Lessico, Argomentazioni E Strutture Retoriche Nella Polemica Di Eta Cristiana Iii-v Sec. 9782503543918, 250354391X

Ce volume recueille les actes du Colloque Internationale intitulé "Lessico, argomentazioni e strutture retoriche ne

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Lessico, Argomentazioni E Strutture Retoriche Nella Polemica Di Eta Cristiana Iii-v Sec.
 9782503543918, 250354391X

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16 Lessico, argomentazioni e strutture retoriche nella polemica di età cristiana (III-V sec.)

RECHERCHES SUR LES RHÉTORIQUES RELIGIEUSES

Collection dirigée par Gérard FREYBURGER et Laurent PERNOT VOLUMES PARUS 1 Bibliographie analytique de la prière grecque et romaine. Deuxième édition complétée et augmentée (1898-2003), par les membres du C.A.R.R.A., sous la direction de Gérard FREYBURGER, Laurent PERNOT, Frédéric CHAPOT, Bernard LAUROT. 2 Corpus de prières grecques et romaines. Textes réunis, traduits et commentés par Frédéric CHAPOT et Bernard LAUROT. 3 « Anima mea ». Prières privées et textes de dévotion du Moyen Âge latin, par JeanFrançois COTTIER. 4 Rhétorique, poétique, spiritualité. La technique épique de Corippe dans la « Johannide », par Vincent ZARINI. 5 Nommer les dieux. Théonymes, épithètes, épiclèses dans l’Antiquité. Textes réunis et édités par Nicole BELAYCHE, Pierre BRULÉ, Gérard FREYBURGER, Yves LEHMANN, Laurent PERNOT, Francis PROST. 6 Carmen et prophéties à Rome, par Charles GUITTARD. 7 L’hymne antique et son public. Textes réunis et édités par Yves LEHMANN. 8 Rhétorique et littérature en Europe de la fin du Moyen Age au XVIIe siècle. Textes réunis et édités par Dominique DE COURCELLES. 9 L’étiologie dans la pensée antique. Textes réunis et édités par Martine CHASSIGNET. 10 Supplicare deis. La supplication expiatoire à Rome, par Caroline FÉVRIER. 11 La rhétorique de la prière dans l’Antiquité grecque. Textes réunis et édités par Johann GOEKEN. 12 Julius Valère, Roman d'Alexandre. Texte traduit et commenté par Jean-Pierre CALLU. 13 L’Enseignement de la rhétorique au IIe siècle après J.-C., par Jean-Luc VIX. 14 Rhétorique et poétique de Macrobe dans les ‘Saturnales’, par Benjamin GOLDLUST. 15 Aelius Aristide et la rhétorique de l’hymne en prose, par Johann GOEKEN.

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RECHERCHES SUR LES RHÉTORIQUES RELIGIEUSES Collection dirigée par Gérard FREYBURGER et Laurent PERNOT

16 Lessico, argomentazioni e strutture retoriche nella polemica di età cristiana (III-V sec.) a cura di Alessandro CAPONE

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© 2012, Brepols Publishers n.v., Turnhout, Belgium. All rights reserved. No part of this book may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise, without the prior permission of the publisher.

D/2012/0095/13 ISBN 978-2-503-54391-8 Printed on acid-free paper

PRÉFACE

La Collection Recherches sur les Rhétoriques Religieuses publie des ouvrages dans lesquels la rhétorique apparaît comme un moyen de dire le religieux, c’est-à-dire, pour l’homme désireux de solliciter la divinité, de la célébrer ou d’entrer en communication avec elle, comme un moyen d’exprimer un message à son intention, parfois aussi à l’intention des autres hommes : les domaines ainsi abordés son celui de la prière grecque et romaine (tomes I, II et XI), celui de la dévotion médiévale (tome III), celui de la nomination divine (tome V), celui du carmen et des prophéties (tome VI), celui de l’hymne antique (tomes VII et XV), celui de l’étiologie pratiquée dans l’Antiquité (tome IX), et celui du rituel avec la cérémonie romaine de la supplicatio (tome X). La collection s’étend à la littérature, dans ses rapports avec la rhétorique et avec la religion (tomes IV, VIII, XII, XIII, XIV). Dans le présent ouvrage, il s’agit du discours d’hommes férus de religion, polémiquant entre eux sur des points religieux, à une époque à la fois riche et troublée : la période du IIIè au Vè siècle ap. J.-C., qui connut les persécutions les plus sanglantes contre les chrétiens. Mais les polémiques analysées dans ce livre ne se limitent pas aux controverses entre païens et chrétiens : sont également prises en compte des polémiques de païens entre eux et de chrétiens contre des juifs. L’originalité de l’enquête est en particulier de mettre au jour dans tous ces cas, outre l’intérêt des points eux-mêmes faisant l’objet des débats, l’aspect rhétorique et lexical des discussions, les diverses modalités du discours polémique : argumentaires des controverses, motifs tels que celui du plagiat, ironie et sarcasme, reprise de modèles antérieurs, utilisations de textes bibliques et antiques, stratégies interprétatives, réminiscences classiques et bien d’autres procédés encore. Ce livre rassemble les contributions présentées à Lecce, dans la Région des Pouilles, lors d’un colloque international consacré à ce thème en 2010 : ce colloque fut lui-même l’aboutissement d’un vaste programme de recherche, lancé dès 2004 et regroupant un grand nombre d’institutions universitaires italiennes, avec la participation de nombreux collaborateurs étrangers. C’est donc le riche résultat d’une recherche initiée par la science italienne et menée pendant un laps de temps important, qui est présenté dans cet ouvrage. Gérard FREYBURGER & Laurent PERNOT

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INTRODUZIONE

Il presente volume raccoglie gli atti del Convegno Internazionale dal titolo “Lessico, argomentazioni e strutture retoriche nella polemica di età cristiana (III-V sec.)”, tenutosi a Lecce nei giorni 9-10 aprile 2010. L’iniziativa si inserisce nell’ambito del più ampio Programma di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) sulle “Forme della polemica in età cristiana”, al quale hanno partecipato, insieme all’Università del Salento, gli atenei di Catania, Cosenza, Firenze, Foggia, Genova e Napoli. Questo consorzio di ricerca, geograficamente molto esteso e al contempo ben compatto, è nato nel 2004 grazie alle capacità organizzative e all’autorevolezza scientifica di Marcello Marin1. L’idea di concentrare l’attenzione di tanti studiosi sulla tematica della polemica in età tardoantica è nata all’interno dell’Unità di Ricerca leccese, coordinata da Valerio Ugenti, e ha raccolto l’immediato consenso di tutti gli altri partecipati al Programma, i quali hanno contribuito ad ampliarla in maniera significativa a partire dagli ambiti di ricerca e dagli approcci scientifici propri delle varie scuole. All’interno del Programma di ricerca il Convegno leccese segue ed è in stretta continuità con i precedenti incontri che hanno avuto luogo a Cosenza e Foggia. Nel primo (21-22 maggio 2009) sono stati messi a fuoco i possibili approcci metodologici, gli aspetti storiografici e la bibliografia sulla polemica nel cristianesimo antico; nel secondo (18-20 novembre 2009) l’attenzione è stata concentrata sulla letteratura polemica e sui paradigmi controversiali, sviluppando l’indagine dalla tradizione antica alle forme della polemica in età moderna. Da questi incontri sono emerse due direttive complementari: da un lato l’esigenza di definire in linea teorica che cosa sia la polemica, quali siano gli elementi costitutivi e caratteristici e i generi letterari propriamente polemici; dall’altro l’atteggiamento più pragmatico di investigare le modalità e i contenuti della polemica nei diversi contesti socio-culturali e all’interno dei vari generi letterari. Il presente Convegno, come si può già notare dai titoli dei contributi, si inserisce in quest’ultima direttiva con l’obiettivo di sviscerare i temi e le forme della polemica e pertanto di mettere a fuoco gli aspetti legati 1

Tra i risultati dell’attiva collaborazione di questi atenei ricordo il volume Interpretare e comunicare. Tradizioni di scuola nella letteratura latina tra III e VI secolo (Auctores Nostri 4, 2006). VII

INTRODUZIONE

alla sapientia e all’eloquentia, per dirla con Agostino, che giocano un ruolo fondamentale nel dibattito polemico intraecclesiale ed extraecclesiale con i pagani e i giudei. In questo senso non può che giovare, oltre all’apporto degli studiosi di Letteratura cristiana antica, anche il contributo di storici del cristianesimo, grecisti, latinisti, medievisti e filosofi. Si tratta di approcci molto diversificati che hanno consentito di fare del Convegno leccese una tappa di rilievo all’interno del Programma di ricerca. Quando competenze e punti di vista differenti entrano in dialogo, l’esito culturale è senza dubbio positivo e il presente volume ne è una felice testimonianza. Sull’apporto innovativo offerto dai singoli studi qui raccolti si rinvia alla sintesi conclusiva; qui però sembra opportuno dare ragione dell’articolazione in tre grandi sezioni: I. Temi e aspetti della polemica religiosa; II. Lessico e strutture retoriche del discorso polemico; III. Religione e retorica: sviluppi successivi. La prima parte riunisce gli interventi che esaminano i contenuti delle varie polemiche sviluppatesi in epoca patristica: la polemica tra pagani e cristiani, tra pagani e pagani e infine tra cristiani e giudei. Già a prima vista si può notare come questa sezione offra un specimen piuttosto corposo e articolato, sia sincronico sia diacronico, delle idee e dei punti critici che animavano il dibattito culturale e in particolare religioso in età tardoantica e altomedievale. I contributi si collocano all’interno dell’ampio orizzonte ermeneutico invocato da Rinaldi, in cui, superando i ristretti ambiti disciplinari di parte degli studi moderni, si può più realisticamente avere una nozione adeguata della complessa situazione socio-culturale della Tarda Antichità: la polemica tra pagani e cristiani è oggetto delle indagini di Veronese sotto il profilo letterario, di Cataldo sotto l’aspetto esegetico e infine di Novembri in ambito agiografico; la polemica tra pagani e pagani è stata studiata da Micalella, che ha messo in luce il progetto satirico e filosofico di Giuliano contro i Cinici; la polemica antigiudaica è rappresentata dallo studio di Aulisa, che si è soffermata sui testi agiografici altomedievali. La seconda sezione privilegia il taglio retorico e lessicale dei testi polemici. Ordinati cronologicamente, come i precedenti, questi contributi consentono di individuare il motivo del plagio nella polemica intraecclesiale (Vox), il tentativo di demolizione della mitologia classica (Santorelli), il riscorso di Giuliano alle Scritture nella critica sferrata contro il Cristianesimo (Ugenti), gli echi della polemica con Eunomio nell’Omelia sul Salmo 29 di Basilio (Trabace), l’accurata elaborazione retorica che emerge nel contraddittorio tra Macario e l’oppositore pagano sia nel lessico e nelle sezioni narrative (Capone) sia nell’uso delle clausole retoriche (Filippo), le caratteristiche lessicali del topos del dialogo tra il santo e il diavolo nell’agiografia tardoantica (Zanghi). In questa stessa parte compare anche il contributo di Ferreres che mette in luce il riuso dei testi classici e dell’opera di Cipriano nel De laude martyrii. Nel complesso la

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INTRODUZIONE

sezione offre spunti ricchissimi per una panoramica delle argomentazioni e delle strutture retoriche presenti in opere polemiche appartenenti a generi letterari differenti. Gli studi sul lessico delineano d’altro canto un quadro linguistico assai vivace, arricchito e ricodificato dal dibattito culturale e religioso. La terza parte, di dimensioni più ridotte, rappresenta una sorta di incursione in un terreno lontano a prima vista dal nucleo principale del volume. Tuzzo illustra il tentativo di Rosvita di riscrivere i drammi terenziani in un contesto ben differente da quello originario, Rizzo sottolinea l’approccio differente di Erasmo e Lutero alle Scritture e alla visione di Cristo nella polemica sul libero arbitrio. Infine, desideriamo esprimere il più sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato con impegno ai lavori del Convegno e a quanti ne hanno reso possibile la realizzazione (Dipartimento di Filologia Classica e Scienze Filosofiche dell’Università del Salento; Dottorato in Filologia ed ermeneutica del testo della stessa Università; Monte dei Paschi di Siena; Provincia di Lecce; Lions club di Copertino). Ringraziamo ancora Gérard Freyburger e Laurent Pernot, direttori della collana Recherches sur les Rhétoriques Religieuses, e la casa editrice Brepols per la disponibilità e l’interesse che hanno dimostrato nei confronti della nostra iniziativa. Un ringraziamento particolare sia concesso indirizzare a Valerio Ugenti, che mi ha avviato allo studio della letteratura cristiana antica e con il quale da anni ho il piacere di collaborare. A. C.

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PRIMA PARTE TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA

CONTUMELIAE COMMUNES. CIRCOLAZIONE DI TESTI E ARGOMENTI NELLE CONTROVERSIE RELIGIOSE DI ETÀ ROMANA IMPERIALE

1. I COSTI DEGLI SPECIALISMI Tra la società antica, oggetto del nostro interesse, e l’organizzazione dei nostri studi v’è stato talvolta un rapporto disorganico che ha penalizzato la comprensione piena delle dinamiche e delle spinte sociali le quali hanno caratterizzato quell’universo di uomini e di idee che s’intendeva comprendere. Pertanto la differenza tra il nostro oggetto di studio e la nostra organizzazione delle discipline è sembrata assimilabile a quella che intercorre tra una selva lussureggiante e un ordinato manuale di botanica, spesso per giunta privo di illustrazioni! Intendo dire che nella società di età romana imperiale l’integrazione tra i diversi gruppi religiosi è stata molto più fitta di quanto non si sia ritenuto da parte dei moderni: personaggi, idee, testi, etc. hanno conosciuto una circolazione rapida e profonda determinando controversie, assimilazioni, sincretismi, sintesi e ricorrenti (ri)definizioni di identità. Questo quadro vivace, variegato e policromo è tale da non poter essere adeguatamente colto da studiosi che hanno fatto dei propri specialismi qualcosa di simile alle monadi di Leibniz, unità compatte e tra loro incomunicabili. Per fortuna la situazione è radicalmente cambiata negli ultimi anni. I risultati più fecondi della ricerca storica nel campo della Tarda Antichità sono stati raggiunti proprio superando i tradizionali ambiti / ghetti disciplinari e cercando di mettere in relazione testi e correnti diverse di pensiero. Cristianesimo, religioni del mondo classico, giudaismo, gnosticismo, manicheismo, culti dei misteri furono allora realtà permeabili e sono ora incomprensibili senza la conoscenza del loro costante reciproco gioco di interazione. L’archeologia offre illustrazioni efficaci di quanto abbiamo or ora affermato. Basterà fare una passeggiata per Ostia antica e notare come a pochi passi l’uno dall’altro sono collocati i mitrei, la basilica cristiana, la sinagoga, il tempio di Ercole, etc. Lo stesso possiamo dire per Dura Europos, in oriente, dove pure locali di culto di giudei, cristiani, mitraisti, etc.

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TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA

si collegavano con agevoli percorsi. E cosa dire delle sepolture ‘miste’, quelle nelle quali l’iconografia ‘cristiana’ convive con quella ‘pagana’ creando all’esegeta moderno un disagio, nella sua esigenza di catalogazione, che si era ritenuto di superare ricorrendo alla piuttosto vaga categoria di “catacomba ereticale”. Si concluda con il ricordo delle gemme cosiddette ‘gnostiche’ le quali sono in ogni caso un’attestazione del sincretismo religioso della tarda antichità. Possiamo credere che mondi religiosi diversi abbiano vissuto senza conoscere fitti momenti di incontro, di dialogo e di scontro? Possiamo pensare che uomini proclivi alla lettura si siano limitati a leggere esclusivamente la produzione della loro ‘setta’? L’acquisizione di un metodo integrato per lo studio della religiosità di età romana imperiale mette dunque le cose in movimento e, proprio in virtù di tale movimento, costituisce lo strumento più adeguato per interpretare l’effettiva realtà che si desidera comprendere.

2. OCCASIONI, LUOGHI E MODELLI DI DIALOGO Anni or sono ebbi modo di interrogarmi sulla circolazione di testi biblici (giudaici e cristiani) tra i pagani di età romana imperiale. La ricerca1 prendeva le sue mosse da una considerazione, se così si vuole, banale: la circolazione di testi e di idee in quell’epoca doveva essere rilevante almeno quanto quella delle merci e degli uomini; inoltre sembrava strano che la civiltà classica, pervenuta a un così alto livello di raffinatezza culturale, si fosse avviata al suo tramonto lasciando spazio alla novità cristiana silenziosamente, cioè senza formulare alcun giudizio anche su quei testi che tale novità fondavano. La pista d’indagine era gravata da difficoltà di vario genere che giova ricordare anche in questa sede: l’estrema scarsità dei documenti,2 la Segnalo in particolare: GIANCARLO RINALDI, Biblia Gentium. Primo contributo per un indice delle citazioni, dei riferimenti e delle allusioni alla Bibbia in autori pagani, greci e latini di età imperiale, Roma 1989; ID., La Bibbia dei pagani. 2 voll., Bologna, Edizioni Dehoniane,1998 (La Bibbia nella storia, 19-20); ID., La Bibbia dei Gentili. Tre riflessioni sulla conoscenza della Bibbia tra i pagani, in Saggezza straniera. Roma e il mondo della Bibbia. Atti del seminario invernale dell’Associazione Biblia. Verbania Intra, 30 gennaio – 3 febbraio 2002, Settimello Firenze, Edizioni Biblia, 2004, pp. 189-226. Il secondo volume de La Bibbia dei pagani contiene un’antologia di testi collocati in ordine progressivo ciascuno con numerazione propria, pertanto d’ora in poi l’indicazione Rinaldi n° costituirà un rimando ai testi contenuti in questa raccolta. 2 Il fatto che la storia venga scritta da chi vince (anche questa una banalità, ma vera!) ha comportato la scomparsa quasi totale di quelle pagine di autori pagani che prendevano di mira i testi biblici formulando accuse al loro indirizzo. La letteratura anticristiana è nota soltanto da frammenti e riecheggiamenti pervenutici tramite i confutatori di questa stessa. Celso sopravvive in frammenti presso Origene; più disperato è 1

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novità stessa del tema trattato,3 gli idola tribus degli pseudo specialisti.4 In ogni caso ebbi modo di raccogliere due corpora di testi5 che documentavano un dibattito tra pagani e cristiani in merito alle Scritture e che, talvolta, sorprendevano per l’acutezza di alcune letture pagane della Bibbia. Non è il caso di ripetere gli esiti della mia indagine sulla Biblia gentium. In questa sede vorrei limitarmi ad approfondire soltanto un tema particolare emerso da tale ricerca: la grande circolazione di argomenti controversistici, spesso identici e ricorrenti, che è attestata in età romana imperiale tra pagani, giudei, cristiani, gnostici, marcioniti e manichei. Per non parlare di quelle ampie fasce che, dal punto di vista religioso, costituivano zone franche e indistinte tra una confessione e l’altra6 e che noi solitamente releghiamo nella generica categoria del sincretismo.7 Questi topoi controversistici sono stati inoltre ingredienti indispensabili per levigare, plasmare e definire le dottrine religiose: è noto che l’identità di un gruppo si determina e si accentua attraverso la controversia e non già in virtù del dialogo. Il dialogo religioso, infatti, è piuttosto il portato dell’età moderna nella quale ci si dispone ad ascoltare le ragioni e le convinzioni dell’altro,

il caso di Porfirio; Giuliano molto parzialmente è riportato da Cirillo di Alessandria, etc. Siamo fortunati quando possiamo ricavare gli ipsissima verba, solitamente ci si deve accontentare di ricostruire il senso della critica pagana attraverso la confutazione dell’apologeta cristiano. È grosso modo una situazione simile a quella della letteratura ‘ereticale’ e, più in particolare gnostica. Ma un eventuale corpus di Nag Hammadi relativo ai controversisti anticristiani giace ancora sotto la polvere! 3 In realtà se il tema generale della controversia tra paganesimo e cristianesimo era stato ampiamente sviscerato, lo stesso non poteva dirsi per quanto riguarda la controversia relativa ai testi sacri a giudei e cristiani. E tale era, appunto, il tema che mi stava a cuore. 4 Le “culture di crinale” hanno da sempre costituito una sfida per gli studiosi che hanno alimentato la propria autostima grazie a un obiettivo d’indagine limitato ad àmbiti cronologici o tematici ristretti. Gli specialismi accademici sono in realtà prodotti di laboratorio. In definitiva: mondo classico, mondo giudaico, mondo cristiano… sono soltanto etichette moderne applicate a una società antica molto più fluida, policroma e integrata, quanto alle sue componenti, di quello che inducano a pensare le titolarità dei moderni insegnamenti. 5 Cfr RINALDI, Biblia gentium e RINALDI, La Bibbia dei pagani, II. 6 Bisognerà ammettere che tra i seguaci di una identità religiosa ben definita e quelli di un’altra, altrettanto ben definita, vi furono sempre individui che facevono propri riti e dottrine dei due campi; erano coloro che non avevano conosciuto un netto processo di conversione o che portavano in loro residui delle loro antiche convinzioni. Qui s’innesta il discorso generale sul sincretismo religioso e l’indagine sul suo significato e la sua portata. La bibliografia su questa fattispecie non è certo vasta, cfr CHARLES GUIGNEBERT, Les demis–chrétiens et leur place dans l’Eglise antique, in «Revue de l’histoire des religions», LXXXVIII (1923), pp. 65–102. 7 Cfr Syncretism. Symposium on cultural contact, meeting of religious syncretism, held at Åbo on the 7-9 Sept. 1964, ed. Helmer Ringgren, Stockholm 1967.

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vuoi perché si è consapevoli della difficoltà del tema in questione, vuoi per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, vuoi per favorire un sereno clima di civile convivenza. È questa la strada e il metodo dell’ecumenismo, completamente sconosciuto ai cristiani per l’epoca della quale stiamo parlando, nella quale la consapevolezza di professare la vera dottrina determinava ipso facto la condanna delle convinzioni di chi la pensava diversamente e della sua stessa persona.8 Si aggiunga, inoltre, che il discorso religioso era generalmente connesso alla dimensione soteriologica9 e che, di conseguenza, l’errore non era ritenuto tanto uno sbaglio della mente pensante quanto invece l’anticamera della perdizione, in concreto esso era sempre qualcosa di pernicioso che andava senza mezzi termini condannato quando non represso. La civiltà classica, la cui professione religiosa noi genericamente etichettiamo come ‘politeismo’ fu, per adoperare un termine moderno, ‘tollerante’ verso quei culti diversi, ma non ritenuti socialmente pericolosi. Il concetto di ‘eresia’ le era pertanto estraneo, parallelamente a quello di ‘ortodossia’. I rigori della legislazione, dunque, non colpivano il dissenso dottrinale, cioè qualcosa di astratto e di relativo esclusivamente alla sfera del pensiero, bensì comportamenti concretamente trasgressivi, cioè lesivi per l’individuo o per la res pubblica. Con l’introduzione da parte degli imperatori cristiani del reato di eresia, un processo attestato nelle constitutiones raccolte sotto il titolo quinto del libro XVI del Codex Theodosianus, si volle colpire un atto della volontà piuttosto che un concreto comportamento. Il legislatore, infatti, recepì pienamente quell’assunto della teologia cristiana (catholica) secondo il quale l’errore religioso (eresia) non è il prodotto della fragilità della mente umana che talvolta sbaglia, ma è l’esito dell’esercizio di una volontà deliberatamente perversa che sceglie a ragion veduta di abbracciare l’errore o a ciò è indotto anche in quanto preda di vessazioni demoniache. Possiamo dunque essere sicuri che testi e testimonianze di fede religiosa circolavano per le vie e le rotte marittime dell’impero (e oltre) così 8 Forse possiamo citare il vecchio Apelle quale pensatore che serenamente ammetteva le difficoltà in tema di definizioni teologiche e i limiti della sua umana comprensione; ciò, tuttavia, non gli impediva di formulare giudizi netti sui testi profetici del giudaismo asserendo che essi erano ȎŹɝųżſŴŶŰ… žŬŻūŬɋŸ… ȎŴźŰűŬɃųŬŴŨŰ…, cfr EUS., Hist. eccl., V,13,5-13. 9 I movimenti religiosi di età romana imperiale erano accomunati da un’ansia di salvezza, ma essi la concepivano in modo e con contenuti totalmente diversi. Ad esempio: per un pagano, seguace dei culti civici romani, la salvezza poteva essere la pax deorum che assicurava prosperità all’impero; per un iniziato alle religioni dei misteri la salvezza aveva connotati più individuali e una proiezione post mortem; per un devoto di Asclepio salvezza suonava sinonimo di guarigione; per un giudeo la salvezza poteva essere il regno di Dio da venire o, magari, la liberazione dal giogo dei romani; per un cristiano la salvezza era l’unione con Gesù in questa vita e oltre; per uno gnostico era la liberazione del suo Io divino dalla materialità, e così via.

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CONTUMELIAE COMMUNES

come le merci, determinando contrapposizioni, conversioni, comunque sintesi di volta in volta nuove. Le vie attraverso le quali ebbe a compiesi questa interazione tra il mondo dei cristiani e quello esterno possiamo immaginare siano state molteplici.10 Non ci si dimentichi che pagani e cristiani frequentavano le stesse scuole,11 avevano le stesse sepolture,12 militavano sotto le stesse insegne13, etc. Le polemiche sulle piazze non dovevano essere rare.14 Talvolta erano i pagani che entravano in ambienti cristiani per ascoltare15 e, perché no, forse anche per polemizzare. Altra volta erano testi da loro redatti, che contenevano attacchi alle Scritture o

Su queste interazoni cfr in generale RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, pp. 47-56. Alla bibliografia in RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, p. 48seqq. si aggiunga LEONARDO LUGARESI, Studenti cristiani e scuola pagana. Didaskaloi, logoi e philia, dal Discorso di ringraziamento a Origene all’Orazione funebre per Basilio di Gregorio di Nazianzo, in «Cristianesimo nella storia», XXV (2004), pp. 779-832. 12 Le sepolture miste sono state una prassi ampiamente attestata per i primi secoli cristiani; eleganti ed eloquenti esempi a Roma: l’ipogeo di via Dino Compagni e la catacomba di Vibia e Vincentius sull’Appia antica. Nella prima raffigurazioni bibliche convivono con scene della mitologia pagana connesse all’oltretomba, nella secondo elementi cristiani sono inseriti nel contesto di memorie di seguaci di Sabazio e di Mitra. Per questo carattere composito Peter Brown parlava di “confine inesplorato fra cultura pagana e cultura cristiana”, cfr PETER BROWN, Aspetti della cristianizzazione dell’aristocrazia romana, in ID., Religione e società nell’età di S. Agostino, trad. it., Torino, Einaudi, 1975, p. 163 (originale nel «Journal of Roman Studies», LI, 1961, pp. 1-11). Celso ironizzò in uno stesso passaggio su Giona “sotto la zucca” o Daniele scampato dalle belve, cfr OR., Cel., VII,53; è interessante notare che l’uno e l’altro personaggio costituiscono il tema delle più antiche raffigurazioni funerarie cristiane. Vi sono a mio avviso buone probabilità secondo le quali il pagano sia stato colpito più che dalla lettura dei rispettivi libri veterotestametari da un ciclo iconografico. In particolare la vicenda di Giona continuò a suscitare le ilarità dei pagani, cfr AUG., ep., 102,30 (è una quaestio che deriva ex irrisione paganorum) e HIER., in Ion., 2,2. 13 Non entro nello spinoso problema della militanza dei cristiani nell’esercito di Roma. Problema nel quale spesso il radicalismo dei moderni contendenti ha fatto dimenticare una semplice, ovvia realtà di fatto: l’adesione dei cristiani al manifesto etico del messaggio di Gesù, in questo caso parleremo di etica della pace, era allora come oggi disomogenea, per cui accanto a chi si asteneva dalle armi per amor di pace o per dissenso verso la religio casternsis, nelle comunità si trovavano anche militari cristiani convinti della liceità della loro missio. Sappiamo che l’esercito ha costituito un veicolo di diffusione di culti, specialmente orientali. 14 La letteratura cristiana antica è piena di dialoghi fittizi, sia con giudei che con pagani. Sono troppo numerosi e troppo noti i loro titoli perché qui se ne dia un elenco. Si pensi al fronte antigiudaico (il Dialogo con Trifone di Giustino) o a quello antipagano (l’Octavius di Minucio Felice). Tuttavia la convenzionalità di queste cornici letterarie non cancella l’innegabile esistenza di dibattiti effettivamente svoltisi e la successiva utilizzazione in opere scritte degli argomenti discussi. Un classico prezioso esempio è l’Apocritico di Macario di Magnesia il quale si presenta come il resoconto di un dibattito (probabilmente mai accaduto) tra un pagano e un cristiano, però ci trasmette quaestiones autenticamente pagane. Cfr IUST., 2 Apol., 3,6; AUG., Enarr. in Ps., 34,8. 15 Cfr AMBR., In Ps., 36,61 e AUG., Serm., 61 (Dolbeau) Cum pagani ingrederentur. 10

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alle dottrine della chiesa, i quali circolavano in ambienti cristiani e seminavano dubbi.16 Si trattava di testi di ampia mole o magari più spesso solo di esigui excerpta.17 Così frequentemente v’erano dei cristiani che avevano discusso di religione con pagani, magari più preparati culturalmente, e pertanto erano entrati in crisi a sèguito di queste conversazioni, e poi si erano rivolti al loro pastore al fine di ricevere rassicuranti delucidazioni.18 A titolo di esempio avremo ora modo di catalogare alcuni temi di controversia attestati in diversi àmbiti confessionali. Ma, si badi bene, si tratta soltanto della punta di un iceberg: la letteratura di pagani, eretici e gruppi marginali è sopravvissuta soltanto molto frammentariamente nella misura in cui si era contrapposta all’egemonia della Catholica lex.

3. INCIDENZE PAGANE SULL’ESEGESI BIBLICA PATRISTICA Si è generalmente concordi, e da molto tempo, nell’ammettere che i testi afferenti all’apologetica abbiano costituito le prime attestazioni di uno sforzo dei cristiani per definire la loro teologia. Questa affermazione implica però doverosamente l’altra secondo la quale alla definizione della dottrina cristiana abbia contribuito (e anche in modo cospicuo!) la necessità di prendere in considerazione, per contrastarle, le argomentazioni dei pagani. Più recente è invece l’attenzione che i filologi del Nuovo Testamento19 hanno rivolto alle citazioni bibliche di autori pagani da valorizzare a fianco di quelle patristiche per la definizione della storia del testo del Nuovo Testamento.20 CYR., C. Iul., 3d-4a afferma che l’Adversus Galilaeos di Giuliano ad Alessandria era diffuso proprio nelle case dei cristiani e che la sua lettura seminava dubbi e crisi tra i credenti, talché le guide delle comunità si vedevano costrette a provvedere. Da questa stessa testimonianza apprendiamo che alcuni cristiani erano addirittura indotti a considerare Giuliano un buon esegeta delle Scritture. Anche la copta Storia della Chiesa di Alessandria attesta la circolazione dell’opera giulianea tra i cristiani d’Egitto, cfr nell’ed. di T. Orlandi, II, Milano, Cisalpino Goliardica, 1970, pp. 77seqq. 17 LACT., Inst., V,4. 18 Nell’età di Marco Aurelio, ad esempio, il convertito dalla gnosi valentiniana Ambrogio fu turbato dalla lettura del Discorso veritiero di Celso e si rivolse a Origene per chiederne una confutazione. 19 Si noti tuttavia che già EBERHARD NESTLE, Einführung in das Griechische Neue Testament, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1909, p. 298 e EUGÈNE JACQUIER, Le Nouveau Testament dans l’Eglise chrétienne, Paris, Lecoffre, 1913, p. 115 raccomandavano di perseguire questo tipo di ricerca. 20 Alcuni casi classici: a. La critica di Celso in OR., Cel., II,27 sembra attestare da parte del pagano una conoscenza di varianti testuali o di più redazioni o versioni della medesima storia. b. PORPH., C. Christ., fr. 10 a proposito di Mt 13,35 nota l’erronea attribuzione ad Isaia di una frase di Asaf: il caso diede filo da torcere a Girolamo, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 293seq. per altre attestazioni e bibliografia. 16

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Molto meno sviluppata è invece la ricerca relativa alle influenze che la lettura biblica dei pagani ha esercitato sull’esegesi dei Padri della Chiesa. Per impostare adeguatamente una verifica dei dati disponibili, infatti, è a mio avviso indispensabile disporre preliminarmente di una ordinata Biblia gentium, cioè di un repertorio critico delle citazioni bibliche in autori pagani. Sulla scorta dei dati da me raccolti nel perseguire questo filone di indagine mi è possibile sottoporre qui di sèguito all’attenzione dei lettori alcuni (pochi ma significativi) esempi di incidenza di autori pagani sull’esegesi biblica patristica: a. L’aspetto di Gesù L’interesse dei cristiani per farsi un’idea, un’immagine di quello che era stato il volto di Gesù ha dovuto fare i conti dapprima con le note affermazioni di Is 53,2-3, sempre da loro intese in chiave messianica, secondo le quali il Servo di Dio avrebbe avuto un aspetto non particolarmente gradevole, anzi sarebbe stato visibilmente dimesso. Si sa che progressivamente l’iconografia cristiana ha elaborato una raffigurazione di Gesù Cristo sempre più maestosa, fino a giungere agli splendori dell’arte bizantina.21 Girolamo ha riflettuto sull’aspetto di Gesù fondando la sua convinzione che questo sarebbe stato ammirabile sull’affermazione di Ps 45,2: “Tu sei bello, più bello di tutti i figli degli uomini…”. Ma non basta. Egli ha anche argomentato sulla particolare capacità attrattiva di Gesù citando i brani evangelici22 nei quali i discepoli lo seguono immediatamente dopo averne fissato lo sguardo; costoro - egli sostiene - sarebbero stati effettivamente da rimproverare se avessero abbandonato tutto guar-

C. PORPH., C. Christ., fr. 11 critica Mt 1,11-12 per aver omesso nella genealogia di Gesù il nome di Joachim, figlio di re Giosia; probabilmente il rilievo nasce da una collazione con 1 Par 3,17-19 dove tale nome figura. Nella tradizione manoscritta del vangelo v’è una tendenza armonizzante che inserisce il nome, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 268seq. d. PORPH., C. Christ., fr. 9B a proposito di Mc 1,1 rileva l’erronea attribuzione al solo Isaia di un brano che comprende anche Malachia: la tradizione manoscritta cristiana presenta infatti un testo emendato che fa riferimento generico “nei profeti”, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 326seq. e. Le citazioni neotestamentarie del pagano confutato da Macario di Magnesia fanno ipotizzare l’utilizzo del testo occidentale, cfr MAC. MAGN., Apocr., III,16; II,12; II,15. f. La chiusura lunga di Marco presso Celso e l’anonimo di Macario di Magnesia, cfr OR., Cel., II,55 (e le osservazioni in RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 317); MAC. MAGN., Apocr., III,16. 21 Cfr CLEMENTINA MAZZUCCO, Il volto di Cristo nei Padri della Chiesa, in EUGENIO CORSINI ET ALII, Il volto di Cristo, Torino, Thélème,1999, pp. 53-70. 22 Mt 9,9; Mc 2,13-17.

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dando un uomo nel quale non era da ravvisare niente di eccezionale.23 Si noti che altrove24 Girolamo ha affermato che i pagani Porfirio e Giuliano avevano criticato i discepoli di Gesù per averlo seguito estemporaneamente senza troppo riflettere. Ne concludiamo che la convinzione dell’esegeta di una particolare bellezza di Gesù fu dedotta dalle Scritture e dalla sua riflessione esegetica proprio dietro lo stimolo delle critiche di pagani a precisi brani biblici.25 b. Gesù nel Getsemani La paura di Gesù di fronte alla morte, il suo sudar sangue e il soccorso recatogli da un angelo hanno costituito argomento di discussione tra i cristiani nel contesto delle dispute sulla divinità di Gesù. Sappiamo che l’episodio era citato dagli ariani a sostegno delle loro dottrine.26 Anche Giuliano vi insistette facendo rilevare che nel Vangelo di Giovanni27 esso non è riportato, ma figura in quello di Luca. E poi, come fece Luca a conoscere quei fatti – si domandava il pagano - se, come si legge nel vangelo stesso, chi accompagnava Gesù aveva dormito profondamente? L’assenza dei versetti 43-44 di Lc 22 in molti manoscritti neotestamentari attesta come sia stata tormentata la trasmissione di questi particolari criticati in àmbito pagano.28 Sappiamo, tra l’altro, che l’esegesi di questo episodio di Teodoro di Mopsuestia29 fu profondamente condizionata dalla critica giulianea la quale, ancòra una volta, girava il coltello nella piaga delle discordanze tra i testi evangelici e delle controversie tra cristiani sulla natura umano divina di Gesù le quali erano così vivaci all’epoca sua. c. Il conflitto d’Antiochia È noto che la prima decade del sec. V vide fortemente contrapposti Girolamo e Agostino a proposito dell’interpretazione da dare al conflitto tra Pietro e Paolo di cui parla quest’ultimo nel secondo capitolo della sua lettera ai Galati. Il disagio degli esegeti cristiani era motivato dalle critiche che Porfirio aveva mosso ai due “principi degli apostoli” per il loro com-

23 HIER., Comm. in Mc., 11,15 dove aggiunge: “Forse che qualcuno lascia il padre per seguire uno in cui non vede niente di più di quanto ha suo padre?”. 24 HIER., In Matt., 2,9,9. 25 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 413seq. 26 EPIPH., Panar., 69,19,4; Anc., 31,5; 37,1-7. Anche il pagano Celso vi tesse una sua critica, cfr OR., Cel., II,24. 27 Giovanni, autore del vangelo, era ritenuto esser presente durante l’episodio. 28 RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 353seq. 29 AUGUSTO GUIDA, Teodoro di Mospuestia, Replica a Giuliano imperatore, Firenze, Nardini Editore, 1994, pp. 97-101.

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portamento reciprocamente ostile e per il loro scontro dottrinale30. Da Girolamo apprendiamo che tutta una serie di esegeti cristiani orientali31 a lui precedenti aveva sviluppato l’interpretazione di questo capitolo proprio in funzione antipagana ricorrendo alla tesi della “dissimulazione diplomatica”, cioè ritenendo il diverbio fittizio, in altri termini considerandolo un espediente didattico, e ciò proprio per mettere a tacere le accuse di Porfirio. In realtà anche Agostino, che interpretava il passo alla lettera riconoscendo la natura reale della disputa, era condizionato dalla necessità di contrastare Porfirio32 e i pagani33.

4. AI GIUDEI COME POI AI CRISTIANI Che i seguaci di Gesù abbiano costituito una corrente tra le tante nell’àmbito del cosiddetto ‘mediogiudaismo’ può considerarsi una dato di fatto, acquisito non da tempo recente. È lecito, dunque, domandarsi: quando i cristiani iniziarono a costituire un corpo, una denominazione religiosa a sé stante? Su ciò oggi infatti si discute34 e i pareri variano collocandosi, per così dire, tra i due poli costituiti rispettivamente da coloro che intendono alla lettera le informazioni degli Atti degli Apostoli le quali fanno risalire all’epoca di cui parlano la separazione tra giudei e seguaci di Gesù, e da quanti invece questa separazione giungono a collocarla nel secolo secondo. A tale questione noi possiamo aggiungere l’altra: quando Cfr PORPH., C. Christ., fr. 21; RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, pp. 489-492. Egli ricorda Didimo Alessandrino, Apollinare di Laodicea, Alessandro l’eretico, Eusebio di Emesa, Teodoro di Eraclea, cfr HIER., Ep., 112,6.11. Primo degli esegeti a essere ricordato è Origene il quale, in coerenza con la sua metodologia esegetica, si scostò dall’interpretazione letterale del testo paolino e affermò la natura fittizia del diverbio inscenato solo al fine di proclamare l’effettiva libertà del cristiano dai vincoli delle osservanze giudaiche. Si noti che questa tesi veniva esposta nei suoi Stromata dove molte aporie scritturistiche venivano avviate a soluzione grazie al ricorso all’allegoria. Abbiamo buoni motivi per credere che Porfirio abbia letto quest’opera origeniana, cfr ROBERT MCQUEEN GRANT, The Stromateis of Origen, in Epektasis. Mélanges patristiques offerts à Jean Daniélou, edd. Jacques Fontaine, Charles Kannengiesser, Paris, Beauchesne, 1972, pp. 285-292. 32 AUG., Ep., 82,22. Agostino afferma che la santa umiltà di Pietro “doveva essere difesa più energicamente contro le calunnie di Porfirio, anziché offrirgli un’occasione più propizia di denigrare; egli sarebbe stato più mordace nell’accusare i Cristiani, se avesse potuto tacciarli di falsità o nello scrivere i loro libri o nel presentare i misteri del loro Dio”. 33 Il sermone agostiniano 27 della raccolta Dolbeau riguarda il conflitto di Antiochia ed è motivato dalla presenza di credenti che dubitavano dell’integrità di Paolo poiché erano stati messi in crisi da amici pagani a proposito della controversia antiochena. 34 Cfr Quando i cristiani erano ebrei. I libri di Biblia, ed. Piero Stefani, Brescia, Morcelliana, 2010, in particolare il dibattito tra Giorgio Jossa e Mauro Pesce alle pp. 167seq., 189-219. 30 31

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gli osservatori pagani iniziarono a essere consapevoli della distinzione tra giudei e cristiani? Prima di ipotizzare qualsiasi tentativo di risposta andrebbero formulate alcune premesse: 1. il processo di separazione tra i due gruppi non fu puntuale e omogeneo, intendo dire che esso variò da luogo a luogo conoscendo sfumature diverse secondo la diversità dei contesti e delle circostanze; 2. la percezione della distinzione tra questi due gruppi fu diversa anche in relazione al grado di cultura e di acribia dell’osservatore; 3. sulla valutazione del rapporto tra giudei e cristiani incise anche l’interesse specifico dell’osservatore, poiché altra era la motivazione dell’uomo di studio, altra quella del controversista, altra ancora quella dell’amministratore, e così via. Distinguiamo, per comodità di schematizzazione sia pur provvisoria, un àmbito politico dall’altro squisitamente religioso.35 I romani erano consapevoli a ogni livello della specificità della natio giudaica che sapevano ben distinguere tra le diverse altre etnie entro e oltre i confini del loro impero. Le autorità le riconoscevano uno status privilegiato che risaliva all’età cesariano-augustea;36 questi accomodamenti erano così radicati da non esser messi in discussione neanche dopo le pesanti sconfitte subite dai giudei nel 70 e, più tardi, in età adrianea. Al contrario i cristiani, pur protestando continuamente il loro lealismo nei riguardi dell’imperatore e dell’impero, ebbero a soffrire per un clima di incertezza normativa e poi, maggiormente, per le grandi persecuzioni dell’età di Valeriano e dei tetrarchi.37

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Sono ben consapevole che per l’età romana imperiale di cui stiamo parlando è impossibile separare la sfera politica da quella religiosa, poiché esse coincidono fuse e confuse come erano. Qui mi permetto non certo una separazione bensì una momentanea distinzione funzionale al ragionamento che sto svolgendo. 36 Tra questi privilegi accordati dai romani ai giudei v’era anche quell’inasprimento della Lex de templo Hierosolymitano che consentì a Luca in Act 23 di rappresentare per l’ennesima volta i giudei come persecutori e i romani (in questo caso Claudio Lisia) quali protettori dei seguaci di Gesù cfr GIANCARLO RINALDI, La «Lex de Templo Hierosolymitano» e l’atteggiamento di Luca verso Roma, in «Protestantesimo. Rivista della Facoltà Valdese di Teologia», L (1995), pp. 269-278. 37 È nota la dottrina della Marta Sordi la quale, in una serie di studi rilevanti, basandosi in primis sull’attendibilità delle notizie forniteci dagli Atti degli Apostoli ritiene che molto per tempo le autorità romane siano state consapevoli della natura non politica (e pertanto per loro non pericolosa) del messianismo dei seguaci di Gesù, al contrario delle attese del popolo giudaico rese torbide da correnti messianiche impegnate in azioni antiromane. Anche se non si vuole accettare la tesi centrale della ricostruzione proposta dalla compianta studiosa, cioè l’esistenza di un senatoconsulto di età tiberiana che comportò la illeicità del culto cristiano, non si dovrebbe aver difficoltà ad ammettere che la non pericolosità politica dei cristiani possa essere stata evidente a quei magistrati provinciali i quali, avvalendosi della loro discrezionalità, erano in concreto l’ago della bilancia nell’attuazione delle politiche di Roma verso la realtà cristiana.

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Per quanto riguarda il punto di vista religioso o, per meglio dire, quello che comprende una complessiva visione del mondo, credo invece che le cose siano andate diversamente e cioè che gli osservatori pagani più attenti abbiano colto la matrice giudaica del cristianesimo e, pertanto, la profonda identità di categorie mentali che sussisteva tra le due fedi. Eppure, come si è detto, giudei38 e cristiani ebbero un diverso trattamento; su questa differenza ha indubbiamente inciso il fatto che i primi costituivano una natio circoscritta e antica con scarse se non inesistenti velleità missionarie, laddove quello dei cristiani era un vero e proprio recente movimento trasversale che, con azione proselitistica capillare e aggressiva, mirava a penetrare tra popoli, classi sociali e ambienti diversissimi. La comunità cristiana costituiva una aggregazione la quale si dava costumi e leggi proprie accettate dai convertiti in coincidenza con il rifiuto delle tradizioni per loro ancestrali. A poco valsero gli appelli degli apologeti: tra le righe dei discorsi missionari dei cristiani era già chiaro che l’affermazione della loro religione avrebbe per forza di cose comportato la scomparsa dei culti pagani. Questa convinzione divenne poi esplicita e palese specialmente nell’apologetica postcostantiniana, si pensi, ad esempio, a quella di un Firmico Materno. I pagani più accorti furono consapevoli del fatto che giudei e cristiani appartenevano a un medesimo universo culturale. Valgano come esempio gli atteggiamenti di due esponenti della controversia anticristiana, distantissimi tra loro per ambiente ed epoca: Celso e Rutilio Namaziano. Per il primo quella dei cristiani è una stasis prodottasi all’interno della comunità giudaica quasi come una sorta di nèmesi storica: i giudei che avevano a suo tempo compiuto una secessione dal popolo egiziano furono a loro volta colpiti dal movimento dei seguaci di Gesù, nato nel loro seno ma divenuto loro avversario. Rutilio39 è lapidario ma estremamente eloquente quando definisce il giudaismo radix stultitiae contrapponendo così la visione del mondo classica (pagana) e quella dei cristiani da ricondursi, in concreto, a quella stessa dei giudei. A proposito di topoi controversistici attestati in diversi àmbiti religiosi nell’epoca di cui ci stiamo interessando, ritengo sia utile riportare qui di sèguito, sia pur molto in sintesi, una scelta40 di accuse tradizionalmente rivolte dai pagani ai giudei che saranno poi rivolte pari pari ai Cfr ALFREDO MORDECHAI RABELLO, The legal condition of the Jews in the roman empire, in ANRW II 13, 1980, 662-762 e AMNON LINDER, The Jews in roman imperial legislation, Detroit, Wayne State University Press, 1987. 39 I,389. 40 Questo breve elenco, dunque, non comprende tutte le accuse dei pagani ai giudei, ma, tra queste, solo quelle che vennero indirizzate anche ai cristiani. Per un elenco completo cfr JEAN JUSTER, Les juifs dans l’empire romain, I, Paris, Geuthner, 1914, pp. 45-48 e le informazioni in MENAHEM STERN, Greek and Latin authors on Jews and Judaism, 3 voll., Jerusalem, The Israel Academy of Sciences and Humanities, 1976-1994. 38

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cristiani. Notiamo che in alcuni casi i cristiani, dopo aver acquisito l’egemonia, le indirizzeranno a loro volta ai giudei: a. Appartenere a una specie barbara L’accusa implicava una condanna di quei costumi loro peculiari, non attestati in alcun altro popolo anzi vistosamente addirittura contrari a quelli vigenti presso la stragrande maggioranza delle genti. − I giudei furono considerati come barbari operanti all’interno dell’impero e comunque non assimilabili culturalmente: CIC., Flacc., 67 (barbarae superstitionis); C. DIO, XXXVII,17,2-3; TAC., hist., V,12 (ex diversitate morum). − Anche ai cristiani fu rivolta l’accusa di essere barbari: Celso ap. OR., Cel., I,2; TAT., Or. 35; Hom. Ps. Clem. 4,7; si difende ARIST., Apol. 3,1.

b. Avere una origine recente − È l’accusa da cui Flavio Giuseppe difende il suo popolo con le Antichità giudaiche e, in seconda battuta, con il Contra Apionem. L’espressione antiquitate defenduntur riferita al popolo giudaico da TAC., Hist., V,5 costituisce a mio avviso piuttosto un giudizio politico.41 Quanto all’antichità come garanzia di verità ebbe gran rilievo la nota contesa sulla priorità cronologica di Mosè oppure di Omero, connessa al motivo apologetico dei furta Graecorum.42 Questo terreno di battaglia, inizialmente proprio dell’apologetica giudaica, fu appieno ereditato dai cristiani.43 IUL., Galil., fr. 5844 parla di “smania di novità” degli ebrei. − Per quanto riguarda i cristiani essa è ampiamente attestata in testi da me raccolti.45 Qui faccio notare che l’accusa si esasperò nella misura in cui si proclamava Gesù Cristo unica via di salvezza e tramite di verità: perché dunque egli si sarebbe affacciato così tardi

41 Qui mi sembra che parli il Tacito che fu quindecemvir sacris faciundis (TAC., Ann., XI,11), impegnato a vigilare sull’ammissibilità a Roma dei culti stranieri. 42 Cfr ARTHUR J. DROGE, Homer or Moses? Early Christian Interpretation of the history of culture, Tübingen, J. C. B. Mohr, 1989 e DANIEL RIDINGS, The Attic Moses. The dependency theme in some early Christian writers, Göteborg Acta Universitatis Gothoburgensis, 1995. 43 Tra i motivi che indussero i cristiani del secolo secondo ad accettare l’eredità delle Scritture dei giudei (pur nel pieno di una violenta controversia con questi) vi fu anche quello apologetico: un collegamento tra il popolo dei credenti in Gesù e quello d’Israele (con la sua antichità che veniva fatta risalire ai primordi dell’umanità) avrebbe posto al riparo la chiesa dall’accusa di essere un corpo recente e, pertanto, poco affidabile. 44 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 167. 45 GIANCARLO RINALDI, I cristiani come hesterni. Una riflessione sulle origini del comparativismo storiografico, in Rivedendo antichi pregiudizi. Stereotipi sull’altro nell’età classica e contemporanea, ed. Giulio A. Lucchetta, Chieti, Troilo Editore, 2002, pp. 49-61 e le mie pagine citate alla nota seguente.

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alla ribalta della storia?46 Cfr. SUET., V. Ner., 16,3; Ad Diognetum, 1,1; Celso ap. OR., Cel., VII,53; CIL III 12132 (iscrizione di Aricanda di età tetrarchica).

c. Nutrire disaffezione nei riguardi della famiglia − Verso i giudei: TAC., hist., V,5. − Per quanto riguarda i cristiani cfr. Act. Paul. et Thecl., 8-15.20; PORPH., C. Christ., fr. 79.47 Si nota nella letteratura agiografica il diniego che i martiri ostentano verso i parenti che li implorano di mettersi in salvo, cfr. Pass. Perp. et Felic. 5-6; Passio di S. Ireneo di Sirmio 3.

d. Essere ostili al genere umano48 − Verso i giudei: Apollonio Molone ap. FL. IOS., Apion., II,68.148.258; IUV., Sat., 14,103 (non monstrare vias eadem nisi sacra colenti); QUINT., Instit. 3,7,21; TAC., Hist., V,5.49 − Verso i cristiani: TAC., Ann., XV,44,4. − Da parte dei cristiani verso i giudei già in I Th 1,14-15.

e. Essere ostili verso l’impero dei romani − Verso i giudei: APPIAN., Syr., 50; Apione ap. FL. IOS., Apion., II,73; SIL. IT., Pun. III,605; IUV., Sat., 14,100 (Romanas autem soliti contemnere leges); PHIL., V. Apoll., V,33. − Nei riguardi dei cristiani l’accusa nasceva dalla loro mancata partecipazione ai riti civici che assicuravano la pax deorum, cioè la protezione all’impero. Tutta l’apologetica cristiana insiste sul lealismo dei credenti in Gesù nei riguardi dell’impero50 e dimostra così la necessità di difendersi da questa diffusa accusa51. Celso

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Su questo aspetto cfr le mie osservazioni e bibliografia nel commento a un frammento di Porfirio che critica Io 14,6 in RINALDI, La Bibbia ei pagani, II, pp. 392-396. 47 Ap. MAC. MAGN., Apocr., II,7 = RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 360, ma cfr anche il brano successivo. 48 Cfr WILHELM NESTLE, Odium humani generis, in «Klio», XXI (1927), p. 91seqq. 49 Numerose altre testimonianze in LELLIA CRACCO RUGGINI, Pagani, ebrei e cristiani: odio sociologico e odio teologico nel mondo antico, in Gli ebrei nel’Alto Medioevo. XXVI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto medioevo. 30 marzo – 5 aprile 1978, I, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1980, p. 28seq.; ILARIA RAMELLI, Un topos antigiudaico in Diodoro: l’odio del genere umano, in «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXII (1998), pp. 467-484 (sulle due tradizioni, rispettivamente da Ecateo di Abdera e da Manetone). 50 Questo motivo costituisce una filigrana già degli Atti degli Apostoli dove il civis romanus Paolo è costantemente ritratto tra l’ostilità dei giudei e il favore dei rappresentanti di Roma. L’atteggiamento antiromano espresso dall’apocalisse giovannea, però, necessariamente alimentava l’accusa secondo la quale i cristiani tramavano contro l’impero. 51 Prima ancòra di quella politica, gravava sui cristiani l’accusa di asocialità, cioè di costituire un corpo estraneo alla società. Ne abbiamo traccia già in I Pt 4,4. Il ritiro dei cristiani dalle corporazioni di mestiere, motivato dal rifiuto di onorare gli dèi protettori di ciascuna di queste, alimentò certamente le accuse di asocialità.

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termina la sua trattazione con un appello rivolto ai cristiani a partecipare alla vita politica, ciò nella presunzione che la loro astensione si traduca in danno per l’impero. Era inoltre significativa l’interpretazione della quarta e ultima bestia delle visioni danieliche: un’esegesi che la identificava con l’impero di Roma sarebbe stata “politicamente scorretta”; cfr. Act 16,21; 17,6-7 (qui sono i giudei che accusano i predicatori cristiani di andare contro “gli statuti di Cesare”); LUC., Peregr., 13; TERT., Apol., 10,1; 35 (hostes publici); MIN. FEL., 8,4; 9,2. − Dai cristiani verso i giudei l’accusa è attestata in AMBR., Ep., 40,21 (a proposito dell’episodio di Callinico).

f. L’esclusivismo, cioè il ritenersi unici detentori della verità A monte di questa accusa v’è la diversa concezione del rapporto uomo / natura che contraddistingue la visione pagana da quella giudeo – cristiana. Per la prima l’uomo rientra tra i fenomeni di quella natura dalla quale trae beneficio al pari delle specie vegetali e animali. Lo statuto dell’uomo è invece diverso nella visione di giudei e cristiani: egli è il centro di un universo creato da un Dio che dirige la sua provvidenza verso il suo popolo eletto o verso la chiesa dei redenti. − Celso ap. OR., Cel., IV,23 accomuna sia giudei che cristiani in questa accusa di ritenersi al centro dell’universo, unici destinatari della benevolenza di Dio e della sua conoscenza. A riguardo dei giudei cfr. IUL., Galil., fr. 1952 e 25. − Nei riguardi dei cristiani cfr. Celso ap. OR., Cel., IV,69.74-99; V,14; VI,78; Anonym. ap. MAC. MAGN., Apocr., III,32.53

g. Praticare sacrifici umani − Verso i giudei: Teofrasto ap. PORPH., De abst., 2,26; Apione ap. FL. IOS., Apion., II,93-96. L’accusa poteva trarre alimento da episodi biblici quali il sacrificio di Isacco e il voto di Jefte: Anonym. ap. AUG., Quaest. in Heptat., 7,49. − Verso i cristiani54 l’accusa era connessa a quella di cannibalismo e spesso poteva nascere in relazione a una malevola interpretazione di Mt 26,26 o con i “sentito dire” a proposito del mangiare la carne e bere il sangue del Signore, cfr. EUS., Hist. eccl. V,1,14 (la nota

Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 119. Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 661. Ritroviamo la quaestio in Ambrosiast., quaest. Veter. et Nov. Test., 41. 54 Cfr JEAN PIERRE WALTZING, Le crime ritual reproché aux chrétiens du IIIe siècle, in Musée Belge XXIX (1925), pp. 209-238; RUDOLF FREUDENBERGER, Der Vorwurf ritueller Verbrechen gegen die Christen im 2. Und 3. Jahrhundert, in «Theologische Zeitschrift», XXIII (1967), pp. 97-107; JAMES B. RIVES, Human sacrifice among Pagans and Christians, in «Journal of Roman Studies» LXXXV (1995), pp. 65-85; LAUTARO ROIG LANZILLOTTA, The Early Christians and Human Sacrifice, in The Strange World of Human Sacrifice, ed. Jan N. Bremmer, Leuven, Peeters, 2007, pp. 81-102. 52 53

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accusa di essere dediti a Qušsteia de‹pna); TERT., Apol., 2,5. − I cristiani rivolgeranno la stessa accusa ai giudei specialmente nel medioevo.

h. Essere improduttivi − Verso i giudei questa accusa è generalmente connessa al riposo del sabato55. Si faceva notare che ai loro avversari era stato possibile vincerli approfittando dell’ignavia in cui cadevano preda in quel giorno a causa della loro religione: Agatarchide di Cnido (Tolomeo I Sotere espugnò Gerusalemme di sabato)56; PHILO, De somniis II,123-124 (un discorso di un praefectus Aegypti che tenta di dissuadere i giudei da questa pratica in vista di un assalto nemico); STRAB., 16,2,40 e DIO C., XXXVII,15,3 (Pompeo espugna di sabato Gerusalemme); PLUT., De sperst., 3,8. Così anche Meleagro di Gadara ap. Anth. Palat. V,160; Seneca ap. AUG., Civ. Dei, VII,10; IUV., Sat., 14,106. − I cristiani accusano a loro volta i giudei di essere oziosi: AUG., Ser., 17,9.

i. Avere poca cultura − Verso i giudei:57 Apollonio Molone ap. FL. IOS., Apion II,147; Apione ap. FL. IOS., Apion., II,135.182; IUL., Galil., frr. 37-39. − Verso i cristiani: Celso ap. OR., Cel., III,55; 6,14-15; IUL., Galil., fr. 48; ID., Saturn., 336b.

j. Celebrare un culto triste e freddo − Verso i giudei: Meleagr. Gadar. ap. Anthol. Palat. V,160; IUV., Sat., 14,110; RUT. NAMAT., I,389 (frigida sabata).58 − Verso i cristiani l’accusa traeva alimento dalla mancanza di statue e manufatti artistici presso il loro culto e poi, successivamente, dalle pratiche di automortificazione che caratterizzavano, con aspetti sovente lugubri, la primitiva ascesi monastica.

k. Praticare una superstitio − Verso i giudei: CIC., Flacc., 67; QUINT., Inst. orat., III,7,21; TAC., Ann., II,85; Hist. II,4; V,8.13; FRONT., Ep. ad M. Caes., 2,7; APUL., Flor., 6; C. DIO XXXVIII,16,3. − Verso i cristiani: SUET., V. Ner., 16,3; MIN. FEL., 9,2.

l. Essere empi − Verso i giudei: Manetone ap. FL. IOS., Apion. I,248; CPJ nn. 157. 158. 438; Lettera di Apollonio (statega di Hermopolis) al praefectus

Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, pp. 58-61. Ap. FL. IOS., Apion., I, 205-211. 57 Questa accusa poté forse essere corroborata dalla povera qualità delle iscrizioni giudaiche della diaspora. 58 L’espressione può intendersi riferita anche a quello che sembrava come ozio al quale si davano i giudei nel settimo giorno. 55 56

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Aegypti Rammius Martialis59 trasmessaci in CPJ 443; PLIN., Nat. hist., XIII,46. È noto il riferimento agli “empi che sono in Palestina” in AEL. ARIST., adv. Plat., 671.60 − Verso i cristiani l’accusa è ampiamente diffusa. Fu il capo d’imputazione fatto valere dal filosofo Crescente contro Giustino presso il tribunale del praefectus Urbis Giunio Rustico, cfr. IUST., 2 Apol., 2,5; cfr. anche IUL., Galil., fr. 58.61 Era anche molto diffusa l’accusa di immoralità a carico tanto dei giudei quanto dei cristiani.62

m. Essere atei − Verso i giudei: Manetone ap. FL. IOS., Apion. I,239.248; Apollonio Molone ap. FL. IOS., Apion., II,148; Apione ap. FL. IOS., Apion., II,65. È noto il caso di Acilio Glabrione e Flavia Domitilla, condannati in età domizianea per “ateismo e costumi giudaici”.63 − Verso i cristiani:64 IUST., 1 Apol., 6,13; 2 Apol. 3,2; ATHEN., Leg., 3-12; Mart. Pol., 3; LUC., Alex., 25,38; TERT., Apol., 40; MIN. FEL. 8,4; APUL., Metam., IX,14; CIL III 12132 (iscr. di Aricanda. “le pratiche odiose di questi atei”); SAL., De diis et de mundo, 18.

n. Essere distruttori di templi − Verso i giudei: Lisimaco ap. FL. IOS., Apion. I,304-311; APPIAN., Bell. civ., II,90.

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In carica nel 117-119 d.C. Nell’orazione Elio Aristide critica i seguaci della filosofia cinica per i loro vituperosi costumi. In questo contesto v’è un accenno fugace, un paragone tra costoro e “gli empi che sono in Palestina”. Si discute se questi siano giudei oppure cristiani (e questa ambiguità è prova della circolarità delle accuse formulate dai pagani). In ogni caso tratto caratteristico di questi empi è che źŶɞŸűŷŬɃźźŶŻŸŶɠŴŶųɃŭŶŻŹŰ, e poi il vivere separati dagli elleni anzi da tutti coloro che sono migliori di loro. Quanto alla prima espressione è da intendere allusiva alla loro mancanza di fede verso gli dèi della tradizione e non certo al loro essere impegnati in attività sovversive contro i ceti dominanti (“la questione cristiana è vista soltanto in termini di sobillazione delle classi inferiori”), così come fantastica GIORGIO JOSSA, I cristiani e l’impero romano, Napoli, D’Auria, 1991, p. 230. Cfr MARC. AUR., V,30 dove űŷŬɃźźŶŴŬŸindica i superni (= le divinità). 61 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 219 A. 62 Cfr ROBERT MCQUEEN GRANT, Charges of ‘Immorality’ against various Religious Groups in Antiquity, in, Studies in Gnosticism and Hellenistic Religions presented to Gilles Quispel on the occasion of his 65th birthday, edd. Roelof van der Broek – Maarten Jozef Vermaseren, Leiden, Brill, 1981, pp. 161-170. 63 Cfr C. DIO, LXVII,14. Alla notizia è da connettersi la vexata quaestio se qui si tratta di una coppia di cristiani (ad es. M. Sordi) o di giudei (ad es. M. Smallwood); a prescindere dalla risposta sta di fatto l’incertezza d’identificare chiaramente i due ambiti religiosi. 64 L’accusa era corroborata dalla mancata partecipazione ai riti religiosi che costituivano l’anima della società antica nei suoi vari aspetti. Ne sono prova le numerosissime esortazioni a “fuggire l’idolatria” che leggiamo nelle pagine del Nuovo Testamento. Cfr WILLIAM R. SCHOEDEL, Christian ‘Atheism’ and the peace of the Roman Empire, in «Church History», XLII (1973), pp. 309-319 e JOSEPH J. WALSH, On Christian Atheism, in «Vigiliae Chrisianae», XLV (1991), pp. 255-277. 60

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− Verso i cristiani:65 Celso ap. OR., Cel. VIII,41; VII,62; IUL., Galil., fr. 48;66 LIB., Pro templis.

o. Praticare la magia67 − Verso i giudei: PLIN., Nat. hist., XXX,11; APUL., Apol., 90,5-6; POMP. TROG., Hist. ap. Iust. XXXVI,2. 68 L’accusa era alimentata dall’aspetto indecifrabile del loro alfabeto, dalla potenza del nome divino e dalla loro angeologia.69 È ben noto il motivo di Salomone, mago per eccellenza, che va ben oltre l’antichità ma è già attestato in un medaglione ostiense di età imperiale.70 − Accusa attestata nei riguardi di Gesù già nei vangeli: Mt 27,63; Io 7,12. IUST., 1 Apol., 30; Celso ap. OR., Cel., I,28;71 I,68;72 I,71; II,49;73 Act. Paul. et Thecl., 20; Act. Tom. 48.74 96;75 Act. Phil. 39;76 PORPH., C. Christ., fr. 4;77 ARNOB., Nat. I,43; EUS., D.e., III,6; Anonym. ap.

65 Accusa alimentata dal fenomeno delle eversiones templari del sec. IV sul quale cfr Rinaldi, La Bibbia dei pagani, I, pp. 365-391. 66 È un brano particolarmente interessante. Giuliano accusa i cristiani di essere eversores alla stregua degli ebrei e poi rileva che non v’è precetto di Gesù o di Paolo che esorti a distruggere i templi altrui. Il pagano dimostra di conoscere la diffusa esegesi biblica cristiana di quei brani veterotestamentari nei quali si rievocano le guerre degli ebrei contro i cananei per il possesso della Palestina. In realtà nel secolo IV i cristiani erano persuasi di realizzare con le loro eversiones le profezie veterotestamentarie sull’annientamento degli idoli delle genti. Contro questa esegesi violentemente ‘iconoclasta’ LIB., Or., 31,21 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 10) fece notare che l’azione devastatrice dei monaci era contraria ai precetti biblici, e protestarono anche anonimi pagani di cui riferisce AUG., Cons. evang., I,16,24; I,26,40; I,31,47. Su quest’opera in relazione alle critiche dei pagani cfr più sotto alla nota 201. Si tratta di riferimenti ad ambienti africani, e ciò dimostra la diffusione di questa esegesi. D’altro canto la ratio esegetica che arma la penna di Firmico Materno si basa proprio su una equiparazione tra la chiesa (novus Israel) e gli ebrei conquistatori del Canaan. 67 Cfr in generale la bibliografia che fornisco in RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 260seq. 68 Giuseppe in Egitto apprese i segreti della magia, cfr Gen 40-41. 69 In merito alla circolazione di accuse di magia, a riguardo di giudei come di cristiani, hanno grande importanza i papiri magici sincretistici sui quali cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, pp. 78-83. 70 Cfr Corpus Inscriptionun Iudaicarum, I, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 1936, n° 534. 71 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 324: Gesù acquisì i suoi poteri (magici) in Egitto. 72 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 306. 73 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 579; i miracoli di Gesù non hanno niente di divino ma vanno collocati alla stregua delle numerose operazioni di vari santoni e taumaturghi maghi. 74 Gesù è chiamato ingannatore eppure libera dall’errore chi lo segue. 75 Tommaso è un mago che insegna a non convivere con la propria moglie. 76 “Dacci il mago (= Filippo) altrimenti bruceremo la tua casa!”. 77 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 123.

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AUG., Cons. evang. I,9,14;78 I,11,17;79 I,32,50;80 ID., C. Faust., 12,45; ID., Matth. ser., 11. La consuetudine dei cristiani a riunirsi di notte, o comunque prima dell’alba, alimentava questa accusa poiché era proprio dei maghi agire nottetempo. Nel sec. IV la diffusa iconografia della traditio legis, dove Gesù consegna il volumen della Legge a Pietro e Paolo fu interpretata come allusiva al fatto che Gesù avrebbe composto un libro di magia e lo avrebbe poi consegnato ai suoi più stretti collaboratori.81 Anonym. ap. AUG., Civ. Dei, XVIII,53-54; XXII,25.82 Anche i giudei accusavano Gesù di essere un operatore di arti magiche: IUST., Dial., 69,7; TERT., Apol. 21,17; Sanhedrin 43a. − I cristiani accusarono i giudei di praticare la magia già in Act 19,13 dove si rappresentano i figli dell’ ȎŷŽŰŬŷŬɝŸ giudeo Sceva che maldestramente adoperano il nome di Gesù nelle loro formule esorcistiche. Anche al loro interno l’accusa di magia circolava a carico ora di un gruppo ora di un altro.83 Maggiore fu l’utilizzazione dell’accusa di magia nei riguardi dei pagani, specialmente dal sec. IV d.C. in poi. L’equazione paganesimo = magia, preparata a lungo dall’apologetica cristiana, consentì la definitiva messa al bando dei culti pagani e la repressione fisica dei suoi seguaci. Ciò anche in considerazione del terrore che si aveva delle operazioni magiche e di una consolidata tendenza normativa del diritto romano che le reprimeva.

La persistenza per non pochi secoli di queste accuse tra persone che vivevano più a stretto contatto di quanto non avvenga oggi, e che avevano pertanto agevole possibilità di conoscersi, ha fatto pensare a Craig de Vos84 che esse non siano stato il frutto di equivoci e di scarsa conoscenza 78

Gesù compose libri di magia e li dedicò a Pietro e Paolo. Gesù fu mago e il suo nome è adoperato in formule magiche. 80 Gesù adorò gli dèi e da costoro ebbe poteri magici. 81 Cfr AUG., Cons. evang., I,10,14-16. Lo stesso tipo iconografico del Dominus legem dat suscitava presso alcuni pagani perplessità di tipo politico, infatti l’apostolo che riceve il volumen ha le mani velate come nelle raffigurazioni del conferimento di potere a un prefetto di provincia da parte dell’imperatore. Ciò faceva pensare a un sovvertimento dell’ordine sociale a cui i cristiani avrebbero atteso. Cfr GIANCARLO RINALDI, Pietro Apostolo ed i vescovi romani nel giudizio dei pagani, in Pietro e Paolo. Il loro rapporto con Roma nelle testimonianze antiche. XXIX Incontro di studiosi dell’antichità cristiana. Roma, 4-6 maggio 2000, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 2001, (Studia Ephemeridis Augustinianum, 74), p. 304seqq. 82 Pietro, con malefizi magici, avrebbe ottenuto che il nome di Cristo sarebbe stato adorato per trecentosessantacinque anni, trascorsi i quali sarebbe scomparso. 83 Basterà citare soltanto due noti esempi: Simone di Samaria, designato per antonomasia come il ‘mago’ (IUST., I Apol., 26) e lo gnostico Marco, detto anche “il mago”. 84 Cfr CRAIG DE VOS, Popular Graeco – Roman responses to Christianity, in «The early Christian World», ed. Philip E. Esler, London – New York, Routledge, 2000, pp. 79

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ma che, al contrario, costituiscano stereotipi fissi, tradizionalmente affibbiati a personaggi85 avvertiti come una minaccia alla stabilità sociale: i cristiani non erano ritenuti effettivamente colpevoli di tali misfatti e pertanto considerati socialmente pericolosi, al contrario essi proprio perché avvertiti come pericolosi e destabilizzanti venivano connotati, ‘etichettati’ secondo stereotipi riservati a cospiratori e malfattori. Dunque le diverse accuse di cui furono fatti oggetto i cristiani costituirebbero, per così dire, i colori diversi di una veste comune fatta indossare a chi si riteneva fosse stato sovvertitore della società. Non mi sento di negare che quelli che io stesso ho definito topoi controversistici abbiano in molti casi un carattere di convenzionalità e, come afferma il de Vos, abbiano avuto una loro funzione caratterizzante, anche se ritengo che in primis si sia potuto effettivamente credere i cristiani colpevoli di azioni indegne e soltanto successivamente si sia stabilito presso l’opinione pubblica l’equazione che abbinava ipso facto il nomen christianorum a una determinata tipologia di misfatti. Pur mettendoci nella prospettiva di questo studioso dovremo allora porci il problema non solo della persistenza degli stessi topoi all’indirizzo dei giudei ma anche del significato che assume quella notevolissima coincidenza di accuse all’indirizzo dell’uno e dell’altro gruppo, cioè di giudei e di cristiani. Questa affinità di critiche costituisce al di sopra di ogni dubbio un chiaro indizio di quella consapevolezza che gli accusatori pagani ebbero del fatto che tanto giudei quanto cristiani erano portatori di una medesima visione del mondo, di Dio e della società. Una visione del mondo non solo estranea alla paideia classica, ma a lungo andare corrosiva dell’intera società antica86. Citiamo ancòra un altro esempio: l’accusa di venerare un dio dalla testa d’asino. Essa, per quanto riguarda i giudei, è per la prima volta attestata nel secolo II a.C. da Mnasea di Patara87 il quale racconta che, nel

869-889. 85

De Vos porta come esempio il Catilina di Sallustio, Plutarco e Cassio Dione, accusato di misfatti quali cannibalismo, uccisione rituale di vittime, odio per la famiglia e corruzione dei suoi seguaci. Così Apollonio di Tiana fu accusato di aver compiuto il sacrificio di un bambino per esaminarne le viscere e Apuleio fu incolpato di magia. Cfr DE VOS, Popular Graeco – Roman responses, p. 883seq. 86 Ritengo che questa osservazione sia particolarmente interessante e che attesti i limiti che ebbe il pur innegabile fenomeno della ellenizzazione del cristianesimo: nonostante gli sforzi compiuti da intellettuali cristiani per tradurre il loro messaggio nelle categorie linguistiche e filosofiche del tardo ellenismo. Se la mia lettura è nel giusto dobbiamo concludere che questi limiti furono chiaramente avvertiti non solo da intellettuali pagani (si pensi alle critiche porfiriane a Origene trasmesseci nella Hist. eccl. di Eusebio), ma anche dal popolino che istintivamente avvertiva l’estraneità dei modelli giudaici e cristiani al loro mondo. 87 Cfr FL. IOS., Apion., II,112. Mnasea fu allievo di Eratostene che fu a sua volta precettore dei giovani principi Tolomei. Compose una raccolta di racconti mitologici

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contesto di una guerra tra giudei e idumei, un pagano adoratore di Apollo sarebbe entrato con uno stratagemma nel tempio di Gerusalemme e vi avrebbe trafugato una testa d’asino d’oro assicurando così la vittoria al suo popolo. Successivamente abbiamo il racconto in Diodoro Siculo (90-27 a.C.) secondo il quale Antioco IV Epifane sarebbe entrato nel tempio di Gerusalemme e vi avrebbe trovato una statua la quale raffigurava un uomo seduto con un rotolo in mano su un asino.88 Lo stesso racconto che ha come protagonista il re seleucide è ben diversamente presentato da Apione d’Alessandria, attivo nell’età di Caligola. Egli infatti afferma che i giudei avevano collocato nel loro santuario una testa d’asino in oro alla quale riservavano un culto profondo.89 Il culto della testa d’asino, insieme all’accusa di omicidio rituale, è inoltre attestato dal poco noto Damocrito.90 Quale sia l’eziologia di questa devozione è suggerito da Plutarco di Cheronea e da Tacito. Per il primo91 il culto dell’asino sarebbe da mettere in relazione al malvagio dio egiziano Tifone che sul suo dorso avrebbe trovato scampo nel corso di una battaglia e poi avrebbe generato i due figli Hierosolymo e Giudeo. Il malvagio Tifone, o Seth, era il dio di Avaris, raffigurato con la testa d’asino.92 Per Tacito,93 invece, un branco di asini selvatici avrebbe indicato a Mosè una sorgente d’acqua salvando così la vita agli ebrei che per riconoscenza avrebbero poi prestato culto a questo animale. Sembra in ogni caso estremamente probabile la derivazione dell’accusa da ambienti egiziani, alessandrini.94 Ma dalla capitale nilotica l’accusa di onolatreia dové poi fare strada, giungendo a Roma e in Africa per colpire i seguaci di Gesù, come attestano due documenti di età severiana. Il primo è il noto crocifisso blasfemo del Palatino. Qui un uomo in abito servile è ritratto mentre manda

(Thaumasia). Proveniva dalla Licia ma quanto all’accusa mossa ai giudei è molto probabile che essa sia derivata da ambienti alessandrini. 88 Bibl. hist., XXXV,1,3. La punta polemica del racconto diodoreo non riguarda il culto dell’asino, bensì l’attività di Mosè in quanto legislatore che promulga ai giudei leggi contrarie ai costumi di tutti gli altri popoli. 89 FL. IOS., Apion., II,80. 90 Ne parla il lessico Suda alla voce relativa. Gli si attribuisce un’opera Sui giudei nella quale affermava non solo che questi adoravano la testa di un asino, ma che ogni sette anni catturavano uno straniero e lo sacrificavano tagliandolo in piccoli pezzi. La datazione di questo autore è incerta ma il clima in cui egli compose è forse quello saturo di sentimenti antigiudaici dell’ultima età flavia o dell’epoca delle rivolte traianee o adrianee dei giudei contro i romani. 91 Isid. et Osir., 31. 92 Cfr HERMAN TE VELDE, Seth, God of confusion, Leiden, Brill, 1967. 93 Hist., V,3. 94 Cfr PETER SCHÄFER, Giudeofobia. L’antisemitismo nel mondo antico, trad. it., Roma, Carocci, 1999, pp. 74-81 (con bibliografia).

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un bacio95 a un uomo crocifisso, pure in colobium e che ha la testa d’asino. Sotto la scena una maldestra iscrizione così recita:

ƧŲŬ]ŵŨųȤŴŶŸŹȤũŬźŬůŬɓŴ = Alessameno adora il (suo) dio. Dunque viene attribuito il culto della testa d’asino a chi è seguace della religione cristiana, in più a carico di questa v’è l’accusa, ampiamente attestata nella letteratura pagana, di reclutare i suoi membri negli strati sociali più bassi.96 Per quanto riguarda l’Africa, abbiamo le testimonianze di Minucio Felice e di Tertulliano. Il primo pone sulle labbra del pagano Cecilio l’affermazione secondo la quale correva voce che i cristiani adorassero la testa dell’animale più vile, l’asino.97 Più interessante è l’episodio narrato nell’Apologeticum di Tertulliano.98 A Cartagine un rozzo custode di belve nel circo aveva esposto un quadro rappresentante un dio con le orecchie d’asino, i piedi a forma di zoccolo, una toga e un libro in mano; poi v’era la scritta: “Dio dei cristiani, nato d’asino”.99 A questa così vivace circolazione di accuse rivolte ora al bersaglio giudaico ora a quello cristiano è da aggiungersi anche una meditata strategia controversistica messa in atto da quei pagani i quali erano a conoscenza dei dissidi che si consumavano tra chiesa e sinagoga e li strumentalizzavano per i loro scopi, cioè per contrastare il cristianesimo. Celso offre il più antico esempio: la prima parte della sua opera anticristiana è costituita dalla nota prosopopea del giudeo che aspramente contrasta la novità cristiana soffermandosi principalmente sulla figura di Gesù sin dal suo nascere da una madre che ha compiuto la peggiore delle azioni che una donna del suo popolo avrebbe potuto compiere: unirsi carnalmente a un militare romano. Col passare del tempo l’asse tra pagani e giudei in funzione anticristiana100 si definì e si rafforzò dando corpo a una sorta di “fronte della 95 L’atto di iactare basia è tuttavia tipico del culto pagano, da esso prende le mosse l’Octavius di Minucio Felice. 96 Forse questa accusa corrisponde anche a quella indirizzata ai giudei di essere stati schiavi in Egitto. In ogni caso è da connettersi all’altra, rivolta tanto a giudei quanto a cristiani e di cui abbiamo già parlato, di essere ignoranti. Si nota anche il rilievo con il quale al personaggio in croce è attribuita la qualifica di Dio, un particolare enfatizzato dall’atto cultuale di iactare basia che, come abbiamo visto più sopra alla nota 95, era tipico del culto pagano verso una divinità; è facile ravvisarvi il topos ricorrente della letteratura anticristiana che trova assurdo che un dio nasca, soffra e muoia in croce. 97 Oct, 9,3 all’accusa il cristiano risponde in 28,7. 98 16,12, cfr JEAN PRÉAUX, Deus Christianorum Onokoetes, in «Latomus», XLIV (1960), pp. 639-654. 99 Il termine onokoetes è probabilmente da intendersi ɖŴŶűŶɃźŮŸ pertanto l’intera espressione andrebbe tradotta “Il dio dei cristiani, nato dall’unione con un asino”. 100 Non mi riferisco qui al topos del giudeo che istiga le autorità romane affinché intraprendano azioni persecutorie a danno dei cristiani. Un suo embrione è proprio nei vangeli, in quel sinedrio che esercita pressioni sul titubante prefetto Ponzio Pilato. Un chiaro esempio è nella Passio di Policarpo laddove questa descrive i giudei che si affan-

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tradizione”. Intendo dire che pagani quali Porfirio e Giuliano, di fronte al dilagare del cristianesimo nell’età loro, tentarono di elogiare il popolo giudaico in funzione anticristiana riconoscendogli il pregio dell’antichità di contro al carattere recente (e pertanto sospetto) del movimento cristiano. In Giuliano, che ebbe anche responsabilità di governo101, la politica (filo)giudaica fu di gran rilievo: i sacrifici dei giudei, al pari di quelli dei pagani, erano ai suoi occhi resi venerandi dalla loro tradizione vetusta, interrotta solo per la distruzione del tempio gerosolimitano; ecco anche perché l’imperatore tentò di ricostruirlo sperando così, tra l’altro, di dimostrare infondata la profezia di Gesù secondo la quale dell’edificio non sarebbe rimasta pietra su pietra.

5. TRA GNOSTICI E PAGANI Quel vasto complesso di scuole, correnti, conventicole di mistici e di iniziati che noi siamo soliti racchiudere nella denominazione generica ed approssimata di ‘gnosticismo’, com’è noto, presenta agli studiosi molteplici problemi che sono alla base stessa dell’interpretazione del fenomeno. Non è qui il caso neanche di accennare ai molti punti ancora argomento di discussione. Nel cotesto di una riflessione generale sulla circolazione di medesimi temi in diversi raggruppamenti religiosi sarà tuttavia utile sottolineare quelli che mi sembrano punti fermi. I gruppi gnostici hanno esercitato una funzione di ‘ponte’ tra il versante ecclesiastico, diremo ‘cattolico’, e quello pagano. Da un lato infatti gli gnostici avevano la consapevolezza di essere ‘cristiani’ a tutti gli effetti, come e più ancora degli altri, appartenenti alla “Grande chiesa”. Essi solitamente frequentavano le riunioni di culto di coloro a cui guardavano come a ‘fratelli’ non ancòra progrediti nella strada difficile della conoscenza. Da ciò la grande difficoltà dei primi eresiologi nello scovarli e il loro impegno nel denunciare il carattere a loro avviso profondamente e pericolosamente anticristiano delle loro dottrine. D’altro canto gli gnostici guardavano con grande libertà e disinvoltura tanto alle tradizioni del giudaismo quanto a quelle del mondo classico. Si sentivano liberi di attingere a questi repertori immagini, simboli, motivi e dottrine nella misura in cui tutto ciò poteva essere funzionale ad esprimere la loro visione. Gli gnostici contro cui Plotino svolse la sua polemica, al pari di tantissimi altri, si professavano seguaci di Platone e nano a raccogliere legna per realizzare la pira sulla quale il vescovo cristiano sarà bruciato. È il motivo tertullianeo delle sinagoghe quali fontes persecutionum. 101 La politica giudaica di Giuliano si accentuò in previsione della sua spedizione partica. Nel marciare verso l’oriente voleva evitare le seditiones che si erano verificate all’epoca di Traiano in modo da avere il sostegno della vasta diaspora giudaica disseminata oltre il limes romano.

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interpreti del suo insegnamento ancòra più genuini del maestro del quale frequentavano la sinusia. Ciò premesso possiamo concludere, senza eccessivo timore di sbagliare, che se un pagano fornito di una certa preparazione culturale fosse stato incuriosito dal messaggio cristiano, per saperne di più si sarebbe rivolto a un maestro gnostico piuttosto che a un pastore della “Grande chiesa”. Non è dunque illegittimo congetturare che tra pagani e gnostici (cristiani) possano esserci stati scambi di idee e che, inoltre, tali scambi abbiano talvolta potuto riguardare i testi così venerati da giudei e da cristiani. Le testimonianze esplicite di questo dialogo sono molto poche ma, ove si rifletta sul naufragio della letteratura gnostica così come di quella pagana d’argomento cristiano, queste stesse possono considerarsi significative pur nella esiguità del loro numero. È il caso di ricordarne alcune. a. Tuniche di pelle Gn 3,21 racconta che Dio dopo la trasgressione di Adamo ed Eva fece loro delle tuniche di pelle con le quali li vestì. La stessa espressione ūŬŷųȋźŰŴŶŸŽŰźɭŴricorre in Porfirio, che riecheggia questo luogo biblico, per indicare il corpo materiale del quale è chiamato a svestirsi chi vuol progredire nell’ascesi. Una medesima interpretazione la ritroviamo presso i valentiniani e presso Origene.102 Giuliano ha pure di mira il medesimo versetto biblico, che però gli serve per imbastire un’altra critica: egli paragona questo rozzo vestito donato dal dio biblico con i doni molteplici e pregevoli di cui Atena fece dono all’umanità.103 b. La conoscenza del bene e del male Per la paideia classica l’essenza stessa dell’uomo e la sua più alta virtù era la conoscenza, in particolare la capacità di discernere tra bene e male. Ecco perché Porfirio104 criticò il racconto biblico della caduta di Adamo ed Eva quando Dio vietò loro di mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male affinché non fossero dotati di tale discernimento. Anche Apelle, il discepolo di Marcione, esercitò su questo brano una critica serrata con argomentazioni di tipo logico, in armonia con il 102 Quello di Origene è un chiaro debito verso Platone. Strana la coincidenza tra Porfirio e Origene (più unica che rara) visto che il pagano non fu mai tenero verso l’esegeta cristiano il cui errore di fondo e preliminare era quello di adoperare il metodo allegorico per interpretare testi banali come quelli biblici. Ma qui si tratta di una convergenza di ambedue verso Platone; quella di Porfirio poté probabilmente essere mediata da testi gnostici, cfr Rinaldi, La Bibbia dei pagani, II, p. 97seq. 103 Cfr IUL., Ep., 89b, 289cd = RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 65. 104 C. Christ., fr. 42, ap. SEVER., Creat., 6 (= PL LVI,487).

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titolo dell’opera sua: Sillogismi. Egli, tra l’altro, faceva notare che l’uomo, anteriormente alla trasgressione, non avrebbe avuto la consapevolezza del male e, in ogni caso, disobbedire a tal comandamento era cosa buona poiché potava alla conoscenza del bene.105 A dimostrazione di questa circolazione di topoi controversistici tra seguaci di Apelle e pagani va notato che queste stesse argomentazioni di Apelle in riferimento a tutta la vicenda dei protoplasti nell’Eden le ritroviamo intorno alla metà del IV d.C. nel De physicis dello Pseudo Mario Vittorino106 attribuite ad avversari pagani delle Scritture. Vedremo fra poco, e in modo più specifico, le argomentazioni che sembrano accumunare marcioniti e pagani. c. Il serpente benefattore Anche Giuliano fece proprie le obiezioni che, come abbiamo visto, avevano accumunato Porfirio ad Apelle. Egli, infatti, fece rilevare la stranezza di un comandamento che, in concreto, vietava la conoscenza del bene, massima aspirazione dell’uomo virtuoso. Nella critica giulianea107 troviamo inoltre altri argomenti di inequivocabile tradizione ofita:108 egli elogiò il serpente chiamandolo piuttosto benefattore dell’umanità, proprio perché era stato in virtù del suo intervento che l’uomo aveva acquisito ciò che un dio invidioso cercava di precludergli. Non ci meravigliamo di questa convergenza tra il pagano e la lettura ofita dell’episodio. La si 105

Le argomentazioni di Apelle sono trasmesse nel cap. sesto del De paradiso di Ambrogio il quale fu consapevole che questi medesimi ragionamenti circolavano tra avversari dell’Antico Testamento (Apelle e la loro scuola) e pagani, cfr 6,39. A questo proposito Apelle si differenziò dal suo maestro Marcione poiché mentre quest’ultimo da biblista procedeva per antitesi tra Antico e Nuovo Testamento, il primo non esitò a intessere la sua opera di argomentazioni di tipo logico – filosofico, come in questo caso. 106 PS. MARIUS VICTORINUS, De phys., 9 (= PL VIII,1300). 107 IUL., Galil., fr. 16; sul tema egli ritorna esplicitamente anche nel fr. 17, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, pp. 89-91,99. 108 Cfr TERT., Adv. omn. haer., 2; EPIPH., Haer., 37,3,1; MANLIO SIMONETTI, Testi gnostici cristiani, Milano 1993, (Fondazione L. Valla), p. 39seqq. Un sorprendente paragone con le argomentazioni giulianee è possibile istituire con il Testimonium veritatis trovato a Nag Hammadi, cfr NHC IX 3,45 ss. Nella vastissima letteratura su Giuliano manca uno studio complessivo su questo imperatore e i gruppi gnostici. Sarebbe interessante perché gli gnostici, tra i cristiani, erano coloro che più dialogavano con la tradizione platonica a cui l’imperatore guardava con venerazione. Così pure, sempre in tema di relazioni tra questo imperatore e denominazioni ‘eterodosse’ della galassia cristiana, sarebbe interessante approfondire il suo rapporto con il manicheo Sebastianus, che fu dux Aegypti (356-358 d.C.), e che Giuliano nominò comes rei militaris (363-378 d.C.), volendolo a suo fianco nella spedizione contro la Persia, cfr ATHAN., Apol. de fuga, 6; ID., Hist. arian., 59; SOCR., Hist. eccl., II,28. Il personaggio fu elogiato dal pagano EUN., hist., fr. 47; cfr ARNOLD HUGH MARTIN JONES – JOHN ROBERT MARTINDALE – JOHN MORRIS, The Prosopography of the Later Roman Empire, I (260-395), Cambridge, Cambridge University Press, 1971, I, p. 812seq.; d’ora in poi questo repertorio sarà citato secondo la classica abbreviazione PLRE.

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ritrova anche in Celso il quale aveva criticato questo dio109 che alcuni maledicevano proprio perché aveva, a sua volta, maledetto quel serpente che, invece, aveva fatto del bene ad Adamo ed Eva.110 È noto che Celso aveva una certa conoscenza della setta degli ofiti la cui iniziazione egli paragonò a quella dei mitraisti.111 d. La parzialità del dio giudaico Giuliano sembra in sintonia con il pensiero gnostico quando condanna il dio degli ebrei per la sua pretesa di essere la divinità assoluta e suprema laddove, al contrario, egli esercita il suo potere parzialmente e soltanto su un piccolo popolo.112 Anche se Giuliano tra il dio dei cristiani e quello degli ebrei preferisce decisamente quest’ultimo, forse proprio per i suoi limiti ‘etnici’, notiamo che al pari degli gnostici egli utilizzò elementi veterotestamentari piegandoli a dimostrazione degli assunti del suo discorso religioso. Ciò ci introduce alla considerazione seguente. e. L’utilizzazione delle Scritture La crisi marcionita del secondo secolo e la dolorosa, aspra separazione della chiesa dalla sinagoga avevano determinato da parte della prima la scelta di accettare in toto il corpus degli scritti veterotestamentari in quanto testi autorevoli e normativi. Ma la condizione era chiara: a patto che questi si leggessero esclusivamente come una lunga, continua profezia di Cristo e della chiesa. In ciò, e in ciò soltanto, era il loro valore. Nei gruppi gnostici l’atteggiamento verso quel corpus di scritti era invece differenziato, così da consentire la valorizzazione di un testo più di un altro, anzi da considerare profetiche alcune pagine e del tutto riprovevoli altre. La Lettera di Tolomeo a Flora è il manifesto di questa tendenza laddove essa seleziona brani da considerare ispirati, altri da attribuire all’avvedutezza di Mosè, altri ancòra da ritenere alla stregua di umane e limitate prescrizioni. La lettura che fecero i pagani delle Scritture, poiché non ravvisava in queste alcun carattere sovrannaturale, pure conduceva a

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Si riferisce al dio dei giudei maledetto dai cristiani di denominazione marcionita e di tendenza ofita. 110 Cfr OR., Cel., VI,28. 111 Cfr OR., Cel., VI,24-25. 112 Testi e commento in WILLIAM J. MALLEY, Hellenism and Christianity. The conflict between Hellenic and Christian wisdom in the Contra Galilaeos of Julian the Apostate and the Contra Julianum of St. Cyrill of Alexandria, Roma, Università Gregoriana Editrice, 1978, p. 104. Ricordo l’intervento di Giuliano a favore dei valentiniani di Edessa i quali erano stati aggrediti dagli ariani. L’imperatore, con drastica ironia, requisì i beni di questi ultimi per agevolare il loro ingresso nel regno dei cieli grazie alla povertà prescritta da Gesù, cfr IUL., Ep., 115 (Bidez; Caltabiano = n° 40 Wright).

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una formulazione di giudizi diversi volta per volta e per ogni singolo testo anche se, in generale, si perveniva ad una generale loro condanna, della forma così come dei contenuti.

6. TRA MARCIONITI E PAGANI Marcione di Sinope non ebbe stoffa di filosofo. Dopo esser stato esperto navicularius, dimostrò sensibilità di riformatore religioso, acribia di filologo e talento di organizzatore. Dall’osservazione dei mali che affliggevano la creazione, unita a una comprensione letteralista delle Scritture giudaiche, egli approdò alla convinzione secondo la quale il dio creatore, adorato dai giudei, celebrato nei testi a loro sacri e temuto per le sue leggi, era piuttosto un maldestro demiurgo, prigioniero della sua stessa ignoranza e dedito all’esercizio di una giustizia algida quanto miope. Diverso il Dio amorevole rivelato da Gesù, e prima ignoto. Questa dicotomia indusse Marcione a comporre un’opera il cui titolo, Le antitesi, già rivela il suo contenuto: la contrapposizione delle Scritture giudaiche alla predicazione di Gesù, riecheggiata fedelmente nel messaggio paolino in quel che aveva di avverso alla Legge e alle pastoie del giudaismo. Del trattato di Marcione, purtroppo, non sopravvivono se non quei frammenti che Tertulliano, nella sua foga controversistica, volle inserire nel suo Adversus Marcionem. Troppo poco per farcene un’idea esaustiva. Abbastanza però per cogliere l’essenza del suo messaggio. In ogni caso si trattava di una miniera di contraddizioni, aporie e contrapposizioni che facevano da premessa e fondamento alla predicazione marcionita la quale ebbe ben presto un successo di gran rilievo. Possiamo immaginare che questo testo, così come sgorgò dalla penna del suo autore o come fu variamente epitomato o accomodato da suoi epigoni, se turbò l’animo di molti fedeli della “Grande Chiesa” fornì anche armi pronte e acuminate a chi comunque desiderava impegnarsi contro quest’ultima. La propaganda marcionita catturava l’attenzione e turbava quei cristiani che non si sentivano a loro agio con la visione veterotestamentaria o che non riuscivano a trovar risposta all’eterno interrogativo della presenza del male in questo mondo. Di questi temi si disputava pubblicamente anche nelle piazze e nei porti.113 Non possiamo escludere l’attenzione verso questi temi di qualche pagano colto, sensibile al problema della teodicea o a quello del rapporto tra la novità costituita dal cristianesimo e la tradizionale religio licita dei giudei. Le quaestiones sollevate dalla predicazione marcionita ebbero con ogni probabilità un qualche riecheggiamento nei repertori patristici dedi-

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È significativo l’episodio della lettura pubblica di un trattato marcionita presso il porto di Cartagine nell’età di Agostino, che dà origine alla composizione del Contra adversarium legis et prophetarum, cfr. Aug. c. Adv. Leg. I, 1.

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cati alle aporie scritturistiche.114 Ma di ciò parleremo in sèguito. Quel che sembra più sicuro è che esse armarono la mano di pagani polemisti anticristiani. È il caso di Celso che in più luoghi di quel che rimane della sua opera dimostra non solo di conoscere le argomentazioni marcionite ma anche di saperne fare uso. a. Egli criticò il rifiuto da parte dei cristiani della venerazione dei demoni, ritenuta contraria al culto del vero Dio. Anzi, così argomentava il filosofo, anche al culto del sommo dio ‘iperuranio’ sono avversi i cristiani, poiché “prendono come capo” il Figlio dell’uomo e dichiarano di adorare colui che gli attribuiscono come padre; essi adducono a pretesto che non si possono servire due padroni,115 ma questa frase è un pretesto per mantenere compatta la loro setta. A sostegno di questo suo ragionamento il pagano citava il Dialogo celeste, un vangelo d’ispirazione gnostica, molto probabilmente d’impronta marcionita.116 b. Celso dimostra di conoscere la dottrina marcionita anche quando ne ricorda la convinzione secondo la quale Gesù è l’unico a esser stato mandato da Dio a visitare il genere umano: prima di lui nessuno. Il pagano denuncia la contraddizione di questa dottrina con quanto afferma il Libro di Enoch117 in merito a messaggeri “persino sessanta settanta alla volta” mandati in terra da Dio. c. Sembra derivata proprio dalle Antitesi un’articolata opposizione che Celso118 denuncia tra i precetti di Mosè di conquistare terre, sterminare

Questo è il parere di GUSTAVE BARDY, La littérature patristique des quaestiones et responsiones sur l’Ecriture Sainte, in «Revue Biblique» XLI (1932), p. 352 il quale ricorda le seguenti quaestiones tratte dalle Quaestiones Veteris et Novi Testamenti dell’Ambrosiaster: 18 (dei due peccatori Saul non ottiene il perdono, Davide sì, perché?; rilevo che la peccaminosità di Davide è un topos ben attestato nella controversia anticristiana, cfr s.v. Davide nell’indice analitico in RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 599); 36 (l’anima che pecca è quella che morrà); 43 (il voto di Jefte); 69 (Gesù e la Legge); 71 (è possibile vedere Iddio?). Nelle mie note di commento a questi brani rilevo come queste obiezioni siano tutte, chi più chi meno, attestate anche in àmbito pagano. 115 Citazione biblica da Mt 6,24; Lc 16,13, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 408seq. 116 Cfr OR., Cel., VIII,15 e HOWARD M. JACKSON, The setting and sectarian provenance of the fragment of the “Celestial dialogue” preserved by Origen from Celsus’s ƧŲŮůȭŸœɓŪŶŸ, in «Harvard Theological Review» LXXXV (1992), pp. 273-305. Celso dimostra di conoscere altra letteratura che, con termine a posteriori, definiremo extracanonica: Libro di Enoch (ap. OR., Cel., V,52), Oracoli sibillini (ap. OR., Cel., V,61; VII,53), Epistola di Barnaba (ap. OR., Cel., I,63), Dialogo di Giasone e Papisco (ap. OR., Cel., IV,52). Si noti che l’Epistola di Barnaba appartiene pleno iure alla letteratura adversus Iudaeos e, quindi, la citazione documenta una conoscenza del pagano delle argomentazioni controversistiche antigiudaiche di matrice cristiana. 117 Celso riecheggia episodi narrati nel Libro di Enoch in OR., Cel., VI, 67-69,89, cfr la nota di commento in Colonna 1971, p. 468. 118 Ap. OR., Cel., VII,18. 114

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i rivali, accaparrarsi ricchezze e gli insegnamenti del ‘Nazoreo’, cioè Gesù, secondo i quali è addirittura impossibile accedere alla presenza di Dio per i ricchi, per coloro che aspirano al potere, alla sapienza o alla fama; e per i quali, inoltre, è buona norma porgere l’altra guancia non preoccupandosi dei vestiti, come fanno i gigli, o del cibo, come fanno i corvi. Quest’ultima citazione è desunta dal vangelo di Luca,119 e pertanto potrebbe costituire un particolare che confermerebbe la derivazione marcionita della quaestio.120 d. Nel riferire le antitesi enfatizzate da Celso tra la legge del taglione promulgata da Mosè e il porgere l’altra guancia proclamato da Gesù, Origene afferma che il pagano sia stato “il portavoce di quelli che sostengono essere il Dio del Vangelo diverso dal Dio della Legge”, in altri termini dei marcioniti. In conclusione l’alessandrino riconobbe e attestò l’ampia utilizzazione di argomenti appartenenti all’armamentario di Marcione da parte del suo avversario pagano.121 Dunque Celso per combattere i cristiani in generale, si avvalse delle contraddizioni che Marcione122 aveva denunciato sussistere tra i due Testamenti.123 Ma la sua era un’utilizzazione solo strumentale poiché Celso non nutriva certo simpatie per Marcione e il suo messaggio. Egli, dunque, s’incuneò nella controversia tra quest’ultimo e la “Grande chiesa” appropriandosi di ciò che gli sembrava funzionale alla sua strategia controversistica.124 Più in generale: il pagano era in grado di attingere liberamente alle argomentazioni prodotte dalle varie denominazioni cristiane poiché ne conosceva le peculiarità in base alle quali esse si distinguevano e si contrastavano a vicenda.125 Famosa è la sua catalogazione, nell’àmbito dei seguaci di Gesù, tra coloro che predicano la diversità tra il Dio dei giudei 119

Lc 12,24. La menzione del corvo non figura nel testo parallelo di Matteo. È noto che Marcione riconobbe l’autorità del solo vangelo di Luca curandone un’edizione emendata da alterazioni d’ispirazione giudaica. 120 Cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, p. 421seq. 121 Cfr OR., Cel., VII,25. 122 Egli lo nomina explicitis verbis in OR., Cel., V,62. 123 Vi sono altri luoghi dell’argomentazione celsiana i quali fanno pensare all’utilizzazione di fonti marcionite o, almeno, al ricorso ad argomenti derivanti o affini a queste: la critica all’irascibilità del dio giudaico (OR., Cel., IV,71-72). In Cel., V,54 Origene denuncia un’affinità con Apelle a proposito della dottrina secondo la quale Dio non avrebbe inviato nessun suo messaggero all’umanità prima di Gesù. 124 Cfr specialmente l’ironia antimarcionita con la quale Celso afferma: “Proprio venerabile il dio che desidera essere padre dei colpevoli condannati da un altro (= il dio demiurgo dei giudei), dei bisognosi, dei rifiuti come si chiamano loro stessi; il dio incapace di catturare e di punire quello che ha inviato per portarli via!”, cfr Celso. Il discorso vero, a cura di Giuliana Lanata, Milano, Edizioni Adelphi, 1987, p. 231. 125 Da OR., Cel., V,63 apprendiamo che Celso era a conoscenza delle controversie tra cristiani di varie denominazioni e delle argomentazioni “orribili e indicibili” che mettevano in campo nel corso delle loro polemiche poiché si “detestano implacabilmente”.

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e quello che ha inviato Gesù (marcioniti), coloro che invece ne sostengono l’identità (seguaci della “Grande chiesa”), coloro che definiscono alcuni ‘psichici’ altri ‘pneumatici’ (valentiniani126), coloro che vogliono vivere secondo la Legge di Mosè (giudeocristiani), i doceti,127 gli ebioniti,128 coloro che seguono Simon Mago,129 o Marcellina,130 Carpocrate,131 Mariamme,132 Marta, o gli oracoli della Sibilla,133 etc.134 Anche in Giuliano individuiamo un’argomentazione marcionita. A proposito dell’episodio della trasfigurazione135 egli, infatti, si domandava: “(Pietro, Giovanni e Giacomo) donde seppero che (i due personaggi comparsi) erano Mosè ed Elia, dal momento che non li conoscevano e non ne avevano neppure raffigurazioni?”136

7. LE QUAESTIONES: DAL DIALOGO VIVO AL TOPOS SCOLASTICO Nell’antichità, sia classica che cristiana, fiorirono scritti scanditi dal ritmo della quaestio e della responsio. Le tematiche trattate erano numerose: si andava dalla filologia alla giurisprudenza, dall’esercizio della didattica all’esegesi dei testi biblici. A noi qui interessa tornare a riflettere sulla letteratura patristica delle quaestiones et responsiones in quanto testimonianza della vivace circolazione di testi e di idee che, come abbiamo già enunciato, caratterizzò l’età romana imperiale. Pertanto non è il caso

OR., Cel., V,61. OR., Cel., I,61. 128 OR., Cel.,V,61. 129 OR., Cel., V,62 130 OR., Cel., V,62. 131 In realtà qui il testo celsiano, così come riportato da Origene, parla di arpocraziani; questa confusione con il ben più noto nome della divinità egizia Arpocrate, figlio di Iside e di Osiride, è a mio avviso un ulteriore argomento che si va ad aggiungere all’ipotesi secondo la quale Celso sarebbe stato un alessandrino o, almeno, avrebbe rispecchiato la cultura di questa città. 132 OR., Cel., V,62. 133 OR., Cel., V,61. 134 OR., Cel., V,61. 135 Cfr Mt 17,1-9; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36. 136 L’argomentazione è tratta dal secondo libro dell’Adversus Galialeos e c’è trasmessa da un frammento dell’opera antigiulianea di Teodoro di Mopsuestia, cfr AUGUSTO GUIDA, Frammenti inediti del “Contro I Galilei” di Giuliano e della replica di Teodoro di Mospuestia, in «Prometheus», IX (1983), pp. 157-163; ID., Teodoro di Mospuestia, Replica a Giuliano imperatore, Firenze, Editrice Nardini, 1994, pp. 154-160. Essa con ogni probabilità deriva dall’armamentario polemico marcionita contro il quale polemizza TERT., Adv. Marc., IV,22. L’apologeta per risolvere la quaestio ricorre alla possibilità di visioni estatiche da parte degli apostoli (così come di tutti i veri credenti) e ricorda anche che questo argomento era oggetto di controversia tra cattolici e seguaci della Nuova profezia. 126 127

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di ripercorrere la storia di questo genere letterario, esigenza per la quale preferiamo rimandare alla bibliografia oramai classica sul tema.137 Va detto che una caratteristica costante delle opere di questo genere138 consiste nel loro carattere didascalico ed erudito. Insomma si tratta, prevalentemente, di prodotti di scuola modellati secondo tecniche e regole del genere che sono antiche; nel nostro caso al centro dell’attenzione erano poste aporie e difficoltà derivanti dalle Scritture e alle quali si faceva seguire la soluzione. Il primo testo cristiano che ci sia pervenuto, sia pur in parte, e che potremmo inserire in questo filone è opera di Eusebio di Cesarea: le Quaestiones evangelicae, una raccolta di difficoltà poste dal testo dei vangeli, articolata in due distinte parti: la prima relativa ai racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, l’altra a quelli della risurrezione.139 È merito di Lorenzo Perrone aver messo in chiaro sia che queste pagine non dimostrano dipendenza dagli scritti di Filone d’Alessandria, modulati con lo stesso ritmo quaestio / responsio, sia che Eusebio per quest’opera e per la sua forma abbia invece contratto un debito da Origene del quale, anche in questo caso, si dimostra discepolo.140 I contributi del Perrone141 relativi a questa produzione patristica hanno inoltre riproposto con vivacità il problema più generale di determinare se e fino a che punto gli argomenti agitati in queste opere provengano dall’attenzione erudita, e dagli altri autori cristiani, cioè se siano frutto dell’applicazione di tecniche filologiche derivanti da modelli classici ai testi sacri per i cristiani142 o se, invece, le quaestiones, accanto a questo loro carattere erudito, non abbiano talvolta potuto in un modo o nell’altro riflettere effettive discussioni, critiche e punti di vista trattati nel dibattito religioso dell’epoca. Seguendo quest’ultima ipotesi di ricerca che, lo dico subito, a me sembra più aderente all’effettiva realtà della vivace storia sociale e religiosa di quel periodo, possiamo inoltre formulare a latere

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Rimane ancòra utile per l’ampiezza del panorama presentato la classica esposizione di GUSTAVE BARDY, La littérature patristique des quaestiones et responsiones sur l’Ecriture Sainte, in «Revue Biblique», XLI (1932), pp. 210-236, 341-369, 515-537; XLII (1933), pp. 14-30, 211-229, 328-352. LORENZO PERRONE, Il genere delle Quaestiones et responsiones nella letteratura cristiana antica fino ad Agostino, in edd. Lorenzo Perrone et Alii, “De diversis quaestionibus octoginta tribus” “De diversis quaestionibus ad Simplicianum” di Agostino d’Ippona, (Lectio Augustini. Settimana agostiniana pavese), Roma, Città Nuova Editrice, 1996, pp. 11-44 offre una presentazione sintetica e utile la quale, però, si ferma all’età di Agostino. 138 Naturalmente il giudizio è relativo soltanto a quelle che ci sono pervenute. 139 Se ne veda ora l’edizione a cura di Claudio Zamagni per le Sources Chrétiennes (n° 523, Paris 2008). 140 LORENZO PERRONE, Le Quaestiones evangelicae di Eusebio di Cesarea. Alle origini di un genere letterario, in «Annali di Storia dell’Esegesi», VII (1990), pp. 417-435. 141 Se ne veda l’elenco nella bibliografia finale. 142 È questa la tesi che, come meglio vedremo tra poco, lo studioso sposa con determinazione.

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la seguente altra domanda: posto che il tema centrale del dibattito religioso di età romana imperiale sia stato l’affermazione della religione cristiana e che il cuore di quest’ultima sia stata la Scrittura, a cui i cristiani continuamente ricorrevano, sarebbe del tutto impossibile ritenere che osservatori pagani del cristianesimo abbiano messo al centro delle loro riflessioni episodi, personaggi e insegnamenti della Bibbia? È poi così difficile immaginare che echi di queste discussioni siano penetrati nelle aule dove tra cristiani si discuteva e si apprendeva in merito alle Scritture e che poi l’assunto di queste discussioni abbia costituito oggetto di riflessione degli autori cristiani? Partiamo da questi ultimi quesiti. Nel 1989 vide la luce il mio Biblia gentium, il già citato repertorio di testi di autori pagani relativi alle Scritture sacre di giudei e cristiani. La raccolta, tentata per la prima volta, credo abbia dimostrato che in ambienti intellettuali pagani una certa conoscenza delle Scritture fu qua e là possibile anche se sollecitata da intenti polemici. Nell’introduzione al corpus ipotizzavo che per alcune quaestiones trasmesseci dalla letteratura patristica143 si poteva pensare a una loro originaria formulazione in ambito ereticale o pagano. In quest’ultimo caso si sarebbe trattato di critiche alla Bibbia dal momento che la letteratura pagana d’interesse biblico, per quel che c’è pervenuto, non nasce da interesse di tipo asetticamente filologico o filosofico ma dall’impegno di contrastare l’avanzata del cristianesimo e delle sue categorie di pensiero avvertite come destabilizzanti dell’universo culturale e sociale tradizionale. Di conseguenza nel corpus dei testi che offrivo al lettore, ordinati secondo il canone biblico, cioè da Genesi all’Apocalisse di Giovanni, inserivo tali quaestiones ben avvertendo di non considerarle sic et simpliciter di provenienza pagana ma, nello stesso tempo, asserendo che, ove mai si fossero ravvisate coincidenze tra quaestiones patristiche e obiezioni pagane il margine di probabilità di una derivazione, lontana quanto si voglia, delle prime da queste ultime sarebbe stato tanto più degno di attenzione quanto più numerose sarebbero apparse le coincidenze.144 Le mie riflessioni sulle quaestiones patristiche in relazione a un contesto pagano o a sollecitazioni a questo riconducibili vennero poi da me stesso

143 Mi riferivo prevalentemente alle opere ‘zetematiche’ di Eusebio di Cesarea, Ambrosiaster, Agostino. Per quanto riguarda le quaestiones riportate nell’Apocritico di Macario di Magnesia la loro diretta derivazione pagana è del tutto fuori discussione. 144 Mi sembra evidente che in caso di coincidenza di argomentazioni antibibliche, e in presenza di un testo pagano anteriore a quello patristico, l’ipotesi di una derivazione della quaestio patristica da quella pagana è più plausibile di quella di una semplice coincidenza. L’inserimento delle quaestiones patristiche tra i brani sicuramente pagani veniva legittimato da tale caveat formulato nell’introduzione, favorito da necessità di studio della tematica, consigliato dal fatto che nell’allestimento di un corpus è meglio essere inclusivi.

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ampliate e precisate in uno studio a parte,145 pubblicato nello stesso anno in cui vide la luce la Biblia gentium. Questa ipotesi di collegare alcune obiezioni pagane ad alcune quaestiones patristiche, o almeno di non poter escludere in linea generale la possibilità di tali collegamenti, non era in realtà del tutto nuova,146 né è rimasta lì senza suscitare assensi147 o dissensi.148 Di tutto ciò ebbi poi modo 145 GIANCARLO RINALDI, Tracce di controversie tra pagani e cristiani nella letteratura patristica delle quaestiones et responsiones, in «Annali di Storia dell’Esegesi» VI (1989), pp. 99-124. 146 Sono in primis da ricordare FRANZ CUMONT, La polémique de l’Ambrosiaster contre les païens, in «Revue d’histoire et de littérature religieuse», VIII (1903), pp. 417436; PIERRE DE LABRIOLLE, La réaction païenne, Paris, L’artisan du livre, 1934; JOSEPHRHÉAL LAURIN, Orientations maîtresses des apologistes chrétiens de 270 à 361, Roma, Apud aedes Universitatis Gregorianae, 1954 (Analecta Gregoriana. LXI); PIERRE COURCELLE, Critique exégétiques et arguments antichrétiens rapports par Ambrosiaster, in «Vigiliae Christianae» XIII (1959), pp. 133-169; DAVID SUTHERLAND WALLACE – HADRILL, Eusebius of Caesarea, London, A. R. Mowbray, 1960, p. 57seq. Si tratta in ogni caso di studiosi la cui informazione sui testi della tarda antichità è stata pari alla capacità di coltivare una visione d’insieme dei diversi fenomeni storico religiosi e culturali. Tra questi, in particolare il Courcelle ravvisava nelle quaestiones dell’Ambrosiaster, nel loro complesso, gli argomenti della critica porfirina. La tesi è effettivamente radicale, tuttavia più che gettare il bambino insieme all’acqua sporca è il caso di far tesoro degli elementi di verità che essa contiene. 147 Tra gli assensi a tal proposito ricordo quelli espressi in alcune significative recensioni a Biblia gentium: M. Simonetti in «Augustinianum» XXX (1990), p. 489seq. (“…La letteratura per domande e risposte… accanto all’interesse intraecclesiale… curò anche il versante polemico nei confronti del paganesimo, intendendo cioè rispondere a questioni specifiche che da parte pagana venivano proposte in materia d’interpretazione del testo scritturistico”); E. Cattaneo in «Rassegna di Teologia» XXXI (1990), p. 95 (“… idea interessante…”); A. V. Nazzaro in «Bollettino di Studi Latini» XX (1991), p. 72 (“… Molte, infatti, delle quaestiones da sciogliere riguardavano interpretazioni pagane del Testo sacro”); S. Leanza in «Vetera Christianorum» XXIX (1992), p. 218 (“…importanza della letteratura delle Quaestiones et responsiones come fonte per la ricostruzione della critica biblica degli autori pagani”); oppure in sede di recensione a Rinaldi 1998: G. L. Prato su «Protestantesimo» LV (2000), p. 50 seq. Ma cfr anche MARCELLO MARIN, Orientamenti di esegesi biblica dei Padri, in A. Quacquarelli (curatore), Complementi interdisciplinari di Patrologia, Roma, Città Nuova, 1989, p. 312seq.; ANTONIO GARZYA, Appunti sulle erotapocriseis, in «Vetera Christianorum», XXIX (1992), p. 314; BASIL STUDER, Eruditio Veterum, in Storia della Teologia. I. Epoca patristica, edd. Angelo Di Berardino – Basil Studer, Casale Monferrato, Marietti, 1993, p. 371 (“è accertato che le questioni corrispondevano in gran parte alle obiezioni avanzate da Celso… da Porfirio…”); CLAUDIO MORESCHINI, Storia della filosofia patristica, Brescia, Morcelliana, 2005, p. 271 (“affascinante ipotesi di lavoro”); EMANUELE DI SANTO, L’apologetica dell’Ambrosiaster. Cristiani, pagani e giudei nella Roma tardo antica, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 2008 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 112), passim. Soltanto alcuni nomi di studiosi stranieri: ADAM KAMESAR, Jerome, Greek Scholarship, and the Hebrew Bible. A Study of the Quaestiones Hebraicae in Genesim, Oxford, Claredon Press, 1993, p. 84seq.; MICHAEL FIEDROWICZ, Apologie im frühen Christentum. Die Kontroverse um den christlichen Wahrheitsanspruch in den ersten Jahrhunderten, Paderborn, Schöning, 2000, p. 89; YANNIS PAPADOYANNAKIS, Instruction by Question and Answer: the

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di riferire nel 1998 a mo’ di consuntivo in un capitolo del primo volume de La Bibbia dei pagani, interamente dedicato a questo tema.149 Mi sembra che le obiezioni più meditate alla mia congettura o, per essere più precisi, alla ipotesi di lavoro da me mantenuta in piedi, siano venute da Lorenzo Perrone e, in aderente continuità con i contributi di quest’ultimo, da Claudio Zamagni. Le opere più particolarmente esaminate dal collega sono state le quaestiones di Eusebio150 e quelle dell’Ambrosiaster;151 ma a sèguito di queste analisi sono state però formulate anche considerazioni di carattere generale sull’intero genere letterario.152 Diciamo sùbito che per il Perrone non è possibile riconoscere alcuna filigrana apologetica in questi trattati, né ravvisarvi intenti controversistici; al contrario: “una lettura della Bibbia criticamente consapevole implicava anche per i ÎŰŹźŶɃ l’autonoma assunzione di problematiche tecniche affini all’impostazione pagana, sia pure piegate ad un esito opposto”.153 In altri termini, se ho ben capito, le obiezioni alla Scrittura trasmesse nella forma di quaestiones patristiche sarebbero state sempre il prodotto di una riflessione esegetica ed erudita, maturata all’interno della tradizione cristiana la quale era ben in grado di operare con i metodi e gli strumenti della filologia classica (‘pagana’) giungendo però ad esiti diversi da quelli degli ȑÎŰŹźŶŰ. Si sarebbe trattato, tra intellettuali pagani e cristiani, di una comunanza di atteggiamenti mentali e di presupposti culturali che presiedono al modo di accostarsi al testo scritto. Questa case of late antique and byzantine Erotapokriseis, in Greek Literature in Late Antiquity. Dinamism, Didacticism, Classicism, ed. Scott Fitzgerald Johnson, Aldershot, Ashgate Publishing Limited, 2006, p. 95seq. e ID., Defining Orthodoxy in Pseudo Justin, in, Heresy and Identity in Late Antiquity, edd. Eduard Iricinschi – Holger M. Zellentin, Tübingen, Mohr Siebeck, 2008, p. 118seq. Anche RICHARD GOULET, Macarios de Magnésie, Le Monogénès, Paris, Librairie Philosophique J. Vrin, I, 2003, p. 132 afferma, in sintonia con quanto da me proposto, che le quaestiones patristiche sono utilizzabili nell’àmbito della ricerca sulle obiezioni alla Bibbia da parte dei pagani, specialmente in riferimento a Porfirio. JOHN GRANGER COOK, The Interpretation of the New Testament in Greco – Roman Paganism, Tübingen, Mohr Siebeck, 2000, passim utilizza alcune quaestiones patristiche da me indicate per attestare la circolazione di obiezioni pagane. 148 In sostanza gli unici interventi di dissenso che registro sono quelli di Perrone e Zamagni, quest’ultimo strettamente sulla scia del primo. Pertanto non capisco su quali basi egli possa affermare che la mia posizione “a été largement contestée”, cfr CLAUDIO ZAMAGNI (curatore), Eusèbe de Césarée, Questions évangéliques, Paris 2008, (Sources Chrétiennes, n° 523), p. 56, nota 2. 149 RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, p. 279seqq. 150 Cfr PERRONE, Le Quaestiones evangelicae. 151 Cfr LORENZO PERRONE, Echi della polemica pagana sulla Bibbia negli scritti esegetici fra IV e V secolo: Le Quaestiones Veteris et Novi Testamenti dell’Ambrosiaster, in Pagani e cristiani da Giuliano l’Apostata al sacco di Roma, ed. Franca Ela Consolino, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 149-172. 152 Cfr PERRONE, Il genere delle Quaestiones, che però riguarda la produzione precedente ad Agostino. 153 Cfr PERRONE, Il genere delle Quaestiones, p. 26.

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“interferenza degli orizzonti culturali”, questa “affinità nei punti di partenza tra cristiani e pagani”, questa “comune sensibilità culturale” spiegherebbe l’emergere di quaestiones bibliche dalla riflessione stessa dell’autore cristiano. Dunque più che dall’effettiva necessità di risolvere un problema dibattuto, lo scrittore cristiano sarebbe stato sempre mosso dalla sua acribia di filologo e di uomo di scuola. Un Porfirio e un Giuliano, inoltre, secondo Perrone, sottoponendo la Bibbia al loro vaglio critico non si sarebbero comportati diversamente da un grammatico che valutava il testo virgiliano.154 Come ogni ricostruzione, anche quella del Perrone presenta a mio avviso acquisizioni sicure e ipotesi suggestive, ma anche asserzioni che poco mi sembrano conciliarsi con la dinamica dei fatti quale possiamo attendibilmente rievocare con un’attenzione più complessiva sia al problema della ‘fortuna’ dei testi (e delle dottrine) bibliche in àmbito pagano sia a una ricostruzione del serrato dialogo interreligioso che caratterizzò l’età romana imperiale. Quanto alle due opere specificamente prese in esame dal collega risulta evidente che esse non si presentano come trattazioni apologetiche, deliberatamente scritte per rintuzzare puntualmente quaestiones bibliche pagane. Sono invece prodotti di scuola, composti con intento pastorale per condurre il lettore credente nei percorsi spesso impervi di quella letteratura scritturistica nella quale era còmpito dei maestri cattolici far da guida. Ciò, tuttavia, non ci impedisce di individuare in alcune quaestiones l’agitarsi di argomentazioni simili, e talvolta identiche, a quelle che per altra via sappiamo essere state formulate da autori pagani. In questo caso anche se non possiamo avere la certezza matematica di trovarci di fronte a una derivazione (diretta o indiretta) della quaestio dall’armamentario pagano possiamo però ipotizzare a buon diritto che a monte della quaestio / responsio patristica possa esserci stato un vero e proprio dialogo (o conflitto) tra cristiani e oppositori, giudei, ‘eretici’ o pagani. In merito poi alle risposte da parte degli autori cristiani ritengo che queste siano state talvolta immediate e puntuali, altra volta invece le obiezioni loro riferite, magari anche sommariamente, hanno fornito a un pastore d’anime dotto l’occasione di metter mano a una fatica esegetica la quale avrebbe avuto un impianto organico, sia zetematico che discorsivo. Insomma l’insistenza con la quale veniva posta una quaestio poteva anche fornire l’occasione per la composizione di opere di carattere sistematico e di ben ampio respiro che non necessariamente ostentavano la veste della composizione apologetica. Sono molti gli esempi da citare quali illustrazioni di questa dinamica ricorrente. Ad Alessandria Ambrogio, ex valentiniano convertito all’ortodossia, fu turbato dalle argomentazioni di Celso e per questo 154

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PERRONE, Echi della polemica pagana, p. 150seq.

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chiese a Origene di realizzare la sua apologia. È anche il caso di Arnobio il quale, proprio perché sollecitato dalla proliferazione e dalla circolazione di opuscoli anticristiani, sia in greco che in latino, si decise a comporre le sue Institutiones. Significativa anche la vicenda del comes Marcellinus, di cui parleremo in sèguito: un cristiano turbato da critiche pagane alla dottrina e alle Scritture cristiane che sollecitò Agostino a metter mano alle relative responsiones. Negare la possibilità che i trattati di quaestiones et responsiones possano presentare argomenti in origine appartenenti alla concreta controversia religiosa, basandosi sulla pur accettabile considerazione secondo la quale queste opere non appartengono al genere apologetico, significa negare l’effettività e la pervasività di quel dialogo religioso che, come abbiamo appena visto, nell’età dell’impero romano ebbe luogo nelle famiglie, nelle scuole, nelle piazze, nelle biblioteche. D’altro canto anche la dottrina cristiana ebbe modo di plasmarsi non certo in comunità chiuse a visitazioni esterne o in scriptoria asettici di teologi. È invece nel clima caldo della controversia che i convincimenti ebbero a prender forma e a rendersi precisi. La prima riflessione teologica dei cristiani è reperibile nelle pagine delle apologie, così come i tomi che saranno composti in materia di dottrina porteranno spesso titoli il cui esordio è contra, adversus, űŨźȋo il più ambiguo ÎŷɓŸ. E così, possiamo congetturare, fu anche per l’esegesi biblica se è vero, come noi riteniamo essere vero, che la storia della teologia viene a coincidere con la storia dell’esegesi biblica. Di quella in chiave cristologica furono gettate le basi specialmente nel secolo secondo, quando si trattò di mantenere in autorità le Scritture dei giudei prendendo però le distanze da costoro e dando luogo a tutta una letteratura adversus Iudaeos. Quella allegorica certamente trasse alimento dalla necessità di far fronte ad aporie che potevano essere additate da credenti in crisi, da menti pensose all’interno delle comunità, ma anche in cenacoli di ‘eretici’ o in ambienti di intellettuali pagani. I pagani difficilmente si avvicinarono alle Scritture con lo stesso atteggiamento che caratterizzava la lettura dei loro venerandi classici. La Bibbia era inaccettabile in primis per la sua lingua infarcita da barbarismi e ineleganze linguistiche, e poi per i suoi stessi contenuti; e ciò fu vero almeno fino al secolo quinto!155 Dunque anche se un Porfirio poteva anatomizzare il libro di Daniele con le tecniche della più raffinata filologia ellenistica e, pertanto, pervenire alla conclusione che si trattasse di un testo pseudoepigrafo a bella posta retrodatato, non era certo questa acquisizione filologica a stargli a cuore, bensì l’esigenza militante di scardinare quella prova tratta dalla profezia che i cristiani utilizzavano per mietere conversioni. Così pure quando lo stesso sottopose l’Apocalisse di Zoroa155 Cfr ARN., Nat., I,58; AUG., Conf., III,5,9; De cat. rud., 9,13; OR., Homil. in Gen. 15,1; LACT., Inst. V,1; THDT., Affect., I,1; ISID. PELUS., Ep. IV,28.

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stro a una lettura critica, con gli strumenti più raffinati di cui la filologia poteva allora disporre, e giunse alla conclusione secondo la quale quel testo non poteva essere stato composto dal personaggio a cui era attribuito, ma era ŴɓůŶŸ e ŴȤŶŴ,156 abbiamo motivo di credere che la sua fatica sia stata motivata dalla necessità di difendere la scuola del maestro, Plotino, dagli attacchi degli gnostici piuttosto che dall’amore di più esotici otia letterari. La lettura pagana della Bibbia era dissimile da quella dei cristiani non solo nelle conclusioni157 ma anche (e forse principalmente) nelle sue stesse premesse. Pagani e marcioniti, ad esempio, potevano convenire nel rigetto delle Scritture giudaiche (e questa era la loro conclusione), ma il punto di partenza dei loro percorsi era poi opposto: per i primi la riprovazione totale del messaggio di Gesù, per i secondi l’accettazione entusiastica di questo, e di questo soltanto, quale proclama dell’araldo di un Dio sconosciuto. Come si diceva, il primo prodotto del genere delle quaestiones et responsiones che possiamo ora leggere sono le Questioni evangeliche di Eusebio di Cesarea. Nella sua recente accurata edizione di quest’opera Claudio Zamagni dedica un’intera sezione dell’ampia introduzione158 a tracciare il profilo dei destinatari e lo scopo delle quaestiones. Si tratta di una rassegna di contributi i quali vengono incasellati in due categorie nettamente separate a seconda se considerano il trattato esusebiano: a. opera apologetica; b. trattazione a carattere didattico erudito. Il curatore non ravvisa nell’opera alcuna intenzione apologetica bensì uno squisito “caractère livresque”. Eusebio avrebbe attinto il suo repertorio nel chiuso della sua biblioteca a Cesarea, attingendo a piene mani da Origene, mai menzionato ma “omniprésent tout au long du livre”. Egli, poi, aggiunge che poco importa se le quaestiones provengano dal repertorio pagano o siano state poste da cristiani. Il ragionamento di Zamagni procede per antitesi troppo nette (apologia / erudizione; pagani / cristiani) e forse proprio per questo tagliare le PORPH., V. Plot., 16. Così per PERRONE, Echi della polemica pagana, p. 152: “…L’affinità nei punti di partenza tra cristiani e pagani – non certo nell’esito a cui portavano gli interrogativi sollevati sul testo biblico – era garantita da una comune sensibilità culturale, dovuta principalmente al percorso istituzionale della scuola antica e alla civiltà del commento che questo tipo di scuola alimentava”. Sicuramente, come a buon diritto osserva il Perrone, le tecniche e gli strumenti del lavoro filologico erano patrimonio comune di pagani e cristiani, assicurato dalla frequentazione di una medesima scuola. Ma l’argomento del contendere era tale da coinvolgere troppo l’uno e l’altro fronte. Per i pagani le Scritture non erano da leggere alla stessa maniera dei loro classici (da qui il rifiuto d’intenderle allegoricamente), per i cristiani la loro realtà letteraria era trasfigurata dal loro prevalente carattere di parola di Dio. Il sogno di Girolamo (“tu sei ciceroniano non cristiano!) fu l’esito di un travaglio interiore, lungo, profondo e lacerante tra la paideia classica e la lettera del creatore alle creature. 158 ZAMAGNI, Eusèbe Quaestions, pp. 54-60. 156 157

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cose con l’accetta rischia di non cogliere l’anima viva che a tratti traspare in questo che, nella forma in cui lo leggiamo ora, è comunque un documento già cristallizzato e fissato nei canoni del suo genere. Certamente i generi letterari hanno costituito per le letterature classiche dei contenitori con regole e caratteristiche proprie. Ma abbiamo motivo di credere che nella letteratura cristiana queste rigidità abbiano spesso ceduto il passo a esigenze diverse e varie, tali insomma che se volessimo incasellare un’opera in un determinato genere e basta non faremmo altro che adagiare un corpo vivente su un letto di Procuste. Dunque il fatto che un’opera sia erudita (ed Eusebio fu sì campione di erudizione) non implica necessariamente che essa non contenga spunti apologetici (ed Eusebio fu anche campione di apologetica). Così come l’altra netta dicotomia, quella relativa alla provenienza delle quaestiones (da pagani oppure da cristiani), rischia di ignorare quel vivace dibattito tra fedi diverse che è la chiave di volta per comprendere il travaglio e il senso stesso di quest’epoca di metamorfosi e rovesciamenti. Dunque lungi dall’essere particolare poco importante, il rintracciare una quaestio patristica nell’armamentario dei pagani è una spia preziosa di come le idee abbiano interagito. Dobbiamo porci il problema della ‘preistoria’ autentica di tali obiezioni, anzi di tale genere nel suo complesso, e questa va cercata nella viva e vivace quotidianità non solo della vita scolastica ma anche di quella pastorale. In ogni caso si tenga presente che il testo che noi abbiamo oggi davanti e del quale parliamo costituisce lo stadio finale di un processo lungo che, prima di concretizzarsi nell’inchiostro fissato su carta, attraversò certamente le fasi della riflessione, del dialogo – dibattito, e poi ancora del ripensamento e così via. Lo Zamagni stesso, nel suo prezioso corredo di note al testo non manca di individuare più volte innegabili coincidenze tra la quaestio a cui risponde Eusebio e l’obiezione attestata sicuramente in àmbito pagano. Se si considera il carattere estremamente frammentario e gravemente lacunoso con cui ci sono pervenuti tanto i testi pagani quanto l’opera di Eusebio, queste coincidenze risulteranno campioni ancor più significativi.159 159

Cfr le seguenti quaestiones eusebiane: a. QMar., 1,9 (la genealogia di Gesù da Giuseppe) Zamagni ravvisa un parallelo in Celso ap. OR., Cel., I,28.32.39 ma ritiene che sia derivato dalla lettura di Origene; b. QMar., 13 (confusione di Mt tra Joachim e Ioiachin tra gli antenati di Gesù e il numero esatto delle generazioni) cfr PORPH., C. Christ., fr. 11 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 317); c. QMar., 14 (le umili origini di Gesù secondo la sua stessa genealogia), cfr Celso ap. OR., Cel., I,28 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 324); d. QMar., 15 (Gesù non discese letteralmente da Davide), cfr IUL., Galil., fr. 62 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 115); e. QMar., 16 (la cronologia degli avvenimenti successivi alla nascita di Gesù in Mt e Lc), cfr PORPH., C. Christ., fr. 12 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 328); qui si noti che Epifanio di Salamina, che trasmette l’obiezione attesta che essa era comune

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Né si neghi a priori l’eventualità di una matrice pagana di alcune obiezioni facendo notare che Eusebio abbia derivato da Origene, poiché proprio in Origene le preoccupazioni apologetiche sono diffuse ad ampio raggio, verso giudei, gnostici e pagani. Né tantomeno si tragga dal fatto che i destinatari dell’opera siano stati cristiani un argomento per negare decisamente la presenza a monte di stimoli e materiali di origine pagana. Non era forse ai cristiani che bisognava dare armi erudite per affrontare le sfide degli avversari? Anche le epistole indirizzate da Agostino al comes Marcellinus sono destinate a un cristiano, eppure queste sono nient’altro che corpora di quaestiones poste da pagani a cui il vescovo fornisce responsiones. E ciò proprio perché Marcellino aveva derivato i suoi turbamenti da conversazioni d’argomento biblico con pagani.160 In conclusione, e ciò valga per quello di Eusebio così come per altri testi del genere a cui ci stiamo interessando, va riconosciuto che l’autore raccolse una mole di quaestiones scritturistiche facendo leva sulla sua ampia erudizione in materia e attingendo al patrimonio di riflessione già consolidato nella chiesa. In altri termini fece opera di erudizione e di scuola. Tuttavia egli non si mosse in un vacuum ideologico: la sua fatica trasse alimento, e molto probabilmente occasione, anche da un contesto in cui la Bibbia (in primis i vangeli) era tema controverso tra credenti e non credenti. Se quella di Eusebio è la prima opera del genere che ci sia pervenuta per l’oriente grecofono, va individuato nell’Ambrosiaster il primo autore cristiano che, in lingua latina e in occidente, ha composto un trattato similare: le Quaestiones Veteris et Novi Tesamenti. L’autore è un presbitero romano attivo agli inizi degli anni ottanta del sec. IV, all’epoca dell’episcopato romano di Damaso (366-384).161 La sua opera è pervenuta in a Porfirio, Celso e un certo ‘Filosabazio’; particolare che, se quest’ultimo è da identificare con un giudeo o un giudaizzante, attesterebbe la circolazione di accuse anticristiane tra pagani e giudei. f. QSt., 1 (contraddizione sulle apparizioni di Gesù risorto: di sabato o la mattina del giorno seguente?), cfr IUL., Galil., fr. 96 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 599). La quaestio, che è palesemente pagana, è ampiamente riecheggiata altrove nella letteratura patristica, cfr HIER., Ep., 120,3; AMBR., In Lc., 10,147; THEOD. MOPS., Comm. in Ioh., 7. g. QSt., 3 (cronologia degli eventi della risurrezione; il noli me tangere), per Zamagni, ad loc., “les critiques de Celse et de Porphyre… peuvent aussi être à la base de cette question”. h. QSt., 4 (quanti angeli compaiono alla tomba di Gesù?), cfr Celso ap. OR., Cel., V,52 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 598) e IUL., Galil., fr. 96 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 599). 160 Su ciò ritorno più oltre a p. 53. Anche l’Apocritico di Macario di Magnesia è opera scritta da un cristiano per cristiani, eppure essa costituisce una miniera di quaestiones genuinamente pagane. 161 Fu anche il primo commentatore in lingua latina del corpus paolino; una personalità interessante più di quanto non sia finora emerso dalla bibliografia che lo

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redazione duplice; non si presenta come una trattazione organica bensì come un ampio contenitore dove convivono interessi vari dell’autore: preoccupazioni catechetiche, controversie contro ariani, novaziani, marcioniti, una polemica con i diaconi romani, invettive contro l’astrologia e i pagani, ai quali ultimi, in particolare, è dedicata la lunga quaestio 114. Cuore e, per così dire, tessuto connettivo dell’opera è comunque un susseguirsi di domande relative agli aspetti problematici, contraddittori e apparentemente inaccettabili delle Scritture, cioè di vere e proprie obiezioni. Un dato significativo, quest’ultimo, poiché a questo stesso autore è da attribuirsi anche il primo commentario in lingua latina del corpus paolino. Ci si è domandati quale sia l’origine di queste obiezioni. È possibile collegarle agli attacchi degli increduli ai testi sacri dei cristiani? Se il profilo dell’autore è evanescente non lo è certo il contesto, storico e geografico, in cui egli operò: gli anni travagliati dell’episcopato damasiano162 che sono poi gli stessi di quella cosiddetta ‘rinascita’ pagana la quale a Roma riscaldò i cuori e animò le speranze degli ultimi seguaci delle antiche tradizioni religiose suscitando, nello stesso tempo, apprensioni e disdegno tra i cristiani più impegnati nell’opera di definitiva conversione della loro società. Estraniare il nostro Ambrosiaster da questo contesto di travaglio religioso significa precluderci la piena comprensione dei molteplici livelli sui quali la sua opera venne vergata. Ciò può dirsi vero come e più di ogni altro autore il cui profilo acquisisce pieno rilievo solo sullo sfondo dei drammi dell’epoca che fu sua. Santo Mazzarino163 e Lelia Cracco Rugini,164 in pagine sempre valide e significative, hanno rievocato il trattato zetematico dell’Ambrosiaster illuminandolo, appunto, con gli eventi in cui fu concepito, nacque ed ebbe la sua prima diffusione. E questi eventi sono prioritariamente e innegabilmente caratterizzati dalla controversia religiosa. Damaso ebbe ad affermarsi e a conseguire l’ambita cattedra episcopale romana a sèguito delle sedizioni che ebbero luogo a più riprese coinvolgendo i suoi sostenitori e gli avversari, seguaci di Ursino. Così centotrentasette morti macchiarono di sangue tanto le basiliche che erano roccaforti dei due gruppi contendenti quanto gli esordi di quell’episcopato. Diventare vescovo di Roma, già allora, non era cosa da poco conto.

riguarda e che soltanto da un ventennio a questa parte si è notevolmente accresciuta, cfr DAVID G. HUNTER, The Significance of Ambrosiaster, in «Journal of Early Christian Studies» XVII (2009), pp. 1-26. 162 Cfr gli atti del Convegno Internazionale per il sedicesimo centenario della morte di questo personaggio: Saecularia Damasiana, Roma, Pontificio Istituto di archeologia cristiana, 1986. 163 SANTO MAZZARINO, Antico, tardo antico ed era costantiniana, Bari, Dedalo libri, 1974, p. 389seq. 164 LELLIA CRACCO RUGGINI, Ambrogio e le opposizioni anticattoliche fra 383 e 390, in «Augustinianum» XVII (1974), p. 430seq.

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I torbidi sconvolsero e atterrirono il prefetto Vivenzio165 che addirittura si ritirò in una villa extraurbana. Toccò poi al suo successore Vettio Agorio Pretestato166 riportare l’ordine. Quest’ultimo dalla sua residenza sull’Aventino,167 tralasciando per un attimo le cure della prefectura Urbis168 e, più ancòra, le mistiche iniziazioni nelle quali soleva consumare la sua ansia del Divino, rivolto ai cristiani affermava con sprezzante ironia che avrebbe aderito alla loro religione ove mai lo avessero fatto vescovo di Roma! La memorabile pagina di Ammiano Marcellino169 che ci informa su queste seditiones cruentae ci attesta anche più dettagliatamente gli agi dei vescovi romani che, alla pari e più delle aristocrazie secolari, venivano ostentati con vesti lussuose, mense opulente e carri da trasporto raffinati.170 È quella stessa pagina nella quale lo storico antiocheno contrapponeva queste degenerazioni dei vescovi romani alla semplicità e alla frugalità dello stile dei loro colleghi che operavano in centri rurali. Anche per tutto ciò v’era stata la constitutio trasmessaci in CTh XVI 2,20 indirizzata a Damaso e letta nelle chiese romane nell’estate del 370 e che colpiva ecclesiastici aut ex ecclesiastici i quali sub praetextu religionis si insinuavano nelle case ove c’erano donne facili da raggirare per carpire loro beni o addirittura eredità.171 Una presenza di pagani ai vertici delle più significative magistrature dové, proprio negli anni ottanta del secolo IV, determinare alcuni ritorni al paganesimo di cristiani, magari non ben saldi nella fede, attenti alle loro carriere o forse già in posizioni di rilievo. Ne sono testimoni le tre constitutiones con le quali s’apre il titolo settimo del libro XVI del Theodosianus; esse risalgono rispettivamente al 381172 e 383173 e colpiscono rigorosamente gli apostati qui ex christianis pagani facti sunt limitando il loro diritto di far testamento e di ricevere beni. È questo anche il clima in cui inseriremo sia il Carmen ad quendam senatorem ex 165

Esercitò la prefettura dell’Urbe negli anni 365-367, cfr PLRE, I, p. 972. Cfr MAIJASTINA KAHLOS, Vettius Agorius Praetextatus. A senatorial life in between, Roma, Institutum Romanum Finlandiae, 2002. 167 Cfr CIL VI 1777 = ILS 1258 168 Che rivestì dal 367 169 XXVII,3,14-15. 170 La dinamica dei fatti è attestata in modo conforme tanto nel pagano Ammiano quanto nelle fonti cristiane, sia filodamasiane che di tendenza ursiniana. Le seditiones cruentae di cui parla Ammiano corrispondono alle crudelissimae interfectiones di cui parla HIER., Chron. ad annum 366; cfr anche SOCR., Hist. eccl., IV,29; SOZ., Hist. eccl., VI,23; RUF., Hist. eccl., XI,10. 171 Cfr FRANÇOIS RICHARD, Les lois religieuses des empereurs romains de Constantin à Théodose II (312-438), I, Code Théodosien. Livre XVI, Paris 2005 (Sources Chrétiennes, n° 497), pp. 160-163. Il fenomeno acquisiva proporzioni di rilievo se è riecheggiato in HIER., Ep., 52,6; AMBR., Ep., 73,13; De officis min., I,20,87. Questi ecclesiastici con truffaldina abilità operavano ut ditentur oblationibus matronarum, come afferma AMM. MARC., XXVII,3,14. 172 CTh XVI 7,1. 173 CTh XVI 7,2.3. 166

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christiana religione ad idolorum servitutem conversum che prende di mira proprio un apostata dal cristianesimo, illustre per essere stato già console, sia anche gli altri due noti componimenti di ambientazione romana: il Poema ultimum e il Carmen contra paganos. A prescindere dalle precisazioni sui loro autori, sul momento, le circostanze e le motivazioni esatte della loro composizione,174 si tratta di testimonianze relative al conflitto tra un cristianesimo oramai alla vigilia imminente della sua piena affermazione e un paganesimo declinante, ma ancòra minaccioso agli occhi delle guide cristiane.175 È in definitiva questo il contesto in cui l’Ambrosiaster mise mano alla sua raccolta di quaestiones, con grande sensibilità alle problematiche dell’età sua, come attestano le due versioni del suo testo e le modifiche che distinguono quella seriore.176 L’autore fu dunque un presbitero che, come sembra, curò per i suoi colleghi presbiteri,177 impegnati nella catechesi, una raccolta di spunti esegetici dei più vari generi, magari facendo confluire in un unico calderone scritti che avevano in precedenza una loro autonomia.178 In un clima come quello descritto, denso di polemiche, anzi di scontri, anche all’interno della stessa comunità dei cristiani, il còmpito dell’esegeta non poteva certo essere svolto in modo asettico, soltanto ripiegandosi su moduli di scuola tràditi e limitandosi ad attingere a quanto già era stato prodotto all’interno della tradizione ecclesiastica.179 Sono ancora troppo numerose le quaestiones bibliche attestate nell’Ambrosiaster le quali sorprendentemente coincidono per contenuto 174 Un recente status quaestionis con bibliografia aggiornata su questi documenti in Di Santo 2008. 175 Siamo a ridosso dell’Editto di Tessalonica del 380 e alla vigilia delle più rigorose leggi teodosiane, devastanti per il culto pagano. Le guide cristiane di quest’epoca avevano sposato in pieno quella convinzione dell’apologetica post costantiniana, che trova in Firmico Materno un esponete radicale, secondo la quale non vi sarebbe stato successo per la missione cristiana se questa con fosse ipso facto coincisa con la distruzione letterale dei culti diversi, in primis eretici e pagani. Si passa dalla riduzione a minoranza dei pagani alla loro scomparsa fisica. 176 La terza recensione dell’opera, che presenta 115 quaestiones, è da considerarsi un rifacimento medioevale. Per questo aspetto cfr MARIE PIERRE BUSSIÈRES, L’influence du synode tenu à Rome en 382 sur l’exégèse de l’Ambrosiaster, in «Sacris erudiri» XLV (2006), pp. 107-124 e HUNTER, The significance, pp. 10-13. 177 Cfr MARIE PIERRE BUSSIÈRES, Le public des Questions sur l’Ancien et le Nouveau Testament de l’Ambrosiaster, in «Annali di Storia dell’Esegesi» XXIV (2007), pp. 234 e 242. 178 Così per BARDY, La littérature patristique, p. 346. 179 Gli studi più recenti sull’Ambrosiaster dimostrano che costui non fu una personalità evanescente, bensì una figura di gran rilievo dell’età in cui visse. In buona parte della storiografia moderna la sua personalità risulta schiacciata da quelle dei suoi grandi contemporanei: Girolamo e Ambrogio. Ma come non possiamo comprendere questi due ultimi prescindendo dalle dense controversie che attraversarono e agitarono le loro vite, così ci sarebbe difficile cogliere appieno il significato dell’opera dell’Ambrosiaster trascurando le controversie in cui fu coinvolto.

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con obiezioni alla Bibbia di sicura matrice pagana, perché si possa scartare a cuor leggero l’ipotesi di una circolazione di queste ultime in ambienti cristiani. Né si dica che la stessa critica biblica sviluppata all’interno della chiesa poté da sola produrre tanta dovizia di argomentazioni. Attribuire le obiezioni scritturistiche a cristiani (al fine di esorcizzare ogni ipotesi di impegno apologetico, sia pur indiretto, da parte del nostro autore) significa non risolvere il problema, ma soltanto spostarlo: perché dovremmo escludere che cristiani abbiano conosciuto i rilievi mossi sul conto delle loro Scritture nel corso di contatti con pagani e abbiano poi a loro volta sottoposto queste argomentazioni a loro confratelli più dotti per essere illuminati? Potremmo prendere atto che di tale dialogo che fu all’origine della quaestio non v’è ora traccia esplicita nelle nostre fonti; ma la coincidenza di tante argomentazioni ci restituisce una serie di elementi ‘fossili’ che potrebbe a buon diritto testimoniare una originale circolazione di idee e di testi che, come abbiamo visto precedentemente, non deve sorprenderci in età romana imperiale. Questa mia congettura valga come correttivo alla pur felice intuizione del Courcelle il quale faceva derivare, con un automatismo che però non mi sento di condividere, ogni quaestio dell’Ambrosiaster dall’armamentario anticristiano di Porfirio. Per comodità del lettore trascrivo qui di seguito alcune corrispondenze che sarebbe possibile ravvisare tra quaestiones dell’Ambrosiaster e argomentazioni pagane: Numero della Contenuto della quaestio Attestazione in autore quaestio pagano dell’Ambrosiaster 5 Perché Dio accetta il sacrificio di Abele IUL., Galil., frr. 83 e 84 (= RINALDI, La Bibbia dei pae respinge quello di Caino?a gani, II, nn. 70° e 69). 14 Come mai Dio fa pagare ai figli le colpe IUL., Galil., fr. 20 (= RINALDI, La Bibbia dei pagadei padri? ni, II, n° 131): il tema ricorre nella controversia anticristiana, cfr. anche la quaestio 36; PORPH., C. Christ., 91 e la mia nota in RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, pp. 150-151.

a La quaestio ritorna anche nel repertorio dello Pseudo Giustino col n° 119, cfr più sotto nella relativa casella.

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Il diavolo ignora che Gesù è figlio di Dio. IUL., Galil., lib. II ap. THEOD. MOPS., c. Iul., fr. 3 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 343A). Perché Gesù risponde al diavolo che lo Anonym. ap. M AC . MAGN., Apocr., III,18 (= tenta soltanto citando la Legge? RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 549); Aug., In Io. Ep. Tr. 2,14. IUL., Galil., fr. 80 (= RIÈ possibile vedere Iddio? NALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 487). PORPH., C. Christ., fr. 29 Dio ha cura delle bestie? (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 661). Il voto di Jefte. Anonym. ap. AUG., Quaest. in Heptat., 7,49 e altri testi in RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, p. 294 nota 70; II, p. 174. PORPH., C. Christ., fr. 85 È assurdo che Dio abbia un figlio. (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 213). La discordanza sul padre di Giuseppe IUL., Galil., fr. 90 (= RINALDI, La Bibbia dei paganella genealogia di Gesù. ni, II, n° 319). PORPH., C. Christ., fr. 9 Marco sbaglia nel citare Isaia. (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 290). Con quale lingua si espresse il serpente IUL., Galil., fr 15 (= RINALDI, La Bibbia dei pagache tentò Eva? ni, II, n° 59). IUL., Galil., fr. 91 (= RILa stella alla nascita di Gesù. NALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 332). L’ora della crocifissione: per Mc è la ter- Obiezione classica, testi in RINALDI La Bibbia dei paza, per Mt Lc Io la sesta. gani, I, pp. 287 nota 27; II, p. 335. IUL., Galil., fr. 98 (= RILa vigenza della Legge e Gesù. NALDI, n° 347). Gesù è contraddittorio sulla sua parteci- PORPH., c. Christ. fr. 70 pazione alla festa delle capanne. (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 507).

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Gesù è via verità e vita, ma viene tardi PORPH., C. Christ., fr. 81 tra gli uomini. (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 519). I sacrifici dell’Antico Testamento e la PORPH., C. Christ. fr., 79 (= RINALDI, La Bibbia dei loro abolizione. pagani, II, n° 160); Volusianus ap. Aug., Ep. 136,2. Perché Dio invia il figlio a morire e non Volusianus ap. Aug., Ep. un angelo? 136,2. Gesù è contraddittorio a proposito del Anonym. ap. M AC . M AGN ., Apocr., III,20 portar la spade. (= RINALDI, n° 385). Io 2,4 (“La mia ora non ancòra giunta”) Anonym. ap. AUG., in Io. Evang. tr. 8,8,10-11 (= RIdimostra la soggezione al fato. NALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 496A). Il conflitto tra Paolo e Pietro sulla circon- PORPH., C. Christ., fr. 21 (= RINALDI, La Bibbia dei cisione. pagani, II, nn. 678-681); IUL., Galil., fr. 78 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 681A); Anonym. ap. MAC. MAGN., Apocr., III,22 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 618).

È evidente che questi accostamenti presi singolarmente non conducono a nessuna conclusione certa, tuttavia nel loro complesso giovano almeno a non farci escludere che tra i fronti controversistici dell’Ambrosiaster vi sia stato anche quello che riguardava gli oppositori pagani delle Scritture, come tra l’altro ha messo in luce un’ampia e informata recente monografia di Emanuele Di Santo180. Se poi elenchiamo accuse pagane, non alle Scritture ma alle dottrine dei cristiani, attestate sempre dall’Ambrosiaster181 l’ipotesi, che possiamo definire ‘classica’, di un’attenzione apologetica DI SANTO, L’apologetica dell’Ambrosiaster, specialmente alle pp. 109-173 dove si raccolgono altre convergenze tra quaestiones e topoi della controversistica pagana anticristiana. L’autore svolge lo studio delle quaestiones contestualizzandolo con quello dei commentari paolini e a più riprese fa rilevare (opportunamente) che l’impegno antiereticale dell’autore, insieme a quello verso i giudei, non necessariamente esclude quello sul versante pagano, che è anche ampiamente attestato, cfr p. 71, nota 79. La monografia ricostruisce il contesto religioso della Roma damasiana dove questo vescovo aveva un’attenzione particolare verso l’aristocrazia pagana mirante sia a mantenere la sua posizione di predominanza ecclesiastica sia a favorire la politica delle conversioni. 181 Già il DE LABRIOLLE, La réaction, pp. 493-498 era stato attento a quest’aspetto ricordando le accuse ai cristiani di essere insensati e dementi, la pretesa dei pagani di 180

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del nostro acquisisce un più alto grado di probabilità. Né la cosa deve meravigliarci poiché l’impegno apologetico può essere trasversale a diversi generi letterari.182 Sempre in tema di letteratura zetematica, ma spostandoci in area antiochena, nelle prime decadi del secolo V, valutiamo le Quaestiones et responsiones ad Orthodoxos dello Pseudo Giustino come una fonte di argomentazioni pagane alle quali l’autore intese dare risposta. Mi sembra qui evidente una stratificazione che rispecchia la genesi dell’opera: le quaestiones sono ben anteriori alle relative responsiones, e pertanto alla redazione finale del trattato. In quelle, infatti, è attestato un paganesimo che è ancòra indiscussa maggioranza, che ostenta ancòra guarigioni diffuse e rituali seducenti. È sintomatico il fatto che proprio la prima quaestio esordisca affermando che gli ortodossi sono una minoranza se confrontati ai pagani, ai giudei agli eretici. Ecco un prospetto di alcune quaestiones che leggiamo in quest’opera183 con l’indicazione sommaria del loro contenuto e delle attestazioni in àmbito pagano. 24

I miracoli di Apollonio di Tiana sono Topos ricorrente nella consuperiori a quelli di Gesù. troversistica anticristiana attribuito anche a Hierocle Sossiano, cfr. PORPH., C. Christ., fr. 4 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 123); MAC. MAGN., Apocr., III,1 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 585), IV,5 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 394).

essere i depositari della scienza ellenica, il carattere recente della cristianità, la sovversività dell’ordine sociale del movimento cristiano, l’assurdità di un Dio che genera un figlio il quale dovrà essere crocifisso, l’assurdità della risurrezione, etc. 182 Questa affermazione solleva il più ampio problema che consiste nel determinare se l’apologetica debba coincidere con uno specifico genere letterario oppure se non sia piuttosto una esigenza espressa variamente secondo circostanze e occasioni. Per una opzione a favore di quest’ultimo parere, che anche a me sembra preferibile, cfr AVERIL CAMERON, Apologetics in the Roman Empire. A genre of intollerance?, in Humana sapit. Etudes d’antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, edd. Jean Michael Carriè – Rita Lizzi Testa, Turnhout, Brepols, 2002, pp. 219-227 e SILKE PETRA BERGJAN, How to speak about early Christian apologetic literature? Comment on the recent debate, in «Studia Patristica» 36, Louven, Peeters, 2001, pp. 177-183. 183 L’edizione è quella di Johann Karl Theodor von Otto, Corpus Apologetarum Christianorum. Vol. V, tom. III, pars III, Wiesbaden 1881 (ristampa, ed. originale Iena 1857) di cui seguo la numerazione delle quaestiones citandole nella prima colonna.

