non finiscono qui, perché il rescritto va pubblicato con la propositio o affissione e/o va sottoposto a insinuatio, qui da intendersi come spedizione a destinazione, e va archiviato 134. Questa procedura complessa, interessantissima, ed anche riformata nel tempo ( sempre parlando di cancelleria romana imperiale ), pone quesiti a tutt’oggi non sicuramente risolti, e quesiti che in vario modo si ripropongono ogni qual volta un documento pubblico nasce da e secondo un procedimento non del tutto elementare: fra minuta approvata, documento definitivo, eventuali doppi, multipli o esemplari a pari, eventuali estratti per editio, quale scritto si pubblica, quale si archivia, quale si spedisce ? Ma torniamo all’origine dei registri. In età tarda i commentarii, per esempio quelli imperiali, sono ormai le serie archivistiche formate dalla riunione degli atti sciolti 135, da usarsi con il sussidio di regesta-inventari-indici-protocolli archivistici 136, sussidio assolutamente necessario ad orientarsi nella mole documentaria che è immaginabile. Ebbene, secondo l’ipotesi di Cencetti, fra IV e V secolo, quando al palatium stabile si sostituisce il comitatus mobile con il suo carico di carte di governo da trasportare per l’amministrazione ordinaria, una nuova pratica di regesta-registri ampliati fino alla “trascrizione integrale o qua-
Ibid., p. 174. Ibid., p. 177. 132 Ibid., p. 181. 133 Ibid., pp. 240 e ss. 134 CENCETTI, Tabularium principis, pp. 242, 258, ma il tema dei rescritti romani è a tutt’oggi discusso. 135 Ibid., p. 256. 136 Ibid., pp. 250, 257. 130 131
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si” dei documenti 137 sostituisce il deposito inamovibile delle serie; oggi, la dottrina giuridica parla di iscrizione o registrazione 138 e ne ripete le funzioni. I cartulari invece raccolgono in un libro i documenti posseduti da un destinatario, per esempio da un’abbazia o da un Comune, per riunire in tal modo tutti i titoli e tutti i negozi concernenti l’ente stesso: sono famosi e studiati i Libri iurium dei Comuni italiani 139. È luogo comune che i cartulari raccolgano copie o copie autentiche di documenti sparsi; ma se ciò è vero in genere, non è vero in assoluto: per esempio, il Libro dei censi dell’abbazia di Sassovivo 140 , un cartulario del XIII secolo, raccoglie i secondi originali o apare/appare dei documenti d’enfiteusi emessi dall’abbazia. I precedenti dei cartulari sono nei Libri traditionum delle fondazioni religiose tedesche, che dal IX secolo e perciò dall’età carolingia raccolgono in trascrizione i documenti ricevuti 141. Questa prassi è ripresa in Italia fra XI e XII secolo nei tipi dei famosi cartulari con cronaca ‘a glossa’ di Farfa, Casauria ecc. 142, anch’essi formati a testimonianza e a prova dei diritti di quelle grandi fondazioni (v. sopra, cap. II), e passa poi ai Comuni a raccolta dei titoli giuridici e dei mezzi di prova sulla base dei quali i Comuni stessi fondano le loro pretese autonomistiche e la loro costituzione in res publica. Ma torniamo infine al problema generale delle forme emergenti dalla formazione e tradizione del documento. Il tema è appunto generale, e quindi bisognoso di ricerche e approfondimenti e di una trattazione a sé; e, come s’è detto, la questione è spinosa, complicata e certo diversa in tempi e in contesti storicamente determinati: perciò, per quanto riguarda i molteplici procedimenti documentari storici e le scritture che ne segnano le fasi, propongo per ora soltanto qualche caso, qualche esempio, qualche quesito. Caso A Il caso forse più ‘impressionante’ è offerto da un documento-cardine della diplomatica, l’instrumentum notarile. Quanto a questo documento privato, infatti, la diplomatica evidenzia il passaggio dalla scheda o imbreviatura o protocollo notarile al mundum, che definisce come ‘originale’; ma le cose non stanno proprio e sempre così. In pieno medioevo e precisamente a metà del secolo
Ibid., p. 259. MASTROPAOLO, Registrazione di atti, p. 457. 139 TORELLI, Studi e ricerche, pt. II, pp. 183-185, e oggi molti altri in Italia, con abbondanti edizioni, a cominciare dal gruppo genovese guidato da Dino Puncuh: v., per esempio, ROVERE, I libri iurium. 140 Libro dei censi. 141 BRESSLAU, Handbuch, pp. 90 e ss. 142 Bastino PRATESI, per es., Cronache e documenti, nonché Le più antiche carte del Capitolo. 137 138
