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Italian Pages 144 [134] Year 2009
Prima edizione 2009 Ristampa ottobre 2009
© 2009 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti cli memorizzazione elettronica, cli riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Litografia EST di Settimo Torinese (To) ISBN 978-88-339-2002-3 Titolo originale How to Read Lacan Grama Publications, London 2006 © 2006 Slavoj Zizek Traduzione di Marta Nijhuis Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www.bollatihoringhieri.it
Indice
L'insostenibile compiacenza del Super-io: Ziiek su Lacan di Mauro Carbone
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Leggere Lacan Prefazione
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r. Gesti vuoti e discorsi performativi: Lacan affronta il complotto della CIA
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2.
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3. Dal Che vuoi? al fantasma: Lacan con Eyes Wide Shut
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4. Problemi con il Reale: Lacan spettatore di Alien
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5. Io ideale e Super-io: Lacan spettatore di Casablanca
Il soggetto interpassivo: Lacan fa girare un mulino · di preghiera
ro8 6. «Dio è morto, ma non lo sa»: Lacan gioca con Bobòk I 2r
I 35
7. Il soggetto perverso della politica: Lacan lettore di Moharnmed Bouyeri
Indice dei nomi
L'insostenibile compiacenza del Super-io: Zizek su Lacan Mauro Carbone
Di rado i tratti più acuti di un'epoca emergono anzitutto dai ragionamenti sistematici che la percorrono. Più spesso giungono alle nostre orecchie incredule nell'ombra abbagliante di parole che, come certe immagini troppo crude, a lungo rifiutiamo di comprendere, rifugiandoci invece nella certezza di assiomi prestabiliti o al riparo di un razionalismo prigioniero delle sue stesse strutture. Per questo, nel dipingere l'orizzonte del pensiero lacaniano evseguendo in tal senso l'insegnamento dello stesso Lacan, 1 Slavoj Zizek non esita a mettere la psicoanalisi e la filosofia ali' ascolto delle voci che provengono dall'arte, dalla quotidianità della politica e dalla cultura pop, «includendosi fuori» - come dice lui stesso - rispetto ali' attuale panorama della cultura occidentale: 2 introducendovi, cioè, una sfasatura che gli permette di interpretare con strepitosa lucidità gli aspetti più inquietanti del vivere contemporaneo. Nella seconda delle sue Considerazioni inattuali, Nietzsche scriveva: Inattuale è questa considerazione, perché cerco di intendere qui come danno, colpa e difetto dell'epoca qualcosa di cui l'epoca va a buon diritto fiera, la sua formazione storica; perché credo addirittura che noi tutti soffriamo di una febbre storica divorante e che dovremmo almeno riconoscere che ne soffriamo. 3 1
Vedi la «Prefazione» di Zizek a questo stesso volume. Vedi Carmagnola F., Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy, Bruno Mondadori, Milano 2006, in particolare «Appendice. Zizek e l'immaginario», p. 192. 3 Nietzsche F., Unzeitgemdsse Betrachtungen, Zweites Stuck: Vom Nutzen und Nachteil der Historie /ur das Leben (1874), in Kritische Gesamtausgabe, sez. 3, vol. r, de Gruyter, Miinchen-Berlin-New York 1988 [trad. it. Sull'utilità e il danno della storia per la vita. 2
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In proposito, spiega Giorgio Agamben: Nietzsche situa la sua pretesa di «attualità», la sua «contemporaneità» rispetto al presente, in una sconnessione e in una sfasatura. Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più di altri di percepire ed afferrare il suo tempo. Questa non-coincidenza, questa discronia non significa, naturalmente, che contemporaneo sia colui che vive in un altro tempo(. .. ). Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni caso di appartenergli irrevocabilmente, sa di non poter sfuggire al suo tempo. La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione con il proprio tempo, che aderisce ad esso e, insieme, ne prende le distanze. 4
