Le grandi scuole pianistiche 8875921148, 9788875921149

GUIDE ALLA MUSICA (NR 135856 - NR 13585600)

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Italian Pages 264 [265] Year 1992

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Le grandi scuole pianistiche
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PIERO RATTALINO

Le grandi scuole pianistiche

RICORDI

A tutti i miei allievi

. © Copyright 1992 by G. RICORDI & C. S.p.A. - Milano Anno 1992 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Printed in Italy 135856

ISBN 88-7592-114-8

Indice

Nota apologetica I due Bach Clementi Allievi di Clementi a) Moscheles a Lipsia b) Field e i russi Mozart I mozartiani a) Hummel e Thalberg b) Gli italiani c) Gli inglesi Beethoven I beethoveniani a) Czerny b) Leschetizki L. Adam Boìeldieu Chopin Liszt Allievi di Liszt a) Bùlow b) Tausig c) Thomàn e Sgambati Busoni Congedo Antologia di testi M. Clementi In troductìon to the Art ofPlaying on the Piano-forte [.. .fop. 42 L. Adam Méthode de piano du Conservatoire F. Pollini Metodo per clavicembalo da adottarsi nel Regio Conservatorio e nelle altre case del Regno J.N. Hummel Ausfiìhrlich theoretisch-practische Anweisung zum Pianofortespiel [...] F. Kalkbrenner Méthode pour apprendre le piano-forte à l’aide du guide-mains F. Fétis e I. Moscheles Méthode des Méthodes

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16 20 24 27 27 31 36 3$ 41 41 44 50 55 62 68 77 77 80 §4 8g 95 97

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C. Czerny Vollstandige theoretisch-praktische Pianoforteschule op. 500 S. Thalberg Uber die Kunst des Gesanges auf dem Pianoforte op. 79 B. Cesi Metodo per lo studio delpianoforte T.A. Matthay The Act of Touch in all its Diversity F. Busoni Lettere alla moglie F. Busoni Lo sguardo lieto

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Nota apologetica

Si suol dire che il maestro forma l’allievo. Ma non è priva di verità la locu­ zione che s’usa di preferenza tra i musicisti, e cioè che il maestro fa l’allievo, perché la didattica partecipa nello stesso tempo dei caratteri dell’insegnamento elementare e dell’insegnamento universitario: il maestro di pianoforte è maestro di grammatica, ed è maestro di stilistica e d’estetica. Maestro di grammatica, cioè di tecnica pianistica. È questa la parte del­ l’insegnamento che più facilmente si può ridurre a teoria, e che più si giova della ricerca, se non scientifica, razionale, condotta dal maestro ed esperimentata su una lunga serie di allievi. La soluzione del problema della tecnica diventa facilmente patrimonio comune a molti individui, viene fissata dai grandi didatti in un sistema di esercizi progressivi, il Metodo, e costituisce la fondamentale caratteristica che accomuna gli appartenenti ad una stessa scuola. Il maestro di pianoforte è maestro di stilistica e d’estetica, cioè di interpre­ tazione. Oltre, e durante l’insegnamento della tecnica, il didatta deve avviare l’allievo alla conoscenza di tutta la letteratura pianistica, cioè ad interpretare i vari autori. Non è certo il caso di insistere sull’importanza di questa parte dell’attività didattica, perché indagini ripetute e profonde hanno mostrato la complessità dell’atto interpretativo, che richiede in chi lo pratica un vasto patrimonio di conoscenze filologiche e storiche. A noi basterà richiamare l’attenzione su un punto: la tradizione. La tradizione, nel campo dell’inter­ pretazione, corrisponde all’incirca al metodo nel campo della tecnica, e con­ siste nel perpetuarsi di maestro in allievo delle scelte operate dall’interprete fra le possibilità che il nudo testo gli offriva. E la tradizione è il secondo ele­ mento di caratterizzazione di una scuola. L’allievo, ricevuti dalla scuola stimoli e mezzi per sviluppare le sue qualità naturali, inizierà poi da solo il suo cammino e supererà o non supererà l’in­ segnamento ricevuto — cioè, andrà o non andrà oltre la cultura del suo mae­ stro — a seconda della vivacità del suo ingegno, della vastità dei suoi interes­ si spirituali, dell’ambiente, anche, nel quale si troverà a svolgere la sua atti­ vità di musicista. Il maestro vero avrà comunque cercato di favorire nell’al­ lievo la nascita di una personalità, badando bene a non fare della scuola una caserma. E qui si pone l’ultimo compito del maestro. Il maestro di pianoforte è anche maestro di morale o, in senso lato, di vi­ ta. Non si vuol sostenere che l’insegnamento della morale positiva sia parte della didattica pianistica, e non si potrebbe dire in coscienza che il contegno professionale di tutti i maestri sia moralmente ineccepibile. Leggiamo insie­ me il biglietto da visita di un tizio — non oseremo dire un maestro — di cui taceremo pudicamente il nome dopo aver garantito al nostro lettore l’assolu­ ta autenticità del reperto:

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* * *

Maestro scientifico-normale di pianoforte Unico maestro scientifico di educazione dattiloginnico pianistica coadiuvatore ad eminenti professori Maestro scientifico correggitore da insegnamento difettoso Maestro scientifico per le attitudini semideficienti Professore nell’istituto dei Ciechi Già professore nelle scuole municipali di musica Premiato all’esposizione musicale tenuta nel R. Conservatorio di Milano l’anno 1881 Autore di più di 150 grandi invenzioni dattiloginniche pianistiche costituenti leggi imperiture ed incontrovertibili Inventore del Metromano-Piano strumento dattiloginnico-scientifico Approvazione ed amministrazione del R. Conservatorio di Milano, a. 1897. L’inventore del Metromano-Piano ci ricorda sinistramente altri figuri del­ la sua risma, ancor oggi presenti nel campo della didattica, ma non può farci dimenticare che i Clementi, i Czerny, i Moscheles, i Liszt, i Leschetizki, i Cortot, amavano e rispettavano l’insegnamento, erano severi con se stessi prima che con gli allievi, e costituivano dunque per chi ad essi si affidava, quali che fossero i falli della vita privata, un esempio costante di dignità e di serietà. Lo studio delle grandi scuole pianistiche presenta un tentativo di sintesi tra la storia della tecnica e la storia dell’interpretazione viste attraverso le maggiori personalità che operarono nei due campi. Resta però da illustrare il criterio di definizione delle varie scuole che è stato seguito in questo saggio. In molti casi non potevano sorgere dubbi: delle scuole di Clementi, di Adam, di Liszt si è parlato sempre. Non tutti sono invece d’accordo se si parla di scuole di Mozart, di Chopin, e tanto meno di Beethoven. A questo proposito è dunque opportuna una spiegazione. Come abbiamo visto, il maestro di pianoforte opera in quanto maestro di tecnica e in quanto maestro di stilistica e d’estetica; per brevità, d’ora in avanti diremo che opera come pedagogo e come interprete. È evidente allora che la scelta dei capiscuola deve farsi tra coloro che siano stati in grado emi­ nente e pedagoghi e interpreti; ma nel caso di squilibrio tra le due qualità ci è parso preferibile il riferimento a chi fosse stato interprete, anche solo di se stesso, perché l’attività di interprete presuppone sempre e condiziona e a vol­ te innova la tecnica. Un secondo problema era di vedere se convenisse di proseguire l’elenca­ zione seguendo li rami e percorrendo quindi in ogni paragrafo un lungo spa­ zio di tempo, o se al contrario non convenisse di spezzare le catene di maestri e scolari e maestri, cercando di mettere specialmente in luce le reciproche in­

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fluenze fra le varie scuole. Ci è parso preferibile — si tratta di un criterio di opportunità, e quindi opinabile — adottare la prima soluzione, con due ec­ cezioni: Beethoven e Liszt. Certo, questo modo di procedere non tien conto dell’evoluzione del gusto, che lentamente modifica, a volte in modo radicale, i caratteri d’una scuola. Se considerassimo la linea Ravel-de Bériot-Kufferath-Mendelssohn-BergerClementi non potremmo concludere che Ravel risentisse direttamente del­ l’insegnamento di Clementi:, ne risentì, è ovvio, solo al modo di tutti i piani­ sti della fine dell’ottocento, a qualunque scuola appartenessero. Se conside­ rassimo la linea Benedetti Michelangeli-Anfossi-Martucci-Cesi-ThalbergHummel-Mozart non saremmo autorizzati a dire che Benedetti Michelangeli è interprete mozartiano perché proviene da una scuola mozartiana. Questi casi, com’è evidente, cadono da sé nell’assurdo; ma il testo metterà in guar­ dia contro le tentazioni di cogliere derivazioni tanto sorprendenti quanto fantastiche. L’eccezione fatta per Beethoven e per Liszt permetterà comun­ que di non perdere di vista l’evoluzione storica dell’arte pianistica.

L’intreccio di maestri ed allievi è stato “visualizzato” in tavole organizzate secondo gli schemi delle geneaologie. Si tratta di schematizzazioni utili, ma di valore molto limitato. Ben pochi pianisti si formarono infatti con un solo maestro: di norma, invece, dopo il periodo scolastico in cui non di rado ave­ va studiato con due maestri, il futuro concertista proseguiva e completava la sua formazione in vari corsi di perfezionamento. Nelle tavole, per non crea­ re confusioni e difficoltà di lettura, abbiamo indicato un solo maestro per ciascuno dei nomi scelti, comportandoci secondo considerazioni nettamente soggettive. Oltre ai concertisti abbiamo indicato alcuni compositori che, sen­ za essere pianisti, scrissero per pianoforte pagine importanti, ed alcuni diret­ tori d’orchestra che svolsero o svolgono attività pianistica.

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I due Bach

Sarebbe difficile sostenere che Johann Sebastian Bach fosse un ammirato­ re sfegatato del giovane pianoforte. Anche gli storici più sentimentali non si sentono di andar oltre la dichiarazione anodina che Bach, in vecchiaia, co­ minciò a tollerare il nuovo strumento. Un tempo certi scrittori, ispirandosi al grande biografo bachiano Philipp Spitta, salvavano la baracca cercando di dimostrare che Bach aveva “presentito” o “sognato” il pianoforte moder­ no, pur mentre disapprovava il rozzo pianoforte dei tempi suoi. Ma la scap­ patoia non è necessaria. Se consideriamo il posto che Bach occupa nella di­ dattica pianistica, anziché la sua personale antipatia per il pianoforte, non c’è dubbio che proprio al vecchio irascibile clavicembalista tedesco dobbia­ mo risalire nella nostra indagine sulle scuole pianistiche. Al tempo di Bach si richiedeva al maestro di clavicembalo che addestrasse l’allievo nella lettura a vista e nella realizzazione estemporanea del basso nu­ merato; il che presupponeva il possesso di una sicura tecnica della digitazio­ ne e di una buona conoscenza del contrappunto fiorito. Le lezioni di con­ trappunto di Bach non furono trasferite in un trattato; la sua tecnica venne invece fissata in un insieme di opere che, nate casualmente, furono poi con facilità disposte in un ordine sistematico, progressivo e completo. Le opere didattiche di Bach, che riassumono e superano la tecnica del suo tempo, ri­ cacciarono così, nell’angolo delle cose pedagogicamente superflue, le com­ posizioni dei suoi predecessori e contemporanei. Oggi, in tutte le scuole del mondo, l’allievo pianista si nutre di Bach dal principio alla fine degli studi e fa appena la conoscenza di Byrd e di Frescobaldi, di Couperin e di Rameau, di Hàndel. Il solo Scarlatti viene studiato un poco più a fondo: giustamente, perché la tecnica scarlattiana presenta caratteri che la tecnica bachiana non possiede. Ma Scarlatti, che non fu interessato alla didattica, non può essere, come Bach, il pane quotidiano del pianista in formazione. L’insegnamento di Bach non produsse una serie spettacolosa di grandi esecutori: dalla sua scuola uscirono piuttosto degli eccellenti artisti, che sa­ pevano valersi con pari abilità dell’organo, del clavicembalo, del clavicordo e, se necessario, del pianoforte. Il più celebre e celebrato di questi completi musicisti fu senza dubbio Cari Philipp Emanuel Bach, il sui Saggio sul vero modo di suonare su tastiera1 di-1 1 C. Ph. E. Bach: Versuch iiber die wahreArt, das Klavier zu spielen. La prima parte dell’opera venne pubblicata privatamente, a Berlino, nel 1753; ristampata nel 1759, venne messa in vendita; la seconda parte fu pubblicata, sempre a Berlino, nel 1762. Nel corso del *700 e dell*800 ne vennero pubblicate varie ristampe. Walter Niemann ne pubblicò un’edizione critica (Lipsia 1906). Nel 1957 la prima edizione ven­ ne ristampata in facsìmile a Wiesbaden. Come tutti sanno, non c’è termine italiano che corrisponda esat­ tamente al tedesco Klavier. Klavier era termine generico che valeva per il clavicembalo, il clavicordo, il pianoforte. La traduzione qui adottata è quella proposta dal Torrefranca (Le origini del romanticismo musicale, Torino 1930).

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venne il venerato vangelo dei pianisti della seconda metà del secolo. Haydn, come il Kullak riferisce, diceva che il Saggio «era e sarebbe rimasto per tutti i tempi il Metodo dei Metodi»;2 Clementi, Mozart, Beethoven stimarono molto l’opera di Bach figlio; i minori se ne impadronirono e l’imitarono lar­ gamente. II Saggio è il prototipo di quei complessi trattati di esecuzione pianistica che saranno in uso per molti anni, fino a Czerny e oltre: trattato generale, che comprende capitoli sul sistema di digitazione, sugli abbellimenti, sull’e­ spressione, sull’accompagnamento, sull’improvvisazione, sull’armonia. Materia, come si vede, vastissima, che noi non possiamo qui esaminare, an­ che perché l’opera di Bach ebbe efficacia somma sulla formazione del gusto predominante nella seconda metà del Settecento più che sullo sviluppo della tecnica pianistica. Ci limiteremo a qualche cenno sommario sugli argomenti che avremo ancora occasione di trattare. Le opinioni di Cari Philipp Emanuel in materia di digitazione sono basate su ineccepibili principi e sistemano teoricamente tutti i problemi tecnici della tastiera fino a Johann Sebastian. Discutendo delle scale — che vengono elencate tutte quante — Cari Philipp Emanuel riporta sia il tipo di diteggia­ tura antica che quello moderno, ma con il commento tende a dare la prefe­ renza alla diteggiatura dimostratasi poi più razionale e comoda in relazione con l’evoluzione del linguaggio. Qualche diteggiatura (ad esempio, la scala di do maggiore in doppie terze affidata al movimento parallelo dell’indice e dell’anulare) è molto audace e non verrà ripresa che parecchi anni più tardi. Non viene però esplorato alcun problema non ancora messo in luce dalla pratica, ed è naturale, perché Cari Philipp Emanuel non è un ricercatore di tecnica pura: nella sua opera di compositore l’unico procedimento tecnico ampliato e sviluppato rispetto alla tecnica paterna, non suggerito dalle nuo­ ve possibilità offerte dal pianoforte ma derivato dalla tecnica dell’arpa, che proprio verso il 1750 faceva un gran balzo in avanti, è quello dei tratti bril­ lanti divisi fra le due mani. Nuove prospettive vengono invece aperte nella parte riguardante l’espres­ sione. La struttura meccanica del pianoforte — possibilità di graduare a mezzo del tocco l’ampiezza del suono, impossibilità di sostenerlo — spinge Cari Philipp Emanuel a ricercare il cantabile: cominciano a venire qui in luce i problemi del tocco, i problemi dei rapporti dinamici, i problemi delle oscil­ lazioni agogiche, essenziali nella declamazione pianistica.3 Sono i problemi dettati da una nascente nuova sensibilità che determinerà la vittoria del pia­ noforte sul clavicembalo. E a noi, per i nostri fini, poco importa che Cari 2 A. Kullak: Aesthetik des Klavierspieìs, Lipsia 1920 (8a ed.). 3 Preferiamo non usare la locuzione tempo rubato, che richiama subito alla memoria i romantici. Tut­ tavia si tratta di rubato, termine con il quale sì può intendere sia roscillazione di durata del tactus, sia la declamazione indipendente delle parti, con tactus costante. Sul rubato nel periodo classico si devono ve­ dere soprattutto i trattati di D.G. Tiirk (Klavierschule, Lipsia e Halle 1789) e di H.Ch. Koch (Musikalisches Lexikon, Francoforte sul Meno 1802).

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Philipp Emanuel preferisse di gran lunga, al pianoforte, il clavicordo:4 quanto egli andava indagando avrebbe trovato nel pianoforte, non nel clavi­ cordo, piena esplicazione. Altro punto molto importante affermato da Bach è l’esigenza della parte­ cipazione viva, intimamente commossa, dell’esecutore: affermazione della natura della musica come linguaggio e dell’interpretazione come declama­ zione. Di pianisti-acrobati non ne esistevano ancora, nel 1750; ma Bach, che aveva forse l’occhio al vicino mondo dei cantanti, mette le mani avanti ed espone tutta una serie di consigli, riassunti in una massima divenuta famosa: «Bisogna suonare con l’anima, non come un uccello ammaestrato». Ed è questo il punto intorno al quale oscilleranno poi costantemente le discussio­ ni sull’interpretazione. L’insegnamento di Cari Philipp Emanuel Bach si diffuse rapidamente: in Germania, innanzitutto, quindi in Francia (con Dussek, Hérold padre, Hullmandel), in Inghilterra (con Christian Bach e ancora con Hullmandel, rifu­ giatosi a Londra al tempo della Rivoluzione Francese), nei paesi scandinavi (con Schwenke e Kuhlau), in America (con Alexander Reinagle, uno dei pri­ mi pianisti che varcarono l’Atlantico). Diffusione rapida, non duratura: la scuola di Cari Philipp Emanuel Bach non potè contrastare l’espandersi della scuola di Clementi, che aveva sperimentato e realizzato una tecnica molto più evoluta. Degli allievi di Bach, il solo Jan Ladislav Dussek potè rivaleg­ giare con Clementi per chiarezza e sicurezza nei passaggi di virtuosismo pu­ ro; Dussek fu anche autore di un eccellente Metodo (che per la prima volta propose all’allievo l’esercizio cosiddetto “dei martelletti”), ma ebbe vita tra­ vagliata e avventurosa e non divenne un caposcuola. La scuola di Cari Phi­ lipp Emanuel non ebbe così seguito ed i suoi caratteri distintivi passarono presto alla scuola di Mozart, nella quale li ritroveremo.

4 «[...] il pianoforte, quando è robusto e ben costruito, ha molte belle qualità, sebbene il suo tocco richieda un’attenta applicazione. Suona bene da solo e in piccoli complessi. Ritengo tuttavia che un buon clavicordo, salvo che per il suono più debole, condivida egualmente i vantaggi del pianoforte, ed ha in più la caratteristica del vibrato e portato [die Bebung und das Tragen der Tone} che io ottengo aggiungendo pressione dopo ogni tocco, È al clavicordo che un suonatore di strumenti a tastiera può essere più esatta­ mente giudicato» (pp. Introduzione alla Parte Prima, Par. 11).

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Clementi

L’attività di Clementi si svolge in un lunghissimo lasso di tempo e in un periodo tra i più ricchi di conquiste nella storia della musica e, in particolare, della letteratura pianistica: da Cari Philipp Emanuel Bach a Chopin. Per quanto riguarda il significato storico del pianismo dementino, però, a noi interessano in primo luogo gli anni che vanno dal 1766, quando Clementi giunge a Londra, al 1783, quando rientra in Inghilterra dopo il suo primo gi­ ro professionale nel continente. Orbene, questo periodo è dominato dalla ri­ cerca sperimentale sulla tecnica pianistica, studiata e indagata con una per­ severanza e con un’ostinazione che hanno del prodigioso. Ricerca per la ri­ cerca: non ancora soluzione strumentale di problemi estetici, ma esplorazio­ ne quasi sistematica delle possibili combinazioni meccaniche offerte dal nuo­ vo strumento. Per spiegare l’origine del pianismo dementino furono avanzati diversi motivi, da quello che lo stesso Clementi ebbe ad illustrare ad A. de Méreaux (l’imitazione dell’orchestra), a quello che ricorre come luogo comune in tut­ te le storie (tenuta di suono e robustezza dei pianoforti inglesi), a quello pro­ spettato dal Paribeni (predilezione del pubblico inglese per la virtuosità stru­ mentale), a quello, sia pur marginale, suggerito dall’Allorto (trasferimento sul pianoforte di procedimenti strumentali caratteristici della combinazione pianoforte-violino, prediletta dai dilettanti inglesi).5 Motivi tutti nei quali c’è una parte di vero, ma motivi psicologici, che da soli non basterebbero — né i critici citati pretendono che bastino — a spiegare l’eccellenza e la novità dei risultati da Clementi raggiunti e non raggiunti da altri virtuosi. La singolarità di Clementi, rispetto a tutti i suoi colleghi, anziani e giova­ ni, è di essere un pianista che compone, mentre gli altri sono compositori che si servono del pianoforte. Clementi introduce nelle sue prime composizioni, in modo persino brutale, i passaggi trovati sulla tastiera, nati dalla ricerca di posizioni delle dita inusitate e difficili; gli altri adattano abilmente, alle pos­ sibilità timbriche del pianoforte, una materia musicale di origine per lo più vocalistica. Di fronte e di contro alla scuola di Cari Philipp Emanuel Bach — la scuola della dolce cantabilità, commossa e commovente, la scuola che prediligeva la scrittura leggera, che disdegnava l’accavallarsi delle grandi on­ date di suono — Clementi affermava dunque una nuova concezione dell’arte pianistica; una concezione che voleva dalla musica più esaltazione che com­ mozione e che chiedeva una tecnica rotta a tutte le difficoltà, una prepara­ zione scrupolosa e un totale dominio dell’emotività, perché aveva il gusto della combinazione virtuosistica sorprendente e rischiosa. 5 A.de Méreaux: Les Clavicenistes, Parigi 1867. G.C. Paribeni: Af. Clementi, Milano 1922. R. Allerto: Le Sonate per pianoforte di Muzio Clementi, Firenze 1959.

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È opportuno osservare che questa concezione è nuova solo in quanto, indi­ viduata per la prima volta nel pianoforte: come concezione generale dell’ese­ cuzione va invece a collocarsi accanto all’estetica del belcanto, all’indirizzo di alcune scuole violinistiche (Geminiani, Tartini, Locatelli), all’arte di Do­ menico Scarlatti. Il belcanto, i violinisti italiani, Scarlatti, cioè tre compo­ nenti della cultura inglese del 1770 che dovettero trovare rispondenza anche nella prima formazione culturale romana dell’italiano Clementi. L’azione di Clementi si inseriva dunque in una componente basilare della cultura euro­ pea e, in quanto tale, non poteva che affermarsi rapidamente, come avvenne infatti durante il giro nel continente del 1780-83. La concezione clementina dell’arte pianistica non solo apriva nuove pro­ spettive alla tecnica del pianoforte ma modificava il tradizionale rapporto tra compositore ed esecutore; e in ciò, forse, si trova una delle ragioni del­ l’opposizione di Mozart. Lo strumento a tastiera, infatti, era per lunga con­ suetudine lo strumento del compositore, e la tecnica della tastiera veniva pri­ ma appresa e poi esercitata durante lo studio e l’esercizio della composizio­ ne; la rivoluzione di Clementi scindeva necessariamente il binomio composi­ tore-pianista perché introduceva una specializzazione pianistica che impone­ va uno studio separato dello strumento. E il fatto che un compositore doves­ se sudar sangue per studiare il pianoforte — si potrebbe dire riprendendo la boutade di Francesco de Sanctis a proposito della lingua materna — ai com­ positori sembrava un paradosso. Paradosso anche perché nel 1780 nessuno poteva ancora capire che la dualità tra compositore e pianista, il cui effetto in quel primo momento era di portare alla ribalta la figura del mechanìcus, poneva in realtà le basi perché sorgesse, come attività musicale autonoma, l’interpretazione. Ma per noi è chiaro che Clementi, con la sua ricerca tecni­ cistica, dava inizio alla storia dell’interpretazione. Le esperienze maturate da Clementi durante il suo primo giro europeo vengono così sintetizzate dall’Allorto (op. cit.): «Clementi, che aveva già da tempo fissato i punti cardinali della sonorità pianistica, in questo viaggio im­ parò a servirsi dei ferri del mestiere da lui forgiati per operazioni di più spiri­ tuale e convincente significato». Nasceva dunque in quel momento un nuo­ vo Clementi compositore, la cui opera esula dalla nostra indagine. Ma insie­ me con il compositore nasceva il didatta, che contribuiva a far diventare di dominio comune il patrimonio delle sue ricerche. Al 1783 risale appunto l’inizio dell’attività didattica di Clementi, che pro­ segue intensissima per circa venticinque anni e che si riassume in tre opere fondamentali: gli Scarlatti’s Chefs d’oeuvre (1791), il Metodo (1801), i Pre­ ludi ed Esercizi (1811, pubblicati in appendice alla quinta edizione del Me­ todo). La revisione delle Sonate di Scarlatti è una conferma della nascente co­ scienza del valore autonomo dell’interpretazione: il revisore suggerisce par­ camente la dinamica, l’articolazione della frase, le diteggiature, cioè dà al lettore un testo preparato per l’esecuzione al pianoforte. Il Metodo è un rias­ 12

sunto dei concetti didattici di Clementi. I Preludi ed Esercizi sono il monu­ mento eretto alle scale, poste alla base della tecnica pianistica e diteggiate in modo razionale e definitivo: tutte le scale — anche quelle molto accidentate — e tutte esercitate nelle varie forme divenute poi tradizionali (per ottava, per terze, seste, decime, moto contrario). La didattica di Clementi si colloca in un punto intermedio tra la didattica del ’700 e quella dell’800: lo studio del pianoforte procede indipendente dal­ lo studio della composizione ma non attua ancora completamente la divisio­ ne tra tecnica pura (esercizio) e tecnica applicata (studio), e tra tecnica e stili­ stica. Il Metodo contiene infatti un ristretto campionario di formule tecni­ che, in un ordine né completo né sistematico, e una serie di pezzi e studi con i quali vengono passate in rassegna le varie specie di tecnica e i vari stili, eser­ citati praticamente senz’esser stati teoricamente descritti. Concetto moder­ no, se vogliamo, venuto recentemente in onore nell’insegnamento letterario, ma concetto che lascia molta parte del lavoro di apprendimento all’esempio del docente e non permette più, a distanza di tanti anni, di ricostruire con si­ curezza tutte le linee della didattica di Clementi. La parte strettamente teorica del Metodo, che più ci interessa, consiste nella descrizione della posizione del corpo (gomito staccato dal fianco e un po’ più alto della tastiera, avambraccio in linea leggermente inclinata in bas­ so) e della mano («tondeggiante, il pollice e le altre dita leggermente e senza stento incurvate, e situate al di sopra e nel mezzo dei tasti»,6 nella insistenza con cui viene più volte affermata la necessità di scegliere razionalmente la di­ teggiatura («il migliore maneggio non è sempre il più facile»), nella preferen­ za accordata al legato rispetto ai vari tipi di staccato, nel consiglio di studia­ re a mani separate e lentamente. Manca però la descrizione del modo di at­ taccare il tasto. Da quanto dice Mozart pare che Clementi usasse i movimenti vibratori della mano e dell’avambraccio (Mozart sconsigliava alla sorella di studiare i passi di seste e di ottave delle Sonate di Clementi «per non guastarsi la sua mano calma e ferma»), ma dal Metodo non possiamo ricavare alcun suggeri­ mento. Certe diteggiature usate nel Metodo — le note ribattute con uno stes­ so dito, ad esempio, mentre le altre dita non sono impegnate — fanno sup­ porre una partecipazione attiva della mano, contraddetta però da alcuni Stu­ di del Gradus. Tuttavia non sembra irragionevole supporre che Clementi usasse diversi tipi di tocco (diversi tipi di tocco, cioè diversi tipi di suono: sa­ rebbe questa, tra l’altro, la più plausibile spiegazione della tentata “imitazio­ ne dell’orchestra”); se così è, la tecnica di alcuni dei suoi diretti ed autorevo­ lissimi successori (Field, Berger, Kalkbrenner), con la ricerca del perfeziona­ mento del dito e l’immobilizzazione assoluta della mano, segnerebbe un’in­ voluzione rispetto alla tecnica del Maestro. 6 Il Metodo venne stampato in inglese. La traduzione è quella della prima edizione italiana (Bologna, senza data ma verosimilmente, a giudicare dai caratteri tipografici, intorno al 1830).

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Tavola 1

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Il Metodo ed i Preludi ed Esercizi, storicamente, rappresentano il contri­ buto più interessante dato da Clementi all’evoluzione della didattica. In va­ lore assoluto, naturalmente, nessuna opera clementina può essere paragona­ ta al Gradus ad Parnassum. Ma il Gradus non segna una svolta, e rappresen­ ta invece la sintesi matura delle esperienze che abbiamo ripercorso. E quindi, entro gli obbiettivi limitati di questo saggio, quando del Gradus si sia detto che è indispensabile ai pianisti si è detto tutto. Si può aggiungere, per meglio qualificare il valore del Gradus, che le opere veramente indispensabili, nella educazione tecnica del pianista, sono poche, e che possono essere agevolmente circoscritte nel giro di quattro nomi: Bach, Clementi, Chopin, Liszt. Il seguito, crediamo, mostrerà in modo chiaro che questa affermazione non è affatto un paradosso.

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Allievi di Clementi

a) Moscheles a Lipsia

Nel 1842 Mendelssohn offriva la cattedra di pianoforte del Conservatorio di Lipsia, allora fondato, al più quotato insegnante lipsiense di quel tempo, l’autodidatta Frederich Wieck; il Wieck rifiutò, e le insistenze più pressanti non valsero a smuoverlo dal diniego. Dopo il rifiuto del Wieck, Mendelssohn tenne provvisoriamente lui stesso la cattedra di pianoforte. Come maestro di pianoforte Mendelssohn non è affatto una figura trascurabile: aveva studiato con un allievo di Clementi, Ludwig Berger, aveva poi esaminato con molto interesse il “fenomeno Thalberg”, traendone lo stimolo per sviluppare la tecnica dell’arpeggio e per sfruttare il timbro scuro del registro medio dello strumento; prediligeva, e tutti i suoi allievi poi predilessero, il suono non molto ampio, ma ben riso­ nante e sostenuto: caratteristica questa dei meno virtuosi tra gli allievi di Clementi. L’attività di Mendelssohn era troppo vasta perché egli potesse occuparsi con continuità di didattica pianistica; la cattedra di pianoforte venne così of­ ferta a Moscheles, che accettò e si trasferì a Lipsia nel 1846. Moscheles era stato allievo a Praga di Dionys Weber ed aveva avuto solo qualche lezione da Clementi, ma aveva aderito alle direttive del maestro ro­ mano al quale rimase fedele per tutta la vita. Il quarantottenne nuovo pro­ fessore del Conservatorio di Lipsia era un pianista tecnicamente completo, ricco di vasta cultura, innamorato della sua arte; aveva già insegnato con grande successo a Londra e a Parigi; a Lipsia riuscì un vero modello di mae­ stro, infaticabile, zelantissimo — il più delle volte le lezioni proseguivano fi­ no a tarda ora nella sua casa — ed amico paterno dei suoi discepoli. Moscheles s’era trovato a suo pieno agio con Clementi, e come esecutore era forse il più legittimo erede dello stile dementino: egli era infatti, come Clementi, pianista dal suono potente, e dal fraseggio ampio, e vivace, auda­ ce, pieno dì verve; Berger, Field, Klengel erano invece dei cesellatori, che del maestro non possedevano né la molteplicità degli atteggiamenti spirituali né la vastità delle concezioni. Anche per quanto riguarda la tecnica Moscheles fu probabilmente il solo che proseguisse le ricerche di Clementi secondo lo spirito del Maestro, ampliando quindi i confini della tecnica clementina e co­ stituendo così il ponte di passaggio da Clementi a Liszt. Nell’ambito della scuola di Clementi l’indirizzo conservatore è rappresen­ tato con la maggiore evidenza da Kalkbrenner che, come vedremo, riduceva la tecnica alla sola articolazione delle dita e del polso ed accentuava i movi­ menti verticali delle dita fino ad essere costretto ad usare per allenamento un sostegno fisso dell’avambraccio; l’indirizzo progressista è rappresentato da 16

BADURA-SKODA

BRENDEL

MENDELSSOHN

DEMUS

Tavola 2

17

KAPELL

TURECK

Tavola 3

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Moscheles che, dice Fétis, aveva «molte maniere diverse di attaccare la nota, in ragione dell’effetto che voleva produrre»,7 e che, sebbene attribuisse im­ portanza preponderante alla tecnica delle dita, praticava e consigliava, ad esempio, l’esecuzione delle seste e delle ottave di braccio, cosa che a Kalkbrenner doveva parere un’enormità. Non possiamo fare qui una ricerca troppo minuziosa sulla storia della tecnica, anche perché le opinioni dei vari pianisti non sempre sono espresse in prima persona, e non sempre chiara­ mente. I cenni dati basteranno a far comprendere l’importanza dell’insegna­ mento di Moscheles. Purtroppo, a partire dal 1835, e specialmente dopo il 1850 Moscheles, non approvando certi aspetti della nuova scuola dei pianisti romantici, non seppe comprendere che l’esigenza di rinnovamento da cui quella scuola procedeva era frutto di una nuova coscienza estetica, non di una corruzione del gusto, e si trasse indietro, appartandosi in ombrosa solitudine. Liszt ebbe a dichiara­ re ad Amy Fay che «Moscheles suonava alla perfezione tra i trenta e i quarant’anni, ma che invecchiando era divenuto troppo effeminato».8 Il giudi­ zio era forse severo: certo è però che Moscheles si trovava nella dolorosa condizione di chi non è d’accordo con il gusto dominante e non ha più la for­ za di farlo mutare. Così, il concertista acclamato diradò le sue apparizioni in pubblico e si votò all’insegnamento, donando agli allievi i frutti della sua esperienza e del suo sapere, che erano pur sempre meditati e vasti. Nel 1860 — Moscheles insegnò fino al 1870 — la direzione del Conservatorio venne assunta da Carl Reinecke, che dominò la vita musicale lipsiense fino alla fine del secolo. Con Reinecke il carattere conservatore dell’insegna­ mento di Moscheles divenne schietta reazione; e non sarà forse inopportuno ricordare che il culto accigliato della tradizione pianistica fu solo un aspetto marginale dell’opposizione a Liszt e a Wagner. L’istituto divenne una gran­ de fabbrica di pianisti, che seguivano le revisioni di Reinecke «con diteggia­ ture e segni d’espressione in uso nel Conservatorio di Lipsia», alzavano le di­ ta più in alto che potevano, come voleva Reinecke, e martellavano il piano­ forte dalla mattina alla sera. Così, quando non restavano bloccati dal cram­ po al braccio, i pianisti della scuola di Lipsia finivano per essere degli stru­ mentisti preparati e coscienziosi ma anche compassati e monotoni. Di qui le frequenti frecciate, puntualmente restituite, da parte di Liszt e dei suoi, con un rincorrersi di pettegolezzi e di malignità che più non ci interessano. Non si trattava però — questo sì ci interessa — di frecciate tirate contro la roccia: 7 Fétis e Moscheles: Méthode des Méthodes, Parigi 1837. Il Metodo è opera dì Fétis, che intese dare un “compendio analitico di tutti i metodi”; il valore del Metodo, didatticamente, è molto limitato, ma l’ope­ ra è importante perché per la prima volta imposta la storia della tecnica. Moscheles, su invito di Fétis, preparò per il Metodo alcuni Studi e curò la revisione di una scelta antologica di pezzi classici. 8 A. Fay: Music Study in Germany, Chicago 1880. Per Liszt, Moscheles doveva rappresentare una spe­ cie di “caso” paradigmatico della decadenza di un artista, se già nella lettera di dimissioni da maestro di cappella, inviata al granduca di Weimar il 6 febbraio 1860, aveva scritto: «... non ho pensato di continua­ re con il pianoforte, alla Moscheles, fino all’estinzione del calore naturale» (F. Liszt: Correspondance, Parigi 1987). Anche Robert Schumann, pur ammirando molto Moscheles, espresse qualche riserva sulla sua pacatezza di esecutore.

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la tradizione, come sempre avviene col trascorrere del tempo, perdeva il so­ strato di idee sulle quali era sorta e diventava conservazione accademica; e molti allievi del Conservatorio di Lipsia — Beringe, Ansorge, Joseffy, Freund, Hutcheson, Michalowski — sentirono il bisogno di cercare presso la scuola di Liszt il completamento della loro educazione pianistica. La scuola di Lipsia si rinnovò con il successore di Reinecke, Alfred Reisenauer, e con Robert Teichmiiller, allievo di Reinecke ma didatta non insensi­ bile alla lezione delle scuole moderne e maestro di quel Rudolf Maria Breìthaupt che cercò di dare un assetto sistematico alle conquiste della tecnica pianistica di Liszt. Con il nuovo secolo la scuola di Lipsia perdeva dunque rapidamente il suo carattere reazionario, pur non riuscendo più a riprendere il posto di spicco che aveva avuto al tempo di Moscheles.

b) Field e ì russi

John Field, allievo prediletto di Clementi, non era uomo fatto della stessa pasta del maestro, né per doti né per carattere. Severo, ferrigno, dominatore di sé e degli altri, sobrio e persino avaro era Clementi; malinconico, riserva­ to, incline al sentimentalismo, tenero amico dello champagne e dei buoni si­ gari era Field. Come esecutore, Field era perfetto, ma badò solo a raffinare la tecnica clementina senza cercare di ampliarne i confini: curò soprattutto la bellezza fisica del suono, il fraseggio minutamente articolato, le mezze tin­ te, la cantabilità e la chiarezza della polifonia. Ed è da notare che, se Mozart aveva accusato Clementi di abusare della forza, Field, e con lui altri allievi di Clementi, furono lodati per il suono molto discreto: evidentemente, i disce­ poli non avevano rinnovato la tecnica del Maestro e non cercavano di trarre dai pianoforti del loro tempo, molto più ricchi di possibilità dinamiche, tut­ ta la massa di suono di cui erano capaci. Come insegnante Field sembrava più interessato al guadagno che alla pe­ dagogia; purtuttavia egli ebbe molti ottimi allievi, tra i quali alcuni musicisti di valore. Da uno di questi, Alexandr Dubuck, proviene quel prodigioso tor­ rente di pianisti che per brevità, ma un po’ impropriamente, si usa chiamare scuola russa. Alcuni dei più grandi pianisti dell’800 erano russi, ma quasi tutti, dopo aver iniziato in patria gli studi, li completarono all’estero; e, contempora­ neamente, insegnarono in Russia moltissimi pianisti stranieri di varia prove­ nienza, da Field (a S. Pietroburgo e a Mosca del 1802 al 1832) attraverso Haberbier, Henselt, Dreyschock, Theodor Stein, Door, Pischna, Klindworth, Brassin, Leschetizki, Wieniawski, Cesi, Neupert, fino a Busoni (a Mosca nel 1890). Soltanto negli ultimi anni del secolo, coll’affrancamento della cultura russa dalla cultura germanica, si manifestò negli ambienti musicali una deci­ sa opposizione agli stranieri, e l’afflusso di insegnanti diminuì sensibilmen20

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JANIS

FIELD

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te. La scuola che discende da Diibiìck è quindi una delle scuole russe, anche se è di gran lunga la più importante. Tre allievi di Diibiìck bastano ad indicare la portata del suo insegnamen­ to: Balakirev, pianista agguerritissimo che quando voleva — ma lo voleva raramente — poteva tener testa persino a Liszt; Alexandr Villoing, il mae­ stro dei fratelli Rubinstein, autore di un Metodo molto conosciuto anche al­ l’estero; e Nikolai Zverev, che come professore del corso inferiore di piano­ forte nel Conservatorio di Mosca “impiantò” un numero elevato di allievi di grande talento, tra i quali Siloti, Rachmaninov, Scriabin, Igumnov. Dei fratelli Rubinstein — nei quali confluiscono una somma di esperienze che vanno ben oltre le scuole dalle quali essi provenivano — Anton insegna­ va nel Conservatorio di S. Pietroburgo, Nikolai nel Conservatorio di Mosca. Entrambi godevano di enorme prestigio, sebbene Anton fosse un uomo di­ sordinatissimo le cui lezioni erano un dono tanto prezioso quanto raro, e Ni­ kolai una specie di tiranno che scaricava su allievi ed allieve terribili mitra­ gliamenti di colorite oscenità; insieme, i due fratelli facevano in Russia il bel­ lo e il cattivo tempo. Come interprete, Nikolai Rubinstein temperava lo slan­ cio di un temperamento sensuale e focosissimo con l’eleganza un po’ super­ ficiale che gli proveniva dall’insegnamento ricevuto a Berlino, dopo gli studi con Villoing, da Theodor Kullak. Di Anton Rubinstein, la cui personalità gi­ ganteggia nella storia dell’interpretazione, non possiamo parlare qui ade­ guatamente. Si può dire, per sommi capi, che in Rubinstein si manifesta già l’esigenza di riportare idealmente ogni composizione allo strumento per il quale era stata pensata e quindi, pur valendosi del pianoforte moderno, di cercare una differenza timbrica tra Mozart e Beethoven, e tra Beethoven e Chopin e Liszt. La posizione ideologica di Rubinstein, che matura lentamen­ te nel corso di quarant’anni di attività concertistica, trova la sua definizione ultima nei concerti cosiddetti “storici”, presentati in varie capitali a partire dall’ottobre del 1885, che nella evoluzione del concertismo rappresentano una chiave di volta. Rubinstein — nei momenti migliori, perché era molto ineguale — sapeva poi esporre il discorso musicale con chiarezza, con logica mirabili, risolvendo ogni particolare nella visione unitaria e totale dell’opera interpretata. Per quanto riguarda l’insegnamento, lo stile di Anton — stile «dalle tinte forti (predilette dal pubblico), dalla passione irrompente, dall’interpretazio­ ne piena di slancio e di fuoco alla quale sacrifica spesso l’esattezza tecnica», diceva il giovane Busoni9 che ne risentì anche lui l’influenza — venne imita­ to da tutti i pianisti russi. L’ombra della sua gigantesca personalità si proiet­ ta dunque sulla scuola russa, anche nel Novecento, con grandi didatti come Goldenweiser, Igumnov, Feinberg, Neuhaus, che non erano stati suoi allie­ vi. E non solo: i due maggiori allievi di Rubinstein, Josef Hofmann e Joseph Lhevinne, esercitarono un’influenza determinante negli Stati Uniti, il primo ’ Lo sguardo lieto, Milano 1977.

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come professore e direttore del Curtis Institute di Filadelfia, il secondo come professore nella Juilliard School di New York. Ad un altro allievo di Anton Rubinstein, lo spagnolo Alberto Jonàs, si deve un metodo in sette volumi, Master School of Modern Piano Playing & Virtuosity (New York 1922-28) che rappresenta il più serio tentativo di analisi e di sistemazione didattica della tradizione russa dell’ottocento. Se consideriamo infine il fatto che Theodor Leschetizki, di cui parleremo più avanti, lavorò per molti anni nel Conservatorio di S. Pietroburgo diretto da Rubinstein, abbiamo un’idea complessiva della posizione centrale, di “riformatore”, che Rubinstein occu­ pa nella storia del concertismo di cui Liszt fu il “fondatore”.