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Gesù toccò cadaveri, ma questi sono da considerarsi impuri poiché egli stesso afferma che i farisei sono “sepolcri imbiancati”. Le guarigioni miracolose operate da Asclepio in funzione anticristiana.

IUL., Galil., fr. 81 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 393).

Celso ap. OR., Cel., III,2224; PORPH., C. Christ., fr. 80; I UL ., Or. 11,153b; Galil., frr. 46 e 57. Genesi erra sostenendo che nella crea- Celso ap. O R ., Cel., zione i giorni vennero ad essere prima VII,50.60. della creazione degli astri. Su Ps 18,5: “Dio pose nel sole il suo ta- Simpl., comm. in Arist. de bernacolo”. coelo, 1,1 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 193). Figlio dell’uomo è da intendersi come È esplicitamente attribuita “semplice mortale”. ai pagani nel testo stessob. Cfr. anche Celso ap. OR., Cel., VIII,15 (= RINALDI n° 555). Davide, un adultero, è stranamente det- Anonym. ap. Ambr., Apol. to “uomo secondo il cuore di Dio” e proph. David altera, II,2,5 inserito nella genealogia di Gesù. (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 179A). Il re Giosia, che distrusse i luoghi di cul- Lo Pseudo Giustino afferto pagano, fu sconfitto e i suoi discen- ma che l’obiezione è prodenti furono deportati. pria dei pagani. Perché i cristiani hanno abolito i sacri- Diffusa obiezione pagana: PORPH., C. Christ.,79 (= fici che Dio dichiarò di gradire? RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 160); IUL., Galil., fr. 71 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 142); Anonym. ap. AUG., De cons. evang., I,16,24; Civ. Dei, V,23,19; Volusianus ap. AUG., Ep., 136,2; etc. La distruzione del firmamento in riferi- Anonym. ap. M AC . MAGN., Apocr., IV,7 (= mento a Is 34,4. RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 228).

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Il rabbino di Cesarea Abbahu, vissuto nella seconda metà del sec. III, impegnato nella controversia anticristiana soleva ripetere che “Se qualcuno afferma di essere il Figlio dell’uomo sarà deriso”. Si tratta di un’allusione a Gesù come le altre due, strettamente connesse a questa, nelle quali si condannava chi affermava di essere Dio e di ascendere al cielo, cfr Talmud Gerus., Taanith 65b.

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Contraddizioni su Mt 10,28 (“Chi ama Anonym. ap. M AC . non deve temere”). MAGN., Apocr. III,2 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 565). Il sacrificio di Jefte attesta la pratica di Anonym. ap. A U G ., Quaest. in Heptat., 7,49. sacrifici umani presso gli ebrei. La circoncisione: perché fu ordinata se IUL., Galil. fr., 85 (= RIil corpo umano non ha niente di NALDI, La Bibbia dei pagasuperfluo?c Perché fu abrogata se era ni, II, nn. 87 e 346). stata ordinata? Perché Cristo pregò se la preghiera è Celso ap. OR., Cel., II,2,4 necessaria all’uomo a causa della debo- (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 401); IUL., lezza della sua natura? Galil., fr. 95 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 469); Anonym. ap. MAC. MAGN., Apocr., III,2 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 565). Come possono risorgere coloro i cui cor- Topos ricorrente nella conpi sono stati distrutti? troversistica anticristiana. PORPH., C. Christ., fr. 92 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 514); Anonym. ap. M AC . M AGN ., Apocr., IV,24. Perché il sacrificio di Abele fu accettato Celso ap. OR., Cel., IV,43 e V,59 (= RINALDI, La Bibe quello di Caino rifiutato?d bia dei pagani, II, nn. 71 e 72); IUL., Galil., frr. 83 e 84 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, nn. 70A e 69). La Bibbia dice che i patriarchi ebbero in IUL., Galil., fr. 25. dono grande agiatezza, ma la storia insegna che i pagani goderono ancor più di tali beni. All’epoca in cui erano celebrati i culti Tipica accusa pagana, pagani v’era prosperità, ora v’è crisi e connessa specialmente al spopolamento. sacco di Roma del 410; cfr. AUG., Sermo de excidio Urbis Rome e Civitas Dei.

c La domanda denota la tipica visione pagana del corpo come capolavoro e l’avversione a ogni sua forma di mutilazione. Da qui la nudità eroica delle statue di personaggi messi in rapporto con la sfera del divino; da qui il divieto adrianeo della circoncisione giudaica equiparata a una turpe castrazione. d Abbiamo già incontrato tale quaestio quale n° 5 del repertorio dell’Ambrosiaster.

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Il prescritto rispetto verso i genitori con- Anonym. ap. M AC . trasta con alcuni atteggiamenti e frasi di MAGN., Apocr., II,8 (= RINALDI, La Bibbia dei pagaGesù.e ni, II, n° 311)f. Iddio fa ricadere le colpe dei padre sui IUL., Galil., fr. 20 (= RINALDI, La Bibbia dei pagafigli. ni, II, n° 131 e relativo commento). Gli angeli potrebbero essere chiamati IUL., Galil., fr. 67 (= RINALDI, La Bibbia dei pagadèi. ni, II, n° 73); Anonym. ap. M AC . M AGN ., Apocr., IV,21 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 392 e mio commento sul topos pagano dell’equiparazione degli dèi agli angeli).

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In particolare Io 2,24; Mt 12,50; Lc 11,27. L’accostamento è proposto da BARDY, La littérature patristique, p. 216.

Anche a proposito dello Pseudo Giustino la prudenza c’impone di non mettere in relazione ogni quaestio che egli prende in considerazione con un’obiezione pagana, ma il peso cumulativo delle coincidenze sopra riportate anche in questo caso ci induce a non escludere a priori che la redazione di questo repertorio possa essere stata in origine sollecitata da una conoscenza, diretta o indiretta, di argomentazioni di derivazione pagana184. Ripetiamolo: la filigrana apologetica di un’opera è infatti determinata non soltanto dal suo appartenere ex professo a questo specifico genere letterario, ma anche dalla necessità di spiegare, ammaestrando un uditorio.185 Altro scrittore di area antiochena la cui opera è molto importante ai fini della nostra indagine è Teodoreto di Ciro, autore di una delle più importanti opere afferenti a questo genere letterario: le Quaestiones in Octateuchum le quali, pur essendo sollecitate dal cristiano Ipazio e destinate a un pubblico di credenti, contengono obiezioni di varia provenienza, anche pagane. È l’autore stesso ad informarcene nella sua prefazione quando afferma che non tutte le domande si prefiggono il medesimo scopo poiché alcune sono state formulate empiamente, cioè da pagani

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Anche chi volesse ad ogni costo sostenere che le quaestiones sono state tutte formulate a bella posta dallo stesso autore cristiano dovrebbe pur ammettere che tale lavoro non poté essere svolto in carenza totale di ogni relazione con il mondo extra ecclesiastico, in altri termini pagano. 185 Cfr PAPADOYANNAKIS, Instruction, p. 95seq. (“a strong apologetic dimension”).

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nella loro convinzione secondo la quale le Scritture siano povera cosa, vuoi perché non insegnano ciò che è giusto, vuoi perché sono infarcite di contraddizioni. Altre, invece, sono formulate da persone alla ricerca di risposte al fine di accrescere le loro conoscenze, e questi sono cristiani. Teodoreto dichiara di aver scritto la sua opera per la prima così come per la seconda categoria di pubblico. Ai primi per metterli a tacere dimostrando come le Scritture siano prive di contraddizioni e foriere di eccellenti insegnamenti, ai secondi affinché i loro dubbi siano sciolti.186 In area asiatica187 troviamo un altro eccellente prodotto afferente al genere di cui ci stiamo interessando: l’Apocritico di Macario di Magnesia. È un’opera ben nota agli studiosi del conflitto pagano / cristiano, essa si presenta come il resoconto di un dibattito incentrato sulle Scritture. Sulla scia di Adolf von Harnack solitamente si ravvisa nelle critiche qui trasmesse un’eco fedele delle obiezioni contenute nel perduto ŒŨźȌŞŷŰŹźŰŨŴɵŴ di Porfirio. Tuttavia da decenni la critica più avveduta188 ha messo in guardia contro un’utilizzazione immediata del materiale pagano che l’opera offre al fine di ricostruire sic et simpliciter il pensiero del filosofo.189 E ciò anche se l’ampia congerie di filoni e spunti diversi che le quaestiones presentano ci induce a ipotizzare che Porfirio vi abbia avuto ruolo prevalente, sia diretto sia, più probabilmente, indiretto. Con l’Apocritico ci troviamo di fronte a un’opera zetematica di innegabile afferenza al genere dell’apologetica. La dinamica che sottende la sua ispirazione iniziale e composizione è chiara: il vescovo cristiano ebbe tra le mani190 un’opera di autore pagano la quale condensava una grande quantità di obiezioni al testo biblico che sviluppava con ironia sottile e abilità retorica. Anche se Macario è intervenuto nel plasmare la materia nell’ordito generale del suo lavoro, le sue quaestiones sono state così preziose, proprio in quanto provenienti da un pagano, che la storiografia su questo apologeta THEOD. CYR., Quaest. in Hoct. Praef. (= PG 80,76). Questa è la collocazione proposta con autorevolezza da RICHARD GOULET, Macarios de Magnésie, Le Monogénès, Paris, Librairie Philosophique J. Vrin, II, 2003. I due volumi offrono un’ampia introduzione, il testo e la traduzione con commento dell’intera opera, frutto di decenni di ricerca del collega francese. Alla sua edizione rimando per ogni informazione sul trattato, il suo autore e l’anonimo pagano combattuto. 188 Cfr ad esempio TIMOTHY DAVID BARNES, Porphyry against the Christians: date and attribution of Fragments, in «Journal of Theological Studies» XXIV (1973), pp. 424-442. 189 In tal senso un esempio in negativo è quello offerto da GIORGIO JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al concilio di Nicea, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997, pp. 189-193 che sembra non conoscere quanto già da venticinque anni era stato prodotto in materia. 190 Sarebbe interessante conoscere se il testo da confutare gli fu recapitato da un cristiano che, messo in crisi dalle argomentazioni avversarie, lo pregò di dedicarsi alla sua confutazione. Questo particolare ci illuminerebbe sulla consistenza della circolazione di testi di critica biblica pagana tra i cristiani. 186 187

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cristiano ha fino a poco tempo fa trascurato l’analisi del suo profilo di teologo per concentrarsi esclusivamente sulla critica biblica anticristiana che egli aveva trasmesso. La dinamica sopra più volte accennata secondo la quale una prima, originaria sollecitazione pagana (ma anche ereticale) sarebbe a monte delle quaestiones patristiche se è a buon diritto congetturabile nei casi sopra riportati, che riflettono rispettivamente gli ambienti romani, antiocheni e, in ultimo, asiatici è palesemente evidente in quell’Africa di cui Agostino fu pastore, maestro e polemista impegnato su vari fronti. Pertanto passo a trattare quest’ultimo aspetto per il quale la copiosità dei testi e delle informazioni di contesto è certamente maggiore di quanto non si sia riscontrato con gli esempi precedenti. Sono numerose le opere di Agostino che possiamo far rientrare nel genere letterario delle quaestiones et responsiones. Alcune evidenziano questa afferenza già nel titolo, altre ci consentono tale inserimento in virtù del loro contenuto.191 A tutte queste opere va riconosciuta quella generale caratteristica che ben s’attaglia alla produzione letteraria dell’Ipponense: il prevalente carattere pastorale / apologetico. Intendo dire che la cura d’anime esercitata da Agostino si dispiegava nella quotidiana necessità di contrastare il più svariato panorama di pensiero religioso. Ab interno le dottrine dei donatisti e dei pelagiani, ab externo le argomentazioni dei manichei e dei pagani. La sua esegesi biblica quasi sempre ha dovuto tener presente la necessità di combattere le deviazioni dei confratelli e le critiche degli avversari.192

191 Su questo tema cfr ROLAND TESKE, Augustine of Hippo and the Quaestiones et responsiones literature, in Erotapokriseis: Early Christian Question and Answer Literature in context. Proceedings of the Utrecht Colloquium, 13-14 October 2003, edd. Annelie Volgers – Claudio Zamagni, Louvain, Peeters, 2004, pp. 127-144. 192 A tale proposito colgo l’occasione per sottolineare qualcosa che può sembrare scontato ma che credo valga la pena di ribadire: l’esegesi biblica degli antichi è profondamente e totalmente diversa dalla nostra. Per noi v’è l’esigenza di restituire ‘scientificamente’ all’autore il suo pensiero originale, in corretta sintonia con il suo specifico contesto storico. Per gli antichi questa restituzione era priva d’interesse, la Bibbia veniva letta per attingervi la soluzione a problemi della contemporaneità. Dio aveva ispirato quel testo antico in quanto profezia e nutrimento spirituale per il lettore che sarebbe poi venuto. Questa visione fu corroborata negli esegeti cristiani dalla controversia con i giudei la quale li portò a considerare il corpus delle scritture che noi diciamo veterotestamentarie non composte per costoro, bensì per la chiesa. Tuttavia, questa esegesi attualizzante, che fu propria dei Padri della Chiesa, affonda le sue radici nei pesherim giudaici del tipo di quelli attestati a Qumran. Già gli evangelisti rilessero in chiave attualizzante le pagine di Isaia sul Servo sofferente, già Giovanni il veggente nella sua Apocalisse rilesse in quest’ottica il libro di Daniele. La lettura attualizzante delle Scritture è pertanto un tessuto connettivo che soggiace tanto alla pietà dei qumramiti quanto alle esigenze dei più tardi Padri della Chiesa

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Prendiamo in considerazione le quaestiones pagane in Agostino. Nelle Retractationes193 l’Ipponense ricorda che mentre era impegnato alla redazione del suo trattato sulla divinazione dei demoni (tra il 406 e il 412) il presbitero cartaginese Deogratias gli aveva inviato un piccolo corpus di sei quaestiones formulate da un suo amico pagano che egli desiderava convertire alla fede cristiana: Inter haec missae sunt mihi a Carthagine quaestiones sex, quas proposuit amicus quidam quem cupiebam fieri Christianum, ut contra paganos solverentur, praesertim quia nonnullas earum a Porphyrio philosopho propositas dixit. Sed non eum esse arbitror Porphyrium illum Siculum, cuius celeberrima est fama. Harum quaestionum disputationes in unum librum contuli non prolixum, cuius est titulus: Sex quaestiones contra paganos expositae. Earum autem prima est: De resurrectione; secunda: De tempore christianae religionis; tertia: De sacrificiorum distinctione; quarta: De eo quod scriptum est: “In qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis”; quinta: De Filio Dei secundum Salomonem; sexta: De Iona propheta.

Il mittente con scrupolosità gli aveva riferito della paternità porfiriana di queste obiezioni ma Agostino, sbagliando, aveva creduto che il loro autore non poteva identificarsi con il celebre Porfirio ‘Siculo’. In realtà abbiamo motivo di ritenere che quelle obiezioni derivino direttamente dal repertorio anticristiano del noto discepolo di Plotino. Il trattatello composto da Agostino per presentare le solutiones è intitolato Sex quaestiones contra paganos expositae e costituisce in realtà l’epistola 102 di Agostino. Tutto ciò ci autorizza a concludere che: a. lo scritto appartiene a un genere letterario ‘misto’, cioè sia epistolare che erotapocritico così come apologetico; b. le quaestiones pagane non pervennero all’autore cristiano (che le risolve direttamente) da chi le aveva formulate, bensì attraverso la mediazione di un altro cristiano. Ma questa volta siamo fortunati poiché ne conosciamo il nome e identità. Altro caso simile è rappresentato dall’epistolario di Agostino con Volusiano194 e Marcellino redatto negli anni 411/412. La dinamica dei fatti che ne determinarono la composizione è chiara. A Cartagine presso la residenza del proconsole Volusianus, un convinto pagano, si solevano riu193

II,31. Si tratta di Rufius Antonius Agrypinus Volusianus, appartenente all’antica gens dei Ceionii Rufii, tipico esempio di famiglia mista (pagana e cristiana) a cavaliere tra i secoli IV e V. Se ne veda il grafico dell’albero genealogico in PLRE, I, p. 1138. Il nonno e il padre del nostro personaggio erano tenacemente pagani. Il primo ierofante di Ecate propheta Isidis e pontifex Dei Solis (CIL VI 846), il secondo immortalato nei Saturnalia di Macrobio. Tuttavia ferventi cristiane erano la sorella Albina, e la nipote (figlia di quest’ultima) Melania, protagoniste del monachesimo femminile in Palestina di cui parla Girolamo, cfr RINALDI, La Bibbia dei pagani, I, pp. 408-411. 194

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nire personaggi che, pur appartenendo alla tradizione religiosa del paganesimo, solevano leggere le Scritture e interrogarsi sul loro significato.195 Le disquisizioni non dovevano avere un carattere esclusivamente teorico: si sapeva che questi testi costituivano il fondamento di quella visione del mondo (cristiana) la quale si era imposta scalzando quella antica, accreditata da tanti secoli di vigenza, e che ora, con la forza delle leggi che la imponevano, aveva privato l’impero della pax deorum, della protezione assicurata in precedenza dagli dèi. In un certo senso anche questa dei pagani era una lettura biblica ‘attualizzante’, cioè finalizzata a leggere i segni dei tempi della contemporaneità.196 Il motivo del cristianesimo come fenomeno destabilizzante dell’impero, inoltre, era assurto a tragica attualità a sèguito di quel sacco di Roma del 410 che aveva spinto tanti aristocratici pagani a trovar rifugio nei loro possedimenti africani. Volusiano, a sèguito di una vivace discussione con amici pagani, non aveva esitato a scrivere ad Agostino interrogandolo su alcuni temi controversi della sua religione.197 A sèguito di questa sua lettera egli aveva ricevuto le relative risposte da parte del vescovo.198 Il cenacolo di Volusianus fu frequentato anche dal comes Marcellinus, un funzionario imperiale, fervente cristiano, mandato a organizzare quella Collatio Carthaginiensis finalizzata a porre pace tra cattolici e donatisti. Costui, turbato dalle quaestiones che quei pagani avevano formulato in margine ai testi e alle dottrine dei cristiani, ebbe cura di metterle per iscritto e di consegnare questo dossier ad Agostino per ottenere le relative risposte.199 Ma la sua richiesta andò anche al di là delle circostanze specifiche: a parere di Marcellino la consistenza delle obiezioni faceva sorgere la necessità di comporre un vero e proprio trattato apologetico che, una volta per tutte e a 360 gradi, spuntasse le armi ai pagani e dimostrasse la verità della fede cristiana. Agostino rispose con una sua lettera che è un vero e proprio trattatello a buon diritto da inserire nel genere delle quaestiones et responsiones ma, cosa forse ancòra più rilevante, di lì a poco egli,

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Agostino era in rapporti garbati e cordiali con il proconsole pagano. Erano ambedue ai vertici di un potere, il primo di quello ecclesiastico, il secondo di quello imperiale. Il vescovo (ep. 132) lo aveva esortato sia a leggere i testi sacri dei cristiani sia a non esitare a comunicargli eventuali domande sorte nel corso di questo studio. 196 Cfr più sopra alla nota 192. 197 Il testo costituisce l’ep. 135 nell’epistolario di Agostino. Ci si interroga sulla dottrina dell’incarnazione, del parto verginale di Maria, degli aspetti umani della persona di Gesù e dei suoi prodigi, simili a quelli compiuti da numerosi altri santoni che già s’erano visti. Le quaestiones pagane denotano una conoscenza diretta di testi biblici. 198 È l’ep. 137 di Agostino. 199 Il suo testo costituisce il n° 136 del’epistolario agostiniano. I temi principali sono, ancòra una volta, l’incarnazione di Dio in Gesù, l’abbandono dei sacrifici da parte dei cristiani, i precetti evangelici sul perdono e la mitezza giudicati incompatibili con le urgenze dello Stato (“molti guai sono capitati allo Stato per causa degli imperatori cristiani…”).

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sollecitato da tali stimoli iniziali, intraprese la composizione del De civitate Dei. In conclusione: a. ancòra una volta ci troviamo di fronte a testi appartenenti nello stesso tempo a generi letterari molteplici (epistolografia / quaestiones – responsiones / apologetica); b. pure in questo caso le obiezioni pagane pervennero ad Agostino sia direttamente dal pagano che tramite la mediazione di un cristiano che ne era a conoscenza; c. la circostanza occasionale delle obiezioni pagane fornirono all’autore cristiano l’incentivo e lo stimolo per realizzare un’opera a ben più ampio respiro, di carattere generale ma che, ci sarà lecito far rilevare, può trasmetterci il senso e forse talvolta il contenuto di quelle critiche pagane che costituiscono pertanto la ‘preistoria’ dell’opera.200 Ai fini della nostra ricerca è molto importante anche una riflessione sul De consensu evangelistarum di Agostino. L’opera, composta nel 400, si presenta con un impianto sistematico e una esposizione continua per cui non viene solitamente inclusa nel genere quaestiones / responsiones. Tuttavia essa si sviluppa all’interno della dinamica specifica di questo genere201 così che Goulven Madec l’ha considerata una quaestio contra paganos.202 Come apprendiamo dalle sue prime pagine,203 l’occasione della sua composizione fu l’incalzare di obiezioni ai testi evangelici da parte di calumniatores di cui Agostino non fornisce l’esatta e precisa identità.204 Abbiamo però tutti gli elementi per dare un volto sicuro a questi personaggi: essi sostenevano che Gesù era stato sì un saggio predicatore, ma non si era mai proclamato dio e non aveva mai pronunciato una condanna dei culti pagani; quanto ai vangeli essi erano stati manipolati inducendo così in errore i suoi devoti lettori, il tutto a causa del fatto che Gesù stesso non aveva provveduto a scrivere alcunché di suo pugno permettendo così, di fatto, questa grave alterazione del suo insegnamento. È ben noto che

200 Ritroviamo in sèguito pari pari le quaestiones pagane di Volusiano nelle anonime Consultationes Zacchaei et Apollonii. Altro caso riguardante però la controversia antimarcionita: la composizione dell’opera agostiniana Contro l’avversario delle leggi e dei profeti è da connettersi a una pubblica disputa avvenuta presso il porto di Cartagine dove alcuni cattolici avevano ascoltato la lettura di testi marcioniti e ne erano rimasti turbati. Costoro si erano procurati il libro, con tutte le quaestiones che esso poneva, e lo avevano consegnato ad Agostino insistendo affinché ne fornisse una confutazione. È Agostino stesso ad informarci su questi eventi, cfr Retract., II,58. 201 PÍO DE LUIS introduzione a Sant’Agostino, Il consenso degli evangelisti, Roma 1996 (Nuova biblioteca agostiniana, X/1), p. xxxiv. 202 GOULVEN MADEC, Le Christ des païens d’après le De consensus euangelistarum de saint Augustin, in «Recherches Augustiniennes», XXVI (1992), pp. 11-15. 203 Fondamentale l’excursus 1,7,11 – 33,51. 204 Anche in Retract. II,16 egli parla genericamente di persone che calunniavano gli evangelisti accusandoli di discordare tra loro. Più esplicito è Possidio che nel suo Indiculus include lo scritto tra quelli contro i pagani.

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questa era una vulgata anticristiana formulata da intellettuali nella scia di Platone (e penseremo in primis a Porfirio205), propalata dai grandi santuari oracolari impegnati ad arginare l’avanzata del cristianesimo, fatta propria da Giuliano.206 Agostino era familiare con questo genere di argomentazioni che in più circostanze si era trovato ad affrontare.207 Se possiamo essere certi che i calumniatores di cui si parla nel libro primo siano da identificare con i ‘porfiriani’, non abbiamo però elementi per attribuire loro le critiche ai vangeli dei rimanenti tre libri della stessa opera. Helmut Merkel208 ha ritenuto che quella contro i pagani nel libro primo sia soltanto una digressione ma che in realtà l’opera, oltre a contenere riflessioni e spunti sorti ab interno nella comunità di Agostino o prodotti da Agostino stesso, ci trasmetta un’eco della controversia manichea. Dunque possiamo notare sia che quella di dimostrare l’armonia tra i racconti evangelici sia stata una chiara necessità della chiesa avvertita al suo interno sia che gli attacchi di pagani e di manichei, convergendo e colpendo il medesimo obiettivo,209 abbiano indotto Agostino ad affrontare 205 Quid quod isti vani Christi laudatores et christianae religionis obliqui obtrectatores propterea non audent blasphemare Christum, quia quidam philosophi eorum, sicut in libris suis Porphyrius siculus prodit, consuluerunt deos suos, quid de Christo responderent, illi autem oraculis suis Christum laudare compulsi sunt? Nec mirum, cum et in Evangelio legamus eum demones fuisse confessos; scriptum est autem in Prophetis nostris quoniam dii Gentium demonia. Ac per hoc isti, ne contra deorum suorum responsa conentur, continent blasphemias a Christo et eas in discipulos eius effundunt; mihi autem videtur, quod illi dii gentium, quos philosophi paganorum consulere potuerunt, etiam, si de discipulis Christi interrogarentur, ipsos quoque laudare cogerentur, I,15. 23. Il motivo è attestato in un oracolo di Ecate incluso nella porfiriana Filosofia desunta dagli oracoli, cfr AUG., Civ. Dei, XIX,23; FRANCINE CULDAUT, Un oracle d’Hécate dans la cité de Dieu de saint Augustin: “Les dieux ont proclamé que le Christ fut un homme très pieux” (XIX,23,2), in «Revue des Études Augustiniennes» XXXVIII (1992), pp. 271-289. 206 Cfr IUL., Galil., frr. 79-80 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 487). L’assimilazione di Gesù a persone divine del paganesimo è attestata anche in SHA, v. Alex. Sev., 29,2 che va letta alla luce delle resistenze pagane della tarda età teodosiana all’esclusivismo intollerante dei cristiani. 207 Cfr Tract. in Ioh., 100,3,16; Enarr. in Ps., 75,11,6; Ser., 126,4,5; 290,3,3; 361,13,14. 208 Cfr HELMUT MERKEL, Die Widersprüche zwischen den Evangelien. Ihre polemische und apologetische Behandlung in der Alten Kirche bis zu Augustin, Tübingen, J. C. B. Mohr, 1971; ID., Die pluralität der Evangelien als theologisches und exegetisches Problem in der alten Kirche, Bern, Lange, 1982. 209 Quanto a convergenza tra manichei e pagani (un tema sul quale manca una esaustiva monografia) vorrei ricordare l’amicizia di Giuliano con il dux Aegypti (356-358) Sebastianus che professava la religione manichea, cfr ATHAN., Apol. de fuga 6; ID., Hist. Arian., 59; SOCR., Hist. eccl., II,28; PLRE, I, p. 812seq. I rapporti fra i due furono molto stretti: Sebastianus fu nominato comes rei militaris (363-378) e fu un protagonista della spedizione giulianea in Persia. Egli fu elogiato dal pagano EUN., Hist., fr. 47. Nell’intervento di Simmaco a favore del giovane uditore manicheo Agostino, candidato alla cattedra di retorica di Milano, v’è chi vede il favore di un pagano verso un manicheo in un momento in cui il fronte cattolico corrodeva tutte le altre denominazioni religiose indu-

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la fatica della composizione del libro in un momento in cui era così impegnato su altri fronti da doversi districare così come il tempo lo permetteva.210 Se questa dinamica rispecchia la situazione effettiva dei fatti così come ebbero a svolgersi abbiamo allora un meraviglioso esempio di varietà di spunti polemici (e di circolazione di quaestiones convergenti) la quale si traduce nella composizione di un’opera che appartiene trasversalmente a più generi letterari: la quaestio iniziale, l’esegesi, l’apologetica, la cura pastorale.211 A proposito della dinamica quaestio / responsio nella sua generalità, si è parlato212 anche della scuola e dei suoi metodi di accostarsi al testo come del terreno di coltura di questo genere letterario. Ma effettivamente è forse proprio questo l’argomento più persuasivo che ci induce a non rifiutare aprioristicamente l’ipotesi secondo la quale una parte almeno delle obiezioni poté essere dapprima posta nelle aule dove avevano luogo le lezioni. L’andamento stesso della lezione, laddove più intenso era il coinvolgimento del docente e la partecipazione dell’allievo, era segnato dal ritmo della quaestio / responsio. E ciò è vero tanto in àmbito pagano quanto cristiano. Per citare solo due esempi ci ricorderemo della sinusia di Plotino nella quale il maestro giungeva a rifiutarsi di condurre un’esposizione sistematica e discorsiva prima di aver esaurito adeguatamente le responsiones, il che poteva impegnare anche giorni interi.213 Quanto agli ambienti cristiani basterà citare le lezioni di Didimo Alessandrino le quali, pur se impostate secondo i procedimenti in uso nelle scuole classiche, davano sempre ampio spazio a quaestiones poste a viva voce, spesso estemporaneamente, e queste non erano talvolta prive di finalità polemiche nei

cendole a trovare alleanze difensive strategiche. Certamente il gioco degli schieramenti religiosi in questa seconda metà del secolo quarto era ben diverso da quanto appariva nella nota constitutio dioclezianea (del 297 o 302?) che metteva al bando il manicheismo riversando sul suo conto accuse simili a quelle che, di lì a poco, avrebbero colpito i cristiani, tra queste il costituire una recente innovazione. 210 Cfr AUG., Retract., II,16. 211 È appena il caso di esplicitare che non ritengo che i rilievi a cui Agostino risponde a proposito delle disarmonie dei vangeli derivino sic et simpliciter dal repertorio pagano o manicheo. Mi limito a ipotizzare che, siccome lo spunto per la composizione dell’opera fu fornito dalla polemica con queste due denominazioni religiose, non possiamo escludere che l’opera stessa ci trasmetta qua e là il senso o il contenuto delle obiezioni messe in circolo da quelli avversari della chiesa. 212 E ciò anche per negare il carattere apologetico della letteratura delle quaestiones et responsiones. 213 Cfr PORPH., V. Plot., 13 a proposito della trattazione del tema della coesistenza dell’anima con il corpo; vi leggiamo che la dialettica quaestio / responsio durò ben tre giorni ingenerando addirittura tedio tra alcuni allievi. D’altro canto una lettura attenta delle stesse Enneadi ci persuade che all’origine dovettero esservi lezioni dialogate. Ciò sembra vero particolarmente per i trattati antignostici i quali riecheggiano veri e propri contraddittori in aula tra maestro e seguaci della gnosi o anche allievi da questa suggestionati.

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riguardi degli avversari di turno, siano questi eretici o pagani214 o anche ‘ortodossi’ influenzati dalle riflessioni degli avversari.215 Rimane una difficoltà da esorcizzare, ma questa non credo stia nei testi quanto nelle nostre precomprensioni. Se si è solitamente disposti ad ammettere che le quaestiones d’argomento filosofico contenute nella letteratura patristica abbiano una sicura matrice pagana, chi non accetta che lo stesso possa dirsi a proposito di obiezioni al testo o agli insegnamenti biblici nutre tale scetticismo con la sua istintiva difficoltà ad ammettere che i pagani abbiano non solo potuto conoscere la Bibbia, ma che anche abbiano usato tale loro conoscenza come strumento di controversia anticristiana.

8. PERSISTENZE OLTRE IL LIMES Nonostante le notevoli difficoltà poste dalla carenza di fonti storiche, il còmpito di rintracciare corrispondenze e analogie di topoi controversistici nella letteratura di pagani, marcioniti e gnostici si presenta almeno chiaro nella sua impostazione e nei suoi criteri metodologici di fondo. Le conclusioni, pur permanendo nel campo delle ipotesi ben probabili, piuttosto che in quello delle certezze assolute, sembrano essere inoltre in piena armonia con il quadro di storia sociale della società romana di età imperiale. Sarebbe però interessante andare oltre il limes, cioè spostarci oltre i confini dell’impero romano e magari anche oltre i limiti cronologici solitamente assegnati alle indagini di storia del cristianesimo antico. In tal caso dovremmo includere nel nostro orizzonte fenomeni storico religiosi di gran rilievo come il manicheismo e l’islam. Non mancano, infatti, coincidenze di contenuto tra obiezioni che furono proprie del ‘paganesimo’ ellenistico romano e che ritroviamo in queste due grandi movimenti religiosi i quali nella loro stessa origine evidenziano connotazioni sincretistiche, così come nel loro sviluppo dimostrano grandi capacità di mediazione culturale.

214 Così, ad esempio, il tema dell’utilità della preghiera in relazione all’onniscienza di Dio che talvolta accomunava eretici e pagani, cfr PsT 21,31b, oppure la critica all’esegesi allegorica della Bibbia che accumunava sia pagani che alcuni cristiani, cfr PsT 38,12b. 215 Cfr EMANUELA PRINZIVALLI, Didimo il Cieco, Lezioni sui Salmi. Il Commento ai Salmi scoperto a Tura, Milano, Edizioni Paoline, 2005, pp. 32-35: “Nessuno potrebbe scambiare, neppure a una prima lettura, questi interrogativi come retorici”. La studiosa traccia il ritratto della scuola didimiana in sede di introduzione a quel Commentario ai Salmi dell’alessandrino che ci ha restituito una obiezione porfirina a Mt 11,15 o, se così si preferisce, al ricorso di Gesù alle parabole, cfr PsT. 43,2ab.

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In questo àmbito il carattere ipotetico dei nostri ragionamenti sarà ancora più accentuato di quanto non lo sia stato nella prima parte della ricerca. Ma, con tutte le cautele del caso, vale la pena almeno di accennare ad alcuni aspetti che più colpiscono. L’accusa di modificare il testo delle Scritture costituisce un’arma ricorrente attestata in più àmbiti controversistici. La ritroviamo all’indirizzo dei cristiani già in Celso216 il quale affermava che “Alcuni dei fedeli poi, come se in sèguito all’ubriachezza arrivassero ad azzuffarsi fra loro, riscrivono tre, quattro, tante volte la primitiva stesura della buona novella (ȧűźɁŸ ÎŷɭźŮŸŪŷŨżɁŸźɔŬɠŨŪŪȤŲŰŶŴ) e la rimaneggiano (ųŬźŨÎŲȋźźŬŰŴ) al fine di poterla rinnegare di fronte alle confutazioni”. Qui potremmo addirittura ravvisare un accenno al fenomeno del quale abbiamo parlato precedentemente: le modifiche al testo scritturistico indotte dalla controversia con i pagani. Ma è più probabile ipotizzare una critica alle diverse versioni che i vangeli presentano di episodi quali, in primis, la crocifissione o la risurrezione di Gesù. A meno che non vi sia un generico riferimento alla pluralità dei vangeli intesa als theologisches und exegetisches Problem. In ogni caso i cristiani sono accusati di aver manipolato i loro testi sacri. Proprio negli stessi anni in cui il pagano Celso così si pronunciava, Marcione di Sinope rigettava i vangeli in uso nella “Grande Chiesa” ravvisando in loro alterazioni introdotte da giudaizzanti e armava di forbici la sua mano per espungere dal testo dell’Evangelo, cioè da Luca, quelle interpolazioni a suo avviso frutto di una deliberata azione di corruzione delle Scritture.217 Se ci spostiamo in àmbito manicheo vediamo che l’accusa di aver falsificato le Scritture è ampiamente diffusa all’indirizzo dei cristiani. Anzi essa costituisce un caposaldo dell’edificio dottrinale dei seguaci di Mani poiché consente di affermare che Gesù, Budda e Zoroastro, hanno trascurato di mettere per iscritto i loro insegnamenti consentendo così la loro alterazione218, mentre Mani, lui sì, ha provveduto a vergare di suo pugno pagine di dottrina autentica, messa così in salvo da malevoli interpretazioni e cambiamenti219. I manichei condividevano con i marcioniti la convinzione secondo la quale sarebbero stati i giudei220 ad aver alterato gli scritti conteAp. OR., Cel., II,27 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 304). Cfr TERT., Adv. Marc., IV,5,7. 218 Cfr Kephalaia, ed. Hans J. Polotsky, Stuttgart 1940, p. 7,189,4; AUG., Cons. ev., I,7,11; 34,52; GHERARDO GNOLI, in Introduzione a Il Manicheismo. I. Mani e il manicheismo, Milano, Mondadori, 2003 (Fondazione L. Valla), p. XLIVseq. 219 Proprio per mettere il suo insegnamento al sicuro da alterazioni Mani compose le sue opere di suo proprio pugno, cfr Acta disputationis Archelai et Manetis 44 (ed. C. H. Beeson). 220 “I vostri antenati hanno inserito nei discorsi di nostro Signore molte affermazioni che, segnate col suo nome, non si accordano con la sua fede, soprattutto perché, come già spesso abbiamo dimostrato, non furono scritte né da lui né dai suoi apostoli, ma furono raccolte molto tempo dopo la loro morte non so da quali semi-Giudei”, Fausto il manicheo ap. AUG., C. Faust., 33,3. 216 217

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nenti la vita e la dottrina di Gesù, cioè i vangeli. Fausto di Milevi sosteneva con sicurezza che i vangeli erano pieni di errori e di contraddizioni221 talché non era opportuno prestare sempre loro fede:222 (Furono scritti) dopo un lungo tempo da uomini dal nome incerto i quali, per evitare che non si avesse fede in loro poiché scrivevano cose che non conoscevano, posero sul frontespizio dei loro scritti in parte i nomi degli apostoli, in parte i nomi di coloro che si pensava avessero seguito gli apostoli, affermando di aver scritto ciò che avevano scritto secondo l’insegnamento di questi. Con ciò, mi sembra che abbiano fatto un grande affronto ai discepoli di Cristo, poiché ricondussero a loro le dissonanze e le contraddizioni che essi stessi scrissero, e professarono di scrivere secondo i loro insegnamenti Vangeli come questi, pieni di errori così grandi e di narrazioni e affermazioni così contrastanti che non concordano né in se stessi né tra loro.223

Ma l’accusa di aver manipolato i testi sacri ebbe ulteriore fortuna nella controversia religiosa: fu, infatti, un cavallo di battaglia, anzi il pilastro di fondazione della politica religiosa verso giudei e cristiani da parte dell’islam che costantemente a tal proposito parlerà di tahrƯf, alla lettera un cambiamento di parole, ma in concreto una vera e propria contraffazione224. Sarebbe interessante accertare l’eziologia di questo topos contro-

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Ad esempio, per quanto riguarda la genealogia di Gesù, Fausto il Manicheo sosteneva che essa non è vangelo, poiché buona novella può dirsi solo la predicazione di Gesù (AUG., C. Faust. 3,1), egli, inoltre, notava le divergenze tra quella presentata da Mt e quella in Lc; non solo ma notava anche il diverso esordio degli altri due vangeli, Mc e Io che non si ponevano il problema di tessere elenchi di antenati umani, cfr anche AUG., Ser., 51,4,5; 17,27. Questa attenzione alle genealogie evangeliche, lo abbiamo già visto, è propria anche delle critiche dei pagani, cfr i brani in RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, nn. 315-323,438, 543. Altra aporia era rilevata a proposito di Mt 5,17 quando Gesù dichiara di essere venuto non per abolire la Legge ma per darle compimento: come poteva riferire ciò quel Matteo che (lo sappiamo da Mt 9,9!) non era presente alla predica di Gesù, laddove Giovanni che era tra gli ascoltatori, nel suo vangelo non riporta questo proclama gesuano, cfr AUG., C. Faust., 17,1-2. Altra contraddizione Fausto la riscontrava tra Mt 8,5ss. e Lc 13,14-29.: il centurione va di persona a pregare Gesù d’intervenire (come vuole Mt.) o manda suoi servi (come afferma Lc)? E poi, il riferimento in Mt 8,11 a molti (da intendersi pagani) che siederanno a tavola con i patriarchi manca nel racconto parallelo di Lc. Pertanto non si è sicuri che risalga effettivamente a Gesù, cfr AUG., C. Faust., 33,2. 222 Ap. AUG., C. Faust., 33,3; 28,5. 223 Ap. AUG. C. Faust., 32,2. 224 Cfr IGNAZIO DI MATTEO, Il ‘tahrif’ o alterazione della Bibbia secondo i musulmani, in «Bessarione» XXXVIII (1922) pp. 64-111, 226-260 e JEAN MARIE GAUDEUL – ROBERT CASPAR, Textes de la Tradition musulmane concernant le tahrif (falsification) des Ecritures, in «Islamochristiana» VI (1980), pp. 61-104. I musulmani distinsero tra tahriƯf al-harf (corruzione delle lettere, del testo) e tahrƯif al-ma‘na (corruzione del senso, cattiva interpretazione); quest’ultima accusa è però più tardiva. I polemisti musulmani non si

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versistico presso l’islam, se cioè sia stato prodotto dal suo stesso seno o se invece non derivi piuttosto da ambienti giudeo cristiani, come potremmo essere indotti a ipotizzare ove mai la lettura proposta da S. Pines della Critica delle origini cristiane del polemista musulmano ‘Abd al-JabbƗr risultasse condivisibile.225 Anche le divisioni e le controversie tra cristiani hanno costituito ampio pascolo per i loro avversari appartenenti a più fedi. Già Celso226 rilevava: E così si sono trovati come capo chi un maestro chi un altro, chi un demone chi un altro, errando alla disperata e voltandosi in una fitta tenebra… E si scagliano gli uni contro gli altri gli insulti più tremendi, dicibili e indicibili; e non sono disposti a cedere di un palmo in direzione della concordia, tanto profondamente si aborriscono l’un l’altro… E poi sentirai tutte queste persone, così profondamente discordi e così pronte nelle loro polemiche a criticarsi reciprocamente nel modo più oltraggioso, ripetere in continuazione: Il mondo è stato crocifisso per me e io per il mondo.

Ammiano Marcellino227 c’informa che l’imperatore Giuliano, sùbito dopo la sua scesa al potere, convocò nella sua residenza di Costansono mai approfonditi sui concreti meccanismi attraverso i quali il messaggio di Gesù sarebbe stato corrotto dai suoi seguaci e, pertanto, il suo InjƯl non è contenuto nei vangeli della chiesa. Contro questa accusa scrisse Dionigi Bar Salibi († 1171) nel primo libro della sua opera in siriaco Contro le eresie. 225 ‘Abd al-JabbƗr fu un seguace del mu‘tazilismo vissuto nel sec. X. Nel 995 scrisse una Conferma delle prove della profezia conservataci in un unico manoscritto del 1218 presso la Süleymaniye biblioteca di Istambul. Qui una intera ampia sezione è dedicata alle origini del cristianesimo; vi si denuncia la sua separazione dal giudaismo per acquisire dottrine e riti pagani, si accusa Paolo e l’imperatore Costantino di aver corrotto l’insegnamento di Gesù. SHLOMO PINES, The Jewish Christians of the Early centuries of Christianity according to a new source, Jerusalem 1966 (Proceedings of the Israel Academy of Sciences and Humanities, 2) ha sostenuto con convinzione che questa parte dello scritto fosse in realtà un documento di provenienza giudeo cristiana. Successivamente GABRIEL SAID REYNOLDS, A Muslim theologian in the sectarian melieu. ‘Abd al-JabbƗr and the critique of Christian origins, Leiden, Brill, 2004 (Islamic History and Civilisation. Studies and Texts, 56) ha evidenziato piuttosto il debito di queste pagine verso polemisti musulmani anteriori. La questione non può dirsi ancòra definitivamente chiusa. Tra l’altro anche se ‘Abd al-JabbƗr avesse attinto a precedenti polemisti musulmani niente vieterebbe di ipotizzare una utilizzazione da parte di questi ultimi di motivi giudeocristiani. Il documento parla della corruzione operata dai cristiani delle loro Scritture a ciò indotti dalla loro bramosia di potere che li avrebbe spinti a uniformarsi ai ‘romani’ allontanandosi dalla loro buona origine giudaica. Questo problema specifico è da inserirsi nell’altra ben più ampia ricerca tendente ad accertare e individuare le suggestioni che a Maometto sicuramente pervennero da gruppi cristiani (diremmo di cristianesimo ‘marginale’) presenti nell’Arabia preislamica. 226 Ap. OR., Cel., V,63-64 (= RINALDI, La Bibbia dei pagani, II, n° 695). 227 XXII,5,3-4.

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tinopoli i capi delle varie fazioni cristiane esortandoli alla tolleranza e concedendo loro piena libertà, oltre che la facoltà di ritornare nelle sedi da dove erano stati allontanati con gli esili comminati dal suo predecessore. Secondo lo storico antiocheno l’imperatore avrebbe adottato questa politica proprio nella presunzione che non vi sarebbe belva più feroce di quanto sia un cristiano nei riguardi di un suo correligionario di fazione avversa. E in realtà la breve stagione giulianea vide in Africa un rifiorire del movimento donatista così come della missione manichea; ad Antiochia, invece, al carisma dell’ortodosso Diodoro fu dato di vigoreggiare contro il frastagliato fronte ariano, prima prediletto da Costanzo II. Sembra che anche il pagano più moderato Temistio nel suo discorso Sulla tolleranza indirizzato a Gioviano abbia fatto riferimento alle lacerazioni tra cristiani228 e, d’altro canto, data la sua posizione, il fenomeno avrebbe potuto difficilmente sfuggirgli. La prima obiezione che l’anonimo pagano a cui rispose Macario di Magnesia pose nei riguardi dei cristiani sembra trattare proprio ÎŬŷɄźɵŴ ÎŶŰűɃŲſŴȧŴźŶɋŸŽŷŰŹźŰŨŴŶɋŸŨɆŷȤŹŬſŴ, così come attesta la tavola dei temi trattati nello scomparso libro primo dell’Apocritico pubblicata da Mercati.229 L’accusa di litigiosità rivolta ai cristiani si rivelò un’arma particolarmente affilata per i loro avversari. A porre termine a queste lacerazioni non erano bastati né i concili celebrati sotto il manto protettore dell’imperatore, né i rigori di quella legislazione che da Teodosio I in poi infieriva contro gli eretici (quindi cristiani dissidenti) con più accanimento e rigore di quanto non faceva a danno dei pagani e dei giudei. I conflitti religiosi sorti a sèguito dei concili dei secoli V e VI, e le dispute bizantine sull’unica o molteplice volontà di Gesù (la controversia monotelita230) fecero esplodere le separazioni di natura etnica e politica che misero contro il trono e la teologia di Bisanzio quei popoli profondamente cristiani che ora fon-

228 “Egli (= la divinità) volle che i siri (= giudei + cristiani) scelgano una forma di religiosità, un’altra gli elleni, un’altra ancòra gli egiziani, e gli stessi siri non sono tutti in egual maniera, ma in piccoli gruppi diversi”, or. 5,9; cfr RICCARDO MAISANO, Il discorso di Temistio a Gioviano sulla tolleranza, in CONSOLINO, Pagani e cristiani, p. 49. Gioviano dové fare repentina esperienza della faziosità esistente tra cristiani se, come fa opportunamente rilevare Riccardo Maisano, il suo viaggio da Edessa a Costantinopoli fu un pullulare di petizioni di vescovi che invocavano il suo intervento a loro protezione e a censura dei loro avversari, cfr SOCR., Hist. eccl., III,25; SOZ., Hist. eccl. VI,4,1; VI,5,2. 229 GIOVANNI MERCATI, Per l’Apocritico di Macario Magnete. Una tavola dei capi dei libri I, II e III, in Nuove note di letteratura biblica e cristiana antica, Città del Vaticano, 1941 (Studi e Testi 95), p. 63. Abbiamo già visto come Porfirio, in sintonia con Marcione, abbia puntato l’indice sulla controversia antiochena tra Paolo e Pietro proprio per accusare i primi corifei del verbo cristiano di litigiosità. 230 Proprio dell’una o della duplice volontà di Gesù Cristo si discettava nell’impero di Bisanzio mentre esso era assediato dagli arabi i quali, in breve torno di tempo, compivano la loro azione irreversibile di conquista di vastissimi territori cristiani.

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devano il dissenso religioso con la fronda politica. Queste popolazioni furono conquistate all’islam dapprima con la forza delle armi poi, sempre più pervasivamente, con una martellante azione di scardinamento polemico della fede cristiana. Già nel Corano sono numerosi i riferimenti controversistici alle divisioni e agli odii tra cristiani: Iddio è il mio Signore e il vostro. Adoratelo. Questa è la via retta. Le sette (ahzâb) di fra essi sono in disaccordo. Guai a coloro che non credono;231 Le sette discordano fra di loro: guai agli iniqui, che subiranno il castigo di un giorno doloroso (ahzâb);232 Questa è la vostra comunità: comunità unica, e io sono il vostro Signore. Temetemi dunque. Ma essi si spezzettarono in sette, ogni fazione contenta della sua dottrina;233 Questa è la vostra comunità: una comunità unica, e io sono il vostro Signore. Servitemi dunque. Invece si sono divisi! Ma tutti ritorneranno a noi;234 A tali inviati noi abbiamo dato rispettivamente preminenze. Fra essi vi è a chi Dio parlò e che Iddio sollevò di alcuni gradi; a Gesù figlio di Maria abbiamo dato le prove manifeste e lo abbiamo confortato con lo Spirito santo. Se Iddio avesse voluto, coloro che vissero dopo di essi non si sarebbero combattuti fra loro dopo aver ricevuto le prove manifeste. Invece furono in disaccordo, e tra essi vi fu chi credette e chi rinnegò. No, se Dio avesse voluto non si sarebbero combattuti fra loro. Ma Dio fa ciò che vuole.235

9. OSSERVAZIONI FINALI È ora il caso di tentare di formulare alcune riflessioni che non pretendano di essere conclusive, poiché la strada da percorrere nel nostro studio sulle controversie religiose è ancòra lunghissima, ma che possano essere almeno utili per il prosieguo delle ricerche. I gruppi religiosi in età romana imperiale presentavano, nel loro continuo relazionarsi, confini non ben definiti. Il ricorso alle sole opere della letteratura cristiana, che sono comunque prodotti dotti ed elaborati, potrebbe darci l’idea sbagliata che sia esistito sempre e in ogni luogo un confine netto e invalicabile tra gruppi quali ortodossi, gnostici, marcioniti, manichei, etc. Le fonti documentarie, invece, in primis i papiri e gli amu231 232 233 234 235

19,37. 43,65. 23,54. 21,93. 2,253.

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leti, attestano lo spessore di “zone di confine” tra le varie denominazioni, la diffusione di fenomeni quali l’assimilazione, l’osmosi, il sincretismo, la contaminazione, etc. Questa contiguità di convinzioni, usanze, rituali caratterizzò anche la relazione tra quei macrogruppi che noi per comodità etichettiamo in maniera certamente semplicistica e inadeguata come ‘cristiani’ e ‘pagani’. Il discusso fenomeno delle metamorfosi del sacro nella Tarda Antichità ne è prova.236 Il presente studio ha tentato di esaminare se e fino a che punto alcuni argomenti abbiano potuto conoscere una circolazione tra vari àmbiti costituendo topoi che abbiamo definito controversistici per il semplice fatto che il dialogo tra le varie fedi ebbe in quell’epoca remota a svolgersi nelle forme della polemica. Ci siamo scontrati con la difficoltà costituita dal grande naufragio della letteratura ‘pagana’ ed ‘ereticale’ prodotta con finalità polemiche contro l’ortodossia dei cristiani. Esigui frammenti, riecheggiamenti, attestazioni indirette e così via sono gli elementi, le tessere di cui disponiamo per tentare di ricostruire un mosaico che dové sicuramente essere più ampio e policromo di quanto non riescano spesso a scorgere gli specialisti dei moderni ordinamenti accademici. Così agli occhi dei pagani i cristiani figuravano (e noi oggi diremmo a buon diritto) come appartenenti a una propaggine del giudaismo, che da quest’ultimo però si differenziavano per il loro carattere di pericolosità sociale. Con i giudei avevano invece in comune una visione del mondo che era antitetica a quella classica e che su questa avrebbe finito col prevalere, come gli osservatori più avveduti riuscivano ad avvertire. Pertanto alcune accuse che i pagani erano stati soliti rivolgere ai giudei, furono poi rivolte ai cristiani e poi, successivamente, dopo la prevalenza politica di questi, esse tornarono ad essere indirizzate contro i giudei, ma questa volta da parte cristiana. Marcioniti e manichei avevano buon gioco nel denigrare l’epopea delle Scritture giudaiche (il “Vecchio Testamento”) e in questo gioco s’inserivano talvolta i pagani attingendo dai loro ampi armamentari controversistici. Così anche gli gnostici, con le loro pretese di raffinata intellettualità, si atteggiavano non solo a destinatari di esclusive rivelazioni dall’Alto, ma anche a eredi dei filosofemi antichi, talvolta a discepoli di Platone, il maestro grande di spiritualità per quell’epoca. Molto spesso il còmpito svolto dagli gnostici era in realtà quello che con termine moderno definiremo di “mediazione culturale”. Gli spunti che essi trae236

Mi riferisco, tra i numerosissimi che si potrebbero citare, a temi molto controversi ma che legittimamente possono essere posti, quali la sopravvivenza delle devozioni pagane nel culto cattolico dei santi, i tratti isiaci della devozione mariana, le credenze dell’aldilà dall’immaginario classico a quello cristiano, l’idea del refrigerium post mortem che riscalda tanto la pietà pagana quanto la prassi cattolica, etc. Per non parlare delle trasposizioni artistiche di simboli (la vite e i tralci) e figure (Endimione / Giona).

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CONTUMELIAE COMMUNES

vano dalle Scritture potevano talvolta giungere a interessare anche i pagani che però immediatamente adoperavano le loro suggestioni nel contesto di una serrata critica proprio ai testi sacri per giudei e cristiani. In carenza di testi e di adeguate testimonianze prodotte dalle citate parti in causa è alla letteratura dei cristiani che dobbiamo rivolgerci per cogliere quelli che ora sono soltanto gli echi di un relazionarsi che dové essere continuo e vivace. In primis alla letteratura apologetica la quale, per sua propria vocazione e còmpito, è dedicata alla controversia che però ci restituisce solo unilateralmente. Noi proponiamo di rileggere la vasta messe di quaestiones restituitaci dalla letteratura patristica non solo per conoscere la fatica erudita dei chiosatori biblici cristiani o per ricreare, ove fosse possibile, l’atmosfera dialogante della scuola del tempo, ma anche per cogliere l’assunto di dilemmi e problemi che travagliavano le comunità, vuoi per il maturarsi stesso della sua riflessione ab interno, vuoi anche quale prodotto di quel gioco di dialoghi e polemiche ab externo a cui abbiamo or ora accennato. L’escludere che queste opere abbiano avuto un esclusivo intento apologetico e polemico, se appare giustificato da una loro attenta analisi, non deve però neanche impedirci di ravvisare in loro una intrinseca complessità e pluralità di funzioni. D’altro canto anche dell’apologetica classica possiamo dire che, a fianco dell’aspetto controversistico, essa presenta anche una finalità didattica e di elaborazione teologica generale. Diremo dunque che la letteratura patristica delle quaestiones et responsiones ha un carattere erudito e scolastico, che non si pone ex professo intenti apologetici e di controversia ma che, nonostante la sua facies di apparente semplicità e monotonia, contiene al suo interno, quali elementi fossili, tracce di riflessioni svolte in margine al testo biblico da credenti in crisi, da controversisti pagani, da ‘eretici’ problematici. Questa è la più plausibile preistoria non scritta del genere, la quale non è sempre ricavabile sic et simpliciter dai documenti così come oggi ci appaiono codificati, ma è a buon diritto ricostruibile sulla scorta della vicenda stessa dei cristiani antichi la quale è da inserirsi nei discorsi innumeri e nelle metamorfosi molteplici del vissuto religioso della tarda antichità. Ripercorrere le vicende dei cristiani antichi estraniandole dal flusso vivace delle controversie religiose della loro epoca significa dunque precludersi la loro piena comprensione, in altri termini compiere l’atto di un entomologo il quale racchiude in vitro un organismo un tempo vivente e crede di poterlo conoscere considerandolo come se fosse sempre vissuto lì, dietro quel vetrino, immobile nel suo polveroso laboratorio. Al contrario, quel policromo lepidottero si agitava un tempo sotto cieli aperti e alti, compiendo percorsi liberi e svariati, intrecciando la sua esistenza con quella di altre forme della natura. Giancarlo Rinaldi Università degli Studi “L’Orientale” - Napoli 65

TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA

ABSTRACT The research assumes that the dialogue / confrontation between different religious groups in the Roman Empire was much closer than it appears at first evaluation; the surviving sources, in fact, offer one particular view. It follows that the study of religious history of the period cannot be limited to that of a single component. We examine the influence of arguments by pagan intellectuals against biblical exegesis and Christian writers. Moreover allegations made against the Jews recur later on also against the Christians. Among the Gnostics, Marcionites and pagans we find sharing issues. The patristic literature of the Quaestiones et Responsiones offers controversial topics that have to do with pagan or heretical areas. RÉSUMÉ Le dialogue / confrontation entre les différentes religions de l’époque de l’empire romain a été beaucoup plus étroit qu’il ne paraît au premier abord. Les sources que nous avons aujourd’hui offrent seulement une vision particulière. C’est pourquoi l’étude de l’histoire religieuse de ce temps ne peut se limiter à un seul aspect. D’abord, nous examinons certaines des critiques des auteurs païens contre le texte de la Bible et son interprétation par les chrétiens. Ensuite, nous présentons une liste des accusations portées par les païens contre les Juifs et ensuite utilisés contre les chrétiens. Gnostiques, adeptes de Marcion et païens ont partagé certains thèmes. Dans la littérature de quaestiones et responsiones il est possible de retrouver des arguments qui appartenaient à la controverse avec les hérétiques et les païens.

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“TACERE ULTRA NON OPORTET”. ASPETTI DELLA POLEMICA CRISTIANA NELL’AD DEMETRIANUM

Sono ben note le circostanze che intorno all’anno 2521 indussero Cipriano a comporre l’Ad Demetrianum, un’opera apologetica indirizzata a un pagano non meglio identificato,2 il quale accusava i cristiani di essere la causa di tutti i mali presenti. La risposta elaborata dal Vescovo cartaginese è tesa a confutare tali accuse, divenute tradizionali della polemica pagana; adducendo dapprima la teoria stoica dell’invecchiamento del mondo3 e quindi descrivendo l’ira divina causata dalla disobbedienza degli stessi pagani, egli dimostra la superiorità del Dio dei cristiani ed esorta alla conversione i non credenti in vista dell’imminente fine dei tempi. 1 Il periodo è quello che segue all’esplosione della peste; accostato al De mortalitate, la datazione oscilla secondo Jean-Claude Fredouille (CYPRIEN DE CARTHAGE, A Démétrien, introduction, texte critique, traduction et commentaire par J.-C. Fredouille, Paris, Les éditions du Cerf, 2003 [Sources Chrétiennes, 467], pp. 9-15) tra le due date estreme: 251 (propagazione della peste) e 258 (morte di Cipriano); generalmente lo si attribuisce all’anno 252 (MICHAEL M. SAGE, Cyprian, Cambridge [Massachusetts], The Philadelphia Patristic Foundation, 1975 [Patristic Monograph Series, 1], pp. 380-381; 383; HENNEKE GÜLZOW, § 478. Caecilius Cyprianus (qui et Thascius), in Nouvelle histoire de la littérature latine, vol. IV (L’âge de transition: de la littérature romaine à la littérature chrétienne de 117 à 284 après J.-C.), ed. K. Sallmann et al., Turnhout, Brepols, 2000, p. 617; GRAEME WILBER CLARKE, Cyprian: a brief Biography, CC SL 3D (1999), pp. 688-689), ma alcuni lo fanno risalire alla fine del 251 (cfr ADOLF VON HARNACK, Geschichte der altchristliche Literatur bis Eusebius, 2 voll., Leipzig, J. C. Hinrichs, 19582, II/2 (Die Chronologie), p. 365; CHARLES SAUMAGNE, La persécution de Dèce en Afrique d’après la correspondance de S. Cyprien, in «Byzantion» XXXII [1962], pp. 1-29), altri al 253 (EZIO GALLICET, Cipriano. A Demetriano, introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici, Torino, Società Editrice Internazionale, 1976 [Corona Patrum, 4], pp. 55-62). 2 I diversi tentativi di identificare Demetriano con un funzionario o un giudice sono risultati vani e inconsistenti, cfr GALLICET, Cipriano, p. 58, nt. 25; FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, p. 18, nt. 1. 3 Cfr JEAN DANIÉLOU, Le origini del cristianesimo latino. Storia delle dottrine cristiane prima di Nicea, Bologna, EDB, 1991 (Collana di studi religiosi), pp. 241-248; ELENA ZOCCA, La «senectus mundi». Significato, fonti e fortuna di un tema ciprianeo, in Studi sul cristianesimo antico e moderno in onore di M. G. Mara, a cura di Manlio Simonetti e Paolo Siniscalco, in «Augustinianum» XXXV (1995), fasc. 2, pp. 641-677; LUIGI CASTAGNA, Vecchiaia e morte del mondo in Lucrezio, Seneca e san Cipriano, in Seneca e i cristiani, Atti del Convegno Internazionale, Milano, 12-14 ottobre 1999, a cura di Antonio P. Martina, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 239-263.

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TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA

Su questo non intendo soffermarmi, mentre mi propongo di approfondire i due capitoli iniziali che fungono da prologo dell’opera, nei quali ricorre un tema frequente nei prologhi di opere polemiche cristiane, ovvero quello della situazione in cui si trova il cristiano quando, messo sotto accusa, resta incerto tra il proposito di sopportare con pazienza gli attacchi conservando un meditato e dignitoso riserbo e la necessità imposta dalla situazione contingente di rispondere entrando direttamente in polemica con l’avversario.

1. GENERE LETTERARIO È necessario in via preliminare fare qualche considerazione circa il genere letterario dell’Ad Demetrianum, argomento su cui gli studiosi hanno offerto molteplici interpretazioni. Il tema centrale dell’opuscolo, esplicitamente dichiarato fin dall’inizio, è la difesa del cristianesimo dall’accusa di essere la causa di tutti i mali presenti, motivo che colloca l’opera a pieno titolo nella letteratura apologetica,4 anche se uno studioso dell’apologetica come Johannes Geffcken negava che l’Ad Demetrianum avesse un qualche valore apologetico, dal momento che giudicava Cipriano privo di qualsiasi originalità.5 Ma nell’antichità già Lattanzio aveva accostato questo scritto all’Apologeticum di Tertulliano e all’Octauius di Minucio Felice, collocandolo quindi tra gli scritti apologetici e anzi come illustre esempio di questo genere.6 La scelta lattanziana di porre sullo stesso piano queste tre opere, in realtà assai diverse tra loro, è fondata sul criterio della «finalità funzionale», secondo la definizione di Fredouille,7 poiché le opere sono intese come Cfr MICHELE PELLEGRINO, Studi su l’antica apologetica, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1947 (Storia e letteratura, 14), pp. 119-135; in partic. p. 119: «L’intento apologetico vi si presenta sin dalle prime battute come l’elemento essenziale e lo ispira dal principio alla fine». 5 JOHANNES GEFFCKEN, Zwei griechische Apologeten, Hildesheim - Zurich - New York, Georg Olms Verlagsbuchhandlung, 1970 (rist. anast. dell’ed. orig. Leipzig - Berlin, Teubner, 1907), p. 286: «der Aufsatz Ad Demetrianum … ist zwar um seiner merkwürdigen pessimistischen Stimmung willen von großen zeitgeschichtlichen Interesse, aber durchaus ohne apologetischen Wert». 6 LACT., Inst., V, 1, 22-26. 7 JEAN-CLAUDE FREDOUILLE, L’apologétique chrétienne antique: naissance d’un genre littéraire, in «Revue des Études Augustiniennes» XXXVIII (1992), pp. 219-234, in partic. p. 228; ID., L’apologétique chrétienne antique: métamorphose d’un genre polymorphe, in «Revue des Études Augustiniennes» XLI (1995), pp. 201-216, in partic. p. 205; ID., L’apologétique latine pré-constantinienne (Tertullien, Minucius Felix, Cyprien). Essai de typologie, in L’apologétique chrétienne gréco-latine à l’époque prénicénienne, Entretiens préparés par Antonie Wlosok et François Paschoud et présidés par Antonie Wlosok, avec la participation de Monique Alexandre et John J. Herrmann, VandœuvresGenève, 13-17 septembre 2004, Genève, Fondation Hardt, 2005 (Entretiens sur l’anti4

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“TACERE ULTRA NON OPORTET”

essenzialmente difensive e confutative, ovvero scritte con il preciso scopo di rispondere alle accuse di qualcuno.8 In generale per quanto riguarda il titolo, l’opera è un discorso indirizzato a qualcuno, un ŲɓŪŶŸ ad personam, e appartiene quindi al genere deliberativo, con cui si cerca di far prevalere il proprio punto di vista su quello del dedicatario e, tramite lui, si mira a raggiungere un pubblico più vasto.9 Il titolo avvicina lo scritto ad altri celebri antecedenti della letteratura cristiana antica quali l’Ad Autolycum, l’Ad Diognetum e l’Ad Scapulam di Tertulliano,10 ovvero al genere della lettera aperta.11 Anche in alcuni manoscritti, infatti, l’opera è designata come lettera,12 una sorte peraltro toccata pure ad altri opuscoli ciprianei.13 In effetti, la collocazione tra le lettere ha senso se considerata rispetto alle opere apologetiche latine di Tertulliano e Minucio: in Cipriano il tema affrontato è decisamente più

quité classique, 51), pp. 39-60, in partic. pp. 52-53. Cfr anche JEAN-CLAUDE FREDOUILLE, Bible et apologétique, in Le monde latin antique et la Bible, sous la direction de Jacques Fontaine et Charles Pietri, Paris, Beauchesne, 1985 (Bible de tous les temps, 2), pp. 479497, in partic. pp. 492-494. Sulla varietà di forme letterarie nell’apologetica cristiana cfr MICHAEL FIEDROWICZ, Apologie im frühen Christentum. Die Kontroverse um den christlichen Wahrheitsanspruch in den ersten Jahrhunderten, Paderborn, Schöning, 20003, pp. 21-23; cfr anche SIMON PRICE, Latin Christian Apologetics: Minucius Felix, Tertullian, and Cyprian, in Apologetics in the Roman Empire. Pagans, Jews, and Christians, edited by Mark Julian Edwards, Martin Goodman, and Simon Price in association with Christopher Rowland, Oxford, Clarendon Press, 1999, pp. 105-129, in partic. pp. 113-114, il quale sostiene che le forme sono così varie anche nello stesso autore che non si può parlare di un genere dell’apologetica. 8 Cfr. LACT., Inst., V, 4, 3: «…aliud est accusantibus respondere, quod in defensione aut negatione sola positum est, aliud instituere, quod nos facimus…». 9 SIMONE DELÉANI, Les titres des traités de saint Cyprien: forme et fonction, in Titres et articulations du texte dans les œuvres antiques, Actes du Colloque International de Chantilly, 13-15 décembre 1994, éd. par Jean-Claude Fredouille, Marie-Odile GouletCazé, Philippe Hoffmann, Pierre Petitmengin, avec la collaboration de Simone Deléani, Paris, Institut d’Études Augustiniennes, 1997 (Collection des Études Augustiniennes. Série Antiquité, 152), pp. 397-425, in partic. p. 399 e p. 415. 10 Precise analogie con l’Ad Scapulam tertullianeo sono state individuate da EDWARD WHITE BENSON, Cyprian: His Life, His Times, His Work, London, Macmillan and co., 1897, pp. 249-256, in partic. p. 251. 11 Cfr GÜLZOW, Caecilius Cyprianus, p. 617; FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, pp. 16-19; ID., L’apologétique latine, 50-51. Marco Rizzi accosta i tre scritti in quanto caratterizzati sia da un tono diretto e colloquiale, sia dalle dimensioni contenute, cfr MARCO RIZZI, Ideologia e retorica negli «exordia» apologetici: il problema dell’ ‘altro’, Milano, Vita e Pensiero, 1993 (Studia Patristica Mediolanensia, 18), p. 62. 12 Cfr GALLICET, Cipriano, p. 72, in app. crit.; p. 122, in app. crit.; FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, p. 17, nt. 3; p. 70, in app. crit.; p. 129, in app. crit. 13 Giustamente GALLICET (Cipriano, p. 5) e GÜLZOW (Caecilius Cyprianus, p. 603) sostengono che tutti i trattati ciprianei, indirizzati a singoli o a gruppi di persone, per la relativa brevità dei temi trattati e per lo spirito pastorale che li informa, si orientano in realtà al modello epistolare. Ad esempio l’Ad Donatum è citato da Agostino come epistula in Doctr. Chr. 4, 14, 31.

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TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA

limitato e circoscritto, essendo stato imposto dalla situazione contingente in seguito alle accuse di Demetriano. L’Ad Demetrianum è giudicato da Paul Monceaux, sotto l’aspetto della forma, una lettera pubblica o piuttosto un discorso, che ha probabilmente all’origine una disputa reale; questo discorso ciprianeo è caratterizzato da una violenza non conforme alla consueta moderazione del Vescovo cartaginese, tanto da risultare una vera e propria invettiva alla maniera delle Catilinarie o delle Filippiche ciceroniane, un misto mordace ed eloquente di apologia e pamphlet.14 Luigi Castagna sostiene che l’opera abbia il tono dell’arringa giudiziaria di natura apologetica e che alla maniera del De magia di Apuleio,15 con uno stile duro e aggressivo, l’autore rinfacci all’avversario la sua ignoranza, sfruttando i toni del sarcasmo; l’atteggiamento di Cipriano verso Demetriano è giudicato molto simile all’atteggiamento dell’illustre scrittore pagano verso i suoi delatori; ma a differenza del modello, lo scopo che si prefigge il Vescovo cartaginese è non solo apologetico, ma anche parenetico, mirando a liberare i pagani dai pregiudizi e a esortarli alla conversione.16 Nell’antichità l’Ad Demetrianum è stato spesso considerato un’opera polemica, come dimostra Ponzio, il quale, nel descrivere il contenuto dell’opera, ne sottolinea proprio questo aspetto, quando afferma che Cipriano vinse i pagani bestemmiatori, respingendone le accuse e ripercuotendo contro di essi le calunnie.17 Il tono polemico fu colto anche da Girolamo,18 che si riferisce all’opera ciprianea definendola esplicitamente aduersus Demetrianum, seguito da Agostino19 e da alcuni copisti medievali.20 Nel 1940 Maurice Lavarenne, sulla scia di alcuni editori precedenti,21

14 PAUL MONCEAUX, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne des origines jusqu’à l’invasion arabe, 7 voll., Paris, Culture et civilisation, 1966 (rist. anast. dell’ed. orig. Paris, Leroux, 1901-1923), II (Saint Cyprien et son temps), p. 275; p. 277. 15 Sulla conoscenza delle opere apuleiane da parte di Cipriano e sugli influssi che se ne avvertono nella sua produzione cfr HUGO KOCH, Cyprianische Untersuchungen, Bonn, A. Marcus und E. Weber, 1926 (Arbeiten zur Kirchengeschichte, 4), pp. 314-333. 16 CASTAGNA, Vecchiaia e morte, p. 257. 17 PONT., Vita Cypr., 7, 6: «Per quem gentiles blasphemi repercussis in se quae nobis inegerunt vincerentur?». 18 Sul fatto che Girolamo abbia snaturato la vera natura delle opere apologetiche precostantiniane creando la categoria genericamente estensiva di ‘libri contra gentes’, ovvero proiettando la situazione contemporanea della letteratura apologetica all’età precostantiniana cfr FREDOUILLE, L’apologétique latine, pp. 54-55; FIEDROWICZ, Apologie, pp. 20-21. 19 HIER., Epist., 70, 3; AUG., Serm., 313C, 2: «Contra doctrinam Christi oblatrantium ora confudit». 20 Cfr GALLICET, Cipriano, p. 72, in app. crit.; p. 122, in app. crit.; FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, p. 17, nt. 3; p. 70, in app. crit.; p. 129, in app. crit. 21 Vedi ad esempio «Traité contre Démétrien» in Oeuvres complètes de saint Cyprien, évêque de Carthage, traduction nouvelle par Marie Nicolas Sylvestre Guillon, Paris, J. Angé et C., 18372. Cfr FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, p. 17, nt. 3.

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“TACERE ULTRA NON OPORTET”

intitolò la sua traduzione francese Contre Démétrien e così pure la denominava Jean-Claude Fredouille nel 1985.22 Pur essendo formalmente una lettera aperta,23 quanto al contenuto l’Ad Demetrianum ripercorre lo schema consueto del genere apologetico che, contemperando insieme elementi difensivi e dimostrativi, si compone di due parti: la prima, ricorrendo ad argomentazioni profane e cristiane, destinata propriamente alla confutazione delle accuse di Demetriano; la seconda tesa a dimostrare l’innocenza dei cristiani, additandoli ad esempio da seguire.24 Ma rispetto all’apologetica cristiana questa seconda parte è più sviluppata e l’accorata esortazione rivolta ai pagani affinché si convertano fa sì che l’apologia termini come un vero e proprio ŲɓŪŶŸÎŷŶźŷŬÎźŰűɓŸ.25

2.

IL PROLOGO DELL’AD

DEMETRIANUM

Nei due paragrafi iniziali dell’Ad Demetrianum, che ne costituiscono l’esordio, Cipriano spiega e giustifica il suo ritardo nel controbattere a Demetriano; più volte (“frequenter”, “saepe”)26 egli aveva trascurato di rispondere alle accuse dell’avversario pagano, giudicando che serbare il silenzio fosse una scelta più dignitosa (“uerecundius”)27 e più conveniente che non provocare a parole la follia di un uomo irragionevole. A sostegno della sua condotta distaccata Cipriano adduce in primo luogo l’autorità della Scrittura, spiegando di avere agito secondo l’insegnamento divino (“Nec hoc sine magisterii diuini auctoritate faciebam”).28 Per giustificare la sua reticenza egli si avvale di tre passi, di cui due tratti del libro dei Proverbi (Prv 23, 9: “In aures imprudentis noli quicquam dicere, ne quando audierit irrideat sensatos sermones tuos”, e Prv 26, 4: “Noli respondere imprudenti ad imprudentiam eius ne similis fias illi”) e uno tratto dal Vangelo di Matteo (Mt 7, 6: “Ne dederitis sanctum canibus SAINT CYPRIEN, Contre Démétrien, texte et traduction par Maurice Lavarenne, Clermont-Ferrand 1940. Cfr FREDOUILLE, Bible et apologétique, pp. 492-494. 23 Secondo Fredouille (Cyprien de Carthage, p. 19, nt. 2) l’Ad Demetrianum corrisponde nella classificazione dello Ps.Demetrio al diciottesimo tipo, la «lettera apologetica». 24 Cfr PELLEGRINO, Studi, pp. 1-65; FIEDROWICZ, Apologie, pp. 16-17. 25 GALLICET, Cipriano, pp. 64-65; 146; FREDOUILLE, Apologétique latine, p. 52; MICHAEL FIEDROWICZ, Christen und Heiden. Quellentexte zu ihrer Auseinandersetzung in der Antike, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2004, p. 651, nt. 3: «Mit dem unmittelbaren apologetischen Ziel des Werkes verbindet sich eine protreptische Absicht». Ma cfr anche RIZZI, Ideologia e retorica, pp. 65-74. 26 CYPRIEN DE CARTHAGE, A Démétrien, 1, 1, ed. Jean-Claude Fredouille, SCh 467 (2003), p. 70, l. 2; ibid., 2, 1, p. 72, l. 1. 27 CYPR., Demetr., 1, 1, p. 70, l. 3. 28 CYPR., Demetr., 1, 1, p. 70, ll. 5-6. 22

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neque miseritis margaritas uestras ante porcos, ne inculcent eas pedibus suis”).29 L’esplicito richiamo a testimoni scritturistici è una delle particolarità di quest’opera ciprianea. Infatti, fare ricorso a versetti tratti dalla Scrittura per rivolgersi ad un pagano è una novità nell’apologetica latina al punto che susciterà le vivaci critiche di Lattanzio, il quale contesta severamente a Cipriano l’uso della Scrittura in un’opera indirizzata ad un avversario pagano, che andava, invece, combattuto sul piano prettamente razionale.30 Tuttavia qui, come è stato giustamente sottolineato da Ezio Gallicet, il Vescovo cartaginese riconosce alla Scrittura la potenza dell’espressione e un valore stilistico non disprezzabile,31 e nel contempo «si fa scudo della Bibbia per presentare la sua condotta come ispirata all’insegnamento divino».32 Il richiamo all’insegnamento divino infatti gli è utile per far tacere un certo malumore che doveva serpeggiare nella comunità cristiana di Cartagine per il fatto che le accuse di Demetriano non fossero state immediatamente confutate. Un’altra particolarità dell’Ad Demetrianum riguarda la netta preponderanza dell’Antico Testamento; su ventisei citazioni scritturistiche ben ventiquattro derivano dall’Antico,33 mentre solo due sono tratte del Nuovo Testamento e sono utilizzate in funzione di supporto a citazioni veterotestamentarie, proprio come in questo caso nel prologo del trattato.34 I due versetti tratti dal libro dei Proverbi, che sono qui citati per la prima volta in lingua latina,35 illustrano quale sia la condotta da mante-

CYPR., Demetr., 1, 1, pp. 70-72, ll. 6-13. LACT., Inst., V, 1, 26: «hic tamen placere ultra uerba sacramentum ignorantibus non potest, quoniam mystica sunt quae locutus est et ad id praeparata ut a solis fidelibus audiantur: denique a doctis huius saeculi forte scripta eius innotuerunt, derideri solet»; ibid., V, 4, 3-7 (SC 204, 148): 4. «qua materia non est usus ut debuit: non enim scripturae testimoniis, quam ille utique uanam, fictam, commenticiam putabat, sed argumentis et ratione fuerat refellendus». Cfr sull’argomento Pellegrino, Studi, pp. 130-135; JACQUES FONTAINE, Aspects et problèmes de la prose d’art latine au IIIe siècle. La genèse des styles latins chrétiens, Torino, Bottega d’Erasmo, 1968 (Lezioni Augusto Rostagni, 4), pp. 150-152; EZIO GALLICET, Cipriano e la Bibbia: «Fortis ac sublimis vox», in Forma futuri. Studi in onore del cardinale Michele Pellegrino, Torino, Bottega d’Erasmo, 1975, pp. 43-52; JOHN A. MCGUCKIN, Does Lactantius Denigrate Cyprian?, in «Journal of Theological Studies» n.s. XXXIX (1998), pp. 119-124. 31 GALLICET, Cipriano e la Bibbia, pp. 43-52. 32 GALLICET, Cipriano, p. 133. 33 È stato opportunamente notato che proprio rivolgendosi ai pagani Cipriano privilegia l’Antico Testamento; sulle motivazioni di questa preferenza cfr FREDOUILLE, Cyprien de Carthage, pp. 39-40. 34 Cfr EZIO GALLICET, L’Antico Testamento nell’«Ad Demetrianum» di Cipriano, in «Augustinianum» XXII (1982), pp. 199-202. 35 Cfr MICHAEL ANDREW FAHEY, Cyprian and the Bible. A Study in Third-Century Exegesis, Tübingen, Mohr, 1971 (Beiträge zur Geschichte der biblischen Hermeneutik, 9), p. 167; p. 286. 29 30

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nere di fronte allo stolto e il loro insegnamento è confermato dall’ordine divino di Mt 7, 6, secondo una “climax” che dal consiglio dell’Antico si compie e si perfeziona nel comando del Nuovo Testamento.36 Accanto all’argomentazione scritturistica, Cipriano porta a difesa del suo silenzio anche delle motivazioni di carattere razionale. In primo luogo egli ritiene che cercare di parlare con un uomo folle e dissennato non ottenga altro risultato se non quello di acuire ulteriormente la sua pazzia; invece, di fronte all’atteggiamento insensato di un uomo in preda alla rabbia è più opportuno contrapporre uno sdegnoso silenzio: “melius… errantis imperitiam silentio spernere quam loquendo dementis insaniam prouocare”.37 Inoltre, egli spiega che risulta assolutamente inutile e sciocco dialogare, confrontarsi, entrare in polemica con Demetriano, dal momento che sarebbe stata un’impresa più facile e meno faticosa placare a parole le onde del mare in tempesta: “…ineptum uidebatur congredi tecum, quando facilius esset et leuius turbulenti maris concitos fluctus clamoribus retundere quam tuam rabiem tractatibus coercere”.38 La caratterizzazione dell’avversario è dunque tesa fin dall’inizio a mettere di fronte due mondi nettamente contrapposti: da un lato l’errore pagano, dall’altro la verità cristiana, secondo un procedimento antitetico che permea tutta la produzione ciprianea. Dalla prima parola Demetriano è descritto come un cane che latra e strepita: “oblatrantem te et … obstrepentem”.39 Nell’antichità è frequentissimo il ricorso a questa figura animale per connotare l’avversario nell’ambito di controversie scientifiche o teologiche,40 Cicerone lo usa per descrivere la figura dell’accusatore,41 mentre in ambiente cristiano l’appellativo di cane è spesso attribuito ai pagani.42 La raffigurazione prosegue tratteggiando l’immagine di una per36 Pr 23, 9 e Mt 7, 6 costituiscono i due testimoni del cap. 50 del terzo libro dei Testimonia, intitolato «Sacramentum fidei non esse profanandum». 37 CYPR., Demetr., 1, 1, p. 70, ll. 3-5. 38 CYPR., Demetr., 1, 2, p. 72, ll. 17-19. 39 CYPR., Demetr., 1, 1, p. 70, ll. 1-2. 40 Cfr ILONA OPELT, Die lateinischen Schimpfwörter und verwandte sprachliche Erscheinungen. Eine Typologie, Heidelberg, C. Winter, 1965 (Bibliothek der klassischen Altertumswissenschaften, N. F., 2. Reihe), pp. 227-228; pp. 234-235; PAOLA FRANCESCA MORETTI, Cane d’un filosofo, cane d’un eretico. Appunti sulla fortuna cristiana del cane sillogistico, in Nuovo e antico nella cultura greco-latina di IV-VI secolo, a cura di Isabella Gualandri, Fabrizio Conca, Raffaele Passarella, Milano, Cisalpino, 2005 (Quaderni di Acme, 73), pp. 633-660, in partic. pp. 651-655. 41 Ad esempio CIC., Rosc., 20, 56-57. 42 Ad esempio HIL., Comm. in Mt., VI, 1: «Canes enim de oblatrandi aduersus Deum rabie gentes sunt nuncupatae»; cfr anche LACT., Inst., VII, 1, 16; HIL., Comm. in Mt., XV, 4; GREG. ILLIB., Tract. Orig., 14, 18; AUG., Enarr. in ps. LVIII, Serm. 1, 15; cfr MARIA PIA CICCARESE, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano I (agnello gufo), Bologna, EDB, 2002, pp. 241-242. Forse si può scorgere nel passo ciprianeo anche un implicito riferimento alla canina facundia intesa come un tipo di oratoria aggressiva e impudente.

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sona insensata in preda alla follia e alla rabbia (“dementis insaniam”; “rabiem”),43 animata dall’intenzione di contraddire più che dal desiderio di imparare (“studio magis contradicendi quam uoto discendi…”),44 e poco oltre di un uomo impaziente, incapace di apprendere, empio e furioso (“impatientem… indocilem… impium… furentem…”),45 che si serve dell’inganno e della menzogna (“…mendacio fallente”).46 Tutte queste accuse appartengono al vocabolario dell’ingiuria e sono patrimonio tradizionale della letteratura polemica. Ilona Opelt, che ha studiato e classificato il lessico dell’ingiuria, rileva che gli aggettivi furiosus, furens, demens, amens, insanus e simili sono utilizzati soprattutto da Cicerone per i suoi avversari politici.47 Oltre che per l’avversario pagano Cipriano adotta le medesime qualificazioni anche altrove, attribuendole alla figura dello scismatico, con il quale, poiché estromesso dal novero degli uomini responsabili e dotati di senno, non è possibile il dialogo o la conciliazione: costui si è escluso da solo dalla comunità ecclesiale e solo il ritorno alla sanità mentale gli permetterà di riprendere legittimamente posto nella Chiesa.48 Dopo una simile descrizione di Demetriano la conclusione di Cipriano è ovvia: tentare un approccio di dialogo con un simile avversario è solo una fatica inutile e priva di risultato (“labor inritus et nullus effectus”), come far luce a un cieco, rivolgere la parola a un sordo o infondere sapienza a un bruto.49 Alla pervicace e instancabile rabbiosità di Demetriano Cipriano preferisce dunque contrapporre una ostentata superiorità e un dignitoso silenzio. In questo suo atteggiamento è possibile ravvisare quello che Gallicet ha definito il “duplice livello di lettura” che pervade tutto il testo: da un lato vi è un primo significato comprensibile al pubblico pagano cui Cipriano espressamente si rivolge, dall’altro si avverte in filigrana un significato più profondo e accessibile solamente ai cristiani che pure sono tra i destinatari dell’opera.50 Nel silenzio e nella pazienza esercitati da Cipriano un lettore pagano riconosce l’atteggiamento del saggio stoico CYPR., Demetr., 1, 1, p. 70, l. 5; ibid., 1, 2, p. 72, l. 19. CYPR., Demetr., 1, 2, p. 72, ll. 14-15. Lo stesso gioco di parole discere / dicere si trova anche in CYPR., Patient., 1: «Tunc enim demum sermo et ratio salutaris efficaciter discitur, si patienter quod dicitur audiatur». 45 CYPR., Demetr., 2, 1, p. 72, ll. 1-3. 46 CYPR., Demetr., 2, 2, p. 74, l. 15. 47 OPELT, Die lateinischen Schimpfwörter, pp. 140-142. 48 Cfr CYPR., Epist., 59, 18, 3: «oramus... ut furore deposito ad sanitatem mentis redeant». Cfr FRANÇOIS JACQUES, Le schismatique, tyran furieux. Le discours polémique de Cyprien de Carthage, in «Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité» XCIV/2 (1982), pp. 921-949, in partic. pp. 942-944; lo studio di Jacques evidenzia come per la descrizione del presbitero scismatico Novato Cipriano utilizzi l’arsenale della polemica classica, in particolare di Cicerone, cfr ibid., pp. 923-931. 49 CYPR., Demetr., 1, 2, p. 72, ll. 19-22. 50 GALLICET, Cipriano, p. 132; pp. 138-139; p. 141 e passim. 43 44

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che disprezza incurantemente e sopporta sdegnosamente le accuse rivoltegli,51 secondo i modelli forniti ad esempio da Seneca, il quale sostiene nel De ira che non bisogna rispondere alle offese, poiché “è proprio di un animo grande disprezzare le ingiurie” e “grande e nobile è colui che come una grande fiera ascolta i latrati dei piccoli cani senza preoccupazione”.52 Peraltro il tema del silenzio come dovere imposto al saggio è già nella gnomica greca; la sentenza śɔŹŰŪȢŴÎŶŲŲȋűŰŸȧŹźɄ ŹŶżɭźŨźŶŴȎŴůŷɭÎʁŴŶɁŹŨŰ, tratta dalla quinta Nemea di Pindaro (v. 18), godette grande fortuna;53 in ambito latino il tema del silenzio come virtù si trova nei Disticha Catonis: “Virtutem primam esse puta conpescere linguam” o “proximus ille deo est, qui scit ratione tacere”.54 Il medesimo tema è collegato alla topica del silenzio eloquente in un frammento euripideo ripreso nei Monosticha Menandri: DžŪȌŷŹŰſÎȭźŶɋŸŹŶżŶɋŹŰŴ ȎÎɓűŷŰŹŰŸ, che si ritrova nelle sentenze medievali: “Silentium sapientibus responsi loco est”.55 Senza dubbio Cipriano tiene presente le implicazioni morali e filosofiche della virtù della pazienza, derivate dalla tradizione dello stoicismo latino, a vantaggio del pubblico pagano, ma nello stesso tempo il suo insistere su questo concetto ha ben altro significato per il pubblico dei suoi fedeli, per i quali il concetto di pazienza si carica di un valore propriamente cristiano che trova fondamento nei precetti evangelici, in particolare di Mt 5, 11 e 39 (“Beati estis cum maledixerint uobis et persecuti uos fuerint et dixerint omne malum aduersum uos…”; “non resistere malo, sed si quis te percusserit in dextera maxilla tua, praebe illi et alteram”).

51 Il tema stoico dell’impassibilità del saggio è sottolineato da Fredouille e dalla Deléani; cfr FREDOUILLE, Cyprien, p. 133; SIMONE DELÉANI in Saint Cyprien, Lettres 1-20, introduction, texte, traduction et commentaire, Paris, Insitut d’Études Augustiniennes, 2007 (Collection des Études Augustiniennes. Série Antiquité, 182), p. 322. 52 SEN., Ira, 2, 32, 3: «Magni animi est iniurias despicere; ultionis contumeliosissimum genus est non esse visum dignum, ex quo peteretur ultio. ...ille magnus et nobilis, qui more magnae ferae latratus minutorum canum securus exaudit». La massima è posta a corollario del noto episodio di cui è protagonista Catone (ma altre volte si trovano Socrate o Diogene, cfr SEN., Ira, 3, 11, 2; 3, 38, 1-2), il quale, colpito da un tale, non se ne dà pensiero e fa come se nulla fosse successo. Da notare il ricorrere di latrare e dei suoi derivati in Seneca; cfr anche SEN., Ira, 3, 43, 1: «illum oblatrantem tibi»; ID., Vita 17, 1: «qui philosophiam collatrant»; ibid., 19, 2: «ad nomen magnorum… uirorum, sicut ad occorsum ignotorum hominum minuti canes, latratis». Per le analogie tematiche e lessicali tra Seneca e Cipriano cfr KOCH, Cyprianische Untersuchungen, pp. 286-313. 53 Cfr RENZO TOSI, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1991, § 19. 54 Dict. 1, 3, 1-2. 55 AUGUST OTTO, Sprichwörter und sprichwörtliche Redensarten der Römer, Hildesheim, Georg Olms Verlagsbuchhandlung, 1962, § 1734; HANS WALTHER, Lateinische Sprichwörter und Sentenzen des Mittelalters in alphabetischer Anordnung, 6 voll., Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1963-1969, t. IV (1966), § 29623f; ibid., t. V (1967), §§ 30954c; 30955b; 30955d.

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Soprattutto un cristiano della metà del III secolo avverte il legame etimologico tra patientia e passio / patior e sa che, forte della fiducia nell’aiuto di Dio, deve sopportare pazientemente e accettare serenamente la sofferenza che gli deriva dalle accuse false e ingiuste, realizzando nelle sue membra l’imitazione della passione di Cristo. Le qualità di questa virtù cristiana sono chiaramente elencate più avanti nell’Ad Demetrianum, ai capp. 19 e 20, dove Cipriano contrappone il diverso atteggiamento di pagani e cristiani di fronte alle avversità del mondo: da un lato l’impazienza chiassosa e lamentosa dei primi, dall’altro la pazienza cristiana, forte, pia, serena e grata a Dio e ancora mite, calma e salda in attesa della realizzazione della promessa divina.56 L’elogio della virtù cristiana per eccellenza culmina, dopo qualche anno, nel De bono patientiae, opera nata nella primavera del 256 nel momento più rovente della polemica con il vescovo romano Stefano sul battesimo degli eretici, polemica a cui Cipriano intenzionalmente non fa alcun cenno esplicito per non eccitare ulteriormente gli animi, mentre mira ad esortare i fedeli a conservare con pazienza e amore l’unione fraterna e la concordia. In quanto segno esteriore della pazienza, il silenzio è considerato uno dei requisiti del perfetto cristiano, il quale, secondo Cipriano, imitando l’esempio di Cristo, deve essere humilis, quietus e taciturnus;57 in alcuni casi il silenzio è dettato anche dalla carità cristiana, come quando, di fronte all’ostilità di alcuni presbiteri che ostacolano il suo rientro a Cartagine, egli ricorda di avere esercitato il suo silenzio e concesso il suo perdono, ma nonostante ciò, essi hanno meritato da Dio il loro castigo.58 L’esempio per eccellenza è quello di Gesù che, ingiustamente accusato, tace perché, come argomenta Origene nella prefazione del Contro Celso, sono la sua vita e le sue opere a parlare in vece sua.59 Altri modelli della tradizione cristiana additati ai fedeli sono Susanna e Giobbe, che insegnano ad ignorare le offese, perché solo tacendo l’accusato è in grado di ritorcere la colpa su chi ha pronunciato le ingiurie.60 Tale posizione si CYPR., Demetr., 19, 1, p. 110, ll. 3-7: «Apud uos impatientia clamosa semper et querula est, apud nos fortis et religiosa patientia quieta semper et semper in deum grata est, …mitis et lenis et contra omnes fluctuantis mundi turbines stabilis diuinae pollicitationis tempus expectat»; ibid., 20, 1, p. 112, ll. 1-4: «Viget apud nos spei robur et firmitas fidei et inter ipsas saeculi labentis ruinas erecta mens est et immobilis uirtus et numquam non laeta patientia et de Deo suo semper anima secura…». 57 CYPR., Epist., 13, 4, 3: «...qui dominum sequuntur humiles et quieti et taciturni uestigia eius imitentur». 58 CYPR., Epist., 43, 1, 3: «Et quidem de dei prouidentia nobis hoc nec uolentibus nec optantibus, immo et ignoscentibus et tacentibus poenas quas meruerant pependerunt...». 59 ORIG., Cels., praef., 1-3. 60 Cfr ad esempio AMBR., Iob, 2, 2, 5: «Imitemur ergo hunc uirum, qui silentio suo redarguebat conuiciantes. … At uero nos quasi aliquid nobis obiciatur, dum purgare uolumus, acerbamus»; ibid., 2, 3, 9: «Tacere ergo debet qui recognoscit obiectum, ne 56

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condensa in seguito nella formula medievale falsamente attribuita a Beda: “Gloriosius est iniuriam tacendo tolerare quam respondendo uindicare”.61 Tutte queste riflessioni, derivate sia dalla Scrittura sia dalla tradizione filosofica, sono quelle che spesso hanno trattenuto Cipriano dal rispondere alle accuse false e calunniose di Demetriano (“Haec considerans saepe conticui”);62 all’incapacità di dominarsi del pagano Cipriano ha contrapposto la pazienza cristiana, di fronte al rifiuto di apprendere, all’empietà e all’ira furiosa dell’avversario il Vescovo ha consapevolmente scelto di non profondere i suoi sforzi nell’insegnamento, di non richiamarsi al suo sentimento religioso e di non tentare di calmarlo con la pacatezza delle parole (“…et impatientem patientia uici, cum nec docere indocilem possem nec impium religione comprimere nec furentem lenitate cohibere”).63 Ma dopo un meditato e prolungato silenzio, poiché sono sempre di più coloro su cui fanno presa le reiterate accuse di Demetriano e che incolpano i cristiani di ogni calamità e sventura che si abbatte sull’Impero, Cipriano ha deciso di recedere dal suo proposito iniziale. Egli entra così in diretta polemica con Demetriano, ritenendo che non sia ormai più opportuno tacere (“tacere ultra non oportet”), ma che sia divenuto inevitabile rispondere, affinché il silenzio non venga interpretato come segno di sfiducia anziché di riserbo (“non uerecundiae, sed diffidentiae”) e affinché il rifiuto di rispondere a false accuse non sia inteso come un riconoscimento di colpevolezza (“ne… uideamur crimen agnoscere”).64 È significativo tuttavia notare che all’inizio del paragrafo successivo, introducendo il tema dell’invecchiamento del mondo, Cipriano ribadisce che se anche lui tacesse e non presentasse prove tratte dalle Scritture, sarebbe il mondo stesso a rivelare l’imminenza della sua fine.65 La necessità cogente di rompere il riserbo e replicare alle accuse è giustificata sulla base della considerazione che il silenzio è tradizionalmente

uulnus exasperet et scindatur cicatrix, tacere et qui non recognoscit; audit enim alterius, non suum crimen. Quod si referat, suum facit; si taceat, retorquet et conuiciantem uulnerat»; MAX. TAUR., Serm. 57, 2: «Susanna mulier inimicos suos tacuit et uicit». 61 PS.BEDA, Lib. prou. ad litt. G (PL 90, 1098A). Cfr WALTHER, Lateinische Sprichwörter, t. II (1964), §§ 14597; 14601; t. III (1965), § 16976. 62 CYPR., Demetr., 2, 1, p. 72, l. 1. 63 CYPR., Demetr., 2, 1, p. 72, ll. 1-4. 64 CYPR., Demetr., 2, 1-2, pp. 72-74, ll. 4-10: «Sed enim cum dicas plurimos conqueri et quod bella crebrius surgant, quod lues, quod fames saeuiant, quodque imbres et pluuias serena longa suspendant nobis imputari, tacere ultra non oportet, ne iam non uerecundiae, sed diffidentiae esse incipiat quod tacemus, et dum criminationes falsas contemnimus refutare, uideamur crimen agnoscere. Respondeo igitur et tibi, Demetriane…». 65 CYPR., Demetr., 3, 1, p. 74, ll. 7-10: «Hoc etiam nobis tacentibus et nulla de scripturis sanctis praedicationibusque diuinis documenta promentibus mundus ipse iam loquitur et occasum sui rerum labentium probatione testatur».

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interpretato come una confessione, come un riconoscimento implicito della fondatezza e dell’autenticità delle accuse. Il tema del silentium / taciturnitas = confessio, già presente nella tragedia greca,66 ha una lunga tradizione nella retorica latina dove lo troviamo ripetuto da Cicerone, Seneca il Retore, Giulio Vittore e Mario Vittorino, per fare solo qualche esempio,67 e attraversa tutta la letteratura cristiana antica.68 Anche nel diritto romano si fanno talvolta derivare effetti giuridici dal silenzio, in particolare quando chi tace aveva la possibilità di parlare e contestare le accuse; se l’imputato quindi ha scelto di tacere e non rispondere, il suo silenzio sarà giudicato equivalente ad una confessione,69 secondo una massima che diventerà una vera e propria regola giuridica in età medievale, adottata anche nelle Decretali di Bonifacio VIII: “Qui tacet consentire uidetur”.70 L’esigenza, quasi l’obbligo morale di non tacere, è avvertito da Cipriano anche in un’altra opera che nasce nelle medesime circostanze dell’Ad Demetrianum,71 il De mortalitate, un’opera rivolta esclusivamente al pubblico cristiano. Nel proemio il Vescovo sostiene che l’infierire della pestilenza non indebolisce la fede della maggioranza dei cristiani, anche se da pastore attento egli si rende conto che ve ne sono alcuni che per leggerezza o per debolezza della fede o per amore della vita mondana o per fragilità del sesso o dell’età non hanno la forza di resistere a tale prova; per EUR., Iphig. Aul., 1142: (Clitemnestra si rivolge ad Agamennone) ʼnɠźɔūȥźɔ ŹŰŪȢŴɕųŶŲŶŪŶɥŴźɓŸȧŹźɃŹŶŻ. SOF., Trach., 813-814: (il coro si rivolge a Deianira che si è allontanata) źɃŹɋŪkȎżȤŷÎŬŰŸŶɠűȋźŶŰŹůkɕůŶɝŴŬűŨÏŵŻŴŮŪŶŷŬɋŸŹŰŪɵŹŨźʃ űŨźŮŪɓŷʁ 67 CIC., Inu., I, 32, 54: «…taciturnitas imitatur confessionem»; cfr anche Sest., 18, 40: «qui... hominibus omnia timentibus tacendo loqui, non infitiando confiteri uidebantur»; SEN., Contr., X, 2, 6: «Dubito quid faciam: taceam? Sed silentium uidetur confessio»; IUL. VICT., Rhet., p. 50, 18: «…taciturnitas imitatur confessionem»; MAR. VICTOR., Rhet., I, 32: «…genus confessionis est taciturnitas». 68 Cfr RUFIN., Apol. adv. Hier., I, 2; HIER., Adv. Rufin., I, 3; ibid., III, 2; ibid., III, 8; ID., C. Ioh., 5-6; AUG., C. Maximin., I, 13; MAX. TAUR., Serm., 57, 1; ARNOB. IUN., Ad Greg., 16; ID., Praedest., praef., 2; ASTER., Ad Renat., 1, 3; GREG. M., Dial., III, 32, 1; ID., Moral., X, 6, 8; ibid., XXIII, 11, 18; In evang., I, 18, 2. 69 Una parziale eccezione pare il giureconsulto Paolo che in Dig., 50, 17, 142 afferma: «Qui tacet non utique fatetur: sed tamen uerum est eum non negare». 70 Cfr OTTO, Sprichwörter, § 1735; WALTHER, Lateinische Sprichwörter, t. IV (1966), §§ 24843a; 24843c; HANS WALTHER, PAUL GERHARD SCHMIDT, Lateinische Sprichwörter und Sentenzen des Mittelalters und der frühen Neuzeit in alphabetischer Anordnung, Neue Reihe, voll. 7-9, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1982-1986, t. IX (1986), § 42732e; TOSI, Dizionario delle sentenze, § 21. 71 Sull’ordine cronologico le tesi degli studiosi sono discordi. Sulla base dell’indicazione di Ponzio (PONT., Vita Cypr., 7, 6-7) generalmente si ritiene che l’Ad Demetrianum preceda il De mortalitate, ma altri pensano che sia posteriore l’Ad Demetrianum, dove alcuni temi trovano uno sviluppo più coerente e sistematico, cfr GALLICET, Cipriano, p. 54; recentemente, osservando che non vi sono elementi precisi e decisivi per dirimere la questione, Fredouille ha proposto di considerare i due opuscoli contemporanei, cfr. FREDOUILLE, Cyprien, p. 15. 66

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costoro Cipriano sente il dovere di non nascondere né tacere sulla questione (“dissimulanda res non fuit nec tacenda”) al fine di fortificare quei cristiani ancora deboli e fiacchi.72 Si tratta della medesima motivazione che spinge anche Origene a scrivere il suo Contro Celso, alle cui accuse basterebbe contrapporre il silenzio sull’esempio di Gesù, ma poiché tra i fedeli ve ne sono alcuni deboli che possono essere turbati dallo scritto di Celso, per costoro l’Alessandrino sceglie di rispondere e confutare le accuse del filosofo pagano.73 La condotta di Cipriano nei confronti di Demetriano è dunque divisa in due momenti distinti: a un iniziale silenzio di fronte alle accuse pagane, giustificato da motivazioni bibliche e razionali, fa seguito un deciso intervento nel momento in cui egli ritiene non più conveniente alla difesa della causa cristiana differire il confronto con Demetriano. Il medesimo schema era già stato sperimentato in nuce qualche tempo prima da Cipriano nell’Epistola 16. Indirizzata a presbiteri e diaconi, essa appartiene al gruppo di tre lettere (Epist. 15-17), composto contemporaneamente nella tarda primavera del 25074 durante la persecuzione di Decio, mentre Cipriano si trovava lontano da Cartagine, e rivela la crescente indisciplina riguardo alla questione dei lapsi. Il Vescovo lamenta che ogni giorno si distribuiscono a migliaia i biglietti di riconciliazione rilasciati da martiri e presbiteri,75 riammettendo senza penitenza gli apostati all’eucarestia, con grave pregiudizio per gli apostati stessi e senza alcun rispetto per il ruolo del vescovo. La Epistola 16 è dunque una ferma e decisa presa di posizione76 nei confronti di alcuni presbiteri e diaconi che di loro iniziativa hanno agito contro i precetti del vangelo e contro la disciplina ecclesiastica. CYPR., mortal., 1: «Etsi aput plurimos uestrum, fratres dilectissimi, mens solida est et fides firma et anima deuota… tamen quia animaduerto in plebe quosdam uel inbecillitate animi uel fidei paruitate uel dulcedine saecularis uitae uel sexus mollitie uel, quod magis est, ueritatis errore minus stare fortiter nec pectoris sui diuinum adque inuictum robur exerere, dissimulanda res non fuit nec tacenda, quominus quantum nostra mediocritas sufficit uigore pleno et sermone de dominica lectione concepto delicatae mentis ignauia conprimatur et qui homo dei et christi esse iam coepit deo et christo dignus habeatur». 73 ORIG., Cels., praef., 4; 6. 74 Cfr LUC DUQUENNE, Chronologie des lettres de S. Cyprien. Le dossier de la persécution de Dèce, Bruxelles, Societé des Bollandistes, 1972 (Subsidia hagiographica, 54), pp. 92-95; 159; GÜLZOW, Caecilius Cyprianus, pp. 606-607; CLARKE, Cyprian, p. 693; DELÉANI, Saint Cyprien, Lettres, pp. 283-303. 75 CYPR., Epist., 20, 2, 2. 76 DUQUENNE, Chronologie, p. 93: «une mise en demeure d’une extrême fermeté»; CHARLES SAUMAGNE, Saint Cyprien, évêque de Carthage, «pape» d’Afrique, 248-258. Contribution à l’étude des «persécutions» de Dèce et de Valérien, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, 1975 (Études d’Antiquités Africaines), p. 38: «une mercuriale irritée»; GRAEME WILBER CLARKE, The Letters of St. Cyprian of Carthage, translated and annotated, voll. 4, New York, Newman Press, 1984-1989, I (1984), p. 284: «The devasting severity with which the clergy are here castigated is noteworthy». 72

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L’argomentazione procede, seppure in forma molto più succinta, seguendo le medesime tappe dell’Ad Demetrianum. All’inizio dell’epistola Cipriano dichiara di avere esercitato la pazienza, scegliendo un lungo silenzio ritenuto un mezzo utile a favorire l’instaurarsi di un clima pacifico e rasserenato. Ma anche in questo caso ad un certo punto la situazione è mutata al punto tale che non è più opportuno tacere (“tacere ultra non oportet”): l’arroganza sfrenata e la sconsideratezza di alcuni rischia infatti di turbare l’onore dei martiri, il rispetto dei confessori e la tranquillità della comunità dei fedeli. Per questo motivo, poiché il continuare a tacere potrebbe recare grave nocumento sia ai fedeli sia alla Chiesa, il Vescovo decide infine di rompere il silenzio e intervenire severamente contro i presbiteri ribelli.77 Cipriano continua affermando che egli potrebbe anche passare sopra alle offese arrecate alla sua dignità episcopale, come ha sempre fatto, ma non può permettere che sia messa in pericolo la salvezza dei fratelli cristiani caduti; per questo non è più il momento di tacere e dissimulare.78 Come nell’Ad Demetrianum anche nell’epistola Cipriano sceglie inizialmente di mantenere un lungo silenzio: Demetr. 1, 1: “frequenter”; 2, 1: “saepe conticui”

Epist. 16, 1, 1: “Diu79 patientiam meam tenui”

In entrambi i casi tale silenzio è ritenuto dignitoso e indispensabile a non esacerbare ulteriormente il clima già teso: Demetr. 1, 1: “uerecundius et melius existimans errantis inperitiam silentio spernere quam loquendo dementis insaniam prouocare”

Epist. 16, 1, 1: “quasi uerecundum silentium nostrum proficeret ad quietem”

CYPRIANUS EPISCOPUS CARTHAGINENSIS, Epistula 16, 1, 1, ed. G. F. Diercks, CC SL 3B (1994), 90: «Diu patientiam meam tenui, fratres carissimi, quasi uerecundum silentium nostrum proficeret ad quietem. Sed cum quorundam inmoderata et abrupta praesumptio temeritate sua et honorem martyrum et confessorum pudorem et plebis uniuersae tranquillitatem turbare conetur, tacere ultra non oportet, ne ad periculum et plebis pariter et nostrum taciturnitas nimia procedat». 78 CYPR., Epist., 16, 2, 1, CC SL 3B, 91: «Contumelias episcopatus nostri dissimulare et ferre possem, sicut dissimulaui semper et pertuli. Sed dissimulandi nunc locus non est, quando decipiatur fraternitas nostra a quibusdam uestrum, qui dum sine ratione restituendae salutis plausibiles esse cupiunt, magis lapsis obsunt». 79 Giustamente la Deléani sostiene che questo lungo periodo non riguarda solamente la situazione contingente dei lapsi, ma anche altre accuse, quali l’animosità seguita alla elezione episcopale di Cipriano, cfr DELÉANI, Saint Cyprien, Lettres, p. 298. 77

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“TACERE ULTRA NON OPORTET”

Ma la situazione ad un certo punto muta: Demetr. 2, 1: “Sed enim…”

Epist. 16, 1, 1: “Sed…”

Tale brusco cambiamento fa sì che il silenzio deve essere necessariamente interrotto nel momento in cui la taciturnitas di Cipriano, anziché segno di uerecundia, rischia di diventare colpevole complicità, implicita accondiscendenza, mettendo in pericolo la Chiesa e la fede stessa dei cristiani: Demetr. 2, 1: “tacere ultra non oportet, ne iam non uerecundiae, sed diffidentiae esse incipiat quod tacemus, et dum criminationes falsas contemnimus refutare, uideamur crimen agnoscere”

Epist. 16, 1, 1: “tacere ultra non oportet, ne ad periculum et plebis pariter et nostrum taciturnitas nimia procedat”

Benché lo schema argomentativo sia pressoché il medesimo, diverso è il contesto dei due scritti ciprianei. Da un lato, nella Epistola 16 siamo nell’ambito di una polemica intra-ecclesiale, in cui leggiamo la reazione severa e ferma del pastore il quale, convinto che la situazione non sia più tollerabile, si rivolge con decisa risolutezza ad una parte dei suoi presbiteri e diaconi per richiamarli al rispetto della legge evangelica e all’obbedienza all’autorità. Dall’altro lato con l’Ad Demetrianum Cipriano si trova davanti ad un pagano e la sua risposta è più articolata: inizialmente dichiara l’impossibilità di addivenire ad un dialogo con l’avversario, al quale riserva solamente disprezzo e indifferenza; in seguito, dopo avere difeso i cristiani dalle false accuse, le ritorce contro i pagani e denuncia con viva forza polemica l’incapacità di questi ultimi di riconoscere la vera origine delle sventure presenti; ma alla conclusione emerge la vena del pastore che cerca con parole accorate di conquistare alla vera fede i pagani all’approssimarsi imminente della fine.

3. IL FORTLEBEN DELLA FORMULA CIPRIANEA È interessante notare come le parole utilizzate da Cipriano per giustificare l’interruzione del suo lungo silenzio abbiano avuto una grande fortuna nelle polemiche successive, soprattutto dell’età moderna. Senza alcuna pretesa di esaustività e completezza, ho selezionato solo alcuni esempi che danno la misura di quanto il prologo dell’Ad Demetrianum abbia costituito un punto di riferimento nelle controversie più disparate, siano esse politiche, teologiche, erudite o letterarie.

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L’abate Charles Alexander De Montgon, un diplomatico francese che ricoprì vari incarichi segreti presso le corti di Spagna e Portogallo negli anni tra 1725 e 1731, fu sospettato di duplicità e condannato all’esilio; dopo più di undici anni, egli decise di pubblicare le sue Memorie, in otto tomi, che narrano le vicende di cui fu protagonista.80 Sotto il titolo di ciascun tomo egli appose la frase ciprianea: “Tacere ultrà non oportet, ne jam non verecundiæ sed diffidentiæ esse incipiat, quod facimus; & dum criminationes falsas contemnimus refutare, videamur crimen agnoscere”. Nella prefazione del primo volume Montgon dimostra di avere ben appreso l’insegnamento del Vescovo cartaginese, spiegando che non furono né l’impossibilità di giustificare la propria condotta, né quella di rendere nota l’ingiustizia della lunga persecuzione subita a fargli mantenere il silenzio per tanti anni, bensì la causa risiede nel principio della sua pazienza e nel desiderio di concedere ai suoi nemici tutto il tempo necessario a placare la loro animosità nei suoi confronti. Ma dopo vari tentativi falliti di conciliazione con il suo principale accusatore, il cardinale de Fleury, e dopo la morte di costui, il Montgon, appellandosi alla legge naturale, decise infine di rendere pubblici i servizi da lui resi ai re di Francia, alla sua patria e al Cardinale stesso per dissipare le falsità e i pregiudizi che gravavano sul suo conto.81 Alla metà del Settecento risale una disputa sulla datazione del cosiddetto “Dittico Queriniano”, costituito da due tavolette d’avorio con raffigurazioni mitologiche di soggetto amoroso, oggi datato all’inizio del V secolo d.C. e custodito presso il Museo Civico Cristiano di Brescia. Il dittico fu studiato tra gli altri da Giuseppe Bartoli, professore di eloquenza italiana e lettere greche, nonché archeologo e “regio antiquario”, il quale lo riteneva un reperto antico; la sua interpretazione lo portò a scontrarsi anche duramente con Scipione Maffei e con altri, ma fu difeso da Johann Burkhard Mencke e dagli altri eruditi di Lipsia.82 Di fronte alle accuse dei suoi oppositori scrisse dapprima alcune lettere apologetiche83

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Mémoires de Monsieur l’Abbé De Montgon, publiés par lui-même, contenant les différentes Négociations dont il a été chargé dans les Cours de France, d’Espagne et de Portugal, y divers événement qui sont arrivés depuis l’année 1725, jusqu’à présent, Lausanne, chez Marc-Mic. Bousquet et comp., 1748-17532. 81 Ibid., tomo I, Préface (senza numerazione di pagina). 82 SCIPIONE MAFFEI, Dittico Quiriniano publicato e considerato, Verona, per Antonio Andreoni Libraro, 1754. Cfr anche Primo cicalamento di Giuseppe Baretti sopra le cinque lettere del sig. Giuseppe Bartoli intorno al libro che avrà per titolo La vera spiegazione del Dittico Quiriniano, Milano [1750?]. B. GAMBA, Galleria dei letterati ed artisti più illustri delle provincie austro-venete che fiorirono nel secolo XVIII, Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1822 (senza numerazione di pagina). 83 Lettere apologetiche di Giuseppe Bartoli antiquario di sua Maestà, sopra alcuni novellieri, e giornalisti letterarj, sopra lo studio delle antichità, e sopra altri argomenti eruditi, all’occasione del Dittico quiriniano, e del programma etc., Torino, per Filippo Antonio Campana, 1753.

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e dopo qualche anno un saggio il cui principale obiettivo polemico è il Maffei; il Bartoli sostiene che “nessuno più di me il venera mentre l’impugno: né l’impugno che per necessità”, una necessità che egli giustifica con le parole di san Cipriano: “Tacere ultra non oportet etc.”.84 Nel 1755 venne stampato a Palermo il volume di Giuseppe Maria Gravina dal titolo Trattenimenti apologetici sul probabilismo, in cui l’autore, un gesuita, difendeva il sistema morale del probabilismo contro l’impugnatore Vincenzo M. Diez dell’Ordine dei Predicatori. Quasi in conclusione della prefazione della seconda parte il Gravina chiede scusa se in qualche caso l’ardore nel rispondere al suo avversario gli ha preso la mano, ma trovandosi a dover difendere “non già me, ma l’Ordin mio, che amo, com’è dovere, con tenerezza da Figlio, in un punto delicatissimo della Morale regolatrice delle Coscienze”, egli si richiama al “bel principio del Libro Apologetico al Proconsole d’Africa, Demetriano, calunniatore de’ Cristiani” secondo cui “tacere ultra non oportet etc.”, passo a cui accosta anche una citazione da Basilio, tratta da un’epistola inviata ai chierici avversari di Neocesarea: “Calumniæ silentio non prætermittendæ; non ut contradicendo nos ipsi ulciscamur; sed ne mendacium progredi, & deceptos lædi patiamur”.85 Anche in altre dispute teologiche gli autori si richiamano esplicitamente a Cipriano, come l’abate Gioacchino Cortes, il quale nella sua Dissertazione Anti-Bolgeniana sopra la carità difesa dal suo autore l’Abate Gioacchino Cortes contro il ch. Signor Abate Gianvincenzo Bolgeni comincia la prefazione con le parole dell’Ad Demetrianum per giustificare sia l’impegno che si era assunto con il suo opuscolo di replica sia l’impulso che aveva ricevuto per la sua composizione.86 Alla metà dell’Ottocento fu l’arcivescovo cattolico di Baltimora, Francis Patrick Kenrick, a porre le parole ciprianee come motto sotto il titolo della sua opera in difesa della

84 Il vero disegno delle due tavolette d’avorio chiamate Dittico Quiriniano ora la prima volta dato in luce da Giuseppe Bartoli antiquario di S.M. il Re di Sardegna, con tre Ragionamenti che ne difendono l’antichità contro il march. Maffei, ne confutano una falsa spiegazione, e ne confermano una verisimile. S’aggiunge una traduzione del sig. march. Prospero Manara, ed un poema del signor abate Frugoni, Parma, per Francesco Borsi, 1757, p. 64. 85 GIUSEPPE MARIA GRAVINA, Trattenimenti apologetici sul probabilismo, seconda parte, Palermo, Stamperia de’ SS. Apostoli in Piazza Vigliena, per Pietro Bentivegna, 1755, p. 7. 86 Dissertazione Anti-Bolgeniana sopra la carità difesa dal suo autore l’Abate Gioacchino Cortes contro il ch. Signor Abate Gianvincenzo Bolgeni, Roma, Stamperia Salomoni, 1793, p. 3. Le opere di Giovanni Vincenzo Bolgeni hanno per titolo Della carità o amor di Dio, 2 voll., Roma, Stamperia Salomoni, 1788; Schiarimenti dati da Giovanni Vincenzo Bolgeni in confermazione e difesa della sua dissertazione sopra la carità, o amor di Dio stampata in Roma nel 1788, Fuligno, Stamperia Vescovile, per Giovanni Tomassini, 1790.

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Chiesa cattolica contro il vescovo protestante episcopale del Vermont.87 Nella prefazione l’arcivescovo spiega che durante l’infuriare della controversia aveva preferito rimanere in silenzio, fino a che ciò non avesse rappresentato un pericolo per la verità; ma l’atteggiamento vittorioso del vescovo Hopkins e il favore crescente che ricevevano le sue opere lo convinsero infine, come Cipriano, dell’opportunità di rompere il silenzio.88 Recentemente le parole di Cipriano sono state utilizzate come motto anche da Charles E. Butterworth89 in un suo articolo di risposta ad una recensione molto severa di Dimitri Gutas alla sua traduzione del Commento Medio di Averroé alla Poetica di Aristotele;90 in conclusione dell’articolo, dopo avere illustrato il suo metodo di traduzione e confutato le inconsistenti accuse di Gutas, egli spiega la scelta della citazione da Cipriano, motivata dal fatto che le calunnie non vanno ignorate perché non sembri che se ne riconosca la fondatezza. Maria Veronese Università degli Studi di Foggia

FRANCIS PATRICK KENRICK, A vindication of the Catholic Church in a series of letters addressed to the Rt. Rev. John Henry Hopkins, Baltimore, published by John Murphy & co., 1855. 88 Ibid., Preface, V-VI. 89 CHARLES E. BUTTERWORTH, Translation and Philosophy: the Case of Averroes’ Commentaries, in «International Journal of Middle east Studies» XXVI/1 (1994), pp. 19-35. 90 DIMITRI GUTAS, On Translating Averroes’ Commentaries, in «Journal of the American Oriental Society» CX/1 (1990), pp. 92-101. 87

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ABSTRACT The A. explores the opening chapters of Cyprian’s Ad Demetrianum, where we find a theme that frequently recurs in the prologue of Christian polemical works; the Christian author, when accused, hesitates whether patiently bearing the attacks and maintaining a thoughtful and dignified reserve, or entering into polemics with the opponent. The conduct of Cyprian against Demetrianus presents two distinct phases: an initial silence in front of pagan charges, supported by biblical and rational reasons, is followed by a decisive intervention when the Bishop judges no longer convenient for the Christian defense to postpone the confrontation with Demetrianus. The paper analyzes this topos in ancient literature and follows the success of the cyprianic phrase in modern polemic texts. RÉSUMÉ L’A. analyse les premiers chapitres de l’Ad Demetrianum de Cyprien, dans lesquels revient un thème fréquent dans les prologues des œuvres polémiques chrétiennes, c’est-à-dire la situation dans laquelle se trouve le chrétien quand, inculpé, il reste hésitant entre l’intention de supporter avec patience les attaques, tout en maintenant une réserve réfléchie et digne, et la nécessité, imposée par la situation, de répondre directement et d’entrer dans une polémique avec l’adversaire. La conduite de Cyprien contre le païen Démétrien est divisée en deux phases distinctes: le silence initial devant les accusations, étayé par des motifs bibliques et rationnels, est suivi d’une intervention décisive quand l’Évêque croit qu’il n’est plus convenable pour la défense de la cause chrétienne de renvoyer la confrontation avec Démétrien. L’article analyse ce topos dans la littérature antique et suit le succès de l’expression cyprianique dans des écrits polémiques modernes.

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LE POLEMICHE DI GIULIANO CONTRO I CINICI*

Dei due discorsi dell’imperatore Giuliano contro i Cinici, composti a distanza di pochissimo tempo l’uno dall’altro, il primo, Contro il cinico Eraclio, presenta un sottotitolo che mette a fuoco due tematiche, una di carattere più generale e filosofico, l’altra invece più specifica: “Riguardo alla corretta pratica del Cinismo e all’opportunità per un Cane di inventare miti”.1 In apertura Giuliano chiarisce le circostanze che lo hanno indotto a comporre l’opera: dopo aver ricevuto inviti insistenti, è andato alla conferenza di un Cinico “che non abbaiava niente di perspicuo né di nobile, ma canterellava storielle alla maniera delle nutrici” (204 a) e lì è stato ferito dalle espressioni ingiuriose usate da Eraclio nei confronti degli dei (205 a). Questa accusa al Cinico è ripresa più avanti, sia pure in tono più generale: “se per caso qualcuno… ritiene di essere in grado di illustrare le peculiarità del Cinismo, oltraggiando con parole blasfeme gli dei…” (211 a). L’imperatore aggiunge anche una seconda accusa concernente il comportamento asociale dei Cinici contemporanei (“latrando all’indirizzo di tutti”), che prima aveva accostato ai pirati: “i primi (cioè i pirati), consapevoli di condurre una vita scellerata, si nascondono nei luoghi deserti, non per timore della morte quanto piuttosto per vergogna, i secondi invece (cioè i Cinici) si aggirano in mezzo alla gente portando scompiglio nelle abitudini comuni, al fine di instaurare un costume di vita non migliore e più puro, ma peggiore e più corrotto” (210 b-c).

La condotta insana dei Cinici nella città, denunciata con toni molto aspri già da Dione Crisostomo (XXXIII 9-10),2 diventa un motivo forte * Sono grata Rosanna Guido per le suggestioni, e gli spunti che mi ha offerto per questo lavoro. 1 La traduzione di questo e di tutti i successivi passi del Contro Eraclio è di Rosanna Guido, in Giuliano Imperatore. Al cinico Eraclio, edizione critica, traduzione e commento, a cura di Rosanna Guido, Galatina, Congedo, 2000, con minime differenze. 2 Cfr pure Epict. III, 22, 80: cfr ALDO BRANCACCI, Rhetorike philosophousa. Dione Crisostomo nella cultura antica e bizantina, Napoli, Bibliopolis, 1985, pp. 56seq.; 122seqq. Per le fonti sui comportamenti dei Cinici cfr MARIE-ODILE GOULET-CAZÉ, Le Cynisme à l’époque impériale, in «ANRW» II, 36.4, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 1990, p. 2746seq.

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nella polemica di Giuliano, che sottolinea pure il loro atteggiamento di sudditanza al potere: “quale vantaggio è derivato dalla vostra venuta? quale città o quale privato cittadino ha sperimentato la vostra parrhesia? ... non avete abusato … adulando, latrando e offrendo i vostri scritti e pregando che mi fossero presentati? nessuno di voi … ha frequentato tanto l’aula di un filosofo quanto il mio segretario …” (224 d- 225 a).

L’imperatore fornisce anche un elenco nominativo dei primi rappresentanti del Cinismo giunti in città,3 per affermare poi che questi Cinici, con il loro comportamento, hanno reso spregevole l’intera filosofia (225 a-b). La seconda opera, Contro i Cinici ignoranti, che presenta una struttura molto più unitaria,4 si apre con il riferimento ad un aner kynikos e alle sue parole (180 d-181 a). Risulta chiaro che l’occasione è simile a quella che ha causato il precedente discorso, giacché l’imperatore polemizza contro le affermazioni del Cinico, che evidentemente dovevano essere state pronunciate anche questa volta in una conferenza pubblica. Vengono sottolineati subito i comportamenti del Cinico, che, pur giovane e in ottime condizioni fisiche, si rifiuta di bagnarsi nell'acqua fredda per non prendersi un malanno “mentre il sole sta per entrare nel solstizio d’estate” (180 d-181 a): tale eccessiva delicatezza e sensibilità dimostra che egli, al contrario di Diogene e Cratete, “assillato dai bisogni del corpo”,5 è ben lontano da ciò che affermava Socrate “quando giustamente diceva che la filosofia è come un allenamento alla morte”.6 In questo caso la polemica di Giuliano colpisce due punti precisi del discorso dell’avversario: l’accusa a Diogene di vanagloria e la “messa in commedia” della morte dello stesso Diogene provocata dall’aver mangiato il polpo (“dice che Diogene così ha pagato il fio”7): si deduce quindi

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“Prima è arrivato Asclepiade, poi Sereniano, poi Chitone, poi un giovincello biondo e lungo, di cui non conosco il nome, poi tu, e con voi sono arrivati altri cinici in numero doppio” (224 d). 4 Cfr JEAN BOUFFARTIGUE, Le cynisme dans le cursus philosophique au IVe siècle, in Le cynisme ancien et ses prolongements. Actes du colloque international du CNRS (Paris 22-25 juillet 1991), sous la direction de Marie-Odile Goulet-Cazé et Richard Goulet, Paris, Presses Universitaires de France, 1993, p. 341: “cet dernier discours possède un unité qui le lasse facilement ranger dans la catégorie des ouvrages que l’Antiquité a désignés sous le titre de ŘŬŷɄűŻŴŰŹųŶɥ”. 5 Cfr C. Her. 214 c. 6 C. Cyn. 190 c. 7 La traduzione di questo e di tutti i passi del secondo discorso contro i Cinici è di Carlo Prato in Giuliano Imperatore. Contro i Cinici ignoranti, edizione critica, traduzione e commento, a cura di Carlo Prato e Dina Micalella, Lecce, Università degli Studi, 1988, con minime differenze.

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che secondo il cinico la morte è un male, ma certo non è questo l’insegnamento di Socrate, Diogene e Antistene, che Giuliano ha ereditato (180 d-181 b). L’accusa a cui viene dato maggiore spazio nel finale riguarda, anche in questo secondo discorso, il comportamento dei Cinici contemporanei. Mentre gli antichi allievi di Diogene “miravano a essere felici loro stessi, ma si prendevano anche cura degli altri… e cercavano di aiutare i propri concittadini non solo con l’esempio, ma anche con la parola” (201 c-d), il Cinico contro cui Giuliano si rivolge ha deviato tanto dalle regole di Diogene da ritenerlo degno soltanto di commiserazione (202 d). Questo personaggio, di cui non viene fornito il nome,8 di origine egiziana (192 d), probabilmente seguace di quella variante del cinismo rappresentata da Enomao,9 è connotato fortemente dalle sue simpatie per il cristianesimo (192 d; 203 c): l’eccezionale presenza qui di ben due citazioni dalle Sacre Scritture (181 c; 192 d10), alle quali si aggiunge una probabile eco del Vangelo di Matteo (198 c), si spiega proprio con la capacità dell’interlocutore diretto di “riconoscere il linguaggio dei Galilei” (192 d).11 Risulta evidente da questa presentazione dei principali “capi d’accusa” contro i due Cinici, che entrambi i discorsi si presentano con le caratteristiche della satira personale, genere che nel Misopogon (337 b) lo stesso Imperatore dirà “vietato dalla legge”.12 Invero gli attacchi personali e violenti sembrano rientrare nei comportamenti di Giuliano, che, stando alla testimonianza di Libanio, era solito infuriarsi e gridare, anche con gli adulatori: queste critiche al comportamento di Giuliano si trovano nell’Autobiografia, dove il retore mira a valorizzare il suo intervento volto a dimostrare l’innocenza della curia 8 Recentemente è stata avanzata l’ipotesi di identificare questo personaggio con Massimo Erone: cfr MARIE-ODILE GOULET-CAZÉ, Qui était le Philosophe cynique anonyme attaqué par Julien dans son Discours IX ?, in «Hermes» CXXXVI (2008), pp. 97-118. 9 Così JÜRGEN HAMMERSTAEDT, Le Cynisme littéraire a l’époque impériale, in Le cynisme ancien et ses prolongements, p. 415, che osserva che questo cinico, come Enomao, non accetta Diogene come modello esclusivo della sua filosofia 10 Su quest’ultimo passo cfr le osservazioni di JEAN BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien et la culture de son temps, Paris, Institut d’Etudes Augustiniennes, 1992, pp. 164166, il quale però ignora l’altra citazione. 11 Sul complesso problema dei rapporti fra Cinismo e Cristianesimo cfr in particolare F. GERALD DOWNING, Cynics and early Christianity, in Le cynisme ancien et ses prolongements, pp. 281-304; GILLES DORIVAL, L’image des Cyniques chez les Pères grecs, ibid., pp. 419-443. 12 Sull’importanza di questa tematica nell’impianto dell’opera cfr quanto ho osservato in Giuliano Imperatore. Misopogon, edizione critica, traduzione e commento a cura di Carlo Prato e Dina Micalella, Roma 1979, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, comm. ad loc. Sui modelli qui citati da Giuliano, Alceo e Archiloco, cfr quanto ho osservato in Impegno e disimpegno. Giuliano Imperatore e la letteratura, in Voce di molte acque. Miscellanea di studi offerti a Eugenio Corsini, Torino, Silvio Zamorani Editore, 1994, pp. 129-131.

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antiochena, di cui – pur in quel difficilissimo clima - riuscì a persuadere l’imperatore (or. 15, 20; 16, 21; 18, 195; 1, 126; Ep. 824). D’altra parte però, lo stesso Libanio offre una testimonianza di segno del tutto opposto, quando celebra la capacità di Giuliano di lasciare a ciascuno piena libertà di parola: ognuno doveva agire al suo cospetto da uomo libero e non da schiavo (or. 14, 21; 15, 12; 18, 190; 1, 126). Come è noto, alle spalle di questi due discorsi c’è un’ampia produzione letteraria in cui i Cinici sono presi a bersaglio, se è vero che, come afferma Marie-Odile Goulet-Cazé nel delineare la storia del Cinismo in età imperiale: “les comiques et les satiristes ne pouvaient pas ne pas se servir du philosophe cynique comme d’une ‘tête de Turc’ idéale”.13 Ma l’impegno satirico non esaurisce certo i contenuti di questi discorsi, che, secondo l’intento di Giuliano, erano orientati a raggiungere anche obiettivi diversi e importanti. La giustapposizione di due progetti, quello polemico-satirico e l’altro prettamente filosofico, si vede chiaramente, ad esempio, nella parte centrale del Contro Eraclio nel brusco salto dal tono acceso delle accuse dirette ai Cinici contemporanei, con l’uso esasperato di appelli diretti nella seconda persona, singolare prima e plurale poi, e l’incalzare delle interrogative (223 b-225 c), alla rigorosa e asciutta rappresentazione dell’unico fine e dell’unico principio della filosofia (225 c), insieme all’enunciazione dei principi filosofici fondamentali: conoscere se stessi e assomigliare agli dei (225 d), a cui seguono le indicazioni rivolte a chi vuole essere un autentico Cinico (225 d-226 c). In apertura di questo primo discorso Giuliano afferma di voler insegnare ad Eraclio “innanzitutto che ad un Cane si addice scrivere veri e propri discorsi piuttosto che storielle” (205 b), poi quale scelta fare di queste storie e come elaborarle se necessario. Alla fine di questa presentazione programmatica, preannuncia che dirà pure “poche cose riguardo al rispetto dovuto agli dei” (ibid). In realtà, dopo aver discusso su quale genere filosofico sia compatibile con la redazione di miti (215 b -217 a), fornisce indicazioni precise su come il suo avversario avrebbe dovuto costruire il discorso (217 a seqq.), nonché istruzioni più generali su come vanno composte le storie allegoriche,14 tenendo in conto le dovute cautele per “non esporre nulla di sconveniente né verso gli dei né verso gli uomini, o nulla di empio” (226 c seqq.). Alla fine, però, l’altro progetto, pur annunciato, di scrivere sul Cinismo viene volutamente tralasciato (215 a-b).

GOULET-CAZÉ, Le Cynisme à l’époque impériale, p. 2728. Sui principi di intepretazione allegorica enunciati da Giuliano negli inni Ad Helios Re e Alla Madre degli Dei, cfr in particolare BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, pp. 570-577. 13 14

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Nella seconda opera, Contro i Cinici ignoranti, Giuliano dichiara di voler far conoscere ciò che ha appreso dai suoi maestri sulla filosofia cinica (181 d). L’esposizione dei precetti filosofici, che inizia in 183 a (“Cominciamo innanzitutto dal Conosci te stesso…”) e arriva fino alla clausola di 185 c (“Ma questo è un discorso troppo ampio”), viene condotta inizialmente con un tono nettamente prescrittivo, con l’uso della terza persona singolare;15 la seconda persona singolare, che riapre il dialogo diretto con il Cinico, è presente una volta soltanto (“Considera allora…”: 183 d), mentre solo dopo appare una forma di dativo etico (184 c), e ancora più avanti - in un crescendo di partecipazione emotiva - l’autore prefigura un’obiezione al suo discorso, per poter sviluppare ulteriori argomentazioni a suo sostegno (184 d ss.). Alla presentazione del programma (“Bisogna che esaminiamo la filosofia cinica”: 186 b) segue una scansione rigorosa in parti dell’opera,16 in cui Giuliano giunge a definire lo scopo e il fine del Cinismo (193 d ss.), a esaltare il valore della libertà (195 c ss.), e, infine, a fornire gli insegnamenti per “chi si accinge a vivere da Cinico” (200 b ss.). Fra le affermazioni di maggiore impegno filosofico la professione di sincretismo: “vogliamo ergere un muro fra queste persone e separare l’uno dall’altro chi fu unito dall’amore per la verità, dal disprezzo per l’opinione della gente, dalla comune aspirazione alla virtù?” (189 a). In entrambi i discorsi risulta evidente, quindi, l’impegno didattico assunto da Giuliano, sostanziato dalla scelta di affrontare tematiche filosofiche di notevole rilevanza. Il tono polemico e l’intento di formazione filosofica che caratterizzano questi due discorsi, hanno portato Jean Bouffartigue a definirli “de clairs spécimens d’un genre très vivant dans les derniers siècles de l’Antiquité”, la dialexis.17 Lo stesso studioso, però, sembra voler dare ragione di una certa loro particolarità, quando sottolinea che “le deux discours de Julien… manifestent une certaine tendance à exploiter les potentialités aggressives de la dialexis”; poi, forse alla ricerca di un modello letterario più aderente alla complessità di questi testi, lo individua nell’omelia cristiana, “tout à fait adapté à diverses intentions comme l’instruction, l’édification, l’exégèse et la polémique” .18 In realtà, a mio avviso, tale modello potrebbe forse adattarsi al secondo discorso, con il suo dichiarato intento parenetico, ma molto più difficilmente al primo, che svolge invece un tema dichiaratamente tecnico, quale la composizione dei miti e la loro interpre-

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Il soggetto è “colui che conosce se stesso” (183 a-b). Cfr, per esempio: “Procediamo per ordine: 187 b”. Per l’analisi della struttura dell’opera cfr MICALELLA, Giuliano Imperatore. Contro i Cinici ignoranti, pp. XII-XV. 17 BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, p. 542. 18 Ibid., p. 542. 16

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tazione. Mi sembra comunque che questa ipotesi del Bouffartigue miri a evidenziare come intento primario delle due opere giulianee la divulgazione di concetti e modelli filosofici, a uso e consumo non solo, evidentemente, dei due avversari dichiarati, ma di un pubblico ampio e fortemente composito, come appunto in genere era quello delle omelie cristiane. Ma chi sono in realtà i destinatari scelti da Giuliano, oltre ai due Cinici ai quali risponde? Il Contro Eraclio è sicuramente destinato a una lettura pubblica, che doveva svolgersi al cospetto di un pubblico vario e molto probabilmente dello stesso imperatore accompagnato almeno dai suoi amici più vicini, come dimostrano gli accenni, da una parte, agli spettatori che sono descritti come individui ancora non indirizzati sulla via della sapienza (“Dimmi, nel nome di Zeus e per coloro che ascoltano qui, i quali a causa del vostro comportamento sono sviati dalla filosofia…”: 223 d), dall’altra, alla presenza di Mardonio, antico precettore di Giuliano (“non avesti, come me, la fortuna di incontrare una guida allo studio dei poeti, della levatura del filosofo qui presente, al seguito del quale sono giunto alle soglie della filosofia”: 235 a). Fra coloro che ascoltano il suo discorso Giuliano allude pure alla presenza di individui non iniziati ai sacri misteri, che costituiscono la maggior parte degli spettatori (217 b): “Queste cose, smaniando nel furore bacchico al seguito del grande Dioniso, ho avuto, non so come, l’irrefrenabile impulso di dire, perciò metto un bue sulla lingua, poiché nulla bisogna divulgare riguardo alle verità ineffabili. Da esse comunque gli dei concedano di trarre un beneficio a me e alla maggior parte di voi, quanti finora non siete iniziati a questi misteri”.

Pungente l’allusione al disinteresse generalizzato di questo pubblico per la filosofia e alla conseguente incapacità di comprendere profondamente il mito relativo alla nascita di Dioniso con l’analisi ivi proposta (220 a seqq.): “Delle altre questioni, a cui sarebbe opportuno dare un immediato seguito nella ricerca, non mi è facile trattare a voce o anche per iscritto, sia perché non intendo presentare, come avviene sulla scena, questo dio, che è occulto e al contempo manifesto, ad orecchie non avvezze alla ricerca e a intelletti a tutto rivolti fuorché alla speculazione filosofica” (221 c-d).

In realtà, l’imperatore si dimostra consapevole del fatto che il suo discorso sarà conosciuto, oltre che da coloro che sono presenti alla declamazione, anche da un pubblico più vasto, che potrà leggerlo più tardi.

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Infatti, criticando il numero eccessivo e la qualità delle immagini di cui il Cinico ha infarcito il suo discorso, conclude: “Tralascio il seguito del discorso… affinché io non mi trovi ad affrontare, insieme con i Cinici peggiori, anche i retori più scadenti, dal momento che nei confronti dei Cinici più autorevoli - se ora ve ne è qualcuno di tal fatta - e nei confronti dei più valenti retori io nutro sentimenti del tutto amichevoli” (236 b).

Se in questo primo discorso Giuliano caratterizza la sua platea con tratti negativi, ma si dimostra consapevole pure della presenza di un altro pubblico, “occulto”, sicuramente competente in ambiti specifici, in Contro i cinici ignoranti, invece, opera una scelta netta ed esplicita dei suoi destinatari sin dall’apertura: “Suvvia, dunque! Quel che abbiamo appreso sui Cinici dai nostri maestri, portiamolo in pubblico, affinché sia esaminato da coloro che si incamminano per questo genere di vita; perché se costoro – voglio dire quelli che ora intraprendono a vivere da Cinici – si lasceranno convincere da tali argomenti, non ne usciranno –io lo so bene– per nulla peggiori; se al contrario non se ne lasceranno persuadere e, trascurando le nostre parole, praticheranno non solo a parole, ma nei fatti, una vita splendida e magnifica, non troveranno comunque d’impedimento il nostro discorso” (181 d-182 a).

In questo caso l’imperatore sceglie di parlare ai Cinici in formazione, e non, quindi, ad un pubblico eterogeneo, incompetente e disinteressato, come appare quello a cui si rivolge direttamente nel Contro Eraclio, e che probabilmente è del tutto simile all’uditorio che accoglie pure la lettura di questo secondo discorso. “Scavalcando”, in certo senso, gli ascoltatori occasionali, sceglie ora di rivolgersi ad un pubblico diverso, omogeneo dal punto di vista degli obiettivi che ogni singolo individuo si è posto, che ovviamente non è necessariamente compreso nel perimetro spaziale e temporale disegnato dall’occasione in cui viene declamato il discorso, ma comprende tutti coloro che hanno fatto e faranno la scelta del Cinismo. Tale impegno viene sostenuto da una grande attenzione all’organizzazione del discorso:19

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Cfr pure 187 b: “Orsù, procediamo per ordine, partendo dalle sue azioni, proprio come fanno i cani che si danno all’inseguimento delle fiere mettendosi sulle loro tracce ”.

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“Riprendiamo quindi dall’inizio e per sommi capi il nostro discorso, affinché, trattando come si conviene le singole questioni, possiamo noi stessi svolgere più agevolmente il programma che ci siamo prefisso e renderlo a te più comprensibile” (182 b).

L’imperatore indica qui due obiettivi del suo intervento. Al primo posto troviamo il progetto più generale, destinato al pubblico degli aspiranti Cinici (adombrato dalla menzione de “il programma che ci siamo prefisso…”) rispetto ai quali “trattare come si conviene le singole questioni” è la garanzia di un insegnamento corretto e responsabile; la risposta diretta al Cinico (“a te”) occupa invece il secondo posto: Giuliano esprime la sua preoccupazione – che emerge nella conclusione sia di questa stessa opera,20 sia del Contro Eraclio21 di dover comunque rendere effettivamente comprensibile il discorso al destinatario immediato. Questa differente scelta riguardante i destinatari credo sia una chiave importante per spiegare il progetto della composizione del secondo discorso, con la ripresa di un tema apparentemente identico, a distanza di così breve tempo. Di fatto, come ho già avuto modo di rilevare,22 la brusca interruzione della trattazione sul Cinismo nel Contro il cinico Eraclio – che, a quanto afferma lo stesso autore, avrebbe avuto bisogno di uno spazio almeno doppio –, per affrontare invece il tema delle qualità necessarie ai mitografi (215 a seqq.), costituisce in certo modo la premessa di Contro i Cinici ignoranti, dove Giuliano – come si è detto – si propone innanzitutto di presentare gli insegnamenti ricevuti sul Cinismo dai suoi maestri (181 D). La differenza fra i due discorsi è segnata anche da alcune notazioni dello stesso autore sulle modalità di composizione, ad iniziare da quelle riguardanti le fonti utilizzate per questi discorsi.23 Nel Contro Eraclio con una formula cautelativa (“se in qualche modo è degno di fede…”) viene menzionato Dione come uno dei testimoni sulla vita di Diogene, in particolare sul rapporto fra il Cinico e Alessandro (212 c),24 mentre Giamblico viene indicato come modello da seguire nella trattazione del mito, che – come si è visto – costituisce l’obiettivo specifico di quest’opera:

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Cfr 203 c: “Dunque, se questo discorso ha avuto qualche effetto, il mio profitto non è stato maggiore del tuo; se invece non riusciamo a conseguire alcun effetto…”. 21 Cfr 239 c : “Ma quanto dovrò ancora parlare, se gli argomenti finora esposti non servono a convincerti?”. 22 Giuliano Imperatore. Contro i cinici ignoranti, p. XX. 23 Sulle fonti di Giuliano sul Cinismo cfr le osservazioni di BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, pp. 242-244; su Diogene cfr pp. 237 seqq.; su Cratete cfr pp. 72-73; 272-274. 24 BRANCACCI, Rhetorike philosophousa, pp. 123-124 vede nella formula qui impiegata da Giuliano la prova della “dipendenza diretta da scritti dionei”.

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“Proviamo ora a vedere da noi, con le nostre forze, che genere di narrazioni devono essere adattate a ciascuna delle due parti della filosofia, dal momento che non dipendiamo più in tutto e per tutto dalle testimonianze dei pensatori antichi, ma seguiamo le tracce fresche di un uomo per il quale io, dopo gli dei e allo stesso grado che per Aristotele e Platone, provo ammirazione e riverenza” (217 b-c.). Qui Giuliano accenna pure alla vastità delle sue conoscenze riguardo ai temi trattati, sottolineando contemporaneamente la sua scelta prioritaria di dedicarsi agli impegni politici e bellici: “Da siffatti ragionamenti, anche se alla mia mente ne affluisce un gran numero (e non è che se uno volesse esporli, non “potrebbe attingere ad un vaso più che traboccante”), tuttavia mi asterrò, a causa dei miei impegni. Ma ho da aggiungere ancora poche parole al mio discorso, come si aggiunge la somma mancante per estinguere un debito (236 c-d).

In un altro passo motiva i limiti della trattazione come dovuti ai suoi studi incompleti e, ancora, soprattutto, ai suoi impegni attuali: “Queste sono le suddivisioni della filosofia, se non me ne è sfuggita qualcuna, e non c’è assolutamente da stupirsi se un soldato come me non conosce alla perfezione e non ha, per così dire, sulla punta delle dita cose del genere, di cui parla non per aver avuto consuetudine con i libri, ma per una certa capacità che si trova ad avere; e me ne sarete testimoni anche voi, se farete il calcolo di quanti giorni sono intercorsi fra questa risposta e la conferenza che abbiamo ascoltato ultimamente, e di quanti impegni furono per noi fitte queste giornate”(216 a-b).

Risulta evidente in questa giustificazione, pur di maniera,25 la contrapposizione fra ciò che è frutto dello studio e dell’impegno individuale, e la capacità che l’imperatore “si trova ad avere”, che richiama invece quella piccola scintilla del suo sacro fuoco che Helios si compiace di ritrovare nel fanciullo-Giuliano del mito (229 d; cf. pure 234 a). Il riferimento alla preparazione insufficiente e alla mancanza di studio, nonché all’estrema velocità di scrittura, sembra quindi volto piuttosto a valorizzare la disposizione che l’imperatore ha ottenuto come dono degli dei, che

25

Sul topos della velocità redazionale menzionata per giustificare le imperfezioni dell’opera, cfr quanto ho osservato in Giuliano Imperatore. Contro i cinici ignoranti, p. XXXII-XXXIII e n. 114.

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gli conferisce un’indiscutibile autorevolezza nei confronti dei suoi interlocutori. Sensibilmente diversa mi sembra la posizione di Giuliano in Contro i Cinici ignoranti, dove pure il “divino” Giamblico è citato come il maestro che avvalora la scelta di individuare nel dio delfico il fondatore del Cinismo (188 b), insieme allo stesso Enomao per la sua affermazione che “il Cinismo non è né Antistenismo né Diogenismo” (187 c). Invero, in questa seconda opera, benché proclami che per seguire quella filosofia che è la più conforme alla natura “non è necessario sfogliare migliaia di libri, perché, come si dice, l’erudizione non insegna ad avere intelletto” (187 d), l’imperatore insiste ripetutamente sull’esistenza – che allude alla sua conoscenza – di innumerevoli libri sui temi trattati. Ad esempio, riguardo a mangiare carne cruda, annota: “Su questo argomento si è fatto un gran discorrere, per cui, se sei disposto a non startene con le mani in mano, eccoti una caterva di libri su questo tema” (191 c).

L’orgogliosa affermazione di possedere molti testi di Cratete – che evidentemente ha usato per il suo discorso – (200 a-b), insieme alla conoscenza degli scritti sul filosofo cinico, ostentata dall’indicazione della Vita scritta da Plutarco come punto di riferimento fondamentale (ibid.), vuole contrapporsi alla mancanza di studio e di approfondimento da parte dell’anonimo avversario, che, anziché basarsi sull’esame diretto delle fonti, unito alla corretta scelta dei testimoni più attendibili, presta ascolto alle opinioni comuni (a “ciò che si dice”) sui fondatori del Cinismo: “Se tu non avessi prestato fede a ciò che si dice di un uomo che ai tempi di Platone e Aristotele godette di un’ammirazione inferiore solo a quella che si era avuta per Socrate e Zenone… allora forse avresti indagato un po’ di più sul suo conto e avresti approfondito le tue conoscenze su quest’uomo” (202 d-203 a).

Giuliano quindi vuole sottolineare il serio impegno di studio richiesto a chi vuol conoscere il Cinismo, di cui un importante saggio vuole essere proprio questo suo discorso, che però nella parte conclusiva viene nuovamente rappresentato – con una concessione alla tradizione, rivisitata con spirito religioso – come dono della divinità, in quanto composto “estemporaneamente e, come suol dirsi, tutto d’un fiato… un lavoretto di due giorni, come sanno le Muse” (203 c).26

26 Sui significati di questa definizione del discorso e del riferimento alle Muse, cfr Giuliano Imperatore. Contro i cinici ignoranti, p. XXXIIseqq.; p. 97seq.

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Alla fine poi Giuliano aggiunge: “Se questo discorso ha avuto qualche effetto, il mio profitto non è stato maggiore del tuo; se invece non riusciamo a conseguire neppure questo effetto… non ci dispiacerà di aver fatto le lodi di quest’uomo” (203 c).

La lode di Diogene è presentata come la motivazione profonda, anzi come la giustificazione dell’opera, nel momento in cui l’autore paventa di non essere riuscito a raggiungere, nonostante il suo impegno, nessuno degli obiettivi prefissati. Questo motivo richiama la conclusione dell’Inno ad Helios Re, dove il riconoscimento del debito nei confronti di Giamblico porta Giuliano a negare ogni novità, ogni valore alla sua composizione e ad interrogarsi sul suo scopo: “E finché il dio ci fa questa grazia, onoriamo tutti insieme l’uomo che a questo dio fu caro, Giamblico, cui dobbiamo, fra le molte altre cose, anche le poche considerazioni che abbiamo esposto come ci venivano in mente. D’altra parte, io sono convinto che nessuno riuscirebbe a dire qualcosa di più perfetto, neppure se con grande pena cercasse di portare nuovi argomenti al discorso… Perciò forse la mia sarebbe stata un’impresa vana se avessi voluto redigere questo discorso allo scopo di istruire, o scrivere alcunché, dopo quanto aveva scritto lui sullo stesso tema, ma poiché volevo comporre un inno di ringraziamento al dio, mi è parso che questa fosse l’unica cosa importante, di parlare cioè dell’essenza di Helios così come ce lo permettono le nostre forze. Penso dunque di non aver scritto questo discorso invano” (156 d-158 a).27

In quest’ultimo passo la lode è assimilata alla preghiera e per questo è presentata come “l’unica cosa importante” che copre il rischio paventato dall’autore di aver composto l’Inno “invano”. Ovviamente in Contro i Cinici ignoranti il motivo della lode assolve a tutt’altra funzione. Innanzitutto va osservato che non compare solo nella conclusione, giacché, presentando il suo programma, l’imperatore dichiara subito il suo intento di celebrare Diogene, procedendo “ordinatamente, partendo dalle sue azioni” (187 b), e più avanti ribadisce il suo impegno di lodare “gli dei e chi si è avviato verso una sorte divina” (187 c-d)

27 Traduzione di Arnaldo Marcone, in: Giuliano Imperatore. Alla Madre degli Dei e altri discorsi, introduzione a cura di Jacques Fontaine, testo critico a cura di Carlo Prato, traduzione e commento di Arnaldo Marcone, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1987.

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Questo tema, di fatto, è presente in entrambi i discorsi: già nel Contro Eraclio infatti Giuliano propone la presentazione, o, per meglio dire, la celebrazione della figura di Diogene: “Dunque come Diogene si comportava nei confronti degli dei e degli uomini, sia reso noto non attraverso i discorsi di Enomao, né attraverso le tragedie di Filisco – ascrivendole all’autorità di Diogene, talora costui diffamò la sua sacra persona – ma il suo comportamento emerga dalle azioni che compì” (212 a).

L’impegno a presentare le azioni del maestro del Cinismo è contrapposto all’aderenza passiva del Cinico alla rappresentazione fornita da Enomao28 o da Filisco, ma risponde anche ad una delle regole di composizione del discorso di lode, che Giuliano dimostra di conoscere molto bene nei suoi Panegirici.29 Alla necessità di usare correttamente gli elementi che vengono a comporre quest’ultimo genere di discorso Giuliano sembra alludere verso la fine del Contro Eraclio, quando rimprovera al Cinico non solo di avanzare critiche contro tutti senza averne alcun diritto, ma anche di non essere all’altezza di esprimere correttamente elogi: “Critichi tutti, pur non avendo realizzato tu, in prima persona, qualcosa che sia degno di lode, esprimi elogi grossolani, come non farebbe neppure uno dei retori più rozzi, dai quali, proprio a causa della mancanza di argomenti e per la difficoltà di ricavare dalle cose che hanno sottomano materia di racconto, sono introdotte Delo e Leto con i figli, poi i cigni…” (236 a).

Anche la lode, quindi, viene a comporre la trama, estremamente composita e varia, di questi discorsi contro i Cinici, in cui Giuliano sembra cogliere l’occasione di una polemica, non solo per condannare la prassi degli indegni discepoli di Diogene suoi contemporanei, ma soprattutto per enunciare i suoi ammaestramenti sul Cinismo, un Cinismo 28 Cfr 209 a-b: “Ed ora, in nome delle Muse, dimmi solo questo riguardo al Cinismo: è forse un’aberrazione e un sistema di vita inadatto all’uomo, addirittura una disposizione ferina dell’anima, che nulla reputa bello, dignitoso, virtuoso? Giacché questo a molti farebbe sospettare riguardo a se stesso Enomao… te ne accorgeresti certamente leggendo Gli Oracoli diretti del Cane e Contro gli Oracoli, e insomma tutto ciò che egli ha scritto”. Per la lettura di questa polemica contro Enomao come “réfutation d’un ouvrage sur le cynisme que l’école fréquentée par Julien jugeait hérétique”, cfr BOUFFARTIGUE, Le cynisme dans le cursus philosophique au IVe siècle, p. 343. 29 Cfr BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, pp. 538-539; DINA MICALELLA, Genere letterario e pubblico nei Panegirici di Giuliano, in Approches de la Troisième Sophistique. Hommages à Jacques Schamp, éd. par Eugenio Amato avec la collaboration de Alexandre Roduit et Martin Steinruck, Bruxelles, Èditions Latomus, 2006, pp. 495-509.

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idealizzato,30 utilizzando liberamente e con una certa creatività moduli, spunti e tematiche propri di differenti generi letterari.31 Dina Micalella Università degli Studi di Torino

ABSTRACT Why did Julian write two debate speeches against the Cynics in a very short period of time? Starting from the analysis of the remarkable ancient literature production targeting the Cynics, the author demonstrates that in these two speeches two different kinds of projects appear, political-satirical and mainly didactic-philosophical respectively, aiming to mould new Cynics. The difference of the direct addressees is the key to understand the project of the second speech, which presents a topic apparently identical to the first one. RÉSUMÉ Pourquoi Julien a-t-il composé deux polémiques contre les Cyniques à si peu d’intervalle de temps ? Tout en soulignant les rapports avec l’ample production littéraire précédente dans laquelle les Cyniques sont pris pour cible, l’auteur démontre que, dans ces discours, émerge la juxtaposition de deux projets : l’un polémico-satirique, l’autre effectivement didacticophilosophique, qui vise à la formation des nouveaux Cyniques. Le choix des destinataires immédiats est identifié comme la clé explicative du projet de composition du deuxième discours, dans lequel est repris un thème apparemment identique à celui du premier discours.