Analogamente, proprio nel compiere uno scarto rispetto al pensiero del sgo tempo, talvolta praticandovi persino una «cesura faziosa», 5 Zizek lo rende (in-)attuale, ossia capace di offrire una chiave di lettura del presente priva di quelle rassicuranti inibizioni che abitualmente proteggono e insieme ottenebrano il nostro vivere comune. Una lettura disinibita, quella di Zizek, che non manca infatti di mettere in luce le patologie della nostra epoca - e in particolare il suo carattere perverso - 6 mediante un gesto a sua volta «perverso»: se il la tino pervertere significa «sconvolgere, sovvertire, mettere sottosopra», e si compone di per - che indica la deviazione, lo scarto - e di vertere - ossia «volgere»-, allora si può davvero dire che Zizek rimescoli audacemente le teorie delle quali si avvale, rimettendole poi in gioco con un pizzico di malizia. «Contemporaneo è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo»,7 sottolinea ancora Agamben. Con il lapidario annuncio del suo «uomo folle» - «Got ist tot» - 8 Considerazioni inattuali, II, in Opere di Friedrich Nietzsche, voi. 3, t. 1, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelplù, Milano 1973 e 1974 (17• ed. 2006), p. 4]. 4 Agamben G., Che cos'è il contemporaneo?, Nottetempo, Roma 2008, pp. 8-9. 5 Vedi infra, p. 28. 6 Vedi infra, cap. 7. 7 Agamben, Che cos'è il contemporaneo? cit., p. 15. 8 Vedi Nietzsche F., Die /roliche Wissenschaft (1882), in Kritische Gesamtausgabe, sez. 5, vol. 2, de Gruyter, Miinchen-Berlin-New York 1973 [trad. it. La gaia scienza, in Opere di Friedrich Nietzsche, vol. 5, t. 2, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelplù, Milano 1965 e 1977 (14• ed. 2003), aforisma 125, «L'uomo folle», pp. 162-64].
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Nietzsche fissa il suo sguardo appunto in quel fascio di tenebra che orienta poi verso di noi. Come, del resto, poco prima di lui aveva fatto anche Fedor Dostoevskij, avvertendo nel capolavoro della sua maturità artistica, I fratelli Karamazov, che «se non vi è immortalità dell'anima, non vi è neppure virtù e dunque tutto è lecito». 9 « Con questo "tutto è lecito" ha veramente inizio la storia del nichilismo contemporaneo», 10 ha osservato Albert Camus. E JeanPaul Sartre, a sua volta, ha spiegato: Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l'uomo è «abbandonato» perché non trova né in sé né fuori di sé possibilità d'ancorarsi. E non trova anzitutto neppure delle scuse. (... )L'uomo è libero, l'uomo è libertà. Se, d'altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che diano il segno della legittimità della nostra condotta. Così non abbiamo né davanti a noi né dietro di noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l'uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa. 11
Ma se l'uomo è condannato a essere libero, si può davvero dire che per lui «tutto è lecito»? Sembra piuttosto che anche i percorsi che potevano aprirsi fra un Comandamento e l'altro ci risultino preclusi allorché i Comandamenti stessi si dissolvono: il figlio di Dio era libero di aggirarsi fra il Bene e il Male proprio perché fra Bene e Male sussisteva la demarcazione stabilita dai valori, il punto di riferimento che gli indicava i termini della scelta. Sua la responsabilità: l'eventualità di un'eterna condanna al rogo infernale che a ogni ustione gli rammentasse la grandezza della sua corruzione; ma anche la possibilità della Redenzione, poiché attraverso il pentimento e l'espiazione egli rimetteva la responsabilità di una scelta sbagliata a 9
Dostoevskij F., Brat'ja Karamà:wvy (1878-80) [trad. it. I fratelli Karama:wv, a cura di I. Sibaldi, vol. 1, Mondadori, Milano 1994, p. u6]. Come lo stesso Zizek sottolinea (vedi infra, cap. 6), Dostoevskij è un autore tutt'altro che ateo: se mostra l'orrore di un mondo senza Dio, è per cercare di ricondurre anche i più cinici sulla via di una fede consapevole. 1 Camus A., L'homme revolté, Gallimard, Paris 1951 [trad. it. L'uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1957, p. 71]. 11 Sartre J .-P., L 'existentialisme est un humanisme, Nagel, Paris 1946 [trad. it. L 'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1963 (8 3 ed. 1974), pp. 46-47]
