Lezioni di Stoccarda

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Germanica

collana diretta da Roberto Garaventa Vo lume II

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Lezioni di Stoccarda

a cura di Carlo Tatasciore

Tutti i diritti riservati _ / Titolo originale: Stuttgarter Privatvorlesungen , x - ’'/•. * fp r < '• Prima edizione: 1860 J.G. Cottascher Verlag, Stuttgart und Augsburg Copyright © 2013 Orthotes, Napoli-Salerno Traduzione dal tedesco di Carlo Tatasciore isbn 978-88-97806-40-0

Orthotes Editrice www.onhotcs.com

Introduzione

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Carlo Tatasciore

opo i primissimi mesi di grande dolore e sconforto a causa della morte improvvisa della moglie Caroline, avvenuta il 7 settembre 1809, Schelling cominciò a riprendersi durante un soggior­ no a Stoccarda, che si protrasse per gran parte del 1810. In quella città egli tenne un ciclo di lezioni a una cerchia di persone caratteriz­ zate da impegno politico, vivacità intellettuale e scrupoli religiosi, ma anche romanticamente curiose verso gli aspetti più inquietanti della realtà. Contemporaneamente, preso com’era dal pensiero della morte e della vita ultraterrena, scrisse quel bel dialogo inedito e intitolato Clara' che Tilliette ha definito “il De consolatone di Schelling”2 e Horst Fuhrmans ha ritenuto “il più cristiano” dei suoi scritti.3 Una descrizione molto efficace dello stato d’animo con cui il filosofo af­ frontò in quei mesi l’elaborazione del lutto è stata fatta dallo stesso Tilliette, in particolare nel capitolo della sua biografia di Schelling significativamente intitolato: “La tristezza e la solitudine”.4 Tuttavia quelle lezioni esplicative della sua filosofia, che degli amici gli avevano

1 F.WJ. Schelling, Uber den Zusammenhang der Natur mit der Geisterwelt. Ein Gespràch. Fragment, in Sàmmtliche Werke (d’ora in poi: S.W.), hrsg. von IGEA. Schelling, 1/9, J. G. Coccascher Verlag, Stuttgart und Augsburg 1861, pp. 1-110. Poiché il frammento è senza data, il figlio di Schelling, curatore dei Werke, ne aveva collocato invece la redazione al 1816-17. Esistono due edizioni della traduzione ita­ liana: Clara ovvero Sulla connessione della natura con il mondo degli spiriti, a cura di P. Necchi e M. Ophàlders, Presentazione di S. Zecchi, Guerini e Associati, Milano 1987 e Clara ovvero Sulla connessione della natura con il mondo degli spiriti, a cura di M. Ophàlders, Premessa di G. Moretti con una nota conclusiva di A. Baeumler, Zandonai, Rovereto 2009. 2 X. Tiluette, Une introduction à Schelling, Éditions Champion, Paris 2007, p. 73. 3 H. Fuhrnians, Schellings Philosophie der Weltalter, L. Schwann, Diisseldorf 1954, p. 394, cit. in F.W.J. Schelling, Conférences de Stuttgart. Stuttgarter Privatvorlesungen. Version inèdite accompagnée du texte des CEuvres, publiée, préfàcée et annotée par M. Veto, Seconde édition corrigée et complétée, L’Harmattan, Paris 2009 (I ed.: Bottega d’Erasmo, Torino 1973), p. 73. 4 X. Tilliette, Vita di Schelling, a cura di M. Ravera, Introduzione di G. Riconda, Testo francese a fronte, Bompiani, Milano 2012, cap. Vili: “Le chagrin et la solitude”. Si veda anche X. Tilliette, Schelling. Unephilosophie en devenir, Vrin, Paris 1970.

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proposto per allontanarlo dalla tristezza e dal “torpore”, segnarono in qualche modo l’inizio di una ripresa, senz’altro lenta e difficoltosa, ma comunque un ritorno all’attività. Il titolo puramente descrittivo assegnato al testo di quelle lezio­ ni dal figlio Fritz per l’edizione dei Werke, nel cui VII volume esso uscì nel 1860,5 è Stuttgarter Privatvorlesungen, cioè lezioni “private” di Stoccarda. In precedenti traduzioni italiane l’aggettivo è caduto e anche noi conserviamo il titolo con cui sono già note, ma è implicito che non si tratta di lezioni universitarie come invece di primo acchito si potrebbe pensare. Tali saranno invece quelle effettivamente tenute da Schelling a Erlangen, la città bavarese dove dieci anni più tardi riprese a insegnare dopo un lungo periodo di lontananza dalle aule universitarie. Queste ultime sono state fatte invece conoscere come Erlanger Vortraege, cioè esse sì come “conferenze”, un termine che me­ glio si sarebbe adattato allo stile scelto dal filosofo a Stoccarda. Tenute dunque in forma privata a un uditorio composto da undici persone di diverse età, “private” erano poi rimaste per altri cinquantanni le relative annotazioni manoscritte, giacché Schelling non le pubblicò in vita e le affidò alla pura e semplice responsabilità degli eredi. In francese le Vorlesungen sono divenute Conférences de Stuttgart nel commento a loro dedicato da Miklos Veto, quando nel 1973 fece finalmente conoscere la cosiddetta Georgii-Nachschrift, ossia gli ap­ punti presi da Eberhard Friedrich von Georgii (1757-1830), l’amico del filosofo che ospitò gli incontri nel Gartensaaldi casa sua. Schelling li aveva rivisti e conservati insieme col proprio manoscritto, metten­ do il tutto a disposizione del figlio, ma durante la seconda guerra mondiale le sue carte conservate a Monaco, compresi quegli appunti, andarono bruciate in un incendio causato dai bombardamenti del­ la città. Già alla metà degli anni cinquanta Horst Fuhrmans aveva fortunatamente ritrovato una trascrizione della Nachschrift nel CottaArchiv des Schiller-Nationalmuseums a Marbach. La scoperta non ebbe allora grande risonanza, pur trattandosi di un documento filo­ logicamente rilevante che permise, grazie alla sua pubblicazione nella 5 F.W.J. Schelling, Sturtgarter Privatvorlesungen, in S.W., 1/7, pp. 417-486. La nostra traduzione è condotta su questa edizione. Nella nuova e diversa sistemazione operata da M. Schròter: Schellings Werke, 4. Hauptband: Schrifien zur Philosophie der Freiheit (1804-1815), C.H. Beck und R. Oldenburg, Munchen 1927. È stata recente­ mente annunciata dalla casa editrice Frommann-Holzboog la loro pubblicazione nel Band 8 della Historisch-kritische Ausgabe, per la cura di Vicki Mùller-Lùneschloss.

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lingua originale da parte di Veto, di conoscere la scansione e respirare un po’ l’atmosfera delle Conférences, visto che gli appunti sono liberi dall’impianto sistematico che il lavoro di rielaborazione tentato da Schelling (il figlio non dovette intervenire granché) dette al testo dei Werke da noi qui tradotto. Lo stesso titolo di Conférences è passato alla prima effettiva tra­ duzione francese delle Stuttgarter Privatvorlesungen apparsa nel 1980, insieme con gli Aforismi sulla filosofia della natura del 1806, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana del 1809, le Le^ons di Erlangen del 1820-1821 e un altro frammento inedito, in una raccolta di CEuvres métaphysiques schellinghiane.6 Parimenti, per la prima tradu­ zione in lingua inglese (insieme con i giovanili Saggi illustrativi del 1797 e il Sistema dell’intera filosofia di Wiirzburg del 1804) è stato scelto come titolo Stuttgart Seminarsi conservando il riferimento al carattere dialogico che Schelling volle dare effettivamente a quegli in­ contri. Tale volontà è testimoniata da una lettera che il filosofo inviò a Georgii il 12 febbraio 18IO,8 cioè due giorni prima dell’inizio delle “lezioni”. All’amico confessava che avrebbe preferito un gruppo più ristretto e meno eterogeneo di uditori (di alcuni degli undici non sa­ peva nulla) anche perché non era sua intenzione presentarsi in veste di professore. Qualche giorno dopo gli esprimeva inoltre il timore che, assumendosi il compito di prendere appunti, privasse la discussione del suo personale apporto. Dal 1806 Stoccarda era la capitale non più di un ducato, ma del re­ gno in cui Napoleone aveva voluto che il Wiirrtemberg si trasformas­ se, non senza dissensi da parte dei tradizionalisti, tra i quali proprio Georgii, che poi diventerà presidente del tribunale, ma sul momento si era ritirato dai suoi incarichi e aveva scritto un trattato antinapo­ leonico. Altrettanto influente uomo politico e, secondo alcuni, prin-

6 F.W.J. Schelling, CEuvres niétaphysiques (1805-1821), trad. de l’allemand et annotées par J.-F. Courtine et E. Martineau, Gallimard, Paris 1980. 7 T. Pfau (ed.), Idealism and thè Endgame oflheory. Three essays by F.W.J. Schel­ ling, translated and edited with a criticai introduction by T. Pfau, State University of New York Press, Albany 1994, pp. 195-243. 8 G.L. Plitt, Aus Schelling! Leben. In Briefen, Zweiter Band, Hirzel, Leipzig 1870, pp. 194-223. Le lettere a Georgii del 1810 si possono ora consultare sia nel se­ condo dei tre volumi pubblicati da Plitt (1869-70) sia in appendice all’edizione delle lezioni curata da Veto {op. cit., pp. 217-236). Esse sono cinque, quattro di febbraio (12, due con data 18, 20) e una di luglio (18).