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Mozart

Non è certo necessario rifare la storia della tenzone Mozart-Clementi, già più volte esaminata sotto diversi punti di vista e depurata ormai da tutte le vecchie beghe apologetiche. Le conclusioni sulle quali gli studiosi convergo­ no si possono fissare in tre punti: fastidio di Mozart nel vedersi opposto un rivale che disturbava un complicato lavorio di arrembaggio ad un incarico di corte, immaturità artistica di Clementi, opposizione storica di due diverse concezioni dell’arte pianistica. L’ultimo punto, ovviamente, è quello che più ci interessa, e cercheremo quindi di concludere qui il discorso avviato in pre­ cedenza. L’idea che Mozart aveva della funzione del pianoforte si riconnetteva di­ rettamente alla tradizione dei pianisti-compositori, di cui abbiamo detto. Mozart era un esecutore molto abile ed aveva assimilato e sviluppato la tec­ nica pianistica del suo tempo. Le ricerche di tecnica pura non gli interessava­ no, sebbene gli interessasse il virtuosismo. Se fosse stato sereno, ci sembra, avrebbe forse dovuto capire le aspirazioni di Clementi. A questo proposito troviamo un apprezzamento molto interessante su una cantante di grido in una lettera al padre del novembre 1780: «La Mara non ha avuto affatto la fortuna di piacermi: fa troppo poco per uguagliare una Bastardina (ché que­ sto è il suo genere), e fa troppo, perché possa toccare il cuore come una We­ ber, o una cantante giudiziosa».1011 È chiaro che Mozart propende per il gene­ re — lasciamo stare la donna — Weber, ma è chiaro altresì che avrebbe ap­ provato la Mara se questa avesse uguagliato la Bastardina, cantante, com’è ben noto, di straordinarie capacità virtuosistiche. E non era forse Clementi un virtuoso straordinario? A Mozart l’idea del virtuosismo pianistico ripugnava per istinto e per for­ mazione culturale. E tuttavia Clementi non rappresentava solo se stesso: rappresentava anche una tendenza dei tempi, come abbiamo visto, e la sua concezione dell’arte pianistica si impose a tutti i pianisti come una necessità. Così anche l’unico vero allievo di Mozart, Hummel, non si lasciò sfuggire l’occasione di studiare con Clementi. Mozart non può dunque esser considerato un diretto protagonista dell’e­ secuzione pianistica, che si sviluppò secondo una linea tracciata da Clemen­ ti. Ma le sue idee avevano o no un valore metastorico? Mozart chiedeva al pianista esecuzione (execution), espressione (expres­ sion), gusto (Geschmach), sentimento (Gefuhl, Empfindung).11 Per esecuzione intendeva la riproduzione meccanica, la capacità di suona10 Traduzione di B. Ziliotto (Mozart: Epistolario, Milano 1926). 11 Tralasciamo di enumerare i vari vocaboli (fuoco, precisione, ecc.) che ricorrono come sinonimi dei quattro qui elencati. Tralasciamo anche il termine interpretazione> con il quale Mozart intendeva indicare la capacità di arricchire la linea melodica con qualche fioritura estemporanea.

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re materialmente tutte le note scritte. Voleva che l’esecutore possedesse il pieno dominio tecnico dell’esecuzione: «Suona cose difficili — scriveva del violinista Frànzl — ma non ci si accorge che sono difficili, si crede di poterle ripetere subito. E questo è il vero modo di suonare» . Per espressione intendeva la capacità di realizzare in giuste proporzioni la dinamica e l’agogica, e per gusto la capacità di dosare i rapporti dell’agogica con la dinamica, cioè di ben fraseggiare. Per sentimento intendeva l’immedesimazione dell’esecutore, esteticamen­ te eccitato, nella musica eseguita, e quindi la capacità di realizzare gli affetti. Le idee di Mozart sono riassunte assai bene nella lettera in cui critica il modo di leggere a prima vista dell’abate Vogler (17/1/1778): «In che consi­ ste l’arte di sonare a prima vistai in questo: sonare il pezzo nel tempo giusto, come dev’essere, eseguire tutte le note, i segni ecc., con espressione e gusto adeguati, come sta, in modo che si possa credere che l’esecutore sia anche il compositore». Sono concetti, come si vede, veri e completi, che non contrastano affatto con i pochi accenni fatti in proposito da Clementi nel Metodo. Ma Mozart disapprovava la tecnica virtuosistica delle doppie note, che rendeva scompo­ sta la prediletta mano “calma e ferma”, disapprovava i violenti contrasti di sonorità, disapprovava l’esecuzione accentuata, patetica, preromantica (si vedano le sue opinioni sui cantanti francesi); e ciò perché non faceva distin­ zione tra i principi ed il mondo estetico nel quale per lui vivevano: per lui la misura della tecnica, dell’espressione, del gusto erano la tecnica, l’espressio­ ne, il gusto necessari per le sue opere. In un mondo estetico diverso — quello di Beethoven, ad esempio — proprio rispettando rigorosamente i principi mozartiani la tecnica avrebbe dovuto essere più evoluta, i limiti della dina­ mica più ampi, il pathos più drammatico. E Clementi, come compositore e come pianista, annunciava quel mondo estetico nuovo. Non c’è dubbio però che i principi di Mozart, da lui indebitamente ristretti a definire soltanto la sua opera d’artista, erano validi in assoluto. La storia dell’interpretazione pianistica, iniziata con il virtuosismo di Clementi, si svolge appunto come lenta conquista dei principi mozartiani, il cui vero si­ gnificato, che a Mozart sfuggiva, consisteva nella affermata necessità di in­ dividuare poeticamente ogni singolo autore ed ogni singola opera interpre­ tata.

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I mozartiani

a) Hummel e Thalberg

Sarà opportuno dir subito che, se Hummel fu considerato seguace di Mo­ zart e campione della scuola mozartiana, ciò fu dovuto assai più al suo stile di compositore che al suo stile di pianista. Hummel era stato allievo di Mo­ zart — allievo al modo antico: viveva a pensione in casa del Maestro — dal­ l’età di sette all’età di nove anni; poi, dopo aver girato l’Europa come fan­ ciullo-prodigio, si era stabilito a Londra e per due anni, dai tredici ai quindi­ ci, aveva studiato con Clementi. È facile dunque comprendere che la prima formazione musicale di Hummel era opera di Mozart, mentre il completa­ mento della sua educazione pianistica era opera di Clementi. Ciò vale come ulteriore spiegazione di quanto dicevamo poc’anzi, quando affermavamo che la storia della esecuzione pianistica si sviluppa nella linea tracciata da Clementi. Il contrasto tra Mozart e Clementi sembra rinnovarsi tuttavia verso il 1816, ad un livello molto più modesto, con Hummel e Mo­ scheles, che a Vienna vennero considerati come i campioni di due scuole an­ titetiche. Lo stile pianistico delle composizioni dei due musicisti, ed il loro stile di esecutori, giustificavano in parte la contrapposizione: levigatissimo, scorrevole, ingegnoso in combinazioni tecniche di sicuro effetto era il piani­ smo di Hummel; più rozzo, nel 1816, ma più ardito, ricco di inedite trovate sulle doppie note, sulle ottave e sugli accordi, con frequente impiego bravuristico della mano sinistra era il pianismo di Moscheles. La opposizione tra Hummel e Moscheles era però, in realtà, niente più che una rivalità — solo apparentemente imparentata con il contrasto di due epoche storiche che ave­ va caratterizzato lo scontro tra Mozart e Clementi — tra due artisti di diver­ so temperamento e di diversa età (Moscheles era di sedici anni più giovane). Hummel, come esecutore, era molto vicino a quegli allievi di Clementi che non avevano sentito la necessità di sviluppare ulteriormente la tecnica del Maestro; e, come compositore, era sostanzialmente un mozartiano. Ciò non significa che fosse un imitatore pedissequo di Mozart. Anzi! Aveva armoniz­ zato influenze di varia provenienza, compreso il primo Beethoven, in uno stile non impersonale; ma i tratti stilistici predominanti nelle sue opere erano di derivazione mozartiana. Di qui, come dicevamo, nasceva la tentazione di vedere in Hummel l’erede spirituale di Mozart: tentazione allettante, senza dubbio, in un’epoca nella quale Beethoven rappresentava ancora un grosso problema, ma tentazione, ai nostri occhi, diabolica. Hummel era un didatta molto ricercato. Il suo Metodo, ancora ispirato al­ la tecnica clementina, si differenzia però nettamente dal Metodo di Clementi e si inserisce in una linea di sviluppo che, partendo dal Metodo di Clementi (1801), attraverso i Metodi di Adam (1804), Pollini (1811), Cramer (1815), la 27

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revisione del Metodo Mùller di Czerny (1825), il Metodo di Hummel (1828), appunto, e il Metodo di Kalkbrenner (1830), si conclude nel Metodo di Czerny (1839). Nel Metodo di Clementi la divisione tra tecnica pura, tecnica applicata, stilistica, è accennata: in Czerny è completa. Nella prima metà del secolo i didatti si preoccuparne però dello Studio, tecnica applicata, più che dell’Esercizio, tecnica pura. Come tutti sanno, gli Studi di Cramer, di Cle­ menti, di Czerny, di Berger, di Moscheles, di Kessler, di Bertini, creati nella prima metà del secolo, divennero patrimonio comune di tutte le scuole e ri­ masero nel repertorio didattico fino ai giorni nostri. Al contrario, i 1000 Esercizi di Henri Herz, che venivano eseguiti con l’ausilio di un apparecchio, il Dactylion, furono ben presto soppiantati dalle raccolte di Hanon e di Pischna che risalgono alla seconda metà del secolo. E della seconda metà del secolo sono le grandi raccolte di esercizi, da quelle di Brahms e di Tausig a quella, monumentale, di Liszt, composta tra il 1868 e il 1880 e pubblicata postuma nel 1886. A mano a mano che lo Studio e l’Esercizio diventavano specializzazioni didattiche diverse si facevano più frequenti, e ben presto più accanite, le di­ scussioni sulla posizione da far assumere alla mano, sul movimento del dito (articolazione “naturale” o molto accentuata), sulle ore di studio giornaliero e sulla distribuzione giornaliera del materiale su cui lavorare. Hummel e Mo­ scheles preferivano l’articolazione naturale e si servivano di varie specie di tocco. Hummel teorizzò anzi per primo il tocco “per pressione”12 su cui si è molto discusso ma che probabilmente fu la chiave di volta nel passaggio dal­ la tecnica classica alla tecnica romantica, e tentò un’analisi razionale della digitazione, sistemata in dieci “partimenti” con numerosi esempi. Di grande interesse, e in radicale contrasto con le opinioni dei contemporanei, è infine il consiglio che Hummel dà al discente sulle ore di studio: «Falsa è l’opinione di que’ molti sonatori, i quali sul punto di progredire nell’Arte, credono d’a­ ver d’uopo, per giungere alla meta, d’un giornaliero esercizio di sei o sette ore per lo meno; io gli accerto, che uno studio regolare, applicato, di tre sole ore al giorno, è più che sufficiente. Un esercizio di più lunga durata rende ot­ tuso lo spirito, produce un sonar macchinale, anziché animato». Gli allievi di Hummel, molto numerosi, possono esser divisi in due gruppi. Ci furono quelli che conservarono le tradizioni del loro maestro, predilesse­ ro la musica di Bach e Mozart e furono esecutori più “da camera” che “da sala”, come Louise Fartene, Hiller, il figliolo di Mozart; ci furono quelli che aderirono con entusiasmo alla scuola dei supervirtuosi, come Rudolf Will­ mers, Giuseppe Unia “pianista del Re d’Italia”, l’americano William Scharfenberg e, maggiori di tutti, Henselt e Thalberg; fu anzi quest’ultimo il pro­ pagatore del virtuosismo romantico, che divampò verso il 1835. 12 «L’Adagio vuol espressione, canto, delicatezza, calma. La sua Esecuzione è in certo modo contrapposta a quella del 1Mliegro, poiché i Suoni debbono esser più tenuti, portati, legati insieme, facendo che cantino per mezzo di una ben intesa compressione del tasto» (Hummel: Metodo, Vienna 1828; la tradu­ zione è opera di G. Radicchi, Milano s.d.).

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Il virtuosismo thalberghiano si esercitava quasi esclusivamente in un lavo­ ro di decorazione delle più note melodie d’opera. Una decorazione d’alta classe, certamente, e pianisticamente molto interessante per lo straordinario sviluppo dato all’arpeggio, per le lunghe serie di ottave e di accordi ribattuti, di ottave alternate a bicordi, di trilli doppi e tripli uniti a frammenti melodi­ ci. E Thalberg, a detta di tutti i contemporanei, possedeva una sonorità po­ tente ma sempre armoniosissima, che otteneva usando di continuo, con abi­ lità sopraffina, il pedale di risonanza. Non consta che sia stato notato da chi lo ascoltò, ma è probabile che Thalberg si servisse del pedale anche come di un mezzo che modificava la tecnica tradizionale delle dita. Alcuni didatti, come Moscheles e Marmontel, molto attaccati alla tradizione, non si rende­ vano conto del fatto che il nuovo modo di usare il pedale proveniva da una rivoluzione della tecnica, e a questo riguardo sospendevano la loro pur schietta ammirazione per Thalberg; ma avremo modo di tornare su questo punto quando parleremo di Chopin. L’enorme e geniale apparato tecnicistico thalberghiano non stava però in alcun rapporto con la sostanza musicale, né nel 1835 né più tardi, perché Thalberg non superò mai se stesso. E in ciò consiste la differenza tra Thalberg e Liszt, come fu più volte notato.13 Tra le tante novità Thalberg introdusse anche, imitando in piccolo lo stre­ gone Paganini, il trucco, il trucco pianistico. La musica pianistica, da Cle­ menti in poi, aveva adottato stabilmente la convenzione di indicare nel pen­ tagramma in alto le note da eseguire con la mano destra, nel pentagramma in basso le note della sinistra: per dirla un po’ all’ingrosso, una mano suona­ va la melodia, l’altra l’accompagnamento. Le eccezioni erano rare, e co­ munque il compositore aveva sempre cura di indicare il modo di esecuzione immaginato. Thalberg si accorse del partito che si poteva trarre dalla mano sinistra, spesso momentaneamente disoccupata, facendola accorrere in aiuto della destra: la mano sinistra scattava, suonava qualche nota — anche solo una — di appartenenza della destra, e tornava al suo posto (l’uso costante del pedale di risonanza moltiplicava la possibilità di questi soccorsi). Però Thalberg si guardava bene dal notare il suo modo di eseguire e si valeva inve­ ce della notazione tradizionale; sicché i pianisti, ingenui, si rompevano inu­ tilmente le dita e la testa andando avanti con stenti infiniti laddove si sarebbe potuto passeggiare. Il Marmontel racconta che, quando venne imposto co­ me pezzo d’obbligo per il concorso annuale del conservatorio di Parigi lo Studio in la minore di Thalberg, tutti gli allievi eseguirono coscienziosamen ­ te le note di un rigo con una mano, le note dell’altro con l’altra. Tutti, meno una signorina Aulagnier. Dice il Marmontel: «L’eccezione [exception, che probabilmente va intesa come licenza} commessa dalla signorina Aulagnier produsse una viva emozione nei concorrenti e nei giudici; l’audace allieva, 13 Una lettera di Liszt a Carolyne Sayn-Wittgenstein, del 4 settembre 1879, coglie esattamente la psico­ logia di Thalberg. Dopo aver ricordato di aver sottoscritto a suo tempo cento franchi per la statua di Thalberg da erigere a Napoli, Liszt dice: «[...] Thalberg è uno degli artisti più fortunati — la passione del­ l’ideale non lo tormentava affatto, gli bastavano i successi» (Correspondance, cìt,).

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che doveva del resto ottenere più tardi il primo premio, non ottenne quel­ l’anno che una menzione onorevole».14 La mancata assegnazione del pre­ mio dimostra a sufficienza l’imbarazzo di quei giudici antichi, veri sportmen del pianoforte, che vedevano nella soluzione del problema data dalla signo­ rina Aulagnier più una prova di furberia che di intelligenza. L’accorgimento di Thalberg, passato il primo momento di sbalordimento, divenne però d’u­ so comune e fu applicato anche a tutt’altre musiche.15 Le particolarità del pianismo di Thalberg divennero la bibbia di tutti i gio­ vani pianisti, e lo stesso Liszt ne trasse suggerimenti per sviluppare il suo vir­ tuosismo trascendentale. Nella storia del concertismo l’influenza esercitata da Thalberg fu però tanto intensa quanto di breve durata: all’incirca dal 1835 al ’45. Thalberg non partecipò al fervore di rinnovamento che, per ope­ ra di Liszt e di altri, elevò la dignità del concerto pubblico fino a farne una manifestazione di cultura, con la progressiva riduzione della parte riservata allo spettacolo. Thalberg continuò a portare in giro, in Europa e in America, il suo vecchio repertorio. Ma in privato non mancava di studiare le opere dei grandi maestri, possedeva una vasta cultura generale ed aveva infine matu­ rato concetti chiari e sicuri sull’esecuzione. Non fa dunque meraviglia se, pur con tutte le sue limitazioni come concertista, egli riuscisse a formare arti­ sti seri e preparati, e più del maestro loro solleciti di favorire la diffusione della cultura musicale.

b) Gli italiani Thalberg si stabilì a Napoli, anzi a Posillipo, nel 1866, raccogliendo ben presto intorno a sé i migliori giovani pianisti napoletani, tra i quali eccellono Alfonso Rendano e Beniamino Cesi. Il Cesi, nato nel 1849, era stato dapprima allievo di Luigi Albanesi. Nei lunghi anni di amichevoli relazioni che godette con Thalberg assimilò piena­ mente lo stile del suo maestro, piegandolo alle nuove esigenze che il progre­ dire della cultura europea rendeva ormai impellenti. È questo un alto titolo di merito, che dimostra la serietà del Cesi, il quale avrebbe potuto ottenere a Napoli tutto il successo mondano e finanziario desiderabile continuando con il repertorio di Thalberg, e che divenne invece interprete di Bach, di Schu­ mann, di Chopin, e specialmente di Beethoven (fu il primo in Italia che ese­ guisse in pubblico la Sonata op. 106). Dopo aver accumulato una lunghissima esperienza come didatta e come concertista, nel 1885, nella piena maturità, Cesi venne chiamato da Anton Rubinstein ad occupare una cattedra di pianoforte nel Conservatorio di S. 14 A. Marmontel: Lespianistes célèbres, Tours 1887 (2aEd.). 15 La divisione tra le due mani dei tratti rapidi fu studiata ampiamente da Ernest Haberbier (Nouveaux Doiglers pour le piano, Parigi 1852 ca.).

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B. CESI

Tavola 6 bis

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Pietroburgo. Purtroppo, colpito nel 1891 da apoplessia, tornò semiparaliz­ zato a Napoli. Insegnò ancora a Palermo e Napoli e stese il suo notissimo Metodo', ma la carriera di concertista era stata bruscamente interrotta, ed anche come insegnante non ebbe più il successo ottenuto in precedenza. Mo­ rì nel 1907. Il succo dell’insegnamento dì Cesi è il Metodo, un lavoro mastodontico che comprende dodici fascicoli di esercizi e circa centotrenta fascicoH di composizioni di vari autori, scelte, ordinate e diteggiate: un arsenale di for­ mule tecniche, una grande antologia della letteratura pianistica. Il Metodo, che ebbe vastissima diffusione, ottenne in un primo momento consensi una­ nimi; più tardi venne molto discusso, e ancor oggi i pareri sono discordi. Quel che ha fatto decisamente il suo tempo è tutta la parte antologica, stret­ tamente legata ad un gusto interpretativo che la storia ha superato e filologi­ camente difettosa perché basata su edizioni correnti dell’800, in gran parte scorrette. Gli esercizi sono invece ancora utili, a patto di saperli adoperare a tempo e luogo e, naturalmente, anche al di là delle intenzioni di Cesi. Nel sistema di Cesi applicato rigidamente restarono invischiati alcuni al­ lievi, incapaci, come sempre avviene nei minori, di andar oltre le apparenze dell’insegnamento del maestro. Altri allievi si resero invece conto che il siste­ ma di Cesi non risolveva, perché lo trascurava del tutto, il problema del toc­ co, il problema della formazione del suono sui pianoforti di fine secolo. E così, nell’ambito stesso della scuola di Cesi, oltre che nelle scuole italiane in generale, si formarono tre diverse tendenze che, con terminologia presa in prestito dalla vita politica, potremmo chiamare di sinistra, di destra e di centro. A destra restò Alessandro Longo, uomo di ingegno ed abile didatta, ma anche carattere bizzoso, facile ai risentimenti personali, impulsivo. Il Lon­ go, che insegnando praticava parte di quanto si andava predicando sull’altra sponda, per spirito polemico sì diceva contrario ad ogni innovazione, riguar­ dando come futili ed inutili cose le ricerche spregiudicate sulla natura della tecnica. A sinistra andò Florestano Rossomandi, che non era una tempra di inda­ gatore, di ricercatore sistematico, ma che era un uomo pratico, sagace, prontissimo nel capire e far sue le conclusioni delle nuove teorie e nello sfrut­ tarle abilmente senza uscire del tutto dalla tradizione della scuola di Cesi. Al centro si potrebbe collocare Giuseppe Martucci, che non s’imbarazzò molto di questioni tecniche ma fu invece, soprattutto, un maestro di stile. Dalla sua scuola uscì però il più colto dei didatti italiani del tempo, Bruno Mugellini, che sollevò in Italia la questione dell’insegnamento della tecnica. Il Mugellini, dopo lunghe e travagliatissime esperienze, arrivò a fissare i suoi concetti sulla tecnica verso il 1907 e cominciò a propagandarli, suscitan­ do un putiferio di veementi proteste. Scriveva il Mugellini:

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Iprincipali difetti che si riscontrano negli allievi delle nostre scuole so­ no la monotonia del tocco, la pochezza del suono in quelli di poca età che non siano notevolmente robusti, l’affaticamento eccessivo che spesso lì costringe a dover interrompere lo studio per settimane e per mesi, ed infine la deficienza grande e veramente deplorevole in tutti gli allievi (dei primi e degli ultimi anni) d’un repertorio di pezzi pronti ad essere suonati ad ogni richiesta. Tutte queste cose derivano dallo stesso motivo, tutte: la tecnica pianistica basata su principi falsi.16

C’era di che far imbestialire tutti i professori italiani, o anche di che farli dubitare di se stessi; ma prima che le discussioni avessero superato il brucio­ re dell’offesa e si fossero avviate ad una critica costruttiva il Mugellini morì, nel 1912, e la sua battaglia non ottenne i risultati che si sarebbero potuti spe­ rare. La polemica si riaccese dopo qualche anno per opera di un allievo del Rossomandi, Attilio Brugnoli. Il Brugnoli fu senza dubbio il didatta che in Italia operò il tentativo più serio di definire la natura della tecnica pianistica ed il suo insegnamento servì di stimolo anche a coloro che non appartenevano al­ la sua scuola o che gli erano avversi. Disgraziatamente, l’opera maggiore del Brugnoli, la Dinamica pianistica,17 ricca di indagini approfondite e di osser­ vazioni acute, aveva due grossi difetti: la mancanza di inquadramento stori­ co dei problemi affrontati (Brugnoli non conosceva né il tedesco né l’inglese, e non potè quindi studiare le opere dei maggiori trattatisti che avevano af­ frontato prima di lui i suoi stessi problemi, offrendo varie soluzioni); la mo­ le del testo, e più che la mole in sé le continue divagazioni che ne rendono malagevolissima la lettura. La Dinamica pianistica prestava anche il fianco ai facili commenti umoristici perché il Brugnoli, ingenuo adoratore della scienza, non esitava a chiamare certi suoi apparecchi con nomi da mostri an­ tidiluviani — Anasinergometro, Miargopoiete — chiarissimi per i grecisti ma che per i pianisti in vena di scherzi pesanti erano tanta manna. Attilio Brugnoli, che coltivava anche l’insana passione di correggere le mani male impostate da altri maestri, passò i suoi guai18 e neppur lui riuscì a suscitare quel fermento di studi che sarebbe stato auspicabile. Tuttavia, e per opera del Mugellini, e per opera del Brugnoli, e con la pubblicazione in traduzione italiana dei lavori del Matthay, le scuole pianistiche italiane fini­ rono per allinearsi tutte ai sistemi didattici moderni, pur mantenendo legami 16 A. Mugellini: Nuovi sistemi fondamentali nella tecnica del pianista, in Rivista Musicale Italiana-, il Mugellini era partito soprattutto dal trattato di R.M. Breithaupt. 17 A. Brugnoli: Dinamica pianistica, Milano 1926, Nel 1961 ne fu pubblicata una seconda edizione, molto accorciata. 18 Si veda la relazione Brugnoli (Proposta di riforma nell’indirizzo pedagogico e nell’ordinamento degli Istituti Musicali d’Italia} e la relativa discussione svoltasi al 1 ° Congresso italiano di musica, tenuto a To­ rino nell’ottobre del 1921, in: La vita musicale dell’Italia d’oggi, Torino 1922. Dei sei punti contenuti nel­ la mozione Brugnoli, uno solo venne approvato, dopo che Brugnoli aveva accettato un emendamento proposto da Alessandro Longo.

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più o meno evidenti con le loro tradizioni. Il più celebre didatta italiano della seconda metà del Novecento, il napoletano Vincenzo Vitale allievo del figlio di Beniamino Cesi, Sigismondo, seppe così riassumere in una sintesi perso­ nale la lunga tradizione della scuola napoletana senza perdere il filo dell’im­ pronta originaria di Thalberg. La più antica delle scuole pianistiche italiane è quella sorta a Milano col­ l’insegnamento di Francesco Pollini. Il Pollini era nato a Lubiana nel 1763; aveva studiato a Vienna, dove aveva forse avuto anche qualche lezione da Mozart, poi si era stabilito a Milano e si era dedicato allo studio della musica teatrale sotto la guida di Nicola Zingarelli; a Milano, tranne un breve viag­ gio a Parigi, il Pollini restò tutta la vita — fu professore di pianoforte, com­ positore, accompagnatore — e vi morì nel 1846. Pollini era un pianista di vasta cultura e di grande talento. Aveva avuto modo di conoscere a Vienna il pianismo di Mozart, conosceva e stimava i Metodi di Dussek, di Clementi 19 e di Adam, né gli mancava il gusto per la ricerca tecnicistica che lo portò, com’è noto, ad escogitare la grafia su tre ri­ ghi e, come non è noto affatto, a scrivere pezzi per la mano sinistra sola. Il Metodo di Pollini, pubblicato nel 1811, è in sostanza ispirato al Metodo di Adam, ma procede assai avanti nella ricerca della diteggiatura razionale. Per ogni tipo di tecnica affrontato Pollini cerca una regola di diteggiatura e la illustra con dovizia di esempi ingegnosi; ma non dimentica mai che le sue sono regole empiriche, e conclude con un saggio avvertimento:

Istruito lo Scolaro sì dalla Teoria, che dalla Pratica di tali esempi, po­ trà con un po' d’attenzione a qualunque passo o andamento, sebbene qui non indicato, ritrovare l’analogo portamento della mano. Solo si avverte, che il portamento migliore sarà sempre quello che è più atto a produrre l’effetto desiderato, e che a cambiamento di posizione è meno soggetto.

Il Pollini fu tra i primi didatti che ebbero l’intuizione dell’importanza fon­ damentale della varietà di tocco. Il pregiudizio — pregiudizio, allora, comu­ ne a tutti — della mano immobile gli impedì di iniziare una vera indagine sul tocco; ma tuttavia Pollini arrivò già a teorizzare un tipo di tocco eterodosso (il tocco per il pianissimo, nel quale il dito soppesa il tasto prima di abbas­ sarlo), e comprese quanto sia essenziale, nella formazione del suono, l’uso del pedale dì risonanza. Francesco Pollini non trovò molto tempo da dedicare all’insegnamento, e lo sviluppo della scuola milanese, più che a lui, è dovuto al suo allievo Anto19 È molto probabile che Pollini conoscesse personalmente Clementi: l’incontro tra i due avrebbe potulo aver luogo a Milano, dove Clementi soggiornò per buona parte del 1808. In quella circostanza Clemen­ ti conobbe sicuramente Bonifazio Asioli (si veda: G.C. Paribeni: op. ciL), ed Asioli era amico intimo di Pollini.

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nio Angeleri, che insegnò nel Conservatorio di Milano dal 1826 al 1870. L’Angeleri si mantenne attaccato agli insegnamenti del Pollini aggiornando­ li con somma circospezione, ed educò molti ottimi pianisti, alcuni dei quali, come Adolfo Fumagalli e Ludovico Breitner, godettero di larga fama anche fuori d’Italia. I concetti didattici dell’Angeleri, da lui esposti in un piccolo trattato di lettura a tratti esilarante,20 erano però antiquati già nel 1850, e così, per alcuni decenni, la scuola milanese si trovò stretta in un rigido con­ servatorismo. II compito di romperla con la tradizione, in modo violento e non senza stramberie, a Milano se lo assunse Giuseppe Frugatta, didatta non privo di genialità inventiva ma legato a schemi metodologici astratti e rigidi. Con il Frugatta, tuttavia, cominciò nella scuola milanese un processo di rin­ novamento che si concluse nel primo dopoguerra.

c) Gli inglesi

All’insegnamento di Mozart si ricollega, sebbene indirettamente, la scuola pianistica inglese. Thomas Attwood aveva studiato musica in Italia e, dal 1785 al 1787, a Vienna, con Mozart, dal quale era molto stimato. Tornato in Inghilterra svolse attività di organista, di compositore, di insegnante, e si in­ teressò anche di organizzazione di concerti. Philip Hambly Cipriani Potter studiò a Londra con Attwood e con Joseph Wòlfl, e poi a Vienna, dove cer­ cò inutilmente di avere lezioni da Beethoven. A Londra, al contrario di Att­ wood, svolse attività pianistica assai intensa: tra gli altri suoi meriti è da ri­ cordare soprattutto l’apostolato in favore di Beethoven, del quale eseguì per primo a Londra, tra il 1824 e il ’25, i Concerti in do maggiore, do minore e sol maggiore. Più importante di Attwood e di Potter, come didatta, è William Henry Holmes, allievo di Potter nella Royal Academy of Music alla fondazione dell’istituto (1822), assistente nel 1826, professore alcuni anni dopo. Dalla scuola di Holmes discendono parecchi ottimi pianisti e un didatta di grandis­ simo valore: Tobias Matthay, pianista, compositore, ma soprattutto autore di trattati di didattica che ebbero risonanza mondiale e che sono frutto di una delle indagini più acute e complete condotte sulla tecnica pianistica. I caratteri della scuola inglese si presentano molto compositi, come già ab­ biamo visto per la scuola russa; ma la scuola russa ebbe in Anton Rubinstein una personalità di interprete così forte da attirare a sé i caratteri divergenti e da imprimere negli ultimi anni del secolo un indirizzo unitario alle varie cor­ renti. Non altrettanto si può dire della scuola inglese, che trovò un punto fo­ cale in un pedagogo come Matthay più che in un interprete. Le due correnti principali, non in contrasto tra di loro, sono la mozartiana (con Holmes ed 20 A, Angeleri: Il Pianoforte. Posizione delle mani. Modo di suonare, Milano 1872.

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Ernest Pauer) e la clementina (con Clementi e Moscheles). Moscheles fu pro­ fessore nella Royal Academy dal 1826 al 1841; ma bisogna anche tener pre­ sente che molti pianisti inglesi, come il Dannreuther, il Sullivan, Sidney Smith e Franklin Taylor, vinsero il Premio Mendelssohn e vennero mandati a studiare a Lipsia. La tradizione si mantenne dunque in Inghilterra e si pro­ lungò, esaurendosi, per tutto il secolo. Il rinnovamento avvenne per opera del Matthay e per l’affermazione, contrastata prima, trionfale poi di Pade­ rewski, che segnò il tramonto della cultura dell’età vittoriana nella quale il severo ma un po’ scolorito stile interpretativo di Clara Schumann era stato considerato il modello ideale.

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Beethoven

Gli studi musicali di Beethoven furono in gran parte svolti con Christian Gottlob Neefe, musicista di scuola bachiana che istruì il suo allievo nella composizione sui trattati di Fux, Marpurg, Kirnberger, e nel pianoforte sul Saggio di Cari Philipp Emanuel Bach e sul Clavicembalo ben temperato. Era l’educazione musicale della scuola di Johann Sebastian: un’educazione, co­ me abbiamo visto, che formava dei musicisti, non dei pianisti virtuosi. Ma Beethoven aveva mani felicemente predisposte a dominare la tastiera: tozze, robustissime, con dorso largo, con dita non lunghe, con polpastrelli quadra­ ti. La costituzione della mano, naturalmente adatta a cavare dallo strumento suoni dinamicamente molto differenziati, favorì certamente lo stile esecuti­ vo di Beethoven, agevolandogli la pienezza, la pastosità del suono cantabile, dando al legato una perfezione che stupì i primi ascoltatori viennesi,21 facili­ tando l’emissione di un fortissimo che tendeva costantemente a superare le possibilità fisiche degli strumenti dell’epoca. La ricchezza del suono dipendeva fors’anche dall’uso del pedale di riso­ nanza, che con Beethoven diventa un mezzo espressivo di impiego quasti co­ stante. Mozart usava il pedale ma non lo indicava mai; Clementi lo usava e lo indicò qualche volta; Beethoven lo indicò spesso, a partire dalla Sonata op. 26, e lo usò moltissimo. Per Mozart il pedale serviva dunque solo per va­ riare il timbro del suono pianistico; per Beethoven — e dopo di lui per tutti i compositori dell’ottocento — il pedale serve anche a prolungare i suoni quando le dita non potrebbero più tenere i tasti, e la notazione del pedale in­ tegra la grafia, modificando la durata dei valori indicati nel pentagramma. Questo impiego del pedale, come accennammo parlando di Thalberg e come diremo parlando di Chopin, sarà un elemento basilare nell’evoluzione della tecnica pianistica nell’età romantica. Beethoven, che non fu pianista di carriera, fu ancor meno pedagogo. Tut­ tavia, quando decideva di dar lezioni di pianoforte era attento e paziente. Anton Schindler (Beethoven, Miinster 1840) e Gerhard von Breuning (Aus den Schwarzspanierhause, Vienna 1874) ci assicurano che nei suoi ultimi an­ ni Beethoven pensò seriamente di scrivere un Metodo per pianoforte. Forse, come quando trattò con Ferdinand Ries per gli Allegri di bravura, pensava di cavarne un guadagno materiale; ma non si può escludere che la didattica lo interessasse. Tra i Metodi stimò dapprima sopra tutti il Saggio di Cari 21 Sarà forse opportuno ricordare che suonare legato, in Beethoven e nei romantici, non significa soitanto suonare senza staccare le dita dai tasti tra una nota e l’altra. Suonare legato significa invece trovare di volta in volta il rapporto tra l’intensità e la durata del suono, di modo che tra un suono e l’altro quasi non si avverta la diminuzione di volume che è propria di uno strumento a percussione qual è il pianoforte. 11 legato non si ottiene dunque col solo accorgimento di non sollevare materialmente un dito finché un al­ tro dito non abbassa un tasto; è necessaria invece la capacità di regolare esattamente la velocità di abbas­ samento del tasto, o meglio, l’accelerazione della velocità di abbassamento.

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Philipp Emanuel Bach, che adottò nel 1800 per Czerny; più tardi preferì il Metodo di Clementi, che nel 1825 fece prendere al giovane von Breuning: pare anzi che Beethoven stimasse l’opera didattica di Clementi al punto da suscitare il risentimento di Czerny. Carl Czerny ci ha lasciato un’interessantissima descrizione del metodo pe­ dagogico di Beethoven:

Durante la prima lezione Beethoven mi mise a far soltanto delle scale in tutti i toni, mi mostrò la sola giusta posizione delle mani e delle dita, al­ lora ancor sconosciuta alla maggior parte degli esecutori, e particolar­ mente l’uso del pollice — regola della quale solo più tardi imparai a ca­ pire l’utilità. Dopo di ciò lesse con me gli esercizi di questo metodo [il Saggio di Bach], attirando la mia attenzione soprattutto sul legato eh ’egli possedeva in modo veramente insuperabile, e che tutti i pianisti di quell’epoca consideravano ineseguibile sul pianoforte; l’esecuzione staccata, a piccoli colpi brevi, era ancor di moda dopo la morte di Mo­ zart (Beethoven stesso mi raccontò, in anni successivi, di aver più volte ascoltato Mozart suonare e che questi, poiché ai suoi tempi la fattura dei pianoforti era ancor nell’infanzia, aveva preso l’abitudine sui clavi­ cembali [Flugel], allora d’uso più frequente, di un modo di suonare che non si adattava affatto ai pianoforti. Conobbi in seguito molte persone che avevano studiato con Mozart e trovai che il loro modo di suonare confermava questa osservazione.22 Scale e legato-, cioè le basi del metodo pedagogico di Clementi. Ma non è da credere che Beethoven non attribuisse importanza allo studio dello stac­ cato e negli Studi di Cramer, che pure apprezzava molto, trovava il difetto del suonare appiccicoso (pappig) a cui, secondo lui, conducevano l’allievo.23 Un’altra interessantissima testimonianza sul metodo pedagogico di Bee­ thoven ci è data da Ferdinand Ries: Se in qualche punto commettevo uno sbaglio o non coglievo esatta­ mente delle note o erravo comunque in un rapido passaggio, cui spesso voleva dar particolare rilievo, di rado ci trovava da ridire; se però non davo la dovuta espressione a qualche frase, ai "crescendo” ecc., o al ca­ rattere generale del pezzo stesso, allora montava su tutte le furie. Mi 221 ricordi di Czerny su Beethoven, tratti dalle inedite Erinnerungen aus meinem Leben, furono pubblicatì a Vienna, nel 1870, in Jahresbericht der Gesellschaft der Musikfreunde e ripubblicati e tradotti più volte. La testimonianza di Beethoven sul modo di suonare di Mozart è stata molto discussa ed appare sen­ za dubbio in contraddizione con alcune affermazioni di Mozart, se però si prendano in senso assoluto i termini di legato e di staccato. Ma se si tiene presente quanto dicevamo poco fa sulla natura del legato beethoveniano e sull’uso beethoveniano del pedale di risonanza risulta chiaro che l’affermazione di Bee­ thoven ha per noi ìl significato di sottolineare la diversità di stile tra Beethoven e Mozart: il legato, in Mo­ zart, è legato ordinario, in Beethoven è legato sostenuto. 23 Si veda: M.G. Nottebohm: Neue beethoveniano, Lipsia 1875.

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diceva cioè che i primi inconvenienti erano dovuti al caso, ma i secondi denotavano invece manchevolezze di cognizioni, di sentimento e di at­ tenzione. Anche a lui stesso accadeva ben di frequente, persino quando suonava in pubblico, di commettere qualche sbaglio della prima spe­ cie. 24 A questo punto possiamo riassumere i concetti pedagogici di Beethoven con le sue stesse parole, tratte da una lettera a Czerny del 1817 : Rispetto al modo di suonare, la prego di vedere ch’egli [il nipote Cari] prima di tutto abbia una buona diteggiatura, poi suoni a tempo, e pos­ sibilmente non prenda troppe note false, e dopo soltanto lo correggerà nel modo di porgere; e quando sarà giunto fin qui, non lo interrompa per qualche piccolo errore, ma glielo faccia notare solamente alla fine del “pezzo”. Sebbene mi sia dedicato poco all’insegnamento, pure ho sempre seguito questo metodo: esso forma il musicista, ciò che è poi uno degli scopi principali dell’arte, e stanca meno maestro e scolaro.25

Scelta della diteggiatura, studio dei valori, studio tecnico, studio del fra­ seggio, interpretazione: è un piccolo, ma perfetto trattato di metodologia di­ dattica.

24 F. Braun: Beethoven intimo, Traduzione di G. Devescovi, Bologna 1927. 25 Beethoven: Epistolario. Trad, di A. Albertini, Torino 1947.

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I Beethoveniani

a) Czerny

Carl Czerny, dopo aver studiato con Beethoven, aveva avuto lezioni da Clementi e da Hummel; la sua era dunque l’educazione che lo metteva in grado di conoscere a fondo la scuola e l’artista destinati a dominare lunga­ mente il mondo dei pianisti: la scuola clementina, Beethoven. Czerny seppe assimilare completamente la tecnica di Clementi e guardò costantemente a Beethoven come al più grande musicista mai esistito. Ma la sua straordinaria capacità di lavoro gli permise di riflettere su quanto aveva appreso e di farsi una cultura vasta ed eclettica. Importanti per la storia della cultura, sebbene non più attuali, sono le sue revisioni di opere di Bach, Scarlatti, Cramer, Dussek, Beethoven, la revisione critica del Metodo di Miiller, la traduzione tedesca del Metodo di Adam. Importantissimo, per chi voglia rendersi esat­ tamente conto delle convenzioni tacitamente accettate nella prima metà dell’Ottocento riguardo alla grafia musicale, è il Metodo,26 specie nella Terza Parte, nella quale vengono affrontati i problemi del fraseggio e della decla­ mazione musicale. Abbiamo visto che la necessità del tempo rubato nell’esecuzione pianistica era già stata intravveduta da Cari Philipp Emanuel Bach; altri trattatisti po­ steriori — Turk e Koch, già incidentalmente citati, e poi Hummel e Kalkbrenner — avevano cercato di stabilire qualche regola sul tempo rubato. Czerny, che tien d’occhio la concezione della musica come espressione dei sentimenti, affronta l’argomento con maggior larghezza:

Si è già in addietro osservato che, pari alla Forza, il Tempo anch "esso è di­ visibile all’infinito. Ora ogni pezzo di Musica deve senza meno esser ese­ guito sino allafine nel movimento prescritto dall’autore, e stabilito subi­ to alprincipio dal suonatore; ed in generale con rigorosa misura, e giam­ mai con vacillante ondulazione. Malgrado ciò, occorron sovente, e quasi ad ogni riga, singole battute e passi interi che richiedono un piccolo ral­ lentare o accellerare onde abbellir l’esecuzione ed accrescer l’interesse. Czerny comincia la sua indagine sul tempo rubato (che non chiama tempo rubato ma cangiamento di movimento) elencando nove stati d’animo (gene­ rici sentimenti) ai quali conviene il rallentando, dieci ai quali conviene l’ac­ celerando. Esamina quindi il rallentando in rapporto alla costruzione della frase musicale, e trova undici casi principali nei quali il rallentando è oppor26 C. Czerny: Grosse Pianoforteschule op. 500, Vienna 1839.1 passi che verranno citati sono tratti dal­ la edizione italiana di Ricordi (Milano, s,d,, ma probabilmente intorno al 1840).

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Tavola 7

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timo. Passa infine agli esempi, commentando in modo minuziosissimo alcu­ ni passi scritti appositamente. Altri punti che meritano di essere ricordati sono gli elenchi dei casi nei quali bisogna fare dei crescendo o dei diminuendo non indicati dall’autore, bisogna eseguire arpeggiati gli accordi, bisogna tenere in continuazione il pe­ dale di risonanza su più accordi dissonanti. Czerny imposta anche, sebbene in modo rudimentale, il problema dell’in­ terpretazione. Secondo lui, la storia della letteratura pianistica si articola at­ traverso sei Scuole (di Clementi, di Cramer e Dussek, di Mozart, di Beetho­ ven, di Hummel, Kalkbrenner e Moscheles, di Thalberg, Liszt e Chopin) ognuna delle quali presenta caratteristiche proprie che devono esser studiate e possedute dall’esecutore. Czerny non arriva ad individuare poeticamente ogni autore e tende invece a congiungere ciascuna Scuola con i concetti em­ pirici di stile cantabile, espressivo, severo, brillante, ecc. Tuttavia egli affer­ ma già la necessità di differenziare stilisticamente i vari autori, e con ciò se­ gna un progresso rispetto ai suoi predecessori. Per noi è soprattutto interes­ sante il fatto che Czerny escluda quasi del tutto lo stile brillante27 nell’esecu­ zione di opere di Beethoven:

Unaforza caratteristica e sentimentale, alternata con tutti gli incanti del Cantabile, è qui predominante. I mezzi d'espressione vengon qui non di rado spinti all’eccesso, in ispecie quanto al capriccio umoristico. Le ma­ niere brillanti epiccanti raramente applicabili, compensate da altri effetti in grande, parte mediante un legato a più voci, parte coll’abile uso della pedaliera, ecc. Grande agilità senza pretender al brillante. Espressione entusiastica nell ’Adagio; infine, canto pieno di sentimento. Per concludere il sommario esame del Metodo ricorderemo infine per cu­ riosità che Czerny, didatta perfetto, si preoccupa anche di spiegare all’allie­ vo il cerimoniale da seguire nella professione concertistica:

Dovendo il Suonatore farsi ascoltare in pubblico (p.e., in teatro), egli s’impegnerà viemeglio onde presentarsi in maniera nobile e decente, in abito nero e con cappello a tre punte; avuta prima la necessaria cura di tener ben caldi e pieghevoli i suoi diti. Dopo i tre convenienti inchini (prima verso il palco principale, dappoi dalla parte di contro, infine verso la platea), egli va ad occupar il suo posto, depone il cappello, ca­ vasi i guanti bianchi, e dà segno all’orchestra: d’allora è rigorosamente vietata ogni sorta di preludio. 11 La prima qualità dello stile brillante, secondo Czerny, consiste «in un particolar tocco, chiaro, marcato e vigoroso de * tasti, per cui risulta il suono distintissimo. Laonde ogni staccato ed ogni più forte se­ paramento de * suoni è per natura brillante: mentre invece il rigoroso legato appartiene all’opposta ma­ niera» .