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XIII il famoso notaio e doctor di notarìa Rolandino solleva il problema nella rubrica Quod sit exemplar et quid exemplum et qualiter his adhibeatur fides (Summa, cc. 396vb – 397ra): Exemplar dicitur ipsa originalis scriptura, genus videlicet ex quo generatur et sumitur exemplum. Quod quidem exemplar appellatur etiam originale et auctenticum. Exemplum vero quod habetur inde vel sumptum est ex scriptura exemplata, generata vel sumpta ex priori sive originali scriptura, unde versus: exemplar genus est, exemplum quod trahis inde, vel sic: exemplar generans, exemplum quod generatur, mentre una glossa anonima dice: Sceda. Sceda est illa carta quam notarius scribit cursorie presentibus partibus ut melius recordetur qualiter conventum fuerit inter partes... At vocatur protocolum quasi prima scriptura. Alibi vocatur vulgariter nota. Set mundum dicitur scriptura quam facit de bona lictera et grosa. At vocatur vulgariter grosa . . . 143. Dunque Rolandino pone il problema come una riflessione filologica e dotta a proemio del capitolo de exemplificationibus et refectionibus scripturarum e afferma poi velocemente: Adhibeatur autem fides soli publico et originali instrumento 144. La questione invece si fa seria negli anni successivi e si sposta al rapporto fra quaterni o protocolli notarili, ormai divenuti prassi corrente, regolati dalla norma e controllati dalle corporazioni notarili cittadine, e documentazione rilasciata alla clientela. Così, poco dopo, tra fine del XIII secolo e primi anni del XIV, Niccolò Matarelli, doctor utriusque iuris nelle eccellenti università padane di Modena e di Padova e collega dei grandi giuristi del suo tempo, in un importante Tractatus de instrumentis poi ripreso dal processualista Guglielmo Durante nel suo Speculum, tratta della imbreviatura que vocatur scheda, quia ibi breviter comprehenditur intentio contrahentium o prothocolum id est prima collatio scripturarum instrumenti sive prima scriptura, eventualmente da emendare e da cui trarre poi un instrumentum mundum. Poco dopo pone una quaestio importante, e cioè an poterit ita probari per imbreviaturam sicut per instrumentum publicum, e risponde 145:
143 Riporta questa glossa dal ms. Pal. Lat. 758, c. 92v, PECORELLA, Studi sul notariato, pp. 79-80 nt. 5. 144 Summa, c. 397ra, cf. [PETRONIO] NICOLAJ, “Libertas Ecclesiae”, pp. 726-729, dove si solleva il problema. 145 NICCOLÒ MATARELLI, Tractatus super instrumentis, ms. Vat. lat. 5773, c. 48va.
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et videtur quod sic, quia habet omnia que debet habere instrumentum, ut potest ex superioribus; ymo habet hoc plus, quia ipsa est orriginalis cui magis creditur, si haberi potest, . . . : si enim instrumento creditur quod est extractum ex prothocolo, ergo multo magis originali unde trahitur . . . Sed tamen ego credo contrarium, quia prothocolum est principium suum et instrumentum nondum extractum, nec est completum: unde nixi compleatur nil valet, quia nil videtur actum et cetera... Dunque, il problema è grosso, i giuristi lo dibattono e sono orientati a considerare originalis l’imbreviatura, anche il nostro Matarelli, che non nega tale qualifica; e il suo parere conclusivo, fondato sulla presenza o meno di completio, forse è un po’ troppo romanistico e attaccato alla lettera di C. 4, 21, 17 (i protocolli sono ormai anch’essi formalizzati e soggetti ad un regime di controllo e di custodia da parte dei collegi notarili), e comunque sarà superato dalle cose che porteranno, come è oggi, ai protocolli notarili di originali e ai documenti rilasciati alle parti estratti da quelli e in copia conforme e autentica. Comunque, lo stesso Matarelli sul finire del secolo XIII non sostiene più, e non potrebbe, che quel che i diplomatisti chiamano ‘originale’ lo sia in effetti, ma che quel che i diplomatisti chiamano ‘originale’ è invero un instrumentum mundum, estratto dai protocolli e completum. Caso B 71 d.C., diploma militare su dittico di bronzo (FIRA, I, nr. 27, pp. 231232, già in CIL, 3, p. 850): Vespasiano concede ad un contingente di veterani lo ius civitatis e lo ius conubii. Uno dei destinatari chiede copia del provvedimento, copia che viene eseguita su dittico, come al solito per questo tipo documentario, che è assicurata dalla sigillatura di chiusura di sette testimoni, e che reca a compimento la formula seguente: Descriptum et recognitum ex tabula aenea, quae fixa est Romae in Capitolio ad aram gentis Iuliae de foras podio sinisteriore, tab(ula) I, p(agina) II, loc(o) XXXXIIII. Il quesito è: se la copia è desunta dalla tabula aenea affissa in pubblico, come si dichiara, e se il bronzo è una sollemnitas e cioè una forma consueta per le leggi 146, allora l’‘originale’ è l’iscrizione esposta oppure un’eventuale forma (minuta definitiva e approvata, come nel caso dei rescritti ricordato sopra) oppure un eventuale documento definitivo rimasto in cancelleria, come certe pratiche degli scrinia imperiali farebbero supporre ?