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Dio e alla sua infinita clemenza. Cosi i peccatori di Dostoevskij, moralmente devastati dalla nefandezza del loro agire nichilistico, trovavano nell'onta della pubblica espiazione un barlume di serenità e speranza. Ma se «siamo noi gli assassini di Dio», 12 come Nietzsche denuncia, certo non possiamo più contare su una distinzione fra Bene e Male, fra verità ed errore; dunque, non abbiamo speranza di redenzione: vaghiamo «come attraverso un infinito nulla», 13 il nulla (in latino nihi~ del nichilismo, che va a segnare la portata «epocale» dell'evento della morte di Dio. L'annuncio di tale evento sembra infatti scandire la fine di un'epoca, addirittura della «storia» stessa, se intesa quale insieme delle vicende umane dotato di un senso ultimo comprensibile: una fine che si pone nel segno del nichilismo in quanto venir meno dei valori supremi cui l'Occidente, da Platone in poi, si era affidato. Com'è noto, nello pseudoaforisma numero 2 raccolto nel volume postumo La volontà di potenza, Nietzsche si chiedeva infatti: « Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?». 14 La morte di Dio costituisce peraltro un evento di cui, come anticipavamo poc'anzi, Nietzsche sottolinea che proprio all'uomo spetta la responsabilità, sebbene gliene manchi ancora la consapevolezza: «vengo troppo presto», 15 constata pertanto «l'uomo folle». È come se, per rimuovere la traumatica responsabilità della morte di Dio, avessimo rimosso addirittura l'esistenza di quel Dio che abbiamo ucciso: se mai è esistito, infatti, mai lo abbiamo potuto uccidere. Forse proprio per questo, come Zizek rileva in Lacan, «la vera formula dell'ateismo non è Dio è morto(. .. ) la vera formula dell'ateismo è che Dio è inconscio». 16 Rimosso per non ammetterne l'uccisione, quel Dio abita quindi il nostro inconscio con gli echi delle sue antiche proibizioni. 12 Nietzsche, La gaia scienza cit., p. 162. 13 Ibidem, p. 163. 14
Nietzsche F., Der Wille zur Macht. Versuch einer Umvertung aller Werte (1906), [trad. it. La volontà di potenza. Saggio dz una trasvalutazione di tutti i valori, frammenti postumi ordinati da P. Gast e E. Fèirster-Nietzsche, nuova ed. it. a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 1992 (5• ed. 2005), p. 9]. 15 Nietzsche, La gaia scienza cit., p. r6.3. 16 Vedi infra, p. 108.
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In un'intervista pubblicata nell'agosto del 2006 su «Le magazine littéraire», la svalutazione dei valori supremi diagnosticata da Nietzsche sembra riecheggiata da Zizek là dove egli dichiara che «vi è oggi un problema con il fallimento degli ordini simbolici», 17 ossia - precisa - di quanto Lacan chiama «grande Altro». 18 È noto infatti che con quest'ultima espressione lo psicoanalista francese designa quell'agire impersonale, culturalmente costruito, il cui sguardo cerchiamo da un lato di impressionare con il nostro comportamento e dall'altro di assumere come parametro in base al quale misurarci; detto altrimenti: la regola non scritta che governa la società, il costante riferimento a un «Altro» virtuale ma sempre presente e pronto a sincerarsi che lo svolgersi delle nostre azioni sia conforme alle sue aspettative. Il suo pendant si chiama Super-io e corrisponde a quello stesso agire impersonale nel suo versante «vendicativo, sadico e punitivo»: 19 mi comporto in un certo modo perché cosl prescrive il grande Altro; mi sento in colpa in una certa occasione perché così decreta il Su.&er-io. Nella nostra epoca - suggerisce Zizek - il fallimento degli ordini simbolici tradizionali, ossia la nietzscheana morte di Dio, ha provocato un pervertimento del Super-io, ma anche del grande Altro. Infatti, più ancora di quanto egli sia disposto ad ammettere in questo libro adducendo esempi di conflitto tra grande Altro e Super-io come quelli che compaiono nel capitolo su «Lacan spettatore di Casablanca», 20 sempre più prepotentemente il grande Altro fa mostra di aspettarsi da noi non già la temperanza, ma semmai - coerentemente con la caratterizzazione edonistica della nostra società su cui Zizek tanto insiste - l'eccesso. D'altro canto, proprio qu~sto è quanto impone a sua volta il Super-io, che dunque, prosegue Zizek nell'intervista, come Lacan aveva ben visto, (. .. )funziona quale imperativo di godimento non meno che quale divieto. La conseguenza paradossale e tragica è una corsa sfrenata al godimento che, ovviamente, sfocia nell'impossibilità di godere, dal momento che il Super-io esige sempre di più. 21 17 Vedi Rabouin D., Entretien avec S!avoj Ziiek. Le désir, ou la trahison du bonheur, «Le magazine littéraire», 455, luglio-agosto 2006, p. JI. 18 Ibidem. 19 Vedi infra, p. 98. 20 Vedi infra, cap. 5. 21 Rabouin, Entretien avec S!avoj Ziiek cit., p. 31, corsivo nostro.