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E non mancano neppure gli avvertimenti per il volta-pagine: L’individuo addetto a voltar le pagine all’Artista siede alla parte del basso e volge i fogli prendendoli all’estremità superiore.

Leschetizki ci ha lasciato una brillante descrizione sul modo di insegnare e sui gusti di Czerny:

Usuo modo di insegnare assomigliava a quello di un direttore d’orche­ stra. Dava lezione stando in piedi, ed indicava con gesti le differenti ac­ centuazioni di tempo e di dinamica. Il principale indirizzo dell’insegna­ mento di mio padre era stato lo sviluppo della sensibilità musicale e del gusto; Czerny insistette principalmente sull’accuratezza, brillantezza, e sugli effetti pianistici. Suonai con lui gran parte di Bach, pezzi di Thalberg e, soprattutto, di Beethoven. Czerny pensava che Beethoven do­ veva esser reso con libertà di eloquio e profondità di sentimento. Un ’interpretazione di questo maestro pedantesca, non elastica, lo ren­ deva furioso. Mi permise di suonare Chopin quanto volevo, ma sebbe­ ne apprezzasse il grande compositore polacco talvolta diceva che le sue opere erano dolciastre. Poi, di nuovo se ne entusiasmava, e diceva che erano “famose Musik”. Czerny non riconosceva interamente il valore delle ultime Sonate di Beethoven; comprendeva Mendelssohn.28 È facile rilevare che, al contrario di Beethoven, Czerny si preoccupava pri­ ma di tutto dell’esecuzione corretta, irreprensibile: era una necessità, per il pianista di carriera, e Czerny era un gran realista. L’altro punto importantis­ simo ricordato da Leschetizki, che ci conferma quel che avevamo imparato dal Metodo, è l’opinione di Czerny sull’interpretazione di Beethoven.

a) Leschetizki

Czerny fu uno dei maggiori didatti d’ogni tempo, e dal suo insegnamento discesero tre-delle principali scuole pianistiche europee: la scuola di Kullak, la scuola di Leschetizki, e la scuola di Liszt che tratteremo in seguito. Kullak, fondatore del Conservatorio Stern di Berlino e poi dell’Accade­ mia Kullak, fu nella seconda metà del secolo il più autorevole maestro della Germania del Nord. Era anche lui, come Czerny, un didatta nato, un entu­ siasta della didattica, e scrisse un bel mucchietto di lavori didattici tra i quali la celeberrima Scuola delle ottave; né si limitò a scrivere il trattato perché creò addirittura nella sua Accademia una classe speciale dove si studiava la tecnica delle ottave (il primo titolare fu l’italiano Eugenio Pirani). In Kullak, 28 A. Potocka: T. Leschetizki, New York 1903.

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WATTS

BUCHBINDER

LESCHETIZKI

GULDA

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come in tutti i didatti molto interessati ai problemi della didattica, la tradi­ zione si va un po’ decolorando: la sconvolgente forza espressiva negli Adagi, la travolgente vigoria degli Allegri, che erano state una caratteristica del pia­ nista Beethoven diventano, nella scuola di Kullak, accentuazione patetica commovente ed inebriante scansione ritmica. Furono questi, se non ci ingan­ niamo, i limiti di Kullak come maestro, compensati però, almeno in parte, dall’energia, dalla passione, dalla severità, dall’amore per il lavoro che ispi­ rarono la sua attività. Più importante della scuola di Kullak, e anche più prossima nel tempo a noi, è la scuola di Leschetizki. Theodor Leschetizki, polacco di nascita, stu­ diò con Czerny dal 1841. Rapidamente disciplinato e fornito di una tecnica sicura dal severo pedagogo viennese, che in ciò soprattutto eccelleva, Le­ schetizki cominciò la sua carriera come pianista brillante. Un’audizione di Julius Schuloff lo “convertì” alla ricerca dell’espressività: Cominciai a intravvedere un nuovo stile di esecuzione. Quella melodia emergente in netto rilievo, quella meravigliosa sonorità — tutto ciò do­ veva esser dovuto a un tocco nuovo e del tutto diverso. E che cantabile! un legato come non avevo sognato possibile sul pianoforte: una voce umana sorgente sopra l’appoggio delle armonie... Poi avvenne una co­ sa strana. Aveva finito, e non aveva suscitato alcuna rispondenza [ne­ gli ascoltatori]. Non c’era entusiasmo! Erano tutti così assuefatti al brillante spiegamento della tecnica che la pura bellezza della composi­ zione e dell’interpretazione non era apprezzata... Il modo di suonare di Schuloff fu per me una rivelazione. Da quel giorno tentai di trovare quel tocco... Studiai senza posa.29 Le parole di Leschetizki fanno supporre che la scuola di Czerny, con la ri­ cerca della nettezza e della precisione di esecuzione, avesse smarrito la pie­ nezza e la varietà di tocco che era stata una caratteristica di Beethoven. Quanto al fatto che il desiderio di studiare da capo il problema del tocco fos­ se nato dopo un’audizione di un pianista minore come Schuloff sorge il dub­ bio che Leschetizki volesse in realtà negare una derivazione del suo stile dal­ lo stile di Anton Rubinstein. Rubinstein possedeva il tocco il più vario e il più raffinato e il più pastoso — gras, dicevano i francesi — che forse si sia mai udito; e Leschetizki visse accanto a Rubinstein per molti anni da quando risiedette a S. Pietroburgo: si può sospettare, senza peccare di gratuita mali­ gnità, che Leschetizki preferisse far credere di aver già avuto uno stile piena­ mente formato al tempo del suo soggiorno in Russia. Pare invece probabile che la conoscenza approfondita dello stile e delle idee di Rubinstein sull’in­ terpretazione avesse segnato l’esperienza cruciale dell’evoluzione di Lesche­ tizki, che nel 1878 tornò, ricco di esperienza ed in piena maturità, a Vienna. 29 A. Potocka: op. cit.

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Qui aprì una scuola divenuta in breve frequentatissima: dopo la morte di Li­ szt, e per più di vent’anni, Leschetizki fu il più celebre maestro del mondo. La lista degli allievi — comprendente la Essipova, Paderewski, Schnabel, la Ney, Friedman, Moiseiwitsch, Horszowski e moltissimi altri — basta da sola a far comprendere di quale livello fosse l’insegnamento di Leschetizki. E lo “stampaggio” costante di pianisti di alto valore fece circolare la voce di un sistema tecnico segreto: un sistema che rendeva tutto facile e faceva suo­ nar bene chiunque. In verità, Leschetizki non aveva scoperto alcun segreto. La serie di fotografie pubblicate nel Metodo della Uree30 mostra perfetta­ mente la posizione delle mani consigliata da Leschetizki: polso leggermente basso ed elastico, nocche altissime, dita molto curve: posizione che solo in parte ricorda la posizione della scuola di Czerny perché Czerny, pur tenendo le dita curve al modo di Beethoven, manteneva il dorso della mano in linea con l’avambraccio. Ma, a parte la posizione delle mani, è la meccanica dei movimenti che lascia perplessi. Ad esaminare le fotografie con spirito critico c’è da stupirsi che Leschetizki riuscisse a suonare, se davvero muoveva le di­ ta a quel modo: i muscoli sono tesi, l’articolazione è spropositata, le dita non in azione stanno molto rilevate sui tasti (in tutte le posizioni di scale il mignolo par la canna d’un fucile), negli accordi nessun dito osa spingersi frammezzo ai tasti, cosicché il medio assume spesso una posizione grottesca a vedersi. Il fatto è che Leschetizki, quando suonava, non quando si metteva in posa, agiva altrimenti (si veda una fotografia in D. Brook: Masters of the Keyboard, Londra 1947), ed i suoi allievi lo imitavano. Le posizioni fotogra­ fate per il Metodo sono invece quanto di più innaturale si possa immaginare. E d’altronde tutto il lavoro della Brée, assistente di Leschetizki, delude chi vi cerca un’indagine originale sulla tecnica pianistica. II segreto vero di Leschetizki consisteva invece nella capacità di sviluppare le qualità personali del singolo allievo, unita alla vastità della cultura. Alfre­ do Casella definì con molta acutezza le caratteristiche dell’insegnamento di Leschetizki:

Egli studiava a fondo l’alunno in ogni sua particolarità fisica e spiri­ tuale e poi finalmente improvvisava volta per volta il sistema adatto a ogni singolo caso. Certi pochi esercizi, nel suo insegnamento, erano fissi per tutti. Ma egli spiegava che non era tanto l’esercizio che valeva in sé quanto il modo di esercitarlo e sopra tutto la pazienza colla quale si deve studiarlo. Leschetizki era un uomo di eccezionale intelligenza e un grande artista, che seppe conservare un entusiasmo giovanile e fre­ schissimo sino oltre gli ottanta anni. Egli incoraggiava certi alunni col­ la bonarietà. Altri invece trattava con profonda ironia. Per altri infine ricorreva senz’altro alle male parole. Ma da tutti otteneva, con questi 30 M. Brée: Die Grundlage derMethode Leschetizki, Magonza 1906.

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diversi procedimenti, il massimo dei progressi ed il maggior attacca­ mento alla sua alta personalità di maestro. Suonava molto alle lezioni. E raccontava continuamente storie e aneddoti per corroborare le sue spiegazioni e per rendere tutto più chiaro.31

L’importanza dell’insegnamento di Leschetizki si riferisce soprattutto alla storia dell’interpretazione. Non sarebbe giusto esaltare i meriti di Leschetiz­ ki a detrimento dei meriti di altri interpreti, che contribuirono in modo note­ volissimo al progresso della cultura. Certo è però che nella scuola di Lesche­ tizki più che in altre scuole contemporanee si vedono affermati costantemen­ te i concetti sull’interpretazione che si imposero nella pratica dei grandi in­ terpreti, anche se le discussioni teoriche più di una volta li contestarono. L’interpretazione è lettura critico-estetica del testo, è filologia e arte dram­ matica, è attività fortemente condizionata nelle premesse e pur libera come fatto esistenziale. Leschetizki, di fronte alla scuola di Lipsia e alle minori scuole accademiche tedesche e inglesi, affermò l’insufficienza della sola let­ tura filologica del testo; di fronte ad una parte della scuola di Liszt e ad alcu­ ne scuole slave affermò l’insufficienza della sola declamazione. In altre pa­ role, Leschetizki insegnò a diffidare dell’interpretazione intesa come sempli­ ce traslitterazione sonora d’una forma grafica quanto dell’interpretazione intesa come risoluzione del testo in termini di musicalità pura. Paderewski come interprete di Chopin, Schnabel come interprete di Beethoven furono la dimostrazione più alta dei concetti di Leschetizki sull’interpretazione.

31 A. Casella: Il pianoforte, Roma-Milano 1937.

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L. Adam

Il pianoforte era stato inventato in Italia. La costruzione di pianoforti su scala industriale ebbe inizio in Germania e quindi in Inghilterra, dove il nuo­ vo strumento si affermò, sia pure dopo molti travagli, verso il 1770. La Francia, rispetto alla Germania e all’Inghilterra, fu in ritardo di almeno die­ ci anni, e quando i francesi cominciarono ad apprezzare e a comprare piano­ forti furono i pianisti tedeschi, già esperti di tecnica pianistica, che conqui­ starono Parigi. Tra i primi ad ottenervi successi furono Edelmann e Hullmandel; poco più tardi fu la volta del boemo Jan Ladislav Dussek, di Ignaz Pleyel, di J.D. Hermann; quindi arrivò Daniel Steibelt, che venne contrap­ posto al compatriota Hermann — il maestro di Maria Antonietta, il più ri­ cercato insegnante di Parigi — e lo superò in una di quelle singolari tenzoni allora non infrequenti. Anche Clementi soggiornò a Parigi per breve tempo nel 1780; altri due italiani, claviccmbalisti, che rapidamente s’erano impa­ droniti della tecnica pianistica, furono celebri a Parigi: il piemontese Ame­ deo Rasetti, e Felice Bambini, bolognese, autore del più antico Metodo fran­ cese per pianoforte, pubblicato prima del 1780. Verso il 1790 Parigi era già la mecca dei pianisti, che continuarono ad ac­ corrervi numerosi. La Rivoluzione pensò a diradare un pochino le fila: ta­ gliò la testa a Edelmann (che pure aveva scritto l’accompagnamento pianisti­ co della Marsigliese), fece scappare a Londra Dussek e Hullmandel, in Ger­ mania la Montgeroult. Ma ormai i pianisti francesi che sapevano il fatto loro erano parecchi, e tra di essi c’era il fondatore della prima grande scuola pia­ nistica di Parigi: Louis Adam. L’Adam, alsaziano d’origine, aveva studiato un po’ d’organo a Strasbur­ go con un certo Hepp prima di trasferirsi a Parigi; ma in pratica era un auto­ didatta che sapeva tenere gli occhi bene aperti per cogliere il meglio dell’in­ tensa vita musicale di Parigi e che possedeva il dono innato di riuscire a clas­ sificare, sistemare, disporre in ordine pedagogicamente adatto il vasto mate­ riale a sua disposizione. Nel 1797, a trentanove anni, Adam diveniva professore nel neonato Con­ servatorio; l’anno dopo pubblicava, in collaborazione con il boemo Ludwig Lachnith, la Méthode ou principe géneral du doigté, nel 1802 la Méthode nouvelle, e finalmente, nel 1804, quella Méthode du Conservatoire sulla quale sarebbero state educate due generazioni di pianisti. Il Metodo di Adam non ha pretesa di originalità ed è costruito sul cano­ vaccio del Metodo di Muller, opportunamente amputato delle parti antiqua­ te, rimpolpato, messo a nuovo; lo strano è che neppure il Metodo di Muller aveva pretese di originalità ed era invece il Metodo di Georg Simon Lòhlein, sia pure con molte aggiunte. Il Metodo Lòhlein era in sostanza un trattato per la realizzazione del basso cifrato; nel Settecento fu un vero best seller, 50

L. ADAM

Tavola 10

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venne ripubblicato molte e molte volte e, accresciuto dapprima dal Witthauer, ricevette l’ultima mano dal Miiller, che ne fece un vero e proprio Me­ todo per pianoforte. Tutto ciò dimostra abbastanza bene che l’importanza del Metodo di Adam è esclusivamente pratica: l’Adam non era d’altronde un pianista di grido, non aveva una personalità artistica spiccata e non influì sull’evoluzio­ ne della tecnica pianistica. Il suo Metodo presenta tuttavia più d’un motivo di interesse storico: per esempio, perché testimonia che la pratica del tempo rubato, dall’Adam disapprovata, era già comune all’inizio del secolo, per la parte che viene riservata all’uso dei pedali, e perché nei Passaggi di diversi autori, diteggiati, compare il Beethoven dell’op. 2: per la prima volta Bee­ thoven diventa oggetto dell’attenzione di un didatta. Tra gli allievi di Adam, Kalkbrenner è di gran lunga il pianista più famo­ so; fu anzi ritenuto, in certi ambienti, il più grande pianista che fosse mai esistito e fu giudicato insuperabile: il che, se consideriamo la tecnica delle di­ ta senza partecipazione attiva della mano e dell’avambraccio, corrispondeva alla verità. Lo stesso Chopin, che non era un pianista di secondo piano e che aveva ascoltato Hummel, Herz e Thalberg, scrisse il 12 dicembre 1831 all’a­ mico Tytus Woychiechowski, dopo aver conosciuto Kalkbrenner: «È diffici­ le descriverti la sua calma, il suo tocco affascinante, l’inaudita uguaglianza e la maestria che affiorano da ogni nota: è un gigante che schiaccia gli Herz, i Czerny ecc., e anche me».32 Kalkbrenner aveva isolato e spinto alle estreme conseguenze taluni aspetti della tecnica di Clementi. Ma, essendo uomo vanitosissimo, non si sognava neppure di ammettere una sua derivazione da Clementi o da chicchessia:

Anche dopo aver ottenuto il primo premio al Conservatorio di Parigi, il Sig.r Adam mio maestro mi sgridava sempre quando aveva dei trilli da fare, perché allora il mio mignolo tanto s’induriva, che la mano sembrava storpiata.33 Kalkbrenner tentò in tutti i modi di ridurre il suo mignolo ribelle all’obbe­ dienza, e scoprì infine che il miglior sistema era di sostenere una mano con l’altra. Il che presentava degli inconvenienti... Allora Kalkbrenner ebbe un lampo di genio:

... presi una vecchia sedia a bracciuoli alla quale ne segai uno, poscia volgendo l’altro davanti alla tastiera, e introducendo le mie gambe per

32 F. Chopin: Correspondance, Parigi 1953-1960. 33 F. Kalkbrenner: Méthode pour apprendre le pianoforte à l*aide du guide-mains^ Parigi 1830. La di­ vertente traduzione, anonima, è quella pubblicata dall’editore Lucca di Milano.

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di sotto, mi trovai in tal posizione da godere del più compito successo; le mie braccia così appoggiate su quelle della sedia mi mettevano in istato di poter muovere le dita senza la minima contrazione. Era nata l’idea del Guida-mani, cioè di un regolo parallelo alla tastiera sul quale appoggiare le braccia (si può vederlo nelle “figure” del Metodo di Lebert & Stark che illustrano la posizione da assumere davanti alla tastiera); e il Guida-mani era non solo utile ma necessario, e comunque indispensabile alle “persone delicate” che avrebbero trovato con esso «la possibilità di stu­ diare finché vogliono senza timore di farsi male allo stomaco». Il racconto della sedia segata è molto suggestivo e rappresenta forse il grande sforzo di fantasia d’un uomo senza fantasia, al fine di non confessa­ re che il Guida-mani altro non è se non il Chiroplasto di Johann Bernhard Logier,34 ridotto a un regolo solo e privato dei guanti. Il Guida-mani viene presentato al pubblico nel 1830; dal 1818 al 1823 Kalkbrenner, trapiantatosi a Londra, era stato socio in affari del Logier, inventore del Chiroplasto: ognuno tragga le conclusioni che vuole. A parte la questione della paternità del Guida-mani, che ci interessa molto mediocremente, bisogna riconoscere che il Metodo di Kalkbrenner è costrui­ to con grande abilità. Sulla base della immobilità del busto e della riduzione al minimo dei movimenti delle braccia, e della articolazione molto pronun­ ciata delle dita, Kalkbrenner crea un sistema di diteggiatura che evita finché possibile gli spostamenti laterali e longitudinali della mano. Ma senza pe­ danteria: le eccezioni alle regole non mancano affatto, il pollice e il mignolo vanno sui tasti neri quand’è il caso, non mancano gli scavalcamenti, così chopiniani, del medio sull’anulare e dell’indice sul medio, il pollice passa an­ che sotto il mignolo, le dita lunghe scivolano dal tasto nero al tasto bianco. Gli autori consigliati sopra tutti vanno da Bach a Weber e comprendono Clementi, Dussek, Cramer, Beethoven (inspiegabile, e certo dovuta ad erro­ re di stampa è l’omissione del nome di Mozart: inspiegabile perché nel 1830 Kalkbrenner aveva già pubblicato la sua trascrizione per pianoforte solo del Concerto K 503). Viene raccomandata la lettura di parti di violino e di vio­ loncello per imparare «a ben accentuare e a fare dei passi quasi impraticabili per portamento [diteggiatura]». E non si può non sottoscrivere la sentenza secondo la quale il pianista «deve avere del calore senza impeto, della forza senza durezza, e della dolcezza senza affettazione». Senonché, bisognerebbe sapere quale fosse la misura del “calore senza im­ peto” e della “forza senza durezza”; e dalle impressioni dei contemporanei pare che lo stile di Kalkbrenner mirasse essenzialmente alla perfezione calli­ 34 Secondo la descrizione del Fétis (Biographie Universelle des Musiciens, Parigi 1860), il Chiroplasto era formato da un regolo, parallelo alla tastiera, sul quale si appoggiavano i polsi, e da un altro regolo ci­ lindrico sul quale scorrevano due aggeggi, come dei mezzi guanti, nei quali si piazzavano le dita. Il Chiro­ plasto era però solo un accessorio del sistema del Logier, basato principalmente suiresecuzione simulta­ nea di molti allievi (anche dodici e più), che suonavano su molti pianoforti esercizi nei quali ricorrevano le stesse formule.

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grafica e mancasse di calore e di forza, cioè fosse in pratica inestetico. Heine dà di Kalkbrenner una definizione che colpisce nello stesso tempo l’aspetto dell’uomo e lo stile dell’interprete: «Levigato e dolciastro», e sulla vanità di Kalkbrenner racconta storie favolose. Si potrebbe pensare che Heine abbia calcato la mano. Ma il Marmontel, che ammirava in Kalkbrenner l’esecutore e il didatta, in mezzo ai molti elogi non tralascia di dire che «la maniera di fraseggiare... mancava un po’ d’espressione e di calore comunicativo», seb­ bene si affretti ad aggiungere che «lo stile era sempre nobile, vero e di gran scuola» (Les Pianistes Célèbres, cit.). Altrove (Histoire du Piano, Parigi 1885) il Marmontel definisce il talento di Kalkbrenner «correct ma froid». Lo stesso Marmontel dice qualcosa che dipinge non solo l’uomo, ma l’arti­ sta: «Aveva la debolezza di preferirsi ad ogni artista, e di credersi un gran si­ gnore. Possedeva anche in grado eminente la mania della pedanteria in ogni cosa» (Les Pianistes Célèbres). È assai probabile che l’interprete Kalkbrenner rispecchiasse esattamente l’uomo — freddo, calcolatore, sicuro di sé, vanitoso — ed il musicista — li­ mitato nei suoi orizzonti spirituali, sagace nel disporre gli effetti, capace di darsi uno spolvero di romanticismo ma incapace di sentire veramente il nuo­ vo mondo romantico.33 *351 paragrafi del Metodo dedicati all’espressione e al ritmo indicano bene i limiti angusti nei quali Kalkbrenner si muoveva: la sua era un’estetica edonistica che nella musica apprezzava soprattutto l’effetto di eccitazione sensoriale dato dal ritmo. La figura di Kalkbrenner è quindi irrilevante, nella storia dell’interpretazione. Personalmente, Kalkbrenner fu senza dubbio un tecnico di prim’ordine. Purtroppo, il suo Guida-mani era la soluzione inadeguata di un problema che andava diventando sempre più grave col progredire della costruzione dei pianoforti: i pianoforti erano strumenti sempre più robusti, sempre più ric­ chi di possibilità dinamiche, sempre più resistenti al tocco. Il problema era reale e venne risolto, vedremo come, da Chopin. La tecnica ottenuta col Guida-mani era invece incompleta, e quando l’al­ lievo abbandonava l’apparecchio — perché a un certo momento bisognava pur abbandonarlo — se non ce la faceva a correggersi coll’istinto correva il pericolo di imbattersi nel crampo del braccio. Gli allievi di Kalkbrenner furono moltissimi, ma il solo Stamaty restò te­ nacemente attaccato alle direttive del Maestro. E non pare che riuscisse ad influenzare molto l’educazione del suo più celebre allievo, Camille SaintSaèns, se questi, acido come sempre, potè scrivere: «II più gran beneficio ch’io abbia tratto dalle mie relazioni con Stamaty fu la conoscenza di Maleden, che egli mi diede per professore di composizione».36 33 Kalkbrenner rigira in tutte le salse gli stessi effetti virtuosistici alternati con le stesse piatte melodie, cucinando così il concerto in forma classica, il piccolo pezzo di tipo romantico-intimistico (molti quader­ ni di Essais sur differents Caractéres), il grande pezzo di tipo romantico-diabolico (Scène Dramatique “Le Fou”t che condensa in questo canovaccio il più vasto programma della Sinfonia fantastica: «Un gio­ vane pianista deluso dai suoi primi amori diventa pazzo. Egli esprime sul suo pianoforte le diverse sensa­ zioni che prova»). 36 C. Saint-Saèns: Ecole buissonière, Parigi 1913.

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Boìeldieu

Sebbene il suo insegnamento sia stato saltuario e disattento, non sarà fuor di luogo far risalire a Boìeldieu la più importante scuola pianistica francese, quella che, attraverso Zimmermann, Marmontel, Diémer e Cortot si svilup­ pò rigogliosamente dall’inizio dell’ottocento alla metà del Novecento. Boieldieu, normanno, aveva studiato a Rouen con l’organista Broche, ma praticamente fu un autodidatta che, come Adam, seppe approfittare della lezione dei grandi pianisti che verso la fine del Settecento soggiornarono a Parigi.37 Boìeldieu divenne in breve un pianista brillante e ricercato e fu uno dei primi professori di pianoforte del Conservatorio di Parigi. Scrive il Fétis (Biographic Universelies des Musicìens, cit.), che di Boìeldieu fu allievo:

Troppo occupato dalla sua carriera di compositore drammatico per poter prendere piacere alle lezioni di meccanica d'uno strumento, era assai cattivo maestro di pianoforte; ma la sua conversazione, nella quale brillavano delle finissime osservazioni sulla sua arte, era piena di interesse per i suoi allievi, e non senza frutto per i loro studi. Scarsa è dunque l’importanza di Boìeldieu come insegnante di tecnica pia­ nistica, ma essenziale il suo influsso per l’indirizzo estetico conservato co­ stantemente dalla sua scuola. Indirizzo estetico che siamo tentati irresistibil­ mente di qualificare come stile francese’, amore per la chiarezza dell’esecu­ zione, che fa prediligere il tocco secco e rapido del jeu perle e consiglia un parco uso del pedale di risonanza; sobrietà dell’eloquio, che schiva i grandi gesti retorici ed inclina invece alla tenerezza; serenità, non esente da qualche tratto malizioso — ed è l’improvviso erompere di un che di impreveduto, di fantastico, che pare sconvolgere per un momento l’architettura razionale del piano di interpretazione. La scuola di Boieldieu è più vicina alla scuola di Mozart che alla scuola di Clementi: vicina di spirito, s’intende, perché le conquiste tecniche della scuola di Clementi divengono in breve patrimonio di tutte le scuole, come abbiamo detto ripetutamente. Il Concerto di Boìel­ dieu è ricco di passi in doppie terze, di netta derivazione clementina, ma non rivela alcuna affinità con il profondo pathos drammatico di Clementi. Ed al­ trettanto, mancando descrizioni precise, si deve pensare del suo stile di ese­ cutore. Se Boìeldieu non era stato né assiduo né appassionato nell’insegnamento, assiduo ed appassionato fu il suo allievo Pierre Guillaume Zimmermann, professore nel Conservatorio di Parigi per più di trent’anni. Zimmermann ” Non è tuttavia da trascurare l’importanza dell’insegnamento del Broche; ed inoltre Boieldieu aveva potuto ascoltare alcuni grandi pianisti (Hermann, Steibelt) anche nella natia Rouen (si veda: G. Favre: Boìeldieu. Sa vie, Son oeuvre, Parigi 1944-45).

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cominciò la sua attività di insegnante propagandando il sistema Logier; poi abbandonò il Chiroplasto e l’esecuzione simultanea su più pianoforti, ma non escogitò alcun sistema personale né scrisse un Metodo, preferendo inve­ ce servirsi delle opere di tutti i maggiori didatti contemporanei, con una spic­ cata predilezione per Cramer, del quale era intimo amico. Zimmermann non ebbe fama né di compositore né di pianista, e nella sua carriera di artista si notano due soli episodi significativi: la conquista, nel 1800, del primo premio nel concorso annuale del Conservatorio (Kalkbren­ ner ebbe il secondo premio), la vittoria, nel 1826, nel concorso per una catte­ dra di contrappunto e fuga (secondo fu Fétis, e Zimmermann rinunciò alla cattedra in suo favore). I due fatti bastano a dimostrare che Zimmermann possedeva una larga e solida base di cultura, accresciuta in lunghi anni di quotidiani rapporti con pianisti, compositori, artisti in genere. Non si comprenderebbe però la ragione dello straordinario successo otte­ nuto da Zimmermann come insegnante se non si considerasse anche ch’egli era un brillante uomo di mondo, e del gran mondo. Per quasi quarantanni in casa Zimmermann si tennero settimanalmente riunioni alle quali parteci­ pavano esponenti del mondo musicale, letterario, artistico, e dell’aristocra­ zia di Parigi. Il Marmontel (Histoire du piano, cit.) assicura che le sommités letterarie e artistiche «si riunivano volentieri nei saloni del suo caro maestro che, con il suo spirito e la sua abilità di anfitrione, sapeva raggruppare gli in­ vitati secondo il loro merito, la loro importanza, la loro influenza ecc., arte difficilissima che la famiglia Zimmermann possedeva in sommo grado». In casa Zimmermann vennero ascoltati i più grandi pianisti, da Hummel e Moscheles fino a Liszt e Chopin, vennero eseguite molte pagine di musica nuo­ va, si combinarono concerti, si tenne attivo il giro delle lucrosissime lezioni private,38 si crearono le basi di parecchie carriere e, s’intende, si discusse as­ sai d’arte. Gli ultimi anni di Zimmermann non furono lieti: VAcademie non lo volle fra i suoi membri e tra i professori del Conservatorio sorsero delle questioni che il Marmontel, nostro grande informatore, spiega solo per accenni. Zimermann si ritirò anzitempo e la lotta per succedergli si accese tra quattro suoi allievi, Alkan, Prudent, Lacombe, Marmontel. Dei quattro, Alkan era un pianista e un compositore di grandissimo talen­ to; Prudent e Lacombe erano pianisti brillantissimi, noti in tutta Europa; Marmontel era un onesto insegnante che aveva retto onorevolmente la classe — classe femminile — di Herz quando Herz era andato in America. Mar­ montel, dei quattro, era dunque il meno qualificato. Ebbe la cattedra. Ma seppe cancellare il ricordo delle non chiare circostanze della sua nomina con un lavoro intenso e serio, durato per quasi quarant’anni. “ A. Loesser (Men, Women and Pianos, New York 1954) ci informa che verso il 1840 Chopin incassava venti franchi per lezione (e ne impartiva fino a otto al giorno), Kalkbrenner dodici, Osborne dieci, un insegnante qualunque non meno di cinque. Nel 1849, per fare un confronto, un deputato al parlamento francese riceveva una diaria di venticinque franchi; e c’era chi diceva che erano troppi.

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È con Marmontel che la scuola di Boieldieu raggiunge fama europea ed at­ tira a Parigi artisti di vari paesi. Marmontel, come il suo predecessore e co­ me Adam, era un eclettico per natura e un conservatore per istinto, capace di arricchire gli schemi didattici tradizionali senza rinnovarli nel fondo. Voleva suono bello, pieno e cantante, ma non troppo ampio; voleva correttezza e misura; aborriva gli slanci passionali e i bruschi movimenti del corpo; scon­ sigliava l’uso abbondante del pedale di risonanza, che considerava un acces­ sorio, ed insisteva sulla varietà di tocco ottenuta con le sole dita; ammirava Hummel più di Clementi, Thalberg più di Liszt, poneva Chopin sullo stesso piano con altri pianisti-compositori (Hiller, Henselt, Alkan), adorava Mo­ zart, della cui musica, che definiva saine et fortifiante, fu assiduo propaga­ tore. Marmontel scrisse molto sul pianoforte ed i suoi libri, malgrado lo stile ce­ rimonioso e confusionario, si leggono ancora con interesse, soprattutto per quanto riguarda i ricordi personali dei maggiori pianisti del secolo scorso, che l’Autore fece in tempo ad ascoltare tutti. Marmontel, come maestro, possedeva anche quella che è una dote non secondaria per un didatta, pur se talvolta può diventare motivo di non nobili preclusioni: l’orgoglio della pro­ pria scuola, l’orgoglio del successo artistico e sociale ottenuto dai propri al­ lievi, costantemente seguiti, incoraggiati e, se necessario, concretamente aiu­ tati. È un po’ ridicolo, ma in fondo commovente, il tono assunto da Mar­ montel (Histoire du piano) nel presentare i suoi allievi più illustri: mes egaux, mes émules, et chevaliers de la Légion d’honneur. Eguali, perché onorati professori nel Conservatorio, emuli, perché artisti militanti, cavalie­ ri, perché saliti in alto nella stima della società. Altissima fu la stima della società per Marmontel, pari alla stima di Mar­ montel per la società. Marmontel ebbe tutto il successo e tutti gli onori che un insegnante possa desiderare, e quando andò in pensione la Maison Pleyel organizzò un concerto nel quale venne eseguita una composizione, Hommage à Marmontel, scritta da Jules Cohen per quattro pianoforti a sedici mani ed eseguita da otto pianisti, tutti ex-allievi del Maestro, tutti vincitori di pri­ mi premi nel concorso del Conservatorio. Fu l’apoteosi del vecchio profes­ sore che ancora per un decennio fece sentire in Francia il peso della sua auto­ rità, anche se i tempi andavano mutando — deteriorandosi, avrebbe detto lui — rapidamente. Dopo Marmontel, Louis Diémer. Questi, contrariamente a Marmontel era un grande pianista, il cui unico difetto, si diceva, consisteva nel non sa­ per mai sbagliare una nota. Diémer non ottenne la celebrità mondiale alla quale poteva forse aspirare perché, dice il Marmontel,39 dovette rinunciare alla carriera concertistica — i tempi volevano così — per ottenere la mano d’una fanciulla di nobile estrazione. Si limitò a prodursi a Parigi e raramente all’estero, ottenendo sempre grandi successi. Eccelleva soprattutto nell’in39 A. Marmontel: Virtuosescontemporaines, Parigi 1882.

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DARRE

ENTREMONT

FÉVRIER

BOIELDIEU

terpretazione dei clavicembalisti francesi — che eseguiva anche sul clavicem­ balo — e delle opere di Mozart, Weber, Mendelssohn, Saint-Saéns. Diémer, a detta di Alfredo Casella, non era un grande didatta: Quando un pezzo non andava bene, egli non sapeva mai spiegare il per­ ché, e si limitava a dire di studiarlo nuovamente e di fare molti esercizi ed altrettante scale. Non mi ricordo — in tre anni che rimasi alla sua scuola — di aver mai udito dalla sua voce una di quelle osservazioni che schiudono un orizzonte ai discepoli e gli risolvono un problema. Negativo nell’insegnamento tecnico, egli non era certo più interessante in quello interpretativo, dove le sue osservazioni erano sempre incolori e banali.40

Era dunque Diémer, come il suo maestro Marmontel, il perfetto ammini­ stratore di una tradizione che aveva pur dato buoni frutti. Solo, bisogna no­ tarlo, se la tradizione aveva potuto mantenersi quasi inalterata da Zimmer­ mann a Diémer, al tempo di Diémer cominciavano a manifestarsi nuovi indi­ rizzi di teoria e della didattica e dell’interpretazione. Teorie che non tardaro­ no a penetrare anche in Francia, dove cagionarono un profondo e, questa volta, assai originale ripensamento della tradizione con Philipp, con Bianche Selva, con il “provinciale” Jean Huré e con Cortot. Di essi, Philipp, il più anziano, studiò profondamente la tecnica rivoluzionaria di Franz Liszt ma mantenne legami ancora evidenti con la tradizione; la Selva, la più giovane, partì dalle teorie del dottor Steinhausen e giunse, in fatto di tecnica, alle con­ clusioni più radicali, spesso giustificate solo dalla sua concezione misticheggiante della musica; Huré, originale indagatore di problemi tecnici, si dedicò soprattutto all’organo e non fondò una scuola pianistica; Cortot, formatosi sulle opere di Chopin, sottopose anzitutto a revisione critica la tradizione in­ terpretativa, e dai risultati raggiunti prese lo spunto per tentare di risolvere razionalmente i problemi della tecnica. Non possiamo qui soffermarci ad illustrare l’importanza dell’opera di in­ terprete di Cortot; per quanto riguarda la metodologia dello studio tecnico, il principio basilare, come tutti sanno, consiste nello «studiare non soltanto il passaggio difficile ma la difficoltà stessa che vi è contenuta, riducendola ai suoi caratteri elementari».41 La massima di Cortot potrebbe dar l’avvio ad un lungo discorso e potreb­ be essere intesa con varie sfumature di significato. Non è facile, in realtà, ar­ rivare al nocciolo delle teorie di Cortot perché troppe cose, sia nei Princips rationnels de la technique pianistique (Parigi 1928) che nelle revisioni di ope­ re di Schubert, Mendelssohn, Chopin, Schumann, Liszt, Brahms appaiono 40 A. Casella: Isegreti della giara, Firenze 1939. 41 «TRAVAILLER, non seulment le passage difficile, mais la difficulté méme qui s’y trouve contenue, en lui restituant son caractère élémentaire», Questa massima figura in testa a tutte le revisioni di Cortot.

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Tavola 12

dettate dall’applicazione indiscriminata di un indirizzo geometrico più che razionale. Ad esempio, nei Prìncips Cortot si preoccupa di fissare dei piani minuziosi per lo studio della tecnica, a cominciare dagli esercizi sulle cinque note eseguite giorno per giorno in progressione semitonale: siccome le tona­ lità di sol, la bemolle e la, sulla tastiera, ripetono le identiche posizioni delle tonalità di do, re bemolle e re, allo scadere dei dodici giorni l’allievo non si sarà esercitato una volta ciascuna su dodici posizioni ma una volta su nove posizioni e due volte su tre posizioni. E nei consigli che vengono copiosa­ mente elargiti per lo studio della letteratura ci si imbatte non di rado nella prescrizione di eseguire in successione ciò che è simultaneo e simultaneamen­ te ciò che è in successione: si potrebbe dire scherzando che Cortot consiglia sempre e comunque di studiare l’accordo come se fosse un arpeggio e l’ar­ peggio come se fosse un accordo. L’insieme delle revisioni di Cortot dimostra a parer nostro che, se per l’a­ nalisi tecnica della difficoltà è di primaria importanza l’opinione di un gran­ de pianista, il modo di esercitare il passo dovrebbe esser lasciato all’iniziati­ va di chi il passo lo studia, magari sulla base di norme generali indicate preli­ minarmente. Ma le analisi di Cortot, al di là della sua verbosità e della soffo­ cante selva di esercizi ch’egli consiglia per ogni più piccolo caso, sono acutis­ sime, penetranti, e sono la dimostrazione pratica di che cosa significhi appli­ care nei fatti un precetto, aureo, di Thalberg: «In generale si lavora troppo colle dita e non abbastanza coll’intelligenza».42 Precetto che troppi allievi e troppi didatti dimenticano volentieri, e che purtroppo anche Cortot finisce per accantonare quando si atteggia a scienziato invece che, com’è, ad artista.

42 S. Thalberg: L’arte del canto applicata al pianoforte, Berlino 1855 ca.; trad. it. anonima, Milano 1860 ca.

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Chopin

Gli studiosi chopiniani, fin dallo scorso secolo, insistettero giustamente sull’importanza che nella formazione della personalità di Chopin ebbe l’ope­ ra di alcuni pianisti insigni, e in particolare di Field e di Hummel. L’influen­ za di Field e di Hummel — e di altri ancora — venne però esaminata specialmente al fine di ripercorrere la genesi dello stile musicale chopiniano. A noi interessa invece lo stile strumentale, e dovremo quindi ricercare innanzitutto se e in quale misura, come pianista, Chopin proceda dalla tradizione che sia­ mo venuti illustrando fin qui. Wojciech Ziwny, primo maestro di Chopin, era boemo. La sua educazio­ ne musicale sembra esser stata discreta; le sue conoscenze specifiche in fatto di tecnica pianistica non andavano invece oltre il più comune livello ed egli non potè certo trasmettere molto, in questo campo, al suo grande allievo. Ma a Varsavia operavano, tra il 1820 e il ’30, alcuni pianisti di ben altro va­ lore, che Chopin conobbe e frequentò assiduamente: Maria Szimanowska, il Wurfel, l’Ernemann, il Kessler. Maria Szimanowska era stata allieva di Frantisek Lessel, curioso tipo di musicista: compositore, pianista, architetto a tempo perso. La Szimanowska aveva vissuto a S. Pietroburgo per parecchi anni, aveva conosciuto Field e ne aveva assimilato lo stile esecutivo così perfettamente da venir comune­ mente chiamata «il Field femmina». Chopin ascoltò varie volte la Szima­ nowska tra il 1825 e il ’28. Wilhelm Wurfel era, come Ziwny, boemo; aveva studiato in patria, aveva fatto diversi giri di concerti in Europa e si era stabilito infine a Varsavia nel cui Conservatorio era divenuto professore di pianoforte nel 1815; Chopin studiò per breve tempo con lui l’organo. Nel 1825 Wiirfel si trasferì a Vienna e fu in relazioni molto amichevoli con Beethoven, di cui eseguì in pubblico il Concerto op. 37. Mauricy Ernemann aveva studiato a Berlino con Ludwig Berger. Era un magnifico pianista, e Chopin intrattenne con lui — che era di dieci anni più anziano — rapporti di intima amicizia, tanto da citare più volte compiaciu­ to, nelle lettere, i ragionati giudizi del collega sui suoi due Concerti... e su Costanza Gladkowska. Joseph Kessler, viennese, aveva studiato a Praga, Feldsberg, Vienna, con musicisti di secondo piano, ma lavorando molto per conto suo e riuscendo ad assimilare a fondo la più evoluta tecnica pianistica del suo tempo. Kessler rimase a Varsavia per qualche anno e vi organizzò dei “Venerdì musicali” ai quali Chopin partecipò più volte. Altri due pianisti attivi a Varsavia in quegli anni, entrambi boemi, erano il Jawureck e il Czapeck. Un pianista di eccezionale talento era Alexander Rembielinski, che morì giovanissimo. Chopin lo conobbe nel 1825, quando 62

Rembielisnki tornò a Varsavia da Parigi dove aveva studiato per sei anni: «[...] non ho mai udito alcuno suonare come lui. Puoi immaginare la nostra gioia — non abbiamo mai ascoltato nulla di così perfetto», scriveva Chopin ad un amico; e prese a frequentare Rembielinski, studiandone anche le com­ posizioni. Chopin ebbe dunque modo di conoscere bene almeno due delle principali scuole europee: la scuola francese e la scuola clementina secundum Field e Berger. Se ricordiamo quanto abbiamo detto di queste scuole possiamo an­ che supporre che i caratteri “mozartiani”, spesso notati nello stile di Chopin, siano stati favoriti dalle circostanze della educazione, oltre che da una natu­ rale inclinazione dell’artista. La base culturale dalla quale il pianista Chopin partiva era dunque solida e larga. Ma, dopo aver assimilato la tradizione, Chopin andò oltre, molto oltre, nella strada che fu seguita anche da Liszt e da Thalberg e, sull’esempio di questi, da quasi tutti i pianisti della generazione 1810-20. La tecnica pianistica moderna, che nasce appunto con Chopin e Liszt, in­ troduce principi novativi che la rendono profondamente diversa dalla tecni­ ca antica, anche se non si può dire che quest’ultima risulti superata ed assor­ bita: esistono, invece, due tecniche che hanno tratti comuni. La tecnica cle­ mentina, evolvendosi attraverso Hummel e Moscheles, procede fino alle so­ glie della tecnica chopiniana e lisztiana, ma non vi si salda: da Clementi a Chopin ci sono dei ponti di passaggio, ma c’è anche una frattura. Ed è una frattura così netta che le scuole pianistiche, per tutto l’Ottocento ed oltre, fi­ nirono per ammettere tacitamente la divisione della tecnica in due tronconi, il primo dei quali veniva appreso razionalmente, il secondo intuitivamente. La rivoluzione tecnica operata da Chopin è assai complessa: noi la riassu­ meremo qui in un punto fondamentale: l’attacco dei suoni successivi, cioè, in senso lato, l’agilità. A questo riguardo il ponte di passaggio dalla tecnica antica alla moderna è rappresentato dal tocco per pressione di Hummel e, paradossalmente, dal Guida-mani di Kalkbrenner.43 Kalkbrenner si era reso conto che la decon­ trazione dei muscoli del braccio, indispensabile per ottenere l’agilità, può es­ ser più facilmente raggiunta se si fornisce al braccio un punto d’appoggio. Ma l’impiego del Guida-mani era possibile soltanto durante la fase dello stu­ dio; il Guida-mani non risolveva quindi il problema ma lo eludeva momen­ taneamente per ritrovarselo poi di nuovo di fronte, intatto. La tecnica cho43 La identità dello scopo perseguito da Kalkbrenner e da Chopin trae in inganno anche uno studioso come Cortot che, analizzando i ricordi dell’allievo di Chopin Karl Mikuli, scrive: «In tutti questi suggeri­ menti non v’è niente, in verità, che si allontani di molto da procedimenti scolastici in uso in quell’epoca. L’ombra accigliata del Guidamano, l’apparecchio per uguagliare il giuoco pianistico, che in quei tempi riscuoteva grande favore presso i maestri di pianoforte, pur non venendo consigliato apertamente, si pro­ fila come una minaccia eventuale all’orizzonte di un postulato pedagogico a base di regole minuziose» (A. Cortot: Aspects de Chopin t Parigi 1949; la traduzione, anonima, è quella pubblicata dall’editore Curci, Milano 1950). Cortot, se non erriamo, non distingue qui l’identità dello scopo dalla diversità dei risultati raggiunti.