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MOMMSEN, Sui modi usati da’ Romani, p. 302.
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Caso C 139 d.C., rescritto di Antonino Pio ai cittadini di Smirne, su cippo marmoreo (FIRA, I, nr. 82, pp. 435-436, già in CIL, 3, p. 78): Antonino Pio permette ai cittadini di Smirne di describere un precedente provvedimento del padre Adriano. Il cippo reca le preces presentate all’imperatore, la risposta dell’imperatore in forma di rescritto – Rescripsi. Recognovi. Undevicesimus (numero d’ordine del tomus di cancelleria contenente il rescritto). Data dell’8 aprile 139 –, infine, alla data 5 maggio 139, il seguente testo: Signata Romae ante diem III nonas Maias, imperatore Caesare T. Aelio Hadriano Antonino II Caio Bruttio Praesente coss. Adfuerunt . . . (seguono i nomi di sette ‘assessori’). Stasime, Dapine (sono officiales a commentariis imperatoriis), edite ex forma sententiam vel constitutionem. Dunque, se capiamo bene, ad antigrafo del documento su cippo, c’è il rescritto di Antonino Pio e c’è il provvedimento di Adriano pubblicato dalla minuta definitiva o forma, custodita nell’archivio di cancelleria. Allora il quesito è: il documento di Adriano è copia o è un secondo (nuovo) ‘originale’? o meglio e in senso più generale, ha senso a questo punto la definizione di ‘originale’, almeno così come noi la intendiamo ? E ancora, la redazione su cippo di marmo, a Smirne, è, diplomatisticamente, una copia o merita e richiede una considerazione diversa e speciale, visto che le leggi epigrafiche (e la volontà dell’imperatore è legge) sono comunque “ufficiali” 147 e vista l’esposizione monumentale e pubblica del documento 148? Caso D 438, Costantinopoli. Il Codice Teodosiano (v. sopra, es. 11) è emanato in singuli codices plurimi (almeno due, quelli consegnati ai prefetti del pretorio d’Oriente e d’Occidente) consegnati manu divina; a Roma, da un esemplare ‘originale’ i constitutionarii trascriveranno altri tre corpora e da qui, fuori commercio, edantur altri esemplari: quanti sono gli ‘originali’? si può parlare di ‘secondi originali ufficiali’ o di ‘copie d’ufficio’? 13. Forme materiali del documento. – Questo genere di forme si connette a vari fattori, essenzialmente tre: alla disponibilità di materiali, utilizzabili come supporto di scrittura, offerta dal contesto ambientale (creta, pietra, legno o pa-
147 Parla spesso di “scritture ufficiali” CENCETTI, Gli archivi dell’antica Roma, e Tabularium principis, irrobustendo anche così i dubbi circa una linea che corra soltanto fra originali e copie. 148 NICOLAJ, Documenti in epigrafe.