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Un tempo esclusivo depositario del divieto di godere, dunque, sempre più il Super-io sembra ora impartire piuttosto il divieto di non godere, al punto che, spiega ancora Zizek, «non ci si sente più in colpa quando ci si abbandona a piaceri illeciti, come prima, ma quando non si è in grado di approfittarne, quando non si arriva a godere». 22 Sull'altro versante, le dinamiche sovvertite dalla morte di Dio, lungi dall'averci affrancati dalle tradizionali proibizioni, ne alimentano l'insinuarsi nei luoghi più reconditi della psiche umana, sicché in quello che veniva tipicamente considerato il terreno di pulsioni sfrenate e di inconfessabili desideri repressi - l'inconscio - possono soltivarsi addirittura impulsi a un morigerato pudore. 23 Ne conclude Zizek: La psicoanalisi deve rendersi conto che la vecchia situazione, nella quale la società è portatrice di divieti e l'inconscio di pulsioni sregolate, è oggigiorno invertita: è la società a essere edonista e sregolata, mentre è l'inconscio che regola. 24
Dove «società» è evidentemente uno degli infiniti nomi di quel grande Altro che ha come sadico pendant l'incontentabile Super-io, il cui imperativo è oscenamente divenuto: «Godi!» Ritorna allora la domanda che ponevamo in precedenza: essendo quella della libertà che segue la morte di Dio una condizione di condanna - a leggere Lacan con Zizek, una paradossale condanna al godimento-, si può davv~ero dire che, nella sua prospettiva, «tutto è lecito»? Ecco infatti Zizek sottolineare che, secondo Lacan, il celeberrimo motto dostoevskijano ricordato prima non è che un'affermazione ingenua: piuttosto, «se Dio non esiste, allora più niente è pennesso»! 25 Sia consentito richiamare .a questo punto un racconto di Milan Kundera, autore che, come Zizek, l'esperienza del dissenso da un regime comunista est-europeo ha reso osservatore particolarmente 22 23
Ibidem, pp. 31-32.
«Se un tempo fingevamo pubblicamente di credere, mentre nel profondo eravamo scettici o addirittura impegnati a burlarci delle nostre credenze pubbliche, oggi tendiamo pubblicamente a professare il nostro atteggiamento - scettico, edonista o rilassato che sia - mentre dentro di noi rimaniamo abitati da credenze e rigide proibizioni» (infra, pp. 1u-12). 24 Rabouin, Entretien avec Slavoi Ziiek cit., p. 3 3. 25 Vedi infra, p. I08, corsivo nostro.