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cipale promotore delle lezioni era stato Karl August von Wangenheim (1773-1850), a quel tempo presidente della Oberfinanzkammer, poi amministratore dell’università di Tiibingen nonché Ministro del cul­ to. L’elenco completo degli undici uditori di Schelling a casa Georgii venne fornito in una nota del carteggio curato da Plitt e poi, sulla base di quanto indicato all’inizio della Nachschrift, corretto da Veto, che in appendice al suo libro ha aggiunto per ognuno una breve de­ scrizione biografica. Una ricostruzione dell’ambiente della Stoccarda “romantica” e delle motivazioni che animavano la richiesta al filosofo di tenere le lezioni, si trova invece nella recentissima monografia di Vicki Muller-LùneschloE,9 che in particolare ha dedicato ampio spa­ zio al tentativo compiuto da Wangenheim di far interessare Schelling alla pedagogia di Johann Heinrich Pestalozzi soprattutto attraverso la mediazione di Johannes Niederer, principale collaboratore del peda­ gogista svizzero, col quale egli era in contatto epistolare. Come però dimostra anche lo scarno carteggio schellinghiano a riguardo, tutto quel che si ottenne dal filosofo non andò oltre il riconoscimento delle buone intenzioni del pedagogista, ma non certo la condivisione della necessità di un “metodo” per educare Io “spirito”, né del pestalozziano in particolare. Il carattere privato delle lezioni è stato anche uno dei primi motivi dello scarso interesse che esse hanno suscitato negli studiosi, giacché sono state genericamente considerate come semplice traccia di un mo­ mento di passaggio nell’itinerario speculativo schellinghiano. Per esse­ re più precisi su questo aspetto non secondario, possiamo richiamare le considerazioni di Miklos Veto e quelle esposte dalla Mùller-Lùneschlofi. Sulla mancata attenzione alle Lezioni di Stoccarda ha influito 9 V. Muller-Luneschloss, Uber das Verhàlmis von Natur und Geistertvelt. Ihre Trennung ihre Versòhnung, Goti und den Menschen. Eine Studie zu F. W. J Schellings “Stungarter Privatvorlesungen" (1810) nebst des Briefwechsels Wangenheim — Niederer — Schelling der Jahre 1809/1810, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2012. Solo due sono le monografie precedenti che vengono in genere ricordate: E. Koehler. Schellings Wendung zum Theismus. Versuch einer Erlauterung von Schellings Gottes-Begrijfin dcn Stuttgarter Privatvorlesungen, Phil. Diss. Leipzig 1932 e E Horn, Schelling und Swedenborg Ein Beitrag zur Problemgeschichte des deutschen Idealismus und zur Geschichte Swedenborgs in Deutschland, Ziirich 1954. Una lettura delle Le­ zioni di Stoccarda ha trovato spazio anche nella ricerca di G. Stru.mmiello, L'idea rovesciata. Schelling e l’ontoteologia, Edizioni di Pagina, Bari 2004, pp. 35-47 e poi, insieme col Clara, in quella di D. Sisto, Lo specchio e il talismano. Schelling e la malin­ conia della natura. AlboVersorio, Milano 2009, in particolare pp. 85-118.

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la loro posizione intermedia tra le Ricerche^ e Le età del mondo}' cioè tra due delle opere più considerate di Schelling, l’una in quanto se­ gnale di una svolta e l’altra in quanto vero e proprio laboratorio della sua tarda filosofia “positiva”. Insomma, alle Lezioni del 1810 non si è riconosciuta una piena autonomia, ma vi si è visto l’esercizio compiu­ to da Schelling di dare una forma tradizionale (quella della filosofia dell’identità) ai nuovi contenuti emersi con le Ricerche. Nelle analisi accurate svolte da Veto va, a nostro avviso, valorizzata l’individuazione dello sforzo sistematico originale in esse compiuto da Schelling: anzi, se non fosse per il carattere affrettato, vi si potrebbe vedere il “sistema di Stoccarda”. In attesa degli atti,12 se scorriamo almeno il programma del convegno tenutosi a Friburgo nel 2010, in occasione del bicente­ nario delle Lezioni di Stoccarda, si può intanto ricavare che la rifles­ sione è tornata sulla visione schellinghiana della natura, della libertà e del male, ma anche sulla volontà di “sistema”. Già in altro contesto Oesterreich13 aveva richiamato l’attenzione sulla posizione “antropo­ centrica”, sulla funzione di fondamento che l’antropologia filosofica si veniva conquistando nelle Lezioni, nonché sui rischi di “irrazio­ nalismo romantico” che Schelling consapevolmente si assumeva nel forzare con l’esoterismo teosofico il tabù razionalistico della coscienza moderna, operazione in cui è individuabile un’ulteriore possibile ra­ gione dell’awenuta messa in ombra del testo. 10 F.W.J. Schelling, Philosophische Untersuchungen iiber das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhàngenden Gegenstànde, in Philosophische Schrifien. Erster Band, Philipp Kriill Universicatsbuchhandlung, Landshut 1809, pp. 397-511. Si noti che il trattato sulla libertà, e quindi questo primo ed unico volume di tali scritti filosofici, si chiudevano con la promessa di una serie di altri, in cui sareb­ be stata esposta la “parte ideale della filosofia”. Le Philosophische Untersuchungen sono state inserite in S.W., 1/7, 331-416; ultima traduzione italiana: Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi, Introduzione, traduzione, note e apparati di G. Strummiello, Testo tedesco a fronte, Rusconi, Milano 1996. 11 F.W.J. Schelling, Die Weltalter. Bruchstuck (Aus dem handscrifilichen Nachlafi), in S.W., 1/8, pp. 195-344; tr. ir.: Le età del mondo, a cura di C. Tatasciore, Guida, Napoli 1991. A questa redazione vanno aggiunte quelle in F.W.J. Schelling, Die Weltalter. Fragmente. In der Urfassungen von 1811 und 1815 herausgegeben von M. Schròter, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, Miinchen 1946. 12 L. Hùhn/Ph. Schwab (hrsg.), System, Natur und Anthropologie. Zum 200. Jubilàum von Schellings Stuttgarter Privatvorlesungen, Verlag Karl Alber, Freiburg i. B. (in corso di pubblicazione). 13 P.L. Oesterreich, Die Freiheit, der Irrtum, der Tod und die Geistenvelt. Schel­ lings anthropologischer Ubergang in die Metaphysik, in J. Jantzen/P.L. Oesterreich (hrsg.), Schellings philosophische Anthropologie, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2002, pp. 23-50, in particolare p. 27.

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Non solo nelle edizioni straniere, ma anche nelle due precedenti traduzioni italiane, le Lezioni di Stoccarda sono state unite a scritti schellinghiani di epoche diverse. Giulio Preti considerò testo prin­ cipale della sua raccolta le lezioni monachesi degli anni trenta costi­ tuenti l’Esposizione delTempirismo filosofico perché gettanti una luce anche su tutto il pensiero precedente di Schelling. Lì meglio che al­ trove emergerebbe il carattere fenomenologico, pre-metafisico e pro­ pedeutico deH’empirismo filosofico schellinghiano interessato a “ciò che è implicito nel ‘fatto’ del conoscere”.14 In quel libro curato da Preti, le Lezioni di Stoccarda (da lui fané iniziare erroneamente nel 1809) precedevano l’Esposizione e seguivano tre scritti invece editi dal filosofo: l’Introduzione alle Idee per una Filosofia della natura del 1797, l’aggiunta del 1803 alla stessa e la premessa alla seconda edizione dell’Anima del mondo, del 1806, con cui “siamo già nella fase esistenzia­ listica del pensiero schellinghiano”. La preferenza accordata da Preti alle Lezioni rispetto alle Ricerche (non inserite infatti nella sua silloge) trovava giustificazione nel fatto che esse contengono “una completa esposizione sistematica di questa fase del pensiero schellinghiano, in­ giustamente poco conosciuta, mentre forse è la più interessante per ]a cultura della nostra età”.15 La varietà dei sistemi metafisici prodotti da Schelling, che a volte fanno pensare a “vuota abilità verbale”, è in realtà soltanto lo strato più appariscente del suo pensiero e la parte dogmatica della sua speculazione. Lo strato “più interessante” è invece quello che vede impegnato lo Schelling appartenente alla tradizione trascendentalistica kantiana, letto da Preti in chiave fenomenologicohusserliana. Schelling compie una ricerca sulle strutture o condizioni che rendono possibile il “fatto” del conoscere, in realtà già idealizzato, ossia filosoficamente elaborato e posto come “antinomia di soggetto e oggetto”. Ma soggetto e oggetto sono da lui assunti sul piano del­ l’attualità esistenziale, cioè come persona umana e natura, e quindi il problema fenomenologico si converte in metafisico. Così l’antinomia viene trasferita nell’Assoluto stesso alla ricerca di una sua soluzione, che sarà prima “attualistica”, poi panteistica e infine appunto esisten­ zialistica. È in questo momento che emerge l’irrazionale: qualcosa di

14 EWJ. Schelling, L’empirismofilosofico e altri scritti. Presentazione e traduzio­ ne di G. Preti, La Nuova Italia, Firenze 1970* (I ed. 1967). 15 Ivi, pp. XIV-XV.