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piniana scopre invece un punto d’appoggio costante, e sia pur mobile invece che fisso, nel tasto stesso, che viene sfruttato come base per il rimbalzo. Ciò provoca un gioco di controspinte che non vengono assorbite solo dalla mano ma, attraverso il polso non bloccato, dal braccio e dal corpo. Chopin svilup­ pa inoltre, accanto agli attacchi longitudinali del tasto, gli attacchi trasver­ sali. La scoperta avvenne per intuizione e Chopin non enunciò in modo siste­ matico in concetto fondamentale e le conseguenti deduzioni della sua tecni­ ca. Ma i concetti chopiniani si possono desumere chiarissimamente dagli ap­ punti per un Metodo (vedili in Cortot, op. cit.) e da alcune osservazioni di allievi e di contemporanei, e scaturiscono d’altronde necessariamente dalle opere, specie dagli Studi. Il nuovo concetto di agilità si concreta e si sviluppa in un modo nuovo di usare il pedale di risonanza. Finché il pedale rimane abbassato non fa diffe­ renza se le dita che hanno già suonato si risollevano o non si risollevano dal tasto. E Chopin indica il pedale di risonanza con una frequenza sconosciuta ai suoi predecessori ed anche a qualcuno dei suoi contemporanei, come Mendelssohn e Schumann. Naturalmente, le modificazioni della tecnica del­ le dita in rapporto con l’uso del pedale non nascono in modo aprioristico ma sono la conseguenza di un nuovo ideale sonoro, di un nuovo Klangideal-, l’u­ so del pedale, che in Beethoven era coloristico, apre però con Chopin pro­ spettive tecniche prima impensabili. Quanto abbiamo detto fin qui ci dispensa dal descrivere la posizione delle mani adottata da Chopin, tanto spesso analizzata e discussa: la posizione della mano, di per sé, non dice nulla o dice troppo, se l’attacco del tasto non viene messo in connessione con il suo rilascio. Ci interessa invece sottolinea­ re i contrasti di Chopin con la didattica tradizionale: Nessuno rimarca l’ineguaglianza del suono in una scala eseguita rapi­ damente se viene suonata ugualmente al riguardo al tempo. Lo scopo non è di saper suonare tutto con un tono uguale. Mi sembra che un meccanismo ben sviluppato debba saper dare abilmente i coloriti con una bella qualità di suono. Per molto tempo sì è agito contro natura esercitando le dita a dare una forza uguale. Dato che ogni dito è conformato in modo diverso, è meglio non cercare di distruggere il fascino speciale di diteggiatura di ogni dito, ma al con­ trario di svilupparlo. Ogni dito ha la forza secondo la sua conforma­ zione. Il pollice, il più grande, come il quinto, quale altra estremità del­ la mano. Il terzo più libero, come punto d’appoggio, il secondo..., il quarto, il più debole, quale fratello siamese del terzo legato a lui dai medesimi legamenti e che si vuole per forza staccare dal terzo, cosa im­ possibile e, grazie a Dio, inutile. Tanti suoni diversi quante dita. Tutto sta nel saper diteggiare bene. Hummel è stato il più esperto sotto questo rapporto. Si deve utilizzare 64

DUKAS

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Tavola 13 i l


§.5? Il tocco del tasto sia preciso ed eguale, evitando ogni compressione e pe­ stamente; mano e dita non vengan rimosse dalla loro naturale inarcata posi­ zione, badando di percuotere i tasti più in avanti sulla tastiera che indietro, affinché il suono riesca vieppiù energico, e ottengano più risalto i passaggi. §.6? Si sfuggano infine scrupolosamente i cattivi vezzi, siccome: il tenere la faccia troppo vicina alle note; il mordere delle labbra; il tentennar del capo a misura del tempo; lo spalancare della bocca, vizii tutti nocivi alla salute, e contrarii al bel garbo. * Il Chiroplasto, o sia direttore della mano del Logier, può esser profittevolmente adoperato coi princi­ pianti, finché siensi aquistata la conveniente posizione del corpo e della mano

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Parte seconda Introduzione

Del portamento della mano in generale I progressi continui che fa l’arte di eseguire sul Pianoforte, e l’invenzione di nuovi passi e figure, hanno dato occasione di variar l’uso delle dita, e quindi reso necessario un sistema di mano, adatto all’odierna nuova manie­ ra di sonare, e che verrà qui chiaramente spiegato; essendo che senza un giu­ sto e comodo portamento della mano, niuno può divenir mai esecutore buo­ no e finito. *1 Sotto la denominazione, Portamento della mano, s’intende l’impiego na­ turale e giusto delle dita d’ambe le mani. Questo è fondato sull’agiatezza e sulla grazia, onde soprattutto dipende la sicurezza dell’esecuzione. U agiatezza presuppone la scelta di quelle dita, colle quali può uno facil­ mente arrivare tutti i gradi de’ Suoni, ed ottenerne la più distinta esecuzione. La grazia dipende dall’agiatezza, e vieta i cattivi atteggiamenti. Spesso av­ viene, che si tenga un passo per più difficile di quello ch’egli è nella realtà, o perché uno si serve d’un cattivo portamento di mano, o perché il soverchio agitare del corpo arresta l’agilità delle dita. Siccome alcuni passi ammettono un sol ordine di dita, altri più d’uno, ho creduto bene, per togliere ogni dubbio, di scegliere nella maggior parte de’ casi un sol ordine, il migliore ed il più comodo. Il dito più importante è il pollice, come il punto d’appoggio, intorno a cui le altre dita denno muoversi colla maggior facilità e prontezza possibile, sen­ za causare la menoma separazione de’ Suoni, si stringa la mano o si allarghi. Per mostrare allo scolaro l’ordine delle dita in ogni incontro, ho ripartito il sistema delle dita, e trattato separatamente ciascuna delle parti nell’ordine che segue: 1 .) Del procedere sempre col medesimo ordine delle dita in un seguito di figure uniformi. 2 .) Del passare il pollice sotto le altre dita, e le dita al di sopra del pollice. 3 .) Del tralasciare uno o più dita. 4 .) Del cambiare un dito coll’altro sul medesimo Suono. 5 .) Delle Stensioni e dei Salti. 6 .) Dell’uso del pollice e del quinto dito sui tasti corti. 7 .) Del passare un dito più lungo sopra uno più corto, ed uno più corto sotto uno più lungo.

*’ Io riguardo perciò quest'oggetto come uno de’ più importanti del mio insegnamento, onde ho cerca­ to, più con numerosi esempli, che con parole, di dilucidarlo in tutti i casi che si possano mai incontrare.

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8 .) Dell’alternare con uno o più dita sopra un tasto solo, ripercuotendo il Suono; e servirsi rcplicatamente d’unso/o dito su due o più tasti diversi. 9 .) VteWalternare, incastrare, ed incavalcare ternani. 10 .) Del compartimento delle voci fra le due mani, e della licenza nell’or­ dine delle dita per lo stile legato. Questi diversi partimenti del sistema delle dita si riferiscono, quasi esclusi­ vamente, ai passi della mano destra, giacché nella mano sinistra s’incontra­ no bensì le medesime situazioni, ma disperse per l’ordinario. Sebbene la disposizione degli esercizii contenuti in questa Parte sia quasi del tutto fondata sopra serie di figure che gradatamente si succedono, non ho pertanto trascurato di porgerne allo scolare l’applicamento più in esteso; p.e. mescolandovi Tasti corti, Salti a Suoni più lontani, e Stensioni. Portan essi cifrata la disposizione delle dita per la mano destra, più ancora per la si­ nistra, e bisogna da principio esercitarli con ognuna delle mani separatamen­ te, quindi con ambe insieme. Questi esercizii sono in gran parte disposti per ordine d’intervalli, ) * non però limitati a segno, che le figure simiglianti non abbiano, nel decorso dell’esempio, un’estensione maggiore. Per somministrare inoltre allo scolaro certi vantaggi da facilitare l’esecu­ zione, stimai necessario di aggiugnere talvolta agli esempii alcune piccole an­ notazioni; e sono: 1.) Come debbasi tener la mano nell’eseguire; 2.) se le dita debban essere più o meno serrate; 3.) qual nota sia talora da tenersi più a lungo, per meglio legare la figura, ed eseguirla con più sicurezza; ) ** e 4.) particolarmente, qual nota della figura abbia a ricevere un piccolo rinforzo, per rendere il passo più intelligibile all’orecchio. ) *** Siccome le figure sono a riguardarsi come fratture degli Accordi in forme diverse, hanno perciò con essi anche comune in gran parte il portamento del­ la mano; quindi è, che, dov’era necessario, ho fatto precedere agli esempii gli accordi onde derivano le figure, e sopra questi la Segnatura delle dita. Del resto questi brevi esercizii consistono in figure e passi semplici, composti, concatenati simetricamente, a più voci etc: parte scelti da opere mie, parte da altre di celebri maestri.

* ' Vale a dire: secondo l’estensioni di 3?4? 5?etc. a fine di poter con più facilità cercarvi il portamento della mano per figure simiglianti d’altre composizioni. * *J Si trova negli esempii segnata con una piccola stella *(). * **) Questo rinforzo non deve però essere violento da disturbare, ma fare che la nota riceva una picco­ la preponderanza sull’altra; altrocché tiene il Sonatore più giustamente in tempo, da alle sue dita maggior precisione e tatto più fino. Io lo contrassegno qui con A .

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Sezione seconda

Capitolo I

Dell'esecuzione in generale

§.l? Si fa una differenza, e con ragione, dall’Esecuzione corretta a quella che chiamasi Esecuzione bella. A questa si suol dare anche il nome di Espressio­ ne, quantunque, a mio parere, inesatto. L’Esecuzione corretta si riferisce al mecanismo del Suono, e questo può ben indicarsi con Segni di convenzione. L’Esecuzione bella è relativa alla ritondezza, alla grazia, al gusto ed alla pre­ cisione convenevole ad ogni pezzo di musica, ad ogni frase, specialmente ne­ gli abbellimenti; qualità non suscettibili d’un indicazione affatto determina­ ta. L’Espressione sta in rapporto diretto col sentimento, e fa palese nell’Artista la prontezza e la facoltà di cogliere quanto il Compositore sentì scriven­ do, sentirlo egli stesso, e portarlo al cuore dell’ascoltante; il che non è punto da potersi indicare, se non si volesser prendere per indicazioni certi termini generali, che nulla hanno di positivo, e che d’altronde sono utili soltanto a chi ha sortito il vero sentimento dell’Arte. Da ciò risulta: che l’Espressione può benissimo essere risvegliata, ma che né imparare si può né insegnare, dovendo essa già esistere nell’anima, e da questa comuni­ carsi immediatamente al suono; quindi l’impossibilità di discuterla; che quanto all’Esecuzione bella, non potendo anch’essa perfettamente imparar­ si, né essere insegnata, basterà il darne alcun cenno; e che dell’Esecuzione corretta soltanto sia questo il luogo da trattarne diste­ samente. §.2? Il gusto, la grazia e tutti gli altri attributi dell’Esecuzione bella, può uno acquistarli e coltivarli coll’ascoltar di frequente Musica ben eseguita, Artisti di somma distinzione, e particolarmente Cantanti tutt'anima. Di fatti osserviamo, che in quegli Artisti e Compositori, i quali nella loro giovinezza furono istruiti nel Canto, regna un sentimento più puro e più giu­ dizioso, che in quelli i quali del bel Canto non hanno che idee superficiali. ) * §.3? V’ha senza dubbio del merito a superare grandi difficoltà sullo Strumen­ to, ma non è sufficiente, per darsi il titolo onorevole di Artista finito. Esecu­ tori di una tale speditezza (come s’esprime F.E.Bach) sorprendono bensì l’o­ recchio, ma non lo allettano, stordiscono la mente, senz’appagarla.

♦’ Hasse, Naumann, Gluck, i due Haydn, Mozart ed i più celebri Compositori di tutti i tempi hanno cantato nella loro giovinezza.

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Negli ultimi tempi v’ebbero taluni i quali tentarono di supplire alla man­ canza dell’interno sentimento naturale, col sostituirne un altro apparente: come p.e. Col contorcere il corpo ed alzar le mani; Con un tintinnio all’orecchio, prodotto dall’impiego continuo de’ Pedali', Col tedio del rallentare ogni momento la Misura ad arbitrio: (tempo ru­ bato.) Col sovraccaricare d’ornamenti le frasi cantabili, in guisa da renderne be­ ne spesso travisati il carattere e la melodia. Avverto però ognuno di non seguire queste difettose esagerazioni, ma da­ re ad ogni cosa quello che le appartiene. Il soverchio rallentare toglie alIMllegro il brillante e l’unità che lo distinguono; gli eccessivi ornamenti privano l’Adagio del portamento e della grazia che lo caratterizzano. L’Esecutore non deve lasciar in dubbio lo stesso imperito nell’Arte, se sia un Allegro ovvero un Adagio quel ch’egli suona. Né con ciò intendo già dire, che Allegro non si debba talvolta cedere alcun poco, e neìVAdagio non s’abbiano a introdurre ornamenti; ma convien farlo con circospezione, a tempo e luogo. Che poi l’eseguir bene un Adagio sia più difficile che l’ese­ guire un Allegro, è cosa riconosciuta.

Capitolo II

Alcune osservazioni concernenti VEsecuzione bella §.l? Per ottenere una buona e bella Esecuzione si richiede: che uno sia padrone affatto delle sue dita; vale a dire che esse sian suscettibili di modificare il Suono in tutte le gradazioni. L’effettuarlo però è virtù soltanto d’una somma delicatezza che àbbian le dita, di sentire interiormente e fino all’estremità delle ultime falangi; dal che deriva la facilità di percuotere il Suono per graduazione crescente, dal più leggiero tocco del tasto fino alla più forte compressione. Le dita debbon dunque obbedire al Sonatore, sia a mano rilassata nel toccar lievemente, o a muscoli tesi percuotendo con tutta la forza. Ottenuta questa delicatezza di senso, onde poter ricavare la varietà del co­ lorito, essa allora manifestasi non solo su quanto è relativo all’orecchio, ma va eziandio a poco a poco, operando sulla di lui sensibilità, resa già più deli­ cata e pura, introducendogli così nell’anima il germe d’un’Esecuzione vera, bella ed espressiva. Altri precetti non saprei che questi, dedotti dalla natura medesima; tutte le altre osservazioni appartengono piuttosto alla parte meccanica dell’Esecu­ zione, ove il vero sentimento poco o nulla viene in contatto. §.2? Il Sonatore non tralasci di studiare bene il carattere del pezzo di musica, senza di che non giugnerà mai a risvegliare negli uditori quel sentimento me­ 118

desimo che il Compositore col suo, per così dire, poetico lavoro ebbe in mira di eccitare. Prenda egli parimente in considerazione, se sia un Allegro ovve­ ro un Adagio quello ch’egli eseguisce, poiché ognuno d’essi esige Un’Esecu­ zione particolare, e ciò ch’è buono all’uno, pregiudica all’altro. §.3? L’Allegro vuol brio, forza, sicurezza nell’Esecuzione, ed una granita velo­ cità nelle dita. Nelle frasi cantabili che vi s’incontrano, si può bensì (come già dissi) cedere alcun poco, per mettervi la debita espressione, non già al­ lontanarsi dal Tempo che vi domina, in guisa sì discorde da nuocere all’unità del Tutto, e dargli un aspetto di Rapsodia. (V. l’esempio A.) Il Sonatore ponga cura di non vacillare nel Tempo ad ogni battuta, (sia rallentando nelle frasi cantabili, o affrettando i passaggi) ma lo determini subito dalla prima Misura, quand’anche la frase fosse tale, che richiedesse per più battute di seguito un rallentamento di Tempo; il che viene ordinaria­ mente indicato dal Compositore con la parola rallentando, ovvero appostamente cc\V accelerando a poco a poco', B.) Non s’induca giammai a incalzare il Tempo, e vada di tanto in tanto marcando la Nota de’ tempi forti, onde mantenersi meglio in Misura, ed ogni Orchestra potrà allora facilmente ac­ compagnarlo. §.4? L’Adagio vuol espressione, canto, delicatezza, calma. La sua Esecuzione è in certo modo contrapposta a quella dell’Allegro’, poiché i Suoni debbon essere più tenuti, portati, legati insieme, facendo che cantino per mezzo di una ben intesa compressione del tasto. Gli Abbellimenti introdotti neWAda­ gio denno per lo più esser eseguiti con maggior dolcezza e sensibilità che nell’Allegro', denno trarre a sé, non istrascinar l’ascoltante; eccitare in esso una sensazione grata piuttosto che sorprendente. Si usi parsimonia negli Abbelli­ menti, affinché la bellezza del canto semplice non vada perduta; oltrecché bisogna eseguirli meno velocemente, e d’una maniera più tenera e più carez­ zevole. Si an trattati sopratutto con cautela i Suoni acuti dell’ultima Ottava, per non far sentire più legno che suono. L'Adagio in somma riposa tutto sul­ la ben calcolata, più o meno forte compressione delle dita, sopra uno stile le­ gato, talora sul leggiero ritirar le dita dai tasti, e sul tatto sottile di queste. §.5? Le successioni de’ Suoni ascendenti per grado si eseguiscono generalmente crescendo a poco a poco, le discendenti diminuendo, per dar loro una specie di chiaro-scuro; v’ha però de’ casi che richiedono il contrario, ed altri ne’ quali il passo va eseguito tutto con forza; ciò dipende dalla volontà del Com­ positore solito a indicarla.

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F. Kalkbrenner Méthode pour apprendre le pianoforte à l’aide du guide-mains Parigi 1830 Traduzione italiana: Francesco Lucca, Milano s.a. (1830 ca.)

Dei pedali

V’ha in Musica infinite gradazioni, le estreme delle quali sono il pianissi­ mo ed il FORTISSIMO', perciò il pedale dolce (che smuove la tastiera), ed il

forte che alza gli smorzato), sono assolutamente necessari'; tutti gli altri non servendo che al ciarlatanismo, e d’altronde, complicando il meccanismo dei Piano, sonosi abbandonati. Gl’istromenti di Vienna e quei di Londra hanno prodotto due scuole. I Pianisti di Vienna si distinguono segnatamente per la precisione, la nettezza e la rapidità della loro esecuzione: e così pure gl’istro­ menti fabbricati in cotesta capitale sono estremamente facili a suonarsi; ed a fine d’evitar la confusion de’ suoni, v’ha degli smorzato) fino all’ultimo FA acuto; per cui risulta una gran secchezza nelle frasi del canto, non potendo legarsi un suono con l’altro. In Alemagna è quasi sconosciuto l’uso de’ pe­ dali. I Piani inglesi hanno suoni più robusti, e la tastiera un poco più fatico­ sa; ciò che ha fatto adottar ai professori di tal nazione uno stile più largo, e quella bella maniera di canto che li distingue: per ciò conseguire è indispen­ sabile valersi del gran pedale, onde nasconder quella secchezza connaturale al Piano. DUSSECK, John field, e GIOB" cramer inventori di siffatta scuo­ la, dappòi fondata dal clementi, servonsi del gran pedale, finché non siavi cangiamento d’armonia. Dusseck distingueasi particolarmente nel tener presso che sempre alzati gli smorzato) allorquando suonava in pubblico. (*) * Allorquando il 1824 io mi recai a Vienna, ebbi a rimaner dolentissimo ne’ primi 15 giorni che suonai un Piano fornitomi da Mr Corrado Graff, uno dei buoni artefici tedeschi: malgrado tutti i miei sforzi, non fummi possibile condurre una frase cantabile come avrei voluto; e fui quasi al punto di rinunciare al farmi ascoltare in pubblico: allorché mi venne in pensiero di porre un pezzo di sughero su la riga degli smorzatoj della parte degli acuti, in maniera che rimanesser le due ultime ottave presso che libere dai me­ desimi, con tal mezzo pervenni a toglier quella secchezza e quel distacco che aveavi fra le note, e ad otte­ ner il bramato effetto.

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Io raccomando agli allievi di studiare i passi di agilità senza pedale, affin­ ché i loro falli non vengano coperti dalla confusione che per loro inesperien­ za risulterebbe, ma sibben di cominciare di buon’ora a servirsi del gran pe­ dale nei passi cantabili, e per le note sostenute. Il difetto maggior del Piano consiste nel non potervisi rafforzar i suoni così come negli altri strumenti; sì che, per ciò rimediare, convien valersi del gran pedale. Alzandosi gli smorza­ to], non solo le corde, percosse dal martello, seguono ad oscillare, ma sibbene, per un intimo rapporto di analogia, risuonano anche le loro Quinte e le Decime; ed è perciò che queste diconsi Armoniche. Es.:



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Battendo assai forte il do basso, e tenendo alzati gli smorzato], si sente, da lì a qualche secondo, il SOL ed il Mi, che sono la Quinta e la Decima, a risuonar per forza di simpatia (a). Da ciò comprendesi come un tal mezzo giovar po­ trà ad attenuar la secchezza del Piano, quando venga giudiziosamente ado­ perato (*). Il pedale forte può adoprarsi con buon effetto sia per uno che per più ac­ cordi di sèguito, avvertendo però di abbandonarlo ogniqualvolta cangia l’ar­ monia: talvolta adoprato appena battuta la nota, la rende più spiritosa e vi­ brata: negli Arpeggi poi egli è assolutamente necessario; ed ajuta molto al­ tresì nel fare i Crescendo. Le persone che avessero una mano piuttosto pic­ cola, troveranno una gran risorsa nel pedale che alza gli smorzato], il quale sarà di gran sussidio per sostener gli accordi di una considerevole durata. Io raccomando a giovarsene in tutti i passaggi acuti: le vibrazioni delle note alte sono così moltiplicate che il loro suono parrebbe alquanto secco senza il sus­ sidio del detto pedale. Avvertan poi gli allievi ad usar una particolar atten­ zione nel non dimenticar il piede sul pedale ogni volta che l’armonia cangia, come eziandio nelle scale, ne’ passaggi cromatici, e soprattutto quando sianvi delle pause, o aspetti. Il pedale dolce serve pei Piani a coda onde diminui­ re il numero delle corde: nei Piani quadrati esso serve a metter in moto una piccola lista di pelle di daino, la quale, postandosi fra il martello e le corde, giova ad addolcirne molto il suono, producendo un meraviglioso effetto in tutti que’ passi che van degradando di forza e perciò potrà utilmente prati­ carsi ognivolta che accada un diminuendo, un morendo, od un PIANISSI­ MO. L’uso poi de’ due pedali a un tempo rende un gradevolissimo effetto nei passi dolci. (a) Per accertarsi di tal fatto, per es:, sul detto tono DO, pongansi delle cartoline sulle corde del DO medio, della sua Quinta e della Decima, ed anche sulle loro ottave: tocchisi poi con forza il tasto basso DO, anche con la sua ottava, e si vedrà, per roscillazione delle rispettive corde, saltar via tutte le cartoli­ ne. È inutile avvertire che lo stesso esperimento può farsi pure su qualsiasi altro tono. {Nota delVeditor milanese}. (♦) Gl’istrumenti fatti da me costruire a Parigi dopo la mia società con M1. Camillo Pleyel, sotto la Dit­ ta d’Ignazio Pleyel e C°, sono affatto immuni da tal difetto. I nostri Piano a coda posson star del paro co’ migliori inglesi. Siffatto genere d’industria mancava alla Francia; ed io vo lieto e glorioso d’aver potuto contribuire a procurarglielo, affrancandola d’un tributo che i veri amatori del Piano dovean pagare agli artefici di Londra.

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Sulla scelta del piano

Coloro che aspirano a divenir buoni Pianisti dovrebber procurare d’eser­ citarsi il più sovente possibile sui Piani a coda, imperocché (è forza pur dirlo una volta) i Piani quadrati non sono che specie di mostri, inventati solo per comodo d’occupar meno spazio; e ne’ quali essendo le corde poste per tra­ verso = , invece che star dritte dinanzi al martello 11 | , vengono perciò ad esser percosse a distanze ineguali, e quindi anche inegualmente oscillano: tutto vi è fuor di squadra, e la linea dei martelli non è niente dritta. Da tutti questi inconvenienti risulta che il meccanismo di siffatti strumenti è violenta­ to, e ch’esso non risponde mai sì francamente come quello de’ Piani a coda. L’esecutore suol naturalmente risentirsi dell’influenza che ha su d’esso l’istromento ch’ei tratta: quindi è che quelli i quali cominciano a suonar su d’un piccolo Piano, usato ed assai facile, avran sempre un suonare snervato: quelli al contrario che si accostumano ad un istrumento assai duro, acquiste­ ranno un suonar vibrato. È dunque della massima importanza attender bene alla scelta d’un Piano, il quale però dovrà calcolarsi in ragion della forza fi­ sica di chi debbe servirsene. Quei che son provvisti di un buon Piano, e che molto si esercitano, dovrebbero sempre aver un secondo istrumento d’inferior bontà pel giornaliero loro studio: la circostanza di eseguir molte volte lo stesso passo distrugge l’eguaglianza della tastiera.

Dell'espressione e delle gradazioni

Sembra di primo aspetto impossibile potersi assegnar regole sulla sensa­ zione, la quale non è che l’effetto d’un impulso deU’anima, eppure l’espe­ rienza dimostra il contrario: chi abbia potuto riescir a ben analizzar gli effet­ ti ch’ei vuol produrre, è sicuro di non errar giammai. Udii a dire dal famoso Talma, un anno avanti la sua morte, ed allorché il suo genio avea raggiunto il sommo apice della perfezione, che in sua giovinezza, trascinato dalla pas­ sione e dal sentimento che il dominava, fugli sovente impossibile esser pa­ drone di se stesso; e che allora, in luogo di eccitar le lagrime e il terrore, avea invece provocato le risa: ora poi, egli mi soggiunse, assoggetto ogni mia azione ad un rigoroso esame, i miei effetti son calcolati e ragionati, ed è ap­ punto allorché io son più che mai padrone di me che sempre ottengo i più strepitosi applausi. È questa una eccellente lezione per tutti coloro che si espongono al Pubblico. Fa mestieri aver anima e fuoco, onde comprendasi ciò che di bello si eseguisce; ma non v’ha che un lungo e posato studio che conceda poter senza pericolo abbandonarsi a tutte le proprie ispirazioni: la­ sciandosi trasportar dalla loro piena suonando in pubblico, sarà difficile po­ ter determinare quel punto cui non debbesi oltrepassare, e si correrà rischio di condursi a tale da obbliar grazia e proprietà di suono. Tutta la musicale espressione consistendo nelle gradazioni, convien perciò evitar soprattutto 123

ogni monotonia: ecco pertanto, fuor qualche eccezione, le regole presso che le più generali che io raccomando: i passaggi che ascendono debbono ese­ guirsi CRESCENDO', e quelli che discendono, DIMINUENDO', per modo che la nota la più acuta sia la più forte, e la più bassa sia la più debole. Questa sem­ plice regola porge alla musica una tal quale ondulazione da variarne assai l’espressione. Oltracciò, la nota di maggior durata debb’esser la più forte: ogni terminazion di frase di canto debb’esser un po’ rallentata: le prime e le ultime note d’un passaggio debbono esser distinte su tutte le altre: la parte cantante ha da sentirsi più forte che non quelle di accompagnamento; e que­ ste ultime non debbono sempre secondar le gradazioni di espressione della prima parte. Quando siavi un frequente variar d’armonia, o che le modula­ zioni succedansi con rapidità, è necessario sostenerne il movimento. Le note acute del Piano non debbono esser giammai attaccate con brusca e dura ma­ niera, convenendo anzi nasconder più che si può ogni spiacevole effetto di percussione inverso gli acuti. Tutte le note estranee al tono principale, e che abbiano un segno accidentale, debbon esser più vibrate. Nei passi di doppie note, di ottave, o di accordi, le note lunghe debbon esser arpeggiate; non pe­ rò le precedenti. Es:

Tutte quelle note su cui v’ha un o> debbono esser suonate insieme. Quan­ do una nota sia più volte ripetuta, debbesi gradatamente distinguerla, sfor­ zandone o scemandone il suono. Eseguendosi musica scritta per orchestra, debbonsi assolutamente evitar tutti gli arpeggi, tutto nel bell’insieme consi­ stendo il merito principal d’un’orchestra. Le note legate e sincopate hanno eziandio ad esser più forti. Anche quando un passo sia ripetuto, si ha sempre ad esprimer diversamente: vale a dire che, se sia forte la prima, dev’esser dolce la seconda volta. Si può anche prestar una grande e bella varietà, mer­ cè la differente maniera di accentuar un passo: nel seguente esempio il mede­ simo è per ben dieci volte ripetuto, ma sempre con differente accentuazione. Es:

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due o tre note legate non posson eseguirsi sul Piano, fuorché appoggiando sulla la, e staccando l’ultima.

Questo passo debb’esser accentuato come segue.

È soprattutto a guardarsi, nell’espressione, a non prender le caricature di al­ zar il gomito nell’accentuar una nota, di non piegarsi sulla sedia, di non far alcun atto ridicolo: siffatti modi non solo nuociono all’esecutore, ma pur attiran l’attenzione degli ascoltanti che li disapprovano e ne ridono: il mezzo migliore ond’evitar o corregger tai difetti, si è valersi del Guida-mani; e, quando sappiasi un pezzo a memoria, porre uno specchio sul leggìo, ed osservarvisi suonando. Debbesi eziandio evitar di levar tosto le mani al fine d’un passo, tal che sembri un gallo che salti; dovendo anzi i diti restar sem­ pre, o sopra affatto, o molto presso ai tasti: troppo disconviene ogni esage­ rato movimento.

Del ritmo e del modo di fraseggiare Essendo la Musica evidentemente stabilita su regole matematiche, il Rit­ mo perciò n’è una conseguenza (*). La musica la più caratteristica si è quella che è la meglio ritmata, ed è quella eziandio che produce nel pubblico il mag­ (*) Dicesi Ritmo, la proporzione che v’ha tra una frase di musica e quella che segue; ed è cóme la misu­ ra de’ versi. Il ritmo il più generalmente usato per ogni tema in principio d’un pezzo, è di due in due, tre in tre, quattro in quattro, sei in sei, otto in otto battute: quello di una, di cinque e di sette battute si usa pur talvolta» egualmente che altri ancora; ma ciò dee dirsi piuttosto un’eccezione o singolarità, che non regola e dovere, essendo essi di poco buon effetto. Alcuna volta gli scrittori piaccionsi di allungar una frase musicale, e ciò rende un non so che d’indefinito che piace, ma che non dee però né prolungarsi né abusarsi, onde non cader nel difetto d’incocrenza.

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gior effetto. Fra tutti i moderni compositori è Rossini quello che scorgesi il più penetrato di tal verità; ed il buon esito della maggior parte de’ suoi com­ ponimenti dipende in gran parte dalla maniera franca e sensata de’ suoi rit­ mi. È perciò di somma importanza che un esecutore porga la più grande at­ tenzione al ritmo, il quale determina in gran parte lo stile d’un pezzo di mu­ sica. Le frasi musicali hanno, come il discorso, anch’esse la loro interpun­ zione, i cui segni son le pause, o gli aspetti; e non è che adempiendo scrupo­ losamente siffatta interpunzione che si giunge a ben fraseggiare: perciò, tut­ tora che rimanga sospesa la terminazione d’una frase musicale, convien dar­ le meno di forza, non essendo che allorquando si perviene alla perfetta ca­ denza che l’orecchio sentesi interamente sodisfatto, e che dee quivi compier­ si la decisione.

Esempio d'interpunzione musicale

Principio d’una suonata di Cramer. Es:

Sul cominciar di quest’esempio, ne’ luoghi segnati co’ N'. 1 e 2, la frase es­ sendo sospesa, può dirsi ch’ella abbia un segno d’interrogazione: al N?3 in­ vece accadendo la terminazione, cotal chiusa determina un punto. Ond’è che potrebbe adottarsi la seguente interpunzione: al termine delle frasi o cadenze perfette, un punto; per le cadenze imperfette che passan dalla tonica alla do­ minante, punto e virgola; per le cadenze tronche, ossia transizioni, punto d’ammirazione; pei membri di frasi, quando sianvi degli aspetti, le virgole. Punteggiando così, nella musica che si eseguisce, ogni frase di canto, si sarà sicuro di non oprar a caso intorno all’espressione che le si può attribuire. Ben sovente accade che il ritmo di un tema non odasi ben dichiarato, perché l’esecutore non ha la necessaria avvertenza di decider la battuta nel bel prin­ cipio. Tosto si ravvisa la destrezza e il saper d’un grand’artista nella maniera di staccar le prime quattro battute di un pezzo: quando il tempo forte della battuta è ben marcato, l’orecchio sentesi appieno sodisfatto, e l’ascoltatore non rimane giammai indeciso. Crescentini e Gio.B? Cramer sono i due ar­ tisti che ho io sentito meglio fraseggiare. 126

Sulla maniera di attaccar le note, e sulla modificazione di suono del piano. Egli è un errore troppo generalmente invalso, il credere che il Piano abbia già in sé la voce bella e fatta. Un buon Piano a coda invece può quasi dirsi esser fra tutti gl’istrumenti quello la cui voce può meglio modificarsi. Tenen­ dosi i diti allungati e pressoché dritti, ovvero suonando con le unghie, si trar­ rà ben poca voce dal Piano: però queste due maniere sono egualmente difet­ tose. Debbonsi attaccar le note colla polpa dei diti; dee la mano tenersi alla più naturai posizione; il braccio debbe restar affatto immobile frattanto che sono in moto i diti, il movimento della mano ha da venir dal polso, e quello dei diti dalla giuntura che gli unisce alla mano. Questa si è la parte la più es­ senziale del meccanismo, essendo quella da cui dipende la voce del Piano; e, cionondimeno, è quella cui la maggior parte de’ Pianisti attribuiscono la mi­ nor importanza. La maniera d’attaccar le note può variarsi all’infinito, a se­ conda dei diversi sentimenti che voglionsi esprimere, talora toccando dolce­ mente, e talora precipitosamente e con somma furia i tasti. Contuttociò, qualunque sia la voce che vuoisi trarre, e che può dar l’istrumento, si ha ben da guardarsi a non investirlo con eccedente violenza, riflettendo che il Piano bassi a suonare non conquassare.

Delle qualità necessarie in un pianista

Il primo e più importante dovere di un Pianista si è studiar egualmente con la sinistra mano tutti que’ passi che possono eseguirsi con la dritta, di modo che siavi fra l’una e l’altra mano la più perfetta eguaglianza. Onde ot­ tenersi cotal risultato convien saper a perfezione: 1“° Gli esercizj delle cinque note. 2?° Tutte le Scale diatoniche e cromatiche nelle quattro posizioni. 3?° Le Scale di terze: la Scala cromatica di terze: le Seste e gli Accordi. 41° Le Ottave legate, sciolte e saltate. (*) 51° Le Cadenze semplici, doppie, triple, quadruple, e quelle con tema. (Veggasi il mio Studio 23. Op: 20.)

61° Infine, i passi legati e saltati, a mani in croce, ed il complesso di tutte le difficoltà che dovranno eseguirsi senza ruvidezza e senza sforzo, per dritto e contrario movimento. Quando il mio giovine Pianista sia pervenuto a superar ogni difficoltà, al­ lora io gli fo riguardar il suo istromento sotto il vero aspetto cui debbe consi­ derarsi. Ciò che v’ha di più perfetto nella Musica egli è l’unione di tutti gl’istromenti formanti una compiuta orchestra: la natura e la sensazione pro­ pria di ciaschedun istromento insieme unite, onde formar e compiere questo (*) Il mio Guida-mani gioverà per le Ottave di polso, ed eviterà ogni prava abitudine per le Cadenze [trilli] e le Terze.

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grande insieme, producono tal varietà di effetti che nulla lascia a desiderare. Ora il Piano essendo il solo stromento che, senza soccorso di altri, può in gran parte riprodurre ciò che si eseguisce da un’intera orchestra, perciò l’abil Pianista dehbe incessantemente studiare onde ottener un sì bel risultato. Conviengli perciò procurar da render le sue mani talmente una dall’altra in­ dipendente, sì che possa con l’una eseguir le cose le più forti e le più appas­ sionate, mentre che l’altra governar si dovrà con la maggior calma e piana­ mente. Accade pur talora doversi eseguir due contrarie espressioni con la stessa mano; come scorgesi nel mio Studio 2. Op: 20, che è a quattro parti.

In questo esempio ogni parte debbe aver la sua propria espressione: la principale, che è la più alta, dee dominare, essendo quella che canta: le due altre, che accompagnano, debbon esser subordinate alla prima, sempre giu­ sta la regola di loro espressione: la quarta, che sostiene le note fondamentali dell’armonia, debb’esser ben distinta, perché rimangan quelle sensibili in tutta la lor durata. Il Pianista che sol si appaga di materialmente eseguir dei passi, nonostante ogni perfezione che possa aver mai acquistata, finirà ben­ tosto con annojare: convien mirar più in alto: abbisogna espressione, anima, e grandi effetti, in modo che i mezzi dell’esecuzione non siano che quali accessorj, e non servano che a far ombra al quadro: segnatamente procurando che le mani serbinsi affatto indipendenti, e che non procedano sempre insie­ me. Apprendan gli studiosi a variar la loro espressione: che la parte cantante primeggi, e che le altre non la coprano punto: attendan bene, quando una nota abbia un segno di espressione, farlo pur sentire su tutte le altre: che la sinistra mano, che il più sovente fa degli accordi, sia men gagliarda che la dritta; imperocché essendo le note basse del Piano di lor natura più gagliarde delle altre, perciò la sinistra mano dee sempre esser più riposata, fuorché nei passi ne’ quali sia parte principale. In conclusione, convien possedere le tre seguenti qualità; cioè: fervore senza furore, forza senza durezza, e grazia senza affettazione. Ecco pertanto lo scopo al quale io miro: mostrar che il Piano, trattato in tal maniera, è il sovrano di tutti gl’istrumenti.

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Maniera di sedere al piano

L’esecutore dovrà sedersi dicontro al sol

dei Piani di 6 otta­

ve e mezza; avvertendo che il gomito dee trovarsi al di sopra dei tasti bianchi e al disotto dei neri; imperocché, se assiso troppo alto, ei dimenerà di brac­ cia, e, se troppo basso, perderà molto della sua forza.

Sugli autori da studiarsi: loro classificazione.

Quegli che meglio d’ogni altro ha scritto pel Piano, ed il quale ha, per così dire, tracciato il sentiero che noi teniamo, egli è Clementi. Nato a un di presso all’epoca dell’invenzion del Piano, e dotato di un genio superiore, co­ nobbe tantosto il gran vantaggio che trarsi potea da tale istromento: la sua Opera 2? pubblicata 60 anni or sono, attesta ciò che io dico. La seconda Suo­ nata in do, il cui principio è per ottave, e la quarta in LA, sono in sé capi d’o­ pera; e fanno chiaramente scorgere quanto abbiasi il Clementi lasciato indie­ tro i suoi predecessori. Io raccomando ad ognuno che brami formarsi ad una buona scuola, e farsi una bella maniera d’improntar le note, di cominciar ad esercitarsi nella musica del Clementi. Le sue opere più rinomate sono: i suoi Studj nel suo GRADUS AD PARNASSUM, e le sue Suonate, le quali son tutte mirabilmente adatte onde conseguir un perfetto meccanismo. Clementi è il più vigoroso Pianista da me sentito: egli eseguiva le ottave e benissimo e pre­ stissimo, sebben di braccio: nulla il suo meccanismo lasciava a desiderare. J.B.Cramer nato vent’anni dopo Clementi, e stato eziandio suo scolaro, tutto formossi e nel portamento e nello stile delle sue Suonate giusta il mo­ dello del suo maestro: dopo la qual epoca ei tolse dal suo genio quella manie­ ra deliziosa, soave, e legata, per cui non fuvvi alcuno che abbia giammai po­ tuto superarlo. Cramer perciò debb’esser il secondo autore da studiarsi dopo il precedente. Le migliori sue Opere sono gl’immortali suoi Studj, molte del­ le sue Suonate, in ispecie le Opere 4.a 6?7? 8? e quella denominata L’ULTIMA'. il primo pezzo di quest’ultima ridonda di fuoco tale, che di rado riscontrasi nell’altre Suonate dello stesso Cramer. Le sue Opere forniranno soprattutto uno stile legato, ed un buon fraseggiare: due qualità le più eminenti dell’ammirabil suo genio. Dusseck, occupatosi assai poco in sua gioventù della composizione, non ha prodotto opere così irreprensibili, sotto il rapporto scientifico, siccome i suoi predecessori: ma la squisita delicatezza e la mirabil espressione che se­ gnalavano il suo suonare ed i suoi cantabili, lo hanno renduto un modello di grazia, tal che nessun altro Pianista seppe meglio di lui cattivarsi giammai l’attenzione de’ suoi ascoltatori. I suoi Concerti, quantunque debolmente 129

istrumentati, formicolano di passi vaghissimi di Piano. Le sue Opere più sin­ golari sono: le sue Suonate Op: 9, 10, 35, e la suadelicieuse consolation che è una vera gemma. La musica di Dusseck varrà a formarsi il gusto, e svi­ lupperà l’espressione di cui saranno suscettibili gli allievi.

Maniera dì studiare.