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acuto delle dinamiche di riferimento dell'uomo contemporaneo al proprio grande Altro. 26 Si tratta del racconto intitolato Il Simposio (raccolto nel volume del 1968 Amori ridicoli), dove un piccolo gruppo di medici e infermieri radunato in «un reparto qualsiasi di un ospedale qualsiasj di una città qualsiasi» 27 gioca precisamente il ruolo attribuito da Zizek alla «società». Fin dalle prime battute, vi vengono descritte le eloquenti avances rivolte dall'infermiera Elisabet al dottor Havel, prototipo del libertino novecentesco, il quale ostinatamente la respinge, non mancando di ammonirla con rimproveri altrettanto eloquenti: «Mi gira la testa, davanti alle eterne circonvuluzioni descritte dal suo instancabile sedere mentre cammina. Al diavolo, si allontani da me! »28 Sorpreso dalla reazione del collega, famoso per le sue scorribande erotiche, l'anziano e malizioso primario del reparto sembra farsi portavoce del piccolo gruppo chiedendo al dottor Havel per quale motivo proprio lui respinga con tale veemenza Elisabet, che pure manifesta esplicitamente, in modo talvolta persino imbarazzante, il proprio interesse nei suoi confronti. «Se prende tutto, perché non prende Elisabet?», 29 domanda il primario. E ancora, con crescente irritazione: «Ma allora, perché diavolo non prende Elisabet?» 30 Si può dire che il comportamento di Havel non soddisfi l'aspettativa del grande Altro che dunque, con i suoi sempre più incalzanti «perché no?», interpreta l'imposizione a godere del Super-io. Ma proprio il carattere di imposizione è quanto sembra disturbare Havel: per sua stessa ammissione, il motivo per cui non prende Elisabet è forse che quella donna «mostra il suo desiderio ip maniera così marcata da farlo sembrare un ordine». 31 Come per Zizek, 26 :Z:izek indica appunto nel «comunismo» una possibile declinazione del grande Altro (vedi infra, p. 31). Sulla possibilità di leggere l'opera di Kundera attraverso il pensiero di Zizek, ma anche quello di Jan Patocka, vedi Nijhuis M., Se « Lo scherzo» non fa ridere. Considerazioni a partire dal primo romanzo di Kundera, in M. Carbone e altri, L'Europa dopo l'Europa. L'individuazione anziché l'individuo, Mimesis, Milano 2008, pp. 85-ror. 27 M. Kundera, Smésné ltisky (1968) [trad. it. Amori ridicoli, Adelphi, Milano 1994 (11" ed. 2005), p. 101]. 28 Ibidem, p. 102. 29 Ibidem, p. 103. 30 Ibidem, p. 105. 31 Ibidem, p. 103, corsivo nostro.
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insomma, anche nel racconto di Kundera le tradizionali dinamiche legate al desiderio risultano almeno tendenzialmente ribaltate: il godimento sembra divenuto un ordine e perde pertanto la sua appetibilità, provocando un inspiegabile ma opprimente disgusto. « I suoi seni hanno l'onnipresenza di Dio», 32 commenta Havel nauseato. Come sosteneva Lacan, il rimosso e il suo ritorno costituiscono un unico processo; 33 l'ateo rimuove Dio e pensa che senza di Lui « tutto è lecito», ma proprio questo arbitrio debordante provoca il suo inevitabile rovescio: la costrizione al godimento, una norma perentoria come lo era stata quella divina, ma perversa e inaggirabile proprio in quanto non più circoscritta dal limite della Legge. L'enorme seno della madre interviene, quale depravato rovescio del divieto del Padre, a soffocare un figlio rimasto orfano di qualsiasi valore. Il Dio rimosso - la Legge, la Necessità - torna come tassativa imposizione a godere, come necessità di godere, irrimediabilmente guastando il godimento stesso. Perché, dunque, Havel non prende Elisabet? « Se devo essere sincero, non so perché non prendo Elisabet (... ). Forse ho deciso di oppormi alla necessità». 34 Già, perché il godimento era il frutto proibito da conquistare con ardimentosa e passionale iniziativa, mentre al suo posto troviamo una collezione di piaceri spiacevolmente serializzati, automatici adempimenti all'ordine del Super-io. Nel paragrafo del Simposio kunderiano significativamente intitolato «La fine dei Don Giovanni», il dottor Havel spiega allora ai suoi interlocutori i motivi per cui, nonostante il suo libertinismo, egli non si consideri affatto un Don Giovanni: Don Giovanni. Lui sl che era un conquistatore. E di quelli con la maiuscola. Il Grande Conquistatore. Ma scusatemi, come volete essere un conquistatore in un territorio dove nessuno vi impedisce alcunché, dove ogni cosa è possibile e tutto è permesso? L'èra dei Don Giovanni è finita. Il discendente attuale di Don Giovanni non conquista più, colleziona soltanto. Il personaggio del Grande Conquistatore è stato sostituito dal Grande Collezionista, solo che il Collezionista è tutto meno che un Don Giovanni. Don Giovanni era un personaggio da tragedia. Su di lui pesava la colpa. Peccava allegramente e rideva di Dio. Era un blasfemo e finl all'inferno (... ). 32 33 34
Ibidem, p. 102, corsivo nostro. Vedi infra, p. 4r. Kundera, Amori ridicoli cit., p.