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opaco e irriducibile che si frappone fra reale e ideale, in uno scenario di opposizione di bene e male, di saggezza e follia, che è in tutte le cose perché è già in Dio stesso, sorgente di tutte le cose. Queste erano le tesi principali con cui Preti giustificava la selezione da lui operata. Anche se nel rileggere attentamente la sua traduzione delle Lezioni di Stoccarda ci siamo accorti che qualcosa poteva senz’altro essere miglio­ rato, a lui bisogna riconoscere il merito di aver contribuito a gettare una luce particolare sulla fase cosiddetta “intermedia” del pensiero schellinghiano. Nel 1974 Luigi Pareyson presentava una nuova e più attenta tra­ duzione delle Lezioni di Stoccarda, che questa volta comparivano in­ sieme con il saggio Filosofia e religione (1804), curato da Valerio Verrà, le Ricerche nella versione della Drago Del Boca risalente al 1947 e le Conferenze di Erlangen, anch’esse tradotte dal filosofo torinese.16 Ri­ spetto alla precedente, Pareyson rivendicava alla propria selezione una maggiore coerenza interna e quindi la reale capacità di documentare uno sviluppo continuo e progressivo nel pensiero schellinghiano. Egli introduceva esplicitamente il titolo di “filosofia della libertà” per la fase intermedia tra la filosofia “negativa” dell’identità e quella “po­ sitiva” del tardo Schelling. Sottolineava inoltre un paio di elementi che nella prospettiva di Preti mancavano del tutto: il rilievo assun­ to dal frammento intitolato Età del mondo, rimasto inedito anche se rielaborato per più anni (1811-1815), nonché l’elemento biografico rappresentato dalla disperazione di Schelling seguita alla morte della moglie Caroline. Pur restando nella prospettiva dell’identità, in Filo­ sofia e religione'7 Schelling aveva già maturato un profondo pessimi­ smo riflettendo sull’origine del finito, spiegabile solo come “caduta” dall’Assoluto e vista peraltro in stretta connessione con il principio dell’io, ossia con il “nichilistico” idealismo fichtiano. Ma soprattutto era giunto al nesso di filosofia della storia e filosofia della religione, o meglio di cristianesimo e storicismo. Nonostante la continuità di­ chiarata da Schelling rispetto al saggio del 1804, la principale caratte­ ristica delle Ricerche del 1809 evidenziata da Pareyson era proprio la

16 F.W.J. Schelling, Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, a cura di L. Pareyson, Mursia, Milano 1974. 17 F.WJ. Schelling, Pbilosophie und Religion, Corta, Tiibingen 1804; in S.W., 1/6, pp. 11-70.

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messa in crisi della filosofia dell’identità. La concezione della libertà e quella del male fanno gravitare l’opera molto lontana dallo spirito dell’identità assoluta; la si è giudicata, dal punto di vista sia stilistico sia contenutistico, un “unicum assoluto” e molto affascinante, in cui i germi di filosofia cristiana sfociano in una vera e propria teologia della storia ruotante intorno a un Dio che è come l’uomo persona e a un uomo totalmente coinvolto nella storia della salvezza. Nuova appare anche la valorizzazione filosofica degli aspetti oscuri del reale, tra cui l’angoscia e la malinconia che accompagnano ogni vita, alla cui base vi è un’antitesi di principi che agiscono come forze. La parte ideale del sistema, la filosofia dell’uomo o dello spirito, prevale già su tutto il resto. D’altra parte, per i motivi allora rilevati da Pareyson, così come per altri, la cosiddetta Freiheitsschrifi ha sempre goduto di un parti­ colare interesse, che in seguito si è ancor più amplificato. Andando subito oltre le Ricerche, nelle successive Lezioni di Stoccarda Pareyson coglieva la realizzazione di una sintesi sistematica di riflessioni sia an­ tiche sia molto più recenti, anche successive alla morte di Caroline. Ricordiamo che nel lutto la sua tendenziale malinconia era molto peg­ giorata e il filosofo non era riuscito a riprendere da solo la quotidiana routine a Monaco. Il 14 gennaio 1810 all’amico Windischmann scri­ veva riferendosi a Caroline: “Ora lei è libera ed io lo sono con lei, l’ul­ timo legame che mi tratteneva in questo mondo è stato troncato”.18 Pareyson non nominava il contemporaneo e affine dialogo Clara, al quale si è prestata una certa attenzione più di recente, ma comunque insisteva nel sottolineare come a Stoccarda la parte ideale del sistema fosse cresciuta ulteriormente ai danni della filosofia della natura, na­ tura ormai divenuta, nel linguaggio ontologico delle Lezioni, semplice “non essente”. Ulteriori elementi di originalità venivano segnalati nel prevalere della teorizzazione filosofica sulle influenze teosofiche e del­ l’ottimismo escatologico, che ne caratterizza la conclusione, sul prece­ dente pessimismo. Non le Età del mondo, ma le più tarde (anni venti) Conferenze di Erlangen segnano secondo Pareyson il passaggio dalla metafisica della libertà alia vera e propria filosofia positiva dell’ulti­ mo Schelling. Di qui il loro inserimento nella raccolta da lui curata. L’estasi, lo stupore della ragione, la libertà assoluta e ancipite in con­ nessione con la problematica del male e del nulla saranno i principali it

G.L. Putt, Aus Schellings Leben. In Briefen, eie., p. 187.

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temi schellinghiani su cui Pareyson svolgerà le sue ultime meditazioni in parte pubblicate postume nel libro Ontologia della libertà. 19

T n passato, quando si parlava di “sistema” a proposito di Schel1 ling, il riferimento era immediatamente a quello dell’idealismo trascendentale, a cui era intitolato il libro del 1800 tradotto, per esem­ pio, in italiano agli inizi del secolo scorso su sollecitazione di Benedet­ to Croce e Giovanni Gentile con la precisa volontà di far conoscere l’opera più importante del filosofo, che veniva preso in considerazio­ ne, dopo Fichte, quale “precursore del sistema hegeliano”.20 A que­ st’ultima immagine “classica”, per così dire, del filosofo di Leonberg se ne è poi sostituita un’altra più aperta a valorizzare la filosofia della natura e a leggere in termini più complessi e relazionistici la stessa filosofia dell’identità.21 Il “secondo” Schelling ha poi affascinato per­ ché è stato capace di andar oltre la sua prima filosofia e l’idealismo in generale per dischiudere un orizzonte di crisi del pensiero metafisico, nel quale da Martin Heidegger è stato soprattutto collocato come pro­ tagonista anteriore a Nietzsche. Heidegger ha contribuito in maniera notevole a consolidare il “successo” delle Ricerche del 1809, testo che a partire dal 193622 egli analizzò in ripetuti corsi e seminari univer­ sitari. Ma anche da questa collocazione intermedia tra idealismo e post-idealismo sembrerebbe che negli ultimi tempi ci si sia spostati verso un rinnovato approccio critico a tutta l’opera schellingiana, in un dibattito che si svolge ormai anche al di fuori dei confini europei. Resta confermata comunque l’attenzione verso il tema della libertà, affrontato da Schelling non solo dal punto di vista etico, ma anche

19 L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 1995. Riguardo alla lettura pareysoniana di Schelling sono ora da vedere i saggi di E Duque, G. Riconda, G.F. Frigo e C. Ciancio contenuti in “Annuario filosofico” 24/2008, Mursia, Milano 2009, pp. 111-242 (Interpretazioni schellinghiane ). Sono i testi delle relazioni tenute al convegno “Pareyson interprete di Schelling” svoltosi a Torino il 6-7 novembre 2008. 20 F.W.J. Schelling, System des transzendentalen Idealismus, Cotta, Tiibingen 1800; poi in S.W., 1/3, pp. 327-634; F.G.G. Schelling, Sistema dell'idealismo trascen­ dentale, tradotto da M. Losacco, Laterza, Bari 1908 (Classici della filosofia moderna). 21 G. Semerari, Interpretazione di Schelling, Libreria Scientifica, Napoli 1958. 22 M. Heidegger, Schellings Abhandlunguber das Wesender menschlichenFreiheit, Niemeyer Verlag, Tiibingen 1971 ; tr. it.: Schelling. Il trattato del 1809 sul'essenza della libertà umana, a cura di E. Mazzarella e C. Tatasciore, Guida Editori, Napoli 1994.