Ben pochi son coloro che ottengono da * loro studj tutto quel frutto che lusingavansi conseguire, perché generalmente studian tutti male. Avvi taluno il quale, sebben dotato delle più elette naturali disposizioni, finisce col non aver che un’ordinaria abilità, e smentisce ogni speranza che promettea la sua giovinezza, non per altro che per non aver avuto una sicura guida onde diri­ ger bene i suoi studj. Egli è affatto impossibile poter giugnere a posseder una rara abilità, ove non si assoggetti allo studio della classica musica scritta pel Piano, e solo si appaghi di quella ch’è di moda del giorno; da che non avver­ rà giammai poter trovar, o nelle ariette con variazioni, o ne’ pezzi d’opera ri­ dotti pel Piano, i necessarj mezzi onde acquistar un bel meccanismo, un suo­ nar maestoso e legato, una bella maniera di fraseggiare e d’improntar le no­ te: conviene assolutamente studiar i grandi maestri delle differenti scuole, tutte le opere de’ quali mirano ad ottener le predette indispensabili qualità. Ecco pertanto in qual maniera io crederei potersi ordinar gli studj d’un giovane Pianista, che aspirasse a divenir un genio di prim’ordine. 1? Il Metodo col GUIDA-MANI 2? Le Opere di Clementi, Cramer, e Dusseck 3? Gli Studj di Cramer, quelli di Clementi nel suo GRADUS, quelli di Kalk­ brenner, di Moscheles, di Bertini, di Al: Schmidt, di Kessler, di M.ma di Montgeroult, di Chopin, ec. ec. 4? Le Fughe di J.S.Bach, di Hàndel, di Emmanuel Bach, di Albrechtsberger 5? Le Opere di Hummel, quelle di'Moscheles, di John Field, di Adam, di Kalkbrenner, di Czerny, Pixis, Bertini, C.M. v. Weber, H. Herz, J. Herz, Ries, di tutti infine i classici scrittori di Piano. 6? Beethoven. Io non permetto a’ miei allievi di suonar le Opere di Piano di Beethoven, se non quando il loro meccanismo sia bene stabilito: quel genio sublime non potea ristringersi entro i confini del portamento dei diti: perciò l’allievo che trattar voglia troppo presto la musica di lui, non potrà a meno non contrarre che difettose abitudini quanto all’uso dei diti. E nettampoco io soglio conce­ dere l’accompagnar le partiture pria che non siano i predetti studj compiuti: la musica scritta per orchestra, che da me si raccomanda ad oggetto di for­ marsi il gusto, non essendo conforme alla digitazione del Piano, sarà sempre nociva per un giovane studioso, le cui idee non son peranco ben su tal punto determinate. 130

7? Per compier poi siffatti studj, è anche mestieri esercitarsi molto sulla musica scritta per altri stromenti: quali sarebbero, il Violino, il Flauto, il Violoncello, onde ben apprender l’accentuazione, ed eseguir de’ passi mal digitati e pressoché ineseguibili. Per esempio, gli Studj di Paganini pel Violi­ no son ottimi per farne esercizio sul Piano; sempreché peraltro non siavi più timore di guastar la posizion della mano, e che abbiasi un assoluto dominio su i diti. Si attenda poi bene ad assuefar di buon’ora gli allievi a finir e perfezionar l’esecuzione d’ogni pezzo, invece che piacersi unicamente a tastar tuttodì nuova musica; da che, senza tal precauzione, sarà loro impossibile poter giammai acquistare quell’espressione e quel finito così preziosi, che costitui­ scono il musicale incanto ed il vero genio. Sarà pur utilissimo l’esercitar la memoria, la quale, coltivata di buon’ora, agevolmente si sviluppa; e perciò io consiglio far esercitar di spesso gli allievi a suonar lunghi pezzi a mente. Occorrendo aver a dicifrar passi intralciati, sarà bene contarne, o divider­ ne prima i rispettivi quarti, e nell’esecuzione marcarne poi col piede la bat­ tuta.

Conclusione Ecco pertanto il risultato delle osservazioni da me fatte ne’ molti anni da che istruisco sul Piano; ciò che non potrà giammai dirsi né una ideale teoria, e né un vano sistema. Tutte le regole che io qui prescrivo sono state ben da me pria sperimentate, né le adottai se non dopo esser rimasto pienamente convinto della loro giustezza: per lo che posso garantire, a tutti quei che si atterrano a quanto in questo mio Metodo vien prescritto, un bel meccani­ smo, stile, e gusto. Con esso ottenni sempre formar degli allievi assai ben ad­ dottrinati, avendo lor fornito, in luogo di spiegazioni adatte a casi particola­ ri (ciò che non avrebbe lor servito che una sola volta), regole generali, per cui venian essi medesimi obbligati ad applicarle, e delle quali con piena sicurez­ za valersi potean in tutti i consimili casi. Non mi riman qui per ultimo che supplicar ognuno che scorgesse aver io ommesso alcunché d’importante, a rendermene avvertito, affinché io possa ciò riparare in una nuova edizione: il mio amor proprio, lungi che risentirse­ ne, cederà di buon grado al mio ben più grande amore per l’Arte, che farammi accoglier mai sempre con sentimenti di vera riconoscenza tutte le osserva­ zioni derivanti da una sana e giudiziosa critica.

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MODELLO DEL GUIDA-MANI [iiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniil

A. Viti, per assicurar il guida-mani Piano. B. Sbarra, che dee livellarsi, a un dipresso, all’altezza dei tasti bianchi, e su la quale appoggia l’avan-braccio.

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F. Fétis e i. Moscheles Méthode des Méthodes Parigi 1837 Traduzione italiana: Milano s.a. (1840 ca.)

Metodo dei Metodi per Piano Forte

Introduzione ARTE DI SUONARE IL PIANO DIVISA IN PARECCHIE SCUOLE. — QUALITÀ PARTICO­

LARI DI CIASCUNA. NECESSITÀ DI CONCILIARE E DI RIASSUMERE QUEL CHE LORO APPARTIENE IN UN SOLO INSEGNAMENTO.

1. Tutte le parti della musica hanno subito grado a grado delle modifica­ zioni ed anche delle trasformazioni complete. I diversi caratteri della musica di Clavicembalo e di Piano prodotta da due secoli e mezzo, attestano che l’arte non ha avuto punto più di stabilità in quel che concerne questi istrumenti, che in ogni altra cosa. 2. La differenza dei processi dell’esecuzione è nata dalle tr as formazioni di gusto nella composizione, ma ciò che forse ha esercitato maggiore in­ fluenza su questa diversità, sono i cambiamenti radicali introdotti in varie epoche nel sistema di costruzione degli istromenti. Per esempio, quando hanno immaginato di far battere le corde degli istromenti a tastiera da legge­ ri martelli, in luogo di metterle in vibrazione per mezzo di salterelli armati di pezzi di penna o di bufalo, hanno creduto di non fare che una modificazione del Clavicembalo e della Spinetta, mentre il Piano, risultato di questa inven­ zione era un istromento d’un altro genere. Il Piano è un applicazione della meccanica al SALTERIO, di cui si batte­ vano le corde con delle bacchette, come il Clavicembalo e la Spinetta erano delle applicazioni della meccanica ai Liuto, di cui le corde erano toccate da una penna. Il Clavicembalo era dunque in realtà un istromento a corde pizzi­ cate; il Piano è un istromento di percussione. Ora il toccare di questi due istromenti ha dovuto essere assolutamente di­ verso; perché lo scappamento della linguetta del salterello, in seguito della 133

sua pressione sulla corda, non poteva farsi che in una sola maniera, e non poteva produrre che de’ suoni uniformi e senza mescolanza di colori. Per fa­ re intendere le differenze del Piano e del Forte, bisognava ricorrere al mezzo meccanico dei cambiamenti di registri, o passare dalla gran tastiera a quella della sordina; in quanto all’azione delle dita sulla tastiera, essa era invariabi­ le. Col Piano, al contrario, quest’azione si modifica per produrre delle gra­ dazioni di forza o di dolcezza, da ciò l’espressione, quindi un’arte nuova ed un’altra teoria del tasto. 3. I cambiamenti successivi introdotti nel sistema di costruzione del Piano non hanno esercitato minore influenza sul meccanismo delle dita. Per lo spa­ zio di cinquant’anni, i martelli che battevano le corde, furono delle stanghet­ te corte e leggere, sospese per mezzo di alcune cerniere di pelle che il minimo sforzo faceva agire; le corde erano deboli, fragili, e dovevano esser maneg­ giate con riguardo per non rompersi. È per tali istromenti, che tutta la musi­ ca di Haydn, di Mozart, di Schobert, la maggior parte delle opere di Cle­ menti, e molte opere di Dussek, di Cramer e di Steibelt, sono state compo­ ste. Le qualità necessarie per eseguirle, e pel toccare degli istromenti, erano la delicatezza del tatto, l’espressione e la leggerezza; non vi si aggiungevano che delle condizioni di forza relativa. Più tardi e progressivamente, un cambiamento totale s’è operato nel siste­ ma della costruzione, e per conseguenza nel sistema del toccare. La necessità sempre più sentita d’aumentare l’intensità del suono, ha fatto allungare la stanghetta dei martelli, ha dato loro maggior peso, un’azione più potente, ha complicato il loro meccanismo colle combinazioni d’uno scappamento, ed ha fatto dare maggior profondità ai tasti. Quindi si ebbero delle corde più grosse per aver un suono più forte, e per resistere ai colpi dei martelli; ora queste corde han dovuto essere attaccate con maggior energia per esser poste in vibrazione. Alcune condizioni di forza nelle dita si sono dunque riunite al­ le condizioni di leggerezza, ed i principj del meccanismo del toccare han do­ vuto esser modificati in ragione di queste nuove condizioni. 4. In tutte le trasformazioni subite dagl’istromenti a tasto, la disposizione della tastiera è la sola cosa che sia rimasta invariabile. Sembra dunque che le regole della digitazione abbiano dovuto essere le medesime in tutti i tempi, pertanto non è così. Ma se v’hanno diversità molto considerevoli a questo ri­ guardo nei principj di molte scuole e in differenti epoche, conviene attribuir­ le alle variazioni del gusto nelle forme e nell’oggetto della musica, o ad abi­ tudini nate da osservazioni troppo generalizzate. Frescobaldi, Froberger, e dopo essi J. S. Bach, Handel, e tutti i maestri dell’antica scuola hanno scrit­ to pel clavicembalo a tre, quattro e cinque parti reali; per tutte queste parti che hanno un disegno, abbisogna una digitazione particolare, in cui i salti e gl’incrocicchiamenti delle dita, e la ripetizione del medesimo dito su molti tasti consecutivi, sono d’un frequente uso. Nei passi rapidi, ed allorché le mani non dovevano eseguire che delle melodie o de’ semplici accompagna­ menti, l’uso del pollice divenne più raro, soprattutto dopo che venne il co­ 134

stume di suonare nei tuoni, ove i diesis e i bemolli erano più sovente impiega­ ti che nell’antica musica, perché fu manifesto che il passaggio del pollice opera un duro cambiamento nella posizione della mano. Carlo-Filippo-Emanuele Bach dice nel suo saggio sull’arte di suonare il clavicembalo (VERSUCH UBER DIE WAHRE ART DBS KLAVIER ZU SPIELEN, CH: 1.2 7.) Che SUO

padre aveva inteso nella sua gioventù molti suonatori di clavicembalo abilis­ simi, che non si servivano giammai del pollice, a meno che ciò non fosse nel­ le grandi estensioni. Le riflessioni di Giovanni Sebastiano Bach lo condusse­ ro a migliori principj di digitazione, nei quali egli fece intervenire il pollice ed impiegò ciascun dito secondo la sua destinazione naturale, e questi princi­ pj furono lungo tempo conosciuti in Alemagna sotto il nome di digitazione di bach. Questo grande artista nel far entrare l’uso del pollice nel meccani­ smo del toccare, vi avea posto per restrizione di non impiegare il passaggio di questo dito che allora che fosse assolutamente necessario, e di renderlo più raro che fosse possibile. Questa regola è buona, perché fondata sulla ne­ cessità di addolcire i movimenti di traslazione delle mani, e di evitare più che si può i duri cambiamenti di posizione; ma troppo preoccupati della sua re­ gola generale, abilissimi artisti hanno alcune volte immaginato delle digita­ zioni più incomode che il passaggio del pollice. Io noterò in quest’opera gli errori di tal genere. Havvi diversità di opinioni su questa questione di mecca­ nismo. Io mostrerò ch’essa esiste appunto perché si è troppo generalizzato da una parte e dall’altra, e che le due teorie opposte possono essere applicate con successo a dei casi differenti. 5. Ben altri punti della teoria della digitazione e del toccare del Piano so­ no stati combattuti, e si presentano sotto l’aspetto d’opinioni diverse nei varj metodi, perché l’abitudine ha fatto prendere inaffezione agli autori di al­ cuni di questi metodi certe cose, che abitudini contrarie han fatto respingere da altri. Per esempio erasi rimarcato che il pollice essendo più corto delle al­ tre dita, obbligava la mano a fare un movimento in avanti, allorché si voleva situarlo sui tasti neri, che sono più corti dei bianchi, ciò che nuoceva alla re­ golarità del meccanismo. Si era osservato ancora che per la sua posizione na­ turale questo dito non poteva attaccare questi tasti neri, che sono stretti, che da lato e conseguentemente ch’era esposto a sdrucciolare e a cadere sui tasti bianchi vicini; da queste osservazioni si era conclusa la regola generale che si trova nella maggior parte degli antichi metodi, che non si deve porre il pollice sui tasti neri. Ma la musica del Piano è adesso molto più modulata ch’essa non l’era allora che questi metodi furono pubblicati; i tuoni pieni di Bemolli, e di Diesis si presentano a ciascun istante, e si è riconosciuto che la regola troppo rigida per l’epoca attuale metterebbe ostacolo alla produzione d’una moltitudine di passi, e che gl’inconvenienti che si volevano evitare sa­ rebbero spesso rimpiazzati da altri più considerevoli. Da assoluta che era, la regola è divenuta condizionale; cioè che non si fa uso del pollice sui tasti neri che allorquando ciò è necessario o vantaggioso. 6. In ciò che precede si veggono delle differenze essenziali e radicali nella 135

Teoria del toccare e della digitazione del Piano, che sono nate dalla differen­ za dei tempi e delle trasformazioni della musica; eccone alcune che sono il ri­ sultato di opinioni particolari di alcuni grandi artisti e dell’oggetto che cia­ scun di essi si è proposto. 7. Alcuni celebri Pianisti dicono che le mani devono cadere da se stesse sulla tastiera, che esse devono essere quasi immobili; e che le dita un poco al­ lungate debbono far poco movimento nel battere i tasti. Altri Pianisti celebri pensano che la forma elittica ed allungata della mano toglie la forza alle di­ ta, e che è necessario ch’esse cadano a piombo sui tasti, li battano con ener­ gia, ed eseguiscano dei movimenti abbastanza grandi per imprimere un forte impulso ai martelli. 8. Alcuni celebri Pianisti insegnano ad eseguire tutti i movimenti di tra­ slazione della mano nelle serie di seste ed ottave con una articolazione libera del pugno e senza il concorso dell’antibraccio; altri pianisti non meno rino­ mati assicurano che le ottave fatte in questa maniera sono pesanti e d’un ef­ fetto uniforme mentre tendendo il braccio, si ha maggior rapidità, leggerez­ za e facilità a modificare la forza dei suoni. Il Sigi M[oscheles]. si unisce a quest’ultima maniera di eseguire le ottave e le doppie note distaccate. Nel fatto si possono impiegare con vantaggio questi due metodi seguendo gli ef­ fetti che si vogliono produrre, perché si avrà sempre maggior energia, mag­ gior sicurezza nell’esecuzione delle ottave per mezzo del pugno, e maggior fi­ nitezza in quelle che saranno fatte a braccio teso. 9. Il suonare legato, eguale e pulito della scuola di Clementi e di quella di Kalkbrenner è rimarchevole per una grande correzione di meccanismo, e per la sua elegante facilità. Tutto è bello, puro e regolare nei tipi di queste scuo­ le. Non vi si ammette punto ciò che io chiamerò i processi della produzio­ ne dei suoni, processi che io trovo nella scuola di Hummel e più ancora in quella di Moscheles. Questi ha molte maniere diverse di attaccare la nota, in ragione dell’effetto ch’ei vuol produrre, e ciascuno confessa che non invano fa uso di queste risorse d’un arte particolare, e che il suo suonare è molto ri­ marchevole per la varietà, come per il suo genere brillante. Vi hanno ancora dei processi nella maniera di suonare di Liszt, ma essi sono d’altra natura e il suo talento è la deviazione più completa che si possa immaginare della scuo­ la di Hummel. La delicatezza del toccare non è punto l’oggetto principale del suo talento e le sue viste si portano sull’aumento di potenza del Piano e sulla necessità di ravvicinare questa potenza a quella dell’orchestra per quanto gli è possibile. Da ciò vengono certe combinazioni che gli sono parti­ colari dell’impiego frequente dei pedali con dei processi speciali di attacco dei tasti; combinazioni di grand’effetto, ma che esigono un lungo e profon­ do studio dell’istromento come ancora molta forza dei nervi. 10. Anche le viste di M. Thalberg si sono portate verso l’aumento di po­ tenza del Piano; e nella realizzazione di queste viste il suo ammirabile talento si è sviluppato ma i suoi processi per raggiungere lo scopo che si proponeva sono stati differenti di quei di Liszt. Considerando che la musica del Piano 136

nel volerla render brillante ha fatto voltare la mano dritta verso le note acu­ te, mentre la mano sinistra attaccava le note gravi, e che per conseguenza di questa disposizione il centro della tastiera resta spesso disoccupato e lascia un vuoto nell’armonia, egli si è proposto di gettare in questo centro una par­ te cantante con suoni sostenuti, mentre una parte brillante si farebbe inten­ dere nei suoni acuti accompagnata da un basso potente. Questo problema difficile egli l’ha risoluto nella maniera più felice, ed il suo suonare offre la singolare illusione di una tastiera occupata da tre o quattro abili mani. Ben­ ché quelle di M. Thalberg, siano di dimensioni poco ordinarie, è facile di comprendere ch’egli non ha potuto realizzare un tal fenomeno che modifi­ cando certe parti del meccanismo sia nella digitazione, sia nell’attacco della tastiera e nella produzione dei suoni. Con un tal modo di suonare il Piano, l’arte s’è dunque trasformata, si è estesa ed arricchita di nuovi processi e tut­ to ciò ha bisogno di essere spiegato. A riassumere tutto ciò che vi ha di buo­ no, secondo le circostanze, in tutti i metodi, si unirà dunque in quell’analisi del metodo particolare di M. Thalberg la cui esposizione non si trova, e la cui conoscenza è però una necessità per tutti i giovani pianisti. 11. Io non terminerò quest’introduzione senza fare un’ultima osservazio­ ne che mi sembra importante, perché essa preverrà delle opposizioni che i partigiani del tale, o tal altro sistema potranno fare, eccola: gli artisti che so­ no stati citati precedentemente, i virtuosi della loro scuola e molti altri anco­ ra hanno acquistato una giusta celebrità con diversi mezzi. Frattanto l’abitu­ dine di considerare la loro arte sotto un solo aspetto cioè sotto quello dei lo­ ro studj, gli ha generalmente convinti dell’eccellenza del metodo che essi hanno adottato e loro ha inspirato poca stima per altri metodi che si allonta­ nano più o meno dal loro. Essi obbliano che la fama di quei che seguono questi metodi o che li hanno modificati, dimostra che essi metodi non sono tanto viziosi quanto pensano, e che sono soltanto i risultati di osservazioni fatte sopra altri oggetti dell’arte e in un altro scopo. Presso un uomo di ta­ lento nulla è da disdegnarsi, perché tutto può essere utilmente impiegato nel­ l’immenso patrimonio dell’arte. 12. Un nuovo metodo di Piano concepito in un sistema assoluto quale sa­ rebbe infallibilmente quello che potrebbe scrivere un artista attaccato ai principj produttori del suo talento, non farebbe che mettere in circolazione alcune idee particolari sull’arte di suonare l’istromento senza progresso ver­ so la fusione e la riunione di tutti gli elementi dell’arte considerata sotto il punto di vista più generale. Riassumere tutto ciò ch’è stato prodotto di buo­ no sino a questo giorno; dare sopra ciascuna cosa le opinioni ed i principj dei capiscuola più celebri; farne un’analisi ragionata ed applicarli con discerni­ mento, tale è per l’epoca attuale la sola maniera di fare un’opera d’universa­ le utilità; tal è il solo mezzo di mettere la ragione al posto dei pregiudizj. Ciò è quanto io mi sono proposto di fare in questo metodo dei metodi. Da que­ sta fusione di principj, allorché sarà stata compresa, nascerà un’arte novel­ la, variata, immensa che abbraccerà tutte le gradazioni dell’arte e che sarà conforme all’oggetto illimitato della musica. 137

Capitolo 12°

Dell'uso dei pedali

142. Nello stato presente del Piano, e nella direzione che gli fu data, tutto quel che può contribuire ad accrescere la forza del suono, deve adoperarsi; e con questo fine la scuola attuale fa ottimo uso dei pedali, e specialmente di quello che alza gli smorzatori. I principj adottati dai più abili Pianisti, per l’uso di questo mezzo d’effetto meccanico, consistono ad appoggiar il piede su questo pedale, per accrescere il suono, avendo cura di levarlo ogni qual volta l’armonia cangia, o quando i passi sono composti di note che si seguo­ no diatonicamente o cromaticamente. Onde avviene che la musica della scuola attuale, modulando continuamente, costringe a tener il piede in un moto quasi continuo, che nel principio di questo esercizio cagiona qualche imbarazzo, ma che diventa tosto una facile abitudine. Alcuni Pianisti, il cui suonare manca di precisione e di nettezza, coprono questo difetto per mezzo del pedale che leva gii smorzatori, pel rumore con­ fuso che ne deriva, ma certamente in tal caso il rimedio è peggior del male, e non v’ha fatica maggiore per l’uditorio, di quella che deriva da questa con­ fusione di suoni. 143. In alcune cose, dilicate e dolci, il pedale che fa battere i martelli so­ pra una corda sola è d’ottimo uso, perché il suono di una corda sola è sem­ pre più puro di quello di due o tre accordate ad un unisono sempre imperfet­ to. Nei passi rapidi però non devesi adoperar questo pedale, perché una cor­ da sola non ha il vigor necessario per questi passi.

Capitolo 13°

Dello stile d'esecuzione

144. Un meccanismo perfetto quanto più si possa immaginare, congiunto ad un’anima appassionata piena di fuoco e di sentimento, sono virtù che danno a chi le possedè, la certezza dei più prosperi successi, e dei trionfi più meritati. Oserò dir tuttavia, che queste così belle e rare virtù non bastano, perché l’esecuzione di qualunque musica, sia sempre qual deve essere; la ragione de­ ve pur venire in soccorso alla fantasia dell’artista, ch’è fortunatamente di questa dotato. Non è caso impossibile che artisti di prima classe lasciandosi trascinare da un’inclinazione fantastica cangino nell’esecuzione della musica dei grandi maestri, il carattere dei pezzi, ne accelerino o ne rallentino i movimenti, se­ condo le proprie impressioni, v’introducano passi improvvisati, invece di dare quelli che sono scritti, e senza rispetto per quei bei concetti, che forse non intendono, li snaturino e ne facciano in certa guisa un’improvvisare so­ pra temi dati. Un tal abuso è quanto v’ha di più biasimevole, qualunque sia l’ingegno di quello che se ne rende colpevole.

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Ogni musica buona ha il suo uso, il suo principio, il suo pensiero; ed il cangiarne qualche cosa è toglierle tutto questo, ed è inoltre cancellare la di­ stinzione degli stili, e condur tutto nell’uniformità ch’è nelle arti il peggior dei difetti. Il colmo della perfezione nell’arte è di eseguire tanto bene quel ch’è scritto, che non vi si desideri nulla di più nè di meno. Per giungere a questa perfezione, convien che l’esecutore mediti l’opera del compositore, che ne colga lo spirito e poi si limiti ad eseguirla con tutta l’abilità di cui è dotato, con tutta l’acutezza ed il sentire che sono in lui, ma con rispetto per le composizioni altrui, pari a quello ch’egli desidererebbe per le proprie. Non inganniamoci; l’artista che accopierà questa saviezza, questa ragio­ ne, alle altre sue virtù sarà bene superiore a quelli che possedono un’abilità almeno pari alla sua, perché avrà per sé la verità, cosa sì rara e sì potente ne’ suoi effetti. In conclusione lo stile d’esecuzione non può consistere che in una sola co­ sa: suonare ogni musica secondo il pensiero che l’ha creata.

Capitolo 14°

Dell ’impro vvisare 145. Improvvisare, cioè comporre senza lima e senza aver preso il tempo di ordinar colla riflessione quelle idee più o meno felici, recate all’artista da inspirazioni subitanee, sarebbe arte impossibile se i suoi frutti dovessero giu­ dicarsi col rigore che s’usa nell’esame di composizioni scritte. Di qualunque ingegno sia dotato l’improvvisatore, vi sarà sempre qualche disordine, qual­ che ritorno nel frutto prematuro del suo pensiero e talvolta la sua immagina­ zione sonnacchiosa lo lascerà errare nel vano; ma questi difetti saranno com­ pensati da una certa audacia di creazione riprovata forse dal gusto, ma che trae il proprio effetto precisamente dal suo andamento inusitato. Quest’au­ dacia è precisamente il segno caratteristico dell’improvviso, poiché io non chiamo con questo nome quei centoni di frasi volgari accozzate bene o ma­ le, a proposito d’un dato tema. 146. Per essere grand’improvvisatore non basta possedere un’immagina­ zione feconda, né esser dotto nelle risorse dell’armonia; ma bisogna che il meccanismo dell’esecuzione sia perfezionato, affinché le dita siano atte ad eseguire quanto l’estro inventa, e bisogna pure che l’artista sia dotato di quella facoltà d’analisi, che fa considerar d’un colpo d’occhio le risorse del soggetto, cui si tratta di sviluppare. Finalmente è d’uopo ch’egli conservi ba­ stante calma, in mezzo alle proprie emozioni, per non lasciarsi traviare, e per fissare rapidamente un ordine in cui le sue idee siano disposte secondo un certo progresso d’interesse. L’insieme di tante virtù date dalla natura, e con­ seguite dall’arte è così raro, che non si conta che un piccolissimo numero di suonatori che ne siano dotati. Fra gli antichi suonatori di cembalo, gl’improvvisatori più celebri furono Bach e Handel, e fra i moderni convien porre tra i primi Mozart e Beethoven e dopo di essi Hummel, Moscheles e Chopin. 139

Parrà forse che un piano od uno schizzo segnato debba essere un ostacolo allo sviluppo delle ricchezze della fantasia, ma ciò non è; poiché avviene di alcune parti dell’improvviso come della musica scritta. Per esempio il ritor­ no di alcune idee principali è nel primo così necessario, come in una compo­ sizione meditata a bell’agio. Che se idee differenti si succedessero senza in­ terruzione dal principio al fine, non rimarrebbe nella memoria degli uditori che un’idea confusa di ciò che avrebbero udito, e per quanto brillanti fosse­ ro i pensieri dell’improvvisatore, non lascerebbero dietro di sé che una vaga impressione di piacere. L’arte di fissar un piano all’improvviso, e di regolar il ritorno delle idee principali, è il frutto dell’esperienza, onde gl’improvvisatori più abili confes­ sarono che il loro ingegno era frutto tanto dello studio che dell’inspirazione. L’improvviso è composto di due cose che concorrono del pari al suo effet­ to. l?Una fantasia libera ed ardita nel pensiero; 2? Un ordine bene stabilito nella scelta delle idee più vive, fra quello cui l’istinto porta sotto le dita del­ l’improvvisatore per riprodurle e svilupparle con una costante gradazione d’interesse.

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C. Czerny V ollstàndige theoretisch-praktische Pianoforteschule op. 500 Vienna 1839 traduzione italiana: Milano, s.a. (1840 ca.)

Parte terza Dell’esecuzione

Introduzione

§1 . Nelle decorse due Parti vennero edotti gli Allievi dei mezzi onde acquista­ re la meccanica abilità dei diti, e le seguenti qualità indispensabili per un Pia­ nista, cioè: A) Giustezza ed esattezza del suono; B) Rigorosa osservanza ed esatta divisione della misura; C) Precisa e rapida lettura delle note; D) Tocco fermo, e suono bello e pieno; E) Portamento giusto; F) Agilità e facilità somma in ambedue le mani, anche in onta a notabili difficoltà; G) Esatta osservanza de’ consueti segni d’esecuzione, riferentisi alla mec­ canica differenza tra il forte ed il piano, come pure fra il legato e lo staccato. §2 . Tutte queste qualità peraltro hanno a considerarsi unicamente quai mezzi a giugner in possesso dell’arte, il cui scopo primario consiste nel dare spirito ed anima all’esecuzione, e colpir così Panimo e l’intelletto degli uditori. §3 . Per ciò conseguire è da por mente che ogni pezzo di Musica, nessuno ec­ cettuato, riceve il suo pieno valore ed effetto soltanto dal modo con cui vien eseguito; il qual modo d’esecuzione è cotanto vario da non potersi assegnar limiti alla sua graduazione: di modo che un Suonatore che dispor liberamen­ 141

te possa di tutt’i mezzi d’espressione, potrà render gradevole all’uditore i componimenti anche più meschini e dimenticati: mentre all’incontro anche i più riputati pezzi di Musica perderanno ogni lor pregio con un’erronea e mal digesta esecuzione. §4 . . Quantunque l’esecuzione e l’espressione appartengan di diritto alle spiri­ tuali facoltà del suonatore, esse nondimeno dipendono pure dai mezzi mec­ canici o materiali, di cui egli dee far uso; per modo che entrambe tali qualità non vanno mai disgiunte ne’ grandi Maestri e Suonatori veramente finiti, sembrano esser l’una conseguenza dell’altra. Perloché anche in questa Terza Parte i primi Capitoli verteranno precipuamente sull’indicazione de’ mezzi estesi mercè i quali soltanto può il Suonatore pervenire al più alto grado di perfezione, e raggiunger Io scopo vero ed unico dell’arte. §5 . Tutto ciò pertanto che concerne l’esecuzione può dividersi in due princi­ pali Sezioni, cioè: 1? Nell’esatta osservanza di tutti i segni d’esecuzione, appositamente dagli stessi Autori indicati ne’ loro componimenti; e 2? In quella espressione che il Suonatore, col proprio sentimento, può e deve adoperare in ogni pezzo musicale. §6 . Tutti i segni possibili d’esecuzione, di cui può far uso un compositore, si riducono alle tre seguenti qualità, anima e nerbo della giusta e bella esecu­ zione. A) Al forte, piano, crescendo, diminuendo, ec.; dunque ai varj gradi di forza o debolezza nella percussione de’ tasti. B) Al legato, staccato, ec.; quindi ai varj gradi di tenere, legare, staccare, che richiedonsi ad ogni nota; e finalmente C) AI ritardando, accelerando, calando, ec.; perciò ai transitorj devia­ menti dalla prescritta misura. Il tutto da applicarsi qua e là, a seconda delle circostanze e degl’impulsi del proprio genio da retto criterio governato.

Delforte e piano §1. Ai modo istesso che, siccome è noto, sono infinitamente divisibili il Tempo e lo Spazio, altrettanto lo è pur l’intensità o la Forza di percussione: per cui si può trarre da un individuo tasto di un buono Piano-forte tanti gradi di suo­ no debole o forte, incominciando dal pp. al ff., che, rigorosamente parlan­ do, sarebber pressoché incalcolabili. Un esempio renderà ciò chiaro: prenda­ si la seguente figura:

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Il segno , sottoposto alle note, indica il crescendo per le prime 8 e il diminuendo per le 8 note seguenti. Il crescere si ottiene toccando ogni suono un poco più forte del precedente. Essendo però la prima nota marcata con piano, siffatto crescendo può estendersi al più sino a mezza vo­ ce, non essendovi all’ottava nota né sf., né/. Ciononostante vi sono in que­ sto esempio già 8 gradi d’intensità o forza, che produconsi dal primo piano sino alla mezza voce. Prendiamo ora lo stesso passo alquanto prolungato.

p-------

Siccome il crescere abbraccia qui (parimente sino a mezza voce) 16 note, segue perciò che dee toccarsi ogni nota con un grado meno di forza del pre­ cedente esempio, onde giugnere colla mezza voce sulla 161"a Qui pertanto vi sono 16 varj gradi di forza sino alla mezza voce. Rappresentandosi il medesimo passo prolungato ancora di più (p.e. in una progressione cromatica), di modo che il crescere duri per 32 note, in allora dal p. alla m. v. vi saranno 32 varj gradi di forza. Osservisi dopo ciò che in questi due esempj non trattasi ancora né di un forte, né d’un fortissimo, e neppur d’un pianissimo, i quali tutti rendono possibili e necessarj fra loro altrettanti gradi di forza; p.e.

§2. Il fin qui esposto pertanto, lungi ogni esagerazione, dimostra potersi adot­ tare almeno 100 gradi diversi di forza e di debolezza, coi quali si può toccar un suono; al modo istesso che possono i pittori attenuare un qualsiasi colo­ re, il quale dalla più forte pennellata può risolversi in innumerevoli grada­ zioni, sino a divenir quasi impercettibile; e lo stesso intendasi pure viceversa. Di quanti mezzi d’espressione non può quindi disporre il suonatore col solo tocco! 143

§3. Tutte queste gradazioni peraltro richiedono grand’esercizio, somma pa­ dronanza di forze fisiche, meccanica perfezione de’ diti, ed in ultimo finissi­ mo orecchio. Diti restii o pesanti non possono dominarsi; e mal s’appongo­ no que’ suonatori i quali saltano dal piano al forte in modo troppo gagliar­ do, credono così suonar con espressione, imitando que’ pittori che danno le loro tinte o troppo pallide o troppo caricate, senza buon impasto de’ colori, dal che non risultano che scarabocchi variamente colorati. §4. Ora per agevolar a tal uopo l’occorrente pratica ai diti, le Scale in tutti i toni costituiranno di nuovo, sovra ogni altra cosa, il mezzo più adatto, pur­ ché sian dall’Allievo esercitate ne’ varj seguenti modi: A) 1? pianissimo, 2? piano, 3Smezza voce, 4? forte, 5? fortissimo; il quale esercizio dovrà usarsi in ogni specie di Movimento, del Tempo mo­ derato al prestissimo, escluso per ora ogni crescendo o diminuendo. B) Quando l’Allievo possegga bene tutti questi gradi di forza, allora po­ trà porsi ad esercitar le medesime Scale coll’applicazione del crescere e dimi­ nuire, procurando che il suono più grave incominci pp. ,op., crescendo pro­ porzionatamente, nell’ascendere, fino al suono più acuto, da dove, nel di­ scendere, diminuisce di nuovo sino al primopp., op. = Anche in tal eserci­ zio si danno più gradazioni; p.e. 1 ? dalpp. alla mezza voce, e retrocedendo nella stessa maniera; 2° dal pp. al forte, retrocedendo pur nello stesso modo; 3? dal pp. al fortissimo, e suo egual retrocedimenio; 4? dal piano (o dalla mezza voce) sino al forte (o fortissimo). §5. Il Suonatore dovrà rigorosamente attendere che il crescer della forza ab­ bia luogo a gradi eguali nel crescendo, e giammai o troppo velocemente o troppo lentamente un grado più o meno dell’altro. Convien perciò aver sempre riguardo al passo da eseguirsi cresc. o dimin., per riserbare il più alto grado della rispettiva forza pel punto estremo. Vo­ lendo, p.e., nel seguente passo

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toccar già forte i singoli suoni sul mezzo della prima battuta, ed eseguir dap­ poi più debolmente que’ che seguono, il bell’effetto del crescendo sarebbe perduto. Lo stesso intendasi pel diminuendo. C) La terza specie necessaria per ben esercitar i diti, consiste nel poter da­ re a piacimento un particolar vigore ad ogni singolo dito: il qual vigore può esser sommamente piano, a mezza voce, forte, e fortissimo, al tempo istesso che tutti gli altri diti suonano ognora piano. §6. Osserverà peraltro il Suonatore a non produrre in verun modo siffatto grado di forza con un forte moto della mano, e meno ancora con uno straor­ dinario contorcimento di braccio: ma soltanto mercè una più forte pressione del dito, udibile, non però visibile. Anche nel più forte marcare di un singolo suono, o di un crescendo, e mano e braccio debbon sempre tenersi il più possibil quieti. §7. Prescindendo dalle più fine gradazioni applicabili al crescendo e al dimi­ nuendo, l’espressione la più usitata ed impreteribile da praticarsi per la mag­ gior o minor intensità di forza, si dividerà in cinque gradi principali, da do­ versi l’uno dall’altro esattamente distinguer nell’esecuzione. 1? Il pianissimo’, 2? Il piano; 3? Smezza voce’, 4? Il forte-, 5? ^fortissimo. Onde procurar a tal uopo ai diti, non meno che all’orecchio, un conve­ niente esercizio, dovranno esattamente e sovente esercitarsi, su queste cin­ que specie di gradazione di forza, tutti gli esercizi di portamento esposti nel­ la Parte II? di quest’opera, incominciandoli sempre col pianissimo.

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Capitolo I

Avvertenze più precise intorno all’applicazione del forte, piano, ec.

§1 . Ne’ più recenti musicali componimenti gli Autori indicano per lo più tutti i segni d’esecuzione in modo così esatto, da esser raro il caso che il suonatore trovisi in dubbio sull’intenzione del compositore: eppure, ciononostante, anche in essi vi son de’ casi ne’ quali molto è lasciato all’arbitrio dell’esecu­ tore. Ne’ componimenti poi più antichi per Cembalo (p.e. di Mozart, Cle­ menti, ec.), in cui siffatti segni trovansi indicati assai parcamente (non essen­ do l’antico Cembalo suscettibile di sì minute gradazioni come il moderno Piano-forte), la loro esecuzione dipende per lo più dal genio e dall’intelligen­ za di chi li eseguisce, ed è quindi per tal riguardo molto più difficile. §2 . Perché le dette cinque specie di piano e forte abbian ciascuna il suo preci­ puo oggetto, si possono immaginare esprimenti ognuna di esse un determi­ nato carattere, onde dalla loro varietà risulti un tutto particolar effetto. Cioè: A) Il pianissimo (pp.), che dovrà eseguirsi col tocco più possibilmente leg­ giero de’ tasti, in modo però da non rimaner indistinto, porterà il carattere del grave, del misterioso, e potrà nella sua perfetta esecuzione produrre sugli uditori il magico effetto di una musica lontana, di un eco. B) Il piano (p.), indicherà dolcezza, mansuetudine, amabile e placida uni­ formità di sentimento, o un penar calmo: ciò che non a meno può non mani­ festarsi dal modo soave e tenero (però alquanto determinato ed espressivo) con che debbon in siffatto grado trattarsi i tasti. C) La mezza voce (m. v.), gradazione appunto media tra il forte e il debo­ le, potrà ben assomigliarsi al quieto narrativo tuono di discorso tenuto da chi, né a bassa voce bisbigliando, né ad alta declamando, brama interessar più col semplice spontaneo racconto della cosa, di quello che con declamato­ ria eloquenza. D) Il forte (f), potrà indicar l’espressione d’una determinata volontà, ma senza esagerazione: d’un passionato, mane’ limiti della decenza. Ogni frase brillante poi potrà eziandio eseguirsi con siffatto grado di forza. E) Il fortissimo (ff), ben esprimerà il crescere tanto della gioja sino al giubilo, quanto del dolore sino alla furia; ed anche il brillante s’inalzerà sino alla bravura: avvertendo però, come già si è detto, che anche il più alto gra­ do di forza dee sempre mantenersi ne’ limiti del bello, né mai degenerare in un crudo pestare, con notabile danno dell’istrumento.