30 Cfr MARGARETHE BILLERBECK, Le Cynisme idéalisé d’Épictète a Julien, in Le cynisme ancien et ses prolongements, pp. 319-338. 31 Sul rapporto di Giuliano con i generi letterari cfr BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, p. 55seqq. e MICALELLA, Genere letterario e pubblico, p. 495seqq.

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In the second section of book 3 (3, 19, 1-4) and in the first part of book 4 (4, 2, 5 and 4, 4, 1) of Apokritikos1 the anonymous Antagonist, embodying the heathen intellectual with his shrewdness, rhetoric skill and high opinion of himself, turns his malevolent attention to the two apostles, Peter and Paul, accusing them of every type of infamy. Concentrating on Peter, he demonstrates that the importance attributed to him in the Church was completely disproportionate to his personality and unstable character and he underlines Jesus’ contradictory behaviour towards him (3, 19, 2, 3) when driving him away: “Get thee behind me, Satan. Thou art an offence unto me for thou savourest not the things that be of God, but those that be of men.” (Mt 16, 23). Yet, just before this while the Antagonist says ȧŴȦźŤŷʁźƂÎʁ and places him as head of the church, he seems to ignore the fact that the two propositions are part of the same context and refer to two connecting episodes: “thou art Peter, and upon this rock I will build my church…. and I will give unto thee the keys of the kingdom of heaven” (Mt 16, 18-19) thereby ironically showing the state of euphoria or sobriety of Christ himself, who wavers so far in his judgement and unfortunate choice (3, 19, 4) to place someone who had demonstrated such weakness of soul in denying his name three times (Mt 26, 69-75) as the founder of his Church; someone who had always shown himself to be intractable before his commands, in particular (3, 20, 1.2) the obligation to forgive “seventy times seven” (Mt 18, 22). Furthermore, at the moment Jesus was arrested, he had reacted with unusual violence, cutting off the ear of the high priest’s servant who was guilty only of following the orders he had received. From this point, there begins an authentic and honest scolding (3, 21, 1 – 22, 5) accusing Peter of the worst type of infamy: the deaths of Ananias and Sapphira (Acts 5, 1-11)2 and the death sentence imposed by Herod on the prison keepers for his evasion (Acts 12, 19). He evokes the 1 For the text I have used the critical edition MACARIOS DE MAGNÉSIE, Le Monogénès, ed. Richard Goulet, 2 voll., Paris, Vrin, 2003 (Textes et traditions), quoting from the original title: Apokr. 2 The exegesis of this episode also created difficulty to Jerome, who once defended Peter from the charge of having desired the death of the couple: «Apostolus Petrus nequaquam imprecatur Ananiae et Sapphirae mortem – ut stultus philosophus (var.

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inconsistency and fallaciousness of Peter’s preaching, brought to its dramatic end by the crucifixion, despite the fact that Christ had guaranteed that the gates of Hades would not have prevailed (Mt 16, 18)3, the controversy with Paul in Antioch, to which we shall return, his married state, remembered by Paul in 1 Cor 9, 5 and repeatedly held against him by the Antagonist : “ Have we not power to lead about a sister, a wife, as well as other apostles, and as the brethren of the Lord and Cephas?”. Alongside this verse, the Antagonist carpingly adds, (II Cor 11, 13): “For such are false apostles, deceitful workers” indisputably labelled, in his opinion, with the words of the other apostle, Peter’s deceitful pretext to be the prophet of the divine word: “At any rate, if it is told that Peter was inveigled into such evils, so it is astonishing how Jesus gave the keys of heaven to Peter, if he were a man such as this; and how to one who was disturbed with such agitation and overcome by such experiences?”.4 In the third section of the contest (Apokritikos 3, 30, 1 ff) the Antagonist shows the same repugnance towards Paul, heaping even more inconsistent accusations and insults with uncompromising animosity, filled with disdain for a barbarian religion which, in his opinion, was filled with inconsistencies. In a crescendo of verbal violence, the antagonist lashes out at Paul with offensive epithets žŬƃŹźŮŸűŨɄźŶɥžŬƃūŶŻŸŹƃŴźŷŶżŶŸ,5 űŨűŶɥŷŪŶŸűŨɄɡÎŶŻŲŶŸ,6 żŤŴŨŵ,7 űŶųžƂŸ8 and vents his wrath in an outpouring of abuse, to describe preaching of the apostle who “with flattering words (ůſÎŬŦŨŰŸ) steals the opinion of everybody”9 almost seeming to regard with a mixture of surprise and repulsion “the verbal

Porphyrius) calumniatur» (epist. 130,14), but elsewhere affirmed the opposite: «Petri severitatem Ananiam et Sapphiram trucidantis» (epist. 109,3). 3 Regarding this presumed failure and the contrast between God’s asserted goodness and the persecutions he allowed of his servants, Celsus had already argued: ŗɠŽɕŷȢʰŸŶɦŴ ɶũŤŲźŰŹźŬ ɗźŰűŨɄźɔŴŹɔŴūŨɆųŶŴŨűŨźŨŹźţŸźŰŸŶɠũŲŨŹżŮųŬɋ ųƂŴŶŴ ȎŲŲȌ űŨɄ ÎţŹŮŸ ŪɁŸ űŨɄ ůŨŲţŹŹŮŸ ȧűűŮŷƃźźŬŰ űŨɄ Źȥ źɔŴ űŨůſŹŰſųŤŴŶŴ ɱŹÎŬŷȑŪŨŲųŨŨɠźɵʰūťŹŨŸȎÎţŪŬŰűŨɄȎŴŨŹűŶŲŶÎŦŭŬŰŁűŨɄɕūŨŦųſŴȲ ɯŸŹɞżťʰŸ  ɕźŶɥůŬŶɥÎŨɋŸŶɠūȥŴŨɠźɔŴȎųƃŴŬźŨŰŗɠųȥŴūȭźŶɥźŶżťŹŬŰŸ ɯŸȒŴÎŬŰŹůŤŴźŬŸ ŹŶŰǫſųŨɋŶŰűŨɄźɵŴŴŬŴŶųŰŹųŤŴſŴŨɠźŶɋŸÎŷɔŸůŬŶƃŸźŬűŨɄȎŴůŷƄÎŶŻŸȎųŬŲťŹŨŴźŬŸ źɔŴ ŹɔŴ ǮžŰŹźŶŴ  ȳ ɗŴźŰŴŨ ũŶƃŲŬŰ  ÎŷŶŹűŨŲŤŹſŴźŨŰ  űŨźŨũȌŸ ɟÎŬŷųŨŽŬɋźŨŰ ŨɠźɵŴ  űŨɄ ŶɠūŬųŰȢŸ ȑŲŲŮŸ ȎŲűɁŸ ūŬťŹŬŰ ŒŨɄ ŪȌŷ ÎŷƂźŬŷŶŴ ɕ ŨɠźɔŸ ůŬɔŸ źŶɋŸ ÎŷŶŹŤŽŶŻŹŰŴŨɠźɵʰźŨɥźŨźŬűŨɄÎŶŲɞųŬŦŭſźŶƃźſŴ ɯŸɟųŬɋŸżŨźŬ ɟÎŰŹŽŴŶƃųŬŴŶŸ ɕŷȢźŬɗŹŨɰżŤŲŮŹŬŴȧűŬŦŴŶŻŸźŬűŨɄɟųȢŸŁɷŴźŶɋŸųȥŴȎŴźɄźŶɥŪɁŸȍÎţŹŮŸŬɌŴŨŰ ūŬŹÎƂźŨŰŸŶɠūľɕÎŶŦŨźŰŸũɵŲŶŸŶɠūľȦŹźŦŨŲŬŦÎŬźŨŰ ɟųɵŴūȥűȒŴÎŲŨŴȢźŨŦźŰŸȪźŰ ŲŨŴůţŴſŴ ȎŲŲȌŭŮźŬɋźŨŰÎŷɔŸůŨŴţźŶŻūŦűŮŴ. (ORIGENES, Contra Celsum 8, 39. 69). 4 Apokr. 3, 22, 5. 5 Apokr. 31, 5. 6 Apokr. 31, 5. Cf. a similar formula in ORIG., Selecta in Ezechielem PG 13, 804: űŨɄŶɠųƂŴŶŴŬɆŸźɔŴűŨűɔŴűŨɄÎŨŴŶɥŷŪŶŴűŨɄɡÎŶŻŲŶŴȑŴůŷſÎŶŴŲŨųũţŴŬźŨŰ 7 Apokr. 32, 3. 8 Apokr. 4, 4, 1. 9 Apokr. 3, 31, 4: ůſÎŬŦŨŰŸȦűţŹźŶŻűŲŤÎźſŴźȭŴÎŷŶŨŦŷŬŹŰŴ.

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gigantomachy (Paul) has assembled against himself ”10 and qualifies the Christian doctrine “senseless and mistaken sophism”11 “an enormous and far-reaching lie”12 “this boast is a mighty piece of quackery”13 “the plain lie of Paul”14 who as a true charlatan (ųŬźȌźŶŹŨƃźŮŴźŬŷůŷŬŦŨŸȎūŶŲŬŹŽŦŨŴ)15 provides the most disparate indications even on the value of virginity and the lawfulness of food.16 This is questioned, even denied, by Paul himself with his attitude of indifference: “Now concerning virgins, I have no commandment of the Lord” (I Cor 7, 25). If this does not demonstrate his opposition, it is perfectly apparent in the statement “In the latter times some shall depart implicit from the faith, giving heed to seducing spirits … forbidding to marry and commanding to abstain from meats” (I Tim 4, 1-3). Turning to book 4, starting from Paul’s eschatology, the Antagonist launches a direct attack against the announcement of the end of time and the implicit notion of God in this,17 and taxes Paul with being unreliable, accusing him of making up the resurrection of the body, which disrupts the order of the elements18 and, finally, blames him together with Peter for the failure of the mission with which they had been entrusted, concluding concisely: “Thus it is something which is not worthy of God’s will - nor of a pious man, - that a multitude of men are punished in an inhumane manner for compliance and faith in him, when the resurrection and His coming are mysterious.”19 So as far as the Antagonist is concerned, Paul is a rather untrustworthy person like Peter, someone who deceives his followers, a rather shady character acting only for his own personal profit. Yet in the middle of his accusing speech against Peter, he had in a rather incoherent manner invoked Paul’s testimony in order to denigrate the head of the apostles, referring to the incident in Antioch20 where the two apostles had been protagonists: Paul had also condemned Peter saying: “For before certain people came from James, he did eat with the Gentiles, but when they were come, he withdrew and separated himself, fearing them which were of the circumcision. And the other Jews dissembled likewise with him” (Gal

10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Apokr. 36, 3: űŨůľȦŨŻźŶɥźŶŰŨƃźŮŴŪŰŪŨŴźŶųŨŽŦŨŴŲƂŪſŴűŨůŶÎŲŦŹŨŴźŨ. Apokr. 4, 2, 1: ȧųũŷƂŴźŮźŶŴűŨɄÎŬÎŲŨŴŮųŤŴŶŴŹƂżŰŹųŨ. Apokr. 4, 2, 2: źŶɥůľɟÎŤŷŶŪűŶŴźɔžŬɥŹųŨűŨɄȎŴƄźŬŷŶŴ. Apokr. 4, 2, 2: źɁŸȎŲŨŭŶŴŬŦŨŸɕűƂųÎŶŸ. Apokr. 4, 2, 5: ȎŷŦūŮŲŶŴūȥźɔžŬɥūŶŸźŶɥŘŨƃŲŶŻ. Apokr. 3, 35, 2. Apokr. 36, 1. Apokr. 4 , 1, 2-5. Apokr. 2, 2-5. Apokr. 4, 1. Gal 2, 11-16.

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2, 12-13). It is a serious and strong charge, that a man who has become minister of the divine word lives in hypocrisy and worries about being liked by other men.21

Here, there is no sign nor even the slightest allusion to Paul’s unreliability: the Antagonist uses the episode with the sole purpose of condemning Peter. In a sudden change of position, Paul becomes the protagonist, someone who can vouch for the truth, who is almost worthy of eulogy in an episode which anti-Christian polemists had always used, provoking a series of interpretations in Christian writers which could in some way explain the behaviour of both the apostles, without supporting the charges and the ironies that the heathens had effusively lavished on the clash between Peter and Paul, sighting an opportunity here to ridicule the apostles’ declared state of harmony as bearers of the divine message of peace. Not understanding that the Judeo-Christians had not abandoned the law of the land and ignoring that Peter had observed Judean prescriptions for many years, Celsus puts words into the mouth of the Jew, whom he introduces to give the greatest intensity possible to the charges against the Christians, whose point of view he assumes, in the attack against the Judeo-Christians: “What has happened to you, oh fellow citizens, that you have abandoned the native law and tempted by that man, with which we discussed a short while ago, you are deceived in a truly laughable manner and you have deserted us for another name or another life?”,22 while Julian mocks Peter and “says that he was a hypocrite and that he was reprimanded by Paul for the fact that one moment he concerned himself with living by the customs of the Greeks and the next by that of the Jews”.23 These are concordant testimonies that confirm the idea of the existence of a common polemic subject matter used in different ways by different authors, each according to his own character and the particular thesis he was sustaining. It is here that we learn from Eusebius of Caesarea that Clement of Alexandria had contrived the unlikely answer, uncorroborated by other testimonies, that Cephas reproached by Paul was not the head of the apostles but only a disciple by the same name.24 Moreover, Origen and 21

Apokr. 3, 22, 4. OR., Cels. 2, 1: śŦÎŨůƂŴźŬŸ ɶÎŶŲɋźŨŰ űŨźŬŲŦÎŬźŬźɔŴÎţźŷŰŶŴŴƂųŶŴűŨɄ ɟÎľȧűŬŦŴŶŻ ÎŷɔŸɘŴȑŷźŰūŰŬŰŲŤŪųŬůŨ žŻŽŨŪſŪŮůŤŴźŬŸÎţŴŻŪŬŲŶŦſŸȧŵŮÎŨźťůŮźŬ űŨɄȎżľȮųɵŴȎÎŮŻźŶųŶŲťŹŨźŬŬɆŸȑŲŲŶəŴŶųŨűŨɄŬɆŸȑŲŲŶŴũŦŶŴ 23 IULIANUS IMPERATOR, Contra Galileos, ed. Emanuela Masaracchia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1990 (Testi e commenti 9), fr. 78. 24 EUSEBIUS CAESARENSIS, Historia ecclesiastica 1, 12, 2: Ȯ ūľ ɅŹźŶŷŦŨ ÎŨŷȌ ŒŲťųŬŴźŰűŨźȌźȭŴÎŤųÎźŮŴźɵŴǬÎŶźŻÎƄŹŬſŴŁȧŴȽűŨɄŒŮżȢŴ ÎŬŷɄŶɧżŮŹŰŴɕ 22

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according to Jerome, who commented the episode and approved the interpretation, also Didymus, Apollinaris of Laodicea, a certain heretic called Alexander, Eusebius of Emesa and Theodore of Heraclea from whom he “pauca decerpsit”,25 taught that an honesta dispensatio – ŶɆűŶŴŶųŦŨis to be found in the episode, a diplomatic pretence to teach the Judeo-Christians through Peter’s silence and acquiescent conduct when faced with the charges. They would not have trusted the words of Paul, considered to oppose the law, that it was necessary to abandon Jewish customs. John Chrysostom also spoke, as we shall see, of a plan aimed at this, of an ŶɆűŶŴŶųŦŨ, in his commentary to the letter to the Galatians and in an oration dedicated to this episode.26 In the reply to the heathen’s argument, a path which is only similar in appearance is taken by Macarius, who justifies Peter’s behaviour with the desire to save both Judeo-Christians and ethnic Christians, “to lead all the population to the gift of the Gospel”,27 an attitude which he typically defines ŶɆűŶŴŶųŰűƄźŬŷŶŴ, with this comparative explicitly setting in context the thesis he defended to clarify the extent and limits of the episode. In his critical edition of the text, Goulet translated ŶɆűŶŴŶųŰűƄźŬŷŶŴ “comme plus avantageux”28 which does not clearly convey the ideal context in which the Magnesian writes. This is unequivocally revealed all through the text, which illustrates the historic-religious meaning of the noun ŶɆűŶŴŶųŦŨ, widely documented in Paul’s letter since the beginning, as plan of salvation, state of salvation, redeeming salvation, which qualified the Redeemer’s action on earth. In fact, the apostle synthetically defines ŶɆűŶŴŶųŦŨ the divine plan of salvation which God proposed to bring to fruition in the fullness of time29 and the mystery that had been hidden in

ŘŨɥŲŶŸŁľɗźŬūȭȴŲůŬŴŒŮżȢŸŬɆŸƧŴźŰƂŽŬŰŨŴ űŨźȌÎŷƂŹſÎŶŴŨɠźɵʰȎŴźŤŹźŮŴľ ȨŴŨ żŮŹɄŪŬŪŶŴŤŴŨŰźɵŴȦũūŶųťűŶŴźŨųŨůŮźɵŴ ɕųƄŴŻųŶŴŘŤźŷʁźŻŪŽţŴŶŴźŨźɵʰ ȎÎŶŹźƂŲʁ 25 HIERONYMUS, Commentarii in epistulam ad Galatas. Prologus: «Origenis commentarius secutus sum… Praetermitto Didymum videntem meum, et Laodicenum,… et Alexandrum veterem haereticum, Eusebium quoque Emisenum et Theodorum Heracleoten… E quibus si vel pauca decerperem, fieret aliquid quod non penitus contemneretur». No trace remains of the commentary on the letters to the Galatians by the five authors. Two passages of De Trinitate (2, 6, 13; 3, 19) by Didymus the Blind remain from which it is evident that the author did not accept the argument of diplomatic simulation and in fact in the first he laid out his argument which more or less anticipated Augustine’s position: ɯŸȎŲŮůɵŸŪȌŷųƂŴŮŸůŬƀűɁŸżƃŹŬſŸźɔȎŬɄȎžŬŻūŬɋŴ. 26 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Homilia in illud: In faciem ei restiti, ed. Antonio Cataldo, Galatina (LE), Congedo, 2007 (Studi e testi 16). The text of Commentarius in epistulam ad Galatas 2, 4-6, on the Antiochan incident, is in the appendix, pp. 122-129. 27 Apokr. 3, 29, 7. 28 GOULET, Monogénès, t. II, p. 187. 29 Eph 1, 10: ŬɆŸŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŶɥÎŲŮŷƄųŨźŶŸźɵŴűŨŰŷɵŴ

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God who created the universe at the beginning30 and in I Tim 1, 4 he opposed the heretic masters who told fables which lead to dreams rather than “godly edifying which is the divine design manifested in faith (ŶɆűŶŴŶųŦŨŴŐŬŶɥźȭŴȧŴÎŦŹźŬŰ)”: Ignatius of Antioch had already freely made use of ŶɆűŶŴŶųŦŨ when speaking of this plan of salvation in a Christological context: “Our Lord Jesus Christ was born of Mary from the seed of David, following the plan of divine salvation … I will show you from which plan of salvation I began the path towards the new man Jesus Christ”.31 Such a broadening of what might be called semantic expansion had been initiated by Origen, who had taken up and explained the Christological content in the Contra Celsum: such provisions (źȭŴźŶŰţŴūŬŶɆűŶŴŶųŦŨŴ) of God are not made for those who are sick or mad, as they are already dear to God, but for those who, due to a sickness of the soul and a degeneration of natural thought, are still enemies until they become God’s friends.32

The only time that ŶɆűŶŴŶųŰűɁŸŹſźŮŷŦŨŸ33 occurs besides this in Apokritikos, the adjective has such a meaning, but the clearer evidence for Macarius that ŶɆűŶŴŶųŦŨ is the metre on which the truth of faith is measured is when he himself uses the word in all the passages exclusively in the meaning that it had assumed in his Christian literature.34 Notwithstanding the variety of periphrases used in Macarius and generally in the Christian Fathers, the term never gives the idea of richness of superior sense; it only recalls the plan which was conceived by God to save man by sending His only son, a notion which only comprises the incarnation and the Redemption.35 There are numerous examples: apart from one passage where ŶɆűŶŴŶųŦŨ defines the provision of the divine aim which in the Old Testament

30 Eph 3, 9: źŦŸȮŶɆűŶŴŶųŦŨźŶɥųŻŹźŮŷŦŶŻźŶɥȎÎŶűŬűŷŻųųŤŴŶŻȎÎɔźɵŴ ŨɆƄŴſŴȧŴźʃůŬʃźʃźȌÎţŴźŨűźŦŹŨŴźŰ. 31 IGNATIUS ANTIOCHENUS, Epistula ad Ephesios 18, 2 e 20, 1: ǤŪȌŷůŬɔŸȮųɵŴ ǗŮŹŶɥŸɕŞŷŰŹźɔŸȧűŻŶżŶŷťůŮɟÎɔŔŨŷŦŨŸűŨźľŶɆűŶŴŶųŦŨŴůŬŶɥľȧűŹÎŤŷųŨźŶŸľųȥŴ ľŌŨŻŦūľ  ÎŷŶŹūŮŲƄŹſ ɟųɋŴ  ȵŸ ȯŷŵţųŮŴ ŶɆűŶŴŶųŦŨŸ ŬɆŸ źɔŴ űŨŰŴɔŴ ȑŴůŷſÎŶŴ ǗŮŹŶɥŴŞŷŰŹźƂŴ. 32 OR.,Cels. 4, 19: ŶɠŽɟÎȥŷźɵŴȲūŮżŦŲſŴŴŶŹŶƃŴźſŴȳųŬųŮŴƂźſŴźȭŴ źŶŰȎŴūŬŶɆűŶŴŶųŦŨŴŪŦŴŬŹůŨŰȎŲŲľɟÎȥŷźɵŴūŰȌŴƂŹŶŴźɁŸžŻŽɁŸűŨɄȪűŹźŨŹŰŴźŶɥ űŨźȌżƃŹŰŴŲŶŪŰŹųŶɥȪźŰȧŽůŷɵŴ ɇŴŨŪŤŴſŴźŨŰżŦŲŶŰźʃůŬʃ 33 Apokr. 3, 27, 10. 34 On the use of the Christian meaning of ŶɆűŶŴŶųŦŨ see JOSEPH MOINGT, Thèologie trinitaire de Tertullien, 4 vol., Paris, Desclée De Brouwer, 1966-1969 (Théologie 68-70, 75), I (1966), pp. 44-46, where a large number of testimonies by the Church Fathers are listed. 35 ROBERT WAELKENS, L’économie, thème apologétique et principe herméneutique dans l’Apocriticos de Macarios Magnès, Louvain, Bibliothèque de l’Université, Bureau du Recueil: Publications Universitaires, 1974 (Recueil de travaux d’histoire et de philologie, VI serie, fasc. 4), p. 183.

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is shown in the anthropomorphism of the apparitions,36 Macarius speaks to us exclusively of the universal reason governing the divine “plan of salvation”.37 But above all, celebrating the “invisible and difficult to understand plan of salvation of the Incarnation”,38 his greatness,39 Macarius makes the word virtually synonymous with the incarnation which “does not solely denote the initial act of the entrance of the Logos into the flesh, rather the entirety of his incarnate condition and the consequences”40 when he mentions the “mystery of the plan of salvation”41 and he exalts the great works that have been brought to fulfilment by Christ “thanks to his nature and immutable principle”.42 Christ has restrained himself willingly and contingently only in order to fulfil that ŶɆűŶŴŶųŦŨ of the passion43 and death44 on the cross, a true sign of the “extraordinary success of the plan of salvation”.45 Of great importance are two other passages which provide further confirmation of this view: in the first Macarius, stressing the necessity to search for the spiritual sense presumed in the literary, links the Christian meaning of ŶɆűŶŴŶųŦŨtoŲŻŹŰźŤŲŬŰŨ and urges to “search for the hidden plan of salvation, tracing the hidden purpose” (3, 9, 2), a hermeneutical criterion where we cannot fail to see the affinity with the concept of ɰżŤŲŬŰŨ, if not lexical certainly substantial. This concept had been one of the main points of Origen’s expositions which he had imposed in the interpretation of certain historical facts of the Old Testament, whose literary sense was of no use to the Christian reader and rather presented logical and factual impossibilities, while in the Scriptures, as is noted, “every word has a precise reason for being, it must be spiritually of use to the interpreter (Hom. Ex. 2, 1; Princ. 4, 1, 7; 4, 2, 6. 9)”46 and its influence can be

Apokr. 4, 27, 6. Apokr. 3, 29, 4: ɕűŨůŶŲŰűɔŸźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸŲƂŪŶŸ. Cf. also 3, 9, 18: źɁŸűŶŰŴɁŸ ŶɆűŶŴŶųŦŨŸ. 38 Apokr. 4, 12, 8. Cf. 3, 9, 12: źɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸźɔȎÎƂŷŷŮźŶŴ. 39 Apokr. 3, 27, 9: źɔźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸųŤŪŬůŶŸ. 40 WAELKENS, L’èconomie, p. 113, nt. 53. 41 Apokr. 2, 22, 3; 3, 8, 11 e 29, 2: źɔźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸųŻŹźťŷŰŶŴ. Cf. also 3, 23, 15: źȭŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŶɥųŻŹźŮŷŦŶŻ. 42 Apokr. 4, 18, 8: ÎȢŹŨŴ ŶɆűŶŴŶųŦŨŴ ȎųŬźŨũŲťźʁ żƃŹŬŰ űŨɄ ŲƂŪʁ ÎŷŨŪųŨźŬƃŹŨŹůŨŰ. 43 Apokr. 3, 27, 5 e 10: źȭŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŶɥÎţůŶŻŸ. 44 Apokr. 3, 8, 4; 3, 14, 2: źȭŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŶɥůŨŴţźŶŻ. Cf. also 14,20: źɁŸ ŶɆűŶŴŶųŦŨŸɕųŻŹźŰűɔŸůţŴŨźŶŸ. 45 Apokr. 3, 14, 12: źɔ ŹŻųÎŤŷŨŹųŨ źɁŸ ÎţŹŮŸ ŶɆűŶŴŶųŦŨŸ Cf. also 9, 3: ŶɆűŶŴŶųŦŨŸűŨźƂŷůſųŨ 4, 27, 14: źȌźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸcűŨźŶŷůƄųŨźŨ. 46 MANLIO SIMONETTI, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi, Roma, Institutum Patristicum «Augustinianum», 1985 (Studia Ephemeridis «Augustinianum» 23), p. 79. 36 37

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clearly seen in later authors, from Gregory of Nyssa47 to John Chrysostom.48 In the second passage, defending the human body as worthy of the incarnation of the Word, Macarius affirms in parenthesis that this is true ŶɆűŶŴŶųŦŨŸŽţŷŰŴűŨɄŲƂŪŶŻŲŻŹŰźŬŲŶɥŸ,49 putting forward the same concepts again – adherence to the plan of divine salvation and use for men –, which also finds expression in Peter’s behaviour: firstly, he declares that the apostle ŶɆűŶŴŶųŰűƄźŬŷŶŴźɵŴųſŹŨƀűɵŴŴƂųſŴȧźŦųŨźŤſŸ źɔÎŷƂŹźŨŪųŨ50 and three paragraphs later, adds ŲŻŹŰźŬŲȥŸȪűŷŰŴŬźɔ ŪŷţųųŨŔſŹŤſŸȎÎŶūŤŵŨŹůŨŰ51 Plan of salvation and usefulness of choices are fully illustrated by Macarius in his reply to the Antagonist: Peter has acted after due consideration contested by the heathen polemicists for being accepted by the Jews, who saw him as being observant of the Law and because of this, as being able to lead them to the true faith, Christian faith, at the opportune moment, because “if he had honoured the one and despised the other and had renounced the Law while venerating the Gospel, they would have understandably detested him as an enemy of the Mosaic law”.52 Peter had honoured the Mosaic obligations, after having practiced a life free from the Jewish laws in the Judeo-Christians’ absence, by conforming to the Judaic rules of alimentation, temporarily deciding not to share the table with the ethnic Christians in order not to scandalize the Judeo-Christians, who would have charged him with apostasy of the Christian Fathers’ religion, proposing to adhere exclusively to the Gospel only after having also gradually convinced the Judeo-Christians to do the same only as a means to smooth the way of the true faith of the Jews. Macarius concludes: “it has proved useful to both factions, living together has made some friends protected by Christ while it has had others participants of the evangelical grace respect the Law.”53 There is one element which immediately leaps out at whoever is examining this passage and linking it to the Antagonist’s argument: Macarius faces the question in a completely dogmatic manner, even abstract, and completely ignores the circumstance which originated his clarification, and was recalled by the heathen – Paul’s charge of ɟÎƂűŷŰŹŰŸ against Peter and Barnabas. Thus, ignoring the episode narrated in the letter to the Galatians, no mention is made of Paul in the reply and he 47

GREGORIUS NYSSENUS, Homilia 7 in Canticum; In Psalmorum inscriptiones 2,

48

JOANNES CHRYSOSTOMUS, In Iob 40, 5. Apokr. 4, 27, 16. Apokr. 3, 29, 7. Apokr. 10. Apokr. 8. Apokr. 12.

2, 72. 49 50 51 52 53

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limits himself to eulogising Peter’s behaviour. So, more than playing it down, Macarius tends to obliterate the reality of the contrast between Peter and Paul. Was he embarrassed to explain an altercation between the two apostles? Was it a frank attempt not to focus again on a controversy which originated with the heathen writers’ insinuations which had already been widely contested by others? It is an open question. Certainly, in the absence of indications to the contrary from another source, which would have completed his objections if he could have drawn them from different polemicists,54 the hypothetical identification with plausible arguments put forward by Goulet55 of the Antagonist with Porphyry or, subordinately, with an anonymous author who used Porphyry56 can be considered to have validity; but it is impossible to recognise the virulent attack on both the apostles about which Jerome speaks in the words used to recall the episode. The author had not read Porphyry’s Contra Christianos57and probably based what he said on the lost confutations of Methodius of Olympus, of Eusebius of Caesarea and of Apollinaris58, particularly on the latter, regarding whom he stated that he had also read the commentary to the letter to the Galatians before starting to draft his own commentary.59 However, concerning the exacerbating acrimony with which the heathen polemicist would have treated the argument, he had very precise ideas and expressed them resolutely in the prologue of the commentary to the letter to the Galatians written between 386 and 389: “sceleratus ille Porphyrius, in primo operis sui adversum nos libro, Petrum a Paulo obiecit esse reprehensum, quod non recto pede incederet ad evangelizandum”. Up to this point the text faithfully reproduces the scene of Gal 2, 11-14 and corresponds to Apokritikos 3, 22, 4 but differs dramatically in the statement which follows. In the text of Apokritikos there is no trace of the antiPaoline controversy and the Antagonist simply recalls the episode of Antioch precisely and without any commentary, using it for the sole purpose of denigrating Peter, while Jerome’s testimony attempts to indicate the reasons which caused the heathen polemicist to recall the episode: “volens et illi maculam erroris inurere, et huic procacitatis, et in comune ficti dog-

GOULET, Monogénès, t. I, p. 135. GOULET, Monogénès, t. I, p. 139 ff. 56 TIMOTHY DAVID BARNES, Porphyry against the Christians: Date and the attribution of fragments, in «The Journal of Theological Studies» n.s. XXIV (1973), pp. 424-442, in particular p. 429. 57 GOULET, Monogénès, t. I, p. 140. 58 GOULET, Monogénès, t. I, p. 129 ff. 59 Cf. nt. 25. 54 55

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matis accusare mendacium, dum inter se Ecclesiarum principes discrepent”.60 Several years later, in 404, in the letter written to Augustine during the dispute over what interpretation to give to the Pauline passage, Jerome continues in the defence of his own exegesis: Origen… and after him all the other interpreters have put forward this explanation to respond to the blasphemy of Porphyry, who accused Paul of impudence (Pauli arguit procacitatem), for having dared to reprimand Peter, the head of the apostles… I, or rather, others before me, have given an explanation of the fact based on their opinions. They have not said, as you write, that it is an official lie (officiosum mendacium), but have taught that is a matter of diplomatic honesty (honestam dispensationem) to show the prudence of the apostles to force back the impudent blasphemy of Porphyry who says that Peter and Paul argued like children (puerili … inter se pugnasse certamine), or rather that Paul was jealous of Peter’s virtues (imo exarsisse Paulum in invidiam virtutum Petri).61

The word “procacitas” is present in both Jerome’s texts and this reiteration and the context in which it appears - “volens ... maculam … inurere … huic (scil. Paulo) procacitatis” in the first case and “Pauli arguit procacitatem” in the second - could give rise to the suspicion that Jerome had a different text before him; consequently it could be hypothesised that the text of the heathen polemicist which he knew and of which we are unaware, expressly contained an accusation of this sort against Paul. Certainly, great caution must be taken with hypotheses: the same is required regarding the mutilated state in which the text of Apokritikos came to us. We can conjecture that it is exactly in the missing parts that the episode of Antioch was analysed in depth by both the contenders, with bloody charges from one and precise replies from the other, pertaining more closely to the historical portrait of Paul in the letter to the Galatians; the anti-Pauline abuse could have been expressed in a part of the heathen source unknown to us, which it should be remembered we know about only in fragments and indirectly, through a polemical reply. Although in the objections quoted in Apokritikos there is no absence of heated criticism and malicious judgement, often with offensive terms, about the ambiguous claim of the apostle regarding the observance of the Law, it would be absolutely impossible to prove these hypotheses or defend the assumptions to subsequently justify this attack on Paul in what remains of Porphyry’s work.

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HIER., In Gal. Prologus. HIER., Epist. 112, 3. 11.

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For the Antagonist, Paul is an illusionist62 because while renouncing the circumcision, he circumcised Timothy63 and although proclaiming himself to be free (I Cor 9, 79), in truth he was slave of manifold baseness and hostile to freedom…Because if he lives together with those who are without the Law and also in his writings accepts Judaism gladly, having a share in each, he is confused with each, associating himself with the wrong doings of disreputable people64.

He was a liar who, declaring himself to be as much a Jew as a Roman “cheats the clear issue”,65 - and incidentally Macarius’ reply on this point is inadequate: forgetting that Paul was in fact a Roman citizen, he ventures into an allegoric exegesis both unjustified and unfounded66- an insatiable person who “solemnly respecting the law, aims only to satisfy his insatiability and to get a sufficient contribution from the disciples”.67 He is even an opportunist who “sharpens his tongue like a sword and cuts the Law to pieces”,68 caught in red-handed contradiction and sarcastically held up as an example: this excellent man, this wise man, this perspicacious man, instructed in the strict observance of the law of his fathers, who had so often cleverly recalled Moses to mind, appears to be soaked with wine and drunkenness, for he makes an assertion which removes the ordinance of the Law69.

These are cutting judgements which would appear perfectly adequate to describe attitudes and ways of behaving connoted by that boldness, that brazenness, that impudence portrayed by Jerome’s procacitas, but always referring to other events of the apostle’s mission. At this point, the hypothesis of excessive zeal remains, a forced interpretation by Jerome, who must have known the charges well which filled the heathen’s text; in the impetus to rebut them, he took this occasion to summarise them and mock his adversary, betrayed by his natural and notoriously argumentative spirit which showed through in the closing phrase of the letter to Augustine: “Peto in fine epistulae, ut quiescentem senem, olimque veteranum, militare non cogas, et rursum de vita

62 63 64

Apokr., 3, 30, 1. 2. Cf. Act 16, 2. 3.

Apokr. 3, 30, 3. 4.

65

Apokr. 31, 2. Apokr. 38, 5. 67 Apokr. 32, 1. Cf. HIER., Tract. in Psalm. LXXXI: hoc totum lucri fecerunt. 68 Apokr. 34, 1: ųţŽŨŰŷŨŴ űŨůţÎŬŷ źȭŴ ŶɆűŬŦŨŴ ȎÎŨűŶŴťŹŨŸ ŪŲɵźźŨŴ ȎżŬŰūɵŸųŬŲŮūɔŴźŬųŨŽŦŭŬŰźɔŴŴƂųŶŴ 69 Apokr. 33, 1. 66

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periclitari”.70 In my opinion, this hypothesis is indirectly confirmed by Augustine’s interpretation of what happened in Antioch, although professing to hold Jerome in the highest esteem for his profound religious culture: “Quite honestly, I neither have nor shall I ever be able to have as much scripturalist science as I see that you possess”,71 he clearly rejects the theory of the “honesta dispensatio”, affirming that Paul’s freedom is commended in the episode but more importantly, Peter’s humility (“laus ... iustae libertatis in Paulo et sanctae humilitatis in Petro”) – a humility which must be vigorously defended “adversus calumniantem Porphyrium” and makes no mention of further charges made against Paul by the heathen polemicist – and reported by Jerome: “puerile certamen, invidia virtutum Petri”. These are charges that it would appear he had not read in Porphyrus’ text, which have the sole aim of detracting from the figure of Peter and which, as Augustine goes on to say “mordacius criminaretur Christianos” if he had been able to tax them with falsehood, which would certainly have happened if he had known enough about Origen’s text of the ŶɆűŶŴŶųŦŨ72 endorsed by Jerome. It would appear that Macarius did not understand this argument perfectly, or rather, that he had only a superficial understanding of it. The semantic value that he attributes to ŶɆűŶŴŶųŦŨ demonstrates that he only had a superficial knowledge of the argument expounded by earlier authors and that he had misunderstood their significance. As can be seen, Macarius gives the general meaning to ŶɆűŶŴŶųŦŨ, divine plan of salvation, because it appears that he did not grasp the meaning given to this word in this particular context, the meaning supported by Origen and interpreted by Jerome as honesta dispensatio, the generic meaning attested to in the classical language,73 of well-regulated behaviour, care in adapting actions and words to a variety of circumstances, every stratagem, forgiving manner, the plan executed by the apostles to spread the message of the gospel, adapting to the customs and traditions of those to whom it was addressed, to lead all to Christ’s faith, a human and apostolic economy.74 A meaning which was perfectly understood and advanced again by John Chrysostom, almost in the same lapse of time, in the latter years of

HIER., Epist. 75, 7, 22. AUGUSTINUS, Epistula. 73, 2, 5. 72 AUG., Epist. 82, 2, 22. 73 Cf. PL., Apol. 36b; Resp. 498a; XEN., Oec. 1, 1; ARIST., Eth. Nic. 1141B32; Pol. 1253b2; HIPPOCRAT., Epist. 6. 2. 24. 74 Cf. OR., Cels.1, 7. 61; ATH., Dion. 6. 24; BAS., Epist. 188: GR. NAZ., Or. 42, 14; THTD., Epist. 122; CYR. AL., Epist. 57; 72; JO. CHRYS., In Io hom. 39, 1; In Act. hom. 1, 1; In Rom. hom. 26, 2; In I Cor. hom. 22, 2; In Eph.hom. 6, 3. 70 71

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the fourth century.75 He made wide use of it, at various times explaining his reasons76 and in the homily dedicated to the pericope as in the commentary to the Pauline letter,77 he absorbs the noun in the doctrine of the ŹŻŪűŨźţũŨŹŰŸ, condescendence, he entrusts the task of clarification of the meaning to attribute to it to the context, evidently aware that he is easily understood by his public. Although not averse to using it in the typically Christian meaning,78 he defines ŶɆűŶŴŶųŦŨ both throughout the episode as: “what happened was not dictated by opposition but by a stratagem”79 “the words were not fruit of a dispute but of a stratagem”80 and the acquiescent behaviour which Paul had had earlier in Jerusalem when, in order to test his good faith, he had accepted to join a group of pilgrims who had made a vow to Nazarite: he had gone to the temple for the purification laid down by Judaic prescriptions and had even made the payment:81 “So, that one, forced to comply, imitating the Jewish religion and customs, but this was not dictated by intention but by indulgence”.82 Moreover, he also defines the noun as Peter’s approval of the stratagem, shown by his silence, devised by Paul to induce the Judeo-Christians to renounce the Old Testament prescriptions: “Peter, listening, was silent so that he would not ruin Paul’s stratagem…This is the profit drawn from the stratagem”.83 Then finally: If Peter, listening to these words, had found anything else to say, he would have immediately been reproached for upsetting the plan, but now, since one cast the blame and the other remained silent, the faithful On the probable dating of Apokritikos in the last half of the fourth century, see GOULET, Monogénès, t. I, p. 61. 75

JO. CHRYS., Sac. 1, 7: ŘŶŲŲȭ ŪȌŷ Ȯ źɁŸ ȎÎţźŮŸ ɆŹŽƃŸ  ųƂŴŶŴ ųȭ ųŬźȌ ūŶŲŬŷȢŸÎŷŶŨŪŤŹůſźɁŸÎŷŶŨŰŷŤŹŬſŸŁųȢŲŲŶŴūȥŶɠūȥȎÎţźŮŴźɔźŶŰŶɥźŶŴūŬɋ űŨŲŬɋŴ ȎŲŲľŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŰŴȌűŨɄŹŶżŦŨŴűŨɄźŤŽŴŮŴɅűŨŴȭŴÎŶŲŲŶɞŸÎƂŷŶŻŸȧŴźŶɋŸ ȎÎƂŷŶŰŸŬɟŷŬɋŴ; ibid. 2, 1: ǨźŰųȥŴŶɦŴȪŹźŰűŨɄȧÎɄűŨŲɵʰźɁʰźɁŸȎÎţźŮŸűŬŽŷɁŹůŨŰ ūŻŴţųŬŰ ųȢŲŲŶŴūȥɗźŰųŮūȥȎÎţźŮŴūŬɋźɔźŶŰŶɥźŶŴűŨŲŬɋŴ ȎŲŲľŶɆűŶŴŶųŦŨŴźŰŴȌ ůŨŻųŨŹźťŴ  ȧŴɁŴ ųȥŴ űŨɄ ÎŲŬŦŶŴŨ ŲŤŪŬŰŴŁ  In Col. hom. 6, 1: ǀŹźŰ ŪȌŷ űŨɄ űŨŲȭ ȎÎţźŮȱŴŶɠūȥȎÎţźŮŴūŬɋűŨŲŬɋŴŁÎŬŷɄȵŸżŮŹŰŴɕǘŬŷŬųŦŨŸŁDŽÎţźŮŹţŸųŬ ŒƃŷŰŬ ȧÎŬɄűŨɄźɔŴÎŨźŤŷŨȯÎţźŮŹŬŴɕǗŨűɮũ ȎŲŲľŶɠűȎÎţźŮ ȎŲŲľŶɆűŶŴŶųŦŨȴŴ 77 See nt. 26. I quote with Hom. the Homilia in illud: In faciem ei restiti and with Comm. il Commentarius in epistulam ad Galatas. 78 JO. CHRYS., Hom. 4: ÎȢŹŨŴɕųŶɥźȭŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴųŬźȌÎţŹŮŸżŰŲŶŹŶżŦŨŸ ȎŴŨűŮŷƃźźŶŴźŶŸ. Hom. 9: ƼÎŬŰūȭŪȌŷȎŴɁŲůŬŴŬɆŸźŶɞŸŶɠŷŨŴŶɞŸɕǗŮŹŶɥŸ źȭŴɟÎȥŷ ȮųɵŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴÎŲŮŷƄŹŨŸ 79 JO. CHRYS., Hom., tit.: ŶɠűȎŴźŦŹźŨŹŰŸȴŴ ȎŲŲľŶɆűŶŴŶųŦŨźȌŪŰŴƂųŬŴŨ$G ÎɵŸűŷƃÎźŶŻŹŦŹŬźɵʰÎŷŶŹſÎŬŦʁźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸȧűŬŦŴŮŸ. 80 JO. CHRYS., Comm. 2, 5: ŶɠųţŽŮŸȴŴźȌɛťųŨźŨ ȎŲŲľŶɆűŶŴŶųŦŨŸ 81 Act 21, 21-26. 82 JO. CHRYS., Hom. 13: ƼűŬɋŴŶŸ źŶŦŴŻŴ ŹŻŪűŨźŨũɁŴŨŰ ȎŴŨŪűŨŭƂųŬŴŶŸ ɆŶŻūŨňŭŬŰŴŁȎŲŲľŶɠŽɄźɁŸŪŴƄųŮŸ ȎŲŲȌźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸźɔŪŰŴƂųŬŴŶŴȴŴ. 83 JO. CHRYS., Hom. 20: źŨɥźŨȎűŶƃſŴɕŘŤźŷŶŸȧŹŦŪŨ ɱŹźŬųȭȎŴŨźŷŤžŨŰ źȭŴŶɆűŶŴŶųŦŨŴŘŨƃŲŶŻśŶɥźŶźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸźɔűŤŷūŶŸ. 76

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of Judaic origin were seized by a great fear: this is why he treated Peter firmly.84

In this detail too, Macarius proves a scant “understanding of the questions and of the historic and philosophical difficulties”85 which Goulet attributes to him, or at least he shirks the precise – not to say insistent – questions of his interlocutor. He slightly warps, slightly omits the terms of the questions put to him, he traces everything to that general economy of the salvation which constitutes the foundation and the only aim of his hermeneutics;86 he establishes himself as an unsystematic thinker, concerned almost exclusively with producing, in answer to the Antagonist’s objections, a similar group of considerations “which can if not convince and without depth, at least make their mark and display ability”.87 Antonio Cataldo Università del Salento - Lecce

84 JO. CHRYS., Comm. 2, 4: ŒŨɄŪȌŷŬɆųȥŴȎűŶƃſŴźŨɥźŨŘŤźŷŶŸȎŴźŤŲŬŪŬ  űŨŲɵŸȑŴźŰŸȧųŤųžŨźŶ ɯŸźɁŸŶɆűŶŴŶųŦŨŸȎŴŨźŷŬÎŶųŤŴŮŸŁŴŻŴɄūȥ ȧűŬŦŴŶŻųȥŴ ȧÎŰźŰųɵŴźŶŸ źŶƃźŶŻūȥŹŰŪɵŴźŶŸ ÎŶŲɞŸźŶɋŸȧŵǗŶŻūŨŦſŴżƂũŶŸȧŪŦŴŬźŶŁūŰɔűŨɄ ŹżŶūŷɵŸűŤŽŷŮźŨŰźɵʰŘŤźŷʁ. 85 OTTO BARDENHEWER, Geschichte der altkirchlichen Literatur, 5 vol., Freiburg im Breisgau, Herder, 1913-1932, IV (1924), p. 191.WAELKENS, L’économie, p. 53. 86 WAELKENS, L’économie, p. 53. 87 GOULET, Monogénès, t. I, p. 152.

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ABSTRACT In the middle of his accusing speech against Peter (3, 22, 4), the Antagonist invokes Paul’s testimony in order to denigrate the head of the apostles, referring to the incident in Antioch where the two apostles had been protagonists. Paul is someone who can vouch for the truth, in an episode which anti-Christian polemists have always used, provoking a series of interpretations in Christian writers in order to explain the behaviour of both the apostles. In the reply to the heathen’s argument no mention is made of Paul, Macarius ignores the circumstance which originated his clarification, and was recalled by the heathen – Paul’s charge of ɟÎƂűŷŰŹŰŸ against Peter and Barnabas -, limits himself to eulogising Peter’s behaviour, and illustrates the universal reason governing the divine “plan of salvation”. It would appear that Macarius did not understand this argument perfectly, or rather, that he had only a superficial understanding of it. RÉSUMÉ Au milieu de son discours d’accusation contre Pierre (3, 22, 4), l’antagoniste invoque le témoignage de Paul dans le but de dénigrer le chef des apôtres, se référant à l’incident d’Antioche, où les deux apôtres ont été les protagonistes. Paul est quelqu’un qui peut témoigner de la vérité, dans un épisode que les polémistes anti-chrétiens ont toujours utilisé, provoquant une série d’interprétations chez les écrivains chrétiens afin d’expliquer le comportement des deux apôtres. Dans la réponse à l’argument du païen, aucune mention n’est faite de Paul, Macarius ignore la circonstance qui a créé sa clarification, et qui a été rappelée par le païen - accuse Paul d’ɟÎƂűŷŰŹŰŸ contre Pierre et Barnabé -, se limite au fait de louer le comportement de Pierre, et illustre la raison universelle régissant le divin « plan de salut ». Il semblerait que Macaire ne comprenait pas cet argument parfaitement, ou plutôt, qu’il avait seulement une compréhension superficielle de celui-ci.

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LA POLÉMIQUE CONTRE LES MÉDECINS ET LA MÉDECINE DES PAÏENS DANS L’HAGIOGRAPHIE CHRÉTIENNE: LE DOSSIER DES SAINTS CÔME ET DAMIEN

La légende n’est pas seulement le récit fantaisiste opposé à l’histoire (H. Delehaye) Le christianisme a très souvent été décrit comme une religion de la guérison,1 car il prêche le salut du corps et de l’âme, mais patronnant aussi des soins pour les malades et ceux qui souffrent dans la chair. Cette attitude répondait à la prescription évangélique extraite de Mt 25, 36: «J’étais malade et vous m’avez visité». Pour les Pères de l’Église, rendre visite et soigner les malades est un acte fondamental. Jésus, dans les récits des guérisons, devient le modèle du parfait médecin, le ɆŨźŷƂŸ puissant, capable de chasser toute maladie.2 A partir du deuxième siècle, Christus medicus devient une formule tout à fait habituelle dans la littérature chrétienne: depuis Mt 9, 12, Irénée appelle Jésus “le médecin des malades” et Origène le désigne comme archiatros, “le médecin chef ”. Ensuite, les allusions aux arts médicaux du Christ deviendront très fréquentes chez Augustin3, et ce motif obtiendra lui aussi une grande popularité dans l’art

1 La bibliographie sur ce thème est très ample: on peut se borner ici à mentionner les études de VIVIEN NUTTON, From Galen to Alexander. Aspect of Medicine and Medical Practice in Late Antiquity, dans Symposium on Byzantine Medicine, ed. John Scarborough, Washington DC, Dumbarton Oaks, 1984 (Dumbarton Oaks Papers, 38), p. 5, qui définit le christianisme «a healing religion par excellence». Cfr aussi GARY B. FERNGREN, Early Christianity as a Religion of Healing, dans «Bulletin of the History of Medicine» LXVI (1992), pp. 1-15 and ID., Medicine & Health Care in Early Christianity, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2009, qui renvoie à ADOLF VON HARNACK, Medizinisches aus der ältesten Kirchengeschichte, dans ID., Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, Leipzig, J.C. Hinrich, 1892 (Texte und Untersuchungen zur Gescichte der altchristlichen Literatur, 8), pp. 129-150. 2 Cfr Les miracles de Jésus selon le Nouveau Testament, ed. J.-N. Aletti et al., Paris, Seuil, 1977 ; HOWARD CLARK KEE, Medicine, Miracle, and Magic in the New Testament Times, Cambridge, Cambridge University Press, 1986. 3 IRENAEUS, Adversus Haereses, III, 5, 2 ; ORIGENES, Expl. Ps. XXXVII, 1369CD; cfr à ce sujet HEINRICH SCHIPPERGES, Zur Tradition des ‘Christus Medicus’ im frühen

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iconographique.4 Même si la formule “Grand Médecin” se réfère métaphoriquement au pouvoir de Jésus de guérir les affections de l’âme plus que les malaises physiques, le langage utilisé pour le décrire se nourrit des qualités attribuées depuis longtemps à Hippocrate et Asclépios.5 C’est en se basant essentiellement sur ces témoignages que les spécialistes d’histoire de la médecine ont pu affirmer que l’attitude du christianisme primitif envers la médecine était généralement positive: il y a par contre très peu d’indices qui montrent une hostilité manifeste contre la pratique médicale et ses physiciens.6 On lisait en outre dans l’Evangile que soigner les malades était un des devoirs spécifiques des apôtres: Jésus leur avait donné le double mandat de proclamer le Royaume des cieux ainsi que de guérir.7 Il n’est donc Christentum und in der älteren Heilkunde, dans «Arzt und Christ» XI (1965), pp. 12-20; GERHARD FICHTNER, Christus als Arzt. Ursprünge und Wirkungen eines Motivs, dans «Frühmittelalterliche Studien» XVI (1982), pp. 1-18 ; GERALD BOSTOCK, Medical Theory and Theology in Origen, dans Origeniana tertia. The third International Colloquium for Origen Studies, University of Manchester, September 7th-11th, 1981), ed. R. Hanson et H. Crouzel, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 190-199 ; SAMUEL FERNÁNDEZ, Cristo médico, según Orígenes: la actividad médica como metáfora de la acción divina, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 1999 (Studia Ephemeridis “Augustinianum”, 64) ; JEAN COURTÈS, Saint Augustin et la médecine, dans Augustinus Magister. Congrès international augustinien, Paris, 21-24 septembre 1954, 3 voll., Paris, Études augustiniennes, 1955, I, pp. 43-52 ; DOMINIQUE DOUCET, Le thème du médecin dans les premiers dialogues philosophiques de saint Augustin, dans «Augustiniana» XXXIX (1989), pp. 447-461 ; MARIE-ANNE VANNIER, L’image du Christ médecin chez les Pères, dans Les Pères de l’Église face à la science médicale, Actes du 3e Colloque d’études patristiques, Paris, 9-11 septembre 2004, ed. Véronique Boudon-Millot et Bernard Pouderon, Paris, Beauchesne, 2005 (Théologie historique, 117), pp. 525-534 ; GERVAISE DUMEIGE, Dictionnaire de Spiritualité, X (1980), coll. 891-901, s.v. Le Christ médecin, et ID., Le Christ médecin dans la littérature chrétienne des premiers siècles, dans «Rivista di Archeologia Cristiana» XLVIII (1972), pp. 115-141. 4 Cfr DAVID KNIPP, Christus Medicus in der Frühchristlichen Sarkophagsskulptur: Ikonographische Studien zur Sepulkralkunst des Spaten Vierten Jahrhunderts, Leiden-New York, Brill, 1998 (Vigiliae Christianae Supplements, 37). 5 EMMA JEANNETTE LEVY EDELSTEIN, LUDWIG EDELSTEIN, Asclepius. A Collection and Interpretation of the Testimonies, 2 voll., Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1945, II, pp. 132-138. Est éloquent à ce propos le passage de Eusebius de Césarée (Historia ecclesiastica, X, 4, 11), qui utilise les mots du traité De la respiration (Perì physon) hippocratique pour décrire Jésus et son œuvre de rédemption, cfr GARY B. FERNGREN, DARREL W. AMUNDSEN, Medicine and Christianity in the Roman Empire: Compatibilities and Tensions, dans «ANRW» Berlin: Walter de Gruyter, II (1995), 37.3, pp. 2957-2980, en part. p. 2965. 6 Cfr FERNGREN, AMUNDSEN, Medicine and Christianity, pp. 2962-2965 ; DARREL W. AMUNDSEN, Medicine and Faith in Early Christianity, dans «Bulletin of the History of Medicine» LVI (1982) fasc. 3, pp. 326-350 ; OWSEI TEMKIN, Hippocrates in a World of Pagans and Christians, Baltimore-London, The Johns Hopkins University Press, 1992. 7 Mt 10, 7-8: «Sur votre route, proclamez que le Royaume des cieux est tout proche. Guérissez les malades, ressuscitez les morts, purifiez les lépreux, chassez les démons. Vous avez reçu gratuitement: donnez gratuitement».

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pas étonnant que les miracles évangéliques aient eu un large écho dans la littérature apocryphe8 et dans les légendes hagiographiques. Les récits de guérison ont été amplifiés et développés en suivant la prédilection pour le merveilleux et le prodigieux spécifique à tous les contes folkloriques et populaires. D’ailleurs, à partir du IVe siècle, on a pu enregistrer une remarquable augmentation de la guérison surnaturelle sous toutes ses formes, que ce soit un reflet de l’irrationalisme renouvelé de l’antiquité tardive, ou bien l’absorption de chaque pratique païenne, comme le faisait l’Église depuis Constantin.9 A côté des opérations thaumaturgiques du christianisme tardo-antique, on a pu effectivement noter un réveil des pratiques magiques et superstitieuses, par exemple avec l’usage d’amulettes, de charmes et de formules d’incantations sévèrement condamné par les Pères de l’Église.10 L’attention portée aux malades devint une prérogative du christianisme ancien et une pratique habituelle des hommes voués à la sainteté: elle était autant envisagée comme une activité caritative que comme une ascèse, un moyen d’expiation et de pénitence.11 La médecine hippocratique fut aisément convertie dans l’idéal de la charité chrétienne.12 L’homme saint consacrait toutes ses forces aux malades, passant outre l’horreur et la répugnance des corps estropiés et défigurés par la maladie.13 Ainsi, la JEAN-MARIE VAN CANGH, Miracles évangéliques - Miracles apocryphes, dans The Four Gospels 1992, Festschrift Frans Neirynck, 3 voll., ed. F. van Segbroeck et al., Leuven, Leuven University Press, 1992 (Bibliotheca Ephemeridum theologicarum Lovaniensium, 100), III, pp. 2276-2319 ; PHILIPPE CHALMET, Le pouvoir de guérir: connaissances médicales et action thaumaturge dans les plus anciens Actes apocryphes des Apôtres, dans Les Pères de l’Église face à la science médicale de leur temps, sous la dir. de V. Boudon-Millot et B. Pouderon, Paris 2005, pp. 193-215. 9 Cfr des lectures désormais “classiques”: ERIC R. DODDS, The Greeks and the Irrational, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1951 (chaque renvoi ici se rapporte à l’édition italienne: ID., I Greci e l’irrazionale, Milano, Bur, 2009) ; ID., Pagans and Christians in an Age of Anxiety, Cambridge, Cambridge University Press, 1965 ; et PETER BROWN, The World of Late Antiquity AD 150-750, London, Thames and Hudson, 1971, pp. 49-57. 10 Cfr GARY B. FERNGREN, Medicine & Health, pp. 79-85 ; NAOMI JANOWITZ, Magic in the Roman World: Pagans, Jews, and Christians, New York, Routledge, 2001. 11 Cfr BERNARD LANÇON, Attention au malade et téléologie de la maladie: le «nosomonde» chrétien de l’Antiquité tardive (IVe-VIe siècles), dans Les Pères de l’Église face à la science médicale, pp. 217-230, par exemple CAESARIUS ARELATENSIS, Serm. pleb. 250, 67, 3 ou Vita Melaniae, IX. 12 Cfr JOLE AGRIMI, CHIARA CRISCIANI, Carità e assistenza nella civiltà cristiana medievale, dans MIRKO D. GRMEK (cur.), Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 217-259 pour la période médiévale. 13 Les descriptions répugnantes des malades sont très nombreuses dans la littérature hagiographique, nous nous bornons à mentionner VENANTIUS FORTUNATUS, Vita Radegondae, XVII: lavans egenorum defricans quidquid erat, crustam scabiem, tineam nec purulenta capita fastidiens, interdum et vermes extrahens, purgans cutis putredines, singillatim capita pectabant ipsa quae laverat. 8

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souffrance devenait à la fois médecin et salut pour tous ceux qui l’avoisinaient. Néanmoins le rapport entre religion et médecine n’a jamais été simple: dans le monde classique, la guérison religieuse a toujours rivalisé avec la guérison séculière, même avant l’affirmation du christianisme.14 Il existait déjà dans le monde païen une polémique entre la médecine rationnelle hippocratique et une médecine sacrée, traditionnelle et cultuelle pratiquée par des personnages que le corpus hippocratique appelle enchanteurs, purificateurs, prêtres mendiants et charlatans (ųţŪŶŰźŬűŨɄ űŨůţŷźŨŰűŨɄȎŪƃŷźŨŰűŨɄȎŲŨŭɓŴŬŸ).15 C’était un conflit entre deux façons différentes de voir et d’interpréter le monde et l’homme, en excluant ou en revendiquant l’intervention de forces surnaturelles extérieures à l’homme. A l’époque d’Hippocrate, les médecins “rationnels” se disputaient avec les mages et les charlatans qui tendaient à constituer autour d’eux-mêmes et de leurs patients une atmosphère d’exceptionnalité reposant sur la divinité. Cela leur permettait de se garantir de l’accusation d’ignorance, ainsi que d’échapper à toute responsabilité relative à l’échec de la thérapie.16 La forme de la thérapie et la rhétorique de la conduite du médecin, élaborés par l’école hippocratique, témoignaient d’une extrême méfiance envers la théâtralisation et la recherche du spectaculaire poursuivies par toute pratique théurgique. Cependant, la médecine continuait à être pratiquée dans les sanctuaires d’Asclépios ou d’Apollon, dont le plus célèbre était indubitablement le sanctuaire d’Asclépios à Epidaure, où se pratiquait le rituel de l’incubation.17 Dodds suggérait que ce fut l’épidémie de peste de 430 av. J.-C. qui propagea la popularité d’Epidaure jusqu’à Athènes. La crainte de la mort faisait croire que tout recours à la religion était vain, mais en revanche poussait les autres à chercher un remède supérieur, indubitablement plus puissant.18 D’ailleurs on peut défi-

14

ANTJE KRUG, Heilkunst und Heilkult. Medizin in der Antike, München, Beck,

1993. 15

De morbo sacro I, 23-24. Cfr notamment TEMKIN, Hippocrates ; OTTO WEINRICH, Antike Heilungswunder. Untersuchungen zur Wunderglauben der Griechen und Römer, Gießen, Töpelmann, 1909 (rist. Berlin, De Gruyter, 1969) ; ALBERTO JORI, Medicina e medici nell’antica Grecia. Saggio sul ’Perì téchnes’ ippocratico, Bologna, il Mulino, 1996 ; IPPOCRATE, La malattia sacra, ed. Amneris Roselli, Venezia, Marsilio, 1996 ; VÉRONIQUE BOUDON, Aux marges de la médecine rationnelle: médecins et charlatans à Rome au temps de Galien, en «Revue des Études Grecques» CXVI (2003), pp. 109-131. 17 Cfr BRONWEN L. WICKKISER, Asklepios, Medicine, and the Politics of Healing in Fifth-Century Greece. Between Craft and Cult, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2008 ; EDELSTEIN, EDELSTEIN, Asclepius. Sur l’incubation cfr aussi DODDS, I Greci, pp. 159-163. Plus généralement, sur les rapports entre religion et médecine au cours des siècles, cfr GIORGIO COSMACINI, La religiosità delle medicina, Roma-Bari, Laterza, 2007. 18 DODDS, I Greci, p. 243. La source est THUCYDIDES II, 53, 4. 16

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nir avec Nock le culte d’Asclépios comme “une religion des émergences”,19 mais capable d’une très longue durée, car le sanctuaire bénéficia d’un agrandissement au IIe siècle et Galien, dans le De optimo medico cognoscendo, critiquait ceux qui cherchaient la guérison à travers la médecine divine: “Nous ne trouvons pas de région ni de cité sans lieux dans lesquels la guérison soit cherchée à travers la médecine divine, les uns dédiés à Asclépios, les autres à Apollon”.20 Le christianisme se retrouva d’ailleurs d’abord en concurrence avec ce type de sanctuaires, et en peu de temps il remplaça les lieux de guérison païens et leurs rituels thérapeutiques par de nouveaux lieux et de nouvelles cérémonies, près des tombeaux des martyrs ou près des sanctuaires qui conservaient leurs reliques.21 Les sanctuaires des saints guérisseurs chrétiens faisaient souvent face aux temples païens les plus célèbres et fréquentés par les malades. Les récits hagiographiques témoignent parfois d’une compétition effective entre les saints chrétiens et les divinités païennes, en exprimant expressément le propos des premiers de remplacer tout à fait les autres.22 C’est en ce milieu complexe d’initiation et de compétition entre culture païenne et christianisme qu’on doit lire les récits des miracles des saints Côme et Damien. Frères (ou même jumeaux, selon la notice citée par Grégoire de Tours23), païens de naissance, médecins par profession, 19 ARTHUR DARBY NOCK, dans «Classical Philology» XLV (1950) fasc. 1, p. 48, compte rendu de EDELSTEIN, EDELSTEIN, Asclepius. 20 De optimo medico cognoscendo, I, ed. Albert Z. Iskandar, Berlin, Akademie Verlag, 1988 (Corpus Medicorum Graecorum supplementum orientale, 4), p. 43. Le sanctuaire d’Asclépios à Epidaure était encore actif au Ve siècle après J.-C. 21 Nous nous bornons ici à rappeler les études de ALINE ROUSSELLE, Croire et guérir. La foi en Gaule dans l’Antiquité tardive, Paris, Fayard, 1990 ; PETER BROWN, The Cult of the Saints: Its Rise and Function in Latin Christianity, Chicago, University of Chicago Press, 1981 ; ARNOLD ANGENENDT, Heilige und Reliquien: die Geschichte ihres Kultes vom frühen Christentum bis zur Gegenwart, Munich, Beck, 1994 ; LUIGI CANETTI, Frammenti di eternità. Corpi e reliquie tra Antichità e Medioevo, Roma, Viella, 2002. 22 C’est le cas par exemple du récit des Miracles de sainte Thècle, qui raconte tout d’abord la victoire de la sainte sur Sarpédon, le dieu tutélaire de Séleucie (cfr Sainte Thècle, Saints Côme et Damien, Saints Cyr et Jean (extraits), Saint Georges, traduit et annoté par André-Jean Festugière, Paris, Éditions A. et J. Picard, 1971, pp. 38-40), ou du sanctuaire égyptien des saints Cyr et Jean à Menuthis, qui rivalisait avec le temple païen d’Isis, destination très fréquentée pour l’incubation et la guérison, cfr DOMINIC MONTSERRAT, Pilgrimage to the Shrine of SS Cyrus and John at Menouthis in Late Antiquity, dans Pilgrimage and Holy Space in Late Antique Egypt, ed. David Frankfurter, Leiden-Boston-Köln, Brill, 1998, pp. 257-279. Cfr. aussi HIPPOLYTE DELEHAYE, Les recueils antiques de miracles des saints, dans «Analecta Bollandiana» XLIII (1925), pp. 68-73. 23 GREG. TUR., De gloria Martyrum, XCVII: Duo vero gemini, Cosmas scilicet et Damianus, arte medici, postquam Christiani effecti sunt, solo virtutum merito et orationum interventu, infirmitates languentium depellebant ; qui diversis cruciatibus consummati, in coelestibus sunt coniuncti, multa miracula incolis ostendentes. Nam si quis infirmus ad

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martyrs, et dispensateurs de guérisons également après leur mort, Côme et Damien n’étaient pas le seul couple de saints médecins dans la tradition chrétienne orientale: dans l’euchologe grec orthodoxe pour les malades, ils sont mentionnés avec Hermolaus et Pantaléon, Samson et Diomède, Mocius et Anicetus, Talelaus et Tryphon, tous invoqués comme intercesseurs en cas de maladie.24 On doit également leur ajouter d’autres saints thaumaturges, suppliés par les souffrants dans les grands centres de culte – Artémius, Thérapon, Isaïe –, dont les recueils de miracles ont étés étudiés par Hippolyte Delehaye.25 Parmi tous ces saints, Côme et Damien sont les guérisseurs universellement réputés, qui réalisent l’idéal ancien du parfait ɆŨźŷƂŸ: capables de guérir des maladies en tout genre et rapidement. Ils ne s’enrichissent pas aux dépens des malades, leurs consultations sont gratuites, il sont anargyres. Les sources anciennes qui attestent de leur légende constituent un dossier complexe,26 qu’on ne peut pas réduire à un seul récit hagiographique et qui est transmis par trois versions différentes de ŊŦŶŰ űŨɄ ÎŶŲŰźŬŦŨŰ (Vita Asiatica, Passio Romana, Passio Arabica), des Acta latins, un libellus miraculorum en grec publié par Ludwig Deubner au début du XXe siècle,27 et constitué de six séries ou collections rédigées entre le Ve et le XIIIe siècle,28 et encore une multitude de traductions de leur légende dans les diverses langues anciennes outre le latin et le grec.29 Les problèmes complexes de la tradition textuelle du dossier hagiographique sur les saints eorum sepulcrum fide plenus oraverit, statim adipiscitur medicinam. Referunt etiam plerique apparere eos per visum languentibus, et quid faciant indicare: quod cum fecerint, sani discedunt. 24 DEMETRIOS J. KONSTANTELOS, Clerics and secular professions in the Byzantine Church, dans «Byzantina» XIII (1985), p. 383. 25 DELEHAYE, Les recueils, pp. 68-73. 26 L’auteur du cinquième groupe des miracles (de 33 à 38 Deubner) affirme qu’à son époque il existait déjà des recueils de miracles de Côme et Damien sous des formes variées: ůŨŻųŨźŶŻŷŪŦŨÎŨŷȌźɵŴūŰŨżƂŷſŴűŨɄÎŶŲŻźŷƂÎſŸŹŻŪŪŬŪŷŨżƂźſŴ (Deubner, p. 179). 27 LUDWIG DEUBNER, Kosmas und Damian. Texte und Einleitung, Leipzig, Teubner, 1907 (rist. Aalen, Scientia, 1980). La première collection (miracles 1-10), assez homogène, est la plus ancienne, datable au moins du VIe siècle ; la dernière série (miracles 39-47), pour la plus grand part une refonte des séries I-III, rédigée par le diacre Maximos au XIIIe siècle, a été insérée dans l’édition de Deubner seulement pour ce qui concerne les miracles “nouveaux”, originaux et différents de ceux des séries précédentes. Cfr DEUBNER, Kosmas, pp. 23-33 ; FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, pp. 85-86. 28 Pour l’histoire du texte, cfr l’excellent travail de DEUBNER, Kosmas, pp. 3-37, et DELEHAYE, Les recueils, pp. 9-10. 29 Pour la diffusion orientale de la légende, cfr les précieuses études de MICHEL VAN ESBROECK, La légende «romaine» des SS. Côme et Damien (BHG 373 d) et sa métaphrase géorgienne par Jean Xiphilin. I, dans «Orientalia Christiana Periodica» XLVII (1981), pp. 389-425 ; II, ibid. XLVIII (1982), pp. 29-64 et ID., La diffusion orientale de la légende des saints Côme et Damien, dans Hagiographie, culture et sociétés (IV-XII

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médecins ont étés magistralement examinés par Gennaro Luongo et par les études déjà mentionnées de Deubner et Delehaye30. Les aspects de la transmission du texte, de la présence de trois groupes de saints homonymes, de la localisation des reliques et des sanctuaires des saints Côme et Damien, du rapport entre leur culte et celui des Dioscures sont des sujets de grand intérêt, pour la plupart déjà exploités par les spécialistes: nous nous limiterons ici à envisager quelques aspects des formes et des thèmes de la polémique contre les médecins et la médecine païenne dans la tradition hagiographique autour de Côme et Damien, au moins avant le VIIe siècle.31 Le culte des deux saints anargyres se propageait rapidement dans l’ensemble du monde chrétien, irradiant de plusieurs centres de l’Asie Mineure. On trouvait dans cette région leurs sanctuaires les plus célèbres, destinations de pèlerinages à but thérapeutique où les légendes des deux saints médecins prenaient leur source.32 Effectivement, la plupart des

siècles). Actes du colloque organisé à Nanterre et Paris, 2-5 mai 1979, ed. P. Riché et E. Patlagean, Paris, Etudes Augustiniennes, 1981, pp. 61-77. 30 Le fondement et l’origine de notre recherche est l’étude d’ELENA GIANNARELLI, I cristiani, la medicina, Cosma e Damiano, dans Cosma e Damiano. Dall’Oriente a Firenze, ed. E. Giannarelli, Firenze, Edizioni della Meridiana, 2002, pp. 7-65, qui offre un excellent panorama sur ce thème. 31 DELEHAYE, Les recueils, p. 10, dates les plus anciens Miracles de Côme et Damien au commencement du VIIe siècle, lorsque Sophronios de Jérusalem mentionne «les récits de miracles de ces saints-là», mais il dit que «la couleur des récits, le milieu et les circonstances nous invitent à les placer» plus haut encore. Cfr NATALIO FERNÁNDEZ MARCOS, Los Thaumata de Sophronio, Madrid, Instituto Antonio de Nebrija, 1975, p. 301. Cfr. aussi FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, p. 88. 32 Le problème des centres de propagation du culte des saints Côme et Damien est compliqué par la “multiplication” des paires de saints ainsi nommés, et célébrés en trois jours différents: 1er novembre (ceux d’Asie), 1er juillet (ceux de Rome), 17 octobre (ceux d’Arabie). A partir de l’édition de Simone Wagnereck et Reinhold Dehn (Syntagmatis historici, seu veterum Graeciae monimentorum de tribus Sanctorum Anargyrorum Cosmae et Damiani nomine paribus partes duae, potissimum ex manuscriptis a clarissimo viro Leone Allatio Roma transmissis, cum interpretatione Latina R.P. SIMONIS WANGNERECKII, Soc. Iesu, REINOLDUS DEHNIUS, eiusdem Soc., ea quae P. Wagnereckii obitu imperfecta remanserat absolvit, notis illustravit, praefatione apologetica opus munivit. Viennae in Austria apud Matthaeum Cosmerovium a. MDCLX), les trois paires furent identifiées d’après les trois principaux textes hagiographiques: la Vita Asiatica, la Passio Romana et la Passio Arabica. Cfr Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae e codice sirmondiano nunc berolinensi adiectis synaxariis selectis, opera et studio HIPPOLYTE DELEHAYE, Propylaeum ad Acta Sanctorum mensis Novembris, Bruxellis, apud Socios Bollandianos, 1902, coll. 144-146 ; DELEHAYE, Les légendes hagiographiques, pp. 205-208. On a aussi des autres fêtes et commémorations dans les sources liturgiques, cfr GENNARO LUONGO, Il “dossier” agiografico dei ss. Cosma e Damiano, in Atti del Convegno di S. Eufemia d’Aspromonte, Soveria Mannelli, Rubettino, 1997, pp. 62-70. Pour les centres orientales du culte des saints Côme et Damien, v. PAUL PEETERS, Le tréfonds oriental de l’hagiographie byzantine, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1950 (Subsidia Hagiographica, 26), pp. 65 ss. Pour la question

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miracles s’accomplirent dans l’une des demeures des Anargyres à Constantinople, le Cosmidion, auprès de la basilique mentionnée aussi par Procope de Césarée33 et agrandie par Justinien, qui y avait été guéri d'une grave maladie.34 Les malades qui s’adressaient à eux appartenaient à tous les milieux sociaux et culturels – du boucher à l’homme de palais, de l’avocat au pédagogue, de la noble dame à la pauvre femme, aux hommes d’église, aux hérétiques, païens ou juifs – ils souffraient des maladies le plus diverses: hydropisie (1, 19, 38), cancer (2), rétention d’urine (3), paralyse (4, 14, 24, 31, 34), abcès (5, 11, 13, 32), maladies d’estomac (21), hémorragie (6, 20), cécité (36) etc. Dans le sanctuaire de Constantinople, qui fut le théâtre de leurs miracles, les deux thaumaturges dispensaient gratuitement consultations et directives, généralement pendant la nuit et en vision. Leurs fidèles y restaient dormir, avec leur literies et leur couchages, plus ou moins confortables selon leur fonction et leur rang social. C’était un rituel que les historiens –Deubner en particulier – ont tout d’abord rapproché à l’incubation, pratiquée dans les asklepeia païens.35 Même si on aimerait mieux ne pas parler de transposition directe des pratiques païennes, on ne peut douter que la plupart des apparitions des miracles de Côme et Damien sont mentionnées pendant le sommeil des malades: les pèlerins à peine arrivés sous les portiques de l’atrium se couchent près des reliques des saints. Néanmoins, on peut objecter que les clients de Côme et Damien étaient pour la plupart de très simples personnes, qui n’avaient jamais entendu parler des ɆţųŨźŨ d’Epidaure et qui abhorraient la superstition des païens. Par conséquent, ce qui les conduisaient au Cosmidion ne pouvait pas être «un souvenir des pratiques païennes», mais «cet instinct relide l’origine et la provenance des deux saints, cfr LUONGO, Il «dossier» agiografico, pp. 37-42 e 71-78 et ses renvois bibliographiques. 33 De aedificiis I, 6. 34 Cfr FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, pp. 86-89 ; pour la collocation exacte des sanctuaires à Constantinople, cfr CYRIL MANGO, On the Cult of Saints Cosmas and Damian at Constantinople, dans ŐŻųŦŨųŨŹźŮųŴťųŮźɁŸœŨŹűŨŷŦŴŨŸ, 2 voll., ed. R. Andreadi, M. Basiliki et al., Athens, Mouseio Benake, 1994, I, pp. 189-192, qui conteste la localisation proposée un temps par RAYMOND JANIN, Géographie ecclésiastique de l’Empire byzantin, 3 voll., Paris, Institut français d’études byzantines, 1953-1981, III (1953), pp. 296-299 (le tome Ier a été complété et publié par J. DARROUZÈS en 1981). 35 Selon LUDWIG DEUBNER, De incubatione. Capita quattuor, Leipzig, Teubner, 1900, les Miracula Cosmae et Damiani démontraient la persistance du rituel païen de l’incubation ; DELEHAYE, Les recueils, pp. 72-73 au contraire signale l’absence de témoignages liturgiques rapportable à l’incubation et se montre plus défiant envers les récits hagiographiques. FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, pp. 92-95 préfère ne pas parler de dérivation directe des pratiques chrétiennes des sanctuaires de Côme et Damien des rituel païen, en rappelant la valeur du sommeil et de la vision dans le monde biblique de l’Ancien Testament et chrétien primitif. Sur l’incubation cfr aussi DODDS, I Greci, pp. 159-163.

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gieux qui reste toujours le même et qui les poussait ainsi vers les Anargyres comme il en avait poussé d’autres, jadis, vers Asclépios».36 Dans ces circonstances Côme et Damien se manifestaient en costume de médecins37. Exceptionnellement, s’ils désiraient ne pas être immédiatement reconnus, ils apparaissaient sous un autre aspect38 – ils opéraient de toutes façons comme le médecin-chef d’un hôpital, dirions-nous aujourd’hui. Ainsi, chaque nuit, les deux saints guérisseurs faisaient leur tournée du sanctuaire - nosocome, «s’arrêtaient au lit des malades, s’informaient de leur mal, prescrivaient un régime ou formulaient une ordonnance».39 Il n’est pas étonnant que dans le libellus miraculorum de nombreux aspects rapprochent Côme et Damien à des physiciens païens. Généralement dans les récits hagiographiques orientaux, jusqu’au VIIe siècle, on trouve bien des médecins païens, tout à fait méprisants ou présomptueux et en réalité incompétents. Le physicien toutefois n’est pas uniquement une figure détestable: seulement, on désapprouve de sa conduite perçue presque comme désagréable, on va revendiquer au christianisme la prérogative de la guérison, on accuse les limites de la médecine païenne lorsqu’on célèbre la supériorité de la médecine chrétienne, qui trouve son principe dans le Christ en tant que “vrai médecin”. D’après une part de la tradition hagiographique des saints Côme et Damien, qui remonte à la Passio romana, et aussi bien chez Grégoire de Tours, les deux frères, avant de se convertir au christianisme, avaient étudié la médecine et exerçaient la profession de médecins.40 Mais dans la même Passio romana c’est précisément leur récent succès qui est la cause de leur martyre. Ils ne meurent pas par décret impérial, au contraire: à la conclusion du procès l’empereur se convertit à la foi chrétienne et leur accorde la grâce après avoir été secouru par leur intervention thaumaturgique (Dieu l’avait puni en lui retournant la tête – un symptôme physique évident pour indiquer sa conduite erronée, “inverse”, car il était hostile aux chrétiens). Ils sont tués par la main de leur ancien maître, jaloux de leur popularité. L’epistates leur tend une véritable embuscade et en prétendant aller cueillir des herbes médicinales (qu’ils continuaient évidemment à utiliser pour leurs traitements), les attire par la suite dans un lieu isolé et les massacre à coups de pierres.41 Malgré les fréquentes allusions au Christ et à la sacralité de ses intercessions, les gestes des saints Côme et Damien, dans leur dossier FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, p. 94. Mir. XXXIX: ȧŴŹŽťųŨźŰźɵŴɆŨźŷɵŴ 38 Mir. I: ȧŴŹŽťųŨźŰŶɠźʃŬɆſůƂźŰ 39 DELEHAYE, Les recueils, p. 12. 40 D’après la Vita Asiatica I, 9 par contre ils ont appris la ɆŨźŷŰűťȧÎŰŹźťųŮ par le Saint Esprit (cfr DEUBNER, p. 88, 1). 41 On lit la même version dans Iohannis Malala, Chronica, XII, 304-306. 36 37

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hagiographique composite et multiforme, sont tout à fait assimilées aux actions de médecins professionnels, c’est à dire aux médecins de la tradition grecque classique. Ce, jusqu’à leurs techniques de soin qui ne s’éloignent pas trop des méthodes de la médecine païenne, sauf pour certaines éléments significatifs sur lesquels les hagiographes insistent avec force, en créant de vrais clichés. Deux de ces clichés sont les caractéristiques essentielles qui distinguent Côme et Damien des médecins païens: la gratuité de leur assistance et la constante mise à l’épreuve de la foi des malades. Par conséquent il y a aussi deux chefs d’accusation pesants sur les médecins païens: l’extrême avidité et l’indifférence pour le vrai salut/salvation du malade, ce qui marque au fond une incapacité de soigner l’homme dans son unité intégrale de corps et d’âme. On blâme donc les rétributions exorbitantes des médecins païens, le prix inabordable de leurs visites mais, en revanche, on attribue une qualité thérapeutique supérieure à la foi, au Christ vrai médecin, qualité qui ne consiste pas seulement en une prompte et parfaite guérison, mais aussi et surtout en une double attention au corps et à l’âme, étudiés dans une perspective globale qui ne concerne pas seulement la maladie physique mais aussi les affections spirituelles: l’hérésie, le péché, les erreurs de la foi. Côme et Damien se conforment à l’idée du Christ vrai médecin par leur totale indifférence envers l’argent et par leur intérêt pour la foi de leurs patients. Ainsi leurs qualités sont la générosité, la philanthropie, l’anargyria (par opposition aux médecins païens philargyroi), mais aussi leur regard total sur l’homme: leurs soins suscitent ou éprouvent la foi des malades qui invoquent leur aide. Les deux anargyres suivent l’enseignement évangélique de Mt 10, 8: «Vous avez reçu gratuitement, donnez gratuitement». La gratuité de l’exercice de la médecine concourt notamment à distinguer les saints des charlatans, des escrocs attirés par de faciles profits et s’inscrit dans une polémique de longue durée, qui était déjà présente dans la tradition médicale grecque classique.42 L’image du médecin avide d’argent, effectivement, avait fait son apparition dans la littérature grecque bien avant Hippocrate et remontait aux récits mythologiques sur la naissance de la médecine. Selon Pindare,43 Asclépios n’avait pas pu récuser un «splendide honoraire» et cela lui attira le courroux de Zeus qui le foudroya instantanément.

L’écrit hippocratique De morbo sacro I, 23-24 à propos de ça mentionne ųţŪŶŰ źŬűŨɄűŨůţŷźŨŰűŨɄȎŪƃŷźŨŰűŨɄȎŲŨŭƂŴŬŸ, ou bien philosophes itinérants. 43 Pit., III, 54 seqq. 42

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Platon, dans la République,44 souligne largement la disparité entre les riches, qui pouvaient s’occuper de leur salut, et les pauvres, qui au contraire n’avaient ni le temps ni les ressources nécessaires pour régler les honoraires des médecins. Les Préceptes hippocratiques45 intimaient aux médecins de tenir compte du rang social de leur patients avant d’exiger leur rétribution, et les autorisaient à exiger des plus riches une contribution majeure pour compenser les prestations gratuites ou semi gratuites pour les miséreux: “Si on doit soigner un étranger ou un indigent, il faut le secourir: car là où il y a l’amour pour l’homme, il y a aussi l’amour pour l’art médical (żŰŲŶźŬŽŴŦŨ)”, lit-on dans le sixième précepte. Galien lui-même était fier de n’avoir jamais réclamé son honoraire aux malades et d’exercer la profession médicale par pure philanthropie, suivant la noble tradition des arts libéraux:46 le mépris de l’argent est pour lui une des qualités du parfait philosophe. Cependant, il dit lui même qu’il fut fier de recevoir 400 pièces d’or du mari d’une femme qu’il avait guérie.47 Les chrétiens imposaient comme obligation religieuse de soigner les pauvres. Le précepte de l’ȎŪţÎŮ, de l’amour fraternel, associé avec le verset évangélique de Mt 25, 35 «j’étais malade et vous m’avez visité», faisait du soin des malades un devoir de chaque chrétien et de l’Église toute entière. C’est dans le sillon de cette controverse que l’on attribue à Côme et Damien le mépris le plus radical pour l’argent. Alors qu’Asclépios était żŰŲţŷŪŻŷŶŸ, selon la définition d’Athénagoras,48 les deux saints sont ȎŴ-ţŷŪŻŷŶŰ en opérant de façon totalement gratuite. A ce propos l’ “incident des oeufs” est éloquent: c’est une des trois anecdotes rapportées par la Vita asiatica. Une femme, Palladia, après avoir complètement dilapidé son patrimoine en consultant des médecins ordinaires sans obtenir de résultat, est enfin guérie de sa maladie par les saints anargyres et, en profitant de l’absence de Côme, implore Damien d’accepter une petite offre de trois oeufs, pour se dégager. Damien, après avoir inutilement tenté de refuser, finit malgré lui par accepter le petit cadeau. Lorsque Côme revient, il s’irrite si fort contre son frère qu’il exige que leurs corps soient enterrés dans deux sépultures différentes.49

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Resp., III, 406 c seqq. Praec., VI. 46 Plac., IX, 5, 6, ed. Kühn, II, 565. 47 Prog., VIII, 20. 48 Suppl., XXIX. 49 Vita Asiatica, II (in DEUBNER, pp. 88-90). Le récit apparaît une sort de justification étiologique de la “multiplication” des sanctuaires qui revendiquaient la présence des reliques ou des corps des deux saints. 45

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L’épisode circulait en une version syriaque datant au moins du Ve-VIe siècle, lorsqu’on peut dater le témoin le plus antique qui contient les Acta syriaques.50 D’ailleurs les païens, en suivant le récit hagiographique, ne pouvaient que se méprendre sur la générosité des deux saints médecins. La Passio romana (BHG 376) accentue grandement la ȎŴŨŷŪŻŷŦŨ et la ÎźſŽŶźŷŶżŦŨ des deux protagonistes, si fidèles au précepte évangélique de la pauvreté qu’ils abandonnent totalement leurs biens de famille pour les donner aux pauvres. En effet, la non rétribution, la ȎųŰŹůŦŨ, est une simple formule de propagande aux yeux de l’empereur païen, qui les accuse de magie et les soupçonne de travailler gratuitement pour détourner les fidèles des sanctuaires païens ou des médecins d’état. Passons au deuxième motif de polémique envers la médecine et les médecins païens: les méthodes et les buts de la thérapie. Très souvent les malades qui arrivent à s’adresser aux saints thaumaturges avaient parcouru une très longue chaîne thérapeutique, ils avaient consulté des médecins traditionnels et avaient éparpillé leur argent en vain, sans obtenir la guérison souhaitée.51 En revanche les deux saints les guérissaient gratuitement. Avec quels moyens et quelles méthodes? Le narrateur ne s’attarde pas sur la description du mal ni de la thérapie ; ce qui l’intéresse est de constater que le malade soit guéri. La guérison arrive généralement de façon instantanée. Parfois les saints ne font qu’imposer les mains sur le patient.52 Exceptionnellement leur traitements sont plus sophistiqués: ils peuvent alors manier le bistouri53 et laisser une cicatrice sur le corps du fidèle, trace de leur intervention. Toutefois ils indiquent habituellement un traitement à suivre ou un remède à appliquer. Dans le sanctuaire il y avait une sorte de salle d’opération,54 où se trouvaient des grabats et aussi une armoire aux remèdes55 – mais dans la plupart des cas ils recommandent aux malades de boire ou d’appliquer sur leur corps la űŮŷſźť,56 un mélange de cire Cfr BHO 210 ; cfr PAUL BEDJAN, Acta martyrum et sanctorum, 7 voll., Harrassowitz, Parisiis-Lipsiae, 1890-1897, VI (1896), pp. 107-119 ; LUONGO, Il «dossier» agiografico, p. 82, en parle comme une probable Urlegende, antérieure au Ve siècle. 51 V. par exemple les mir. XXI, XXIII, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX etc. Quelquefois les malades s’adressent aux saints lorsque les médecins communs leur proposent des interventions chirurgicales. Parfois par contre les saints utilisent les médecins mêmes pour intervenir sur les malades et éviter des traitements dangereuses qu’autre médecins ont leur conseillé et pour les solliciter à se diriger à leur sanctuaire, cfr Mir., XXXII. 52 Mir., IV. 53 Mir., XXX. 54 Mir., XXX, 29: źɔɆŨźŷŬɋŶŴźŶɥŵŬŴɵŴŶŸ 55 Mir., XXX, 30: ȪŴůŨȮźɵŴżŨŷųţűſŴȧŹźɄůťűŮ 56 Mir., I, XIII, XIV, XVI, XXII, XXVII, XXIX, XXX, XXXII, XXXIII, XXXVI. Sur l’usage de l’huile pour la guérison des malades dans le christianisme ancien 50

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et d’huile des lampes du sanctuaire qu’on distribuait à la vigile de leur fête.57 Leurs prescriptions ne sont toutefois jamais orientées selon des critères rationnels ou scientifiques. On le remarque surtout dans les miracles répertoriés par Deubner dans la “première série”, la plus ancienne, c’est à dire les dix premières de son édiction. Les remèdes que Côme et Damien prescrivent sont évidemment destinés à mettre à l’épreuve la foi, à la consolider ou encore à l’inspirer chez leurs patients. L’absurdité de certaines de leurs requêtes représente une sorte de test préliminaire voué à vérifier la confiance qu’ont les malades en eux et en la miséricordieuse toute-puissance divine, qui s’exprime à travers eux. Ils réalisent et personnifient par leurs actes les mots que Jésus prononçait à l’adresse des nombreux bénéficiaires de ses miracles: «Vas, ta foi t’a sauvé».58 Aussi les miracles des deux saints anargyres visent-ils à démontrer que c’est la foi qui sauve, non les médicaments ou les traitements en eux-mêmes, et que le Christ est le primum movens de tout miracle. En une occasion59 ils insistent pour qu’un malade ingère une potion de résine de cèdre (űŬūŷŨŦŨ űŬūŷŦŨ), qui était réputée toxique. Le patient refuse de toutes ses forces, mais ses protestations sont vaines et il doit faire ce que les saints médecins lui ordonnent. Les vomissements provoqués par l’ingestion du curieux breuvage sont un parfait moyen de guérison pour le malade. Une des réponses les plus bizarres et paradoxales qu’ils donnent est adressée à un homme de la cour impériale, troublé depuis longtemps par une rétention d’urine.60 Les deux saints apparaissent dans son sommeil ; ils lui ordonnent, s’il veut être guéri, de prendre quelques poils au pubis de Côme (ȧűźŶɥȧżťũŶŻŒŶŹųȢɖŲŦŪŶŻŸźŷŦŽŨŸŲŨũƄŴ), de les brûler (źŨƃźŨŸűŨƃŹŨŸ), de les jeter dans l’eau et de boire la mixture ainsi préparée. Il n’est pas difficile d’imaginer l’embarras et la confusion de l’intéressé, qui tout d’abord va chercher quelques icônes, un portrait, une planche où trouver ce dont il a besoin (il a donc supposé que dans l’église il y aurait une peinture où notre saint devait être représenté nu!), et par la suite il découvre fortuitement que Côme est aussi le nom d’un agneau qu’un fidèle avait donné aux clercs du sanctuaire. L’animal flâne autour de lui sans cesse, se tient près de son visage et, le regardant bien en face,

cfr The Oil of gladness: anointing in the Christian tradition, ed. Martin Dudley and Geoffrey Rowell, London-Collegeville (Minn), Liturgical Press, 1993 ; et BÉATRICE CASEAU, Parfum et guérison dans le christianisme ancien et Byzantin: des huiles parfumées des médecins au myron des saints byzantins, dans Les Pères de l’Église face à la science médicale, pp. 141-191. 57 Mir., XXX. 58 Cfr par exemple Mc 10, 46-52 ; Lc 17, 19 ; etc. 59 Mir., XI. 60 Mir., III.

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répète son bêlement à intervalles pendant une bonne heure auprès du malade. Certains des servants du sanctuaire appellent alors l’agneau par son nom. Le mystère est dévoilé. On attend donc qu’un tondeur enlève un morceau de la toison nécessaire pour préparer le remède et, après avoir bu la potion, le malade obtient presque instantanément la guérison promise. Plusieurs des remèdes se rapportent à des prescriptions alimentaires, comme c’était déjà le cas auparavant dans la médecine hippocratique,61 mais désormais ils sont liés à des questions de foi. Les deux thaumaturges apparaissent à un homme atteint d’une maladie de la poitrine, vraisemblablement une forme de phtisie.62 Le malade est d’autant plus exaspéré par son mal qu’il blasphème sans cesse, et Côme et Damien, «qui non seulement guérissent les maladies du corps, mais soignent les âmes des hommes»,63 lui ordonnent, par l’intermédiaire d’un autre individu auquel ils apparaissent en sommeil, de cesser de se comporter de façon si impie ; pareillement, ils lui prescrivent de manger du poulet, surtout pendant le carême, en se limitant aux aliments qui commencent par un A (probablement ȑŲżŰźŨ, du pain ou de la polenta à base de bouillie d’orge).64 Le malade obéit entièrement aux préceptes reçus et recouvre la santé. Les deux saints se montrent encore plus tranchants et cruels (mais aussi intolérants) envers une femme juive qui s’adresse à eux dans l’espoir d’être délivrée d’un cancer.65 Ils lui imposent un remède que sa conscience refuse: manger du porc. Leur but – nous dit l’hagiographe – est de lui donner la salvation/salut (ŹſźŮŷŦŨ), «en guérissant les ulcères non seulement de son corps, mais de son âme»:66 ils exigent en fait qu’elle abandonne la religion juive pour se convertir à la foi chrétienne. Finalement la femme ne mangera pas la viande de porc, car elle fut arrêtée par l’arrivée du mari: mais son intention d’accomplir leur prescription est suffisante pour les deux saints. Après la guérison, elle s’empresse de recevoir le bap-

61 Pour l’importance de la diététique non seulement dans la médecine, mais aussi dans la philosophie en Grèce, cfr PANAGIOTIS K. SKIADAS, JOHN G. LASCARATOS, Dietetics in ancient Greek philosophy: Plato’s concepts of healthy diet, dans «European Journal of Clinical Nutrition» LV (2001), pp. 532-537 ; FLORIAN STEGER, Antike Diätetik: Lebensweise und Medizin, dans «Zeitschrift für Geschichte der Naturwissenschaften, Technik und Medizin» XII (2004), pp. 146-160. Pour une ample panoramique sur ce sujet, cfr MARK GRANT, Galen on Food and Diet, London and New York, Routledge, 2000. 62 Mir., VI. 63 Je cite de la traduction français de FESTUGIÈRE, Sainte Thècle, p. 107. 64 V. ibid., n. 21. 65 Mir., II. 66 Mir., II: ŶɠųƂŴŶŴźȌźŶɥŹƄųŨźŶŸȎŲŲȌűŨɄźȌźɁŸžŻŽɁŸůŬŷŨÎŬƃŹŨŴźŬŸ ȨŲűŮ

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tême. De la guérison du corps on passe donc à la “guérison” de l’âme, c’est à dire, du point de vue de notre hagiographe, à la conversion. Dans ces deux épisodes on peut lire la transcription narrative de la conception de la maladie comme une opportunité d’ascèse, de contrition, d’expiation et de purification, qui a bien souvent lieu dans la littérature chrétienne orientale et occidentale, de Méliton de Sardes à Hilaire de Poitiers jusqu’à Augustin. Une vraie théologie positive de la maladie allait s’affirmer dans le christianisme ancien. Elle agissait constamment comme une exhortation à la conversion, à l’introspection, à l’humilité. La maladie, d’après les Pères, est une marque du péché originel et ainsi que de la corruptibilité de la chair, mais elle est aussi le théâtre spectaculaire de l’intervention divine, capable d’opérer une guérison double, du corps et de l’âme. Par conséquence, dans le dossier des saints Côme et Damien, la maladie est simultanément médecine et guérison, salut et salvation. Quant aux formes dans lesquelles s’exprime la dispute envers la médecine et les médecins païens, comme d’après toute la littérature hagiographique, plus que sur l’argumentation, sur les logoi, on joue sur l’exemplum.67 C’est l’exemplum qui prévaut. La narration doit étonner par son immédiateté. La formule la plus efficace de l’aspect démonstratif est l’anecdote, qui a la vertu de la vivacité, le mérite de l’expressivité narrative: elle est capable de se fixer dans la mémoire grâce à la puissance de la persuasion visuelle, incomparablement supérieure à celle des logoi. L’anecdote a une valeur paradigmatique. C’est pour cela que les récits des miracles prennent une allure romanesque, ou bien blagueuse ou malicieuse, parfois encore “boccaccesque” ante litteram, avec des coups de théâtre et des exploits inattendus de la part des protagonistes. La scène la plus grotesque et la plus burlesque est contée dans le miracle 24, lorsque les deux saints ordonnent dans son sommeil à un paralytique que, s’il veut obtenir la guérison, il doit coucher avec la femme muette qui était près de lui dans le sanctuaire. Le pauvre homme ne croit pas que l’ordre puisse venir des saints: ils apparaissent alors encore deux fois et usent de menaces pour le persuader d’agir. Peu importe que l’action de violence ne s’accomplisse pas (la muette terrorisée se met a crier, le paralytique trouve alors la force de courir, et le narrateur se soucie de préciser que les saints «ne commandaient pas, comme on pourrait le croire, d’avoir commerce avec la femme, mais ils leur fournissent à tous les deux le moyen de guérir d’un seul et même coup»): il suffit que la 67 Sur la valeur de l’exemplum dans le monde ancien cfr Rhétorique et histoire: l’«exemplum» et le modèle de comportement dans le discours antique et médiéval. Table ronde organisée par l’Ecole française de Rome, 18 mai 1979, dans «Mélanges de l’école française de Rome», 92 (1980) fasc. 1, pp. 7-179, et, dans l’Occident médiéval, CLAUDE BREMOND, JACQUES LE GOFF, JEAN-CLAUDE SCHMITT, L’exemplum, Turnhout, Brepols, 1982.

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demande, renouvelée trois fois, rendre piquant le récit, et la situation s’évolue d’une façon tout à fait ridicule.68 Humour et suspense sont les caractéristiques intrinsèques de ce genre de narration. Mais le but de ces contes est plus pédagogique qu’amusant:69 on veut démontrer que la médecine humaine est d’elle même inefficace, et que seulement Dieu peut opérer la guérison. Quelquefois l’instrument est un médecin, d’autrefois Dieu utilise les saints pour démontrer sa propre puissance. Les saints médecins sont entre les deux: ils sont instruits dans les sciences des hommes, mais surtout ils sont des instruments de Dieu. C’est pour cela qu’ils agissent de façon apparemment absurde ou inattendue et, plus que de prescrire des remèdes pharmacologiques à leurs patients, ils leur imposent des épreuves à surmonter, des sortes d’ordalies pour tester leur foi.70 On a dit auparavant que dans le dossier des saints Côme et Damien la polémique contre la médecine païenne n’est pas vraiment enflammée. Dans d’autres recueils hagiographiques, au contraire, les accents du débat deviennent plus agressifs. Parmi les Miracles de Cyr et Jean, un ample recueil de 70 miracles composé en grec par Sophrone de Jérusalem au début du VIIe siècle (BHG 477-479)71, on trouve un célèbre médecin, Gésius – il s’agit de Gésius de Petra, un des auteurs des Summaria Alexandrinorum (à peu près vers 500 après J.C.)72 –, qui consulte les saints après avoir échoué à se guérir, et après avoir vainement consulté ses collègues.

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Le même épisode est mentionné par Sophrone dans les Miracles de Cyr et Jean, XXX, et raconté aussi dans les Miracles de saint Ménas, V («Analecta Bollandiana» XLIII (1925), pp. 47-49), attribués à Timotée d’Alexandrie. Cfr HIPPOLYTE DELEHAYE, Les légendes hagiographiques, p. 147, qui souligne la similitude avec certaines guérisons piquantes d’Asclépios, en évoquant ainsi une parenté avec le ɆţųŨźŨ d’Èpidaure. Il s’agit à mon avis d’un fond burlesque et licencieux commune à plusieurs traditions populaires et folkloriques. 69 PIERRE MARAVAL, Fonction pédagogique de la littérature hagiographique d’un lieu de pèlerinage: l’exemple des Miracles de Cyr et Jean, dans Hagiographie, cultures et sociétés, IVe-XIIe siècles, Actes du Colloque organisé à Nanterre et à Paris, 2-5 mai, 1979, Paris, Études Augustiniennes, 1981, pp. 383-397. 70 Cfr VINCENT DÉROCHE, Pourquoi écrivait-on des recueils de miracles ? L’exemple des miracles de saint Artémios, dans Les saints et les sanctuaires à Byzance. Textes, images et monuments, ed. C. Jolivet-Lévy, M. Kaplan, J.P. Sodini, Paris, Publication de la Sorbonne, 1993 (Byzantina Sorbonensia, 11), p. 103. 71 FERNÁNDEZ MARCOS, Los Thaumata de Sophronio et DELEHAYE, Les recueils, pp. 19-33. Leur sanctuaire se trouvait en Egypte à Menouthis, la moderne Abuquir, pas loin de Alexandrie et, d’après la tradition était édifié à l’époque de Cyrille, mais il semble plus probable qu’il soit du 489, époque de Pierre le moine, cfr MONSERRAT, Pilgrimage. 72 Dans l’imaginaire chrétien de l’Égypte tardoantique Gésius devait être devenu l’emblème légendaire du païen récusant la conversion, cfr MONTSERRAT, Pilgrimage, pp. 239-240, qui rappelle que dans la Vie de Shenoute, le plus célèbre saint égyptien du Ve siècle, le nom de l’antagoniste païen par excellence est Kesios, la forme copte de Gésius.

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Gésius, un crypte païen converti seulement pour se conformer aux lois d’un empire désormais devenu chrétien, s’était permis de se moquer des saints médecins, en les accusant de guérir non pas par la puissance de Dieu mais par les préceptes de la science médicale,73 puisqu’ils fabriquèrent leurs remèdes depuis l’art d’Hippocrate, de Galien et de Démocrite.74 Cyr et Jean tout d’abord se moquent de lui, en lui demandant quel est le remède ordonné par les différentes écoles médicales pour sa maladie, puis lui prescrivent ensuite une thérapie qui se présente comme un vrai contrappasso de son arrogance: le “collègue” doit courir tout autour du sanctuaire déguisé comme un âne et, en braillant vigoureusement, prononcer le mots suivants: «je suis fou et absolument idiot».75 Malgré la modeste fiabilité historique du récit hagiographique, l’anecdote de Gésius montre une hostilité entre la médecine religieuse et la médecine rationnelle, qui était absolument insolite à l’époque antérieure.76 Les médecins étaient assimilés au paganisme, au moins les plus célèbres d’entre eux. Galien n'était pas filo-chrétien: même s’il louait la constance des chrétiens à faire face aux persécutions, il critiquait leur fanatisme fondé sur des lois indémontrables.77 Le médecin Oribase pratiquait les rites païens, Gésius avait accepté le baptême sous la menace impériale, mais continuait à se moquer des chrétiens et de leurs rituels. Il est vrai toutefois qu’à partir du VIe siècle beaucoup de médecins devaient être chrétiens, et que leur perception de la médecine avait sans doute beaucoup changé: dans les recueils des miracles de cette époque les malades étaient envoyés ou même accompagnés au sanctuaire par les médecins. On lit aussi que des saints ordonnent à leurs fidèles d’aller chez le médecin. Cependant on continue de trouver des oppositions vigoureuses, et certains récits hagiographiques montrent Dieu comme seul responsable de la guérison, sans aucune intervention de la médecine. Les hagiographes sont fiers des saints capables de guérir avec les moyens les plus simples: dans les miracles d’Artemius (BHG 173), un recueil de 45 miracles rédigé à Constantinople entre 658 et 688, on le dira explicitement: on n’a jamais 73 Thaumata, XXX, 3 ed. Fernández Marcos, p. 302-303: ȧűſųʂūŬŰūȥűŨɄŒƃŷŶŴ űŨɄǗſţŴŴŮŴźŶɞŸųţŷźŻŷŨŸɯŸȧűźŤŽŴŮŸɆŨźŷŰűɁŸůŬŷŨÎŬƃŶŴźŨŸźȌźɵŴȎŴůŷƄÎſŴ ŴŶŹťųŨźŨ űŨɄŶɠűȧűůŬŦŨŸźŰŴɔŸűŨɄɟÎŬŷŬźţźŮŸūŻŴţųŬſŸ 74 Thaumata, XXX, 4 ed. Fernandez Marcos, p. 303: űŨɄźŶɥźŶųȥŴɅÎÎŶűŷţźŬŰŶŴ ȪŲŬŪŬźɔũŶťůŮųŨ‰źţūŬŪȌŷȧŴźʃūŤżŮŹŰźʃŹŻŪŪŷţųųŨźŰ‰źŶɥźŶūȥŋŨŲťŴŬŰŶŴ ȧũƂŨźɔżţŷųŨűŶŴ űȒŴźʃūŬűŬɋŹůŨŰźʃŲƂŪʁūŰŮŪŪŤŲŬźŶ 75 Thaumata, XXX, 8 ed. Fernandez Marcos, p. 304: ųŬŪŨŲŶżƄŴſŸũŶɵŴɯŸ ŔſŷƂŸŬɆųŰűŨɄȎŴŶƃŹźŨźŶŸ 76 Cfr GOTTHARD STROHMAIER, La ricezione e la tradizione: la medicina nel mondo bizantino e arabo, dans GRMEK, Storia del pensiero medico occidentale, p. 185. Cfr aussi NUTTON, From Galen to Alexander, p. 6. 77 De diff. pulsuum, III, 3, ed. Kühn, VIII, p. 579: ůȢźźŶŴȑŴźŰŸźŶɞŸȎÎɔ ŔſƁŹŶɥűŨɄŞŷŰŹźŶɥųŬźŨūŰūţŵŬŰŬŴȳźŶɞŸźȌŸŨɇŷŬŹŰÎŷŶŹźŬźŮűƂźŨŸɆŨźŷŶƃŸźŬ űŨɄżŰŲŶŹƂżŶŻŸ

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vu un médecin guérir l’hernie avec du vinaigre comme le bienheureux martyr?78 Il peut enfin arriver que les renvois polémiques envers la médecine traditionnelle, envers son impuissance, ses coûts trop élevés, envers la disproportion des honoraires des médecins, soient de plus en plus fréquents et pourtant que les accents deviennent plus aigres. Il peut arriver, par exemple, qu’un malade, découragé et désormais réduit à la pauvreté pour avoir consulté sans résultat les médecins les plus renommés, soit accueilli avec un reproche caustique par le saint homme qu’il va consulter comme extrema ratio. Nous lisons, d’après Jérôme, que Hilarion répliquait à une femme qui avait perdu la vue: «Si tu avais donné aux pauvres tout ce que tu as dissipé envers les médecins, tu aurais été soignée par le vrai médecin: Jésus»,79 et saint Nicole de Sion reprochait à un aveugle qu’il avait éparpillé son argent pour consulter les médecins: «Pourquoi tu n’as pas adressé ta foi à l’endroit des saints? Tu serais guéri gratuitement».80 La polémique contre les médecins païens insatiables ne pouvait pas trouver de mots plus résolus. Valeria Novembri Genova

78 Mir., XX, dans VIRGIL S. CRISAFULLI, JOHN W. NESBITT, The Miracles of saint Artemios, Leiden-New York, Brill, 1997. Le recueil comprend 45 miracles. 79 HIER., Vita Hilarionis, 9. 80 IHOR ŠEVýENKO, NANCY PATTERSON ŠEVýENKO, eds., The life of saint Nicholas of Sion, Brookline (MA), Hellenic College Press, 1984, p. 58-59: űŨɄ ūŰţ źŦ Ŷɠű ȧÎŦŹźŬŻŹŨŸźŶɋŸȍŪŦŶŰŸ űŨɄŬɌŽŬŸůŬŷŨÎŬŻůɁŴŨŰūŦžŨŽŷŮųţźſŴ

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LE DOSSIER DES SAINTS CÔME ET DAMIEN

ABSTRACT The aim of this paper is to examine forms and themes of the polemic against pagan medicine and pagan doctors in the hagiographic tradition concerning SS. Cosmas and Damian until the 7th century. Polemic devices in this corpus are not as violent as in some later texts, but we can find out two main themes: the gratuity of the cures provided by the two saint doctors against the pagan doctors’ well-known greediness, and their global care of the human being, in body and soul, against the partial view of pagan medicine. As to the means of this polemic effort, Cosmas and Damian’s libellus miraculorum, in conformity with the literary genre, does not play on rationality and logos, but rather on the amazing and amusing vitality of the exemplum, with a pedagogic purpose. RÉSUMÉ Le but de ce papier est d’envisager quelques aspects des formes et des thèmes de la polémique contre les médecins et la médecine païenne dans la tradition hagiographique autour de Côme et Damien, au moins avant le VIIe siècle. La vis polemica de leur corpus de Vies et Miracles n’est pas ainsi enflammée que dans les récits hagiographiques postérieurs, mais on peut y observer deux chefs d’accusation pesant sur les médecins païens: leur extrême avidité et l’indifférence pour le vrai salut du malade, ce qui marque au fond leur incapacité de soigner l’homme dans son unité de corps et d’âme. Quant aux formes sous lesquelles s’exprime la dispute envers la médecine et les médecins païens dans le libellus miraculorum des deux saints, elles sont en accord avec toute la littérature hagiographique : plus que sur l’argumentation et le logos, on joue sur l’exemplum, sur le conte amusant et étonnant, mais avec un but pédagogique.

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LA POLÉMIQUE ENTRE JUIFS ET CHRÉTIENS DANS LES TEXTES HAGIOGRAPHIQUES DU HAUT MOYEN ÂGE

Le sujet des rapports entre Juifs et Chrétiens a connu ces dernières années une fortune singulière, due à l’évaluation d’un type de sources – les textes hagiographiques – traditionnellement abordées sous d’autres points de vue, qui sont tout aussi intéressants. En effet, le débat historiographique des dernières décennies a conduit les historiens à envisager autrement la moisson d’informations que fournissent ces sources. Il est désormais acquis que la connaissance de l’histoire non seulement religieuse, mais aussi institutionnelle, politique et culturelle de l’Occident, et ses rapports complexes avec l’Orient du haut Moyen Âge repose en grande partie sur la production hagiographique qui s’est exprimée à travers différents genres littéraires : Passiones, Vitae, Inventiones, Translationes, Apparitiones de martyrs et de saints, Historiae de sanctuaires et de lieux de culte. C’est grâce à cette riche production que nous sommes introduits dans la vie quotidienne des Chrétiens et que nous en connaissons les attentes, les espoirs, les comportements, les idéaux de sainteté, les formes et les supports de dévotion, les pratiques cultuelles et liturgiques, l’organisation communautaire, et les relations avec les autres croyances.1 La critique a mis en lumière les précieux éléments que les sources hagiographiques peuvent apporter au travail historique, au-delà de toutes les carac-

1 Ces dernières décennies, l’étude des saints et de la sainteté a vu une série de recherches centrées sur le vécu chrétien, c’est-à-dire sur les différentes manifestations du peuple chrétien, considéré dans les aspects de la vie quotidienne, qu’elle soit communautaire ou individuelle ; dans le sillage de la méthode des Annales, la religion chrétienne n’a pas été envisagée par le sommet mais par la base ; on a non seulement étudié l’histoire des doctrines et des événements majeurs, mais aussi celle du peuple anonyme des fidèles. Sur ces tendances historiographiques, cfr Histoire vécue du peuple chrétien, ed. Jean Delumeau, Paris, Privat, 1979, éd. ital. dir. par Franco Bolgiani, Torino, Società Editrice Internazionale, 1985 ; MANLIO SIMONETTI, Il cristianesimo antico, in Storia del cristianesimo. Bilanci e questioni aperte. Atti del seminario per il cinquantesimo del Pontificio Comitato di Scienze Storiche ; Città del Vaticano, 3-4 giugno 2005, ed. Giovanni Maria Vian, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007, pp. 9-31.

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téristiques fantastiques et légendaires qui les accompagnent.2 Les recherches individuelles et collectives des dernières décennies ont alimenté et, pour certains aspects, renouvelé les orientations de la science hagiographique en contribuant à en faire un des secteurs les plus innovants de l’historiographie contemporaine. Les textes hagiographiques ont été étudiés dans leur identité intrinsèque, dans leur variété typologique et dans leurs relations avec les autres sources ; les méthodes d’interprétation se sont affinées, en corrélation avec l’étude du contexte, des lieux, des objectifs, des fonctions et des différents usages, liés à la connaissance des cultes et des pratiques dévotionelles. Dans le cadre des progrès qui ont été enregistrés dans l’analyse des sources hagiographiques, nous proposons quelques réflexions relatives aux motivations et au sens de la présence des Juifs dans l’hagiographie du haut Moyen Âge, époque à laquelle la confrontation/affrontement entre Chrétiens et Juifs prit une forme et un caractère différents de ceux des premiers siècles de l’ère chrétienne car les Juifs ne constituaient pas un groupe en voie de marginalisation, comme on le verra à partir des XIIIe-XIVe siècles.3 En nous fondant sur le riche matériau hagiographique, nous nous proposons de montrer comment l’hagiographie chrétienne présente les Juifs et le monde hébraïque, en quelles occasions et dans quel contexte ils

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Sur les rapports entre hagiographie et histoire, la bibliographie est désormais très vaste ; nous nous limiterons à signaler, notamment : BAUDOIN DE GAIFFIER, Hagiographie et historiographie. Quelques aspects du problème, in La storiografia altomedievale. Atti della XVII Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo ; Spoleto, 10-16 aprile 1969, Spoleto, CISAM, 1970, pp. 139-166 ; SOFIA BOESCH GAJANO, Il culto dei santi ; filologia, antropologia e storia, in «Studi storici» I (1982), pp. 119-136 ; EAD., Uso e abuso del miracolo nella cultura altomedioevale, in Les fonctions des Saints dans le monde occidental (IIIe-XIIIe siècle). Actes du colloque ; Rome, 27-29 octobre 1988, Roma, Boccard, 1991 (Collection de l’École Française de Rome, 149), pp. 109-122 ; EAD., Dalla storiografia alla storia, in Miracoli. Dai segni alla storia, edd. Sofia Boesch Gajano, Marilena Modica, Roma, Viella, 2000, pp. 215-233 ; EAD., La strutturazione della cristianità occidentale, in ANNA BENVENUTI, SOFIA BOESCH GAJANO, SIMON DITCHFIELD, ROBERTO RUSCONI, FRANCESCO SCORZA BARCELLONA, GABRIELLA ZARRI, Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Roma, Viella, 2005, p. 146 ; PAOLO GOLINELLI, Agiografia e storia in studi recenti, in «Società e storia» XIX (1983), pp. 109-120 ; CLAUDIO LEONARDI, Il problema storiografico dell’agiografia, in Storia della Sicilia e tradizione agiografica nella tarda antichità. Atti del Convegno di Studi ; Catania, 20-22 maggio 1986, ed. Salvatore Pricoco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1988, pp. 13-23 ; GIORGIO OTRANTO, Per una metodologia della ricerca storico-agiografica ; il santuario micaelico del Gargano tra Bizantini e Longobardi, in «Vetera Christianorum» XXV (1988), pp. 381-405 ; FRANCESCO SCORZA BARCELLONA, Dal tardoantico all’età contemporanea e ritorno ; percorsi scientifici e didattici nella storiografia agiografica, in Santità, culti, agiografia. Temi e prospettive. Atti del I Convegno di studio dell’Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell’agiografia ; Roma, 24-26 ottobre 1996, ed. Sofia Boesch Gajano, Roma, Viella, 1997, pp. 15-26. 3 Sur ces questions, cfr IMMACOLATA AULISA, Giudei e cristiani nell’agiografia dell’alto medioevo, Bari, Edipuglia, 2009 (Quaderni di Vetera Christianorum, 32).

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LA POLÉMIQUE ENTRE JUIFS ET CHRÉTIENS

sont évoqués ; plus généralement, pourquoi elle s’intéresse au judaïsme.4 L’histoire des Juifs pendant le haut Moyen Âge est non seulement difficilement reconstituable du fait du manque de documents, mais aussi à cause de leur imprécision et du caractère tendancieux avec lequel les Juifs sont présentés par les Chrétiens.5 Comme on le sait, la comparaison entre Juifs et Chrétiens a intéressé les différents genres de la littérature chrétienne, du dialogus au tractatus, à l’epistola, aux testimonia, à l’homilia, aux sermones, aux controversiae et aux suasoriae.6 La riche production chrétienne antihébraïque a fait l’objet d’enquêtes ponctuelles dans lesquelles les circonstances, les contenus et les résultats de la polémique ont été restitués.7 4 Sur ces problématiques, cfr entre autres : HEINRICH LOEWE, Die Juden in der Katholischen Legende, Berlin, Jüdischen Verlag, 1912 ; BERNHARD BLUMENKRANZ, Juden und Jüdisches in christlichen Wundererzählungen. Ein unbekanntes Gebiet religiöser Polemik, in «Theologische Zeitschrift» X (1954), pp. 417-446 ; ANDRÉ VAUCHEZ, La santità nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1989 ; REGINALD GRÉGOIRE, I testi agiografici ; tra fonti bibliche, relazioni con ebraismo ed islamismo, ed influssi eterodossi, in Euplo e Lucia (304-2004). Agiografia e tradizioni cultuali in Sicilia. Atti del Convegno di Studi ; Catania, Siracusa, 1-2 ottobre 2004, edd. Teresa Sardella, Gaetano Zito, Catania, Giunti, 2006, pp. 307-327 ; et les Indicazioni bibliografiche dir. par. SOFIA BOESCH GAJANO (avec la collaboration de MARIA TERESA CACIORGNA, DIEGO QUAGLIONI ET SIMONETTA SAFFIOTTI BERNARDI), in Aspetti e problemi della presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XV), ed. Sofia Boesch Gajano, Roma 1983 (Quaderni dell’Istituto di scienze storiche dell’Università di Roma, 2), p. 375. 5 À cet égard, les considérations de ROBERT BONFIL sont précieuses (Sulla storia culturale degli Ebrei dell’Italia meridionale, in ROBERT BONFIL, Tra due mondi. Cultura ebraica e cultura cristiana nel Medioevo, Napoli, Liguori, 1996, p. 65). 6 Cfr GIORGIO OTRANTO, La «Disputa tra Giasone e Papisco sul Cristo» falsamente attribuita ad Aristone di Pella, in «Vetera Christianorum» XXXIII (1996), pp. 337-339 ; ID., La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino, in «Annali di Storia dell’Esegesi» XIV (1997), fasc. 1, pp. 55-57. 7 Les points de référence incontournables sont les recherches de JEAN JUSTER , Les Juifs dans l’Empire romain. Leur condition juridique, économique et sociale, 2 voll., Paris, Libraire Paul, 1914 ; ARTHUR LUKYN WILLIAMS, Adversus Judaeos. A Bird’s Eye View of Christian Apologiae until the Renaissance, Cambridge, Univerity Press, 1935 ; BERNHARD BLUMENKRANZ , Juifs et chrétiens dans le monde occidental (430-1096), Paris, Mouton et Co, 1960 ; ID., Les auteurs chrétiens latins du Moyen Âge sur les juifs et le judaïsme, Paris, Mouton et Co, 1963 ; MARCEL SIMON , « Verus Israel». Étude sur les relations entre chrétiens et juifs dans l’Empire Romain (135-425), Paris, de Boccard, 1964 ; ANDREW SHARF, Byzantine Jewry from Justinian to the Fourth Crusade, London, Routledge et Kegan Paul, 1971 ; HEINZ SCHRECKENBERG, Die christlichen Adversus-JudaeosTexte und ihr literarisches und historisches Umfeld. I. 1.-11. Jh., Frankfurt-Bern, Lang, 1982. Au fil des ans, de nombreuses autres contributions ont vu le jour, nous renvoyons à la bibliographie fournie par MAURO PESCE, Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella sua utilizzazione. Riflessioni metodologiche, in «Annali di Storia dell’Esegesi» XIV (1997), fasc. 1, pp. 28-29, note 26 ; ID., Il cristianesimo e la sua radice ebraica. Con una raccolta di testi sul dialogo ebraico-cristiano, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 1994 ; et à GIORGIO OTRANTO, Esegesi biblica e storia in Giustino («Dial.» 63-84), Bari, Edipuglia, 1979 ; ID., La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino, pp. 55-82 ; SOFIA BOESCH

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L’abondante littérature chrétienne hostile au judaïsme dérivait essentiellement de la conception très répandue, surtout dans la mentalité populaire, du rôle actif qu’auraient eu les Juifs dans la mort du Christ : il était facile de créer des récits dans lesquels on insinuait ou on énonçait explicitement cette culpabilité. Cependant, les textes hagiographiques du haut Moyen Âge peuvent fournir des données d’intérêt considérable pour esquisser un tableau des relations entre les deux groupes religieux ; ces textes ont en effet conservé des mentions propres aux siècles précédents, mais, en même temps ils contiennent in nuce les thèmes qui deviendront récurrents par la suite : Gilbert Dahan8 a souligné, à juste titre, le caractère «transitoire» et «bipolaire» de ces textes. Un parcours diachronique peut souligner, dans le rapport complexe entre hagiographie et histoire de la société,9 les continuités et les changements, ainsi que les connexions et les interrelations entre la tradition et l’innovation. En comparaison avec d’autres sources, les textes hagiographiques, accessibles à un public large et varié de fidèles, reflètent tout particulièrement certains aspects de la vie quotidienne et laissent transparaître des éléments d’innovations religieuses en rapport avec l’évolution de la societas à travers les siècles. Un recensement des sources hagiographiques, aussi incomplet et provisoire qu’il soit, peut se révéler intéressant pour mieux comprendre la vie quotidienne et l’histoire des mentalités, du moment où,

GAJANO, Per una storia degli Ebrei in Occidente tra Antichità e Medioevo. La testimonianza di Gregorio Magno, in «Quaderni Medievali» VIII (1979), p. 1243 ; LELLIA CRACCO RUGGINI, Pagani, ebrei e cristiani ; odio sociologico e odio teologico nel mondo antico, in Gli Ebrei nell’Alto Medioevo. Atti della XXVI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo ; Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978, Spoleto, CISAM, 1980, pp. 15-101 ; GUY G. STROUMSA, Dall’antigiudaismo all’antisemitismo nel cristianesimo primitivo?, in «Cristianesimo nella storia» XVII (1996), fasc. 1, pp. 13-46 ; ID., La formazione dell’identità cristiana, Brescia, Morcelliana, 1999. 8 Saints, démons et Juifs, in Santi e demoni nell’alto medioevo occidentale (secoli V-XI). Atti della XXXVI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo ; Spoleto, 7-13 aprile 1988, Spoleto, CISAM, 1989, p. 611. 9 La bibliographie sur cette question, qui a retenu l’attention de nombreux chercheurs et qui est au cœur de plusieurs projets collectifs, est particulièrement riche ; nous nous limiterons à signaler ici la bibliographie publiée en annexe aux volumes Agiografia altomedievale, ed. Sofia Boesch Gajano, Bologna, Il Mulino, 1976, et Saints and Their Cults. Studies in Religious Sociology, Folklore and History, ed. Stephen Wilson, Cambridge, Cambridge University Press, 1983 ; les actes des colloques Hagiographie, Cultures et Sociétés, IVe-XIIe siècles. Actes du colloque ; Nanterre, Paris, 2-5 mai 1979, Paris, 1981 ; Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, edd. Sofia Boesch Gajano, Lucia Sebastiani, L’Aquila, Japadre, 1984 (Collana di studi storici, 1) ; les informations diffusées chaque année par l’AISSCA (Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell’agiografia), consultables sur leur site : www.aissca.it.

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dans la vie des communautés, les Juifs se virent attribuer des activités et des rôles différents dans les domaines culturel et religieux. Aussi, par une lecture attentive, on peut constater comment, à l’intérieur d’un même thème, ce ne sont pas des schémas narratifs “fixes” qui prévalent, mais des épisodes caractéristiques, chacun étant traité selon une dynamique interne spécifique. La disparilitas des thèmes qui concernent les Juifs dans les sources hagiographiques implique qu’ils n’étaient pas automatiquement devenus des topoi littéraires. Les éléments d’ordre historique que l’on peut déduire de l’hagiographie, quoique modestes, peuvent se révéler précieux si on les envisage, non comme des témoignages d’événements réels, mais plutôt en relation avec d’autres événements historiques, ce qui nous permet de mieux restituer quelques aspects des relations entre Juifs et Chrétiens. Surtout, la tradition hagiographique a une valeur particulière en l’absence de documentation suffisante, comme c’est le cas pour l’Italie byzantine du haut Moyen Âge ou pour quelques parties des provinces de l’Orient ; les biographies des saints se révèlent utiles pour apporter la confirmation mais aussi l’unique témoignage sur des événements politiques et des orientations spirituelles.10 La production hagiographique permet, en outre, de restituer une sorte d’«idéologie» des Chrétiens face au judaïsme : en effet, la dimension narrative des textes relatifs aux saints reflète les différentes fonctions à l’intérieur de la société où ils ont été produits. La cohérence avec la réalité des événements rapportés pouvait varier, mais, dans tous les cas, elle traduisait une certaine adhésion à la mentalité des destinataires et des bénéficiaires, fussent-ils lecteurs ou auditeurs.11 Les œuvres hagiographiques qui mentionnent les Juifs sont nombreuses ; nous nous limiterons à en examiner quelques unes, que nous considérons comme significatives, en tenant compte d’une part de ce que les documents se proposent de transmettre pour l’édification des fidèles, ENRICA FOLLIERI, Il culto dei santi nell’Italia greca, in La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Padova, Antenore, 1972, II, p. 553 ; VERA VON FALKENHAUSEN, La «Vita» di S. Nilo come fonte storica per la Calabria bizantina, in Atti del Congresso Internazionale su S. Nilo di Rossano ; Rossano, 28 settembre-1° ottobre 1986, Rossano, Grottaferrata, Università Popolare Rossano, 1989, p. 271. 11 Sur ces points, cfr les actes des congrès organisés par l’AISSCA ; Santità, culti, agiografia ; Scrivere di santi. Atti del II Convegno di studio dell’AISSCA ; Napoli, 22-25 ottobre 1997, ed. Gennaro Luongo, Roma, Viella, 1998 ; Il pubblico dei santi. Forme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici. Atti del III Convegno di studio dell’AISSCA ; Verona, 22-24 ottobre 1998, ed. Paolo Golinelli, Roma, Viella, 2000 ; Il Tempo dei santi tra Oriente e Occidente dal tardo antico al concilio di Trento. Atti del IV Convegno di studio dell’AISSCA ; Firenze, 26-28 ottobre 2000, edd. Anna Benvenuti, Marcello Garzaniti, Roma, Viella, 2005 ; cfr en outre : Luoghi sacri e spazi della santità, edd. Sofia Boesch Gajano, Lucetta Scaraffia, Torino, Rosenberg et Sellier, 1990 ; SOFIA BOESCH GAJANO, La santità, Roma-Bari, Laterza, 1999. 10

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et, d’autre part, de ce qu’ils peuvent indiquer sur l’identité des communautés chrétiennes et sur la vie quotidienne.12 Nous ne tiendrons pas compte des nombreux textes qui contiennent aussi des mentions sporadiques relatives à l’incrédulité, à l’infidélité et à la trahison des Juifs car ils rapportent les caractéristiques et les visions conventionnelles vis-à-vis des Juifs, véhiculant le leitmotiv d’un courant de pensée d’origine théologique que l’on peut définir comme antijudaïque et qui a caractérisé le christianisme dans son œuvre d’autodéfinition.13 Les textes hagiographiques ne se limitent pas à une «fixité» de forme et de contenu ; en effet, ils se renouvellent par des remaniements continus et par des actualisations, reflètant le changement des mentalités et des sentiments religieux.14 Pour la production de l’Antiquité tardive et du haut Moyen Âge, l’historiographie critique a mis en relief la dimension hagiographique d’écrits de différents genres littéraires et une certaine souplesse dans la définition même des «genres», surtout en considérant le fait qu’ils se caractérisent souvent par leurs contenus, leurs fonctions et leurs nouveaux destinataires.15 L’écriture hagiographique s’exprime par des formes variées, surtout durant l’Antiquité tardive et le haut Moyen Âge quand les nouveaux modèles littéraires n’étaient pas tous définis et que les instruments de la tradition classique étaient en train de s’adapter à de nouveaux sujets. Dans la variété typologique des sources, il faut donc accorder une attention particulière à la spécificité de chaque œuvre et aux structures narratives : en effet, les écrits laissent transparaître des buts différents, déterminés par des contextes culturels, religieux et sociaux spécifiques, où sont campés des acteurs, un public et un cadre évidemment très différents d’une période à l’autre. On ne peut ici faire abstraction de quelques réflexions sur le rapport entre l’auteur, les figures de saints, les formes de narration et les formes de propagande sous-jacentes.16

12

Cfr par exemple Hagiographie, Cultures et Sociétés ; Culto dei santi, istituzioni e classi sociali. 13 Sur les questions relatives aux tentatives d’autodéfinition des Chrétiens, cfr ROSEMARY RADFORD RUETHER, Faith and Fratricide. The Theological Roots of AntiSemitism, New York, Seabury Press, 1974 ; EAD., Disputed Questions. On Being a Christian, New York, Orbis Books, 19892 ; MIRIAM TAYLOR, Anti-Judaism and Early Christian Identity. A Critique of the Scholarly Consensus, Leiden, Brill, 1995 ; STROUMSA, Dall’antigiudaismo all’antisemitismo nel cristianesimo primitivo?, pp. 13-46 ; ID., La formazione dell’identità cristiana. 14 GENNARO LUONGO, Presentazione, in Scrivere di santi, p. 7seq. 15 SOFIA BOESCH GAJANO, L’agiografia, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo. Atti della XLV Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo ; Spoleto, 3-9 aprile 1997, Spoleto, CISAM, 1998, pp. 797843 ; LUONGO, Presentazione, pp. 7-13. 16 Sur ces points, voir SOFIA BOESCH GAJANO, Le metamorfosi del racconto, in Lo spazio letterario di Roma antica. III. La ricezione del testo, edd. Guglielmo Cavallo, Paolo Fedeli, Andrea Giardina, Roma, Salerno Editrice, 1990, p. 222seq.

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Dans les sources hagiographiques la présence des Juifs varie : parfois ils sont vus comme un peuple, parfois dans leur individualité, parfois comme communauté organisée sur les plans cultuel, culturel et commercial, souvent opposée aux Chrétiens. De plus, le rapport entre les Juifs et les Chrétiens rappelle d’autres aspects de la société de l’Antiquité tardive et du Moyen Âge : des conversions au culte des reliques et à la vénération des images. «Identité/refus», «conservation/assimilation» peuvent être considérés comme les termes des problèmes généraux qui caractérisent la présence du judaïsme dans le monde occidental, avec l’émergence d’influences, d’échanges et d’imbrications.17 L’histoire des communautés hébraïques n’est plus aujourd’hui envisagée simplement à la lumière du dualisme tolérance/intolérance ou dans le sillage de l’antijudaïsme, mais dans la conscience d’une réalité complexe et d’une identité hébraïque, avec des déclinaisons sociales et culturelles, de même que la société chrétienne n’est plus considérée comme un bloc monolithe, mais dans ses différentes expressions et dans ses différentes interactions socio-économiques et culturelles.18 Au cours des siècles, le rapport entre les Chrétiens et les Juifs s’est très souvent caractérisé comme antinomique : alors qu’à certaines époques et en quelques endroits, les Juifs ont pris une part active à la vie économique et sociale, à d’autres époques, ils étaient connotés comme étrangers au milieu local, dans un équilibre ambigu, qui les a en même temps placés à l’intérieur et à l’extérieur de la société chrétienne. La partie la plus importante de l’hagiographie occidentale est une production tardive, qui se situe essentiellement entre le Ve et le VIe siècle, mais qui se développa surtout à partir du VIIIe siècle.19 Nous sommes conscients que pour la plupart de ces textes hagiographiques, la question de la datation reste souvent ouverte et parfois irrésolue : sauf en de rares cas, en effet, on ne peut les dater avec certitude. On ne peut masquer les 17 SOFIA BOESCH GAJANO, Identità, conversioni, intrecci. Nuovi «itinerari» nei rapporti tra ebraismo e cristianesimo, in «Società e Storia» XLIII (1989), pp. 117-131. 18 Aspetti e problemi della presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale ; EAD., Presenze ebraiche nell’Italia medievale. Identità, stereotipi, intrecci, in La storia degli Ebrei nell’Italia medievale ; tra filologia e metodologia, edd. Maria Giuseppina Muzzarelli, Giacomo Todeschini, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali naturali della Regione Emilia Romagna, 1989, p. 15 ; MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI, Storia degli ebrei e storia locale, ibidem, pp. 72-80 ; BONFIL, Tra due mondi. 19 Cfr SALVATORE PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale ; la Sicilia, in Santi e demoni nell’alto medioevo occidentale, p. 327. Sur les plus anciennes passiones des martyrs cfr la bibliographie classique constituée par les études de HIPPOLYTE DELEHAYE, Les passions des martyrs et les genres littéraires, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1921 (Subsidia Hagiographica, 13 B) ; Les légendes hagiographiques. Troisième édition revue, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1927 (Subsidia Hagiographica, 18) ; Études sur le légendier romain. Les saints de novembre et de décembre, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1936 (Subsidia Hagiographica, 23) ; cfr aussi RENÉ AIGRAIN, L’hagiographie ; ses sources, ses méthodes, son histoire, Paris, Bloud et Gay, 1953, nouv. éd. dir. par. ROBERT GODDING, Bruxelles, Société des Bollandistes, 2000 (Subsidia Hagiographica, 80).

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limites qui résultent d’une lecture thématique d’une partie de la littérature hagiographique où il subsiste des textes inédits d’une certaine importance. En effet, on ne peut pas toujours définir la rédaction originelle des œuvres hagiographiques et approfondir leurs stratifications culturelles et les différentes manipulations idéologiques auxquelles elles ont été soumises au cours des siècles. L’approche de ces sources ne peut donc pas faire l’économie de l’histoire des textes : la tradition manuscrite, en effet, est très souvent riche et difficilement réductible à ce qui s’insère traditionnellement sous le nom d’archétype ; elle représente le résultat des remaniements continus et des tentatives d’ajournement dus aux exigences des communautés chrétiennes. La science hagiographique distingue maintenant, dans ces œuvres, un noyau primitif souvent soumis, cependant, aux opérations de réécriture et d’ajournement, dûes au besoin d’«actualiser» les textes et de les rendre directement disponibles à la communauté des fidèles : on pense, en particulier, aux recherches de Sofia Boesch Gajano,20 André Vauchez,21 Guy Philippart,22 François Dolbeau,23 Claudio Leonardi,24 Paolo Il culto dei santi ; filologia, antropologia e storia, pp. 119-136 ; EAD., Le metamorfosi del racconto ; EAD., Tra bilanci e prospettive, in «Cassiodorus» II (1996), pp. 231-242 ; EAD., L’agiografia, pp. 797-843. 21 La santità ; ID., Saints admirables et saints imitables : les fonctions de l’hagiographie ont-elles changé aux derniers siècles du Moyen Âge ?, in Les fonctions des Saints, pp. 161-172. 22 Le manuscrit hagiographique latin comme gisement documentaire. Un parcours dans les “Analecta Bollandiana de 1960 à 1989”, in Manuscrits hagiographiques et travail des hagiographes, ed. Martin Heinzelmann, Sigmaringen, Thorbecke, 1992, pp. 17-48 ; ID., Martirologi e leggendari, in Lo spazio letterario del Medioevo. I. Il Medioevo latino. II. La circolazione del testo, edd. Guglielmo Cavallo, Claudio Leonardi, Enrico Menestò, Roma, Salerno Editrice, 1994, pp. 605-648 ; ID., Hagiographes et hagiographie, hagiologues et hagiologie ; des mots et des concepts, in «Hagiographica» I (1994), pp. 1-16 ; ID., Pour une histoire générale, problématique et sérielle de la littérature et de l’édition hagiographiques latines de l’antiquité et du moyen âge, in «Cassiodorus» II (1996), pp. 197-213. 23 FRANÇOIS DOLBEAU, MARTIN HEINZELMANN, JOSEPH-CLAUDE POULIN, Les sources hagiographiques narratives composées en Gaule avant l’an mil. Inventaire, examen critique, datation, in «Francia» XV (1987), pp. 701-731 ; FRANÇOIS DOLBEAU, Critique d’attribution, critique d’authenticité. Réflexions préliminaires, in FRANÇOIS DOLBEAU, «Sanctorum societas». Récits latins de sainteté (IIIe-XIIe siècles), Bruxelles, Société des Bollandistes, 2005 (Subsidia Hagiographica, 85), pp. 3-32 ; ID., Les hagiographes au travail ; collecte et traitement des documents écrits (IXe-XIIe siècles), ibidem, pp. 49-76. 24 I modelli dell’agiografia latina dall’epoca antica al medioevo, in Passaggio dal mondo antico al Medio Evo da Teodosio a San Gregorio Magno. Atti del Convegno ; Roma, 25-28 maggio 1977, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1980 (Atti dei Convegni Lincei, 45), pp. 435-476 ; ID., L’agiografia latina dal tardoantico all’alto medioevo, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo. Atti del Convegno ; Roma, 12-16 novembre 1979, Roma, Herder, 1981, II, pp. 643-659 ; ID., Il problema storiografico dell’agiografia, pp. 13-23 ; ID., Agiografia, in Lo spazio letterario del Medioevo. I. Il Medioevo latino. I/2. La produzione del testo, edd. Gugliemo Cavallo, Claudio Leonardi, Enrico Menestò, Roma, Salerno Editrice, 1993, pp. 421-462. 20

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Golinelli,25 Reginald Grégoire,26 Giorgio Otranto,27 aux initiatives de nombreux congrès,28 et aux contributions rassemblées dans le premier dossier de l’année 2004 de la revue Sanctorum, entièrement consacré à l’édition critique des sources hagiographiques. Comme on l’a récemment souligné, la tradition relative à la vie d’un saint se modifie au cours des siècles et s’enrichit : Sofia Boesch Gajano29 fait référence à une «longue vie du saint après la mort», illustrée par des écrits conservés dans des manuscrits tardifs ou des réécritures qui, avec les images, ont modelé ou remodelé l’identité du saint en rapport avec des contextes et des fonctions religieuses, politiques et sociales différentes dans le temps et dans l’espace. D’autre part, les nouvelles tendances de l’hagiographie tendent à mettre en évidence la dynamique évolutive des cultes, selon laquelle le culte d’un saint peut revêtir, dans une même zone de diffusion, des caractères différents selon l’époque ou selon la succession de régimes politiques divers. Nous citons, pour nous limiter à un seul exemple, le rapport mis en évidence par Giorgio Otranto30 entre le culte michaélique du Gargan et les Byzantins, Lombards, Normands, Souabes, Angevins qui s’imposèrent en Pouille entre le VIe et le XIVe siècle.

1. PERSÉCUTION ET MARTYRE Dans les textes hagiographiques du haut Moyen Âge, la figure du Juif persécuteur, ou de toute façon impliqué dans les persécutions des 25

Gli studi agiografici in Italia nell’ultimo trentennio, in «Hagiographica» VI (1999), p. 103seq. 26 Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, Fabriano, Monastero San Silvestro Abate, 1987. 27 Il «Liber de apparitione», il santuario di San Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento, in Santuari e politica nel mondo antico, ed. Marta Sordi, Milano, Vita e Pensiero, 1983 (Contributi dell’Istituto di storia antica, IX), pp. 210-245 ; ID., Per una metodologia della ricerca storico-agiografica. 28 Cfr en particulier le volume Hagiographie, Cultures et Sociétés, dans lequel sont présentés les résultats d’un congrès de chercheurs qui ont ressenti le besoin d’ancrer profondément l’hagiographie à l’histoire et ont consacré la première session de leurs travaux aux questions philologiques, voyant dans la transmission des récits hagiographiques un des objets spécifiques de la recherche historique. 29 L’agiografia, pp. 800. 806-808 ; cfr aussi VERA VON FALKENHAUSEN, Problemi di traduzione di testi agiografici nel Medioevo ; il caso della «passio sancti Erasmi», in Santità, culti, agiografia, pp. 129-138 ; LUONGO, Presentazione, pp. 7-13 ; ANTONIO GARZYA, Sull’agiografia bizantina, in Scrivere di santi, pp. 509-511 ; GOLINELLI, Sul testo agiografico, ibidem, pp. 513-516 ; STEFANO DICHIARA, Una bibliografia sulle Raccolte di Vite di santi. Criteri di compilazione e ipotesi interpretative, in Erudizione e devozione. Le Raccolte di Vite di santi in età moderna e contemporanea, ed. Gennaro Luongo, Roma, Viella, 2000 (Sacro/santo, N.S., 4), pp. 329-367. 30 Il «Liber de apparitione», il santuario di San Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento.

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Chrétiens, apparaît sporadiquement ; toutefois, ce qui surprend, ce sont les versions renouvelées des récits des martyres des premiers siècles qui continuent à véhiculer cette vision sans atténuer la responsabilité des Juifs. Dans cette optique, les Juifs sont considérés comme un des obstacles principaux à la diffusion du message chrétien et comme de redoutables adversaires du message chrétien. On a l’impression que l’on continue à reprendre un modèle littéraire, mais aussi une croyance répandue et enracinée dans les milieux chrétiens engagés au niveau théologique ou pastoral : le plus souvent, plus qu’à une réalité historique, on peut penser que cela renvoie à la vision propre aux Chrétiens qui laisse filtrer des dynamiques liées à des formes de propagande de leur propre foi et à leur capacité de faire du prosélytisme. Parmi les sources les plus anciennes des premiers siècles, le Martyrium de Polycarpe de Smyrne31 décrit l’acharnement des Juifs du IIe siècle contre l’évêque chrétien et les cris qu’ils poussaient pour le jeter aux fauves et le brûler vif. À ce moment, comme lors du procès, l’auteur souligne l’hostilité des Juifs qui, à cette occasion, s’unirent aux païens. Le Martyrium de Pione32 décrit la place où le samedi les Chrétiens sont amenés enchaînés ; la place est bondée de « Grecs, de Juifs et de femmes », qui affichent une véritable satisfaction en assistant au spectacle. Cependant, la mention des Juifs fait naître un doute : on a pensé à une influence du Martyrium de Polycarpe dans lequel le rôle des Juifs dans le martyre du saint est bien souligné. L’auteur, en effet, montre à plusieurs reprises vouloir mettre le martyre de Pione en relation avec celui de Polycarpe, devenu le saint le plus célèbre de l’Église de Smyrne. Pione s’en prend durement aux Juifs, il leur reproche la joie qu’ils affichent au spectacle des Chrétiens qui sacrifient aux dieux, ainsi que leurs nombreux péchés d’idolâtrie et d’irrévérence commis envers Dieu au cours de leur longue histoire. Quelques mots seulement sont adressés aux habitants de Smyrne, tandis que les Juifs subissent une invective longue et détaillée, que seule une partie de l’auditoire pouvait saisir, car elle était presque incompréhensible à la majorité de la foule constituée de païens. Considérant que les arguments de ce genre étaient largement répandus dans la littérature apologétique et que le discours est plein d’érudition, les mots prononcés par Pione contre les Juifs pourraient être un rajout postérieur ou une interpolation maladroite.33 Pione prononça un second discours dans 31

BHG 1557 ; Martyrium 12-13. 17-18, edd. Antoon A.R. Bastiaensen et al., Atti e passioni dei martiri, Milano, Mondadori, 1987 (Fondazione Lorenzo Valla ; Scrittori greci e latini), pp. 18-20. 26 ; cfr aussi PAUL MONCEAUX, La vraie légende dorée, Paris, Payot, 1928, pp. 11-128 ; Policarpo di Smirne. «Lettera ai Filippesi. Martirio», ed. Clara Burini, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 1998, pp. 148-151. 160-164. 32 BHG 1546 ; Martyrium 3, edd. Bastiaensen et al., p. 156. 33 M. SIMONETTI, Studi agiografici, Roma, Signorelli, 1955, p. 17seq.

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lequel il visait aussi les Juifs : 34 dans ce cas, puisqu’il n’y a pas de détails érudits et puisque le saint désapprouve le fait que les Juifs cherchaient à attirer à eux les Chrétiens, il faut croire que les mots proférés sont authentiques.35 Dans certaines Vitae, les Juifs se caractérisent par leur acharnement contre les martyrs chrétiens, en endossant un rôle actif lors de la persécution, comme dans le cas de la passio d’Austremoine, évêque de Clermont,36 ou de celle de Mancius ;37 dans d’autres Vitae, ils observent complaisamment le supplice du martyr, comme dans la passio de Victor de Césarée ;38 parfois ils provoquent et suggèrent le supplice et ils assistent satisfaits aux

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Martyrium 13-14, edd. Bastiaensen et al., pp. 174-180. SIMONETTI, Studi agiografici, p. 38. GIULIANA LANATA considère comme suspecte les deux invectives de Pione contre les Juifs (Gli atti dei martiri come documenti processuali, Milano, Giuffré, 1973, p. 173). 36 AA.SS. Nov. 1, 51-52 (BHL 844) ; 57-58 (BHL 845) ; 68-69 (BHL 848). Le martyre du saint est daté entre le Ier et le IVe siècle ; il semble cependant plus probable que son épiscopat ait pu se situer au début du IVe siècle ; cfr GULIELMUS VAN HOOFF, Commentarius, in AA.SS. Nov. 1, 23 ; PAUL VIARD, in Bibliotheca Sanctorum, II (1962), coll. 631-632, s.v. Austremonio, vescovo di Clermont, santo. La passio du saint a été composée au haut Moyen Âge ; la première rédaction, plus courte et moins riche en détails, est probablement du VIIe siècle ; la deuxième du VIIIe siècle et la troisième, la plus longue, a été réalisée à partir du IXe siècle ; cfr VAN HOOFF, Commentarius, in AA.SS. Nov. 1, 26. LOUIS DUCHESNE croit, par contre, que les trois recensiones de la Vita doivent être datées entre le IXe et le Xe siècle [Saint Martial de Limoges, in «Annales du Midi» IV (1892), p. 300, note 2 ; ID., Sur la translation de S. Austremoine, in «Analecta Bollandiana» XXIV (1905), p. 105seq.]. Sur les positions des chercheurs autour de la datation de la Vita, sur la question de la datation et la chronologie relative entre les diverses recensiones, cfr aussi ALBERTO PONCELET, La plus ancienne vie de S. Austremoine, in «Analecta Bollandiana» XIII (1894), pp. 33-46. 37 BHL 5219 ; AA.SS. Maii 5, 33. On possède peu de renseignements concernant la vie du saint ; il était peut-être d’origine romaine et fut tué par des Juifs dans le territoire d’Evora, au Portugal ; généralement, cet événement est situé entre le Ve et le VIe siècle ; cfr PIETRO BURCHI, in Bibliotheca Sanctorum, VIII (1966), col. 627, s.v. Mancio (Manzio), vescovo di Ebora, santo, martire ; FRANCESCO LANZONI, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), Faenza, Lega, 1927, p. 715 ; DANIEL PAPEBROCH, Commentarius, in AA.SS. Mai 5, 31. 33 ; DAHAN, Saints, démons et Juifs, p. 615. 38 BHL 8565. La passio a été publiée par les Bollandistes à partir d’un manuscrit e du XI siècle de l’abbaye de Silos ; cfr Catalogus codicum hagiographicorum latinorum antiquiorum saec. XVI qui asservantur in Bibliotheca Nationali Parisiensi, edd. Hagiographi Bollandiani, Bruxelles 1893, III, p. 504seq. Le manuscrit utilisé pour l’édition est celui de PARIS, Bibliothèque Nationale, Nouvelles acquisitions 2179, ff. 278v-279v. On doit à PILAR RIESCO CHUECA une édition plus récente, établie d’après deux autres mauscrits : Pasionario hispánico. Introducción, Edición Crítica y Traducción, Sevilla, Universidad, 1995. La passio est datée peu de temps après le milieu du Ve siècle ; cfr JOSEPH DE GUIBERT, Saint Victor de Césarée, in «Analecta Bollandiana» XXIV (1905), pp. 257-264 ; FRANCESCO SCORZA BARCELLONA, La Passione di Vittore di Cesarea (BHL 8565) e l’agiografia della «Mauretania Caesariensis», in Monaci, ebrei, santi. Studi per Sofia Boesch Gajano. Atti delle giornate di studio «Sophia kai historia» ; Roma, 17-19 febbraio 2005, ed. Antonio Volpato, Roma, Viella, 2008, pp. 147-166. 35

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souffrances du martyr : c’est le cas de la passio de Marcienne de Césarée.39 Remarquons que dans cette dernière passio, d’une part, la vierge méprise les idoles, et de l’autre, elle méprise les Juifs, ce qui confirme que dans les textes hagiographiques la polémique contre les Juifs s’imbrique avec celle contre les païens. Quelques documents contiennent des attaques gratuites – presque toujours punies par Dieu – des Juifs contre les martyrs chrétiens. Dans certains cas, le rôle du Juif persécuteur est laissé au second plan, comme dans la passio de Matrona ;40 c’est aux Juifs qu’incombe la responsabilité du martyre des Chrétiens, mais l’auteur préfère s’attarder sur la force d’âme de ces derniers. À partir du VIe siècle surtout, les formes d’aversion des Juifs envers les Chrétiens, même si elles ne constituent pas de véritables persécutions, s’adressent aux autorités ecclésiastiques et sont déterminées par des raisons politiques. À ce propos, la Vita de Cesaire d’Arles,41 dans laquelle on les représente comme une force alliée au pouvoir politique et hostile à l’évêque Césaire,42 est tout à fait significative. 39

BHL 5257 ; AA.SS. Ian. 1, 569. D’après la tradition, le martyre de la sainte se serait déroulé vers 304, du temps de la persécution de Dioclétien et de Maximien (cfr GODEFROID HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Ian. 1, 568). La passio de Marcienne est datée entre la fin du IVe siècle et les premières décennies du Ve siècle (cfr SCORZA BARCELLONA, La Passione di Vittore di Cesarea, p. 159). Pour la datation de la passio, voir aussi HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Ian. 1, 568 ; PAUL MONCEAUX, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne depuis les origines jusqu’à l’invasion arabe. III. Le IVe siècle, d’Arnobe à Victorin, Paris, Leroux, 1905, p. 158 ; GIAN DOMENICO GORDINI, in Bibliotheca Sanctorum, VIII (1966), col. 685, s.v. Marciana di Cesarea di Mauritania, vergine, santa, martire ; VICTOR SAXER, Saints anciens d’Afrique du Nord, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1979, pp. 137-142 ; ID., Afrique latine, in Hagiographies. Histoire internationale de la littérature hagiographique latine et vernaculaire en Occident des origines à 1550, ed. Guy Philippart, Turnhout, Brepols, 1994, I, p. 68seq. 40 BHL 5688 ; BHL 5687b (Supplementum). Il n’est pas aisé de déterminer le moment où eut lieu le martyre de la sainte, survenu à Thessalonique, généralement attribué aux premiers siècles ; cfr GODEFROID HENSCHEN, DANIEL PAPEBROCH, Commentarius, in AA.SS. Mart. 2, 392 ; JOSEPH-MARIE SAUGET, in Bibliotheca Sanctorum, IX (1967), coll. 105-106, s.v. Matrona, santa martire di Tessalonica. 41 BHL 1508-1509 ; AA.SS. Aug. 6, 69 ; ed. Bruno Krusch, MGH.SRM 3 (1896), p. 467seq. La Vita, composée vraisemblablement entre 542 et 549, est le fruit du travail de rédaction d’un ensemble d’auteurs : Cyprien de Toulon, Firmin et Vivence ont composé le livre I et Messien et Étienne le livre II (cfr CLAUDIO LEONARDI, Modelli di santità tra secolo V e VII, in Santi e demoni nell’alto medioevo occidentale, p. 275). 42 Comme l’a souligné GILBERT DAHAN (Saints, démons et Juifs, p. 616), la description de la foule des Juifs et des hérétiques qui concourent à accuser Césaire laisse penser à une invention de l’hagiographe ; cependant, il n’est pas du tout invraisemblable que les Juifs aient pu constituer à Arles une force politique alliée au pouvoir civil, c’està-dire aux Goths, et hostile à l’évêque ; d’autre part, le concile d’Agde de 506, réuni sous la direction de Césaire, avait pris quelques mesures contre les Juifs [voir en particulier le canon 34 sur les catéchumènes d’origine juive et le canon 40 sur l’interdiction des repas en commun entre Juifs et Chrétiens : Concilia Galliae, ed. Charles Munier, CC SL 148

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Les formes d’aversion pratiquées par les Juifs purent provoquer une réaction violente aussi de la part des Chrétiens – juste aux yeux des hagiographes – qui entraîna l’expulsion des Juifs de la cité.43 Ce thème est souvent associé à celui du topos de l’ingratitude juive, envers Dieu mais aussi envers les hommes et surtout à l’encontre des Chrétiens. Face à la figure du Juif persécuteur, les témoignages des Juifs convertis au christianisme sont rares, car ainsi ils s’opposent à leur communauté d’origine : on peut prendre en considération la Vita d’Alphius, Philadelphe et Cyrin44 (martyrisés au IIIe siècle à Lentini, en Sicile), datée suivant les auteurs entre le VIIe et le IXe siècle,45 dans laquelle des Juifs finirent par subir le martyre du fait de leurs correligionnaires.46

2. ÉVÉNEMENTS PRODIGIEUX ET CONVERSIONS Le miracle, un des sujets les plus fréquents dans l’hagiographie du haut Moyen Âge, a été l’objet de nombreuses analyses et interprétations (1963), pp. 207-208. 240]. Sur la présence des Juifs dans la Vita, voir aussi JAMES WILLIAM PARKES, The Conflict of the Church and the Synagogue. A Study in the Origins of Antisemitism, Cleveland, World Publishing Company, 1961, p. 321 ; BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 63, n. 4. 43 On peut consulter, par exemple, les récits sur Avit, évêque de Clermont, transmis par Grégoire de Tours et Venance Fortunat (cfr infra, notes 75 et 76) ou sur Cyrille d’Alexandrie (cfr infra, note 111). 44 BHG 57-62 ; AA.SS. Maii 2, XLVI-LXI (texte grec) ; AA.SS. Maii 2, 505-549 (traductions latines). PAPEBROCH a publié dans les AA.SS. le texte grec de la première partie présumée du roman (c’est-à-dire seulement le martyrium des trois frères), en les basant sur une copie d’un codex de Grottaferrata, puis passé à la Bibliothèque Vaticane (Vat. gr. 1591, ff. 110r-216v), et les traductions latines de SILVESTRO SIGONA DE LENTINI (BHG 57-59) et de JACQUES SIRMOND (BHG 60-62). OTTAVIO GAETANI se servit du même codex de Grottaferrata en le comparant avec la traduction de Sigona (Vitae Sanctorum Siculorum, Panormi, Cirillos, 1657, I, pp. 65-71). Sur la tradition complexe du texte grec et des traductions latines, cfr CLAUDIO GERBINO, Appunti per una edizione dell’agiografia di Lentini, in «Byzantinische Zeitschrift» LXXXIV-LXXXV (1991-1992), p. 27seq. 45 La datation du dossier hagiographique reste controversée ; PAPEBROCH propose de dater les trois premières sections du texte entre la fin du VIIe et le VIIIe siècle, la quatrième section, tout à fait fabulosa, entre le Xe et le XIe siècle (Commentarius, in AA.SS. Mai 2, 504-505) ; LANZONI date la passio entre la fin du VIIIe et le début du IXe siècle (Le diocesi d’Italia, p. 630) ; EVELYNE PATLAGEAN attribue l’œuvre à la même époque qu’il situe entre la fin du VIIIe et la moitié du IXe siècle, la cadrant dans un milieu monastique italo-grec [Les moines grecs d’Italie et l’apologie des thèses pontificales (VIIIe-IXe siècles), in «Studi Medievali» V (1964), pp. 589. 594] ; PRICOCO la date entre la fin du VIIe et le VIIIe siècle (Un esempio di agiografia regionale, pp. 340-345) ; la proposition de Pricoco est partagée par GERBINO (Appunti per una edizione, p. 30seq., note 29). Sur la datation controversée, voir aussi ADA CAMPIONE, La Sicilia nel Martirologio Geronimiano, in Euplo e Lucia, p. 231seq., note 262 ; p. 236, notes 282-283 ; FRANCESCO PAOLO RIZZO, Sicilia cristiana. Dal I al V secolo, Roma, Bretschneider, 2006, II/1, p. 51seq. 46 Cfr AA.SS. Maii 2, 511-518.