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ontologico e metafisico. Contro il determinismo fatalistico egli pro­ poneva nelle Ricerche le questioni legate appunto alla compatibilità di libertà umana e “sistema”. Approfondimenti ed estensione del si­ stema dell’identità assoluta (la versione più accreditata dallo stesso filosofo era quella contenuta nella Darstellung del 1801) prima della Freiheitsschrifi si trovano già nelle lezioni tenute durante il periodo trascorso a Wùrzburg (1803-1806), lezioni pubblicate anch’esse dal figlio nell’edizione delle opere complete.24 Tale cosiddetto “sistema di Wùrzburg” continuava a dare un certo spazio alla Naturphilosophie, ossia alla “costruzione delle singole potenze della natura”, ma aveva uno sviluppo complessivo che comprendeva la parte prima mancante, cioè la “costruzione del mondo ideale e delle sue potenze”, potenze che erano il sapere, l’agire e l’arte. Pur senza uno sviluppo molto arti­ colato, nella terza parte vi venivano sostanzialmente affrontati i temi della libertà, del male, del peccato, dell’immortalità dell’anima, del rapporto tra morale e religione. Queste lezioni, in gran parte trascura­ te rispetto al contemporaneo saggio Filosofia e religione, contenevano di fatto la più completa esposizione della filosofia dell’identità. Di esse ricordiamo l’altisonante conclusione “politica”, o forse meglio, “impolitica”, in cui si legge: “La filosofia, che non è più scienza, ma si trasforma in vita, è quel che Platone chiama il ttoXiteueiv, la vita con e in una totalità etica”.25 Subito prima, infatti, Schelling aveva accen­ nato a una concezione dello Stato non più basato su “scopi e istituti puramente mondani”, ma nella cui essenza sarebbero stati ricompresi anche la scienza, la religione e Tane. Nelle ricostruzioni della filosofia di Schelling, l’emergere del pro­ blema della finitezza e della caduta si unisce all’elaborazione o condi­ visione da parte del filosofo di molti tratti “romantici”, che coinvol­ gono la sua concezione della natura e delle forze in essa agenti, forze

23 EW.J. Schelling, Darstellung meines Systems der Philosophie, “Zeitschrift fur speculative Physik", 2. Band, 2. Heft, 1801, pp. III-XIV e 1-127; in S.W., 1/4, pp. 105-212. 24 EW.J. Schelling, System der gesammten Philosophie undder Naturphilosophie insbesondere, in S.W., 1/6, pp. 131-576. È stato molto recentemente annunciato da pane della “Internationale Schelling Gesellschaft” il ritrovamento degli appunti presi da un anonimo durante queste lezioni, appunti che risultano utilizzabili per un con­ fronto con il testo già noto in vista di un’edizione critica delle stesse (cfr. http://www. schelling-gesellschaft.de). 25 S.W., 1/6, p. 576.

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che appaiono trovare una manifestazione essenziale nel rapporto con la libertà umana, quando questa viene intesa come possibilità di scelta tra il bene e il male. Se già nel 1803 un fisico e Naturphilosoph come Johann Wilhelm Ritter, che ben conosceva la filosofia dell’identità, poteva preconizzare che l’ateismo schellinghiano si sarebbe necessa­ riamente “autodistrutto”,26 nel successivo primo periodo monachese Schelling cominciò a delineare un vero e proprio processo “cosmo­ teandrico” (Pareyson), la cui vicinanza al pensiero cristiano era evi­ dente. La Freiheitsschrifi fu concepita all’interno di un ambiente se­ gnato dalla frequentazione di alcuni vecchi e nuovi amici romantici, ma soprattutto di Franz von Baader, e basandosi sulla lettura di mistici tedeschi più lontani nel tempo, comeTauler e Jacob Bóhme,27 oppure più vicini come lo svevo Friedrich Christoph Oetinger. Riprendendo la distinzione, già presente nella Esposizione del mio sistema filosofico, tra Grund ed Existenz, tra fondamento ed esistenza, ora Schelling col fondamento pensava a una “natura” di e in Dio, che tuttavia non è Dio stesso, ma appunto un suo fondo oscuro. Questo era descrit­ to come un desiderio irrazionale, nel quale è celata la possibilità del male, che si è attualizzato, ma per essere alla fine ridotto a semplice potenza.28 La prospettiva qui assunta appare dunque per molti versi vicina alla Stimmung tardo-romantica. Si tratta, però, di una ripresa della teosofia che non perde il timone della razionalità e si unisce a un’accurata descrizione antropologica. Anzi, vi s’impone l’idea an­ tropomorfica, la convinzione che si possano conoscere gli aspetti più reconditi della vita divina attraverso la riflessione sulla vita umana. L’idea di un divenire di Dio e la conquista di una prospettiva “storica” (in senso cosmico e divino, non semplicemente umano) porteranno ben presto al progetto di un sistema delle Età del mondo, iniziato forse già alla fine del 1810 ma rimasto allo stato di frammento. 26 J.W. Ritter, Fragmente aus dem Nachlass eines jungen Physikers, 2tes B., Mohr-Zimmer, Heidelberg 1810, p. 179, cit. in X. Tilliette, Une introduction à Schelling, cit., p. 65. 27 A riguardo, si veda da ultimo: H.-J. Friedrich, Der Ungrund der Freiheit ini Denken von Bobine, Schelling und Heidegger, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2009. Per un inquadramento generale del tardo Schelling, si veda W.G. Jacobs, Schelling lesen, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2004; trad. it. Leggere Schelling, a cura di C. Tatasciore, Guerini e Associati, Milano 2008, e per le Ricerche in particolare: F.W.J. Schelling, Ricerchefilosofiche sull'essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi, commentario a cura di A. Pieper e O. Hòfte, ediz. it. a cura di F. Moiso e F. Viganò, Guerini e Associati, Milano 1997. 28 Cfr. X. Tilliette, Une introduction à Schelling, cit., p. 69.

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A Monaco il filosofo si era trasferito con Caroline sin dalla prima­ vera del 1806 essendo divenuto membro dell’Accademia delle Scien­ ze; nel 1808 aveva poi assunto la carica di segretario generale della neonata Accademia delle Belle Arti. Dopo la morte della moglie, av­ venuta durante un soggiorno nella regione natale di Schelling, e dopo il fallito tentativo di ritorno a Monaco, egli chiese e ottenne un con­ gedo e da gennaio del 1810 si stabilì a Stoccarda. Se già a Wiirzburg la sua filosofia aveva generato discussioni e obiezioni di tipo religioso, il circolo che si era creato nella capitale del Wiirttemberg desiderava comprendere le convinzioni profonde nutrite dal filosofo in questo campo. La Georgii-Nachschrifte l’agenda schellinghiana del 18IO,29 nei cui fogli il filosofo segnò notizie molto disparate insieme con appunti filosofici, hanno consentito di ricostruire le date precise degli otto incontri: i primi due si tennero il 14 e il 22 febbraio; dopo una lunga interruzione, gli altri sei ci furono il 16, il 18, il 19, il 21, il 23 e il 24 luglio. In corrispondenza del 14 febbraio, Schelling annotava: “A sera iniziati i colloqui filosofici”; si noti: Schelling li definiva “collo­ qui”. Tali notizie sono incrociabili con i carteggi, in particolare con le lettere inviate a Georgii, che sono considerate a tutti gli effetti come una terza fonte relativamente alle Privatvorlesurigen, dopo il testo qui tradono e gli appunti delle lezioni. Da una lettera all’amico editore Cotta del 10 febbraio si ricava che secondo il programma originario i colloqui si dovevano tenere ogni mercoledì alle cinque. Quanto al giorno, così non fu, mentre in un’altra lettera Schelling raccomandava effettivamente a Georgii di riunire gli amici alle cinque in punto, in modo da avere tutto il tempo necessario per la discussione. Nelle lette­ re a Georgii si trovano anche ampi chiarimenti sui contenuti: la prima parte della seconda, contenente uno schema di storia della filosofia, sarà riportata integralmente nella Nachschrift. Sui motivi dell’inattesa interruzione delle lezioni, si sono fatte ipotesi, ma non si hanno noti­ zie precise. Gli incontri di luglio mostrano infine una cadenza molto ravvicinata, da attribuirsi probabilmente all’insicurezza da parte di Schelling circa la possibilità di proseguire il periodo di congedo da

29 F.W.J. Schelling, Philosophische Entunìrfe und Tagebùcher 1809-1813. Philosophie der Freiheit und der Weltalter, hrsg. von L. Knatz, H.J. Sandkiihlcr, M. Schravcn, E .Mcincr Vcrlag, Hamburg 1994, p. 49 ss.