105,
corsivo nostro.
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Don Giovanni era un signore, mentre il Collezionista è uno schiavo. Don Giovanni trasgrediva con impudenza le convenzioni e le leggi. Il Grande Collezionista si limita ad applicare ubbidiente, col sudore della fronte, le convenzioni e le leggi, perché il collezionismo è entrato nel novero delle buone maniere, del bon ton, è quasi un obbligo. Se su di me pesa una colpa, è solo quella di non prendere Elisabet. 35
In queste righe, designando Don Giovanni come signore e il Grande Collezionista come schiavo, Kundera denuncia il carattere fittizio della libertà ali' epoca del «tutto è lecito». Il godimento, un tempo considerato segreta soddisfazione di brame inconfessabili, diventa una questione di «bon ton», «qualcosa di simile alle colazioni e ai pranzi, alla filatelia, al ping-pong, se non addirittura a una corsa in tram o a un giro per acquisti», 36 qualcosa, insomma, che la società si aspetta da noi, qualcosa cui pertanto non è dato sottrarsi, a meno di non sentirsi in colpa: « Se su di me pesa una colpa - abbiamo sentito Havel considerare - è solo quella di non prendere Elisabet». Non vanno qui dimenticate le parole di Zizek che richiamavamo sopra: «Non ci si sente più in colpa quando ci si abbandona a piaceri illeciti, come prima, ma quando non si è in grado di approfittarne, quando non si arriva a godere». Abbiamo sentito come una delle giustificazioni che Havel cercava di addurre al grande Altro per non aver preso Elisabet fosse che quella donna presentava il proprio desiderio in maniera così esuberante da farlo apparire un ordine. Eppure, di simili ordini- è lui stesso ad ammetterlo nel suo discorso sulla fine dei Don Giovanni Havel è schiavo. Il problema dunque rimane: per quale motivo Havel disobbedisce all'ordine? Il punto è che nemmeno lui lo sa: «Se devo essere sincero, non so perché non prendo Elisabet», lo abbiamo sentito ammettere. Ecco: in questo «non so» abitano il mistero dell'inconscio nonché la sua inaspettata chance. A impedire a Havel di obbedire al comando proferito dal Super-io, a fargliene percepire la nausea e il disgusto, è proprio l'inconscio, il cui silenzioso ammonimento, sussurrato in un orecchio come una saggi~ parola, rimane inspiegabile, ma non sfugge all'attenzione. Con Zizek abbiamo infatti constatato, come peculiari della nostra epoca, da un lato J, Ibidem, pp. 36
120-21.
Ibidem,p. r2r.
Tranne il secondo e il terzo, i corsivi sono nostri.
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la tendenza del Super-io a dettare imposizioni di segno opposto rispetto al passato e dall'altro quella dell'inconscio a echeggiare proibizioni tradizionali che - ben lungi dal conformarsi alle nuove imposizioni - possono anzi contrastare i meccanismi della loro necessità, insinuandovi la sabbia sottile del caso. A differenza dell'aspettativa del grande Altro e dell'imposizione del Super-io, che costantemente sovrastano ogni nostra azione chiedendone conto, l'inconscio emerge infatti carsicamente, in modo imprevedibile e tuttavia decisivo, richiamando quelle regole rimosse. Proprio tali regole - e proprio in quanto rimosse - sembrano racchiudere allora un'ultima chance di libertà: se, morto Dio - o forse dovremmo dire, rimosso Dio-, nulla sembra più permesso - al punto che il dottor Havel si trova a dover amaramente constatare che i suoi amori « (se cosl posso chiamarli) sono l'impiantito di una scena sulla quale non si recita nulla» 37 - ecco che la possibilità di aprirsi almeno qualche spazio di libertà viene talvolta offerta appunto dal sottosuolo inaccessibile del rimosso, dalla palude impraticabile dell'inconscio. Da qui quella possibilità emerge di tanto in tanto, in modo inaspettato, per un istante. Disorientati, il più delle volte non siamo pronti a coglierla. È infatti vero che il dottor Havel non prende l'infermiera Elisabet; ma solo poche pagine dopo non smentisce il proprio ruolo di Collezionista. Quando la giovane e attraente dottoressa, amante del primario, lo raggiunge nella sua stanza e gli si offre, dapprima Havel obietta che l'amicizia che lo lega all'anziano collega non gli consente di cedere a quelle lusinghe. Ma poi? «Che cosa ha fatto il dottor Havel?», si chiede, retorica, la voce narrante di Kundera. E risponde: «Ah, che domande ... ». 38 Prevedibilmente, Havel obbedisce all'ordine del Super-io, nonché all'aspettativa del grande Altro, ripristinando il meccanismo dell'eterno ritorno di quella stessa miserrima commedia che solo poche pagine prima aveva energicamente deprecato. Ma non dimentichiamolo: poche pagine prima l'aveva effettivamente deprecata. Questo ci importa, questo ci interessa ritenere. Quel granello di sabbia che si era inaspettatamente insinuato nel grande meccanismo della necessità emergendo dall'inconscio come un segreto 37 38
Ibidem. Ibidem, p.