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très diverses d’un point de vue historiographique. Le développement important de la recherche historique relative à la sainteté et au culte des saints pour les siècles qui vont de l’Antiquité tardive à l’époque moderne a mis en évidence – en considérant l’événement miraculeux – les rôles, les fonctions, les croyances, les dévotions, le contrôle et la gestion par les autorités ecclésiastiques, l’utilisation politique et sociale, la perception individuelle et collective, ainsi que les formes sociales et institutionnelles de la reconnaissance à l’intérieur de cultures homogènes ou de cultures différentes.47 Les travaux hagiographiques sont désormais considérés de plein droit comme des produits culturels et des sources historiques.48 La narration des miracles, surtout de ceux qui ont eu lieu post mortem, est transmise non seulement par des textes hagiographiques, mais aussi sous des formes autonomes, jusqu’à devenir de facto un genre propre. L’événement miraculeux, désormais considéré dans son autonomie, a attiré l’attention sur les témoignages qui en conservent la mémoire, des vies des saints au recueil de miracles, aux chroniques, aux traités, aux sources notariées, aux images et aux cycles figurés.49 Toute tradition sur l’événement miraculeux est influencée par différents facteurs : l’interprétation des témoins ou des protagonistes du miracle dans la documentation directe, l’interprétation de la tradition orale postérieure, parfois propagandiste.50 On peut en effet distinguer les narrations des miracles des réflexions sur le miracle, influencées par différents filtres culturels et très souvent entrelacées les unes avec les autres.51 47 Sur ces questions, cfr BOESCH GAJANO, Il culto dei santi ; filologia, antropologia e storia ; EAD., Lavoro, povertà, santità fra nuove realtà sociali e luoghi comuni agiografici, in Cultura e società nell’Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, Roma, Sede dell’Istituto Palazzo Borromini, 1988 (Studi Storici, 184-187), I, pp. 117-129 ; EAD., Uso e abuso del miracolo ; EAD., La santità ; EAD., Dalla storiografia alla storia, pp. 215-233 ; Miracoli ; MARTIN HEINZELMANN, Une source de base de la littérature hagiographique latine ; le recueil de miracles, in Hagiographie, Cultures et Sociétés, pp. 235-257 et les actes des congrès organisés par l’AISSCA. 48 Cfr SOFIA BOESCH GAJANO, La tipologia dei miracoli nell’agiografia altomedievale. Qualche riflessione, in «Schede Medievali» V (1983), pp. 303-312. 49 Voir à ce sujet les propositions méthodologiques de ALINE ROUSSELLE, Image et texte ; aller et retour, in Santità, culti, agiografia, pp. 107-127. 50 LELLIA CRACCO RUGGINI, Il miracolo nella cultura del tardo impero : concetto e funzione, in Hagiographie, Cultures et Sociétés, p. 163seq. ; GILBERT DAGRON, Le saint, le savant, l’astrologue. Études de thèmes hagiographiques à travers quelques recueils de «Questions et réponses» des Ve-VIIe siècles, ibidem, pp. 143-156 ; MARC UYTFANGHE, La controverse biblique et patristique autour du miracle, et ses répercussions sur l’hagiographie dans l’Antiquité tardive et le haut Moyen Âge latin, ibidem, pp. 205-231. 51 La bibliographie sur ce sujet est considérable depuis l’étude de MARC BLOCH, qui demeure un point de référence : I re taumaturghi, Torino, Einaudi, 19892 ; nous nous limitons à signaler les précieux essais publiés dans Hagiographie, Cultures et Sociétés ; BENEDICTA WARD, Miracles and the Medieval Mind. Theory, Record and Event, 1000-1215, London, Scolar Press, 1982 ; PIERRE ANDRÉ SIGAL, L’homme et le miracle dans la France Médiévale (XIe-XIIe siècle), Paris, Édition du Cerf, 1985 ; VAUCHEZ, La santità ; BOESCH

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En ce qui concerne les miracles, les Juifs apparaissent à des niveaux différents : dans certains cas ils en sont témoins, dans d’autres ils les provoquent ou en sont l’objet, assurant en définitive un rôle qui peut se révéler neutre, actif ou passif ; ils se convertissent souvent. La typologie des miracles qui impliquent les Juifs à différents titres va de l’exemplarité des vertus chrétiennes ayant un but édifiant pour les fidèles, à la manifestation de la virtus des saints chrétiens et de leurs reliques, à la démonstration de la puissance de Dieu, qui dépasse n’importe quelle autre force et qui se manifeste pleinement à travers les œuvres du Christ, à l’attribution au Christ de tout événement prodigieux, avec une référence particulière au passage de la vie à la mort, à l’au-delà, à la récompense pour les saints et les croyants, à la punition pour les coupables et pour les incrédules. La typologie des miracles est donc variée, les Juifs reçoivent des miracles qui leur procurent des bienfaits unanimement reconnus, comme dans les récits relatifs à Attique, évêque de Constantinople au Ve siècle ;52 ils se convertissent à la suite d’un événement extraordinaire qui se présente comme une sollicitude de la volonté divine, mais aussi parfois comme une menace ou une punition, comme dans la Vita de Basile de Césarée,53 dans le récit relatif à saint Domitien, rapporté par Grégoire de Tours,54 dans la Vita de Germain de Paris,55 composée par Venance Fortunat, dans la Vita de Siméon de Léonce de Naples, à Chypre,56 dans GAJANO, Uso e abuso del miracolo ; pour une bibliographie ultérieure, cfr Agiografia altomedievale ; Saints and Their Cults ; MICHAEL GOODICH, Miracle and Disbelief in the Late Middle Âges, in «Mediaevistik» I (1988), pp. 23-38 ; Miracles, prodiges et merveilles au Moyen Âge. XXVe Congrès de la Société des historiens médiévistes de l’enseignement supérieur public ; Orléans, juin 1994, Paris, Publication de la Sorbonne, 1995 ; GÁBOR KLANICZAY, I miracoli e i loro testimoni. La prova del soprannaturale, in Il pubblico dei santi, pp. 367-386 ; MARILENA MODICA, Il miracolo come oggetto di indagine storica, in Miracoli, pp. 17-27 ; Orientamenti bibliografici, ibidem, pp. 235-245. 52 Historia ecclesiastica 7, 4, ed. Günter Christian Hansen, Sokrates Kirchengeschichte, Berlin, 1995 (GCS, n. F. 1, p. 350) ; cfr aussi AA.SS. Ian. 1, 477. Sur les autres sources qui apportent des éléments sur Attique, cfr HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Ian. 1, 474. 53 BHL 1025 ; BONINUS MOMBRITIUS, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, edd. Henri Quentin-André Brunet, Paris, Fontemoing, 1910 ; réimp. an. Hildesheim, New York, Georg Olms Verlag, 1978, I, p. 137seq. ; cfr aussi IACOPUS DE VARAGINE, Legenda Aurea 26, ed. Giovanni Paolo Maggioni, Iacopo da Varazze, Legenda aurea, Firenze, Sismel, 2007, p. 186seq. Sur les différentes versions de la Vita, cfr BENOIT GAIN, L’Église de Cappadoce au IVe siècle d’après la correspondance de Basile de Césarée (330-379), Roma, Pontificium Institutum Orientale, 1985, p. 42, note 1. 54 De gloria martyrum 99, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM I/2 (1885), 104. 55 BHL 3468 ; Vita Germani 62, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM 7/1 (1920), 409410. Sur Germain, cfr GÉRARD MATHON, in Bibliotheca Sanctorum, VI (1965), coll. 257259, s.v. Germano, vescovo di Parigi, santo. 56 BHG 1677 ; AA.SS. Iul. 1, 120-151 ; Das Leben des Heiligen Narren Symeon von Leontios von Neapolis, ed. Lennart Rydén, Uppsala, Almqviss et Wiksell, 1963. Sur

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la Vita de Martirien ;57 ils obtiennent une guérison comme une récompense ou, au contraire, ils sont touchés par la maladie comme punition pour leur incrédulité obstinée, comme dans les récits relatifs à un prêtre de Bordeaux et à Léonaste de Bourges, rapportés par Grégoire de Tours.58 D’autres miracles sont provoqués par la profanation d’images et d’objets sacrés, comme dans la Vita d’Eleuthère59 ou de Syr de Pavie :60 thème surtout attesté en Orient au VIIIe siècle, à l’époque des controverses iconoclastes.61 De nombreux miracles survinrent en présence des reliques ou sur la tombe du saint, comme dans les récits de Grégoire de Tours62 auxquels nous avons fait référence ou dans le Translatio beatorum Petri et Marcellini .63 Cependant, de nombreuses sources nous indiquent que les Juifs ne se convertissent pas toujours, même face à un miracle ; on pense aux trala Vita, composée au VIIe siècle, cfr VINCENT DÉROCHE, Études sur Léontios de Néapolis, Uppsala, Almqvist et Wiksell, 1995, pp. 96-116 ; DEREK KRUEGER, Symeon the Holy Fool. Leontius’s Life and the Late Antique City, Berkeley, Los Angeles, University of California Press, 1996, pp. 131-171 ; AVERIL CAMERON, Byzantines and Jews ; Some Recent Work on Early Byzantium, in «Byzantine and Modern Greek Studies» XX (1996), pp. 266-267. 57 AA.SS. Nov. 4, 435-472. À propos du moine, il y a des doutes sur l’époque et la localité où il aurait opéré ; cfr JOSEPH-MARIE SAUGET, in Bibliotheca Sanctorum, VIII (1966), coll. 1302-1303, s.v. Martiriano (MƗr de-Bet SahdƝ), monaco, santo, martire. 58 De miraculis s. Martini 3, 50, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM I/2 (1885), 194 ; Historia Francorum 5, 6, ed. Bruno Krusch, Wilhelmus Levison, MGH.SRM 1/1 (1951), 203. 59 BHL 2463 ; AA.SS. Febr. 3, 196. On ne possède pas de textes sûrs et dignes de foi sur la figure d’Éleuthère, évêque de Tournai au VIe siècle d’après la tradition ; les nombreuses anecdotes rapportées dans la Vita sont douteuses. Sur le saint, cfr PIERRE VILLETTE, in Bibliotheca Sanctorum, IV (1964), 1012, s.v. Eleuterio, vescovo di Tournai, santo. 60 BHL 7976. La Vita est datée du VIIIe siècle ; cfr DAHAN, Saints, démons et Juifs, p. 619, note 27. La Vita a été écrite par un anonyme qui souhaitait rompre les liens entre le diocèse de Pavie et celui de Milan ; en effet, l’auteur rattache les origines de l’évêché de Pavie à celui de l’Aquileia [FILIPPO CARAFFA, in Bibliotheca Sanctorum, XI (1968), 1241-1243, s.v. Siro, vescovo di Pavia, santo]. CESARE PRELINI, au contraire, date cette œuvre du début du VIIe siècle (San Siro, primo vescovo e patrono della città e diocesi di Pavia. Studio storico-critico, Pavia, Tipografia Fusi, 1890, II), alors que ALBA MARIA ORSELLI la date du IXe siècle (La città altomedievale e il suo santo patrono. Ancora una volta il Campione Pavese, in ALBA MARIA ORSELLI, L’immaginario religioso della città medievale, Ravenna, Edizioni del Girasole, 1985, pp. 302-306). 61 Voir le recueil de textes de PAUL VAN DEN VEN, La patristique et l’hagiographie au concile de Nicée de 787, in «Byzantion » XXV-XXVII (1955-1957), pp. 346-362. 62 De miraculis s. Martini 3, 50, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM I/2 (1885), 194 ; Historia Francorum 5, 6, ed. Bruno Krusch, Wilhelmus Levison, MGH.SRM 1/1 (1951), 203 ; cfr supra, note 58. 63 BHL 5233 ; Translatio beatorum Marcellini et Petri 4, 3, ed. Georg Waitz, MGH.SS 15/1 (1887), 257. Sur l’œuvre et l’époque de la composition d’Eginhard (830834) cfr ARTHUR KLEINCLAUSZ, Éginard, Paris, Les Belles Lettres, 1942 (Annales de l’Université de Lyon ; Lettres, 12), p. 201 ; BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 171 e note 1.

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ditions liées à Attique, évêque de Constantinople,64 ou au récit de Grégoire de Tours relatif au prêtre de Bordeaux ;65 à la Vita de Maxence66 ou à la Translatio beatorum Marcellini et Petri.67 D’autres sources comme les Miracula d’Emmeran68 rapportent les discussions intervenues entre Juifs et Chrétiens à la fin du VIIe siècle, époque où le saint vécut, à propos de la conception des miracles, de leur nature et de leur authenticité : les Juifs, s’ils admettaient la probabilité d’événements prodigieux, les attribuaient directement à Dieu ; les Chrétiens, tout en spécifiant que seul Dieu est l’auteur des miracles, faisaient référence au Christ et à ses saints comme intercesseurs auprès de Dieu et comme instruments dont Dieu même se servait pour manifester sa puissance et sa miséricorde. On rencontre aussi le cas de Juifs convertis au christianisme par inspiration divine ou à la suite d’un miracle et ayant accédé au rang de saints : donc, le surnaturel, sous différentes formes, se présente comme un instrument de la persuasion des Juifs, mais aussi comme une voie possible pour la sainteté (Nazaire,69 Hégésippe ;70 Joseph de Scythopolis71). 64

Cfr Socrate, Historia ecclesiastica 7, 4, ed. Hansen, p. 350 ; cfr aussi AA.SS. Ian. 1, 477. Dans ce récit, on fait référence à la conversion d’un simple Juif miraculé, mais aussi à la conversion de nombreux païens, qui assistent au miracle, ainsi qu’à l’indifférence des autres Juifs, qui, au contraire, ayant assisté à cet evénement extraordinaire, persistèrent dans leur indifférence ; cfr supra, note 52. 65 De miraculis s. Martini 3, 50, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM I/2 (1885), 194 ; cfr supra, note 58. 66 BHL 5806; AA.SS. Iun. 7, 150. La Vita est postérieure à Grégoire de Tours : PAUL VIARD, in Bibliotheca Sanctorum, IX (1967), col. 8, s.v. Massenzio, abate nel Poitou, santo. 67 Translatio beatorum Marcellini et Petri 4, 3, ed. Waitz, MGH.SS 15/1 (1887), 257 ; cfr supra, note 63. 68 BHL 2541. De miraculis s. Emmerani 1, 15, PL 141, 1013-1014 ; ed. Georgius Pertz, MGH.SS 4 (1841), 549. Cette œuvre, qui contient de nombreux détails intéréssants sur la vie posthume du saint, est datée entre 1035 et 1037 et fut composée par Arnold de Vohburg, prévôt de Saint’Emmeran (cfr BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 253seq.). 69 Une recensio de la Vita de Nazaire et Celse rapporte la conversion de Nazaire au christianisme par l’enseignement de sa mère chrétienne, contre la foi de son père, Juif de stricte observance : BHL 6049 ; AA.SS. Iul. 6, 533-534 ; cfr aussi IACOPUS DE VARAGINE, Legenda Aurea 98, ed. Maggioni, pp. 677-680. L’inventio du corps des deux saints et la diffusion de leur culte éveillèrent la curiosité des fidèles ; vers le milieu du Ve siècle, une passio – qui eut une large diffusion – et plusieurs rédactions de plus en plus amples et diverses, mais de moindre valeur historique, furent composées (BHL 6039-6050 ; BHG 1323-1324) ; cfr AGOSTINO AMORE, in Bibliotheca Sanctorum, IX (1967), col. 780, s.v. Nazario e Celso, santi, martiri di Milano. 70 Cfr Eusèbe de Césarée, Historia ecclesiastica 2, 23 ; 3, 11-12. 16. 19-20. 32 ; 4, 8. 21-22, ed. Gustave Bardy, SCh 31 (1952), pp. 86-90 ; 118 ; 120 ; 122-124 ; 143-145 ; 169-172 ; 199-202 ; cfr aussi AA.SS. Apr. 1, 654-655 (part. 655). Sur Égésippe cfr AGOSTINO AMORE, in Bibliotheca Sanctorum, IV (1964), col. 956, s.v. Egesippo, santo. 71 AA.SS. Iul. 5, 247-253. Sur le saint, qui vécut probablement au IIIe siècle, cfr JOSEPH-MARIE SAUGET, in Bibliotheca Sanctorum, VI (1965), col. 1308, s.v. Giuseppe, conte a Scitopoli, santo (?).

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On peut constater comment la conversion décrite dans les sources hagiographiques n’a pas recours aux mêmes motivations que celles des conversions qui, le plus souvent, concluent les écrits adversus Iudaeos. Les sources hagiographiques se distinguent, en effet, des œuvres apologétiques, puisque la démonstration – implicite – est seulement destinée aux croyants pour conforter leur foi. La conversion des Juifs n’est pas traitée avec une veine polémique particulière, mais plutôt comme le moyen de montrer la puissance spirituelle des saints et, plus généralement, du christianisme. Cependant, dans le cadre des témoignages relatifs à l’événement miraculeux, l’incrédulité profonde des Juifs prévaut : souvent, en effet, eux aussi, tout en assistant aux prodiges, restent solides dans leur propre foi et convaincus de leurs positions. De nombreuses sources présentent les Juifs fermement opposés à la conversion : pensons à l’épisode bien connu d’un père juif qui préfère jeter son fils dans un four, plutôt que de le voir vivre en chrétien et qui meurt pour ne pas se convertir.72 Il est aussi significatif que ce récit ait été continuellement transmis au cours des siècles et diffusé en Orient et en Occident73 et qu’en outre il ait laissé différents témoignages dans l’iconographie.74 Dans les œuvres hagiographiques, on relève le cas de conversions obtenues par la persuasion, mais aussi le cas de conversions forcées. Dans ces derniers cas, les auteurs mettent en relief comment, avant d’imposer la conversion aux Juifs ou leur expulsion de la cité, les autorités ecclésiastiques avaient tenté de les convaincre par la prédication : c’est le cas, par exemple, de la tradition relative à Avit, évêque de Clermont transmise par Grégoire de Tours75 et Venance Fortunat.76 D’autres sources laissent trans72 La première rédaction en latin du miracle est constituée du De gloria martyrum de Grégoire de Tours [De gloria martyrum 1, 9, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM 1/2 (1885), 44]. 73 L’événement est rapporté dans de nombreux récits, en vers et en prose, en grec, en latin et dans d’autres langues ; cfr BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 68. Cet épisode fait partie sous différentes formes des textes collectés dans les Miracoli della Vergine d’époque médiévale ; cfr Gautier de Coinci, Gonzalo de Berceo, Alfonso X el Sabio, Miracula virginis. Testi volgari medievali, ed. Carlo Beretta, Torino, Einaudi, 1999, pp. 124-130 (Gautier de Coinci) ; pp. 570-576 (Gonzalo de Berceo) ; pp. 716-722 (Alphonse X le Sage). 74 Cfr BERNHARD BLUMENKRANZ, Le juif médiéval au miroir de l’art chrétien, Paris, Éd. Augustiniennes, 1966 ; tr. ital. par CHIARA FRUGONI, Il cappello a punta. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 23seq. 75 Historia Francorum 5, 11, ed. Bruno Krusch, Wilhelmus Levison, MGH.SRM 1/1 (1951), 205-206. Sur l’épisode rapporté par Grégoire, cfr aussi KENNETH R. STOW, Alienated Minority. The Jew of Medieval Latin Europe, Cambridge (Mass.), London, Harvard University Press, 1992, pp. 55-56. 76 Carmen 5, 5, ed. STEFANO DI BRAZZANO, Venanzio Fortunato. Opere, Roma, Città Nuova, 2001 (Scrittori della Chiesa di Aquileia, VIII/1), I, pp. 296-304. Sur cet épisode, cfr MARC REYDELLET, La conversion des Juifs de Clermont en 576, in De Tertul-

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paraître de fausses conversions de Juifs, provoquées par les mesures restrictives à leur égard, qui, surtout à partir du VIe siècle, trouvèrent une concrétisation dans les décrets de baptêmes forcés voulus par les autorités impériales. Cependant, les textes hagiographiques mentionnent, surtout pour le VIe siècle, les attitudes contrastées des autorités ecclésiastiques vis-à-vis des conversions de Juifs : des évêques comme Avit de Clermont,77 Ferréol d’Uzès,78 Sulpice de Bourges79 renvoient à des conversions forcées ; Grégoire le Grand,80 par contre, bien qu’il agisse dans le cadre d’un programme pastoral servant à la fois ses propres intentions et le bien de la société, réaffirme la liberté de culte pour les Juifs et recommande la prédication et la persuasion comme moyens privilégiés pour les mener à la foi chrétienne.81 Cependant, de l’époque de Grégoire le Grand aux années 630-640, la conversion des Juifs, comme l’attestent de nombreuses sources, fut une réalité quotidienne, fruit d’actions individuelles dans la Gaule mérovingienne, de décisions étatiques dans l’Espagne wisigothique avec

lien aux Mozarabes. I. Antiquité tardive et christianisme ancien (IIIe-VIe siècles). Mélanges offerts à Jacques Fontaine, Paris, Institut d’Etudes Augustinienne, 1992, p. 371seq. ; MICHEL ROUCHE, L’Aquitaine. Des Wisigoths aux Arabes (418-781) ; naissance d’une région, Paris, Editions Jean Touzot Librairie Internationale, 1979, p. 403. 77 Cfr Grégoire de Tours, Historia Francorum 5, 11, ed. Bruno Krusch, Wilhelmus Levison, MGH.SRM 1/1 (1951), 205-206 ; Venance Fortunat, Carmen 5, 5, ed. Di Brazzano, pp. 296-304 ; cfr supra, notes 75-76. 78 BHL 2901 ; Catalogus codicum hagiographicorum latinorum antiquiorum saec. XVI qui asservantur in Bibliotheca Nationali Parisiensi, edd. Hagiographi Bollandiani, Bruxelles 1890, II, p. 101seq. La Vita a été composée au début du VIIIe siècle ; cfr PAUL VIARD, in Bibliotheca Sanctorum, V (1964), coll. 650-651, s.v. Ferreolo, vescovo di Uzès, santo ; BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 131 ; ROUCHE, L’Aquitaine, p. 456seq. 79 BHL 7928 ; AA.SS. Ian. 2, 533. 539. La Vita est l’œuvre d’un auteur anonyme contemporain du saint (vers 641-671) ; cfr HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Ian. 2, 530-531 ; cfr HENRI PLATELLE, in Bibliotheca Sanctorum, XII (1969), col. 63, s.v. Sulpizio, il Pio, vescovo di Bourges. 80 Registrum epistularum 1, 45 ; 13, 13, ed. Dag Norberg, CC SL 140 (1982), 59 ; CC SL 140A, 1013-1014. 81 Sur la position de Grégoire, contraire au baptême forcé, cfr LELLIA CRACCO RUGGINI, Note sugli Ebrei in Italia dal IV al XVI secolo (a proposito di un libro e di altri contributi recenti), in «Rivista Storica Italiana» LXXVI (1964), p. 939, note 56 ; SOFIA BOESCH GAJANO, Teoria e pratica pastorale nelle opere di Gregorio Magno, in Grégoire le Grand. Colloque international du Centre National de la Recherche Scientifique ; Chantilly, 15-19 septembre 1982, edd. Jacques Fontaine, Robert Gillet, Stan Pellistrandi, Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1986, p. 182. Sur l’attitude de Grégoire à propos des rapports avec les Juifs, cfr SOFIA BOESCH GAJANO, Per una storia degli Ebrei in Occidente, pp. 12-43 ; VERA VON FALKENHAUSEN, L’ebraismo dell’Italia meridionale nell’età bizantina (secoli VI-XI), in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541. Società, economia, cultura. Atti del IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo ; Potenza, Venosa, 20-24 settembre 1992, edd. Cosimo Damiano Fonseca, Michele Luzzati, Giuliano Tamani, Cesare Colafemmina, Galatina, Potenza, Congedo, 1996, p. 30seq.

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Sisebut82 ou d’une politique pontificale avec Honorius Ier (625-638) ;83 même si ces actions ne furent ni coordonnées ni bien définies, on enregistre cependant un réel synchronisme entre Orient et Occident, comme le montre l’attitude plutôt uniforme de l’Église vis-à-vis des Juifs. En Orient, en effet, c’est au VIIe siècle que l’empereur Héraclius imposa la conversion au christianisme à tous les Juifs ;84 cet édit (632) fut le premier

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En 613, Sisebut tenta de contraindre au baptême tous les Juifs de son royaume. Le souverain, dès la première année de son règne, conçut une politique antijuive d’extrême violence, qui cependant produisit une certaine ambiguïté sur le plan religieux et politique. Nombreuses furent en effet les conversions interessées, de ceux qui se soumirent au baptême obligatoire mais d’autres, par contre, préférèrent l’exode vers la Gaule et l’Afrique. L’Église, pour sa part, n’approuva pas la politique de Sisebut, en 633, lors du IVe concile de Tolède [canon 57, ed. J.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Graz 1960 (rist. an.), X, col. 633] ; elle confirma le principe de l’acquisition de la foi comme un acte volontaire et son opposition aux conversions forcées, excluant toutefois que ceux qui avaient été baptisés de force sous le règne de Sisebut reviennent à leur première croyance [cfr PIERRE CAZIER, De la coercition à la persuasion. L’attitude d’Isidore de Séville face à la politique anti-juive des souverains visigotiques, in De l’antijudaïsme antique à l’antisémitisme contemporain, ed. Valentin Nikiprowetzky, Lille, Univ. de Lille, 1979, pp. 125-146 ; GILBERT DAHAN, L’église et les Juifs au Moyen Âge (XIIe-XIVe siècles), in Ebrei e cristiani nell’Italia medievale e moderna : conversioni, scambi, contrasti. Atti del VI Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo ; S. Miniato, 4-6 novembre 1986, edd. Michele Luzzati, Michele Olivari, Alessandra Veronese, Roma, Carucci, 1988, p. 26seq. ; BIAGIO SAITTA, L’antisemitismo nella Spagna visigotica, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1995, pp. 28-43]. 83 Honorius Ier invita les évêques espagnols à poursuivre avec autorité l’œuvre de conversion des Juifs ; l’épitaphe du pape fait allusion aux mesures prises contre les Juifs : Iudaicae gentis sub te est perfidia victa, /sic unum Domini reddis ovile pium : cfr Liber pontificalis, ed. Louis Duchesne, Paris, De Boccard, 1886, I, p. 326seq., note 19 ; cfr ANTONIO SENNIS, in Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto delle Enciclopedie Italiane, 2000, I, p. 586, s.v. Onorio I. Sur la politique d’Honorius Ier à l’égard des Juifs cfr CHARLES HENRY LYNCH, Saint Braulio, Bishop of Saragossa (631-651). His Life and Writings, Washington, The Catholic University of America, 1938, pp. 127-135 ; GILBERT DAGRON, Juifs et chrétiens dans l’Orient du VIIe siècle. Introduction historique ; entre histoire et apocalypse, in «Travaux et Mémoires» XI (1991), p. 36 ; ID., La Chiesa e la cristianità bizantine tra invasioni e iconoclasmo (VII secolo-inizi dell’VIII), in Storia del Cristianesimo. Religione-Politica-Cultura. IV. Vescovi, monaci e imperatori (610-1054), edd. Gilbert Dagron, Pierre Riché, André Vauchez, éd. ital. dir. par. Giorgio Cracco, Roma, Città Nuova, 1999, p. 90. 84 Sur cet édit, nous signalons en particulier : DAGRON, Juifs et chrétiens dans l’Orient du VIIe siècle. Introduction historique, pp. 28-38 (bibliographie) ; cfr aussi JOHN HALDON, Byzantium in the Seventh Century. The Transformation of a Culture, Cambridge, Cambridge Univeristy Press, 1990, p. 346seq. ; AVERIL CAMERON, The Jews in SeventhCentury Palestine, in «Scripta Classica Israelica» XIII (1994), p. 80seq. ; ANDREW SHARF, Jews and Other Minorities in Byzantium, Jerusalem, Bar-Ilan Univerity Press, 1995, p. 56.

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d’une série de mesures adoptées ensuite par Léon III (721-722)85 et Basile Ier (874).86 Par contre, sont aussi rapportées des tentatives – avortées – de conversions forcées au judaïsme imposées aux Chrétiens (Vita d’Aretas de 1a÷rƗn et ses compagnons87).

3. CŒXISTENCE ENTRE COMMUNAUTÉS JUDAÏQUES ET COMMUNAUTÉS CHRÉTIENNES

En ce qui concerne les formes de cœxistence entre communautés judaïques et communautés chrétiennes, les sources hagiographiques du haut Moyen Âge témoignent parfois d’une vie commune paisible, parfois de situations de conflit entre les deux groupes religieux. L’apport de l’hagiographie, quoique problématique, se révèle intéressant, en particulier pour les différences qu’elle présente. On remarque surtout une cœxistence pacifique dans les relations quotidiennes et entre les couches les plus modestes de la population. Est attestée, en particulier, la vénération commune des tombes des saints (Vita d’Agathe 88) et de la sépulture collective (Passio de Vital et THÉOPHANE, Chronographia, ed. Carl de Boor, Lipsiae 1883, I, p. 401. Cfr JOSHUA STARR, The Jews in the Byzantine Empire, 641-1204, Athen, Verlag der “Byzantinisch-Neugrichischen Jarbucher”, 1939, p. 91 ; ANDREW SHARF, The Jews, the Montanists and the emperor Leo III, in «Byzantinische Zeitschrift» LIX (1966), pp. 37-46 ; ID., Jews and Other Minorities, p. 58 ; PANAYOTIS YANNOPOULOS, La société profane dans l’empire byzantin des VIIe, VIIIe et IXe siècles, Louvain, Bureau de recueil – Bibliothèque de Louvain, 1975, pp. 247-251 ; GILBERT DAGRON, Judaïser, in «Travaux et Mémoires» XI (1991), p. 361seq. ; ID., Juifs et chrétiens dans l’Orient du VIIe siècle. Introduction historique, p. 45 ; NICHOLAS R.M. DE LANGE, Jews and Christians in the Byzantine Empire : Problems and Prospects, in Christianity and Judaism, ed. Diana Wood, Cambridge (Mass.), Oxford, Blackwell, 1992 (Studies in Church History, 29), p. 23 ; CAMERON, Byzantines and Jews, p. 257. 86 Le décret du baptême forcé remonte probablement à l’an 874 ; cfr SHARF, Jews and Other Minorities, pp. 60-64 ; ATTILIO MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1963, p. 52seq. 87 BHG 166-167a ; AA.SS. Oct. 10, 728-730. Les Acta sont considérés par les Bollandistes antérieurs à 597 et peut-être à 565 : cfr PIETRO SFAIR, in Bibliotheca Sanctorum, II (1962), col. 402, s.v. Areta di Na÷rƗn e compagni, santi, martiri. Le Martyrium Arethae a été écrit en syriaque par Serge, ou selon d’autres manuscrits, par Georges, évêque de RuúƗfah, qui, selon la tradition, était présent dans le camp d’al-Mundir quand fut lue une lettre de Dnj NuwƗs ; le texte a ensuite été traduit en grec et en arménien ; la version grecque est publiée dans les AA.SS. Oct. 10, 721-759. Cfr aussi le Fragmentum interpretationis latinae actorum S. Arethae, rédigé par Athanase II, évêque de Naples : BHL 671 ; AA.SS. Oct. 10, 761-762. 88 La Vita du martyr peut remonter à la seconde moitié du Ve siècle ; de la Vita, on possède plusieurs rédactions plus tardives : une latine (BHL 133) et trois grecques (BHG 36-38b, datant sans doute respectivement du milieu du VIIe siècle, de la première 85

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d’Agricole,89 Passio d’Hermès, Aggée et Caius,90 Passio de Vincent et d’Oronce91). Ces indications, même si elles peuvent être interprétées comme le reflet de la réalité, ou au contraire comme un topos littéraire, renvoient de toute façon à des situations non conflictuelles entre les deux communautés. Les Vitae qui rapportent la participation de Juifs aux obsèques d’un dignitaire chrétien peuvent aussi être interprétées entre réalité et topos littéraire (Vita Ambrosii de Paulin de Milan,92 Vita de Césaire d’Arles,93 Vita d’Hilaire d’Arles,94 Vita de Rusticule95). moitié du IXe siècle et pas avant le milieu du Xe siècle), qui divergent entre elles par leur style et par quelques différences de contenu ; on pense que, dans leur forme actuelle, elles dépendent d’une source commune, de valeur discutable de toute façon [cfr GIAN DOMENICO GORDINI, in Bibliotheca Sanctorum, I (1961), col. 320, s.v. Agata, santa, martire ; LANZONI, Le diocesi d’Italia, pp. 624-628 ; CAMPIONE, La Sicilia nel Martirologio Geronimiano, p. 180seq. ; RIZZO, Sicilia cristiana, II/1, pp. 47-50]. Pour le passage en question, cfr BHL 133 ; AA.SS. Febr. 1, 624. 89 Cfr la Vita Ambrosii de Paulin de Milan (BHL 377 ; Vita Ambrosii 29, ed. Michele Pellegrino, Paolino di Milano, Vita di S. Ambrogio, Roma, Edizione Studium, 1961, p. 93seq.). Cette œuvre a été composée vers 422 mais sa datation ad annum reste discutée; cfr ÉMILIEU LAMIRANDE, La datation de la «Vita Ambrosii» de Paulin de Milan, in «Revue des Études Augustiniennes» XXVII (1981), pp. 44-55 ; ID., Paulin de Milan et la «Vita Ambrosii», Paris, Desclée, 1983 ; cfr aussi du même saint Ambroise dans le De exhortatione virginitatis I, 1-8, ed. Franco Gori, S. Ambrogio, Opera omnia, 14/2. Verginità e vedovanza, II, Introduzione, traduzione, Milano, Roma, Città Nuova, 1989 (Bibliotheca Ambrosiana), pp. 198-206. Pour le dossier hagiographique sur Vital et Agricole, cfr aussi BHL 8690 ; AA.SS. Nov. 2/1, 246-247 ; BHL 8691. 8692. 8693 ; AA.SS. Nov. 2/1, 247-249. 90 AA.SS. Ian. 1, 165. Sur ces saints, cfr JOSEPH-MARIE SAUGET, in Bibliotheca Sanctorum, V (1964), coll. 56-57, s.v. Ermete, Aggeo e Caio, santi, martiri in Mesia ; HIPPOLYTE DELEHAYE, Saints de Thrace et de Mésie, in «Analecta Bollandiana» XXXI (1912), p. 257seq. 91 BHL 8670-8671 ; AA.SS. Ian. 3, 5. Sur ces saints, cfr JUSTO FERNÁNDEZ ALONSO, in Bibliotheca Sanctorum, XII (1969), col. 1181, s.v. Vincenzo, Oronzo e Vittore, santi, martiri di Gerona (?). Pour des exemples similaires, cfr PARKES, The Conflict, p. 145. 92 BHL 377 ; Vita Ambrosii 48, ed. Pellegrino, p. 122 ; cfr supra, note 89. 93 BHL 1509 ; ed. Bruno Krusch, MGH.SRM 3 (1896), p. 501 ; cfr supra, note 41. 94 BHL 3882 ; Vita Hilarii Arelatensis 29, 7-8, ed. Samuel Cavallin, SCh 404 (1995), 156. La Vita est datée entre 470 et 480 environ ; cfr VLADIMIR BOUBLÍK, in Bibliotheca Sanctorum, VII (1966), coll. 713-715, s.v. Ilario, vescovo di Arles, santo ; PAULANDRÉ JACOB, Introduction, in Honorat de Marseille, La «Vie d’Hilaire d’Arles». Texte latin de Samuel Cavallin, introduction, traduction et notes par Paul-André Jacob, Paris 1995, SCh 404, pp. 12. 19. 22. 95 BHL 7405 ; Vita Rusticulae sive Marciae 25, ed. Bruno Krusch, MGH.SRM4 (1902), p. 350. Le texte a été transmis sous le nom de Florentius, prêtre de Saint-PaulTrois-Châteaux, peu de temps après la mort de la sainte. On connaît un évêque Florentius dans cette ville et on peut sans doute retenir qu’il a voulu s’attribuer l’ouvrage ; l’évêque assista au concile d’Epaone en 517 et à celui d’Arles en 524 et, donc, vécut un siècle avant la mort de Rusticule : cfr BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 180, n. 2. En 1902, BRUNO KRUSCH [MGH.SRM 4 (1902), pp. 338-339] émit des doutes sur l’ancienneté du récit et le considéra comme une contrefaçon du temps de Louis le Pieux (814840), alors que PIERRE RICHÉ [Note d’hagiographie mérovingienne. La «Vita S. Rusticulae»,

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Des relations amicales s’établirent entre Juifs et saints ou évêques chrétiens ou dignitaires et dirigeants de la cour (Vita de Clément de Rome,96 de Venance d’Arles,97 de Sidoine Apollinaire,98 de Mélèce d’Antioche99). Certaines Vitae, comme celle de Basile de Césarée,100 amènent d’ailleurs à ce constat mentionnant l’existence de médecins juifs dont la réputation s’était répandue parmi les Chrétiens : les médecins juifs étaient estimés par la communauté tout entière et aussi par les autorités civiles et ecclésiastiques. On pouvait aussi assister à des rencontres occasionnelles à l’intérieur des différentes classes ou dictées par un intérêt commun envers la connaissance : cependant, en de telles circonstances, les différences de croyance ne représentaient pas un argument de dissuasion. Les sources hagiographiques du haut Moyen Âge précisent donc la profession ou le métier du Juif dont ils rapportent les actes (marchand, médecin, artisan, commerçant, vitrier, tisserand). Cette donnée ne figure pas dans la plupart des ouvrages apologétiques qui laissent souvent les Juifs dans l’anonymat, les présentant presque toujours comme des connaisseurs des Écritures ou comme de simples représentants de la religion juive. À partir de l’époque carolingienne, mais surtout par la suite, au XIe siècle, l’activité la plus souvent attribuée aux Juifs, et donc la plus perceptible d’un point de vue social, est celle du commerce. Différents témoignages laissent percevoir la formation du cliché de la richesse et de la puissance juive, qui finit par favoriser l’hostilité croissante de la part de la majorité chrétienne qui avait établi l’infériorité sociale et économique de cette minorité.101

in «Analecta Bollandiana» LXXII (1954), pp. 369-377] défendit l’antiquité du texte, qui, à son avis, aurait été composé à l’époque mérovingienne. Comme Pierre Riché, datent la Vita du VIIe siècle ADELE SIMONETTI [La «Vita» di Rusticola nell’agiografia merovingia, in «Studi Medievali» XXVII (1986), pp. 211-220] et MARC VAN UYTFANGHE [Stylisation biblique et condition humaine dans l’hagiographie mérovingienne (600-750), Brussel, AWLSK, 1987 (Verhandelingen van de Koninklijke Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten van Belgie ; Klasse der Letteren, 120), p. 10]. 96 BHL 1848 ; ed. Mombritius, I, p. 341. 97 BHL 8520 ; AA.SS. Maii 7, 238. 98 AA.SS. Aug. 4, 613. 99 Cfr Historia ecclesiastica tripertita 5, 47, ed. Rudolphus Hanslik, Waltarius Jacob, CSEL 71 (1952), 297. 100 BHL 1025 ; ed. Mombritius, I, p. 137seq. ; cfr IACOPUS DE VARAGINE, Legenda Aurea 26, ed. Maggioni, p. 186seq. Cfr supra, note 53. 101 Cfr SOFIA BOESCH GAJANO, Identità ebraica e stereotipi cristiani : riflessioni sull’alto medioevo, in Ebrei e cristiani nell’Italia medievale, p. 59.

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Dans certains récits l’argent est utilisé par les Juifs pour corrompre à leur profit les autorités civiles, comme dans la Vita de Zozime.102 Cependant, d’autres documents rapportent une vision plus positive des marchands juifs : on les présente comme très adroits dans leur métier103 (dans les Gesta Karoli,104 le marchand juif est décrit comme allié et confident de l’empereur Charlemagne), et aussi parfois généreux pour accorder des prêts aux Chrétiens en difficulté, pour accepter en gage l’image du Christ ou de la Vierge ou un simple serment dans un sanctuaire chrétien, comme dans les traditions orientales liées à saint Ménas ou à saint Nicolas de Myre. Dans ces récits les Juifs sont décrits comme étant bien intégrés dans la société : dans la Vita de Ménas,105 le Juif est présenté comme un exemple d’humilité et de conciliation. Il s’agit surtout de textes de l’aire orientale, pouvant être rapprochés de l’hagiographie la plus populaire des miracles. Donc, en ce qui concerne le rapport des Juifs avec l’argent, le stéréotype du Juif qui prête à intérêt et, par conséquent, l’identification du Juif avec l’usurier, n’est pas fixé au haut Moyen Âge. En outre, il faut remarquer, comme certaines de ces sources l’indiquent, l’existence d’une image positive des Juifs, présentant le Chrétien d’une manière plutôt inso-

102 La Vita de Zozime a été écrite en grec et ensuite traduite en latin (AA.SS. Mart. 3, 839). Le texte grec de la biographie, œuvre anonyme mais contemporaine du saint, ne remonte pas au-delà de la fin du VIIe siècle, et a disparu ; par contre, on conserve la traduction latine du XVIIe siècle, qui fait penser qu’il y aurait eu un manuscrit originel en grec (BHL 9026) ; d’après ces textes, le saint vécut dans la seconde moitié du VIIe siècle, et devint évêque de Syracuse en 648, administrant le diocèse durant treize ans, jusqu’à sa mort vers 662 ; cfr GODEFROID HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Mart. 3, 834-835 ; OTTAVIO GARANA, in Bibliotheca Sanctorum, XII (1969), col. 1503, s.v. Zosimo, vescovo di Siracusa, santo ; BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 111 ; ENRICO MORINI, Dell’apostolicità di alcune chiese dell’Italia bizantina dei secoli VIII e IX. In margine agli «Analecta Hymnica Graeca», in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» XXXVI (1982), p. 63, note 7 ; PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale, p. 341. 103 Notre analyse est dans le sillage de celle de Sofia Boesch Gajano, qui a souligné, vu la variété des activités et de conditions sociales qui caractérisent les Juifs de l’Antiquité jusqu’aux VIe-VIIe siècles, qu’au IXe siècle les sources faisaient principalement référence aux activités commerciales (Per una storia degli Ebrei in Occidente, p. 20). 104 Gesta Karoli 1, 18, ed. Georgius Heinricus Pertz, MGH.SS 2 (1829), p. 737. Cette œuvre fut rédigée durant la seconde moitié du IXe siècle par un moine de SaintGall ; une partie de l’historiographie critique a voulu identifier ce moine avec Notker ; cfr la question dans BLUMENKRANZ, Les auteurs chrétiens latins, p. 213, n. 1 ; GIOSUÈ MUSCA, Carlo Magno e HƗrnjn al-RashƯd, Bari, Dedalo, 1996, p. 34. 105 BHG 1260 ; cfr PAUL DEVOS, Le juif et le chrétien. Un miracle de saint Ménas, in «Analecta Bollandiana» LXXVIII (1960), pp. 275-308 ; le manuscrit est daté du XIe siècle (ibidem, p. 277). Le récit a aussi été diffusé en copte et en syriaque ; cfr PAUL DEVOS, Un récit des Miracles de S. Ménas en copte et en éthiopien, in «Analecta Bollandiana» LXXVII (1959), pp. 454-463 ; LXXVIII (1960), pp. 154-160.

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lite comme avide ou parjure (Dialogi de Grégoire le Grand,106 Vita de Ménas,107 Vita de Nicolas de Myre108). Par contre, de nombreuses sources hagiographiques confirment clairement que les rapports entre Juifs et Chrétiens au haut Moyen Âge ne durent pas toujours être paisibles ; elles rappellent des épisodes violents, déterminés, le plus souvent, par des formes de concurrence missionnaire (Vita d’Austremoine109) ou par des interférences dans la vie politique des villes. Des sources occidentales et orientales du IVe au VIe siècle attestent d’incidents d’une certaine gravité entre Juifs et Chrétiens en plusieurs endroits de l’Empire. Des traditions comme celles qui ont trait à Avit de Clermont110 et à Cyrille d’Alexandrie,111 mais aussi à la Translatio d’Etienne,112 à Salsa de Tipasa,113 à Barsauma,114 à Siméon le 106

Dialogi 3, 7, ed. Salvatore Pricoco, Manlio Simonetti, Storie di santi e di diavoli (Dialogi), Milano, Mondadori, 2006 (Fondazione Lorenzo Valla. Scrittori greci e latini), II, pp. 28-34. L’attribution des Dialogues à saint Grégoire est discutée ; cfr SALVATORE PRICOCO, Le rinnovate proposte di F. Clark sulla atetesi dei «Dialogi» di Gregorio Magno, in «Rivista di Storia del cristianesimo» I (2004), pp. 149-174 ; SOFIA BOESCH GAJANO, Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Roma, Viella, 2004. Sur l’épisode en question, cfr CESARE COLAFEMMINA, Gli Ebrei a Fondi, in Fondi tra antichità e medioevo. Atti del Convegno ; 31 marzo-1 aprile 2000, ed. Teresa Piscitelli Carpino, Fondi, Comune di Fondi, 2002, pp. 307-336 ; FRANCESCO SCORZA BARCELLONA, Forme del comico nei «Dialogi» di Gregorio Magno?, in Riso e comicità nel cristianesimo antico. Atti del Convegno ; Torino, 14-16 febbraio 2005, ed. Clementina Mazzucco, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2007, p. 477. 107 Cfr supra, note 105. 108 BHL 6174 ; Vita sancti Nicholai archiepiscopi et confessoris. Miracula eiusdem, in «Analecta Bollandiana» II (1883), p. 153seq. [Appendix ad Catalogum Codd. Hagiog. Civit. Namurcensis (ex Codice Namurc. n°. 15)] ; cfr aussi PAUL DEVOS, Bons juifs et mauvais chrétiens. Saint Nicolas-Saint Ménas, in «Analecta Bollandiana» CII (1984), pp. 157-162. Le miracle est aussi rapporté par Jacques de Voragine, Legenda aurea 3, ed. Maggioni, p. 50. 109 Cfr supra, note 36. 110 Cfr supra, notes 75-76. 111 AA.SS. Ian. 3, 462 ; cfr SOCRATE, Historia ecclesiastica 7, 13, ed. Hansen, p. 357seq. Cfr aussi Historia ecclesiastica tripertita 11, 11, ed. Rudolphus Hanslik, Waltarius Jacob, CSEL 71 (1952), pp. 640-642. 112 Cfr l’Epistula de Iudaeis ; cfr infra, note 128. 113 BHL 7467 ; Catalogus codicum hagiographicorum latinorum antiquiorum saec. XVI qui asservantur in Bibliotheca Nationali Parisiensi, éd. Hagiographi Bollandiani, Bruxelles, 1889, I, pp. 344-352 ; cfr la trad. fr. de MONCEAUX, La vraie légende dorée, p. 308seq. La Passio est datée du Ve siècle ; cfr SCORZA BARCELLONA, La Passione di Vittore di Cesarea, p. 160. Sur Salsa et sur sa passio cfr aussi GIAN DOMENICO GORDINI, in Bibliotheca Sanctorum, XI (1968), coll. 596-597, s.v. Salsa, santa, martire a Tipasa ; MONCEAUX, Histoire littéraire, pp. 163-168 ; SAXER, Afrique latine, p. 69seq. 114 Vita di Barsauma, ed. FRANÇOIS NAU, Résumé de monographies syriaques, in «Revue de l’Orient chrétien» XVIII (1913), pp. 382-385 ; XIX (1914), pp. 118-125 ; cfr aussi FRANÇOIS NAU, Deux épisodes de l’histoire juive sous Théodose II (423-438) d’après la Vie de Barsauma le Syrien, in «Revue des études juives» LXXXIII (1927), p. 184 ; PARKES, The Conflict, pp. 236. 238 ; SILVIA ACERBI, Terror y violencia antijudía en Oriente

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Stylite115 l’Ancien, décrivent des violences qui aboutirent à la destruction de la synagogue par les Chrétiens, puis à l’expulsion des Juifs de la ville.116 D’autres récits présentent les Juifs agressifs, mais en même temps présentent les autorités civiles comme favorables aux Juifs et en opposition aux autorités ecclésiastiques (Vita de Cyrille d’Alexandrie117 et, pour certains aspects, Vita de Zozime118). À cet égard, la Vita de Césaire d’Arles119 est elle aussi significative ; on y fait référence aux Juifs comme à une force politique à l’intérieur de la ville, avec un poids non négligeable dans le jeu des alliances. À partir du VIIe siècle, les sources hagiographiques relatives aux Juifs renvoient aussi aux oppositions avec les Chrétiens, lesquelles dérivent de la question iconoclaste, et aux conséquences sur la vie quotidienne : les Juifs sont associés aux iconoclastes et aux musulmans en raison de leur aversion pour les images. Si quelques dialogues de polémique avec des Juifs présentent un débat théologique centré sur la défense de la part des Chrétiens de la valeur et de la fonction des images sacrées, les textes hagiographiques identifient clairement le Juif avec l’iconoclaste, ce qui confirme que le Juif continue à être considéré comme négatif, comme l’autre à partir de qui.120 Dans les documents hagiographiques, on relève l’aversion des Juifs pour les images sacrées et pour le crucifix, comme le prouvent les récits lié à l’inventio de la croix

durante el siglo V ; la biografía del archimandrita sirio Bar Sauma, in Formas y usos de la violencia en el mundo romano. Actas del IV Colloquio de la Asociación Interdisciplinar de Estudios Romano, ed. Gonzalo Bravo, Raúl González Salinero, Madrid, Signifer Libros, 2007, pp. 277-290. 115 BHG 1687 ; SYMEON METAPHRASTES, Vita S. Symeonis Stylitae 12, 50, PG 114, 381. 384. La Vita n’est pas antérieure aux années 459-473 ; cfr ANDRÉ JEAN FESTUGIÈRE, Antioche païenne et chrétienne. Libanius, Chrysostome et les moines de Syrie, Paris, Boccard, 1959, pp. 374. 493. 506 ; S. ASHBROOK HARVEY, The Sense of a Stylite : Perspectives on Simeon the Elder, in «Vigiliae Christianae» XLII (1988), pp. 376-394 ; ACERBI, Terror y violencia, p. 287, note 53. 116 Sur les autres sources occidentales et orientales qui rapportent du IVe au VIe siècle des incidents dans les synagogues en Afrique, aux Baléares, en Palestine, à Damas, près d’Ascalon, à Beyrouth, près d’Antioche, près d’Édesse, à Rome, en Sicile, près d’Arles, à Clermont-Ferrand, cfr LELLIA CRACCO RUGGINI, Ebrei e Orientali nell’Italia Settentrionale fra il IV e il VI secolo d. Cr., in «Studia et Documenta Historiae et Iuris» XXV (1959), p. 206seq. 117 Cfr supra, note 111. 118 Cfr supra, note 102. 119 Cfr supra, note 41. 120 Sur ces questions, cfr IMMACOLATA AULISA, CLAUDIO SCHIANO, Dialogo di Papisco e Filone giudei con un monaco, Bari, Edipuglia, 2005 (Quaderni di Vetera Christianorum, 30), pp. 65-86. L’identification des iconoclastes avec les Juifs ressort aussi clairement des actes du 2e concile de Nicée, qui décrivaient les profanateurs des images sacrées comme des Juifs impies et accusaient les Juifs d’avoir provoqué la lutte contre les images, les associant aux autres infidèles, ennemis des images et de la croix (ed. Mansi, XIII, coll. 24-32 ; 68) ; sur ces points, cfr aussi DAGRON, Judaïser, p. 367 ; CAMERON, Byzantine and Jews, p. 269.

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du Seigneur, vue comme un échec des Juifs qui avaient tenté d’en cacher les reliques (légende d’Hélène et de Judas Cyriaque121). De plus, le rapport entre reliques, images sacrées et récits de miracles se fit de plus en plus intense, surtout en Orient, à la fin du VIIe siècle. D’autres sources rapportent des discussions entre Juifs et Chrétiens sur des sujets théologiques et doctrinaux (cfr Vita Ambrosii de Paulin de Milan,122 de Benoîte123). Dans les disputes, si l’on exclut les Actus Sylvestri124 et quelques autres œuvres, le contenu doctrinal est plutôt limité, alors que d’une part, les aspects liés à la vie quotidienne l’emportent, et que de l’autre, des événements miraculeux se révèlent parfois capables de résoudre la polémique. En effet, dans certaines œuvres, comme dans les Actus Sylvestri125 ou dans la Vita de Grégence de Tefra,126 le miracle intervient pour attribuer la victoire au Chrétien, déterminant par voie de conséquence la conversion des Juifs ; l’événement extraordinaire révèle l’intervention divine et sanctionne le triomphe des Chrétiens, et, de ce fait, la supériorité du christianisme sur le judaïsme. Le thème de la trahison des Juifs – non seulement théologique, mais aussi politique – est celui qui revient le plus fréquemment et qui peut être considéré comme caractéristique du haut Moyen Âge. De plus, les sources

121 BHL 7022. 7023. 4169. Pour une lecture synoptique de la légende d’après les plus anciens textes syriaques, avec la traduction en anglais, cfr JAN WILLEM DRIJVERS, The finding of the True Cross ; the Judas Kyriakos legend in Syriac, Louvain, Peeters, 1997, CSCO 565 (Subsidia 93) ; pour une analyse, cfr TESSA CANELLA, Gli «Actus Silvestri». Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto, CISAM, 2006 (Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. Uomini e mondi medievali, 7), pp 69-75. Pour le débat historiographique sur la figure de Judas Cyriaque, personnage historique ou personnage fictif, cfr DRIJVERS, The finding of the True Cross, p. 18seq. MICHEL VAN ESBROECK, par exemple, considère Judas Cyriaque comme un personnage historique, qui mourut martyr sous le règne de Julien l’Apostat et qui fit ériger l’église de la Crucifixion sur le Golgotha [La portée politico-religieuse des visions pour la conversion des peuples, in «Revue de l’Institut catholique de Paris» LIII (1995), p. 99seq.]. Trois versions ont circulé sur l’Invention de la Vraie croix par Hélène, toutes nées et développées entre la seconde moitié du IVe siècle et la première moitié du Ve siècle ; celle qui était liée à la figure de Judas Cyriaque devint la plus populaire au Moyen Âge (DRIJVERS, The finding of the True Cross, p. 11). 122 BHL 377 ; Vita Ambrosii 15, ed. Pellegrino, p. 72 ; cfr supra, note 89. 123 BHL 1087 ; AA.SS. Oct. 4, 221. Sur cette sainte, cfr GILBERT BATAILLE, in Bibliotheca Sanctorum, II (1962), col. 1091, s.v. Benedetta di Origny-sur-Oise, santa, martire. 124 BHL 7725-7743 ; ed. Mombritius, II, pp. 515-528. Sur cette œuvre, voir la récente étude critique de CANELLA, Gli «Actus Silvestri», pp. 269-309. 125 Cfr supra, note 124. 126 BHG 706 ; Sancti Gregentii, archiepiscopi Taphrensis, Disputatio cum Herbano Iudaeo, PG 86, 621-784. Ce texte se dit remonter à Grégence, mais il n’est sans doute pas authentique. Cette œuvre est traditionnellement datée des débuts du VIe siècle ; cependant, ALBRECHT BERGER a récemment daté ce document au milieu du Xe siècle (Life and works of Saint Gregentios, Archbishop of Thafar, Berlin, W. de Gruyter, 2006, p. 100-109).

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hagiographiques ont continué à véhiculer une des accusations les plus fréquentes dans la polémique séculaire entre Juifs et Chrétiens, celle du peuple déicide, accusation extensible à tous les Juifs de toutes les époques et de tous les pays, comme par exemple, dans la Passio d’Austremoine.127 Il est un autre fait significatif, à savoir que dans la transmission de la tradition hagiographique relative à un même saint, les réécritures successives en accentuaient de plus en plus clairement l’antijudaïsme et rendaient plus âpres les tons de la polémique, comme le montrent, par exemple, les différentes recensiones de la passio d’Austremoine. Il nous semble important de souligner comment l’attitude ambivalente des Chrétiens envers les Juifs put avoir un poids décisif dans l’émergence et dans l’extension du culte des saints, comme le prouvent les traditions orales et écrites relatives au culte de saint Étienne protomartyr (cfr, en particulier, l’Epistula de Iudaeis de Sévère de Minorque,128 ou les Miracula Sancti Stephani129). Dès l’origine, les traditions concernant le culte d’Étienne et de ses reliques eurent une profonde valeur symbolique.130 Comme l’a souligné Carlo Ginzburg,131 la figure du martyr tué par les Juifs, ainsi que ses reliques, finirent par acquérir une forte signification antijuive : diffusant un véritable cliché hagiographique d’Étienne, véritable protomartyr, le premier qui lutta contre les Juifs, pour le Seigneur. Cependant, dans quelques exemples, les sources hagiographiques du haut Moyen Âge attestent de conflits entre des groupes qui peuvent en un certain sens être définis comme «paritaires» ; ce n’est pas là encore le déclin de la condition générale des Juifs, que l’on constatera surtout à partir du XIIe siècle.

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AA.SS. Nov. 1, 69 ; cfr supra, note 36. BHL 7859 ; ed. Scott Bradbury, Severus of Minorca, Letter on the Conversion of the Jews, Oxford, Clarendon Press, 1996. Les avis des spécialistes divergent sur l’époque de la composition et sur la fiabilité du document. BERNHARD BLUMENKRANZ [«Altercatio Ecclesiae contra Synagogam». Texte inédit du Xe siècle, in «Revue du Moyen Age Latin» X (1954), p. 46 ; ID., Juifs et chrétiens, pp. 282-284 ; ID., Les auteurs chrétiens latins, pp. 106-110] a ainsi attribué ce document à une époque postérieure, en l’occurrence au VIIe siècle, époque à laquelle furent produits en Espagne de nombreuses fausses lettres et où l’on sentait l’importance du problème juif. L’authenticité de l’épître a été défendue par JUSTER (Les Juifs dans l’Empire romain, p. 76) et plus tard par GABRIEL SEGUÍ VIDAL (La carta-encíclica du obispo Severo. Estudio crítico de su autenticidad e integridad con un bosquejo histórico du cristianismo balear anterior al siglo VIII. Dissertatio ad lauream in facultate historiae ecclesiasticam pontificiae universitatis Gregorianae, Palma de Mallorca, Monasterio de Santa Maria de la Real, 1937), qui excluait d’éventuelles interpolations postérieures et datait le texte des débuts du Ve siècle. 129 BHL 7860 ; Miracula Sancti Stephani, PL 41, 835. 130 SOFIA BOESCH GAJANO, Verità e pubblicità ; i racconti di miracoli nel libro XXII del «De civitate Dei», in Il «De civitate Dei». L’opera, le interpretazioni, l’influsso, ed. Elena Cavalcanti, Roma, Herder, 1996, p. 371. 131 La conversione degli ebrei di Minorca (417-418), in «Quaderni Storici» LXXIX (1992), pp. 277-289. 128

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4. JUIFS, HÉRÉTIQUES, DÈMONS ET MAGIE Le thème hagiographique le plus dense d’éléments antijuifs, proches de l’antisémitisme médiéval, est celui qui rattache les Juifs aux démons ou au diable. Cependant, ce sujet apparaît sporadiquement, surtout si l’on envisage ses occurrences dans une vision plus ample de la fréquence des éléments démonologiques dans l’hagiographie du haut Moyen Âge : dans l’ensemble, le nombre des témoignages associés aux Juifs est plutôt limité. Il est significatif qu’on ne rencontre pas les deux thèmes qui seront plus tard développés, c’est-à-dire celui des Juifs comme l’incarnation de Satan et celui des Juifs comme serviteurs de l’Antéchrist.132 Dans certains textes, la version hagiographique se limite à proposer en référence aux Juifs le thème neotestamentaire du démoniaque, comme dans la Vita d’Alphée, Philadelphe et Cyrin ;133 dans nombre d’autres textes, les Juifs sont poussés par le démon à commettre de mauvaises actions ; ils sont inspirés et soutenus par le diable qui leur suggère des formes d’aversion vis-à-vis des Chrétiens, comme dans l’Encomium pour Marcien de Syracuse134 ou dans la Vita de Pancrace ;135 ils se font les inter132 Sur ces questions propres au bas Moyen Âge, cfr JOSHUA TRACHTENBERG, The Devil and the Jews. The Medieval Conception of the Jew and Its Relation to Modern AntiSemitism, New Haven, Yale University Press, 1945 ; STOW, Alienated Minority. 133 Cfr supra, note 44. 134 BHG 1030 ; AA.SS. Iun. 3, 277-283 (du cod. Vat. gr. 688) ; AGOSTINO AMORE, San Marciano di Siracusa. Studio archeologico-agiografico, Città del Vaticano, Pontificium Athenaeum Antonianum, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1958 (Spicilegium Pontificii Athenaei Antoniani, 12), pp. 75-91. Sur le texte grec et sur les traductions latines, cfr PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale, p. 341, note 56 ; pour la traduction en italien, cfr AMORE, San Marciano di Siracusa. Studio archeologico-agiografico, pp. 75-91. 135 La mémoire du saint avait suscité une Bios, non conservée, dont l’existence est actuellement supposée avec de solides arguments. Par la suite fut composé un Martyrium plein de fantaisie (le texte est parvenu dans une ample version : BHG 1410, 1410a et dans une version brève : BHG 1410b), attribuée à un certain Evagre, disciple présumé du saint, et sous le nom duquel fut diffusée une rédaction (ou une traduction) latine de la même œuvre (BHL 6428d, Supplementum). Du Martyrium du pseudo Evagre, on dispose seulement de la publication des résumés latins de Gaetani (Vitae Sanctorum Siculorum, I, pp. 7-10, animadversiones 10-15) e dei Bollandisti (AA.SS. Apr. 1, 237-239). Pour des indications sur les manuscrits, les éditions partielles et les traductions, cfr AMORE, San Marciano di Siracusa. Studio archeologico-agiografico, p. 29, note 32 ; MICHEL VAN ESBROECK, UGO ZANETTI, Le dossier hagiographique de S. Pancrace de Taormine, in Storia della Sicilia e tradizione agiografica, pp. 155-169 ; RIZZO, Sicilia cristiana, II/1, p. 86seq. On pense aussi que la Vita a été composée après le 2e concile de Nicée (787) quand on rétablit le culte des images, du fait de l’importance qu’y occupe la question des images ; cfr PATLAGEAN, Les moines grecs, p. 588 ; AUGUSTA ACCONCIA LONGO, Siracusa e Taormina nell’agiografia italogreca, in «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici», n.s., XXVII (1990), p. 39, n. 30 ; EAD., La data della «Vita» di S. Pancrazio di Taormina (BHG 1410), in «Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata», n.s., LV (2001), pp. 37-42 ; CAMPIONE, La Sicilia nel Martirologio Geronimiano, p. 208. Van Esbroeck et Zanetti ne retiennent pas ces arguments, pensant qu’un noyau originaire de la Vita, ou

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médiaires entre les victimes chrétiennes et Satan ; ils ont un lien direct avec le démon, comme le racontent les histoires liées à Théophile d’Adana.136 D’autres œuvres décrivent les Juifs comme des experts en art de la magie ou comme de véritables sorciers, comme par exemple la Vita de Léon le Thaumaturge,137 rédigée au VIIIe siècle.138 Enfin, dans quelques

mieux un dossier hagiographique relatif à la légende de Pancrace aurait été composé avant la fin du VIIIe siècle, époque à laquelle peut remonter la rédaction conservée ; selon ces deux chercheurs, on peut penser que la légende se serait constituée entre la fin du VIIe et les débuts du VIIIe siècle, mais peut-être aussi aux premières années du VIIIe siècle (Le dossier hagiographique de S. Pancrace, pp. 157. 167). 136 BHL 8121-8126 ; BHG III, Appendix IV, 1319-1322 ; cfr KARL PLENZAT, Die Theophiluslegende in den Dichtungen des Mittelalters, Berlin, Ebering, 1926 (Germanische Studien, 43) ; GILBERT DAHAN, Salatin du ‘Miracle de Théophile’ de Rutebeuf, in «Le Moyen Age» LXXXIII (1977), pp. 445-468. On doit la première version de la légende à Eutychien (BHG III, Appendix IV, 1320), qui se dit clerc de l’église d’Adana, disciple du saint et témoin oculaire direct ; cette œuvre, en grec, fut composée avant 572 ; cfr HENSCHEN, Commentarius, in AA.SS. Febr. 1, 487 ; RAYMOND JANIN, in Bibliotheca Sanctorum, XII (1969), col. 340, s.v. Teofilo di Cilicia detto il Penitente, santo ; GRACE FRANK, Introduction, in Rutebeuf, Le miracle de Théophile, ed. Grace Frank, Paris, Champion, 1925, p. V (2e éd. revue, Paris 1949). Le récit d’Eutychien fut traduit en latin au IXe siècle par Paul Diacre de Naples (BHL 8121 ; AA.SS. Febr. 1, 489-493) et c’est de cette version que de nombreuses autres s’inspirèrent au Moyen Âge, que ce soit en latin ou dans les langues modernes (CRISTINA LANER, Il miracolo di Teofilo di Gautier de Coincy ; leggenda e storia sacra, in Tra edificazione e piacere della lettura ; le vite dei santi in età medievale, edd. Antonella Degl’Innocenti, Fulvio Ferrari, Trento, Università degli Studi di Trento, 1998, p. 105). 137 Il existe plusieurs rédactions de la Vie de Léon de Catane, qui varient par leur ampleur, leur style et leur forme littéraire (BHG 981 ; BHL 4838-4839) ; cependant, elles présentent un contenu identique avec les mêmes épisodes même s’ils sont placés dans un ordre différent : AUGUSTA ACCONCIA LONGO, La «Vita» di S. Leone di Catania, in Sicilia e Italia suburbicaria tra IV e VIII secolo. Atti del Convegno di Studi ; Catania, 24-27 ottobre 1989, edd. Salvatore Pricoco, Francesco Rizzo Nervo, Teresa Sardella, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1991, p. 215. La rédaction la plus ample semble être celle qui a été traduite en latin par Jaques Sirmond (BHG 981) et publiée par OTTAVIO GAETANI (Vitae Sanctorum Siculorum, Panormi, Cirillos, 1657, II, pp. 6-9) et dans les AA.SS. (Febr. 3, 227-229). De la version grecque originelle a été édité le texte de AUGUSTA ACCONCIA LONGO, La «Vita» di S. Leone vescovo di Catania e gli incantesimi del mago Eliodoro, in «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici» XXVI (1989), pp. 80-98. Pour la problématique concernant la tradition manuscrite de l’œuvre et les diverses éditions des textes, cfr PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale, p. 325 ; CAMPIONE, La Sicilia nel Martirologio Geronimiano, p. 220. 138 Cette œuvre est datée avant le 2e concile de Nicée (787) : JEAN BOLLAND, Commentarius, in AA.SS. Febr. 3, 226 ; G. DA COSTA-LOUILLET, Saints de Sicile et d’Italie méridionale aux VIIIe, IXe et Xe siècles, in «Byzantion» XXIX-XXX (1959-1960), p. 89seq. Par contre, selon Augusta Acconcia Longo, la Vita, dans sa rédaction primitive, peut être considérée comme un document hagiographique de milieu iconoclaste, écrit avec des intentions polémiques contre les partisans des images ; la chercheuse date la Vita du temps du Second Iconoclasme, à l’époque de Léon V ou de Michel II (La «Vita» di S. Leone vescovo di Catania e gli incantesimi del mago Eliodoro, pp. 43-55 ; EAD., Santi siciliani di età iconoclasta, in Euplo e Lucia, p. 299).

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documents, les Juifs sont même représentés comme des victimes du diable, plutôt que comme ses alliés, comme dans la Vita d’Abonde de Côme.139 La synagogue est souvent décrite comme une tanière de démons, surtout quand elle n’est plus utilisée comme lieu de culte depuis des années ;140 quelques écrits comme l’Encomium de Marcien de Syracuse rappellent comment le saint chrétien en prit possession et l’exorcisa.141 C’est surtout dans certaines œuvres hagiographiques de Sicile que l’on peut saisir le début d’un processus de diabolisation, qui aboutira à identifier les Juifs avec les meilleurs alliés et les meilleurs disciples de Satan et les associera, tour à tour, à des hérétiques, à des magiciens, à des sorciers, à des montanistes ou les présentera comme des démons eux-mêmes, second stéréotype qui se répandra dans la culture de l’Europe médiévale ; mais, comme Salvatore Pricoco142 l’a souligné, il apparut certainement très tôt dans cette région. En effet, dans de tels documents, les Juifs se rangent aux côtés du diable ou s’identifient à Satan et à ses adeptes. Au Moyen Âge, toutes les accusations portées contre les Juifs, même les plus absurdes – envahir les églises et détruire les images sacrées, se moquer publiquement des croyances chrétiennes, refuser de reconnaître la réalité des miracles, tuer en secret des enfants chrétiens, profaner l’hostie consacrée, accomplir des pratiques sexuelles immorales – apparurent vraisemblables aux yeux des Chrétiens, grâce à l’identification progressive et de plus en plus complète des Juifs avec Satan : le catalogue des crimes présumés avoir été commis par les Juifs devint de plus en plus ample et on ne le jugea pas déraisonnable, du fait que les Juifs étaient considérés comme des agents de Satan et de nature diabolique.143 Cependant, les récits analysés confirment que la dépendance du saint de la puissance de Dieu correspond au caractère conciliant du démon devant le saint. En effet, dans les récits, le diable représente l’élément qui donne forme, contradiction et goût à l’histoire, mais qui n’est pas un des protagonistes de l’histoire ; la lutte du diable contre l’homme et contre le saint ne constitue pas l’élément essentiel de la trame puisque le saint ressort toujours victorieux ; le diable est seulement mis en scène pour per139

BHL 15 ; AA.SS. Apr. 1, 92. Selon une tradition tardive, le saint serait né à Thessalonique, mais la critique dément sa prétendue origine grecque ; sa véritable patrie reste inconnue. Cependant, il semble certain que le saint gagna Côme, et collabora avec l’évêque Amance dont il fut désigné comme successeur : cfr PIETRO GINI, in Bibliotheca Sanctorum, I (1961), coll. 23-30, s.v. Abbondio, vescovo di Como, santo. Cfr aussi Historia ecclesiastica tripertita 12, 9, ed. Rudolphus Hanslik, Waltarius Jacob, CSEL 71 (1952), 677-678. 140 Cfr Passio de Salsa de Tipasa (cfr supra, note 113), Vita de Pancrace (cfr supra, note 135). 141 Cfr supra, note 134. 142 PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale, p. 350. 143 Sur ces aspects, cfr TRACHTENBERG, The Devil and the Jews ; ID., Jewish Magic and Superstition. A Study in Folk Religion, New York, Atheneum, 1939 ; 19702.

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mettre au saint de montrer ses propres vertus thaumaturgiques, il en devient l’antagoniste, jusqu’à représenter souvent un archétype hagiographique : il est celui qui succombe à la puissance de Dieu et du saint. Certains documents ont permis de vérifier la fonction alternative du miracle chrétien en regard des cures médicales des Juifs qui en même temps révèle la position ambiguë des Chrétiens envers la médecine, à utiliser comme outil de guérison, mais, en même temps, à faire directement remonter à Dieu. Plusieurs textes hagiographiques opposent la préparation du médecin juif à la foi en Dieu et aux saints (Vita de Basile de Césarée,144 Vita de Syméon le Stylite le Jeune145). Les œuvres hagiographiques confirment, en outre, comment en diverses occasions, les Juifs sont assimilés aux hérétiques confirmant aussi une donnée récurrente de la documentation juridique.146 Il faut éviter les Juifs, de même que les hérétiques : les Chrétiens sont mis en garde de ne pas suivre de fausses doctrines, mais aussi de ne pas déjeuner avec des Juifs ou des hérétiques et de ne pas les saluer, comme dans la Vita d’Hilaire de Poitiers de Venance Fortunat.147 De chaque type de sources chrétiennes 144

Cfr supra, note 53. BHG 1689 ; La Vie ancienne de Syméon Stylite le Jeune (521-592), 208-210, ed. Paul Van Den Ven, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1962 (Subsidia Hagiographica, 32), p. 179seq. La Bios a été composée dans les dernières années du VIe siècle ou dans les premières années du VIIe siècle ; elle constitue la source principale pour la connaissance de la vie et des miracles de Syméon [DANIELE STIERNON, in Bibliotheca Sanctorum, XI (1968), col. 1143, s.v. Simeone Stilita, il Giovane, santo]. 146 Dans CI 1, 5 (de haereticis et Manichaeis et Samaritis, ed. Paul Krueger, Berlin, 1877 = Dublin/Zürich, Weidmann, 1967, pp. 50-60) sont présentées les règles qui concernent les Juifs et toutes les autres catégories d’ennemis de la religion chrétienne ; la Nov. 45 de 537 (ed. Rudolf Schoell, Wilhelm Kroll, Berlin, 1895 = Dublin/Zürich, Weidmann, 1972, p. 277seq.) regroupe les Juifs, les samaritains et les montanistes, en les définissant comme des gens détestables qui se complaisent dans les ténèbres et n’entendent pas la vérité. Au VIe siècle, on note aussi dans la législation une hostilité croissante, une véritable discrimination des Byzantins à l’encontre des Juifs et une évolution certaine de la politique impériale sur le judaïsme ; cfr PARKES, The Conflict, pp. 245-255 ; ALFREDO MORDECHAI RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche, Milano, Giuffré, 1987, I, pp. 43seq. 104-107 ; ID., Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche, Milano, Giuffré, 1988, II, p. 597seq. ; AMMON LINDER, The Jews in the Legal Sources of the Early Middle Âges, Detroit-Jerusalem, Wayne State University Press, 1997, p. 14seq. ; GIOVANNI DE BONFILS, Gli ebrei dell’impero di Roma, Bari, Cacucci, 2005. 147 BHL 3887 ; AA.SS. Ian. 2, 72-73 ; cfr aussi Venanzio Fortunato, Vite dei santi Ilario e Radegonda di Poitiers. Traduzione, introduzione e note, ed. Giovanni Palermo, Roma, Città Nuova, 1989 (Collana di Testi Patristici, 81). La Vita a été écrite par Venance Fortunat entre 565 et 575 : cfr ANTONIO QUACQUARELLI, in Bibliotheca Sanctorum, VII (1966), col. 724, s.v. Ilario, vescovo di Poitiers, dottore della Chiesa, santo ; VINCENZO MESSANA, Note sulla «Vita Sancti Hilarii» di Venanzio Fortunato, in L’agiografia latina nei secoli IV-VII. XII Incontro di studiosi dell’antichità cristiana, «Augustinianum» XXIV (1984), pp. 201-211 ; YVES-MARIE DUVAL, La Vie d’Hilaire de Fortunat de Poitiers : du docteur au thaumaturge, in Venanzio Fortunato e il suo tempo. Atti del Convegno Interna145

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ressortent la peur et la condamnation – implicite ou explicite – de la promiscuité et du mélange entre Chrétiens et Juifs, de la proximité physique à l’occasion du déjeuner ou des salutations. L’attitude incrédule qui caractérise aussi bien les Juifs que les hérétiques, sur qui les autorités chrétiennes ecclésiastiques et les saints tentèrent d’agir d’une façon ou d’une autre afin de les convertir, est topique. Surtout en Orient, entre le VIIe et le VIIIe siècle, époque des invasions perses et arabes et des controverses iconoclastes, les Juifs, à l’égal des hérétiques, furent non seulement considérés comme un danger pour l’Église, mais aussi pour l’unité de l’Empire ; l’unité religieuse devint une garantie pour l’unité politique.148 À cette époque les sources enregistrent le cas de baptêmes forcés de Juifs et d’autres hérétiques, en particulier des montanistes.149 En outre, au VIIe et au VIIIe siècle, dans quelques textes, les Juifs sont assimilés aux musulmans ; cependant, les Arabes sont plutôt perçus comme une puissance politique et militaire et la conscience de la diffusion d’une nouvelle religion, l’Islam, ne transparaît pas encore chez les auteurs.150 Si pour la plupart des textes hagiographiques du haut Moyen Âge, on peut parler d’une absence de topoi dans la thématique juive, vu que chaque occurrence semble bénéficier d’un traitement propre, on ne peut pas exclure que dans certains textes on ne puisse pas percevoir la caractérisation du Juif suivant les stéréotypes qui se cristallisaient en fonction de la propagande idéologique, politique et religieuse. Ces derniers révèlent l’attitude de fond et les positions des groupes majoritaires face à la présence des Juifs, des hérétiques et des musulmans, perçus comme «différents», comme «autres», et dangereux pour la société chrétienne orthodoxe. À certaines époques en effet, la société chrétienne se définit comme majoritaire et, à tout niveau, considère le Juif comme un élément étranger, qui œuvre dans un contexte et dans une réalité où l’homogénéité rassure.151 * * *

zionale ; Valdobbiadene, Treviso, 29 novembre-1 dicembre 2001, Treviso, Fondazione Cassamarca, 2003, pp. 133-151. 148 Sur ces questions, cfr AULISA, SCHIANO, Dialogo di Papisco e Filone, pp. 40-48. 149 D’après le témoignage de THÉOPHANE (Chronographia, ed. de Boor, p. 401), il est déjà indiqué qu’une persécution contre les Juifs et contre les hérétiques avait aussi été prévue par Léon III, qui, en 721-722, ordonna par un décret impérial que tous les Juifs et les montanistes devaient être baptisés (cfr STARR, The Jews in the Byzantine Empire, p. 91 ; SHARF, The Jews, the Montanists, pp. 37-46 ; ID., Jews and Other Minorities, p. 58 ; DAGRON, Juifs et chrétiens dans l’Orient du VIIe siècle. Introduction historique, p. 44). 150 Cfr AULISA, SCHIANO, Dialogo di Papisco e Filone, pp. 57-64. 151 Identità ebraica e stereotipi cristiani, p. 48seq. ; EAD., Presenze ebraiche nell’Italia medievale, p. 15.

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En définitive, les thèmes sur lesquels se concentre la polémique antijuive des Chrétiens, à partir d’un noyau déjà établi avant l’époque constantinienne, s’enrichissent progressivement d’éléments et de sujets nouveaux souvent liés à des circonstances spécifiques dont il n’est pas toujours facile de repérer les origines. Des documents étudiés, il ressort que dans l’hagiographie du haut Moyen Âge, les Juifs n’occupent pas une place particulière et qu’ils ne semblent pas représenter une des préoccupations principales des hagiographes. Ils sont présentés comme des individus et/ou comme une communauté : dans de nombreux textes, les Juifs sont décrits dans le cadre plus large de leur propre groupe, avec des rappels à la synagogue comme symbole de la communauté hébraïque. Les sources hagiographiques du haut Moyen Âge se sont peu arrêtées sur le judaïsme comme doctrine religieuse et évoquent seulement en arrière-plan le rôle des Juifs d’un point de vue socio-économique,152 en en soulignant leur dynamisme au niveau politique.153 On a l’impression que les hagiographes chrétiens, ayant acquis, sur la base d’une longue tradition, une vision du Juif «ennemi» de la Foi, ont appliqué cette vision aux nombreux aspects de la vie quotidienne. La typologie du Juif, déjà définie dans la plus ancienne littérature polémique des Chrétiens, constitue le fondement de la littérature hagiographique postérieure, en se conjuguant avec des problématiques et des attitudes nouvelles d’après des exigences particulières, de sorte que, sous l’enveloppe habituelle du genre hagiographique émerge, presque toujours et par des voies différentes, la caractérisation plutôt négative du Juif faite par des topoi consolidés : l’incrédulité, la dureté de cœur, l’incompréhension des Écritures, la responsabilité dans la mort du Christ, le refus de reconnaître Dieu et le Fils de Dieu, la négation de sa conception virginale, la trahison de l’Alliance, l’avidité et le caractère rituel excessif. Cependant, on ne peut pas encore parler d’un schéma qui reprend systématiquement les aspects négatifs que les Chrétiens attribuèrent par la suite à la figure du Juif. On constate plutôt une oscillation entre des attitudes positives et des attitudes négatives des Chrétiens vis-à-vis des Juifs ; elles ne semblent pas encore marquées d’un antijudaïsme prononcé, qui au bas Moyen Âge prit la forme d’un véritable antisémitisme. En fait, la plupart des sources examinées laisse transparaître – de la part des hagiographes – la préoccupation pastorale d’édifier les fidèles C’est aussi la position de BERNHARD BLUMENKRANZ, qui, sur la base d’une imposante documentation du haut Moyen Âge, avait conclu que ni d’un point de vue social ni d’un point de vue économique, on ne pouvait distinguer clairement les Juifs du reste de la société chrétienne (Juifs et chrétiens) ; cfr aussi LEONARD VICTOR RUTGERS, The Jews in Late Ancient Rome. Evidence of Cultural Interaction in the Roman Diaspora, Leiden, New York, Köln, Brill, 1995. 153 Cfr DAHAN, Saints, démons et Juifs, p. 641. 152

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et le grand public à qui ils destinaient leurs travaux. Mais aussi quand certains éléments renvoient à des situations réelles, on peut y reconnaître l’intervention des auteurs qui insèrent dans leurs œuvres des éléments de la “vie quotidienne” entre théologie et popularité, souvent en les réinterprétant à la lumière du schéma théologique de la responsabilité des Juifs dans la mort du Christ. Dans certains cas, il n’est pas difficile de discerner les desiderata des hagiographes qui expriment l’élaboration progressive de la théologie et les tentatives continues de construire et de définir leur propre identité, par rapport à laquelle l’ autre, le Juif, représente une preuve vivante de ses propres limites. On peut croire qu’aussi bien les institutions ecclésiastiques que les institutions de l’État ont souvent exercé une influence sur l’opinion publique, formulant aussi des accusations populaires envers les Juifs ; cependant, dans certains cas, les hagiographes se firent les vecteurs des préjugés des clercs ou des classes auxquelles ils appartenaient, plutôt que de ceux de l’opinion publique. Comme l’a souligné Manlio Simonetti, la production relative à la grande diffusion du culte des saints constitue, dans le cadre des premiers temps du christianisme et au Moyen Âge, «l’unica letteratura di carattere veramente popolare, dove il termine vuol significare ampia diffusione di testi tra alfabeti e, tramite la comunicazione orale, anche analfabeti».154 Dans ce sens, les œuvres examinées, au-delà des éléments sans fondement qu’elles apportent souvent sur les saints, protagonistes des récits, mettent en lumière des idéologies et des tendances politiques et culturelles du milieu de leurs auteurs respectifs ; souvent, en effet, les écrivains, en racontant les événements arrivés à un saint qui avait vécu à une époque précédente et n’étant pas capables de replacer les événements dans leur contexte historique, les ont contextualisés dans leur propre époque et dans la société contemporaine. Les sources que nous avons prises en considération ont permis de discerner des aspects de la vie quotidienne du peuple chrétien dans les diverses manifestations de sa propre foi, des pratiques religieuses aux croyances doctrinales, aux conceptions face à mort et à l’au-delà, à ses manières de penser, à ses conditions de vie. Immacolata Aulisa Università degli Studi “Aldo Moro” - Bari

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SIMONETTI, Il cristianesimo antico, p. 26.

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ABSTRACT Early medieval hagiographical texts offer very interesting insights for the reconstruction of relations between Jews and Christians ; in fact, they still convey specific themes attested in previous centuries, but at the same time, they contain in nuce themes that would become characteristic in subsequent periods. In hagiographical sources the presence of Jews is very diverse, sometimes they appear as a people, sometimes as individuals, sometimes as a community organized in terms of worship, culture, commerce, and often in conflict with Christians. There is a fluctuation between positive and negative attitudes of Christians towards the Jews : at certain times and in certain places the Jews took an active part in economic and social life, at other times they are described as being foreign to their surroundings, in an ambiguous equilibrium, which has placed them simultaneously inside and outside Christian society.

RÉSUMÉ Le sujet des rapports entre Juifs et Chrétiens a connu ces dernières années une fortune singulière, due à l’évaluation d’un type de sources – les textes hagiographiques – traditionnellement abordées sous d’autres points de vue, qui sont tout aussi intéressants. En effet, le débat historiographique des dernières décennies a conduit les historiens à envisager autrement la moisson d’informations que fournissent ces sources. Cependant, les textes hagiographiques du haut Moyen Âge peuvent fournir des données d’un d’intérêt considérable pour esquisser un tableau des relations entre les deux groupes religieux ; ces textes ont en effet conservé des mentions propres aux siècles précédents, mais, en même temps ils contiennent in nuce les thèmes qui deviendront récurrents par la suite. Dans les sources hagiographiques la présence des Juifs varie : parfois ils sont vus comme un peuple, parfois dans leur individualité, parfois comme communauté organisée sur les plans cultuel, culturel et commercial, souvent opposée aux Chrétiens. On constate plutôt une oscillation entre des attitudes positives et des attitudes négatives des Chrétiens vis-à-vis des Juifs ; elles ne semblent pas encore marquées d’un antijudaïsme prononcé, qui au bas Moyen Âge prit la forme d’un véritable antisémitisme.

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SECONDA PARTE LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

DAS PLAGIAT ALS POLEMISCHES MOTIV UND DIE “REFUTATIO OMNIUM HAERESIUM”1

Für uns in der Moderne ist das im Bereich der Literatur verwendete Wort Plagiat vertraut, um auf eine Verfälschung, eine Täuschung, nicht so sehr eines Werkes, sondern über seine Urheberschaft hinzudeuten.2 In diesem Sinn ist das Wort Plagiat in der Moderne erst ab dem gelungenen metaphorischen Gebrauch von Marcus Valerius Martialis (vermutlich Anfang 86 n. Ch.) üblich: Martialis ironischerweise schlug für den Fidentinus vor der eine Kopie seiner Epigramme gekauft hatte und als eigene vortrug, die gegen die ungerechte Aneignung von freien Menschen oder auch von beweglichen Gütern – wie Sklaven – gültige Lex Fabia, anzuwenden (I, 52,9 impones plagiario pudorem; vgl. den ähnlich metaphorischen Witz in I, 66,9 mutare dominum non potest liber notus).3 Aber die Neuheit, die Modernität, bezieht sich nur auf die semantische Bedeutung von plagium, nicht auf den Begriff; dieser war allerdings im Altertum wohlbekannt, das eigentlich zu Verdeutlichung des Tatbestandes andere Ausdrücke anwendete, besonders diejenigen, die am deutlichsten den Diebstahl bezeichneten.4 1

Ich danke herzlich den Organisatoren der Tagung und Herausgebern dieses Bandes, vor allem meinem Kollegen Prof. Valerio Ugenti, für die freundliche Einladung. 2 Zu den Unterscheidungen zwischen Fälschung, Plagiat, Pseudepigraphon, cfr die neue Präzisierung von ANTONIO GUZMÁN GUERRA, Pseudo-literatura, falsificación y canon: una perspectiva programática, in Actas del XI congreso español de estudios clásicos (Santiago de Compostela, del 15 al 20 de septiembre de 2003), ed. por José Francisco González Castro, Antonio Alvar Ezquerra, Alberto Bernabé [et al.], Madrid, Sociedad Española de Estudios Clásicos, 2005, 2, S. 177-215. 3 Dazu LOTHAR SPAHLINGER, “Quem recitas, meus est, o Fidentine, libellus”. Martials Fidentinus-Zyklus und das Problem des Plagiats, «Hermes» CXXXII (2004), S. 472494. 4 Eine reichehaltige Aufzählung solcher Ausdrücke findet sich bei KONRAT ZIEGLER, RE XX 2 (1950), Sp. 1956-1997, s. v. Plagiat, besonders Sp. 1956-9; Ziegler gibt aber nicht den Wortschatz, der in der Refutatio gebraucht wurde, an. Es bietet sich an, dass ich sofort meine Hauptquellen zitiere, wenn ich das Plagiat bespreche, um selbst dem Vorwurf des Plagiats zu entgehen. Daher nenne ich auch gleich die Beiträge von GABRIELLA ARAGIONE, L’amor proprio dei Greci e la ricerca del vero maestro (Clemente d’Alessandria, Stromati VI, 2, 5-27), in Poussières de christianisme et de judaïsme antiques: études études réunies en l’honneur de Jean-Daniel Kaestli et Eric Junod, éd. par Albert Frey, Rémi Gounelle, Lausanne, Éd. du Zèbre, 2007, S. 41-59, und Aspetti ideologici della nozione di plagio nell’antichità classica e cristiana, in Cristianesimi nell’antichità.

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Wie man ebenso gut weiß, kannte man in der Antike keine Urheberrechte, keinen Schutz des literarischen Eigentums;5 dagegen war die Übernahme von literarischem Material aus früheren Autoren verbreitet, gemäß dem Mimesis-Prinzip (cfr Über das Erhabene 13, 2, wo «Nachahmung und Nacheiferung der grossen Schriftsteller und Dichter der Vorzeit» einen anderen «Weg zur Erhabenheit» darstellen: das ist «kein Diebstahl, sondern wie eine Nachbildung schöner Gemälde, Bildwerke oder Bidhauerarbeiten»6). Im Übrigen weise ich darauf, dass man, fast im umgekehrten Verhältnis bezüglich der Verfeinerung der Idee des geistigen Eigentums und dessen gesetzlichen Schutzes in der gegenwärtigen Welt, zu einer einzigartigen nicht nur ästhetischen, sondern zu einer metaliterarischen Wertung des Plagiats gelangt, quasi wie ein paradoxaler Bravourtest, Produkt des “weiteren Autors” im Wettkampf mit dem “Erst-Autor”: das Plagiat wird deswegen wohl hervorgehoben. Das ist der Fall von Pierre Renard, vorgestellt von Jorge Luis Borges als Autor eines Don Quijote, fähig Cervantes gleichzukommen, weil er das Vorbild wortwörtlich kopiert (das borgessche Gegenteil ist die vom Babylonischen Gesetz für die Schreiber und Kopisten vorgesehene Aufgabe, von einander unterschiedliche Exemplare anzufertigen).7 Obwohl wir keine Einrichtung kennen wie das geistige Eigentum im Altertum vorhanden war, ergeben sich trotzdem recht bald, ab der alten attischen Komödie, Vorwürfe literarischen Diebstahls. Ich möchte nur wenige Beispiele davon erwähnen: die gegenseitigen Anschuldigungen zwischen Aristophanes und Eupolis, der erste habe Euripides ausgeplündert, der andere habe Material von Aristophanes und Phrynichus an sich gerissen; die Vorwürfe des Hermippos gegen Phrynichos; oder auch später, in römischen Altertum, jene Anklagen von “Kontamination”, wogegen sich Terentius in den Prologen verteidigt.8 Die Plagiat-Vorwürfe werden dann besonders deutlich in der Auseinandersetzung unter philosophischen Schulen ab dem IV. Jh. v. Ch., als z. B. der Sokratiker Aeschines beschuldigt wurde, unter seinem Namen Fonti, istituzioni, ideologie a confronto, a cura di Alberto D’Anna – Claudio Zamagni, Hildesheim, Olms, 2007, S. 1-15. 5 Leider habe ich nicht den Beitrag von KATHARINA SCHICKERT, Der Schutz der literarischen Urheberschaft im Rom der klassischen Antike, Tübingen, Mohr Siebeck, 2005, konsultieren können. 6 Übers. von GEORG MEINEL (Dionysios oder Longinos, Über das Erhabene, Übers. und mit krit. und exeg. Bemerkungen versehen, Kempten 1895, S. 17). 7 JORGE LUIS BORGES, Pierre Menard, autor del Quijote (1939, dann in Ficciones, Buenos Aires, Sur, 1944), dazu cfr MAURO CANOVA, Problemi e teorie della copia. Tre riflessioni intorno al “Pierre Menard” di Borges, in “Contrafactum”. Copia, imitazione, falso. XXXII Convegno interuniversitario, Bressanone 2004, Padova, Esedra, 2008, S. 463-476. Die Schreiber des Babels treten in der “Kurzgeschichte” La lotería en Babilonia auf (1941, dann in Ficciones). 8 Cfr ZIEGLER, Sp. 1969-1970.

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Dialoge verbreitet zu haben, die, von Sokrates verfasst, er von Xanthippe geschenkt bekommen habe (Diog. Laert. II, 60); Theopompos warf Platon vor, er habe sich Dialoge des Aristippos, des Antisthenes und Brysons von Heracleia angeeignet (F 259 Jac.); verdächtigt wurde Epikuros, Werke seines Meisters Nausiphanes oder Demokritos ausgeplündert zu haben (Diog. Laert. X 14; Clem. Alex. Strom. VI 2, 27); die Stoiker wurden beschuldigt, Werke der Peripatetiker ausgeraubt zu haben, so warf der Akademiker Polemon dem Stoiker Zenon vor: «Du dringst zu mir durch die Gartentür ein, und stiehlst mir meine Lehre, um sie dann in ein phönizisches Kleid zu stecken» (Diog. Laert. VII, 25).9 Ich möchte weitere Plagiat-Fälle aus dem philosophischen Bereich erwähnen, um eine mögliche Nähe zwischen den philosophischen Dikussionen – die auch TextEchtheit und -Urheberschaft betreffen – und den philologischen Arbeitsmethoden zu betonen;10 außerdem weil der christliche Text, mit dem ich mich hier beschäftige (die Refutatio omnium haeresium), im Grenzgebiet von Philosophie, christlicher Lehre und Philologie steht. Grob nenne ich nun die antike Literatur über Plagiate (űŲŶÎȬLiteratur). Die philologischen Werke, die Plagiate durchforschten, werden im I. Buch der Schrift von Porphyrios mit dem Titel ŝŰŲɓŲŶŪŶʱȎűŷɭŨŹŰŸ (etwa Philologische Vorlesungen), frr. 408-410 Smith, bezeugt: daher ist für uns Aristophanes von Byzanz der ältste Schriftsteller11, Porphyrios selbst der jüngste. Aus der porphyrianischen Schrift, die die dialogische Form eines feierlichen Tischgespräches in Gelegenheit der Athenischen Platoneia hatte, werden Auszüge von Eusebios, Praep. ev. X, 2, 16 angeführt; Eusebios hatte die Absicht, zu zeigen, dass der Plagiatsvorwurf gegen die Griechen keine Neuerung der Juden und Christen war, sondern üblich unter den Griechen selbst war. Wie man sieht, Hauptquelle für die űŲŶÎȬ-Literatur ist diese einzige Schrift des Porphyrios, des Philosophen und Philologen aus dem Ende des III. Jh. n. Ch., und sie wird seinerseits nur vom kurz späteren Eusebios vermittelt. Das polemische Plagiat-Motiv war eben das Lieblingsthema der jüdischen-hellenistischen Apologetik, die darauf abzielte, die Echtheit und das Alter der eigenen Kultur gegenüber jener der Griechen zu bekräfCfr ZIEGLER, Sp. 1970-1974. Mögliche Vorläufer der philologischen Studien in der peripatetischen Schule: RUDOLF PFEIFFER, Storia della filologia classica. Dalle origini alla fine dell’età ellenistica, Napoli, Macchiaroli, 1973, S. 128 seqq. (ital. Übers. von History of Classical Scholarship. From the Begininngs to the End of the Hellenistic Age, Oxford, Clarendon Press, 1968). 11 Das vollständige Namensverzeichnis der antiken Autoren, nach Zieglers Reihenfolge: Aristophanes von Byzanz, Latinos (Kaiserzeit), Caecilius von Kale Akte, Philostratos von Alexandreia (cäsarische Zeit), Lysimachos (vielleicht um 200 v. Ch.), Pollion (Kaiserzeit), Aretades. Tatsächlich werden Spuren von űŲŶÎȬ-Literatur zumindest fünfzig Jahre früher als Aristophanes in dem Text des P. Hibeh 173 = P. Lond. inv. 2946 von SIMON R. SLINGS, Anonymus, parallel lines from Homer and Archilochus, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» LXXIX (1989), S. 1–8 angenommen. 9

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tigen. Nicht das Thema des griechischen Plagiats, sondern das Thema der größeren jüdischen Angesehenheit war schon in der Alexandreia des III. Jhs v. Ch. vor allem von dem Peripatetiker Aristobulos, danach von Philon und Flavius Josephus vorgestellt worden. Hinzu kommen dann einige christliche Schriftsteller, vor allem Clemens Alexandrinus, Strom. VI, 14 und VI, 2-4, der eine überreiche in zwei getrennten Reihen laufende Beispielsammlung bietet: die erste aus unbestimmbaren Quellen, vielleicht nur aus Literatur bezüglich zufälliger Übereinstimmungen, die zweite dagegen, aus einer an Plagiat interessierten Quelle, die aber keiner der von Porphyrios zitierten Schriften entspricht.12 Später eben Eusebios, der sich in Praep. ev. X darauf beschränkt, Zusammenfassungen und Auszüge aus Clemens Alex. Strom. VI und aus Porphyrios vorzustellen. Eine ganz andere literarische Studienrichtung beschäftigte sich mit der Betrachtung nicht des Plagiats, sondern der Nachahmung (vgl. die schon herangezogene Schrift Über das Erhabene). Unter den Vertretern solcher Studien, die man heute als intertextuell bezeichnen würde, kann man Ammonios von Alexandreia, aus augusteischer Zeit, ŘŬŷɄźɵŴ ɟÎɔ ŘŲţźſŴŶŸ ųŬźŬŴŮŴŬŪųŤŴſŴ ȧŵ ǤųťŷŶŻ (Über Entlehnungen Platons aus Homer), erwähnen; ebenso Theons Einleitung der Progymnasmata, wo eine dem Apollonios Rhodios zugeschriebene Aussage angeführt wird: «Das Lesen ist Nahrung des Sprechens: von schönen Vorbildern in der Seele geprägt, gelingt es uns auch am schönsten nachzuahmen». Im römischen Bereich sei es genug die kritischen Überlegungen über die vergilianische Nachahmung von griechischen Vorbildern von Macrobius vorgestellt zu erwähnen. Schliesslich – mit Ziegler – erinnere ich an die modernen gründlichen Studien von Jacob Thomasius (Dissertatio de plagio litterario, 1673) bis zu Eduard Stemplinger (Das Plagiat in der griechischen Literatur, Leipzig-Berlin, Teubner, 1912), Hermann Peter (Wahrheit und Kunst. Geschichtschreibung und Plagiat im klassischen Altertum, Leipzig-Berlin, Teubner, 1911) und Wilhelm Kroll (Studien zum Verständnis der römischen Literatur, Stuttgart, J. B. Metzler, 1924). Dazu kann man noch ein Werk von Johann Albert Fabricius nennen, Decas decadum, sive plagiariorum et pseudonymorum centuria (Lipsiae 1689), das den antiken Plagiatoren und Pseudonymen gewidmet ist.

*** Nun gehe ich zur Refutatio omnium haeresium über, aber ohne Stellung zu nehmen hinsichtlich ihres Zuschreibens dem Hippolytos von 12 Cfr ZIEGLER, Sp. 1985-1991; auch ARAGIONE, L’amor proprio dei Greci, S. 51-52. Über die Zitierweise des Clemens cfr auch ANNEWIES VAN DEN HOEK, Techniques of Quotation in Clement of Alexandreia. A View of Ancient Literary Working Methods, in «Vigiliae Christianae» L (1996), S. 223-243.

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Rom, und ohne die heikle Problematik des Umfangs des hippolyteischen Korpus’ zu berühren. Ich halte mich also nicht an die Einheitsmeinung des jüngsten Herausgebers, Miroslav Marcovich,13 sondern an die vorsichtigen Bemerkungen derjenigen Forscher, gemäß denen jedenfalls die Refutatio, zwischen 222 und 235 datiert werden und in Zusammenhang mit anderen Schriften des hippolyteischen Korpus gebracht werden kann; ihnen entnehme ich auch den Hinweis darauf, dass es zu dieser Zeit in Rom eine “hippolyteische Schule” gegeben haben könnte, die sich auf die Vielfältigkeit des Korpus auswirkte.14 Die Schrift ist sehr interessant, zunächst wegen seiner zweigeteilten Buchüberlieferung: das I. Buch wird von mehreren Handschriften überliefert, in einigen von ihnen ist es dem Origenes zugeschrieben und mit dem Titel ŝŰŲŶŹŶżŶɝųŬŴŨ versehen, dagegen sind die Bücher IV-X (aber das Buch IV ist akephalisch) durch eine einzige Handschrift vom XIV. Jh. überliefert: der Kodex wurde von Costantinos Minoydes Mynas entdeckt und 1841 nach Paris gebracht (Parisinus suppl. gr. 464); dann wurde die Schrift 1851 von Emmanuel Miller, immer noch unter der Benennung von Origenes, herausgegeben.15 Die Gelehrtheit der Schrift wird schon zu Beginn in der klaren Exposition des Werkes vermittelt: [Aus Proöm] [1] Man darf keine von den Lehren, die bei den Griechen in Geltung sind, mißachten. Denn selbst ihre unwissenschaftlichen Anschauungen erscheinen noch wahrscheinlich, wenn man sie mit der grenzenlosen Tollheit der Häretiker vergleicht, die nur durch V e r s c h w e i g u n g ihrer Geheimnisse sich den Ruf der Gottesfurcht erhalten. Ihre Lehrsätze haben wir schon früher dargelegt, sie aber, ohne in Einzelheiten einzugehen, nur obenhin

Refutatio omnium haeresium, ed. by MIROSLAV MARCOVICH, «Patristische Texte und Studien» 25., Berlin-New York, de Gruyter, 1986. 14 Zur Urheberschaft der Schrift, cfr CLEMENS SCHOLTEN, in RAC XV (1991), S. 492-551, s. v. Hippolytos II (von Rom); EMANUELA PRINZIVALLI, in Enciclopedia dei papi, Roma 2000, I, S. 246-257, s. v. Ippolito; MANLIO SIMONETTI, in Ippolito, Contro Noeto, Bologna, ed. Dehoniane, 2000, S. 70-139; ID., in Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, Genova - Milano, Marietti, 2006, II, Sp. 2584-2599, s. v. Ippolito. Danach ENRICO NORELLI, Alcuni termini della “Confutazione di tutte le eresie” (“Elenchos”) e il progetto dell’opera, in Lingua e teologia nel cristianesimo greco. Atti del convegno tenuto a Trento l’11-12 dicembre 1997, a cura di Claudio Moreschini e Giovanni Menestrina, Brescia, Morcelliana, 1999, S. 95-123; CLEMENS SCHOLTEN, Autor, Anliegen und Publikum der “Refutatio”, in Des évêques, des écoles et des hérétiques. Colloque international sur la “Réfutation de toutes les hérésies”, Genève, 13-14 juin 2008, hsrg. von Enrico Norelli und Gabriella Aragione (in Druck). Zu der “Schule des Hippolytos”: ALLEN BRENT, Hippolytus and the Roman Church in the third century: communities in tension before the emergence of a monarch-bishop, Leiden-New York, Brill, 1995, S. 368-453 (zur Refutatio im hippolyteischen corpus, S. 204-209). 15 Die ekdotische Geschichte der Refutatio wird von MARCOVICH, Ed. 1986, S. 5-8, dargestellt. 13

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widerlegt; denn wir hielten es nicht für angezeigt, ihre Geheimnisse ans Licht zu ziehen; wir hofften, sie würden sich schämen, wenn wir andeutungsweise ihre Anschauungen berührten, und würden ihre unvernünftigen Ansichten und ihr unrechtes Beginnen aufgeben aus Furcht, wir könnten ihre Geheimnisse ganz bloßlegen und sie so der Gottlosigkeit überführen. [2] Doch sie achten meine Rücksicht nicht, noch bedenken sie, daß Gott nur darum ihre Lästerungen mit Langmut erträgt, damit sie sich schämen und bekehren oder damit sie als Verstockte ihr gerechtes Urteil erhalten. So gehe ich denn notgedrungen weiter und e n t h ü l l e die Geheimnisse, die sie ihren Jüngern mit großer Überzeugungskraft anvertrauen;16 doch darf sie keiner inne werden, bevor sie ihn nicht lange Zeit in Spannung gehalten, zum Gotteslästerer herangebildet und sich ganz unterwürfig gemacht haben und er dann vor Neugierde nach ihren Aufschlüssen brennt. [...] [6] Es wird sie aber niemand anderer des Irrtums überführen als der in der Kirche gespendete Hl. Geist, den zuerst die Apostel empfangen haben und den sie dann den Rechtgläubigen mitteilten. Da wir als deren Nachfolger an derselben Gnade, Hohenpriesterwürde und Lehre teilhaben und zu den Hütern der Kirche gehören, so halten wir die Augen offen und verkündigen die wahre Lehre. [...] [8] Wir wollen also die Gottlosigkeit der Häretiker in ihrer Denkart, ihrem Charakter und ihrer Handlungsweise aufzeigen, sowie die Quellen, aus denen sie ihre Erfindungen schöpften. Sie sind ans Erfinden gegangen ohne Anlehnung an die Hl. Schrift, und ohne sich auf einen Heiligen berufen zu können; ihre Lehren stammen aus der Griechenweisheit, aus philosophischen Anschauungen, aus Mysterien und aus der Irrwege gehenden Astrologie. Wir legen also z u e r s t d i e L e h r e n d e r g r i e c h i s c h e n P h i l o s o p h e n dar und werden unsern Lesern beweisen, daß diese Lehren älter und Gottes würdiger s i n d a l s d i e d e r H ä r e t i k e r ; dann wollen wir die einzelnen Sekten miteinander vergleichen und sehen, wie sich die Sektenstifter über die griechische Philosophie hermachten, deren Grundlagen für sich verwerteten und immer tiefer sinkend ihre Lehre zusammenschmiedeten. [...] [11] Wir stellen nunmehr die Frage, wer bei den Griechen zuerst Naturphilosophie gelehrt hat. Denn gerade von den Naturphilosophen haben die Sektengründer ihre Lehren gestohlen, wie wir durch Vergleichung feststellen werden. Dadurch, daß wir jedem

Zu Heimlichkeit und Dunkelheit der Häretiker cfr DANIEL A. BERTRAND, La notion d’apocryphe dans l’argumentation de la “Réfutation de toutes les hérésies”, in Apocryphité: histoire d’un concept transversal aux religions du livre: en hommage à Pierre Geoltrain, sous la dir. de Simon Claude Mimouni; avec la collab. technique de Constantinos Macris, Turnhout, Brepols, 2002, S. 131-140. 16

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sein geistiges Eigentum zuteilen, werden wir die Häresiarchen in ihrer schamlosen Nacktheit an den Pranger stellen.17

Der Aufbau der Schrift wird durch folgende Ankündigungen schrittweise bestätigt: [Aus dem Ende des IV. Buches:] Da wir dies nun wohl genugsam dargelegt haben und a l l e d i e v o n d e r i r d i s c h e n We i s h e i t a u f g e s t e l l t e n L e h r s ä t z e i n v i e r B ü c h e r n e n t h a l t e n s i n d , so wollen wir zu ihren Schülern oder besser gesagt zu ihren Plagiatoren übergehen. [V 6, aus dem Anfang des Buches:] [1] Die Lehren aller Denker bei Griechen und Barbaren in bezug auf das Göttliche und die Weltschöpfung dürften mit viel Sorgfalt i n d e n v i e r v o r a u s g e g a n g e n e n B ü c h e r n behandelt worden sein; da ich dabei auch ihre mehr abseits liegenden Arbeiten nicht überging, habe ich eine für den Leser interessante Arbeit geleistet und viele zu wissenschaftlichem Streben und sicherer Wahrheitserkenntnis gebracht. [2] N u n h e i ß t e s , a n d i e W i d e r l e g u n g d e r I r r l e h r e n g e h e n ; die vorhergehenden Untersuchungen dienen auch schon diesem Zweck; denn von den Alten gingen die Sektenstifter aus und setzten wie Trödler deren Irrtümer nach eigener Phantasie als neue Errungenschaft denen vor, die der Täuschung zugänglich waren, wie wir im folgenden zeigen werden. [IX, 31, 2, am Ende des Buches:] N u n h a b e n w i r w o h l d i e Lehren der Hellenen und der Nichtgriechen genügend auseinandergesetzt und alle Philosopheme und alle Ketzerlehren w i d e r l e g t ; aus dem Dargelegten geht klar hervor, daß die Häretiker aus dem, was die Griechen ausgearbeitet haben, einiges entlehnt und zusammengestellt und es dann als göttliche Lehre vorgelegt haben. Wir haben also mit vieler Mühe i n d e n n e u n B ü c h e r n die gesamten Lehren durchgegangen und d a r g e l e g t , und damit hinterlassen wir allen eine kleine Hilfe fürs Leben, den bildungsdurstigen Zeitgenossen bieten wir nicht geringe Anregung. N u n s o l l aber noch als Höhepunkt des Ganzen e i n e D a r s t e l l u n g d e r Wa h r h e i t g e g e b e n u n d i m z e h n t e n B u c h n i e d e r g e l e g t w e r d e n , auf daß der Leser nicht nur die, welche Ketzereien zu gründen gewagt, in ihrer Nichtigkeit verachte, sondern auch in der Erkenntnis der Macht der Wahrheit durch einen Gottes würdigen Glauben sein Heil wirke. Ich gebe die Übersetzung von KONRAD PREYSING (Des heiligen Hippolytus von Rom Widerlegung aller Häresien, aus dem Griechischen übersetzt von K. P., München 1922) wieder; Hervorhebungen von mir. 17

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[X, 5, am Anfang des Buches:] N a c h d e m w i r d a s L a b y r i n t h der Häresien nicht mit Gewalt durchbrochen, sondern durch Widerlegung und durch die Kraft der Wahrheit aufgelöst haben, gehen wir an den Beweis der Wahrheit. Dann wird die Unhaltbarkeit der kunstvollen Sophismen des Irrtums in Erscheinung treten, wenn der Wahrheitsinhalt aufgezeigt worden ist; sie hat ihren Ursprung nicht aus griechischer Weisheit genommen noch hat sie sich in den ägyptischen Geheimlehren, die, obwohl eitel, bei den Griechen mit gläubigem Vertrauen hochgehalten werden, unterrichten lassen, noch ist sie von den neugierigen, unwissenschaftlichen Chaldäern betört noch durch den törichten Wahnwitz der Babylonier mit Hilfe der Dämonen verblüfft worden. Die wahre Lehre vielmehr setzt sich in ihrer Einfachheit durch und widerlegt den Irrtum durch sich selbst. Wir haben ja vielfach schon Beweise für sie beigebracht und ihre Richtlinien gründlich aufgezeigt; nun soll aber doch nach allen Lehrmeinungen der Griechen und der Häretiker als Schlußstein der Bücher im zehnten der Wahrheitserweis gegeben werden. [6] I n v i e r B ü c h e r n h a b e n w i r a l s o a l l e L e h r e n d e r g r i e c h i s c h e n We i s e n , i n fünf die der Häretiker zusammengefaßt; in einem Buche wollen wir nach Wiederholung der Lehren aller Genannten die wahre Lehre darstellen.

Aus solchen Äußerungen schliesst man, dass die Bücher I-IV die hellenischen und ägyptischen Lehren, anfangs jene philosophischen, zuletzt jene astrologischen, darstellten; dagegen die Bücher V-IX die christlichen Häresien. Das Buch X stellte, über die Zusammenfassung hinausgehend, die wahre Lehre (ɖŷůɔŸŲɓŪŶŸ) dar. Demgemäß ist die Bucheinteilung gleichmäßig, mit dem festen Seitenumbruch (der vom Autor selbst besorgt wurde, wie man ständig erforscht):18 Buch für Buch capitulationes – śţūŬȪŴŬŹźŰŴȧŴźɂÎŷƄźȿ (oder ÎȤųÎźȿ Ȩűźȿ Ȧũūɓųȿ  ɖŪūɓȿ ȧŴȋźȿ ūŬűţźȿ), źŶɥűŨźȌÎŨŹɵŴŨɅŷŤŹŬſŴȧŲŤŪŽŶŻ –, die den TitelŒŨźȌÎŨŹɵŴŨɅŷŤŹŬſŴȪŲŬŪŽŶŸ gewährleisten,19 und eine analytiPAUL WENDLAND (Refutatio omnium haeresium, hrsg. v. P. W., «Die Griechischen Christ. Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte» 26., Leipzig, Hinrichs, 1916; Nachdruck: Hildesheim, Olms, 1977), S. XIII-XV; cfr MARCOVICH, Ed. 1986, S. 8-9. 19 Der Alternativtitel der Bücher I und IX (ŝŰŲŶŹŶżŶɝųŬŴŨ) ist aus späterer Zeit; er entstammt möglicherweise sowohl aus den ersten Worten des I Buches als auch aus B. IX, 8, 2; s. die Bemerkungen von CLEMENS SCHOLTEN, Der Titel von Hippolyts “Refutatio”, in «Studia Patristica» XXXI (1997), S. 343-348. Jedoch könnte selbst die analytische Angabe vor jedem der einzelnen Bücher die Abtrennung des I Buches befördert haben: das Buch war hoch interessant für einen breiteren Leserkreis, auch für Heiden, weil es eine Geschichte der griechischen Philosophie enthält (aus denselben Gründen ist es auch für die modernen Leser äußerst interessant: es ist die Hauptquelle z. B. der Doxographi Graeci von Hermann Diels, 1879). Zum Aufbau der Schrift EMANUELE CASTELLI, The author of the “Refutatio omnium haeresium” and the attribution of the “De 18

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sche durch źŦŸ  ÎɵŸ  ɗźŰ eingeleitete Inhaltsangabe (űŬżŨŲŨŰɭŹŬŰŸ  ÎŷŶŪŷŨżŨɃ).20 Ich verweile bei diesen Einzelheiten auf, weil die doktrinäre Schrift für diesen kulturellen Zeitpunkt ganz bezeichnend ist, in dem ein neuer Typus von Buch aufbereitet wird, das wissenschaftliche Ausführlichkeit und zugleich Klarheit, ja sogar breite Lesbarkeit anstrebt: ein Zeitpunkt, wo umfangreiche Werke von philosophischen Biographien und antiquarischer Exegese (Diogenes Laertios, Athenaios) angefertigt werden, und erneute exegetische und textkritische Sorgfalt bei philosophischen Texten angewandt wird (es genügt die Arbeiten Alexanders von Aphrodisias und auch Porphyrios’ zu nennen).21 Die christliche Kultur trägt ganz einzigartig zu dieser Anstrengung bei, wobei sie auch neue Formen von Buchstrukturen hervorbringt.22 Außerdem ist die Darlegungsmethode der Refutatio, wie vor allem in Bezug auf die valentinianische Häresie erklärt, eher synoptisch, weil sie durch einen stetigen Vergleich zwischen dem Text der griechischen oder heidnischen Lehre und dem häretischen Text vornimmt: Die Häresie des Valentinus enthält die pythagoreische und die platonische Lehre [...] Denn wenn auch in den vorher von uns verfaßten Büchern die Lehrmeinungen des Pythagoras und Plato niedergelegt sind, so werde ich doch auch jetzt mit gutem Grund ihre Ansichten auszugsweise und summarisch in Erinnerung bringen; so treten dann durch d i e nähere Zusammenstellung und V e r g l e i c h u n g (ūŰȌź Ɂ Ÿ  ȧ Ū Ū Ŧ Ŷ Ŵ Ŷ Ÿ  Î Ũ ŷ Ũ ů Ť Ź Ŭ ſ Ÿ  ɕ ų Ŷ ɥ ű Ũ Ʉ  Ź Ż Ū ű ŷ Ŧ Ź Ŭ ſ Ÿ ) die Meinungen des Valentinus gut hervor.23

Um die häretischen Lehren zu enthüllen, sieht die Refutatio vor, kontrastiv Vorbild und Nachahmung gegenüberzustellen: dieses Verfah-

universo” to Flavius Josephus, in Des évêques, des écoles et des hérétiques... (in Druck), als Vorausdruck erschienen in «Vetera Christianorum» XLVI (2009), S. 17-30: ich danke dem Autor für seine freundlichen Hinweise. 20 Zu derartigen Buchstrtrukturen zumindest GÜNTHER ZUNTZ, The Ancestry of the Harklean New Testament, London, Oxford University Press, 1945, S. 78 seqq.; OTTO REGENBOGEN, in RE XX 2 (1950), Sp. 1408-1482, s. v. ŘɃŴŨŵ; MARIE-ODILE GOULETCAZÉ, L’édition porphyrienne des Ennéades, in Porphyre. La Vie de Plotin, I, Paris, Vrin, 1982, S. 315-320. 21 Cfr MICHAEL TRAPP, Philosophy, scholarship, and the world of learning in the Severan period, in Simon Swain, Stephen Harrison, Jas Elsner (ed.), Severan Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, S. 470-488. 22 Darüber cfr ANTHONY GRAFTON – MEGAN WILLIAMS, Christianity and the transformation of the book: Origen, Eusebius, and the Library of Caesarea, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2006. 23 VI, 21,2, nach der Übers. v. K. Preysing.

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ren wird durch die Komposita ȎŴźŰÎŨŷŨźɃůŮųŰ, ȎŴźŰÎŨŷȋůŬŹŰʱ24 und schon durch die Simplicia ÎŨŷŨźɃůŮųŰ ÎŨŷȋůŬŹŰʱ bezeichnet.25 Es wird damit das Bild eines gelehrten Buches hervorgerufen, dessen Seite idealerweise die Synkrisis erlaubt, dank der Synopse der Texte in zwei nebeneinander gesetzten Spalten, die eine für die plagiierte Originallehre, die andere für das häretische Plagiat: eine ideale Vorwegnahme des komplexeren von Origenes erfundenen Buches für das Bibelstudium, die Hexapla.26 Über diese Beweisführungsmethode hinaus fällt trotzdem die Originalität der These auf: das Wichtigste ist nicht, dass die Griechen plagiierend die jüdische Kultur, die “barbarische Weisheit”, wie sich Clemens Alexandrinus ausdrückte,27 überarbeitet hätten; sie seien vielmehr die von den Häresiarchen sklavisch überarbeiteten Vorbilder! Die Griechen, die sich Clemens gemäss prätentiös, mit żŰŲŨŻźɃŨ, als stolze Erfinder der Philosophie und der Weisheit vorstellten, sehen hier im Sinne der Refutatio mit Recht echt aus.28 Darin teilt die Ref. vielmehr fast die Thesen von Celsus, der seinerseits Juden und Christen beschuldigte, den griechischen ÎŨŲŨŰɔŸŲɓŪŶŸ nachgeahmt zu haben.29 Aber ein Beziehungspunkt zwi24 Wie BERTRAND betont: La notion d’apocryphe, S. 138, in Bezug auf V 13, 13; VII 14, 1; VII 29, 3; VII, 30, 2; cfr ARAGIONE, Aspetti ideologici, S. 14. 25 Außer Ref. VI 21, 2, oben zit.: hinsichtlich des Gebrauchs von ÎŨŷȋůŬŹŰʱ cfr V 19, 9, und hinsichtlich des Gebrauchs von ÎŨŷŨźɃůŮųŰ VI 55, 2; VIII 15, 3; IX 13, 6. 26 Cfr GRAFTON – WILLIAMS, Christianity, S. 86-132. Das Substantiv ȎŴźŰ

ÎŨŷȋůŬŹŰŸ, im Text der Ref. und in Epiphan. Panarion I, 390, e II, 408, 3 Holl, in der Beschreibung der Hexapla, könnte in der Tat nicht nur «citation, adducing of parallels» (PGL, s. v., 4), sondern genauer auf: «Darstellung in parallel angeordnenten Spalten» hindeuten. 27 Cfr JAN HENDRIK WASZINK, Some observations on the appreciation of the philosophy of the Barbarians in early christian literature (1963), in Opuscula selecta, Leiden 1979, S. 272-287; GUY G. STROUMSA, Barbarian Philosophy: The Religious Revolution of Christianity, Tübingen, Mohr Siebeck, 1999, S. 57-84; EDUARD IRICINSCHI - HOLGER ZELLENTIN (eds.), Heresy and Identity in Late Antiquity, Tübingen, Mohr Siebeck, 2008. Zur problematischen Beständigkeit mit der jüdischen Erbschaft und zur Verwicklung zwischen ethnos und genos in der Entstehung des einheitlichen christlichen Bewusstseins cfr jetzt DENISE KIMBER BUELL, Why This New Race: Ethnic Reasoning in Early Christianity, New York, NY, Columbia University Press, 2005. 28 Der Verfasser von der Ref. dehnt einen einzelnen Hinweis bei Irenäus von Lyon (Adv haer. II, 14) aus, danach hätten die Gnostiker ihre Lehre aus griechischen Quellen entlehnt. Zum Verhältnis zwischen der Ref. und Irenäus cfr EMANUELA PRINZIVALLI, Eresia ed eretici nel Corpus Ippolitiano, in «Augustinianum» XXV (1985), S. 711722; JAAP MANSFELD, Heresiography in context: Hippolytus’ Elenchos as a source for Greek philosophy, Leiden, Brill, 1992, S. 162 seqq., 321. 29 Cfr GIORGIO JOSSA, La valutazione cristiana dei Greci da Giustino a Ippolito, in Hommages à Carl Deroux. 5, Christianisme et Moyen Âge, néo-latin et survivance de la latinité, éd. par Pol Defosse, Bruxelles, Latomus, 2003, S. 170-179. Außerdem: zu erwähnen sind die Auswirkungen der zeitgenössischen Debatte über die Herkunft der Philosophie in Diogenes Laertios (I, prooem.) und schon in Lukian (Fug. 6-12), vgl. ARAGIONE, Aspetti ideologici, S. 48-49.

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schen Clemens und dem Autor der Ref. besteht darin, dass in beiden nicht nur die Griechen, sondern alle Menschen, ohne ethnischen Unterschied, auf der Suche nach dem echten und einzigen Lehrer und nach der Wahrheit sind.30 Ihr Abstand hängt offensichtlich von dem verschiedenen polemischen Ziel ab, das nicht mehr in den Griechen, sondern in den Häretikern, besteht: die letzteren, sowohl wegen ihrer Abweichung von der Wahrheit, als auch wegen ihres Plagiats von den alten Lehren, doppelt disqualifiziert. Anders ausgedrückt: der griechischen Weisheit wird in der Ref. keine Wahrheitswürde anerkannt, nur ein historisch-kultureller Vorrang den Häresien gegenüber. Was das Panarion von Epiphanios von Salamis betrifft, der die Häresien ausgehend von fünf originellen Ursprüngen anordnet, hat man beobachtet, dass auch die genealogische Gliederung eine polemische Funktion besitzt.31 Nun gleicht die auf die Häresiarchen gerichtete Plagiatsbeschuldigung von dem Autor der Ref. einem Versuch genealogischer Häresiengliederung: die Besonderheit seines Bildes besteht darin, dass die aufgezeigten genealogischen Züge die Grenzen des Christentums überschreiten, indem sie dann den Stammbaum einer unechten, unheiligen Doktrin vermitteln. Nicht nur wegen der ideologischen Gedanken und Beweismethoden erscheint der polemische Vorschlag der Ref. neu erfunden, sondern auch wegen ihres lexikalischen Ausdrucks, indem sie sogar neue zusammengesetzte Wörter prägt (und diese sind einzig in diesem Text belegt), wie das Verb űŲŬžŰŲŶŪŬɋŴ und das entsprechende Substantiv űŲŬžɃŲŶŪŶŸ,32 bei denen die Stellung beider Bestandteile gegenüber dem ebenso einzigen, aber bekannteren Wort ŲŶŪŶűŲŶÎɃŨ umgekehrt ist.33 Die Refutatio könnte sich an ein nicht nur aus christlichen Lesern bestehendes Publikum wenden, sondern auch an żŰŲŶųŨůŬɋŸ, seien es Christen, seien es Heiden, welche an diesen häretischen Lehren interessiert sind, indem diese Schrift apologetische und protreptische Zwecke zugleich Zu Clemens cfr ARAGIONE, L’amor proprio dei Greci, S. 48 seqq. Cfr SUSANNA ELM, The Polemical Use of Genealogies: Jerome’s Classification of Pelagius and Evagrius Ponticus, in «Studia Patristica» XXXIII (1996), S. 311-318; auch AVERIL CAMERON, How to Read Heresiology, in «Journal of Medieval and Early Modern Studies» XXIII (2003), S. 471-492. 32 Das vollständige Verzeichnis der Okkurrenzen dieser Wörter wird aufgeführt, außer in dem Index Verborum der Ed. MARCOVICH, S. 476, auch von MIROSLAV MARCOVICH, Studies in Graeco-Roman Religions and Gnosticism, Leiden-New York-Copenhagen-Köln, Brill, 1988, S. 120. Beide Ausdrücke sind weder in der Ziegler - Liste noch in LSJ verzeichnet. 33 Cfr ZIEGLER, Sp. 1956, 59 (ŲŶŪŶűŲŶÎɃŨ hapax legomenon bei D. L. VIII, 54); ARAGIONE, Aspetti ideologici, 3. Es lohnt sich auch ŲŶŪŶűŲŤÎźŮŸ zu nennen, ein anderes hapax legomenon (diesmal christlich und außer Acht gelassen sowohl in ZIEGLER als auch in LSJ und PGL), von Marcus Eremita, De incarnatione sive Adversus Nestorianos 11 (das scheint von Ier 23, 29 zu stammen) verwendet. 30 31

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erfüllt.34 Wenn dieses Urteil ins Schwarze trifft, würde ich vorschlagen, in dem heidnischen daran interessierten Publikum auch Philosophen anzunehmen, wie Plotinos, der sich, einige Jahrzehnte später, ebenfalls in Rom, mit Gnostikern in seiner Schule beschäftigte und diesen einige Vorlesungen widmete, die in einem spezifischen Werk Eingang gefunden haben (nämlich den Enneaden II, 9), gemäß den Erinnerungen Porphyrios’ (Leben des Plotinos 16): Florissaient de son temps parmi les chrétiens, à coté de beaucoup d’autres, des hérétiques sortis de l’ancienne philosophie [ŨɅŷŬźŰűŶɄūȥȧű źɁŸÎŨŲŨŰȢŸżŰŲŶŹŶżŦŨŸȎŴŮŪųŤŴŶŰ], Adelphius et Aquilinus avec les gens de leur entourage, ayant en leur possession de très nombreux traités d’Alexandre le Libyen, de Philocomus, de Demostratus et de Lydus et mettant en avant des apocalypses de Zoroastre, de Zostrien, de Nicothée, d’Allogène, de Messos et d’autres figures du même genre; ils égaraient complètement bien des gens, égarés qu’ils étaient euxmêmes en pretendant que Platon n’aurait pas accédé à la profondeur de la substance intelligible. De là vient que lui-même, leur opposant maintes réfutations dans ses cours, ayant même écrit un livre — celui que nous avons intitulé Contre les Gnostiques [ɗÎŬŷ €ŘŷɔŸ źŶɞŸ ŋŴſŹźŰűŶƃŸŒȧÎŬŪŷţžŨųŬŴ] —, nous laissa le soin d’examiner le reste: Amelius, pour sa part, composa jusqu’à quarante livres afin de répliquer au livre de Zostrien; quant a moi, Porphyre, à celui de Zoroastre j’ai opposé toute une suite de réfutations, où je montre comment ce livre est à la fois inauthentique et récent, forgé par les fondateurs de la secte pour faire accroire que provenaient de l’antique Zoroastre les doctrines qu’ils avaient eux-mêmes choisi de professer [ŘŶŷżƃŷŰŶŸūȥȧŪɮÎŷɔŸ źɔŎſŷŶţŹźŷŶŻŹŻŽŴŶɞŸÎŬÎŶŦŮųŨŰȧŲŤŪŽŶŻŸ ɗŲſŸŴƂůŶŴźŬűŨɄŴŤŶŴ źɔ ũŰũŲŦŶŴ ÎŨŷŨūŬŰűŴɞŸ ÎŬÎŲŨŹųŤŴŶŴ źŬ ɟÎɔ źɵŴ źȭŴ ŨɇŷŬŹŰŴ ŹŻŹźŮŹŨųŤŴſŴŬɆŸūƂŵŨŴźŶɥŬɌŴŨŰźŶɥÎŨŲŨŰŶɥŎſŷŶţŹźŷŶŻźȌ ūƂŪųŨźŨ ȐŨɠźŶɄŬɇŲŶŴźŶÎŷŬŹũŬƃŬŰŴ].35

Cfr NORELLI, Alcuni termini, S. 102 seqq. Porphyre. La vie de Plotin, vol. II: Études d’introduction, texte grec, traduction française, commentaires, notes complémentaires, bibliographie par LUC BRISSON et alii, Paris, Vrin, 1992, S. 159. Aus Leben des Plotinos 17 («Comme les gens de la Grèce disaient que Plotin pillait les doctrines de Numénius [źȌŕŶŻųŮŴŦŶŻŨɠźɔŴɟÎŶũţŲŲŬŹůŨŰ], et comme le stoïcien et platonicien Tryphon en faisait part à Amélius, ce dernier écrivit un livre qu’il intitula Sur la différence doctrinale qui sépare Plotin de Numénius [ũŰũŲŦŶŴɘ ȧÎŤŪŷŨžŬ ųȥŴ ŘŬŷɄ źɁŸ űŨźȌ źȌ ūƂŪųŨźŨ źŶɥ ŘŲſźŦŴŶŻ ÎŷɔŸ źɔŴ ŕŶŻųťŴŰŶŴ ūŰŨżŶŷȢŸ], et qu’il dédia à Basileus, à moi») ergibt sich dann, dass eine Widerlegung des Plagiatsvorwurfs den Titel Über den Unterschied ... (ŘŬŷɄūŰŨżŶŷȢŸ) haben konnte, d. h. das Gegenteil von Über das Zusammenfallen ... (ŘŬŷɄŹŻŴŬųÎźƄŹŬſŸ), dem obengenannten Titel der Schrift des Aretades. 34 35

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Eigentlich gestaltet sich der Fall der Polemik über das Plagiat in der Ref. durch nicht zufällige, sondern durch ausgedehnte deutliche Ü b e r e i n s t i m m u n g e n zwischen diesem Werk und den kompliziertern Werken von Sextus Empiricus, Irenäus, Flavius Josephus. Diese Übereinstimmungen, kaum als Aufnahme von gemeinsamen Quellen zu erklären, können eher vermutlich der direkten Verwendung von Sextus Empiricus, Irenäus, Flavius Josephus in der Ref. zugeschrieben werden, ohne aber das Vorhandensein eines einzigen expliziten Hinweises dafür: d. h. sie könnten einem P l a g i a t zugeschrieben werden36. Miroslav Marcovich hat sogar vermutet, dennoch ohne überzeugend zu sein, dass der Verfasser der Ref. Angaben über griechische Texte aus dem Inneren selbt der häretischen widerlegten Texte genommen habe: eben eine noch tendenziösere Art des Plagiats!37 Sollte die eventuelle Beschuldigung dieses erschwerenden Umstandes unbegründet sein, könnte man auch dem Verfasser der Ref. den mildernden Umstand der “ehrerbietigen Absicht” zuerkennen,38 genau wie wir sie Jacques Paul Migne zugestehen, für dessen allzu ungenierte Veröffentlichung der kolossalen Patrologia: nicht zufälligerweise wird der Abt Migne, in der Bezeichnung seines Biografieverfassers Bloch, als God’s Plagiarist gebrandmarkt.39 Onofrio Vox Università del Salento - Lecce

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MARCOVICH, Ed. 1986, S. 36: Sextus Empiricus V in Ref. IV, 1-7 e V, 13, X in Ref. X, 6-8; Irenäus in Ref. VI, 42-54 e VII, 28 e 32; Flavius Josephus in Ref. IX, 18-29. 37 Cfr MIROSLAV MARCOVICH, Hippolytus plagiarizes the gnostics, II, in Athlon. Satura grammatica in honorem F. Rodríguez Adrados, ed. P. Bádenas de la Peña, A. Martínez Díez, E. Rodríguez Monescillo & M. E. Martínez-Fresneda, Madrid, Editorial Gredos, 1987, S. 587-592, und auch Ed. 1986, S. 37 seq. Aber zu den Methoden von dem Autor der Ref. cfr MANSFELD, Heresiography in context..., S. 163 seqq., 318 seqq., und einige jüngste Beiträge von EMANUELE CASTELLI, unter denen The author of the “Refutatio omnium haeresium”... (oben). 38 GUZMÁN GUERRA, Pseudo-literatura ..., 2.1.2.b. 39 Nach dem Titel des Originals (Chicago 1994), nach der italienischen Übersetzung als Il plagiario di Dio, Milano, Silvestre Bonnard, 2002. Schließlich möchte ich anmerken, dass ANTHONY GRAFTON, Forgers and critics. Creativity and Duplicity in Western Scholarship, Princeton, Princeton University Press, 1990 = ital. Übers. Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale, Torino, Einaudi, 1996) dem Porphyrios, dem Philologen, Erforscher von Fälschungen, und Richard Reitzenstein, Wissenschaftler über apokryphe und gnostische Texte (daher auch von der Refutatio in Poimandres), reizende Medaillions widmet (von solchen Medaillons warnte trotzdem LUIGI E. ROSSI, Tipologia del non autentico nel mondo antico, in Furto e plagio nella letteratura del Classicismo, a cura di Roberto Gigliucci, Roma, Bulzoni, 1998, online nachschlagbar, http://www.disp.let.uniroma1.it/fileservices/filesDISP/015-018_ ROSSI.pdf). – Für die Nachprüfung dieser deutschen Übersetzung bedanke ich mich bei meinem Freund Ernst Ronsdorf (Köln).

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ABSTRACT Charge of plagiarism was current polemic motif against the Greeks in jewish-christian apologetics. Hippolytus’ (?) Refutatio omnium haeresium (222-235 AD) presents the motif against the heretics, reproaching them for having stolen Greek doctrines. Analysis of structure and aims of the Refutatio, its method of argumentation, its use of hapax legomena to denote plagiarism (klepsilogein and klepsilogos), its debt to Irenaeus of Lyons (Adv. haer. II, 14). RÉSUMÉ Dans l’apologétique hébraïque-chrétienne, l’accusation de plagiat était un motif de la polémique contre les Grecs. L’œuvre d’Hippolyte (?) Refutatio omnium haeresium (222-235 ap. J.-C.) présente une version de ce motif, en accusant les hérétiques d’avoir pillé les doctrines grecques. L’analyse de la Refutatio concerne: la structure, les buts, la méthode de l’argumentation, l’usage des hapax legomena pour révéler le plagiat (klepsilogein et klepsilogos), la dette envers Irénée de Lyon (Adv. haer. II, 14).

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UN DIO DA DISTRUGGERE: MODALITÀ DEL DISCORSO POLEMICO IN ARNOBIO

La tarda conversione di Arnobio, ancora recente quando intraprese la scrittura dell’Adversus nationes, spiega la peculiarità della sua opera, improntata a un cristianesimo per molti versi acerbo, senz’altro appassionato, che porta a un’aspra condanna di quelle divinità in cui per gran parte della vita aveva creduto. E, singolarmente, nel suo discorso polemico è possibile riscontrare un atteggiamento che ricorda per certi tratti quello rimproverato ai pagani nei confronti dei cristiani, soprattutto nei primi secoli, ai tempi delle persecuzioni: si coglie, infatti, lo stesso rifiuto totale dell’ ‘altro’ ma, mentre per i detrattori del cristianesimo c’è alla base una ignoranza ostentata e molte accuse formulate dai pagani ai cristiani sono dovute sostanzialmente a una reale o simulata ignoranza della loro religione, l’attacco di Arnobio è invece puntuale e corrosivo perché è basato non solo su una approfondita conoscenza, ma anche su una pratica di anni di quei culti, che gli permette di evidenziare debolezze e fragilità del sistema religioso romano.1 L’opera, che a buon diritto rientra nel genere apologetico, risulta priva di rigore dogmatico, e, per i motivi appena espressi, orientata più che a confutare le accuse convenzionalmente rivolte al cristianesimo, a ribaltarle nei confronti dei pagani; i giudizi su Arnobio e l’Ad nationes sono stati severi nel loro complesso, sia sulla disposizione della materia sia sullo stile e, del resto, non fanno altro che ribadire alcune perplessità espresse da Girolamo che pure ha mostrato più volte di apprezzare il suo eloquio:2 si tratta della testimonianza di epist. 58, 10, indirizzata a Paolino JACQUES FONTAINE, La letteratura latina cristiana, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 49 (Paris 1970) dice: «Quest’opera esprime, con un’aggressività tutta pagana, una sorta di odium theologicum: un odio che, dopo essere stato rivolto ai cristiani, che prima della conversione ‘egli aveva sempre attaccato’ (se crediamo a Girolamo) è ora lanciato contro un paganesimo, dal quale egli si è a malapena e più semplicemente, appena distaccato». 2 A Girolamo risalgono le principali notizie su Arnobio: due volte lo definisce maestro di Lattanzio (Vir. ill., 80 Firmianus, qui et Lactantius, Arnobii discipulus; Epist., 70, 5 Septem libros adversus gentes Arnobius edidit, totidemque discipulus eius Lactantius…); riassume gli elementi essenziali della sua biografia in Chron. ad annos 326-327, in una testimonianza dove sembra limitare il giudizio estremamente positivo espresso dal superlativo luculentissimos con un’espressione che in qualche modo delimita la finalità dell’opera (l’indicazione cronologica che si riferisce al 326-327 è sbagliata; indica, se mai, la data della morte di Arnobio): Arnobius rhetor in Africa clarus habetur. 1

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di Nola, dove lo definisce inaequalis et nimius et absque operis sui partitione confusus.3 Il problema dell’organizzazione interna del contenuto è stato lungamente dibattuto: l’evidente sperequazione tra la parte propriamente apologetica, che si esaurisce nei primi due libri, e quelli dal terzo al settimo che “trovano unitarietà nella polemica incessante contro tutte le forme del politeismo mitologico”,4 offre materia per una riflessione che parte da molto lontano, appunto dal giudizio di Girolamo.5 Nella praefatio a tutta l’opera (I, 1, 1-3 e 2,1-2),6 che mi piace considerare tale, d’accordo con Biagio Amata, che così titola il primo paragrafo, nonostante Henri Le Bonniec si mostri convinto che il trattato cominci ex abrupto,7 sono presenti le tematiche che saranno trattate nei primi due libri, il primo che costituisce la vera e propria difesa dall’accusa Qui cum Siccae ad declamandum iuvenes erudiret et adhuc ethnicus ad credulitatem somniis compelleretur neque ab episcopo impetraret fidem, quam semper impugnaverat, elucubravit adversus pristinam religionem luculentissimos libros et tandem velut quibusdam obsidibus pietatis foedus impetravit. (Arnobio godette come retore di una grande reputazione. Al tempo in cui a Sicca educava i giovani alla declamazione, essendo ancora pagano, fu indotto da alcuni sogni a credere, ma non ottenendo dal vescovo (di professare) quella fede che aveva sempre combattuto, compose degli splendidi libri contro la sua precedente religione, e infine, avendo dato una garanzia (se così la possiamo chiamare) della sua devozione, ottenne l’affiliazione). Ancora manifesta apprezzamento in Vir. ill., 79 Arnobius sub Diocletiano principe Siccae apud Africam florentissime rhetoricam docuit scripsitque adversus gentes quae vulgo exstant volumina (Arnobio ai tempi dell’imperatore Diocleziano [dunque tra il 284 e il 305], a Sicca, città dell’Africa, fu un maestro estremamente brillante di retorica e scrisse contro i pagani dei libri che si possono incontrare dovunque); nell’Epist., 62, 2 a Tranquillino lo pone tra gli scrittori eterodossi come Origene, Tertulliano, Novato, Apollinare e altri autori cristiani greci e latini, utili a conoscersi, purché si scelga solo quanto è buono (cfr ARNOBIO, Difesa della vera religione, introd., trad. e note a cura di Biagio Amata, Roma, Città Nuova, 2000, p. 53, nt. 157); riconosce ancora la sua eloquenza collocandolo in un elenco di scrittori, pagani e cristiani, che considera validi in In Is. 8 praef. 3 Si tratta inequivocabilmente di un giudizio negativo: Arnobio è disuguale e sovrabbondante e confuso per non aver saputo dividere la sua opera. L’aggettivo inaequalis non è usato qui nell’accezione tecnica con cui pure ricorre nei grammatici (cfr ThLL VII, 1, 811, 25 e 37-45), ma è a sostegno e spiegazione della locuzione finale, si riferisce cioè alla disomogenea divisione del contenuto dell’opera; nimius invece è chiaramente riferito allo stile, prolisso e ricco di ripetizioni. 4 Cfr ARNOBIO, Difesa, p. 7. 5 Per una sintesi efficace della posizioni assunte dagli studiosi a proposito della struttura dell’opera cfr Arnobe. Contre les gentils, Livre I, texte établi, traduit et commenté par HENRI LE BONNIEC, Paris, Les Belles Lettres, 1982, pp. 16-30. 6 Il testo dell’Adversus nationes è citato secondo l’edizione di LE BONNIEC, Arnobe, per quanto riguarda il primo libro; per gli altri libri si è seguita l’edizione ARNOBII SICCENSIS, Adversus nationes L. VII, recognovit et convertit Blasius Amata, Editio retialis, Romae A. D. MMVIII, pp. 314. 7 All’inizio del commentario HENRI LE BONNIEC, Arnobe, p. 195, dice: «Curieusement, le traité débute ex abrupto: pas de titre, pas de préface, aucune allusion aux circonstances de la conversion et de la rédaction, telles que les rapporte S. Jérôme».

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che i cristiani fossero la causa delle calamità dell’impero, il secondo, una sorta di appendice sulla figura di Cristo e la sua divinità. Marco Rizzi, all’interno di una più generale analisi degli exordia apologetici, a proposito della praefatio di Arnobio, riconduce “la brusca contrazione delle dimensioni delle strutture esordiali” (p. 125) all’indeterminatezza collettiva dell’‘altro’ che, privo di una effettiva identità storica, è connotato esclusivamente dall’ignoranza e dall’inadeguatezza a rapportarsi con il cristianesimo e per il quale funziona il generico riferimento di gens o natio.8 Con il terzo libro comincia la vera e propria sezione polemica che continua fino alla conclusione e all’interno della quale è possibile operare un’ulteriore suddivisione: i libri dal terzo al quinto contengono una critica alle dottrine pagane e sono collegati l’uno all’altro, come lo sono gli ultimi due, dedicati a combattere le modalità dei culti.9 L’incipit del terzo libro, che segna il cambiamento tematico, ha per certi versi i caratteri di una seconda praefatio, interna al testo, in cui Arnobio comunica ai lettori di non voler indugiare più a lungo nella difesa, impresa compiuta peraltro in maniera estremamente valida da uomini eccellenti. La religione cristiana, conclude, non ha bisogno di difensori, perché poggia sulla propria verità (III, 1, 1-3). Comincia da qui la sua polemica: egli che non può, o più probabilmente non sa, entrare in un terreno squisitamente teologico per difendere il cristianesimo, attacca il paganesimo percorrendo una strada a lui più congeniale; per rendere più credibile la conversione, mette in atto una distruzione metodica del pantheon di quegli dei che ha onorato fino a poco tempo prima, con un piglio rabbioso e ironico che si colora di toni sarcastici o grotteschi attraverso una scrittura irruente, talvolta aggressiva, che gli è parsa la forma più funzionale per rendere convincente la sua scelta.10 Come vedremo, la polemica acquisisce nell’Adversus nationes una particolare connotazione, una cifra peculiare: si stempera infatti spesso nell’ampia e sfaccettata dimensione del comico, sapientemente modulato 8 MARCO RIZZI, Ideologia e retorica negli ‘exordia’ apologetici. Il problema dell’‘altro’, Milano, Vita e Pensiero, 1993, (Studia Patristica Mediolanensia, 18), pp. 137-142, traduce e commenta in maniera puntuale l’exordium dell’Adversus nationes, con una particolare attenzione a individuare gli elementi comuni ai proemi delle opere apologetiche. 9 Può essere utile indicare con maggiore specificità le tematiche trattate nei libri: il terzo parla dei vizi e dei limiti degli dei, considerati come uomini; il quarto continua la critica all’antropomorfismo con un attacco alla divinizzazione di astrazioni, come virtù e pietà; il quinto tratta dei misteri, il sesto dell’inutilità dei templi e delle statue e il settimo condanna la pratica dei sacrifici. 10 GEORGE E. MCCRACKEN, Arnobius of Sicca, The Case Against The Pagans, Westminster, The Newman Press, 1949, p. 4, nell’introduzione definisce l’opera «the most intense and the most sustained of all extant counterattacks upon the contemporary pagan cults».

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nei suoi diversi aspetti: ironia satira mordacità sarcasmo parodia scherno costituiscono le sue armi. Scoprire i meccanismi di questa sistematica demolizione, che si configura come una lotta a tutto campo, senza esclusione di colpi, costituirà l’obiettivo di questo lavoro, che avrà, come filo conduttore per ricostruire un percorso, la somma divinità pagana, Giove, il dio che governa tutti gli dei, attraverso l’analisi di alcuni dei luoghi in cui è citato, con l’obiettivo di cogliere le modalità di un approccio forte, in cui sono convogliati tutto il disagio e il malessere per i lunghi e recenti anni da pagano. Giove ricorre più di ottanta volte e in più della metà dei casi il suo personaggio è sottoposto a un puntiglioso annientamento: attraverso la selezione di alcuni brani è possibile ricostruire una sorta di biografia del padre degli dei, o meglio una messa a fuoco di momenti salienti della sua vita così come è stata tramandata sia nelle credenze religiose sia, spesso, da scrittori e poeti.

1. NASCITA DI GIOVE La nascita di Giove è trattata nel primo libro e di nuovo nel secondo, in una fase quindi non ancora di polemica dichiarata, ma di esposizione della dottrina cristiana; eppure la minuziosa descrizione del suo concepimento, così come la sua genealogia ‘normale’, sortiscono un effetto di straniamento e, da subito, gli sottraggono ogni alone divino, per equipararlo agli uomini: I, 34, 4. At vero Iuppiter, ut vos fertis, et patrem habet et matrem, avos, avias, fratres; nunc nuper in utero matris suae formatus, absolutus mensibus et consummatus decem ignotam sibi in lucem sensu inruit se vitali. 5. Ergo, si haec ita sunt, Iuppiter esse deus qui potest, cum illum esse perpetuum constet, perhibeatur alter a vobis et dies habuisse natales et pavefactus re nova lamentabilem extulisse vagitum?11

II, 70, 2. Nam si verum est ex Saturno atque eius uxore Iovem suis cum fratribus procreatum, ante nuptias et partus Opis nusquam 11 I, 34, 4. «Giove, invece, come voi riferite, ha padre e madre, nonni, nonne, fratelli; (si attesta che) è stato concepito non molto tempo fa’ nell’utero della madre; che si è perfettamente formato e sviluppato in dieci mesi per affacciarsi alla luce di cui ignorava l’esistenza, con la sensibilità di chi è vivo. 5. Ma se le cose stanno in questo modo, come può essere dio Giove, se è chiaro che Dio deve essere eterno, mentre ammettete che quest’altro ha avuto la sua data di nascita e, atterrito dalla novità dell’esperienza, emise lamentosi vagiti». Si utilizza d’ora in poi la traduzione italiana di Biagio Amata, Arnobio, citato a nt. 2. Il vagito di Giove ricorre ancora in III, 41 modo Curetas illos, qui occultasse perhibentur Iovis aeribus aliquando vagitum (ora li Cureti, i quali, secondo la tradizione, occultarono un tempo col suono dei bronzi il vagito di Giove); si tratta di un elemento non trascurabile in quanto mette in evidenza come questo neonato - non diversamente da tutti i neonati - sia fragile e indifeso.

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fuerat Iuppiter, Iuppiter tam supremus quam Stygius, nusquam sali dominus, nusquam Iuno, quinimmo alius nullus genitoribus duobus exceptis caeli habitabat in sedibus, sed ex eorum concubitu concepti et nati sunt et spiritum hausere vitalem. 3. Certo ergo a tempore deus esse Iuppiter coepit, certo cultus et sacrificia commereri, certo fratribus in potestatibus anteponi.12 Nella prima testimonianza è già possibile cogliere una modalità che vedremo praticare da Arnobio con estrema frequenza: dapprima propone una credenza pagana con tono pacato, così come richiede una descrizione asettica, e accentua questo dato con l’uso del pronome vos (I, 34, 4). Dopo, nel paragrafo 5, arriva sotto forma di interrogativa retorica la ferrea deduzione che da quegli elementi deriva, secondo la quale non è possibile che sia eterno chi ha una data di nascita e un preciso istante per la fecondazione. Il ragionamento del secondo libro riprende e amplia il concetto del dies natalis: l’idea di concepimento applicata a una divinità, a Giove stesso, presuppone un momento precedente in cui non esisteva e un preciso istante (certo tempore) in cui ha cominciato a essere, il che mette in discussione ogni ipotesi di eternità. Sulla nascita di Giove Arnobio ritorna ancora, affrontando il fenomeno da un’altra angolazione, se pure sempre nella direzione di sottolineare l’‘umanità’ del dio, e sferra un attacco davvero violento: IV, 21, 1. “Sed in ceteris forsitan minus huius turpitudinis foeditas”. Ergone ille rector poli, pater deorum et hominum, supercilii nutu totum motans et tremefaciens caelum, ex viro concretus et femina est, et nisi ambo sexus in obscenas dissolverent copulatis corporibus voluptates, Iuppiter ille maximus non esset, et usque ad hos dies et regem numina non haberent et caelum sine domino staret? 2. Et quid Iovem miramur ex feminae effusum dictitare vos alvo, quando auctores vestri et nutricem habuisse conscribunt et ex alieni uberis alimonia mox traditam retinuisse vitam? Quid dicitis o viri? Ergone, iterum dicam, tonans fulgens et fulminans et nubila terribilia conducens suxit fluenta mammarum, vagitum edidit, repsit atque ut fletum exponeret ineptissime tractum, crepitaculis obticuit auditis et ad somnos inductus est in

12 II, 70, 2. «Se è vero, infatti, che Giove con i suoi fratelli fu generato da Saturno e dalla moglie, prima delle nozze e del parto di Opi, in nessuna parte esisteva Giove, sia il Sommo Giove che Giove Stigio, in nessuna parte (Nettuno) il signore del mare, in nessuna parte Giunone, anzi nessuno, tranne i due genitori, abitava le sedi celesti: fu in conseguenza delle loro nozze che furono concepiti, nacquero e respirarono l’aria che alimenta la vita. 3. Perciò fu da un’epoca determinata che Giove cominciò a essere Dio, da un’epoca determinata ad avere culti e sacrifici, da un’epoca determinata ad essere preposto per autorità ai fratelli».

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mollissimis cunis iacens et vocibus delenitus infractis? 3. O deorum adsertio religiosa, o amplitudinis metuendae venerabilem monstrans atque insinuans dignitatem! Sicine apud vos, quaeso, supernarum nascitur eminentia potestatum, his in lucem prodeunt generationibus dii vestri quibus asini porci canes, quibus inmunda haec omnis conceptatur et genitur terrenarum proluvies bestiarum?13

Questo capitolo, riportato nella sua interezza, serve ancor meglio come esempio del tratto polemico di Arnobio, in quanto uno schema molto simile e modalità analoghe tendono a ripetersi. Si apre con una frase che si immagina pronunciata da un ipotetico interlocutore pagano (Biagio Amata riporta tutte le battute di questo tipo tra virgolette ed evidenzia così l’iterazione del fenomeno) e che fa riferimento alle feste nuziali organizzate dagli dei e alle loro reazioni punitive nei riguardi dei mortali, se contrariati in qualcosa; si succedono interrogative retoriche, inframmezzate da una sola esclamativa e prevale la tecnica della contrapposizione: la prima proposizione esalta il ruolo dominante di Giove, in un crescendo di definizioni assolute che descrivono ciò che è (ille rector poli, pater deorum et hominum) e ciò che fa (supercilii nutu totum motans et tremefaciens caelum) secondo la religione pagana, rendendo superfluo anche citarne il nome; raggiunta così l’acme dell’enfasi Arnobio cambia radicalmente registro e con una frase semplice e breve trascina Giove giù dall’empireo ricordando le modalità ‘umane’ della sua nascita (ex viro concretus et femina est). La seconda interrogativa aggiunge una sfumatura ipotetica ed è ugualmente impostata sul contrasto, ma con un’inversione degli elementi: una frase negativamente esplicita (et nisi ambo sexus in obscenas dissolverent copulatis corporibus voluptates) precede un modo ridondante di indicare Giove (maximus, rex, dominus). La terza proposi13 V, 21, 1. «‘Ma forse negli altri dei non appare tanto l’indecenza di queste nefandezze’. Dunque, il grande governatore della volta celeste, il padre degli dei e degli uomini che col cenno delle ciglia muove e sgomenta tutto il cielo, fu generato da un uomo e da una donna? E se i due sessi attraverso l’unione dei corpi non si fossero immersi nei piaceri immondi, non esisterebbe il sommo Giove e fino ai nostri giorni gli dei non avrebbero re e il cielo sarebbe senza signore? 2. E perché dovremmo meravigliarci quando dite che Giove fu tirato fuori dal ventre di una donna, se i vostri scrittori affermano che ebbe una nutrice e, appena nato, rimase in vita grazie all’alimento offerto a lui dalle mammelle di un’estranea? Che dite mai, esseri umani? Dunque, voglio ripeterlo ancora, il tonante, il lampeggiante, il fulminante, l’adunatore terribile di nubi, succhiò il latte delle mammelle, vagì, strisciò per terra, e perché smettesse il pianto, prolungato senza motivo, gli fu fatto ascoltare il tinnire dei sonagli e così fu incitato al sonno, adagiato in morbidissime culle, accarezzato da languide cantilene? 3. Oh, che belle affermazioni religiose intorno agli dei, come lasciano davvero scorgere e intravvedere la maestà venerabile di una grandezza, che bisogna temere! In tal modo dunque, vi chiedo, le sublimi potenze del cielo secondo voi nascono? E i vostri dei vengono alla luce nel modo stesso in cui sono concepiti e generati gli asini, i porci, i cani e tutto l’immondo profluvio delle bestie terrene?»