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Dell’accento musicale da applicarsi a particolari note §L È noto che ogni lingua consta di parole formate di sillabe lunghe e brevi, e che una delle lunghe si è quella appunto che determina la pronunzia, doven­ do su d’essa batter la voce con più di forza onde marcarne l’accento. Tre so­ no in lingua italiana le più comuni sorte di pronunzia: piana, sdrucciola, e tronca. La pronunzia piana ha l’accento sulla penultima: còsa, amòre, intel­ lètto-, la pronunzia sdrucciola lo ha sull’antipenultima: mìsero, amàbile, ve­ rosìmile; la pronunzia tronca infine lo ha su tutti i monosillabi: ha, te, sì, no, tu, ec., e su tutte quelle ultime sillabe di parole, per costante universal con­ senso accostumate segnarsi sempre con accento: pietà, potè, così, farò, vir­ tù, crudeltà, temerà, obbedirò, ec.: i quali accenti è assolutamente indispen­ sabile vengano da un buon favellatore chiaramente e bene alle lor sedi pro­ nunziati; senza di che ne verrebber fuori parole sconce, risibili, deformi. §2. Lo stesso ha luogo eziandio nelle frasi musicali, ove l’accento d’espressio­ ne dee sempre cader sull’appropriata nota. Vero è bensì che non può nella Musica stabilirsi una tal prescrizione con regole così inconcusse come nella favella: cionondimeno il buon senso, quanto ad armonia, chiarezza, ritmo, ed in ispecie quanto al carattere d’esecuzione competente ad ogni determina­ to passo, può ben guidarci a non errar la musicale declamazione, ed a ren­ derci il più possìbilmente intelligibili agli uditori in quanto all’esprimer le proprie nostre sensazioni. I moderni compositori soglion porre d’ordinario esattamente i segni ad ogni nota che vogliono espressa in modo particolare (cioè: >, A, rf, sf, fz, fp, talora t , e simili); nel qual caso non ha il suonato­ re che da osservar ed eseguir esattamente siffatti segni. Ove però tal caso non avvenga, potranno in generale valer le seguenti regole: A) Ogni nota di maggior valore dovrà percuotersi con maggior forza che quelle di minor valore; p.e.:

147

Nel canto della mano destra ogni Minima avrà l’accento: si suoneranno quindi con più di forza che le Semiminime. Essendo questo passo tutto piano, dovrà ben guardarsi dal crescere tal forza sino alforte: tutt’alpiù sino alla mezza voce. Qualora però fosse tutto da eseguirsi a mezza voce, in allora tal accento si avvicinerebbe quasi alforte. L’accompagnamento della mano sinistra, consistente in una progressione di semplici Crome, non ha parte alcuna alla detta espressione. Se però il passo avesse note eguali in ambe le mani, dovrebber entrambe osservar un eguale ac­ cento; p.e:

Importante è poi un’altra osservazione in siffatti esempj; quella cioè di evi­ tare il più possibilmente la monotonia ad ogni accento: ciò che meglio si dimo­ stra con l’esempio che quest’ultimo precede. Occorrendo in questo passo una Minima in ogni battuta, siffatta circostan­ za permette l’omissione dell’accento una o due volte: ciò che può qui aver op­ portunamente luogo nella 41a ed 8Ya battuta. Perciò il do diesis (nella 4ta) ed il re (nell’8Ya battuta), dovran toccarsi senz’accento di sorta, od al più con uno assai debole. Ed è soltanto nelle dette due battute che può praticarsi tal omis­ sione, sì per trovarsi appunto in esse una finizione di frase o idea (cioè, nella 41a battuta una semicadenza, ed una cadenza nell’8Ya), come per ottenersi di tal modo una regolare simmetrica distribuzione. B) Soglion d’ordinario gli accordi dissonanti esprimersi con più di forza che non i consonanti; p .e:

148

Sebben questo passo debba eseguirsi tutto forte, nondimeno il sentimento ri­ chiede un accento alquanto vibrato sugli accordi dissonanti segnati con + ; il qual accento però non dovrà menomamente alterare né il tempo né il ritmo. Certe singole note della Melodia, le quali, come false, mal si accordano con l’accompagnamento, eseguisconsi meglio assai dolcemente, massime se il pas­ so abbia un movimento lento ; p. e. :

C) Essendo un de’ primi doveri d’un buon Suonatore quello di non lasciar mai gli uditori in dubbio della divisione del tempo, un tal dovere già di per sé ri­ chiede che, ove cade il bisogno, rendasi ben distinto e marcato ogni principio di battuta, ed anche ogni sua parte in battere, mediante un leggier accento. Ciò poi è necessario in ispecie quando il componimento stesso lasci su tal riguardo qualche dubbio; p.e. :

Sebben l’accento d’obbligo cada qui soltanto sulla Semiminima, pur nondi­ meno la prima nota d’ogni battuta vuol esser eseguita con qualche (comunque appena sensibile) vigore, per indicar il principio della battuta: ritenendo che l’uditore potrà soltanto allora seguir coll’orecchio il pezzo di musica, quando possa distinguer sempre tempo e ritmo. La stessa cautela si osserverà ne’ passi composti di eguali figure, ne’ quali potrebbe l’uditore perder facilmente il filo della misura; p.e. : 149

In questo passo ogni nota segnata con + vuol esser percossa con qualche mag­ gior vigore, affinché il principio di battuta resti intelligibile, senza però nuoce­ re in yerun modo all’uguaglianza dell’intero passo. D) Tutte le note sincopate debbono esser toccate con particolare accento;

Qui la mano dritta dee marcar alquanto più che la sinistra. 150

Lo stesso vale pure quando le note sincopate stanno libere e sciolte nel violi­ no e nel basso; p.e.: Allegro

Qui è da applicarsi l’accento in ambedue le mani. E) Ogni nota legata frammezzo a note staccate, dee toccarsi, quando sia di ugual valore, con alquanto più di forza; p.e. :

La prima delle due note, qui legate con picciola legatura, dee sempre percuo­ tersi con qualche maggior vigore, mentre tutte le altre note staccate si esegui­ ranno giusta il prescritto grado di forza. 151

§3. I segni d’espressione apposti a determinate note rinforzano la nota di un so­ lo grado. Perciò se un intera frase debba eseguirsi pianissimo, in tal caso la no­ ta marcata con > o A si eseguisce soltanto piano, quindi con leggerissimo ac­ cento. Se poi la frase è piano, la detta nota si eseguirà a mezza voce-, e così via discorrendo; p.e.:

§4. Ogni nota lunga tenuta, segnatamente nel violino, dee pur essa nelpp. ep. esser toccata con qualche, sebben assai piccolo, vigore: imperocché non aven­ do il Piano-forte continuazione o durata di suono, cesserebbe troppo presto di risuonar nel canto ; p. e. : 152

Andante

§11. Ogni componimento finisce sempre opp. ,off, quasi mai a m. v. §12. Uno Scherzo, che vada da capo dopo il Trio, dovrà eseguirsi affatto pp. (quasi affatto senz’espressione) la sua prima parte per la 2? volta, e la seguente seconda parte per la 1 ?volta. §13. Occorrendo nella mano dritta note semplici e lungamente tenute, mentre la sinistra ha un accompagnamento di molte note, la mano destra suonerà quasi forte, ed all’incontro piano la sinistra; p.e. : 153

Non essendo la mano destra suscettibile d’altra nuova espressione, tranne quella prodotta con tal forte tocco (sempre però con mano quieta), come pure col fermo tenere e legare; così è necessario applicare, nel predetto esempio, tal nuova espressione alla mano sinistra, con eseguir cioè un po’ crescendo gli ac­ cordi ascendenti e le semicrome; ed all’incontro un po’ diminuendo que’ di­ scendenti, senza però trascender i limiti del piano, e dando a questi suoni d’ac­ compagnamento una dolce tinta mediante un morbido tocco. §14. Fra le più pregiate vaghezze d’espressiva esecuzione si annovera quella in particolare del franco tocco d’un canto lento, che ha luogo nella parte media, mentre ambe le mani vi eseguiscono un dolce accompagnamento; p.e. :

154

L’effetto di tai passi, ben eseguiti, è così illusorio, da sembrar la voce media eseguita su d’altro istromento da altra mano, mentre il Piano-forte accompa­ gna lievemente e dolcemente. §15. Occorrendo un canto legato con accompagnamento staccato, dovrà il canto eseguirsi con più di forza dell’accompagnamento; p.e.: 155

Qui si eseguisce quasi forte la tenuta voce superiore, ed eziandio con espres­ sione, mentre le brevi note in entrambe le mani dovranno eseguirsi assai piano e staccato: non mai però a modo d’arpeggio. 156

Dell'applicazione del crescendo e diminuendo

§1. Giovi osservar prima di tutto che, nel suono legato, il crescendo non dee prodursi giammai né con visibile sforzo della mano, né con maggior elevatezza de’ diti; ma soltanto mercè un’aumentata interna pressione de’ nervi che pro­ duce maggiorpeso alla mano, senza impedire l’agilità de’ diti. §2. In regola, si adopra il crescendo per i passi ascendenti, ed il diminuendo pe’ discendenti; p.e.:

157

Tal regola dovrà osservarsi anche allorquando non abbia il compositore indi­ cato verun modo d’esecuzione. Ove desideri il contrario, dee senza meno indi­ carlo. §3. Ripetendosi due volte di séguito un tal non breve passo, dovrà la seconda volta eseguirsi molto più piano della prima. E sarà eziandio di gradevole effet­ to se sia eseguito pianissimo', p.e.:

Sl’tf------- ------------------------

158

Nella seconda volta non dovrà applicarvisi né punto o ben poco il crescendo e diminuendo. In generale, ogni passo che voglia o debba ripetersi, debbe aver la seconda volta un’esecuzione diversa dalla prima. §4. Se un canto lento su d’un’armonia tenuta progredisca all’insù o all’ingiù, si applicherà anche ad esso in conveniente grado sì il crescendo che il diminuen­ do', p.e.:

159

ritenendo (come si è già poco detto) che dovrà il suonatore adattarvi egli stesso l’espressione, ove non ne avesse l’autore indicato alcuna. §5. Piccioli passi composti di brevi volatine, sia in su che in giù, soglion d’ordi­ nario eseguirsi crescendo, in maniera da sentirsi l’accento cader sull’ultima nota; p.e.:

§6. Quei trilli che hanno una durata arbitraria, debbono incominciarsi piano, crescendo a poco a poco d’intensità sino al forte, e retroceder così di nuovo gradatamente al piano; e quando essi incominciano addirittura/orte o fortissi­ mo debbonsi diminuire gradatamente fino alpp", p.e. :

160

Un tal trillo molto prolungato può acquistare un altro interesse mediante un accento proporzionale sovente ripetuto ; p. e. :

Qui il trillo non dee interrompersi in verun modo; essendo un tal frequente rin­ forzo prodotto soltanto mercè una più forte successiva pressione della mano in eguali spazj di tempo. Avverta però il Suonatore potersi ciò permettere soltanto allorché unita­ mente al trillo abbiavi una fermata, che renderlo possa d’un’arbitraria lun­ ghezza. §7.

Siffatto crescer e diminuir di forza ha per lo più luogo anche in un lungo Tre­ molo1 , ed in generale ne’ passi di cadenza di arbitraria durata; p.e. :

161

§8. . ■ Talora, oltre all’usitato cresc. e dimin., hanno pur luogo altri ptcetob segut d’espressione, che s’immedesimano al detto cresc. e dimin., P- • ■

I piccioli segni debbon crescer e diminuir di forza, a misura che il detto cresc. e dimin. cresce o diminuisce.

162

Capitolo II

Dell 'applicazione e gradazione del legato e staccato.

§1La forza e la debolezza, da usarsi nel tener o abbandonar i tasti, può divider­ si in cinque gradi: A) Il legatissimo, in cui ogni dito si ferma su i tasti più a lungo della durata della nota. Ciò è propriamente applicabile soltanto in accordi arpeggiati, av­ vertendo bene doversi tener in tal modo solo i suoni consonanti; p.e. :

163

Qui tanto la nota suprema della mano destra, quanto l’infima della sinistra, si tengono come se entrambe fossero Semiminime, ed i diti mcdj si leveranno solo allorquando tornano a toccare; a un di presso come nel seguente esempio:

Lo stesso intendasi degli accordi celeri arpeggiati, non già sotto l’aspetto di passi brillanti, ma sibben qual rinforzo della pienezza d’armonia; p.e.: Allegro

B) Il legato produce sul Piano-forte il canto e l’armonia legata: perciò l’ese­ cutore procurerà, tenendo appuntino ogni suono tanto tempo finché giugne il prossimo seguente, d’imitare per quanto è possibile l’effetto della voce uma­ na, o d’uno strumento a fiato. C) Il mezzo staccato, che tiene il mezzo fra il legato e lo staccato, dà ad ogni suono un particolar effetto, senza obbligarlo ad altro suono. I suoni così toc­ cati ricevono una particolar espressione, ed una importanza tale che, segnatamente nel Tempo lento, non può esser supplita da verun’altra specie d’esecu­ zione. D) Lo staccato produce come una freschezza vitale nella Musica, per modo che lo stucchevole e faticante, che desterebbesi nell’uditore dal continuo legar de’ suoni, vien rattemprato da un alternativo staccare, e dai coincidenti punti di riposo. E) Il marcatissimo (martellato) eleva questo staccare, a luogo opportuno, 164

fino al rapido balenare delle singole note; ed ha eziandio la proprietà di far comparir passi per sé facili e di nessun pregio come fosser di una brillante bra­ vura, e quasi che superar grandi difficoltà. §2. Havvi pure fra questi cinque gradi di espressione una serie pressoché innu­ merevole di gradazioni, che una perfettamente esercitata franchezza de’ diti può produrre, suggerite dal sentimento e dall’ingegno dell’esecutore. Ne’ seguenti esempj scorgonsi riunite le principali e le più usitate di esse gra­ dazioni.

165

§3. Il legatissimo viene indicato non solo dal segno di legatura, ma puranco dal­ l’aggiunta parola; e suole oltracciò applicarsi in tutti que’ passi che formano un canto pieno di sentimento a più voci, od una piacevole armonia; principal­ mente nel pp, p.om.v.,edi rado nel/o/f.

166

Il melanconico carattere di questo passo, e la rigorosa espressione con cui può esser eseguito, obbligano il suonatore alla seguente esecuzione: 1 ? Ambe le mani riposino sempre ferme e con tutto il loro peso sovra i tasti, in onta che i diti tocchino i varj gradi del piano ovunque trovisi marcato p. o PP2? In tutte le Minime e Semiminime il dito sprofondi molto il tasto subito dopo il tocco. 3 ? Nelle prime tre battute le note del canto tengansi dalla mano destra tanto tempo, sì che ogni dito abbandoni la propria nota soltanto dopo il tocco della prossima seguente, a un di presso circa la durata di una croma di terzina. Le sei ultime note di terzine nella 3a battuta e le nove ultime nella 5a si tengano dalla mano destra tanto, quanto può ogni dito possibilmente posar sul proprio tasto. Lo stesso intendasi di tutte le terzine nella mano sinistra. 4? Ne’ passi a più voci nella 4a e 6a battuta i diti procedano colla più possibil quiete, e legando sempre da un tasto all’altro. §4. II legato usuale, oltreché vien prescritto col segno di legatura, dee praticarsi eziandio in infiniti luoghi ove dall’autore non sia punto indicato; essendo nella Musica il legato quasi regola generale, mentre tutte le altre specie di esecuzione son soltanto eccezioni. È noto che il legato consiste nel tenersi ogni nota giusta il suo pieno valore, né abbandonarsi un tasto pria che si tocchi il prossimo se­ guente: così dovrà eseguirsi ogni melodia, ogni passo a più voci, e qualsivoglia passo per veloce che sia. La più importante però e la più difficile esecuzione del legato si è quella della Fuga e dello Stile legato, de’ quali si tratterà in appresso. Frattanto porgesi qui un esempio di legato nello stile usuale.

167

Il carattere pastoso e dolce di questo passo si esprime procurando che la ma­ no destra eseguisca tanto le note lente quanto le celeri con un suono bello e pie­ no, con perfetta quiete ed uguaglianza, come potrebbe esser eseguito in un sol fiato su d’un istrumento da fiato (Clarinetto o Flauto). Nell’8a battuta siano ben tenute le Semiminime, in entrambe le mani, togliendo i diti il più tardi pos­ sibile, poco prima del prossimo tocco. Nelle susseguenti quattro battute si ese­ guiscano egualmente cantabili tutte le quattro voci. Lo stesso dicasi delle Cro­ me nelle seguenti battute. Le Crome nella mano sinistra (nelle prime sette bat­ tute) si eseguiscano rigorosamente in modo legato: l’infima nota però sia tenu­ ta non già qual Minima, bensì tutt’alpiù qual Semiminima. §5. Merita particolar attenzione una tal quale specie di legato da applicarsi a no­ te progressive, divise fra entrambe le mani; p.e.: 168

Qui entrambe le mani seguono dapertutto una dopo l’altra con tale ugua­ glianza, da sembrar agli uditori esser tal passo legato eseguito con una sola ma­ no. Perciò ogni mano dovrà tener esattamente l’ultima nota tanto tempo fin­ ché la nota seguente venga dall’ altra mano toccata. Non dee peraltro confondersi questa specie di legato con quella ne’ cui simili passi il distacco delle mani deve a bella posta esser conosciuto, onde produrre qualche brillante o particolar effetto. §6. Occorrendo legati andamenti d’Ottavo, il suonatore procurerà di produrre il miglior possibile legato coll’alternativa del 5° dito col 4° e 3°, e con gran quiete della mano; p.e. :

169

Lo stesso intendasi degli accordi a più voci, qualora debbano eseguirsi le­ gati. §7. Occorrendo eseguir legati salti notabili, fa d’uopo esser padrone della forza projettile e della sicurezza della mano, per non cadere con troppo peso sul lon­ tano tasto. Perciò è necessario puranco esercitar tai passipp.,p.,m.v.,e con gran diligenza; p.e.: 170

Devesi altresì saper applicare a tali salti i diversi gradi d’espressione colla stessa facilità che vengono applicati alle naturali melodie.

Deimezzo staccato.

§1. Questa maniera dividesi in due principali specie, e dessa è pel suonatore di somma importanza. Suole indicarsi, per più note, col seguente segno......... , e per singole note con 171

§2. L’applicazione della prima specie consiste nel tenersi le note lente non l’inte­ ro lor valore, ma solo poco più della metà; dunque circa due terze parti, e per­ ciò si fa sentire una piccola pausa fra i suoni che succedonsi. In tal circostanza si toccano i tasti con qualche vigore. Nelle note discretamente lente si distacca ogni volta un poco la mano, e soltanto i diti nelle note celeri; p.e.:

172

L’effetto di questa specie d’esecuzione somiglia, nel tempo lento, ad un di­ scorso interrotto da sospiri, ed il suonatore dovrà procurar di abbandonare ogni tasto ad un egual tempo determinato, onde non abbia a smarrirsi né nel le­ gato, né nel vero staccato, eccetto quando (come qui nell’8a battuta) trovisi realmente indicato un cangiamento di esecuzione. §3. II tempo lento del precedente esempio permette che tutte le note mezzo-stac­ cate che in esso contengonsi possano esser eseguite con un picciolo movimento della mano: ma in un celere movimento ciò può solo farsi coi diti; p.e.:

173

§4. Ma se le volate ed i passi di cosiffatta specie debbano eseguirsi anche più ve­ locemente, in tal caso ha luogo la seconda specie di esecuzione, la quale consi­ ste in ciò che ogni dito colla sua molle estremità renda su i tasti il moto come di graffiare o strappare, applicandovi più o meno di elasticità de’ nervi, ed ap­ propriandovi un suonar chiaro e granito, per cui si posson eseguire, anche nel tempo il più veloce, tutti i contingibili passi in modo egualmente tondo, con suono pieno e non aspro, e colla miglior quiete della mano. §5. Tutti i componimenti nello stile brillante, costituiti da grandi masse di note, e calcolati su d’un tempo celere, debbono esser senza meno in cosiffatta ma­ niera eseguiti; imperocché il quieto legato li renderebbe fiacchi ed uniformi, ed all’incontro lo staccato-marcato li presenterebbe troppo aspri. Ciò peraltro non toglie quelle eccezioni che possan talora ad alcuni passi convenire. §6. Questa seconda specie poi ammette tutte le gradazioni, dal pp., p.,m.v. sino al forte. Ilfortissimo peraltro richiederebbe un troppo grande sforzo di nervi, dovendo le specie tutte del crescendo esser prodotte soltanto da una interna in­ visi i e energìa de’ nervi della mano e de’ diti. Ecco un esempio di tale specie.

174

Tutti i passi marcati leggierm: o leggierissim: debbono esser in questa ma­ niera eseguiti; come pure la maggior parte degli abbellimenti di gusto (segnatamente nelle ottave superiori), i quali producono perciò il più bell’incanto. §7. Siffatta maniera di suonare è di troppo alta importanza, e tale da non dover appagarsi il Pianista di esercitarla soltanto sovra alcuni determinati passi. Egli debbe anzi occuparsene per lungo tempo, ed in modo speciale; e qual mezzo migliore a ciò si ripeterà pur qui esser i completi esercizj delle Scale in tutti i Modi, praticandoli a tutto rigore di esattezza in quanti mai gradi del piano e forte, come altresì in ogni Tempo, sino a che siasi in grado di poter arbitraria­ mente eseguire, dietro tale studio, qualsivoglia sorta di passi, non formati però di note doppie. §8. Questa specie ammette moltissime gradazioni, dal legato all’effettivo stac­ cato, dovendo il suonatore esser padrone di crescere o diminuire il già detto strappare con uno sforzo maggiore o minore de’ nervi, come pure mediante una movenza maggiore o minore delle estremità dei diti.

Dello staccato

§1. Lo Staccato suole indicarsi o con puntini, o con un valor breve di note susse­ guite da pausa; e desso consiste nel breve e franco distacco de’ tasti mediante i diti, senza notabilmente alzar la mano, e senza far uso di quello sdrucciolare o strappare delle estremità dei diti. §2. Abbiasi poi qual regola, che cioè quei puntini denotano dover tenersi la nota che investono soltanto la metà del suo valore. §3. Lo staccato peraltro può applicarsi soltanto sino ad un certo grado di celeri­ tà: per cui que’ passi che richiedono un andamento molto allegro opresto, posson solo eseguirsi coll’anzidetta specie dello strappare, da che il reale staccato riescirebbetroppo faticoso. 175

§4. È assolutamente necessario che il suonatore si approprii la maniera di ese­ guir lo staccato in tutti i gradi del piano e delforte", dovrà quindi, come si è già detto, ripassar assai frequente tutti gli esercizj delle Scale, ec., in tutte queste gradazioni, dal Tempo lento sino ad una moderata celerità. §5. Il compositore suol sempre indicar in qualche modo lo staccato, e perciò non può il suonatore arbitrariamente applicarlo. §6. Se troverannosi due o tre note legate col proprio segno di legatura, dovrà staccarsi la seconda o terza nota; p.e. :

Se però in fine della picciola legatura abbiavi ancora un punto sulla nota, lo staccare sarà in allora brevissimo, togliendo alla nota più della metà del suo va­ lore.

Del marcato staccatissimo §L È questa la specie più breve dello staccare, la quale può crescer sino al mar­ tellato, facendo comparire e sparire i suoni celerissimamente, e colla rapidità del lampo. §2. Siffatta specie suol indicarsi con picciole punte o lineette perpendicolari al di sopra delle note, le quali non debbon confondersi coi puntini. §3. L’alzar alquanto più la mano e finanche il braccio (segnatamente ne’ salti) è qui ammissibile; imperocché tid marcato staccatissimo suol per lo più appli­ carsi nelle ottave, negli accordi, ed in que’ passi in cui non succedonsi i suoni troppo rapidamente, e può il suonatore impiegarvi sovente molta forza per accrescerl’effetto. §4. Qui però dovrà il Pianista badar su tutto all’osservanza del belsuono, finan­ che nel più intenso ff, onde il martellato non sembri un rumoreggiamento, uno stridore. Eccone un esempio. 176

m

Nel seguente esempio poi si applicano tutte le cinque specie principali del le­ gatee staccato, unadopo l’altra:

§5. Se passi lunghi ed estesi occorrano successivamente dal legato allo staccato (o viceversa), avran pur luogo, fra ogni specie principale molte picciole grada­ zioni, che possono estendersi all’infinito da diti molto e ben esercitati, e da un fino sentimento. §6. Siccome nel molto staccato non può a meno non alzarsi affatto la mano e fi­ nanche l’antibraccio, perciò ogni passo di tal maniera eseguito acquista un particolare brillante effetto, ed apparisce all’uditore ben più difficile che in realtà noi sarebbe con qualsiasi altra specie di esecuzione. Così, p.e., nessuno reputerà difficile il seguente passo:

178

cioè con diti curvi ed inflessibili, con gran forza e sommamente breve, e coi necessarj movimenti delle braccia, e si scorgerà che difatti esso divenne molto più difficile, che il suo effetto apparisce molto accresciuto, e può anche sino ad un certo grado pretendere all’ammirazione dell’uditore. Se poi un passo suscetti­ bile di tal esecuzione sia davvero composto brillante e difficile, assume in allo­ ra il carattere di bravura, e d’uria esecuzione veracemente brillante; e se il suo­ natore (massime in pubblico ed in ampio locale) saprà far uso in opportuni passi di cosiffatta specie, egli potrà ispirare al componimento che ha fra le ma­ ni uno spirito ed un carattere non ordinarj, ed accrescer fino all’entusiasmo la sodisfazione e la sorpresa degli uditori. §7. Siffatta specie peraltro può applicarsi, in tutta la sua estensione, soltanto nel/ej/, in onta che il brevissimo staccare non possa a meno non occorrer ben sovente anche nel p epp. ; nel qual caso però dovrà il braccio tenersi molto più quieto, e prodursi lo staccato mercè i soli diti. §8. I passi vigorosi d’ottave, i salti d’accordi, e simili, dovran per lo più esser di tal maniera e seguiti ; p. e. : Allegro

179

§9. Sebbene una straordinaria celerità non sia propria di questa specie, tuttavia potranno, anche per essa, esercitarsi le Scale in un tempo moderatamente velo­ ce, onde procurar ai diti ed alle braccia la necessaria sicurezza e franchezza nel tocco; dovendo il Suonatore badar su tutto che gli antibracci vi osservino ap­ puntino quel tanto di movimento quanto è d’uopo a produrre l’effetto che si vuole, avendo sempre di mira il bel suono. L’eccesso potrebbe qui stancar di troppo; ed anzi, in passi continuati e lunghi, esser pur nocivo alla salute.

180

Capitolo III Dei cangiamenti di movimento

§1 . Veniamo ora al terzo e quasi più importante mezzo d’esecuzione, cioè ai va­ rj cangiamenti del prescritto Movimento, mercè il rallentando ed accelerando. §2 . Si è già in addietro osservato che, pari alla Forza, il Tempo è anch’esso divi­ sibile all’infinito. Ora ogni pezzo di Musica dee senza meno esser eseguito sino alla fine nel movimento prescritto dall’autore, e stabilito subito in principio dal suonatore; ed in generale con rigorosa misura, e giammai con vacillante ondulazione. Malgrado ciò, occorron sovente, e quasi ad ogni riga, singole no­ te o passi interi che richiedono un picciolo rallentare od accelerare, onde ab­ bellir l’esecuzione ed accrescer l’interesse. §3 . Questo combinare con ordine e chiarezza il contingibile parziale deviamen­ to colla rigorosa osservanza della misura si è appunto la grand’arte del buon suonatore, la quale non può conseguirsi altramente che con un fino sentimen­ to, con grande ed attento esercizio, e con ascoltare i buoni artisti su tutti gl’istromenti, in ispecie poiigrandi cantanti. §4 .

Non solo ogni intero componimento, ma puranco ogni singolo passo o real­ mente esprime qualche determinato sentimento, o almeno concede adattarvelo col mezzo dell’esecuzione. Questi generici sentimenti possono esser o indicare: Dolcepersuasione, Dubbiezza, od incerto ritardo, Lagnanza tenera, Rassegnazione serena, Passaggio dall’orgasmo alla quiete, Rinunzia ponderata, Sospiri e mestizia, Favellar dolcemente sottovoce, come partecipando un secreto, Prender comiato', ed innumerevoli altri stati d’animo di tal fatta. Il suonatore, al quale non siano ornai più d’ostacolo le difficoltà meccani­ che di un componimento musicale, scorgerà facilmente quei passi (per lo più formati di alcune semplici note) ne’ quali alcuno de’ suesposti sentimenti o es­ ser potea di volontà dello stesso autore, ovvero che può esser opportunamente espresso da un giudizioso esecutore. Nel caso pertanto de’ suesposti sentimenti un calando, uno smorzando, ec., sarà sempre il più ben adatto, da che sarebbe assurdo praticarvi un accelerare o stringer della misura.

181

§5 . Altri passi all’incontro posson esprimere: Ilarità subitanea, Domandefrettolose o curiose, Impazienza, Malumore, ed ira impetuosa, Risoluzione assoluta, Rimproveri acerbi, Petulanza e capriccio, Fugapaurosa, Sorpresa repentina, Passaggio dalla quiete all’orgasmo, ec. Per tai sentimenti l’accelerando e lo stringendo sarà conforme alla loro na­ tura, ed in acconcio luogo. §6 . Nonostante però che il suonatore sappia ben coglier ed indovinare tutti que­ sti varj sentimenti, il riguardo principale dee sempre esser quello di non esage­ rarne l’applicazione, non dissipando giammai siffatti mezzi d’esecuzione fino allo scialacquo; da che altrimenti ogni più bel passo apparir potrebbe oscuro, confuso, contorto, ed insignificante.

A vvertenze più precise

§7 . Si danno anche infiniti casi per cui un passo è suscettibile di più specie d’ese­ cuzione concernenti la misura, senza che veruna di tai specie possa davvero dirsi errata od assurda. Così, p.e., il seguente melodico passo può esser esegui­ to in quattro differenti maniere, come dalle sottoposte indicazioni apparisce:

4 differenti specie d’esecuzione

/ 1 in Tempo ----------------------------------!----------------------------f---------------------------- ------------2 in Tempo

182

------------------- -----------

un poco ritenuto -------------------

j.----

sntotz-

3 in Tempo _____________ 1______

poco accelerando____________ ; ralleida,,d°

4 in Tempo _____________ '............

molto accelerando____________ ; perdendosi

Per la 1a specie, questo passo si eseguisce rigorosamente in Tempo; e la debi­ ta espressione vien prodotta soltanto col crescendo e diminuendo, col legato e mezzo legato delle Crome, come altresì col legatissimo delle Minime. Per la 2a specie, si applica nella 2a battuta un picciolo ritardo di Movimen­ to, che verso la fine della 3a e per tutta la 4a battuta passa a poco a poco in uno smorzando, senza però trascendere in un troppo lento stiracchiamento. Per la 3a specie, le prime due battute si prendono in un Movimento celere, alquanto affrettato; e viceversa le due ultime si ritardano colla medesima gra­ dazione. Per la 4a specie, finalmente, dovrà il tutto eseguirsi in modo assai sostenuto, si che a poco apoco, verso la fine, il Movimento passi quasi alVAdagio. Ora quale di queste quattro specie sarà la più adatta pel precedente esem­ pio? Si esamini ciascuna di esse partitamente. Il carattere di quel passo è dolce, tenero, e come d’intenso desiderio. La 1a specie nel rigoroso suo Movimento non lo ritrae a dovere, per quanto esatta­ mente mai si volesse osservare il crescendo, ec. La 2a specie è migliore, facendo spiccar meglio il passo, e concedendo poter rendere il canto più espressivo, e più interessante l’armonia col prolungamen­ to de’ suoni. La 3 a specie è peraltro migliore per l’anzidetto carattere, prendendo per essa le due prime battute ascendenti più vita e calore, e rendendosi pel seguente ral­ lentando viepiù interessanti le ultime due. La 4a specie infine riescirebbe troppo languida, e sebben potrebbe dar un tal quale incanto al passo con un tocco assai delicato ed armonioso, il tutto nondi­ meno riescirebbe troppo stiracchiato. Ad ogni modo è su tutto d’avvertirsi a non esagerar affatto sì negli accele­ rando che nei ritardando, ec., e di non render insignificante il passo con un so­ verchio stiracchiamento, né contorcerlo con troppa fretta; imperocché un picciolissimo grado, crescente a poco a poco in giusta proporzione, basta per can­ giar il prescritto Movimento appena della sua 4a alla 6a parte. Dovran pur nella stessa guisa prodursi il crescendo e diminuendo, ben calco­ lata cioè l’intensità de! crescere e diminuire; e lo stesso pur sarà acceleran­ do o rallentando, imperocché un troppo rapido accelerare o diminuire guasta immantinente l’intero effetto. Si comprende pertanto dal surriferito esempio che un solo e identico passo ammette più specie d’esecuzione, niuna però delle quali (delle esposte cioè) può dirsi assurda (ché assurdo affatto riescirebbe tal passo, ove suonarlo si vo­ lesse forte e pestato). Ma il retto criterio del suonatore, ed anche il riguardo a ciò che precede o segue un determinato passo, dovran più che altro decidere quale delle varie specie sia in effetto la più conveniente. Se peraltro il detto passo sia ripetuto in più luoghi dei componimento, in al­ lora non solo è in arbitrio del suonatore applicargli ad ogni volta una diversa maniera d’esecuzione, ma è puranco suo dovere il farlo ond’evitar il difetto d’una uniforme ripetizione, purché attenda qual sia la specie più adatta, avuto riguardo, come si è detto, a ciò che precede o segue. 183

Dell 'applicazione del ritardando ed accelerando

§8. In regola suol applicarsi il ritardando più sovente che l’accelerando, a cagio­ ne che il ritardare può sfigurare assai meno il carattere d’un passo, che non un frequente accelerare la misura. Suol ritardarsi più opportunamente: A) In quei passi pe’ quali si ritorna al tema principale. B) In quelle note conducenti ad una singola particella di un canto. C) In quelle note tenute, che debbon toccarsi con particolare accento, ed al­ le quali succedono note brevi. D) Nel passaggio ad un altro tempo, o ad un componimento affatto diverso del precedente. E) Immediatamente prima d’una fermata. F) Nel diminuendo d’un passo anteriore molto vivace; come altresì ne’ pas­ si brillanti, seguiti bentosto da un piano o da un passo d’agilità di delicata ese­ cuzione. G) Negli abbellimenti formati di moltissime note celeri, i quali non han luo­ go entro la giusta misura. H) Talora anche nelforte crescendo di un passo particolarmente marcato, e conducente ad un passo di qualche importanza, ovvero alla chiusa finale. I) In passi molto capricciosi e fantastici, onde render viepiù spiccante il loro carattere. K) Finalmente quasi sempre là ove il compositore abbia posto la parola espressivo; come pure L) Alla fine d’ogni lungo trillo formante cadenza o fermata, o indicante di­ minuendo. N.B. Avvertasi oltracciò che sotto l’espressione ritardando comprendonsi an­ cora tutte le altre denominazioni indicanti un movimento di Tempo più o me­ no lento; come, p.e., rallentando, ritenuto, smorzando, calando, ec., i quali non distinguonsi dal ritardando che per effetto di qualche grado maggiore o minore. Seguono alcuni analoghi esempj :

184

1° ESEMPIO

185

8va..............................................................................................................................................

Osservazioni sulprecedente esempio

1. La 1a battuta si eseguisce a tutto rigor di tempo. 2. Le ultime tre crome della 2a battuta si ritardano alcun poco, in modo però appena osservabile, imperocché la seguente 3a battuta è una ripetizione della 1a (quindi dell’ idea principale), quantunque su d’un altro grado. 3. L’ultimo accordo un poco arpeggiato nella 3a battuta si esprimerà in mo­ do alquanto ritenuto. 4. Le ultime tre crome della 4a battuta dovranno eseguirsi con un poco più di calore {quasi accelerando), che diminuirà soltanto nelle tre ultime crome della 5a battuta. 5. Nella 6a battuta havvi uno di quegli abbellimenti costituiti di molte note; ciò che rende necessario un ritardare in entrambe le mani, pel riflesso che le note celeri non debbono buttarsi là con fretta, sibbene mescolarsi poco per volta in modo assai delicato e grazioso: soltanto le ultime nove note di questo abbellimento si ritarderanno sensibilmente di più, applicando sul­ la penultima (sol diesis) una fermata. 186

Sulla distribuzione di siffatto abbellimento, preso più in grande, si trat­ terà più a lungo in avanti. 6. Lebattute7a e8a restano rigorosamente in misura. 7. La battuta 9a si eseguirà con forza e calore (quasi un poco accelerando). 8. La seconda parte della battuta 10a dovrà eseguirsi alquanto più quieta­ mente. 9. La battuta 11a andrà un poco ritardando, e l’ultimo accordo dissonante assai dolce, ed alquanto più ritenuto; imperocché ogni accordo dissonan­ te (quando sia piano) rende in tal modo miglior effetto. 10. Le prime tre crome della battuta 12a si faranno in tempo: all’incontro le ultime cinque ritardando sensibilmente per cagione che forman passaggio alterna. 11. La battuta 13a in Tempo. 12. Il primo quarto della battuta 14a si farà discretamente ritardando, e si au­ menterà notabilmente il secondo, marcando fortemente e crescendo le sue otto note superiori. La nota tenuta dovrà durare circa cinque crome, av­ vertendo che la seguente Scala cromatica sia discretamente veloce, d’egual delicatezza e diminuendo, a segno che le ultime otto note finiscano notabilmente ritardando. 13. La prima metà della battuta 15a sia in tempo, la seconda ritardando, e l’abbellimento finale assai delicato. 14. L’ultima battuta sarà in tempo quieto. Attendasi oltracciò bene alle due seguenti Osservazioni. I? Sebbene in questo tema quasi ogni battuta abbia un ritardando, il tutto pe­ rò dovrà eseguirsi (massime dall’accompagnante mano sinistra) in modo natu­ rale e conseguente affinché l’uditore non abbia a rimaner né sospeso intorno alla misura, né annojato. II? Siccome ogni parte si suona due volte, perciò alla seconda volta ogni espressione, quindi anche ogni ritardando, può eseguir alquanto più sensibil­ mente, onde il pezzo guadagni d’interesse. Segue un 2° ESEMPIO

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8va.................. ....

8va.................................. ............ ........................................ ......... ...................................................... ......... ......................

loco

188

Osservazioni sulprecedente esempio

1. La 1a battuta sia in misura, e con gran vigore, il quale dovrà crescer sem­ pre per cinque battute. 2. Dall’ultimo accordo della 2a battuta s’incominci un ritardando il quale dovrà crescer sino al fine della 4a battuta, per cui viemeglio spiccheranno le modulazioni degli accordi. 3. La 5 a battuta sia lesta in tempo. 4. La 6a, 7a, ed 8a, con un crescente ritardando. 5. La9a e 10a in tempo e con vivacità. 6. La battuta 11a ancora più vigorosamente, ma con un riflessibile ritardan­ do, il quale però dovrà decrescere a poco a poco, finché il passo, verso la metà della 12a battuta, procede di nuovo nella conveniente misura. 7. Le battute 13a e 14a in tempo; la 15a sul principio alquanto ritenuta. Le battutel6a, 17a, 18a, 19a, in tempo, e con molta vivacità. 189

8. Nella 20a battuta convien osservar bene la pausa della semicroma, sì che oltrepassi quasi il suo valore. Al prossimo seguente do poi si darà un particolar vigore. 9. Nel mezzo della battuta 21a comincia un ritardando, il quale cresce sino alla 23a, eseguendosi egualmente le crome più forti e più brevi. 10. Il trillo sulla fermata dee durar almeno quattro intere battute del prescrit­ to movimento, e divenir sempre più debole e più lento, in modo che le ulti­ me sue note, non che le tre notine di Chiusa appariscano come le semimini­ me nel movimento Andante. 11. Tutto il resto in tempo. §9. Occorendo un rapido passaggio da uno ad altro Modo, dee quello spiccarsi con un variar di Movimento; p.e. :

3° ESEMPIO(*)

(*) N .B. Sebbene siasi detto precedentemente doversi eseguir piano (ognivolta che un pezzo si replichi) al­ la seconda volta, nondimeno in quest’esempio, in cui ripetonsi le prime due battute, non sarebbe ben fatto eseguirle piano la seconda volta, a cagione d’altro piano che segue poco appresso. Dal che dovrà compren­ der l’Allievo che ogni regola di esecuzione dee conformarsi giusta le contingibili secondarie circostanze.

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In quest’esempio le prime cinque battute andranno in tempo. Nella 6a bat­ tuta ritardando a poco a poco. Nella 7a un movimento un poco più quieto, il quale non oltrepassi però notabilmente la prescritta misura. Nell’8a battuta si ritornerà al primo Tempo. §10. Dovendo il nuovo Modo eseguirsi/orZe, e viceversa piano il passo al medesi­ mo , dovrà esso entrare nel giusto tempo, anzi quasi alquanto più rapidamente; p.e.: Moderato

§11. Se il passo ad un tema, o ad una frase, sia composto di note o d’accordi stac­ cati, un «tardando Sara per lo ptu ben applicat0 verso il fine d’un tal passo. Se pero consista m una volata di maggior rapidità, ovvero in note celeri e legate, ’ drilerlrrostiinrè’n6^8111806 me^° ‘n tempo, od anche accelerando, anorma delle circostanze; p.e.:

Allegro

191

Il ritardando nel 1? esempio può eseguirsi ancora in un grado assai signifi­ cante (molto ritardando), e con una specie d’iracondia, sempre però che il ca­ rattere del passo lo conceda.

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Capitolo V Dell’espressione in passi brillanti

§1 Ne’ decorsi tempi in cui l’esercizio meccanico del Piano-forte non avea tan­ to progredito quanto al dì d’oggi, potea dirsi pago e sodisfatto ogni studioso di tale stromento sempre che avesse potuto eseguir passi agili o difficili in modo chiaro, esatto, ed in tempo: ciò che, riguardatosi in allora qual cosa nuova, ec­ citò mai sempre ammirazione ed applausi. Ora invece, e per la maggior perfezione a cui si è condotto un tale strumento, e per lo studio più intenso e ragionato di tanti chiarissimi ingegni su d’esso esercitatisi, si è giunto a conoscere che i passi anche più difficili ammettono una più alta espressione, e che, mediante la delicatezza del tocco, un ben appli­ cato rallentare, ecc., può darsi una pellegrina vaghezza perfino a que’ passi nuli’ altro reputati in addietro che un superfluo e vano cumulo di note. Ed è per tal cagione che il toccare il Piano-forte guadagnò infinitamente, e molte delle vetuste e quasi obbliate composizioni acquistaron nuovo valore, da che per tai trovati anche i passi più semplici e comuni ottengono un interesse melodico, e cessan d’essere un mero tintinnìo d’orecchio. §2. Havvi quattro principali specie di tali passi composti di note più o meno ce­ leri, e sono i seguenti: A) Quelli che formano al tempo istesso una melodia; p.e. :

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8vu

Qui la melodia è predominante, e le note celeri vi sono come per riempimen­ to, e per darle più di moto e vita. Simili passi voglion esser eseguiti legati-, né sa­ rebbe qui applicabile un’esecuzione brillante, che desse ad ogni singola nota un sentimento marcato. B) Quelli i quali, senza formar propriamente un canto, producon tuttavia un gradevole effetto mercè un esecuzione leggierissima e delicata, segnatamente nelle ottave superiori; p.e.:

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Qui deesi combinare una grande agilità de’ diti con una leggierissima tenuta della mano e del braccio; ed il tocco delicato, mezzo strappato, dee produrre i suoni con amabilità. C) Que’ passi propriamente brillanti, che si eseguiscono per lo più con vigore, più o meno staccati, con molto moto e vivacità, ben marcati, e sommamente nitidi e chiari; p.e.: 195

196

Il carattere di tali passi è (conforme al loro scopo) robusto, risoluto e grandio­ so: dovrà quindi il suonatore condurre ambe le mani con energìa, sicurezza, precisione e bravura, procurando infonder anche negli uditori quell’interna commozione ch’ei sente. D) Finalmente quei passi i quali, senza riguardo alcuno ai singoli suoni, ad al­ tro non mirano che ad un totale effetto ; p. e. :

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Sebben qui debba impiegarsi pur molta forza, ed osservarsi La debita chiarez­ za, perché non sembri il tutto un confuso romorìo, non dovrà perciò scambiar­ si questa sorta di esecuzione colla precedente, richiedendo l’indole di tai passi che spicchi e risalti più Tarmonia degli accordi, che non l’effetto delle singole note. §3. Tutti i passi di una riflessibile lunghezza, che han luogo ne’ Concerti, nei Rondò, nelle Variazioni, ec., consistono per lo più in un aggregato delle or ri­ cordate quattro specie principali, per cui dovrà il suonatore conoscer dalla for­ ma e dal tenore d’ogni battuta qual sia la specie d’applicarlesi. Ed è perciò che i suoi diti non solo debbono esser perfettamente padroni di tutte e quattro le ri­ dette specie, ma saper volgersi eziandio ad ogni istante dall’una all’altra delle medesime. §4. Non credasi peraltro che tutti i passi brillanti debban sempre eseguirsi vigo­ rosi e marcati; essendovi molti casi in cui passi spettanti alla 3 ? specie vogliono un’esecuzione delicata e leggiera, e tale quale si è discorsa nella 2?specie. Ciò avviene per lo più quando un passo brillante venga successivamente ri­ petuto, potendo allora eseguirsi leggiero e delicato la seconda volta, avverten­ do però che sul fine dee passar di nuovo gradatamente alforte. §5. Onde render i diti abili a disimpegnar anche grandi difficoltà, e con facile e delicata esecuzione, gioverà moltissimo che il suonatore non dimentichi lo stu­ dio non solo di tutti gli esercizj della Scala, ma sì pure di tutti gli esempj di Por­ tamento esposti nella Seconda Parte di questo Metodo, e ciò tanto in modo vi­ goroso e brillante, come pur leggiero e delicato, ed in ogni Tempo.

Dell’applicazione arbitraria di arpeggiare Parecchi suonatori si accostuman cotanto all’arpeggiar degli accordi, che rendonsi incapaci a toccare debitamente e con fermezza accordi stretti (con suoni approssimati), o soltanto note doppie. Eppure questa seconda maniera è regola, mentre la prima non è che una eccezione. Cionondimeno, siccome que­ st’eccezione (l’arpeggiare) occorre di frequente, e con buon effetto, perciò qui vuoisi ora determinare ove e quando una trovisi al suo posto più che l’altra. 1. Tutti gli accordi di brevissimo valore di note, debbono esser toccati con fermezza ed in un sol tratto, a meno che non abbia il compositore aggiuntovi appositamente il segno del contrario; p.e. :

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Allegro vivace

Qui nelle ultime sette battute sono espressamente indicati quegli accordi che debbon esser arpeggiati, il qual arpeggio vuol esser altresì molto veloce, do­ vendo ognora proporzionarsi all’indicato Movimento ed al valore delle note. 2. Siffatti accordi, eseguibili con molta forza, segnatamente quando sian principio o fine del componimento, o di una parte di esso, sono maisempre, toccati risolutamente, di miglior effetto; mentre lo arpeggiarli toglie ad essi, o diminuisce, gran parte del forte. Ciò vale eziandio quando due accordi susse­ guaci rapidamente l’uno dopo l’altro; p.e.: Maestoso

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Se il compositore volesse arpeggiati questi accordi, sarebbe in dovere d’indicarlo. 3. I passi a più voci, formanti un canto legato, o scritti nello stile rigoroso a quattro voci, debbon sempre rigorosamente esser toccati con fermezza: sol­ tanto un singolo lento accordo a più voci, su cui cade un particolare accento, può alcuna volta permetter lo arpeggiarsi; p.e. :

I soli tre accordi marcati con + (l’ultimo assolutamente) permettono un moderato arpeggiarli, il quale però non dovrà interrompere il legato. Pel contrario poi si applica l’arpeggiare: 1. In tutti gli accordi lenti e tenuti, che forman canto; p.e. :

L’ultimo accordo nella 4?battuta non potrà esser arpeggiato, essendo finale del canto; mentre tutti gli altri accordi si arpeggiano con moderata velocità, in modo però che la nota superiore del canto non esca mai fuor di tempo. 2. Se un accordo lento e legato sia seguito da altri alquanto più celeri, esso soltanto viene arpeggiato; p.e. :

200

Qui non si arpeggiano che i soli accordi marcati con +. Dovrà ciò molto più osservarsi, quando gli accordi più veloci siano nel medesi­ mo tempo staccato; p.e. :

Qui isoli tre accordi marcati con + posson combinarsi coll’arpeggio. 3. Siccome nell’arpeggio i singoli suoni non solo possono eseguirsi con una somma velocità, sì che l’accordo arpeggiato eguagli quasi quello di suoni si­ multanei, ma puranco in tutte le possibili gradazioni di lentezza, fino a quella in cui ogni singola nota vale pressoché una semiminima in movimento lento, perciò dovranno esattamente misurarsi tutti questi varj gradi; se l’accordo cioè debba esser tenuto lungamente, o brevemente strappato, toccato piano e smorzando, ovvero forte e con ruvidezza; p.e. :

Qui i singoli suoni dell’accordo arpeggiato debbono succedersi assai lenta­ mente; e si comincia soltanto sulla sua ultima, e quindi superior nota a contar il tempo prescritto. E intanto è ammesso un tale prolungamento, in quanto che il tutto non è che una fermata. Se lo stesso esempio fosse marcato fortissimo, l’arpeggiare non potrebb’esser molto lento, ma sibbene o assai veloce, o, meglio ancora, niente affatto, qualora non l’avesse l’autore espressamente indicato. 201

Capitolo Vili Sul movimento appropriato ad ogni pezzo musicale

Dell'Allegro.