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residuo del rimosso, offriva la chance per affrancarsi almeno una volta dalla necessità stessa, trasformandola cosl. in una mera possibilità da scegliere o rigettare. Offriva, insomma, la chance per spezzare il circolo - vizioso, è proprio il caso di dirlo - dell'eterno ritorno all'obbedienza rassegnata dell'uomo senza Dio, che si illude che tutto gli sia lecito per non dover riconoscere il beffardo dramma della sua condizione: nulla gli è davvero permesso. Non stiamo dunque dicendo che occorra ripristinare Dio perché ci siamo infine resi conto che, quando potevamo contare sui suoi comandamenti e sulle sue proibizioni, allora sl che eravamo liberi. Niente affatto: dal nichilismo non si esce a marcia indietro. La credenza restaurata non potrebbe che essere fittizia, rivelandosi una risposta ancora una volta volontaristica a un comando, non diversa dall'atto di obbedienza a un ordine del Super-io. Ma a un simile atteggiamento, che estremizza il volere assoggettandolo a un dovere (auto)imposto, può imprevedibilmente contrapporsi un'indicazione di quell'inconscio nel quale hanno trovato rifugio le tradizionali proibizioni. Assecondare una tale indicazione può infatti significare ora volerla davvero. In questo senso dicevamo che le regole sepolte nell'inconscio, proprio in quanto rimosse e quindi soggette all'eventualità di un ritorno casuale che ne snaturi il carattere stesso di regole, possono aprirci almeno qualche varco di libertà: per andare verso ciò che non sapevamo di volere, infrangendo il divieto di abbandonarci ai piaceri illeciti ma anche l'imposizione di approfittarne. Secondo Zizek, oggi il compito della psicoanalisi è appunto quello di rendere meno opprimente l'imposizione a godere: « non che sia vietato godere: solo, è alleviata la pressione di doverlo fare». 39 Più in generale, non sostituire nuove imposizioni ai vecchi comandamenti appare la sfida decisiva cui il tempo del nichilismo ci chiama.
39
Infra, p.
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RINGRAZIAMENTI
Per la competenza e la disponibilità con cui hanno offerto la loro preziosa consulenza, questo volume ha un debito di gratitudine con Matteo Bonazzi e Bruno Fornara. Tengo inoltre a rivolgere un ringraziamento particolare a Marta Nijhuis, con cui ho approfonditamente discusso temi e articolazioni della mia «Introduzione», traendo fondamentale profitto dalle sue osservazioni e dalla sua minuziosa conoscenza del testo che ha tradotto. M.C.
Leggere Lacan
A Tim, il più giovane materialista dialettico al mondo!