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zione, che apre il secondo paragrafo (IV, 21, 2), è ancora interrogativa ed offre ad Arnobio l’opportunità di entrare in polemica con gli autori classici (auctores vestri)14 che hanno alimentato le leggende sulla nascita del dio sommo, fornendo a loro volta particolari ‘umani’ della vicenda, come la nutrice che gli consentì di sopravvivere. Dopo un’altra domanda di passaggio, in cui si rivolge agli interlocutori (Quid dicitis o viri?) e che sottolinea l’impossibilità di credere a tutto quanto esposto, segue un periodo più lungo - ancora un’interrogativa retorica -, in cui Arnobio ribadisce le medesime argomentazioni, enfatizzandole, al fine di esasperare il contrasto tra i due concetti più volte espressi e già chiari. Egli è del tutto consapevole della ripetizione (iterum dicam), espediente cui ricorre frequentemente e che conferisce alla sua prosa quella sovrabbondanza di cui è spesso accusato: tornano gli appellativi enfatici di Giove (tonans fulgens et fulminans et nubila terribilia conducens), contrapposti agli aspetti umani, troppo umani (suxit fluenta mammarum, vagitum edidit, repsit atque ut fletum exponeret ineptissime tractum, crepitaculis obticuit auditis et ad somnos inductus est in mollissimis cunis iacens et vocibus delenitus infractis). Nel terzo paragrafo (IV, 21, 3) in una proposizione esclamativa è riportato il commento dell’autore, che sembra segnare la fine della dimostrazione e decretarne il successo: la mancanza di contrapposizioni, ormai superflue, gli consente di abbandonarsi a un periodo che è solo ironico nell’esprimere la maestà di Giove (O deorum adsertio religiosa, o amplitudinis metuendae venerabilem monstrans atque insinuans dignitatem!). C’è ancora un’interrogativa finale, che è riassuntiva nella prima parte, in cui Arnobio ribadisce il contrasto tra questo modo di nascere e quella che definisce supernarum… eminentia potestatum, mentre nella seconda, che chiude il paragrafo, ma sembra riaprire l’argomentazione, istituisce un paragone molto forte con il mondo animale che si riproduce allo stesso modo, adoperando, per esprimere il suo disprezzo, termini forti come inmunda… proluvies bestiarum e dove anche i nomi degli animali (asini porci canes) sembrano acquisire una sfumatura sprezzante. Un solo riferimento al ruolo effettivo che Giove svolge come figlio è incastonato nel paragrafo 24, 3 del IV libro (numquid expulisse regno patrem et alieni iuris imperium violentia et fraude tenuisse?),15 in un contesto in cui ancora una volta fa risalire ai pagani e alle loro credenze le più oltraggiose offese rivolte agli dei.

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Come già si è visto in precedenza, spesso l’aggettivo possessivo di seconda persona è adoperato con una valenza negativa ad indicare tutto ciò che riguarda i pagani. Cfr, supra, IV, 21, 3 apud vos... dii vestri. 15 IV, 24, 3. «Forse che cacciò il padre dal regno e con frode e con violenza entrò in possesso dell’altrui diritto?»

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2. DISCENDENZA DI GIOVE Oggetto degli attacchi polemici di Arnobio non è solo la nascita ‘normale’ di Giove, ma le modalità spesso singolari del concepimento e della nascita dei numerosi figli: IV, 22, 1. Nec contenti hos coetus gravitati attribuisse Saturniae, etiam ipsum regem mundi flagitiosius liberos procreasse quam ipse est natus atque editus praedicatis.16

Questa volta il pensiero dell’interlocutore è riportato in forma indiretta: Arnobio definisce flagitiosus il modo con cui, secondo i pagani, Giove genera figli, e crea così i presupposti per il vero e proprio ribaltamento di responsabilità nei confronti dei pagani stessi, che viene più avanti: è la tecnica della retorsio,17 usata con estrema frequenza dall’autore. Il paragrafo 22, 218 è di nuovo in forma diretta, ed è costituito da un elenco della numerosa prole nata da Giove, per molti versi difficilmente definibile e definita, data la mole di particolari spesso diversi, talvolta contrastanti, desunti dalle varie tradizioni; su ciascuno dei figli citati Arnobio torna più volte nel corso dell’opera, all’interno di argomentazioni diverse, completando le notizie qui fornite: sul disco del Sole ci sono informazioni in IV, 14; in VI, 23 si parla di Apollo Delio, mentre Diana è citata spesso per alcune sue prerogative (I, 36; III, 21, 34; VI, 25), molte

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IV, 22, 1. «Non contenti poi di attribuire tali unioni alla saturnia maestà, aggiungete che il re dell’universo generò figli in maniera ancora più delittuosa di quella con cui, secondo voi, egli è nato, venendo alla luce.» 17 Il termine retorsio, adoperato in maniera pertinente da Sisto Colombo nella sua monografia su Arnobio (Arnobio Afro e i suoi sette libri Adversus nationes, Torino, SEI, 1930 (Didaskaleion, 9), p. 17, non è attestato nel periodo antico né medioevale, neanche in testi giuridici; esiste però in questa accezione il verbo retorquere, ad esempio crimina, in un passo di ULPIANO nel Digestum 38.2.14.6, ma anche in APULEIO, Met., 7, 20 suum nequissimum factum in me retorsit e in FLOR., 18 argumentum retorsit. Da queste testimonianze sembra chiaro che l’espressione precisa ‘retorsio argumenti’ sia una conseguenza linguisticamente plausibile di un concetto che già nel latino imperiale si esprimeva col verbo. Singolare, ma pertinente, è l’uso di ARTHUR SCHOPENHAUER, L’arte di ottenere ragione, Milano, Adelphi, 1991, p. 48: «Stratagemma n°26: RETORSIO ARGUMENTI - usare l’argomento dell’avversario contro di lui ribaltandolo»; si delinea così con efficacia la situazione che si verifica con frequenza nell’Ad nationes, quando l’A. ‘ritorce’ appunto ai pagani la responsabilità di credere per primi a tanti racconti in cui il personaggio di Giove è rappresentato negativamente. 18 IV, 22, 2. «Ex Hyperiona, inquitis, matre et ex Iove iaculatore fulminis Sol aureus et flagrantissimus natus est: ex Latona et eodem arquitenens Delius et silvarum agitatrix Diana: ex Leda et eodem [arquitenens Delius et silvarum] Graece Dioscoris nomen est: ex Alcmena et eodem Hercules ille Thebanus, quem clava pellisque tutata sunt: ex Semela atque ipso Liber, qui Bromius dicitur et ex femine iterum natus patris: ex ipso rursus et Maia Mercurius ore facundus et gestator adfabilium colubrarum».

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volte sono riprese la vicenda di Ercole (I, 36, 38, 41; IV, 25, 26, 35; VII, 33), di Libero (I, 36, 38, 41; II, 65; IV, 29; V, 6, 19, 28, 29, 39; VI, 12) e di Mercurio (I, 36; III, 23, 32; IV, 14, 24; VI, 12; VII, 22). Un tono particolarmente ironico, infine, è riservato a Minerva: in IV, 16 parla della dea, anzi delle cinque divinità tramandate con questo nome; al centro del lungo capitolo sono sintetizzate in un’unica, caustica frase le modalità assolutamente paradossali della sua nascita, su cui torna anche più avanti (IV, 16, 4 de vertice procreatam mentiris te Iovis e 5 ex capite conceptos filios procreat?), come il culmine delle assurdità di cui è infarcita la religione pagana, a cui è davvero impossibile credere: IV, 16, 4. Quid deinde arbitramur fore? desistetne et illa Minervam se dicere, cui Coryphasiae nomen est vel ex Coryphae matris signo vel quod ex vertice summo Iovis parmam ferens emicuit atque armorum accincta terroribus?19

3. IL SESSO, LA PASSIONE, L’AMORE Prevalentemente privo di sentimenti, talvolta spinto da passioni, ma più spesso da elementari pulsioni sessuali, che lo inducono a commettere una serie di azioni riprovevoli e paradossali a un tempo, il Giove di Arnobio è rappresentato come affetto da una sorta di priapismo mentale prima che fisico: egli si aggira nel mondo degli dei, con frequenti puntate sulla terra, attratto di continuo da figure femminili di cui repentinamente si invaghisce e che deve subito possedere, quali che siano le difficoltà dell’impresa - incesto,20 mariti gelosi o quant’altro - difficoltà che fantasiosamente risolve con espedienti soprannaturali, tra un fulmine e l’altro scagliato stancamente per ricordare, più a se stesso forse, che proprio a lui tocca l’esercizio del potere. I brani a sostegno di questa analisi sono tanti che non è possibile riportarli nella loro totalità; basterà citarne alcuni: IV, 22, 3. Potest ulla gravior contumelia Iovi vestro infligi aut quicquam est aliud quos labefactet aut destruat deorum principis auctoritatem, quam quod eum creditis voluptatibus aliquando libidinosis victum et in femineos appetitus inflammati pectoris incaluisse fervore? 4. Et quid

19 IV, 16, 4. «Che cosa possiamo supporre che succederà poi? Rinuncerà forse al suo nome l’altra Minerva che viene chiamata Corifasia o per il sigillo della madre Corifa o perché balzò dal capo di Giove armata di scudo e cinta dal terrore delle armi?». 20 Molte volte l’incesto è praticato con estrema naturalezza da Giove nei confronti della madre o delle figlie e la sua ottusa determinazione, appena velata da una superficiale ritrosia, soprattutto nei confronti della figlia, provoca lo scandalizzato orrore di Arnobio.

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regi Saturnio matrimoniis fuerat cum alienis rei? nonne illi fuerat satis Iuno, nec sedare impetum cupiditatum in regina poterat numinum, cum nobilitas eam commendaret tanta, facies os dignitas et ulnarum nivei marmoreique candores? An uxore contentus haud una concubinis, pelicibus atque amiculis delectatus inpatientiam suam spargebat passim, ut babaecali adolescentes solent, salax deus, et canus ex infinitis corporibus flaccescentium voluptatum restituebat ardorem? 5. Quid dicitis o impii vel quas de vestro Iove opinionum confingitis foeditates? Ita non animadvertitis, non videtis, cuius eum notetis probri? cuius criminis constituatis auctorem? vel quas in eum labes flagitiorum, quantas coacervetis infamias?21

Dopo l’elenco di alcuni dei figli - e delle donne o dee da cui li ha generati - comincia il consueto incalzare delle interrogative retoriche: nella prima (IV, 22, 3), in cui si rivolge direttamente ai pagani, ribadisce con parole forti che niente ha distrutto la principis auctoritatem più di quelle loro credenze secondo le quali Giove (Iovi vestro) fu travolto dalle passioni; poi (IV, 22, 4) sembra riflettere sul dato e si chiede perché non gli bastasse Giunone e cercasse le mogli altrui; ancora, adopera parole estremamente dure per Giove, definito salax deus et canus e, come un vecchio, bisognoso di infiniti corpi come stimolo (ex infinitis corporibus); infine, nell’ultima raffica di interrogative (IV, 22, 5), esordisce conferendo ai pagani l’appellativo di impii, si rivolge ancora a loro e la sequenza della seconda persona plurale sembra scandire in climax la loro responsabilità (dicitis, confingitis, animadvertitis, videtis, notetis, constituatis, coacervetis) e sottolinearne l’atteggiamento sprezzante, accentuato anche dall’aggettivo possessivo vester, che due volte accompagna il nome di Giove. Quale tassello ci permette di aggiungere questo capitolo? Ancora elementi negativi a carico di Giove, che esce annientato anche dal confronto con Giunone, cui sono riconosciute doti sia fisiche sia morali (cum nobilitas eam commendaret tanta, facies os dignitas et ulnarum nivei marmoreique candores); è ribadita la contrapposizione tra le connotazioni del 21

IV, 22, 3. «Si può scagliare offesa più grave contro il vostro Giove o c’è qualcosa che ne infirmi e distrugga la suprema autorità sugli dei più della vostra credenza, secondo la quale fu spesso vinto dai piaceri dei sensi e, sconvolto dalla passione, arse per il desiderio delle donne? 4. Che bisogno aveva il regal figlio di Saturno delle mogli altrui? Non gli bastava Giunone e non poteva calmare l’ardore delle passioni con la regina dei numi, tanto insigne per la nobiltà, l’aspetto, il volto, la dignità, il candore niveo e marmoreo delle braccia? O non contento di una sola moglie, cercando piacere tra concubine, amanti e cortigiane, spargeva la sua incontinenza qua e là, come fanno di solito i giovani bellimbusti, e il dio lussurioso e canuto riprendeva fuoco di piaceri ormai languenti da infiniti corpi? 5. Che osate dire, o empi? O quali oscenità osate immaginare a carico del vostro Giove? Non vi accorgete e non vedete così facendo di quali nefandezze lo coprite, quali crimini gli attribuite, quali sporchi delitti, quante infamie accumulate contro di lui?».

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sommo dio relativamente al suo ruolo (principis auctoritatem, regi Saturnio) e la sua impietosa descrizione. La tecnica della retorsio si rivela di grande efficacia perché, se in qualche modo sembra annullare la vis polemica del discorso e vuol sembrare un’analisi oggettiva dei culti e delle credenze pagane, in realtà nasconde un attacco più sottile che riconduce ai pagani stessi tutta intera la responsabilità di ogni assurdità e sconcezza che si possa riscontrare nella biografia del sommo dio. Il capitolo seguente continua la trattazione della stessa tematica e si apre istruendo un paragone con gli uomini che, nonostante la loro inclinazione all’adulterio, ne sanciscono la punizione. Il periodo iniziale (IV, 23, 1 Ad libidinem homines proni atque ad voluptatum blanditias naturae infirmitate proclives adulteria tamen legibus vindicant et capitalibus adficiunt eos poenis quos in aliena comprehenderint foedera genialis se lectuli expugnatione iecisse)22 è, infatti, interlocutorio e contiene un’affermazione generale che prepara l’attacco a Giove: IV, 23, 2. Subsessoris et adulteri persona cuius esset turpitudinis, notae cuius, regnat>orum maximus nesciebat, et speculator ille, ut fama est, bene meritorum ac pessime, quidnam deceret se velle rationibus pectoris non perspiciebat amissis. 3. Et tolerari forsitan maletractatio haec posset, si eum saltem personis coniungeretis conparibus, et adulter a vobis immortalium constitueretur dearum. In humanis vero corporibus quidnam, quaeso, inerat pulchritudinis, quid decoris, quod inritare, quod flectere oculos posset in se Iovis? cutes viscera pituita atque omnis illa proluvies intestinorum sub involucris constituta, quam non modo Lynceus ille penetrabili acie possit horrescere, verum etiam quivis alter sola vel cogitatione vitare. 4. O egregia merces culpae, o digna et pretiosa dulcedo, propter quam Iuppiter maximus cycnus fieret et taurus et candidorum procreator ovorum.23

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IV, 23, 1. «Sebbene gli uomini siano inclini alle passioni e proclivi per la loro debole natura umana alle seduzioni dei piaceri, puniscono tuttavia per legge l’adulterio e danno la pena di morte a quanti vengono sorpresi nell’atto di espugnare l’altrui letto, usurpando una proprietà non loro». 23 IV, 23, 2. «E, invece, il più grande dei regnanti ignorava quale fosse la nefandezza, quale la bassezza del seduttore e dell’adultero ed egli che, com’è fama, sa distinguere chi ha meriti e demeriti, non riusciva a scorgere quanto conveniva alla sua dignità, per aver perduto ogni criterio morale. 3. Questo oltraggio sarebbe forse sopportabile se, per lo meno, l’aveste congiunto a persone del suo rango e fosse stato perciò adultero con dee immortali: ma in corpi umani che bellezza poté esserci, vi chiedo, che grazia tale da eccitare e attirare gli occhi di Giove? Pelle, visceri, catarri e tutto quel flusso di immondezze nascosto sotto l’involucro degli intestini che non solo Linceo avrebbe raccapriccio a scorgere col suo occhio penetrante, ma chiunque altro eviterebbe perfino di pensare! 4. O frutto squisito della colpa, o dolcezza degna e inestimabile, in vista della quale era ben giusto che Giove Massimo diventasse cigno e toro e generasse candide uova!»

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Il secondo paragrafo è basato sulla contrapposizione, abilmente giocata, tra ciò che Giove dovrebbe essere in quanto regnatorum maximus e speculator… bene meritorum ac pessime, e come in realtà si comporta subsessor e adulter -, avendo perso il senso della decenza (quidnam deceret… non perspiciebat). Sotto forma di proposizione interrogativa Arnobio introduce un ulteriore dato, prima solo accennato: chiede infatti (IV, 23, 3), incredulo, come Giove abbia potuto concupire e congiungersi a corpi umani di cui fornisce subito dopo una descrizione estremamente cruda, accentuando con una sorta di accumulatio la portata dell’oltraggio. L’ultimo periodo, intriso di acre ironia, contiene la stoccata finale: dopo aver definito digna et pretiosa dulcedo gli accoppiamenti con donne - non dee - che ha appena, così incisivamente, descritto, fa un esplicito riferimento ad alcune delle leggende mitologiche più famose, quando Giove, che non perde occasione di appellare con l’epiteto di maximus, che ben esprime il potere assoluto, sembra assumere, quasi sotto gli occhi del lettore, le sembianze di cigno e di toro; ma è la clausola - candidorum procreator ovorum -, caratterizzata da un’insistita allitterazione in r, che fa precipitare tutto quanto detto in un grottesco paradosso: l’accenno alle uova evoca in qualche modo l’immagine di un grande gallo impettito. Il tema degli accoppiamenti di Giove viene ripreso poco dopo, in un capitolo in cui si parla delle passioni ‘umane’ delle varie divinità: IV, 26, 1. Nam quid de illis amoribus dicam quibus in feminas sanctos incaluisse caelestes vestris proditum litteris atque auctoribus continetur? … 5. Iuppiter ipse rex mundi nonne a vobis infamis est isse per innumeras species et petulantis amoris flammam servilibus obumbravisse fallaciis? 6. numquid a nobis aliquando conscriptus est, libidinosa ut perficeret furta, modo esse in aurum versus, modo in satyrum ludicrum, in draconem, in alitem, taurum, et quod omnia genera contumeliarum transiliat, in formiculam parvulam, ut Clitoris videlicet filiam Myrmidonis ederet apud Thessalos matrem? 7. Quis illum in Alcumena novem noctibus fecit pervigilasse continuis? non vos? Quis in amoribus desidem derelicta caeli statione iacuisse? non vos?24

Questa volta sono esplicitamente sotto accusa gli scrittori pagani (vestris… litteris atque auctoribus in contrapposizione a nostris carminibus 24

IV, 26, 1. «Che dirò infatti di quelle passioni per le donne di cui a quanto attestano i vostri scrittori e i vostri libri, si infiammarono gli intemerati celesti?... 5. Lo stesso Giove, re dell’universo, non lo ricoprite d’infamia per essersi più volte trasformato e aver nascosto con ripieghi da servo la fiamma di amori lascivi? 6. Siamo stati noi a scrivere che per godere di piaceri furtivi si mutò a volte in (pioggia) d’oro, a volte in satiro scherzoso, in drago, in uccello, in toro, e - ciò che sorpassa ogni limite di abiezione - in una piccola formicuzza per rendere la figlia di Clitori madre di Mirmidone, in Tessaglia? 7. Chi lo ha fatto vegliare nove notti continue con Alcmena? Non siete voi? Chi l’ha fatto rimanere inoperoso per gli amori, lontano dalla reggia del cielo? Non siete voi?»

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del paragrafo 4 e a nobis del 6) cui è attribuita la responsabilità di raccontare tali imprese delle divinità; la tecnica è la stessa: a Giove, definito questa volta rex mundi sono attribuite molte trasformazioni (per innumeras species) nel perseguire petulantis amoris flammam, e Arnobio non manca di sottolineare le discutibili modalità praticate dal nume, definendole con disprezzo ‘inganni da servo’ (servilibus… fallaciis). Ancora sono ripercorse le diverse sembianze assunte da Giove per conseguire quelli che sono definiti, senza ambiguità, libidinosa furta, riportati in un elenco surreale, se solo si pensa che sono riferiti al sommo dio, e non manca infatti il pesantissimo giudizio dell’autore, espresso con tono incredulo (quod omnia genera contumeliarum transiliat). Il paragrafo seguente, il 7, sortisce un ulteriore effetto comico attraverso la descrizione di due condizioni di segno opposto che Giove vive nelle sue relazioni: la veglia di nove notti con Alcmena e in cui è ben attivo (novem noctibus… pervigilasse continuis) contrasta infatti con la più generale inoperosità che caratterizza la lontananza dal cielo durante lo svolgersi di tali amori (in amoribus desidem derelicta caeli statione iacuisse); i due periodi sono scanditi dall’anafora della locuzione interrogativa non vos, che per due volte richiama all’assunzione di responsabilità gli interlocutori pagani, questa volta, come si è detto, con un più preciso riferimento agli scrittori e alle loro opere. Poco più avanti, nel capitolo 34, lo sdegno nei confronti di Giove sembra incanalarsi in una sorta di parodia e il riferimento è a un brano tratto dal libro 14 dell’Iliade, versi 312-326: Zeus rivolge a Era un invito all’amore e, per vincere le sue esitazioni, le ribadisce di desiderarla più delle pur belle donne mortali che ha amato. Anche in Omero, Zeus è colto in un momento di debolezza, irretito da un piano ordito da Era con la complicità di Ipno per evitare che egli possa interferire con gli interventi di Poseidone a favore degli Achei, ma il testo di Arnobio vibra di un’ironia sprezzante nei confronti di Giove così come è ritratto, mentre un freddo sdegno si riverbera ancora una volta sull’autore - gli autori - di tali storie e su chi li esalta come poeti sovrani: IV, 34, 2. Ipse ille Iuppiter, cuius vos nomen effari non sine metu decuit et totius corporis concussione, amasio captus ab uxore describitur confiteri culpas suas, et velut demens ac nescius, quas amiculas coniugi, quas uxori anteposuerit pelices, obduratus inverecundia publicare: vos talia qui extulere prodigia poetarum esse principes atque reges divinis ingeniis praeditos, capita esse memoratis sanctissima, tantumque ab officio religionum quas inducitis evolastis, ut gravioris ponderis sint apud vos verba quibus caelitum violata sublimitas.25

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IV, 34, 2. «Quello stesso Giove, il cui nome non dovreste pronunciare senza timori e brividi in tutto il corpo, è descritto mentre, preso d’amore per la moglie, le confessa le sue colpe e, quasi pazzo e fuori di sé, svela, indurito nella sua spudoratezza,

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La tecnica di Arnobio è quella contrastiva già più volte individuata: egli comincia con un riferimento all’importanza del ruolo di Giove e degli effetti che tali funzioni dovrebbero esercitare sugli uomini (cuius vos nomen effari non sine metu decuit et totius corporis concussione), e questa volta pone l’accento sul timore e il tremito in tutto il corpo che dovrebbe colpirli al solo pronunciare il nome della somma divinità; poi, senza soluzione di continuità, passa alla descrizione di quel particolare momento. È evidente che la stoccata in questo caso è equamente suddivisa tra il nostro protagonista e Omero, l’autore che ne parla in tal guisa, come è evidenziato da quel describitur. Come ci è raccontato Giove? Ancora una volta in una dimensione umana, nel senso basico del termine, in una situazione lontanissima dall’algido decoro che si addice a una divinità: nel confessare le sue colpe alla moglie (confiteri culpas suas) e pur nuovamente preso da lei (captus ab uxore) è preda di una sorta di compiacimento nel ripensare a quante amiche e concubine (quas amiculas… quas… pelices) le abbia preferito: umano, troppo umano! In questo elenco lungo, e tuttavia incompleto, delle imprese del dio non poteva mancare, tra i comportamenti trasgressivi attribuiti alla somma divinità, l’incesto che, secondo Arnobio, Giove stesso considera il più osceno dei crimini (V, 21, 4 quia nefarium videbatur satis patrem cum filia comminus uxoria coniugatione misceri). Nel quinto libro, dedicato ai riti misterici, in cui si parla delle leggende che riguardano Giove, nel capitolo 20, l’autore racconta che il dio ordisce un piano per violentare la genitrice, si trasforma in toro e sazia incestuosamente le sue voglie26

quante amiche, quante concubine abbia preferito a lei, legittima consorte: chi esalta tali mostruosità viene chiamato da voi poeta sovrano, eccellente, d’ingegno divino, persona più che sacra; dunque vi siete tanto allontanati dal dovere che inculcate verso la religione, da ritenere di maggior peso le parole che offendono la sublimità dei celesti». 26 Anche il capitolo 9 dello stesso libro fornisce elementi che delineano ulteriormente la figura di Giove, in relazione a questo suo lato debole; riportiamo solo qualche espressione particolarmente efficace, perché il contenuto è simile a quanto già esposto: V, 9, 3. Post innumeras virgines et spoliatas castitate matronas etiamne in matrem cupiditatis infandae spem Iuppiter cepit, nec ab illius adpetitionis ardore horror eum quivit avertere, quem non hominibus solis sed animalibus quoque nonnullis natura ipsa subiecit, et ingeneratus ille communiter sensus? (Dopo aver violentato vergini e matrone senza numero, anche sulla madre Giove concepì la speranza di soddisfare l’infame desiderio e non riuscirono a frenarlo da quell’ardente e veemente passione nemmeno l’orrore e quell’istinto comune che è innato, e che la natura ha posto non solo nell’intimo degli uomini ma anche in quello di molti animali?) … 5. Sed ut res est, ponderis et maiestatis oblitus ad furta illa flagitiosa correpens ibat, pavens ac trepidus, anhelitu oris presso, suspensis per formidinem gressibus et inter media constitutus sollicitudinis speique confinia palpabat res intimas, altitudinem dormientis et matris patientiam temptans (Ma, stando ai fatti, egli, calpestando il suo prestigio e la sua maestà, andava sempre più precipitando in quegli osceni furti, trepido e pauroso, col respiro trattenuto in gola e l’incedere incerto per il timore e tra la preoccupazione e la speranza cercava di palpare le parti intime,

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V, 20, 2. “Quondam Diespiter, inquiunt, cum in Cererem suam matrem libidinibus improbis atque inconcessis cupiditatibus aestuaret - nam genetrix haec Iovis regionis eius ab accolis traditur - neque tamen auderet id quod procaci adpetitione conceperat apertissima vi petere, ingeniosas comminiscitur captiones quibus nihil tale metuentem castitate imminueret genetricem: fit ex deo taurus et sub pecoris specie subsessoris animum atque audaciam celans in securam et nesciam repentina immittitur vi furens, agit incestius res suas et prodita per libidinem fraude intellectus et cognitus evolat.27

La reazione della madre verso l’audaciam filii è inequivocabile: V, 20, 3. Ardescit furiis atque indignationibus mater, spumat anhelat exaestuat nec fremitum continere tempestatemque irarum valens ex continua passione Brimo deìnceps ut appelletur adsumpsit, neque alia cordi est res ei quin audaciam filii poenis quibus potis est persequatur.28

Arnobio sottolinea più volte l’iniquità dell’intento del dio attraverso una serie di espressioni molto forti che mettono in rilievo il giudizio assolutamente riprovevole per tale comportamento (libidinibus improbis, inconcessis cupiditatibus, procaci adpetitione, apertissima vi, subsessoris osservando spasmodicamente la profondità del sonno materno e la sua pazienza). 6. O rerum imaginatio indecora! o habitus foedus Iovis ad obsceni certaminis expeditionem parati! Ergone ille rex mundi, cum incautus et properus obreptionis esset reiectus a furto, in inpetum se vertit et quoniam rapere voluptatem insidiosa fraude non quivit, vi matrem adgressus est et apertissime coepit venerabilem subruere castitatem? Conluctatus ergo diutissime cum invita est, victus, fractus superatusque defecit, et quem pietas diiugare ab infando matris non valuit adpetitu, effusa libido diiunxit? (O oscena finzione! O empio comportamento di Giove deciso a una battaglia oscena! Dunque, il re dell’universo, ricacciato dal furtivo assalto perché incauto e troppo precipitoso, si volse alla violenza e non avendo potuto strappare la voluttà con l’insidioso tranello, aggredì la madre con la violenza ed cominciò apertamente a violarne la veneranda castità? Dopo lunga lotta con lei che si rifiutava, vinto, schiacciato, distrutto, si arrese e mentre il rispetto filiale non era riuscito a staccarlo dal desiderio immondo della madre, riuscì invece ad allontanarlo l’effusione del piacere?). 27 V, 20, 2. «Una volta - dicono - Diespiter, ardendo di libidine insana e di illeciti desideri per sua madre Cerere - secondo gli abitanti di quella regione fu lei a dare alla luce Giove - non osando arrivare apertamente con la violenza a quello che aveva concepito con desiderio perverso, ordisce un piano ingegnoso per violentare la genitrice, senza che essa potesse sospettare qualcosa di simile: da dio si trasforma in toro e, nascondendo sotto la forma della bestia l’animo audace dell’insidiatore, in un impeto improvviso si spinge furibondo contro di lei che se ne stava tranquilla e completamente all’oscuro dei suoi disegni, sazia incestuosamente le sue voglie e dopo che la passione tradì l’inganno, riconosciuto e scoperto fugge via». 28 V, 20, 3. «Arde la madre di sdegno e di furore, è piena di bava, ansima, ribolle e non potendo più reprimere la fremente tempesta dell’ira, per l’inconsolabile dolore, prende il nome di Brimo e niente ha più a cuore se non di punire, come può, la sfrontatezza del figlio».

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animum atque audaciam, agit incestius, per libidinem). Come ha già sperimentato con le donne mortali Giove assume altre sembianze, anche in questo caso per ingannare la vittima designata e carpirne la buona fede; diventa toro nella certezza che l’aggressione di un animale selvatico sia pur sempre meno dolorosa di quella di un figlio e rivelando così l’esistenza di un vero e proprio piano (ingeniosas… captiones) che non regge quando è scoperta la sua identità. La conclusione, del tutto prevedibile, sottolinea la vigliaccheria del protagonista che, scoperto, non fa altro che fuggire. Nel capitolo seguente, il 21, è Proserpina a accendere le sue voglie, proprio colei che è il frutto della precedente violenza: rispetto all’incesto con la figlia persino il nostro incontenibile Giove sembra manifestare qualche esitazione che rapidamente supera, cercando, come nel caso precedente, un escamotage: V, 21, 3. … parit mensem post decimum luculenti filiam corporis, quam aetas mortalium consequens modo Liberam modo Proserpinam nuncupavit. 4. Quam cum verveceus Iuppiter bene validam, floridam et suci esse conspiceret plenioris, oblitus paulo ante quid malorum et sceleris esset adgressus et temeritatis quantum, redit ad prioris actus, et quia nefarium videbatur satis patrem cum filia comminus uxoria coniugatione misceri, in draconis terribilem formam migrat, ingentibus spiris pavefactam colligat virginem et sub obtentu fero mollissimis ludit atque adulatur amplexibus. 5. Fit ut et ipsa de semine fortissimi compleatur Iovis, sed non eadem condicione qua mater: nam illa filiam reddidit liniamentis descriptam suis, at ex partu virginis tauri specie fusa Iovialis monumenta pellaciae”. 6. Auctorem aliquis desiderabit rei: tum illum citabimus Tarentinum notumque senarium, quem antiquitas canit dicens: “Taurus draconem genuit et taurum draco”. Ipsa novissime sacra et ritus initiationis ipsius, quibus Sebadiis nomen est, testimonio esse poterunt veritati: in quibus aureus coluber in sinum demittitur consecratis et eximitur rursus ab inferioribus partibus atque imis29-

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V, 21, 3. «… al decimo mese dà alla luce una figlia dal corpo davvero splendido, che le generazioni seguenti chiamarono ora Libera, ora Proserpina. 4. Giove Castrone, vedendola così vigorosa, florida e di buon sangue, dimenticata l’azione violenta, scellerata e temeraria nella quale si era imbarcato poco prima, torna alle antiche abitudini, ma sembrando troppo osceno a lui, padre, unirsi con la figlia, come se fosse la moglie, prende le forme spaventose di un drago, avvolge nelle amplissime spire la vergine tremante e, in quell’aspetto tremendo, scherza con lei tra molli amplessi e carezze. 5. Succede che anch’essa fu resa gravida dal seme del gagliardissimo Giove, ma non allo stesso modo della madre: questa, infatti, ebbe una figlia che le somigliava nei lineamenti, mentre dal parto della vergine nacque un mostro taurino, a ricordo delle lusinghe di Giove’. 6. Qualcuno vorrà sapere chi ha narrato ciò: noi citeremo allora quel ben noto senario tarentino cantato da tutta l’antichità: ‘Il toro generò un drago, il drago un toro’. Ne potrebbero infine testimoniare la verità le cerimonie sacre e i riti d’iniziazione che si

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All’inizio del racconto è messa in evidenza la bellezza della fanciulla (luculenti filiam corporis; bene validam, floridam et suci… plenioris); non ci vuole altro perché Giove, dimentico del male compiuto (oblitus… malorum) si accenda di desiderio. Nel quarto paragrafo è espressa la remora di Giove in maniera forse più esplicita che con la madre - Arnobio dice nefarium videbatur… patrem cum filia… uxoria coniugatione misceri - ed egli risolve il problema assumendo le sembianze di un drago (in draconis terribilem formam migrat): la descrizione è giocata sul contrasto tra le vergine tremante (pavefactam… virginem) nelle ampie spire (ingentibus spiris) che la avvolgono e le blandizie del mostro che scherza con lei abbracciandola (mollissimis ludit atque adulatur amplexibus), senza peraltro attenuare l’effetto del suo terribile aspetto (sub obtentu fero). La descrizione è condotta in modo tale da non attribuire alcuna credibilità agli scrupoli del dio. I due capitoli seguenti, gli ultimi che prenderemo in considerazione, sono ancora dedicati a quegli atteggiamenti moralmente riprovevoli che caratterizzano il comportamento della divinità e su cui sembra che Arnobio non riesca a smettere di insistere; pur non apportando cambiamenti significativi a quanto scritto precedentemente, nel senso che l’approccio a queste tematiche è sempre di incredulo sdegno di fronte alla comica cialtroneria con cui si comporta il re degli dei, non si può non sottolineare l’effetto di accumulatio, che non ha uguali rispetto a nessun altro argomento: V, 22, 1. Non esse arbitror necessarium sermone quoque hic multo membra ire per singula quantaeque insint in partibus pravis turpitudinum scatebrae flagitiorumque monstrare. 2. Quis est enim mortalium vel exiguae humanitatis sensum ferens qui non ipse pervideat, qualia sint haec omnia, quam scelerata, quam foeda quantasque ignominias differant ex ipsis mysteriorum sacris et ex sacrorum originibus indecoris? 3. “Iuppiter, inquit, exarsit in Cererem”. - Quid tantum, quaeso, de vobis Iuppiter iste quicumque est meruit, quod genus est nullum probri, infame, adulterium nullum, quod in eius non caput velut in aliquam congeratis vilem luteamque personam? 4. “Matrimonii prodidit ius Leda”: - Iuppiter esse dicitur auctor culpae. “Virginitatem Danae custodire nequivit”: - furtum esse narratur Iovis. 5. “Ad mulieris nomen properavit Europa”: - expugnator pudicitiae idem esse iactatur. “Alcumena Electra Latona Laodamia, mille aliae virgines ac mille matres cumque illis Catamitus puer pudoris spoliatus est honestate”: - eadem ubique est Iuppiter fabula, neque ullum turpitudinis genus est, in quo eius non nomen consociatis libidinibus

chiamano Sebazi, in cui un serpente d’oro viene messo in grembo agli iniziati e tirato poi fuori dal basso, dalle parti inferiori del corpo».

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conseratis, ut videatur miserabilis prorsus nullam non esse causam ob aliam natus, nisi ut esset criminum sedes, maledictorum materia, locus quidam expositus, in quem spurcitiae se omnes sentinarum conluvionibus derivarent. 6. Quem tamen si diceretis cum extraneis habuisse commercium feminis, impia res quidem, sed tolerabilis esset maledictionis iniuria. Etiamne in matrem, etiamne in filiam efferati pectoris appetitionibus adhinnivit, neque illum sanctitas aut reverentia genetricis, horror etiam pignoris ex se sati ab imagine potuit tam foedae cogitationis abducere?30

Il primo paragrafo si apre con una praeteritio: Arnobio dice infatti di non volersi soffermare su quanto invece si accinge a raccontare; nel secondo attraverso un’interrogativa retorica afferma che qualunque uomo (Quis… mortalium) è capace di valutare il grado di ignominia raggiunto da queste storie. Dal terzo paragrafo, contraddicendo definitivamente quanto detto all’inizio, ritorna su alcune imprese di Giove, riproducendo costantemente il medesimo schema: un’asserzione dell’ipotetico interlocutore, riportata in discorso diretto, è messa in discussione o commentata; l’affermazione secondo cui Giove arse d’amore per Cerere31 provoca una riflessione espressa in forma di interrogativa retorica che esprime un concetto più volte enunciato: cosa abbia commesso Giove de vobis - e l’espres30 V, 22, 1. «Non credo necessario diffondermi anche qui a lungo su ciascun elemento e indicare che mucchio di bassezze e di obbrobri si nasconda in tali sconce parti. 2. Quale mortale in possesso di un minimo senso di umanità non riesce a comprendere da sé la natura di questo genere di storie, quanto siano indecenti ed empie, e quante ignominie facciano ricadere sugli dei da questi stessi riti misterici e dalle origini oscene delle cerimonie sacre? 3. ‘Giove - si dice – arse d’amore per Cerere’. Ma, vi prego, ditemi, quale delitto ha commesso codesto Giove, chiunque egli sia, contro di voi, così enorme da meritare che gli rovesciate addosso ogni vergogna, ogni disonore, ogni adulterio come fosse una persona spregevole e abietta? 4. ‘Leda tradì la legge del matrimonio’ – dicono che Giove è l’autore della colpa. ‘Danae non fu in grado di poter custodire la verginità’ – dicono che fu un furto di Giove. 5. ‘Troppo presto Europa dovette diventare donna’: - sempre lo stesso Giove viene accusato d’averne espugnato la pudicizia- ‘Alcmena, Elettra, Latona, Laodamia, mille altre vergini e mille altre spose furono violentate e insieme ad esse anche il fanciullo Catamito fu privato della grazia dell’innocenza’: - la favola è ovunque la medesima, fu Giove, e non c’è forma di depravazione in cui tra le più nefande passioni non aggiungete il suo nome, e così il povero disgraziato pare non sia nato se non per essere sentina di delitti, soggetto d’imprecazioni, come un luogo aperto a tutte le intemperie, dove si possano radunare e convogliare tutte le sporcizie di tutti gli scoli. 6. Ora, se almeno diceste che ebbe relazioni con donne non consanguinee, sarebbe sì una cosa empia, ma l’attacco della vostra mordacità sarebbe tollerabile. E invece (osate dire che) Giove anche verso la madre, anche verso la figlia osò lanciarsi con animo sfrenato e non riuscirono a trattenerlo da così empio pensiero né la santità né il rispetto verso la genitrice e neppure l’orrore per la fanciulla nata da lui?» 31 Arnobio torna sull’incesto a V, 29, 4; nei capitoli V, 32, 4; V, 34, 2; V, 35, 3; V, 37, 4; V, 40, 2; V, 43, 2 dell’episodio è data una interpretazione mistico-allegorica.

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sione fa pensare a colpe o responsabilità dirette - per indurvi a considerarlo vilem luteamque personam; ancora una volta la responsabilità viene ribaltata sui pagani che arrivano a concepire tali vicende per il loro dio supremo. Nel paragrafo seguente si susseguono due affermazioni sintetiche, seguite da ugualmente brevi considerazioni: le espressioni dell’interlocutore hanno come soggetto le protagoniste femminili delle leggende, colte nella loro colpa (“Matrimonii prodidit ius Leda” e “Virginitatem Danae custodire nequivit”), ma tutt’e due le volte, come contraltare, c’è il conciso commento di Arnobio che considera Giove auctor culpae. Il quinto paragrafo riproduce nella prima parte lo stesso schema: la precocità dell’esperienza di Europa (“Ad mulieris nomen properavit Europa”) è da ascrivere a Giove, definito expugnator pudicitiae; dopo un breve elenco di nomi (Alcumena Electra Latona Laodamia) è adoperata un’espressione iperbolica per indicare l’alto numero di vergini e madri violate, ma il soggetto di quest’ultima proposizione è Catamitus puer, un fanciullo pudoris spoliatus… honestate, che chiude con un ulteriore, nuovo, elemento la battuta, cui segue, puntuale, il commento: la storia si ripete (eadem… fabula) e anche Arnobio mette in atto la strategia consueta rivolgendosi agli interlocutori pagani con l’accusa di attribuire al dio ogni genus turpitudinis; ed è possibile cogliere addirittura una sfumatura di pietà per il trattamento sistematicamente riservato a Giove, definito con compatimento affettato miserabilis: l’aggettivo è spiegato da una serie di espressioni che costituiscono un’accumulatio di segno negativo. Il sesto e ultimo paragrafo formula una sorta di gradualità nella gravità dei comportamenti: se Giove si fosse limitato a rapporti con donne estranee la maledictionis iniuria sarebbe stata tolerabilis, ma il suo animo sfrenato (efferati pectoris) non è stato trattenuto da un così empio pensiero (tam foedae cogitationis) né dalla santità o dal rispetto verso la madre (sanctitas aut reverentia genetricis) né dall’orrore verso la figlia (horror… pignoris ex se sati). Il capitolo seguente non ha propriamente come oggetto le intemperanze sessuali di Giove, ma si ricollega a questa tematica per la crudezza delle descrizioni che a quella sfera comunque possono essere ricondotte: V, 23, 1. Vellem itaque videre patrem illum deorum Iovem, aeternam rerum atque hominum potestatem, bubulis esse cohonestatum cornibus, hirsutas agitantem aures, contractis in ungulas gressibus rumigantem pallentis herbas et ex parte postica caudam suffragines talos molli fimo perlitum atque intestina proluvie delibutum. 2. Vellem, inquam, videre - dicendum est enim saepius - torquentem illum sidera et qui pallidas nationes fragore perterret et prosternit consectantem vervecum greges, inspicientem testiculos arietinos, arripientem hos manu censoria illa atque divina qua vibrare coruscos ignes et saevire fulminibus suetus est, tum deinde secreta rimantem ferventi nullificamine summotisque

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arbitris circumiectas prolibus diripientem membranulas ferventique adhuc matri velut quasdam infulas eliciendae miserationis offerentem: deductum pallidum saucium, simulantem doloris cruces et ad fidem facto faciendam arietino sanguine coinquinatum et >in> mendacia vulneris laneis fasceis linteolisque contectum. 3. Hocine audiri et perlegi sub mundi hoc axe? Et eos qui haec tractant existimari se velle pios, sanctos religionumque custodes? Estne aliquod sacrilegium hoc maius, aut ulla mens inveniri tam inreligiosis potest opinionibus praedita quam quae talia credit aut accipit aut sacrorum intimis in mysteriis prodit? 4. Iuppiter ille quicumque est, si sentiret se esse aut si ullo sensu adficeretur iniuriae, nonne digna res esset, propter quam iratus et percitus terram nostris subduceret gressibus, solis lumina extingueret atque lunae, quin immo res omnes in antiquae speciem confunderet unitatis?32

Il primo e il secondo paragrafo hanno una articolazione simile: a partire dall’incipit (Vellem itaque videre / Vellem, inquam, videre), praticamente identico, presentano la stessa struttura binaria, già riscontrata: la prima parte, più breve, mette in evidenza capacità, doti e prerogative di Giove, delineando il suo immenso potere di signore dell’universo (patrem illum deorum Iovem, aeternam rerum atque hominum potestatem; torquentem illum sidera et qui pallidas nationes fragore perterret et prosternit), mentre la seconda, molto più ampia e dettagliata, si sofferma sui particolari più osceni e violenti del rito; particolarmente forte è l’antitesi a proposito della mano, abitualmente censoria e divina, con la quale è abituato a scagliare fuochi rosseggianti e a imperversare coi fulmini (manu censoria illa atque divina qua vibrare coruscos ignes et saevire fulminibus suetus est) 32 V, 23, 1. «Mi sarebbe piaciuto vedere Giove, il padre degli dei, il dominatore eterno dell’universo e degli uomini, mentre era adorno di corna bovine, mentre muoveva le orecchie irsute, mentre coi piedi contratti in unghie ruminava le erbe fatte fieno, mentre dalla parte posteriore gli venivano bagnati abbondantemente col molle fimo e unti da un’inondazione di sterco la coda pendente, i garretti, gli zoccoli. 2. Mi sarebbe piaciuto, ripeto, perché bisogna ripeterlo più volte, vedere quel Giove che volge le stelle e col suo fragore sgomenta e atterrisce le genti impallidite, seguire un gregge di castroni, osservare i testicoli di ariete, afferrarli con quella mano censoria e divina, solita a scagliare fuochi rosseggianti e a imperversare coi fulmini, e poi ancora spiare un luogo segreto con fervente disprezzo e, allontanati tutti i possibili testimoni, strappare le tenere membrane che avvolgono il membro, offrirlo alla madre ancora irata come bende per impetrare misericordia: poi, disfatto, pallido, ferito, simulare le fitte del dolore, macchiato di sangue d’ariete per rendere più verosimile la cosa, coperto di fasce e di strisce di lana per fingere di essere ferito. 3. Si può leggere e udire ciò sotto questa volta del cielo? E chi tratta tali argomenti può essere stimato pio, santo, custode della religione? C’è empietà maggiore di questa, può trovarsi un animo imbevuto di idee sacrileghe quanto quello che tali racconti ammette, accoglie, ripone tra i misteri più segreti dei riti sacri? 4. Senza dubbio Giove, chiunque esso sia, se avesse coscienza di sé o se si sentisse in qualche modo offeso, non sarebbe giusto che in un impeto d’ira, ci strappasse la terra di sotto i piedi, spegnesse la luce del sole e della luna e tutto facesse ripiombare nell’antico caos?»

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e colta ora mentre afferra testicoli di ariete (testiculos arietinos, arripientem) per svolgere poi le azioni rituali. Anche questa volta, tuttavia, la scena non riesce a diventare drammatica: se corna bovine, orecchie irsute, coda pendente e zoccoli strappano un esangue sorriso, la rappresentazione di Giove disfatto, pallido, ferito (deductum pallidum saucium), sporco di sangue d’ariete alla fine del rito (arietino sanguine coinquinatum) rimanda un’immagine che oscilla tra comico e patetico e infligge un ulteriore colpo alla dignità del dio. Il terzo e il quarto paragrafo presentano una serie di interrogative a raffica, secondo l’abusato espediente che consente ad Arnobio di proporre affermazioni sotto la fallace forma di domande retoriche: in questo caso accusa tutti coloro che concepiscono tali riti di avere idee sacrileghe ed esorta Giove, si sentiret se esse aut si ullo sensu adficeretur iniuriae, a reagire alle offese, spegnendo la luce del sole e della luna e facendo tornare l’antico caos: rifiuta in questo modo di attribuire al sommo dio la responsabilità di tali comportamenti e ancora una volta la ribalta sui pagani.

4. GIOVE, IN FONDO, È ANCHE STUPIDO? Testi simili a quelli esaminati per contenuto e modalità espressive sono ancora numerosi nell’opera di Arnobio a ulteriore conferma di quanto finora detto, senza tuttavia aggiungere nulla di diverso. Più convincente e conclusiva può risultare la lettura di un brano che aggiunge un altro, inequivocabile tratto al nostro personaggio: si tratta dell’incipit del V libro, dove Arnobio sostiene che non solo i poeti offendono gli dei immortali (V, 1, 1 ab ludentibus poetis cuncta illa sint prodita et immortalibus diis probra), ma anche ciò che si legge in racconti autorevoli e accurati (V, 1, 1 quae historiae continent graves seriae curiosae). V, 1, 3. Ex quibus tam multis unum interim ponam moderaminis temperamentum secutus, in quo stolidus et inprudens ipse ille inducitur Iuppiter, verborum ambiguitatibus lusus.33

Fra le tante, numerose storie (Ex quibus tam multis) che si potrebbero raccontare, l’autore, in ossequio al precetto di moderazione subito dopo enunciato (moderaminis temperamentum secutus), ne sceglie una che ritiene particolarmente significativa e in cui Giove si rivela stolto e improvvido, gabbato da parole ambigue (stolidus et inprudens ipse ille inducitur Iuppiter, verborum ambiguitatibus lusus).

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V, 1, 3. «Fra tutte queste, e sono tanto numerose, invero, volendo per il momento seguire il suggerimento della moderazione, ne voglio ricordare una sola, quella che rappresenta Giove stesso sciocco e incauto, raggirato dall’ambiguità delle parole».

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Da questo momento tutto il primo capitolo è dedicato a una minuziosa ricostruzione dei fatti da cui si evince in maniera incontrovertibile come sia semplice prendersi gioco del dio, una facile preda su cui si riesce ad avere la meglio anche con un semplice lusus verborum. È Arnobio stesso nel quarto paragrafo a citare come fonte Valerio Anziate, per garantire la credibilità dei fatti, ma potrebbe aver tenuto presenti anche Ovidio e Plutarco;34 il racconto dettagliato delle modalità con cui Numa ordisce il tranello occupa il quinto e il sesto, lungo paragrafo, mentre negli ultimi due torna il discorso diretto a garantire maggiore vivacità ed efficacia alle battute finali. Riportiamo l’ottavo paragrafo: V, 1, 8. Tunc ambiguis Iovem propositionibus captum extulisse hanc vocem: ‘Decepisti me Numa; nam ego humanis capitibus procurari constitueram fulgurita, non maena capillo caepicio: quoniam me tamen tua circumvenit astutia, quem voluisti habeto morem et his rebus quas pectus es procurationem semper suscipies fulguritorum.’35

All’inizio c’è un’espressione simile a quella adoperata in precedenza - verborum ambiguitatibus lusus / ambiguis… propositionibus captum - e la ripetizione è funzionale proprio a ribadire l’estrema fragilità di Giove, che si rivolge a Numa riconoscendo la sconfitta, anche se contrariato per l’inganno di cui si sente vittima. Tutta la vicenda, nel racconto di Arnobio, è tesa a delineare un aspetto della divinità che esprime una debolezza diversa da quella precedentemente evidenziata: il goffo molestatore di donne e dee, incapace di tenere a freno i più bassi istinti, diventa qui un personaggio ingenuo ai limiti del credibile, pronto a cadere in un tranello verbale neanche particolarmente arguto; fa pensare al servo sciocco di tante commedie, penalizzato dai suoi evidenti limiti intellettuali e perciò facilmente preso in giro e ingannato da un interlocutore più furbo. Arnobio, secondo la sua tecnica collaudata, delinea un personaggio davvero patetico, anche questa volta in stridente contrasto con il dominatore di tutte le cose: appare inerme e fa sorridere per la sua ingenuità, ma questa volta con bonomia, senza acredine, con una malcelata pietà, venata in fondo di disprezzo. E sarà proprio Arnobio, più avanti, a parlare di scherno verso tutti gli elementi del racconto (V, 2, 1 … Ita enim sunt

VALERIO ANZIATE, Annali, fr. 6 Peter; OVIDIO, Fast. 3, 28seqq.; PLUTARCO, Numa 4. V, 1, 8. «Allora Giove, sentendosi raggirato da quelle ambigue battute, gridò a gran voce: ‘Mi hai ingannato, Numa: avevo stabilito che i presagi annunciati dal fulmine si dovessero espiare con teste umane, non con una mena, capelli, cipolle; ma dal momento che la tua astuzia è riuscita a ingannarmi, segui pure il modo di agire che hai scelto ed espia sempre i presagi con quello che hai patteggiato’». 34

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omnia et excogitata et comparata derisui)36, servendosi ancora della derisione, questa volta esplicita, per ottenere una metodica distruzione del personaggio.

CONCLUSIONI Negli ultimi anni molti studi sono stati dedicati a quei modi dell’argomentare che esprimono un contrasto con l’interlocutore e dunque dibattito, discussione, polemica, controversia, disputa, diatriba, antilogia e quant’altro possa rientrare in una terminologia antagonistica. Se non è possibile parlare di un genere ‘polemico’37 stricto sensu, è pur vero che l’Ad nationes di Arnobio, insieme con gran parte della letteratura apologetica, rientra a buon diritto nell’ampia categoria di ciò che si può genericamente definire uno scambio, un dialogare argomentato; più difficile si presenta la scelta tra i tanti termini a vario titolo pertinenti. Può essere utile ripercorrere le puntuali definizioni di A. Cattani,38 cercando di non ricadere in una sterile ansia tassonomica: lo studioso si muove con disinvoltura proponendo delle griglie identificative per dare concretezza alle varie classificazioni. Ma il tentativo di ricondurre l’Ad nationes in uno di questi contenitori e di poter quindi assegnare al testo un’etichetta precisa è destinato al fallimento: se è possibile escludere il dialogo, che ha la connotazione positiva di ‘discorrere insieme’, e la discussione, che si basa sul presupposto di risolvere un problema, si deve constatare che l’opera di Arnobio è polemica, nel senso di scontro contrassegnato da aggressività e irriducibilità delle posizioni, è controversia, cioè divergenza di opinioni continuativa e accesa, è disputa, intesa come dibattito di natura dottrinale, accademica o scolastica, e infine è anche diatriba, cioè un dibattito aspramente polemico su temi di natura teorica, erudita, filosofica.39

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V, 2, 1. «Tutti gli elementi del racconto sono così inverosimilmente inventati e così ripieni di scherno…» 37 Nella Présentation alla raccolta di saggi États du polémique, Québéc, Nota Bene, 1998, p. 148, i curatori del volume DOMINIQUE GARAND e ANNETTE HAYWARD sostengono che «La polémique n’est pas un genre, mais un fait historique, una série d’actes discursifs publiquement posés, et peut inclure des textes d’à peu près tout genre imaginable. Le discours polémique ne constitue pas non plus un genre, une forme littéraire, mais un type de discours qui peut traverser de nombreuses formes ou genres, littéraires ou autres». 38 ADELINO CATTANI, Botta e risposta. L’arte della replica, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 62-66. 39 Nelle modalità argomentative di Arnobio è possibile cogliere un riflesso dell’insegnamento ricevuto nelle scuole di retorica: è la tradizione del ‘discorso duplice’ che si basa sulle teoria secondo cui è “sempre possibile interpretare ogni evento e ogni affermazione da punti di vista opposti, adducendo ragioni che si annullano reciprocamente” (cfr ADELINO CATTANI, Botta e risposta, p. 27).

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Nell’introduzione alla raccolta di saggi Controverses et polémiques religieuses40 i curatori (e autori) adoperano l’espressione ‘dialogismes religieux’ per indicare “toutes les formes d’échanges discursifs entre plusieurs religions” e individuano uno dei modi delle sue possibili manifestazioni nel discorso polemico, in quanto forma aggressiva della comunicazione, che combatte, a fini offensivi o difensivi, altri discorsi basati su differenti credenze. Questa definizione, che certo tiene conto delle considerazioni di François Martineau,41 ben si adatta al testo di Arnobio nella sua complessità. La dovizia di testimonianze riportate conferma l’assunto iniziale, e cioè come il tentativo di prendere le distanze dal suo lungo e recente paganesimo trovi espressione in Arnobio nel modo di tratteggiare il personaggio di Giove, cui non è risparmiata nessuna possibile deminutio: i peggiori vizi e i più turpi peccati di un uomo acquistano, se commessi da una divinità, un’intensità speciale. La riprovazione dell’autore si manifesta molto spesso, come si è visto, in forme riconducibili all’universo del comico, nelle sue tante possibili sfaccettature, e questo approccio alla fine risulta anche più incisivo di un roboante e indignato discorso impregnato di valori etici: immagini forti e indelebili, come - ed è un esempio tra tanti - i flashes di Giove che depone l’uovo o che, coperto del sangue di un ariete, finge di essere ferito, contengono un potenziale eversivo che nessun pistolotto morale potrebbe avere. Le malefatte del dio, anche le più gravi, sembrano non raggiungere mai livelli tragici, ma spesso caricaturali;42 il modo del racconto si rivela più forte del contenuto: la forma scelta da Arnobio non consente mai al re degli dei di assurgere a una dimensione eroica, di grande protagonista tragico; la narrazione, pur esprimendo una decisa riprovazione e pur non tralasciando alcun particolare, neanche i più crudi, non diventa mai drammatica, ma è costantemente orientata a mettere in ridicolo Giove, quasi a negargli la dignità di un dio. “Le rire satirique comport du mépris, mais il exclut le tragique, la passion” afferma

40 RALPH DEKONINCK, JANINE DESMULLIEZ et MYRIAM WATTHEE-DELMOTTE, Controverses et polémiques religieuses. Antiquité-Temps modernes, Paris, L’Harmattan, 2007, p. 5seq. 41 Cfr FRANÇOIS MARTINEAU, Le discours polémique. Essai sur l’ordre du discours judiciaire, Paris, Édition Quai Voltaire, 1994, p. 15, dopo aver elencato le caratteristiche tipiche di un discorso polemico (un auditoire qu’il convient de persuader…; … prémisses vraisemblables… conclusions toujours controversables) aggiunge: «Mais un tel discours tient, aussi, sa spécificité du fait que l’orateur qui le prononce doit y intégrer la réfutation des arguments de l’adversaire. En ce sens, parce que, soumis à la contradiction immédiate, c’est un discours de combat…». 42 RALPH DEKONINCK, Querelle de l’image et image de la querelle, in R. D. et alii, Controverses, p. 163, dice «Chez les prophètes comme chez les Pères de l’Église, la stratégie consista à fustiger l’ennemi en en dessinant un portrait qui a tout de la caricature».

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Marc Angenot parlando della satira discorsiva, un’altra possibile forma del discorso agonico.43 L’efficacia di questo effetto è garantita dall’organizzazione del materiale: il racconto si snoda su un doppio versante: la narrazione vera e propria delle tante vicende più o meno leggendarie di Giove è continuamente interrotta da provocatorie considerazioni, spesso riportate sotto forma di discorso diretto, rivolte ai pagani, equamente suddivisi tra coloro che riescono a provare adorazione per una divinità che ha tali comportamenti e gli autori classici che tramandano queste leggende. Dalla lettura dei brani appare evidente come gli schemi compositivi tendano a ripetersi, così come la struttura dei capitoli, il che risulta ‘rassicurante’, anche se forse poco stimolante, per il lettore, che è in grado di anticipare e prevedere le modalità della polemica. Quello che è certo è che dalla lettura del testo di Arnobio, anche solo dalla selezione di brani riportati, risulta evidente come il comico, in tutte le sue possibili articolazioni, sia elemento costitutivo della polemica, di questa polemica, e la permei di sé: l’intreccio di queste due categorie astratte genera una miscela di incontenibile distruzione. Come in ogni tempo e in ogni Storia l’uso della satira dello scherno del sarcasmo dell’ironia sortisce un’azione corrosiva nei confronti del potere costituito, minandone le fondamenta e finendo per svolgere un’azione eversiva: è ciò che accade in questo caso nei confronti della religione pagana. Dopo il trattamento di Arnobio, Giove è metaforicamente in pezzi, come lo è il suo simulacro e non si riesce a provare per lui nessuna indulgenza, se non una forma di larvata pietà per una divinità, la somma divinità, raccontata in questi modi da poeti e scrittori pagani. E la distruzione del re degli dei trascina con sé l’intero pantheon. Paola Santorelli Università degli Studi “Federico II” - Napoli

43 MARC ANGENOT, La parole pamphlétaire. Contribution à la typologie des discours modernes, Paris, Payot, 1982, pp. 36seq., nella sua rigorosa esposizione oppone il discorso polemico a quello satirico, ma è evidente che in Arnobio si realizza una mistione tra i due livelli.

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

ABSTRACT Five of the seven books of Arnobius’ Adversus Nationes show a very violent and careful polemic against the gods and the cults of the Pagans. As an intellectual and a rhetorician, Arnobius uses all the means of rhetoric (figures, special words and sentences) in order to denounce their impietas and to submit them to irony, parody, sarcasm and mockery. His main target is Jupiter, the god he must destroy. From the many quotations, one can almost get a biography of the father of pagan gods. RÉSUMÉ Cinq des sept livres de l’Adversus Nationes d’Arnobe présentent une polémique très violente et précise contre les divinités et les cultes païens. En savant et en rhéteur, Arnobe utilise tous les outils de la rhétorique (figures, lexique, etc.) pour en montrer l’impietas et pour les soumettre à l’ironie, à la parodie, au sarcasme et à la dérision. Sa cible principale est Jupiter, le dieu à détruire, dont les nombreuses citations constituent presque une biographie du dieu père des dieux païens.

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TEXTO Y TRADICIÓN TEXTUAL EN EL «DE LAUDE MARTYRII»

El «De laude martyrii» es un breve tratado transmitido junto con otros escritos espurios en el corpus ciprianeo. El texto fue editado por Hartel en el apéndice de su edición de las obras de san Cipriano.1 Nada sabemos sobre el autor ni tampoco sobre la fecha de composición. Harnack había atribuido el escrito a Novaciano y situaba su redacción entre el 249 y el 250.2 Unos años más tarde, esta atribución sería rechazada por Koch en su estudio sobre las obras que conforman el llamado corpus ciprianeo.3 A partir de las afinidades que se observan entre el «De laude martyrii» y diversos escritos de Cipriano, y también de los datos que el propio texto aporta, Koch concluye que el autor no pudo haber sido Novaciano, como pretende Harnack.4 El escrito, en el que se proclama la excelencia y también la oportunidad del martirio, está dirigido a un grupo de cristianos presumiblemente abocados a sufrir la prueba última, con la finalidad de exhortarlos y reconfortar su espíritu. Si el mundo da muestras de un fin ya inminente, el martirio es la forma más eficaz de liberarse de las miserias terrenas y alcanzar la gloria. Esta idea, que se reitera a lo largo del opúsculo, evoca el mismo sentimiento de angustia presente en el «De mortalitate» de Cipriano. Precisamente el «De mortalitate» es el escrito del obispo de Cartago con el que el «De laude martyrii» presenta un mayor número de paralelismos. En la relación de pasajes afines que establece Koch figuran también, junto con algunas cartas, otros tratados de Cipriano, incluido el que quizás sea el último, «Ad Fortunatum», cuya redacción cabría situar entre el 257 y el 258.5

1

De laude martyrii, ed. G. Hartel, CSEL 3, 3 (1871), pp. 26-52. ADOLF HARNACK, Eine bisher nicht erkannte Schrift Novatian's vom Jahre 249/50, Leipzig, 1895 (Texte und Untersuchungen, 13, 4b). 3 HUGO KOCH, Cyprianische Untersuchungen, Bonn, Marcus und Weber’s Verlag, 1926 (Arbeiten zur Kirchengeschichte, 4), pp. 334-357. 4 Sobre la atribución del escrito a Novaciano, véase FELIX SCHEIDWEILER, Novatianstudien, en «Hermes» LXXXV (1957), pp. 58-86, en partic. pp. 85-86. 5 Véase CLAUDIO MORESCHINI, ENRICO NORELLI, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina, 2 voll., Brescia, Morcelliana, 1995-1996, I, p. 534. La posible fecha de redacción se ha situado también entre el 252 y el 253. 2

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

El análisis de estos pasajes que lleva a cabo Koch se centra fundamentalmente en cuestiones de contenido, dejando al margen aspectos formales. La comparación de los pasajes del «De laude martyrii» que aduce el estudioso alemán con el texto ciprianeo evidencia que en ningún caso el autor hace una cita literal del modelo. Se trata de un uso muy libre del texto fuente, que, en la mayoría de ocasiones, se limita al empleo de determinadas expresiones tomadas de contextos, por lo general, de contenido similar. No obstante, en algunos casos el pasaje ciprianeo constituye un hipotexto a partir del cual el autor elabora su discurso. Creo interesante reparar en el procedimiento de utilización del texto fuente que el autor sigue en tales casos, un procedimiento que substancialmente es siempre el mismo. Veamos a continuación algunos ejemplos. En el capítulo 30, el autor ruega a los mártires en ciernes que lo tengan presente en el recuerdo cuando les llegue el momento de la prueba última: tamen erit hoc beniuolentiae uestrae, erit caritatis et amoris, si uolueritis nostri memores esse cum in uobis dominus martyrium coeperit honorare. 30, p. 51, ll. 11-13

Como textos afines Koch aduce estos dos pasajes: durate fortiter, spiritaliter pergite, peruenite feliciter. tantum mementote tunc nostri, cum incipiet in uobis uirginitas honorari.6 Hab. virg., 24, p. 205, ll. 3-5 Nunc est, fratres beatissimi, ut memores mei sitis, ut inter magnas atque diuinas cogitationes uestras nos quoque animo ac mente uoluatis, simque in precibus et orationibus uestris, cum uox illa purificatione confessionis inlustris et iugi honoris sui tenore laudabilis ad dei aures penetrat et aperto sibi caelo de his subacti mundi partibus ad superna transmissa inpetrat de domini bonitate quod postulat.7 Epist., 37, 4, 1, ll. 74-80

El autor recoge la misma idea que aparece en ambos pasajes de Cipriano, pero la formula siguiendo muy de cerca el texto del «De habitu virginum», el cual, modificado, incorpora a su discurso. El enunciado en modo imperativo se atenúa y amplifica en forma de período hipotético y los elementos léxicos esenciales se modifican por substitución: «memores esse» por «mementote», «coeperit» en lugar de «incipiet», y por inversión de

CYPRIANUS EPISCOPUS CARTHAGINIENSIS, De habitu virginum, ed. G. Hartel, CSEL 3, 1 (1868). 7 ID., Epistulae, ed. G. F. Diercks, CC SL 3B (1994). 6

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TEXTO Y TRADICIÓN TEXTUAL EN EL «DE LAUDE MARTYRII»

orden: «mementote nostri» / «nostri memores esse»; «incipiet in uobis» / «in uobis… coeperit». La utilización de la perífrasis «nostri memores esse» está claramente sugerida por «memores mei sitis» que se lee en el texto de la carta 37.8 Un procedimiento similar de reelaboración del modelo se observa también en un pasaje del capítulo 8 en que el autor exhorta al desprecio de la vida y del mundo, con los cuales el cristiano nada tiene que ver; sólo para el réprobo tiene sentido el deseo de vivir: sane teneat cupiditas ista uiuendi, sed quem post inexpiabili malo saeuiens ignis aeterna scelerum ultione torquebit. teneat cupiditas ista uiuendi, sed quibus et mori poena est et durare tormentum. 8, p. 32, ll. 2-5

El texto fuente que propone Koch es el siguiente: Mori plane timeat, sed qui ex aqua et spiritu non renatus gehennae ignibus mancipatur. Mori timeat qui non Christi cruce et passione censetur. Mori timeat qui ad secundam mortem de hac morte transibit. Mori timeat quem de saeculo recedentem perennibus poenis aeterna flamma torquebit. Mori timeat cui hoc mora longiore confertur, ut cruciatus eius et gemitus interim differatur.9 Mortal., 14, ll. 233-239

La disposición sintáctica del enunciado se corresponde substancialmente con la del texto fuente, mientras que el contenido se toma del penúltimo y quizás también del último10 de los cinco miembros con anáfora que integran el pasaje de Cipriano. Una expresión conceptualmente cercana, «teneat cupiditas ista uiuendi», substituye a «mori timeat» y, en el primer miembro, la secuencia «plane timeat» es reemplazada por «sane teneat», métricamente idéntica y con casi la misma sucesión de timbres vocálicos. Vemos aplicado también aquí el procedimiento de substitución léxica: «ignis» en lugar de «flamma», «ultione»11 por «poenis», en tanto que la construcción participial «de saeculo recedentem» se sintetiza mediante la forma adverbial «post». La cláusula que cierra el período es también la misma que en el texto fuente.

8

La idea que expone aquí Cipriano está presente en las palabras finales del «De laude martyrii», c. 30, p. 52, ll. 5-7: «et utinam perabiecto aliquando istud mihi uidere contingat: sed hoc dominus poterit efficere quod uobis petentibus creditur non negare». 9 CYPRIANUS EPISCOPUS CARTHAGINIENSIS, De mortalitate, ed. M. Simonetti, CC SL 3A (1976). 10 Sobre este punto, véase KOCH, Cyprianische Untersuchungen, p. 341. 11 El uso de «ultione» está tomado probablemente de un pasaje del «De ecclesiae unitate», 18, l. 444, en que Cipriano lo utiliza a propósito del fuego divino que, en Nm 16, 35, consume a los impíos.

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

El número de pasajes ciprianeos que Koch señala puede todavía ampliarse con otros cuya afinidad con expresiones o ideas presentes en el «De laude martyrii» resulta evidente.12 Veamos, por ejemplo, un pasaje del capítulo 29, donde se insta al creyente a vencer el temor y dar la vida por Cristo: si iustus es et deo credis, quid pro eo fundere sanguinem metuis quem pro te totiens passum esse cognoscis? 29, p. 50, ll. 8-9

El recurso a la interrogación retórica de que se sirve aquí el autor está tomado de un pasaje del capítulo 3 del «De mortalitate»: Si iustus es et fide uiuis, si uere in Deum credis, cur non cum Christo futurus et de Domini pollicitatione securus, quod ad Christum uoceris amplecteris et quod diabolo careas gratularis? Mortal., 3, ll. 38-41

Las tres premisas iniciales del modelo se han reducido a dos y el cristianismo sintáctico «in deum credis» se ha reemplazado por «deo credis»,13 con lo cual el número de sílabas y la secuencia métrica en «deo credis» resultan las mismas que en «fide uiuis», elemento al cual substituye; por último, el adverbio que introduce la interrogativa se ha mudado por el pronominal «quid».14 El tratamiento de la fuente que se observa en el «De laude martyrii» sugiere que el autor es alguien avezado en la práctica retórico-literaria escolar.15 Por lo demás, el tono retórico y el estilo rebuscado del escrito, que Hartel no duda en calificar de retorcido,16 lo sitúan formalmente más cerca de la literatura profana que de las Escrituras.17 De hecho, esta proximidad a las letras profanas se hace aún más evidente en aquellos pasajes en los que está presente la influencia de Virgilio y, en algún caso, de Cicerón. Este aspecto del «De laude martyrii», al cual dediqué mi atención

12

Además del pasaje del capítulo 29, p. 50, ll. 8-9, véanse Laud. mart., 2, p. 27, ll. 17-18: Dom. orat., 24, l. 468; 8, p. 32, ll. 8-9: Demetr., 5, ll. 82-84; 9, p. 32, l. 15: Laps., 5, l. 89; 15, p. 37, ll. 10-14: ibidem, 5, ll. 93-94; 15, p. 38, l. 1: Hab. virg., 18, p. 200, l. 20; 17, p. 39, ll. 17-18: Ad Donat., 3, l. 46. 13 Construido también con dativo «credo» se encuentra en 12, p. 34, l. 19 y usado en forma absoluta en 16, p. 38, l. 4. 14 El adverbio interrogativo “cur” no aparece en el «De laude martyrii». 15 Esta proximidad del autor a la escuela la señala ya Koch en Cyprianische Untersuchungen, p. 353. 16 CYPRIANUS EPISCOPUS CARTHAGINIENSIS, Opera omnia, ed. G. Hartel, CSEL 3, 3 (1871), Praef., p. 50. 17 Véase MORESCHINI, NORELLI, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina, I, p. 538.

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TEXTO Y TRADICIÓN TEXTUAL EN EL «DE LAUDE MARTYRII»

hace ya algun tiempo,18 me ha seguido interesando. Una revisión del texto me ha permitido detectar la influencia del modelo clásico en otros pasajes. A guisa de ejemplo, me referiré ahora a dos de ellos. El escrito se inicia con una larga «captatio beneuolentiae» no exenta de afectada modestia, en la que el autor describe la angustia de su espíritu, que se debate entre el anhelo de proclamar la excelencia del martirio y las propias limitaciones. Éste es el comienzo: Etsi incongruens est, fratres carissimi, in hoc fauore dicendi aliquid trepidationis adferre minimeque deceat gloriam tantae deuotionis infringere ex eo quod fatear me coepisse dubitare, tamen identidem dico ipsa animum deliberatione confringi. 1, p. 26, ll. 2-5

El mismo recurso retórico aparece en el inicio del «Pro Milone»: Etsi uereor, iudices, ne turpe sit pro fortissimo uiro dicere incipientem timere minimeque deceat, cum T. Annius ipse magis de rei publicae salute quam de sua perturbetur, me ad eius causam parem animi magnitudinem adferre non posse, tamen haec noui iudici noua forma terret oculos qui, quocumque inciderunt, ueterem consuetudinem fori et pristinum morem iudiciorum requirunt.19 Mil., 1, 1

Resulta evidente que el autor construye su discurso tomando como modelo el pasaje ciceroniano, del cual reproduce la estructura formal y adapta una parte del contenido. En la primera proposición concesiva, «in hoc fauore dicendi» se corresponde con «dicere incipientem», en tanto que la perífrasis «aliquid trepidationis adferre» con «timere».20 El estilo retórico que caracteriza el discurso a lo largo de todo el escrito alterna en determinados pasajes con descripciones de marcado tono poético. En el capítulo 13 (p. 35, ll. 12-14), el autor insiste en la oportunidad del martirio, máxime cuando la naturaleza exhausta da muestras de un fin inminente. A renglón seguido, a título ilustrativo, se 18 LAMBERTO FERRERES, Fuentes clásicas en el Pseudo-Cipriano «De laude martyrii», en La Filología Latina hoy. Actualización y perspectivas, edd. A. M. Aldama et al., 2 voll., Madrid, Sociedad de Estudios Latinos, 1999, I, pp. 137-142. 19 MARCUS TULLIUS CICERO, Pro T. Annio Milone oratio, ed. A. C. Clark, Oxford, Clarendon Press, 19182. 20 La presencia de Cicerón se detecta también en 8, p. 31, ll. 14-15: «et maxime si ante oculos tuos ponas nihil detestabilius esse dedecore, nihil foedius seruitute», tomado de Phil., 3, 36: «nihil est detestabilius dedecore, nihil foedius seruitute», y en 29, p. 46, l. 15: «quae uox, quae latera, quae uires instar muneris tanti capiant sustinere?», que nos lleva a Verr. II, 4, 67: «quae uox, quae latera, quae uires huius unius criminis possunt sustinere?». Véase FERRERES, Fuentes clásicas en el Pseudo-Cipriano «De laude martyrii», pp. 137-138.

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describen tres fenómenos naturales que comportan una sucesión necesaria. Se trata de tres imágenes, que se desarrollan en miembros consecutivos de longitud creciente, en cuya elaboración el autor incorpora elementos de la épica virgiliana: nam et cum caelo imber incumbit, pluuias aer triste praetendit, et quotiens atra tempestas horrenti imminet pelago, per interaperta nubium ante coruscantium fulmina relucescunt: sed et cum magnis mare fluctibus uoluitur, paulatim unda se tollit paulatimque aequor albescit, donec cernas ita postmodum ruere, ut in illis quibus retunditur saxis spuma altius iaceat quam unda tumidum pelagus exspuebat. 13, pp. 35, l. 14-36, l. 1

En la primera imagen el autor se refiere al cielo lluvioso como “aer triste”, una asociación de ideas que aparece en «Georgica», 3, 278-9: «unde nigerrimus Auster / nascitur et pluuio contristat frigore caelum».21 La segunda descripción contiene elementos tomados de distintos pasajes virgilianos. El sintagma «atra tempestas» es utilizado en «Aeneis», 5, 6934: «effusis imbribus atra / tempestas sine more furit»,22 en tanto que la secuencia: «horrenti imminet pelago» parece ser una adaptación de «Aeneis», 1, 165: «horrentique atrum nemus imminet umbra». El texto que sigue: «per interaperta nubium ante coruscantium fulmina relucescunt», cuyo sentido no resulta demasiado claro, requiere especial atención. Hartel propone leer «ante», lección de una parte de los manuscritos, en tanto que otros códices transmiten «nocte» o «noctem». Si se acepta la lectura «noctem», es posible ver un paralelo con el pasaje de «Georgica», 1, 328-9: «ipse pater media nimborum in nocte corusca / fulmina molitur dextra»; el elemento de conexión se establece precisamente a través del sintagma «media nimborum in nocte», que el autor transforma en «per interaperta(m)23 nubium noctem coruscantium»; la determinación adjetiva «corusca», que en Virgilio acompaña a «dextra», se aplica ahora como participio a «nubium», término que substituye a «nimborum». En la tercera imagen, el segmento: «cum magnis mare fluctibus uoluitur, paulatim unda se tollit paulatimque aequor albescit» está tomado de «Aeneis», 7, 528-530: «fluctus uti primo coepit cum albescere uento, / paulatim sese tollit mare et altius undas / erigit». El autor reproduce la disposición sintáctica del modelo, pero altera el orden expositivo; la primera principal, en la que se substituye «mare» por «unda», es prácticamente idéntica a la

21

19722.

P. VERGILIUS MARO, Georgica, ed. R. A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press,

ID., Aeneis, ed. R. A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press, 19722. Este pasaje del «De laude martyrii» es el único testimonio de un hipotético substantivo «interapertum» que aparece en el ThLL, VII, 1, col.. 2150, l. 28, s. v. «interaperio». 22 23

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correspondiente del modelo, en cambio, la segunda, con repetición anafórica del adverbio, recoge la idea que Virgilio expresa en la temporal: «aequor albescit» / «fluctus… coepit cum albescere» y, viceversa, el contenido de la segunda principal en el modelo: «altius undas erigit» pasa a la subordinada temporal: «cum magnis mare fluctibus uoluitur». En la parte final de la descripción: «donec cernas ita postmodum ruere, ut in illis quibus retunditur saxis spuma altius iaceat quam unda tumidum pelagus exspuebat», se percibe la influencia de «Aeneis», 11, 624-6: «pontus / nunc ruit ad terram scopulosque superiacit unda / spumeus». El primer miembro de la descripción virgiliana se simplifica, mientras que el segundo se reemplaza por una dilatada subordinación, en la que el enunciado: «scopulosque superiacit unda / spumeus» es objeto de reelaboración y ampliación; de nuevo el autor recurre a la mutación léxica por sinonimia: «saxum» en lugar de «scopulus», «pelagus» en vez de «pontus», mientras que la forma verbal «superiacit» se desdobla en «altius iaceat», con substitución de «iacio», que aparece en el compuesto, por «iaceo». La tradición manuscrita que ha preservado el «De laude martyrii» es compleja y difícil de sistematizar;24 el texto que ésta nos transmite presenta numerosas corruptelas. Sin duda, el estilo mismo del escrito, rebuscado y a menudo obscuro, contribuyó a la depravación del texto. A este respecto Hartel escribía en el prefacio de su edición: «his praesidiis in hac demum recensione permulta quae antea intellegi non poterant rectius constituta sunt, plura restant adhuc obscura et restabunt. nam utrum ea contorto genere dicendi quo scriptor utitur explicanda sint an librariorum erroribus debeantur uix potest decerni».25 Resulta evidente que la presencia de Cipriano o del modelo clásico en el «De laude martyrii» dista mucho de lo que cabe considerar como una cita literal, explícita o tácita. Como mucho en algunos casos se puede hablar de paráfrasis del texto modelo. Para la crítica textual el valor de este tipo de alusiones no es equiparable al que tienen las citas literales. Con todo, esta peculiar intertextualidad que presenta el texto del «De laude martyrii» puede contribuir a resolver algunos de los puntos obscuros que el sabio editor vienés consideraba irresolubles.26 Lamberto Ferreres Universidad de Barcelona Todavía hoy es fundamental el estudio de HANS SODEN, Die cyprianische Briefsammlung. Geschichte ihrer Entstehung und Überlieferung, Leipzig, 1904 (Texte und Untersuchungen, N. F., 10, 3). Este estudioso procede a la agrupación de los manuscritos a partir de un criterio externo, el orden en que aparecen en ellos las cartas y los restantes escritos del corpus ciprianeo. 25 CSEL 3, 3, Praef., p. 50. 26 Véase LAMBERTO FERRERES, La tradición indirecta en dos restituciones al texto del Pseudo-Cipriano «De laude martyrii», en «Emerita», LXVII (1999), fasc. 2, pp. 289294, en partic. pp. 291-293. 24

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

ABSTRACT The «De laude martyrii» is a short anonymous treatise transmitted in the «corpus cyprianeum». The connection between the «De laude martyrii» and the St Cyprian’s writings, especially the treatise «De mortalitate», has been proved long ago by Koch. His study places particular attention on the similarities in contents. However the collation of borrowed passages with the Cyprian’s text shows that the author uses his source very freely. We also find this text processing system in the passages of «De laude martyrii» borrowed from profane writers. RÉSUMÉ Le «De laude martyrii» est un bref traité anonyme transmis dans le «corpus cyprianeum». Les rapports du «De laude martyrii» avec les écrits de saint Cyprien, surtout avec le «De mortalitate», ont été mis en relief, il y a longtemps, par Koch. Dans son étude, ce savant en examine les affinités spécialement du point de vue du contenu. Or la comparaison entre le texte des passages empruntés et celui de Cyprien montre que l’auteur utilise de façon très libre son modèle. Nous pouvons aussi constater ce procédé d’élaboration de la source dans les passages du «De laude martyrii» empruntés aux auteurs profanes.

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DALLA POLEMICA ALL’OMELIA: TRADIZIONE ORIGENIANA E RADICI BIBLICHE NELL’OMELIA SUL SALMO 29 DI BASILIO DI CESAREA

Basilio compose le Omelie sui salmi, con molta probabilità, negli anni dell’episcopato (370-378): è evidente che si tratta di opera omiletica, in cui non c’è un vero e proprio spazio per la polemica. La finalità è, infatti, essenzialmente esegetica, svolta dal Cappadoce in chiave ermeneutica e morale. S’intende, tuttavia, verificare se sia possibile rinvenire nell’omelia echi di polemiche che avevano impegnato Basilio in prima persona (la querelle con l’anomeo Eunomio), ovvero echi di polemiche precedenti, anche oramai risolte, con le quali però in vario modo il Cappadoce era entrato in contatto. A tal fine saranno presi in esami due passaggi di In ps. 29: nel primo Basilio mette in guardia i fedeli dall’incorrere in errate concezioni della divinità; nel secondo li esorta ad una retta condotta di vita, ricordando il giudizio finale che li attende. 1. A proposito dell’incipit di Ps 29 (ǬžɭŹſŹŬ ŒɝŷŰŬ ɗźŰɟÎȤŲŨũȤŸ ųŬ), Basilio, anticipando una possibile obiezione, si chiede come possa Dio, che abita nell’alto dei cieli (ȧŴźŶɋŸɟžŮŲŶɋŸűŨźŶŰűɵŴ), venir innalzato (ɟžŶɥźŨŰ) da chi ha avuto in sorte l’umile terra (źŨÎŬŰŴȭŴŽɭŷŨŴ). Con chiara allusione a Ecl 5, 1, prosegue domandando: “Se, infatti, Dio è in alto nei cieli (ȧŴźʃŶɠŷŨŴʃȑŴſ), e tu sei in basso, sulla terra (ȧŴźɂ Ūɂűȋźſ), in che modo potresti esaltarlo (ɟžɭŹŬŰŨŸ)?”. Non sfugge a Basilio l’anomalia di quanto affermato dal salmista e si affretta a spiegarla, chiarendo che Dio è esaltato (ɟžŶɥŹůŨŰ) da coloro che sono capaci di pensieri grandi e degni di Lui (ųŬŪȋŲŨűŨɄůŬŶÎŷŬÎɁŴŶŬɋŴ) e che vivono per la sua gloria; colui che tende con sapienza alla beatitudine esalta (ɟžŶɋ) Dio, mentre chi si volge verso il suo contrario umilia (źŨÎŬŰŴŶɋ) Dio, nei limiti di quanto è nelle sue facoltà (źɔɗŹŶŴȧżȦŨŻźʃ).1 L’intero brano si articola tra i due estremi dell’altezza di Dio (ɟžɭŹſ  ɟžŮŲŶɋŸ ɟžŶɥźŨŰ ɟžɭŹŬŰŨŸ ɟžŶɋ) e della bassezza dell’uomo (źŨÎŬŰŴȬŴ 

1

BAS., In ps. 29, 1: PG 29, col. 308B.

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źŨÎŬŰŴŶɋ):2 nonostante la condizione di inferiorità (per così dire ‘spaziale’, che rimanda a quella, più importante, ontologica) dell’uomo rispetto a Dio, di cui l’omileta trova efficace definizione nel v. di Ecclesiaste, a lui è riconosciuta ugualmente la possibilità di innalzare il Signore, attraverso pensieri sublimi e degni di Lui: è il ÎŷȤÎŶŴche deve orientare il modo in cui l’uomo concepisce (ŴŶŬɋŴ) e si esprime su Dio. Abitudine dell’uomo è, invece, quella di attribuire alla divinità azioni e stati d’animo che si addicono piuttosto alla natura umana, come il dormire o il dimenticare: Noi, invece, è come se attribuissimo a Dio tutti quegli stati (ÎȋŹŨŴ űŨźȋŹźŨŹŰŴ) che in realtà si addicono (ȍŷųɓŭŶŻŹŨŴ) alle nostre azioni. Per questo, quando siamo come addormentati (ŴŻŹźŨŭɓŴźſŴ)3 e ci comportiamo pigramente (ŴſůŷɵŸȧŴŬŷŪŶɝŴźſŴ), diciamo che Dio dorme, giudicandoci indegni della sua vigilanza che ci sorveglia (ȧÎŰŹűŶÎŶɝŹŮŸȧŪŷŮŪɓŷŹŬſŸ). Allora, una volta che ci siamo resi conto del danno che viene dal (nostro) sonno, diciamo: Alzati (Ps 9, 33), perché dormi, Signore (Ps 43, 24)? Non si addormenterà, né dormirà il custode di Israele (Ps 120, 4). Alcuni altri, poi, è come se respingessero (ȎÎŶŹźŷȤżŶŻŹŰ) gli occhi di Dio, attraverso le azioni turpi che commettono e che sono indegne dei suoi occhi. Costoro, quando poi si pentono, dicono: Perché volgi indietro (ȎÎŶŹźŷȤżŬŰŸ) il tuo volto (Ps 43, 25; cfr Ps 9, 32-33)? E, oltre a questi, vi sono altri rimossi dalla memoria (ȧűũŲŮůȤŴźŬŸźɁŸųŴȬųŮŸ) di Dio, che è come se avessero suscitato in Lui l’oblio (ŲȬůŮŴ ȧųÎŶŰŶɥŴźŬŸ) di loro stessi; costoro dicono: Ti sei dimenticato (ȧÎŰŲŨŴůȋŴȿ) della nostra miseria e della nostra tribolazione (Ps 43, 25). In una parola, gli uomini modellano in forma umana (ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŸ)

2 È evidente il gioco retorico dell’accostamento di parole afferenti alla medesima radice; si noti anche il ricorso al dialektikon (domanda-risposta): sulle componenti retoriche delle omelie basiliane si vedano JAMES MARSHALL CAMPBELL, The influence of the Second Sophistic on the Style of the Sermons of St. Basil the Great, Washington, Catholic University of America, 1922 (Patristic Studies, 2); WILHELM HENGSBERG, De ornatu rhetorico, quem Basilius Magnus in diversis homiliarum generibus adhibuit, Bonnae, Diss. Rheinische Friedrich Wilhelms-Universität, 1957. 3 In Basilio il v. ŴŻŹźȋŭſcontraddistingue un atteggiamento di noncuranza nei confronti di Dio (cfr RB, LXXX: PG 31, col. 1140); stesso uso anche in OR., CMt., X, 24 (ed. H. Klostermann, GCS 40 (1935), p. 33); Sel. in ps. 118, 28 (PG 12, col. 1593): dormono coloro che, per grande negligenza, si lasciano trarre in inganno da fantasie vane invece di amare Dio. Il sonno (ŴŻŹźŨŪųɓŸ), soprattutto se fuori tempo, è indice di un’anima torpida rispetto al pensiero di Dio, e sprezzante dei suoi giudizi in BAS., RB, XXXII; LXXX (PG 31, coll. 1104.1137); è il segno di un’anima annoiata in CLEM. ALEX., Paed., II, 10, 81 (ed. Marcovich, Leiden, Brill, 2002, p. 119); è messo in relazione col peccato da OR., FrIob., XXII, 11 (PG 17, col. 84); FrPr., VI (PG 17, col. 177).

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DALLA POLEMICA ALL’OMELIA

ciò che dicono a proposito di Dio, preparandosi un Dio a propria immagine.4

A Basilio è noto che anche nella Scrittura (e particolarmente nei salmi) vi sono numerosi passi che si esprimono su Dio in base all’esperienza umana e che questi vadano intesi, appunto, quali ‘proiezioni’ dell’uomo su Dio: quando l’uomo si comporta pigramente, come se fosse addormentato, oppure si allontana dal Signore, o, peggio, si dimentica di Lui, pensa che sia Dio a dormire (cfr Ps 9, 33; 43, 24; 120, 4), a guardare altrove (cfr Ps 43, 25) e allontanarsi, a dimenticarsi dell’uomo (cfr Ps 43, 25). Contro l’interpretazione letterale delle descrizioni antropomorfiche e sulle nozioni sconvenienti su Dio, Basilio si era espresso anni prima nel Contro Eunomio.5 È noto che l’intera teoria eunomiana ruotava intorno all’opposizione tra l’essere ingenerato (źɔȎŪȤŴŴŮźŶŴ) e l’essere generato (źɔŪȤŴŴŮųŨ), e che proprio questa preferenza accordata da Eunomio, tra tutti gli appellativi divini, all’ingenerato, quale definizione distintiva dell’essenza della divinità, fu assunta da Basilio come punto debole della teoria dell’avversario. Eunomio, infatti, tendeva ad escludere il Figlio dallo stato di divinità in virtù della sua posteriorità ‘temporale’ rispetto al Padre, che avrebbe implicato anche una inferiorità di grado.6 La replica basiliana, articolata in vari punti, si muove sullo stesso terreno di artifici dialettici che era stato di Eunomio: soprattutto, Basilio contesta la pretesa eunomiana di aver afferrato la sostanza divina e, dunque, di essere in grado di definirla, ribadendo, in linea con tutta la tradizione (platonica e) cristiana, la trascendenza e il mistero della divinità. Dio Padre nella sua essenza è conosciuto esclusivamente dal Figlio e dallo Spirito santo, mentre all’uomo è data la possibilità di conoscerlo soltanto dalle sue operazioni (ȧűźɵŴȧŴŬŷŪŬŰɵŴűŨɄūŰȌźɵŴÎŶŰŮųȋźſŴ ȧŴŴŶŶɥŴźŨŸ) e da quanto dicono di Lui le Scritture.7 Ma gli autori sacri si sono espressi riguardo a Dio in figure e allegorie (źŷŶÎŶŲŶŪɃŨŰŸűŨɄ ȎŲŲŮŪŶŷɃŨŰŸ), cosicché, se qualcuno si attiene alla nuda lettera (žŰŲʃ ŪŷȋųųŨźŰ) secondo il significato immediato (ÎŷɓŽŬŰŷŶŴ), resterà del tutto privo di idee degne su Dio (ȎŵɃſŴÎŬŷɄŐŬŶɥŴŶŮųȋźſŴ). Più oltre, Basi4

PG 29, coll. 308C-309A. Il Contro Eunomio fu dettato da Basilio mentre si trovava ad Eusinoe, intorno al 364, in vista del sinodo di Lampsaco che si tenne nell’autunno di quell’anno. 6 Cfr MANLIO SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1975 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 11), in partic. pp. 462-468; ID., Genesi e sviluppo della dottrina trinitaria di Basilio di Cesarea, in Basilio di Cesarea. La sua età, la sua opera e il basilianesimo in Sicilia. Atti del Congresso Internazionale (Messina 3-6 XII 1979), vol. I, Messina, 1983, pp. 169-197. Vedi anche MARINA SILVIA TROIANO, La polemica sull’origine dei nomi nell’Adversus Eunomium di Basilio: l’epinoia, in Basilio di Cesarea. La sua età, pp. 523-531. 7 BAS., Eun., I, 14, edd. B. Sesboué, G.-M. De Durand, L. Doutreleau, SC 299 (1982), pp. 220-222. 5

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lio torna sull’argomento e, interpretando piuttosto liberamente il pensiero di Eunomio (“Non bisogna pensare che la sua generazione sia umana né, partendo dalle nascite che avvengono tra gli uomini, sottomettere Dio alle denominazioni dell’unione e alle passioni”),8 precisa che Eunomio avrebbe dovuto mantenersi puro da pensieri vili e carnali (źŨÎŬŰŴɵŴűŨɄŹŨŷűŰűɵŴ ŴŶŮųȋźſŴ: cfr źŨÎŬŰŴɓſ e ŴŶŬɋŴIn ps. 29, 1) e pensare ad una generazione consona (ÎŷȤÎŶŻŹŨŴ: cfr ůŬŶÎŷŬÎɁ In ps. 29, 1) con la santità e l’impassibilità di Dio. Nella rilettura basiliana, Eunomio è colpevole di aver negato del tutto la generazione di Dio, perché questa avrebbe implicato la nozione tipicamente umana di passioni corporali (ŹſųŨźŰűɵŴÎŨůɵŴ ȪŴŴŶŰŨŴ: cfr ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŸIn ps. 29, 2), mentre tale concetto implicherebbe solo che la generazione divina è differente da quella di qualsiasi uomo che divenga padre.9 Anche questa rientra, infatti, tra le parole figurate ed espresse per metafora (źŷŶÎȭŴűŨɄȧűųŬźŨżŶŷȢŸ), di cui sono piene le Scritture: Eppure, quando sentiamo dire che Dio è adirato (cfr Ps 17, 8), che dorme (ɟÎŴŶɥŴźŨ; cfr Ps 43, 24) e che vola (cfr Ps 17, 11) ed altre simili espressioni che presentano significati inopportuni (ȎÎŷŬÎŬɋŸ) secondo l’accezione immediata, non cancelliamo le parole dello Spirito e neppure intendiamo le espressioni in senso letterale (ŹſųŨźŰűɵŸ). ... È certo possibile, infatti, nel caso di un’espressione polisemantica, essere condotti tramite la parola verso la concezione giusta (ɖŷůȭŴȪŴŴŶŰŨŴ), tralasciando il significato vile e turpe (źŨÎŬŰŴɔŴűŨɄŨɆŹŽŷɓŴ).10

L’impressione è che Basilio non abbia dimenticato i termini della polemica, quando, alcuni anni dopo,11 quando lo scontro era solo sopito, ma non del tutto risolto (se è vero che la polemica porterà nel 378 ad una 8 BAS., Eun., II, 22, edd. B. Sesboué, G.-M. De Durand, P.-L. Doutreleau, SC 305 (1983), pp. 88seqq. = EUN., Apol., XVI, ibid., pp. 264seqq. Le traduzioni dell’Apologia e del Contro Eunomio sono di DOMENICO CIARLO, Roma, Città Nuova 2007 (Collana di Testi Patristici, 192). 9 Eun., II, 22-23: SC 305, p. 90seqq. 10 Eun., II, 24: SC 305, p. 98seqq. 11 L’opera basiliana sui salmi non è un commento continuo, concepito e realizzato in un tempo determinato, in conformità ad un prestabilito piano redazionale: questo rende difficile stabilire la data di composizione di ciascuna omelia, anche se (in accordo con JEAN BERNARDI, La prédication des Pères Cappadociens. Le prédicateur et son auditoire, Montpellier, Presses Universitaires de France, 1968 [Publications de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de l’Université de Montpellier, 30], pp. 23-29, e PAUL JONATHAN FEDWICK, A Chronology of the Life and Works of Basil of Caesarea, in Basil of Caesarea: christian, humanist, ascetic. A sixteen-hundredth Anniversary Symposium, ed. P.J. Fedwick, Toronto, Brepols, 1981, vol. I, pp. 9-10) sembra verosimile che la maggior parte di esse risalgano al periodo episcopale (370-378). Cfr MARIO GIRARDI, Basilio di Cesarea interprete della Scrittura. Lessico, principi ermeneutici, prassi, Bari, Edipuglia, 1998 (Quaderni di Vetera Christianorum, 26), p. 114, nt. 90.

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nuova replica di Eunomio), e, soprattutto, nel diverso contesto di un uditorio di fedeli riuniti in assemblea liturgica, Ps 29, 2 gli offre l’occasione di ribadire quale sia la maniera retta di pensare Dio. La replica ad Eunomio, infatti, risulta imperniata sulla necessità di non applicare alla divinità concezioni (ȧŴŴŶȤſŴŶȬųŨźŨȪŴŴŶŰŨ) vili (źŨÎŬŰŴŶɃ) e inopportune (ȎÎŷŬÎŬɋŸ), che le riferiscano stati tipicamente umani, quali le passioni (ÎȋůŮ); una concezione consona (ÎŷȤÎŶŻŹŨ) con la santità e l’impassibilità di Dio deriva, invece, da un’interpretazione spirituale dei passi della Scrittura che si riferiscono a Lui. A tali convergenze terminologiche si aggiunge, significativamente, il medesimo ricorso a Ps 43, 24.12 L’uso di ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŸ aiuta a chiarire le matrici della polemica: raro, è attestato 20 volte in tutta la lett. greca, solo 3 delle quali in autori ‘profani’ (2 volte in Ermogene di Tarso, ŘŬŷɄɆūȤſŴ, I, 6; II, 10, e 1 volta in uno scolio ad Iliade, V, 333, in riferimento alle divinità antropomorfiche omeriche), per il resto in autori cristiani (Origene, Didimo il Cieco, Eusebio, Atanasio, Epifanio),13 e ricorre in Basilio solo in questa sede. ƧŴůŷſÎŶÎŨůɵŸ, e gli affini ȎŴůŷſÎŶÎŨůȤſ e ȎŴůŷſÎŶÎŨůȬŸ, risultano essere termini nati nel contesto dell’interpretazione allegorica di Omero, recuperati dall’interpretazione (giudaica) delle Scritture (Filone)14 e dive-

12 Contro l’interpretazione letterale delle descrizioni antropomorfiche di Dio Basilio si esprime anche a proposito di Ps 114, 2 (Poiché inclinò verso di me il suo orecchio): «inclinò, non perché tu ne derivi una nozione, per così dire, corporea su Dio (ŹſųŨźŰűȬŴźŰŴŨȪŴŴŶŰŨŴÎŬŷɄŐŬŶɥ), quasi avesse le orecchie» (In ps. 114, 2: PG 29, col. 485B). Osservazioni di tenore analogo si riscontrano anche nella prima delle due omelie De creatione hominis (I, 5, edd. A. Smets, M. Van Esbroeck, SC 160 (1970), pp. 176seqq.), sulla cui autenticità si è a lungo discusso, ma che presentano un patrimonio di matrice basiliana. 13 Ricorre, poi, in epoca tarda, 2 volte nei Commentarii ad Hom. Iliadem et Odysseam, III, 613; IV, 486, di Eustazio vescovo di Tessalonica (XII sec.). 14 Tralasciando Leg. All., III, 237 (ed. C. Mondésert, Les oeuvres de Philon d’Alexandrie [d’ora in poi OPA], 2, Paris, Les Éditions du Cerf, 1962, p. 306: Giuseppe rifiuta di giacere con la moglie di Putifarre [Gn 39, 7seqq.] in ossequio alla legge divina, nonostante l’invito ad assecondare le passioni umane [ȎŴůŷſÎŶÎȋůŮŹŶŴ]), De decal., XLIII (ed. V. Nikiprowetzky, OPA 23 (1965), p. 62: l’intelletto umano, ad imitazione della filantropia divina [cfr Dt 10, 16-18], può venire abituato a non nutrire solamente passioni umane [ȎŴůŷſÎŶÎŨůŬɋŴ]) e In Flaccum, CXXI (ed. A. Pelletier, OPA 31 (1967), p. 120: Flacco incarcerato prega Dio di non sottrarlo al castigo dei nemici, avendo ben imparato i patimenti umani [ȎŴůŷſÎŶÎŨůŬɋŴ]), ȎŴůŷſÎŶÎŨůȤſe ȎŴůŷſÎŶÎŨůȬŸsono usati da Filone a proposito di quei passi dell’AT che attribuiscono a Dio atteggiamenti propri di un uomo e per i quali è necessaria un’interpretazione allegorica: in De sacrif. Abelis et Caini, XCV (ed. A. Méasson, OPA 4 (1966), p. 152), ricordando Nm 23, 19 (ŶɠŽɯŸ ȑŴůŷſÎŶŸɕůŬɓŸ), Filone distingue tra l’abitudine degli uomini di attribuire tratti umani a Dio (ȎŴůŷſÎɓųŶŷżŶŴźɔůŬɋŶŴ) e quella di attribuirgli passioni umane (ȎŴůŷſÎŶÎŨůȤŸ); per questo si dice che Dio ha mani, piedi, uscite, entrate, inimicizie, allontanamenti, ostilità, ire (ŽŬɋŷŨŸÎɓūŨŸŬɆŹɓūŶŻŸȧŵɓūŶŻŸȪŽůŷŨŸȎÎŶŹźŷŶżȌŸȎŲŲŶźŷŰɭŹŬŰŸ ɖŷŪȋŸ). Stessa distinzione anche in Quod deus sit immutabilis, LIX (ed. A. Mosés, OPA 8 (1963), p. 92) e in De posteritate Caini, IV (ed. R. Arnaldez, OPA 6 (1972), p. 46), in

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nuti appannaggio degli autori cristiani, perlopiù di area alessandrina, nell’ambito della polemica sul duplice fronte pagano e antiereticale.15 Non è un caso, infatti, che diverse occorrenze si registrino nel Contro Celso, considerato che la critica mossa da Celso alla religione cristiana si fondava su un approccio razionalistico che investiva particolarmente la concezione di un Dio dai tratti e dagli atteggiamenti umani (quale risultava dalle Scritture) e, in ultima analisi, soggetto al ÎȋůŶŸ, come qualsiasi uomo.16 In Cels., I, 17,17 Origene rileva l’astuzia di Celso che, da un lato aveva passato sotto silenzio i miti greci in cui gli dei sono rappresentati come partecipi delle passioni umane (ůŬɵŴųɝůŶŻɯŸȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŴ), dall’altro aveva criticato l’interpretazione allegorica dell’AT:18 siamo, però, ancora nell’ambito della critica dei miti pagani. In Cels., I, 56, Origene risponde alle obiezioni mosse dal Giudeo (che Celso introduce a parlare) alla passione di Gesù, affermando che ad entrambi sfugge che le profezie parlano di due venute di Cristo, la prima più legata alla passione umana e più umile (ȎŴůŷſÎŶÎŨůŬŹźȤŷŨŴűŨɄźŨÎŬŰŴŶźȤŷŨŴ), la seconda gloriosa e di natura esclusivamente divina (ȪŴūŶŵŶŴűŨɄųɓŴŶŴůŬŰŶźȤŷŨŴ), senza alcuna passione umana mista alla sua essenza divina (ůŬŰŶźȤŷŨŴ ȪŽŶŻŹŨŴȎŴůŷſÎŶÎŨůȤŸ):19 sono accostati ȎŴůŷſÎŶÎŨůȬŸe źŨÎŬŰŴɓŸ

cui si attribuisce espressamente valore pedagogico agli antropomorfismi biblici; cfr anche De plantatione, XXXV (ed. J. Pouilloux, OPA 10 (1963), p. 38). 15 Sono noti i legami, documentati anche dagli scambi epistolari (cfr BAS., epp. 61, 66, 67, 69, 80, 82), esistenti tra il Cappadoce e Atanasio (cfr ROBERT POUCHET, Basile le Grand et son univers d’amis d’après sa correspondance. Une stratégie de communion, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum,1992 [Studia Ephemeridis Augustinianum, 36], pp. 237seqq.). Non stupisce, perciò, che in Basilio si ritrovino motivi e lessico affini a quelli cui ricorre Atanasio nell’ambito della polemica contro gli ariani: nell’ep. De decretis Nicenae synodi, 10 (ed. H.-G. OPITZ, Athanasius Werke II/1, Berlin - Leipzig, De Gruyter, 2006, p. 9) Atanasio contesta l’obiezione degli ariani che la generazione del Figlio sia soggetta alle passioni come quella umana (ȎŴůŷſÎŶÎŨůȭŸŪȤŴŴŮŹŰŸ); essi non comprendono che talvolta nelle Scritture sono usate le medesime espressioni a proposito di Dio e degli uomini; si veda anche ep. ad episcopos Aegypti et Libyae, 16 (MARTIN TETZ [hrsg.], Athanasius Werke I, Berlin - New York, De Gruyter, 1996, p. 56). 16 Che la divinità non potesse subire un ÎȋůŶŸdi qualsiasi genere era un caposaldo del pensiero platonico e neoplatonico, risalente alla tradizione illuministica greca: sul recupero del pensiero platonico in Celso si veda ALDO MAGRIS, Platonismo e cristianesimo alla luce del Contro Celso, in Discorsi di verità. Paganesimo, giudaismo e cristianesimo a confronto nel Contro Celso di Origene. Atti del II Convegno del Gruppo Italiano di Ricerca su “Origene e la Tradizione Alessandrina”, ed. Lorenzo Perrone, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1998 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 61), pp. 47-77, in partic. pp. 74seqq. (sull’assurdità di riferire passioni a Dio). 17 OR., Cels., I, 17, ed. M. Marcovich, Leiden - Boston - Köln, Brill, 2001, p. 19. 18 Sul problema cruciale dell’interpretazione del testo biblico, in relazione alle espressioni, inaccettabili se assunte alla lettera, che si riferiscono a Dio in modo antropomorfo si veda MANLIO SIMONETTI, La Sacra Scrittura nel Contro Celso, in Discorsi di verità, pp. 97-114, in partic. p. 99. 19 Ed. Marcovich, p. 57.

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(cfr BAS., In ps. 29, 1) ma non vi è ancora alcun riferimento al problema dell’interpretazione degli antropomorfismi. Più interessanti in questa direzione sono Cels., I, 71; IV, 71-72; VI, 58. In I, 71 Origene contesta un passo del Discorso vero in cui il filosofo sosteneva che l’empietà e le dottrine di Gesù gli avrebbero senz’altro scatenato contro l’odio di Dio, precisando che nessun uomo è odiato da Dio e che, se vi sono passi della Bibbia che lasciano intendere ciò, questi vanno senz’altro intesi allegoricamente, secondo il principio generale che la Scrittura si esprime come se la divinità possedesse passioni umane (ȎŴůŷſÎŶÎŨůŶɥŸ).20 Analogamente, in Cels., IV, 71-72, l’Alessandrino ribadisce l’incomprensione da parte di Celso di quei passi biblici che parlano di Dio come partecipe delle passioni umane (ųȭŴŶȬŹŨŸźȌŸÎŬŷɄŐŬŶɥɯŸȎŴůŷſÎŶÎŨůŶɥŸŲȤŵŬŰŸ), come ad esempio l’ira, e che non corrispondono alla sua reale natura, ma la ‘commisurano’ alla capacità di comprensione (ųŬźŷȬŹŨŸźɂūŻŴȋųŬŰ) degli ascoltatori: tra questi rientrano anche i riferimenti al sonno di Dio, come Ps 43, 24.21 Ancora, in Cels., VI, 58, Origene richiama quanto ha già detto nei capp. precedenti a proposito della necessità di interpretare allegoricamente le espressioni attribuite a Dio, che sembrano dettate da passioni umane (ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŴ).22 Il filo rosso dell’ ȎŴůŷſÎŶÎȋůŬŰŨ conduce dall’ambito della polemica antipagana a quello della polemica antignostica e antimarcionita: già in CIo., X, 34, 224,23 in dichiarata polemica con l’interpretazione della cacciata dei mercanti dal tempio (Io 2, 14-17) del valentiniano Eracleone, che con difficoltà riferiva a Cristo Ps 69, 19 (Lo zelo per la tua casa mi consuma), Origene aveva rilevato l’abitudine (ȪůŶŸ) scritturistica di attribuire a Dio e a Cristo affetti umani (ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŴ). Più chiaramente si esprime in proposito in CMt., XVII, 17-18,24 in cui offre una duplice interpretazione allegorica della parabola delle nozze del figlio del re (Mt 22, 1-14), la prima dal senso più globale (ɕŲŶŹŽŬŷȤŹźŬŷŨ) – l’invito al banchetto indica źŷŶÎŰűɵŸla chiamata di Dio Padre, rivolta indistinta-

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Ed. Marcovich, p. 73. Ed. Marcovich, pp. 284-286. Sull’immagine sconveniente di Dio che dorme, con particolare riferimento a Ps 43, 24 e in polemica contro gli antropomorfiti, si veda anche DID. ALEX., PsT. 34, 23 (ed. M. Gronewald, Didymos der Blinde. Psalmenkommentar [Tura-Papyrus], Teil III, Kommentar zu Psalm 29-34, Bonn, 1969 (Papyrologische Texte und Abhandlungen, 8), pp. 402-404). Nell’ultima delle orazioni teologiche Gregorio di Nazianzo, Or., XXXI, 22 (ed. P. Gallay, SC 250 (1978), p. 316), in polemica con gli Ariani e gli Pneumatomachi (che negavano la divinità dello Spirito Santo, poiché in nessun luogo della Scrittura si dice espressamente che lo Spirito è Dio), spiega che molte cose esistono, ma non sono dette nella Bibbia, e molte altre non esistono, eppure sono dette: tra queste, le espressioni metaforiche sulla divinità, come il sonno, l’ira, il camminare, il distogliere lo sguardo. 22 Ed. Marcovich, p. 436. 23 Ed. E. Preuschen, GCS 22/4 (1903), p. 208. 24 GCS 40, pp. 634seqq. 21

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mente a buoni e cattivi, alle nozze preparate per Cristo e la chiesa –, la seconda incentrata su alcuni particolari di cui intende svelare il senso più profondo (źŰŴŨűŨɄũŨůɝźŬŷŨ),25 entrambe in dichiarata polemica con eretici (ȦźŬŷŶūɓŵŶŰ) non meglio precisati. Nell’ambito della seconda, più approfondita, interpretazione, a proposito della figura del re, Origene dà ragione del perché il testo biblico usi l’espressione apparentemente pleonastica ȑŴůŷſÎŶŸũŨŹŰŲŬɝŸtramite il richiamo (esplicito, benché anonimo) a Filone, che, prima di lui, aveva spiegato allegoricamente i testi dell’AT in cui si narra di Dio come se avesse passioni umane (ɯŹÎŬŷŬɄ ȎŴůŷſÎŶÎŨůɁ), contrapposti a quelli che, invece, ne mettono chiaramente in risalto la divinità (źɔůŬɋŶŴ), e precisa che anche nel Vangelo vi sono brani che, se interpretati alla lettera, attribuiscono passioni umane (ȎŴůŷſÎŶÎŨůɁ) al Padre di Cristo: a questi si appellano gli eterodossi per rifiutare il Dio della Legge, dei Profeti e della creazione. La collera, lo sdegno, il pentirsi, il voltare faccia (ȎŴŨŹźŷŶżȭŴźŶɥÎŷŶŹɭÎŶŻ), l’essere seduto o in piedi, il passeggiare, il sonno (ɡÎŴŶŴ) di Dio vanno intesi in senso parabolico, come tutti gli altri passi della Scrittura che riferiscono di Lui passioni umane (ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŸ).26 Origene utilizza il passo contro il diteismo marcionita, sottolineando che l’ira del re è soltanto un antropomorfismo attraverso il quale Dio si rivolge agli uomini in un linguaggio ad essi comprensibile, ma senz’altro gli era nota la centralità attribuita dagli gnostici alla parabola matteana. L’articolazione in due momenti della scena evangelica (raduno nella sala e banchetto) era stata sfruttata specialmente nell’ambito della gnosi valentiniana per dimostrare la duplice e distinta salvezza per psichici e spirituali, e viene riletta da Origene in senso ‘dinamico’, riconoscendo diversi livelli di salvezza in corrispondenza delle infinite possibilità di progredire nella beatitudine e nella contemplazione di Dio.27 È questa l’unica occorrenza di ȎŴůŷſÎŶÎŨůɵŸin tutta l’opera (superstite) dell’Alessandrino, ed è significativo che ricorra in concomitanza con il richiamo alla tradizione filoniana, nell’ambito dell’interpretazione di un passo su cui avevano appuntato l’attenzione gnostici e marcioniti, e in associazione con la ‘riabilitazione’ (in funzione pedagogica) di analoghi passi biblici. La polemica contro gli antropomorfiti aveva trovato spazio anche all’interno del ŘŬŷɄōɠŽɁŸ, specialmente nella seconda parte del trattato,

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Sulla presenza di un’esegesi articolata su più livelli, e sull’accumulo di interpretazioni di secondo livello, con particolare riferimento al metodo ‘euristico’ origeniano si veda GUIDO BENDINELLI, Il Commentario a Matteo di Origene. L’ambito della metodologia scolastica dell’antichità, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1997 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 60), in partic. pp. 141seqq. 26 Trad. di ROSARIO SCOGNAMIGLIO, Roma, Città Nuova, 2001. 27 Cfr MARIA CRISTINA PENNACCHIO, La parabola del banchetto nuziale (Mt 22, 1-14) nell’esegesi origeniana, in Origeniana Octava, ed. L. Perrone, Leuven, Peeters, 2003, pp. 687-698.

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in cui Origene si preoccupa di confutare la lettura semplicistica del Pater.28 A proposito dell’invocazione Padre nostro che sei nei cieli,29 intende rimuovere l’idea un po' meschina (źŨÎŬŰŴȭŴɟÎɓŲŮžŰŴ) che Dio sia fisicamente nei cieli, in aperta polemica con “coloro che non vogliono accostarsi ai tesori della Scrittura, ma neppure bussano alla sua porta”, attraverso la spiegazione dei passi dell’AT che attribuiscono a Dio tratti umani, come Gn 3, 8-9; 4, 16, Dt 23, 14 e (in significativa convergenza col testo basiliano) Ecl 5, 1, riguardo al quale spiega che “intende mostrare la distanza di coloro che si trovano nel corpo dell’umiliazione (ŹɭųŨźŰ źɁŸ źŨÎŬŰŴɭŹŬſŸ; cfr Phil 3, 21) da chi è presso gli angeli, le sante Potestà e lo stesso Cristo”. Di questi testi l’Alessandrino ribadisce la necessità di un’interpretazione più elevata e più spirituale (ɟžŮŲɓźŬŷŶŴűŨɄÎŴŬŻųŨźŰűɭźŬŷŶŴ).30 Tornando a Basilio, è innegabile la ripresa di argomentazioni, sostenute da lessico e loci scritturistici, che trovavano importanti precedenti nella tradizione polemica (origeniana) antipagana e antiereticale, cui lo stesso Basilio aveva attinto nell’ambito della polemica con Eunomio. L’occasione per il richiamo alla maniera retta di pensare ed esprimersi su Dio veniva al grande Cappadoce da Ps 29, 2, ma il collegamento non risultava obbligato, né particolarmente immediato. Nel seguito dell’esegesi del v. 2, Basilio precisa che la capacità di esaltare Dio viene all’uomo dal fatto che Dio per primo lo ha “risollevato” (ɟÎȤŲŨũŬŸ), sottraendolo ai nemici (cui seguono, secondo un modulo tipicamente basiliano, due exempla tratti dalla vita quotidiana); dunque, esalta Dio l’uomo che è sfuggito al peccato grazie all’aiuto del Signore. Della duplice interpretazione basiliana (una finalizzata al pensiero/parola, l’altra all’azione), e che l’esegeta ‘riassume’ prima di passare al v. successivo (“Dunque colui che ha rifuggito l’errore grazie all’aiuto del Signore esalta Dio attraverso un retto giudizio [ɟÎɔŬɠŪŴſųŶŹɝŴŮŸ] e per mezzo delle buone opere che compie [ūŰȌźɵŴȎŪŨůɵŴȪŷŪſŴ]”), la seconda si muove in una direzione decisamente più tradizionale, di cui abbiamo antecedenti anche in alcuni frr.

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Sui criteri di ermeneutica biblica e sulla loro funzionalità polemica nel De oratione si veda FRANCESCA COCCHINI, La Bibbia nel ŘōřőōŜŞŏŚ: problematiche storico-esegetiche, in Il dono e la sua ombra. Ricerche sul ŘōřőōŜŞŏŚ di Origene. Atti del I Convegno del Gruppo Italiano di Ricerca su “Origene e la Tradizione Alessandrina”, ed. F. Cocchini, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1997 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 57), pp. 97-115; in partic., sulla polemica contro gli antropomorfiti, pp. 103-107. 29 De or., XXIII, 3-4, ed. P. Koetschau, GCS 22/2 (1899), pp. 351-353. 30 In De or., XXIII, 4 (GCS 22/2, p. 352) è lo stesso Origene a rimandare a quanto detto a proposito dell’interpretazione allegorica degli antropomorfismi biblici nel perduto CGn. Cfr anche Princ., I, 1, 1-2; II, 4, 1.3; IV, 3, 1 (ed. P. Koetschau, GCS 22/5 (1913), pp. 16seqq.; 126seqq.; 323seqq.), in cui ricorrono le medesime considerazioni svolte con il supporto degli stessi loci biblici.

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catenari attribuiti ad Origene.31 Le ragioni che avrebbero spinto Basilio ad articolare l’esegesi di Ps 29, 2 nella direzione più innovativa della critica all’antropomorfismo32 vanno forse cercate nella non ancora risolta disputa con Eunomio: Basilio stempera i motivi della polemica nella forma dell’omelia, associandoli ad un’interpretazione più tradizionale, parenetica e morale, del salmo. 2. Commentando Ps 29, 3b (ȧűȤűŷŨŵŨÎŷɔŸŹȤ űŨɄɆȋŹſųŬ), Basilio proclama “beato colui che riconosce la sua ferita profonda (źȭŴȧŴźʃ ũȋůŬŰÎŲŮŪȭŴŪŴſŷɃŭſŴ) così da poter andare dal medico e dire: Guariscimi, o Signore, perché le mie ossa sono rotte (Ps 6, 3b), e Io ho detto: o Signore, abbi pietà di me, guarisci la mia anima, perché ho peccato contro di te (Ps 40, 5)”. Ps 40, 5 chiarisce che la ferita e la guarigione a cui Basilio allude sono essenzialmente spirituali. Più oltre precisa: Non ci fu niente di mezzo tra la mia voce e la tua grazia, ma nello stesso momento in cui ho gridato è sopraggiunta la guarigione (ɉŨŹŰŸ). Infatti, dice, mentre ancora tu parli, dirà: Eccomi, sono qui (Is 58, 9).33 Dunque bisogna gridare a gran voce quando si prega Dio, affinché la guarigione venga a noi presto (źŨŽŬɋŨ)».34

31 Cfr OR. (?), Sel. in ps. 29, 2 (PG 12, col. 1292B-D). Su Dio che si dimentica di quanti si dimenticano di Lui e volge indietro il suo volto, dinanzi alle azioni turpi degli uomini: OR., Ps. cat. 12, 2 (JOHANNES BAPTISTA PITRA, Analecta sacra II, Romae, Gregg, 1884, p. 467); Sel. in ps., 1, 6 (PG 12, col. 1100); Ps. cat. 54 (JOHANNES BAPTISTA PITRA, Analecta sacra III. Patres antenicaeni, Venetiis, Gregg, 1883, p. 60); EUS., In ps. 12 (PG 23, col. 141). 32 Vero è che buona parte della produzione esegetica sui salmi ci è giunta in modo frammentario e tramite le catene, con le difficoltà di attribuzione che queste comportano. Per certi aspetti vicina all’esegesi basiliana, ma decisamente più complessa (anche in ragione del differente pubblico cui si rivolge), sembra quella di DID. ALEX., PsT. 29, 2 (ed. Gronewald, pp. 10-12): «Se uno conosce Cristo secondo la carne, non lo innalza. Se non lo conosce più secondo la carne, ma contempla la sua gloria (ūɓŵŨ), gloria come di unigenito dal Padre (Io 1, 14), sa anche che chi ha visto il Figlio vede il Padre (cfr Io 12, 45) e questo significa innalzarlo». Si segnala un fr. catenario di incerta attribuzione origeniana (Sel. in ps. 29, 2: PG 12, col. 1292): esalta Dio chi ne ha una concezione grande e sublime (ųŬŪȋŲſŸűŨɄɟžŮŲɵŸůŬŶŲŶŪɵŴ) e salvaguarda presso di sé una dottrina degna (ÎŷȤÎŶŴźŨūɓŪųŨźŨ) di Dio. 33 Cfr BAS., Ep. 174 (Saint Basile. Lettres, ed. Y. Courtonne, t. II, Paris, Les Belles Lettres, 1961, p. 111). Interessante allusione a Is 58, 9 sembra essere in ORIG., CMt., XI, 6 (GCS 40, p. 44): commentando l’episodio della traversata sul lago (Mt 14, 22seqq.), l’Alessandrino interpreta in chiave ‘pedagogica’ l’arrivo tardivo di Gesù, finalizzato a stimolare la richiesta di aiuto di Pietro. Sull’assenza di Cristo come espediente pedagogico volto a destare negli uomini il desiderio della salvezza si veda ROSARIO SCOGNAMIGLIO, “Anthropos apodemon” (Mt 25, 14): problema e stimoli per la cristologia di Origene, in Origeniana Quarta, ed. L. Lies, Innsbruck - Wien, Tyrolia - Verlag, 1987, pp. 194-200. 34 PG 29, col. 309C.

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Il paradigma medico (frequente negli autori cristiani, specialmente in Origene, e attestato più volte anche in Basilio)35 ritorna nel commento al v. 6a (ɗźŰɖŷŪȭȧŴźʃůŻųʃŨɠźŶɥ): il predicatore è consapevole del rischio che a quanti non sono in grado di discernere la precisione dei significati (ȎűŷɃũŬŰŨźɁŸŹŮųŨŰŴŶųȤŴſŴ) del testo biblico possa sembrare che vi sia una źŨŻźŶŲŶŪɃŨin ɖŷŪȬe ůŻųɓŸ, come se i due termini avessero il medesimo significato. Per chiarire quale sia, al contrario, la grande differenza che intercorre tra i due, Basilio, dopo aver detto che ůŻųɓŸ corrisponde alla decisione (űŷɃŹŰŸ) di infliggere una qualche condanna ad uno che la merita, ɖŷŪȬinvece è già la pena in sé, la punizione (ÎɓŴŶŸűɓŲŨŹŰŸ), inflitta da un giudice giusto (ȎÎɔźŶɥūŰűŨɃŶŻűŷŰźŶɥ) e commisurata alla colpa, ricorre (com’è solito) ad un esempio (ÎŨŷȋūŬŰŪųŨ), che possa definitivamente fugare i dubbi degli ascoltatori: Il medico, dopo aver diagnosticato una ferita infiammata (żŲŬŪųŨɋŴŶŴ) e purulenta, giudica (ȧŪűŷɃŴŬŰ) necessaria per il malato l’incisione (źŶųȬŴ). Questo la Scrittura definisce sdegno (ůŻųɓŴ). Dopo la decisione (űŷɃŹŰŴ) del medico sulla cura, segue l’operazione necessaria per compiere quanto deciso, e dunque il ferro che taglia e arreca dolore (źȤųŴſŴűŨɄɖūɝŴŮŴȧųÎŶŰɵŴ) al malato. Questo è chiamato ira (ɖŷŪȬ) di Dio. Torna ora al testo in questione e scoprirai la coerenza del ragionamento (ȎűɓŲŶŻůŶŴźɁŸȧŴŴŶɃŨŸ): Perché c’è ira nel suo sdegno, cioè castigo secondo il giusto giudizio di Dio.36

Nelle omelie di Basilio, la costante cura che i fedeli comprendano ogni parola del testo sacro porta il pastore a rilevare consuetudini linguistiche e stilistiche della Scrittura, espressioni figurate, particolari accorgimenti retorici, ma anche a chiarire eventuali ambiguità che possano 35 Molteplici sono gli studi a riguardo; si vedano GERVAISE DUMEIGE, Le Christ Médecin dans la littérature chrétienne des premiers siècles, in «Rivista di Archeologia Cristiana» XLVIII (1972), pp. 129-138; ADOLF VON HARNACK, Medizinisches aus der ältesten Kirchengeschichte, Leipzig - Berlin, Hinrich, 1892 (Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, 8/4), pp. 37-152; RAYMOND LE COZ, Les Pères de l’Église grecque et la médecine, in «Bulletin de littérature ecclésiastique» XCVIII (1997), pp. 137-154; MARIE-ANNE VANNIER, L’image du Christ médecin chez les Pères, in Les Pères de l’Église face à la science médicale de leur temps, edd. V. Boudon-Millot, B. Pouderon, Paris, Beauchesne, 2005 (Théologie Historique, 117), pp. 525-534. Sul paradigma medico in Origene: SAMUEL FERNÁNDEZ, Cristo médico, según Orígenes. La actividad médica como metáfora de la acción divina, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1999 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 64); GERALD BOSTOCK, Medical Theory and Theology in Origen, in Origeniana Tertia, edd. R. Hanson, H. Crouzel, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 191-199; MARGUERITE HARL, La mort salutaire du Pharaon selon Origène, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» XXXVIII (1967), pp. 260-268. Sul ricorso all’immagine medica, riferita a Dio, a Cristo o, più spesso, alla Scrittura in Basilio: GIRARDI, Basilio di Cesarea interprete, pp. 70-72. 36 PG 29, col. 313A-C.

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inficiare una corretta (e, dunque, edificante) interpretazione.37 A tal fine, come si è accennato, egli non esita a ricorrere a metafore e paragoni tratti dalla vita quotidiana, ma non solo: in questo caso, l’esempio del medico (particolarmente appropriato, articolato com’è nei due momenti, ‘mentale’ della diagnosi e della scelta della cura, e ‘pratico’ dell’operazione)38 si inseriva all’interno di una tradizione (filosofica, prima ancora che esegetica) ben consolidata. Soprattutto, Origene ricorre spesso alla pratica medica come esemplificativa dell’operare di Dio verso l’uomo all’interno della polemica contro la dottrina delle differenti nature (cui Origene oppone quella del libero arbitrio) e della distinzione tra Dio buono e Dio giusto (in favore dell’unità dei due testamenti e della rivelazione), variamente sostenute da gnostici e marcioniti (spesso ‘semplicisticamente’ associati).39 Particolarmente indicativo è un passo della Philocalia (XXVII, 4-10),40 non solo perché riassuntivo dei tratti della pratica medica recuperati dall’Alessandrino in chiave ermeneutica e polemica, ma anche perché prova inequivocabile dell’interesse di Basilio (in quanto compilatore, insieme all’amico Nazianzeno, dell’antologia origeniana e, a quanto sembra, vero responsabile della selezione)41 per questa tematica. Si tratta di 37 Tutte queste osservazioni spesso costituiscono il punto di partenza per uno sviluppo spirituale ed allegorico dell’esegesi: cfr GIRARDI, Basilio di Cesarea interprete, in partic. p. 32seqq. 38 Più in generale, poiché la consapevolezza della varietà delle costituzioni individuali che richiedono terapie diverse costituisce un tratto distintivo della medicina greca, al punto che l’adeguamento alle costituzioni individuali era presupposto di qualsiasi intervento terapeutico, la medicina risultò, tra le technai, quella più adatta a esemplificare la varietà di relazioni che possono configurarsi tra individui diversi e, in ultima analisi, il rapporto tra Dio e gli uomini: cfr OR., Phil., XXVII, 4, ed. É. Junod, SC 226 (1976), p. 282. 39 È stato rilevato come Origene non sembri particolarmente attento a rispettare le differenze tra diversi maestri, scuole e tradizioni gnostiche, tra cui comprende anche Marcione, attribuendo a quest’ultimo tratti sicuramente estranei alla sua dottrina. Se, infatti, si può giustificare l’associazione per quanto riguarda la distinzione tra le due divinità, l’attribuzione a Marcione della dottrina delle diverse nature delle anime è un’idea non solo estranea, ma addirittura opposta a quanto sappiamo del suo pensiero: ENRICO NORELLI, Marcione e gli gnostici sul libero arbitrio, e la polemica di Origene, in Il cuore indurito del Faraone. Origene e il problema del libero arbitrio, ed. L. Perrone, Genova, Marietti, 1992, pp. 1-30, in partic. p. 2. 40 SC 226, pp. 278-305. Per un esame delle relazioni tra l’estratto origeniano e la tradizione medica si veda AMNERIS ROSELLI, ǤźŬŽŴɃźŮŸůŬɓŸ: la pratica terapeutica come paradigma dell’operare di Dio in Phil. 27 e PA III 1, in Il cuore indurito del Faraone, pp. 65-83. 41 Contro la paternità basiliana e gregoriana della Philocalia si sono espressi, senza decisivi consensi, MARGUERITE HARL, Origène. Philocalie 1-20. Sur les Écritures. Introduction, texte, traduction et notes par M. H., Paris, Les Editions du Cerf, 1983 (SC 302), pp. 19-41, e ÉRIC JUNOD, Basile de Césarée et Grégoire de Nazianze sont-ils les compilateurs de la Philocalie d’Origène? Réexamen de la Lettre 115 de Grégoire, in Mémorial Dom Jean Gribomont (1920-1986), Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1988 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 27), pp. 349-360.

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un brano costituito da estratti di diversa provenienza,42 assemblati perlopiù a commento di Ex 10, 27 (Io indurirò il cuore del Faraone), che richiede che l’esegeta si soffermi dapprima sulla figura di Dio, poi su quella del Faraone. Il confronto con il modo di procedere del medico riguarda, naturalmente, Dio: esistono terapie diverse, adeguate ai malati e al decorso del male, che apportano sofferenze e tormenti (ÎɓŴŶŻŸ űŨɄ ũŨŹȋŴŶŻŸ ȧųÎŶŰŶɥŹŨŰ: cfr ɖūɝŴŮŴȧųÎŶŰɵŴIn ps. 29, 4)43 e possono essere brevi o lunghe (źȋŽŰŶŴȳũŷȋūŰŶŴ); il medico, inoltre, può scegliere di intervenire immediatamente al primo insorgere dei sintomi oppure attendere l’evidenza della malattia: le cure tardive hanno lo scopo di coinvolgere più attivamente il malato, spingendolo a chiedere aiuto al medico e a collaborare con lui (cfr ŪŴſŷɃŭſŴźʃɆŨźŷʃÎŷŶŹŰȤŴŨŰ; źŨŽŬɋŨɉŨŹŰŸIn ps. 29, 3).44 Questi elementi rimandano all’agire di Dio: come il medico (ɱŹÎŬŷɕɆŨźŷɓŸ) per alcune malattie del corpo, poiché il male è, per così dire, in profondità (ŬɆŸũȋůŶŸ: cfr ȧŴźʃũȋůŬŰÎŲŮŪȬIn ps. 29, 3),45 cerca con i farmaci di estrarlo dal corpo, provocando infiammazioni e dolori (żŲŬŪųŶŴȌŸŽŨŲŬÎȌŸÎɓŴŶŻŸ: cfr żŲŬŪųŨɋŴŶŴIn ps. 29, 4) maggiori di quelle che aveva prima di iniziare la terapia, così anche Dio porta in superficie e rende manifesto il male che è nascosto nelle profondità (ŬɆŸ źɔũȋůŶŸ) dell’anima.46 Più oltre, a proposito di Giobbe, Origene precisa che sofferenza e punizione (ÎɓŴŶŸűŨɄűɓŲŨŹŰŸ: cfr ÎɓŴŶŸ... űɓŲŨŹŰŸ In ps. 29, 4) non provengono da Dio contro coloro che soffrono (űŨźȌ źɵŴÎŨŹŽɓŴźſŴ), bensì a loro vantaggio (ɟÎȥŷŨɠźɵŴ): questo vale anche per l’ira e per lo sdegno (ůŻųɔŸűŨɄɖŷŪȬ) di Dio, come affermato anche in Ps 6, 2.47 A riguardo dell’uso origeniano dell’immagine del medico che taglia, arrecando dolore al malato, si potrebbero citare diversi altri passi, inerenti non solo la polemica antignostica e antimarcionita, ma anche quella antipagana (Celso), nei quali all’Alessandrino preme chiarire che Dio non crea il male, ma talvolta se ne serve come strumento ‘paideutico’.48 In Per l’identificazione degli estratti si veda ÉRIC JUNOD, Origène. Philocalie 21-27. Sur le Libre Arbitre. Introduction, texte, traduction et notes par É. J., Paris, Les Éditions du Cerf, 1976 (SC 226), pp. 103seqq. 43 Già nella tradizione medica greca è ben diffusa la consapevolezza che le terapie siano spesso necessariamente dolorose: cfr HIPP., Epid., VI. 44 Cfr HIPP., Epid., I, 11: la techne si fonda su tre elementi, il medico, il malato e la malattia: il paziente si oppone alla malattia insieme al medico. 45 Sull’uso origeniano di ÎŲŮŪȬ (e l’analogo źŷŨɥųŨ) ad indicare il vizio e il peccato: FERNÁNDEZ, Cristo medico, p. 91. 46 Phil., XXVII, 4-5 (SC 226, pp. 278-282). 47 Phil., XXVII, 7 (SC 226, p. 292). 48 Cfr Cels., VI, 56 (ed. Marcovich, p. 434); HIer., XIV, 1; XX, 3 (ed. E. Klostermann, GCS 22/3 (1901), pp. 106-107; 180); HEz., V, 1 (ed. W.A. Baehrens, GCS 33/8 (1925), pp. 371-372). In proposito si veda LORENZO PERRONE, Omelie XIX e XX: Inganno e castigo come modalità correlate dell’economia divina di salvezza, in Omelie su Geremia. 42

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polemica col determinismo gnostico e in difesa del libero arbitrio, sul tema della necessaria collaborazione di Dio e dell’uomo per il raggiungimento della salvezza, invece, particolarmente congeniale gli riusciva l’immagine del malato che riconosce la propria malattia e richiede al medico la cura, presupposto necessario alla guarigione, recuperata dall’Alessandrino in più punti della sua opera.49 Il problema della responsabilità divina nella creazione del male era già stato affrontato da Basilio nell’omelia Quod deus non est auctor malorum, pronunciata probabilmente agli inizi del 369, sollecitata dal terremoto che aveva distrutto la città di Nicea nell’ottobre 368 e dalla conseguente carestia:50 l’intera omelia è finalizzata a dimostrare che Dio non crea il male, ma è l’uomo, dotato di libero arbitrio, che sceglie la colpa; talvolta, però, Dio agisce come il medico benevolo (ɱŸŬɠŬŷŪȤźŮŸ ɕɆŨźŷɓŸ), il quale procura dolore al paziente (ÎɓŴŶŻŸȧųÎŶŰɂ) per guarirlo, esercitando un giusto giudizio (ūɃűŨŰŨűŷɃŹŰŸ); e, più oltre, Dio punisce, secondo il suo giusto giudizio (űŷɃŹŬŰūŰűŨɃȠ), quanti meritano il castigo (źŶɋŸȎŵɃŶŰŸűŶŲȋŹŬſŸźŰųſŷɃŨŸȧÎȋŪŶŴźŶŸ) per salvarli.51 L’argomentazione è sostenuta da una fitta trama di citazioni bibliche, tra le quali spiccano Ps 6, 2; Is 58, 9; Dt 32, 39.52 Queste argomentazioni tor-

Lettura origeniana, edd. E. Dal Covolo, M. Maritano, Roma, LAS, 2001 (Biblioteca di Scienze Religiose. Studi - Testi - Commenti patristici, 165), pp. 89-108. Sul tema del male in Origene, con particolare riferimento a Princ., III, 1, 1-24: ANNELIESE MEIS WÖRMER, El problema del mal en Origenes, Santiago, Pontificia Universidad Católica de Chile, 1988 (Anales de la Facultad de Teología 37, Cuaderno 2). 49 Valga per tutti la sezione di Princ., III, 1, specificamente dedicata al libero arbitrio, in cui – non sarà superfluo rilevarlo anche ai fini del confronto con Basilio – la questione rientra nel più ampio tema della giustizia divina e della raffigurazione di Dio quale giudice buono e giusto (cfr ūɃűŨŰŶŸűŷŰźȬŸIn ps. 29, 4), oltre ad essere ripresa l’esegesi di Ex 10, 27; non a caso, parte di questa argomentazione si ritrova nei capp. della Philocalia di cui abbiamo detto (vedi JUNOD, Philocalie, p. 118, nt. 1). Qui viene più volte ribadito che Dio non accorre subito in aiuto del peccatore, come i medici che, pur potendo guarire rapidamente, fingono il contrario, per stimolare la collaborazione del malato (Princ., III, 1, 13: GCS 22/5, p. 217); e, ancora, la parola divina non agirà contro il volere degli uomini, ma solo se coloro che sono malati si presentano al medico (Princ., III, 1, 15: GCS 22/5, pp. 222-223). Cfr anche Princ., II, 7, 3 (GCS 22/5, p. 150). 50 BERNARDI, La prédication, pp. 60-61. 51 Auctor, 3-4 (PG 31, coll. 333-337). 52 Sulle analogie esistenti tra Auctor e In ps. 29 si veda MANUEL MIRA, Ideal ascético y antropología antiarriana en las homilías de Basilio Magno, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2004 (Patrologia. Beiträge zum Studium dei Kirchenväter XV), pp. 30-37; 64-87: filo rosso che lega le due opere sarebbe, nella rilettura dello studioso spagnolo, la proposta di un itinerario ascetico tendente alla virtù (Dio non è artefice del male, ma ha creato l’uomo per la beatitudine che deriva dalla contemplazione), raggiungibile solo mediante l’intervento della grazia divina; l’affermazione basiliana di una bellezza superiore che l’anima raggiunge solo quando contempla Dio (cfr In ps. 29, 5: PG 29, coll. 316-317) trarrebbe ragione dalla polemica contro gli anomei, che si appellavano al concetto della somiglianza per sostenere l’inferiorità del Figlio rispetto al Padre, contro cui

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nano in In ps. 29, a proposito del v. 6a (ŭſȭȧŴźʃůŬŲȬųŨźŰŨɠźŶɥ): Basilio precisa, infatti, che il salmista ha parlato prima dell’aspetto severo di Dio (quello dell’ira e dello sdegno) e poi di quello più mite (la vita nella sua volontà): il male non si produce per suo volere, ma sopraggiunge come punizione in relazione ai peccati (źɂȎŵɃȠźɵŴȮųŨŷźŮűɓźſŴ), poiché egli elargisce a ciascuno la vita secondo la sua volontà, mentre ciascuno si procura da sé la sua ira, nel giorno dell’ira e della rivelazione (e) del giusto giudizio di Dio (Rm 2, 5).53 Non è un caso: La Scrittura è solita (ŹɝŴŮůŬŸ) anteporre gli eventi tristi a quelli lieti (źȌ ŹűŻůŷſÎȌźɵŴŽŷŮŹźŶźȤŷſŴ), giacché il diletto è più dolce, se lo hanno preceduto i dolori; io, infatti, ucciderò e io farò vivere (Dt 32, 39a): il beneficio viene dopo il castigo. Io percuoterò e io guarirò (Dt 32, 39b). È lui stesso che provoca dolore e poi risana. Ferì e le sue mani guarirono (Iob 5, 18). Vengono prima i mali per farci avere grazie più durature e farci custodire accuratamente ciò che ci è dato.54

Vi è la convinzione di fondo che sia necessario passare attraverso il dolore ‘chirurgico’ per poter apprezzare la gioia della guarigione/salvezza. Ma, fors’anche più delle analogie concettuali e terminologiche, è, ancora una volta, la prova biblica ad illuminare l’ispirazione (origeniana) di Basilio: i due versetti citati di Dt 32, 39 e Iob 5, 18 risultano, infatti, spesso associati con finalità antiereticale – giacché gnostici e marcioniti citavano di entrambi solo la prima parte a riprova della malvagità del Dio dell’AT

il Cappadoce svilupperebbe il concetto (origeniano) di somiglianza non come abbassamento dello stato di divinità, bensì, all’inverso, come assimilazione dell’uomo a Dio. Il tema del rigore della disciplina divina, che sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza, e che dopo, però, conduce alla salvezza è presente fin dalla giovanile om. In principium Proverbiorum (secondo BERNARDI, La prédication, p. 56, si tratterebbe del più antico discorso a noi pervenuto e risalirebbe al 364, poco dopo l’ordinazione sacerdotale); in Prov., 5 (PG 31, col. 396B) ricorre Ps 6, 1-2, insieme a vari altri passi biblici, a sostegno del castigo salutare di Dio, e, in luogo dell’esempio del medico, figura l’analogo paragone col maestro; l’intera omelia, del resto, individua l’utilità dei Prv nel fatto che «educano i costumi e correggono le passioni, perché insegnano attraverso molteplici e saggi precetti i doveri della vita» (PG 31, col. 388A), ed esalta la virtù della obbedienza, come preannunciato fin dal sentenzioso incipit («Grande è la ricompensa dell’obbedienza»: PG 31, col. 385C), segno che l’interesse morale in Basilio fu prevalente fin dagli esordi della produzione omiletica: sull’esegesi basiliana dei Prv cfr GIRARDI, Basilio di Cesarea interprete, pp. 41-68. 53 Significative convergenze col testo basiliano si hanno in Cels., IV, 72 (ed. Marcovich, pp. 285-286), in cui Origene ribadisce che ɖŷŪȬ e ůŻųɓŸ di Dio (Ps 6, 2) hanno un fine istruttivo (ÎŨŰūŬɝŬŰ), e che l’ira non è un sentimento di Dio, ma ciascuno se la procaccia da sé per mezzo dei peccati che commette nel giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (Rm 2, 5): il passo è, forse non a caso, quello (già visto) sull’interpretazione allegorica degli antropomorfismi divini. 54 PG 29, col. 313C-D.

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– e, più in generale, ad esemplificazione della giustizia divina, che punisce o gratifica secondo le colpe di ciascuno, e, di conseguenza, a sostegno del libero arbitrio. La convergenza con Origene è chiara in Cels., II, 24, in cui l’Alessandrino riferisce chiaramente di questo ‘taglio’ ad hoc operato da «uomini empi (ȎŹŬũŬɋŸ)», la cui malizia li accomuna a Celso, ricorrendo, al fine di un’esatta interpretazione di Dt 32, 39 e Iob 5, 18, all’esempio del medico, che incide il corpo e produce ferite dolorose avendo come unico scopo la salute del malato;55 e in HIer., I, 16, in cui rileva l’abitudine della Scrittura a nominare per prime le cose che sembrano tristi (ŹűŻůŷſÎŶżŨŴɁ) e per seconde quelle liete (ɅŲŨŷȋ), come nei succitati vv. di Dt e Iob, fraintesi dai miserabili eretici (źŨŲŨɃÎſŷŶŰŶɅȎÎɔźɵŴŨɅŷȤŹŬſŴ).56 Nessun riferimento, com’è ovvio, agli eretici in Basilio: la polemica (antignostica antimarcionita antipagana), che preoccupava Origene, non riguarda più il Cappadoce, ma la riflessione scaturita da quel dibattito era ormai patrimonio acquisito.

CONCLUSIONI Il problema dell’interpretazione delle descrizioni antropomorfiche della divinità presenti nelle Scritture, che aveva a lungo impegnato i polemisti cristiani opponendoli all’eresia gnostica e marcionita e alle critiche razionaliste dei pagani, come attestato largamente nell’opera di Origene, viene utilmente recuperato da Basilio nell’ambito dello scontro con Eunomio: cambiati i referenti della polemica, la sostanza della riflessione non muta. La confutazione dell’eunomiana Apologia nel Contro Eunomio, risalente con tutta probabilità al 364, non pose fine alla disputa dottrinale con l’anomeo, giacché questa si protrasse oltre la morte dello stesso Basilio e fu proseguita dal fratello Gregorio di Nissa. In continuità con la riflessione teologica e dottrinale, il grande Cappadoce pronunciò, quasi certamente negli anni dell’episcopato (370-378), le Omelie sui salmi, testimonianza del suo impegno esegetico e pastorale. L’affermazione di Ps 29, 2 relativa all’esaltazione del Signore offre a Basilio l’occasione di recuperare concetti, lessico e sostrato biblico della polemica contro gli antropomorfiti, così come documentata in Origene e da lui stesso sviluppata nel Contro Eunomio, presentando un’esegesi di Ps 29, 2 – e, per estensione, di tutti quei vv. biblici passibili di una interpretazione letterale fuorviante, che attribuisca a Dio stati (quali il sonno Ps 9, 33; 43, 24; 120, 4 o la dimenticanza Ps 43, 25), o tratti umani (come lo sguardo Ps 43, 25), o,

55

Ed. Marcovich, pp. 102-103. GCS 22/3, pp. 14-15. Stesse considerazioni su Dt 32, 39 e Iob 5, 18 in HIer., XVI, 6 (GCS 22/3, p. 139); CRm., VI, 5.6 (PG 14, coll. 1065.1068); solo su Dt 32, 39 in HLc., XVI, 4 (ed. M. Rauer, GCS 49 (1959), p. 97). 56

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ancora, lo confini in un determinato luogo (Ecl 5, 1) – per quanto ne sappiamo innovativa (esalta Dio chi si rifiuta di attribuirgli passioni e atteggiamenti umani sconvenienti), affiancandola ad un’altra più tradizionale (Dio è esaltato attraverso le buone opere) di tenore parenetico. Basilio diluisce i toni della polemica nella forma dell’omelia, offrendo ai suoi fedeli un’eco dell’antico, non ancora spento, dibattito. Tuttavia, non sempre il recupero della tradizione polemica è funzionale ad alimentare altra polemica, seppur di contenuto diverso, o anche solo ad alludervi, come nel caso appena visto. Altre volte, Basilio attinge ad un repertorio formatosi in ambito polemico, reimpiegandolo con finalità diversa (esegetica e parenetica). È il caso del noto paradigma medico, frequente in tutta la tradizione alessandrina e cavallo di battaglia di Origene contro il diteismo gnostico e marcionita e in difesa del libero arbitrio, ‘svuotato’ della sua originaria finalità polemica da Basilio che, in linea con l’abituale ricorso a realistici paragoni, offre di questo topos una rilettura edificante: la cura è che i fedeli comprendano ogni parola del salmo che, in quanto Parola di Dio, è utile in ogni sua parte. Superate le contingenze storiche della polemica, restava un patrimonio, cui attingere al momento opportuno, che si sostanziava di riferimenti alle Scritture (Dt 32, 39; Iob 5, 18; Ps 6, 1-3; 40, 5; Is 58, 9) e che era frutto della riflessione che la stessa polemica aveva stimolato ed alimentato. Ilaria Trabace Università degli Studi “Aldo Moro” - Bari

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ABSTRACT This article examines two passages of Basil of Caesarea’s Homily on Psalm 29, and identifies some polemical arguments, which are deeper analyzed in other works of Origen and Basil. Sometimes these arguments are used to create other polemic, like the criticism against literal interpretation of biblical anthropomorphisms, which serves for querelle with Eunomius. But, frequently, Basil uses polemical arguments with an exegetical and moral purpose: so, the medical metaphor, used by Origen against Gnosticism, serves to the archbishop of Caesarea, as usual, to explain to the congregation the Holy Scriptures. RÉSUMÉ L’article analyse quelques passages de l’homélie sur le psaume 29 de Basile de Césarée et il y repère des argumentations polémiques, développées de façon plus circonstancée dans des œuvres d’Origène ou du même Cappadoce. La récupération de la tradition polémique sert parfois à alimenter d’autres polémiques: c’est le cas de la critique de l’interprétation littérale des descriptions anthropomorphes de la divinité, réutilisée pour se référer à la querelle avec Eunome. Toutefois, Basile remploie plus souvent le répertoire polémique avec une finalité différente, essentiellement exégétique et morale: le célèbre paradigme médical, utilisé par Origène contre les gnostiques devient ainsi l’une des comparaisons vraisemblables par lesquelles l’évêque de Césarée explique les saintes écritures à ses fidèles.

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JULIEN ET LA BIBLE : LEXIQUE ET STRATÉGIES INTERPRÉTATIVES

“Les caractères légers et prompts à se laisser séduire tombent aisément dans ses vues et constituent un doux gibier pour les démons ; mais jusqu’aux esprits affermis dans la foi se laissent parfois troubler : ils estiment que Julien connaît les saintes et divines Ecritures, puisqu’il accumule dans ses propres œuvres beaucoup de témoignages qu’il leur emprunte, sans d’ailleurs savoir ce qu’il dit”.1 Avec ces mots Cyrille d’Alexandrie se sent encore obligé d'expliquer à ses lecteurs la raison pour laquelle il réfute de nouveau dans les moindres détails, soixante-dix ans2 plus tard, l’œuvre de Julien, malgré les nombreuses réfutations qu'il y avait déja eu, parmi lesquelles celles de Philippe de Side et de Théodore de Mopsueste.3 Il ajoute, par la suite, que les païens, s’appuyant sur les arguments de Julien, continuaient à attaquer les chrétiens et à déverser sur eux tout leur sarcasme. Cyrille lui-même4 ainsi que Grégoire de Nazianze, Eunape et Theodoret de Cyr5 reconnaissent que l’Empereur a une bonne connaissance de la Bible . Elevé dans la religion chrétienne sous la direction de l’évêque Eusèbe de Nicomédie qui l’initie à la vie ecclésiastique, surtout pour l’éloigner d’éventuelles ambitions impériales, Julien a été lecteur dans l’Église

CYR. AL., C. Iul. prol., 4 (3D-4A) : ŗɅųȥŴȧŲŨżŷŶŦźŬűŨɄŬɠÎţŷŶŰŹźŶŰÎŦÎźŶŻŹŰ ɛȠūŦſŸŬɆŸźȌŨɠźŶɥűŨɄŪŲŻűɞźŶɋŸūŨŰųŶŴŦŶŰŸŪŦŴŶŴźŨŰůťŷŨųŨŁůŶŷŻũŶɥŴźŨŰūŤÎſŸ ȪŹůkɗźŬűŨɄŶɅũŬũŮűƂźŬŸȧŴÎŦŹźŬŰŁŴŶųŦŭŶŻŹŰŪȌŷŨɠźɔŴźȌŸɅŬŷȌŸűŨɄůŬŦŨŸŬɆūŤŴŨŰ ŋŷŨżţŸ ȧÎŬŦÎŬŷȧŵŨɠźɵŴźŶɋŸɆūŦŶŰŸŲƂŪŶŰŸÎŨųÎƂŲŲŶŻŸȧÎŰŹſŷŬƃŬŰźȌŸųŨŷźŻŷŦŨŸ  űŨŦźŶŰųȭŬɆūɮŸȐŲŤŪŬŰ 2 Le Contra Galilaeos a été composé l’hiver de 362 et 363 ; le Contra Iulianum doit être prudemment insérer dans un laps de temps qui va de 429 à 441, cfr PIERRE EVIEUX, Introduction, in Cyrille d’Alexandrie. Contre Julien, t. I : Livres I et II, edd. P. Burguière, P. Evieux, SCh 322 (1985), pp. 10-15. 3 Cfr CAROLUS IOANNES NEUMANN, Prolegomenon capita tria, in Iuliani Imperatoris librorum Contra Christianos quae supersunt, ed. C. I. N., Lipsiae, Teubner, 1880, pp. 23-36 ; AUGUSTO GUIDA, Introduzione, in Teodoro di Mopsuestia, Replica a Giuliano Imperatore, ed. A. G., Firenze, Nardini Editore, 1994, pp. 36-37. En réalité l’oeuvre de Julien était encore connue durant l’époque normanne, cfr NUNZIO BIANCHI, Nuovi frammenti del Contra Galilaeos di Giuliano (dalle omelie di Filagato da Cerami), in «Bollettino dei Classici» XXVII (2006), pp. 89-104, en partic. p. 102. 4 CYR. AL., C. Iul. prol., 3 (3A) : ȧŴťŹűŮźŶūȥűŨɄũŦũŲŶŰŸɅŬŷŨɋŸ. 5 GREG. NAZ., Or., IV,23,1-3 ; EUNAP., Vit. philos., VII,1,7 ; THEODORET., Hist. eccl., III,2. 1

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de Nicomédie, selon le témoignage de Socrate, ou dans celle de Macellum, tout comme le soutient Sozomène.6 Nous ne savons pas si ces lectures étaient accompagnées de l’étude de commentaires bibliques, dont certaines traces sont présentes dans le Contre les Galiléens.7 Ce qui est certain, c’est que le jeune intellectuel aimait la discussion et dans le fr. 84 du Contre les Galiléens l’auteur est engagé dans une discussion avec un évêque sur l’interprétation du refus du sacrifice de Caïn par Dieu. Il ne nous est pas donné de savoir qui est cet évêque ni l’endroit où a eu lieu cette discussion ni la date ; toutefois le simple fait que Julien affronte le prélat et réussisse à le mettre en difficulté,8 défendant une de ses hypothèses concernant son goût pour les sacrifices cruels, prouve que Julien est déjà mature et fait déjà autorité en la matière et qu’il s’agit donc d’une dispute liée à la polémique antichrétienne plutôt qu’à un simple débat à l’intérieur d’une école. Dans certains cas, lorsque les détails ne sont pas nécessaires à sa cause, le polémiste se retire de la discussion laissant aux exégètes chrétiens le soin de proposer d’ultérieurs approfondissements qui l’indiffèrent totalement. C’est le cas du fr. 64 où il conteste aux chrétiens d’adorer plusieurs dieux, s’il est vrai que le Verbe de Jean est Dieu et est avec Dieu : et si par la suite il faut identifier ce Verbe en la personne du fils de Marie, pour le païen cela ne fait aucune différence ; il peut ainsi conclure avecȎżŦŮųŰūɁźŨźȭŴųţŽŮŴɟųɋŴ.9 Il avait adopté la même attitude dans son discours Sur la Mère des dieux à l’égard des discussions de l’école péripatétique : il réfute l’immanentisme de Xenarque pour laisser par la suite à l’école le soin de vérifier la compatibilité de cette exégèse avec la pensée authentique de Aristote.10 Dans le fr. 62 Julien en arrive à s’engager dans une discussion philologique sur le texte des Saintes Ecritures, accusant les chrétiens d’avoir falsifié Gen. 49,10 où Jacob affirme que le sceptre ne sera point ôté de JudaȨſŸȪŲůȿ źȌȎÎŶűŬŦųŬŴŨŨɠźʃ (jusqu’à ce que vienne ce qui lui est réservé) en le

6 SOCR., Hist. eccl., III,1 : źɁŸȧŴŕŰűŶųŬūŦȠȧűűŲŮŹŦŨŸȎŴŨŪŴƄŹźŮŸűŨůŦŹźŨźŨŰ SOZ., Hist. eccl., V,2,9-10 : ȧŴŒŨÎÎŨūŶűŦȠūŰŨźŷŦũŬŰŴȧŴŔŨűŤŲŲȿcɯŸűŨɄűŲťŷʁ ȧŪűŨźŨŲŬŪɁŴŨŰűŨɄɟÎŨŴŨŪŰŴƄŹűŬŰŴźʃŲŨʃźȌŸȧűűŲŮŹŰŨŹźŰűȌŸũŦũŲŶŻŸ 7 JEAN BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien et la culture de son temps, Paris, Institut d’Études Augustiniennes, 1992, p. 48. Rarissimes sont les références à la littérature chrétienne en général, probablement pour nier toute forme d’autorité culturelle à ceux qui étaient considérés de toute façon une secte d’ignorants, cfr JEANNE-MARIE DEMAROLLE, Le Contre les Galiléens : continuité et rupture dans la démarche polémique de l’empereur Julien, in «Ktema» XIII (1988), pp. 39-47, en partic. p. 43. 8 IUL., C. Gal., fr. 84 Masaracchia (347B) : ũŲŤÎſŴūȥŨɠźɔŴȧŵŨÎŶŷŶƃųŬŴŶŴ 9 IUL., C. Gal., fr. 64 Masaracchia (262C) : je vous laisse la discussion à ce propos. 10 IUL., Ad matr. deor., 3 (162C) : ŬɆųȥŴŶɦŴɖŷůɵŸȳųȭźŨɥźŨȧűŬɋŴŶŸȪżŮ źŶɋŸ ȑŪŨŴȧżŬŦŹůſŘŬŷŰÎŨźŮźŰűŶɋŸȧŵŶŴŻŽŦŭŬŰŴ (Laissons aux péripatéticiens les plus avertis le soin d'éplucher la rectitude ou l'erreur de ses allégations).