§1. Siccome dal moderato Allegretto al Prestissimo accorrano assai gradazioni di velocità, egli è perciò che in mezzo a tanta dovizia non è cosa facile rinvenir per ogni pezzo di musica l’adatto suo Movimento, sì per non esser tutti i com­ ponimenti marcati col Metronomo, come per non potersi determinar colle pre­ scritte indicazioni di Movimento ogni più esatta sottil differenza. §2. La regola più sicura di coglier nel vero Movimento può desumersi, 1 ?dal ca­ rattere del pezzo musicale; 2?dal valore, dal numero, e dalla celerità di note oc­ correnti nella battuta. §3. Il carattere d’un pezzo musicale, segnato Allegro, è, o può esser, molto va­ rio; cioè. (a) Lieto, dolce, e insinuante. (b) Cupo o fanatico. (c) Melanconico o armonicamente intricato. (d) Maestoso grandioso e sublime. (e) Brillante, ma non con gran movimento ed agilità. (/) Facile, gaj o e scherzoso. (g) Rapido e deciso. (A) Passionato fantastico e umoristico. (i) Procellosamente rapido, tanto nel serio che nel giocoso, in tal caso calco­ lato sull’effetto brillante. (k) Molto feroce, con orgasmo, e dissoluto o furioso. Attenda perciò bene il Suonatore, nello studio d’un componimento, non il­ ludersi quanto al carattere del medesimo, imperocché potendo tutte le varie suddescritte qualità esser segnate col solo Allegro, e nonostante che il compo­ sitore ne determini talora il carattere cogli aggiunti di moderato, vivace, mae­ stoso, ec., pur nondimeno, prescindendo che ciò non ha sempre luogo, anche avendovelo è scarso sussidio pe’ molti contingibili casi. E tal riguardo sarà da osservarsi eziandio nel Presto. §4. Nell 'A liegro incontransi note di diverso valore. Se pertanto in un pezzo di Musica segnato A liegro incontrinsi delle Terzine di Semicrome (per cui nel Tempo ordinario, per es., 24 note compiano una bat­ tuta), dovrà il movimento di Allegro prendersi alquanto moderato, per non dover precipitar le dette note. — Se però semplici Semicrome sian le note più 202

celeri, può in allora prendersi l’Allegro alquanto più vivace, sempreché peral­ tro tali Semicrome non contengano passi armonici intrecciati, od a più voci, nel qual caso dovranno anch’esse trattarsi un poco moderatamente, sì per la miglior chiarezza, come per la più facile esecuzione. Non incontrandosi nel movimento A'Allegro altre note più celeri fuorché Terzine di Crome, può prendersi di regola il Movimento piuttosto veloce. Più ancora veloce lo si dovrà eseguire ove le note più celeri siano semplici Crome. Queste regole peraltro potranno incontrar qualche eccezione, sì per la circo­ stanza che il carattere determinato del componimento le renda, o no, necessa­ rie, come per l’altra se il compositore indicò espressamente il contrario con particolari epiteti o espressioni. Oltre poi alla giusta esecuzione, non havvi cosa più importante quanto la giusta scelta del Movimento. L’effetto del più bel pezzo di musica sarà turba­ to, anzi affatto distrutto, sia che si affretti di troppo, ovvero, ciò ch’è peggio, che si eseguisca rallentandolo in modo troppo trascinante. Nel primo caso non può l’uditore, segnatamente sentendolo di prima volta, concepirne una chiara idea, nel secondo caso dee necessariamente annojarsi. Imperocché, prenden­ do, per es., un pezzo di musica il quale, giusta la mente dell’autore, dovrebbe tutt’al più durar 12 minuti, se si eseguisca un terzo di tempo più affrettato, du­ rerà 8 soli minuti, e riescirà precipitato, e se un terzo più allentato, durerà 16 minuti, eriesciràlungoenojoso. Quest’ultimo caso pur troppo si verifica, né sì di raro, nelle composizioni brillanti eseguite in pubblico, per modo che, in onta che altronde valorosa­ mente eseguite, pur nondimeno sbaglian sempre il loro effetto. Chi pertanto non sia ancora in istato di eseguire in presenza degli uditori un siffatto pezzo di musica nella conveniente misura, farà senno scegliendone uno più facile. Avverta finalmente lo studioso che quanto più debbe un pezzo di musica eseguirsi veloce, tanto più debb’ei procurare di renderlo intelligibile mercè una chiara e facile esecuzione, con superar le difficoltà senza fatica, e con pura e delicata agilità, ciocché sarà sempre possibile quando l’abilità del Suonatore sia sufficientemente perfezionata, ed il pezzo di musica debitatamente ese­ guito.

Dell'Adagio

§5. Come si è già poco detto (§ 1), qui pur si ripeterà che àa\. moderato Allegret­ to all’Adagio, Largo e Grave, occorrono del pari altrettante gradazioni di Mo­ vimento. Perciò il Suonatore avrà qui pure riguardo sì al carattere del pezzo di Musica, non meno che al numero ed al valore delle note in esso occorrenti. Valgan pertanto anche ora le regole già enunciate, coll’opportuna applicazione 203

eziandio alla scelta del metro di que’ pezzi di musica eseguibili con posato e placido movimento. §6. Né pezzi di musica molto lenti, e composti solo di note quiete e gravi, la rigo­ rosa osservanza della misura è assai più difficile che non in quelli di celere mo­ vimento. Ond’evitar perciò un ambiguo vacillare, trascinare o troppo affret­ tare, gioverà che il Suonatore non ben esercitato conti, durante il suono, tutte le singole parti di battuta, Crome cioè ed anche Semicrome.

Delmodo onde studiare un pezzo di musica Il tempo da dedicarsi allo studio d’un pezzo di musica può dividersi in tre pe­ riodi, cioè 1? Nell’apprendernel’esattezza; 2° Nell’esercizio del Movimento prescritto dall’Autore; 3? Nello studio dell’esecuzione. Questi tre periodi non debbono confondersi uno coll’altro. Nel primo periodo il Suonatore dovrà, pria di tutto, ricercar con movimento comodo, e, se fia d’uopo, lento assai, il miglior portamento, al quale dovrà abituarsi; ed inoltre si approprierà eziandio la più rigorosa osservanza sì del valore delle note, che de’ segni in esse indicati. Ciò ben conseguito, incomincia il secondo periodo, in cui a poco per volta, non essendovi più timor d’imbrogliarsi, può senza interruzione eseguirsi il pezzo di musica tanto sovente, finché siasi perfettamente padrone del movi­ mento prescritto dall’Autore, avvertendo qui pure l’esatta osservanza degli usati segni d’esecuzione, comeforte, piano, cres., ec. Entra in ultimo il terzo periodo, nel quale dovrà il Suonatore studiar prima in tutte le gradazioni i prescritti più fini segni d’esecuzione, come ritard., smorz., acceler., ec., quindi, consultando il suo proprio sentimento, procurar di render con tutta fedeltà il carattere del pezzo musicale, il qual carattere do­ vrebbe ornai averselo appropriato. Volendo passarsi troppo sollecitamente da uno ad altro periodo, si rende­ rebbe assai difficoltoso lo studio, essendo impossibile, quando non siasi ben sicuro delle note e del loro portamento, poter suonare nel vero Movimento senza non intopparsi; come pure non potrà convenientemente esprimersi il ca­ rattere d’un pezzo musicale, finché siasi obbligato ad eseguirlo troppo lenta­ mente. Anzi pel ritardando, ed altre più fine gradazioni, sarà pressoché impos­ sibile indovinar la giusta misura, pria di saper esattamente il prescritto movi­ mento. Quanto al piano e forte, si è già detto da osservarsi nel secondo pe­ riodo. Sarà poi premura dell’Allievo quella di studiare ogni pezzo di musica nel più possibil breve tempo, ond’evitar, come sovente avviene, che abbia alfine ad annojarsi. Vero è bensì che dipende dalla difficoltà e dalla lunghezza del pezzo 204

musicale il tempo che occorre pel suo studio; ma dipende pur dall’Allievo lo sceglier que’ pezzi che non gli costino proporzionatamente molto tempo, né siano superiori alle sue forze. Siccome poi il maggior numero de’ pezzi studiati si è ciò che più contribuisce a que’ progressi che rendono alfine l’Allievo capace a saper suonare tutto, per­ ciò non dovrà certo essergli indifferente se, a capo a un anno, abbia studiato soltanto dieci pezzi piuttostochè trenta. Le produzioni delI’Arte musica (a differenza di quelle delle altre belle Arti) hanno a superare lo svantaggio ad esse inerente, quello cioè di giudicarsi la lor bellezza e quindi il valore dal modo della loro esecuzione. Un Poema, un Ro­ manzo, una Pittura, una Scultura, fatti e compiuti che siano, rimangon sem­ pre tali e quali; al contrario un pezzo di Musica, anche sublime, è suscettibile di tanti atteggiamenti, quante son le mani sotto le quali esso cade. Perciò non di­ pende che dal solo Suonatore l’incontro, o no, d’un pezzo musicale, sì che il componimento anche il più limato potrà riuscir disgustoso agli uditori, pre­ sentato ad essi in modo erroneo, sconcio, con movimento errato e mal espres­ so carattere. Non dee però qui tacersi che anche lo stesso Suonatore incorre di frequente in un falso giudizio di un componimento, sia nel primo suo ripassarlo, sia puranco nello studiarlo, e reputar brutto un pezzo di musica, il quale d’altronde, debitamente eseguito, riesce di bellissimo effetto. Non potendo a meno l’Allievo non inciampar sovente nello studiare, e do­ vendo perciò eseguir talora con lentezza spicciolati passi, né potendo quindi seguir il filo del tutto, avvien per tali incidenti ch’ei perda la pazienza, ed ascri­ va a difetto del componimento le dissonanze, gl’imbrogli e l’oscurità, del che alla fin fine tutta la colpa sta nella sola sua impotenza. Ed è questa un precipua cagione per cui alcuni componimenti di profonda creazione come, per es., quei di Beethoven voleanvi sovente molti anni pria d’essere dal Pubblico ap­ provati. Perciò il saggio Suonatore dovrà astenersi da ogni giudizio sovra un componimento qualunque, finché non sappia esattamente eseguirlo giusta la mente dell’autor suo.

De * componimenti molto difficili Le difficoltà non sono lo scopo dell’arte musicale ma sibbene un mezzo, mezzo però necessario. Imperocché, ove sian ben ideate e debitamente esegui­ te, producon esse effetti tali, che in ver un modo posson conseguirsi da passi di note facili e semplici. Che anzi tutto lo studio dee consister che facili comode e semplici appajan le medesime grandi difficoltà, il quale studio e la qual fatica sarà mai sempre pel Suonatore largamente ricompensata. Ed invero l’ammira­ zione d’un suono facile e bello, dalla quale vien l’uditore compreso, non è al certo da dispregiarsi; e doppiamente ne può divenir meritevole, sì pel piacere destato con le superate difficoltà, come per iscorgersi nel proprio sentimento 205

sodisfatto: essendo pressoché impossibile che uno almeno di tai casi non av­ venga, purché il componimento non appartenga alla classe degli universal­ mente male accolti. Che poi una cattiva esecuzione della difficoltà renda tanto più ingrata la co­ sa, è ciò ben naturale; e perciò dovrà ogni men esperto Suonatore guardarsi be­ ne dall’eseguir siffatti pezzi alla presenza di uditori, quand’ei non sappia ben superarne le difficoltà. Sbaglio questo nel quale incorron molti, facendo così disonore a se stessi ed al componimento; anzi deturpando affatto quest’ul­ timo. Le sudette difficoltà poi consistono : 1 ? In quelle che richiedono grande e sovente somma agilità, sebbene esegui­ te con lentezza non sembrino tanto difficili. 2? In alti distendimenti, e simili il cui giusto possesso appaja dipendere dal caso. 3? In passi intrecciati, od a più voci, per es., volate di terze trilli, andamenti cromatici, frasi fugate, ec. 4? In lunghi e vibrati passi, per es., ottave ecc., i quali richiedono impiego di forze fisiche. Per tutte le predette difficoltà valga la seguente precipua anzi unica regola: Ogni difficoltà svanisce e par bella, tostoché non abbiavi più difficoltà pel Suonatore. Finché passi difficili si eseguiranno con fatica, smania, e molesta pena, giammai avverrà che rechino piacere; che anzi il Suonatore meriterà compas­ sione anziché ammirazione: da che il più sicuro ed importante mezzo di render gradevoli siffatti passi, in apparenza duri, affastellati e dissonanti, è solo la bellezza del suono. Chi possegga l’arte di trar sempre dal Piano-forte un suono bello, armonio­ so, giammai gagliardo, sì che né ilforte meno poi ilfortissimo crescan mai sino ad un eccedente remore; e che d’altronde congiunga il più alto grado d’agilità ad una illibata chiarezza d’esecuzione; questi, sì, che riuscirà ad eseguire i più strani accozzamenti di suoni, sì che rassembrin belli e dian piacere anche alle più profane orecchie. Anche ne’ più grandi ed incomodi salti dovrà il Suonatore conservare la più possibil quiete della persona, rendendo eziandio inosservabile l’interno invisi­ bile sforzo dell’animo e de’ nervi, imitando così quel viandante il quale, acco­ stumato ad un passo placido e leggiero, percorre agevolmente più leghe senza fatica, mentre al contrario quello accostumato ad un passo pesante, o che ten­ ta celare un interno affanno con un andare in apparenza quieto, si trova di già spossato al primo quarto d’ora di cammino. Dee perciò il Suonatore attender bene che la respirazione sia sempre Ubera, potendo l’esercizio affannoso di gravi difficoltà nuocergli moltissimo nella sa­ lute. Dopo pertanto un esercizio di mezz’ora su qualche difficoltoso passo, dovrà 206

riposar per alcuni minuti, passeggiando nel gabinetto, o leggendo, o simile, pria di riporsi a studiare. Ne’ seguenti passi; per es. :

potrebbe il Suonatore accostumarsi ad un troppo gran movimento della perso­ na, ovvero, procurando evitar questo, far un interno sforzo, peres., ritenendo la respirazione: ciò che in fine, oltreché costargli un sforzo maggiore, potrebbe eziandio essergli nocivo. Dovrà perciò in tal circostanza consultar il proprio sentimento, non illuden­ dosi per questo o quel riguardo, e perverrà a vincere alfine ogni difficoltà in modo sodisfacente ed innocuo. Imperocché non può niegarsi che la ben supe­ rata esecuzione di tali difficoltà non produca molto effetto, e tale che un avve­ duto Suonatore può crescerla con un’acconcia applicazione fino al grado d’un’estetica bellezza: mentre all’incontro una mala applicazione, od una snatu­ rata esecuzione può farle discendere fino al ciarlatanismo. In regola lo Staccato è molto più difficile e faticoso che non il più agile Lega­ to : perciò dovr an bene consultarsi le regole esposte in principio di questa Terza Parte su tutte le varie specie di Staccato. E perché possa il Suonatore trarne un reale profitto, dovrà esercitar prima ogni singolo difficil passo, finché siasene renduto appieno padrone, dovrà dappoi esercitarli ad uno ad uno con quei passi che precedono e seguono, essendo che tal unione costituisce una notevole differenza. Infine dovrà il tutto ripetersi di séguito per tante volte, quante è ne­ cessario per dar all’intero componimento la conveniente armonica perfezione.

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Dell 'esecuzione di musica di movimento lento L’esecuzione di Musica di movimento lento, come, per es., Adagio, Andan­ te, Grave, ec., è in regola ben più difficile di quella di movimento celere, e ciò per le seguenti cagioni. Lo scopo d’ogni pezzo di musica quell’è di eccitare presso gli uditori interes­ se, continua attenzione, e diletto, né annojarli o stancarli giammai. Ora siffatta successione d’idee, siccome insita nel movimento celere, è spes­ so di per sé sola sufficiente ad incatenar l’uditore, mentre l’ilarità, la forza, l’a­ gilità, la bravura, ec., che per esse sviluppansi concorron tutte a mantener sempre viva la di lui attenzione. Ma ben altra è la faccenda nell ’A dagio. Se avvien che taluno parli lentamente, può il suo discorso divenir presto nojoso, ove non si renda esso interessante per l’importanza del suo contenuto, o almeno per un significato giusto, proporzionato ed alternativo. Lo stesso ha luogo nell’esecuzione dell’adagio, dovendo il Suonatore anche in esso, con un bel suono, con giusta espressione di accenti, con chiara melo­ dia, con fermo collegamento dell’armonia, con sentimento o colorito patetico o sublime, saper incatenar l’uditore, e (giusta il valor del componimento) sog­ giogarne il cuore o l’intelletto. Molti Suonatori credono che un’espressione assai sentimentale consista sol­ tanto nel gagliardo distacco del forte e del piano-, per cui reputano aver tutto adempiuto quando abbian prodotto suoni o aspri e stridenti, o fiacchi e sordi. Ad un orecchio però fino e colto siffatta esecuzione riescirà sempre insoppor­ tabile, ed assai più ingrata che una monotona, ma dolce, sebben affatto priva di espressioni. Le gradazioni più fine che con bel garbo percorrono tutti i gradi dal pianissi­ mo crescendo via via sino al fortissimo, son queste le arti che dovrà il Suonato­ re porre in opera onde rendere interessante qualsia musica di lento Movi­ mento. Vi sono più specie di Adagio, ognuna delle quali richiede una particolar ese­ cuzione cioè: a) Quei di carattere grave, melancolico o sublime, e di complicate armonie, come, per es. quei di Beethoven. La loro esecuzione pertanto vuol esser ponde­ rata, quieta, e renduta intelligibile facendo chiaramente spiccar la melodia, peres.:

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Dovrà qui pria di tutto osservarsi in ambe le mani un rigoroso legato, giusta il valor delle note. Tutte poi le voci d’ogni accordo si toccheranno gravi e fer­ me, facendo spiccar alquanto più la voce suprema della mano destra, conte­ nendosi in essa la melodia. Ogni crescer e diminuire di questa voce cantabile dovrà esprimersi con un leggiero cres, q dimin. Così, peres., si eseguirà il 2? ac­ cordo nella 1 ? battuta con accento alquanto più forte che non gli altri due. Nel­ la Imbattuta il Raccordo riceve anch’esso un pari accento, essendoché gli altri discendono. L’accordo medio di questa battuta (in si bemolle) dovrà esser toc­ cato piuttosto piano, e tenuto finché giunga la pausa. L’ultimo accordo della medesima appartiene già al seguente crescendo, il quale però non vuol esser troppo forte nella 3 Sbattuta, giacché nella 4? termina di nuovo con un piano (invece di uno sf.) L’arpeggio del 1 Raccordo nella 4?battuta non si prenderà troppo lento, imperocché l’armonia risolvente di un tal accordo presto vien sotto l’orecchio. Si toccherà forte il seguente accordo, e benché debbansi suo­ nar ancora un poco diminuendo le seguenti note, pure il crescendo (in onta che il canto alcun poco discenda) cresce nella 5.“battuta in modo così significante, che per essa la 6.aspicca ben vigorosamente. La 7 Sbattuta invece dovrà eseguir­ si più dolce, e con quiete. b) Quegli A dagl ne’ quali le voci gravi formano accompagnamento mentre il canto predomina nelle voci superiori. Siffatti pezzi, essendo per lo più d’un carattere tenero ed appassionato, non voglion perciò un’esecuzione grave o pesante, come quella di che si è or or di­ scorso, peres.:

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Qui si eseguisca il Basso delle prime otto battute, sempre legatissimo, facen­ do sì che l’espressione sia come tutta concentrata nella mano destra, senza pe­ rò obbligarsi a suonar più fortemente. Nelle seguenti sei battute poi si esegui­ sca il Basso con facilità e dolcezza, e senza una particolar espressione, viepiù che richiedono al tempo istesso il soccorso della pedaliera, che dee continuare in ogni battuta durante le prime quattro Crome. Nelle ultime due battute però segue la pedaliera a durar fino alle pause. La mano destra, in quest’esempio, vuol esser suonata con grand’espressio­ ne. Siccome il canto cresce nelle prime cinque battute, così praticherassi un crescendo incominciando tosto dalla 3?battuta, il quale in ambe le mani cresce 210

fino alla 2? Semiminima della 5Sbattuta, ove dovrà toccarsi il do quasi sf. Si progredirà dappoi diminuendo, sì che la 7?battuta riesca dolce assai; Imbat­ tuta invece andrà crescendo per disporla alle battute 9?e 10?che debbono esser suonate con accento più marcato delle precedenti. La battuta 11 ? sarà dimin., e la 12?smorz.; le restanti ognor più dolci sino alla fine. c) Una terza specie d’Adagio sarà quella in cui distinguonsi leggiardi abbelli­ menti. Potrebb’esser questa di carattere amabile, lamentevole, esigente, impe­ rioso. In tutte queste specie la convenevol esecuzione degli abbellimenti (de’ quali si è discorso a suo luogo) è oggetto principale, e dev’esser consentanea al carat­ tere del componimento. Ecco alcuni esempi sui tre or ricordati caratteri:

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Un’espressione troppo sentimentale non sarebbe qui adatta, dovendo il tut­ to spirar solo mollezza e grazia. Soltanto nella 5?battuta si praticherà un mo­ derato crescendo, il quale nelle prime tre crome nella 6?battuta ritorna tosto al piano. b) Adagio

Il carattere di quest’esempio è una specie d’amara lagnanza, e richiede per­ ciò un’espressione risoluta ed animata; l’abbellimento nelle battute 5 ?e 6Svuo­ le un’esecuzione non già piacevole, ma piuttosto concitata, che si dichiara se­ gnatamente in mezzo alla dibattuta. Soltanto le ultime sei note di questa battu­ ta si eseguiscono dimin., e un po’ ritenute. All’incontro la 7?battuta sarà dol­ cissima, lamentevole, e il Gruppetto dolce, e discretamente veloce. 212

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Il carattere di quest’esempio è pomposo: perciò non gli si addirebbe né tene­ ra mollezza, né passione gagliarda di esecuzione; e negli abbellimenti neppur si dee praticare veruna melancolica espressione. La mano destra eseguirà tutte le note lente in modo assai vigoroso, e tutti gli abbellimenti in maniera piuttosto brillante che graziosa. Non però dovranno le note veloci eseguirsi menoma­ mente con dura espressione, ma bensì colle opportune gradazioni, e con leg­ giera agilità. Havvi ancora un’altra specie di componimenti lenti, i quali voglion esser eseguiti con una facilità amabile e scherzosa. Il Movimento di tale specie si ap­ prossima d’assai all’ Andante, Andantino, ed anco Allegretto; per es.:

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Qui si conviene un’esecuzione facile, piccante, e quasi acerba, evitando ogn’ idea di gagliardo o sentimentale. Dopo tutto ciò sarà bene avvertire che, oltre tutti questi parziali Adagi, ve ne ha pur di quelli, ne’ quali sono alternamente applicabili più o meno tutti i già descritti differenti caratteri. In tal caso dovrà l’accorto Suonatore saper appli­ care la debita esecuzione ad ogni specie de’ contingibili passi, e consulterà il proprio naturai sentimento onde sempre rinvenire la miglior adequata espres­ sione.

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Capitolo IX Dell’esecuzione brillante

Essendo oggidì presso che innumerabili i componimenti contradistinti col titolo di brillante, è perciò necessario definire e caratterizzare l’indole ed i limi­ ti di questo genere. Per ciò conseguire, non sembra potersi meglio cominciare se non se assimi­ lando cotal maniera a taluno il quale debba favellar ad un’adunanza, o piutto­ sto ad un gran pubblico, per esempio, un Comico: il quale ognuno bentosto comprende dover favellar in ben tutt’altro modo che non talaltro il quale paca­ tamente favelli con una o poche persone. Dovrà difatti quel primo, sebben senza eccedere nell’alzar la voce al punto di urlare, alzarla però tanto, e dar tanto accento alle sue parole, proporziona­ tamente al numero degli uditori ed all’ampiezza del locale, non solo per esser da tutti inteso, ma puranco per produr col suo dire la voluta impressione. Trovandosi pertanto il Suonator di Piano-forte in egual circostanza, dovrà esso non meno osservar i medesimi riguardi. Si è già mostrato nelle precedenti Sezioni quante specie di suono posson trarsi dal Piano-forte, mercè la differenza e la varietà di tocco e forza; e come le medesime frasi musicali possan eseguirsi tanto in modo dolce, calmante, e quasi sonnacchioso, quanto in robusto, incitato, ed esilarante. Prendasi ad esempio il seguente passo:

Eseguendosi questo passo dolce e legato con placido movimento, alla pre­ senza di numeroso uditorio, ed in vasto locale, non dovrà certo produrre un’ingrata impressione, ma non potrà eccitar peraltro attenzione, e molto me­ no ammirazione. Eseguito invece il medesimo passo svelto, vigoroso, piccante, 216

con marcato accento, e col gioco di mano richiesto dallo staccato, come nel se­ guente esempio:

non solo sembrerà desso molto più difficile, ma lo sarà davvero, ed eccitar do­ vrà attenzione ed ammirazione: potendo allora convincersi che il Suonatore abbia in poter suo i salti in entrambe le mani, che sappia produrre un suono chiaro e parlante, e dar saggio di non ordinaria bravura di esecuzione, per mo­ do da lasciar desideri o di sentirne ancora di più. Egli quindi suonò in modo davvero brillante. Così pure se si eseguisce in pubblico un Concerto di mezzana difficoltà (per esempio uno di Dussek) nella maniera quieta e dolce, come nel penultimo scor­ so esempio, potrà sempre eccitarsi, non v’ha dubbio, una grata impressione su d’un attento pubblico, ma non mai particolar calore, molto meno poi entusia­ smo. Si eseguisca invece lo stesso Concerto nella brillante maniera, come nel­ l’ultimo decorso esempio, non già con un continuato forte, ma sì in generale con chiaro e piccante colore proprio di tal esecuzione, e si scorgerà esserne l’ef­ fetto molto più incitante, e più accetto all’uditorio, da che un numeroso pub­ blico suol esser più di leggieri trasportato all’ammirazione che non alla com­ mozione. E qui si osservi non trattarsi già qual maniera di esecuzione sia più confacen­ te ad ogni Concerto, ma solo qual effetto, giusta le esperienze, attendersi deb­ ba presso un pubblico misto di tanti svariati umori. Dato finalmente il caso che un buon Suonatore eseguisca nella prima quieta maniera (esempio penultimo) un pezzo di musica ben elaborato; sì, ma il cui merito consista segnatamente in passi ricchi di canto e pieni di sentimento, di poca o niuna difficoltà, e quindi non eseguibile in modo brillante (come, per esempio, il Quintetto di Beethoven con istrumenti da fiato, Op. 15); e dopo di esso venisse altro buon Suonatore, il quale, con egual perfezione ma nella 217

maniera brillante (ultimo esempio) eseguisse un’opera che offra tutte le diffi­ coltà della nuova scuola, tutti gli’incanti dell’alternativa nelle varie specie di trattamento del Piano-forte (come, p.e., il Settiquno di Hummel in re mino­ re), quest’ultimo (astrazione fatta sul valor musicale de’ due citati componi­ menti) farebbe senza dubbio un’impressione più gioconda come Suonatore, e riscuoterebbe dal numeroso pubblico un più echeggiante applauso. Con tai confronti ci lusinghiamo aver con bastante chiarezza dimostrato in che consista, la così detta esecuzione brillante, non che la differenza fra essa ed altre maniere d ’ esecuzione. Tutti pertanto que’ componimenti contradìstinti come brillanti, quali gene­ ralmente sono il più di quelli destinati a prodursi in pubblico, dovranno aver un’esecuzione ad essi corrispondente: imperocché non pochi de’ medesimi, quantunque di vaglia, perderebber ogni voluto effetto, sempreché il Suonato­ re, o per inabilità, o per falso concetto del carattere del pezzo musicale, appli­ casse ad essi una tutta opposta maniera. Resta ora a dimostrarsi le qualità precipue della brillante esecuzione, le qua­ li consistono: a) In un particolar tocco, chiaro, marcato e vigoroso de’ tasti, per cui risulta il suono distintissimo. Laonde ogni staccato ed ogni più forte separamento de’ suoni è per natura brillante: mentre invece il rigoroso legato appartiene all’opposta maniera. b) Nell’applicazione dell’agilità sino ai gradi più veloci, de’ quali tutti dovrà il Suonatore esser padrone, o coi quali dev’esser sempre congiunta eziandio la maggior possibile chiarezza; da che un’esecuzione affrettata e confusa non può giammai dirsi brillante. c) In una scrupolosa esattezza anche ne’ passi più intralciati. Imperocché, se per qualunque maniera il suonar esatto non è senza una qualche difficoltà, nella maniera brillante è desso ben più difficile, pel riflesso che il precipuo suo tocco richiede una più sicura forza projettile, e perché in essa ogni falso tasto produce un’impressione infinitamente più ingrata. d) Nel rinforzato coraggio e nella maggior fiducia che dee possedersi dal bril­ lante Suonatore, onde (massime in vasto locale) poter tutto conveniente­ mente eseguire. Perciò è necessaria eziandio, per siffatta esecuzione, una particolar forza ed elasticità de’ nervi, la quale però, se non abbiasi da na­ tura, non potrà esser giammai da qualsivoglia esercizio supplita. Molto però s’illuderebbe chi reputasse dover ogni brillante esser suonato anche/orte: ovvero che ogni rumorosa esecuzione dirsi dovesse brillante. Il bel suono brillante dee somigliare una ben architettata illuminazione di più migliaja di faci, ma giammai la confusa fiamma d’un razzo di fuoco artifi­ ciale. Dietro tali principj ogni avveduto Suonatore non potrà a meno non cono­ scere che, anche in taluni pezzi i quali sembrano scritti per brio e bravura, si può e si dee praticare tutte le gradazioni d’una delicata piacevole ed elegante esecuzione, del pari che un’intima espressione: come all’opposto che anche ne’

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componimenti più posati v’ha dei passi ne’ quali si può e si dee praticare una ben sentita brillante esecuzione. Ciò che si avvera ne’ due succitati musicali pezzi: rinvenendosi difatti nel Quintetto di Beethoven più passi che ammetto­ no una brillante esecuzione; e nel Settimino di Hummel in re minore molte de­ licate melodie, placidi intercalari armonicamente interessanti, e leggiadri ab­ bellimenti, calcolati appunto su placida esecuzione. Il suono brillante ha luogo d’ordinario soltanto in un Movimento veloce: nell’ri dagio può tutt’al più applicarsi a determinati passi, il cui costrutto lo renda opportunamente possibile. Ciò peraltro avvien di rado. Per ben accostumarsi al suono brillante, sarà premura dell’Allievo di eserci­ tar di nuovo giornalmente, in tal senso, le Scale in tutti i Modi, eseguendole colla più possibile celerità, chiarezza e forza, col più esatto distacco dei singoli suoni, co’ nervi de’ diti piuttosto tesi, e ciònullameno con mano quieta. Dovrà oltracciò studiar particolarmente que’ componimenti scritti apposta su tal ge­ nere, de’ quali oggidì non v’ha penuria. Infine studierà tutto quanto mai può spettare a siffatta sfera, con mira d’esser destinato ad eseguirsi alla presenza di numerosa adunanza ed in vasto loca­ le, ove sia necessario rendersi intelligibile a gran quantità di ascoltatori: impe­ rocché il suono brillante dee somigliare uno scritto che possa leggersi anche di lontano.

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S. Thalberg

Ùber die Kunst des Gesanges auf dem Pianoforte op. 70. Lipsia, s.a. (1850 ca.) Traduzione italiana: Milano, s.a. (1855 ca.)

L’autore

L’arte di cantar bene, disse una celebre donna, è la stessa a qualunque istrumento si applichi. Di fatto non si debbon fare né concessioni né sacrificii al meccanismo particolare de’ diversi strumenti; è proprio dell’interprete il pie­ gare tal meccanismo alle esigenze dell’arte. Siccome il piano-forte non può, ra­ zionalmente parlando, riprodurre la bell’arte del canto in quello che essa offre di più perfetto, cioè non ha la facoltà di prolungare i suoni, così fa d’uopo col­ la destrezza e coll’arte distruggere questa imperfezione, ottenendo di produrre non solo l’illusione dei suoni sostenuti e prolungati ma anche quella dei suoni rinforzati. Il sentimento ci rende ingegnosi, ed il bisogno di esprimere ciò che proviamo sa creare dei mezzi che sfuggono al meccanico. Egli è con questo scopo che ci siamo occupati a scegliere queste nostre tra­ scrizioni fra i capi-d’opera più cantabili dei varii grandi maestri, antichi e mo­ derni. Abbiamo adottato una forma semplice, quella che s’addice alla vera trascrizione, in modo che possa venir afferrata ed eseguita convenientemente dai giovani pianisti d’una certa valentìa. Ciò che predominerà nelle nostre tra­ scrizioni sarà la parte cantante, la melodia, a cui ci siamo applicati specialmen­ te: giacché, come disse un grande scrittore; non l’Armonia, ma la Melodia è quella che attraversa trionfante i secoli: pensiero fecondo, da cui non è possi­ bile scostarsi, od al quale, per lo meno, è forza sempre ricondursi. Le nostre prime trascrizioni ne forniscono un luminoso esempio nella ma­ gnifica Aria da chiesa, che si sente e che si sentirà per molto tempo ancora ri­ suonare sotto le volte della Cappella Sistina a Roma, e che fu scritta verso il 1667 dal celebre cantore Stradella.1 Questa melodia così soave, così 1 Aria dì chiesa; Pietà, Signore, di un dolen te, scritta per tenore con accompagnamento di due violeda brac­ cio, viola bastarda, viola di gamba e violone. Quest’aria è tanto commovente che all’udirla con espressione

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penetrante, così elevata di stile, invita alla preghiera, e trascina lo spirito a meditazioni profonde, malgrado la sua grande semplicità. Come regole generali dell’arte di ben cantare, — ve ne sono alcune che qui non possono trovar posto, ma che si rinverranno nel Metodo di Piano-forte che publicheremo quanto prima, — noi raccomandiamo ai giovani artisti le seguenti: 1. Una delle prime condizioni per ottener ampiezza nell’esecuzione, una bella sonorità ed una grande varietà nella produzione del suono, si è quella di spogliarsi d’ogni durezza. Indispensabile è dunque di aver nell’antibrac­ cio, nella giuntura di questo colla mano, e nelle dita, tutta quella pieghevo­ lezza e quelle differenti inflessioni che un abile cantante possiede nella voce. 2. Nei canti larghi, nobili e drammatici bisogna cantar di petto, esiger molto dall’istrumento, e trarne la maggior intensità possibile di suono senza mai pestare i tasti, sarà quindi necessario attaccarli da vicino, profondandoli e premendoli con robustezza, energia e calore. Nei canti semplici, tranquilli e graziosi, bisogna in certo modo ammollire la tastiera, premerla con mano disossata e con dita di velluto; i tasti in questo caso debbono essere piuttosto sentiti che battuti. 3. La parte che eseguisce il canto dovrà sempre essere articolata in modo chiaro e distinto, affinché domini così pronunciata come una bella voce umana sopra un leggerissimo accompagnamento d’orchestra. Per non la­ sciar sotto questo rapporto alcuna incertezza nello spirito dei giovani artisti, abbiam scritto il canto delle nostre trascrizioni (sia desso ad una, due, tre o quattro parti) con note più grosse di quelle dell’accompagnamento. Le indi­ cazioni piano o pianissimo, poste vicino al canto, non dovranno interpretar­ si che relativamente, e in nessun caso gl’impediranno di spiccare e predomi­ nare; — non dovranno far altro che minorarne l’intensità. 4. La mano sinistra dovrà sempre essere subordinata alla destra, ben inte­ so quando questa canta; può aver luogo però il contrario, cioè che il basso o gli accompagnamenti dovranno esser raddolciti in modo che si senta più an­ cora l’armonia intiera degli accordi del basso che ciascuno dei suoni che li compongono. 5. Sarà indispensabile d’evitare nell’esecuzione quella maniera ridicola e di cattivo gusto di ritardare con esagerazione il batter delle note del canto molto tempo dopo quelle del basso, e di produrre così, da un capo all’altro d’un pezzo, effetti di sincopi continue. Soltanto in una melodia lenta, scritta con note di lunga durata, è di un buon effetto, specialmente nel principio delle battute o nel cominciare delle frasi, d’attaccare il canto dopo il basso, ma solo con un ritardo quasi impercettibile. eseguita si è tratti a credere appartenere alla musica del corrente secolo e non a quello di due secoli addie­ tro. Alessandro Stradella, celebre cantante e compositore, nacque verso il 1645, e morì circa il 1678. Nota dell1Editore. Oggi si ritiene che Varia attribuita a Stradella sia opera di Abraham Louis de Niedermeyer (1802-1861). Alessandro Stradella nacque probabilmente nel 1639, e morì nel 1682 (P./L).

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6. Una raccomandazione importante, che non sapremmo passar sotto si­ lenzio, perché sul piano-forte è una delle cause della secchezza e della gret­ tezza dei canti, è di tenere le note e di dar loro (a meno d’indicazioni contra­ rie) il loro valore assoluto. Bisogna, per questo, quasi costantemente far uso delle diteggiazioni di sostituzione, in ispecie quando si suona a più parti. Su di ciò non sarà mai troppo raccomandato ai giovani artisti Io studio lento e coscienzioso della fuga, essendo questo il solo che possa condurre a suonar bene a più parti. 7. Un’altra osservazione da farsi è che generalmente i giovani artisti non si applicano che all’esecuzione materiale della nota scritta, e trascurano i se­ gni d’espressione che servono a completare e a tradurre il pensiero del com­ positore; segni, che sono, per un componimento musicale, come il chiaro scuro in un quadro. Nell’uno e nell’altro caso, se si tolgono questi accessorii indispensabili, non esistono più né effetti né contrasti, e tanto l’occhio come l’orecchio si stancano subito della medesima tinta e della mancanza di va­ rietà. Noi abbiamo indicato colla massima cura nelle nostre trascrizioni le diteg­ giazioni e le accentazioni, e ne inculchiamo ai giovani artisti l’osservanza più rigorosa, se pur vogliono colorire la loro esecuzione, ottenere varietà, effetti e contrasti. Ogni nota, che porterà questo segno A, dovrà essere profondata tanto più vigorosamente quanto più sarà di lunga durata, specialmente nei canti lenti; quelle che porteranno questi segni — — — oppure -............ * non saranno eseguite né legate né staccate, ma portate, come lo farebbe una voce umana; le prime un po’ più pesanti delle seconde. Gli accordi che porteranno un canto alla nota superiore dovranno sempre arpeggiarsi, ma rapidissimamente, quasi simultanei, appoggiando la nota del canto più delle altre. 8. L’uso dei due pedali (separatamente o insième) è indispensabile per dar ampiezza all’esecuzione, per sostener le armonie simili, e produrre, col loro impiego giudizioso, l’illusione dei suoni prolungati e rinforzati", sovente, per questi effetti particolari, bisogna adoperarli soltanto dopo l’attacco delle note lunghe del canto; ma ci sarebbe difficile di precisar qui i casi generali, giacché appartengono in parte piuttosto al sentimento ed alle sensazioni che alle regole fisse, che formoleremo nel nostro metodo. Si dovrà dunque, nel­ l’uso dei pedali, che rappresentano una parte così importante nell’esecuzio­ ne, porgere la maggior attenzione a non mai mescolare le armonie dissimili e a non produrre in tal modo ingrate dissonanze. Vi sono degli artisti che fan­ no tale un abuso dei pedali, o piuttosto che se ne valgono con sì poco senno, che in loro il senso dell’udito ne è pervertito e che han perduto la coscienza di un’armonia pura. Noi abbiamo indicato l’uso del pedale del forte sempre al di sotto del basso, e quello del piano (una corda) fra i due righi, indicando con dei punti il momento in cui si deve abbandonarlo. Siccome i movimenti fanno parte integrale del carattere e dello spirito d’u­ na composizione musicale, le nostre trascrizioni dovranno essere eseguite in 223

quelli che abbiamo indicati secondo il metronomo, eccetto i ritardando o gli accelerando. 9. Noi farem pure osservare che in generale si suona troppo presto, e che si crede aver provato molto spiegando una grande agilità nelle dita. Suonar troppo presto è un difetto capitale. In un movimento moderato, la condotta d’una semplice fuga a tre o quattro parti e la sua interpretazione, come cor­ rezione e stile, esigono e provano maggior talento che l’esecuzione del più brillante, del più rapido e più complicato pezzo di piano-forte. Egli è molto più difficile, che non si pensa, di non incalzare e di non suonar in fretta. 10. Noi avremmo molto da dire sulla sonorità, qualità o bellezza del suo­ no da cavare sul piano-forte, ma ciò ne porterebbe troppo lungi, e qui ci tro­ viamo circoscritti. La sola raccomandazione, che facciamo ai giovani artisti, è di conservare nell’esecuzione una gran sobrietà nei movimenti del corpo ed una gran tranquillità nelle braccia e nelle mani, di non mai attaccar la tastie­ ra da troppo alto, di ascoltarsi suonando, d’interrogarsi, di essere severi con se stessi e d’imparare a giudicarsi. In generale si lavora troppo colle dita e non abbastanza coll’intelligenza. 11. Nel por fine a queste generali osservazioni, il miglior consiglio che possiamo dare alle persone che si occupano seriamente del piano-forte, è d’imparare, di studiare e di comentare la bell’arte del canto. A tale scopo, non si dovrà mai trascurare l’occasione di sentire i grandi artisti, qualunque sia il loro istrumento, e principalmente i grandi cantanti. Egli è appunto nell’esordire e nella prima fase del proprio ingegno che bisogna saper circon­ darsi di buoni modelli. Se, pei giovani artisti, una nostra confessione valer può d’incoraggiamento, diremo loro che noi medesimi abbiamo studiato il canto per cinque anni sotto la direzione d’uno dei più celebri professori della scuola d’Italia.