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lui chiesto al governo di Monaco. Del resto, un accenno al limitato tempo a disposizione viene fatto esplicitamente all’inizio della Georgii-Nachschrift relativa alla prima conversazione di luglio.30 Abbiamo qui tradotto anche il sommario aggiunto da Karl Friedri­ ch August Schelling al momento della pubblicazione del manoscritto paterno, così da consentire al lettore di farsi un’idea generale della scansione degli argomenti, giacché nel testo vi è soltanto una divisio­ ne in tre sezioni segnalate da numeri romani. Grazie agli appunti di Georgii si può constatare che la parte I è occupata dai due colloqui di febbraio e che tra le due fonti vi è una corrispondenza abbastanza precisa. La parte II contiene i temi dei primi tre incontri di luglio, mentre la III comincia verso la fine del quarto incontro e prosegue con quanto trattato nel quinto e nel sesto. In queste due ultime parti i testi sono però molto più diversi tra loro. La prima ipotesi fatta da Veto fu che il filosofo nei colloqui di luglio non seguisse il testo scritto che comunque aveva già ultimato cinque mesi prima. Ma egli stesso ha poi cambiato parere, accogliendo le correzioni di Tilliette, secondo il quale, invece, Schelling inizialmente improvvisò e in seguito si rife­ ce agli appunti di Georgii come base per le sue annotazioni. In luglio aveva così a disposizione una redazione stilata nei mesi di interruzione e parallelamente al Clara, di cui comunque si sarebbe servito libera­ mente. Conseguentemente anche Georgii dovette sentirsi più libero rispetto all’iniziale “missione” di conservare per i posteri le parole del filosofo.31 Nelle prime due lezioni, per l’illustrazione della sua dottrina di Dio, Schelling ricorre alle formule astratte della precedente filosofia dell’identità, mentre nella terza, per far comprendere l’Assoluto come essenza reale e vivente, si serve del linguaggio “umano”. Tuttavia nel nostro testo si nota una certa cura dell’impianto sistematico, che, come quello elaborato a Wurzburg, è tripartito e comprende un’ontologia fondamentale, la filosofia della natura e la filosofia ideale. La parte ontologica è completata da una schematica “geneaologia dei sistemi fi­ losofici”, che in realtà originariamente era stata presentata nella prima conferenza. Schelling ne era però insoddisfatto e ne preparò un’altra che inviò a Georgii con la lettera del 18 febbraio perché fosse inserita

30 F.W.J. Schelling, Conférences de Stuttgart. Stattgarter Privatvorlestingen, cit., p. 126. 31 Ivi, pp. 17-18.

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nella Nachschrift. Nella seconda lezione di luglio la “genealogia” venne ripresa molto brevemente e infatti Georgii annotò: “Rapporto del si­ stema schellinghiano con altri sistemi. Contro il cartesiano, lo spinoziano, il leibniziano, il materialistico francese, l’ilozoistico, il kantia­ no, il fichtiano, dei quali già sopra”.32 Ed è proprio in corrispondenza di questa lezione che è stata poi collocata la versione più ampia. Una volta chiarita l’origine della natura, segue un’esposizione della filoso­ fìa della natura, che nell’essenziale ripete concetti già noti. La terza pane, la filosofia ideale, a Stoccarda oltre che molto più estesa è ab­ bastanza nuova. In essa acquista spazio la dottrina dell’uomo, che nei manoscritti di Wùrzburg, come Veto ha opportunamente ricordato, Schelling indicava come una “antroposofia” ancora da creare.33 Pro­ prio sull’antropologia occorre secondo Veto concentrarsi per apprez­ zare adeguatamente l’intervallo di Stoccarda (tra il sistema dell’iden­ tità assoluta e Le età del mondò). Questa antropologia schellinghiana — il cui compito basilare sarebbe, però, come si legge nelle Lezioni qui tradotte, rispondere alla domanda sul “perché solo nell’uomo l’assolutamente ideale [cioè lo spirito] ... viene posto in forma attuale, mentre in tutto il resto viene posto in forma meramente potenziale?” - si colloca di fatto al centro del sistema, data la posizione intermedia dell’uomo tra natura e Dio.34 Gli aspetti originali riguardano non solo il tema della libertà del volere, il bene e il male e la personalità, ma soprattutto il passato, il presente e il futuro dell’umanità; vi rientrano la trattazione dello stato e della Chiesa e uno schizzo di cristologia. Il vero culmine delle Lezioni è la “costruzione” filosofica del mondo degli spirici, in cui figurano idee sulla mone e sulla condizione dello spirito umano anche nella vita futura, che sono forse giustificate dal­ l’intimità in cui avvenivano i colloqui oltre che dalla particolare con­ dizione personale del filosofo dopo il lutto. La conclusione si occupa dello scopo finale della creazione. Particolarmente rilevante è il fatto che con la teoria rielaborata delle “potenze”, che dalla simultaneità in Dio passano a trovarsi in una concatenazione e in una successione di “periodi”, Schelling inizia il percorso verso la grande divisione tra filosofia negativa e filosofia positiva. 32 Ivi, p. 144. 33 S.W., 1/6, p. 488; il termine sarà ripreso nel titolo di un’opera di Robert Zimmermann e poi da Rudolph Steiner. 34 Si veda sotto, p. 71. Cfr. Anche J. Hennigfeld, Der Mensch im absoluten System. Anthropologische Ansàtze in der Philosophie Schellings, in J. Jantzen/RL. Oesterreich (hrsg.), Schellings philosophische Anthropologie, cit., p. 22.

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/'""'X ueste e altre considerazioni sulle novità che accompagnano le Lezioni di Stoccarda si possono trovare ben riassunte nella esauriente introduzione di Veto. Ci sembra utile qui riportare, con il linguaggio schellinghiano e basandoci sulla Georgii-Nachschrift, una selezione degli argomenti trattati nei colloqui così da rendere più agevole, permettendo il confronto o l’integrazione, la comprensione almeno di alcuni punti che nel testo non sono sviluppati. Non va in­ fatti dimenticato che Schelling era stato chiamato a esporre le proprie posizioni di fronte a persone colte, ma che non erano teologi o filosofi di professione. Il sistema filosofico richiede organicità ossia deve essere un’unitotalità che, per evitare l’unilateralità e non perdere l’universalità, non deve escludere né la natura né lo spirito. Il principio del sistema è espresso come identità assoluta di ideale e reale o, per usare “termini noti”, della natura e del “mondo degli spiriti”. Ideale e reale sono forme subordinate della vera “essenza originaria” (Ur-Wesen). Mentre la filosofia di Schelling è un’unità perfetta che vive in Dio, in Kant — si legge — Dio viene introdotto attraverso “la porta di servizio della ragion pratica”!35 Alla filosofia di Schelling si riconosce affinità con la religione e con la teologia naturale perché si occupa del soprasensi­ bile. Quando invece la filosofia è una metafisica dell’intelletto, allora la religione diventa una metafisica del cuore. Ci si potrebbe porre la domanda su come sia possibile che l’uomo, in quanto finito, arrivi a comprendere l’Assoluto; ma chi la pone evidentemente presuppone nell’uomo solo la finitezza, mentre egli ha in sé un “doppio organo, uno per questo mondo e uno per un mondo infinito”.36 Se Dio è identità assoluta di reale e ideale, allora anche nell’uomo è conoscente e conosciuto. Egli è l’idea divina che si espone nell’uomo stesso. Ci­ tando Sesto Empirico, che segue Empedocle, la verità è che il simile può essere conosciuto solo dal simile. Un’esistenza che non conosce se stessa, cioè che non è per se stessa, è più imperfetta di una che co­ nosce se stessa. Dio, in quanto è l’Assoluto, è l’essenza più perfetta. Quindi deve essere per se stesso nel modo più perfetto: l’esistenza e la “posizione di questo essere in Dio” sono tutt’uno. Nell’uomo l’essere e la conoscenza dell’essere non sono assolutamente tutt’uno. Nell’essere