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transformant en ȨſŸȪŲůȿɿȎÎƂűŬŰźŨŰ (jusqu’à ce que celui à qui est réservé vienne) afin de pouvoir attribuer la prophétie au Christ.11 Grâce à ses connaissances approfondies du texte sacré de ses ennemis et à une préparation adéquate, Julien peut se dédier à son œuvre qui a comme objectif celui de restituer harmonie à l’empire, tentant d’extirper la mauvaise herbe du christianisme sans recourir aux répressions violentes mais en utilisant la philosophie et la force de persuasion12 pour obtenir le même résultat, même s’ il ne manque point de dispositions clairement opprimantes et antichrétiennes13 (cependant l’intention de l’empereur de vouloir faire disparaître de la surface de la terre le nom du christianisme à travers une répression violente lors de son retour de l’expédition persane, selon certains historiens et écrivains ecclésiastiques,14 semble peu crédible). La raison qui a poussé l’auteur à écrire les trois livres15 du Contre les Galiléens est celle de démasquer l’imposture des Galiléens, comme il l’indique lui-même au début de son œuvre : Il me paraît à propos d’exposer à la vue de tout le monde les raisons que j’ai eues de me persuader que la machination (ŹűŬŻſŷŦŨ) des Galiléens n’est qu’une création purement humaine et malicieusement inventée, qui, n’ayant rien de divin et abusant de l’affection que les hommes ont pour les fables et de leur côté enfantin et irrationnel, est venue à bout de donner une couleur de vérité et de persuasion à des fictions prodigieuses (źŬŷŨźŶŲŶŪŦŨŴ).16 Dans le commentaire à cette incipit, Cyrille précise que le terme Galiléens se réfère aux saints apôtres, que le terme źŬŷŨźŶŲŶŪŦŨ se réfère aux écrits de Moïse, aux prédictions 11 IUL., C. Gal., fr. 62 Masaracchia (252DE). En réalité il s’agit de deux traductions différentes dont la première est celle des LXX et de Théodotion, la seconde celle de Aquila et Symmaque, toutes néanmoins appartenant au milieu judaïque. Sur ce problème complexe cfr GIANCARLO RINALDI, La Bibbia dei pagani, 2 voll., Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 1998, t. II, p. 131seq., n. 115, et la riche bibliographie signalée ici. Cfr aussi DEMAROLLE, Le Contre les Galiléens, p. 43. La Vulgata latine traduit : donec veniat qui mittendus est. 12 Cfr IUL., Epist., 114 (438B). 13 RENÉ BRAUN, Julien et le christianisme, in L’Empereur Julien. De l’histoire à la légende (331-1715), ed. R. Braun, J. Richer, Paris, Société d’Édition «Les Belles Lettres», 1978, pp. 159-188, en partic. pp. 169-173. 14 GREG. NAZ., Or., V,25,4 ; RUFIN., Hist. eccl., X,37 ; SOZ., Hist. eccl., VI,2,9 ; THEODORET., Hist. eccl., III,21,4. L’attente de mesures restrictives devait être répandue parmi les chrétiens (LEONARDO LUGARESI, Gregorio di Nazianzo, La morte di Giuliano l’Apostata, Fiesole, Nardini Editore, 1997, p. 229). 15 NEUMANN, Prolegomenon, p. 97 ; GUIDA, Introduzione, 1994, p. 35. Quelques doutes de EMANUELA MASARACCHIA, Introduzione, in Giuliano Imperatore, Contra Galilaeos, ed. E. Masaracchia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1990, p. 12, alors que BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, p. 114, soutient la thèse d’une composition de l’oeuvre en deux livres. 16 IUL., C. Gal., fr. 1 Masaracchia (39AB) : űŨŲɵŸȪŽŬŰŴųŶŰżŨŦŴŬźŨŰźȌŸŨɆźŦŨŸ ȪűůŬŹůŨŰÎȢŹŰŴȎŴůŷƄÎŶŰŸ ɟżkɷŴȧÎŬŦŹůŮŴɗźŰźɵŴŋŨŲŰŲŨŦſŴȮŹűŬŻſŷŦŨÎŲţŹųŨ ȧŹźɄŴȎŴůŷƄÎſŴɟÎɔűŨűŶŻŷŪŦŨŸŹŻŴźŬůŤŴȪŽŶŻŹŨųȥŴŶɠūȥŴůŬɋŶŴ ȎÎŶŽŷŮŹŨųŤŴŮ ūȥźʃżŰŲŶųƃůʁűŨɄÎŨŰūŨŷŰƄūŬŰűŨɄȎŴŶťźʁźɁŸžŻŽɁŸųŶŷŦʁ źȭŴźŬŷŨźŶŲŶŪŦŨŴ ŬɆŸÎŦŹźŰŴȲŪŨŪŬŴȎŲŮůŬŦŨŸ

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des prophètes et à leurs paroles inspirées : c’est-à-dire à toutes les Ecritures, de l’Ancien et du Nouveau Testament. Bien que cette interprétation proposée prudemment par Cyrille, intercalant un significatif ɱŸŪŬŶɌųŨŰ, soit suggestive, elle ne nous semble pas rendre pleinement compte du texte, et ce pour quatre raisons : 1) Julien expose le sens de son œuvre, qui est écrite entièrement contre les chrétiens ; 2) l’accusation de vouloir séduire la partie faible et irrationnelle de l’âme humaine et de recruter des prosélytes parmi les ignorants, les femmes et les enfants est un topos de la polémique spécifique contre les chrétiens bien connu des apologistes, de Minucius Felix à Cyrille, polémique qui vise à contenir la diffusion du christianisme parmi les classes sociales cultivées de l’empire ;17 3) le lien entre ŹűŬŻſŷŦŨ et źŬŷŨźŶŲŶŪŦŨou źŬŷŨźŶŻŷŪŦŨ revient au fr. 51, où le polémiste païen se réfère aux miracles des Evangiles et aux impostures qu’ils contiennent ; 18 4) le ton d’une violente polémique et sans possibilité de compromis convient très bien à la polémique antichrétienne de Julien et non pas à la polémique avec les Hébreux, comme nous le verrons par la suite. Pour atteindre son objectif, Julien parcourt les Saintes Ecritures pour démontrer que les chrétiens sont doublement apostasiés, vis-à-vis de la tradition hellénique et vis-à-vis de la tradition hébraïque, s’appropriant cependant les vices les plus graves des deux cultures, comme la paresse et la vulgarité (ɛŨůŻųŦŨűŨɄŽŻūŨŰƂźŮŸ) des Grecs et la superficialité des Hébreux (ǗŶŻūŨŰűȭɛȠūŰŶŻŷŪŦŨ).19 En se référant aux Saintes Ecritures Julien utilise le terme plus commun ŪŷŨżť20ou ŪŷŨżŨŦ21sans aucune différence, nous semble-t-il, dans l’emploi du singulier et du pluriel. Naturellement, il ne faut accorder aucune valeur à l’emploi antonomastique du terme ŪŷŨżť, qui est un simple arrangement neutre à une habitude acquise durant les longues années de formation chrétienne (Cyrille au contraire atteste explicitement que Julien nie que la loi mosaïque puisse être inspirée de Dieu, ÎŴŬŻųŨźŰűƂŸ ;22 le seul cas où les écritures sont définies comme ůŬƂÎŴŬŻŹźŶŰ, c’est lors d’une opposition entre les écritures sacrées de la culture judéo-chrétienne et les écritures sacrées de la tradition hellénique : źɔūŰţżŶŷŶŴc

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Julien revient plusieurs fois sur ce thème, cfr. C. Gal., frr. 41 ; 48 ; 58-59 Masaracchia. Sulla ȎÎŨŰūŬŻŹŦŨ dei cristiani cfr. ANTHONY MEREDITH, Porphyry and Julian Against the Christians, in «ANRW» II 23/2 (1980), pp. 1119-1149, en partic. pp. 1139 ; 1147-1148. 18 IUL., C. Gal., fr. 51 Masaracchia (218A) :ÎŬŷɄźɁŸźɵŴŬɠŨŪŪŬŲŦſŴźŬŷŨźŶŻŷŪŦŨŸűŨɄŹűŬŻſŷŦŨŸ. 19 IUL., C. Gal., fr.3 Masaracchia (43B). Le thème de la double apostasie revient continuellement sous la plume du polémiste, cfr ex. gr. les frr. 47, 57- 58, 72-75. 20 IUL., C. Gal., fr.36 Masaracchia (172A) ; 62 (253D). 21 IUL., C. Gal., fr.55 Masaracchia (229E) ; Epist., 111, p. 191,13 Bidez (435B). 22 CYR. AL., C. Iul., IX (320C).

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źɵŴ ÎŨŷk ɟųɋŴ ůŬŶÎŴŬƃŹźſŴ ŪŷŨżɵŴ ÎŷɔŸ źȌŸ ÎŨŷk ȮųɋŴ,23 où l’ expression signifie «celles que vous considérez les écritures divinement inspirées»). De même pour les formules suivantes żŮŹŰŴȮŪŷŨżť24ou ŪŤŪŷŨÎźŨŰ.25 Bouffartigue souligne que le terme ŪŷŨżť «n’accompagne jamais de citations néo-testamentaires».26 L’observation est correcte, mais il faut aussi considérer l’état de la tradition du texte de Julien dont nous possédons du premier livre, dédié à l’Ancien Testament avec des renvois au Nouveau, de nombreux fragments, alors qu’il ne nous reste presque rien du second et absolument rien du troisième, qui contestent le Nouveau Testament. Il est évident que Julien a conscience de la diversité des deux Testaments27 et le ton est sensiblement différent quand il parle de l’Ancien Testament et du Nouveau Testament, tout comme est différente l'attitude qu’il adopte à l’égard des juifs et des chrétiens. L’esprit qui investit la lecture de l’ Ancien Testament de la part de Julien est le désir de démontrer la double folie des chrétiens qui, après avoir abandonné la tradition hellénique pour embrasser une culture inférieure comme celle des Hébreux, s’en éloignent pour adhérer à une nouvelle religion fausse, contrevenant à la prescription de Jésus lui-même selon laquelle il affirmait clairement la nécessité de respecter la loi.28 Les juifs, coupables de superficialité (ɛȠūŰŶŻŷŪŦŨ)29 et d’insolence (źƂŲųŮ),30 sont l’expression d’une culture incomparablement inférieure à celle des Grecs aussi bien dans le domaine religieux et philosophique que dans le domaine politico-militaire.31 Mais puisque leur ancêtre Abraham est chaldéen, race sacrée et théurgique,32 ils conservent encore des traditions positives qui, bien que très souvent occultées par de successives déviations, rendent compatible la religion juive avec la űŶŰŴťpaïenne que Julien tente de construire en fonction antichrétienne.33 Sans reculer face à des naïvetés exégétiques et à de véritables exagérations malicieuses dans l'interprétation du récit biblique, Julien, qui apprécie les sacrifices des animaux représentés continuellement dans la Bible, attribue aux hébreux aussi la pratique

IUL., C. Gal., fr. 55 Masaracchia (229D). Lorsqu’on parle de textes sacrés de l’Hellénisme, il s’agit probablement de littérature oraculaire, en particulier en référence aux Oracles chaldaïque ; à ce propos voir BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, pp. 301-309. 24 IUL., C. Gal., fr. 6 Masaracchia (49A) ; 49 (209E). 25 IUL., C. Gal., fr. 88 Masaracchia (358C). 26 BOUFFARTIGUE, L’Empereur Julien, p. 156. 27 Cfr IUL., C. Gal., fr. 75 Masaracchia (319D). 28 IUL., C. Gal., fr. 85 Masaracchia (351BC) ; cfr Mt. 5,17-19. 29 IUL., C. Gal., fr. 3 Masaracchia (43B). 30 IUL., C. Gal., fr. 58 Masaracchia (238B). 31 IUL., C. Gal., frr. 36-40 ; 49 ; 51 ; 53-55 Masaracchia. 32 IUL., C. Gal., fr. 86 Masaracchia (354B). 33 IUL., C. Gal., frr. 69-72 Masaracchia. 23

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de la magie34 et Abraham devient un expert dans l’art de la mantique liée à l’astrologie.35 L’erreur la plus grande des hébreux consiste dans le monothéisme rigide et dans la foi exclusive en Ihaweh, créateur et seigneur de l’univers, alors qu’ une lecture du récit de la création comparée à la cosmologie de Platon dans le Timée met en évidence non seulement la supériorité du philosophe grec par rapport à l’hébreu, mais aussi la compatibilité entre les deux cosmologies, s’il est vrai que Moïse décrit son Dieu non pas comme un créateur ex nihilo mais comme un démiurge qui réordonne une matière préexistante.36 En outre, Ihaweh apparaît à plusieurs reprises comme un dieu inférieur, subordonné au démiurge-père ; plus exactement c’est un dieu ethnarque, dont la domination s'exerce uniquement sur le peuple hébreu, qui devrait donc adorer le Dieu universel avec son dieu ethnarque.37 A ces conditions Julien en arrive à affirmer qu’il vénère (ÎŷŶŹűŻŴɵŴ) le dieu de Abraham, de Isaac et de Jacob.38 En effet, il n’utilise jamais d’épithètes ou d’expressions offensifs à l’égard de ces grands personnages vétérotestamentaires qu’il mentionne à différentes reprises : Abraham, Isaac, Jacob, Moïse, Salomon, Isaïe. Mais quelle valeur donner au récit biblique, en particulier aux premiers livres de l’Ancien Testament ? A ce point, le problème devient plus difficile et vague, et même parfois contradictoire. Confrontée à la doctrine de Platon, la narration de la création du monde faite par Moïse apparaît comme un fatras désordonné de vieilles fables et de ragots (ɡůŲŶŻŸcŪŬŪŮŷŨűƂźŨŸ) rassemblés sans aucun critère ;39 cependant, à la suite d'une lecture plus approfondie, le récit génésiaque, comme par exemple le dialogue entre Eve et le serpent, est un mythe semblable à celui des mythes grecs.40 Mais qu’est-ce que le mythe pour Julien ? Il en parle amplement dans les deux opuscules Contre Héracleios le cynique et Sur la Mère des dieux. Le mythe, observe-t-il, est une histoire inventée (žŬɥūŶŸ) mais composé de façon convaincante (ÎŰůŨŴɵŸ), qui a comme but celui d'être utile au public à travers la séduction exercée par l’élément fabuleux.41 Il est opportun de recourir à ce moyen également lorsque l’auteur veut se protéger de l’animosité de l’auditeur : c’est la raison pour laquelle Hésiode,

IUL., C. Gal., fr. 82 Masaracchia (339E-340B). IUL., C. Gal., frr. 87-88 Masaracchia. 36 IUL., C. Gal., frr. 6 ; 9-10 ; 18-19 ; 21 ; 25 ; 28 Masaracchia. 37 IUL., C. Gal., frr. 9-10 ; 18-21 ; 25-26 ; 28 ; 30 Masaracchia. 38 IUL., C. Gal., fr. 86 Masaracchia (354B). 39 IUL., C. Gal., fr. 5 Masaracchia (45E). 40 IUL., C. Gal., fr. 15 Masaracchia (86A) : źŦūŰŨżŤŷŬŰźɵŴÎŨŷȌźŶɋŸǁŲŲŮŹŰ ÎŬÎŲŨŹųŤŴſŴųƃůſŴźȌźŶŰŨɥźŨ ; (En quoi ces récits diffèrent-ils des mythes créés par les Grecs ?) Sur l’expression de Julien ųƃůŶŻŸÎŲţźźŬŰŴ cfr ROSANNA GUIDO, ŔƃůŶŻŸ ÎŲţźźŬŰŴ, un’eco platonica in Iul. Or. 7 ?, in «Rudiae» III (1991), pp. 87-104. 41 IUL., C. Her., 2 (205C). 34 35

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Archiloque et surtout Esope, qui, en tant qu’esclave, n’avait droit à la liberté de parole et devait donc proposer ses conseils prudemment, les assaisonnant par la grâce et le plaisir du récit, ont tous recours aux récits allégoriques.42 Il existe selon Julien deux branches de la philosophie auxquelles s’adapte le recours à l’allégorie : la philosophie pratique qui concerne l’individu et la théologie relative aux rites initiatiques et mystériques.43 Ceci explique la raison pour laquelle Orphée, le plus ancien des poètes qui s’inspire directement de la divinité, Xénophon, qui raconte le fameux épisode de Héraclès au carrefour, et d’autres philosophes tels que Antisthène et Platon ont tous recours au ųɥůŶŸ44 Si dans le domaine de l’éthique le mythe vise à rendre plus acceptable un conseil et à protéger son auteur, au contraire dans le domaine de la théologie initiatique et mystérique il sert d’un côté à protéger la vérité qui doit être révélée, de l’autre à stimuler la recherche. Les anciens, dit Julien, explorèrent les causes des êtres éternels … ; quand ils les eurent trouvées, ils les recouvrirent de mythes paradoxaux (ųƃůŶŰŸÎŨŷŨūƂŵŶŰŸ), afin que, grâce au paradoxe et à l'invraisemblance (ūŰȌźŶɥÎŨŷŨūƂŵŶŻűŨɄȎÎŬųżŨŦŴŶŴźŶŸ), la fiction (ÎŲţŹųŨ) une fois découverte nous pressât de chercher la vérité.45 En effet, il n’est pas permis que le secret de l’essence des dieux soit jeté en termes nus dans des oreilles impures.46 Il faut avouer que la forme mythique apparaît parfois troublante et provoque une espèce de répulsion ou de dérision chez ceux qui n’en comprennent toute la portée : car plus la fable (ŨɉŴŰŪųŨ) est paradoxale et monstrueuse, plus elle semble témoigner contre la croyance en ce qu'elle dit, mais en faveur d'une exploration de ces obscurités.47 L’«invraisemblance de la pensée» (ȎÎŬųżŨɋŴŶŴ) assume une fonction analogue. Que l’ȎÎŬųżŨɋŴŶŴ et le ÎŨŷţūŶŵŶŴ servent à stimuler la recherche n’est pas une idée originale de Julien, mais elle remonte à Aristote48 qui affirme que, vu qu’il existe un rapport entre étonnement et naissance de la philosophie, le mythe aussi pousse à la recherche de la vérité grâce à l’étonnement provoqué par les absurdités qu’il raconte.49 Ce même principe exprimé par le jeune empereur philosophe se confirme en milieu chrétien : selon Clément Alexandrin les obscurités des Saintes Ecritures visent

IUL., C. Her., 3 (207AC). IUL., C. Her., 11 (216B). 44 IUL., C. Her., 10 (215BC). Pour cet extrait de Julien et les autres que nous venons de citer nous vous renvoyons au commentaire de ROSANNA GUIDO, Giuliano Imperatore, Al cinico Eraclio, ed. R. G., Galatina, Congedo Editore, 2000. 45 IUL., Ad Matr. deor., 10 (170A). 46 IUL., C. Her., 11 (216C). 47 IUL., C. Her., 12 (217C). 48 ARISTOT., Metaph., 982b. 49 Sur cet argument voir JEAN PÉPIN, La tradition de l’allégorie de Philon d’Alexandrie à Dante, Paris, Institut d’Études Augustiniennes, 1987, p. 70seqq. 42 43

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aussi bien à nous rendre ŭٟٟŰűŶŦ (chercheurs) qu’à voiler les vérités profondes de l’Esprit, qui pourraient même provoquer des dégâts chez ceux qui seraient incapables de les recevoir de façon appropriée ;50 Origène confirme les mêmes concepts et ajoute aussi que les expressions bibliques inacceptables ou indignes de Dieu, qui sont en fait la preuve de la nécessité de l’exégèse allégorique utile pour affronter les difficultés de la lettre, ont été expressément insérées dans l’Ecriture par le Saint Esprit, afin que l’invraisemblance et l’inadéquation du sens littéral obligent le lecteur illuminé à chercher à travers l’allégorie le sens spirituel profond de l’enseignement divin.51 Ceci dit, la valeur pédagogique et didactique attribuée à la composition allégorique est claire : l’allégorie n’a pas essentiellement comme but celui d'éclaircir les concepts, mais plutôt celui de susciter la curiosité du lecteur et de le pousser à la recherche de la vérité.52 Pour atteindre cet objectif, l’auteur envoie des messages codés ( par exemple le paradoxe et l’invraisemblance) pour avertir celui qui est capable d’en déchiffrer le signal . Même le récit mosaïque relatif à la création et aux vicissitudes des premiers hommes peut avoir la valeur de mythe allégorique, ųɥůŶŸc ȪŽſŴȎÎƂŷŷŮźŶŴůŬſŷŦŨŴ ;53 en effet MoïseȧÎŬűţŲŻÎźŬ,54 a consciemment jeté un voile d’allégories sur ces histoires. Selon le témoignage de Origène,55 la possibilité d’interpréter allégoriquement l’Ancien Testament a également été partagée par Numénios,56 philosophe néopythagoricien, mais fortement combattue par la plupart des polémistes païens, surtout Celse et Porphyre. Julien lui-même n’insiste pas beaucoup sur cette perspective et il n’est pas toujours facile de distinguer dans le Contre les Galiléens quand ųɥůŶŸ et son dérivé ųŻůƄūŮŸ ont la valeur positive de récit allégorique qui contient des vérités cachées et quand ils ont la valeur négative de récit fantastique sans aucune crédibilité. Certainement dans l’usage exégétique il n’existe aucune trace d’interprétation allégorique de la Bible de la part de Julien. Il ne nous est pas Cfr CLEM. AL., Strom., VI,15,126,1. Cfr ORIG., Princ., IV,2,9. Les obscuritates bibliques assument une fonction analogue, cfr ex. gr. AUG., In psalm., 126,11 : Ideo enim forte obscurius positum est, ut multos intellectus generet et ditiores discedant homines. 52 OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, trad. it., Bologna, Edizioni Il Mulino, 1996, pp. 160-162. 53 IUL., C. Gal., fr. 17 Masaracchia (94A). 54 IUL., C. Gal., fr. 27 Masaracchia (146A). 55 OR., C. Cels., IV,51. 56 RINALDI, La Bibbia, t. II, pp. 50-52, nn. 11-12 ; JEAN PÉPIN, Mythe et allégorie : les origines grecques et les contestations judéo-chrétiennes, Paris, Institut d’Études Augustiniennes, 19762, pp. 459-460 ; EDOUARD DES PLACES, Numenius et la Bible, in Homenaje a Juan Prado. Miscelánea de estudios bíblicos y hebráicos, ed. A. Verdes, A. Hernandez, Madrid, Consejo sup. de investig. cientif. Inst. Benito Arias Montano, 1975, pp. 497-502, in partic. p. 500. 50

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donné de savoir ci cela dépend d’un choix de Julien lui-même, qui n’est nullement intéressé à développer cet argument pour ne pas fournir à ses ennemis chrétiens d’armes ultérieures, ou bien d’un choix de Cyrille qui veut à tout prix démonter la thèse selon laquelle l’Apostat avait une profonde connaissance des Saintes Ecritures et par conséquant il met en évidence les interprétations les plus faibles de son adversaire. Certes se référant aux premiers chapitres de la Genèse le ton ironique et méprisant prévaut pour mettre en évidence l’infériorité de la tradition hébraïque par rapport à la tradition hellénique ; les expressions de colère et de jalousie de Ihaweh sont ici mentionnées pour démontrer sa nature de divinité de second ordre ;57 on refuse a priori l’interprétation typologique, niant la valeur symbolique des sacrifices du rituel juif et la possibilité que l’on puisse référer au Christ ce qui se dit d’Israël et de David. Le ton change radicalement quand Julien passe au Nouveau Testament. Aux textes spécifiquement chrétiens Julien a dédié les livres II et III du Contre les Galiléens, dont néanmoins il ne nous est parvenu que de rares et brefs fragments épars exclusivement du livre II. La plupart des références au Nouveau Testament se manifestent donc au cours de la polémique relative à l’Ancien Testament. Malgré ces graves limitations, l’on ressent immédiatement, comme nous venons de le dire, le changement de ton. Julien s’en prend surtout à Pierre, à Paul et à Jean, dont les noms sont presque toujours accompagnés d’une épithète injurieuse ou d’un commentaire négatif. Julien se moque de Pierre pour être un homme vacillant dans ses opinions, soutenant tantôt les rituels juifs tantôt les grecs, mais aussi pour ses incertitudes face à Paul si bien qu’il mérite l’appellation d’hypocrite ;58 Paul, quant à lui, est le plus grand de tous les sorciers et de tous les imposteurs jamais connus sur la terre,59 c’est un poulpe qui change continuellement de couleur pour mieux tromper les serviteurs et les femmelettes ;60 Jean enfin est le pire de tous, c’est le fourbe et l’imposteur (ÎŨŴŶɥŷŪŶŸűŨɄȎÎŨźŬƄŴ) qui le premier a appelé Jésus dieu, l’identifiant avec le Verbe créateur, et ce, recourant à la ruse et sans jamais le déclarer ouvertement.61 C’est une lecture consciemment myope du Nouveau Testament qui permet à Julien d’affirmer que la divinité de Jésus est une invention de Jean, celle-ci n’étant cependant point attestée ni par les Synoptiques ni par Paul,62 qui a aussi reconnu en Ihaweh le dieu ethnarque d’Israël et de MEREDITH, Porphyry, p. 1142. IUL., C. Gal., fr. 78 Masaracchia (325C). 59 IUL., C. Gal., fr. 19 Masaracchia (100A). 60 IUL., C. Gal., frr. 20 ; 48 Masaracchia. 61 IUL., C. Gal., frr. 50 ; 64 ; 79-81 Masaracchia. 62 IUL., C. Gal., fr. 79 Masaracchia (327A) ; mais cfr Mt 3,17 ; 4,3 ; Mc 1,1 ; 15,39 ; Rm 1,3-4 ; 9,5 etc. 57 58

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Judée, même si ce fut avec quelques hésitations.63 De la même façon une lecture banale et malveillante de I Corinthiens 6,9-11 confirme le thème traditionnel du recrutement des chrétiens parmi la lie de la population.64 Sur le plan étroitement exégétique, Julien réaffirme son refus de toute forme de typologie, il reprend et développe à plusieurs reprises le thème déjà utilisé par Celse et Porphyre de la discordance entre les Evangiles : sur la généalogie de Jésus,65 sur le miracle de la multiplication des pains,66 sur les événements chaotiques qui surgissent immédiatement après la résurrection.67 Cet argument, fruit d’une lecture rapide et maladroite du texte évangélique, sera habilement démonté par Théodore de Mopsueste qui trouvera dans les divergences des détails et dans la concordance substantielle des faits la preuve de la sincérité et donc de la crédibilité des témoignages des apôtres recueillis dans les Evangiles.68 Conclusion. Vacillant entre ɡůŲŶŸ et ųɥůŶŸ, l’Ancien Testament reste l’expression d’une civilisation de rang inférieur, qui pourrait cependant, à certaines conditions, faire partie du projet de restauration politicoreligieuse de Julien ; selon la tradition qui s’affirme dans le milieu judaïque et chrétien, mais qui a du mal à s’affirmer parmi les païens, l’empereur voit dans l’interprétation allégorique un instrument possible de conciliation entre la foi juive et la philosophie platonicienne.69 Le Nouveau Testament est par contre pour Julien l’expression d’une machination des chrétiens qui ne mérite aucune appréciation et aucune possibilité d’évaluation positive. Valerio Ugenti Università del Salento - Lecce

IUL., C. Gal., frr. 19-20 Masaracchia. IUL., C. Gal., fr. 59 Masaracchia (245AE). 65 Iul. C. Gal. frr. 62 ; 90 MASARACCHIA. 66 Iul. C. Gal. fr. 105 MASARACCHIA. 67 Iul. C. Gal. fr. 96 MASARACCHIA. 68 GUIDA 1994, p. 53 ss. 69 Sur la valeur politique philo-judaïque de l'exégése de Julien cfr RINALDI, La Bibbia, t. I, p. 213. 63 64

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JULIEN ET LA BIBLE

ABSTRACT Julian the Emperor had a good knowledge of the Bible and he was able to tell Jews from Christians, Old from New Testament. In the Contra Galilaeos he sets out to unmask the imposture of the Christians, apostates both in relation to the Hellenic tradition and the Jewish tradition. In the opinion of the Emperor, the Jews conserve positive rites and traditions, but they are wrong to regard Ihaweh as the supreme God; nevertheless the acknowledgement of Ihaweh as ethnarch deity and the allegoric interpretations of the OT could make the conciliation possible between Jewish faith and Platonic philosophy. On the contrary the NT is, in the opinion of Julian, the expression of the Christians' machination and it does not merit any appreciation or any possibility of positive evaluation. RÉSUMÉ L’Empereur Julien avait une bonne connaissance de la Bible et il était à même de distinguer nettement hébreux et chrétiens, Ancien et Nouveau Testament. La raison qui l’a poussé à écrire le Contra Galilaeos est celle de démasquer l’imposture des chrétiens, apostats vis-à-vis de la tradition hellénique et vis-à-vis de la tradition hébraïque. Selon l’Empereur, les juifs conservent des rites et des traditions positives, mais ils ont tort de considérer Ihaweh comme le Dieu suprême; toutefois, s’ils reconnaissent que Ihaweh est un dieu ethnarque et acceptent l’interprétation allégorique de l’AT, est possible la conciliation entre la foi juive et la philosophie platonicienne. Le NT est par contre pour Julien l’expression d’une machination des chrétiens qui ne mérite aucune appréciation et aucune possibilité d’évaluation positive.

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THE NARRATIVE SECTIONS OF MACARIUS MAGNES’ APOCRITICUS

Macarius Magnes’ Apocriticus can be placed in the narrative context of a dispute, in which an unnamed heathen and the Christian Macarius oppose each other in refined rhetorical style.1 This context, which is probably fictitious, can be inferred from some prologues and narrative passages which have survived, despite the loss of a large part of the work. This paper will deal with these brief sections, until now almost ignored. The research will not deal with theological and exegetical issues debated by the contenders, but will attempt to reconstruct the ways in which the opponent is portrayed and how the Christian author expertly creates an elaborated and multifaceted image of him. Furthermore, through a lexical analysis of the texts, it will be possible to trace the revival of certain topoi, attacking and defending tactics and terms which have their roots far back in the ancient debating tradition but which survived into Late Antiquity.

1. THE EYE AND THE ATTIC WORD In the surviving section of the Apocriticus, halfway through the second book, Macarius introduces the heathen’s objections for the first time, with these words: ǤūȥūŷŰųɝŵŨŸűŨɄŲɃŨŴũŲŶŹŻŷɔŴŬɆŹŨůŷȬŹŨŸÎŲŮűźŰűɭźŬŷŶŴȮųɋŴ ȪżŮŹŬŴŬɝŹŨŸźŶɞŸōɠŨŪŪŬŲŰŹźȌŸȧżŬŻŷŬźȌŸ ŶɠŽɇŹźŶŷŨŸźɵŴÎŬŷɄ źɔŴǗŮŹŶɥŴŪŬŪŬŴɁŹůŨŰÎŷȋŵŬſŴ. But he with bitterness, and with very grim look, bent forward and declared to us yet more savagely that the Evangelists were the inventors and not the historians of the events concerning Jesus.2

1 I will use the title Apocriticus to indicate Macarius Magnes’ work, well aware of the problems and different interpretations suggested over the course of time; for an overall view cf. MACARIUS MAGNES, Le Monogénès, ed. Richard Goulet, 2 vol., Paris, Vrin, 2003, t. I, pp. 41-47. The same is true also for the name of the author to whom the text is attributed and for which cf. ibid., pp. 48-51. 2 MAC. MAGN., Apocr. II,34,1 ff (The references are to the books of the Apocriticus and to the pages and lines of Goulet’s edition; English translation by T. W. Crafer, sometimes with adjustments).

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Already primo obtutu the picture appears to be rhetorically particularly elaborate; an examination of the lexical choices indicates that this was what the author desired. ŌŷŰųɝŹŹſclearly demonstrates a challenging attitude which bothers the interlocutor: it is a verb which in the medical field describes an irritation caused by a stinging substance or an incision, but can also indicate a pain in the eyes caused by smoke or, more generally, a stern way of refusing something.3 Next, the face and appearance of the heathen are described. The adjective ũŲŶŹŻŷɓŸdates back to the origins of Greek poetry. There are two significant examples in the Iliad: the first when Ajax Telemonius like Ares runs towards the Greek formation, a grim smile on his face;4 the second when Hector, raging like Ares on the battlefield, was foaming at the mouth and below his eyebrows his eyes were flashing fire.5 It is unlikely that expressions such as these were unknown to an experienced rhetorician like Macarius; they are among the most brilliant and powerful in Homer, used in highly stylistic contexts.6 The first words are therefore a sample of the portrait Macarius wishes to give of his opponent, who is presented in an almost epic manner and in a clearly offensive attitude. However, the use of the carefully constructed terminology implies that the heathen’s weapons are linked to his language, which is carefully chosen and studied: the opponent is therefore presented as an able master of words, a homo dicendi peritus. That this is the aim of Macarius’ defence is also confirmed by the other narrative section which follows shortly after: śŶŹŨɥźŨ űŨɄ źŶɝźŶŰŸ űŨźŨŷŷŮźŶŷŬɝŹŨŴźŶŸ źŶɥ źȭŴ ȦŲŲŮŴŰűȭŴ ūɓŵŨŴźʃűɓųÎʁÎŷŬŹũŬɝŶŴźŶŸ ŶɠūȥŴųȥŴȮųŬɋŸɟÎɔźŶɥůŶŷɝũŶŻ źɵŴŬɆŷŮųȤŴſŴűŨźŨÎŲŨŪȤŴźŬŸźȭŴžŻŽȭŴɰŷŷſūȬŹŨųŬŴ.

3 Cf. Diccionario Griego-Español, ed. Francisco R. Adrados, Madrid, CSIC, VI (2002), s.v. ūŷŰųɝŹŹſ, p. 1168. In Apocriticus (IV,192) the adjective ūŷŰųɝŸ can be found regarding the bitter/piquant taste of the mustard grain. 4 Cf. HOMERUS, Ilias, eds. David B. Monro, Thomas W. Allen, Oxford, Oxford University Press, 1920, VII, 212 ŔŬŰūŰɓſŴũŲŶŹŻŷŶɋŹŰÎŷŶŹɭÎŨŹŰ. 5 Cf. HOM., Il. XV, 607 ff. śɮūȤŶɅəŹŹŬŲŨųÎȤŹůŮŴũŲŶŹŻŷɂŹŰŴɟÎkɖżŷɝŹŰŴ. The other occurences of the adjective in the Apocriticus are significant: Christ before Pontius Pilate does not perform any miracle, ɇŴŨųȭűŨůȋÎŬŷȧŴůŬȋźŷʁÎŷŶŹſÎŬɃʁ źŰŴɄűŨŰŴŶźȤŷʁűŨɄũŲŶŹŻŷʃźȭŴȧÎkŨɠźŶɥźɵŴůŮŷɃſŴȎŴŨŹźŬɃŲȿűŨűɃŨŴ (III, 68); ŔȭźɔũŲŶŹŻŷɔŴÎŬŹŬɋŴȧÎŰŹűɝŴŰŶŴ (IV, 222). Drawing on Homer controversially is attested in Apocriticus IV, 306, 16 ff where the heathen quotes Iliad III, 82 ff and Macarius observes that ǤūkɱŹÎŬŷȪűźŰŴŶŸűŰŴŮůŬɄŸųŬźŬɭŷŶŻūŰŨźŷŰũɁŸ ɕųŮŷŰűɔŴ ȮųɋŴȪÎŶŸųŬźȌŪŬŲŶŰŨŹųŶɥűŨźȤźŬŰŴŬŴɅűŨŴŶɥżȋŸ. 6 Cf. The Iliad: a Commentary, vol. II: books 5-8, ed. Geoffrey S. Kirk, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 262 e vol. IV: books 13-16, ed. Richard Janko, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 295.

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THE NARRATIVE SECTIONS OF MACARIUS MAGNES’ APOCRITICUS

Thus far and in such words did he declaim, setting forth with boasting the Hellenistic view. But we were not overcome by the din of his words, nor did we fear for our life.7

What is most striking in this second presentation is not so much the connection between the opponent and Hellenic thought, a most frequent topos in the anti-heathen Christian debate and in the Apocriticus itself, as the use of the verb űŨźŨŷŷŮźŶŷŬɝſ, which occurs rarely and has judicial connotations. There are two examples that can be considered. The first occurrence of the verb can be found in Hypereides’ Oration against Demosthenes when, stressing the contrast between the harshness of the orators towards private citizens and the indulgence of the people towards the orators, the citizen in the tribunal appears overwhelmed by their eloquence.8 Plutarch recalls the trial brought by Aristophon of Azenia after the naval defeat at Embata (356) against Iphicrates, who was defeated through the eloquence (űŨźŨŷŷŮźŶŷŬŻɓųŬŴŶŸ) of the accuser, but was finally absolved.9 Macarius therefore intends to place the debate with the heathen in a judicial setting, in which the accuser appears as a gifted orator, able to defeat the accused with his eloquence. Such a situation is not unknown in the debating context. Emperor Julian, in a fragment which appears to come from the preface of Contra Galilaeos, proposing to discuss all the Christian doctrines, warns firstly that źŶɞŸȧŴźŻŪŽȋŴŶŴźŨŸ ŬɉÎŬŷȎŴźŰŲȤŪŬŰŴȧůȤŲŶŰŬŴ ɱŹÎŬŷȧŴūŰűŨŹźŮŷɃʁ ųŮūȥŴȪŵſůŬŴÎŶŲŻÎŷŨŪųŶŴŬɋŴųŮūȥźɔŲŬŪɓųŬŴŶŴȎŴźŰűŨźŮŪŶŷŬɋŴ ȨſŸȒŴɟÎȥŷźɵŴÎŷɵźſŴȎÎŶŲŶŪȬŹſŴźŨŰ.10 In truth it deals with expressions which recall concrete practices and which become formulaic, since they reappear in discussions and disputes, as can be seen in the example of Socrates’ line in Phaedo: ŗɌųŨŰŪȌŷɟųȢŸŲȤŪŬŰŴɗźŰ ŽŷȬųŬÎŷɔŸźŨɥźŨȎÎŶŲŶŪȬŹŨŹůŨŰɱŹÎŬŷȧŴūŰűŨŹźŮŷɃʁ.11 If Macarius finds himself before a learned orator who can prevail with his eloquence, from where can the strength be drawn to answer without fear, if not with the help of Logos? “Though we shrank from speaking the essential word as the result of the acquaintance with it, we

MAC. MAGN., Apocr. II, 42, 1 ff. Cf. HYPERIDES, Contra Demosthenem, ed. Christian Jensen, Stuttgart, Teubner, 1963 [1917], frg. 6,26 ŗɧźŶŸɟÎɔźŶɝźſŴűŨźŨŷŷŮźŶŷŬŻůŬɄŸȧŴźʃūŰűŨŹźŮŷɃʁȳ ȎÎŶůŨŴŬɋźŨŰȳȧűźɁŸÎŨźŷɃūŶŸȧűÎŬŹŬɋźŨŰ. 9 Cf. PLUTARCHUS, Praecepta gerendae reipublicae, ed. Marcel Cuvigny, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1984, 801 F. On the trial against Iphicrates cf. CHIARA PECORELLA LONGO, Il condono della pena in età classica, in «Dike» VII (2004), p. 93. 10 IULIANUS, Contra Galilaeos, ed. Emanuela Masaracchia, Roma, Edizioni dell’ateneo, 1990, frg. 2; for the other parallels cf. ibid., p. 195 ff. 11 PLATO, Phaedo, ed. Léon Robin, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1970 [19], 63 b. 7 8

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spoke as the divine grace gave us help. Speaking as follows, we gave clear interpretation of the evangelists as persevering one tenor of a single tenor, though with interchange of phraseology.”12 Even the appeal to Logos is a particular feature of debating, especially when the person against whom one is fighting is skilled in the use of word. For instance, at the beginning of the third book of Against Eunomius, in the course of the debate between orthodox and heretics, Gregory of Nyssa initially declares his defence strategy: We are not ashamed to confess that we have neither prepared a case sharpened with rhetoric for the combat (ųȬźŬźŰŴȌŲɓŪŶŴūŰȌɛŮźŶŷŰűɁŸ źŬůŮŪųȤŴŶŴȧÎɄźŶɞŸȎŪɵŴŨŸÎŨŷŬŹűŬŻȋŹůŨŰ), nor offered cunning dialectical logic-chopping to help us against the opposition (ųȬźŬ ūŬŰŴɓźŮźŨ ūŰŨŲŬűźŰűɁŸ ȎŪŽŰŴŶɃŨŸ ŬɆŸ ŹŻųųŨŽɃŨŴ űŨźȌ źɵŴ ȎŴźŰźŬźŨŪųȤŴſŴÎŷŶũȋŲŲŬŹůŨŰ), something which for the inexperienced often exposes even truth to the suspicion of falsehood (ȱűŨɄźȭŴȎŲȬůŬŰŨŴ ÎŶŲŲȋűŰŸŬɆŸɟÎɓŴŶŰŨŴžŬɝūŶŻŸȧÎɄźɵŴȎÎŬɃŷſŴȎŴźŰųŬůɃŹźŮŹŰŴ). Rather, there is one power of the word in us against falsehood, first the true Word, who becomes the strength of our own word.13

Gregory’s testimony is particularly important for various reasons: the fact that Eunomius drafted a speech honed with rhetoric and sharp in style is a good reason to discredit him. Thus, to the eyes of the simplest, he tries to transform the truth about Christ into a lie. This accusation is also one which dates back to a time when the Sophists were reprimanded for disguising false discourse as truth.14 There is yet another aspect which should be noted. In order to defend himself from Eunomius and to refute his seemingly good yet false reasoning, Gregorius turns to the truthful Logos: this is comprehensible in a confrontation between Christians or in a Christian context. Thus, it is clear how Macarius also adopts the traditional charge of rhetoric which falsifies truth and how his reply develops in a Christian context. Even

12 MAC. MAGN., Apocr. II, 42, 5 ff. ƼűŹŻŴŮůŬɃŨŸūȥźɔŴŶɠŹŰɭūŮŲɓŪŶŴŲȤŪŬŰŴ ūŻŹſÎȬŹŨŴźŬŸŬɉÎŶųŬŴ ɯŸȮůŬɃŨŽȋŷŰŸȮųɋŴȧÎŬűŶɝŷŮŹŬűŨɃ źɵŴōɠŨŪŪŬŲŰŹźɵŴ ȧŴŨŲŲŨŪɂźɁŸŲȤŵŬſŸųŰȢŸɅŹźŶŷɃŨŸŴŶɥŴżŻŲŨŵȋŴźſŴȨŴŨ ŹŨżɵŸȮŷųŮŴŬɝŹŨųŬŴ. 13 GREGORIUS NYSSENUS, Contra Eunomium, ed. Werner Jaeger, GNO II (1960), III, 2 (transl. S. Hall). 14 Plato (Gorgias, ed. Eric R. Dodds, Oxford, Clarendon Press, 1959, 456 b-c) states that the famous Sophist supported this type of paradox: if he and a doctor were present before an assembly, with the power of his words the rhetorician would have convinced the public to turn to him for healing and not to the doctor. In another example in Aristophanes’ The Clouds (883 ff), Strepsiades speaks of the strong speech and of the weak one which subverts the strong one using unfair arguments (źɔŴűŷŬɃźźŶŴk ɗŹźŰŸ ȧŹźɃ źɔŴȲźźŶŴŨ ɘŸźȑūŰűŨŲȤŪſŴȎŴŨźŷŬÎŬŰźɔŴűŷŬɃźźŶŴŨ) and in The Apology of Socrates among the charges against the philosopher there is that of making the worse speech the better (źɔŴȰźźſŲɓŪŶŴűŷŬɃźźſÎŶŰŬɋŴ).

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if some enclaves of heathen conservatism still existed around the end of the IV century, it is difficult to think that the appeal to the substantial Logos could have had any value for intellectual rivals. It is more plausible to believe that those to whom the Apocriticus was directed were Christians, as was probably the case for Origenes’ Against Celsus.15 This would confirm the fictitious character of the debate with the heathen. As a matter of fact, Macarius writes in the preface to the third book: śŷɃźŶŴȮųɋŴźŶŻźŶŴɄŹŻųũŨŲɮŴɕÎŬŷɃũŲŬÎźŶŸȎŪɵŴŨÎŨŷŬŹűŬɝŨŹŬ ůȤŨźŷŶŴȧŪŬɃŷŨŸȎűŷŶŨźɵŴȧÎɃŹŮųŶŴ ɗÎŬŷūɁŲŶŴ ɶŐŬɓŹůŬŴŬŸ źɂ ŹɂÎŶŰŶɥųŬŴȎŹŻŪűŷɃźʁŹŶżɃȠźȌŸȧűÎŷŶŴŶɃŨŸŨɠźŶɥÎŷŶźȋŹŬŰŸ  ɯŸ ȪŴŰ  ūŰŮŪŶɝųŬŴŶŰ ŋŬŴŶųȤŴſŴ ŪȌŷ ȮųɵŴ ȧŴ ŹŽŶŲŨɃʁ źɓÎʁ  ȮųȤŷŨŴūŰŨŲŬŪɓųŬŴŶŰÎŶŲŲȭŴŬɆŷŪŨŹȋųŬůŨŘŶŲɞŴūkȮųɋŴźɔŴŲɓżŶŴ źɁŸȎźźŰűɁŸɛȬźŷŨŸȧÎŰűŻŲɃŬŰŴȲŷŵŨźŶ ɯŸȎŪſŴŰȢŹůŨŰųŰűŷŶɥűŨɄ źɵŴ ŹŻŪűŨůŮųȤŴſŴ źɔŴ ɅűŨŴɭźŨźŶŴ ɗųŰŲŶŴ żŶũŬŷɔŴ ɯŸ ŬɌūŶŴ ȧÎŰŹűŻŴɃŶŻŹɓũŮźŷŶŴ This is the third contest which our much-admired opponent prepared against us, after bringing a notable assembly of auditors. This, O Theosthenes, we now unfold to your incomparable wisdom, relating to the best of our power the propositions which were the results of his reflection. When we had found a quiet spot, we spent a great deal of the day in discussion. He began to roll down upon us the panache of his Attic word, so that the mighty throng of onlookers almost feared joining in the contest, seeing the terror of his eyebrow.16

The points of contact with Nyssen’s prologue, which has already been quoted, are important: there, Gregory had not prepared a rhetorically edited discourse for the struggle against Eunomius (ųȬźŬźŰŴȌŲɓŪŶŴ ūŰȌ ɛŮźŶŷŰűɁŸ źŬůŮŪųȤŴŶŴ ȧÎɄ źŶɞŸ ȎŪɵŴŨŸ ÎŨŷŬŹűŬŻȋŹůŨŰ), here Macarius affirms that the heathen has prepared the third struggle (ȎŪɵŴŨ ÎŨŷŬŹűŬɝŨŹŬ) and, shortly after, that the audience feared to enter the contest (ȎŪſŴŰȢŹůŨŰ): here we are obviously dealing with coded expressions which describe the confrontation with the opponent through the language of sport and rhetoric.17 In the same passage, however, Macarius On the composition of Origenes’ audience cf. ADELE MONACI CASTAGNO, Origene predicatore e il suo pubblico, Milano, Franco Angeli, 1987, pp. 81-88; MARCO RIZZI, Ideologia e retorica negli ‘exordia’ apologetici. Il problema dell’altro, Milano, Vita e pensiero, 1993, pp. 188-202; LORENZO PERRONE, Fra silenzio e parola: dall’apologia alla testimonianza del cristianesimo nel Contro Celso di Origene, in L’apologétique chrétienne gréco-latine à l’époque prénicénienne, edd. Antoine Wlosok, François Paschoud, Vandœuvres – Genève, Fondation Hardt, 2005, pp. 103-143. 16 MAC. MAGN., Apocr. III, 72, 1-8. 17 The various agonistic events in antiquity were rather articulated: as well as gymnstic and equestrian contests, musical, dramatic, poetic and rhetorical competitions took place. It is interesting to note how the terminology relating to sporting and musical 15

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resorts to theatre metaphors: in fact, before the confrontation, the heathen incited the illustrious public of bystanders. It may appear rather commonplace, but a comparison once again with the Against Eunomius of the Nyssen is inspiring: in order to make it clear to all that it is the heretic himself who brings about his own downfall, Gregory offers the readers Eunomius’ discourse (źŶɋŸȧŴźŻŪŽȋŴŶŻŹŰ) and they, fair judges who read his labours (ŶɅźŶɋŸÎɓŴŶŰŸȮųɵŴȧŴźŻŪŽȋŴŶŴźŬŸ), will proclaim the orthodox word to the whole theatre of the Church (ȎŴŨűŮŷŻŽůŬɃŮ ÎŨŴźɄ źʃ źɁŸ ȧűűŲŮŹɃŨŸ ůŬȋźŷʁ źɁŸ ŬɠŹŬũŬɃŨŸ ɕ ŲɓŪŶŸ).18 It seems unlikely that the confutation of the heathen’s argument would have taken place in a public context such as the theatre.19 It is more likely that the dispute is in some manner limited to a closed cultural circle. Moreover, there is no doubt that the portrayal of the opponent as an orator who seeks the consensus of the audience on stage and invites them to a confrontation achieves its controversial objective. Similarly, the dispute which started regarding the deposition of Paul of Samosata from the Antiochian throne in 268 shows how the metaphor of spectacle is used against the opponent. He was charged with having made a spectacle of the liturgy and those participating at the synod to depose him described him in this way:

he smites his hand on his thigh and stamps the tribunal with his feet (ÎŨɃſŴźŬźɂŽŬŰŷɄźɔŴųŮŷɔŴűŨɄźɔũɁųŨȎŷȋźźſŴźŶɋŸ ÎŶŹɃŴ); and those who do not applaud or wave their handkerchiefs, as in theatre, (ųŮūȥɱŹÎŬŷȧŴźŶɋŸůŬȋźŷŶŰŸűŨźŨŹŬɃŶŻŹŰŴźŨɋŸ ɖůɓŴŨŰŸ) or shout out and jump up in the same way as do the men and wretched women who are his partizans and hearken in this disorderly fashion (ȎűɓŹųſŸ ŶɡźſŸ ȎűŷŶſųȤŴŶŰŸ), but who listen, as in God’s house, with orderly and becoming reverence, these he rebukes and insults.20

contests was more or less similar: for an overall picture of these contests I refer to the recent contributions by Alessandra Manieri: Ps. DIONYSIUS HALICARNASSENSIS, I discorsi per le feste e per i giochi (Ars Rhet. I e VII Us. Rad.), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2005, pp. 43-60; Agoni poetico-musicali nella Grecia antica 1. Beozia, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2009, pp. 17-32. Cf. also ALESSANDRO CAPONE, Challenging the Heretic: the Preface of Gregory of Nyssa’s Contra Eunomium III, in Contra Eunomium III, Proceedings of the 12th International Colloquium on Gregory of Nyssa (in press); JOHAN LEEMANS, God and Christ as Agonothetae in the Writings of Gregory of Nyssa, in «Sacris Erudiri» XLIII (2004) pp. 5 - 31. 18 Cf. GREG. NYSS., C. Eun. III, 3. 19 However, it was the theatre itself in which oratory contests took place. The passage about which the two contestants would have debated for a whole day in a peaceful location allows us to exclude that the debate happened in a public place. 20 EUSEBIUS CAESARENSIS, Historia Ecclesiastica, ed. E. Schwartz, T. Mommsen, F. Winkelmann, GCS VI/2 (1999), VII,30,9 (transl. J.E.L. Oulton).

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The controversial characterization of Paul is based on the model of the bad rhetorician and combines with that of the actor who expects his word to be met with resounding approval in church. As in the case of Paul of Samosata, for the heathen attacked by Macarius we find the use of spectacle as a learned means to discredit his rivals.21 At this point, we can ask whether ‘theatre’ in the Macarian passage simply means ‘public’, as Goulet translates, or rather refers in a more meaningful sense to a theatrical scene. A clue to understanding this can be found in the description of the heathen’s attack: “He began to roll down upon us the panache of his Attic word”. Clearly ŲɓżŶŸhas a metaphorical meaning here and thus a line by Euripides in The Frogs comes to mind. In the contest in Hades which will decree who is the better of the tragic poets, Aeschylus or Euripides, the latter attempts to demonstrate that the other was a cheat and an impostor since at the beginning of his dramas he placed a character on the stage who was completely covered and remained silent: thus the spectators were waiting for him to say something and the tragedy could continue. Then towards the middle of the work, he uttered “a dozen oxhide words with crests and beetling, fearsome bogy-faced things that the audience had never heard of ” (ɛȬųŨźkȒŴũɓŬŰŨūɭūŬűkŬɌÎŬŴ ɖżŷɥŸ ȪŽŶŴźŨűŨɄŲɓżŶŻŸ ūŬɃŴkȑźźŨųŶŷųŶŷſÎȌȑŪŴſźŨźŶɋŸůŬſųȤŴŶŰŸ).22 Moreover, the Aristophanean chorus had previously described an angry Aeschylus, “contracting a fearsome brow” (ūŬŰŴɔŴȧÎŰŹűɝŴŰŶŴŵŻŴȋŪſŴ).23 Macarius therefore did not confine himself to using the category of spectacle to discredit his rival but constructed a rich intertext of classical reminiscences, notably from Aristophanes, to excellent effect.24 Now we come to examine the phrase “źɁŸȎźźŰűɁŸɛȬźŷŨŸ” on which Frassinetti based his proposal that the heathen could be the Emperor Julian.25 In subsequent studies, this was dismissed and the 21 Cf. LEONARDO LUGARESI, Il teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo antico (II-V secolo), Brescia, Morcelliana, 2008, p. 367 ff. VIRGINIA BURRUS, Rhetorical Stereotypes in the Portrait of Paul of Samosata, in «Vigiliae Christianae» XLIII (1989), pp. 215-225, observes that the gesture of beating one’s thigh recalls a caricature that Lucian attributed to the bad rhetorician (Rhet. praec. 19) and that the subject of theatre is frequently used by rhetoricians to discredit their opponents since «the relation of rhetoric to the theater was both close and uneasy» (p. 219). 22 ARISTOPHANES, Ranae, ed. Alan H. Sommerstein, Warminster, Aris & Philips Ldt, 1996, 924 ff (ŔŶŷųɭ was a sort of female monster similar to a witch, which perhaps Macarius was alluding to with the very rare ŹɓũŮźŷŶŴ). 23 AR., Ranae 823. Cf. also Hom. Il. XVII, 136 ∏ȢŴūȤźkȧÎŰŹűɝŴŰŶŴűȋźſ ȨŲűŬźŨŰəŹŹŬűŨŲɝÎźſŴ, where Ajax, defending Patroclus’ body, is likened to a lion defending its young from hunters. 24 For the presence of Aristophanes in Gregory of Nyssa cf. MATTHIEU CASSIN, «Plumer Isocrate» : usage polémique du vocabulaire comique chez Grégoire de Nysse, in «Revue des Études Grecques » CXXI (2008), pp. 783-796. 25 Cf. PAOLO FRASSINETTI, Sull’autore delle questioni pagane conservate nell’Apocritico di Macario di Magnesia, in «Nuovo Didaskaleion» III (1949), p. 49 ff.

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researchers now look in a different direction. Probably, we have to deal with another learned and controversial reference, as shown in some passages of Plutarch. In a satirical pamphlet against the stoics, De profectibus in virtute, the author describes those scholars who follow Plato and Xenophon for their language (ŲȤŵŰŴ) and gather from them nothing but the purity of the Attic style (źɔűŨůŨŷɓŴźŬűŨɄƧźźŰűɓŴ): what can be said of those if not that they content themselves with good fragrances and beautiful colours of the cures, getting no soothing and purgative power from them?26 Elsewhere, in a similarly controversial tone, Plutarch states that the listener who loves art and pure taste (żŰŲɓźŬŽŴŶŴűŨɄűŨůŨŷɓŴ) believing that not only flowery and embellished terms (źȌųȥŴȎŴůŮŷȌ űŨɄźŷŻżŬŷȌźɵŴɖŴŶųȋźſŴ) but also theatrical subjects and speeches of pomp (źɵŴÎŷŨŪųȋźſŴźȌūŷŨųŨźŰűȌűŨɄÎŨŴŮŪŻŷŰűȋ) are the stuff of idle Sophists,27 avoids them and tries to reach the depths of the spoken words to extract what is useful, remembering that he is in a school and not in a theatre or odeum (ŶɠűŬɆŸůȤŨźŷŶŴŶɠūkɸūŬɋŶŴ).28 Plutarch adds later that instead of minding the contents, the listener who demands a dry and Attic style (źȭŴŲȤŵŰŴƧźźŰűȭŴűŨɄɆŹŽŴȬŴ) is like the man who refuses to drink an antidote unless it is offered in a vase of Attic clay (ȧű źɁŸƧźźŰűɁŸűſŲŰȋūŶŸ), and who refuses to wear a cloak in winter unless it is made of the wool of Attic sheep (ÎŷŶũȋźſŴƧźźŰűɵŴ).29 26 Cf. PLUTARCHUS, De profectibus in virtute, ed. André Philippon, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1989, 79 D. The Attic dialect had been used again by Dionysius of Halicarnassus, Caecilius of Calacte and adopted by the Second Sophistic. The imitation of the Attic classics was more a grammatical than a literary phenomenon. Atticism meant the use of authors considered as models, from which words and expressive characteristics were taken and represented the search for a high language founded on the classics and distinct from the everyday language: GEORGE A. KENNEDY, The art of persuasion in Greece, Princeton-New Jersey 1963, p. 330 ff and LAURENT PERNOT, Rhetoric in antiquity, Washington, The Catholic University of America Press, 2005, pp. 142-145; on the Second Sophistic cf. VITO A. SIRAGO, La Seconda Sofistica come espressione culturale della classe dirigente del II sec., in «ANRW» II, 33/1, ed. Wolfgang Haase, Berlin - New York 1989, pp. 36-78 and SALVATORE NICOSIA, La Seconda Sofistica, in Lo spazio letterario dell’antica Grecia, edd. Giuseppe Cambiano, Luciano Canfora, Diego Lanza, Roma, Salerno Editrice, I/3, 1994, pp. 85-116. 27 The expression űŮżȬŴſŴũŶźȋŴŮŴis used by Plato (Respublica, ed. Simon R. Slings, Oxford, Clarendon Press, 2003, 564 e) in a different context. 28 Cf. PLUTARCHUS, De audiendo, ed. André Philippon, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1989, 41 F-42 A. Cf. also SENECA, Ad Lucilium epistulae morales, ed. Leighton D. Reynolds, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, II, 108, 6 Quidam veniunt ut audiant, non ut discant, sicut in theatrum voluptatis causa ad delectandas aures oratione vel voce vel fabulis ducimur. Magnam hanc auditorum partem videbis cui philosophi schola deversorium otii sit. Non id agunt ut aliqua illo vitia deponant, ut aliquam legem vitae accipiant qua mores suos exigant, sed ut oblectamento aurium perfruantur. 29 Cf. PLUT., Aud. 42 D. Plutarch rejected Atticism because at a time when the űŶŰŴȬ was the only living language, the use of Attic dialect appeared an ostentatious display of aesthetics and useless eloquence, which excluded the less learned addressees.

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The evidence gathered up to this point shows that the attack of Macarius is rhetorical and that it forms part of a wealthy earlier tradition in which there is little, if any, reference to doctrine. The objective is to have the arguments of the rival seen as raving – hence the expression “Attic word”- and their author seen as a Sophist, a technician of the word.30 In fact, in the prologue to the fourth book – again in an important section - the heathen is once again attributed with the title of philologist: ŘŲŬɃŹźſŴȮųɋŴŲɓŪſŴɟÎɔźɁŸȦŲŲŮŴŰűɁŸūɓŵŮŸűŬűŰŴŮųȤŴſŴűŨɄźȭŴ ŶɦŹŨŴȧŴŨɠźŶɋŸȎŹȋżŬŰŨŴŹŨżɁűŨźŨŹźȬŹŨŹŰŴɅūŷɵźŰÎŶŲŲʃűŨɄ ÎɓŴʁűŨɄűŨųȋźʁ źȤźŨŷźŶŴ ɶŐŬɓŹůŬŴŬŸ ȎŪɵŴŨźŶɥźŶŴȮųɋŴ ŹżŶūŷɵŸűŨźŬÎȬŪŨŪŬŴɕżŰŲɓŲŶŪŶŸ ɯŸŬɆÎŬɋŴ ɘŴŹŶɥŹŻŴŨŰŷŶųȤŴŶŻ ųɓŲŰŸȧůŨŷŹȬŹŨųŬŴ When a large number of points had been raised by the judgment of my Greek opponent, and we had made clear the obscurity that was in them by means of much sweat and labour and toil, the philologist plainly marked out, so to speak, this fourth contest, for which, even with your help Theosthenes, we scarcely took heart.31

The figure of the philologist opponent dominates once again here, in a refined construction marked by the use of military-agonistic vocabulary (ȎŪɵŴŨ,ŹżŶūŷɵŸ,űŨźŬÎȬŪŨŪŬŴ,ȧůŨŷŹȬŹŨųŬŴ). There is every likelihood that such an epithet is controversial in meaning, as highlighted by the expression ɯŸŬɆÎŬɋŴ which brings to mind a coded meaning.There is a considerable bibliography concerning the meanings that the term “philologist” has assumed throughout Greek literature;32 it is worth recalling an example from Plutarch, which seems close to Macarius’ use of the word. According to Plutarch, three approaches can be identified when reading poetic works: there is the story lover (żŰŲɓųŻůŶŸ), who never misses an original and excellent tale; there is the lover of beautiful words 30 Macarius’ use of the noun ɛȬźŷŨ is interesting for various reasons. The term generally means “agreement, law” but also occurs with the meaning of “word, speech” as ex. gr. in Lucian (Apologia 2; Toxaris 35) and Lycophron (Alexandria 470, 1037). A sophisticated play on words can nevertheless not be excluded in Macarius’ passage, in which the Attic “speech” is controversially presented as a mandatory “law”. 31 MAC. MAGN., Apocr. IV, 240, 1-5. 32 Cf. KARL LEHRS, De vocabulis żŰŲɓŲŶŪŶŸ ŪŷŨųųŨźŰűɓŸ űŷŰźŰűɓŸ, in «Programm des Königlichem Friedrichskollegiums zu Königsberg in Ostpreußen», Königsberg, 1838, pp. 1-5 = Herodiani scripta tria emendatiora, Königsberg, Impensis Ad. Samteri, 1848, pp. 379-87; GABRIËL R. F. M. NUCHELMANS, Studien über żŰŲɓŲŶŪŶŸ, żŰŲŶŲŶŪɃŨ und żŰŲŶŲŶŪŬɋŴ, Zwolle, Uitgevers-Maatschappij-Tjeenk Willinks, 1950; GIROLAMO VITELLI, Filologia classica … e romantica, Firenze, Le Monnier, 1962, pp. 36-39; HEINRICH KUCH, ŝŰŲɓŲŶŪŶŸ Untersuchung eines Wortes von seinem ersten Auftreten in der Tradition bis zur ersten überlieferten lexikalischen Festlegung, Berlin, Akademie-Verlag, 1965; RUDOLF PFEIFFER, History of Classical Scholarship. From the beginnings to the end of the Hellenist age, Oxford, Clarendon Press, 1968, p. 156 ff.

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(żŰŲɓŲŶŪŶŸ), who never misses a pure and rhetorical speech (ųȭȧűżŬɝŪŬŰŴ źȌűŨůŨŷɵŸÎŬżŷŨŹųȤŴŨűŨɄɛŮźŶŷŰűɵŸ);33 and finally there is the lover of honour and decorum (źɔŴūȥżŰŲɓźŰųŶŴűŨɄżŰŲɓűŨŲŶŴ), who reads poems not for enjoyment but for learning.34 There is little doubt that in this context “philologist” refers to the cultured scholar who, above all, is concerned with the accuracy and aesthetics of letters.35 Thus the term has assumed an ironic and controversial meaning as in the case of Plotinus who judges Longinus certainly a philologist, but by no means a philosopher,36 and especially in Gregory of Nazianzus’ harsh speech against Emperor Julian: ƼŷȬŹŶųŨɃŹŬ ɶżŰŲȤŲŲŮŴŹɞűŨɄżŰŲɓŲŶŪŬ, ÎɓźŬŷŶŴÎŨŴźɔŸŬɉŷŵŬŰŸȮųȢŸźŶɥȦŲŲŮŴɃŭŬŰŴ, ŶɍŶŴūȭűŨɄźɵŴȧŴųȤŹʁ űŨɄÎŬŭɵŴźŶɝźſŴɛŮųȋźſŴűŨɄźɁŸźɵŴÎŶŲŲɵŴŽŷȬŹŬſŸ ȳźŶɥ űŶųžŶɥ źŬ űŨɄ ɟÎŬŷŨɃŷŶŴźŶŸ ɯŸ Ŷɠű ȑŲŲŶŰŸ ȧżŰűźŶɥ ȳ źŶɋŸ űŨźȌ ÎŨɃūŬŻŹŰŴūŰŨżȤŷŶŻŹŰŴIn this example the adjectival couple, in some way synonymous, displays sarcastic intention loaded with a plurality of controversial nuances: from the charge against Julian of not being ethnically Greek to that of being rhetorically incompetent. Thus Macarius attacks his adversary by using rhetorical argument. Indeed, soon after having charged him with being a philologist, he turns his attention to a chosen group of people around him: “When no small company was again gathered together, but a large and distinguished one, as though his intention was purposely to perplex us by the sight of so many excellent persons, he began to rend in pieces the apostolic judgment, to the accompaniment of much laughter.”38 Once again, a lexical analysis

33 Cf. SEN., Ad Luc. 108, 30 ff. Cum Ciceronis librum de re publica prendit hinc philologus aliquis, hinc grammaticus, hinc philosophiae deditus, alius alio curam suam mittit. Philosophus admiratur contra iustitiam dici tam multa potuisse. Cum adhanc eandem lectionem philologus accessit, hoc subnotat: duos Romanos regesesse quorum alter patrem non habet, alter matrem. Nam de Servi matre dubitatur; Anci pater nullus, Numae nepos dicitur. Praeterea notat eum quem nos dictatorem dicimus et in historiis ita nominari legimus apud antiquos magistrum populi vocatum. Hodieque id extat in auguralibus libris, et testimonium est quod qui ab illo nominatur magister equitum est. Aeque notat Romulum perisse solis defectione; provocationem ad populum etiam a regibus fuisse; id ita in pontificalibus libris †et aliqui qui† putant et Fenestella. 34 Cf. PLUTARCHUS, De audiendis poetis, ed. André Philippon, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1987, 30 D. 35 Cf. NUCHELMANS, Studien, p. 30. 36 PORPHYRIUS, Vita Plotini, ed. Paul Henry, Hans Rudolf Schwyzer, Oxford, Clarendon Press, 1964, 14: cf. JEAN PÉPIN, Philólogos/Philósophos, in Porphyre. La Vie de Plotin, ed. Luc BRISSON, 2 vol., Paris, Vrin, 1992, II, pp. 477-501. 37 GREGORIUS NAZIANZENUS, Oratio IV, ed. Leonardo Lugaresi, Firenze, Nardini, 1993, 105,1. Gregory continues to list a series of carefully chosen and elevated words, as caricatural examples of the Attic tendency already scorned by Lucian. On the passage cf. notes ibid., p. 385 ff. 38 MAC. MAGN., Apocr. IV, 240, 6-9 ŚŻŴŨŽůȤŴźſŴŨɦůŰŸŶɠűɖŲɃŪſŴȎŲŲȌűŨɄ ŹżɓūŷŨÎŶŲŲɵŴűŨɄŲɃŨŴȧÎŰżŨŴɵŴ ɱŹÎŬŷȧŵɟÎŶůȤŹŬſŸźŰŴɔŸūŰŨźŷȤÎŬŰŴɟÎkəžŰŴ

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of the passage allows for the identification of some clues to Macarius’ controversial technique. Goulet’s interpretation of the expression ɱŹÎŬŷ ȧŵɟÎŶůŤŹŬſŸźŰŴɔŸ (“comme à la suite de quelque dessein”) is not convincing, since the heathen’s intention is clear. In the context of the narrative situation (an audience of illustrious men), we would think that the acceptation of “subject, theatrical part” can be conferred on ɟÎɓůŬŹŰŸ. An interesting parallel can be found in an episode of The Life of Demosthenes when Plutarch describes the appearance in public of the orator richly dressed and with a garland on his head for the death of Philip, notwithstanding the death of his daughter just a few days earlier. In this way, as a true statesman, he has placed the good of the community above domestic sadness and has shown far more dignity than the actors who portray kings and tyrants, who laugh and cry in the theatres not because they desire to do so but as the subject of the action demands (ɯŸɕȎŪɮŴ ȎÎŨŰźŬɋÎŷɔŸźȭŴɟÎɓůŬŹŰŴ).39 Moreover, there is at least one other theatrical reference in Macarius’ speech: the verb ūŰŨŹÎŨŷȋźźſ is recorded in Aeschylus and particularly in Euripides’ The Bacchants, when mentioning the body of Pentheus torn to pieces.40 It is a typical word used in tragedy to indicate the breaking of links or dismembering, taken up by Macarius for the heathen’s attack on Christian doctrine. The verb ūŰŨźŷȤÎŬŰŴ is also worthy of attention. Generally used in a military context,41 it acquires particular importance in this controversial context. In De capienda ex inimicis utilitate, Plutarch recalls a phrase spoken by Nestor to Agamemnon and Achilles to show how greatly their dispute could harm the Greeks and please the Trojans: bearing in mind this maxim allows for directing elsewhere, turning away and removing what could make our enemies laugh and be happy (ȧÎŰźŷȤżŬŰ űŨɄ ūŰŨźŷȤÎŬŰűŨɄȎżɃŹźŮŹŰźɵŴźŶŰŶɝźſŴȧżkŶɍŸŶɅȧŽůŷŶɄŽŨɃŷŶŻŹŰűŨɄ űŨźŨŪŬŲɵŹŰ). Artists and musicians, Plutarch continues, do not give their best performance when they are alone in the theatre, but they apply themselves much more when they are participants in a competition. Thus he who knows that the enemy is a rival in life and in reputation, thinks more ɅűŨŴɵŴȮųȢŸȧÎŰźŮūŬɝŹŨŸÎŷŶŹɭÎſŴ űŨɄźȭŴȎÎŶŹźŶŲŰűȭŴųŬźȌŪȤŲſźŶŸÎŶŲŲŶɥ ūŰŬŹÎȋŷŨźźŬūɓŵŨŴ 39 Cf. PLUTARCHUS, Demosthenes, edd. Robert Flacelière, Émile Chambry, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1976, 22,5. Among the criticisms that Demosthenes’ behaviour had provoked was Aeschines’ accusation that he was a bad father. 40 Cf. AESCHYLUS, Persae, ed. Paul Mazon, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1984, 194 ff. Dž ūk ȧŹżȋūȠŭŬ űŨɄ ŽŬŰŷŶɋŴ ȪŴźŮ ūɃżŷŶŻ  ūŰŨŹÎŨŷȋŹŹŬŰ e EURIPIDES, Bacchae, ed. Henri Grégoire, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1979, 1219 ff. ŝȤŷſźɓūkŬɟŷɮŴȧŴŒŰůŨŷɵŴŶŸÎźŻŽŨɋŸūŰŨŹÎŨŷŨűźɓŴ. 41 Cf. POLYBIUS, Historiae, ed. Paul Pédech, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1970, II, 47, 8 śŶɝŸźŬÎŶŲŲŶɞŸźɵŴƧŽŨŰɵŴūŰŨźŷȤžŬŰŴ; ed. Paul Pédech, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1977, V, 4, 10 źŶɞŸŴŬŨŴɃŹűŶŻŸūŰȤźŷŬžŨŴ źŶɥųȭźŬŲŬŹŰŶŻŷŪŶɥŹŨŰźȭŴűŨźȋŲŮžŰŴźɁŸÎɓŲŬſŸ

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about himself, observes his own actions, gives order to his own life.42 It is interesting to note that Macarius, in the same way as Plutarch, appears to use the verb ūŰŨźŷȤÎŬŰŴin a strong meaning: the heathen intends to deter the Christian from his absurd beliefs, totally ridiculous to the eyes of learned men. The rhetorical and controversial atmosphere which surround the debate between the two contenders is confirmed.

2. THE HYDRA AND THE IMAGES OF DEBATE Having listened to the heathen’s arguments regarding the absurdity of the Christian doctrine, Macarius records the audience’s reaction and his will to reply: ŔŬźȌźŶŹŨɝźŮŴűŶųžŬɃŨŴűŨɄūŬŰŴɓźŮźŨŲɓŪſŴ ÎȢŹŨųȥŴȪÎźŮŵŬŴ ȮźɵŴÎŨŷɓŴźſŴȎűŷɓŨŹŰŸ ÎȢŹŨūȥŹŻŴŬŹźȋŲŮȮźɵŴŲŶŪȋūſŴ ŨɉŹůŮŹŰŸŁȮųŬɋŸūȥźɔŴűŨŴɓŴŨźɁŸŒŨŰŴɁŸŌŰŨůȬűŮŸÎŷŶÎŮŲŨűŰŭɓųŬŴŶŴ ŶɡźſůŬŨŹȋųŬŴŶŰ źɔŴŴŶɥŴȧÎŲȬŪŮųŬŴűŨɄźȭŴžŻŽȭŴȯŲŪȬŹŨųŬŴ űŨɄÎȢŹŨŴźŶɥŹɭųŨźŶŸŨɉŹůŮŹŰŴȧźŨŷȋŽůŮųŬŴ ɯŸųŰűŷŶɥŲȤŪŬŰŴ űŨɄȮųȢŸŁ€ŒɝŷŰŬ ŹɵŹŶŴȎÎŶŲŲɝųŬůŨŒŁźŶŹŨɝźȿūȥųŮŽŨŴɁŸŭȋŲȿ űŬűŻűŲſųȤŴŶŰ ȎŶŷȋźʁūȤÎŶůŬŴȧÎŰűŶŻŷɃȠůŨŷŷȬŹŨŴźŬŸ ÎŷɔŸźȭŴ ȧÎŰűŬŰųȤŴŮŴȪŹźŮųŬŴűŨźŨŰŪɃūŨ ȎŴźŰÎŷɓŹſÎŶŴŨɠźɂźȭŴźŶɥƨŪɃŶŻ ŘŴŬɝųŨźŶŸŹŻųųŨŽɃŨŴÎŶŰŶɝųŬŴŶŰ űŨɄūɃűŮŴŬɆŷŬŹɃŨŸźȭŴűɭÎŮŴ źŰŴȋźźŬŰŴźɁŸŪŲɭźźŮŸȯŷŵȋųŬůŨűŨɄźɔÎŷɵźŶŴÎŨźȋŹŹŬŰŴűɥųŨ űŨźŬŹÎŬɝŹŨųŬŴśŶɥźŶūkȴŴźɔÎŬŷɄźŶɥŹŽȬųŨźŶŸźŶɥűɓŹųŶŻűŨɄ ÎɵŸÎŨŷȋŪŬŰǧŴźſŸɱŹÎŬŷźɔżŨŰŴɓųŬŴŶŴźŶɥűɓŹųŶŻÎŨŷȋŪŬŰ ŹŽɁųŨ ŶɡźſŸÎŨŷɁŲůŮŴȮżŨŴźŨŹɃŨźŶɥŲȤŪŶŴźŶŸ ŶɡźſźɔŴȤżŶŸ źɁŸŹŶżŰŹźŰűɁŸȧŹűŬūȋŹůŮűŨűɃŨŸ ŶɡźſźɔũŷŨźźɓųŬŴŶŴűɥųŨźɵŴ ŲɓŪſŴȪÎŬŹŬŴ. After all this boasting and terribleness of speech, the ears of those who stood by were full of fear, and the understanding of our chosen witnesses was contracted. We, perceiving the canon of the New Testament thus trampled underfoot, were smitten in mind and sick in soul, and troubled in every bodily sense, so that we almost said, “Lord, save us, we perish.” Encircled by so great a storm of cunning devices, but encouraged by some unseen assistance, we stood facing the hurricane which came down upon us, making the Holy Spirit our ally

Cf. PLUTARCHUS, De capienda ex inimicis utilitate, ed. Robert Klaerr, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1989, 87 F - 88 A. In An seni sit gerenda respublica, ed. Marcel Cuvigny, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1984, 788 F Plutarch defines ŲɓŪŶŸūŰŨźŷŬÎźŰűɓŸ a verse (258) of Euripides’ Orestes (ŔȤŴkɶźŨŲŨɃÎſŷk  ȎźŷȤųŨŹŶɋŸȧŴūŬųŴɃŶŰŸ) when it is used to describe a white-haired man who starts behaving like a young boy and when it refers to an old man who stirs from a long period of torpor as from an illness and throws himself into being a strategist and secretary. 42

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against the face of it. Then, like men rowing in a boat, we began to ply the oars of our tongue and hastened to smite the first of the waves. This concerned the figure of the world and how it passes. In truth, in the same way as the apparent figure of the world passes, so passed the spectacle of the orator, so dispersed the cloud of Sophist wickedness, so fell the vivacious wave of his discourses.43

The highly imaginative proem with which Macarius prepares to counter the opponent’s argument develops from the evangelical episode of the tempest in which the twelve, alarmed by the change in the sea, ask the Lord to awaken and save them (Matthew 8, 23-27). The fear of the twelve is echoed in the dismay of the audience, which has heard the heathen’s elegant and terrible words (źŶŹŨɝźŮŴ űŶųžŬɃŨŴ űŨɄ ūŬŰŴɓźŮźŨ ŲɓŪſŴ)44 and Macarius’ fear of succumbing. His reaction comes from seeing the rule of the New Testament misinterpreted45: various occurrences of the verb ÎŷŶÎŮŲŨűɃŭſ(to cover in mud)can be found in the classical period and notably in Plato’s dialogues. In particular, at the end of the Gorgias, after having narrated the myth of the underworld, Socrates exhorts his interlocutor to be good more than to appear good and to avoid committing injustice more than suffering it. He who cultivates virtue will use rhetoric only for justice and will allow himself to be covered in mud, because there will be nothing to fear from what will happen to him.46 The evangelical scene of the tempest is associated with the Platonic memory that who is right need not fear violation nor be afraid of the embellished word because there is salvation from the justice that he practices, from the simple word of the Bible. Nevertheless, the image of the tempest is not only used to describe the fear provoked by the rival’s imposing oratory. It is expanded using a multiplicity of nouns (ŭȋŲȿ and űŨźŨŰŪɃūŨ) and developed to define

MAC. MAGN., Apocr. IV, 252, 10-24. Cf. also MAC. MAGN., Apocr. III, 196, 21-25 śŶŹŶɥźŶŴźŶɥŲŶŪȋūŶŸȦŹųɔŴ ɟÎŶůȤŹŬſŴűŨźȌŘŨɝŲŶŻūŶŴȬŹŨŴźŶŸűŨɃ űŨůȋÎŬŷųŬŲɃŹŹŨŸźȤſŸȮŹŻűŨŭŶɝŹŨŸ źɔ źɵŴ űŬżŨŲŨɃſŴ ÎŲɁůŶŸ űŨźŬÎŨɎŵŨŴźŶŸ ŲɓŪʁ ÎŶŲŲʃ  ȮųŬɋŸ ŶɍŨ űȤŴźŷŶŰŸ źŶɋŸ ȎÎŶŷŶŻųȤŴŶŰŸȧŴűɝűŲʁÎŲŮźźɓųŬŴŶŰ ȎŴȋŪűȿÎȋŹȿÎŷɔŸȨűŨŹźŶŴŹźȋŴźŬŸȧųŨŽɓųŬůŨ; IV, 318, 4 ff. śŶŹŨɝźŮŴɕǁŲŲŮŴūŬŰŴɓźŮźŶŸŬɉŹżŷŮŹŰŴȧųũŨŲɮŴźŶɋŸŭȬźŮųŨŹŰŴűŲŶŴŬɋŴ ȪūŶŵŬŴȮųȢŸűȎŴźʃźɁŸȎųŮŽŨŴɃŨŸũŬũŲŮűȤŴŨŰůŶŷɝũʁŁȮųŬɋŸūȥűŷŻżɂ. 45 GOULET, Monogénès, vol. II, p. 413, excludes that the expression indicates the canon of the NT and thinks that it is a more general periphrasis to define the NT . 46 Cf. PLAT., Gorgias 527 c-d ŒŨɄźɂɛŮźŶŷŰűɂŶɡźſŽŷŮŹźȤŶŴȧÎɄźɔūɃűŨŰŶŴȎŬɃ ŒŨɄȪŨŹɓŴźŰŴȋŹŶŻűŨźŨżŷŶŴɁŹŨŰɯŸȎŴŶȬźŶŻűŨɄÎŷŶÎŮŲŨűɃŹŨŰ ȧȌŴũŶɝŲŬźŨŰ  űŨɄŴŨɄųȌŌɃŨŹɝŪŬůŨŷŷɵŴÎŨźȋŵŨŰźȭŴȑźŰųŶŴźŨɝźŮŴÎŲŮŲȬŴŁŶɠūȥŴŪȌŷūŬŰŴɔŴ ÎŬɃŹŬŰ  ȧȌŴ źʃ əŴźŰ ȼŸ űŨŲɔŸ űȎŪŨůɓŸ  ȎŹűɵŴ ȎŷŬźȬŴ. And just before (527), anticipating the arrival of his interlocutor before the judge Aeacus, Socrates imagines that he will be openmouthed and lost (ŽŨŹųȬŹŬŰűŨɄŬɆŲŰŪŪŰȋŹŬŰŸ) and perhaps someone will slap him dishonourably and will overwhelm him with insults (űŨɃŹŬɉŹſŸźŻÎźȬŹŬŰ źŰŸȧÎɄűɓŷŷŮŸȎźɃųſŸűŨɄÎȋŴźſŸÎŷŶÎŮŲŨűŰŬɋ . 43 44

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Macarius’ reply. To confront the tempest, the Christian is forced to put his hand on the oar of the tongue and smite the wave, which represents the heathen’s first objection. Thus, the original Biblical image is broadly passed over and the wave, which we see as the opponent’s argument, must be struck as when one rows. Macarius, whose strength comes once again from the unseen help from his alliance with the Holy Spirit, will therefore have to resort to his rhetorical skills to outweigh his opponent. There is another aspect to consider: the metaphor of the oar of the tongue, which indicates the word which strikes the adversary is carefully chosen and even convoluted. Regarding this, some verses from Dionysius Chalcus, a 5th century elegiac poet and rhetorician, recorded by Athenaeus, come to mind: śɔŴźŬŹɔŴȎŷŽŨɋŶŴźŮŲŬūŨÎɓŴźŬżɃŲŶŴ / ŬɆŷŬŹɃȠ ŪŲɭŹŹŮŸȎÎŶÎȤųžŶųŬŴȧŸųȤŪŨŴŨɌŴŶŴ / źŶɥūkȧÎɄŹŻųÎŶŹɃŶŻŁūŬŵŰɓźŮŸ źŬŲɓŪŶŻ/ŝŨɃŨűŶŸŔŶŻŹɵŴȧŷȤźŨŸȧÎɄŹȤŲųŨźŨÎȤųÎŬŰ.47 Although the meaning of this text is rather unclear, as Garzya notes, it does contain a hint of subtle humour in intentionally parodic style.48 The intent here is not to enter into details of the work but to consider the carefully selected and bold style influenced by the contemporary sophistry and the image which has certain similarities and not dissimilar results in Macarius too. On the other hand, going back through the text of the Apocriticus, we can immediately see how in his plans, Macarius uses images to express his defence strategy with clear rhetorical intent. When he introduces his reply to another series of the heathen’s objections in the third book, Macarius writes: ŗɡźſűŨźŨűŷŶŻŹůȤŴźŶŸźŶɥźɁŸŬɠŹŬũŬɃŨŸūɓŪųŨźŶŸűŨɄųŰűŷŶɥ ŹŬŰŶųȤŴŮŸ źɁŸ źɵŴ ŽŷŰŹźŰŨŴŰűɵŴ ÎŬŷŰũɓŲſŴ űŷŮÎɃūŶŸ  ȪŷŬŰŹųŨ ŲɓŪſŴ ɅűŨŴɵŴ ȮųŬɋŸ ȧŭŮźȬŹŨųŬŴ  ŬɌźk ɰŽŻŷſųȤŴŶŴ űŨůȋÎŬŷ ÎŶŲŬųɃʁ ÎɝŷŪŶŴ ȎŴŬŹźȬŹŨųŬŴ  ȧŴ ɿ ÎŬÎŶŰůɓźŬŸŁ ÎŶŲŲȌŸ ųȥŴ ɛŮųȋźſŴ ȎűɃūŨŸ ūŬŽɓųŬŴŶŰ  ȑźŷſźŶŰ ūŰŬųŬɃŴŨųŬŴ  ÎŶŲŲȭŴ ūȥ ŹŶżŰŹźŰűɁŸūŬŰŴɓźŮźŶŸżŨŷȤźŷŨŴűŬŴſůŬɋŹŨŴȯŴȤŪűŨųŬŴŁűŨɄūȭźɁŸ ÎŨŴźŬŻŽɃŨŸűŨɄźŶɥźŨɝźŮŴűŨźȤŽŶŴźŶŸŲŶŰÎɔŴȎÎŶűȋųŴŶŴźŶŸȧű źŶɥɛŶŰŭŮūɔŴűŨůkȮųɵŴũŬŲɵŴȯűŶŴŮųȤŴſŴźƂŵŶŴȎÎŬŻůɝŴŬŰŴ ȮųŬɋŸ

DIONYSIUS CHALCUS, ed. Bruno Gentili, Carlo Prato, 2 vol., München-Leipzig, Saur, 2002, II, frg. 3. On Dionysius Chalcus cf. PAOLA ANGELI BERNARDINI, ‘Sfairai’ e ‘kylikes’ nel simposio: un’immagine agonistica in Dionisio Calco, fr. 2,3-4 Gent.-Pr., in «Nikephoros» III (1990), pp. 127-132; CARLES MIRALLES, Dionisio Calco: tradizione e innovazione nell’elegia del V secolo, in Tradizione e innovazione nella cultura greca da Omero all’età ellenistica. Scritti in onore di Bruno Gentili, ed. Roberto Pretagostini, 3 vol., Roma, GEI, 1993, II, pp. 501-512. 48 Cf. ANTONIO GARZYA, Dionisio Calco (Contributo all’elegia del V sec. a. C.), in «Rivista di Filologia e Istruzione Classica» XXX (1952), p. 205. He lists some passages in which the metaphor of rowing returns (p. 204), but none seems related to that of Dionysius Chalcus, who also uses this metaphor in frg. 5 Gentili-Prato; on this type of metaphor or in symposium poetry cf. WILLIAM J. SLATER, Symposium at sea, in «Harvard Studies in Classical Philology» LXXX (1976), pp. 161-170. 47

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THE NARRATIVE SECTIONS OF MACARIUS MAGNES’ APOCRITICUS

ȯŷȤųŨźɁŸŬɠźŨŵɃŨŸűŨźkŨɠźŶɥźȭŴÎŨŴŶÎŲɃŨŴȧůȬŵŨųŬŴűŨɄÎŷɭźŮŴ ɱŹÎŬŷȎżŬźŮŷɃŨŴŬɆŸŨɠźɔŴÎŬÎŶŰȬųŬůŨ. When the doctrine of godliness had thus been battered, and the foundation of the Christian bulwarks was almost shaken, we sought for the support of abundant arguments. Then we set up a fortified tower, so to speak, against the enemy, and trusting in this, and we remained un-wounded, although we had to face many wordy arrows, and we bore many an emptied quiver of cunning sophistry. And indeed when he who possessed his full armour at length began to grow weary from directing his bow against us with its sharpened darts and their rushing noise, we quietly directed our array against him and sharpened our weapons. We made our first letting-go, so to speak.49

The rhetorical procedure which Macarius employs to structure these images is evident: firstly, the opponent’s objections are compared to blows struck against the walls of Christianity and the metaphor develops from here, likening the rhetorician’s words to sharpened darts, which must be met with similarly vehement answers. Macarius constructs such images using methods of accumulation, plots and symmetric opposition, merging echoes from the literary tradition and always highlighting the heathen’s terrible strength of sophistic eloquence. The Christian opposes the opponent’s rhetorical paraphernalia (ÎŨŴźŬŻŽɃŨ) with the panoply of discipline and good order (źɁŸŬɠźŨŵɃŨŸźȭŴÎŨŴŶÎŲɃŨŴ).50 The culminating point of Macarius’ rhetoric is achieved when he prepares to reply to the opponent’s objection regarding Jesus’ words in the episode of the anointing in Bethany. Not without irony,51 the heathen is defined as the greatest in the field of Hellenic eloquence (ɕźɁŸȦŲŲŮŴŰűɁŸ ūŬŰŴɓźŮźŶŸȪŵŨŷŽŶŸ), after whose speech all remain silent and Macarius had the same feelings as the man who attacked with sword-thrusts a many-headed hydra, which, when one dragon-head was cut off,

MAC. MAGN., Apocr. III, 152, 1-10. For πŨŴźŬŻŽɃŨ cf. AESCHYLUS, Septem contra Thebas, ed. Paul Mazon, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1984 [1921], 31; EURIPIDES, Supplices, ed. Léon Parmentier, Henri Grégoire, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 1976 [1923], 1192; ID., Heraclidae, ed. Gilbert Murray, Oxford, Clarendon Press, 1955 [1902], 720 and 787; Macchabeorum liber IV, ed. Alfred Rahlfs, Stuttgart, WBG, 3, 12 (v. l. ÎŨŴŶÎŲɃŨ); for ÎŨŴŶÎŲɃŨ cf. PAULUS, Epistula ad Ephesios, edd. Eberhard Nestle, Erwin Nestle, Kurt Aland, Stuttgart, WBG, 6, 11 ƼŴūɝŹŨŹůŬźȭŴÎŨŲŶÎŲɃŨŴźŶɥůŬŶɥÎŷɔŸźɔūɝŴŨŹůŨŰ ɟųȢŸŹźɁŴŨŰÎŷɔŸźȌŸųŬůŶūŬɃŨŸźŶɥūŰŨũɓŲŶŻ. 51 The term is used ironically in Demosthenes (Oratio XVIII, ed. S. H. Butcher, Oxford, Clarendon Press, 1966 [1903], 313 [260]), where he describes the opponent at the head of thiasoi, holding tight and shaking harmless snakes, greeted by the old ladies with the title of head of the chorus (ȪŵŨŷŽŶŸ), leader, minister of the thyrsus, minister of the basket of sacred fruits and so on. 49 50

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immediately produced many heads instead of the one. Feeling somewhat like this, we continued exhausted for a space. For no sooner did we with persuasiveness explain three or four or five propositions of his, than he, in imitation of the mythical hydra, when one was explained, put forward countless further questions, thus proposing endless study concerning the matters in dispute. He therefore forthwith, after raising questions on so many points, declared that it was for us to make answer to each. And we, recalling to mind the things he had spoken, replied as follows, beginning with his first inquiry.52

The image of the hydra to describe the undertaking of a difficult task is part of the Greek tradition. Plato writes in the Republic that the people intent on issuing and correcting laws, since they are convinced of finding a way to end fraudulent contracts, in truth ignore that it is like cutting the head of a hydra (ȎŪŴŶŶɥŴźŬŸɗźŰźʃəŴźŰɱŹÎŬŷǮūŷŨŴ źȤųŴŶŻŹŰŴ).53 Plutarch also describes Alexander the Great’s military activity as the action of cutting, among untrustworthy and tempting people, the hydra which always springs up again with new wars (ȧŴ ȪůŴŬŹŰŴ ȎÎɃŹźŶŰŸ űŨɄ ȧÎŰũŶɝŲŶŰŸ ɣūŷŨŴ źȤųŴſŴ ȎŬɃ źŰŹŰ ÎŶŲȤųŰŶŰŸ ȧÎŰũŲŨŹźȋŴŶŻŹŨŴ).54 Zenobius (V1,26) is also witness to this same tradition when he explains the saying “cutting the head of the hydra” as referring to something which is impossible to achieve, in his collection of proverbs.55 Yet what strikes the reader in Macarius’ words is the expansion of the image; on the one hand it brings together the continuous springing up of the monster’s heads and the flood of objections from the opponent, while on the other, following the adversary’s request, he usefully justifies the decision to refute every single objection time and time again. Here Macarius, far from simply introducing his reply, appears to find pleasure in depicting the most monstrous figure possible, lingering over horrifying details, and using words chosen just for this: for example, “of the many MAC. MAGN., Apocr. III, 84, 23-85, 4 DžųŬɋŸ ūȥ źŨɠźɔŴ ÎŨůɓŴźŬŸ źʃ ÎŶŲŻűȤżŨŲŶŴɡūŷŨŴźŶųŨɋŸȧÎŰűŨɃŶŴźŰ ȰźŰŸųɃŨūŷŨűŶŴźɭūŮŸźŬųŴŶųȤŴŮűŬżŨŲȭ ÎŶŲŲȌŸȎŴźɄųŰȢŸȧŵŨɃżŴŮŸȎŴŬūɃūŶŻ źŨɠźɔŴÎŨůɓŴźŬŸųŰűŷŶɥŹŻŴŬűȋųŴŶųŬŴŁȧŴɗŹȿ ŪȌŷȧżȋÎŨŵźŷŬɋŸŨɠźŶɥÎŷŶźȋŹŬŰŸȳźȤŹŹŨŷŨŸȳÎȤŴźŬÎŰůŨŴɵŸȧŵŬŲɝŶųŬŴ źȭŴ ɡūŷŨŴŶɧźŶŸźȭŴȧŴųɝůŶŰŸųŰųŶɝųŬŴŶŸ ųŰȢŸŲŻůŬɃŹŮŸ ųŻŷɃŨŸŭŮźȬŹŬŰŸÎŷŶɠũȋŲŲŬźŶ ȑÎŬŰŷŶŴȧŴźŶɋŸȎÎŶŷŶŻųȤŴŶŰŸźȭŴůŬſŷɃŨŴÎŷŶźŬɃŴſŴʼnɠźɃűŨūkŶɦŴȧŴźʃÎŨŷɓŴźŰ źŶŹŶɝźſŴÎŷŶůŬɄŸűŬżŨŲŨɃſŴŭŮźȬųŨźŨÎŷɔŸȨűŨŹźŶŴȮųȢŸȪŲŬŪŬŴȎÎŶűŷɃŴŬŹůŨŰ ŘȋŴźſŴ ūȥ źɵŴ ŲŬŽůȤŴźſŴ ȎÎŶųŴŮųŶŴŬɝŹŨŴźŬŸ ŬɉÎŶųŬŴ ȎÎɔ źɁŸ ÎŷɭźŮŸ ȎŷŵȋųŬŴŶŰÎŬɝŹŬſŸ. 53 Cf. PLAT., Resp. 426 e. 54 Cf. PLUTARCHUS, De Alexandri fortuna, ed. Annamaria D’Angelo, Napoli, D’Auria, 1998, 341 F. 55 Among the proverbs referred to inconclusive actions, this one is at a higher level than the popular ones, since it draws on myth: cf. I proverbi greci, ed. EMANUELE LELLI, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, 2006, p. 471. 52

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THE NARRATIVE SECTIONS OF MACARIUS MAGNES’ APOCRITICUS

heads” (ÎŶŲŻűȤżŨŲŶŸ) recalls the monstrous beast which Plato depicts in the Republic as the image of the soul, while “wreathed with snakes” (ūŷŨűŶŴźɭūŬŰŸ) recalls the Erinyes from which Orestes begs his mother to save him.56 They are only details and yet they demonstrate Macarius’ satisfaction with rich, plentiful and almost Baroque imagery in which the specific object of the debate is taken over by an erudite display or bold expressions. At the beginning of the 9th century, the Patriach of Constantinople Nicephorus I (April 12th, 806 - March 13th, 815)57 discovered a complete manuscript of the Apocriticus. In theƼÎɃűŷŰŹŰŸ, written in the years 814815 and addressed to the Orthodox,58 before quoting some of Macarius’ passages against the Iconoclasts, he felt it necessary to provide some details on the author and his work, his aim being to attack the Greeks and in particular, a disciple of Aristotle’s school: who brings great boasting for heathen wisdom (ųȤŪŨūȥȧÎɄŹŶżɃȠźɂ ůɝŷŨůŬŴűŬűźŮųȤŴŶŴźɔżŷɓŴŮųŨ), raises the eyebrow terribly (ūŬŰŴɵŸ źȭŴ ɖżŷɥŴ űŨźȌ źɵŴ ɅŬŷɵŴ ȎŴŨŹÎɵŴźŨ ūŶŪųȋźſŴ) against the sacred doctrine and thanks to the contrivances and persuasive means of his art, speaks with presumption (źŶɋŸ ȧű źɁŸ ŶɆűŬɃŨŸ źȤŽŴŮŸ űŨźŨűŶųžŬŻɓųŬŴŶŴ) against the simplicity of our mystery.59

This passage contains a wealth of information which cannot be discussed here but it is important to note that Nicephorus’ synthetic presentation is almost a cento of terms from Macarius’ narrative prologue. Thus here we have an ancient reader confirming how the author of Apocriticus succeeded in his ironic intention through his careful choice of words in presenting the opponent as a haughty and grandiloquent rhetorician. Alessandro Capone Università Salento - Lecce 56 Cf. PLAT., Resp. 588 and EURIPIDES, Orestes, ed. Fernand Chapouthier, Paris, Société d’édition “Les Belles Lettres”, 2002, 256. 57 On Nicephorus cf. ROBERT P. BLAKE, Note sur l’activité littéraire de Nicéphore Ier Patriarche de Constantinople, in «Byzantion» XIV (1939), pp. 1-15; PAUL J. ALEXANDER, The Patriarch Nicephorus of Constantinople. Ecclesiastical policy and image worship in the Byzantine Empire, Oxford, Clarendon Press, 1958 and KRISTOFFEL DEMOEN, Expliquer Homère par Homère. Nicéphore de Constantinople philologue et rhéteur, in Studia Nazianzenica I, ed. B. Coulie, CC SG 32 (2000), p. 147 ff. 58 Cf. MICHAEL FEATHERSTONE, Opening scenes of the Second Iconoclasm: Nicephorus’s Critique of the citations from Macarius Magnes, in «Revue des Études Byzantines» LX (2002), pp. 65-112. 59 Cf. ibid., p. 81

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ABSTRACT The analysis of the narrative sections of Macarius Magnes’ Apocriticus highlights the particular accuracy of the Christian reply from a rhetorical point of view, as testified by many classical reminiscences, used to discredit the opponent, and by recourse to the instruments of the polemic between rhetoricians, with the aim of presenting the exuberant eloquence of the heathen ironically. On the whole the study brings out the picture of a very polished author, who does not limit himself to confute the charges of his opponent, but intends to overcome him thanks to the vehemence of his argumentations and the elegance of his style. RÉSUMÉ L’analyse des sections narratives de l’Apocriticus de Macarios de Magnésie met l’accent sur la singulière précision de la réponse chrétienne d’un point de vue rhétorique, comme en témoignent les différentes réminiscences classiques, qui sont employées pour discréditer l’adversaire, et comme en témoigne l’appel à l’équipement typique des polémiques entre rhétoriciens, utilisé pour présenter d’une façon ironique l’exubérante éloquence du païen. Globalement, on saisit le portrait d’un auteur raffiné, qui ne se borne pas à réfuter les accusations de l’adversaire, mais qui a l’intention de l’accabler par la véhémence des argumentations et par l’élégance du style.

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LE CLAUSOLE METRICHE NEL TERZO LIBRO DELL’APOCRITICO DI MACARIO DI MAGNESIA

La rilevanza delle manifestazioni linguistiche auditive, rispetto a quelle visive, segna, com’è stato più volte evidenziato, il percorso della letteratura greca.1 Anche in epoca tarda,2 quando lo strumento di trasmissione e comunicazione viene affidato alla scrittura e la muta lettura subentra alla declamazione e alla dettatura, permangono, com’è noto, le occasioni in cui recitazione e ascolto giocano un ruolo determinante:3 si pensi al cerimoniale di corte o, per restare in ambito cristiano, alle liturgie ecclesiastiche e agli scritti polemici, la cui stesura, pur anche scritta, deve necessariamente ricorrere alle strutture dell’eloquio parlato. E se i vescovi, dinanzi alla folla dei credenti, per essere compresi “furono obbligati a dimenticare le regole del periodare retorico…… gli apologisti e i polemisti, rivolgendosi alle classi colte, adottano il linguaggio di queste”,4 vale a dire, declamano e scrivono seguendo le consuetudini oratorie, armonizzando le varie parti del periodo, i cola, sì da evitare stridori e dissonanze e rendono ritmica, in particolar modo, come la tra-

1 Sul tema dell’oralità nella cultura greca, cfr LIVIO SBARDELLA, Oralità. Da Omero ai Mass Media, ed. Carocci, Roma 2006. Lo studio, prezioso per l’ampia e ragionata raccolta bibliografica, fornisce una sintesi particolarmente interessante del fenomeno nella grecità. 2 Cfr WOLFRAM HÖRANDNER, Der Prosarhythmus in der rhetorischen Literatur der Byzantiner, Wien 1981, e, per il mondo latino, con riferimento al periodo che ci riguarda, FRANCESCO DI CAPUA, Il ritmo prosaico e le scuole romane di retorica dal III al IV sec. d. Cristo, in Atti del 2° Congresso Nazionale di Studi Romani, ed. Paolo Cremonese, Roma 1931. 3 Cfr HÖRANDNER, Der Prosarhythmus, p. 50. 4 Cfr FRANCESCO DI CAPUA, Il ritmo prosaico in S. Agostino, in Miscellanea Agostiniana, vol. II, Roma 1931, p. 609.

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dizione prescrive,5 la parte conclusiva, modulando la clausola secondo una successione ben definita di sillabe brevi e lunghe o accentate ed atone.6 È l’istruzione,7 impartita dal III al VI secolo, che abitua i giovani a comporre discorsi ritmicamente legati, insegnando le regole per tornire i periodi secondo gli stilemi di una scrittura capace di assoggettarsi alle leggi del ritmo prosaico, e «a terminare le frasi con quelle cadenze che l’esempio dei grandi retori e l’esperienza scolastica avevano indicato particolarmente gradite all’orecchio».8 L’impegno che lo scrittore profonde, nell’una o nell’altra direzione, nel rispetto, cioè, o nella riserva verso le regole scolastiche, potrebbe offrire interessanti informazioni non solo riguardo ai contesti e ai destinatari per i quali l’opera venne elaborata, ma, anche, sulla formazione dell’autore, talvolta su una probabile cerchia letteraria e, quindi, in assenza di altre fonti, su un’eventuale collocazione cronologica e logistica. Accade, ad esempio, che, in un periodo contrassegnato dalla diffusione di una pratica ritmica accentuativa, introdotta, secondo Wilamowitz,9 nel 340 d. C., dalla scuola di retorica ateniese, perduri una controcorrente quantitativa presso la cerchia culturale di Libanio, nella città di Antiochia e, in effetti, un’indagine da me condotta su due opuscoli giulianei10 sembra offrire conferma all’ipotesi avanzata dallo studioso. La cadenza finale dei periodi non solo risponde a combinazioni metriche, ma rispetta anche le associazioni ritmicamente predominanti, vale a dire le sequenze creticotrocaica, dicretica, ditrocaica, ipodocmiaca, spondaica, esametrica o eroica. 5 È Isocrate, secondo Cicerone, ad aver introdotto il numerus nella frase (cfr. CIC. Orat. III, 44, 173), ma già Aristotele si preoccupava della successione delle sillabe finali e raccomandava di porla in rilievo tramite il ritmo (cfr ARIST. Rhet. III, 8, 1408B ed il commento al passo di ALBERT W. DE GROOT, Der antike Prosarhythmus, Groningen 1921, p. 16). Per una raccolta delle fonti sul ritmo prosastico cfr i datati, ma preziosi contributi di ALBERTUS CURTIS CLARK, Fontes Prosae Numerosae, Oxonii 1909 e ALBERT W. DE GROOT, A Handbook of Antique Prose-Rhythm, Groningen - The Hague 1919. 6 Per l’esame del fenomeno nella prosa cristiana, oltre agli studi già citati di Di Capua, cfr HARALD HAGENDAHL, La prose metrique d’Arnobe, Göteborg 1937; JAN HENDRIK WASZINK, The tecnique of the clausula in Tertullian’s «De anima», in «Vigiliae Christianae» IV (1950), pp. 212-245 e, in periodi a noi più vicini, VALERIO UGENTI, Le clausole metriche nel «De idololatria» di Tertulliano, in Studi in onore di Arnaldo d’Addario, vol. II, Lecce 1995, pp. 385-408; ID., Norme prosodiche nelle clausole metriche del «De idololatria» di Tertulliano, in Studi sul cristianesimo antico e moderno in onore di Maria Grazia Mara, in «Augustinianum» XXXV (1995), pp. 241-258 7 Cfr, tra tutti, GEORGE KENNEDY, Greek Rhetoric under Christian Empire, Princeton, New Jersey 1983 e AVERIL CAMERON, Christianity and the Rhetoric of Empire. The Development of Christian Discourse, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1991. 8 Cfr FRANCESCO DI CAPUA, Il ritmo prosaico nelle lettere dei Papi e nei documenti della cancelleria romana dal IV al XIV secolo, vol. 1, Roma, 1937, p. 5. 9 ULRICH VON WILAMOWITZ,Lesefrüchte, in «Hermes» XXXIV (1899), p. 215. 10 Cfr ADELE FILIPPO, Considerazioni sul ɛŻůųɓŸ nella prosa giulianea, in «Rudiae» X (1998), pp. 225-265 (Giuliano Imperatore, le sue idee, i suoi amici, i suoi avversari; atti del convegno internazionale di studi, Lecce, 10-12 dicembre 1998).

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LE CLAUSOLE METRICHE

Certo le notizie biografiche, i contorni culturali, la collocazione storico-geografica, la compiutezza delle opere, la stessa formazione oratoria dell’Imperatore Giuliano sono elementi importanti per supportare, a priori, un esame in tal senso; con esitazione, invece, ho proceduto all’analisi sistematica del III libro dell’ Apocritico di Macario di Magnesia,11 un autore d’incerta e discussa fisionomia,12 di problematica collocazione storica e soprattutto geografica, la cui opera, una vivace controversia tra Macario (?) e un polemista pagano sconosciuto, è pervenuta fino a noi solo parzialmente. La scelta metodologica adottata, introdotta da Zielinski13 e successivamente rielaborata da De Groot14 e Hagendahl,15 si è volta alla verifica metrica delle sequenze finali dei periodi, contrassegnati, nell’edizione moderna,16 da una forte interpunzione (punto, punto in alto, punto interrogativo). Sono state, per il momento, escluse dal computo17 le clausole riguardanti situazioni di incertezza prosodica, vale a dire ricorrenze di vocale breve seguite da muta cum liquida, iato, sinizesi, corruzione del testo. Sono stati altresì omessi i periodi la cui estrema brevità inficia un’interpretazione metrica e quelli riguardanti le citazioni della Sacra Scrittura. Il risultato generale dell’indagine è il seguente: su 1074 periodi esaminati, sono state accantonate, per i motivi sopra espressi, 320 chiuse di periodo. Le restanti 754 parti conclusive, presentano tutte una clausola ritmicamente rilevante. La percentuale delle chiuse metriche è, quindi, del 100%. Prima di inoltrarmi nell’esame delle sequenze individuate, vorrei accennare ad una delle tante questioni rimaste aperte tra gli studiosi dell’opera, vale a dire, l’identificazione del polemista di Macario. Varie le ipotesi: Macario stesso, Ierocle, Porfirio, Giuliano Imperatore, un filosofo sconosciuto; molteplici i campi d’indagine: il tipo di

La presente ricerca si vale dell’edizione MACARIOS DE MAGNÉSIE, Le Monogénès. ed. Richard Goulet, 2 voll. Paris, Vrin, 2003. Il III libro si distingue, tra quelli a noi pervenuti, per la sua completezza. 12 Per il dibattito, tuttora in corso, relativo all’autore e al titolo dell’opera, rimando a GOULET, Le Monogénès, Vol. 1, pp. 41-51. 13 Cfr TADEUSZ ZIELINSKI, Das Clauselgesetz in Ciceros Reden. Grundzüge einer oratorischen Rhythmik, in «Philologus», Suppl. IX (1904), pp. 589-841. 14 DE GROOT,A Handbook, in partic. pp. 17-97. 15 HAGENDAHL, La prose metrique, in partic. pp. 26-69; per la griglia delle combinazioni metriche possibili nelle ultime otto sillabe conclusive di periodo, si vedano pp. 257-260. 16 L’edizione di Goulet, di cui si citano pagina e rigo, è alla base della presente indagine. 17 Ovviamente vengono valutate quelle situazioni in cui è possibile individuare una struttura metrica, anche se il dubbio prosodico riguarda l’ottava, la settima, talvolta la sesta sillaba. 11

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

modulo polemico, i rapporti dell’obiettore con le Sacre Scritture e la modalità delle citazioni, eventuali riferimenti storici, lo stile, il lessico ecc. 18 Alla luce di tali discussioni, mi è sembrato opportuno esporre i risultati della mia indagine, illustrando in successione quaestio e relativa solutio. La difforme ampiezza dei discorsi dei due interlocutori non frappone, infatti, forti ostacoli ad una valutazione e della tipologia delle clausole utilizzate e della loro ricorrenza in percentuale. Rispetterò pertanto la disposizione del testo proposta da Goulet, elencando la ripartizione dei periodi: Prologo: p. 72,1-10 La persona loquens è Macario. Consta di 5 periodi con clausola metrica19 Prime questiones: pp. 72,11-84,20 Il numero complessivo dei periodi nelle prime quaestiones è 78; i periodi accantonati20 sono 21. Le clausole metriche sono, dunque, 57. Prime solutiones: pp. 84,21-140,2. Più ampia ed articolata è la risposta di Macario:21 347 parti conclusive, 96 delle quali corrispondono a citazioni ed incertezze prosodiche di vario tipo.22 Una chiusa ritmica è presente in 251 casi. Seconde quaestiones: pp. 140,2-150,21 18 Cfr FRANCESCO CORSANO, Le quaestiones nell’«Apocritico» di Macario di Magnesia. Testo con traduzione e introduzione critica, Catania, Centro di studi sull’Antico Cristianesimo, 1968, pp. 5-29 e Le Monogénès, t. 1, pp. 65-149. 19 Un dicretico con la prima lunga soluta (= 21), una clausola trocaica (= 3) e due clausole secondarie. Per la loro trattazione cfr infra. 20 Muta cum liquida: pp. 74,8-9; 74,14-17; 76,20-22; 76,24-25; 80,12-16; iato: pp. 78,28-29; 84,1-2; testo corrotto: pp. 72,19-23; brevità del periodo p. 84,3 (titolo dell’obiezione); citazioni: pp. 74,1; 74,7-8; 74,10; 74,12-13; 76,7-14; 78,23-28; 80,10-12; 82,9-10; 84,3-4 (titolo dell’obiezione); 84,7-8; 84,11-13; 84,18-19. 21 Vengono inseriti nel conteggio, in questa sede, come inizio e conclusione del discorso di replica dell’oratore cristiano, i periodi relativi all’ intermezzo narrativo delle pp. 84,21-86,4, e della p. 140, della quale si utilizza solo il primo periodo, vale a dire la ricorrenza di muta cum liquida (p. 140, 1-2); i due successivi cola di questo intermezzo sono inseriti nel secondo discorso del polemista cristiano. 22 Muta cum liquida: pp. 86,1-3; 88,14-15; 90,14-19; 90,26-31; 92,12-13; 96,18-20; 96,20-22; 96,22-24; 100,1-4; 100,22-24; 102,33-104,1; 104,36-37; 106,8-9; 106,9-11; 116,8-15; 118,21-23; 122,18-21; 122,21-22; 126,5-6; 128,8-9; 128,16-17; 128,34-130,1; 130,23-132,4; 132,28-30; 136,20-22; 140, 1-2: iato: pp. 92,25-28; 102,25-27; 104,28-31; 108,18-20; 110,1832; 110,32-112,3; 112,9-11; 112,31; 120,9-12; 126,32-33; 128,20-21; 128,31-34; 130,16-17; 132,26-27; 136,13-14; 136,22-24; sinizesi pp. 86,3-4; corruzione: pp. 88,9-12; 88,27-90,1; 92,14-19; 96,25-31; 98,13-17; 100,12-13; 104,24-26; 124,16-19; 126,29-30; 132,25; 134,32; 138,15-24; brevità del periodo: pp. 86,16; 86,17; 92,28; 102,32; 104,2; 106,9; 118,26; 136,19; citazioni letterarie: pp. 86,15-16; 86,16-17; 86,17-18; 86,19-21; 96,24-25; 98,26; 100,7-8; 100,13-14; 102,2; 102,3-5; 102,6; 102,7-8; 102,13-14; 102,29-30; 106,11-12; 106,18-19; 106,23-108,12; 108,27-30; 110,3-4; 110.5; 116,3-5; 116,7-8: 120,27-32; 122,38-124,5; 124,1014; 124,26-31; 124,31-33; 126,9-27; 126,33; 128,17-18; 128,24-28; 130,6; 130,18-19.

274

LE CLAUSOLE METRICHE

Il totale dei periodi nel discorso dell’anonimo interlocutore è 76. Le parti conclusive con dubbi prosodici sono 26;23 le clausole metriche ricorrono 50 volte. Seconde solutiones: pp. 152,124- 188,8 Nella replica di Macario rinvengo 261 periodi, 87 dei quali sono stati temporaneamente messi da parte per i motivi precedentemente esposti.25 Le chiuse ritmiche ricorrono in 174 casi. Terze quaestiones: pp. 188,8-196,19 Il polemista pagano interviene una terza volta per un totale di 73 periodi, tra i quali 31 non vengono computati.26 Le ricorrenze metriche finali, di fatto, sono 42. Terze solutiones: pp. 196,2127- 234,4 L’intervento di Macario consta di 234 periodi, 59 dei quali sono di difficile collocazione28; 175 sono le clausole metriche.

23

Muta cum liquida: pp. 144,14-15; 144,20-21; 146,21; 146,22; 148,23-25; 150,9; iato: pp. 140,8; 140,21-22; 144,11; 148,1-3; sinizesi: pp. 148,18-20; testo corrotto: pp. 140,22; 142,14-16; 144,1-6; 148,28-150,1; estrema brevità: pp. 146,8; citazioni: pp. 140,9-10; 142,2225; 144,11-13; 144,28-29; 146,5-6; 146,23-25; 148,3-4; 150,10-12; 150,15-17; 150,17-18. 24 Nel discorso di Macario è inserito l’intermezzo narrativo esposto a p. 152, 1-13; ho altresì prolungato questo secondo intervento dell’oratore cristiano, includendo anche il primo periodo del successivo intermezzo narrativo, vale a dire, p. 188,8. I restanti periodi di questo intermezzo (p. 188, 8-13) entrano a far parte del terzo intervento del polemista pagano. 25 Muta cum liquida: pp. 152,17-25; 156,34; 162,25-26; 168,26-30; 170,5; 170,9-10; 170,22-24; 172,13; 172,14; 172,15-19; 174,2-3; 174,9-10; 174,11-12; 174,24-25; 176,5-9; 176,15-16; 178,15-17; 180,9-10; 180,10-15; 180,24-27; 180,29-30; 182,4-6; 182,26-27; 184,28-30; iato: pp. 154,3-6; 158,10-13; 158,17; 160,21-24; 162,26-29; 162,31-33; 166,2527; 170,20-22; 170,34-35; 172,11-12; 176,10-12; 176,18-20; 176,22-30; 176,33-35; sinizesi: pp. 162,21-23; 168,11-13; 172,2; corruzione del testo: pp. 154,6-8; 154,34-35; 160,30-33; 164,20-22; 168,23; 170,13-14; 176,12-15; 178,1-6; 186,26-27; 188,1-4; periodi eccessivamente brevi: pp. 158,2; 162,3; 170,15; 174,12; 176,16; 176,16-17; 176,17bis; 176,17-18; 176,18; citazioni: pp. 152,12-13; 154,24-5; 156,26-27; 158,9; 158,17-26; 158,31; 162,19-20; 166,3-5; 166,17-18; 166,22-23; 166,34-35; 168,4-5; 168,6-9; 168,21; 170,12-13; 172,12-13; 172,14; 172,14-15; 172,19-28; 174,3-4; 174,6; 174,8; 174,10-11; 182,10-12; 182,25-26; 182,30-31. 26 Muta cum liquida: pp. 188,8-11; 192,17-18; 194,17-18; 196,16-17; 196,17-19; iato: pp. 192,4-6; 192,30-31; 196,3; 196,11-13; sinizesi: pp. 194,24-25; corruzione del testo: pp. 188,22-23; 190,23; 194,9-11; 194,28-29; brevità: pp. 190,22bis; 194,2; citazioni: pp. 190,14-15; 190,18-21; 192,3-4; 192,7-9; 192,11-13; 192,14-15; 192,18-19; 192,32-194,1; 194,22-24; 194,25-26; 194,26-28; 194,29-196,2; 196,8-10; 196,10-11.

E’ considerato partecipe di questo terzo intervento in difesa della cristianità il periodo presente a p. 196. 21-25, appartenente all’ultimo intermezzo narrativo del libro III. 27

28 Muta cum liquida: pp. 208,35; 208,37; 210,31-32; 210,34-212, 3; 212,5-7; 218,33-36; 220,1-2; 220,23-28; 222,7-8; 228,3-8; 232,19-22; 232,30-31: iato: pp. 204,11-12; 210,9-11; 214,6-15; 226,4; 228,12-13; 228,26-28; 228,31-36; sinizesi: p. 206,27; corruzione del testo: pp. 198,12-17; 200,5-12; 202,1-3; 208,37; 208,38; 210,11-15; 210,18-23; 212,23-

275

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Sebbene il dato conclusivo computi 149 periodi ritmici da riferire all’interlocutore pagano e 605 al difensore della fede,29 pur tuttavia tale differenza quantitativa non comporta, nei discorsi dei due interlocutori, sfasature significative nella distribuzione percentuale delle clausole metriche e, come vedremo, non ci saranno eclatanti cambiamenti anche nella scelta dei metri conclusivi, tutti, in realtà, riferibili a quelle forme di organizzazione retorica prescelte e trasmesse dall’educazione scolastica. I periodi, nell’Apocritico, si chiudono, infatti, inserendosi in quel solco ritmico tradizionale che privilegia le clausole cretico-trocaica, dicretica, trocaica, ipodocmiaca, esametrica. ***** La clausola cretico-trocaica, è come segnala De Groot,30 di preferenza scelta da Plutarco, insieme al peone IV e al ditrocheo, ma evitata da Platone. Le sillabe lunghe del cretico e/o del trocheo, andando incontro a soluzione, generano alcune forme secondarie, anch’esse diffuse nella tradizione retorica. Gli schemi metrici sono i seguenti: 1 -ν--νƘ 11  ννν--νƘ 12  -ννν-νƘ 13 -ν-νννƘ 11-2 ννννν-νƘ 11-3 ννν-νννƘ 12-3 -ννννννƘ 11-2-3 ννννννννƘ 14  ----νƘ 15  -νν--νƘ 16  -νν--νƘ Nel primo discorso dell’obiettore pagano (pp. 72,11- 84,20) la clausola pura (=1) ricorre 4 volte, con un’incidenza del 7,01%. Tra le forme solute, viene preferita 14, con il molosso seguito dal cretico, che si attesta, con le sue 5 ricorrenze, ad una percentuale del 8,77; seguono le formulazioni ritmiche 13 (con 2 presenze e una percentuale del 3,50), 11 (interamente risolta nel polisillabo ȎŴŶŹŰŶɝŷŪŮųŨ), 12 e 15, usate tutte una sola volta. La loro ricorrenza è dell’1,75%. 25; 214,23-25; 220,28-32; 220,34; 220,34-222,1; 222,28-29; 224,16-18; 226,6-7; 226,34-35; 228,19-20; 232,27-30; citazioni: pp. 200,5; 204,15-16; 208,8-18; 212,14; 212,14-15; 212,19; 212,23; 222,27-28; 224,9-10; 224,31-32; 226,2-3; 226,7; 226,19; 228,17-18; 228,20-25; 228,28-29; 230,5-6; 230,10-16; 232,4-5; 232,26-27; incertezza prosodica: p. 218,22-23 relativamente alla quantità metrica della sillaba iniziale di ŲɃŨŴ 29 A questi, ovviamente vanno aggiunte le 79 e 242 chiuse di periodo, per il momento, accantonate. 30 Cfr DE GROOT, A Handbook, pp. 48-56 e p. 64.

276

LE CLAUSOLE METRICHE

Nella risposta del confutatore cristiano (pp. 84,21-140,2), la clausola 1 compare 27 volte, con una percentuale del 10,75. Molto spesso, nella replica, la forma si caratterizza per la posizione della prima lunga del cretico in fine di parola, seguita da un verbo o un sostantivo quadrisillabo31. Seguono, per rilevanza numerica, le clausole 14 e 15 (13 e 11 presenze: 5,17% e 4,38%); minore è la diffusione delle forme solute 13, 11, 12, che ricorrono rispettivamente 6, 5 e 3 volte (2,39%, 1,99% e 1,19%); due volte, infine, compaiono le clausole 11-2 e 12-3 ed una sola volta 11-3(con una percentuale dello 0,79 le prime e dello 0,39 la seconda). Fornirò ora i dati relativi alla diffusione della clausola nei due restanti blocchi della polemica, schematizzando, per semplificare l’esposizione, la loro frequenza e i dati percentuali: Pp. 140,2-150,21 Pp. 152,1-188,8

Pp. 188,8-196,19 Pp. 196,2132- 234,4

Pagano Claus. N° 1 5

% 10

Cristiano N° % 17 9,77

11

2

4

3

1,72

12

2

4

11

6,32

Pagano N° % 5 11,90

1

2,38

11-2 13

2

4

5

2,87

12-3

1

2

1

0,57

14

1

2

7

4,02

6

3,44

15

Cristiano N° % 21 12 3

1,71

5

2,85

1

0,57

1

2,38

6

3,42

2

4,76

9

5,14

7

4

31

Cfr, nella tabella relativa, pp. 94,17-20; 100,5; 100,5-7; 102,27-28; 104,26-28; 106,2-4; 112,7-9; 112,29-31; 116,24-27; 122,17-18; 130,6-10; 132,13-15; 134,9-11; 136,13; 136,14 ed anche, volendo rispettare la funzione connettiva esercitata dall’articolo (cfr MARIO CANTILENA, Il ponte di Nicanore, in Struttura e storia dell’esametro greco, Roma 1995, p. 20-24), pp. 102,21-24; 134,34-136,1.

277

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

In conclusione, la clausola cretico-trocaica ricorre, nel III libro dell’Apocritico, 208 volte, con un’incidenza complessiva del 27,58%; Essa rappresenta il 24,16% delle chiuse ritmiche33 dell’interlocutore pagano e il 28,42% delle 605 clausole34 di Macario35. Tutte le forme metriche, ad eccezione di 11-2-3, compaiono nell’opera. ***** Il cretico viene generalmente ritenuto la base fondante del ritmo prosastico, pertanto la clausola dicretica è, per usare la definizione di De Groot ‘overestimated’. In realtà, puntualizza lo studioso: «The deductive method in investigating antique prose-rhythm is, however, arbitrary and absolutely wrong. Only in a few writers, i.e. in Philo and in Plato the clausula -ν--ν- occurs as a favorite form».36 Allo schema metrico della clausola, nella sua forma di base, si aggiungono, come viene evidenziato nell’elenco che segue, altre combinazioni ritmiche, generate dalla soluzione di alcune sillabe lunghe del cretico. 2 -ν--ννƘ 21 ννν--ννƘ 22 -ννν-ννƘ 23 -ν-ννννƘ 21-2 ννννν-ννƘ 21-3 ννν-ννννƘ 22-3 -νννννννƘ 21-2-3 νννννννννƘ 24 ----ννƘ 25 -ν---νƘ 26 -νν--ννƘ Nel prologo narrativo, esposto da Macario, compare 1 dicretico nella forma 21.37 Nella restante parte del III libro, le ricorrenze della clausola si dispongono nel modo seguente:

32

È considerato partecipe di questo terzo intervento di difesa della cristianità il periodo presente a p. 196. 21-25, appartenente all’ultimo intermezzo narrativo del libro III. 33 In sostanza 36 clausole su 148 periodi. 34 Sono comprese in questo numero anche le cinque clausole del prologo narrativo, v. nt. 20. 35 Complessivamente 172 clausole rientrano nelle tipologie descritte. 36 Cfr DE GROOT, A Handbook, p. 58. 37 La ricorrenza, presente nel prologo narrativo a p.72,1-4, concorre alla formulazione della percentuale complessiva della clausola dicretica, indicata alla ¿ne del paragrafo.

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LE CLAUSOLE METRICHE

Pp. 72,11-84,20 Pp. 140,2-150,21 Pp. 188,8-196,19 Pp. 84,21-140,2 Pp. 152,1-188,8 Pp. 196,2138- 234,4 Pagano Cristiano Pagano Cristiano Pagano Cristiano Cl. N° % N° % N° % N° % N° % N° % 2 1 1,75 9 3,58 2 4 5 2,87 1 2,38 1 0,57 1 1 0,39 2 4,76 2 1,14 2 22 23

1 1,75 1 1,75

1 0,39 5 1,99

2

4

21-2 21-3

1

26

3 5,26 3 5,26

1,14 0,57

1

0,57

1

0,57

2 4,76 1 2,38

3 5

1,71 2,85

1

0,57

2

22-3 24 25

2 1

9 3,58 4 1,59

3

6

6 2

3,44 1,14

4 9,52 1 2,38

11 5

6,28 2,85

4 1,59

3

6

3

1,72

1 2,38

2

1,14

In accordo con De Groot, anche nel nostro testo, la clausola dicretica, con le sue 11739 ricorrenze non mostra, rispetto alla precedente struttura ritmica, una posizione privilegiata. E’ assente la forma 21-2-3, forse per l’abbreviazione di un eccessivo numero di sillabe; al contrario una maggiore incidenza (10 casi nel discorso di accusa e 25 in quello di difesa) sembra acquisire la clausola 24, un molosso seguito da cretico. Complessivamente la figura metrica compare 32 volte (21,47%) nei tre attacchi polemici dell’oratore pagano, e 85 volte (14,04%) in quelli dell’interlocutore cristiano; rappresenta, quindi, il 15,51% delle clausole del III libro dell’Apocritico ***** La clausola trocaica, rinomata presso alcuni scrittori, a partire dal IV secolo a. C. fino al periodo tardo40, ricorre in forma pura, vale a dire 38 E’ considerato partecipe di questo terzo intervento in difesa della cristianità il periodo presente a p. 196. 21-25, appartenente all’ultimo intermezzo narrativo del libro III. 39 Nel computo è compresa la clausola dicretica di p. 72,1-4. 40 Notevole la frequenza in Plutarco, Demostene, Trasimaco e nel periodo ellenistico: cfr, per i primi due autori, DE GROOT, A Handbook, pp. 23 e 34 e, per le successive attestazioni, ID., Der Antike, pp. 45, 60 e 63.

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

con un metron trocaico, 6 volte (10,52%) nelle prime quaestiones, 10 volte (20%) nelle seconde, 5 volte (11,90%) nelle terze; di rimando, 33 volte (13,14%) nelle prime solutiones, 17 (9,77%) nelle seconde e 20 (11,42%) nelle ultime. È interessante notare che spesso il nesso ritmico è racchiuso in un quadrisillabo o, con analogo effetto, in un trisillabo preceduto da proclitica. Rientrano in questa tipologia alcuni termini, ripetuti o in forma identica nel periodo successivo o con una diversa flessione grammaticale nelle immediate vicinanze. A tale proposito si osservino, nel primo intervento del pagano, il costrutto źŶɞŸųŨůŮźȋŸ (p. 82,24-27), ripreso, poi, dallo stesso oratore, nel secondo alterco (p. 146,10-16), nella variante źɵŴ ųŨůŮźɵŴ; quasi adiacenti, nella replica (pp. 102,30-31 e 102,33), si collocano źʃȎŷŰůųʃ e źŶɥȎŷŰůųŶɥ; due periodi successivi chiudono con il medesimo sintagmaźŶɋŸÎŲȤŶŻŹŰŴ (pp. 128,12-13 e 128,13-16); così, nella seconda solutio (p. 166,18-19), il sintagma ŬɆŸůȋŲŨŹŹŨŴritorna dopo un breve intervallo (p. 168,13-16). Talora la clausola si esplica in due bisillabi e risulta talmente felice da essere adoperata più volte, assurgendo quasi al rango di formula:ȪŴůŨ żŮŹɃ, pronunciato dal pagano, nel suo primo intervento denigratorio, per introdurre una citazione (p. 80,9-10), viene riutilizzato nella risposta del cristiano (p.128,23-24), ed è ancora presente nella successiva polemica (p. 142,22) e nella seconda e terza replica (pp. 168,19-21 e 206,28-29). Sovente la prima lunga del ditrocheo appartiene ad un termine polisillabico e un trisillabo chiude la sequenza; solo in tre casi (pp. 122,34-38; 146,3-5; 192 10-11) la conclusione è affidata ad un monosillabo ed è sempre żȋŸ a svolgere tale compito. * La soluzione delle sillabe lunghe dei trochei generano alcune clausole secondarie: la struttura metrica 31 ννν-νƘ non compare in nessuna delle tre invettive e anche nelle risposte rivela una limitata presenza: 3 ricorrenze nella prima e seconda replica (1,19% e 1,72%) e 1 sola, racchiusa in un polisillabo (p. 200,30-31 πŨŷŨūɃūſŹŰŴ) nella terza (0,57%). * Una maggiore simpatia viene riservata alla clausola 32 - ννννƘche scioglie in due brevi la lunga del secondo cretico.41 Nei tre blocchi discorsivi dell’anonimo polemista così essa viene distribuita: 3 esempi nel primo La clausola, come evidenzia DE GROOT, Der Antike, p. 54, pur con le riserve che Platone nutre nei confronti delle scelte metriche rispetto alla periodizzazione degli enunciati, viene apprezzata dal filosofo nei dialoghi della maturità. 41

280

LE CLAUSOLE METRICHE

ed 1 nel secondo e nel terzo, con un’incidenza percentuale del 5,26, 2 e 2,38; a tali presenze si contrappongono i 12 casi della prima e seconda risposta e i 7 della terza, con le rispettive percentuali del 4,78, 6,89 e 4. Il tipo più diffuso di questa formazione metrica prevede l’accorpamento delle brevi in un quadrisillabo;42 considerando, però, la funzione connettiva dell’articolo e di altre proclitiche, non mancano gli esempi di una risoluzione della clausola in un unico polisillabo e, tra questi, merita una segnalazione, nel primo intervento di replica, la ripetizione variamente declinata, źŶɥŔŶŴŶŪŬŴŶɥŸ (p. 88,19-20), źʃŔŶŴŶŪŬŴŬɋ (124,2123), źɔŴŔŶŴŶŪŬŴɁ (p.134,17-27).43 * Lo spondeo al posto del primo trocheo genera la clausola 33 ---νƘ . Il nesso, amato da Cicerone, cade in disuso dopo il terzo secolo, a causa, secondo Di Capua,44 della monotonia fonetica generata dalla successione di quattro lunghe. Il dispondeo conclusivo si configurerebbe, quindi, come una sciatteria stilistica.45 Nel III libro dell’Apocritico si incontrano, nel primo round di interventi, 6 casi per il pagano e 7 per Macario,46 tre dei quali, nella quaestio, causati dalla ripetizione del costrutto ∏ɵŸŬɉŷŮźŨŰ.47 Nel secondo alterco, le ricorrenze della clausola decrescono notevolmente, riducendosi a 2 attestazioni nell’eloquio pagano (4%), fino a sparire del tutto nell’ultimo intervento; s’intensificano, invece nelle repliche passando dai 9 casi (5,17%) della seconda ai 14 dell’ultima (8%). Sono, quindi, 173 (22,94%) le presenze complessive48 del nesso ditrocaico nel III libro dell’Apocritico, distribuite 34 negli attacchi polemici e 137 in quelli celebrativi49. *****

42

Per la precisione tre sillabe brevi più la finale considerata anceps. A p. 134,17-27, è senz’altro da accettare, a mio parere, l’integrazione del punto in alto che delimita la conclusione del periodo. 44 FRANCESCO DI CAPUA, L’evoluzione della prosa metrica latina nei primi tre secoli d. C. e la data dell’«Ottavio» di Minucio, in «Didaskaleion» II, 1, (1913), p. 16 s. 45 Esiste anche un’ulteriore forma della clausola (31-2 νννννν) che, forse per la sua estrema fluidità, al pari di altre varianti di forme metriche già esaminate, è assente nel testo di Macario analizzato. 46 Una percentuale del 10,52 nel primo intervento di polemica e 2,78% in quello di difesa. 47 Cfr. pp. 74,1; 74,10 e 82,9, quest’ultimo come titolo dell’argomentazione. 48 Nel conteggio viene inserito il ditrocheo presente nel prologo narrativo a p. 72,5-8, computato tra le clausole del difensore della fede. 49 Vale a dire lo 22,81% e il 22,64%. 43

281

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

La clausola ipodocmiaca, frequente, nella struttura base, nei dialoghi platonici della maturità50, ricorre nel testo da noi esaminato quasi51 in tutte le sue forme: 4 -ν-ννƘ 41 ννν-ννƘ 42 -νννννƘ 41-2 νννννννƘ 43 ---ννƘ Ancora una volta utilizzerò una tabella per descriverne la frequenza e la percentuale Pp. 72,11-84,20 Pp. 140,2-150,21 Pp. 188,8-196,19 Pp. 84,21-140,2 Pp. 152,1-188,8 Pp. 196,21-234,4 Pagano Cristiano Pagano Cristiano Pagano Cristiano Cl. N° % N° % N° % N° % N° % N° % 4 6 10,52 24 9,56 2 4 8 4,59 4 9,52 14 8 41 1 1,75 42

4

1,59

1

2

6

3,44

1 2,38

2 1,14

43

6 10,52 19

7,56

3

6

8

4,59

3 7,14

12 6,85

Le 124 presenze complessive (27 nei tre discorsi confutativi e 97 in quelli esplicativi) costituiscono il 16,44% delle clausole ritmiche del III libro. La forma più diffusa è quella pura (trocheo seguito da cretico) con 58 ricorrenze, leggermente distanziata dalla soluzione spondeo-cretico. Unico è il nesso metrico 41, inglobato nel polisillabo ȧÎŰżŨŴȤŹźŨźŶŸ (p. 72,12-19), che scioglie in due brevi la lunga del trocheo.52 Pochi sono i casi di soluzione della lunga del cretico (42), che fluidificano la chiusura del periodo con una successione di cinque brevi. Non mancano, anche per questo tipo di clausola, ricorrenze metriche racchiuse in un unico termine; per citare alcuni esempi, si vedano, per la forma pura: p. 78,6-8 ųŨŷźŻŷŶɝųŬŴŶŴ; pp. 98,34-100,1 ÎŲŮųųŬŲȬųŨźŨ; p. 112,37-38 űŨɄűŨźȬŪŶŷŶŸ; pp. 114,38-116,2 ŬɠŪŬŴȤŹźŬŷŶŸ; p. 118,7-10 źŶɋʮŸ ȎÎŶŹźɓŲŶŰŸ; pp. 120,33-122, 3 źȭŴ ȎŹɭųŨźŶŴ; p. 124,6-9 űŨɄ űŷŨźŶɝųŬŴŶŴ; p. 126,27-28 ūŰŨŹżŨŲȬŹŬźŨŰ; p. 130,21-23źɔŴūŰūȋŹűŨŲŶŴ; p. 134,12-14 ŶɠűȧÎȬŷűŬŹŬ; p. 154,28-32 űŨɄźŷŨżȬŹŬźŨŰ; p. 166,11-12

50

DE GROOT, Der Antike, p. 54 s. Non compare la sequenza 41-2. 52 In realtà il testo che immediatamente precede il costrutto è corrotto, non consentendomi altre interpretazioni; una precedente sillaba lunga, infatti, trasformerebbe questo tipo di clausola docmiaca in una sequenza dicretica. 51

282

LE CLAUSOLE METRICHE

źɔŴ ūŰūȋŹűŨŲŶŴ; p. 188,5-6 ŹŻŪűŨůŮųȤŴŶŰŸ; pp. 190,30-192,2 źȭŴ ÎŷŶŨɃŷŬŹŰŴ; per il tipo 43: p. 94,21-25 ȎŴŨŲſůȬŹŬźŨŰ; p. 134,6-7 ūŬŹųſźȬŷŰŶŴ; p. 134,34 źɁʮŸūŻŹżŮųɃŨŸ; p.160,6-9 ȎÎŶŹũŬŴŴɝųŬŴŶŸ. Come si può notare, un gran numero di questi termini è parossitono e il significativo accento ritmico della prima lunga del trocheo trova sostegno dalla coincidenza con l’accento tonico; il fenomeno è reso ancora più evidente laddove viene sostenuto da un monosillabo connettivo accentato che apre il trocheo. ***** Non particolarmente rilevante è la presenza della clausola esametrica o eroica (5 - νν-νƘ) . Il nesso, diffuso nella poesia, proprio per il suo alone poetico, non incontra molta fortuna nella prosa d’arte. E’ presente nei dialoghi giovanili di Platone, ma cade in disuso in quelli della maturità; Gorgia lo adopera con moderazione ed Egesia molto raramente.53 Nel nostro testo ricorre 49 volte (6,49%) e precisamente 2 casi (3,50% e 4%) nelle prime due quaestiones e 3 (7,14%) nell’ultima; nelle solutiones si computano 18, 16 e 8 casi, equivalenti rispettivamente al 7,17%, 9,19% e 4,57%. ***** Quattro volte è presente, nel III libro, il nesso 61, da riportare ad una clausola spondaica54 preceduta da cretico. Le 4 ricorrenze sono tutte nella seconda serie di interventi, una nel discorso del detrattore pagano e tre in quello di risposta. Irrisoria la percentuale metrica complessiva, equivalente a 0,53%. ***** Ricorrono, infine, nel testo preso in esame, alcune chiuse metriche attestate presso alcuni scrittori. Mi riferisco al nesso - νν-ννƘ , di fatto un emiasclepiadeo secondo, usato da Platone nelle Leggi e caro a Caritone e a Filone Alessandrino.55 Un esempio è in apertura, nel prologo narrativo, 2 casi nella prima questio, 1 nella seconda e 2 nella terza; nelle solutiones si passa da 12 presenze nella prima a 2 nella seconda e terza. In totale la clausola ricorre 21 volte, con un’incidenza percentuale del 2,78%. *

Cfr DE GROOT, Der Antike, pp. 55-58; 69-70. Considerando la presenza dell’anceps finale, ho preferito collocare la clausola spondaica pura tra le forme metriche ditrocaiche. 55 DE GROOT, A Handbook, p. 61. 53 54

283

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Un’altra successione metrica, anch’essa presente in alcuni storiografi,56 rivela una diffusa presenza nel III libro. Il nesso - - νννƘ , nella quasi totalità dei brani, è preceduto da due sillabe che, combinandosi con la prima lunga della clausola, compongono un cretico o un molosso. Tale figura metrica compare 48 volte, vale a dire 2 volte nel prologo narrativo, 657 nei discorsi critici del pagano e 4058 in quelli di difesa della fede. La percentuale d’uso complessiva è del 6,36. * Si riscontra, infine, pur con poche ricorrenze, un altro nesso metrico -νν-νννƘ , di fatto equivalente ad un hemiepes maschile. Assente nel prologo ed usato dall’oratore pagano solo una volta nel terzo intervento, presenta 2 attestazioni nel primo discorso dell’oratore cristiano, una nel secondo e cinque nel terzo: in totale 9 ricorrenze con una percentuale del 1,19%. Come dato conclusivo relativo a queste formazioni metriche secondarie che, pur cadute ormai in disuso, permangono nella memoria ritmica dei due oratori, si segnala una minore frequenza d’uso nelle quaestiones (12 casi equivalenti al 8,05%) rispetto alle solutiones (64 casi59 con una percentuale del 10,66). ***** Il testo da noi esaminato costituisce un esempio importante del rispetto delle regole scolastiche, ma la dottrina retorica, com’è noto, non delimita, con una forte marcatura, esclusivamente la parte conclusiva della frase, bensì estende le modulazioni ritmiche all’intero periodo, irretendo musicalmente, con un preciso intercalare di tempi deboli e forti, i vari membri e incisi. La sistematicità del ricorso alla clausola nell’Apocritico si coniuga perfettamente con il reiterato uso di uno o più metri preparatori che, in maniera eufonica, tracciano un preciso solco ritmico; capita così di incontrare successioni di cretici, in forma pura o soluta, di trochei, di docmi, di forme metriche, cioè, analoghe ai metri conclusivi del periodo. Mi limiterò, in questa sede, a fornire alcuni specimina, rimandando, per il resto, alle tabelle allegate: 56

DE GROOT, Der Antike, p. 80 segnala una diffusa presenza del nesso metrico

in Livio. 57 58

Vale a dire, 2 casi nel primo intervento, 3 nel secondo e 1 nel terzo. Rispettivamente 14 ricorrenze nella prima risposta, 18 nella seconda e 8 nella

terza. 59 Ai quali vanno aggiunti i tre casi del prologo narrativo che elevano la percentuale a 11,07.

284

LE CLAUSOLE METRICHE

p. 76,22-23űɓŹųŶŴȎűɓŷŬŹźŶŴ. Una sequenza di cretici, trochei e spondei preparano la clausola cretico-trocaica; p. 116,5-7 ÎŲŶɝŹŰŶŴ ŲȤŪſŴ. Un dicretico (25) e una struttura spondaica (cretico-dispondeo) aprono la strada ad una chiusa ipodocmiaca; p. 128,12-13źŷɃźȿżŻŲŨűɂɖżůȤŴźŬŸŶɅÎŷŶżɁźŨŰŹŻŴŬųȋŽŶŻŴ źŶɋŸÎŲȤŶŻŹŰŴ. Il ritmo (ditrocheo in forma soluta) che immediatamente anticipa la chiusa trocaica, si ricollega ad una struttura ipodocmiaca, a sua volta legata ad una configurazione esametrica; p. 132,13-15 ůŬɓźŮźŶŸ źɁŸ ŶɆűŬɃŨŸ ȧŵŶŻŹɃŨŸ źȭŴ ūŬŹÎŶźŬɃŨŴ ȧżȬÎŲſŹŬŴ. La clausola cretico-trocaica viene anticipata da una forma ipodocmiaca, a sua volta preceduta da un’altra struttura metrica creticotrocaica che, con un molosso al posto del cretico, si aggancia perfettamente a un dispondeo; pp. 134,34-136,1 Ŭɉ ŪŬ źŶɋŸ ÎŰŹźŬɝŶŻŹŰŴ Ŷɠű ɆŹŽɝŬŰ ÎŨŷʫ ŨɠźȌ ūŰūɓŴŨŰźɔŨɉźŮųŨ. Una successione di ben tre formulazioni cretico-trocaiche aprono la via ad un’analoga conclusione metrica; p. 136,15-19 źʃŐŬʃœɓŪʁźʃŹŨŷűſůȤŴźŰűŨɄŲŨũŬɋŴȎŵŰɭŹŨŴźŰ źɔźɵŴȎŴůŷɭÎſŴɆūɃſųŨ. Qui la clausola esametrica chiude un susseguirsi di strutture ritmiche, quali, a ritroso, una forma cretico-trocaica soluta, una dicretica, un’altra cretico-trocaica (con molosso al posto del cretico) ed una ipodocmiaca. Per concludere, mi rendo conto che sarebbe necessaria una verifica più approfondita, estesa alle restanti parti dell’opera, pur se frammentarie, a quelle chiuse di periodo coinvolte in problemi prosodici e forse anche ai singoli cola, pur tuttavia, alla luce dei 754 casi esaminati e dei risultati ottenuti, mi sembra di poter affermare che dall’indagine condotta traspaiono con evidenza un rigoroso rispetto della compositio verborum, una costruzione dei periodi fortemente articolata e una scelta ben definita di associazioni foniche, in linea con le configurazioni ritmiche della prosa d’arte antica. Adele Filippo Università del Salento – Lecce

285

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

ABSTRACT The systematic recurrence of the clausula in Book III of the Apocriticos of Macarius Magnes and the use of traditional rhythmic modulations, commonly preceded by one or more preliminary metres, attest the observance of the rules of the compositio verborum fixed by the rhetorical doctrine of the ancient Kunstprosa. Moreover, from the debate between the pagan polemicist and the defender of the Christian faith we deduce a substantial homogeneity both in the typology of the final metrical forms and in their proportional spread. RÉSUMÉ Le recours systématique à la clausule métrique dans le Livre III de l’Apocriticos de Macarius Magnès et le choix de modulations rythmiques traditionnelles, généralement précédées d’un ou plusieurs mètres préparatoires, manifestent un grand respect pour les règles de la compositio verborum établies par la doctrine rhétorique de la Kunstprosa antique. Du débat entre le polémiste païen et le défenseur de la foi chrétienne on déduit, en outre, une homogénéité essentielle tant dans la typologie des formes métriques finales que dans leur pourcentage de diffusion.

286

LE CLAUSOLE METRICHE

PROLOGO NARRATIVO 21 1

ννν--ννƘ 72,1-4

ȪŴŰ ūŰŮŪŶɝųŬŴŶŰ

3 1

-ν-νƘ 72,5-8

ȧÎŰŹűϫŻϫŴɃŶŻŹɓūŮźŷŶŴ

-νν-ννƘ 1

72,8-9

ūŶŴŶɝųŬŴŶŸȧÎźɓŬŰ

Metri preparatori: 72,8-9 cretico-trocheo (14) --νννƘ 1 2

72,4-5 72,9-10

ŬɆŷŪŨŹȋųŬůŨ ŨɡźŮŪȤŪŶŴŬŴŁ

Metri preparatori: 72,4-5 ipodocmio (42), molosso Obiezioni del Pagano: MAC. MAGN. Apocrit., III, p. 72,11- p. 84,20 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4

-ν--νƘ 74,19 80,1-2 80,2-6 84,16-18

ŹźŨŻŷŶɥŹůŨŰźɃŸŬɉŷŮűŬŴ ŽŨŹųſųȤŴſŴȧŹźɃ ũŨůŬɃŨŸɟÎŨŷŽŶɝŹŮŸ űŨɄŲȤŪſŴŨɠźŶɋŸŁ

Metri preparatori: 74,19 dispondeo; 80,1-2 molosso; 80,2-6 dicretico; 84,16-18 cretico 11 1



ννν--νƘ 80,16-17

ȎŴŶŹŰŶɝŷŪŮųŨ

Metri preparatori: 80,16-17 ditrocheo

287

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

12 1

-ννν-νƘ 76,22-23 űɓŹųŶŴȎűɓŷŬŹźŶŴŁ Metri preparatori: 76,22-23 cretico, ditrocheo, ditrocheo (33), ditrocheo (33) dispondeo

13 1 2

-ν-νννƘ 74,14 78,1-2

źʃŴŨʃŲȤŪŬźŨŰŁ űŨźŮŪŶŷŬɋűŨűɃŨŴŁ

14 1 2 3 4 5

----νƘ 76,5-6 78,9-12 82,4-7 82,27-33 84,10-11

ȎŴŨÎŲȋŹŨŰźɵŴŽŶɃŷſŴŁ ūŰűŨɃſŸȒŴűŲŮůŬɃŮ ȎŴȋŪűȿźɁŸȧŴūŬɃŨŸ űŰŴūŻŴŬɝŶŴźŨŸ ůŷŻŲŲŶɝŴźſŴŬɌÎŬŁ

Metri preparatori: 78,9-12 ipodocmio; 82,4-7 digiambo; 84,10-11 ipodocmio 15 1

-νν--νƘ 84,9-10

źɁŸűŬżŨŲɁŸŨɠźŶɥŁ

Metri preparatori: 84,9-10 ipodocmio (41-2) CLAUSOLA 2: dicretico 2 1

-ν--ννƘ 76,19

źɁŸȎÎŨŰūŬŻŹɃŨŸ

22 1

- ννν-ννƘ 74,13

ŶɠūȥŴȎÎŶŹɭŭŬźŨŰ

23 1

-ν-ννννƘ 80,29-82,4

ŶɆűɃŨŸȎÎŰȤŴŨŰŁ

Metri preparatori: 80,29-82,4: ditrocheo

288

LE CLAUSOLE METRICHE

24 1* 2 3

----ννƘ 76,1 76,25-26 84,19-20

ŽŶɃŷſŴűŨɄźɵʮŴūŨŰųɓŴſŴ ȎųŨŲūɥŴŨŰźɂũŲȋũȿŁ ŨɠźɵŴȯŷŴȬŹŨźŶ

Metri preparatori: 76,25-26 cretico-trocheo (12) 25 1 2 3

-ν---νƘ 76,26-29 80,17-18 82,17-18

ŹŻųżŶŷȌŴȎÎŬŷŪȋŹŨŹůŨŰ ÎŷŨŪųȋźſŴȪŴūŬŰŨ ɟŹźŬŷŨɋŨŰɱŷŨŰ

* Titolo dell’argomentazione Metri preparatori: 76,1 molosso; 76,26-29 ditrocheo (33); 82,17-18 dispondeo CLAUSOLA 3: di trocheo 3 1 2 3 4 5 6

-ν-νƘ 74,11 74,17-19 80,9-10 80,25-28 82,24-27 84,9

żŨɃʭŴŬźŨŰźɔŲŬŽůȤŴ ūŮųŰŶŻŷŪɓŴ ȪŴůŨżŮŹɃŴŁ ȎżŨŰŷŬɋŹůŨŰůŬŲɓŴźſŴ źŶɞŸųŨůŮźȋŸŁ ȧŹźɄŴŨɡźŮŁ

Metri preparatori: 74,11 cretico-trocheo (15); 74,17-19 ipodocmio (43); 80,9-10 creticotrocheo; 80,25-28 ditrocheo; 82,24-27 dispondeo 32 1 2 3

-ννννƘ 74,2-3 78,21-23 82,19-23

ųŨůŮźŨɋŸŲŬŪɓųŬŴŶŴŁ ÎŷȋŪųŨźŰŲȤŪſŴŁ ŽſŷɁŹŨŰūŻŴŨųȤŴŮŴ.