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piro, per es.); alla cultura materiale che ne deriva, e cioè agli usi e alle tecniche escogitate per l’impiego di quei materiali; alla lunghezza del testo documentario e quindi alle necessità poste dalle diverse ‘quantità’. Quindi: materiali come bronzo o pietra o legno o tela (v. C. Th. 11, 27, 1, a. 315) o carta-papiro o pergamena-cuoio o carta o anche nastro magnetico, e forme e formati come quelli di cippo o stele o tavola o foglio o volumen o codex o quaterni e libri medievali non costituiscono un particolare problema; anzi, l’uso moderno di descrizioni minuziose e insistite di documenti medievali in edizioni ‘critiche’ (misure, qualità e forma della pergamena, colori dell’inchiostro e quant’altro) sembra eccessivo e tutto sommato inutile. Da una parte, quindi, è bene ripartire da Ulpiano in D. 37, 11, 1 pr., che dice dell’importantissimo documento di testamento (tabulae): tabulas testamenti accipere debemus omnem materiae figuram: sive igitur tabulae sint ligneae sive cuiuscumque alterius materiae, sive chartae sive membranae sint vel si corio alicuis animalis, tabulae recte dicentur. D’altra parte, è bene che si presti attenzione ad eventuali problemi di una forma materiale che sia rilevante circa la funzione e i fini del documento, come nel caso del bronzo, che è considerato “requisito” delle tavole delle leggi romane da Mommsen, o come nel caso del quesito posto dal duca Visconti al suo Consiglio segreto nel 1468 149: il duca chiede, per “desiderio di sfarzo” e insieme per motivi più profondi di programmi politici, se gli è “licito potere scrivere le littere sue in carte membrane”; il Consiglio risponde: Imprimis, per quanto sentiamo nuy, iureconsulti, non troviamo per lege ne per ragione comune, questo già essere expresse prohibito . . . da l’altra parte per che ogni cosa che para licita, non è, expediente . . . troviamo, excepta la Sede apostolica et lo Imperatore, che sono le supreme potentie et dignitate, essere rarissimi gli altri che usano di questo privilegio, non solo fra li Duchi et altri Baroni, ma etiam fra li Regi, visto che sempre “secondo il Consiglio segreto godevano di questa prerogativa solamente il re di Francia e il re di Sicilia, quest’ultimo per antichissima concessione avuta dal Papa” 150. Dal punto di vista di una diplomatica indirizzata nel senso che si propone in queste pagine, quindi, soprattutto la rilevanza giuridico-istituzionale di una forma anche materiale può e deve essere tenuta presente. E ciò vale sia per il medioevo, quando la straordinaria dottrina processualistica di quei secoli, pur con tutta la sua considerazione per il nostro instrumentum, per esempio nella
149 150
PETRONIO, Il Senato di Milano, p. 16. Ibid., p. 16 nt. 37.
Le forme del documento
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glossa fines diocesum al Liber Extra di Gregorio IX, a proposito di mezzi di prova, ammette che anche: si reperiatur scriptura in aliqua columna vel lapide ei statur (X, 2, 19, 13), sia per i nostri tempi, presenti e futuri, che obbligano i giuristi ad impegnarsi sul problema e nella sfida della firma digitale (naturalmente per il documento diplomatico) contro la furia tecnologica, con i suoi supporti potentissimi e insieme instabili, volatili e impalpabili, e soprattutto sfuggenti a firmitas, a securitas e a controlli di destinazione e circolazione.
SIGLE E ABBREVIAZIONI USATE
C. = Codex Iustinianus CDL = Codice diplomatico Longobardo. ChLA= Chartae Latinae antiquiores. Facsimile-edition of the Latin Charters prior to the ninth century, ed. by A. Bruckner and R. Marichal. ChLA2 = Chartae Latinae antiquiores. Facsimile-edition of the Latin Charters, 2nd series, Ninth Century, ed. by G. Cavallo and G. Nicolaj. CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum consilio et auctoritate Academiae Litterarum Borussicae editum. C. Th. = Codex Theodosianus D. = Digesta ED = Enciclopedia del diritto. FIRA = Fontes iuris Romani antejustiniani. I. = Institutiones. M.G.H. = Monumenta Germaniae historica. M.G.H., Capit. = Monumenta Germaniae historica... Legum sectio II: Capitularia regum Francorum. M.G.H., Conc. = Monumenta Germaniae historica... Legum sectio III: Concilia. M.G.H., Dipl. Kar. = Monumenta Germaniae historica... Diplomata Karolinorum. M.G.H., Dipl. Kar. Germ. = Monumenta Germaniae historica... Diplomata regum Germanie ex stirpe Karolinorum. M.G.H., Dipl. reg. Franc. e stirpe Merov. = Monumenta Germaniae historica... Diplomata regum Francorum e stirpe Merovingica. M.G.H., Dipl. reg. imp. Germ. = Monumenta Germaniae historica... Diplomata regum et imperatorum Germaniae. M.G.H., Epist. = Monumenta Germaniae historica... Epistolae. M.G.H., Epist. sel. = Monumenta Germaniae historica... Epistolae selectae in usum scholarum ex M.G.H. separatim editae. M.G.H., Font. iur. Germ. = Monumenta Germaniae historica... Fontes iuris Germanici antiqui in usum scholarum. M.G.H., Laienfürst. = Monumenta Germaniae historica... Laienfürsten- und DynastenUrkunden der Kaiserzeit. Nov. = Iustiniani Novellae. PL = J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completus…, Series Latina. P. Tjäder = J.-O. TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens aus des Zeit 445-700.
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