55 F.WJ. Schelling, Conférences de Stuttgart. Stuttgarter Privatvorlesungen, cit.» p. 108. 36 Mp. 109.

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c’è più di quanto egli conosca e all’inverso il suo essere non equivale sempre alla sua conoscenza o al suo pensiero. In Dio non c’è esse­ re di cui egli non sia pienamente consapevole e nel pensiero divino non è contenuto nulla che non sia anche immediatamente espresso nell’essere. Dio è un Ens a se: in Dio l’essere e la posizione dell’essere coincidono. Dio è causa sui: essere e posizione dell’essere sono quindi assolutamente uniti. L’identità di reale e ideale, di essere e posizione dell’essere, è realizzata solo in Dio. Il concetto àeW'Urwesen va distinto àalVUrwesen stesso in quanto “attuale essere vivente”.37 Per Schelling in questa fase intermedia il concetto di essere equivale a quello di vita e infotti Veto ha sottolineato che il suo è ancora un sistema della vita­ lità piuttosto che un sistema della libertà.38 L’Assoluto deve esprimere la sua unità anche nell’esistenza; ci deve dunque essere una rivelazione. Nell’ Urwesen ci sono principi contra­ stanti e una volontà di rivelazione, ma la rivelazione di un principio avviene sempre attraverso il suo opposto: il grande compito è sempre passare dal contrasto all’armonia. Così anche la bellezza dell’anima umana consiste nella riunione di necessità e libertà; l’amore si manife­ sta nell’odio, l’armonia musicale nella disarmonia. Per rivelarsi, l’unità deve scindersi e perciò la dualità dev’essere non meno originaria del­ l’unità. Di conseguenza, la possibilità della rivelazione di Dio sta nel­ l’opposizione dei principi che si trovano in lui. Schelling richiamava qui l’analogia con l’uomo che si trova illustrata ugualmente nel testo da noi tradono. Se l’Assoluto ha la volontà di rivelarsi, in base all’ar­ gomento scolastico, che Georgii riportava: “Qwz vultfinem debet etiam habere media , deve volere anche i mezzi per rivelarsi. E la volontà di rivelarsi a dare realtà alla divisione. L’Assoluto toglie volontariamente la simultaneità (ma non l’unità o identità) dei principi o “potenze” in lui, trasformando la priorità puramente logica della prima sulla secon­ da in una priorità reale. L’Assoluto deve ritrarsi alla prima potenza, e con ciò viene posta una limitazione che contraddice la sua essenza, in quanto esso è tutte le potenze: ne nasce un procedere dalla prima alla seconda e con ciò il tempo, che originariamente è contenuto in esso implicite (in senso letterale). Ne derivano tre periodi dell’auto-rivelazione di Dio: il primo consiste nella autolimitazione nel reale, il secon-

37 Ibidem. 38 /w.p. 30.

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do nel passaggio dal reale nell’ideale, il terzo si ha quando viene tolta di nuovo ogni differenza. La limitazione è imperfezione solo quando è unita alla passività, ma limitarsi liberamente in un punto finché que­ sto non diventi un mondo è la somma perfezione. Qui c’è di nuovo un richiamo all’analogia umana: anche noi, quando vogliamo pro­ durre qualcosa di significativo, ci raccogliamo, cioè ci “contraiamo”. Solo da questa limitazione dello spirito nascono i prodotti migliori. “In quanto Dio si contrae nel reale, questo inizio della creazione è un abbassamento (Herablassung) di Dio, la prima Incarnation di Dio”.39 La limitazione di Dio è volontaria; solo l’Assoluto può limitare se stesso e trasformare la simultaneità delle potenze in una successione. MUrwesen deve quindi avere libertà, non può essere necessitata; ma ogni azione che derivi da libertà assoluta, ha in sé qualcosa di neces­ sario, perché di un’azione assolutamente libera non si può dare alcun fondamento: è così perché è così, è semplicemente assoluta e perciò necessaria. Per cogliere il vero concetto della libertà occorre sbarazzarsi dei falsi concetti, dei quali due vengono ricordati come i peggiori: Vaequilibrium arbitrii e il cieco arbitrio del tutto privo di intelletto. I sostenitori del primo concetto di libertà vengono definiti da Schelling “equilibristi”: essi vedono libertà solo dove prima c’è stata indecisio­ ne. Invece Georgii annotava la citazione schellinghiana delle terribili parole àeWApocalisse (3, 15-16) per dire che a Dio è massimamente invisa l’indecisione: “O fossi almeno o freddo o caldo! Ma perché sei tiepido, [...] io sto per vomitarti dalla mia bocca”. Anche secondo la solita analogia umana, Ercole al bivio non è un modello degno di imi­ tazione. La scelta è, secondo Schelling, sinonimo di libertà imperfetta. Ma nemmeno è libertà assoluta quella di chi la equipara all’arbitrio totalmente privo di intelletto per allontanarla da motivi razionali e quindi in qualche modo necessari, proprio perché le azioni veramente libere hanno l’impronta della necessità. Ammettere che Dio agisca ex radane boni significa credere che il fondamento dei suo agire starebbe non in lui stesso, ma nella natura del bene. Perciò l’affermazione della scelta da parte di Dio del migliore dei mondi possibili e il conseguente ottimismo leibniziano non sono considerati degni di Dio.

39 Ivi, p. 120. Cfr. E. Guglielminetti, “Herabsetzung”. Ambiguità del fonda­ mento in Schelling, in M. Mori/S. Poggi (cur.), La misura dell'uomo. Filosofia, teolo­ gia, scienza nel dibattito antropologico in Germania (1760-1915), il Mulino, Bologna 2005, pp. 167-194.

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Al momento della ripresa delle lezioni, la Nachschrift del 16 luglio, avvisando del tempo limitato a disposizione, riporta la necessità di affrontare tre argomenti capaci di riassumere l’essenziale della filo­ sofia di Schelling: “I. Il rapporto tra natura e Dio, ossia la creazione, poi IL La costituzione (Beschaffenheit} della natura, e III. Il mondo degli spiriti (Geisterwelt)" Quanto al primo tema, sottolineiamo an­ zitutto un punto: quello in cui si dice che “noi ci rappresentiamo lo stato originario come una condizione di indifferenza e indecisione e inconsapevolezza in Dio. Siamo costretti ad ammettere un tale stato perché altrimenti non sarebbe per noi comprensibile una personalità vivente di Dio”.41 Per la sua personalità, Dio condivide in qualche modo lo stesso “destino” dell’uomo: nello stato ancora inconscio ha i due principi in sé, senza porsi né come l’uno né come l’altro. L’autoriconoscimento consiste appunto nel riconoscimento della duplicità: l’Assoluto non può riconoscersi nella duplicità senza riconoscere un superiore e un inferiore, non può porsi come oggetto senza porsi an­ che come soggetto, non può contrarsi come reale senza in pari tempo espandersi come ideale. L’auto-riconoscimento è insieme una divisio­ ne. Dio esclude la parte inferiore di sé ma per elevarla di nuovo a sé: in questo consiste l’ano della creazione, che equivale a suscitare il supe­ riore, propriamente divino, nell’escluso. Schelling sottolinea che tale ammissione appare sorprendente solo per chi immagina Dio come una vuota identità: è invece il principio dell’opposizione a fondare la necessità di tale assunto. Venivano qui citati alcuni esempi di opposi­ zione tratti dalla natura: cervello e cuore, vino e feccia, aceto e madre dell’aceto. Cioè questo principio vale per ogni vita nella natura così come per VUrwesen, se in esso deve esservi “il germe della personalità e della vitalità”. In Dio l’inconscio è la materia e la creazione consiste nella sua ele­ vazione alla coscienza: la creazione si ferma nell’uomo, perché solo in lui l’inconscio è passato nel modo più perfetto alla coscienza. La crea­ zione è anzitutto divisione ed esclusione dell’inconscio; ma l’esclusio­ ne avviene perché ci sia la sua elevazione alla coscienza. Altra analogia per la relazione tra essente e non-essente è quella naturale tra luce e oscurità; il fatto stesso che ci si possa servire di espressioni fisiche per ciò che è spirituale presuppone — affermava Schelling — la loro identi40 Mp. 126. 41 Zw.p. 128.

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tà. Nel tedesco begreifen, che significa comprendere, si sente il greifen, il prendere con la mano, e infatti esso si usa perché “lo spirito fa con le idee quel che fa la mano con ciò che tocca”.42 Se la luce è Tessente, l’oscurità è non-essente, ma non nel senso di mera privazione — una simile concezione tradizionale e leibniziana veniva rifiutata tanto più riguardo al male — bensì come positivamente, cioè attivamente, op­ posta. Comunque - ha notato Veto43 - Schelling a Stoccarda sembra preoccupato più di descrivere il male che di cercarne l’origine. Dio non va ridotto né a essere singolo e separato né a sostanza delle cose priva di individualità; nel primo caso non esisterebbe la creatura, nel secondo Dio non sarebbe personale. Quella di Schelling si presen­ tava allora come la riunione delle due visioni opposte: Dio è essenza di tutti gli esseri, ma per esserlo deve avere una “base” individuale. Si tratta di due “forze originarie” in Dio: quella dell’individualità, o egoismo, e quella dell’amore, che devono stare insieme. Su questo rapporto si erano già soffermate le Ricerche e si trovano chiarimenti nel nostro testo. Se in tutti i fenomeni dell’istinto appare un principio spirituale an­ cora sprofondato nel non-essente, solo nell’uomo si solleva lo spirito, in sé essente, anche se spirito finito creato. L’essente per sua natura è immortale per sua natura. Lo spirito viene sviluppato nell’uomo, per­ ché solo nell’uomo è dato l’oggettivo nella sua totalità (microcosmo), la natura è compiuta. Forse anche i corpi cosmici (anch’essi microco­ smi) hanno come destinazione finale quella di elevarsi all’intelligenza, ma i loro elementi non hanno ancora raggiunto l’armonia necessaria allo sviluppo della spiritualità, anche se qualcosa di intelligente in essi vi è già. Veniva così introdotta l’idea di una trasfigurazione della na­ tura, associata in un paio di riferimenti al “regno millenario”. Nella natura l’uomo era il legame atteso tra il divino e il naturale, il punto di indifferenza, il “vero figlio di Dio”. Schelling citava Bacone: solo sull’uomo il raggio divino cade perpendicolarmente. L’uomo è il pun­ to di trasfigurazione della natura; è la parola vivente, il legame vivente tra mondo spirituale e mondo fisico. Così la natura dovrebbe essere elevata all’eternità, ma è l’esperienza a dirci che non è così. Questa contraddizione è derivata da qualcosa di accidentale, ossia dalla libertà umana. L’uomo, destinato ad essere il legame tra ideale e reale, è venu42 Ivi, p. 136. 43 Ivi, p. 58.