Metri preparatori: 74,2-3 ipodocmio soluto (43); 82,19-23 cretico, ditrocheo

289

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

33 1* 2* 3* 4 5 6*

---νƘ 72,11 74,1 74,10 76,2-5 80,28-29 82,9

ŹźŨŻŷſůɁŴŨŰ ŘɵŸŬɉŷŮźŨŰŁ ŘɵŸŬɉŷŮźŨŰŁ ȎÎŶűźŬɋŴŨŰÎŶŲŲŶɝŸ ȧÎŨŴŨŪŰŴɭŹűŶŴźŬŸŁ ŘɵŸŬɉŷŮźŨŰŁ

* Titolo dell’argomentazione CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2 3* 4 5 6

-ν-ννƘ 76,16-19 76,20 78,6-8 80,18-20 80,20-24 82,7-8

ȧÎŨÎȤŹźŬŰŲŬŴ ŶɠűȧŷŬɋŁ űſųŰűɁŸÎŲȋŴŮŸ ųŨŷźŻŷŶɝųŬŴŶŴϫϫ ÎȤŴŮźŨŸŬɆŹȋŪŬŰ ȎűŮŷȋźŶŻųŶŴɁŸ űŨųŴŶɝŹŮŸźȌɛȬųŨźŨ

*L’interpunzione proposta da HARNACK è accolta da GOULET Metri preparatori: 78,6-8 dicretico soluto (24); 80,18-20 cretico-trocheo (15); 80,20-24 cretico-trocheo (14); 82,7-8 dicretico (25) 41 1

ννν-ννƘ 72,12-19

ȧÎŰżŨŴȤŹźŨźŶŸ

43 1

---ννƘ 74,3-6

ŲȤŪſŴźŶɋŸŪŴſŷɃųŶŰŸŁ

76,15 78,12-17 78,17-21 80,7-8 82,11-17

ŪȤŲſŸəŴźſŸÎŲŨźɝŸ űŨűʃūſŷŶɝųŬŴŶŸ ɟÎŶŴŶɃŨŸȧŷŪȋŭŬźŨŰ ũŨŹŰŲŬɃŨŴźŶɥŐŬŶɥ ũɃȠźɵŴűŻųȋźſŴŁ

2 3 4 5* 6

* Titolo dell’argomentazione Metri preparatori: 76,15 ditrocheo; 78,12-17 cretico-trocheo; 290

LE CLAUSOLE METRICHE

CLAUSOLA 5: esametrica -νν-νƘ 76,7 84,14-16

5 1 2

ŝŮŹɄūȥŶɡźſŸŁ ŬɆŸȎŴȋŲſųŨ

Metri preparatori: 84,14-16 ditrocheo (33) ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1 2

76,15-16 84,5-7

ŹŻųÎŴŰŪȥŴȎÎɭŲŬźŶ ūŰȤŪŴſųŬŴ ɗÎŶŻŲȤŪŬŰŁ

--νννƘ 1 2

78,3-6 84,2

ŹŶũɁŹŨŰůŶŷɝũʁ ŭŮźŶɥųŬŴŲŬÎźɓźŬŷŶŴ

Metri preparatori: 78,3-6 cretico-trocheo (12); 84,2 dispondeo Risposta del Cristiano: MAC. MAGN. Apocrit., III, p. 84,21- p. 140,2 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

-ν--νƘ 86,18-19 88,9 94,17-20 100,5 100,5-7 102,2-3 102,21-24 102,27-28 104,16-19 104,19-23

ŞŷŰŹźŶɥŲȤŪſŴɷūŬŁ źȭŴȎŲȬůŬŰŨŴŁ ŶɆűŶŴŶųɃŨŸűŨźɓŷůſųŨ ųŶŴŶŪŬŴȬŸ ȎÎɓŷŷŮźŶŸŁ ŲŶŪȋūſŴȧůȤŹÎŰŹŬŴŁ LjŹŨɎŨŸżŮŹɃŴŁ ÎŶŲŰŶŷűŬɋŴźɔŴȑŴůŷſÎŶŴ ŲɓŪŶŸȪŽŬŰŹŻŴȬůŬŰŨŴŁ űŨɝŹſŴŨŲɝŹſŹŰ źȭŴŘŨŲŨŰŹźɃŴŮŴ

291

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27

104,26-28 106,2-4 112,7-9 112,29-31 116,24-27 122,17-18 122,26-27 124,20-21 124,33-126,3 126,27-28 130,6-10 132,13-15 134,9-11 134,34-136,1 136,13 136,14 136,28

řſųŨɃŶŻŸűŨźʂűŮŹŨŴ ɡūſŷȎÎȬŴŬŪűŨŴ ŬɆűɓźſŸȧÎŰŹźȬųŮŴŁ ŹűŶÎŶɥūŰȬųŨŷźŬŴŁ ȦŹźɃŨŴȧÎŬɃŪŬŹůŨŰŁ ÎŷŶżŮźŬɃŨŴŴŶȬŹſŹŰŴ ŶɠűȧŪɃŴſŹűŶŴ ŹŻŴźɓųʁżŮŹɃŴŁ ųȭÎŷŶźŬɃŴŬŹůŨŰ ÎŨůŬɋŴűŷŨźŬɋŹŬųŴɵŸ ŨɠźʃūŰūȋŹűŶŴźŨ ūŬŹÎŶźŬɃŨŴȧżȬÎŲſŹŬŴ źȋżſŴȎŴȤŹźŮŹŬŴ ūŰūɓŴŨŰźɔŨɉźŮųŨ ųȤůŮŴȎÎɓŭŶŴźŬŸŁ ÎŰŹźŬɝſŴȧÎɃŹźŬŻŬŴ ŞŷŰŹźɓŴ ŶɠÎźŨɃŹŬŰŁ

Metri preparatori: 86,18-19 dicretico (25); 88,9 ditrocheo; 100,5 cretico-trocheo (13); 102,2-3 dicretico (24); 102,21-24 cretico-spondeo (12); 102,21-24 creticotrocheo (12-3); 104,16-19 dispondeo; 104,19-23 dicretico (24); 104,26-28 dispondeo; 112,7-9 ditrocheo; 112,29-31 ditrocheo, cretico-trocheo (14); 116,24-27 cretico, cretico-trocheo (11); 122,17-18 dimetro trocaico; 122,2627 ditrocheo (33); 124,20-21 ditrocheo (32); 124,33-126,3 ditrocheo, cretico-trocheo (11); 132,13-15 dispondeo, cretico-trocheo (14), ipodocmio (43); 134,9-11 cretico-trocheo (12), cretico-trocheo; 134,34-136,1 due cretico-spondeo, cretico-trocheo (13); 136,13 cretico-trocheo; 136,14 ditrocheo; 136,28 cretico-spondeo 11 1 2 3 4 5

ννν--νƘ 94,20 112,31-33 122,9-11 134,9 136,12-13

ɘȧŴŬūŶɃŨŭŬŴ űŲȤŶŸȎŴŬūȤŵŨźŶ ŪŬŴɓųŬŴŶŴȑŴůŷſÎŶŴ ŹȤŲŨŸȧűɭŲŻŹŬ ŪŬŹŻŴŬźŬɝŵŨŴźŶŁ

Metri preparatori: 122,9-11 molosso, ditrocheo; 134,9 ditrocheo 292

LE CLAUSOLE METRICHE

12 1 2 3

-ννν-νƘ 98,27-29 102,10-13 114,35-37

ūŶűŶɥŹŨűŨźȤŽŬŹůŨŰŁ ŬɆűɓźſŸȪŲŬŪŬŴŨɠźŶɋŸŁ űŨůŬɋŲŬÎŨŷȋźŨŵŰŴŁ

Metri preparatori: 98,27-29 cretico-trocheo; 102,10-13 ditrocheo; 114,35-37 ditrocheo 11-2 1 2

ννννν-νƘ 100,9-11 110,1-3

ɕŲɓŪŶŸȎŷɃūŮŲŶŸ ūŰŬŲȤŪŬźŶżȋŹűſŴŁ

Metri preparatori: 110,1-3 dicretico (25) 13 1 2 3 4 5 6

-ν-νννƘ 90,32-35 92,19-24 98,8-11 102,19-20 124,23-26 126,34

ŨɠźɔŴȧŷŽŶųȤŴŨŸŁ ɕŷȢŴźɔŪŰŴɓųŬŴŶŴ ŭſȭŴȧŷŬŻŵȋųŬŴŶŸŁ ūŨŰųŶŴŰŭɓųŬŴŶŴŁ ɉūŰŶŴźɔůŨŻųȋŹŰŶŴ ȧżɃŹźŨźŨŰżŻŲŨűɂŁ

Metri preparatori: 90,32-35 ditrocheo; 98,8-11 dicretico (24) 11-3 1

ννν-νννƘ 118,12-15

ŲŬŪŶųȤŴŶŻźɔŹŨżȤŸŁ

Metri preparatori: 118,12-15 dispondeo 12-3 1 2

- ννννννƘ 116,32-33 130,4-6

ŬɆűɁūŰŨŲŬŪɓųŬŴŶŸ żŮŹŰŴʫőŬŷŬųɃŨŸŁ

Metri preparatori: 130,4-6 molosso

293

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

14 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13

----νƘ 86,10-14 98,11-13 102,5-6 102,6-7 104,9-13 108,20-23 108,23-26 118,6-7 122,22-25 130,1-4 132,16-18 132,18-24 134,14-17

ÎŶŲŲŶɥųŮŴɝŶŴźŬŸŁ ȎÎɓŷŷŮźɓŴżŮŹŰŁ ŞŷŰŹźɔŴŌŨũɄūżȋŹűŬŰŁ ȑŴůŷſÎɓŸ żŮŹŰŁ ȎÎŶÎŬųżůɁŴŨŰŽŶɃŷŶŻŸ ũŲȋũŮŴŬɆŷŪȋŹŨŴźŶ ȧűŽſŷȬŹŨŴźŬŸ źŬźȋŷźȿźɁŸŴŻűźɓŸ żɝŹŰŴźʃÎŶŰŮźɂ ŘŨŲŨŰŹźŮŴɵŴŽɭŷŨŴ żŻźŬɝŹŨŸȧŷŷɃŭſŹŬŴ ȎÎŨŪŪȤŲŲŶŴźŬŸ żȋŹűŶŴźŬŸŁ ŲȿŹźȭŴŬɆŹȋŵŨŰ

Metri preparatori: 86,10-14 ipodocmio; 102,5-6 dispondeo; 104,9-13 cretico-trocheo (1£); 108,20-23 cretico-trocheo (14); 108,23-26 ipodocmio; 118,6-7 creticospondeo, cretico-trocheo (14); 122,22-25 ditrocheo, ditrocheo soluto (32); 132,16-18 ipodocmio (43); 132,18-24 dimetro trocaico; 134,14-17 dispondeo 15 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

-νν--νƘ 90,1-2 98,32-34 106,12-14 110,1 112,12-14 112,34-36 114,37-38 118,20-21 118,26-120,1 126,6-7 130,17-18

űŷŨźŬɋŴȎÎŬźɓŲųŮŹŬŴ ŲŨũŶɥŹŨŹŻŴȤŹżŰŪŵŬŴŁ ŬɟŷŶɥŹŨźɔŴȑŴůŷſÎŶŴ ȧŷɵźɔūŰȬŪŮųŨŁ ŲȋųÎŬŰźɔűŨźɓŷůſųŨ ÎŲŶɝźŶŻűŨźŬūȤŵŨŴźŶŁ ȧūŬɃųŨźŶÎɝŷŪſųŨŁ źŬŽŴŶŲɓŪſŴÎŨɋūŬŸŁ űŬűŲɁŹůŨŰűŨźŬÎȬűŶŻŹŬŴ ũŲȤÎſŴȧŴŬūŶɃŨŭŬŴ ōɠŨŪŪŬŲɃŶŻżŮŹɃŴŁ

Metri preparatori: 98,32-34 cretico-trocheo; 106,12-14 cretico-trocheo; 112,12-14 ipodocmio; 112,34-36 struttura esametrica; 118,20-21 cretico; 130,17-18 struttura esametrica; 294

LE CLAUSOLE METRICHE

CLAUSOLA 2: dicretico 2 1 2 3 4 5 6 7 8 9

-ν--ννƘ 86,21-22 88,22-23 104,6-7 104,31-36 112,3-6 126,30-32 132,30-134,5 136,29 136,31-138,3

ŨɠźɔŴŬɆŷŮųȤŴŨ ÎŷŶŹűŶųɃŹŨŰŽŶŲȬŴ ȮźŻŷŨŴŴŶŻųȤŴŮŁ řſųŨɋŶŰÎŨŷŬŰŲȬżŬŹŨŴŁ ųŶŽůŮŷɃŨŸŬɠŲɓŪſŸ ŹɵųŨũŨÎźɃŭŬźŨŰ ŞŷŰŹźɔŴȧŴźʃÎȋůŬŰ ŹűŨŴūŨŲŰŹůȬŹŬźŨŰ ŭɭŴŮŴūŰƀűŴŶɝųŬŴŶŴ

Metri preparatori: 86,21-22 cretico-spondeo; 88,22-23 cretico-spondeo; 104,31-36 dispondeo; 112,3-6 dispondeo; 126,30-32 cretico-trocheo, ditrocheo; 136,29 cretico-trocheo (12); 136,31-138,3 cretico-spondeo 21 1

ννν--ννƘ 132,8-13

22

-ννν-ννƘ

1

102,9-10

ųŨůŶɥŹŨűŨźŬūȤŵŨźŶ

23 1 2 3 4 5

-ν-ννννƘ 86,23-33 100,4-5 98,29-30 118,1-5 138,26-27

źŶɞŸÎŨŷɓŴźŨŸŹŻŴȤŽſŴ űŶŰŴſŴɃŨŸȧŪȤŴŬźŶŁ űŬűŷŻųųȤŴſŸūŰȤżŨŪŬŴŁ źʃŹȋŲʁűŨźȤŲŨũŬ ȮŲɝŹŰŸűŨźŨÎŶŴŬɋ

ÎȋŴźŨűŨźŬŹŮųȬŴŨźŶ

Metri preparatori: 86,23-33 dispondeo; 100,4-5 cretico-spondeo; 118,1-5 dispondeo; 138,26-27 struttura esametrica

295

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

24 1 2 3 4 5 6 7 8 9

----ννƘ 96,7-8 96,8-9 96,9-11 102,30 106,14-17 118,26 120,7-8 138,9-10 138,10-13

ȧÎŰżŻɁŴŨŰźȌÎźŨɃŹųŨźŨŁ ȎŴůŷſÎŬɃŨŴżɝŹŰŴŁ ÎŬÎɓŴůŬŰźŶɥūŨɃųŶŴŶŸ ŬɆÎɮŴŶɠŽȩŴŲȤŪŬŰŁ ɟÎŶũȋŲŲſŴźŨɋŸŹŻųżŶŷŨɋŸ ȮųɋŴźɔŭŮźŶɝųŬŴŶŴ ŲɃųŴŮŴŬɆŷȬűŨŹŰŴ ȧűŬɃŴŶŻźŶɥÎŷȋŪųŨźŶŸ ÎŰŹźɵŴŶɠŽſŷɃŭŬźŨŰ

Metri preparatori: 96,8-9 ditrocheo, cretico-spondeo; 96,9-11 dispondeo, cretico-trocheo; 120,7-8 ditrocheo; 138,10-13 dicretico soluto (25) 25 1 2 3 4

-ν---νƘ 90,2-3 90,11-13 104,4-6 112,11-12

ŲŨŲŶɥŴźŨűŨɄÎŶŰŶɥŴźŨ ÎŨŷɮŴȧŴŮŴůŷɭÎŮŹŬŴ ūŨŰųŶŴɵŴźŨŸŬɌŴŨŰŁ ŪŬŴȤŹůŨŰÎŨŷŬŹűŬɝŨŹŬŴŁ

Metri preparatori: 90,2-3 ditrocheo; 90,11-13 cretico-trocheo (13); 112,11-12 cretico 26

-νν--ννƘ

1 2 3 4

88,21 106,7-8 130,10-13 136,19-20

ÎȋųÎŨŴȎÎŬžŬɝūŬźŶ ȑŴſũŨŹŰŲŬɃŨŸ ŲȤŪŬŰŁ űŨɄűŨůŨŷʃŹɭųŨźŰŁ źŶɥźɓŪŬÎŰŹźŶɥÎŶźŬŁ

Metri preparatori: 106,7-8 ditrocheo, cretico-trocheo (12); 130,10-13 cretico-spondeo; 136,19-20 ditrocheo

296

LE CLAUSOLE METRICHE

CLAUSOLA 3: ditrocheo 3 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31

-ν-νƘ 84,21-23 84,26-86,1 90,4-11 92,29-94,2 94,3-4 100,24-26 100,30-102,1 102,30-31 102,33 104,4 104,13-16 106,19 110,5-11 112,15-28 112,38-114,19 116,23-24 116,29-31 118,15-19 118,23-25 120,2-7 122,4-9 122,34-38 128,1-8 128,12-13 128,13-16 128,23-24 134,7-8 134,31 134,32-33 134,33-34 136,15

ȮŹɝŽŨŹŬŴ ůŬſŷɃŨŴÎŷŶźŬɃŴſŴ ÎŷŶŹūŶűȢŴʫőŮŹŶɥŴŁ źɔůŨŴŬɋŴŲȤŪŶŴźŨŁ ŴŶųŶůŬŹɃŨŴȎűŻŷŶɥŴŁ ɟÎŮŪɓŷŬŻŹŬŁ žŨŲųʁūɃȠűŨɄŲȤŪŶŴźŶŸŁ źʃȎŷŰůųʃŁ źʃŲɓŪʁźŶɥȎŷŰůųŶɥ ŬɟŷŬɋŴȎūŬŲżȋ ÎŨŷŨųŻůȬŹŨŹůŨŰżŲɓŪſŹŰŴ ŶɅÎŨŷɓŴźŬŸ źŶɋŸÎȤŴŮŹŰŴ ȧŴŬŷŪŬɃŨŸÎŨŷȤŹŽŬŴ ȯŪȋÎŮŹŬŴŁ ůŬŷŨÎŬɝŬŰŴźɔůŬɋŶŴŁ ŶɠŷŨŴŶɋŸɟÎȋŷŽŬŰŴŁ źŻŪŽȋŴŶŻŹŨŴ ȯŵɃſŹŨŴ ŐŬŶɥůȋŲŨŹŹŨŴ ŹſźŮŷɃŨŴȧÎŶɃŬŰ ȎŮūɃŨŴżȋŸŁ źȭŴȪŲŬŻŹŰŴ źŶɋŸÎŲȤŶŻŹŰŴŁ źŶɋŸÎŲȤŶŻŹŰŴ ȪŴůŨżŮŹɃŁ źʃŹźŻŪŮźʃ ȧŴŮŪűȋŲŰŹźŨŰ ŶɠŷŨŴɵŴűŻũŬŷŴȣ źɁŸȎŴŶɃŨŸŁ źŻŪŽȋŴŶŴźŰ

297

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

32 33

138,6-8 138,14

ȧŹźŰŴŬɟŷŬɋŴŁ ȯŲȬůŬŻŬŴŬɆÎɭŴŁ

Metri preparatori: 84,21-23 ditrocheo (32); 84,26-86,1 ditrocheo; 90,4-11 struttura esametrica, cretico-trocheo (14); 94,3-4 ditrocheo (32); 100,30-102,1 ipodocmio (43); 102,30-31 dicretico; 102,33 cretico; 104,4 ipodocmio (43); 104,13-16 cretico-trocheo (15); 112,15-28 dicretico (24), ditrocheo; 112,38114,19 cretico-trocheo (13); 116,29-31 ditrocheo; 118,23-25 cretico-trocheo, dispondeo; 120,2-7 dicretico (23), cretico-trocheo (14); 122,4-9 cretico, cretico-trocheo (14); 122,34-38 cretico-trocheo (13); 128,1-8 dispondeo; 128,12-13 struttura esametrica, ipodocmio, ditrocheo (32); 128,13-16 cretico-spondeo; 134,7-8 ipodocmio (43); 134,32-33 creticotrocheo; 136,15 dispondeo; 138,6-8 ditrocheo; 138,14 cretico-spondeo 31 1 2 3

ννν-νƘ 88,23-26 124,9-10 136,25-27

ŨɦůŰŸȎɓŷŨźŶŴ ŲŬŪɓųŬŴŨ ŬɌÎŬŴŁ ɖŴɓųŨźŨÎŶŲŲȋ

32 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10* 11 12

-ννννƘ 88,19-20 90,25-26 94,14- 15 96,1-98,4 110,4-5 114,21-25 122,27-34 124,14-16 124,21-23 134,17-27 138,25-26 138,29-30

źŶɥŔŶŴŶŪŬŴŶɥŸŁ ŶɠűȧūȤŽŬźŶ ȧŹźŰŴɘŲȤŪŬŰŁ żŶŴŬɝŹȿÎŶŲȤųŰŶŴ ȎÎŬűŷɃŴŨźŶŲȤŪſŴŁ ÎŬŴɃȠżŰŲȋŷŬźŶŸ ÎŲŶɥűŨźŬÎɓŴŶŻŴ ųŨűŷȌŴȎÎȤŲŨũŬŴʛʛ źʃŔŶŴŶŪŬŴŬɋŁ źɔŴŔŶŴŶŪŬŴɁϥ źȭŴɟÎɓůŬŹŰŴŁ ȎŴźŰŲŶŪɃŨŸɕűȋųŨźŶŸ

*

Si accetta l’interpunzione di Goulet Metri preparatori: 88,19-20 dicretico; 90,25-26 dicretico (24); 96,1-98,4 ditrocheo, ipodocmio; 114,21-25 cretico-spondeo, dicretico (21); 122,27-34 ditrocheo; 124,21-23 molosso, struttura esametrica; 134,17-27 due coriambi; 298

LE CLAUSOLE METRICHE

33 1 2 3 4 5 6 7

---νƘ 114,19-21 120,12-22 126,4-5 128,9-11 128,21-22 128,30-31 132,24-25

źŶɞŸŹűɭŲŮűŨŸ ŹŮųŬŰɭŹŨŹůŨŰ ȎÎŰŹźɵŴŬɌÎŬŴŁ ÎŨŷŬųŻůȬŹŨŴźŶŁ ȎÎŶŴŶŹźȬŹŨŴźŨŁ ɖÎźŨŹŰɵŴźɔŴűŨŰŷɓŴŁ ūŰŨŹźŬɃŲŨŴźŬŸŁ

Metri preparatori: 120,12-22 dicretico (25), dispondeo; 128,9-11 dicretico (23); 128,2122 dicretico (24); CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

-ν-ννƘ 88,26-27 98,30-32 98,34-100,1 102,28-29 102,31-32 106,17-18 112,6-7 112,37-38 114,33-35 114,38-116,2 116,5-7 116,22 116,27-28 118,7-10 120,33-122,3 124,6-9 126,36-128,1 128,28-29 130,21-23

ŶɠŽɟÎŬŹźȋŲŮ ūŰȬŪŬŰŷŬŹɭųŨźŨŁ ÎŲŮųųŬŲȬųŨźŨŁ ŶɠŹɃŨŸŲȤŪŬŰŁ ŶɠŹɃŨŸŲɓŪʁŁ ȎűŷŶſųȤŴŶŻŸ ŲȤŪŬŰŁ ŨɠźȭŴȧÎŨŰŴŬźɓŸŁ űŨɄűŨźȬŪŶŷŶŸ űŨųȋźſŴȎŶɃūŰųŶŴŁ ŬɠŪŬŴȤŹźŬŷŶŸ ÎŲŶɝŹŰŶŴ ŲȤŪſŴŁ źŻŪŽȋŴŬŰŴȧŲŬɝůŬŷŶŴŁ ȑŴſÎŨŴȬŪŻŷŰŴŁ źŶɋŸȎÎŶŹźɓŲŶŰŸ źȭŴȎŹɭųŨźŶŴ űŨɄűŷŨźŶɝųŬŴŶŴŁ ŨɠźɵŴȧųŨɃŴŬźŶ ŲŬÎźɂɕŒɝŷŰŶŸ źɔŴūŰūȋŹűŨŲŶŴŁ 299

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

20 21 22 23 24

134,12-14 136,10 136,10-12 136,27-28 138,4-6

ŶɠűȧÎȬŷűŬŹŬ ūŰŨźŷŰũɁŸŹŻŴȬŪŶŷŶŰ ȑŴůŷſÎŶŸ ŶɠȪźŰ ūŰŨŹżŨŲȬŹŬźŨŰŁ ɡžŶŸ ŶɠũȋůŶŸŁ

Metri preparatori: 102,28-29 cretico-trocheo (11-2-3); 102,31-32 molosso; 112,37-38 molosso, ditrocheo; 114,33-35 cretico-trocheo (12-3); 116,5-7 dicretico (25), cretico-dispondeo (61) ; 116,22 cretico, ditrocheo; 116,27-28 cretico-spondeo, cretico-trocheo; 118,7-10 ditrocheo; 120,33-122,3 ipodocmio, creticotrocheo; 126,36-128,1 dicretico (24); 128,28-29 dispondeo; 130,21-23 dicretico; 136,10-12 ditrocheo (32); 136,27-28 cretico-trocheo; 138,4-6 cretico-trocheo (15), dicretico (26) 42 1 2 3 4

-νννννƘ 94,25-96,2 98,18-20 98,20-24 110,14-18

źŬůŮÎɮŸźȌŲŬŪɓųŬŴŨ ȎÎŨźɭųŬŴŶŴȪŲŨũŬŴ ÎŴŬŻųŨźŰűɔŴəżŰŴ źŨɋŸÎɓŲŬŹŰŴȪŽŬŰŁ

Metri preparatori: 98,20-24 cretico-spondeo; 43 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 300

---ννƘ 86,5-9 86,14-15 88,15-17 90,20-21 92,8-12 94,21-25 102,20-21 104,37-106,2 112,36-37 114,25-33 116,3 126,28-29

ŽŨŲŬÎʃźʃũŲȤųųŨźŰ ʫŏŹŨɎŨŸÎɁųȥŴŲȤŪſŴŁ ųŬŪȋŲſŸȧžŬɝūŬźŶŁ ŹŶżŰŹźɵŴȧŴũɃʁ ÎŶŲŬųɃŶŰŸŪŴſŷɃŭŬźŨŰŁ ȎŴŨŲſůȬŹŬźŨŰ ūŨŰųŶŴɃŭŬŹůŨŰŲȤŪŬŰŁ ȧżŰŲŶűȋŲŶŻŴźȌűźȬųŨźŨ ųɓŴŶŻųŴŮŹůȬŹŶųŨŰŁ ŬɠȋŷŬŹźŶŸÎŷɔŸŐŬɓŴŁ ŬɆŷŮűȤŴŨŰźɔŴŒɝŷŰŶŴŁ ŘȤźŷʁŴŨŻȋŪŰŶŴŁ

LE CLAUSOLE METRICHE

13 14 15 16 17 18 19

128,11-12 128,18-19 130,20-21 132,4-7 134,6-7 134,34 136,28-29

ȧűŻũȤŷŴŨźɔŹűȋżŶŸŁ ȮųȤŷŨŴŬɆŷŪȋŹŨźŶ ŬɆűɓźſŸűŨɄźŶɞŸŽŷɓŴŶŻŸŁ ȪŵſźŻŪŽȋŴŬŰŴ ūŬŹųſźȬŷŰŶŴ źɁŸūŻŹżŮųɃŨŸŁ ȍųŨŷźȬŹŬŰÎŶźȤŁ

Metri preparatori: 90,20-21 ditrocheo; 94,21-25 ditrocheo; 104,37-106,2 ditrocheo (32); 112,36-37 molosso, ditrocheo; 114,25-33 cretico-trocheo (15); 116,3 ditrocheo; 128,11-12 ipodocmio (42); 128,18-19 dicretico (24), cretico-trocheo; 130,20-21 ditrocheo, dicretico, ditrocheo; 132,4-7 cretico-trocheo, ditrocheo; 134,6-7 struttura esametrica, cretico-trocheo (11); 136,28-29 ditrocheo CLAUSOLA 5: esametrica 5 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

-νν-νƘ 92,4-8 94,4-6 94,8-14 94,16 100,14-21 100,26-29 102,15-18 104,1-2 104,3 106,20-23 110,12-14 122,11-17 126,34-36 130,13-15 136,15-19 136,24-25

ȪŴūŶŴȧŴŨɠźʃŁ źȭŴȎŹȋżŬŰŨŴ ŲŻŹŰźȤŲŬŰŨŴ ȧÎŰŹűŬÎźȤŶŴȲūŮ űŨɄȎűɓŲŶŻůŨ ŹŻŪűŷŶźȬŹŨŸűŬżȋŲŨŰŶŴ ŨɠźɓůŬŴŹŻŶżŶŷũɵŴ ũȋŷũŨŷŶŴȪůŴŶŸŁ źŶɞŸŹźŷŨźŰɭźŨŸŁ ųŶŴŶŴŶŻŽɄŲȤŪŶŴźŬŸŁ ɸűŶŴɓųŮŹŬŴ ȎŴŬũɓŮŹŬŲȤŪŶŻŹŨŁ űſűɝŶŻŹŨůȋŲŨŹŹŨŁ ÎŲȤŶŴźŨŸȪŹſŹŬŴ ȎŴůŷɭÎſŴɆūɃſųŨ ʫʼnűŶɝŹȿźɔŴʫőŮŹŶɥŴ

301

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

17 18

136,30-31 138,27-29

źɔŴÎŨŷȋūŬŰŹŶŴ ųȤŹʁżŨŴȤŷſŹŶŴŁ

Metri preparatori: 92,4-8 cretico-trocheo (11); 94,8-14 ditrocheo (31); 100,14-21 ipodocmio (43); 100,26-29 ipodocmio (43); 102,15-18 ditrocheo; 104,3 21 ipodocmio (43); 110,12-14 dicretico (24); 122,11-17 ditrocheo (32); 126,34-36 ditrocheo; 130,13-15 ditrocheo, cretico-trocheo (14); 136,15-19 ipodocmio, cretico-trocheo (14), dicretico, cretico-trocheo (15); 136,24-25 cretico-trocheo (11-3); 138,27-29 cretico-trocheo (14) ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

84,23-26 96,3-7 98,4-7 98,11 104,7-8 116,16-20 116,20-21 126,8 132,28 134,31-32 136,1-9 138,8-9

ųŰűŷŶɥŹŻŴŬűȋųŴŶųŬŴŁ ŲŻůɁŴŨŰźȌɟÎɭÎŰŨŁ ȪŲůȿźɔÎŶźȬŷŰŶŴ ŬɌÎŬÎŶźȬŷŰŶŴ ȎŷŰůųɔŴȧźɝŪŽŨŴŶŴ ŹŮųŬɋŨźŻŷŨŴŴŰűɁŸŁ ÎŲŶɥźŶŸȎŴſżŬŲȬŸŁ ũŶŻŲɓųŬŴŶŸ ŲȤŪŬŰŁ źŨɝźŮŴűŨźŨūȤŵŬźŨŰ ȮŴŰŶŽŬɋʮźɔÎȢʮŴ ŲŨųÎŷɔŴȧŽȤŪŪŻŶŴ ŹɭųŨźŶŸəŷŪŨŴŶŴŁ

Metri preparatori 98,4-7 ditrocheo (31-2); 104,7-8 ipodocmio (42); 116,16-20 ditrocheo; 126,8 dimetro trocaico; 132,28 cretico-trocheo (11-2); 138,8-9 cretico-trocheo (14), ditrocheo, ipodocmio --νννƘ 1 2 3 4 302

88,12-14 88,17-19 90,22-25 90,35-92,3

űŨɄűŷŰŴɓųŬŴŶŴŁ ÎŬŷŰſÎȭŴɆūɃſŸŁ ŨɆŹŽŻŴɓųŬŴŶŸ źɝÎʁūŬŵȋųŬŴŶŸ

LE CLAUSOLE METRICHE

5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

94,7-8 96,12-17 98,25-26 106,5-7 108,13-18 118,10-11 120,22-26 126,3-4 130,16 134,27-30

ŲȤŵŬŰűŷŻÎźɓųŬŴŶŴ ȎÎŶŹŨŲŬɝŹȿÎŨźȋŪʁ űŨźŬųȬŴŻŬŲȤŪſŴŁ ȧŵŬźȋŭŬŰźɔŴũūŬŲŻŷɓŴŁ ŭŮŲɵŹŨŰɛŻÎŨŷŶɥ ūŰȤũŮŹŨŴÎȤŲŨŪŶŸ űŨźŨÎŲɁŵŨŰźŶɋŸźȤŷŨŹŰŴ ȎųżŰũȋŲŲſŴȪŲŬŪŬŴŁ ɉūſųŬŴźɃŲȤŪŬŰŁ ȎŴůŷɭÎŶŻŪȤŪŶŴŬŴ

Metri preparatori: 88,12-14 ditrocheo; 90,22-25 cretico-trocheo (14); 90,35-92,3 ditrocheo; 94,7-8 molosso; 96,12-17 ripetizione della figura metrica; 98,25-26 ripetizione della figura metrica; 108,13-18 dimetro trocaico; 126,3-4 cretico-trocheo (11-2); 134,27-30 cretico-trocheo (15) -νν-νννƘ 1 2

88,1-8 134,30-31

ȪůŴŶŸɟÎŮŪȋŪŬźŶŁ ŶɠÎŨŷȋūŬŰŹŶŴȪŽŬŰ

Metri preparatori: 88,1-8 dispondeo; 134,30-31 sette spondei Obiezioni del Pagano: Apocrit., III, p. 140,2 - p. 150,21 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4 5

-ν--νƘ 140,2-6 142,4-8 142,20-21 148,4-7 148,13-14

ÎŬɥŹŰŴÎŷŶŹȋŪŬŹůŨŰ ŹŻųżŶŷȣźɔŴȑŴůŷſÎŶŴŁ ÎŨŰūŬɝŹŬŰŹŻŴŨŻŵŮůŬɃŸ ɗŲſŸȍųŨŷźɓŴźŨ ȯůȤŲŮŹŨŴŽŨŷɃŹŨŹůŨŰ

Metri preparatori: 142,4-8 ditrocheo; 148,13-14 ipodocmio (43)

303

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

11 1 2

ννν--νƘ 140,17-21 148,9-13

źŶɥźŶűŨźŬūȤŵŨŴźŶŁ ųŮūȥŴȎūŰűȬŹŨŴźŨŸ

Metri preparatori: 140,17-21 dicretico (26); 148,9-13 21 dicretico (22) 12 1 2

-ννν-νƘ 142,4 148,14-17

ŶɦŴɕŲɓŪŶŸŶɧźŶŸ ÎŬÎŷŨŪųȤŴŶŴɟÎɁŷŽŬŁ

13 1 2

-ν-νννƘ 140,6-7 146,22-23

ȧŴźŬɥůŬŴȎŷŵȋųŬŴŶŸ ȧŷŬɋŪŬŪſŴɓźŬŷŶŴŁ

Metri preparatori: 140,6-7 dispondeo 12-3 1

-ννννννƘ 140,26-142,3

ÎȋųÎŨŴȎÎŬŽŶųȤŴŶŻŸ

Metri preparatori: 140,26-142,3 dispondeo 14 1

----νƘ 150,6-8

űŨźŰŹŽɝŹŬŰŴŨɠźŶɥ

Metri preparatori: 150,6-8 cretico-trocheo CLAUSOLA 2: dicretico 2 1 2

-ν--ννƘ 140,22-24 142,17-19 Metri preparatori: 140,22-24 ditrocheo

304

ŹȋŷűŨŸȧůŶŰŴȬŹŨźŶŁ ųŨűŷȌŴȎÎʁűŰŹųȤŴŶŴ

LE CLAUSOLE METRICHE

22 1 2

-ννν-ννƘ 146,6-7 150,19-21

21-3 1

ννν-ννννƘ 140,24 ɟÎȤųŬŴŶŴũūŬŲŻŷɃŨŴ

ŬɌźʎȧŴȦźȤŷʁźɓÎʁŁ ɱŹÎŬŷȎźŶÎȬųŨŹŰŴ

Metri preparatori: 140,24 dispondeo 24 1 2 3

----ννƘ 144,21-23 146,21-22 146,31-34

űɃŴūŻŴŶŴźŶɥźʫŬɆŷŮűȤŴŨŰ ŶɠŲȤŵŬŰűŬŷźŶųɵŴ ūŰūŶɋźȭŴȧŵŶŻŹɃŨŴ

Metri preparatori: 146,31-34 ditrocheo 26 1 2 3

-νν--ννƘ 140,14-15 142,11 146,16-21

źɔŴũɃŶŴŬɆŹȋŵŬźŬ űŨŰŴŶźŶųŶɥŹŰŵȤŴŨŁ źɔŹźɓųŨɛŮŪŴɝųŬŴŶŸ

Metri preparatori: 140,14-15 ipodocmio; 142,11 ditrocheo, cretico-spondeo CLAUSOLA 3: ditrocheo 3 1 2 3 4 5 6 7 8

-ν-νƘ 140,25 140,26 142,22 144,19-20 144,23-28 144,29-31 146,3-5 146,10-16

ŭſɂźŷȋÎŬŭŨŴŁ ȧūŰūȋŽůŮųȋůŮųŨŁ ȪŴůŨżŮŹɃŁ ʫőŮŹŶɥŴŲȤŪŶŴźŶŸŁ űŬżȋŲŨŰŶŴżȋŹűŶŴŁ ŨɠźŶɥɛɝŬŹůŨŰ ūŰŨżůȤŪŪŬźŨŰżȋŸŁ źɵŴųŨůŮźɵŴ 305

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

9 10

146,30-31 150,1-5

ȧÎŰűŬŰųȤŴŮŸȎŴȋŪűŮŸ ūŰūŨŹűŨŲɃŨŸŪȋŲŨűźŰ

Metri preparatori: 140,25 cretico-spondeo; 140,26 dicretico (22-3); 142,22 dicretico, cretico-trocheo (12); 144,23-28 dicretico (22); 144,29-31 cretico-spondeo; 146,3-5 cretico; 146,10-16 dispondeo; 146,30-31 ditrocheo, ditrocheo (31)

32 1

-ννννƘ 150,17

ōɌźŨȧÎŰŲȤŪŬŰŁ

33 1 2

---νƘ 148,17-18 148,25-27

ȑŲŲŶŰŸűȎűŬɋŴŶŁ ȎÎŶźųŮůɁŴŨŰ

Metri preparatori: 148,17-18 dispondeo; 148,25-27 ditrocheo CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2

-ν-ννƘ 144,16-18 148,9

ȧŹźŰŴȑŵŰŶŸ ȎūŰűɵŴȧŲȤŪŽŬźŨŰŁ

42 1

-νννννƘ 148,21-23

źŶɋŸźŮŷŶɥŹŰŴȧŪȤŴŬźŶ

43 1 2 3

---ννƘ 140,10-14 142,11-13 146,1-3

ȪŽŬŰŴŨɆɭŴŰŶŴŁ ʫōŲŲȬŴſŴźɵŴȑŴſ ȎŴŨűŨɃŬŰźȭŴųȋŽŮŴ

Metri preparatori: 140,10-14 cretico-trocheo (14); 142,11-13 cretico-trocheo (11-2), cretico-spondeo

306

LE CLAUSOLE METRICHE

CLAUSOLA 5: esametrica -νν-νƘ

5 1 2

142,9-10 150,12-15

ŪŬɝŹŬźŨɃÎŶźŬŹŨŷűɵŴ źŶɥźŶŲȤŪŶŴźŶŸŁ

Metri preparatori: 142,9-10 cretico-trocheo (11); 150,12-15 molosso CLAUSOLA 6: spondaica -ν----νƘ 146,26-27

61 1

ŬɠŽŬŷŬɃȠźɁŸŪŴɭųŮŸ

Metri preparatori: 146,26-27 ditrocheo ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1

140,15-16

űŨŰŴŶźŶųȬŹŬźŬ

Metri preparatori: 140,15-16 cretico-spondeo (15) --νννƘ 1 2 3

142,8-9 144,7-10 148,7-8

ɟÎŶųŬɃŴȿźŶɥźɓÎŶźŬŁ ÎŰŹźŬŻɓųŬŴŶŴ ŞŷŰŹźŶɥȪżŶūŶŴ

Metri preparatori: 142,8-9 ditrocheo (32); cretico-trocheo (12); 148,7-8 ipodocmio (42)

307

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Risposta del Cristiano: MAC. MAGN. Apocrit., III, p. 152,1- p. 188,8 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

-ν--νƘ 160,9-11 160,25-27 162,34-36 166,7-10 166,31-32 168,9 168,23-26 168,31-32 168,32-33 172,5-8 172,8-10 174,37-176,2 180,31-182,1 182,31-32 184,8-11 186,11-13 188,6-7

ϥȎϥůŨŴŨźɃŭŬŰźɔŴȑŴůŷſÎŶŴ żȋŷųŨűŶŴŹűŶÎȬŹŨŴźŬŸŁ ȧÎŨɃŷŶŻŹŰŴȎŷŷɭŹźŶŰŸ ÎŷȋŵŨŸÎŬżɭŷŨźŨŰŁ ȎŴůŷɭÎŶŰŸȧŲȋŹŨŴźŬŸ ŬɆÎɮŴȑŴŬŻȑŷůŷŶŻŁ űŨɄũūŬŲɝźźŬŹůŨŰ źŶɥųȥŴŬɆÎɓŴźŶŸŁ ȎųŬŲŲŮźɄɛɃžŨŴźŶŸŁ ȎŴȤŹÎŨŹźŨŰźɔɛɃŭſųŨ žŮŲŨżȬŹſųŬŴ ųŬŪȋŲſŸȧŲɝÎŮŹŬŴ ɛɭŹŬŰűŨůɃŹźŮŹŰŴ žŻŽȭŴȎŴȋŲſŹŬ ŏŷɭūŶŻÎŨŷŨŹűŬŻȬŴŁ ȧũūŬŲɝŵŨŴźŶ ųŬϫŲŲϫȬŹŨŸȎÎȋŪŪŬŰŲŶŴ

Metri preparatori: 160, 25-27 cretico-trocheo (11-2); 166,7-10 dimetro trocaico; 166,3132 dicretico (25); 168,9 ditrocheo; 168,23-26 cretico-dispondeo (61); 172,5-8 ditrocheo; 172,8-10 cretico-spondeo; 180,31-182,1 dispondeo; 182,31-32 dispondeo; 184,8-11 dispondeo; 186,11-13 dicretico; 11 1 2 3

ννν--νƘ 162,23-25 166,13 184,15-18 Metri preparatori: 162,23-25 dicretico (25)

308

űŲɁŷŶŴȎÎŶŴŶŹźȬŹŨŸŁ ŞŷŰŹźɔŸȎÎŬűɃŴŮŹŬ ůȋŴŨźŶŴȎŴŨūȤŵŨŹůŨŰ

LE CLAUSOLE METRICHE

12 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

-ννν-νƘ 156,35-37 158,31-32 162,1-3 162,36-164,2 166,1-3 166,13-14 170,29-32 178,19-23 180,5-8 182,29-30 186,28-31

źŷŻżɵųŬŴūŰȋŪŶŴźŬŸ ȧźɝŪŽŨŴŬŴɡÎŨŷŵŰŸ ŲŻÎŶɥŴȧżŻŪȋūŬŻŹŨŴ űŨɄűŨźȌůȋŲŨźźŨŴŁ ȎżŮŪȬŹŶųŨŰÎŬŷɄźŶɥŁ ũŶŻŴɔŴȧŹȋŲŬŻŹŬ ÎȢŹŰŴȎŷɃūŮŲŶŴ ŴŶɥŴźŬůŶŷɝũŮźŶŁ ŶɠŽɟÎŶųȤŴŶŴźŬŸŁ ȎŲŲȌųɓŴŶŴŬɆÎɭŴŁ ŽȋŷŰŴűŨźŨūȤŽŬŹůŨŰ

Metri preparatori: 156,35-37cretico-trocheo; 166,1-3 ipodocmio (42); 166,13-14 cretico-spondeo; 170,29-32 molosso; 178,19-23 struttura esametrica; 180,5-8 ditrocheo, cretico-trocheo (13); 182,29-30 cretico-trocheo (12); 13 1 2 3 4 5

-ν-νννƘ 152,15-17 154,25-26 156,25-26 162,17-19 166,16-17

ȑÎŬŰŹŰźŶɥůŨŴȋźŶŻŁ źŷŨżɂźɔźŰűźɓųŬŴŶŴ ʫʼnÎŶŹźɓŲŶŰŸūŰūŶɞŸȪŲŬŪŬŁ ŹŨżŮŴɃŭŶŴźŨ ȪŴůŨŲȤŪŬŰŁ ŪŴſŷɃųŶŰŸȪŲŬŪŬŴŁ

Metri preparatori: 154,25-26 ditrocheo; 156,25-26 ditrocheo; 166,16-17 cretico-spondeo 12-3 1

-ννννννƘ 170,10-12

ɯŸűŨŲɔŴȧÎŰźŬŲɵŴ

14 1 2 3 4

----νƘ 156,27-29 162,9-10 162,20-21 162,29-31

ȎÎŶůȤŹůŨŰźȭŴŶɉŮŹŰŴŁ ɟÎȋŷŽŬŰŴűŶųÎȋŹŶŻŹŰŴ źŶɞŸÎŰŹźŬɝŶŴźŨŸŁ ŨɠźɵŴÎŲŶɥźŶŸűɓŹųŶŻŁ 309

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

5 6 7

180,18-24 182,17-20 186,14-20

źŰųɁŸŬɌŴŨŰűŷɃŴŨŸ űŨűɃŨŸȎŷŷɭŹźŮųŨŁ ȧűźɓÎſŸůŷŻŲŲȬŹŨŴźŬŸ

Metri preparatori: 162,9-10 ipodocmio (43); 162,20-21 molosso; 162,29-31 cretico; 186,14-20 cretico-trocheo (15) 15 1 2 3 4 5 6

-νν--νƘ 152,14-15 158,14 174,1-2 174,9 178,7-8 182,1-3

ųŶŴɁŸȎŴŨŽſŷɁŹŨŴŁ ŬɆÎŬɋŴűŨźŬźɓŲųŮŹŬŴŁ ȯũŶɝŲŬźŶźʃŹźŨŻŷʃ źɔŴŚŨźŨŴȢŴźŨɥźŨŁ ŨɠŹźŮŷŶźȋźȿżſŴɂŁ ɟÎɁŷŽŬźɔźɓŲųŮųŨ

Metri preparatori: 158,14 dicretico (24); 174,1-2 cretico-spondeo; 174,9 cretico; 178,7-8 molosso; CLAUSOLA 2: dicretico 2 1 2 3 4 5

-ν--ννƘ 152,4-6 156,29-30 162,5-7 174,6-8 184,31-32

űŬŴſůŬɋŹŨŴȯŴȤŪűŨųŬŴŁ ŨɠźɓůŬŴźɔųŻŹźȬŷŰŶŴ ŬɠŹŬũɵŴŲŨųũȋŴŬŰŴŁ źɵŴųŨůŮźɵŴ ŲȤŪŬŰŁ ŬɟŷɃŹűŬźŨŰÎŨŴźŨŽŶɥŁ

Metri preparatori: 152,4-6 cretico; 156,29-30 ditrocheo; 162,5-7 dispondeo; 174,6-8 cretico; 184,31-32 molosso 22 1 2

-ννν-ννƘ 152,26-27 154,16-19

ȎŲŲȌŪȋŲŨźŻŪŽȋŴŬŰŁ ȮųɋŴȎÎŶűŨůŨɃŷŬźŨŰ

Metri preparatori: 152,26-27 dispondeo, ditrocheo; 154,16-19 due molossi 310

LE CLAUSOLE METRICHE

21-2 1

ννννν-ννƘ 178,30-180,5 űŲȤŶŸȧÎŰżŨŴȤŹźŨźŶŴŁ Metri preparatori: 178,30-180,5 cretico

23 1

-ν-ννννƘ 160,28-30

ůŨŴŨŹɃųſŴżŨŷųȋűſŴ ŪŬŴŶųȤŴŶŻŸ

Metri preparatori: 160,28-30 ditrocheo (32); 22-3 1

-ννννννƘ 166,32-34

ŐŬŶɥųŨŽɓųŬŴŶŸȪŲŬŪŬŴŁ

Metri preparatori: 166,32-34 cretico-trocheo; 24 1 2 3 4 5 6

----ννƘ 154,32-33 154,35-156,8 156,16-20 160,3-5 170,24-27 176,30-33

źŰűźŶɝŹŮŸŨɇųŨźŶŸ ŨɠźŶɋŸȎżůŨŷŹɃŨŴ ŭɵŴŶɠŲȬŵŬŰÎŶźȤ űŬűźɁŹůŨŰźȭŴŶɠŹɃŨŴ ÎŲŮŪȬŴ ŶɆŽȬŹŬźŨŰ ũŶȣűŨɄųŨŷźɝŷŬźŨŰŁ

Metri preparatori: 154,32-33 ditrocheo; 156,16-20 dicretico (26): 160,3-5 dicretico (22-3); 170,24-27 ditrocheo; 176,30-33 due dattili 25 1 2

26 1

-ν---νƘ 158,2-4 164,23-26

ŲŨũɮŴȧŴŮŴůŷɭÎŮŹŬŴ ɉŹųŬŴɆȋŹŨŴźŶ

Metri preparatori: 164,23-26 cretico-spondeo -νν--ννƘ 160,11-14 źŶɥźŶŴȎÎŬŷŪȋŭŬźŨŰ

311

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

2 3

170,5-6 170,6-8

ȎŴźŰÎȋŲŶŻżŰŲŰűɵŸŹÎȤŴūŬźŨŰŁ źɔŴŴɓųŶŴȎŹÎȋŭŬźŨŰ

Metri preparatori: 160,11-14 cretico-dispondeo (61); 170,6-8 dicretico (24) CLAUSOLA 3: ditrocheo 3 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

-ν-νƘ 152,27-154,3 154,8-11 156,20-24 158,27 158,33-160,1 166,18-19 168,2-4 168,13-16 168,19-21 170,4-5 174,5-6 180,16-18 182,20-23 184,4-7 184,11-14 184,18-20 184,32-186,2

ŲŨųÎŷɓźŮźŨ ÎŶŰɓźŮźŨ ŹŰźŨŷŽɃŨŴȪūſűŬŴ źɵŴūŰűŨɃſŴŁ ȧŹůɃŶŴźŨŸŁ ŬɆŸůȋŲŨŹŹŨŴ źɵŴųŨůŮźɵŴŁ ŬɆŸůȋŲŨŹŹŨŴ ȪŴůŨżŮŹɃŁ źɁŸȎŴŶɃŨŸŁ ŲŬŽůȤŴ ŬɌÎŬŴŁ źɂŪŻŴŨŰűɃ ȧŲŬŻůŬŷɭŹŨŸ ȎŴŨűŨŰŴɃŹȿźɔŴȦŹųɓŴŁ ȧŵȤÎŬųžŬŴ ūȠūŶŻŽɃŨŴȎŴȋžŨŰŁ ȧůŴɵŴɕųŶɃſŸ

Metri preparatori: 152,27-154,3 ipodocmio (43); 154,8-11 ipodocmio (43); 156,20-24 cretico-trocheo (14); 158,33-160,1 ditrocheo, dicretico (24); 166,18-19 ditrocheo (32); 168,2-4 dispondeo; 168,13-16 cretico-spondeo; 182,20-23 ditrocheo; 184,4-7 struttura esametrica; 184,11-14 dimetro trocaico; 184,18-20 ditrocheo; 184,32-186,2 due molossi

312

LE CLAUSOLE METRICHE

31 1 2 3

ννν-νƘ 174,8-9 180,8-9 182,24-25

ÎŬŷŰűȤűŶÎźŨŰ ŶɠÎɭÎŶźŬŪŬŪȤŴŮźŶŁ ŨɠźɓůŬŴȧÎȋűŶŻŹŶŴŁ

Metri preparatori: 174,8-9 cretico-trocheo (14); 180,8-9 cretico-trocheo; 32 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

-ννννƘ 156,31 160,30-162,1 164,2-6 166,6-7 168,1-2 170,14-15 170,32-34 172,12 172,33-174,1 178,11-14 184,20-24 186,2-11

śɃŪŶɥŴȧŹźŰŴɗżŨųŬŴ ÎŰŹźŶɞŸűŨŲȤŹŶųŬŴ ÎŷŶŹūŶűɃŨŸȎÎȤÎŬŹŶŴ ūŰūȋŹűŬŰŴȧÎŰźŬŲŬɋŴŁ źȭŴɟÎɓůŬŹŰŴ źŶɥūŰŨũɓŲŶŻŁ ÎŷŶŹűŻŴȬŹȿźɔŴȎŹŬũɁ ŨɠźɔŴȪżŨŹŨŴŁ ɟÎȋŷŽŬŰűŨźȋŲŻŹŰŸ űŨźŨŹŽŬɋŴȧŴȎŪȋÎȿ żŨźŷɃŨŴŹŻŴŨŪŨŪŬɋŴ ūŶűŰųȋŹŨŸȦűȋźŬŷŶŴ

Metri preparatori: 160,30-162,1 dispondeo; 166,6-7 dicretico; 168,1-2 struttura esametrica; 170,14-15 ipodocmio (43); 170,32-34 dicretico (24); 33 1 2 3 4 5 6 7 8 9

---νƘ 154,20-23 162,7-9 166,24-25 166,27-28 168,5-6 178,8-11 182,27-29 184,1-4 188,8

ȪŽŬŰŴźŶɥŞŷŰŹźŶɥ ȧŵȎŴůŷɭÎſŴŁ źŬźŷȋūŰŶŴźŶɥűɓŹųŶŻŁ ūŶŻŲɭŹŨŹůŨŰŁ ŨɠźŶɝŸżŮŹŰŁ ȎÎŶűŨůȢŷŨŰɛȣŶŴŁ ȎÎŶžŻŽŬɄŸŽŬŰųɵŴŰŁ źŰųſŷȬŹŨŹůŨŰ ŪŬŴɓųŬŴŶŸűŨɄŹŬųŴɓŸ

313

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Metri preparatori: 166,27-28 dispondeo; 182,27-29 ditrocheo; 184,1-4 dispondeo; CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2 3 4 5 6 7 8

-ν-ννƘ 152,1-4 154,28-32 160,15-20 166,11-12 170,1-2 180,28-29 182,32-35 188,5-6

ȧŴɿÎŬÎŶŰůɓźŬŸŁ űŨɄźŷŨżȬŹŬźŨŰ ȎűȬŷŨźŶŴųŶŴȬŴ źɔŴūŰūȋŹűŨŲŶŴ ūŻŹÎŬźȬųŨźŶŸŁ ŲŨũɮŴȧÎŨŰŴŬźɓŸ ȎųżŶźȤŷŶŻŸȎŴŨɃźŰŶŸ ŹŻŪűŨůŮųȤŴŶŰŸŁ

Metri preparatori: 154,28-32 dicretico (26); 160,15-20 ditrocheo; 170,1-2 dispondeo; 180,28-29 ditrocheo; 188,5-6 ipodocmio, ditrocheo 42 1 2 3 4 5 6

-νννννƘ 168,17-18 170,15-17 176,20-22 182,6-10 182,12-17 186,31-34

ūŨɃųŶŴŶŸȪŲŬŪŬ ɟÎŨűŶɁŸűŨźŬŽɓųŬŴŶŴ ųŨŷźŻŷŶɥŹŨŔŶŴŶŪŬŴŬɋ ŹűŬÎźɓųŬŴŶŸ ŲȤŪſŴŁ ÎȋŴźŨŸŴŬųɓųŬŴŶŸ ŬɆŷŪȋŹŨźŶŽȋŷŰźŶŸ

Metri preparatori: 168,17-18 dispondeo; 170,15-17 ditrocheo (32); 176,20-22 creticotrocheo (11); 182,6-10 ditrocheo; 186,31-34 struttura esametrica 43 1 2 3 4 5 314

---ννƘ 156,9-13 158,27-30 160,6-9 164,29-34 166,19-22

ȪŽŬŰŴŨɆɭŴŰŶŴ ȧŵŬɠŽŬŷŬɃŨŸűŨɄŲȤŪſŴŁ ȎÎŶŹũŬŴŴɝųŬŴŶŸŁ ÎŷȋŵŬŰžŻŽſżŬŲŬɋ ŲŬŪŶɝŹŮŸźɁŸŪŷŨżɁŸŁ

LE CLAUSOLE METRICHE

6 7 8

168,22 170,2-4 172,29-33

ŹűŶÎɁŹŨŰźȭŴżɝŹŰŴ ūŰūŨŹűȋŲʁűŨɄɛȬźŶŷŰŁ ȧŴŨŲŲȋŵŨŰźŶɥÎȋůŶŻŸŁ

Metri preparatori: 156,9-13 ditrocheo; 158,27-30 ditrocheo, cretico-trocheo (15); 164,29-34 dispondeo, cretico-spondeo; 168,22 ditrocheo; 170,2-4 dispondeo, ditrocheo; 172,29-33 dicretico (22) CLAUSOLA 5: esametrica 5 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

-νν-νƘ 152,6-12 154,11-16 158,1-2 158,4-9 160,1-3 162,3-5 164,6-15 164,18-20 164,26-29 168,30-31 170,27-29 172,1-2 176,2 176,2-5 178,18-19 184,27

ŬɉŷŮűŬŴɕŚſźȬŷŁ ŹŨŷűɔŸÎŨŽɝźŮźŨŁ źȭŴūŰȋŴŶŰŨŴ ÎŶźȬŷŰŶŴŬɌÎŬŁ źɁŸůŬɓźŮźŶŸ źŨŽŰŴŶɞŸȧŲŨźɁŷŨŸ ȧÎŶɃŮŹŬźȌÎȋŴźŨŁ ȪŹŽŬŴȏÎŨŴźŨ ůŬɃŶŻųŬźȋŷŨŴźŬŸ ÎŷȢŵŨŰźɔŴʫőŮŹŶɥŴŁ ūɁŲŶŴɟÎȋŷŽŬŰŁ ũŨϥŹŨϫŴŰŹźȤŶŴȲūŮŁ ōɆÎɓŴźŨŪȌŷŨɠźɓŴŁ ȑŴſũŨŹŰŲŬɃŨŸŁ ŲŨůŷϫŨɃϫſŸųŬźȤūſűŬ źŶɞŸŹźŷŨźŰɭźŨŸŁ

Metri preparatori: 152,6-12 cretico 154,11-16 dispondeo; 158,1-2 ditrocheo; 158,4-9 cretico-trocheo (14); 160,1-3 dicretico (26); 164,6-15 ipodocmio; 164,26-29 cretico-spondeo; 170,27-29 cretico; 176,2-5 ditrocheo; 184,27 ditrocheo

315

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

CLAUSOLA 6: spondaica -ν----νƘ 156,13-14 162,12-17 166,14-15

61 1 2 3

űŨɄżŨŪɮŴȪŹŽŬŭſȬŴŁ źȭŴũŲȋũŮŴŶɠűȧųÎŶŰŬɋ ÎŶŰŶɥŴźŨźŶɥźʫȧŭȬŲſŹŨŴ

Metri preparatori: 156,13-14 cretico-trocheo (12-3); 162,12-17 cretico-trocheo (14); 166,14-15 cretico-spondeo ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1 2

156,14-16 166,10-11

ŭſɁŸȎÎŬũȋŲŲŬźŶŁ ÎŶŰŬɋ űŨźŨūȤŵŬźŨŰŁ

Metri preparatori: 156,14-16 cretico-spondeo; 166,10-11 struttura esametrica --νννƘ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

316

154,26-28 156,31-33 158,14-17 162,11-12 164,15-18 166,28-30 168,9-11 168,33-34 170,12 170,17-20 172,2-3 172,3-5 174,13-15 174,15-24 174,25-37

ȎűŰũūȬŲʁűŨŴɓŴŰ ŨɠźɁŸŶɠżůŬŰŷɓųŬůŨŁ ŐŬŶɥźŶɥźʫɉūŰŶŴ ȎŵŰɵŹŨŰũŨŹȋŴŶŻ ɆŨŹȋųŬŴŶŸ ŶɠźɔŚɃŴŨŰŶŴəŷŶŸŁ ŬɆŷŮűȤŴŨŰŹſųŨźŰűŶɥŁ ŪŴɭųȿÎŷŨźźɓųŬŴŶŴ ȴŴȮÎŬŷɄźŶɥŁ ȎŷŴŮŹȋųŬŴŶŸŁ ŹŬŹȋŲŬŻźŨŰůŶŷɝũŶŻŁ źʃŴȤżŬŰŹŻŪűȤŽŻźŨŰ žŰůŻŷɃŭŬŰŴųȤŪŬůŶŸ ÎŷŶŽŬɃŷſŸżůŬŪŪɓųŬŴŶŸŁ ÎŨŷŨُ۟ȋųŬŴŶŴ

LE CLAUSOLE METRICHE

16 17 18

178,23-29 184,25-27 186,21-26

ȎŹÎŨŭŶųȤŴŶŻŸ żŶŴŬɝŬŰŴźŶɞŸŹűɝŲŨűŨŸ ȎÎŨŲŲȋŵŨŸŔſŹŨƀűɵŴ

Metri preparatori: 154,26-28 ipodocmio (43); 156,31-33 ditrocheo; 162,11-12 ditrocheo; 164,15-18 cretico-trocheo (14); 168,9-11 ditrocheo; 168,33-34 cretico-spondeo; 172,3-5 cretico-trocheo; 174,15-24 dicretico; 178,23-29 cretico-spondeo; 184,25-27 ditrocheo (32); 186,21-26 ditrocheo -νν-νννƘ 1

154,23-24

źŶÎȋŭŬŰŸȧūɃūŨŵŬŲȤŪſŴŁ

Metri preparatori: 154,23-24 cretico Obiezioni del Pagano: MAC. MAGN. Apocrit., III, p. 188,8- p. 196,19 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4 5

-ν--νƘ 188,15-19 188,23-24 190,6-7 190,16-18 194,9

ƫÎŶŹźɓŲſŴūŰūȋŹűŶŻŹŰŴ ÎȋŴźŨŸűŨůŮűŬɝſŴ ȧŲŬŻůȤŷſŴȎżȬŪŮŹŰŸŁ ŬɌŴŨŰ ÎŷɔźŶɝźŶŻżȋŸŁ źȭŴȎżȬŪŮŹŰŴŁ

Metri preparatori: 188,15-19 dispondeo, ditrocheo; 188,23-24 ipodocmio (43); 190,6-7 ditrocheo; 190,16-18 dicretico; 194,9 cretico 12 1

-ννν-νƘ 192,20-22

ŹŬųŴɵŸÎŬŷŰȤÎŶŴźŨ

Metri preparatori: 192,20-22 ditrocheo

317

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

13 1

-ν-νννƘ 192,24-26

źŶɥŕɓųŶŻÎŷŶŹȤŽŬŰŴŁ

14 1 2

----νƘ 192,23-24 196,4-5

ȎŴŨÎŮūȬŹŨŸżȋŹűŬŰŁ ȧŷŽŶųȤŴŮűŨɄÎɃÎźŶŻŹŨŁ

Metri preparatori: 192,23-24 ditrocheo (33) CLAUSOLA 2: dicretico 2

1 21 1 2

-ν--ννƘ

194,22

ɅŹźɓŷŮźŨŰ ŲȤŪſŴŁ

ννν--ννƘ 188,24-190,5 196,6-8

ɆūŰŶÎŶŰŶɝųŬŴŶŸ ųŬźŨũŨŲŲɓųŬŴŶŸŨɦůŰŸ ŪŷȋżŬŰŁ

Metri preparatori: 188,24-190,5 dispondeo 22 1 2

-ννν-ννƘ 188,22 192,15-17

əŴźſŸźɔÎŨŷŨÎȋŲŲŰŶŴ źɵŴŪŬŴŶųȤŴſŴÎȋŲŨŰ

23 1

-ν-ννννƘ 190,7-8

źɵŴŲɓŪſŴɟÎɓůŬŹŰŸ

Metri preparatori: 190,7-8 ipodocmio (43) 24 1 2 3 4

318

----ννƘ 188,20 190,8-11 190,27-30 196,3-4

ũŲŨűŬɃŨŸźɵŴɛŮųȋźſŴŁ ȎŹźŬɃſŴźȌÎźŨɃŹųŨźŨŁ ȎÎŨŴůŷɭÎſŸūŶŻŲŶɝųŬŴŶŸ ųŨŽŨɃŷȠŽŬŰŷŶɝųŬŴŶŸŁ

LE CLAUSOLE METRICHE

Metri preparatori: 188,20 dispondeo; 190,27-30 ipodocmio (43); 196,3-4 ditrocheo 25 1

-ν---νƘ 192,13-14

ȎÎŶźȤųŴſŴÎŷɓŴŶŰŨŴ żȋŹűſŴŁ

26 1

-νν--ννƘ 192,2-3

źŶɥżŨŴŬŷŶɥŹɝŴźŷŶżŶŸŁ

Metri preparatori: 192,2-3 dimetro spondaico CLAUSOLA 3: ditrocheo 3 1 2 3 4 5



-ν-νƘ 188,20-21 192,10-11 194,2-4 194,11-12 194,19-22

ŭſŪŷȋżŶŻŹŰŁ ŹŻŴȬŪŶŷŶŴżȋŸŁ űŨźȋŷŨŴźɃůŮŹŰŴ űŨɄÎŷɔźŶɝźſŴŁ ųȭÎŷŶŬɃÎȿŁ

Metri preparatori: 188,20-21 molosso; 192,10-11 ditrocheo; 194,19-22 ditrocheo (31) 32 1

-ννννƘ 194,26

űŨɄųŬźʫɖŲɃŪŨŁ

CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2 3 4

-ν-ννƘ 190,12-14 190,30-192,2 194,12-16 196,10

űŨźȬŪŶŷŶŸ ŲȤŪſŴŁ źȭŴÎŷŶŨɃŷŬŹŰŴ ŲȤŪſŴȧÎŨŰŴŬźɓŴ ȧÎŰŹźŶŲɂ ŲȤŪŬŰŁ

319

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

42 1

Metri preparatori: 190,30-192,2 dicretico (25); 194,12-16 cretico-trocheo; -νννννƘ 194,4-8 ŽŬŰŷŨŪſŪŶɥŴźŶŸȎųŨůɃŨŴ Metri preparatori: 194,4-8 ipodocmio (43) ---ννƘ 190,23-27 192,31-32 194,1-2

43 1 2 3

ŬɠŽŬŷŬɋŸūŶŻŲŶɝųŬŴŶŸ ÎŬɃůŬŹůŨŰŲȤŪŬŰŁ řſųŨɃŶŰŸɗźŰŁ

Metri preparatori: 190,23-27 cretico-trocheo (14); 192,31-32 cretico (si è preferita tale interpretazione metrica, invece di ditrocheo soluto, perché entrambe le configurazioni, la cretica e l’ipodocmiaca, sono ben circoscritte) CLAUSOLA 5: esametrica 5 1 2 3



-νν-νƘ 188,11-13 192,19-20 196,14-15

ɕŷŰŹůɁʮŴŨŰűŬżȋŲŨŰŨ űŨɄűŨųŨźŮŷɵŴ źŬŵŨųȤŴȿźɔŴʫőŮŹŶɥŴ

Metri preparatori: 188,11-13 ditrocheo; 192,19-20 struttura esametrica; ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1 2

192,7-8 196,2-3

ūɁŲŶŸȎżʫɷŴŲȤŪŬŰŁ ųŮūŬŴɔŸŬɟŷŬůȤŴŁ

Metri preparatori: 192,7-8 cretico; 196,2-3 molosso, ditrocheo

--νννƘ 1

320

192,3

űŨɄÎŬŷŰźźɔŴźɔŲȤŪŬŰŴŁ

LE CLAUSOLE METRICHE

-νν-νννƘ 3

192,26-30

ÎŷɓŹźŨŪųŨ ŲȤŪſŴŋŨŲȋźŨŰŸŁ

Risposta del Cristiano: MAC. MAGN. Apocrit., III, p.196,21- p. 234,4 CLAUSOLA 1: cretico + trocheo 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

-ν--νƘ 202,25-29 206,29-33 210,27-30 212,26-28 212,28-30 212,32-33 216,6-8 216,8-12 216,19-20 216,23-25 216,25-28 218,20-22 220,3-6 220,19-22 222,8-11 224,3-4 224,4-5 226,29-30 230,1-4 232,16 232,31-34

őʫ ŶŻūŨɃŶŻŸȧŴɃűŮŹŬŴ űŨųȋźŶŻźɔŴȑŴůŷſÎŶŴ ũŨŷȬŹŨŸȧŲȤÎźŻŴŬ ūŰűŨɃſŸűŶŲȋŭŶŴźŶŸŁ ŨɆźɃŨŴȧŲȤŪŽŶŴźŶŸ ÎŷȋźźſŴɟÎŬɝůŻŴŶŸŁ ŹŻųÎŨůŬɃŨŸűŶŲȋŭŬŹůŨŰŁ ŨɠźɓůŬŴűŶŲȋŭŶŴźŶŸ žŮŲŨżȬŹŨŴźŶŸ ÎŷɔŸũŶȬůŬŰŨŴŁ ȍųŨŷźɃŨŴȎŴȋŲſŹŬ ȪŷŪſŴŹŽŶŲȋŭŶŻŹŨŴ űŨɄūŨųȋŭŶŻŹŨ ÎŰŹźŶɞŸȧűɭŲŻŬŴ ȎūŬɃȠźɔŴȑŴůŷſÎŶŴŁ ŬɆŹŰŴŬɉūſŲŨŁ ŶɠŽɟÎȋŷŽŶŻŹŰŁ ųȭųŬůɝŹűŬŹůŨŰŁ źŶɥűŨźŶŷůŶɥŴźŶŸŁ ȧŵŬżŶɃźŮŹŨŴŁ ũɃʁūŰūȋŹűſŹŰ

Metri preparatori: 210,27-30 ipodocmio (43); 212,26-28 dicretico (25), ipodocmio (41); 216,6-8 molosso, dicretico (26); 216,19-20 due molossi; 216,23-25 dicretico (21), ipodocmio; 216,25-28 ditrocheo; 218,20-22 cretico-spondeo (11); 220,19-22 ditrocheo; 224,3-4 dispondeo; 224,3-4 cretico-trocheo; 226,29-30 ditrocheo (32); 230,1-4 cretico-spondeo; 232,16 ditrocheo; 232,31-34 cretico-trocheo (15)

321

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

11 1 2 3



ννν--νƘ 210,32-34 214,30-31 222,2-4

ŲŶŰÎɔŴɟÎŶźȋźźŬŹůŨŰ ɟÎɁŷŽŬźɔÎŨŷȋÎźſųŨ ȪźŰűŨźɭŷŻźźŶŴ

Metri preparatori: 210,32-34 ditrocheo, cretico-trocheo (15); 222,2-4 ditrocheo 12 1 2 3 4 5



-ννν-νƘ 208,35-36 218,23-25 222,11-12 228,18-19 230,28-36

źŶɥźŶÎŬŷŰźȤųŴŬŰŴŁ ÎȋųÎŨŴȎŲɓŪŰŹźŶŴŁ ÎŷȢŪųŨźŬůɓŲſźŶ ÎŶŲŲȭŴŲŶŪŰɓźŮźŨ űȋŲŲŶŸÎŨŷŬŽȋŷŨŵŨŴŁ

Metri preparatori: 208,35-36 dicretico (25); 218,23-25 cretico-trocheo (11); 228,18-19 cretico-spondeo; 230,28-36 dicretico (25) 11-2 1



ννννν-νƘ 196,21-25

ȧųŨŽɓųŬůŨżȋŴźŬŸŁ

Metri preparatori: 196,21-25 ditrocheo 13 1 2 3 4 5 6



-ν-νννƘ 202,10-21 206,5-11 206,18-19 226,4-6 228,1-2 230,7-10

ŨɠźŶɥūŰſűɓųŬŴŶŸŁ ŹÎȤŷųŨūŬŵȋųŬŴŶŰŁ ÎŶŰɵŴźɔųŨŷźɝŷŰŶŴ ŹŨżɵŸŲȤŪŬŰŴɘŲȤŪŬŰŁ źɵŴÎɓŴſŴŹźȤżŬźŨŰ ŞŷŰŹźʃŹɝŴŬŹźŰ ŲȤŪſŴŁ

Metri preparatori: 202,10-21 dicretico (23); 206,5-11 dicretico; 206,18-19 dispondeo; 226,4-6 cretico-trocheo (12); 228,1-2 ditrocheo; 230,7-10 molosso

322

LE CLAUSOLE METRICHE

14 1 2 3 4 5 6 7 8 9



----νƘ 200,23-28 208,26-28 208,38-210,1 212,15-18 216,21-23 226,20-23 226,25 226,27 230,36-232,2

űŨűɃŨŴŴŰűȬŹŬŰŬŁ ÎŨŹɵŴŬɆŹŬŲůɭŴ ȧŴūɃűſŸȯűɝŷſŹŬŁ źʃŹÎŬɋŷŨŰźȭŴŪɁŴ ÎŷŶŹżŬɝŪŬŰŴűŨɄŹɭŭŬŹůŨŰ ÎŨŷůŬŴɃŨŴȎŹÎȋŭŬŹůŨŰ ȧÎŰźȋźźŬŰųȭűŲȤÎźŬŰŴŁ ȧÎŰźȋźźŬŰųȭųŶŰŽŬɝŬŰŴŁ ɯŷŨɎŭŶŴźŬŸ

Metri preparatori: 200,23-28 ditrocheo; 208,38-210,1 cretico, cretico-trocheo (1 1); 216,21-23 dicretico, cretico-spondeo; 226,20-23 cretico-spondeo (13); 226,27 struttura esametrica; 230,36-232,2 dicretico (22)

15 1 2 3 4 5 6 7



-νν--νƘ 200,15-22 210,15-18 212,33-214,2 214,38-216,3 220,32-34 230,6-7 232,16-19

ŹÎŶŻūȭŴŹŻŴŬŲȋŹŬŰŬŴ ūɝŴŨŴźŨŰűŶŷȤŹŨŰũſųɓŴ ũɝůŰŶŴűŨźŨÎɃŴŬŹůŨŰ ųȤŲŲŶŴȧűɭŲŻŬŴ ÎȢŴŹŻŴŬŲŨɝŴŬŹůŨŰŁ ɆūɭŴ ȧźŨÎŬɃŴſŹŬŴ ȧŷŪɵūŬŸȎÎŨŪŪŬɋŲŨŰŁ

Metri preparatori: 200,15-22 cretico-spondeo, dimetro spondaico; 210,15-18 ipodocmio; 232,16-19 ditrocheo, struttura esametrica CLAUSOLA 2: dicretico 2 1



-ν--ννƘ 224,12-13

ȧŴūɃűſŸŪɁ ɡūſŷ

Metri preparatori: 224,12-13 ipodocmio;

323

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

21  1 2



ννν--ννƘ 204,8-11 226,10-11

źɔŪȤŴŶŸȎŹÎȋŭŬźŨŰ ȧÎŰźŨŪȭŴūʫŶɠűȪŽſ

Metri preparatori: 204,8-11 dispondeo; 22  1 2 3



-ννν-ννƘ 198,28-31 224,11-12 226,12-16

ŪŰŪŴɓųŬŴŶŸɰżŬŲŬɋŁ ŨɠźɓůŬŴȧŲȤŪŽŬźŨŰ ɛȣŶŴűŨźŨÎŶŴŶɝųŬŴŶŴ

Metri preparatori: 198,28-31 cretico-trocheo; 224,11-12 dicretico; 226,12-16 ditrocheo

 21-2  1



ννννν-ννƘ 220,2-3 ȨźŬŷŨűŨźŬůɝŬźŶŁ

Metri preparatori: 220,2-3 cretico-spondeo (13) 23  1 2 3 4 5



-ν-ννννƘ 204,25-29 208,32-35 214,25-30 218,19-20 222,1-2

ŬɠŨŪŪŬŲŰűŶɋŸŴɓųŶŰŸȧŴȎŪȋÎȿ żŮųɄűŨɄÎŬŷŰźŶųɁŸ źŰųſŷɃŨŸūŬɓųŬŴŶŴŁ ȎŴźɃŲŮžŰŴȎŷŬźɁŸŁ ȪũŨŲŲŬűŨɄűŨźȤżŬŷŬŁ

Metri preparatori: 208,32-35 dicretico; 214,25-30 ditrocheo, cretico-trocheo; 218,19-20 ditrocheo; ----ννƘ 24 1 204,6-8 ůŬɃŶŻűŮŷɝŪųŨźŶŸ 2 208,23-26 ȧȋŹŨŸȯŴŶŰŪųȤŴŮŴŁ 3 208,31 ÎŲŮŷɵŹŨŰźɔŴŕɓųŶŴ 4 210,18 ɛŨŴźŰŹųŶɄűŨɄũŨÎźɃŹųŨźŨŁ 5 214,2-3 ŲȬůŮŸŬɆŷŪȋŭŬźŶ 6 214,16-20 ȧŲȤŪŽſŴźȌŹżȋŲųŨźŨŁ

324

LE CLAUSOLE METRICHE

7 8 9 10

222,23-25 224,32-226,2 228,13-15 230,4-5

11

234,2-4

ųȭÎŷŶŹžŨɝŬŰŴɗŲſŸ űŨɄŹɭŭŬŹůŨŰ ŲȤŪſŴŁ ȧÎŰźȋźźŬŰÎŶŰŬɋŴźŰŴŰŁ ÎŨŷŨžŬŲŲɃŭŬŰźɂŪŴɭųȿ  ŲȤŪſŴŁ ŬɠųŨŷŬɃȠźŶɥűŷŬɃźźŶŴŶŸ

Metri preparatori: 208,23-26 ditrocheo; 214,2-3 ipodocmio (43); 214,16-20 ditrocheo; 222,23-25 cretico-spondeo; 230,4-5 cretico-spondeo; 234,2-4 cretico-trocheo, ditrocheo  25  1 2 3 4 5



-ν---νƘ 200,28-30 202,21-23 202,30-32 204,30-206,4 220,10-13

űŷŬɋźźŶŴȧŷŪȋŭŶŴźŨŰ ŬɟŷɓŴźŬŸȮźźȬůŮŹŨŴ űŨŲɵŸȎŷŰŹźŬɝŶŴźŨŁ ÎŷŶůŻųɃŨŸźȭŴŹÎŶŻūȬŴ ɟžŮŲɵŴűŨźŨŹżȋźźŬŹůŨŰŁ

Metri preparatori: 202,21-23 ditrocheo (32); 220,10-13 dispondeo

-νν--ννƘ 222,4-6 222,20-23

26 1 2

ɅŲŨŹűŶųȤŴŮūŨɃųŶŴŨŸ ÎŷȢŵŰŴȎŴŬŰŲŮżɓźŨŸŁ

Metri preparatori: 222,20-23 ditrocheo

CLAUSOLA 3: ditrocheo 3 1 2 3 4 5



-ν-νƘ 198,25-27 202,4-5 202,33-204,5 204,12-13 204,17-20

ŽŬŰŷɭŹŨŹůŨŰżȋŲŨŪŪŨŸ ȎŪŽɃŴŶŰŨŴżŨŴɁŹŨŰ ʫőŶŻūŨɋŶŸ ȧŹźɃŴŁ ŬɠŪȤŴŬŰŨŴ ȧųŴŮųɓŴŬŻŹŬŴ

325

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

206,16-18 206,28-29 208,36-37 212,3-5 212,18-19 212,30-32 220,7-10 220,16-18 222,29-30 224,13-14 224,19-25 226,24-25 226,30-33 228,2-3 232,3-4

űŨɄŪŬſŷŪŶɥŁ ȪŴůŨżŮŹɃŴŁ ųȭũŬũŮŲŶɥŴ ÎŬŷŰŪŷȋžŨŸÎŨŲŨŰɓŴ źŶɥźɓżŮŹŰŴŁ ŶɠűȪŽŶŻŹŰŴŁ źŻŪŽȋŴŶŴźŶŸŁ ȮůȋŲŨŹŹŨ ūŶŪųŨźɃŭŬŰ ŬɆūɭŲſŴůɝŶŻŹŰ ÎŨŷŬŰŹȋŪŶŴźŨŸ ȪŽſŴŲŨŲŶɥŴźŨŁ ŬɠűŰŴȬźſŸźŷȤŽŶŴźŨ źŶɝźŶŰŸɗųŶŰŨŁ ŘŨɥŲŶŸŬɌÎŬŴŁ

Metri preparatori: 198,25-27 dicretico (25); 202,4-5 dicretico (26); 204,12-13 ditrocheo; 206,16-18 ipodocmio; 206,28-29 cretico-trocheo (12); 208,36-37 dimetro trocaico; 212,30-32 ipodocmio (43); 220,7-10 ipodocmio (43); 220,16-18 cretico-spondeo (13); 222,29-30 struttura esametrica; 224,13-14 dimetro spondaico; 224,19-25 cretico-trocheo (14); 226,30-33 ditrocheo, dispondeo; 228,2-3 ipodocmio (43); 232,3-4 ipodocmio (42) 31 1  2  1 2 3 4 5 6 7

326





ννν-νƘ 200,30-31

ÎŨŷŨūɃūſŹŰŴŁ

-ννννƘ 202,32-33 208,1-5 208,38

ɛſųŨƀűŶɥŪŬŴɓųŬŴŶŸ ȧűźŬŲȤŹŨŰźɔŴɓųŰųŶŴ ųȭÎŬŷŰźŬųɭŴ

210,25-27 212,7-9 216,15-18 222,31-32

ŲŶŪŰŹųɔŸȎźŶŴŬɋŁ ŪŴɭųŮŴȎŴŨŲŨũɭŴ ɟÎɁŷŽŬůŨŴȋźŶŻŁ ŬɉūſŲŨŲȤŪŬźŨŰŁ

LE CLAUSOLE METRICHE

Metri preparatori: 208,38 ditrocheo; 210,25-27 ditrocheo; 212,7-9 dispondeo; 33 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

---νƘ 200,13-15 204,5-6 206,11-15 208,22-23 214,3-6 224,7-9 222,13-16 222,26-27 224,14 224,14-16 224,27-29 226,33-34 228,19 230,17-27

ɆȋŹŮźŨŰŁ ȎÎŶűŨŲɵŴ͓řſųŨɋŶŴŁ źŶɥűȋųŴŶŴźŶŸ ȎŹÎȋŹŨŹůŨŰ űſŲɝŶŴźŶŸ ʫʼnÎɓŹźŶŲŶŴżȋŹűŶŴźŨŁ ūŰŨżůŬɃŷſŹŰŁ ȎűŻŷŶɋżȋŹűſŴŁ ŶɠűŬɆūɭŲŶŰŸŁ űŶŰŴſŴŶɞŸźŶɥŞŷŰŹźŶɥ ȎŴŨŪŰŴɭŹűŮźŨŰ ȎŴŬŴūŶŰȋŹźſŸŁ ɕŷȣŸÎŨɃūŬŻŹŰŴ ūŰŨżůŬɃŷŨŴźŬŸ

Metri preparatori 206,11-15 ipodocmio (43); 214,3-6 dicretico, cretico-spondeo; 224,7-9 cretico-trocheo (12); 224,14-16 dispondeo; CLAUSOLA 4: ipodocmio 4 1 2 3 4 5 6 7 8 9

-ν-ννƘ 198,31-200,5 202,23-25 208,19-21 208,29-31 210,1-2 212,12-13 216,3-5 218,7-19 218,25-27

ŹŻŴūŰŨűŬɃųŬŴŶŸŲȤŪſŴŁ ŹŶżɃŨŸɟÎŬŷũŶŲɂ ÎȤŴźŬųȭūŷŨųɭŴŁ ÎŶŰȬŹŨŸȧŲȤŪŽŬźŨŰ ÎŨŷŨũȋźŮŸȧŲȤŪŽŬźŨŰ źŶɥŕɓųŶŻŲȤŪſŴ ūŬŹÎŶźŰűŶɥůŬŲȬųŨźŶŸŁ ŚſźɁŷŶŸȮŽȋŷŰŸŁ űŨųȋźſŴÎŬÎŨŻųȤŴŨ

327

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

10 11 12 13 14

222,32-224,3 224,5-7 224,29-31 228,15-17 232,23-26

ŬɉūſŲŨźŻŪŽȋŴŬŰŁ ŬɉūſŲŨūʫŶɠūŨųɵŸŁ ɯŸɗźŨŴŲȤŪȿŁ ÎŷŶŨɃŷŬŹŰŴŲȤŪſŴŁ źɔŴŪȋųŶŴ ŲȤŪſŴŁ

Metri preparatori 208,19-21 dispondeo; 208,29-31 dispondeo; 212,12-13 ditrocheo; 218,7-19 trimetro trocaico; 224,5-7 dicretico; 228,15-17 cretico-trocheo (14); 42 1 2



-νννννƘ 202,5-9 214,32

ɟÎȋŷŽȿźɔŲŬŪɓųŬŴŶŴ ȧŴźŬɥůŬŴȦÎɓųŬŴŶŴ

Metri preparatori 202,5-9 cretico-trocheo (12-3); 43 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

---ννƘ 198,11-12 200,32-35 206,19-26 210,5-8 210,23-25 216,13-15 216,29-33 222,16-20 224,25-26 226,27-29 228,29-31 234,1-2

ȴůŶŸźŶɥųŬɃŷŨűŶŸ ʫőŶŻūŨɃŶŰŸŴɓŹŶŴ żɓŷŶŻŸŬɆŹÎŷȋźźŬźŨŰ űŨźŶŷůɵŹŨŰÎŷȋŪųŨźŰ ųŬźŨżȤŷŬŰŴźʃɛȋŪųŨźŰ ɆŹŽɝŬŰŴɗŲſŸ ųŨŴůȋŴſŴȧűźȬŹŨźŶŁ ŲŨųũȋŴŬŰŴɖžɭŴŰŨ ŲɝŹŰŴÎŶŰȬŹŶųŨŰ ŪȋųŶŴźŶɥÎŲŮŹɃŶŴ ūɓŵȿŲŨųÎŷɝŴŬźŨŰ ÎŬŷŰŪŷȋžŨŰźɔŴŲɓŪŶŴŁ

Metri preparatori: 200,32-35 ditrocheo; 206,19-26 ditrocheo; 216,13-15 ditrocheo, cretico-trocheo (14); 222,16-20 cretico-trocheo (14); 224,25-26 creticotrocheo (14); 228,29-31 cretico-spondeo;

328

LE CLAUSOLE METRICHE

CLAUSOLA 5: esametrica -νν-νƘ 198,1-7 212,10-12 214,32-37 226,7-10 226,25-27 232,5-12 232,12-15 232,35-37

5 1 2 3 4 5 6 7 8

űŬŽŷŮųȤŴŶŸūŰŨŪſŪɂ ȎŴŨÎŲŮŷŶɥŴȧůȤŲŶŴźŨŸ ÎŲŮųųŬŲŶɥŴźŶŸɟÎɁŷŽŬ ŨɆźɃŨŴźŰŴȌżȋŹűŬŰŴŁ űźŮųȋźſŴȎÎȤŽŬŹůŨŰ ŹźŷŬżŶųȤŴŮűŨźȤűŨŻŹŬŴŁ űŨɄųŬźȋŲŮžŰŴ ųȭÎŷŶŹɃŬŹůŨŰ

Metri preparatori: 214,32-37 ditrocheo, cretico-trocheo (14); 232,12-15 dicretico (25); 232,35-37 cretico-trocheo (15) ALTRE CLAUSOLE -νν-ννƘ 1 2

210,3-5 220,14-16

ÎȋŴźŨŕɓųŶŴźŰŴȋ ŨɠźȌźȌŲŬɃžŨŴŨŁ

Metri preparatori: 210,3-5 dispondeo --νννƘ 1 2 3 4 5 6 7 8

198,8-11 198,17-25 204,14-15 204,21-25 216,33-37 218,1-7 218,28-32 226,16-18

ɰżŬŲŬɃŨŸȨŴŬűŨŁ ŽŬŰŷſŹȋųŬŴŶŸŁ ÎŷɓźŨŹŰŴźȭŴÎŬŷɄźŶɥŁ ȎżŬŰūɵŸŲŮƀŭɓųŬŴŶŸŁ ŲȤŪŬŰźŶɋŸŪȤŴŬŹŰŴ ÎŨŷŨųŻůŮŹȋųŬŴŶŸŁ ŪŴſŷŰŭŶųȤŴſŴ űŨɝŽŮųŨ ŲȤŪŬŰŁ

Metri preparatori: 198,8-11 ditrocheo; 198,17-25 dispondeo; 204,21-25 struttura esametrica; 216,33-37 cretico-trocheo (11); 218,1-7 ripetizione della stessa struttura metrica; 218,28-32 ipodocmio (43); 226,16-18 cretico-trocheo 329

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

-νν-νννƘ 1 2 3 4 5

208,5-8 212,20-22 214,20-22 222,30-31 228,9-12

ūŮųŶŹɃſŸųŶŴŶŴŶŻŽɄŲȤŪſŴŁ ůŷϥŻϫŲŲŶɝųŬŴŶŴ ȪŴůŨŲȤŪŬŰŁ ŭɁŴȧŴȧŲŬŻůŬŷɃȠ źɔŴŲɓŪŶŴȳźɔŴɗŷŶŴŁ ųȭűŨźŨūŬŵȋųŬŴŶŴŁ

Metri preparatori: 214,20-22 struttura esametrica; 228,9-12 cretico-spondeo (11-2)

330

THE ‘POLEMIC LEXICON’ IN SOME HAGIOGRAPHICAL EPISODES OF LATE ANTIQUITY. THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

1. INTRODUCTION: MYSTICAL PRACTICES AND ‘POLEMIC’ Christianity is a ‘break with the past’, which can be read in the words of Jesus: “I have come not to bring peace, but a sword”;1 it brought opposition to and transformation of the ancient pagan and Hebrew customs. The polemic, ‘conquest’ of truth and justice, is therefore in itself an expression of faith in Christ, in his battle on earth against adversaries, the antagonists of the ‘ultimate end’, that is Heaven. Hagiography, like exegetical texts, like polemic and apologetic, does not spare the theme of contest and struggle. On the contrary, it emphasizes the clash of the saint and the devil to symbolize the victory of faith over evil. Christ proved that the destiny of evil is its defeat and the monk, the supreme model of imitatio and militia Christi, perpetuates the demonic defeat with the charisma of the Word reserved to ůŬɋŶŸȎŴťŷ. The Lives of the Saints offer sequences of true and proper ‘contests’, physical and spiritual with the devil, in a double literary framework. A scenic, tragic or sometimes tragic-comic picture emerges from the verbal confrontations with the antagonist, together with the literary techniques of the controversy, of the suasoria, of the apologetic. The polemic between the saint and the devil, as already seen in the Acts of the Martyrs,2 re-enacts therefore the battle between Christ and Satan, which in turn was prefigured by that of the Prophet3 and the devil, with inevitable references to Old and New Testament passages.4

1

Mt 10, 34. Cf. EDWARD E. MALONE, The Monk and the Martyr, in Antonius Magnus Eremita (356-1956). Studia ad antiquum monachismum spectantia, ed. B. Steidle, Romae, Orbis Catholicus, 1956, (Studia Anselmiana Philosophica theologica, 38), p. 211. 3 Cf. SULPICIUS SEVERUS, La Vie de saint Martin, ed. J. Fontaine, 3 voll., SC 133135 (1967-1969), t. I, pp. 127-134. 4 References to the Bible, from the Old and New Testament, are new with respect to the classical ‘polemic’ tradition. 2

331

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

The polemic registers of the contest are the vituperatio (total censorship), the dispute, the altercatio (oratorical term which indicates the ‘strong’ attack and the doctrinal discussion), the denigration of the adversary, the supplication (very common after an armed clash ), the threat and the condemnation. In hagiographic texts, all these elements always end in the withdrawal of the antagonist, who abandons the scene, vanishing into nothing, definitively defeated. Jesus is truth and Satan is lies says John:5 the Christian polemic does not concede space to the adversary; that is, there is no truth in the antagonist one can encounter. At the end of the contest, the adversary, if he can be converted (heretic, pagan…) can only reach a radical transformation, conversio to be exact, but if the adversary is evil in person, he must inevitably be annihilated. The saint has always the last word, he never leaves space to the adversary. Jesus himself teaches to fight against Satan in a firm and decisive manner, even in words: “Let what you say be simply ‘yes or no’; anything more than this comes from evil”.6 Jesus is polemic, he feels disdain, he attacks verbally demons who scream in desperation when they meet him.7 The scene repeats itself in the battle of the saints. The mystical journey is therefore in essence the fight, in response to the attack launched by Satan and the demons8 not only against the saint, but also against the Church: a cosmological contest between heaven and earth, between good and evil.9

2. THE WORDS OF ANTHONY AGAINST THE IMAGES OF THE DEVIL I shall present here a selection of eight texts as exempla of the ‘polemic lexicon’ in some dialogues where the different representations of the devil occur.

5 6 7 8 9

Io 8, 44. Mt 5, 37. Mc 1, 23-26.

Cf. Apc 12, 7-12.

Here is the main bibliography on the subject: L’autunno del diavolo. “Diabolos, Dialogos, Daimon”. Atti del Convegno di Torino 17-21 ottobre 1988, 2 voll., edd. E. Corsini-E. Costa, Milano, Bompiani, 1990. ARTURO GRAF, Il diavolo, ed. C. Perrone, Napoli-Roma, Salerno Editrice, 1980. JEFFREY B. RUSSELL, Satana. Il diavolo e l’Inferno tra il primo e il quinto secolo, ed. M. Parizzi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986. ADELE MONACI CASTAGNO, Il diavolo e i suoi angeli. Testi e tradizioni (secoli I-III), Fiesole, Nardini Editore, 1996 (Biblioteca Patristica, 28).

332

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

I shall touch on the vita Antonii, a hagiographical best-seller of late Antiquity, in its triple version: in original Greek by Athanasius, the two Latin versions by Evagrius and by an Anonymus,10 to illustrate the semantic evolution of the ‘polemic lexicon’. It must be remembered that Athanasius is a persecuted bishop, protagonist of the arian controversy11 and therefore already strongly inclined to ‘polemic’ stances. The text of Athanasius can be read as a synthesis of the polemic lexicon of the classical rhetoric and of that of the Sacred Scriptures.

2.1. THE WORD DEFEATS EVIL The text I shall present first is located at the end of the fifth chapter of the vita Antonii: it is the first description of the attacks of the devil on the saint. Anonymus

Evagrius

Athanasius

Cooperabatur ei Dominus qui carnem indutus est propter nos, qui et corpori dedit victoriam adversus diabolum, ita ut singuli taliter certantium dicerent: “Non ego autem, sed gratia Dei qui mecum est” (I Cor 15, 10).

Adiuvabat enim servum suum Dominus qui nostri gratia carnem suscipiens, victoriam corpori contra diabolum largitus est, ut singulis ita certantibus, apostolicum liceret proferre sermonem: “Non ego autem, sed gratia Dei quae mecum est” (I Cor 15, 10).

ŚŻŴťŷŪŬŰ ŪȌŷ ɕ ,ɝŷŰŶŸ Ũɠźʃ  ɕ ŹţŷűŨ ūɆ ȮųȢŸ żŶŷȤŹŨŸ űŨɄ źʃ ŹƄųŨźŰ ūŶɞŸ źȭŴ űŨźȌ źŶɥ ūŰŨũɓŲŶŻ ŴŦűŮŴ  ɱŹźŬ źɵŴ ŶɡźſŸ ȎŪſŴŰŭŶųŤŴſŴ ȨűŨŹźŶŴ ŲȤŪŬŰŴ lŗɠű ȧŪɮ ūȤ  ȎŲŲk Ȯ ŽȋŷŰŸ źŶɥ ůŬŶɥ Ȯ ŹɞŴȧųŶɃm (I Cor 15, 10).

10 Guidelines for the translation methods of the Christian texts include: La traduzione dei testi religiosi. Atti del convegno di Trento 10-11 febbraio 1993, edd. C. Moreschini - G. Menestrina, Brescia, Morcelliana, 1994; HENRICUS HOPPENBROUWERS, La technique de la traduction dans l’antiquité d’après la première version de la Vita Antonii, in Mélanges Christine Mohrmann. Nouveau recueil offert par ses anciens élèves, UtrechtAnvers 1973, pp. 80-95. The editions of the texts of Vita Antonii are the following: Athanase d’Alexandrie. Vie d’Antoine, ed. G.J.M. Bartelink, SC 400 (1994). Text of the Anonymus: Athanasius. Vita di Antonio, ed. G.J.M. Bartelink, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1974, Greek and Latin Authors. Fondazione Lorenzo Valla (Vite dei santi, 1). Text by Evagrius: Pascal H. E. Bertrand, Die Evagriusübersetzung der Vita Antonii: Rezeption - Überlieferung - Edition. Unter besonderer Berücksichtigung der Vitas Patrum-Tradition, Utrecht, 2005. 11 Cf. MANLIO SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, Istituto Patristico Augustinianum, Roma, 1975 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 11), pp. 512-535.

333

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

The victory of the saint is assured because of the triumph of Christ incarnate over the devil: Dominus qui carnem indutus est; Dominus qui nostri gratia carnem suscipiens; ɕ,ɝŷŰŶŸŨɠźʃɕŹţŷűŨ. For this the saint through the verse of Paul, the apostolicum sermonem (I Cor 15, 10) named by Evagrius,12 attributed to gratia Dei his own work as does the martyr, who proclaimed his fight was for Christ and not for himself.13 The end of the fifth chapter of the vita Antonii in all three versions underlines the terms which are agonistic-polemic: cooperabatur, adiuvabat, ŹŻŴťŷŪŬŰ do not indicate a simple cooperation, but rather the support, the power of an invisible and invincible ally: victoriam, ŴɃűŮŴ, the humility of God who “cooperates, works with man”, becoming man and not disguising himself as does the devil; Jesus becomes truly human as he is truly God. The polemic lexicon is well illustrated in the use of agonistic-military expressions, in the terminology of agon, here evident in ȎŪſŴŰŭŶųŤŴſŴ14 from the text of Athanasius and certantium or certantibus from the two Latin translations; the saint fights against the devil and has already certain victory from the start. The competitive metaphor of the sign of the cross was spread by Saint Paul15 himself. In the concept of ȎŪſŴŦŭŬŹůŨŰ16 is implied the idea of opposition, of the dangers and of the catastrophes that the Christian must victoriously overcome. The arm of the Christian is prayer which leads to the triumph of the cross. Saint Paul represents the life of the Christian, which consists of suffering and struggle because it is rooted in the cross and projected towards its very triumph. Christ and the martyr are the great ‘athletes’. Satan himself is defeated in contests by athletes of God.

2.2. THE APROSDOKETON OF THE DECEIT The figure of aprosdoketon is interesting in the sixth chapter of the vita Antonii. 12

In the sixth chapter of the vita Martini one finds prophetica voce. It is the same bulwark against the adversary: the Word of God. 13 Cf. MARIA GRAZIA MARA, Bibbia e storia nel fenomeno monastico: la Vita Antonii, in Pléroma. Miscelanea en homenaje al P. A. Orbe, Santiago de Compostela, Instituto Teólogico compostelano, 1990, pp. 566-567. 14 Cf. BRIAN BRENNAN, Athanasius’ Vita Antonii. A sociological interpretation, in «Vigiliae Christianae» XXXIX (1985), p. 212. 15 Cf. MARIA GRAZIA MARA, Il ruolo di Paolo nella proposta monastica della Vita Antonii, in Atti del Primo Simposio di Tarso su san Paolo Apostolo, ed. L. Padovese, Roma, 1993, pp. 129-138. 16 Cf. Grande Lessico del Nuovo Testamento, s. v. ȎŪɭŴ, I (1965), coll. 367-376.

334

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Anonymus

Evagrius

Athanasius

Voce humana usus

Humana voce deflebat

ȎŴůŷſÎŦŴȿżſŴɂ

Devil: Multos quidem seduxi, et plurimos deieci, et multa alia feci, et nunc quomodo in alios, et in te et in laboribus tuis insiliens infirmus factus sum.

Devil: Multos seduxi, plurimos decepi. Nunc autem ut a caeteris sanctis, ita et tuo sum labore superatus.

%FWiM ŘŶŲŲŶɞŸ ųȥŴ ȯÎȋźŮŹŨ űŨɄ ÎŲŬŦŹźŶŻŸ űŨźŤũŨŲŶŴ ŴɥŴ ūȥ  ɯŸ ȧÎʌȑŲŲŶŰŸ űŨɄ ȧÎɄ ŹŶɄ űŨɄ źŶɋŸ ŹŶɋŸ ÎɓŴŶŰŸ ȯŹůȤŴŮŹŨ

Saint: Quis es tu, ut talia loqueris apud me?

Quem cum interrogaret Antonius quisnam esset qui talia loqueretur, ait:

4aintśɃŸŬɌŹɞɕźŶŰŨɥźŨŲŨŲɵŴÎŨŷkȧųŶŦ

ŶɆűźŷȌŸ ȯżŦŬŰ żſ-

continuo ille miserabiles emisit voces:

ŴţŸ

Devil: Ego fornicationis sum amicus, ego obsessiones adversus iuvenem suscepi, et spiritus fornicationis appellor. Quantos volentes esse pudicos seduxi! Quantis fingentibus persuasi provocans eos! Ego sum propter quem propheta querelas deponens de his qui ceciderunt dicit: “Spiritu fornicationis errastis” (Os 4, 12). Per me enim erant pedibus copulati. Ego sum qui saepius molestavi te, toties vero repulsus a te.

Devil: Ego sum fornicationis amicus. Ego multimoda turpitudinis adversus adolescentes arma suscepi. Hinc et spiritus fornicationis vocor. Quantos pudice vivere disponentes fefelli! Quot tenuiter incipientes, ad sordes pristinas redire persuasi! Ego sum, propter quem propheta lapsos increpat, dicens: “Spiritu fornicationis seducti estis” (Os 4, 12), et revera, per me enim et illi fuerant supplantati. Ego sum qui te ipsum saepe temptavit et semper repulsus sum.

%FWiM ƼŪɮ źɁŸ ÎŶŷŴŬŦŨŸ ŬɆųɄ ȉŦŲŶŸŁ ȧŪɮ źȌ ŬɆŸ źŨɝźŮŴ ȪŴŬūŷŨ űŨɄ źŶɞŸ źŨɝźŮŸ ŪŨŷŪŨŲŰŹųŶɞŸ űŨźȌ źɵŴ ŴŬſźȤŷſŴ ȎŴŬūŬŵţųŮŴ űŨɄ ÎŴŬɥųŨ ÎŶŷŴŬŦŨŸ űŤűŲŮųŨŰ ŘƂŹŶŻŸ ůŤŲŶŴźŨŸ ŹſżŷŶŴŬɋŴ ȯÎţźŮŹŨ ŘƂŹŶŻŸ ɟÎŶűŷŰŴŶųŤŴŶŻŸ ųŬźŤÎŬŰŹŨ ŪŨŷŪŨŲŦŭſŴc lŘŴŬɝųŨźŰ ÎŶŷŴŬŦŨŸ ȧÎŲŨŴȬůŮźŬm 0s 4 12 ŌŰkȧųŶɥŪȌŷȴŹŨŴ ȧűŬɋŴŶŰŹűŬŲŰŹůŤŴźŬŸƼŪɭ ŬɆųŰɕÎŶŲŲţűŰŸŹŶŰɖŽŲťŹŨŸ  źŶŹŨŻźţűŰŸ ūȥ ȎŴŨźŷŨÎŬɄŸÎŨŷȌŹŶɥ

Antonius vero, gratias agens Deo, et audaciam sumens adversus eum ait illi:

Cum hoc Christi miles audisset, gratias agens Deo, et largiore adversus inimicum confortatus audacia, ait:

Ǥ ūȥ ʼn ʯ ŴźɭŴŰŶŸ ŬɠŽŨŷŰŹźťŹŨŸ źʃ ŒŻŷŦʁ űŨɄ űŨźŨůŨŷŷťŹŨŸ ŨɠźŶɥżŮŹɄ

Saint: Nimium ergo contemnibilis es. Etenim niger es secundum mentem et coloris et quasi puer infirmus constitutus es. Nulla de cetero sollicitudo est de te. “Dominus enim mihi auxiliator, et ego despiciam inimicos meos” (Ps 117, 7).

Saint: Multum ergo despicabilis, es multumque contemptus. Nam et obscuritas tua et aetas, infirmarum signa sunt rerum, nulla mihi iam de te cura est. “Dominus mihi auxiliator est, et ego exsultabo super inimicos meos” (Ps 117, 7).

4aint ŘŶŲɞ źŶɃŴŻŴ Ŭ ɠ ű Ũ ź Ũ ż ŷ Ƃ Ŵ Ů ź Ŷ Ÿ źŻŪŽȋŴŬŰŸŁ űŨɄ ŪȌŷ ųŤŲŨŸ ŬɌ źɔŴ ŴŶɥŴ űŨɄ ɯŸ ÎŨɋŸ ȎŹůŬŴȭŸ ɟÎȋŷŽŬŰŸŁ ŶɠūŬųŦŨ ųŶŰ ŲŶŰÎɓŴ ȧŹźŰ żŷŶŴźɄŸ ÎŬŷɄ ŹŶɥŁ lŒɝŷŰŶŸŪȌŷȧųŶɄũŶŮůɓŸ  űȎŪɮ ȧÎƂžŶųŨŰ źŶɞŸ ȧŽůŷŶɝŸųŶŻm 1s11  

335

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Ista audiens niger continuo fugiit timens voces et sic territus est, ut de cetero non appropinquaret Antonio in huismodi rebus.

Et statim ad vocem canentis, phantasma quod videbatur, evanuit.

cɕ ųŤŲŨŸ ŬɠůɞŸ ȪżŻŪŬűŨźŨÎźťŵŨŸźȌŸ żſŴȌŸűŨɄżŶũŮůŬɄŸc

Satan, “the adversary”, demonstrates his opposition by grinding his teeth and becoming furious, thereby assuming an image similar to the nature of his mind (niger es secundum mentem et coloris et quasi puer infirmus, first column, edition Anonymus, last section; obscuritas tua aetas, infirmarum signa sunt rerum, corresponding text by Evagrius; ųŤŲŨŸŬɌźɔŴŴŶɥŴűŨɄɯŸÎŨɋŸȎŹůŬŴȭŸ, Athanasius), which shows a polemic lexicon based on the accumulation, on the language of hyperbole: multos quidem seduxi, et plurimos deieci, et multa alia feci; multos seduxi, plurimos decepi; ÎŶŲŲŶɞŸ ųȥŴ ȯÎȋźŮŹŨ űŨɄ ÎŲŬŦŹźŶŻŸ űŨźŤũŨŲŶŴ (respectively the first comment of the devil in the translation of Anonymus, in Evagrius, in the original by Athanasius), and alliteration in alios …in te…insiliens (Anonymus), typical of the rhetoric void of truth.17 His physical appearance and teller of tales speech complete the portrait of someone defeated. The preposition in first indicates the clash and then, with an effect of parody, l’aprosdoketon, the unexpected reply. The devil at the end admits infirmus factus sum; tuo sum labore superatus; ȧÎɄŹŶɄűŨɄźŶɋŸ ŹŶɋŸÎɓŴŶŰŸȯŹůȤŴŮŹŨ. This lord of the dark and earthly things declares his impotence: the authority of Jesus decides unequivocally the destiny of demons.18 The saint, for his part, needs few words to defeat his rival, because his word is that of Scripture, the inspired Word. The insistent use of pronouns in the language of the devil in all three versions correlates to the lexical necessity of opposition, which plays itself out in a continuous clash of words, characterized, for example, in the Latin translation by Anonymus, by the term in-siliens, which refers to both the physical and verbal confrontation.19

17

Averil Cameron sheds light in the speeches by Anthony on the presence of an evident influx of classical rhetoric alongside figures of Holy Scripture like Elijah, Moses, Jacob and Job: AVERIL CAMERON, Form and Meaning. The Vita Costantini and the Vita Antonii, in Greek Biography and Panegyric in Lata Antiquity, Berkeley, University of California Press, 2000, p. 75. 18 Cf. ROBERTO OSCULATI, Potenza e impotenza di satana, in Il demonio e i suoi complici. Dottrine e credenze demonologiche nella tarda antichità, ed. S. Pricoco, Soveria Mannelli, Rubettino, 1995, pp. 27-49. 19 This could mean “swear against, to address”. Cf. AUG., Civ., V, 22.

336

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Evagrius mantains the same opposition: saepe temptavit, semper repulsus sum, but synthesizes it. The author implies, perhaps, subtle irony in the declaration of defeat of the devil; his storming in should generate fear, but instead reveals weakness.20 The Greek term ȎŹůŬŴŤſ, ȯŹůȤŴŮŹŨ in the text by Athanasius, very much used since Pindar, Herodotus and Euripides, signifies lack of strength, weakness of various kinds. In other words the lack of vigour is baseness, the incapacity to do justice and for this reason fits well the figure of the devil, and of those mean beings and miserable elementary spirits. Coherent with the paradox which characterizes the New Testament: weakness, being the form that the divine God chose to assume on earth, is even a title of nobility for the Christian: weakness as mildness is a motive for pride and joy.21 It also refers back to ȎŹůŤŴŬŰŨ22 ŹŨŷűƂŸ.23 The devil uses the human voice ȎŴůŷſÎɃŴȿżſŴɂ in the polemic, he challenges man with his weapons, his language24, his appearance, and he declares his defeat.25 In the end, like a phantasma, that imitates and lives by reflected light, he disappears. With the connection ŶɆűźŷȌŸżſŴţŸ and the Latin translation miserabiles voces (fourth square Anonymus and Athanasius of the table) one is shown the impotence of the word of the devil, who expresses himself in a faint voice of the defeated, because he is not party to the audacity26 and Gloria of God. In the classical texts the term indicates really the lament, the affliction, the desperation, as in the Psalms by which the pity of God is besought.

Cf. MARIA CARMEN VIGGIANI, Il paradosso nei Padri del deserto, in Riso e comicità nel cristianesimo antico. Atti del Convegno di Torino, 14-16 febbraio 2005, e altri studi, ed. C. Mazzucco, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2007, p. 456. 21 II Cor 11,30; II Cor 12,10. 22 Cf. Grande Lessico del Nuovo Testamento, s. v. ȎŹůŤŴŬŰŨ, I (1965), coll. 13031312 and also MARIA CARMEN VIGGIANI, La divina senectus dei monaci nel deserto: gloria e premio del miles Christi, in Terza Conferenza Internazionale di Antropologia e Storia della Salute e delle Malattie. “Vivere e curare la vecchiaia nel mondo”, Genova 13-16 marzo 2002, 5 voll., ed. A. Guerci-S. Consiglieri, Genova, Erga, II (2002), p. 86. 23 Mt 26, 41. 24 Cf. ERMENEGILDO MANICARDI, Il Diavolo nel Nuovo Testamento, in Il diavolo e l’Occidente. Atti del Convegno presso l’Oratorio dei Filippini a Bologna, 9-11 May 2003, ed. P. Capelli, Brescia, Morcelliana, 2005, p. 64. 25 In the sixth chapter of the vita Martini the devil assumes ‘human form’: humana specie adsumpta. He even assumes the form of angels in the Sayings of Fathers of the desert and even assumes veste Dei in vita Martini 23. 26 Boldness wins out over timor in the classical terminology. The Christian lexicon inherits thus the semantic field of the military lexicon of ‘the active courage’, ‘the push to action’. 20

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

The saint has as auxiliator, invisible ally, the Lord as one reads in the second comment by Anthony, and he is assured of this thanks to the Words of the Psalm 117.27 He rejoices in the superiority of the œƂŪŶŸ. The devil, on the contrary, seeks to imitate the simple human voice which, for the most part, sounds miserabilis. In vita Antonii 5 it was the voice of Saint Paul, the apostolicum sermonem, that sealed the work of the saint, a true demonstration that the Old and New Testaments are assimilated equally in the Life of Anthony.28 The Apostle, during his journey of evangelization, fights against Judaism and confirms the sermo which has triumphed. The devil, in the end, after a verbal contest which takes form by means of a ‘binary-opponent’ lexicon (saepius molestavi te, toties vero repulsus a te; semper temptavit et semper repulsus sum; ɖŽŲťŹŨŸ  źŶŹŨŻźţűŰŸūȥȎŴŨźŷŨÎŬɄŸÎŨŷȌŹŶɥ), flees in fear and vanishes fugiit timens voces et sic territus est, ɕųŤŲŨŸŬɠůɞŸȪżŻŪŬűŨźŨÎźťŵŨŸźȌŸ żſŴȌŸ űŨɄ żŶũŮůŬɄŸ (Anonymus and Athanasius). He is, as is well underlined in the translation by Evagrius, a phantasma,29 who will recover his original subtile or tenuous body, since in the second line of the devil the deceit fails with the loss of his arms, the fornicatio30 and the obsessio: formerly believed to be invincible troops, they are defeated. The ninth chapter of the vita Antonii presents a new demonic deception.

27 Cf. FRANCESCO PERICOLI RIDOLFINI, Agli inizi del monachesimo gallico: la Vita Martini e la Vita Antonii, in «Studi e materiali di storia delle religioni» XXXVIII (1967), p. 426. 28 Cf. MARA, Bibbia e storia, pp. 561-573. 29 Cf. OR., Praef. 6 Princip., for the description of the thin, subtile body of demons. 30 Cf. Grande Lessico del Nuovo Testamento, s. v. ÎƂŷŴŮ, X (1975), coll. 11471487.

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THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Anonymus

Evagrius

Athanasius

Saint: Hic sum ego Antonius. Non effugio plagas vestras. Etenim si plura horum feceritis, non separabo a caritate Christi (cfr Rm 8, 35)… psallebat dicens: “Si exsurrexerit in me castra, non timebit cor meum” (Ps 26, 3).

Saint: Ecce hic sum ego Antonius, non fugio vestra certamina. Etiamsi maiora faciatis, nullus me separabit a charitate Christi (cfr Rm 8, 35), psallebatque: “Si constiterint adversum me castra, non timebit cor meum” (Ps 26, 3).

Devil: Videtis quia nec spiritu fornicationis, neque plagis potuimus compescere, sed magis audaciam sumit adversum nos. Accedamus usque ad eum aliter.

Devil: …Videtis quia... nec spiritu fornicationis, nec corporis doloribus superatus, insuper audacter lacessit. Omnia arma corripite, acrius a nobis impugnandus est… Saint: …Si virium aliquid haberetis, sufficeret unus ad praelium. Sed quoniam Domino vos eneruante frangimini, multitudine tentatis inferre terrores, cum hoc ipsum infirmitatis indicium sit, quod irrationabilium formas induistis bestiarum... Si quid valetis, si vobis in me Dominus potestatem dedit, ecce praesto sum: devorate. Si vero non potestis, cur frusta nitimini? Enim nobis crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis murus est.

Saint: cŬɆųŰ ȧŪɮ ƧŴźɭŴŰŶŸŁ Ŷɠ żŬƃŪſ źȌŸ ÎŨŷkɟųɵŴ ÎŲŮŪţŸ ŒȒŴ ŪȌŷ ÎŲŬŦŶŴŨ ÎŶŰťŹŮźŬ  ŶɠūȤŴųŬlŽſŷŦŹŬŰȎÎɔźɁŸ ȎŪȋÎŮŸźŶɥŞŷŰŹźŶɥm DGS 3N    cȪžŨŲŲŬŴ lƼȌŴ ÎŨŷŨźţŵŮźŨŰ ȧÎʎ ȧųȥ ÎŨŷŬųũŶŲȬ  Ŷɠ żŶũŮůȬŹŬźŨŰ ȮűŨŷūŦŨųŶŻm (Ps 26, 3). Devil: cǤŷȢźŬ  ȪżŮ  ɗźŰ Ŷɠ ÎŴŬƃųŨźŰ ÎŶŷŴŬŦŨŸ  Ŷɠ ÎŲŮŪŨɋŸ ȧÎŨƃŹŨųŬŴ źŶɥźŶŴ  ȎŲŲȌ űŨɄ ůŷŨŹƃŴŬźŨŰ űŨůʎ ȮųɵŴ ÎŷŶŹȤŲůſųŬŴ ȑŲŲſŸ Ũɠźʃ 4aint c &Ɇ ūɝŴŨųɃŸ źŰŸ ȴŴ ȧŴ ɟųɋŴ  ȲŷűŬŰ űŨɄ ųɓŴŶŴȧŵɟųɵŴȧŲůŬɋŴȨŴŨ ƼÎŬŰūȭ ūȥ ȧŵŬŴŬƃŷſŹŬŴ ɟųȢŸ ɕ ŒɝŷŰŶŸ  ūŰȌ źŶɥźŶ űȒŴ źʃ ÎŲťůŬŰ ÎŬŰŷţŭŬźŤ ÎſŸ ȧűżŶũŬɋŴ ŋŴƄŷŰŹųŨ ūȥ źɁŸ ȎŹůŬŴŬŦŨŸ ɟųɵŴ źɔ źȌŸ ȎŲɓŪſŴ ɟųȢŸ ųŰųŬɋŹůŨŰųŶŷżȋŸ&ɆūɝŴŨŹůŬ űŨɄ ȧŵŶŻŹŦŨŴ ȧŲţũŬźŬ űŨźʎȧųŶɥ ųȭųȤŲŲŬźŬȎŲŲʌ ȧÎŦũŮźŬŁ ŬɆ ūȥ ųȭ ūɝŴŨŹůŬ  ź· ųţźŮŴ źŨŷţŹŹŨŹůŬ ŚżŷŨŪɄŸ ŪȌŷ ȮųɋŴ űŨɄ źŬɋŽŶŸŬɆŸȎŹżȋŲŬŰŨŴȮŬɆŸ źɔŴŒɝŷŰŶŴȮųɵŴÎŦŹźŰŸ

Saint: …Si virtus aliqua esset in vobis, sufficiebat unum ex vobis venire. Sed quia nervos vestros tulit Dominus, propterea cum multitudine temptatis intimidare me. Indicium est autem infirmitatis vestrae hoc ipsum quia imitamini bestiarum et pecorum figuras…Si valetis et potestas aliqua data est vobis, quid tardatis? Accedite. Si autem non potestis, quid inaniter turbatis? Nos autem habemus ad firmitatem nostram crucis signaculum et murum, fidem quam habemus in Domino. Multa contra eum miMulta itaque ausi stridebant adversus illum den- nantes, fremebant dentibus tes suos quia magis irride- suis, quod nullus tentamenta sequeretur effectus, sed bant se, non ipsum. maxime e contrario gigneretur illusio.

ŘŶŲŲȌ źŶŦŴŻŴ ȧÎŰŽŬŰŷťŹŨŴźŬŸ ȪźŷŰŭŶŴ űŨźʎ ŨɠźŶɥ źŶɞŸ ɖūɓŴźŨŸ  ɗźŰ ųȢŲŲŶŴ ȪÎŨŰŭŶŴ ȦŨŻźŶɝŸ  űŨɄŶɠűȧűŬɋŴŶŴ

In the clash between the two, the demonic attack, rendered in the narrative passage of vita Antonii 7 by the anti-Christ lion metaphor,31

31 Cf. MARIA PIA CICCARESE, Animali simbolici. Alle origini del Bestiario cristiano II (Leone-Zanzara), 2 voll., Bologna, Edizioni Dehoniane, v. II, 2007 (Biblioteca Patristica, 44), p. 14: «Lion is Christ, the anti Christ lion…God in power and the devil in cruelty».

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

contrasts with the figure of the saint, who places his person in the hands of God and becomes strong and decisive in his struggle against the devil. The terms which indicate the physical ‘battle’ recall also those of a legal dispute, in accordance with the ‘double nature’ of the Christian polemic: non effugio plagas vestras; non fugio vestra certamina32; ŶɠżŬƃŪſ źȌŸÎŲŮŪţŸ. The saint does not back down, he maintains his battle position and does not back away from the blows. Anthony is concise and resolute, the devil, however, is the bearer of falsehood and abundant rhetoric. The devil requires “number”: cum multitudine temptatis intimidare me (Anonymus second comment by Anthony), multitudine tentatis inferre terrores (Evagrius), źʃÎŲťůŬŰÎŬŰŷţŭŬźȤÎſŸ ȧűżŶũŬɋŴ (Athanasius) in order to attack the ascetic, as he requires emphatic words and hyperbole in the verbal confrontation (rhetoric of lies). The man of God on the other hand defends himself solely with the arm of the sign of the cross (signaculum crucis et murum, fidem quam habemus in Domino: Anonymus; crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis murus: Evagrius; źŬɋŽŶŸŬɆŸȎŹżȋŲŬŰŨŴȮŬɆŸźɔŴŒɝŷŰŶŴȮųɵŴÎŦŹźŰŸ: Athanasius) and with a ‘true’ word, not adulterated. While the devil flees in fear, the heart of the saint fears nothing and contrasts the demonic infirmitas with the firmitas of miles Christi, that defeats the innate human infirmitas, the will to sin33 (last comment by Anthony in the Anonymus). Once again the Book of Psalms and the words of Saint Paul offer the guidelines to reach such steadfastness: “Si exsurrexerit in me castra, non timebit cor meum; si constiterint adversum me castra, non timebit cor meum; Ŷɠ żŶũŮůȬŹŬźŨŰ Ȯ űŨŷūŦŨ ųŶŻ”.34 The saint is figura Christi because Jesus too drove away demons by citing Holy Scriptures.35 With the term ȑŲŲſŸ, aliter (line of the devil in Athanasius and in the Anonymus) the devil shows the lack of his own identity;36 he is forced to transform himself to attack the saint and in any case be defeated, without a physical clash, but only by the words of homo Dei, whose polemic ūɝŴŨųŰŸ has no equal.

32

‘Agonistic-military’ lexicon: cf. for example the third and the tenth chapter of the vita Hilarionis where the terms tirunculus and palestritam appear. 33 AUG., In Ps., 102, 5. 34 Ps 26,3. Cf. Rm 8, 35. 35 Cf. vita Antonii 37-38. 36 Cf. vita Martini 22, 1: Frequenter autem diabolus, dum mille nocendi artibus sanctum virum conabatur inludere visibilem se ei formis diversissimis ingerebat.

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THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

This interpretation is confirmed by the juridical term ŹżŷŨŪɄŸ (end of the second comment of Anthony in Athanasius) obviously of classical origin, which denotes a sign of belonging of which the devil is deprived. This term is used as a symbol of the power of God that provides a form to that which has none, lineaments to that which is indeterminate.

2.3. DESERT: ‘POLEMIC PLACE’ In the thirteenth chapter of the vita Antonii there is an example of the fight for the conquest of territory, contended by the powers of good and evil. Anonymus …Audiebant quasi multitudinem turbantium intus et voces miserabiles emittentium cum clamore: Devil: Recede a loco nostro. Quid tibi et deserto? Non potest ferre nostras insidias.

…et audiunt psallentem: Saint: “Exurgat ( Ps 117, 10) Deus et dissipentur inimici eius, et fugiant qui oderunt eum a facie eius. Sicut deficit fumus deficiant. Sicut tabescit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei” ( Ps 67, 2-3).

Evagrius …audiebantur ut uulgi uoces adversus Antonium, tumultusque dicentium: Devil: Quid te nostris ingeris habitaculis? Quid tibi et deserto? Abscede a finibus alienis, non potes nostras insidias sustinere. …ille psallebat intrinsecus Saint: “Exsurgat Deus (cfr Ps 117, 10) et dissipentur inimici eius, et fugiant qui oderunt eum a facie eius, ut fumus minuitur, deficiant; ut liquescit cera a facie ignis; ita pereant peccatores a facie Dei” (Ps 67, 2-3).

Athanasius ȲűŶŻŴɯŸəŽŲſŴ ȪŴūŶŴůŶŷŻũŶɝŴźſŴ  űźŻÎŶɝŴźſŴ żſŴȌŸ ȎżŰŤŴźſŴ ŶɆűźŷȌŸ űŨɄűŷŨŭɓŴźſŴ Devil: ƧÎɓŹźŨ źɵŴ ȮųŬźŤŷſŴ śɃ ŹŶɄűŨɄźɂȧŷťųʁŗɠ żŤŷŬŰŸȮųɵŴźȭŴȧÎŰũŶŻŲťŴ

cȲűŶŻŴ ŨɠźŶɥ žȋŲŲŶŴźŶŸ Saint: lƧŴŨŹźťźſ (cfr Ps 117, 10) ɕ ůŬɔŸ űŨɄ ūŰŨŹűŶŷÎŰŹůťźſŹŨŴ ŶɅ ȧŽůŷŶɄ ŨɠźŶɥ  űŨɄ żŻŪŤźſŹŨŴ ȎÎɔ ÎŷŶŹɭÎŶŻ ŨɠźŶɥ ŶɅ ųŰŹŶɥŴźŬŸ ŨɠźɓŴ ǵŸ ȧűŲŬɃÎŬŰ űŨÎŴƂŸ  ȧűŲŬŰÎȤźſŹŨŴŁ ɯŸ źťűŬźŨŰ űŮŷɔŸ ȎÎɔ ÎŷŶŹɭÎŶŻ ÎŻŷƂŸ ŶɡźſŸ ȎÎŶŲŶɥŴźŨŰ ŶɅ ȍųŨŷźſŲŶɄ ȎÎɔ ÎŷŶŹɭÎŶŻźŶɥůŬŶɥm

341

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

The desert has always been the terrain of devils, a place of temptation and sin. It has also been the choice of ascetic self-denial and the path towards salvation. Proud devils therefore attack Anthony, who according to imitatio of the imperial power of Christ and later of the saints, defends his own possessions: Recede a loco nostro; abscede a finibus alienis; ȎÎɓŹźŨźɵŴ ȮųŬźŤŷſŴ and governs with humility, with the power of the Word. The homo Dei is always alone in his attack against Evil, who instead strikes at him calling into play ‘number’: multitudinem turbantium (Anonymus); ɯŸəŽŲſŴȪŴūŶŴůŶŷŻũŶɝŴźſŴ (Athanasius). The text of vita Antonii 13 is rich in symbolic images: smoke, wax, fire, which represent the dissolution of evil by God.37 The simple language of Christianity, which characterizes the hagiographic texts, illustrates through smoke and wax the definitive annihilation of the enemy, to whom no revenge is conceded. In Anonymus and in Evagrius the term used to refer to the divine, exsurgat, is in direct contrast to that used to refer to the demon, deficit, and so shows a skillful play of contrast, thanks to the prepositions, which place on ‘high’ the winner and cast down ‘to earth’ the defeated. The multitudo and the clamor are inversely proportional to power: the monachus psallens is in direct contrast to them.

2.4. “THEREFORE A WAR IN THE HEAVENS BREAKS OUT…” (APC 12, 7) The section of the analysis of the excerpts vita Antonii 39, 40, 41 is entitled “Therefore a war in the heavens breaks out…” (Apc 12,7), because the battle between the saint and the devil38 takes on the dimension of a cosmogonic battle.

37

Anonymus: dissipentur inimici eius, et fugiant qui oderunt eum a facie eius. Sicut deficit fumus deficiant. Sicut tabescit cera a facie ignis; Evagrius: dissipentur inimici eius, et fugiant qui oderunt eum a facie eius; ut fumus minuitur, deficiant; ut liquescit cera a facie ignis; ita pereant peccatores a facie Dei; Athanasius:żŻŪŤźſŹŨŴȎÎɔÎŷŶŹɭÎŶŻŨɠźŶɥ ŶɅ ųŰŹŶɥŴźŬŸ ŨɠźɓŴ ǵŸ ȧűŲŬɃÎŬŰ űŨÎŴƂŸ ȧűŲŬŰÎȤźſŹŨŴŁ ɯŸ źťűŬźŨŰ űŮŷɔŸ ȎÎɔ ÎŷŶŹɭÎŶŻÎŻŷƂŸŶɡźſŸȎÎŶŲŶɥŴźŨŰŶɅȍųŨŷźſŲŶɄȎÎɔÎŷŶŹɭÎŶŻźŶɥůŬŶɥ. 38 About the demonology of the vita Antonii cf. the entire article by MARIA CARMEN VIGGIANI, Antonio, il Padre dei monaci, in Letteratura cristiana e Letterature europee. Atti del Convegno di Genova 9-11 dicembre 2004, ed. S. Isetta, Bologna, Dehoniane, 2007 (Letture patristiche, 11), pp. 163-181. Cf. also JOSÉ MARÍA BLÁZQUEZ, Intelectuales, ascetas y demonios al final de la Antigüedad, Madrid, Cátedra, 1998, p. 536.

342

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Anonymus

Evagrius

Saint: Quoties me beatum dixerunt, ego autem in nomine Domini maledixi eis. Quoties praedixerunt mihi de aqua fluminis, et ego dicebam ad eos:Quid vobis de hoc pertinet? Venerunt minantes et circumdederunt me velut milites armati … et ego psallebam: “Isti in curribus, et isti in equis, nos autem in nomine Domini magnificabimur” (Ps 19, 8).

Saint: Quoties me nimiis laudibus efferre conati sunt, cum a me in nomine Domini maledicta reciperent! Quoties augmenta Nili futura dixerunt… Et hoc ad vestram quid pertinet curam! Quoties minitantes ut milites armati … circumdederunt me, et domum in qua eram repleverunt. Cum ego et contra psallerem: “Hi in curribus, et hi in equis, nos autem in nomine Domini Dei nostri magnificabimur” (Ps 19, 8).

Et orationibus repulsi sunt illi a Domino.

Et statim Christi misericordia fugabantur.

Devil (demons): Venimus allucere tibi, Antoni… Saint: et ego claudens oculos orabam et continuo extinguebatur lux impiorum. Venerunt post menses quattuor psallentes et loquentes de Scripturis. “Ego autem quasi surdus non audiebam” (Ps 37, 14)… Et post hoc iterum venientes quasi manibus plaudentes, sibilantes et saltantes, me autem orantem et postmodum iacentem solum et psallentem, statimque coeperunt plangere et plorare quasi victi. Ego autem clarificavi Dominum qui destruxit et nundinavit audaciam et insaniam eorum.

Devil (demons): Venimus, Antoni, nostrum tibi praebere fulgorem Saint: Ego clausis oculis, quia lucem diaboli dedignabar aspicere, orabam, et dicto citius impiorum lumen exstinguebatur. Post menses autem paucos, cum me coram psallerent, et de Scripturis sibimet sermocinarentur, tamquam surdus non audiebam (Ps 37, 14). Commoverunt aliquando monasterium, et ego mente immobili Dominum deprecabar. Saepe strepitus, saepe saltationes, saepe sibilos, ingesserunt, et me psallente, sonus eorum in voces flebiles vertebatur.

Athanasius Saint: ŘŶŹţűŰŸ ȧųŨűȋŷŰŹȋŴ ųŬ űŨźŮŷŨŹţųŮŴ ŨɠźŶɞŸ ȧŴ ɖŴɓųŨźŰ ŒŻŷŦŶŻ ŘŶŹţűŰŸ ÎŷŶŬŰŷťűŨŹŰÎŬŷɄźŶɥÎŶźŨųŦŶŻ ɡūŨźŶŸȎŲŲʌɟųɋŴźŦÎŬŷɄ źŶɝźŶŻųŤŲŬŰ NJŲůŶŴ ȎÎŬŰŲŶɥŴźŬŸ űŨɄ ȧűɝűŲſŹţŴ ųŬ ɯŸ ŹźŷŨźŰɵźŨŰ ųŬźȌ ÎŨŴŶÎŲŦŨŸ űŨɄ ȑŲŲŶźŬ ɇÎÎſŴ űŨɄ ůŮŷŦſŴ űŨɄ ȦŷÎŬźɵŴ ȧÎŲťŷſŹŨŴ źɔŴ ŶɌűŶŴ cȪžŨŲŲŶŴ lŗɦźŶŰ ȧŴ ȏŷųŨŹŰ  űŨɄ ŶɦźŶŰȧŴɇÎÎŶŰŸ ȮųŬɋŸūȥ ȧŴɖŴɓųŨźŰŒŻŷŦŶŻȮųɵŴ ųŬŪŨŲŻŴůŮŹƂųŬůŨm 1s 1   ŒŨɄ źŨɋŸ ŬɠŽŨɋŸ ȎŴŬźŷţÎŮŹŨŴ ȧűŬɋŴŶŰ ÎŨŷȌ źŶɥŒŻŷŦŶŻ LjŲůŶųŬŴ żȢŴŨŦ  ŹŶŰ ƧŴźɭŴŰŬ Saint: ƼŪɮ ūȤ  űŨųųɝſŴ źŶɞŸ ɖżůŨŲųŶɝŸ  ŮɠŽƂųŮŴ űŨɄŬɠůɞŸȧŹũŤŹůŮ źɔ żɵŸ źɵŴ ȎŹŬũɵŴ ŒŨɄ ųŬźȌ ųɁŴŨŸ ɖŲŦŪŶŻŸ ȴŲůŶŴ ɯŸ žţŲŲŶŴźŬŸ űŨɄ ŲŨŲŶɥŴźŬŸȎÎɔźɵŴŪŷŨżɵŴ ƼŪɮ ūȥ ɯŹŬɄ űſżɔŸ Ŷɠű ȲűŶŻŴ 1s   14  c ǀŹŬŰŹţŴ ÎŶźŬ źɔ ųŶŴŨŹźťŷŰŶŴŁ ȧŪɮ ūȥ ŮɠŽƂųŮŴ ȎűŦŴŮźŶŸ ųŤŴŬŰŴ źʃ żŷŶŴťųŨźŰ ŒŨɄ ųŬźȌźŨɥźŨÎţŲŰŴȧŲůɓŴźŬŸ ȧűŷƂźŶŻŴ  ȧŹɝŷŰźźŶŴ  ɰŷŽŶɥŴźŶǵŸūȥŮɠŽƂųŮŴ űŨɄȎŴŬűŬŦųŮŴžţŲŲſŴűŨźʌ ȧųŨŻźƂŴ  ŬɠůɞŸ ȲŷŵŨŴźŶ ůŷŮŴŬɋŴűŨɄűŲŨŦŬŰŴ ɱŹÎŬŷ ȧŵŨźŶŴťŹŨŴźŬŸ ƼŪɮ ūȥ ȧūƂŵŨŭŶŴ źɔŴ ,ɝŷŰŶŴ  źɔŴ űŨůŬŲƂŴźŨ űŨɄ ÎŨŷŨūŬŰŪųŨźŦŹŨŴźŨźȭŴźɓŲųŨŴűŨɄ źȭŴųŨŴŦŨŴŨɠźɵŴ

343

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

It is important to underline the military lexicon of chapter 39, where the devils are ready to surround circumdederunt, threaten minantes, minitantes, ȴŲůŶŴȎÎŬŰŲŶɥŴźŬŸűŨɄȧűɝűŲſŹţŴųŬɯŸŹźŷŨźŰɵźŨŰas milites armati, to suffer the denunciations of the man of God in nomine Domini maledixi, in nomine Domini maledicta reciperent!,űŨźŮŷŨŹţųŮŴ ŨɠźŶɞŸȧŴɖŴɓųŨźŰŒŻŷŦŶŻ Satan uses Scripture to confound psallentes et loquentes de Scripturis, second comment of Anthony by Anonymus,ɯŸžţŲŲŶŴźŬŸűŨɄ ŲŨŲŶɥŴźŬŸȎÎɔźɵŴŪŷŨżɵŴ (Athanasius). Since he is not in possession of his ‘own voice’, he uses Biblical words or the human voice in a dialogue which is not ‘sharing’, but an attempt to deceive. Anthony, in the first comment of vita Antonii 39, must speak only the name of the Lord, in nomine Domini magnificabimur, ȧŴ ɖŴɓųŨźŰ ŒŻŷŦŶŻ, to obtain a definitive victory with the revolutionary and paradoxical power of Christianity which can transform sonus eorum in voces flebiles, as Anthony affirms in the second comment or the version by Evagrius.39 The circles of demons complain, quasi victi, about the continual prayers of the saint (psallentem) and Anonymus emphasizes this with an alliterative couplet derived from a ‘funeral-elegiac lexicon’: plangere and plorare.40 The definitive destruction is obtained by glorifying God: Ego autem glorificavi Dominum qui destruxit et nundinavit audaciam et insaniam eorum (again Anonymus second comment of Anthony). The devil attacks the ‘senses’, but Anthony knows how to defend himself claudens oculos and quasi surdus, (again second comment of Anthony in Anonymus): the ‘eyes and the ears of the heart’ are beyond reach. The demons “surround”, occupy space, as is said in the verse vita Antonii 39 by Anonymus. The two armies, that of earth and that of heaven, fight with different weapons: the devil uses the weapons of this world and the saint uses those of the civitas Dei. The first part of the text is a series of numerous events which come from the ‘outside’, attacks by the devil from ‘the earthly world’. The second part concentrates on the heavenly ‘bulwark’, which requires only the name of Christ; and then it is the evocation of the mercy of Christ that drives away the demons.

39 40

344

Variatio for miserabiles voces (vita Antonii 6; 13). Cf. HIER., Epist., 60, 6.

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Anonymus

Evagrius

Athanasius

Devil: Ego sum virtus Dei. Quid vis tibi donem?

Devil: …virtutem et providentiam ausus est dicere… Quid vis ut a me tibi donetur, Antoni? Saint: At ego sputaculum maxime in os eius ingeminans, totum me in eum Christi nomine armatus, ingessi. Et statim ille procerus aspectu inter medias manus exolevit… …ieiunanti etiam mihi visus est ut monachus, et panes offerens, his sermonibus suadebat ut vescerer, et huic aliquid indulgere corpusculo.

Devil: ƼŪɭ ŬɆųŰ Ȯ ūɝŴŨųŰŸ źŶɥ ůŬŶɥ  űŨɄŁ ȧŪɭŬɆųŰȮÎŷƂŴŶŰŨźŦŹŶŰ ůŤŲŬŰŸŽŨŷŦŹŶųŨŰ Saint: ƼŪɮ ūȥ źɓźŬ ųȢŲŲŶŴ ȧŴŬżƃŹŮŹŨ űŨźk ŨɠźŶɥ  źɔŴ ŞŷŰŹźɔŴ ɖŴŶųȋŹŨŸ  űŨɄ źɝžŨŰ źŶɥźŶŴ ȧÎŬŽŬŦŷŮŹŨ ŒŨɄ ȪūŶŵŨŸ źŬźŻżŤŴŨŰ  űŨɄ ŬɠůɞŸɕźŮŲŰűŶɥźŶŻŸŹɞŴ ÎȢŹŰźŶɋŸȦŨŻźŶɥūŨŦųŶŹŰŴȯżŨŴŦŹůŮźʃɖŴɓųŨźŰźŶɥŞŷŰŹźŶɥ

Devil: Et tu homo es, et humana fragilitate circumdaris. Labor paululum conquiescat, ne aegritudo subripiat. Saint: Illico luridam faciem serpentis agnovi, et cum ad consueta Christi munimenta confugerem, tamquam per fenestram fumus laberetur, evanuit. Auri quoque decipulam mihi in deserto frequenter tetendit, quod ideo offerebat, ut aut visu irretiret, aut tacto cum vapularem. Autem nam saepe me a daemonis non denego verberatum canebam: “Nullus me separabit a charitate Christi” (Rm 8, 35). Ad cuius vocis auditum, in se invicem defurentes, non meo, sed Domini fugabantur imperio, qui ait: “Vidi Satanam quasi fulgor cadentem de caelo” (Cfr Lc 10, 18).

Devil: ŝţŪŬ  űŨɄ ÎŨɥŹŨŰ źɵŴ ÎŶŲŲɵŴ ÎƂŴſŴŁȑŴůŷſÎŶŸŬɌűŨɄ Źƃ űŨɄųŤŲŲŬŰŸȎŹůŬŴŬɋŴ

Saint: Ego autem magis exibilavi illum, nominans Christum, et adii percutere illum, et visus sum percutere, et statim ingentissimus ille cum omnibus daemoniis suis non apparuit in nomine Christi. Venit aliquando ieiunante me ipse subdolus quasi monachus habens phantasiam panis, et coepit quasi consilium dare mihi dicens: Devil: Manduca, et desine ab his laboribus. Homo enim es tu, et incipiens infirmari. Saint: Ego autem intelligebam astutias illius. Surrexi orare, et ille non tolerans defecit, et per ostium visus est exire ut fumus. Quoties in eremo phantasias auri ostendit mihi ut tangere vel videre. Ego autem psallebam, et ille tabescebat. Quoties imposuerunt mihi plagas, ego autem dicebam: “Nihil me separabit ab agape Christi” (Rm 8, 35). Et post hoc magis ipsi caedebant. Sed non ego eram qui eos compebescebam, sed Dominus erat qui dicebat: “Videbam Satanam cadentem velut coruscationem” (Cfr Lc 10, 18).

Saint: ƼŪɮ ūŤ  ŴŶťŹŨŸ ŨɠźŶɥ źȭŴ ųŬůŶūŬŦŨŴ  ȎŴŤŹźŮŴ ŬɣŵŨŹůŨŰ ŒȎűŬɋŴŶŸ Ŷɠű ȲŴŬŪűŬŴŁ ȧŵȤŲŰÎŬ ŪȌŷ űŨɄ ūŰȌ źɁŸ ůɝŷŨŸ ɯŸ űŨÎŴɔŸ ȧŵŬŷŽƂųŬŴŶŸȧżţŴŮŘŶŹţűŰŸ ȧŴ źɂ ȧŷťųʁ żŨŴźŨŹŦŨŴ ȪūŬŰŵŬ ŽŷŶŻŹŶɥ ɇŴŨ ųƂŴŶŴ ȏžſųŨŰ űŨɄ ũŲŤžſ ƼŪɮ ūȥ űŨźŤžŨŲŲŶŴ ŨɠźŶɥ  űȎűŬɋŴŶŸ ȧźťűŬźŶ41 ŘŶŲŲţűŰŸ ȪűŶÎźƂŴ ųŬ ÎŲŮŪŨɋŸ űȎŪɮ ȪŲŬŪŶŴŁ lȅɠūȥŴ ųŬ ŽſŷŦŹŬŰ ȎÎɔ źɁŸ ȎŪţÎŮŸ źŶɥ ŞŷŰŹźŶɥm (Rm 8, 35). ŒŨɄ ųȢŲŲŶŴ ŨɠźŶɄ ųŬźȌ źŨɥźŨ űŨźŤűŶÎźŶŴ ȎŲŲťŲŶŻŸ ŗɠű ȧŪɮ ūȥ ȲųŮŴ ɕ ÎŨɝſŴ ȧűŬŦŴŶŻŸ űŨɄ űŨźŨŷŪɵŴ  ȎŲŲʌ ɕ ŒɝŷŰŶŸ ȴŴ  ɕ ŲŤŪſŴŁ lƼůŬƄŷŶŻŴ źɔŴ ŚŨźŨŴȢŴ ɯŸ ȎŹźŷŨÎȭŴ ÎŬŹƂŴźŨm(Cfr Lc 10, 18).

41

The verbȧźťűŬźŶ, tabescebat recalls the ‘faintness’ of theŶɆűźŷȌŸżſŴţŸ miserabiles voces. Cfr Ps 106, 26: “dentibus suis fremet et tabescet”; 111, 10: “tabuit diabolus invidiae febre”.

345

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Vita Antonii 40 clearly states that the victory is never that of the saint, instrumentum Christi, but of God: Sed non ego eram qui eos compebescebam, sed Dominus erat qui dicebat (translation by Anonymus); non meo, sed Domini fugabantur imperio, qui ait (Evagrius);ŶɠűȧŪɮūȥȲųŮŴ ÎŨɝſŴȧűŬŦŴŶŻŸűŨɄűŨźŨŷŪɵŴ ȎŲŲʌɕŒɝŷŰŶŸȴŴɕŲŤŪſŴ (Athanasius). Satan defeated, falls from his heavenly seat Videbam Satanam cadentem velut coruscationem;42 Vidi Satanam quasi fulgor cadentem de caelo; ƼůŬƄŷŶŻŴźɔŴŚŨźŨŴȢŴɯŸȎŹźŷŨÎȭŴÎŬŹƂŴźŨ (again second comment by Anthony in the three versions) and on earth he finds the image of Paradise: the devil, thus, is defeated again in this world. As in vita Antonii 39, also in vita Antonii 40 the devil displays an invincibile war order, but later, losing, vanishes like smoke (exire ut fumus: Anonymus; fumus laberetur, evanuit: Evagrius; ɯŸűŨÎŴɔŸ: Athanasius) as he is without true essence. He is nothing, unless he expropriates the semblance of others. The continual prayer of the saint (psallebam: Anonymus) corresponds to the progressive physical annihilation of the devil (tabescebat): the divine ūɝŴŨųŰŸ is manifest in the name of Christ43 and the Word destroys (defecit) Satanam cadentem.44 The devil tempts Anthony in his ‘holy space’, in his cell where his mysticism progresses and once defeated, abandons this divine, inviolable dimension, that he attempted to defile, per ostium (Anonymus), ūŰȌźɁŸ ůɝŷŨŸ(Athanasius), place of ‘passage’, of a transitory reality beyond which one finds a ‘a place of signs’. Evagrius uses the image of the door as a substitute for the window (per fenestram), but the symbolism and the interpretation are exactly the same. There are two levels of battle, although it is a direct conflict. The reason is that the adversary is not allowed to enter the realm of the divine. What then follows is a rapid single-remark dialogue (stichomythia) between the saint and the devil, in which the verbal clash acquires an intensely dramatic tone. The two ‘actors’ of the scene establish an apparent dialogue from which a confrontation could emerge, but in the end the saint attains a victory more ‘vigorous’ than ever.

42 43 44

346

Cf. Lc 10, 18. Rm 8, 35. Lc 10, 18.

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

Anonymus Saint:…Vidi hominem longum et altum visum… Saint: Quis es tu? Devil: Ego sum Satan. Saint: Quid ergo venisti hic? Devil: Quare de me querelas deponunt et ceteri christiani? Quare maledicunt mihi in omni hora? Saint: Quia molestas illos Devil: Non sum ego, sed illi se turbant. Ego enim infirmus factus sum. Aut non legerunt quod scriptum est: “Inimici defecerunt frameae in finem et civitates eorum destruxisti?” (Cfr Ps 9, 7) Iam non habeo non locum, non sagittam, non civitatem. Ubique christiani facti sunt, et deserta loca repleta sunt monachis. Se custodiant, et non inaniter mihi maledicant.

Saint: Licet es mendax et numquam dixisti verum, . Christus enim veniens infirmum te fecit et deiciens denudavit te.

Evagrius Saint:…Video hominem enormi sublimitate, porrectum… Saint: Cum ab hoc quisnam esset inquirerem Devil: Ego sum Satanas Saint: Quid igitur hic quaeris? Devil: Cur mihi frustra imputant monachi? Cur mihi omnes Christianorum populi maledicunt? Saint: Iuste faciunt: tuis enim frequenter molestamur insidiis. Devil: Nihil ego facio, sed ipsi se invicem turbant, nam ego miserabilis factus sum. Rogo, non legisti: “Quia defecerunt inimici fremeae in finem, et civitates eorum destruxisti?” (Cfr Ps 9, 7) Nullum iam habeo locum, nullam possideo civitatem, iam mihi nulla sunt arma. Per omnes nationes cunctasque provincias Christi personat nomen, solitudines ipse monachorum stipantur choris. Se, quaeso, tueantur, et me sine causa non lacerent. Saint: Non tuae veritati, recentem ascribo sententiam. Nam cum fallaciae caput sis, hoc sine mendacio coactus es confiteri. Vere enim Iesus tuas funditus subruit vires, et honore nudatus angelico, volutaris in sordibus.

Athanasius Saint: cųŨűŷɔŴ űŨɄ ɟžŮŲɔŴ Saint:ŚɞźɃŸŬɌ Devil: ƼŪɭ ŬɆųŰ ɕ ŚŨźŨŴȢŸ Saint: śɃ ŶɦŴ ȧŴźŨŻůȢÎţŷŬŰ Devil: śɃ ųŤųżŶŴźŨŦ ųŬ ųţźŮŴ ŶɅ ųŶŴŨŽŶɄ űŨɄ ŶɅ ȑŲŲŶŰ ÎţŴźŬŸ ŽŷŰŹźŰŨŴŶŦ Saint:śɃŪȌŷŨɠźŶɋŸ ȧŴŶŽŲŬɋŸ Devil: ŗɠű ŬɆųɄ ȧŪɭ ȎŲŲʌŨɠźŶɄźŨŷţźźŶŻŹŰŴ ȦŨŻźŶƃŸŁ ȧŪɮ ŪȌŷ ȎŹůŬŴȭŸ ŪŤŪŶŴŨ ŗɠű ȍŴŤŪŴſŹŨŴ  lɗźŰ źŶɥ ȧŽůŷŶɥ ȧŵŤŲŰÎŶŴ ŨɅ ɛŶųżŨɋŨŰ ŬɆŸ źŤŲŶŸ  űŨɄ ÎƂŲŬŰŸ űŨůŬɋŲŬŸm (Cfr Ps 9, 7). ŗɠűŤźŰ źƂÎŶŴ ȪŽſ  Ŷɠ ũŤŲŶŸ  Ŷɠ ÎƂŲŰŴ ŘŨŴźŨŽŶɥ ŽŷŰŹźŰŨŴŶɄ ŪŬŪƂŴŨŹŰŴŁ ŲŶŰÎɔŴ űŨɄ Ȯ ȪŷŮųŶŸ ÎŬÎŲťŷſźŨŰ ųŶŴŨŽɵŴ ƽŨŻźŶɞŸ źŮŷŬŦźſŹŨŴ űŨɄ ųȭ ųţźŮŴ ųŬ űŨźŨŷţŹůſŹŨŴ Saint:ůŨŻųţŹŨŸȧŪɮ źŶɥ ŒŻŷŦŶŻ źȭŴ ŽţŷŰŴ  ŬɌÎŶŴ ÎŷɔŸ ŨɠźɔŴŁ ƧŬɄ žŬƃŹźŮŸɴŴűŨɄųŮūŤÎŶźŬ ŲŤŪſŴ ȎŲťůŬŰŨŴ  ɗųſŸ źŶɥźŶ ŴɥŴ  űŨɄ ųȭ ůŤŲſŴ  ŬɉŷŮűŨŸ ȎŲŮůŤŸŁ ŞŷŰŹźɔŸȧŲůɮŴȎŹůŬŴɁŹŬ ÎŬÎŶŦŮűŬűŨɄűŨźŨũŨŲɮŴ ȧŪɝųŴſŹŬŴc

347

LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

Ille audiens Salvatoris nomen, non toleravit ustionem nominis ipsius, continuo non apparuit.

ille sublimis Salvatoris nominatione deletus est.

ƫűŶŻŹţŸ ūȥ ȧűŬɋŴŶŸ źɔ źŶɥ ŚſźɁŷŶŸ əŴŶųŨ űŨɄ ųȭ żŤŷſŴ źȭŴ ȧű źŶɝźŶŻ űŨɥŹŰŴ  ȎżŨŴȭŸ ŪŤŪŶŴŬŴ

The devil throws off his ‘suit of armour’ of falsehood as soon as he reveals his name, Satan, reflection of his identity; and thus he is ready to disappear. The third remark of the devil is a declaration of his defeat, his surrender due to the loss of his weapons. The paradox of Christianity wins: deserta loca repleta sunt monachis; solitudines ipse monachorum stipantur choris;ȮȪŷŮųŶŸÎŬÎŲťŷſźŨŰųŶŴŨŽɵŴ (Anonymus, Evagrius, Athanasius). The devil is made nude, because he is the symbol of Evil, he is ‘stripped’ of divine glory, the saint on the contrary is never “nude”, he is the newly clothed man together with Christ.45 At the beginning of the first text that we analysed (vita Antonii 5 edition by Anonymus) it is the Lord, carnem indutus, the protagonist; in this passage (last comment by Anthony in the translation by Anonymus), instead, in an antithetical parallelism, it is the devil who is stripped by Christ (Christus denudavit te - űŨźŨũŨŲɮŴȧŪɝųŴſŹŬŴin Athanasius). Adam also discovers his nudity in Genesis, because he bears the blame of original sin. The defeat of the devil on earth which is predicted in a verse of the Book of Psalms:46 “Inimici defecerunt framae in finem et civitates eorum destruxisti?”; “Quia defecerunt inimici fremeae in finem, et civitates eorum destruxisti” is presented with triple litotes in asyndeton: non habeo non locum, non sagittam, non civitatem; nullum iam habeo locum, nullam possideo civitatem, iam mihi nulla sunt arma; ŶɠűŤźŰźƂÎŶŴȪŽſŶɠũŤŲŶŸŶɠ ÎƂŲŰŴ. He has no place, no city and not even the weapons of the ‘earthly world’ that can enable him to defend himself against external attacks. The term, ustionem, űŨɥŹŰŴ, which describes the total defeat of the devil sends Satan back unquestionably to his infernal dimension, thanks to the Word of fire which destroys the Evil One.

45 46

348

Eph 4, 24. Ps 9, 7.

THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

2.5. ‘PHYSICAL CONFLICT’ OF THE WORD The last text of our ‘polemic’anthology is vita Antonii 52. Anonymus

Evagrius

Athanasius

…stri dentes adversus eum… Saint: Si accepistis adversum me potestatem, paratus sum comedi a vobis. Si autem inmissi estis a daemones, nolite tardare, sed ite. Christi enim servus sum (cfr Rm 1, 1; Gal 1,10; Fil 1,1)

…frendebat dentibus suis.… Saint: Sin a Domino in me vobis est tributa licentia, devorate concessum. Si autem daemonum huc venistis impulsu, abite quantocius, quia Christi famulus sum (cfr Rm 1, 1; Gal 1,10; Fil 1,1).

ȪźŷŰŭŬ űŨźk ŨɠźŶɥ źŶɞŸɖūɓŴźŨŸ Saint: ōɆ ųȥŴ ȧŵŶŻŹŦŨŴ ȧŲȋũŬźŬ űŨźʎ ȧųŶɥ  ȨźŶŰųɓŸ ŬɆųŰ ũŷſůɁŴŨŰ ÎŨŷk ɟųɵŴŁ ŬɆ ūȥ ÎŨŷȌ ūŨŰųɓŴſŴ ɟÎŬŷũŲťůŮźŬ  ųȭ ųȤŲŲŬźŬ ȎŲŲʎ ȎŴŨŽſŷŬɋźŬŁ ŞŷŰŹźŶɥ ŪȌŷ ūŶɥŲɓŸ ŬɆųŰ (cfr Rm 1, 1; Gal 1,10; Fil 1,1). śŨɥźŨ źŶɥ ƧŴźſŴŦŶŻ ŲŤŪŶŴźŶŸ ȪżŻŪŶŴ ȧűŬɋŴŨŰ  ɯŸ ɟÎɔ ųţŹźŰŪŶŸ źŶɥ ŲɓŪŶŻ ūŰſűƂųŬŴŨŰ

Ista dicente Antonio, Ita factum est, et beluae fugiebant quasi a cum iubentis voce omflagello sermonis effuga- nis beluarum multitudo, tae. quasi maiestatis verbere caederetur, aufugit.

In vita Antonii 5247 the Word is an invincible weapon: Athanasius (ɟÎɔųţŹźŰŪŶŸźŶɥŲɓŪŶŻ) and Anonymus (a flagello sermonis) apply the terminology of equipment in the ‘physical conflict’ to the eternal power of the Word. The nounųţŹźŰŵis read as antithesis to those symbols of power which the devil no longer has (carts, horses: curribus…equis… Anonymus) of the passage in vita Antonii 39. The whip48 of the horses becomes the whip of the Word: corporal and spiritual power, the lashing of the tongue that stirs the conscience.

3. AN AGONISTIC-POLEMIC (SELECTED EXCERPTS)

LEXICON OF THE VITA

ANTONII

The index of the ‘polemic lexicon’ of vita Antonii, is divided into two sections: “Actions, arms and defeats of the devil’’-“Actions, arms, and victories of the saint’’. This outlines the opposition terminology which emerges from the dialogue between the saint and the devil. The lexicon of falsehood is contrasted with that of the Truth; the lexicon of the attack by the devil is contrasted with that of the defence of the saint; and finally,

47

The title ‘‘Physical Conflict’ of the Word seeks to be a summarizing formula for the preceding remarks. 48 A propos of this Cf. Grande Lessico del Nuovo Testamento, s. v. ųţŹźŰŵ, VI (1980), coll. 1402-1404. The demon uses the ‘whip’, but it is ‘an earthly arm’, as seen in vita Hilarionis 3.