Prefazione
Cerchiamo ancora solo un tantino di snebbiarci il cervello. 1
Nel 2000, il centesimo anniversario dalla pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni di Freud fu accompagnato da una nuova ondata di proclami trionfalistici sulla morte della psicoanalisi: con i recenti progressi nelle scienze del cervello, essa è stata sepolta, insieme ai confessori religiosi e agli interpreti di sogni, nello sgabuzzino dell'oscurantista, prescientifica ricerca di significati nascosti al quale da sempre apparteneva. Secondo Todd Dufresne, 2 nessuna figura nella storia del pensiero umano fu mai più errata in tutte le sue basi; fatta eccezione per Marx, si potrebbe aggiungere. Era dunque prevedibile che, nel 2005, all'infamante Libro nero del comunismo, che elencava tutti i crimini perpetrati dai comunisti,3 seguisse il Libro nero della psicoanalisi, che a sua volta enumerava tutti gli errori teorici e gli inganni clinici della psicoanalisi. 4 Per questa via negativa, se non altro, la profonda vicinanza tra marxismo e psicoanalisi appare ormai chiara a chiunque. Qualcosa giustifica questa oratoria funebre. Cent'anni fa, per collocare la propria scoperta dell'inconscio nella storia dell'Europa 1
Lacan J., Le séminaire de Jacques Lacan. Livre VII. L'éthique de la psychanalyse (I959-1960), Seuil, Paris 1968 [traci. it. Il Seminario. Libro VII. Testo stabilito da Jacques-Alain Miller. L'etica de/I.a psicoanalisi I959-I960, Einaudi, Torino 1994 (2• ed. 2008), p. 355]. 2 Vedi Dufresne T., Killing Freud: 20th Century Culture and the Death o/ Psychoanalysis, Continuum, London 2004. 3 Courtois S. e altri, Le livre noir du communisme, Laffont, Paris 1997 [trad. it. Il libro nero del comunismo europeo: crimini, terrore, repressione, Mondadori, Milano 1998 (2' ed. 2006)]. ~ Meyer C. e altri, Le livre noir de la psychanalyse. Vivre, penser et aller mieux sans Freud, Arènes, Paris 2005 [trad. it. Il libro nero della psicanalisi, Fazi, Roma 2006].
Prefazione
moderna, Freud sviluppò l'idea di tre successive umiliazioni dell'uomo, che chiamò le tre «malattie narcisistiche». Prima Copernico dimostrò che la Terra ruota intorno al Sole, sottraendo cosl a noi umani la posizione al centro dell'universo che sino ad allora avevamo occupato. Poi Darwin dimostrò il nostro discendere dal cieco processo evolutivo, privandoci del posto d'onore fra gli esseri viventi. Infine, quando Freud svelò il ruolo predominante che l'inconscio riveste nell'ambito dei processi psichici, risultò che il nostro Io non è padrone nemmeno in casa propria. Oggi, a cent'anni di distanza, affiora un'immagine persino più cruda: le più recenti conquiste scientifiche sembrano infliggere all'immagine narcisistica dell'uomo tutta una serie di ulteriori umiliazioni. Persino la nostra mente non è altro che una banale macchina computerizzata che elabora dati; il nostro senso di libertà e di autonomia, l'illusione di chi utilizza questa macchina. Alla luce delle odierne scienze del cervello, dunque, la stessa psicoanalisi, lungi dall'essere sovversiva, sembra piuttosto appartenere a quel tradizionale campo umanistico minacciato dalle più recenti umiliazioni. La psicoanalisi può dunque oggi essere considerata superata? Sembra di sì, a tre livelli connessi fra loro: (r) quello della conoscenza scientifica, in cui il modello cognitivista-neurobiologico della mente umana pare sostituire il modello freudiano; (2) il livello della clinica psichiatrica, in cui il trattamento psicoanalitico perde rapidamente terreno, superato dalle pillole e dalla terapia comportamentale; (:;) infine, il livello del contesto sociale, in cui l'immagine freudiana di una società e di norme sociali che rimuovano gli impulsi sessuali dell'individuo non sembra più render conto del permissivismo edonistico oggi predominante. Eppure, nel caso della psicoanalisi, il funerale potrebbe essere prematuro, celebrato per un paziente che ha ancora una lunga vita davanti. In contrasto con le verità «evidenti» abbracciate dai detrattori di Freud, il mio obiettivo consiste nel dimostrare che il tempo della psicoanalisi è giunto solo adesso. Viste attraverso gli occhi di Lacan, attraverso quello che Lacan chiama il suo