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to meno al suo scopo. Dio non vuole una sottomissione forzata, ma volontaria; e l’uomo era destinato a sottomettere in se stesso il natu­ rale allo spirituale. L’armonia o la disarmonia tra i due mondi dipen­ deva così da lui: ma l’uomo non ha occupato il suo posto. “Che ciò dovesse accadere, non è dimostrabile scientificamente: è un factum, che dobbiamo tener per vero perché l’intera natura lo testimonia. La natura fu quindi costretta, nolens volens, a costituirsi come un mondo a sé. Nel mondo com’è ora, la vita spirituale esclude la vita fisica, e viceversa [...] Nulla dimostra che l’uomo è sprofondato nel fisico più della costruzione dello Stato”. Georgii riportava anche che esso era la conseguenza del “deterioramento (Deterioraiioti) del genere umano”.44 Schelling verbalmente era stato evidentemente ancor più esplicito di quanto non risulti dalla sintesi presentata nel nostro testo: “Proprio la impossibilità di portare nello Stato la vera unità, si mostra nella com­ pilazione di costituzioni. Se si vuol dare allo Stato Vunità basata sulla forza, esso scade nel più detestabile dispotismo; se si limita la suprema autorità dello Stato per mezzo di una costituzione e dei ceti, esso non ha la forza necessaria' .45 Questo anticostituzionalismo, inquadrato in una visione del tutto negativa dello Stato in quanto tale, si identifica in questo momento con una “conclusione anarchica, appena masche­ rata”, che è quella colta da Habermas come uno dei sintomi della crisi dell’idealismo schellinghiano nel successivo passo delle Lezioni, in cui allo Stato si richiede di sviluppare in sé il principio religioso e si pro­ spetta una sua trasfigurazione in intelligenza.46 La rivelazione è filosoficamente necessaria, ed è così antica quanto la separazione tra mondo naturale e divino, fisico e spirituale, perché solo Dio può ristabilire il loro legame. E assolutamente in verosimile che potesse farlo l’uomo con le sue sole forze. La rivelazione, che ri­ guarda tutto il genere umano separato da Dio, e perciò non può limi­ tarsi ai cristiani e agli ebrei, ha dei gradi, il più alto dei quali è quello in cui Dio stesso si finitizza facendosi uomo. La questione del come e dove ciò sia avvenuto, è storica, e il suo esame non rientrava, aggiunu Ivi,p.\7Ò. * Ivi, pp. 174-175. 46 J. Habermas, Dialektischer Idealismus im Ubergang zurn Materialisntus — Geschichtsphilosophische Folgerungen aus Schellings Idee einer Contraetion Gottes, in Uxo­ rie und Praxis. Sozialphilosophische Studien, Suhrkamp, Frankfurt a. Main 1971, p. 175; tr. ir. parziale di A. Gajano: Prassi politica e teoria critica della società, il Mulino, Bologna 1973, p. 235. Si veda sotto, pp. 78-79.

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geva Schelling, negli scopi del momento. La rivelazione non può sta­ bilire direttamente un rapporto tra Dio e il mondo dell’essere, ma solo indirettamente, in quanto l’uomo, restituito alla vita spirituale, viene messo in condizione di rivolgersi a quella che era la sua destinazione. “Cristo fu il vero uomo divino”: per suo tramite la natura divina potè agire su quella terrena, cosa che sarebbe possibile in ogni uomo non corrotto. “La capacità dell’uomo di fare miracoli [...] è un principio esoterico della filosofia”.47 Nell’ultima lezione del 24 luglio veniva introdotto lo “schema” psicologico o antropologico, che ne anticipa di molti anni un altro, quello composto nel 1837-38 per l’allievo e futuro re Massimiliano II di Baviera. Come si può vedere nel nostro testo, Schelling distingue­ va nell’uomo l’animo {Gemuti)), lo spirito (Gwtf) e l’anima (SeeZ?).48 Poiché all’anima è attribuito il carattere dell’impersonalità, quando si legge che “l’anima non sa, ma è la scienza”, ciò implica l’identificazio­ ne della scienza non con la coscienza e la personalità, ma con qualcosa che sarebbe superiore proprio per la sua impersonalità. Paul Ziche ha ricostruito i momenti di questo nesso tra anima e scienza, seguen­ do uno sviluppo avviato da Schelling nel discorso Sulle arti figurative (1807), proseguito dopo le Lezioni di Stoccarda nelle Età del mondo e concluso nella XXII lezione della tarda Darstellung der reinrationalen Philosophie. La distinzione tra sapere e scienza corrisponde a quella tra personale e impersonale, ma come non c’è scienza senza sapere, così non c’è personalità senza l’impersonale. Solo nella Darstellung, che risale agli anni quaranta, Schelling chiarirà che la scienza identificata con l’anima andava intesa in base ai concetti aristotelici di potenza e atto, cioè come scienza “presente materialmente e non ancora elevata alla realtà”.49 Andando ancora avanti nella Georgii-Nachschrifi, dopo l’afferma­ zione che l’intero uomo è immortale, il processo della morte è parago­ nato a “quando in natura si estrae da una pianta la sua essenza, come per esempio si estrae lo spirito di melissa dalla melissa. La morte non 47 Ivi, p. 177. 48 Si veda J. Hennigfeld, Der Mensch ini absoluten System, in J. Jantzen/P.L. Oesterreich (hrsg.), Schellings philosophische Anthropologie, eie., pp. 4-12. 49 P. Ziche, "Die Sede weifì nicht, sondern sie ist die Wissenschafi". Zurn Zusammenhang von Wissenschafis- und Personbegriff bei Schelling, in Th. Buchheini/Fr. Hermanni (hrsg.), “Alle Ptrsònlichkeit ruht aufeinem dunkdn Grande*. Schellings Philosophie der Personalitdt, Akademie Verlag, Berlin 2004, pp. 199-213, in particolare p. 207.

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è quindi una separazione, ma una essentifìcazione dei principi”.50 Il sostantivo teosofico, ripreso da Oetinger, nel nostro testo è sostituito dal participio verbale. Tale idea di sopravvivenza a Veto è parsa carat­ terizzare al meglio la “sintesi eterodossa” fatta da Schelling in questo periodo intermedio tra i precedenti risultati filosofici e le nozioni teo­ sofiche e teologiche acquisite più di recente.51 Il problema del diavolo (Teufet) o di Satana (Satari), sommo spiri­ to creato, è affrontato richiamando espressamente la “teoria religiosa” cioè la teologia cristiana. Destinato ad essere il signore della natura, volle esserlo senza Dio. Persa quella sua destinazione, poiché l’uomo dovette divenire mediatore tra Dio e natura, Satana divenne nemico dell’uomo, spingendolo al peccato. Non c’è nulla di più “ragionevole” di ciò che una superiore rivelazione ha insegnato, che cioè Satana è il Verfìihrer, il seduttore, il tentatore dell’uomo. Tra il mondo degli spi­ riti e quello della natura è rimasta una qualche lontana Sympathie in quanto entrambi appartenenti allo stesso “piano del mondo”. In par­ ticolare, il mondo degli spiriti è attratto dalla natura e quindi anche dall’uomo, ma nel contempo esso teme ed evita la mescolanza di bene e male, in cui l’uomo vive. L’uomo quindi dovrebbe “purificarsi” to­ talmente per entrare in rapporto con esso, e comunque tale rapporto è tanto maggiore quanto più egli “si demonizza” (daemonisirt), cioè fa prevalere in sé il demonico, nel senso che anche il testo chiarisce. Inte­ grando la dottrina delle potenze (passaggio dalla potenza reale a quella ideale) con l’uso dell’analogia antropologica, Schelling aveva quindi affrontato razionalmente, e non da puro “visionario”, il concetto del­ la mone, connettendola all’antitesi del bene e del male che domina in questo mondo naturale e presentandola come una necessità che permette all’uomo di ritornare al suo vero essere. Dopo la catarsi che avverrebbe con la morte, dell’uomo resterebbe non un puro spirito, astratto o, per così dire, aeriforme, ma il “corpo spirituale”, ciò che nel suo corpo era l’elemento “demonico”.