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

the lexicon of the defeat of the devil is contrasted with that of the certain victory of Anthony. Noteworthy is also the recurring ‘semantic inversion’: the same term can be both positive or negative depending on its reference to the saint or devil; for example, the vocabulary word audacia, referred to the devil, corresponds to insania (vita Antonii 39), with the meaning of insolence; for the saint, however, it recalls to mind the courageous gesture of defence (vita Antonii 9). Thus, one is not surprised by the vast lexical volume reserved for the devil, who tries to strike the saint with numerous attempts, without ever succeeding to defeat the sole voice which resounds in the silence of the soul, that of the Word of the Holy Text. ACTIONS, ARMS AND DEFEATS OF THE DEVIL 1) Lexicon of the falsehood

ACTIONS, ARMS AND VICTORIES OF THE SAINT 1) Lexicon of the Truth

- seduxi/ ȯÎȋźŮŹŨ(cap. 6) - persuasi/ ųŬźŤÎŬŰŹŨ (cap. 6) - Christi servus / famulus/ ūŶɥŲɓŸ - amicus fornicationis/ ÎŶŷŴŬŦŨŸ (cap. 52) ȉŦŲŶŸ (cap. 6) - spiritus fornicationis/ ÎŴŬɥųŨ ÎŶŷŴŬŦŨŸ (cap. 6) - obsessiones suscepi/turpitudinis arma suscepi (cap. 6) - vox humana/ ȎŴůŷſÎŦŴȿ żſŴɂ (cap. 6) - psallentes de Scripturis/ et de Scripturis sibimet sermocinarentur/ žţŲŲŶŴźŬŸ űŨɄŲŨŲŶɥŴźŬŸȎÎɔźɵŴŪŷŨżɵŴ (cap. - virtus 39) - claudens oculos/clausis oculis/ -virtus Dei / ȮūɝŴŨųŰŸźŶɥůŬŶɥ(cap. űŨųųɝſŴźŶɞŸɖżůŨŲųŶɝŸ (cap. 39) 40) - bestiarum et pecorum figuras / źɔ źȌŸ ȎŲɓŪſŴ ɟųȢŸ ųŰųŬɋŹůŨŰ ųŶŷżȋŸ (cap. 9) - insidias/ źȭŴȧÎŰũŶŻŲťŴ (cap. 13) - allucere/ praebere fulgorem/ żȢŴŨŦ (cap. 39) - aliter/ ȑŲŲſŸ (cap. 9) - quid donem?/ źŦ ŹŶŰ ůŤŲŬŰŸ ŽŨŷŦŹŶųŨŰ (cap. 40) - manduca/ ŝţŪŬ (cap. 40) - desine/ ÎŨɥŹŨŰ (cap. 40) - astutias/ źȭŴųŬůŶūŬŦŨŴ (cap. 40) - mendax/ žŬƃŹźŮŸ (cap. 41) - phantasias auri/ żŨŴźŨŹŦŨŴ (cap. 40)

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THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

ACTIONS, ARMS AND DEFEATS OF THE DEVIL 2) Lexicon of the attack

ACTIONS, ARMS AND VICTORIES OF THE SAINT 2) Lexicon of the defence

- deieci/ űŨźŤũŨŲŶŴ (cap. 6) - gratias agens/ ŬɠŽŨŷŰŹźťŹŨŸ (cap. 6) - provocans/ ŪŨŷŪŨŲŦŭſŴ (cap. 6) - in nomine Domini maledixi (cap. 39) - multa feci (cap. 6) - supplantati (cap. 6: Evagrius) - molestavi/ ɖŽŲťŹŨŸ (cap. 6) - psallebat/ ȪžŨŲŲŬŴ (cap. 9) - semper temptavit (cap. 6: Evagrius) - cum multitudine intimidare/ źʃ - nominans Christum/ źɔŴ ŞŷŰŹźɔŴ ÎŲťůŬŰÎŬŰŷţŭŬźŤÎſŸȧűżŶũŬɋŴ (cap. 9) ɖŴŶųȋŹŨŸ (cap. 40) - plaudentes (cap. 39) -quasi surdus non audiebam (cap. 39) - sibilantes (cap. 39) -quasi surdus non audiebam (cap. 39) - saltantes (cap. 39) -quasi surdus non audiebam (cap. 39) - stridere dentes/ fremebant dentibus -quasi surdus non audiebam (cap. 39) suis/ ȪźŷŰŭŶŴ űŨźʎ ŨɠźŶɥ źŶɞŸ ɖūɓŴźŨŸ (cap. 9) - cum clamore (cap. 13) - signaculum crucis et murum fidem/ - circumdederunt/ ȧűɝűŲſŹţŴ (cap. 39) crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis murus/ ŚżŷŨŪɄŸŪȌŷȮųɋŴűŨɄźŬɋŽŶŸ ŬɆŸ ȎŹżȋŲŬŰŨŴ Ȯ ŬɆŸ źɔŴ ŒɝŷŰŶŴ ȮųɵŴ ÎŦŹźŰŸ (cap. 9). - minantes/ ȎÎŬŰŲŶɥŴźŬŸ(cap. 39) - milites armati/ŹźŷŨźŰɵźŨŰ (cap. 39)

ACTIONS, ARMS AND DEFEATS OF THE DEVIL 3) Lexicon of the defeat - miserabiles voces/ ŶɆűźŷȌŸ żſŴţŸ (cap. 6) - nimium contemnibilis (cap. 6) - niger secundum mentem et coloris/ ųŤŲŨŸŬɌźɔŴŴŶɥŴ(cap. 6) - quasi puer infirmus/ ɯŸÎŨɋŸȎŹůŬŴȭŸ (cap. 6) - fugiit/ ȪżŻŪŬ (cap. 6)

- exstruere castra in me (cap. 9).

ACTIONS, ARMS AND VICTORIES OF THE SAINT 3) Lexicon of the victory

- non fugio plagas/certamina/ ŶɠżŬƃŪſ źȌŸÎŲŮŪţŸ (cap. 9) - non timere/ ŶɠżŶũŮůȬŹŬźŨŰ (cap. 9)

- timens voces (cap. 6) - territus est (cap. 6) - exibilavit (cap. 40) - nervos vestros (cap. 9) - firmitatem (cap. 9) - infirmitatis (cap. 9) - irridebant se/ ȪÎŨŰŭŶŴȦŨŻźŶɝŸ (cap. 9) - non separabit a charitate Christi/ - inimici eius (Dei) (cap. 13) ŶɠūȤŴųŬŽſŷŦŹŬŰȎÎɔźɁŸȎŪȋÎŮŸźŶɥ - tabescit/liquescit/pereant (cap. 13) ŞŷŰŹźŶɥ (cap. 9) - plangere (cap. 39)

- magnificabimur Dominum (cap. 39)

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LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO

- plorare (cap. 39) - audaciam sumit/ ůŷŨŹƃŴŬźŨŰ (cap. 9) - quasi victi (cap. 39) - audacia/insania/ źȭŴźɓŲųŨŴűŨɄźȭŴ ųŨŴŦŨŴŨɠźɵŴ (cap. 39) -exire per ostium/fenestram/ ūŰȌ źɁŸ - ustio/flagello sermonis/ ɟÎɔųţŹźŰŪŶŸ ůɝŷŨŸ (cap. 40) - non habeo non locum, sagittam, civi- źŶɥŲɓŪŶŻ (capp. 41-52) tatem/ Nullum iam habeo locum, nullam possideo civitatem,iam mihi nulla sunt arma/ ŗɠűŤźŰ źƂÎŶŴ ȪŽſ  Ŷɠ ũŤŲŶŸ  Ŷɠ - orabam/ ŮɠŽƂųŮŴ (cap. 39) ÎƂŲŰŴ(cap. 41) - non tolerans orationem (cap. 40) - indutus (cap. 5) - deficit (cap. 40) - secedere - denudatus/ ȧŪɝųŴſŹŬŴ (cap. 41) - repulsus/ ȎŴŨźŷŨÎŬɄŸ (cap. 6)

Valentina Zanghi Università di Genova

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THE DIALOGUE BETWEEN THE SAINT AND THE DEVIL

ABSTRACT The object of this article is the Vita Antonii, ‘best seller’ of monastic hagiography in Late antiquity, in its triple version: the original Greek by Athanasius, the two Latin versions by Evagrius and by Anonymus. Some dialogues between the saint and the devil have been selected as exempla of the ‘polemical lexicon’ in the Lives of the saints. The Lives exhibit some theories, theological thoughts, defences and attacks, like other literary genres, but they contextualize them in a specific narrative frame. The paper demonstrates that the clash and the demonic fight express the ‘polemical lexicon’ of the classical rhetoric and also of the biblical citations. RÉSUMÉ L’objet de l’article est la Vita Antonii, ‘best seller’ de l’hagiographie monastique tardo-antique, dans sa triple édition : l’original grec d’Athanase, les deux versions latines d’Évagre et de l’Anonyme. Nous avons sélectionné quelques dialogues entre le saint et le diable, comme exemples du ‘lexique polémique’ dans les Vies de saints. Ces Vies exposent des théories théologiques, des défenses et des attaques, comme les autres genres littéraires, mais dans un cadre narratif spécifique. La recherche démontre que le conflit et la lutte démoniaque expriment le ‘lexique polémique’ de la rhétorique classique et aussi des citations bibliques.

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TERZA PARTE RELIGIONE E RETORICA: SVILUPPI SUCCESSIVI

L’ESALTAZIONE DELLA CASTITÀ DELLE VERGINI CRISTIANE NEI DRAMMI DI ROSVITA (DULCITIUS E PAFNUTIUS) Dopo il quasi assoluto silenzio in età medievale,1 in epoca moderna la fortuna di Rosvita,2 canonichessa di Gandersheim e attiva nella seconda metà del secolo X,3 è dovuta in particolare ai suoi Drammi, dove l’autrice “si fa sorprendere a drammatizzare agiografie con la mente di Terenzio”.4 Se, infatti, non desta meraviglia il ricorso all’auctoritas terenziana, data la grande diffusione del commediografo antico, che destava enorme interesse non tanto per il contenuto dei suoi drammi, quanto per ragioni formali,5 non poteva passare inosservata la vera novità rappresentata da Cfr FERRUCCIO BERTINI, Il «teatro» di Rosvita, Genova, Tilgher, 1979, p. 5. Cfr SABINA TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita: pretesto o modello? La conversione di Gallicano, in Memoria di testi teatrali antichi, ed. Onofrio Vox, Lecce, Pensa Multimedia, 2006, pp. 213-256. 3 Nata probabilmente intorno al 935, come si desume da alcune notizie contenute nelle sue opere (Primordia coen. Gand. 523 seqq.; praef. ad carm. 7) e morta sicuramente dopo il 973, come possiamo ricavare dai vv. 71 seqq. dei Primordia coen. Gand., da cui risulterebbe che Rosvita sarebbe sopravvissuta alla morte di Ottone I; cfr BERTINI, Il «teatro», p. 7; MARCO GIOVINI, Rosvita e l’imitari dictando terenziano, Genova, Tilgher, 2003 (Università di Genova, D.AR.FI.CL.ET., N. S. 210), p. 6 e la bibliografia ivi riportata. 4 Cfr GUSTAVO VINAY, Rosvita: una canonichessa ancora da scoprire?, in Alto Medioevo Latino, Napoli, Guida Editori, 1978, pp. 483-554, in part. p. 484; cfr ID., Umanità di Rosvita, in «Convivium» XVII (1948), pp. 563-574, in part. p. 563; BERTINI, Il «teatro», p. 6. 5 ERNST R. CURTIUS, Letteratura europea e Medioevo latino, trad. it., a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1995, p. 488; TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita, p. 216 e nt. 13. In questa direzione basti citare l’esempio di Brunone, per il quale abbiamo la testimonianza esplicita di Ruotgero nella Vita Brunonis 8 p. 9, secondo la quale l’arcivescovo di Colonia era interessato alla lettura di Terenzio non per il contenuto delle sue commedie, ma per ragioni esclusivamente formali e stilistiche legate alla disposizione delle parole: «scurrilia et mimica, quae in comoediis et tragediis a personis variis edita quidam concrepantes risu se infinito concutiunt, ipse semper serio lectitabat; materiam pro minimo, auctoritatem in verborum compositionibus pro maximo reputabat»; la citazione segue la numerazione della seguente edizione: RUOTGERUS. Vita Brunonis Archiepiscopi Coloniensis, ed. IRENE OTT, MGH (Scriptores Rerum Germanicarum, N. S. 10) (1951). Non esiste ancora uno studio aggiornato ed esauriente sulla fortuna di Terenzio nel Medioevo, per il quale si può, tuttavia, vedere utilmente FERDINANDO GABOTTO, Appunti sulla fortuna di alcuni autori romani nel Medio-Evo, Verona, Donato Tedeschi e figlio, 1891; KARL DZIATZKO, Zu Terenz im Mittelalter, in «Jahrbücher für Klassische Philologie» CXLIX (1894), pp. 465-477; GIUSEPPE PACETTO, La fortuna di 1 2

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RELIGIONE E RETORICA: SVILUPPI SUCCESSIVI

Rosvita, che, consapevole del crescente interesse delle commedie terenziane e della loro influenza negativa sull’animo dei lettori cristiani, concepì l’ambizioso disegno di partire proprio da esse – il modello esplicitamente dichiarato dalla stessa autrice6 -, trasformandone però il senso e rivalutandone il contenuto in un’ottica cristiana. In altre parole Rosvita, temendo che i cristiani trascurassero la lettura dei testi sacri e si dedicassero sempre più frequentemente a quella dei testi profani, lasciandosi fuorviare e restando irretiti dalle vicende amorose delle fabulae terenziane, i cui personaggi sono spesso protagonisti di azioni poco edificanti non certo consone alla fede cristiana, lascia inalterata sostanzialmente la struttura dialogico-drammatica delle sue commedie sull’esempio dei fingmenta di Terenzio, ma, in coerenza con la fede e i valori cristiani, la sua narrazione si caratterizza per il contenuto tipicamente agiografico, lontano dalla immoralità e dai motivi particolarmente licenziosi propri del commediografo antico. In questo modo la canonichessa di Gandersheim sperava da una parte di soddisfare le esigenze dei sempre più frequenti cultori dell’opera terenziana, dall’altra di mettere a loro disposizione una riscrittura delle sue commedie opportunamente purgate dal punto di vista contenutistico. Del resto, nella rilettura rosvitiana delle commedie di Terenzio attraverso il filtro dell’esperienza e della fede cristiana “si ripete la vecchia ambizione premedievale di surrogare i più fortunati testi antichi: soddisfare i gusti letterari dei lettori ma senza corromperli, anzi avvicinandoli a Dio”.7 In un contesto generale in cui tutti gli scrittori cristiani fanno a gara nel rispolverare le antiche e fortunate forme letterarie degli autori classici per conferire un tono più solenne e più elevato alla celebrazione della Gloria divina, Rosvita, in particolare, si propone “con lo stesso genere di composizione del più famoso dei comici latini, di formare il

Terenzio nel Medio Evo e nel Rinascimento, Catania, Viaggio-Campo, 1918. Per quanto riguarda la trasmissione del testo, invece, abbiamo a disposizione l’ottimo e imprescindibile lavoro di CLAUDIA VILLA, La «Lectura Terentii», I. Da Ildemaro a Francesco Petrarca, Padova, Antenore, 1984. 6 Sulla complessa questione dell’influenza di Terenzio su Rosvita rimando a TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita, pp. 229-252. Ribadisco anche in questa occasione che l’esperienza drammatica di Rosvita sarebbe difficilmente comprensibile senza il modello terenziano, al quale essa appare direttamente collegata attraverso una fitta trama di corrispondenze e di richiami intertestuali. Naturalmente, data la distanza culturale con l’illustre poeta romano, i contenuti sono assolutamente diversi; la poetessa sassone trae ispirazione per i suoi Drammi da alcune agiografie, ma le scene degli intrecci drammatici prendono corpo e si sviluppano sulla falsariga di quelli terenziani. Tengo a precisare, tuttavia, che, nonostante l’auctoritas terenziana sia sempre ben presente e riconoscibile sullo sfondo, i personaggi rosvitiani mantengono inalterata la loro spiritualità cristiana, che anzi acquista una nuova luce e viene enfatizzata proprio dal confronto con i modelli. 7 Cfr VINAY, Rosvita, p. 510.

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L’ESALTAZIONE DELLA CASTITÀ DELLE VERGINI CRISTIANE

dramma di contenenza cristiana”,8 sostituendo agli amplexus carnali dei passionali e libidinosi amanti terenziani lo spiritualis amplexus dei martiri cristiani, che con il loro sacrificio conseguivano “the mystical union of the soul with Christ”.9 Alcuni brani della Praefatio al II libro, quello che contiene i Dialoghi drammatici, sono molto istruttivi per comprendere le reali intenzioni dell’autrice. In particolare Rosvita comincia subito con una denuncia, puntando il dito contro molti cattolici che attratti dall’eleganza della lingua preferiscono la vanità dei libri pagani all’utilità delle Sacre Scritture; altri ancora non tengono in alcun conto gli scrittori pagani, ma sono impegnati continuamente nella lettura delle commedie di Terenzio, affascinati dalla dolcezza del suo stile: Plures inveniuntur catholici, | cuius non penitus expurgare nequimus facti, | qui pro cultioris | facundia sermonis | gentilium vanitatem librorum | utilitati praeferunt sacrarum scripturarum. | Sunt etiam alii, sacris | inhaerentes paginis, | qui licet alia gentilium spernant, Terentii tamen fingmenta frequentius lectitant | et, dum dulcedine sermonis delectantur, | nefandarum notitia rerum maculantur (Praef. Lib. II,1-2).

Innanzitutto mi pare necessario osservare che l’inciso “cuius non penitus expurgare nequimus facti” va inteso nel senso già indicato dal Bertini nella sua ultima traduzione, “e di questo noi non possiamo assolutamente giustificarli”,10 col risultato che Rosvita si dissocia subito dalla colpa che attribuisce agli altri cristiani; questa interpretazione risulta non solo più logica, ma sembrerebbe confermata anche dal § 3, in cui l’autrice distingue nettamente il suo comportamento da quello degli altri: “Dum alii colunt legendo”. L’accusa che Rosvita sta rivolgendo a molti cristiani - e certo in quel plures ci sarà anche una certa esagerazione11 - e in particolare a quelli che “pur attenendosi fedelmente alle pagine sacre, leggono e rileggono di frequente le creazioni poetiche di Terenzio”, ha in ogni caso un obbiettivo ben preciso e si rivolge allusivamente a Brunone, e forse anche agli altri dotti più autorevoli presenti a corte: Raterio e Liut prando, 8 Cfr EZIO FRANCESCHINI, Per una revisione del teatro di Rosvita, in «Rivista Italiana del Dramma» III (1938), pp. 300-316, in part. p. 309. 9 Cfr SANDRO STICCA, Hrotswitha’s “Dulcitius” and Christian Symbolism, in «Mediaeval Studies» XXXII (1970), pp. 108-127, in part. p. 123. 10 Cfr FERRUCCIO BERTINI, Rosvita la poetessa, in Medioevo al femminile, Roma – Bari, Laterza, 1996, pp. 63-95, in part. p. 65; lo stesso studioso in precedenza (ID., Il «teatro», p. 47; ID., Rosvita, Dialoghi Drammatici, introd. di Peter Dronke, Milano, Garzanti, 1986, p. 7) aveva dato un’interpretazione diversa «e neppure noi possiamo considerarci del tutto esenti da questa colpa»; a favore di quest’ultima si è espresso recentemente GIOVINI, Rosvita, p. 18 nt. 23. 11 Cfr PETER DRONKE, Donne e cultura nel Medioevo: Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1986, p. 100.

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RELIGIONE E RETORICA: SVILUPPI SUCCESSIVI

come lascia intendere verosimilmente l’uso del verbo lectitare che la poetessa ha in comune con il biografo nel passo della Vita già citato.12 Rosvita si propone, dunque, di combattere da una parte contro Terenzio, dall’altra contro la mania ormai diffusa, specialmente da parte della cultura ufficiale guidata e diretta da Brunone, di leggere continuamente le sue commedie, contenenti scelleratezze di ogni genere che guastavano l’animo dei lettori. Ed è proprio per questi ultimi che la canonichessa sente il bisogno di trovare un rimedio nei suoi Dialoghi drammatici, che esteriormente nella forma rinviano ai drammi di Terenzio, di cui si riprendono anche scene e argomenti turpi, ma che alla fine si risolvono tutti con l’esaltazione e il trionfo delle virtù e dei princìpi cristiani: Unde ego, Clamor Validus Gandeshemensis, non recusavi illum imitari dictando, | dum alii colunt legendo, | quo eodem dictationis genere, | quo turpia lascivarum | incesta feminarum | recitabantur, | laudabilis sacrarum | castimonia virginum | iuxta mei facultatem ingenioli celebraretur. | Hoc tamen facit non raro verecundari | gravique rubore perfundi, | quod, huiusmodi specie | dictationis cogente | detestabilem inlicite amantium dementiam | et male dulcia colloquia eorum, | quae nec nostro auditui | permittuntur accomodari, | dictando mente tractavi | et stili officio designavi (Praef. Lib. II,3-4).

Attraverso la traduzione latina del suo nome in Clamor Validus,13 Rosvita conferisce al compito che si era assunto la forma di un impegno solenne, quasi una missione profetica, perché, come è stato già notato,14 l’espressione “ego Clamor Validus” ricorda immediatamente il versetto biblico: “Ego vox clamantis in deserto”.15 In questa situazione non meraviglia il coraggio e la decisione della nostra poetessa di imitare Terenzio, utilizzando il suo stesso dictationis genus, proponendosi però di sostituire i “turpia lascivarum incesta feminarum”, forieri di pericolose tentazioni e sconvenienti per un buon cristiano, con l’esaltazione della “laudabilis sacrarum castimonia virginum”, quella castità che “rimane per Rosvita il più alto ideale di vita”,16 che consente alle donne di superare il loro status naturale di sesso debole e di trionfare eroicamente sulle avversità della vita. Ma perché ciò possa avvenire, Rosvita, pur provando un certo imbarazzo nel confessarlo, è costretta a immaginare e a descrivere lussuriose

Cfr BERTINI, Rosvita la poetessa, p. 66. Cfr Lateinische Gedichte des X und XI Jahrhunderts, edd. JAKOB GRIMM, ANDREAS SCHMELLER, Amsterdam, Rodopi, 1967, [Göttingen, Dieterich, 1838], p. IX; vd. anche BERTINI, Il «teatro», p. 8. 14 Cfr DRONKE, Donne e cultura, p. 100. 15 Cfr Is. 40,3; Mt. 3,3; Mc. 1,3; Lc. 3,4; Io. 1,23. 16 Cfr BERTINI, Rosvita la poetessa, p. 92; KENNETH DE LUCA, Hrotsvita’s «Imitation» of Terence, in «Classical Folia» XXVIII (1974), pp. 89-102, in part. p. 101. 12

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L’ESALTAZIONE DELLA CASTITÀ DELLE VERGINI CRISTIANE

scene d’amore, i cui protagonisti vengono bollati per la loro riprovevole follia nell’abbandonarsi senza ritegno ai turpi giochi d’amore; la censura e il disprezzo verso costoro vengono sottolineati anche attraverso artifici retorici, tipici del mondo classico, come la paronomasia amantium dementiam a cui si collega amentium17 del paragrafo successivo, e l’ossimoro male dulcia, che evidenzia in modo efficace quanto siano ingannevoli e di breve durata le lusinghe dell’amore sessuale e le gioie corporali. Per questo motivo Rosvita non ha avuto alcuna remora a descrivere argomenti così scabrosi e pericolosi per un cristiano, proprio per esaltare pienamente la gloria della virtù e di Dio,18 che emerge in tutto il suo splendore quanto più grandi sono la perversione e il male destinati a soccombere.19 La stessa Rosvita, del resto, confessa apertamente questo proposito sempre nella Praefatio, in cui afferma che userà il suo ingenium per proclamare e testimoniare la presenza di Cristo, trasformando le meretices terenziane nelle eroiche e virtuose protagoniste dei suoi drammi:20 Non enim dubito, mihi ab aliquibus obici, quod huius vilitas dictationis | multo inferior, | multo contractior | penitusque dissimilis | eius, quem proponebam imitari, sit sententiis. | Concedo; | … Nec enim tanta | sum iactantiae, | ut vel estremis | me praesumam conferre auctorum alumnis; | sed hoc solum nitor, ut, licet nullatenus valeam apte, | supplici tamen mentis devotione | acceptum | in datorem retorqueam ingenium (Praef. Lib. II,6seq.).

Appare evidente allora come il ricorso all’auctoritas terenziana lungi dal limitarsi all’aspetto puramente esteriore senza conseguenze sul piano contenutistico, diventi, invece, funzionale alla critica di alcuni motivi e temi propri del mondo pagano, per ribaltarne i valori e interpretarli nella luce della fede cristiana,21 che si illumina ancora di più nell’immediato confronto con le tenebre del passato, in cui trionfa il male. Rosvita instaura con il modello un rapporto antifrastico ed emulativo, in virtù del quale l’esaltazione dell’amore terreno e sensuale si trasforma in amore

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È molto verosimile un collegamento diretto con un passo dell’Andria di Terenzio, in cui il commediografo a proposito della decisione di Panfilo e Glicerio di tenere il bambino che nascerà dalla loro unione, afferma: «inceptiost amentium, haud amantium» (218); cfr DRONKE, Donne e cultura, p. 118 nt. 37. 18 Praef. 5 «Sed haec erubescendo neglegerem, | nec proposito satisfacerem | nec innocentium laudem adeo plene iuxta meum posse exponerem.» 19 Cfr MASSIMO OLDONI, La “scena” del Medioevo, in Lo spazio letterario del Medioevo, edd. Guglielmo Cavallo, Claudio Leonardi, Enrico Menestò, 15 voll., Roma, Salerno Editrice, 1992-2006, II/3 (Il Medioevo latino – La circolazione del testo), pp. 489-535, in part. p. 507. 20 Cfr BERTINI, Rosvita la poetessa, p. 78. 21 Cfr RICHARD AXTON, European Drama of the Early Middle Ages, London, Hutchinson, 1974, p. 29; BERTINI, Rosvita, Dialoghi Drammatici, p. 207.

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celeste, le prostitute sinceramente pentite riconoscono alla fine i loro peccati e sono pronte ad espiarli, la tradizionale debolezza femminile, che non si lascia sedurre dalle lusinghe del peccato, si muta in una forza e in un coraggio sorprendenti, trionfando sul virilis robur.22 In questa prospettiva il teatro di Rosvita acquista le caratteristiche di uno strumento di redenzione, che diventa tanto più forte ed efficace, perché mentre esalta l’amore sacro e la fede in Dio, in nome del quale si affronta coraggiosamente il martirio, non manca, però, di descrivere minuziosamente scene d’amore estremamente sensuali e particolarmente scabrose, retaggio peggiore di un mondo pagano, dal quale la poetessa sassone intende prendere le distanze. Una conferma può venire dall’analisi diretta, sia pure cursoria, dei Dialoghi drammatici. Il secondo di essi il Dulcitius o Passio sanctarum virginum Agapis, Chioniae et Hirenae, è ambientato a Tessalonica nel 304 sotto l’impero di Diocleziano e narra la vicenda di tre giovani sorelle, Agape, Chionia e Irene, che avevano fatto voto di castità. Le tre vergini diventano subito protagoniste già nella prima scena. Convocate dall’imperatore Diocleziano, che desidererebbe che le tre sorelle abbracciassero la vita coniugale con alti dignitari di palazzo, esse restano coraggiosamente ferme al proposito di conservare la loro verginità, rifiutando sdegnosamente di sacrificare agli dei pagani (Dulc. 1,1-2): DIOCLETANUS Parentelae claritas ingenuitatis || vestrumque serenitas pulchritudinis | exigit, | vos nuptiali lege | primis in palatio copulari, || quod nostri iussio annuerit fieri | si Christum negare || nostrisque diis sacrificia velitis ferre. || AGAPES Esto securus curarum, || nec te gravet nostrum praeparatio nuptiarum, | quia nec ad negationem || confitendi nominis, || nec ad corruptionem || integritatis | ullis rebus || compelli poterimus.||

Le parole di Diocleziano, che fanno leva sulla bellezza e sulla nobile stirpe per convincere le tre sorelle ad accettare le nozze, esaltano ancora di più l’eroismo del loro comportamento davanti alla necessità di dover rinnegare Cristo e fare sacrifici agli dei. Agape per prima, rispondendo anche a nome delle altre, non ha dubbi e si rivolge senza esitazioni all’imperatore, invitandolo con una soprendente perentorietà, evidenziata dalla paronomasia securus/curarum, a stare tranquillo e a non preoccuparsi delle loro nozze, perché niente al mondo le avrebbe potuto spingere a rinnegare il nome di Cristo e a perdere la loro verginità. Ma Agape si spinge anche più oltre e davanti all’accusa di Diocleziano di aver abbandonato la religione antica, lasciandosi sedurre dalla novità della religione 22

Cfr Praef. 5 «Quanto blanditiae amentium ad illiciendum promptiores, tanto et superni adiutoris gloria sublimior | et triumphantium victoria probatur gloriosior, | praesertim cum feminea fragilitas vinceret | et virilis robur confusioni subiaceret.»

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cristiana: “Inutilem christianae | novitatem | sequimini superstitionis” (1,3), rompe ogni indugio e con tono minaccioso, avverte l’imperatore del pericolo che corre, offendendo la maestà di Dio onnipotente: “Temere calumpniaris || statum dei omnipotentis. | Periculum” (ibid.), un pericolo che pende non solo sul suo capo, ma anche sullo stato che governa: “Tui | reique publicae, quam gubernas” (ibid.). Lo stesso coraggio e la stessa balda sicurezza caratterizzano l’atteggiamento di Chionia, la quale non si fa certo scrupoli di biasimare l’insensatezza di Diocleziano, che aveva accusato di follia la sorella Agape: “Mea germana non insanit, || sed tui stultitiam iuste reprehendit” (1,4). Non è certo da meno Irene, che mostra subito le sue intenzioni, dichiarando la sua ribellione e la sua ostilità nei confronti dell’imperatore: “Tertiam rebellem | tibique penitus probabis renitentem” (ibid.), enfatizzati dalla triplice allitterazione e dalla disposizione delle parole nel verso, in cui rebellem e renitentem all’inizio e alla fine incorniciano al centro il pronome personale tibi, il bersaglio contro il quale si indirizza la rabbia della giovane donna. Neppure la minaccia di Diocleziano di inviarla al supplizio smuove il suo orgoglio e fa tentennare la sua fede: “Hoc optamus, || hoc amplectimur, | ut pro Christi amore | suppliciis laceremur” (1,8), anzi la donna si augura con forza e con insistenza, come viene segnalato dall’anafora di hoc, il martirio nel nome di Cristo. A causa della fermezza e dell’audacia delle tre giovani, esse vengono incarcerate e affidate al governatore Dulcizio, che, stupito della loro straordinaria bellezza, non sa tenere a freno la sua libidine e arde dal desiderio di possederle (Dulc. 2,1-2): DULCITIUS Producite, || milites, | producite, || quas tenetis in carcere! || MILITES Ecce, quas vocasti! || DULCITIUS Papae! quam pulchrae, || quam venustae, || quam egregiae puellulae! || MILITES Perfectae decore. || DULCITIUS Captus sum illarum specie. || MILITES Credibile. || DULCITIUS Exaestuo illas ad mei amorem trahere. ||

La situazione per le giovani fanciulle si complica ulteriormente, perché Dulcizio ordina che siano rinchiuse in una stanza attigua alla cucina e, dopo avere posto delle guardie davanti alla porta, vi entra deciso a dare libero sfogo alla sua passione e a saziarsi dei tanto sospirati amplessi. Ma un fatto sorprendente quanto inaspettato, certo anche dal colorito comico,23

CURTIUS, Letteratura europea, p. 483, cataloga la scena fra gli esempi di umorismo culinario; cfr anche JOHN FRANCIS ABBICK, Roswitha and Terence, in «Classical Bulletin» XXIII (1947), pp. 31-35, in part. p. 32; ANNE LYON HAIGHT, Hroswitha of 23

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ma sicuramente dal significato più profondo,24 sembra dare un po’ di tregua alle tre sorelle. Dulcizio, infatti, come impazzito d’amore, abbraccia e bacia con passione pentole, padelle e stoviglie, scambiandole per le tre sorelle, che, invece, si divertono a spiarlo attraverso le fessure della porta. E se Chionia, osservando, insieme alle sorelle, Dulcizio nella sua perfomance, dice esplicitamente: “ridiculum” (4,3), è anche vero, però, che Agape nel vedere Dulcizio nero come la fuliggine, aggiunge che era posseduto dal diavolo: “Decet, ut talis appareat corpore, || qualis a diabolo possidetur in mente” (ibid.), circostanza confermata dai soldati, che al suo apparire esclamano: “Quis hic egreditur? | Daemoniacus. || Vel magis ipse diabolus. || Fugiamus!” (5,1) Come si vede, da una parte agiscono le forze del male e del demonio, dall’altra le forze del bene incarnate dalle tre sorelle, che invocano la protezione divina: “Deus nos tueatur” (4,1), da una parte i pagani posseduti dal diavolo, dall’altra i cristiani fiduciosi nella divina provvidenza.25 E gli epiteti che Irene, spiando dalla fessura della porta, rivolge a Dulcizio: “Stultus, alienatus” (4,2) potrebbero essere rivolti a tutti i pagani, che hanno la mente obnubilata dalla stupidità e dalla follia. In questo senso bene osserva il Bertini che “il ridicolo a cui si espone pubblicamente Dulcizio, allettato dalle false lusinghe dell’amore terreno, è efficace metafora della degradazione morale di chi crede nei falsi idoli”.26 Quando Dulcizio, dopo essere stato oggetto di scherno da parte delle guardie del palazzo imperiale, che avevano minacciato di picchiarlo e di buttarlo giù dalle scale, torna a casa dalla moglie e rinsavisce, convinto che a ridurlo in quello stato fossero stati gli incantesmi delle tre sorelle, per vendicarsi con la stessa moneta ordina che siano denudate ed esposte al pubblico ludibrio: “Mando, ut lascivae | praesententur puellae | et abstractis vestibus publice denudentur, | quo versa vice, quid nostra possint ludibria, experiantur” (7). Ma si manifesta il primo segno della potenza divina, che impedisce ai soldati - nonostante il loro impegno

Gandersheim. Her Life, Her Times, Her Works, New York, The Hroswitha Club, 1965, pp. 24-25. 24 La scena delle pentole, infatti, che pure a prima vista potrebbe a buon diritto suscitare ilarità, è stata persuasivamente interpretata in chiave simbolica da SANDRO STICCA, Hrotswitha’s “Dulcitius” and Its "Spiritualis Significatio", in Hommages à Marcel Renard, ed. Jacqueline Bibauw, Bruxelles, Latomus, 1969 (Collection Latomus, 101-103), pp. 700-706, in part. p. 701, secondo il quale la notte, la cucina, la fuliggine e Dulcizio costituirebbero altrettante rappresentazioni allegoriche dell’Inferno, delle forze del male e del demonio. Lo stesso Sticca, approfondendo l’argomento in un successivo articolo (Hrotswitha’s “Dulcitius”, pp. 108-127), ha poi precisato che Diocleziano, Dulcizio e Sisinnio sarebbero l’incarnazione terrena delle tentazioni del mondo, della carne e del diavolo, contro le quali resistono accanitamente e alla fine trionfano le tre giovani sorelle, paradigma delle virtù della carità, della purezza e della pace, come lasciano intuire i loro stessi nomi. 25 Cfr BERTINI, Il «teatro», p. 61. 26 Cfr BERTINI, Rosvita la poetessa, p. 89.

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enfatizzato dall’omoteleuto e dall’insistenza di due cola variati nella forma, ma dal significato sostanzialmente analogo - di eseguire l’ordine del governatore, perché le vesti delle tre ragazze restano attaccate al loro corpo come se fossero una vera e propria pelle: “frustra sudamus, || in vanum laboramus: || ecce, vestimenta || virgineis corporibus inhaerent | velut coria” (8). Diocleziano informato dell’accaduto, decide di affidare le tre vergini a Sisinnio, che dapprima tenta di convincere separatamente Chionia e Agape ad abiurare, ma esse non solo si rifiutano, ma colgono l’occasione per testimoniare la loro fede indomabile ed eterna al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo: “Vero et aeterno patri | eiusque coaeterno filio || sanctoque amborum paraclyto || sacrificium laudis sine intermissione libamus” (11,1). Sisinnio non ha altra scelta che condannarle a morte secondo la volontà dell’imperatore e ordina che siano gettate vive sul rogo. Ma ciò non spaventa certo le due ragazze, che per bocca di Agape levano l’ultima preghiera al Signore (Dulc. 11,4): AGAPES Non tibi, domine, | non tibi haec potentia insolita, | ut ignis vim virtutis suae obliviscatur, | tibi obtemperando. || Sed taedet nos morarum; | ideo rogamus solvi retinacula | animarum, | quo extinctis corporibus || tecum plaudant | in aethere nostri spiritus. ||

La lode del Signore e la sua potenza ricevono una forte enfatizzazione anche stilisticamente dal nesso anaforico di tibi e della negazione non, rafforzati dalla litote iniziale, senza dimenticare l’alliterazione vim / virtutis e soprattutto quella di obliviscatur / obtemperando, come per ricordare che anche l’azione degli elementi naturali come il fuoco è in linea con il volere divino. Anche Agape e Chionia non desiderano altro che ricongiungersi a Dio, quando, finalmente libere del corpo, le loro anime saliranno al cielo e potranno essere partecipi della gloria divina. Il fervore cristiano e la fede di Agape e Chionia, la cui vicenda diventa l’occasione di uno straodinario miracolo, che vede le due ragazze morire, ma restare indenni nel corpo senza essere minimamente sfiorate dalle fiamme, sono la testimonianza concreta della presenza divina (Dulc. 11,5): MILITES O novum, | o stupendum miraculum! | Ecce, animae egressae sunt corpora, | et nulla | laesionis repperiuntur vestigia, || sed nec capilli, | nec vestimenta | ab igne sunt ambusta, || quo minus corpora. ||

Nelle parole dei soldati che attoniti gridano al miracolo, sembra di vedere lo stupore e di riconoscere le stesse emozioni della poetessa sassone, che, davanti alle manifestazioni della potenza divina - quasi impossibile da descriversi (o novum, o stupendum) e scandita e rimarcata concretamente nei suoi mirabili effetti dall’anafora di nec e dalla climax, che colloca in posizione finale quo minus corpora -, rivela ogni volta la forza e la purezza della sua fede sempre riconoscente e grata dei doni di Dio. 365

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Per nulla spaventata dalle sorte toccata alle due sorelle, anche Irene condotta dai soldati alla presenza di Sisinnio, afferma orgogliosamente di voler seguire l’esempio di Agape e Chionia: “Opto exemplum earum moriendo sequi, | quo merear cum eis aeternaliter laetari” (12,1), per guadagnarsi attraverso il sacrificio estremo della morte la gioia eterna, che l’anima può finalmente conseguire, come viene indicato dall’allitterazione e dal gioco di parole moriendo / merear direttamente collegati in un nesso inscindibile nella vita del cristiano tesa verso l’eternità. In questo senso paradigmatico è il dialogo che Irene intrattiene con Sisinnio (Dulc. 12,2-4): SISINNIUS Si non cesseris, | non citum || tibi praestabo exitum, || sed differam | et nova in dies supplicia multiplicabo. || HIRENA Quanto acrius torqueor, | tanto gloriosius exaltabor. || SISINNIUS Supplicia non metuis? || Admovebo, quod horrescis. || HIRENA Quicquid irrogabis adversi, | evadam iuvamine Christi. || SISINNIUS Faciam te ad lupanar duci || corpusque tuum turpiter coinquinari. || HIRENA Melius est, | ut corpus quibuscumque iniuriis | maculetur, || quam anima idolis polluatur. || SISINNIUS Si socia eris meretricum, | non poteris polluta ultra intra contubernium | computari virginum. || HIRENA Voluptas parit poenam, || necessitas autem coronam; || nec dicitur reatus, || nisi quod consentit animus. ||

La vergine replica con decisione alle terribili minacce del governatore di inventarsi sempre nuovi supplizi e di procurarle una morte lenta, perché quanto più feroci sono i supplizi, tanto più in alto salirà la sua gloria, con una significativa variatio del tempo (torqueor / exaltabor), che distingue nettamente gli accadimenti della vita terrena, da quelli della vita celeste. Ritorna di nuovo il motivo della gloria che si acquista attraverso il sacrificio estremo con una dichiarata fiducia (evadam iuvamine Christi) nell’intervento della provvidenza divina per la salvezza dell’anima. Ma quello che più conta osservare in questo brano è che Irene davanti alla possibiltà di essere inviata in un postribolo con la prospettiva di essere continuamente oltraggiata e vilipesa nella sua dignità, afferma che non è tanto importante la purezza del corpo, che può subire qualsiasi offesa o violenza, quanto piuttosto quella dell’anima. In altre parole Irene non si sente responsabile di quello che accadrà nel postribolo contro la sua volontà, perché nessuna violenza fisica potrà scalfire la forza del suo spirito e la fede in Dio. Come è stato già osservato,27 a proposito di questa distinzione, operata da Irene, Rosvita dipende da S. Agostino, il quale nel XVIII capitolo del libro I del De civitate Dei aveva argomentato che la

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Cfr BERTINI, Rosvita la poetessa, p. 89.

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castità non viene compromessa dalla perdita della verginità in seguito alla violenza fisica, dal momento che essa è una virtù dell’anima e non può essere violata, come il corpo, contro la propria volontà: “Absit hic error et hinc potius admoneamur ita non amitti corporis sanctitatem manente animi sanctitate etiam corpore oppresso, sicut amittitur et corporis sanctitas violata animi sanctitate etiam corpore intacto”.28 Vista la fermezza di Irene, Sisinnio ordina ai soldati di condurre senza più frapporre indugi la ragazza in un postribolo, ma l’ordine non può essere eseguito proprio come aveva predetto la fanciulla: “non perducent” (12,5), confidando nell’aiuto di Dio: “Qui mundum sui providentia | regit” (ibid.). Due giovani sconosciuti, infatti, si presentano ai soldati ai quali sottraggono Irene e la conducono sulla vetta della montagna, dove infine viene trafitta dalla freccia di un soldato. Ma Irene prima di morire, dopo aver imprecato contro Sisinnio, di cui enfatizza il vergognoso e disonorevole atteggiamento: “Infelix, erubesce, || Sisinni, // erubesce, | teque turpiter victum ingemisce” (Dulc. 14,3) attraverso l’inequivocabile epiteto infelix in posizione incipitaria, l’anafora di erubesce e il nesso allitterante teque turpiter, che collega direttamente il pronome personale all’avverbio, trova ancora la forza di mostrare la sua fierezza e dichiarare la sua immutata fede (ibid.): HIRENA Hinc mihi quam maxime gaudendum, | tibi vero dolendum, | quia pro tui severitate malignitatis || in tartara dampnaberis; || ego autem, martiri palmam | virginitatisque receptura coronam, || intrabo aethereum || aeterni regis thalamum; | cui est honor et gloria || in saecula. ||

La vergine anche in punto di morte sente dentro di sé una grandissima gioia, che si oppone al dolore di Sisinnio condannato all’Inferno; i due gerundivi gaudendum / dolendum distinguono nettamente e segnano il discrimine fra la condotta della vergine cristiana e quella del governatore pagano. Il sorriso festoso della fanciulla rivela il suo entusiasmo per il martirio e la morte imminente,29 che le consentono il primo di conservare la verginità, la seconda di salire al cielo ed essere partecipe dell’eternità di Dio, come suggerisce la paronomasia aethereum / aeterni. Interessante anche l’analisi del penultimo dei drammi rosvitiani, il Pafnutius o Conversio Thaidis meretricis, che insieme all’ultimo si allontana decisamente dai precedenti e rivela una netta inversione di tendenza di Rosvita. L’autrice acquista piena autonomia dalla fonte agiografica, che viene liberamente e ampiamente rielaborata, affrancandosi finalmente 28 AUGUSTINUS, De Civitate Dei, edd. B. DOMBART, A. KALB, Turnhout, Brepols, 1955 (CCSL 47-48). 29 Cfr SOFIA DOLENZ, Le commedie latine di suor Rosvita: poetessa tedesca del 10. secolo, Roma, Libreria Editrice Esquilina, 1926, p. LIX.

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anche dal lessico terenziano,30 ma resta invariato lo stretto rapporto col drammaturgo cartaginese sul piano contenutistico e drammatico. L’occhio benevolo di Rosvita nei riguardi delle prostitute non può non ricordare la simpatia con la quale Terenzio racconta la vicenda di tante meretrici protagoniste assolute dei suoi drammi, ma, come abbiamo già osservato, diversa è la prospettiva dei due autori. Se le cortigiane delle commedie terenziane manifestano i tratti caratteristici tradizionali, pur rivelando spesso un animo nobile e generoso,31 le cortigiane delle commedie rosvitiane offrono paradossalmente l’occasione di valorizzare ed enfatizzare il bene supremo della castità.32 La vicenda di Taide prende le mosse dal racconto dell’eremita Pafnutius, il quale vive in una località della Tebaide. Un giorno interrogato dai suoi discepoli, egli dopo una lunga e dotta lezione su alcuni principi essenziali della musica e dell’armonia, rivela il motivo della sua contristatio, attribuendolo alla vergognosa condotta di Taide, la quale in una città vicina richiama uno stuolo di amanti, che dilapidano le loro ricchezze e ingaggiano delle vere e proprie lotte a sangue per ottenere i suoi favori. Ma ecco come viene presentata Taide nel dialogo fra Pafnuzio e i suoi discepoli (Pafn. 1,23-26): PAFNUTIUS Quaedam impudens femina | moratur in hac patria. DISCIPULI Res civibus periculosa! | PAFNUTIUS Haec miranda | praenitet pulchritudine | et horrenda | sordet turpitudine. | DISCIPULI Miserabile. | Quid vocatur? | PAFNUTIUS Thais. | DISCIPULI Illa meretrix? | PAFNUTIUS Ipsa. | DISCIPULI Eius infamia | nulli est incognita. | PAFNUTIUS Nec mirum, quia non dignatur cum paucis ad interitum tendere, | sed prompta est omnes lenociniis suae formae illicere | secumque ad interitum trahere. | DISCIPULI Lugubre. | PAFNUTIUS Nec solum nugaces vilitatem suae familiaris rei dissipant | illam colendo, | sed etiam praepotentes viri pretiosae varietatem suppellectilis pessumdant, | non absque sui damno hac ditando.| Cfr BERTINI, Rosvita, Dialoghi Drammatici, p. 203. Basti pensare, ad es., alla Bacchide dell’Heautontimorumenos, le cui doti di cortigiana, minuziosamente definite da Clitofonte: «meast potens, procax, magnifica, sumptuosa, nobilis» (227), non le impediscono, tuttavia, di ammettere la sua misera condizione, rimpiangendo di non essere riuscita, come Antifila, a mantenersi onesta e riservare la sua bellezza ad un solo uomo (385 ss.). Cfr LUCIANO PERELLI, Il teatro rivoluzionario di Terenzio, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 38-41. 32 Cfr AXTON, European Drama, p. 29; BERTINI, Rosvita, Dialoghi Drammatici, p. 207; TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita, p. 243. 30

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DISCIPULI Horrescimus auditu. | PAFNUTIUS Greges amatorum ad illam confluunt. | DISCIPULI Se ipsos perdunt. | PAFNUTIUS Qui amentes, dum caeco corde, quis illam adeat, contendunt, | convicia congerunt. | DISCIPULI Unum vitium parit aliut. | PAFNUTIUS Deinde, inito certamine, nunc ora naresque pugnis frangendo, | nunc armis vicissim eiciendo, | decurrentis illuvie sanguinis | madefaciunt limina lupanaris. DISCIPULI O nefas detestabile!

Rosvita non si nasconde dietro falsi paraventi: i tratti salienti della personalità di Taide e la cruda realtà della sua condotta sono schizzati con grande realismo e minuziosamente evocati. La figura della donna, appena viene chiamata in causa, è subito qualificata dall’epiteto inpudens, affibbiatole da Pafnuzio, che la considera una res periculosa per i suoi concittadini; due cola perfettamente simmetrici e antitetici definiscono la luce mirabile della sua splendida bellezza (miranda praenitet pulchritudine) e il turpe sudiciume della sua depravazione (horrenda sordet turpitudine), rivelando proprio nella scelta di un lessico fortemente pregnante la paradossale e misera condizione della prostituta condannata a subire passivamente il destino, significativamente suggerito dai due verbi intransitivi praenitet / sordet, che ne indicano la tragica e triste irreversibilità. Nonostante la sua pessima reputazione (infamia), Taide, grazie alle sue doti estetiche, riesce a sedurre molte persone e trascinarle con sé nella rovina (ad interitum) verso una strada senza ritorno, che genera un vizio dopo l’altro. Su questo scenario Rosvita leva un grido di dolore e di cristiana ribellione: “O nefas detestabile”, una iunctura particolarmente efficace, che allude ad una condanna inesorabile dal punto di vista religioso con nefas in riferimento all’aspetto sacrilego della prostituzione, ma anche dal punto di vista della morale comune alla quale anche sembra alludere il connotativo detestabile. Da questo primo ritratto la figura di Taide appare avviluppata nelle reti della perdizione senza alcuna possibilità di redenzione, ma quando l’eremita Pafnuzio si reca da lei col proposito di distoglierla dal peccato lasciando intravvedere la terribile punizione divina se avesse perseverato nella sua vita dissoluta, come per incanto la donna si trasforma, rivelando una sensibilità e una ricchezza interiore imprevedibili. La prostituta incallita non sa opporre alcuna resistenza alle censure e ai rimproveri del vecchio Pafnuzio, anzi appare profondamente scossa e impaurita: “Severitas tuae correptionis | concussit penetral pavidi cordis” (Pafn. 3,6) con una sofferenza intima e sincera provocata dal repentino risveglio della sua coscienza: “In meo corde potest relinqui, | ubi solum intestini maeroris amaritudo | consciique reatus nova dominatur formido?” (3,7). La consapevolezza della gravità della sua colpa, la fa dubitare di poterla espiare e

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conquistarsi il perdono: “O si crederes, | o si sperares | me sordidulam, | milies millenis sordium offuscationibus oblitam, | ullatenus posse expiari | seu ullo conpunctionis modo veniam promereri!” (3,8), che appare lontano e forse impossibile come lasciano presagire i due congiuntivi imperfetti; ma ciò non le impedisce davanti alle parole rassicuranti di Pafnuzio che qualsiasi peccato, per quanto grave esso sia, può ricevere il perdono dalla misericordia divina, di aggrapparsi ad esse con fiducia, supplicando con fervore il vecchio di aiutarla a trovare la difficile strada della riconciliazione con Dio: “Ostende, quaeso, mi pater, quo effectu operis | promereri queam munus reconciliationis” (3,8). E infatti Taide non si lascia pregare e accetta subito di buon grado di sottoporsi alla penitenza indicata come necessaria da Pafnuzio, il quale, sorpreso dalla sua ferma e grande volontà di espiazione, stupito ed esterefatto esclama: “O quam mutata es ab illa,33 | quae prius eras, | quando illicito amore flagrabas, | avaritiae calore aestuabas!” (3,12). Anche nell’Eunuco di Terenzio si assiste alla stessa metamorfosi di Taide, che, dipinta nella scena iniziale come una perfida prostituta pronta a vendere i suoi favori: “Sed eccam ipsa egreditur, nostri fundi calamitas; / nam quod nos capere oportet, haec intercipit” (79 seq.), alla fine si rivela una figura piena di sensibilità, generosa e disposta a sacrificare l’interesse personale a vantaggio di Panfila, verso la quale nutre un profondo sentimento d’affetto, prodigandosi per farle ritrovare la sua famiglia di origine.34 In entrambi i casi, nel Pafnutius e nell’Eunuco, il lettore resta sbalordito davanti alla sorprendente e inaspettata trasformazione di Taide.35 Dopo che per tre anni Taide resta chiusa presso un vicino convento di monache in una piccola cella senza nessun accesso, dove riceve il cibo a modeste quantità attraverso una finestrella, al vecchio eremita sorge il dubbio di aver trattato troppo duramente Taide con una penitenza quasi impossibile da sopportare. Per questo, dopo aver saputo attraverso una visione apparsa a Paolo, discepolo del santo eremita Antonio, che a Taide,

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Quasi le stesse parole aveva usato Enea, allorché durante l’ultima notte di Troia gli apparve in sogno Ettore in lacrime straziato dalle ferite: quantum mutatus es ab illo (Verg., Aen.,II,274, ed. M. Geymonat, Torino, Paravia, 1973), ma la ripresa virgiliana appare soltanto come uno sfoggio di erudizione senza alcun significato particolare, dal momento che si tratta di un luogo virgiliano divenuto quasi topico e largamente sfruttato. Nondimeno il rinvio all’auctoritas di un poeta, la cui grandezza veniva universalmente riconosciuta, potrebbe essere funzionale a indurre il lettore a riflettere con attenzione sulla clamorosa trasformazione di Taide e sulla sua nuova condotta di vita, così lontana da quella passata. 34 Cfr GIOVANNI CUPAIUOLO, Terenzio: teatro e società, Napoli, Loffredo Editore, 1991, pp. 158-165; PUBLIO TERENZIO AFRO, Andria, introd., ed. G. Zanetto, Milano, Rizzoli, 1998, p. 20; TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita, p. 235seq. 35 Cfr CAROLE E. NEWLANDS, Hrotswitha’s Debt to Terence, in «Transaction of the American Philological Association» CXVI (1986), pp. 369-391, in part. 386; GIOVINI, Rosvita, p. 177.

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ormai prossima alla morte, è riservata la gloria celeste, si reca da lei per consolarla e per porre fine alla sua penitenza, invitandola ad uscire dalla sua cella, ma la donna oppone un netto rifiuto, reso ancora più pregante dall’anafora di noli, pronta ad espiare fino in fondo tutte le sue colpe : “Noli, pater venerande, | noli me sordidulam his immunditiis abstrahere, | sed sine in loco meis meritis condigno mansum ire” (12,4). Davanti a tanta determinazione, testimonianza di un pentimento profondo, Pafnuzio non ha dubbi che presto Taide, compiuto il suo viaggio terreno, possa finalmente ascendere al cielo: “Et tandem, felici cursu peracto, | superna favente gratia, | transmigrabis ad astra” (12,5), e alla fine invoca Dio perché possa concederle presto le gioie del Paradiso: “inter candidulas oves collocanda | et in gaudium aeternitatis inducenda” (13,4). Dopo questa analisi sommaria dei dialoghi drammatici di Rosvita, peraltro limitata solo al Dulcitius e al Pafnutius, mi pare si possa concludere che la poetessa sassone sia pienamente consapevole delle convenzioni della commedia terenziana, con tutti i tratti tipici di natura contenutistica e drammatica. Rosvita, tuttavia, guarda ad essi, per così dire dall’esterno, da un osservatorio profondamente diverso che non è più quello pagano, ma quello cristiano caratterizzato da una fervida spiritualità, che non perde mai di vista la prospettiva di una vita ultraterrena, sempre a portata di mano non solo per le vergini sante e caste come Agape, Chionia e Irene, ma anche per le impudentes protagoniste come Taide, alla quale la redenzione finale spiana la strada del cielo. Pertanto Rosvita da un lato si ricollega alla tradizione terenziana, dall’altro opera una critica severa di quella stessa tradizione, combinando insieme istanze assolutamente dissonanti, che spesso hanno portato fuori strada i critici. Le commedie di Terenzio restano sullo sfondo, ridotte a mero codice, ma per tanti lettori al tempo di Rosvita esse rappresentano il punto di riferimento di una tradizione consolidata, che la canonichessa di Gandersheim, in modo certo originale e per certi versi sorprendente, si assume il compito di decostruire e ricostruire. Non c’è dubbio che la poetessa medievale tragga ispirazione dai contenuti e dalle forme della tradizione terenziana, ma col proposito di svelarne la sua reale natura - il passaggio dall’età antica al Medioevo aveva visto mutare il sistema dei valori che l’aveva generata - e di sostituire alle istanze mondane dei pagani quelle mistiche dei cristiani. In buona sostanza Rosvita opera un disincantamento del teatro terenziano, partendo proprio dalle convenzioni della commedia, ne rivela il carattere arbitrario e fittizio, riprendendo gli stessi ingredienti, scomponendoli e componendoli in chiave cristiana. In altre parole mi sembra di poter dire che il rapporto fra il commediografo antico e Rosvita sia fortemente influenzato, come è ovvio, dalla grande diversità del contesto culturale in cui operano i due autori, ma trova la sua ragione di essere nella consapevolezza di Rosvita di scrivere una commedia oltre la commedia, creando al di là della convenzionalità letteraria, una forma-commedia che si alimenta con la dis-

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sacrazione degli ingredienti propri della commedia tradizionale e la loro riproposizione in forma diversa, funzionale alle nuove istanze provenienti dal mondo cristiano. Ma un altro aspetto deve essere, secondo noi, tenuto nella giusta considerazione: il milieu culturale e politico in cui opera Rosvita, partecipe e protagonista dell’intensa attività culturale che in quegli anni fiorisce nel monastero di Gandersheim, grazie anche alla sapiente e illuminata guida della badessa Gerberga II, amica e maestra della canonichessa,36 e soprattutto alla corte di Ottone, la quale divenne attraverso l’opera e l’impegno di Brunone, centro di attrazione e di raccolta di intellettuali e scrittori, fra i quali, oltre all’illustre Raterio, vi era anche Liutprando, esule da Pavia.37 In questo contesto culturale, dunque, Rosvita viene a trovarsi fianco a fianco con Liutprando che non nascondeva certo la sua ammirazione e la sua simpatia per Terenzio, che viene citato e chiamato in causa frequentemente in tutte le sue opere.38 In una prospettiva più ampia, dunque, che non trascura il grande interesse con il quale la cultura ufficiale guardava alle commedie di Terenzio, possiamo immaginare che la loro diffusione presso un pubblico sempre più vasto potesse rappresentare uno strumento efficace di egemomia culturale, direttamente promosso e favorito dalla corte di Ottone. In questa politica culturale, che incontrava grande favore nel pubblico, si inserisce il programma di Rosvita che proprio nella commedia trova un potente strumento di comunicazione, per diffondere idee nuove in vista di un diverso stile di vita e di pensiero attraverso il linguaggio universale della fede cristiana. Sabina Tuzzo Università del Salento - Lecce

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Fu proprio Gerberga, dopo i primi insegnamenti di Riccarda, ad introdurla con competenza e dottrina allo studio dei classici; cfr la Praefatio al libro I dei Poemetti agiografici (7): «Primo | sapientissimae | atque benignissimae | Rikkardis magistrae | aliarumque suae vicis instruente magisterio, | deinde prona favente clementia regiae indolis Gerbergae, | cuius nunc subdor dominio abbatissae; | quae aetate minor, | sed, ut imperialem decebat neptem, scientia provectior, | aliquot auctores, quos ipsa prior a sapientissimis didicit, | me admodum pie erudivit». 37 Cfr TUZZO, Terenzio nei drammi di Rosvita, pp. 214-216. 38 Per l’influenza di Terenzio su Liutprando, cfr MARCO GIOVINI, Papa Giovanni XII fra l’innamorato Chaerea e il monstrum Crispino nella Historia Ottonis di Liutprando, in «Studi Italiani di Filologia Classica», XIX/1 (2001), pp. 105-123; ID., L’Antadoposis di Liutprando di Cremona alla luce delle riprese terenziane, in «Maia» LIII/1 (2001), pp. 137-165.

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L’ESALTAZIONE DELLA CASTITÀ DELLE VERGINI CRISTIANE

ABSTRACT Hrotswitha’s theater obtains the characteristics of an instrument of redemption exalting sacred love and faith in God, in whose name it courageously faces martyrdom. At the same time, it meticulously describes very sensual and particularly rough love scenes, the worst legacy of a pagan world, from which the Saxon poet intends to distance herself. RÉSUMÉ Le théâtre de Rosvita revêt les caractéristiques d’un instrument de rédemption, qui exalte l’amour sacré et la foi en Dieu, au nom de qui on affronte courageusement le martyre, et dan le même temps décrit minutieusement des scènes d’amour très sensuelles et particulièrement scabreuses, qui sont le pire héritage d’un monde païen, dont la poétesse saxonne entend s’éloigner.

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THE DEBATE ON HUMAN WILL IN ERASMUS OF ROTTERDAM AND LUTHER

Among the numerous debates which took place in the Renaissance era, prominence should be given to the well known controversy surrounding the powers of man’s free will which saw two leading figures of the time, Erasmus of Rotterdam and Martin Luther, opposing each other between 1524 and 1526. Through this controversy, a glimpse can be caught of the better known controversy between Humanism and Reformation, involving aspects of culture which have a profound influence on development and on the perception of modern European civilisation. Echoes of the religious crisis widespread during the Renaissance can be heard in these two figures. One of the major theological debates of the XVI century had its roots in the clash between scholars of different origin but brought together by the same religious spirit and by the same eagerness for cultural renewal and purification of the church and of Christianity. Erasmus ‘prince’ of humanists, instaurator of bonae litterae, and advocate of the philosophia Christi, promoting with assertiveness a return to the Sacred Scriptures and the texts of the Church Fathers, identifies freedom as man’s requisite prerogative, a necessary complement of reason, towards which the latter must incline. According to the Dutch scholar, man’s nature, although corrupt, is capable of freedom and judgement. Luther, on the other hand, as a real Reformer, recognising man’s inability to enter in communion with God with his own effort, considers man’s freedom to be a divine gift. A gift, that is, of divine grace given to all men by means of the sacrifice on the Cross and expressed through faith. However, as Pintacuda observes, supposing either that freedom belongs to man and his reason or that it is given by God for an unfathomable plan of his almighty will, either way it is a type of freedom which makes each individual responsible for his own actions and places him in a world in which each person has a role to play, according to the vocation that rests with him.1 ERASMO DA ROTTERDAM, MARTIN LUTERO, Libero arbitrio, Servo arbitrio, ed. by F. De Michelis Pintacuda, Torino, Claudiana, 20094, p. 6, from now on Erasmus, Lib. arb. and Luther, Serv. arb. 1

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Following this point of view, the dispute about free will is just one of the aspects of the theological debate which develops during the XVI century and which touches on the most crucial points of the movement to reform the church and its customs, starting from the sources which the two novatores drew on: Erasmus expressed his preference for Jerome, Luther for Augustine, on strictly theological themes, such as that of interpreting the Letter of St Paul to the Romans on the question of justice of deeds or that of faith. The points of dissent and divergence between the two scholars of different experience are diverse and emerge from the letters which they exchange, and it is from this evidence that their difficult relationship can be reconstructed. In reality from the time of the first readings of Erasmus’ work by the monk of Wittemberg, one can infer the criticism which the young Luther feels for the Greco-Latin edition of the New Testament, regarding which one of the best known discussions focuses on the interpretation of Pauline theology. Luther had already developed his opinion regarding Erasmus’ work even before the Reformation and the debate on free will. However, the German monk’s judgement would grow more heated in words and tones over the years. Regarding this, Luther writes: what can a man like Erasmus, who has not yet come to know what is Law and what is Gospel, or if he does know neglects to consider it, do regarding theology and exegesis? He cannot but make a solemn confusion: he merges sky, hell, life and death and thus risks not knowing anything about Christ.2

Far from putting enough emphasis on Christ and the grace of God, he places the matters of men before those of God. In the years before the publications of De libero arbitrio and of De servo arbitrio the two humanists may be compared, since they encouraged a return to the authentic source of the Gospel and the original sanctity of the Church, with the aim of outlawing futile speculations and superficial ceremonies, superstitious practices, fanaticism and obscure theological trivialities, in the name of rediscovery, thanks to the contribution of philology, of the sacred text as the source of truth and purification of ecclesiastical customs. Although the two of them had a common aim, they differed in the perspectives and ways to achieve the reform. On the one hand Erasmus was hostile to any type of violence and a convinced advocate of conciliation and a pacific solution; Luther, on the other hand, was a rebel reformer, a reactionary, hostile to every type of pacifist behaviour, ready to stir up the “revolution”. As a matter of fact, after the publication of the papal Bull Exsurge Domine in 1520 which 2

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Ibid., p. 141.

THE DEBATE ON HUMAN WILL IN ERASMUS OF ROTTERDAM AND LUTHER

saw Luther threatened with excommunication, when the reformer monk asks the prince of humanists to join him so that they can collaborate, Erasmus realises that he is on dangerous ground when trying to carry out his programme of reform and that the situation was in jeopardy and this hostility would have been harmful and would bear no fruit. Wishing to remain neutral in the affair, he prefers not to be involved in the uproar and answers with non violence: “mihi videtur plus profici civili modestia quam impetu”, inviting his interlocutor to reflect on the teaching in schools with “heated and convincing arguments, rather than turning to dogmatic statements” and to be careful not to speak or act in an arrogant or sectarian way. The desire of the citizen of Rotterdam to form an alliance between Gospel and bonae litterae and to defend the philosophia Christi drawn from few books and accessible to all, because Christ wanted the mysteries to be highly propagated, was to vanish forever. Though inspired by the same wish to carry out a programme of religious reform, desiring a return to the purity of the Gospel, the work of Christ, the Truth revealed by the Bible, the original sanctity of the Church, the two reformers adopt different methods to pursue the same plan. The necessity to renew, to reform life and not doctrine was impending and a religious renewal required a return to the word of Christ, to the pure and genuine spirit of His message. This spirit had to live again in the conscience of men, freeing them from the superstructures of scholarly tradition. For Erasmus, religious renewal implied the rediscovery of sacred texts in their original meaning in order to make the message of Christ live again in the conscience of men, advocating a return to the authentic veritas Christi and to the ideals of charity and mercy which emanated from it. For Luther, inspired by an impetuous and reactionary spirit, renewing ecclesiastical customs and being inspired by the words of sacred texts, by the message of Christ, meant becoming involved and, beyond allowing the texts to speak, actively promoting with actions this attempt to reform not only theoretically but also practically, to reawaken men’s conscience. As Pintacuda observes: That which for Luther represents the impetuous and uncontrollable growth of the unsettling action of God’s word, of which he himself is an instrument, appears to Erasmus as an ominous upheaval of the foundations of an ethic and religious order, in which it is only possible to carry out a renewal programme, which risks being compromised once and for all by the scarce civility and moderation of the German monk, to be turned instead into revolt and as a result into tragedy.3 3

Ibid., p. 18.

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The idea of reforming ecclesiastical customs was the main concern of both humanists, but beside the theological reservations clearly expressed by Erasmus towards Luther and the disagreements regarding faith, what emerges is their different attitude, the different approaches to issues of theological nature, the technique of debate and the argumentations which draw on different philosophical, biblical and theological auctoritates. Erasmus proposes to resolve the controversies of theological nature intending to calmly reply to the quaestiones invoking the non violence of Christ and of Paul, in order to endorse the philosophia Christi, explaining and clarifying the truths contained in the Sacred Scripture. Luther replies stating that “the true nature of the word of God is to continuously provoke a revolution in the world…to want to suffocate the revolution means wanting to expel the word of God from the world”.4 However, although the two reformers move in different ways to resolve theological and ecclesiastical problems, they share the commitment to purify customs, the renunciation of sterile subtleties of scholarly culture, the return to God’s word consigned to the Sacred Scripture, as well as the typical requirement of Humanism to free man from genuflexion to God, in order to preserve his dignity and to recognise his freedom to act in the world. It is regarding this matter that Erasmus’ and Luther’s stances divide and that the alliance, which seemed to exist at the start of their epistolary exchange, gives way to an irreconcilable contrast, which was to develop, Pintacuda observes, “in the following years to a level of controversy of bewildering violence”.5 The concept of man’s freedom takes on a precise meaning, which is that of freedom from the bondage of sin. Only with the help of God can man free himself from sin, from his body and regain his forces. Within the relationship between human freedom and divine grace the dispute of free will and bondage of will can be inserted. The dispute results in Erasmus’ 1524 publication of De libero arbitrioŌŰŨźŷŰũťsive Collatio, which is followed by Luther’s response in 1525 of De servo arbitrio. The central core of the debate concerns the relationship of man with God, the possibility of salvation and the power of free will. The two works reflect the different character, temperament and spirit of the authors. Erasmus’ De libero arbitrio looks almost like a clerical piece of writing, the composition of which was perhaps encouraged by his rival in reply to the controversies that had been moved against him, from which neither profound conviction nor zeal nor force of oration emerged. The humanist’s need to tackle the central issue of human freedom comes to view, appealing to the auctoritates of the Sacred Scripture, with the inten-

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Ibid., p. 124. F. DE MICHELIS PINTACUDA, Umanesimo e Riforma, in CESARE VASOLI, Le filosofie del Rinascimento, Milano, B. Mondadori, 2002, p. 293. 5

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tion of dealing with the topic of the powers of freedom from a human rather than a religious point of view, in accordance with the humanist principle of exaltation of the dignitas hominis and of celebration of man, which has but one condition: the absence of conditions, freedom.6 Erasmus, as an advocate of this anthropocentric point of view, recognising man’s central role in the world, believes that man is given the freedom to choose, the power of free will. However, his humanism is a form of humanism which, although reaching out to the celebration and exaltation of man and his freedom, aims to consider man in front of God and is based on concepts of love, mercy and charity. The true roots of this Christian humanism are to be sought in the Sacred Scriptures, which contain “secluded sanctuaries”,7 obscure mysteries, inaccessible to all, which cannot be revealed and the more man tries to see into these secret truths, the more he has to recognise the weakness of his spirit before divine wisdom. Even though the humane litterae had taught respect for every belief, free criticism and tolerance for every confession, Garin observes that the Reform “turned into a confessional closure, in a spirit of fierce intolerance, into a state of depression for man and a condemnation of the world.”8 For Luther, however, man’s weakness and the corrupt condition in which he found himself following mortal sin is expressed in the medieval theological tradition through the terms cloaca, stercus, latrina: the condition from which one could be freed only though faith and deeds represented the status from which he could not escape except through a process of regeneration through faith.9 In fact, if man had not been aware of his finiteness, he could not have had faith in God and consequently could not have been saved. At this point, the concept of humilitas surfaces, that is, the privileged few are humiliated, offer themselves to God until they are saved. The same terms cloaca, stercus, which indicated a state of sinner in the scholastic tradition, took on a particular meaning for Luther because man, being a sinner, was preparing for regeneration, for the coming of Christ.10 As for the Scriptures he, unlike his adversary, was firmly convinced that the most profound and sublime mysteries are not at all concealed, because Christ “has opened the spirit” to the point that man can underCf. GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA, Oratio de hominis dignitate, in Oratio de hominis dignitate, Heptaplus, De Ente et Uno e scritti vari, ed. by Eugenio Garin, Firenze, Vallecchi editore, 1942. 7 ERASMUS, Lib. arb., p. 48. 8 EUGENIO GARIN, L’Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 19985, p. 226. 9 Cf. HEIKO AUGUSTINUS OBERMAN, La riforma protestante. Da Lutero a Calvino, Bari, Laterza, 1986, pp. 91-102. 10 Ibid., p. 99. 6

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stand them; even though many things remain obscure “that is not due to the obscurity of the Scriptures but to the blindness of many and their lack of intelligence, those that make no effort to see the radiant truth.”11 Ebeling observes that in Luther’s writing, God rather than man is the subject and the measure and power of human will can be traced back to Him. Yet Luther’s man is homo theologicus, whose condition is that of a sinner who can be justified and saved, freed only from his condition by God’s grace. There are many differences between the two theses; Erasmus confines himself to expressing himself in a rather calm way and listing all the passages from the Sacred Scriptures relating to free will12, while Luther makes a real harangue and deals with the problem of faith with a truly reforming spirit and excellent oratory. Erasmus maintains that the Sacred Scripture is a text which, despite having God as its author, needs to be interpreted and therefore he inspects the passages closely applying philological methods and presents the arguments through disputatio. His desire was to intervene in this theological debate as “dialectician not as judge, as critic and not as dogmatist, ready to receive from anyone anything that is more exact or more firmly defined.”13 Luther states that the Sacred Scripture is the very Word of God and man must accept it as if he were in the sight of God. Instead of disputing as his adversary had done, Luther turns to the method of assertio with the purpose of ‘demolishing’ Erasmus’ theses passage by passage. And so, Luther opens his commentary on Erasmus’ performance with these words: You say – oh Erasmus – that you do not like absolute theological assertions and that you would willingly follow the opinion of the sceptics….but it is not typical of Christians to fear assertions: on the contrary, a Christian must be happy to assert his faith or he is not a Christian. And, what is more, not wanting to play with words, what is the meaning of this expression: “a theological assertion”? Luther replies: it means to hold firm to one’s conviction, to assert it, to confess it and to defend it to the death with perseverance. I do not believe that this word assertio has any other meaning either in Latin or as it is used in our century….there is nothing more known and more used by Christians than the theological assertion (assertio). If you deny the theological assertion, you deny Christianity…14

LUTHER, Serv. arb., p. 120. Cf. GERHARD EBELING, Lutero. Un volto nuovo, Roma-Brescia, HerderMorcelliana, 1970, p. 239. 13 ERASMUS, Lib. arb., p. 47. 14  LUTHER, Serv. arb., p. 119. 11

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Therefore, which are the main accusations at the root of the theological dispute between the two humanists? Firstly, the querelle is concerned with the interpretation of the Sacred Scriptures and the need to defend the claritas Scripturae, the criticism of scholastic opinions and dogma, the controversy regarding the decadence of ecclesiastical customs, the problem of man’s freedom and of divine cooperation, of faith and of salvation. Erasmus defines free will as “a power of human will whereby man can either take the path which will lead him to eternal salvation or move away from it.”15 To bear out what he says, he turns to one of the Old Testament books, the Ecclesiastical or Wisdom of Sirah, which says: “In the beginning he created man and left him to the tender mercies of his will”16 and he gave him the faculty of choice which meant that man would be given what he himself chose. For Erasmus, the will of man is free; if not, it would not have been possible to attribute sin to man since he affirms: “sin ceases to be sin when it is not committed voluntarily”.17 It is sin that has obscured but not extinguished that force of the spirit by which man can judge and which can be called ŴŶɥŸ, that is mind or intellect or logos. Even if man’s freedom of choice has been wounded by sin and has tended towards evil, it has not been destroyed. After the sin man has not lost the freedom to carry out his actions but grace intervenes afterwards, collaborating for salvation. The fact that human will is free does not imply that the grace which guides men’s actions does not intervene. It is opportune to clarify which meanings refer to the concepts of free will, grace and salvation. Among the sources which Erasmus mentions is Pelagius for whom human will, liberated and healed by grace, has no need of further help from grace. Erasmus goes on to say that the faith which allows man to want “what leads to salvation” is charity, which consents “not to desire this salvation in vain…., they can grow for successive benefit.”18 Thus it follows that God permits man to want and to act but does not exclude free will. The action of grace “benefit freely given” follows on from free will. “God acts in us and our will and solicitude are founded on God.”19 In support of this assertion, he refers to the Epistle to the Philippians in which it is stated “Do deeds for your salvation”. Remaining faithful to the meaning of the verb ȧŷŪţŭŬŹůŬ “work at” the other verb reserved for God ȧŴŬŷŪŬɋŴ is used. “kōŴŬŷŪŬɋ”, Erasmus observes “is said just by one

15 16 17 18 19

ERASMUS, Lib. arb., p. 57. Sir 15, 14-18. ERASMUS, Lib. arb., p. 62. Ibid., p. 64. Ibid., p. 97.

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who is in action and pushing. But because “ȧŷŪţŭŬŹůŨŰanEȧŴŬŷŪŬɋŴcan have the same value, this passage teaches with certainty that man and God work”.20 Among the auctoritates who have expressed themselves in favour of free will, he mentions the supreme Fathers of the Church, Origen, Basil of Cesarea, John Chrysostom, John Damascenus, the Latin apologists, Tertullian, Cyprianus, Ambrose, Jerome and Augustine. Erasmus returns insistently to the origin and the strength of free will and the possibility of choice which man is offered. Calling again on the auctoritas of the sacred text, he dwells on some words taken from Genesis, in which the Lord commands man to avoid evil and choose good,21 and in Deuteronomy in which the Lord says to Moses: “I have set before you life and death; choose that which is right and walk with it”.22 The Dutch humanist emphasizes the incisiveness and clarity of the message which is communicated here. These prescriptions cannot be interpreted in any way except in support of free will: God has placed before man good and evil, He has shown him the rewards, life and death, but has left him free to choose. The passages of the Sacred Scripture are exemplary testimonies of this way of thinking. In these, according to Erasmus, there is always an explicit or muted reference to free will, to the absolute power of human action even regarding necessity. In the second part of his writing in defence of free will, he adduces the example of Adam, who was created in full possession of intact reason, able to recognize what should be pursued and what one should flee from; and he also enjoyed an intact and free will, so that Adam could, if he wished to, move away from good or move towards evil.23

In the passages of the Ecclesiastes there is a multitude of semantic references and terminology referring to the concept of free will. Verbs such as to choose, decide between good and evil, between life and death, propose, refuse would have had no sense or meaning, if man had not been able to choose. Moreover Erasmus asks himself whether man has or does not have a free will and whether the verbs to want or not to want have a meaning. The answer is no doubt affirmative since, if these expressions are referred to sinners, there is a sound belief that sinners have a will in some way free to choose between good or evil. Otherwise the exhortations contained in the Sacred Scripture which are addressed to man in order to

20 21 22 23

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Ibid. Gn 2, 17. Dt 30, 19. ERASMUS, Lib. arb., p. 59.

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invite him to convert and go towards God would have had no sense, had he not had the power to decide. The Sacred Scripture is full of similar exhortations aimed at making the sinner convert and take the right road. The Scripture, Erasmus states, “does nothing but echo words such as these: conversion, commitment and the striving to do one’s best! Now, all the passages in the Scriptures no longer have sense if we admit that we are not free to act well or badly”.24 The questions, the reproaches, the oaths, the blessings and the maledictions are aim at all those who “have taken the right road or who have refused to convert.”25 The expression in the Psalms is also important “he who wishes to achieve beatitude holds his tongue in order not to sin”26 which Erasmus believes refers to freedom of choice.27 The theses examined up to this point make reference to such words as help, assistance, support and aid. Erasmus replies to his adversaries’ doctrine which argues that man can do nothing without God’s grace and that there are no good works for man to perform. He says: “man can do everything with God’s grace, so all human actions can be good.”28 There emerges a clear attempt on the part of the author to preserve and safeguard the autonomy of reason, the libertas and the dignitas hominis. He firstly puts the value of original sin into perspective and exalts the autonomy and powers of human reason, which permits man to choose, thereby making him free to receive the help of God’s grace. Through intensive research into the meanings of certain expressions which occur repeatedly both in the New and the Old Testament and a thorough philological study of the sacred text, as a Biblicist and exegete he goes back to the authenticity of the message of the Gospel, stressing the importance of human action before God. After having illustrated the arguments in favour of free will and examined the texts against it, the humanist attempts to analyse the theses of Luther and other advocates who maintain that “the greatest curse of true mercy is man’s trust in his own strength and his own merits”29 and invoke absolute necessity for everything. He takes issue with those who do not place their trust in human freedom and prefer the absolute necessity which guides all actions, whether they be good or bad. His argument against the adversary attacks the contentions and interpretations made by Luther which are not faithful to the biblical text. According to the humanist, he would not have interpreted the Sacred Scriptures to the word, in certain passages even changing the true meaning 24 25 26 27 28 29

Ibid., p. 69. Ibid. Ps 81, 11. ERASMUS, Lib. arb., p. 69. Ibid., p. 102. Ibid., p. 103.

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of the word with the aim of emphasizing vehemently the value and force of grace when compared with free will. So drawing on the parables and similitudes, he asserts the allegiance of the Gospel and the significance that is attributed to it and he concludes that it is from God that man obtains the power to unite his strength to the action of divine grace. Erasmus’ argument is directed both towards those who place their blind trust in man’s powers, strengths and merits and towards those who make him dependent entirely upon divine will and who consider that all men’s actions depend exclusively on necessity. In fact, if human action is subordinate to divine will and if God’s will operates within us, there would be no sense in talking about obligations, precepts, warnings or exhortations. So if God is immutable, how can He be asked to modify His decrees? There are those deeds of which man is proud because they are the fruit of his conquests, his capacity and his possibilities and there are those deeds whose merit must be recognized only by God. Free will would not be effective without the help of divine grace. There are two causes which “compete in the same action, namely divine grace and human will; but the principal cause is grace, the will is secondary and is nothing without the first.”30 In order to support this statement, he draws on a series of similitudes and paragons. Man’s eye, for example, however healthy it may be cannot see in darkness but “if he were blinded, he would never see again even in the light.”31 Even if the will is free, it can do nothing if there is no grace. “In full light” Erasmus states “he who has good eyes can close them and see nothing and can avert them from what he was looking at in order not to look at what he was able to see.”32 The expression “he who wants” evidently implies free will.33 Grace does not operate on man through free will “so much as on free will in the same way that a potter acts on clay and not by using clay.”34 Unlike Erasmus, who resorts to the method of disputatio in his diatribe rather than “piling up dogmatically asserting statements”35 Luther strives toward scepticism, holding firm to the auctoritas of the Sacred Scriptures, searching for the meaning of the words, having the truth emerge “more clearly through the comparison of the texts and different arguments”;36 his arguments make use of the assertiones, and as Pintacuda affirms, his statements are directed to give value “in a provocative manner to pervicacia asserendi” which was not the trademark of Erasmian

30 31 32 33 34 35 36

384

Ibid., p. 108. Ibid. Ibid. Ibid., p. 69. Ibid., p. 109. Ibid., p. 46 Ibid.

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diatribe.37 The reformer, not setting off from the position of scepticism but rather using statements, immediately expresses his intention to fight, not only with words but with actions. Luther’s reply firstly takes issue with Erasmus’ idea of distinguishing between certain Christian dogmas that are known by all and that it is necessary to know and those that are hidden and inaccessible to man. Although there are many things hidden in God which man ignores, Luther says, the Sacred Scriptures do not contain things that are obscure and inaccessible to all because the contents are in the full light of day and in no way obscure, unless there is difficulty in understanding certain words. Luther also supports the claritas Scripturae: “if the words are obscure in certain passages and clear in others… It matters little when something is in the full light of day if one of its signs is in the dark, when many others are illuminated.”38 Even the most profound and sublime mysteries of the day are presented and displayed in public to the eyes of all and each passage of the Scriptures teaches something useful. The importance attributed to the concept of sola scriptura, sola fide emerges clearly. Thus, not only Erasmus’ opinions on the matter of faith are a reason for debate but in particular, his way of using words to explain the contents, the failure to understand them as well as the confused terminology which often characterizes Erasmus’ doctrine. For Luther, the root of all this is a great ignorance of the Scriptures and the concept of pietas. It is this position which reveals one of the substantial differences which divide the two thinkers. While for Erasmus, Christianity is reduced to a natural religion, a “rational” religion does not exist for Luther. He exalts the irrational character of religio, attributing great importance to the exclusive element from which it has its origins, grace. Luther the reformer believes that certain elements which are important for the comprehension of the Scriptures and theological arguments elude Erasmus. Luther singles out many contradictions in his adversary’s way of thinking. When Erasmus explains that without God’s mercy our will is ineffective, Luther states that he does not clarify the meaning of “act” or “suffer” and he ignores what our will can do and what God’s mercy can do. These are the words with which the monk of Wittemberg replies to his adversary with polemical vis: Your wisdom, that wisdom which has inspired neutrality between the two parties involved and has pushed you to manoeuvre ably between Scylla and Charybdis, turns round against you and from the waves of

37 38

Cf. DE MICHELIS PINTACUDA, Libero arbitrio, Servo arbitrio, p. 34. LUTHER, Serv. arb., p. 120. 385

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the high sea you end up affirming what you deny, although you are denying what you affirm.39

Luther is criticising Erasmus’ position openly with these strong words, pointing out that what seems to be of little importance to the humanist – knowing that the will can act on things relative to salvation – is for Luther of fundamental importance for the life of a Christian. He dwells on the thirst for knowledge which pervades the Christian, since he wishes to know, what free will really is, what happens to it, its connection with divine grace – otherwise, he is worse than a heathen. According to the reformer, Erasmus neither has a thorough knowledge of theological arguments, of free will, God’s work, divine prescience, nor does he know whether it is necessary. Luther makes a stinging attack against Erasmus’ hypocrisy and his rather ambiguous attitude towards his theses. He scolds him for having used “good words”, without understanding their meaning, for having played with words and for having declared that “in order to save exterior peace it is best to be patient and make concessions hence avoiding disturbing the world”,40 so that there not be revolutions. Luther states that the true nature of God’s word is that of continuously creating revolution in the world. Appealing to Matthew,41 he declares that Christ did not come to bring peace, but the sword. And, he continues, when God and Satan enter into conflict, it cannot be but revolution. “Wishing to crush the revolution” means wishing to rid the world of God’s word, which “comes to transform and renew the whole world”.42 Later, concerning the words of St Paul and Luther’s Pauline theology, responding to the interpretation of the Pauline teaching given by Erasmus, he states that Paul “does not speak of the doctrine or the truth that must be taught. What Paul wants is that truth be announced in all times, in all places and in all ways”.43 Paul alludes to the Christian’s freedom to always pronounce the truth and to openly and constantly profess his faith, without hiding or mitigating truth and doctrine or “silence them as there is no reason for scandal within them. They are a sceptre of justice”.44 Another criticism he makes towards his rival concerns the understanding of the Sacred Scriptures, which according to Luther contain truths accessible to all and necessary for salvation. The issue of free will fits within this debate. If, in fact, the dogma of free will is “obscure and

39 40 41 42 43 44

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Ibid., p. 122. Ibid., p. 124. Mt 10,34. LUTHER, Serv. arb., p. 124. Ibid., p. 122. Ibid., p. 126.

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ambiguous, it is because it concerns neither Christians nor scripture”,45 because otherwise, if it did concern Christians and scripture, it would be “clear, evident and bright as all the other articles of faith are”.46 The reformer, starting from the definition of free will given by Erasmus, according to whom free will is “a power of human will in accordance with which man can apply himself to all which leads him to eternal salvation, or conversely, he can move away from it”, replies that some sort of will can certainly be attributed to man, “but to attribute him free will in divine matters is too much”.47 Firstly, the debate attacks the abuse of the concept of ‘free wish’ or ‘free will’. Free wish is understood as “a will which can do and does, towards God, whatever it wants; a wish that is not hindered by any law, nor by any superior law…”.48 It would be more prudent for Luther to speak of ‘uncertain will’ or ‘wavering will’. However, while agreeing with Erasmus that “free will is a power of human will”, he asks his rival what “apply himself to all which leads him to eternal salvation, or conversely, move away from it” means? What are the things which lead man to salvation? The words and actions of God which “are offered to human will, so that this can turn towards them or away from them”. 49 Citing Paul, Luther maintains that the concept of eternal salvation is a truth incomprehensible “for human intelligence”. He confirms this thesis, drawing also on the source of Isaiah, who in Corinthians states that “for since the beginning of the world men have not heard, nor perceived by the ear, neither hath the eye seen, O God, beside thee, what he hath prepared for him that waiteth for him”.50 The passage by Sirach, which Erasmus cites and interprets, in which the creation of man is referred to, is also a source of discussion between the two reformers. The passage in question recites: “He himself made man from the beginning… and left him in the hands of his counsel”.51 Luther takes issue with the interpretation given by Erasmus, according to which there is a clear demonstration of free will. In order to explain the meaning of this expression, he refers to the first and second chapter of Genesis, in which man is considered the lord of all things over which He freely reigns and can act according to His own will towards creatures subject to Him. This is the wish of man; the wish of God is a different matter. Luther, drawing on Sirach, explains that man is divided between two kingdoms: in the first he acts according to his wish and, free from God’s commandments, he governs, commands, directs and decides according to his 45 46 47 48 49 50 51

Ibid., p. 134. Ibid. Ibid., p. 135. Ibid. Ibid., p. 136. Is 64, 4. Sir 15, 14-18.

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counsel. In the other kingdom, man is guided and led by God’s will, with no intervention from his own will.52 Luther’s defence is sharp. It could be said, it could be understood, that the expressions do not allude to or prove the existence of free will. If reason were called to account the meaning of these expressions it would reply: “Because the meaning of words and the use of language agreed among men so requires”.53 Reason “judges divine matters and words according to the practice and costume of men”…54 He insists on the difference of man’s dimension divided between two kingdoms, earthly and heavenly. In the first, man appears to be a whole and healthy creature, “as can exteriorly seem in purely human matters”.55 According to the Scripture though, man is corrupt and enslaved by his sin and ignores his own corruption. All the exhortations and commandments included in the Scriptures do not prove or attest to free will, rather they reveal the impossibility “of observing and fulfilling them, thanks to external help, God’s grace”.56 The principle of sola Scriptura is related to that of sola gratia, thus explaining God’s absolute and singular redeeming power. Pintacuda observes how Luther bases his doctrine “solely on God’s impenetrable will” conveyed by the terms sola gratia, sola fide and “on the revelation and incarnation of his word” defined by the terms sola Scriptura, solus Christus.57 The criticism towards his rival is heated. He has falsely interpreted some biblical passages which are, in fact, very clear and evident. He affirms that the Diatribe “has invented a new art, eluding the clearer passages”58 claiming that he was searching for a figurative meaning in simpler and clearer words while, in actual fact, the Scriptural passages do not allow for any “inferences or stylistic or figurative interpretations”.59 There must be a strict adherence to the “most natural meaning of the words, which comes from the grammar and use of language established by God among men”.60 With this purpose he quotes the example of Origen, who, having practiced this tropological form of interpretation of the

Cf. LUTHER, Serv. arb., p. 138. Ibid., p. 139. 54 Ibid. 55 Ibid. 56 Ibid., p. 146. 57 Cf. F. DE MICHELIS PINTACUDA, Onnipotenza divina e libertà umana in Lutero: la salvezza e l’etica, in Potentia Dei: l’Onnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, edd. by Guido Canziani, Miguel Granada, Yves Charles Zarka, Milano, F. Angeli, 2000, p. 58. 58 LUTHER, Serv. arb., p. 153. 59 Ibid. 60 Ibid. 52 53

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THE DEBATE ON HUMAN WILL IN ERASMUS OF ROTTERDAM AND LUTHER

Scripture, provided arguments “to the slanderer” Porphyrius, thus labelled for his attacks on Christianity. The sources drawn from by Erasmus are also objects of the debate. According to Luther it was necessary to strictly keep only to the auctoritas of the Scripture and not to refer to the Doctors of the Church, among which, in particular, Origen and Jerome. These, the reformer observes, are those who interpreted the Scripture “in the most ill-advised and absurd manner” and in all freedom.61 Luther’s discussion centres on the relationship between the finiteness of man and divine infinity, his powerlessness and God’s almightiness, his condition as a sinner and the redeeming action of grace. One of the key concepts of Lutheran doctrine is the definition of God’s almightiness, which is the active power through which he operates positively in everything. God is almighty for his power and his action. Man was not created for his will but for necessity, so that he does not do what he wishes in virtue of his free will, but what God has established and makes happen for him. The resolution and power of God are infallible and unchangeable. A crucial feature of Erasmus’ doctrine is the philosophia Christi drawn from a careful reading of the Bible, the text of which becomes a highly precious tool for the worshipper. Two elements characterise this vision, which can be defined as ‘anthropocentric’: the return to the New Testament as the only source of truth against sterile disputes advanced by Scholasticism and the supremacy of the ethic dimension of the Gospel, from which the importance of the actions of human beings originates. According to Erasmus man is free and able to choose between good and evil, and the intervention of grace, Pintacuda states, “does not alter the inseparable connection between the possibility of rationally understanding the ethic commandment and the freedom to want to execute it”.62 Sometimes God clearly showed himself to men, sometimes he only asked for a devoted veneration. Among the things that God has wanted to show men, among the clear truths, are those which concern the rules which regulate the behaviour and life of a Christian. The ethic dimension of the message of the Gospel, which characterises his philosophical/religious vision has its grounds in the claritas Scripturae. It is necessary to distinguish between the meanings in the Sacred Scripture and the interpretations given of them. The purpose of the diatribe is the sense of the Scripture and human reason is called to scrutinise the sense of the Revelation. According to Luther, on the other hand, God is free and has no obligation towards human actions. God, Bainton states, is “majestic and 61 62

Cf. ibid., p. 154. DE MICHELIS PINTACUDA, Libero arbitrio, Servo arbitrio, p.30 seq.

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RELIGIONE E RETORICA: SVILUPPI SUCCESSIVI

powerful, unfathomable, terrible, destructive…”63 But he is also compassionate, just like a father is merciful towards his children.64 The two humanists have a different approach to the Sacred Scriptures. On the one hand there is Erasmus’ thorough search for the meaning of words contained there, while on the other there is a heated dispute that leaves no space for interpretations, because the message which it conveys is clear. For the reformer, interpreting the Scripture means placing oneself in the sight of God in order to ask for help from the grace which frees man from sin and to contemplate the light of revelation with a pure mind. The two scholars also have a very different vision of Christ. As far as Erasmus is concerned, Christ is “a very human master of an ethic inspired by love and peace”;65 for Luther, Christ is “essentially the word of God made flesh, the sign sent from Heaven to earth in order for the irreconcilable contradiction of the flesh with the spirit to become manifest and for the sin of the world to be redeemed by the only and infinite divine clemency”.66 As Pintacuda observes, the controversy ultimately originates and revolves around “the almightiness of God and the value of man before it” although it takes place “on a fundamentally and strictly theological ground, certainly rich in ethical or ecclesiastical implications”.67 Luana Rizzo Università del Salento - Lecce

63 64 65 66 67

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ROLAND HERBERT BAINTON, Lutero, Torino, Einaudi, 2003, p. 342. Cf. ibid. DE MICHELIS PINTACUDA, Libero arbitrio, Servo arbitrio, p. 35. Ibid. DE MICHELIS PINTACUDA, Umanesimo e Riforma, p. 293.

THE DEBATE ON HUMAN WILL IN ERASMUS OF ROTTERDAM AND LUTHER

ABSTRACT The essay takes into consideration the well-known debate on the powers of the human free will which occurred between 1524 and 1526 between Erasmus of Rotterdam and Martin Luther. After reconstructing the background where such debate developed, a debate of theological and ecclesiologic nature, the contribution focuses the attention on the essential aspects of the debate: the interpretation of the Holy Scripture, the criticism towards the Scholastic dogmas, the issue of freedom of man and the cooperation of the divine grace and faith. Besides, it describes the argumentative lexicon employed by the two authors, the method adopted and the different philosophical, biblical and theological auctoritates from which they draw, in order to show how some debates of theological nature born in the Christian era, also developed during the Renaissance. RÉSUMÉ L’essai examine la fameuse controverse concernant les pouvoirs de la libre volonté humaine qui eut lieu entre 1524 et 1526 entre Érasme de Rotterdam et Martin Luther. Après avoir reconstruit le contexte où se développa ce débat, de nature théologique et ecclésiologique, la contribution se focalise sur les aspects essentiels : l’interprétation des Saintes Ecritures, la critique adressée aux dogmes scolastiques, le problème de la liberté de l’homme et de la coopération de la grâce divine et la foi. En outre, l’étude porte sur le lexique argumentatif utilisé par les deux auteurs, la méthode adoptée et les différentes auctoritates philosophiques, bibliques et théologiques dont ils s’inspirent, afin de montrer comment certains débats nés pendant l’ère chrétienne, se sont développés aussi au cours de la Renaissance.

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CONCLUSIONI

Sintetizzare gli apporti innovativi e i progressi scientifici offerti dai contributi qui raccolti non è cosa facile. Se la diversità di approcci e di temi, l’arco cronologico preso in esame e le particolari situazioni socio-culturali in cui hanno trovato espressione le varie polemiche analizzate possono apparire solo a prima vista elementi dispersivi, in realtà essi sono le vie principali e per certi aspetti privilegiate per raggiungere una conoscenza e un’interpretazione, se non totale, come tante volte auspicato, almeno la più ampia possibile della civiltà antica. Proprio tale metodo integrato di indagine è stato messo a frutto nel contributo di Giancarlo Rinaldi, che analizza la circolazione di argomenti controversistici tra pagani, giudei, cristiani, gnostici, marcioniti e manichei. In primo luogo egli mette in evidenza alcuni esempi in cui la lettura biblica dei pagani ha esercitato un’influenza sull’esegesi patristica: l’aspetto di Gesù, Gesù nel Getsemani e il conflitto di Antiochia. Passa quindi a definire il momento e le modalità in cui i pagani ebbero coscienza della effettiva differenziazione dei cristiani dai giudei. L’esame di un corposo gruppo di luoghi controversistici, utilizzati dai pagani ora contro i giudei ora contro i cristiani, e in seguito da questi contro i giudei, dimostra che i pagani ebbero coscienza del fatto che giudei e cristiani erano portatori di una visione del mondo ben diversa da quella trasmessa dalla tradizione classica. Esaminando i punti di contatto tra le accuse rivolte dai polemisti anticristiani e le critiche sollevate dai maestri gnostici e da Marcione, Rinaldi rileva la capacità dei pagani di distinguere tra le varie correnti presenti nel cristianesimo antico e di utilizzarne i dissensi interni ai fini della propria opera polemica. A completamento dell’indagine sull’articolato e variegato panorama delle controversie religiose in epoca imperiale l’autore dà ampio spazio all’analisi del genere delle quaestiones et responsiones, quale testimone sia del quotidiano e vivace dibattito tra pagani e cristiani sia della successiva rielaborazione scolastica di tali discussioni. Dall’ampio quadro tracciato da Rinaldi, che rimane per così dire come sfondo a tutte le indagini che seguono, si passa a contributi di carattere puntuale, che affrontano questioni circoscritte a un’opera in particolare o che presentano delle analisi tematiche relativamente a una determinata polemica. L’Ad Demetrianum di Cipriano è oggetto dello studio di Maria Veronese, la quale, dopo averne illustrato il genere letterario, concentra l’attenzione sul prologo, in cui ricorre il tema del cristiano 393

CONCLUSIONI

diviso tra il proposito di sopportare con pazienza e dignità gli attacchi dell’avversario e la necessità di ribattere e quindi polemizzare. Dall’analisi emergono alcune particolarità: Cipriano fa ricorso alle Scritture per replicare al pagano e introduce così una novità rispetto alla letteratura apologetica di ambito africano; inoltre all’interno delle citazioni scritturistiche si registra una netta maggioranza di quelle tratte dall’Antico Testamento. La scelta di recedere dal proposito iniziale di tacere dinanzi alla furia rabbiosa dell’avversario è giustificata dal fatto che il silenzio è interpretato nella tradizione retorica come un’implicita ammissione dell’autenticità delle accuse. Il confronto con l’Epist. 16, relativa a una polemica intraecclesiale, dimostra che lo schema argomentativo che passa dal silenzio alla replica è una caratteristica che ritorna nella produzione ciprianea, pur in contesti differenti. Chiude l’articolo una rassegna del Fortleben della formula di Cipriano Tacere ultra non oportet in alcune polemiche di epoca moderna. A distanza di quasi un secolo, pur dopo la svolta costantiniana, la polemica tra pagani e cristiani è tutt’altro che sopita. L’ascesa al potere di Giuliano e la sua produzione letteraria danno voce e speranza a un’élite culturale pagana che si era progressivamente ridotta, ma non aveva cessato di esistere. In tale frangente Dina Micalella esamina le direttive della polemica, questa volta intra moenia gentilium, contro i filosofi cinici che Giuliano articola nei discorsi Contro il cinico Eraclio e Contro i Cinici ignoranti. L’analisi dei capi di accusa dimostra che i due testi appartengono al genere della satira personale. Tuttavia il fronte satirico non esaurisce la polemica di Giuliano, che dà ampio spazio anche all’impegno didattico concretizzato nella scelta di affrontare tematiche filosofiche di grande importanza. L’identificazione delle situazioni e dei destinatari dei due testi pone in chiaro le caratteristiche che differenziano l’uno dall’altro e dà ragione dei motivi per cui Giuliano sia tornato a distanza di breve tempo su argomenti pressoché simili. Infine la studiosa mette in evidenza come anche il tema della lode, ben presente in entrambi gli scritti, svolga un ruolo significativo a sostegno degli intenti polemici e didattici di Giuliano. Come il Contra Galilaeos dell’Imperatore così le altre opere anticristiane sono scomparse per via diretta e sono sopravvissute parzialmente solo grazie alle confutazioni dei cristiani. È il caso anche dell’anonimo scritto anticristiano contenuto nell’Apocritico di Macario di Magnesia, testo complesso e gravido di questioni ancora aperte. Antonio Cataldo concentra l’attenzione sul contrasto tra Pietro e Paolo (Gal 2,11-14) all’interno del dibattito tra l’anonimo pagano e lo scrittore cristiano. Sia Pietro sia Paolo sono rappresentati dall’antagonista pagano come persone inaffidabili: l’importanza riconosciuta al primo è evidentemente eccessiva, se solo si tengono presenti alcuni episodi in cui Pietro assume un atteggiamento contradditorio; anche Paolo però è oggetto degli attacchi del 394

CONCLUSIONI

pagano, dal quale è definito ciarlone e ingannatore. Considerate tali premesse, è significativo rilevare che l’interpretazione che il pagano offre dell’incidente antiocheno è tutta rivolta a condannare Pietro, talché Paolo emerge quale figura positiva e degna di lode. Si tratta di un episodio utilizzato anche da altri polemisti anticristiani che ha provocato diverse interpretazioni da parte degli scrittori cristiani. In particolare nella replica di Macario è degno di nota l’aggettivo ŶἰűŶŴŶųŰűƄźŬŷŶŴ utilizzato dal cristiano per definire l’atteggiamento di Pietro. L’analisi delle occorrenze del termine ŶἰűŶŴŶųŦŨall’interno dell’Apocritico consente di meglio comprendere le peculiarità dell’interpretazione macariana dell’incidente di Antiochia. Anche se la replica di Macario alle accuse dell’antagonista sembra essere di carattere dogmatico e non prendere in considerazione le circostanze dell’episodio narrato in Galati, tuttavia lo studioso ipotizza, sulla scorta di alcune informazioni di Gerolamo, che il contrasto fosse analizzato in profondità nella parte mancante dell’Apocritico. Lasciando solo per un attimo da parte le opere che palesano fin dal titolo quei tratti polemici che ne informano la struttura, la retorica e i contenuti, è interessante porre attenzione anche su quei generi letterari che non hanno prioritariamente lo scopo di attaccare un avversario, ma che contengono spunti polemici in maniera più o meno velata. In questo senso i contributi di Valeria Novembri e Immacolata Aulisa insistono sulla polemica antipagana e antigiudaica in ambito agiografico. La prima si concentra sulle critiche alla medicina e ai medici pagani presenti nel dossier dei santi Cosma e Damiano. A fronte di un generale atteggiamento positivo del cristianesimo antico nei confronti della medicina, esistono di contro alcune testimonianze che manifestano un’aperta ostilità. In questa prospettiva occorre considerare in prima istanza che la narrazione dei miracoli dei santi Cosma e Damiano deve essere collocata nel contesto di imitazione e competizione tra cultura pagana e cristianesimo: medici di professione, offrivano consultazioni e guarivano i malati senza richiedere alcun compenso. Questa caratteristica e la costante attenzione alla fede dei malati distinguono i miracoli dei due santi dalle pratiche dei medici pagani, con i quali hanno in apparenza molti aspetti in comune. Di più, tali abitudini dei santi rappresentano dei veri e propri capi d’accusa contro i medici pagani avidi di guadagni, criticati anche in precedenza nella letteratura greca, e disattenti alla salvezza spirituale dei pazienti. Sotto questo aspetto, invece, Cosma e Damiano si conformano all’esempio di Cristo, vero medico indifferente al denaro e interessato alla fede dei sofferenti. Dagli episodi analizzati appare evidente che la malattia è interpretata come una strada di ascesi, di conversione, di purificazione e quindi di salvezza. Aulisa si propone di mettere in luce, attraverso un percorso diacronico, le motivazioni e il senso della presenza giudaica nei testi agiografici dell’Altomedioevo, epoca in cui i rapporti tra giudei e cristiani sviluppa395

CONCLUSIONI

rono caratteristiche differenti da quelle dei primi secoli del cristianesimo. Le fonti agiografiche assumono un rilievo particolare, poiché hanno il vantaggio di essere rivolte a un pubblico ampio e, non essendo in fissate un codice letterario rigido, offrono uno spaccato piuttosto realistico della società. La figura del giudeo persecutore o in qualche modo collegato con il martirio dei cristiani ricorre con una certa sporadicità nei testi agiografici altomedievali e inoltre sembra più essere la ripresa di un modello letterario funzionale alla propaganda cristiana che rispecchiare fatti realmente accaduti. D’altro canto, in occasione dei numerosi miracoli narrati nelle vite di santi e martiri i giudei rimangono per la maggior parte saldi nella loro fede e assistono con incredulità ai prodigi. Accanto a queste reazioni si registrano anche vari casi di conversioni forzate, che all’epoca di Gregorio Magno furono una realtà quotidiana, frutto di azioni individuali o di decisioni politiche. Un aspetto di particolare importanza è quello relativo alle relazioni tra le comunità giudaiche e quelle cristiane. Accanto alle fonti che testimoniano una coesistenza pacifica, serena e in qualche caso anche amicale, ve ne sono altre che danno notizia di episodi violenti causati dalla concorrenza missionaria o per interferenze nella vita politica delle città. Tuttavia nei testi agiografici il motivo più frequente di polemica antigiudaica è quello che accosta i giudei ora al diavolo e ai demoni ora agli eretici. Nel complesso lo studio mette in evidenza come i temi della polemica contro i giudei si arricchiscano viepiù di elementi e soggetti nuovi. In ogni caso gli agiografi non sembrano nutrire particolar interesse nei confronti dei giudei, che sono descritti all’interno del più ampio quadro culturale e utilizzando il repertorio di immagini offerto dalla tradizione polemica precedente. I contributi fin qui passati in rassegna hanno messo a fuoco alcune tematiche polemiche sviluppate in opere greche e latine appartenenti a generi letterari differenti e hanno presentato un quadro piuttosto variegato dei motivi polemici tra pagani, cristiani e giudei. Con la seconda sezione del volume entriamo nello specifico delle modalità controversiali. Onofrio Vox esamina il motivo polemico del plagio con particolare attenzione alla Refutatio omnium haeresium. La prima parte del contributo si sofferma sul concetto di plagio, che nell’antichità era molto differente da quello moderno. Il motivo polemico del plagio prende piede soprattutto nelle scuole filosofiche del IV secolo a. C. e in questo senso vari esempi tratti dai dibatti filosofici e dalle discussioni filologiche mostrano dei punti di contatto con la Refutatio, che si colloca al confine tra filosofia, dottrina cristiana e filologia. I libri I-IV dell’opera contengono l’esposizione delle dottrine elleniche ed egiziane relative alla filosofia e all’astrologia, mentre i libri V-IX presentano le eresie cristiane, infine nel libro X è esposta la vera dottrina. Lo studio si sofferma sugli elementi strutturarli e lessicali e sulle modalità con cui l’accusa di plagio diviene uno strumento di polemica nei confronti degli eretici.

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CONCLUSIONI

Le modalità del discorso polemico nell’Adversus nationes di Arnobio sono l’oggetto dell’indagine di Paola Santorelli, la quale mette in evidenza come la parte propriamente polemica dell’opera cominci con il libro terzo, che segna uno stacco tematico e un mutamento di atteggiamento dell’autore nei confronti dei pagani. Dalla difesa Arnobio passa dunque al sistematico smantellamento del pantheon dell’avversario, con toni che sfociano spesso nell’ironia e nel sarcasmo. L’analisi mette in luce i meccanismi di tale demolizione, seguendo il filo conduttore degli attacchi rivolti alla somma divinità pagana, Giove. Gli episodi presi in considerazione sono la nascita di Giove, la discendenza, le avventure amorose e gli episodi che dimostrato la stupidità della divinità. Le testimonianze analizzate dimostrano che il tentativo di Arnobio di prendere le distanze dal suo trascorso pagano si concretizza nel proposito di tratteggiare un ritratto di Giove in tutto ridicolo e inaffidabile. Se l’analisi dell’Adversus nationes ha sottolineato la ripresa delle fonti al fine di capovolgere e demitizzare la tradizione classica, l’indagine di Lamberto Ferreres mette in luce le modalità di ripresa e riutilizzo del De mortalitate e del De habitu virginum di Cipriano nell’opuscolo pseudociprianeo De laude martyri. L’analisi sottolinea come l’accurato riuso delle fonti dimostri che l’autore è avvezzo alla pratica retorica e letteraria; il che è confermato anche dalle altre reminiscenze dei modelli classici evidenziate dallo studioso. In questo senso l’agnizione, secondo il metodo dell’intertestualità, dei modelli che di volta in volta sono ripresi nel De laude potrà essere utile per sciogliere alcuni problemi testuali dell’opuscolo. L’accurata penetrazione dei testi e l’attenzione a contestualizzarli nella rete di legami storici consentono di recuperare aspetti e implicanze che rischierebbero di rimanere celati a prima vista. In questa direzione si muove il contributo di Ilaria Trabace che prova a portare alla luce gli echi della polemica di Basilio con Eunomio nell’Omelia sul salmo 29. A distanza di qualche anno e in un contesto liturgico, e non propriamente polemico, Basilio trae spunto dal testo del salmo per ribadire quale sia la maniera corretta per esprimersi a proposito di Dio: è necessario non applicare alla divinità concezioni tipicamente umane, ma interpretare in senso spirituale i passi scritturistici di carattere antropomorfico che si riferiscono a Dio. D’altro canto il recupero di immagini ed espressioni attestati nella tradizione polemica non è sempre funzionale a sostenere una nuova polemica, come emerge nel caso del paradigma medico, usato da Origene contro gnostici e marcioniti, ma ripreso da Basilio con una finalità parenetica. Torniamo alla polemica tra pagani e cristiani, nella quale è stato osservato che un posto di primo piano hanno occupato le critiche rivolte alle Scritture con l’obiettivo di metterne in luce le assurdità e le incongruenze. In questa senso è noto che Giuliano avesse conoscenza del testo 397

CONCLUSIONI

sacro e il contributo di Valerio Ugenti mette in luce proprio il lessico e le strategie interpretative utilizzate dall’Imperatore nel suo attacco. L’analisi è condotta a partire dal frammento sopravvissuto dell’incipit dell’opera Contro i Galilei, nel quale Giuliano espone con chiarezza le direttrici del suo attacco: esso sarà rivolto interamente contro i cristiani, accusati di voler corrompere la parte irrazionale dell’anima, di raccogliere fedeli tra gli ignoranti, le donne e i bambini, e di spacciare per miracoli le imposture narrate nei vangeli. Dai pochi frammenti trasmessi da Cirillo appare evidente che l’Imperatore ha coscienza delle divergenze esistenti tra Antico e Nuovo Testamento: rispetto al primo il polemista intende dimostrare la doppia follia dei cristiani, che non contenti di aver rifiutato la ben superiore tradizione greca, si allontanano anche dalla legge mosaica, che pure conteneva elementi positivi. L’atteggiamento nei confronti del NT di Giuliano è invece decisamente più aspro e attacca con veemenza in particolare Pietro, Giovanni e Paolo, fautori di una nuova religione che merita di essere condannata senza appello. Ancora sulla polemica tra pagani e cristiani si sofferma il contributo di Alessandro Capone, che analizza in maniera puntuale le sezioni narrative dell’Apocritico di Macario di Magnesia. L’indagine mette in evidenza come la replica cristiana sia particolarmente curata sotto l’aspetto retorico, come dimostrano le varie reminiscenze classiche, utilizzate per screditare l’avversario, e il ricorso all’armamentario proprio delle polemiche tra retori, per presentare in maniera ironica l’esuberante eloquenza del pagano. Nel complesso emerge il ritratto di un autore molto raffinato, che, per quanto è sopravvissuto della sua opera, non si limita a confutare le accuse dell’avversario, ma intende sopraffarlo con la veemenza delle argomentazioni e l’eleganza dello stile. A conclusioni simili giunge anche Adele Filippo, che esamina le clausole metriche contenute nell’Apocritico e riscontra la presenza di chiuse metricamente rilevanti pari al 100% delle sequenze finali dei periodi presi in considerazione. Da un punto di vista metodologico i risultati dell’indagine sono stati esposti illustrando in successione quaestio e relativa solutio. Infine dall’analisi risulta che i periodi esaminati si chiudono secondo lo stile ritmico tradizionale che privilegia le clausole cretico-trocaica, dicretica, trocaica, ipodocmiaca, esametrica e che si registrano un rigoroso rispetto della compositio verborum, un’articolata costruzione dei periodi e una scelta oculata di associazioni foniche, in linea con le direttive della prosa d’arte antica. Entrambi gli studi, dunque, pur con approcci differenti, mettono a fuoco la particolare raffinatezza ed eleganza dell’Apocritico di Macario, che per questi aspetti rappresenta un unicum nella tradizione delle repliche cristiane antipagane giunte sino a oggi. Anche la seconda sezione si chiude con un contributo relativo ai testi agiografici tardoantichi curato da Valentina Zanghi, la quale si concentra sul lessico polemico negli episodi che hanno come protagonisti 398

CONCLUSIONI

santi e diavoli. La lotta e la vittoria dei santi e dei monaci sono la prosecuzione del combattimento e della sconfitta del male inaugurata da Cristo. Nelle narrazioni agiografiche si assiste a veri e propri scontri fisici e spirituali con il diavolo, in cui ricorrono elementi letterari e strutturali simili. Lo studio presenta una selezione di otto passi tratti dalla Vita di Antonio in cui si segnala l’uso di espressioni agonistiche e militari e il ricorso ai termini propri della lotta fisica e della contesa giudiziaria. L’ultima parte del contributo contiene un indice sinottico della terminologia agonistico-polemica utilizzata dal diavolo e dal santo: al lessico della falsità, dell’attacco e della sconfitta del primo è opposto quello della verità, della difesa e della vittoria del secondo; non di rado si registra la doppia valenza di termini, che riferiti al santo hanno un valore positivo, mentre riferiti al diavolo hanno senso negativo. Va infine rilevato che tutta l’analisi si concentra oltre che sul testo greco della Vita anche sulle traduzioni latine di Evagrio e di un anonimo, così da meglio illustrare l’evoluzione semantica del lessico polemico. L’ultima sezione rappresenta, come s’è detto, un’incursione in epoca tardomedievale e rinascimentale allo scopo di saggiare il perdurare di alcuni aspetti della polemica religiosa e letteraria, che, com’è ovvio, assume tratti e caratteristiche significativamente differenti da quella dei periodi precedenti. Sabina Tuzzo analizza il tema dell’esaltazione delle vergini cristiane in due dammi di Rosvita (Dulcitius e Pafnutius), la quale attinge a piene mani alle commedie di Terenzio, con l’attenzione a sostituire i termini licenziosi e gli aspetti propriamente passionali delle commedie antiche con espressioni, episodi e personaggi che concorrono a presentare degli exempla di moralità e spiritualità. L’analisi di alcuni passi mette in luce il duplice intento della polemica della canonichessa: da un lato lotta con il suo modello letterario, dall’altro, e soprattutto, prende le distanze e si oppone a quei dotti, guidati da Brunone, che si deliziavano nel leggere le scellerate opere del commediografo antico. Da qui il proposito di Rosvita di scrivere drammi che riprendono Terenzio, ma hanno l’obiettivo di esaltare valori e virtù tipicamente cristiani. In questa prospettiva si può affermare che il teatro di Rosvita, che ribalta il mondo pagano con le armi dei pagani, assume le caratteristiche di uno strumento di comunicazione della fede cristiana e di redenzione morale, in un milieu culturale dominato dalle figure di Raterio e Liutprando. A chiusa del volume ben si pone il dibattito tra due grandi protagonisti del Rinascimento europeo, i quali nella loro sete di conoscenza avevano riscoperto e rielaborato la tradizione classica e cristiana. Nell’ansia di rinnovamento di Erasmo e Lutero si riscontra l’eco della crisi religiosa e delle domande che attraversavano la gran parte dei contemporanei. In questo frangente Luana Rizzo esamina in particolare il dibattito sulla volontà umana che vede da un lato Erasmo il quale, con il De libero arbitrio (1524), riconosce all’uomo la libertà di scegliere, e dall’altro Lutero il 399

CONCLUSIONI

quale, con il De servo arbitrio (1525), attribuisce all’uomo la facoltà di essere liberato solo dalla grazia divina. La disputa verte sull’interpretazione delle Scritture e si avvale abbondantemente delle auctoritates patristiche. Inoltre i due contendenti utilizzano anche due stili differenti di polemica: il primo argomenta per mezzo della disputatio, il secondo ricorre al metodo dell’assertio. L’analisi mette in luce i punti di dissenso e le diverse prospettive che stanno sullo sfondo della riflessione dei due pensatori. A. C.

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Abbahu di Cesarea 48 Abbick J. F. 363 Abbondio di Como 167 ‘Abd al-Jabbār 61 Abele 44.49 Abramo 245.246 Acerbi S. 161.162 Acilio Glabrione 18 Acconcia Longo A. 165.166 Adamo 25.27.348.382 Adrados F. R. 254 Africa 22.23.52.62.83.156.162.190 Agata 157.158 Agatarchide di Cnido 17 Aggeo 158 Agostino 7.10.11.16.17.19.20.28.32.33.35. 37.40. 45.46.48.49.52-57.59.60.69. 70.73.78.105.110-112.117.131.248. 336.340.366.367.376.382 Agricola 158 Agrimi J. 119 Aiace 254.259 Aigrain R. 143 Aland K. 267 Alceo 89 Aldama A. M. 219 Alessandria 8.36.132.178 Alessandro l’eretico 11.105 Alessandro di Afrodisia 183 Aletti J. 117 Alexander P. J. 269 Alexandre M. 68 Alfio 149.165 Allen T. W. 254 Alonso J. F. 158 Amata B. 190.192.194

Amato E. 98 Ambrogio di Alessandria 8.36 Ambrogio di Milano 7.16.26.40.42. 43.48.76.158.382 Ambrosiaster 16.29.33-35.40.41.43. 44.46.49 Ammiano Marcellino 42.61 Amore A. 153.165 Amundsen D. W. 118 Anania 101.102 Andreadi R. 124 Angeli Bernardini P. 266 Angenendt A. 121 Angenot M. 213 Antiochia 10.11.62.102.103.109.110.112. 162.272 Antico Testamento 26.30.46.64.72.73.106. 107.113.124. 230.234.237.244-246. 248-250.331.338.381. 383 Antioco IV Epifane 22 Antistene 89.177.247 Apelle 6.25.26.30 Apione di Alessandria 15-18.22 Apollinare di Laodicea 11.105.109.190 Apollo 22.120.121.196 Apollonio di Hermopolis 17 Apollonio di Tiana 21.47 Apollonio Molone 15.17.18 Apollonio Rodio 178 Appiano 15.18 Apuleio 17-19.21.70.196 Aragione G. 175.178.179.184.185 Archiloco 89.247 Ares 254 Areta di Nağrān 157 Ariani 10.27.41.228.229 435

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Aricanda 15.18 Aristide 14 Aristide Elio 18 Aristippo 177 Aristobulo 178 Aristofane 176.256.259 Aristofane di Bisanzio 177 Aristofonte di Azenia 255 Aristotele 84.95.96.112.242.247.269.272 Arnaldez R. 227 Arnobio 19.36.37.189-213 Arnobio il giovane 78 Arpocrate 31 Ascelpiade 88 Asclepio 6.48.118.120.121.125-127.132 Ashbrook Harvey S. 162 Asino 21-23 Asterio 78 Atanasio 26.56.112.227.228.333-349 Ateismo 18 Atenagora 18.127 Ateneo di Naucrati 183.266 Attico di Costantinopoli 151.153 Atti degli Apostoli 11.12.15.16.20.101. 111.113 Aulisa I. 138.162.169 Austremonio di Clermont 147.161.164 Avito di Clermont 149.154.155.161 Axton R. 361.368 Bádenas de la Peña P. 187 Baehrens W. A. 235 Bainton R. H. 390 Bardenhewer O. 114 Bardy G. 29.32.43.50.153 Barnaba 108 Barnes T. D. 51.109 Barsauma 161 Bartelink G. J. M. 333 Bartoli G. 82.83 Basiliki M. 124 Basilio I 157 Basilio di Cesarea 83.112.151.159.168.223229.231-234.236-239.382

436

Bastiaensen A. A. R. 146.147 Bataille G. 163 Beda 77 Bedjan P. 128 Beeson C. H. 59 Bendinelli G. 230 Benedetta di Origny-sur-Oise 163 Benson E. W. 69 Benvenuti A. 138.141 Beretta C. 154 Berger A. 163 Bergjan S. P. 47 Bernabé A. 175 Bernardi J. 226.236.237 Bertini F. 357.359-361.364.366-368 Bertrand D. A. 180.184 Bertrand P. H. E. 333 Bianchi N. 241 Bibauw J. 364 Bidez J. 27.244 Billerbeck M. 99 Blake R. 269 Blázquez J. M. 342 Bloch M. 150 Bloch R. H. 187 Blumenkranz B. 139.149.152-155.158. 160.164.170 Boesch Gajano S. 138-145.150.155.159161.164 Bolgeni G. V. 83 Bolgiani F. 137 Bolland J. 166 Bonifacio VIII 78 Bonfil R. 139.143 Boor de C. 157.169 Borges J. L. 176 Bostock G. 118.233 Boublík V 158 Boudon-Millot V. 118-120.233 Bouffartigue J. 88-92.98.99.242.243.245 Bradbury S. 164 Brancacci A. 87.94 Bravo G. 162 Braun R. 243

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Bremmer J. N. 16 Bremond C. 131 Brennan B. 334 Brent A. 179 Brisone di Eraclea 177 Brisson L. 186.262 Broek van der R. 18 Brown P. 7.119.121 Brunet A. 151 Brunone 357.359.360.372 Buell D. K. 184 Burchi P. 147 Burguière P. 241 Burrus V. 259 Bussières M. P. 43 Butterworth E. 84 Caciorgna M. T. 139 Caino 44.49.242 Caio 158 Caltabiano M. 27 Cambiano G. 260 Cameron A. 47.152.156.157.162.185. 272.336 Campbell J. M. 224 Campione A. 149.158.165.166 Canella T. 163 Canetti L. 121 Canfora L. 260 Cangh van J.-M 119 Canova M. 176 Cantilena M. 277 Canziani G. 388 Capelli P. 337 Capone A. 258 Caraffa F. 152 Caritone 283 Carpocrate 31 Carrié J.-M. 47 Cartagine 23.28.53.55.72.76.79.215 Caseau B. 129 Caspar R. 60 Cassin M. 259 Cassio Dione 14.17.18.21

Castagna L. 67.70 Castelli E. 182.187 Catone 75 Cattaneo E. 34 Cattani A. 211 Cavalcanti E. 164 Cavallin S. 158 Cavallo G. 142.144.361 Cazier P. 156 Cecilio di Calatte 177.260 Celso 4.7-10.13-17.19.23.27.29-31.34. 36. 39.40.48.49.59.61.79.102.104.184.228. 229 .235.238.248.250 Cesario di Arles 119.148.158.162 Chalmet P. 119 Chambry É. 263 Chapouthier F. 269 Chitone 88 Ciarlo D. 226 Ciccarese M. P. 73.339 Cicerone 14.17.73.74.78.218.219.272.281 Cinici 87-94.98 Cipriano di Cartagine 67-81.83.84.215221 Cirillo di Alessandria 5.8.112.132.149.161. 162.241.243.244.249 Cirino 149.165 Clark A. C. 219.272 Clarke G. W. 67.79 Clemente di Alessandria 104.177.178.184. 185.224.247.248 Clemente di Roma 159 Cocchini F. 231 Codex Theodosianus 6.42 Colafemmina C. 155.161 Colombo S. 196 Colonna A. 29 Conca F. 73 Consiglieri S. 337 Consolino F. E. 35.62 Cook J. G. 35 Corsano F. 274 Corsini E. 9.332 Cortes J. 83

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Cosma 121-127.129-131 Costa E. 332 Costantino 61.119 Costantinopoli 61.62.124.134.151. 153.269 Costanzo II 62 Coulie B. 269 Courcelle P. 34.44 Courtès J. 118 Courtonne Y. 232 Cracco G. 156 Cracco Ruggini L. 15.41.140.150.155 Crafer T. W. 253 Cratete 88.94.96 Cremonese P. 271 Crescente 18 Crisafulli V. S. 134 Crisciani C. 119 Crouzel H. 118.233 Culdaut F. 56 Cumont F. 34 Cupaiuolo G. 370 Curtius E. R. 357.363 Cuvigny M. 255.263 Da Costa-Louillet G. 166 Dagron G. 150.156.157.162.169 Dahan G. 140.147.148.152.156.166.170 Dal Covolo E. 236 Damaso 40-42 Damiano 121-127.129-131 Damocrito 22 D’Angelo A. 268 Daniele 7.37.52 Daniélou J. 67 D’Anna A. 176 Darrouzès J. 124 Davide 29.39.48.106.249 De Bonfils G. 168 Decio 79 Defosse P. 184 Degl’Innocenti A. 166 Dehn R. 123 Dekoninck R. 212

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Deléani S. 69.75.79.80 Delehaye H. 117.121-125.132.143.158 De Luca K. 360 De Luis P. 55 Delumeau J. 137 Demarolle J.-M. 242.243 Demetriano 67.70-74.77.79.83 De Michelis Pintacuda F. 375.378.385.388390 Democrito 133.177 Demoen K. 269 Demostene 263.267.279 Deogratias di Cartagine 53 Déroche V. 132.152 Desmulliez J. 212 Des Places E. 248 Deubner L. 122-125.127.129 De Vos C. 20.21 Devos P. 160 Di Berardino A. 34 Di Brazzano S. 154.155 Di Capua F. 271.272.281 Dichiara S. 145 Didimo di Alessandria 11.57.105.227.229. 232 Diels H. 182 Diercks G. F. 80.216 Diez A. M. 187 Diez V. M. 83 Di Matteo I. 60 Diocleziano 148.190.362-365 Diodoro di Tarso 62 Diodoro Siculo 22 Diogene 75.88.89.94.97.98 Diogene Laerzio 177.183.184 Dione Crisostomo 87.94 Dionigi Bar Salibi 61 Dionigi di Alicarnasso 258(pseudo).260 Dionisio Calco 266 Di Santo E. 34.43.46 Ditchfield S. 138 Doceti 31 Dodds E. R. 119.120.124.256 Dolbeau F. 7.11.144

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Dolenz S. 367 Dombart B. 367 Dorival G. 89 Doucet D. 118 Doutreleau L. 225.226 Downing F. G. 89 Drijvers J. W. 163 Droge A. J. 14 Dronke P. 359-361 Duchesne L. 147.156 Dudley M. 129 Dulcizio 357.362-364.371 Dumeige G. 118.233 Duquenne L. 79 Durand de G.-M. 225.226 Duval Y.-M. 168 Dziatzko K. 357 Ebeling G. 380 Ebioniti 31 Ecate 53.56 Ecateo di Abdera 15 Edelstein Levy E. J. 118.120 Edelstein L. 118.120 Edwards M. J. 69 Egesia 283 Egesippo 153 Eleuterio di Tournai 152 Elia 31 Elm S. 185 Elsner J. 183 Emmerano 153 Enomao 89.96.98 Epicuro 177 Epidauro 120.121.124.132 Epifanio 10.26.39.184.185.227 Eracle 3.197.247 Eraclio cinico 87.90 Eraclio imperatore 156 Erasmo da Rotterdam 375-387.389.390 Ermete 158 Ermippo 176 Ermogene di Tarso 227 Erode 101

Erodoto 337 Esbroeck van M. 122.163.165.227 Eschilo 259.263.267 Eschine 176.263 Esiodo 246 Ettore 254.370 Eunapio 26.56.241 Eunomio 223.225-227.231.232.238.256258 Eupoli 176 Euripide 78.176.259.263.267.269.337 Eusebio di Cesarea 6.16.19.21.32.33.35.3840.104.109.118.153.177.178.227.258 Eusebio di Emesa 11.105 Eusebio di Nicomedia 241 Eustazio di Tessalonica 227 Eva 25.27.45 Evagrio 332-349 Evieux P. 241 Ezquerra A. A. 175 Fabricius J. A. 178 Fahey M. A. 72 Falkenhausen von V. 141.145.155 Fausto di Milevi 60 Featherstone M. 269 Fedeli P. 142 Fedwick P. J. 226 Fernández Marcos N. 123.132.133 Fernández S. 118.233.235 Ferngren G. B. 117-119 Ferrari F. 166 Ferreolo di Uzès 155 Ferreres L. 219.221 Festugière A.-J. 121-124.130.162 Fichtner G. 118 Fiedrowicz M. 34.69-71 Filadelfo 149.165 Filippo A. 272 Filippo il Mago 19 Filippo di Side 241 Filisco 98 Filone di Alessandria 17.32.178.227.230. 278.283

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Filosabazio 39 Filostrato 15.177 Firmico Materno 13.19.43 Flacelière R. 263 Flavia Domitilla 18 Flavio Giuseppe 14-18.21.22.178.187 Follieri E. 141 Fonseca C. D. 155 Fontaine J. 11.69.72.97.155.189.331 Franceschini E. 359 Frank G. 166 Frankfurter D. 121 Frassinetti P. 259 Fredouille J.-C. 67-72.75.78 Freudenberger R. 16 Frey A. 175 Frinico 176 Frontone 17 Frugoni C. 154 Furta Graecorum 14 Gabotto F. 357 Gaetani O. 149.165.166 Gaiffier de B. 138 Gain B. 151 Galati (Lettera ai) 10.101.103-105.108111.349 Galeno 121.127.133 Gallay P. 229 Gallicet E. 67.69-72.74 Gamba B. 82 Garana O. 160 Garand D. 211 Garin E. 379 Garzaniti M. 141 Garzya A. 34.145.266 Gaudeul J. M. 60 Geffcken J. 68 Gentili B. 266 Gerbino C. 149 Gerusalemme 17.22 Gesio di Petra 132.133 Gesù Cristo 6.7.9-15.19.20.22-24.27-32. 38-40.45-50.54-56.58-63.76.79.

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101.102.106-108 .112.117.125.126.12 9.140.151.153.160. 170.171.191. 217.218.228-233.243.249. 254.256. 331.332.334.335.338-332.344351.358.361-363.366.375-379. 386. 388-390 Getsemani 10 Geymonat M. 370 Giacobbe 242.246 Giamblico 94.96.97 Giannarelli E. 123 Giardina A. 142 Gigliucci R. 187 Gillet R. 155 Gini P. 167 Ginzburg C. 164 Giobbe 76.235.237-239.336 Giona 7.64 Giosia 9.48 Giovanni 10.15.19.31.45.52.60.229.242. 249.332 Giovanni Crisostomo 105.108.112-114 Giovanni Damasceno 382 Giovanni Malala 125 Giovenale 15.17 Gioviano 62 Giovini M. 357.359.370.372 Girardi M. 226.233.234.237 Gerolamo 7-11.38.40.42.43.53.70.78.101. 105.109-112.134.189.190.344. 376. 382. 389 Giuda Ciriaco 163 Giudei 3.5.7.11-28.30.33.36.37.40. 46. 47. 52.59. 60.62.64.65.108.124.137-143. 146-149.151-156.158-166.168-171. 245 Giuliano Imperatore 5.8.10.14.16-19.2427.31.35.36.39.40.44-46.48-50.56.61. 87-99.104.163.241-250.255.273 Giulio Vittore 78 Giunio Rustico 18 Giuseppe di Scitopoli 153 Giuseppe (figlio di Giacobbe) 227 Giuseppe (padre di Gesù) 19.39.45

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Giustiniano 124 Giustino 7.18-20 Giustino (pseudo) 44.47.48.50 Gnoli G. 59 Gnostici 5.6.20.24-27.38.40.58.63.64. 184. 186.230.234.237 Godding R. 143 Golinelli P. 138.141.145 González Castro J. F. 175 González Salinero J. 162 Goodich M. 151 Goodman M. 69 Gordini G. D. 148.158.161 Gorgia 283 Gori F. 158 Goulet R. 35.51.88.101.105.109.113.253. 259.262.265.273.274.290.298 Goulet-Cazé M. O. 69.87-90.183 Gounelle R. 175 Graf A. 332 Grafton A. 183.184.187 Granada M. 388 Grant M. 130 Gravina G. M. 83 Gregenzio di Tefra 163 Grégoire H. 263.267 Grégoire R. 139.145 Gregorio di Nazianzo 112.229.234.241. 243.262 Gregorio di Nissa 108.238.256-258 Gregorio di Tours 121.125.149.151-155 Gregorio Illiberitano 73 Gregorio Magno 78.155.161 Grimm G. 360 Grmek M. D. 119.133 Gronewald M. 229.232 Groot de A. W. 272.273.276.278-280.282. 283 Gualandri I. 73 Guerci A. 337 Guibert de J. 147 Guida A. 10.31.241.243.250 Guido R. 87.246.247 Guignebert C. 5

Guillon M. N. S. 70 Gülzow H. 67.69.79 Gutas D. 84 Guzmán Guerra A. 175.187 Haase W. 260 Hagendahl H. 272.273 Hagiographi Bollandiani 147.155.161 Haight A. L. 363 Haldon J. 156 Hammerstaedt J. 89 Hansen G. C. 151.153.161 Hanslik R. 159.161.167 Hanson R. 118.233 Harl M. 233.234 Harnack von A. 51.67.117.215.233.290 Harrison S. 183 Hartel G. 215.216.218.220.221 Hayward A. 211 Heinzelmann M. 144.150 Helios 95.97 Hengsberg W. 224 Henry P. 262 Henschen G. 148.151.155.160.166 Hernandez A. 248 Herrmann J. J. 68 Hoffmann P. 69 Hoek van den A. 178 Hooff van G. 147 Hoppenbrouwers H. 333 Hörandner W. 271 Hunter D. G. 41.43 Iacopo da Varazze 151.153.159.161 Idra 264.267.268 Ierocle Sossiano 47.273 Ificrate 255 Ignazio di Antiochia 106 Ilario di Arles 158 Ilario di Poitiers 73.131.168 Ioiachin 39 Iperide 255 Ippocrate 112.118.120.126.133.235 Ippolito di Roma 178-184

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Ireneo di Lione 117.184.187 Iricinschi E. 35.184 Isacco 16.246 Isaia 8.9.45.48.52.246.387 Isetta S. 337 Isidoro di Pelusio 37 Iskandar A. Z. 121 Isocrate 272 Israele 14.19.249 Jackson H. M. 29 Jacob P.-A. 158 Jacob W. 159.161.167 Jacques F. 74 Jacquier E. 8 Jaeger W. 256 Janko R. 254 Janin R. 124.166 Janowitz N. 119 Jefte 16.29.45.49 Jensen C. 255 Joachim 9.39 Jolivet-Lévy C. 132 Jones A. H. M. 26 Jonhson F. S. 34 Jossa G. 11.18.51.184 Junod É 234-236 Juster J. 13.139.164 Kahlos M. 42 Kalb A. 367 Kamesar A. 34 Kaplan M. 132 Kee H. C. 117 Kennedy G. A. 260.272 Kenrick F. P. 83.84 Kirk G. S. 254 Klaerr R. 263 Klaniczay G. 151 Kleinclausz A. 152 Klostermann H. 224.235 Knipp D. 118 Koch H. 70.75.215-218 Koetschau P. 231

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Konstantelos D. J. 122 Kroll W. 168.178 Krueger D. 152 Krueger P. 168 Krusch B. 148.151-155.158 Kuch H. 261 Kühn J. H. 127.133 Labriolle P. de 34.46 Lamirande E. 158 Lanata G. 30.147 Lançon B. 119 Laner C. 166 Lange de N. R. M. 157 Lanza D. 260 Lanzoni F. 147.149.158 Lapsi 79.80 Lascaratos J. G. 130 Lattanzio 8.37.68.69.72.73.189 Laurin J.-R. 34 Lavarenne M. 70.71 Leanza S. 34 Le Bonniec H. 190 Le Coz R. 233 Leemans J. 258 Le Goff J. 131 Lehrs K. 261 Lelli E. 268 Leonardi C. 138.144.148.361 Leone Taumaturgo 166 Leone III 157.169 Leonzio di Napoli 151 Libanio 19.89.90.272 Lies L. 232 Linder A. 13.168 Lisimaco 18 Liutprando 359.372 Lizzi Testa R. 47 Loewe H. 139 Longino 262 Luca 10.12.29-31.39.40.45.50.59.60. 129. 345.346 Lucchetta G. A. 14 Luciano di Samosata 16.18.259.261.262

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Lugaresi L. 7.243.259.262 Luongo G. 123.128.141.142.145 Lutero M. 375-380.383-390 Luzzati M. 155.156 Lukyn Williams A. 139 Lynch C. H. 156 Macario di Magnesia 7.9.15.16.33.40.4551.62.101-114.253-257.259-269. 271.273-276.278.281.287-330 Macris C. 180 Macrobio 53.178 Madec G. 55 Maffei S. 82.83 Maggioni G. P. 151.153.159.161 Magia 19-21 Magris A. 228 Maisano R. 62 Malley W. J. 27 Malone E. E. 331 Mancio di Ebora 147 Manetone 15.17.18 Mango C. 124 Manicardi E. 337 Manichei 3.5.52.56-60.62-64 Manieri A. 258 Mansfeld J. 184.187 Mansi J. D. 156.162 Mara M. G. 334.338 Maraval P. 132 Marcellina 31 Marcellino 37.40.53.54 Marciana di Cesarea 148 Marciano di Siracusa 165.167 Marcione 25.26.28.30.59.62.234 Marcioniti 5.26.28.30.38.41.55.58.59.63.6 4.230. 234.237 Marco 9.10.31.45.60.129.249.332.360 Marco Aurelio 8 Marco Eremita 185 Marco il Mago 20 Marcone A. 97 Marcovich M. 179.182.185.187.224.228. 229.235.237.238.

Mardonio 92 Mariamme 31 Marin M. 34 Mario Vittorino 26(pseudo).78 Maritano M. 236 Martina A. P. 67 Martindale J. R. 26 Martineau F. 212 Martínez Díez A. 187 Martínez-Fresneda M. E. 187 Martiriano 152 Marziale 175 Masaracchia E. 104.242-246.248-250.255 Massenzio di Poitou 153 Massimiano 148 Massimo di Torino 77.78 Massimo Erone 89 Mathon G. 151 Matrona di Tessalonica 148 Matteo 8.9.16.19.29-31.39.45.49. 50.58. 60.71.73.75.89.101.102.117.118.126.127. 229.232.245.249.265.331.332.337.360. 386 Mazon P. 263.267 Mazzarino S. 41 Mazzucco Clementina 9.161.337 McCracken G. E. 191 McGuckin J. A. 72 McQueen Grant R. 11.18 Méasson A. 227 Meinel G. 176 Meis Wörmer A. 236 Meleagro di Gadara 17 Melezio di Antiochia 159 Melitone di Sardi 131 Mena 160.161 Mencke J. B. 82 Menestò E. 144.361 Menestrina G. 179.333 Mercati G. 62 Meredith A. 244.249 Merkel H. 56 Messana V. 168 Micalella D. 88.89.91.98

443

INDICE

Migne J. P. 187 Milano 56.152 Milano A. 157 Miller E. 179 Mimouni S. C. 180 Minerva 197 Minoide Mynas C. 179 Minucio Felice 7.16-19.23.68.69.244 Mira M. 236 Miralles C. 266 Mitra 7 Mnasea di Patara 21 Modica M. 138.151 Moingt J. 106 Mommsen T. 258 Monaci Castagno A. 257.332 Mombrizio B. 151.159.163 Monceaux P. 70.146.148.161 Mondésert C. 227 Monro D. B. 254 Montgon de C. A. 82 Montserrat D. 121.132 Moreschini C. 34.179.215.218.333 Moretti P. F. 73 Morini E. 160 Morris J. 26 Mosè 14.22.27.29-31.111.243.246. 248. 336.382 Mosés A. 227 Munier C. 148 Murray G. 267 Musca G. 160 Muzzarelli M. G. 143 Nau F. 161 Nausifane 177 Nazario 153 Nazzaro A. V. 34 Nesbitt J. W. 134 Nestle Eb. 8.267 Nestle Er. 267 Nestle W. 15 Neumann C. I. 241.243 Newlands A. E. 370

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Niceforo I 269 Nicola di Mira 160.161 Nicosia S. 260 Nikiprowetzky V. 156.227 Norberg D. 155 Norelli E. 179.186.215.218.234 Novato 74.190 Novaziani 41 Novaziano 215 Nuchelmans G. R. R. M. 261.262 Nuovo Testamento 8.18.26.30.72.73.234. 244.245.249.250.264.265.331.337.338. 376.389 Nutton V. 117.133 Oberman H. A. 379 Oldoni M. 361 Olivari M. 156 Omero 14.201.202.227.254.259 Onorio I 156 Opelt I. 73.74 Opitz H.-G. 228 Oracoli sibillini 29.31 Oribasio 133 Origene 4.7-11.14-17.19.21.25.27.29-32. 36-40.48.49.59.61.76.79.102.104107.1 10.112.117.179.184.190.224. 227-239. 248.257.338.382.388.389 Orlandi T. 8 Oronzo di Gerona 158 Orselli A. M. 152 Osculati R. 336 Otranto G. 138.139.145 Ott I. 351 Otto A. 75 Otto von J. K. T. 47 Oulton J. E. L. 258 Ovidio 210 Pacetto G. 357 Padovese L. 334 Pafnuzio 357.367-371 Pagani 4-13.18-30.33-62.64.65.77.79.81. 101. 104.105.108-112.120.121.124-

INDICE

126.128. 131-134.146.148.153.189199.201.207. 209.212.213.228.238.24 1.242.244.248. 253-259.261. 263-267. 269.273.275-284. 331.332.359.361.36 2.364.367.371.386 Palermo G. 168 Palestina 18.19.53.162 Pancrazio di Taormina 165-167 Paolino di Milano 158.163 Paolino di Nola 189 Paolo di Samosata 258.259 Paolo di Tarso 10.11.15.19.20.46.61.62.101105.108-113.249.267.333.334. 337. 339. 376.378.386.387 Paolo giureconsulto 78 Papadoynnakis Y. 34.50 Papebroch D. 147-149 Parkes J. W. 149.158.161.168 Parmentier L. 267 Paschoud F. 68.257 Passarella R. 73 Patlagean E. 123.149.165 Pavia 152.372 Pax deorum 6.15.54 Pecorella Longo C. 255 Pédech P. 263 Peeters P. 123 Pellegrino M. 68.71.72.158.163 Pelletier A. 227 Pellistrandi S. 155 Pennacchio M. C. 230 Pépin J. 247.248.262 Perelli L. 368 Pericoli Ridolfini F. 338 Peripatetici 177.178.242 Pernot L. 260 Perrone L. 32.35.36.38.228.230.234.235. 257 Pertz G. H. 153.160 Pesce M. 11.139 Peter H. 178 Petitmengin P. 69 Pfeiffer R. 177.261 Philippart G. 144.148

Philippon A. 260.262 Pico della Mirandola 379 Pietri C. 69 Pietro 10.11.20.31.46.62.101-105.108110.112.113.232.249 Pindaro 75.126.337 Pines S. 61 Pione di Smirne 146.147 Piscitelli Carpino T. 161 Pitra J. B. 232 Platelle H. 155 Platone 24.25.56.64.95.96.112.127.177.183. 186.246.247.255.256.260.265.268.276. 278.280.282.283 Plenzat K. 166 Plinio il Vecchio 18.19 Plotino 24.38.53.57.186.262 Plutarco 21.22.96.210.255.260-264.268. 276.279 Polemone 177 Polibio 263 Policarpo di Smirne 24.146 Polotsky H. J. 59 Pompeo 17 Pomponio Trogo 19 Poncelet A. 147 Ponzio 70.78 Ponzio Pilato 23.254 Porfirio 5.8-11.15.16.19.24-26.34-39.4449.51. 53.56.57.62.102.109.110.112.177. 178.183.186.187.248.250.262.273.389 Possidio 55 Pouchet R. 228 Pouderon B. 118.119.233 Pouilloux J. 228 Poulin J.-C 144 Prato C. 88.89.97.266 Prato G. L. 34 Préaux J. 23 Prelini C. 152 Pretagostini R. 266 Pretestato 42 Preuschen E. 229 Preysing K. 181.183

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Price S. 69 Pricoco S. 138.143.149.160.161.165-167. 336 Prinzivalli E. 58.179.184 Procopio di Cesarea 124 Quacquarelli A. 34.168 Quaestiones et responsiones 31.34.37.38. 47.52.54.57.65 Quaglioni D. 139 Quentin H. 151 Quintiliano 15.17 Rabello A. M. 13.168 Rahlfs A. 267 Ramelli I. 15 Rammius Martialis 18 Raterio 359.372 Rauer M. 238 Reboul O. 248 Regenbogen O. 183 Renard P. 176 Retorsio 196.199 Reydellet M. 154 Reynolds G. S. 61 Reynolds L. D. 260 Richard F. 42 Riché P. 123.156.158 Richer J. 243 Ridings D. 14 Riesco Chueca, Pilar 147 Rinaldi G. 4.5.7-12.14-20.25.26.29.30. 34.35.39.40.44-50.53.56.59-61.243. 248.250 Ringgren H. 5 Rives J. B. 16 Rizzi M. 69.71.191.257 Rizzo F. P. 149.158.165 Rizzo Nervo F. 166 Robin L. 255 Rodríguez Monescillo E. 187 Roduit A. 98 Roig Lanzillotta R. 16 Roma 7.12.14-16.22.41.42.46.49.54

446

Roselli A. 120.234 Rossi L. E. 187 Rosvita di Gandersheim 357-372 Rouche M. 155 Rousselle A. 121.150 Rowel G. 129 Rowland C. 69 Ruether R. R. 142 Rufino 42.78.243 Rusconi R. 138 Russell J. B. 332 Rusticola 158.159 Rutgers L. V. 170 Rutilio Namaziano 13.17 Rydén L. 151 Sabato 17.40 Sabazio 7 Saffira 101.102 Saffiotti Bernardi S. 139 Sage M. M. 67 Saitta B. 156 Salinero R. G. 162 Sallmann K. 67 Salomone 19.246 Sallustio 21 Salsa di Tipasa 161.167 Salustio 18 Salvezza 6.14.105-107.126.130.131 Santippe 177 Sardella T. 139.166 Satana 101.165-167.331.332.334.336. 344.346.347.348.386 Sauget J.-M. 148.152.153.158 Saumagne C. 67.79 Saxer V. 148.161 Sbardella L. 271 Scarborough J. 117 Sceva 20 Schäfer P. 22 Scheidweiler F. 215 Schiano C. 162.169 Schickert K. 176 Schipperges H. 117

INDICE

Schmeller A. 360 Schmidt P. G. 78 Schmitt J.-C. 131 Schoedel W. R. 18 Schoell R. 168 Scholten C. 179.182 Schopenhauer A. 196 Schreckenberg H. 139 Schwartz E. 258 Schwyzer H. R. 262 Scognamiglio R. 230.232 Scorza Barcellona F. 138.147.148.161 Sebastiani L. 140 Sebastianus 26.56 Segbroeck van F. 119 Seguí Vidal G. 164 Seneca 17.75.260.262 Seneca Retore 78 Sennis A. 156 Senofonte 112.247.260 Sereniano 88 Sesboué B. 225.226 Sesto Empirico 187 Severo di Minorca 164 Ševčenko I. 134 Ševčenko N. P. 134 Sfair P. 157 Sharf A. 139.156.157.169 Sidonio Apollinare 159 Sigal P. A. 150 Sigona da Lentini S. 149 Silio Italico 15 Simon M. 139 Simone di Samaria 20.31 Simeone Metafraste 162 Simone Stilita il Vecchio 161.162 Simone Stilita il Giovane 168 Simonetti A. 159 Simonetti M. 26.34.67.107.137.146.147. 161.171.179.217.225.228.333 Simplicio 48 Siniscalco P. 67 Sirago V. A. 260 Sirmond J. 149.166

Siro di Pavia 152 Sisebut 156 Skiadas P. K. 130 Slater W. J. 266 Slings S. R. 177.260 Smallwood M. 18 Smets A. 227 Socrate 75.88.89.96.177.255.265 Socrate storico 26.42.56.62.151.153.161. 242 Soden H. 221 Sodini J. P. 132 Sofronio di Gerusalemme 123.132 Sommerstein A. H. 259 Sordi M. 12.18.145 Sozomeno 42.62.242.243 Spahlinger L. 175 Starr J. 157.169 Stefani Pietro 11 Stefano Protomartire 164 Steger F. 130 Steidle B. 331 Steinrück M. 98 Stemplinger E. 178 Stern M. 13 Sticca S. 359.364 Stiernon D. 168 Stoici 177.260 Stow K. R. 154.165 Strabone 17 Strohmaier G. 133 Stroumsa G. G. 140.142.184 Studer B. 34 Sulpicio Severo 331 Sulpizio di Bourges 155 Superstitio 14.17.124.356 Susanna 76 Svetonio 15.17 Swain S. 183 Tacito 14.15.17.22 Tamani G. 155 Taylor M. 142 Temistio 62

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INDICE

Temkin O. 118.120 Teodofilo di Adana 166 Teodoreto di Cirro 37.50.51.112.241.243 Teodoro di Eraclea 11.105 Teodoro di Mopsuestia 10.31.40.45.241. 250 Teodosio I 62 Teofane Confessore 157.169 Teofrasto 16 Teone di Alessandria 178 Teopompo 177 Teostene 257.261 Terenzio 176.357-361.368.370-372 Tertulliano 16-18.20.23.26.28.31.59.68.69. 190 Teske R. 52 Tessalonica 43.227.362 Tetz M. 228 Thomasius J. 178 Tifone 22 Timoteo di Alessandria 132 Todeschini G. 143 Tolomeo I Sotere 17 Tommaso 19 Tosi R. 75.78 Trachtenberg J. 165.167 Traditio legis 20 Trapp M. 183 Trasimaco 279 Troiano M. S. 225 Tuzzo S. 357.368.370.372 Ugenti V. 272 Ulpiano 196 Uytfanghe M. 150.159 Valeriano 12 Valerio Anziate 210 Vannier M.-A. 118.233 Vasoli C. 378 Vauchez A. 139.144.150.156 Velde te H. 22 Venanzio di Arles 159 Venanzio Fortunato 119.149.151.154.

448

155.168 Ven van den P. 152.168 Verdes A. 248 Vermaseren M. J. 18 Vian G. M. 137 Viard P. 147.153.155 Viggiani M. C. 337.342 Villa C. 358 Villette P. 152 Vinay G. 357.358 Vincenzo di Gerona 158 Virgilio 218.220.221.370 Vitale 157.158 Vitelli G. 261 Vittore di Cesarea 147 Vivenzio 42 Volgers A. 52 Volpato A. 147 Volusiano 46.48.53-55 Vox O. 357 Waelkens R. 106.107.114 Wagnereck S. 123 Waitz G. 152.153 Wallace-Hadrill D. S. 34 Walsh J. J. 18 Walther H. 75.77.78 Waltzing J. P. 16 Ward B. 150 Waszink J. H. 184.272 Watthee-Delmotte M. 212 Wendland P. 182 Wilamowitz von U. 272 Williams M. 183.184 Wilson S. 140 Winkelmann F. 258 Wlosok A. 68.257 Wood D. 157 Wright Cave W. 27 Yannopoulos P. 157 Zamagni C. 32.35.38-40.52.176 Zanetti U. 165 Zanetto G. 370

INDICE

Zarka Y. C. 388 Zarri G. 138 Zellentin H. M. 35.184 Zenobio 268 Zenone 96.177 Zeus/Giove 92.126.192-210.212.213 Ziegler K. 175-178.185

Zielinski T. 273 Zito G. 139 Zocca E. 67 Zoroastro 37.59.186 Zosimo di Siracusa 160.162 Zuntz G. 183

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INDICE GENERALE

PRÉFACE ................................................................................................... V INTRODUZIONE ................................................................................... VII PRIMA PARTE TEMI E ASPETTI DELLA POLEMICA RELIGIOSA Contumeliae communes. Circolazione di testi e argomenti nelle controversie religiose di età romana imperiale ............................................... 3 Giancarlo Rinaldi, Università degli Studi “L’Orientale” - Napoli “Tacere ultra non oportet”. Aspetti della polemica cristiana nell’Ad Demetrianum ................................................................................... 67 Maria Veronese, Università degli Studi di Foggia Le polemiche di Giuliano contro i Cinici .................................................... 87 Dina Micalella, Università degli Studi di Torino Gal 2,11-14 in the two antagonists of Macarius Magnes’ Apokritikos ....... 101 Antonio Cataldo, Università del Salento - Lecce La polémique contre les médecins et la médecine des païens dans l’hagiographie chrétienne: le dossier des saints Côme et Damien .............. 117 Valeria Novembri, Genova La polémique entre juifs et chrétiens dans les textes hagiographiques du haut moyen âge .................................................................................... 137 Immacolata Aulisa, Università degli Studi “Aldo Moro” - Bari

SECONDA PARTE LESSICO E STRUTTURE RETORICHE DEL DISCORSO POLEMICO Das Plagiat als polemisches Motiv und die “Refutatio omnium haeresium” ................................................................................................ 175 Onofrio Vox, Università del Salento - Lecce

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INDICE GENERALE

Un dio da distruggere: modalità del discorso polemico in Arnobio .......... 189 Paola Santorelli, Università degli Studi “Federico II” - Napoli Texto y tradición textual en el «De laude martyrii» ................................... 215 Lamberto Ferreres, Universidad de Barcelona Dalla polemica all’omelia: tradizione origeniana e radici bibliche nell’Omelia sul salmo 29 di Basilio di Cesarea ........................................... 223 Ilaria Trabace, Università degli Studi “Aldo Moro” - Bari Julien et la Bible : lexique et stratégies interprétatives ................................ 241 Valerio Ugenti, Università del Salento - Lecce The narrative sections of Macarius Magnes’ Apocriticus ........................... 253 Alessandro Capone, Università del Salento - Lecce Le clausole metriche nel terzo libro dell’Apocritico di Macario di Magnesia .............................................................................................. 271 Adele Filippo, Università del Salento - Lecce The ‘Polemic lexicon’ in some hagiographical episodes of late antiquity. The dialogue between the saint and the devil ............................................ 331 Valentina Zanghi, Università di Genova

TERZA PARTE RELIGIONE E RETORICA: SVILUPPI SUCCESSIVI L’esaltazione della castità delle vergini cristiane nei drammi di Rosvita (Dulcitius e Pafnutius) ............................................................................... 357 Sabina Tuzzo, Università del Salento - Lecce The debate on human will in Erasmus of Rotterdam and Luther .............. 375 Luana Rizzo, Università del Salento - Lecce CONCLUSIONI ...................................................................................... 393 BIBLIOGRAFIA ..................................................................................... 401 INDICE .................................................................................................... 435 INDICE GENERALE ............................................................................. 451

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