50 F.W.J. Schelling, Conférences de Stuttgart. Stuttgarter Privatvorlesungen, eie., p. 196. 51 Ivi, p. 74. Le opere che meglio hanno approfondito questo rapporto di Schel­ ling con la teosofia sveva sono R. Schneider. Schellings und Hegels schivabische Geistesahnen, Triltsch, Wiirzburg 1938; E. Benz, Schellings theologische Geistesahnen, Akad., Mainz/Wiesbaden 1955, e, per il testo che qui ci interessa, in particolare W.A. Schulze. Zum Verstàndnisder Stuttgarter Privatvorlesungen, in “Zeitschrift fur Philosophische Forschung”, 1957, 11, pp. 575-593; più di recente: T. Griffero, Oetinger e Schelling. Teosofia e realismo biblico alle origini dell'idealismo tedesco, Nike, Segrate 2000.

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Lo scopo finale della creazione è la riunione dei due mondi ora divisi, di spirito e corpo. Ma quale sarà il destino del male? Nell’ul­ timo dei periodi ipotizzabili, al male non resterà altro che rifugiarsi nell’egoismo divino (fuoco che tutto divora, come viene definito qui e nel testo). Diversamente dalle Ricerche, questa escatologia si conclude con un desiderio e una speranza giustificati dal fatto che il peccato non ha un’origine eterna, perché è riconducibile alla libertà: la “rige­ nerazione” del male, \' apokatastasis panton, che viene nominata nella Nachschrift con un richiamo esplicito alla Prima lettera ai Corinti di San Paolo. Nelle Ricerche, invece, Schelling aveva sostenuto che per realizzare l’idea di perfezione non c’era bisogno di una reintegrazione del male nel bene.52 A proposito di tale speranza vale un’osservazione di Habermas, -/^secondo il quale l’uomo pensato nella sua assolutezza come alter deus — questo a suo parere era il vero tema di tutta la filosofia schellinghiana delle “età del mondo” — appagava almeno teoricamen­ te “il bisogno pratico di dimostrare una fine reale della corruzione di questo mondo”. Habermas vedeva qui “uno schema di ragiona­ mento [Denkfigur]” che funzionò da modello ancora per i marxisti contemporanei nel loro argomentare che “con l’origine storica del dominio è dimostrata in linea di principio anche la possibilità del suo superamento”.53 Questa tesi di Habermas, filosofo che ha ricono­ sciuto anche altre anticipazioni teoriche di Schelling rispetto a Marx, ci fornisce l’opportunità di ricordare, oltre all’attenzione ad esse de­ dicata dai due filosofi italiani loro traduttori, una qualche presenza delle Lezioni di Stoccarda nel dibattito filosofico contemporaneo.54 Per esempio lo stesso Heidegger, nel corso della sua interpretazione della Freiheitsschrift, si è riferito espressamente alle Lezioni relativamente alla presenza del male nella creazione, o meglio agli effetti che la colpa

52 S.W., 1/7, p. 405; tr. ir. cit., p. 203. 53 J. Habermas, Dialektischer Idealismus ini Obergangzum Materialismus, cit., p. 188; tr. it. cit., p. 253. M S. Zizek ha segnalato quello di A. Bowie, Schelling and Modem European Philosophy: An Introdtiction, Routledge, London 1993, come un libro che rende conto anche delle anticipazioni di tendenze del pensiero contemporaneo presenti in Schel­ ling. Cfr. S. Zizek, The Abyss ofFreedom/Ages ofthè World, Ann Arbor, The University of Michigan Press 1997, p. 88 (si tratta di una lunga introduzione alla traduzione inglese delle Età del mondo).

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umana ha avuto sulla natura. I passi da lui citati sono quelli in cui Schelling parla della spiritualità del male, della “guerra” che combatte contro l’essere, quindi della necessità di ammettere qualcosa di più elevato dello spirito stesso, e l’altro nel quale si fa riferimento alla condizione tutt’altro che conciliata in cui la natura versa attualmen­ te.55 Heidegger tuttavia non ha espresso alcun giudizio specifico sulle Lezioni, né si è fermato a rilevarne continuità o rotture. Jiirgen Haber­ mas, invece, interessato principalmente all’idealismo “storico” delle Età del mondo, ha evidenziato alcune componenti materialistiche da cui Schelling in seguito si ritrarrà, ma che hanno proprio a Stoccarda espressioni significative. Idea centrale è risultata per Habermas quella di “contrazione”, derivante dalla tradizione mistica e usata per ren­ dere comprensibile la scissione nell’Assoluto stesso. Ne è nata sì una “visione barocca del mondo, spinta fino all’assurdità, in linguaggio romantico”, ma essa è parsa basilare per una filosofia che si differen­ zia dall’idealismo hegeliano. La dialettica schellinghiana, infatti, non “fa venir fuori l’un dall’altro e dissolvere l’uno nell’altro i principi in quanto suoi momenti. Il movimento, la contrazione appunto, aderi­ sce piuttosto soltanto a uno dei principi, e invero all’inferiore, il quale determina il proprio rapporto verso il superiore, ed anche il modo di reazione di quest’ultimo”.56 Anche per Massimo Cacciati il confronto con i testi dello Schel­ ling intermedio è stato molto utile nell’indagine sul problema dell’ini­ zio, non tanto per la differenza tra Grund ed Existenz, quanto per il conceno di Assoluto come non-fondamento (Ungrund). Esso si trova nella parte finale delle Ricerche e sarà ripreso con ben altro vigore nei Weltalter. In mezzo ci sono le Lezioni di Stoccarda, il cui tema invece “non è l’Ungrund, bensì I’Ur-a«wi, nella sua originaria distinzione e nel suo volerla liberamente manifestare”. Il corsivo usato da Cacciati per ‘wesen’ (essenza/essere) gli serviva proprio a rimarcare che qui ci si trovava già sul piano ontologico, mentre XUngrund rinviava l’asso­ lutezza dell’inizio alla pura indifferenza. Parimenti, nella successiva “narrazione” della vita intradivina fatta nelle Età del mondo, sul mo­ dello del De Trinitate agostiniano, “si epochizza il problema dell’inizio

55 M. Heidegger. Schellings Abhandlung iiber das Wesen der menschlichen Freiheit, cit., pp. 144 c 157; tr. it.: Schelling. Il trattato del 1809 sull’essenza della libertà umana, cit., pp. 204-205 e 221. 56 J. Habermas, op. cit., p. 195; tr. it. cit., p. 262.

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e della sua assoluta distinzione da ogni essenza, dunque anche dall’es­ sere o essenza prima, originaria, dall’Urwesen”.57 Anche più avanti nel suo libro Cacciati citava le Lezioni di Stoccarda a proposito della crea­ zione divina, del ripiegarsi in se stessa da parte dell’essenza originaria, della contrazione divina come Herablassung, “abbassarsi-svuotarsi”, e ricordava la significativa citazione del “Goethe più ermetico”.58 Un altro filosofo contemporaneo, Slavoj Éizek, ha dedicato una particolare attenzione allo Schelling “intermedio”. In quella che è stata definita la sua “opera filosofica più importante”, cioè II resto indivi­ sibile. Su Schelling e questioni correlate™ Éizek ha collocato la “conquista vera di Schelling” proprio nel breve periodo tra il 1805 e il 1815, in cui si collocano i due suoi “capolavori assoluti”, ossia le Ricerche e Le età del mondo'. “Qui si dischiude un universo interamente nuovo: l’universo delle pulsioni pre-logiche, l’oscuro ‘fondamento dell’Essere’ che abita nel cuore di Dio come ciò che è ‘in Dio più di Dio stesso’. Per la prima volta nella storia del pensiero umano, l’origine del Male non è collocata nell’umana Caduta da Dio, ma in una divisione nel cuore di Dio stesso”.60 I Weltalter rappresentano poi “uno dei lavori germinali del materialismo”, o meglio uno dei grandi testi del ma­ terialismo in cui fallisce l’impresa di “fornire una formulazione de­ finitiva dell’inizio del mondo, del passaggio dal caos pre-simbolico del reale all’universo del logos”; nel contempo sono anche “un’opera metapsicologica nel vero senso freudiano del termine”.61 Proprio il re­ cupero di temi pre-moderni (come quelli teosofici) consentirebbe allo Schelling intermedio di “superare la modernità” in direzione postmo­ derna. Guardando anche a lavori successivi di Èizek, tre risultano gli elementi schellinghiani più utilizzati: la contrazione, la distinzione tra fondamento ed esistenza (logica) e la “corporeità spirituale”. Quanto alla “contrazione”, egli ha notato che mentre nelle Età del mondo essa riguarderà la potenza inferiore e precederà l’autoaffermazione di Dio, lasciando pensare a una età in cui Dio non esisteva ancora come tale, ma solo come “infuriare cieco delle passioni incon57 M. Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, Milano 1990, pp. 123-124. 58 Ivi, p. 481. 59 S. Ziìek, Use Invisible Remainder: An Essay on Schelling and Related Matters, Verso, London 1996; tr. ir.: Il resto indivisibile. Su Schelling e questioni correlate, a cura di D. Giordano, Orthoces, Napoli 2012, da cui qui citiamo. 60 Ivi, p. 16. 61 Ivi, p. 31.

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