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B. Cesi

Metodo per lo studio del pianoforte G. Ricordi, Milano 1895-96

[...] L’arte di eseguire pur essa è un concorso meraviglioso di facoltà ed attitu­ dini personali; ma tutto ciò non inferisce che si possa prescindere dalla ne­ cessaria preparazione della buona scuola, che a noi gli autori spiega e forni­ sce con scienza, esperienza e tradizione la maniera indicata di eseguirli cor­ rettamente. Non dimentichi il Maestro, non lo scolaro, che tra l’effetto voluto dall’au­ tore e il movimento ben definito che lo produce nello strumento, corre rela­ zione così intima che può dirsi sieno la stessa identica cosa. Ond’è che una buona e perfetta esecuzione non può avverarsi, se 1’abbas' samento del tasto non si ottiene con semplice pressione del dito articolato senza durezza alcuna; se il mignolo non attacca il tasto curvato, con la sola punta e con l’articolazione indipendente; se bene non si legano i passaggi là dove il pollice deve passare sotto le altre dita; senza una tal quale pesantezza di mano negli accordi sostenuti suonati simultaneamente ed arpeggiati solo quando sono indicati; se, infine, non si saprà fare uso opportuno e sapiente de’ pedali. Nella nostra edizione abbiamo creduto modificare la segnatura del pedale degli smorzatori per aver appunto maggior esattezza nella durata dell’azione di esso: infatti le note segnate sul rigo addizionale indicano quanto deve te­ nersi e per evitare la confusione dei suoni si badi di alzarlo ed abbassarlo ra­ pidamente tra una nota e l’altra. Il pedale degli smorzatori serve: per prolungare i suoni che la mano non può tenere; in un passo consonante e della medesima armonia, in qualunque passo degli acuti, per dare l’illusione del legato. La sordina deve impiegarsi per ottenere certi effetti particolari e non per suonare piano, il che deve otte­ nersi con le sole dita. Il pianista deve seguire la propria esecuzione, ascoltandosi con interesse e non dimenticando che una buona esecuzione dipende dai procedimenti ado­ perati per rendere pieghevoli le dita. 225

Un celebre musicista diceva: «La libertà di pensiero e l’espressione non so­ no possibili, che con l’abilità e la sicurezza delle dita.» La maggiore difficoltà nell’arte di suonare il Pianoforte consiste nel saper trarre un bel suono dallo strumento con una tal quale maniera prescritta di percuotere i tasti. Per acquistare un bel tocco, bisogna rendere nulla l’azione delle braccia sulla tastiera e dare alle dita una pieghevolezza uguale alla for­ za, insomma bisogna attaccare il tasto col polpastrello, e verso la parte ante­ riore di esso, ed ottenere che il dito, tatto e tasto medianti, assorga a produr­ re l’artistica espressione. L’arte di modulare il suono a volta a volta dolce e vibrato è la qualità più preziosa, più rara in un pianista. Un’interpretazione esatta ed artistica si può avere solo suonando a memo­ ria, e per bene apprendere sono necessarie le seguenti facoltà: Acume nella percezione, buona memoria, astrarre e generalizzare, inse­ rire. Per abituare lo scolaro a suonare a memoria il Professore deve esercitarlo a poco a poco, facendogli ritenere delle frasi melodiche, corte dapprima, au­ mentando gradatamente l’estensione e la difficoltà dei pezzi da impararsi a memoria. Il pianista, come l’attore drammatico, deve sapere perfettamente la sua parte, possederne tutte le sfumature, lo spirito e l’accento. Sarebbe miti pos­ sibile vedere al teatro un artista recitare la sua parte con la carta in mano? E però sarà ottima cosa esercitare, sin dal principio, la memoria degli studiosi. Sarà anche molto utile iniziare l’alunno allo studio dei pezzi a quattro mani. Così si abituerà a contare ed a suonare in tempo; più tardi la esecuzione con altri istrumenti non l’impaccerà e suonerà con sicurezza, qualità inestimabile che sarebbe impossibile acquistare altrimenti. Prima di una esecuzione in pubblico, il pianista deve curare che il Piano­ forte sia bene accordato, che la tastiera sia facile ed obbediente, che i tasti battano le tre corde esattamente e rispondano a tutte le difficoltà di meccani­ smo, che gli smorzatori siano uguagliati, che i pedali non siano troppo duri e che agendo non facciano rumore; finalmente, cosa importantissima, che la sedia sia ben solida, non vacilli e che sia d’una giusta altezza. Il Professore non si stanchi di ripetere che la paura è il gran nemico di ogni virtù, e che l’arte decade in un animo timido. Solo dopo molto studio, una vasta coltura e parecchi anni d’insegnamento si ottiene l’esperienza necessaria ed il diritto di essere prescelto ed ubbidito dallo scolaro ed ispirare fiducia ai parenti. Si può eseguire perfettamente un pezzo e non saperlo insegnare, per cui si può essere insigne pianista, e cattivo insegnante. Bisogna augurarsi, che le indicazioni di movimenti e di accenti nella musi­ ca siano anche dai forestieri segnati in italiano. Nei tempi che furono un te­ desco studiando la musica, di essa ne imparava anche la terminologia. Oggi noi italiani per imparare la musica, bisogna prima imparare l’idioma teuto­ nico!

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T. A. Matthay

The Act of Touch in all its Diversity Londra 1903 Traduzione italiana di Maria Bertoia, Torino 1922

Capitolo XIX

Le tre specie di formazioni del tocco: I tre principii capitali della combina­ zione muscolare e le conseguenti varietà di attacco avverso il tasto. § 1. Cognizione e Scelta di Formazione del Tocco: sua importanza capita­ Per quanto importante possa essere la scelta del movimento appro­ priato — la scelta tra i tocchi di Braccio, di Mano e di Dito; — essa scelta è molto superata in importanza dalla messa in atto del Raziocinio Tecnico, il quale ultimo ci occorre per ben altri motivi, come già indicato.1 Poiché qua­ lunque singolo passo, o motivo, ecc., ha necessità speciali tecniche, ed è as­ solutamente necessario che scegliamo la combinazione muscolare (o costru­ zione di tocco) la più appropriata per caduno di essi — si tratti di motivo cantabile o brillante — lento o rapido — leggiadro o grave, ecc. ecc. Bisogna esaminare tale questione più da vicino — essa perfeziona appieno la nostra cognizione pratica dei varii modi di formazione dei tocchi. Dopo ciò saremo capaci di {a) costruire immantinente ogni varietà di formazione di tocco dal punto di vista dei costui fattori muscolari;12 (b) insegnare ad altri

le. —

1 Vedi Cap. XVII, §§ 6, 21 e Nota al § 28. 2 Trovammo nel Cap. XVII, che l’Energia adoperata avverso il tasto è costituita da tre fattori muscolari: forza del Dito» forza della Mano, peso del Braccio, coi costui cooperatori. Dipende dal fatto di questi fattori muscolari adoperabili in varie combinazioni fra loro, la possibilità in nostro potere di variare grandemente il modo d'attacco avverso il tasto, con le conseguenti diversità di colorito del suono, con che otteniamo i principali Mezzi d’Espressione al Pianoforte. Così scegliamo la condizionatura muscolare adatta, rispettivamente per trapassi rapidi, ovvero meno, ovvero lenti per la tastiera.

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il modo di adoprare pari procedimenti; e finalmente (c) scegliere a piacimen­ to la tecnica più appropriata per ogni passaggio musicale. §2.1 tre Principi! massimi di Combinazione. — Converrà da prima im­ parare a riconoscere la natura di questi massimi Principii (o forme) di Com­ binazione, sotto i quali sono utilizzabili i fattori fisici del Tocco, in un coi meriti e demeriti particolari a ogni combinazione. Imparammo nel Cap. XVII (§ 6) che tre sono questi principii di combinazione (o principii di for­ mazione di Tocco) ai quali sono subordinati tutti gli altri. Li rammentiamo, sono i seguenti: Prima Specie di Formazione di Tocco. — Sola attività di Dito — Mano giacente sciolta — Braccio che si regge da sé. Seconda Specie di Formazione di Tocco. — Attività di Dito con attività della Mano retrostante ad esso — il Braccio si regge da sé. Terza Specie di Formazione di Tocco. — Attività di Mano-e-Dito più Peso del Braccio allentato (e costui cooperatori) retrostante alla Ma­ no-e-Dito — cioè col Rilasciamento nell’auto-sostegno del Braccio momentaneamente aggiunto.3 Queste tre maniere di metter su l’operazione muscolare avverso il tasto, sono la cagione delle massime differenze fondamentali possibili nell’Atto del Tocco considerato muscolarmente; e perciò si è adottato a loro riguardo il termine di Specie.4 § 3. Qual si possa, di queste tre Specie di operazioni muscolari, essere poi da noi prescelta, essa deve soltanto applicarsi al tasto per indurlo a discesa-,5 3 Sarà bene ricordare, che l’espressione «Rilasciamento del Braccio» com’è adoprata in quest’opera, significa unicamente un allentamento, un rilascio, un abbandono da parte dei muscoli reggenti il braccio: ciò naturalmente non reca nocumento veruno a qualunque movimento effettivo del braccio medesimo. Né sarà meno utile tornare daccapo a dire, che non bisogna confondere le due idee e fatti distinti: (tz) il momentaneo allentamento nella reggenza del braccio, voluto per l’assistenza ad ogni effettiva scesa del tasto nella III Specie, e (b) il lieve ma continuativo allentamento nella reggenza del braccio voluto per ot­ tenere il Tenuto ed il Legato naturali. Rammentiamolo ancora e sempre: la differenza tra lo Staccato ed il Tenuto (o Legato) dipende dallo stato continuativo del braccio durante il corso di caduna frase — dipen­ de da ciò, se la Giacenza sia tanto lieve (per assenza totale di peso-braccio) da permettere al tasto e al di­ to di rimbalzare dopo ogni singola fuoruscita di suono; oppure invece, sia un tantino più greve (per il lie­ ve ma pur continuo abbandono della reggenza del braccio); la giacenza essendo, in quest’ultimo caso, ab­ bastanza greve, da lasciare un residuo attenuato di azione, da parte del dito e della mano al di là del mo­ mento nel quale cadun atto individuale di abbassamento del tasto è compiuto, costringendo così i tasti a rimanere abbassati. Ed è giuocoforza ricordare, come tale lieve continuativa giacenza del peso-braccio sui tasti, è perfettamente indipendente in pensiero ed in atto, da quei fuggitivi abbandoni di braccio sin­ golarmente diretti per la fuoruscita del Suono sotto forma «d’impulso Aggiuntivo». Dobbiamo, di più, stare attenti, a non permettere che questo continuativo lieve rilasciamento del braccio (richiesto pel Lega­ to) vizii la condotta (la guida) di quei «momentanei», (benché piani) rilasciamenti del braccio, voluti per «ITmpulso Aggiuntivo» durante il Legato e Tenuto forte. Né dobbiamo d’altro canto, perdere di vista la continua reggenza del braccio, occorrente in tutti gli Staccati, anche se ci succede, in aggiunta, dì adopra­ re quei totali ma momentanei rilasciamenti del braccio, per rendere forte Io Staccato. Insomma non dob­ biamo permettere che tali momentanei rilasciamenti del braccio, alterino l’idea di continuità di reggenza del braccio richiesta per lo Staccato — una continuità rotta solo durante la breve vita dell’«Impulso Ag­ giuntivo». Ciò è trattato ampiamente nei Cap. XV e XVII. 4 Queste differenze sono infatti molto più distinte e radicali, se le consideriamo muscolarmente, che non lo siano quelle differenze (a) nel mero movimento, chiamate rispettivamente tocco di Dito, di Mano e di Braccio, che colpiscono tanto facilmente l’occhio; e le differenze (b) di Durata (Legato e Staccato) che sorgono dalle due forme opposte di Giacenza. 5 Eccettuando sempre l’unico esempio del Tocco di peso ppp quando Giacenza e Impulso Aggiuntivo sono sinonimi.

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e deve quindi considerarsi sempre, come una forma d’“Impulso Aggiunti­ vo”. In questa sua qualità d’“Impulso Aggiuntivo” deve perciò smettere di esistere come tale, non appena esce quel dato suono.67 § 4. Staccato e Legato, parimenti applicabili alle tre Specie. — È eviden­ te, che queste tre specie di Impulso Aggiuntivo, possono essere di Staccato, oppure di Tenuto o di Legato. Saranno Staccato, se adopriamo in unione con esso, la forma più lieve di Giacenza — poiché i tasti saranno in questo caso liberi di rimbalzare, basta però di regolar sempre con esattezza la smes­ sa di questo Impulso Aggiuntivo. Le medesime formazioni di tocco saranno invece Tenuto, se adopriamo una forma un tantino più greve di Giacenza. Sarà poi Legato, se trapasseremo tale Giacenza di Tenuto da una nota al­ l’altra (Vedi Cap. XV e XVIecc.)J Staccato, tanto quanto Legato, può inoltre, qual possa esserne la Specie, appartenere al tipo oprante “all’innanzi” o “all’ingiù” a seconda dell’attitu­ dine del dito, se piatta o ricurva.8 Poiché è in nostro potere altresì la scelta di uno Staccato, sia “passivo” o sia “attivo” — difatti possiamo passivamente permettere il rimbalzo del tasto, ma, possiamo altresì aiutare questo fatto in modo attivo, con una leggera risospinta (una “pedatina”), basata come pun­ to d’appoggio sul listello sotto-tasti. Questa forma attiva naturalmente rie­ sce, come suono, più incisiva. § 5. Per scendere a maggiori particolarità verremo considerando ciascuna di queste tre forme di combinazione muscolare separatamente, ponendole in ordine a rovescio. La Terza Specie di formazione del Tocco. — Forza del Dito e Forza della Mano, nonché Peso di Braccio rilasciato: — Dato che in questo

caso tutti e tre i fattori muscolari sono adoprati avverso il tasto, durante la sua scesa, questa Specie ci offre la scelta di tutte le varietà possibili sia di quantità che di qualità di suono9 — includendo le estreme antitesi dal Forte

6 Si vede di nuovo, quanto sia importante distinguere tra l’atto che ci fa aggiungere energia al tasto per metterlo in moto, e l’altro atto: quello della Giacenza, che esiste contemporaneamente e indipendente­ mente da tale Impulso Aggiuntivo. 7 Qui dobbiamo nuovamente insistere, affinché lo studente non perda mai di vista il fatto, che i nostri impulsi determinanti suono, devono sempre smettere altrettanto a puntino, come nello Staccatissimo più estremo, anche se il passaggio è di Tenuto o di Legato, dipendendo ciò dall’uso della seconda o più greve forma di Giacenza; avendo così sempre in vista la natura «Ordito e Trama» di ogni Tocco — regola la cui unica eccezione è il tocco di trapasso ppp. Sarà anche istruttivo notare, che si può considerare il Legato dalla maggiore intensità di tale tocco ppp di trapasso, quale una combinazione dell’ultimo rassegnato tocco continuativo, con una serie di impulsi acceleranti i tasti, staccatissimi per se stessi, riguardo alla loro durata, ma che possono prendere la forma di qualsiasi di queste tre specie di attacco al tasto in questione e delie loro Varietà; poiché la coesistenza di un Peso continuo trapassato, trasformerà questi Impulsi Aggiuntivi, eseguili staccato (qualunque la loro Specie) in un effetto acustico di continuità. Insomma, non dimentichiamo, che il tocco di trapasso ppp è la Base che s’accompagna con tutti i Legati naturali, e che sottostà (come elemento che forma il legato), ai più forti legati; e che la potenza del forte deve provenire unicamente da un atto muscolare, il quale ulti­ mo, aggiunto a tale tocco di trapasso, è un atto ben definito, preciso, ma fuggevole sempre, quanto lo può essere, fuggevole, per suoni di brevissima durata. 8 Per ulteriori particolari su tali maniere varie di abbandonare i tasti nello Staccato, vedi la Parte IV. 9 Vedi Cap. XVII, §§ 10, 12.

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al Piano, dai Tocchi muscolari ai Tocchi di Peso, o dai Tocchi di Passi di Bravura ai Tocchi di Melodia. § 6. Per la medesima ragione;1011 consegue che possiamo, producendo una delle varietà di questa Specie, adoprare a scelta movimenti, oppure del Brac­ cio, o della Mano o del Dito; vale a dire la specie di cui parliamo può a no­ stro piacimento assumere la forma o del Tocco di Braccio, o di Mano (Azio­ ne di Polso), o di Dito.11 § 7. Questa Specie però ha questo svantaggio: che la celerità effettiva o transito traverso la tastiera — l’Agilità, insomma, è considerevolmente im­ pedita e circoscritta. La causa, dobbiamo ricordarlo, va attribuita al fatto, che il Peso del Braccio (adoperato momentaneamente) dev’essere rifornito ad ogni singola scesa del tasto, e deve smettere ogni volta che il suono vien fuori — se no il passaggio verrebbe eseguito in modo “sforzato” e ne risulte­ rebbe un suono diversissimo da quello di nostra intenzione. E dobbiamo an­ cora rammentare, che l’alternato abbandono e susseguente “ripresa” del braccio, richiede un certo tempo ad effettuarsi, e che non possiamo di conse­ guenza servirci di questa terza Specie, con tutte le sue piene possibilità sono­ re, al di là della celerità compatibile colle alternative continuate di tali oppo­ ste condizionature dell’Omero.12 § 8. Mentre questa forma di combinazione muscolare è la sola utilizzabi­ le, quando la celerità richiesta non eccede un’andatura relativamente lenta, essa è d’altronde la sola forma che ci permette di ottenere la piena misura di buona sonorità, in rapporto alle individuali nostre doti fisiche; poiché dessa sola ci permette di porre in opra per intiero il peso del nostro braccio abban­ donato, della nostra spalla come respingente o base di reazione, alla riso­ spinta, per le operazioni del dito e della mano avverso il tasto, durante la co­ stui scesa.13

10 Cioè per la ragione, che tutti e tre i fattori muscolari cooperano in questo caso, a indurre la scesa del tasto. 11 In aggiunta è utilizzabile il Tocco di Rotazione dell’Avambraccio. 12 Per dirla alla svelta: la Celerità od Agilità è qui assolutamente limitata dal grado di rapidità col quale Vabbandono del braccio e la conseguente riattività dei muscoli reggitori del braccio possono essere reite­ rati. Alcuni dei passaggi a Diteggio di Beethoven, di carattere il più largo, sono ad es. tuttavia troppo ce­ leri, da dover far rinunziare alla voglia di considerarli come trattabili con questa specie di Formazione di Tocco — presa beninteso sotto il costei aspetto di Movimento di Dito. Ne segue pure che un’interpreta­ zione degna di tali passaggi (naturalmente desiderata dal compositore) deve per forza riuscire impossibile al pianista, il cui Repertorio di Tocchi, — o Tavolozza di suoni, — non comprenda questa forma speciale di Manipolazione del Tasto. Vedansi anche le osservazioni sulla terza e seconda Specie, riguardo a Bee­ thoven, le quali si trovano nella Nota XVII, Appendice di questa parte «Su alcune forme eccezionali di Legato e Staccato». 13 Non sarà male il richiamare per Venn esima volta, che qui discutiamo d’«Impulso Aggiuntivo». La condizionatura del braccio, sopra descritta, non preclude tuttavia una leggera (e continuativa) modifica­ zione di essa, per indurre la forma di «Giacenza» necessaria rispettivamente per il Tenuto, il Legato o per lo Staccato. Per la Giacenza del Legato, il braccio non sarebbe pienamente «auto-sostenuto», mentre per lo staccato, sarebbe ampiamente auto-sostenuto per quanto concerne la «Giacenza» — ma questo stato continuativo di reggimento lieve o più greve, non altera la questione generale della condizionatura del braccio, in rapporto all’impulso Aggiuntivo necessario per produrre il Suono. Rileggere, sarà utile, la Nota del § 2, pag. 275.

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§ 9. Mentre la III Specie ci offre così l’opportunità di ottenere le sonorità più poderose, questa combinazione può con eguale facilità essere adoprata per ottenere suoni di minore intensità. Perché possiamo servirci di questa combinazione (Abbandono del Braccio con attività di Dito e Mano), in una misura così delicata — può essere ridotta a così tenui proporzioni — che l’ef­ fetto totale sul tasto, non eccede per nulla quel poco, necessario per sbilan­ ciarlo a lieve scesa, ottenendo in tal modo il vero pp di Tocco di Peso; basta però si ponga mente ad eliminare qualsiasi Iniziativa di Dito e di Mano.14 § 10. La ragione, per cui questa specie di formazione di tocco, ci permette tutte le possibili varietà di qualità sonore, risiede, come già dicemmo, nel fatto, che soltanto qui possiamo servirci delle due forme di tocco che così chiaramente si contrastano, dette rispettivamente Tocco di Peso e Tocco Muscolare. Già fu detto che questa combinazione comprende l’allentamento del Braccio ed Eserzione Muscolare di Mano e Dito, e che possiamo iniziare il complesso dell’operazione, avverso i tasti, a scelta in due maniere — rive­ dasi il Capitolo XVII, § 10, ecc. — vale a dire, che possiamo valerci direttamente “prima” di uno dei due elementi coagenti — o l’elemento peso o l’ele­ mento eserzione, mentre che l’elemento rimanente risponderà all’appello dell’iniziatore, prontamente da sé, in forma automatica. Nel primo caso —

H Rammentiamolo: questo assoluto pp, sia nella sua forma di Tenuto come in quella di Legato (tocco «passante» o di «trapasso») è inoltre Tunica eccezione alla regola che «tutti gli impulsi producenti suono devono smettere al momento della fuoruscita del suono» perché fa mestieri, in questo solo caso, seguitare a mantenere sul basamento del tasto, il famoso listello felpato, il Peso adoperato per sbilanciare il tasto a lieve scesa, per lieve suono. La natura del Glissando. — Questo è il posto per indicare che il Glissando non è che un’altra e magaripiù semplice forma di questo stesso «Tocco di Peso trapassato». In questo caso il peso che deve sbilancia­ re il tasto è applicato a mezzo del dorso (unghia) di un dito; e il peso, non appena raggiunto il listello-base-sottotasto del primo tasto e provocato il suono, viene, il Peso, trapassato lungo la tastiera con un mo­ vimento orizzontale del braccio. Il Glissando richiede che una falange o più, del dito (o dita) impiegato, siano lasciate in una condizione leggermente elastica, tanto da abilitare quella porzione del dito, ad agire come la parte di una ruota dentata a molla sgranante, quando il lieve peso sovrastante è trascinato per la tastiera. La falange o le falangi in questione devono essere tese quanto basti per reggere il Peso in azione, senza portare l'unghia in modo troppo piatto sui tasti. Perché fin che l’unghia non sarà abbastanza verti­ cale da formare all’incirca un angolo acuto col tasto, noi potremo vincere la resistenza dei tasti successivi come può vincerla una specie di cuneo. Ma la tensione del dito non deve però essere tanto grande. Troppa tensione, o la più leggera forza del braccio, premerebbero inevitabilmente le dita contro il listello sotto­ tasti. 11 Glissando è quindi identico al tocco di trapasso di peso pp; apre una via molto istruttiva ed agevole, per mezzo della quale possiamo acquistare quest’ultimo tocco tanto necessario; l’unica differenza sta in ciò, che in quest’ultimo caso il trapasso deve effettuarsi per mezzo di una seguenza di dita, al posto di uno solo, adoperato qual ruota dentata. I crescendi, di natura limitata, sono praticabili sia nel Glissando che nel tocco di trapasso ppp. col lasciar intervenire lievi aumenti nella Giacenza, come nel peso trapassato — un peso continuativo, dobbiamo rammentarlo, in questo unico caso, senza verun Impulso Aggiuntivo. Ma tali accrescimenti nel peso continuo giacente, devono essere lievi, e naturalmente accompagnarsi con aumenti proporzionatamente leggeri delle forze del dito e della mano dolcemente applicata. Una sottile variazione della II Specie, un ibridismo fra movimento di Mano e movimento di Dito, è ap­ plicabile a passaggi di ottave estremamente rapide, come nella coda dell’ultimo movimento della Sonata di Beethoven dedicata a Waldstein. Tali passaggi non possono facilmente eseguirsi in Glissando su piano­ forti moderni. Questo tocco ibrido dà però un effetto quasi identico. In esso, ogni movimento è ristretto quasi intieramente a un movimento delle dita — per l’affondare del tasto. Una Giacenza del Braccio, si­ mile ad un glissando straordinariamente lieve, permette la risalita dei tasti successivi, quasi come nel vero Glissando.

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iniziativa di Peso — abbiamo le condizioni creanti sonorità “cantabile”; mentre nel secondo caso avremo sonorità “brillante”.13 *15 §11. Intanto abbiamo la scelta di quell’influenza addizionale in fatto di Qualità, consistente nel contrasto tra le attitudini “piatta” e “ricurva” del di­ to; che accentuano le differenze rispettive tra la “piacenza” e la “brillantez­ za” del suono. § 12. La Seconda Specie di formazione di Tocco. — La forza del dito e QUELLA DELLA MANO DI CONTRO AL BRACCIO SÉ REGGENTE. — Allorquando occorre maggior Celerità di quella consentita dalla terza specie di Formazio­ ne di Tocco, dobbiamo sacrificare l’elemento abbandono del braccio (ovve­ ro peso), e non ci restano quindi più a disposizione che gli altri due fattori muscolari rimanenti (Eserzione di Mano e di Dito) per compiere il lavoro della depressione del tasto. Diamo così luogo alla Seconda Specie di forma­ zione del tocco. Il braccio in questo caso deve essere garbatamente retto dai proprii mu­ scoli, in modo elastico, punto rigido; cosicché esso braccio si libri, fluttuante per così dire, lungo la tastiera, recando seco la mano sciolta nonché le dita verso le note volute, che, una volta raggiunte, vengono depresse dall’azione combinata della Mano e del Dito.16 § 13. — Siccome ora non si tratta di peso,17 ne consegue che il suono può essere iniziato soltanto per via di eserzione muscolare (§ 10), e ciò quando si adopra questa formazione di tocco, e che la qualità di suono viene quindi ri­ stretta alle varietà incisive, brillanti, modificabili solo dai contrasti tra le at­ titudini del Dito “spingente” od “adesiva”. § 14. L’ammontare sonoro è anche molto più limitato che nella combina­ zione previamente descritta, poiché l’unica Base ora utilizzabile per il dito e la mano, agenti avverso (oppure da) essa base, è il braccio auto-reggente; e ciò implica un peso elasticamente sorretto; cioè un peso-base che non può offrire naturalmente una forte resistenza o fondamento.18 13 Ripetendo: Possiamo volere l’abbandono del sostegno del Braccio e permettere al Dito e alla Mano di agire unicamente in risposta al peso in tal modo reso libero, se la loro azione dovrà servire a far da leva con quel peso sul tasto, impedendo così che esso peso cada sotto il livello tastiera senza influire sul tasto. Oppure possiamo invece agire con Dito e Mano, e permettere alla sensazione di risospinta (provata alla Giuntura del Polso) di cagionare adeguato abbandono di peso Braccio, come in risposta, per prevenire qualunque perdita d’energia. 16 È caratteristico, suggestivo, parlando delle necessarie condizioni di stato del Polso, il dire che «la parte terminale della Mano, verso il polso (carpò) deve essere recata di qua e di là dal Braccio». Ed è insi­ to, naturale, che se «la parte terminale della mano, al polso» giacente (allentata) è retta e trasportata dal braccio, quest’ultimo, evidentemente è tenuto sorretto su dalla tastiera. 17 Cioè in altre parole: Non vi è nessuna inflessione muscolare (o mutamento) nel condizionamento del Braccio, inflessione che possa esser destinata ad ottenere la scesa del tasto o la produzione del suono. Ciò, tuttavia, ricordiamolo, non preclude quel lieve, ma continuativo allentamento nel reggimento del braccio, allentamento che ci dà il Tenuto ed il Legato. 18 Siccome la definizione adoperata potrebbe erroneamente far credere che il braccio sia talvolta in condizionamento non «elastico», è necessario ricordare il fatto, che un braccio garbatamente sorretto da sé si trova necessariamente in condizionatura elastica, per la natura elastica medesima dei muscoli e dei tendini. Il braccio auto-sorreggentesi è quindi «elastico» netàenso che trovandosi nella condizione statica d’equilibrio (quindi instabile), non può offrire che una menomata resistenza alla forza di risospinta (o reazione) provata dal dito e dalla mano nella loro azione avverso i tasti. Invece tutto il peso utilizzabile del braccio, offre una ben più solida base retrostante al dito e alla mano, quando abbandonatolo, il brac­ cio è lasciato non sorretto momentaneamente.

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§ 15. Dato che l’elemento-braccio non è adoprato, ne consegue che la scelta del movimento è limitata a quella della Mano e del Dito, e che in que­ sta Specie dobbiamo restringerci ai tocchi di Mano (“Polso”) e di Dito. § 16. V’è però un compenso: possiamo in questo caso “camminare sul ter­ reno” molto più alla svelta. Un grado di Agilità molto superiore ci si offre, basta che obbediamo alle regole ognora presenti in questa occasione: a) di sorreggere proprio il braccio (non permettendogli per nulla di influire sulla scesa del tasto per via di qualche variazione nel di lui condizionamento) e b) di badare alla regola di meticolosa cura nella smessa delle azioni muscolari, appuntino nel momento della fuoruscita del suono. Queste due regole (a: quella del Braccio sorretto; e b: quella della cura nella smessa) devono for­ mare, per così dire, la nostra stella polare, se vogliamo arrivare al porto del­ la vera Agilità e dello Staccato.19 § 17. La Prima Specie di formazione del Tocco. — La prima forma di combinazione muscolare, forza sola del dito, di contro a una mano conti­ nuamente rilasciata {a mano morta} sé reggente: — Allorquando un grado ancora maggiore di Agilità è richiesto, di quanto sia possibile raggiungere colla combinazione testé descritta, allora bisogna smettere anche l’eserzione di mano, e restringere qualunque attività, assolutamente al solo fattore mu­ scolare che ancor rimanga utilizzabile, — vale a dire all’eserzione all’ingiù di Dito. Il braccio non fa che librarsi fluttuante al di sopra della tastiera, e “reca di qua e di là la la terminazione, la desinenza della Mano (carpo) vicina al Pol­ so” parimenti come al caso della formazione di tocco considerata da ulti­ mo.20 La mano per se stessa ha da giacere passivamente sui tasti, ivi retta dalle dita, che devono individualmente praticare eserzione avverso i loro tasti, sia da una previa posizione elevata, o da una posizione elevata di meno, come si giudicherà conveniente. § 18. L’attività della mano, in questo caso, non interviene più, per tra­ smettere la forza di risospinta del dito dalla Nocca al Polso; il braccio 19 Ce n’è ancora un’altra, Regola, per il caso speciale di tocchi (ambedue) di Mano e di Dito a massima velocità, sopratutto se i medesimi tasti han da essere ripetuti: — non conviene che ipolpastrelli smettano di giacere a contatto «intimo» colla tastiera. I tasti hanno da rimbalzare con dita e mani, ecco tutto. I pol­ pastrelli — lunghesso il passo musicale — hanno da combaciare fermi, col tasto o colla superficie della ta­ stiera. (Per abilitarci a questo contatto senza ostacolare la leggerezza della «Giacenza» vedi la Nota 2 del § 26, pag. 194). Un’estrema rapidità, invero, nel caso del Tocco di Mano, è quasi impossibile, se si per­ mette che la mano venga effettivamente via dalla tastiera. Ci vuole del tempo a far ciò e incertezza ne ri­ sulta, perché è impossibile percepire di nuovo la resistenza del tasto sotto un tale seguito di «picchi» alle superficie dei tasti. La conseguenza di un tale errore, si è che si sentono i tasti «tentennare» «oscillare» su e giù sotto la mano durante la ripetizione. Tale sensazione nasce dal fatto che il tasto, abbandonato ex abrupto dà dei «su-e-gìù» prima di fermarsi — a meno che i polpastrelli, rimanendo a contatto, non si oppongano al tentennìo. Passi rapidissimi di Tocco di Mano, siano quasi Legato o proprio Staccato, de­ vono eseguirsi con i «polpastrelli appo i tasti » — causando un senso come di contatto continuo, poiché i diti rimangono sui loro tasti nel ripeterli e sgusciano dall’uno all’altro negli altri passaggi. 20 Dobbiamo nuovamente mettere in guardia il lettore di non lasciarsi confondere dalla lieve (ma conti­ nuativa) alternanza essendo questo, anche coll’alternanza, un pieno «auto sorreggi mento» del braccio, voluto per procurare il lieve, ma continuativo peso per il Tenuto ed il Legato naturale.

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elasticamente sorretto è, qui pure, nell’impossibilità di sopportare in qual­ siasi misura questa risospinta. Ora, siccome il puro peso della mano (solo utilizzabi­ le), è insignificante, ne segue, che le dita non possono avere gran che di base, per le loro operazioni avverso i tasti; quindi l’ammontare di suono ottenibile in tali circostanze non può essere che di veramente piccola portata, mentre la sua qualità deve, necessariamente, come nella seconda Specie appartenere al tipo più “incisivo” modificabile soltanto dalla differenza tra le attitudini “spingente” e quella “adesiva”.21 Passaggi da suonarsi abbastanza leggermente, da ammettere la Prima Specie, possono tuttavia contare su modifiche nella loro qualità sonora, adoperando la forma “legato” della Giacenza, in un con questa specie del­ l’impulso Aggiuntivo. Vuol dire, possiamo combinare con questa forma di Impulso Aggiuntivo (Specie I) la forma di Giacenza di “trapasso” (tocco di trasferimento); e siccome il complessivo ammontare sonoro di questa com­ binazione non è grande, otterremo così la tendenza sonora simpatica dell’in­ fluenza di Peso di quest’ultima; perché qui si farà rimarchevole da sé, data la minuscola somma sonora totale risultante dalla combinazione.22 § 19. D’altro canto, questa forma di combinazione, ci offre il grande van­ taggio di pervenire, mercè sua, a qualsiasi grado di Agilità anzi Velocità possibile da immaginarsi — sino al più elevato grado al quale sia possibile regolare il Ritmo a mezzo del nostro potere di “contare” automaticamente2324 ( Vedi Appendice alla Parte I: Nota II, “Sul Ritmo”). Per poter pervenire a tali baleni di velocità ci vuole l’obbedienza implicita alle due leggi previamente enunciate: a) esclusione assoluta di peso del Brac­ cio (e, naturalmente, qualunque altra forza di braccio o di corpo) e ogni atti­ vità della Mano; b) smessa dell’attività esertiva di cadun dito tanto svelta da permettere al tasto di rimbalzare. È inutile il “permettergli” di rialzarsi, biso­ gna “far sì” che possa rimbalzare ex abrupto.™ § 20. Ragioni determinanti la scelta, tra l’attitudine “piatta” e quella “ri­ curva” del dito. — Capito bene la differenza materiale vera e propria tra la terza Specie di formazione di tocco e le altre due Specie,25 capiremo pure più 21 In questa specie il suono non può realmente raggiungere la «robustezza», causa il minimo totale ammontare di sonorità utilizzabile e la qualità rimane puramente sottile. — I contrasti di qualità derivanti dall’attitudine «spingente» e da quella «adesiva» sono inoltre per la stessa ragione ridotti quasi a nulla per quanto concerne l’Orecchio, per quanto sia sempre bene lo avere a disposizione parimenti, entrambi i modi di attacco del dito. 22 Non c’è che il tocco «di trapasso» necessariamente piacente — perché è intieramente «iniziato per peso». Non c’è che la Specie di Impulso Aggiuntivo necessariamente «breve» (eccettuata la di lui modifi­ cazione per dito piatto) — essendo iniziata muscolarmente. Ma colle combinazioni di queste forme, rica­ viamo una certa filza di modificazioni sottili di sonorità, che risultano vantaggiosissime, perché utilizza­ bili sotto l’urgente stimolo della Velocità. 23 Questo tocco di velocità leggero, effimero, pur chiaro, è stato spesso descritto come «perlé» (Grani­ to, M.C.). 24 Un passo musicale, preso a gran velocità, prende l’aspetto, in conseguenza, per l’esecutore, come di una strìscia (trainée) di tanti tasti rimbalzanti all’insù, nella «scia» delle dita correnti a tutta carriera. Os­ serviamo pure che la forma di Giacenza richiesta, è quella dello staccato. 25 Cioè: assenza o presenza del Peso del Braccio.

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chiaramente, perché l’attitudine del dito “ricurvo” diventi inevitabile per certi passaggi, mentre quella del dito “piatto” c inevitabile per altri. Passaggi rapidi da essere suonati forte, brillantemente, vogliono dito “ricurvo”.24 *26 Ne capire­ mo il motivo se badiamo un momento, che “cosa” sia realmente “quello” che cagiona la differenza tra la posizione “spingente” e quella “adesiva” : la cagio­ ne non va cercata, come si potrebbe credere, nella totale diversità dell’azione muscolare delle dita in opra-. Anzi, tale diversità nell’azione, non è, essa mede­ sima, che un risultato. Si è la condizionatura dell’Omero quella che varia e che obbliga il dito ad oprare così differentemente. Ed ecco come: a) se l’Omero (Retrobraccio) tende a pendere abbandonato al momento della produzione sonora, il dito è costretto ad aderire (abbrancarsi) al tasto; mentre b) che se l’Omero non pende abbandonato, così rilasciato, esso è sorretto e guidato in una direzione più o meno decisamente tendente aW innanzi", ed il dito in questo nuovo caso è costretto ad un’azione di spinta. Ora sappiamo che ciò ha molta influenza sulla qualità del suono. Dobbiamo ora anche capire, come qui stia il motivo pel quale dobbiamo scegliere il dito “ricurvo” se vogliamo essere liberi di correre di carriera per la tastiera, suonando forte. E, che non appena per­ mettiamo all’ Omero di abbandonarsi, di rilasciarsi, subito abbiamo la terza Specie, la quale, abbiamo imparato, non permette che la velocità ad un grado molto limitato — per via del Peso che va caso per caso rilasciato per ogni nota forte, se no graverebbe continuamente sul listello base dei tasti con risultato disastroso.27 Ora, siccome non possiamo individualizzare il rilascio del peso al di là d’un certo limite di velocità, siamo costretti, a celerità maggiori, di reggerel’Ome­ ro, e con ciò si costringe immediatamente il dito ad assumere la sua azione spingente, e anche (il che dev’essere) con attitudine molto ricurva. Non solo, ma se commettessimo l’errore di adoperare il dito piatto (o adesivo) con sfor­ zo, mentre sorreggiamo il braccio (si tratta quindi della2a Specie), tale azione forzata del dito tenderebbe dopo tutto a riportare di strascinata, all’innanzi, il peso dell’omero sulla tastiera, collo stesso effetto di costrizione come sopra accennato. È facile capire, come dito adesivo, menando alla gradualità nell’at­ tacco del tasto, ciò renderà nella stessa misura più difficile la pronta smessa d’azione. Effetti di sonorità piacente sono d’altra parte impossibili, fuorché con la posizione adesiva, e questa va adoprata malgrado i suoi svantaggi, rispetto al­ l’ammontare sonoro, se presa a moto celere.28 24 Molti dei passi più rapidi di Beethoven han da essere suonati a «dito ricurvo». Per esempio, il passo che s’inizia colla 52a battuta del primo movimento dell’«Appassionata» vuole tutte le note non accentate a dito «ricurvo» e seconda Specie di tocco, mentre per le note accentate ci vuole l’aggiunta dell’elemento brac­ cio nella sua varietà «all ’innanzi». 27 Eccetto quando il Peso viene adoprato in modo continuativo, come può succedere per passi molto deli­ cati — nella forma di tocco a traslazione di peso (Tocco di trapasso). 28 Molti passi di Chopin vogliono infatti il dito «piatto». E anche probabile che Chopin stesso non abbia mai inteso il dito «ricurvo» — d ’ onde probabilmente la di lui supposta «debolezza» sul podio del concertista — nei passaggi/erte a diteggio. D’altro canto, il tentativo di suonare alcuni dei suoi più vigorosi passaggi col dito «piatto» su d’un pianoforte moderno, renderebbe questi oscuri ed incerti. Tra le corna di un tale dilem­ ma, tutto quello che possiamo fare per tali passaggi, è di servirci di una tecnica probabilmente non prevista od intesa dal compositore (il dito «ricurvo»)—perché altrimenti non si otterrebbero i contrasti ed i klimax> i fastigi eh ’ egli indubbiamente sentiva ed intendeva sopra ogni altra cosa ( K Nota al § 25).

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§ 21. I “Nulla osta” all’Agilità. — Qui è utile riassumere una volta ancora la vera natura delle difficoltà muscolari da superare, se vogliamo esser maestri e donni dell’Agilita assoluta: a) Dobbiamo saper adoprare la seconda Specie di formazione del Tocco, il che vuol semplicemente dire che dobbiamo saper ap­ plicare la forza di “Mano-e-Dito” avverso il tasto (con violenza se occorre) pur tuttavia senza mescolar eserzione veruna di braccio all’ingiù. b) Per le velocità massime dobbiamo saper servirci dellaprima Specie di formazione del tocco, e dobbiamo di conseguenza essere capaci di far distinzione altresì fra l’impiego della forza del solo Dito all’ingiù (senza forza di mano) e l’impiego della forza all’ingiù della Mano, da lei sola, cosicché sappiamo servirci dell’una forza con l’esclusione dell’altra e viceversa.29 c) Dobbiamo inoltre saper adoprare en­ trambe queste due Specie nell’attitudine “ricurva” (o spingente) del dito colla concomitante condizionatura dell’Omero, d) Intanto la nostra attenzione alle serie degli accenti inizianti nel fraseggio, deve sempre ed ognorasempre stare all’erta, in modo da poter riuscire a guidar bene le eserzioni e smesse di Dito-eMano ai momenti precisi delle fuoruscite di suono.. .30 Le determinazioni tem­ pestive delle “smesse”, rammentiamolo, non vanno volute, a nota per nota, nel caso di grande Agilità, bensì invece a gruppi Ritmici, e come una generale (ma precisa) impressione o realizzazione dell’affondatura della tastiera.31 Alla svelta: possiamo dire che l’Agilità dipende: in primo luogo dalla

29 In tale tocco (di Dito) ogni sensazione di attività o di eserzione (si direbbe) non venga da più in su della nocca. Se la sensazione dell’eserzione viene a raggiungere la terminazione della mano alla giuntura del pol­ so, al disotto, in quell’attimo medesimo ogni estrema agilità va a farsi benedire — perché? — perché allora lasciamo entrare in iscena, ci serviamo della Mano — ed invece di metter in atto, come sarebbe nostra inten­ zione, la 1a Specie, ci serviamo, nolenti, probabilmente della 2a. Vedi la II e HI Tavola delle discriminazioni muscolari, Cap. XVIL 30 II vero ci si farà più evidente ora. Capiremo adunque, come per l’estrema agilità, il tasto va trattato a modo di puro Staccato. L’Orecchio, è vero, a cagione dell’estrema velocità, non può percepire verun senso di Staccato, poiché gli «smorzatori» dello strumento non possono cadere abbastanza prontamente, sì che possiamo rencerci conto di un’effettiva separazione tra i suoni, manifestantisi in una successione così stret­ ta. Esercitandosi lentamente in tali passaggi, è perciò inutile studiarli in Legato, dappoiché il raggiungimen­ to della velocità voluta dipende cotanto materialmente dall’esattezza della loro produzione in forma stac­ cata. L’esecuzione, alle volte, può prendere anche la forma di successioni di leggere «risospinte (pedatine) al1 ’ insù» fondate come appoggio sul listello base dei tasti, come già accennammo nella Nota XVII, Appendice di questa Parte. Ma in questo caso, bisogna stare attenti, di non permettere assolutamente a peso continuati­ vo veruno, tanto cornea nessuna pressione continua, di raggiungere la precitata base sotto tasti, se no, i tasti non potranno rimbalzare e la nostra «corsa a gran carriera» andrebbe a... passo di lumaca. Inseminala Gia­ cenza è tutta alla superfìcie della tastiera. Simili passi a sbalzi, come dicemmo, sono proprio compagni alle corse fatte colle gambe; poiché il lieve e continuativo peso adoprato (quello della mano, ecc.) è per così dire tenuto librantesi per aria (ovvero alla superficie della tastiera) dalle rapide reiterazioni delle «pedatine» (ri­ sospinte) applicate alla base sotto tasti. Nella II Specie possiamo tuttavia permetterci un «pezzettino» di allentamento continuativo del braccio retrostante al dito e alla mano, basta che il passo vada aforte in pieno e abbastanza svelto, ma tuttavia non troppo. Perché, la «pedalina» combinata, della mano e del dito, sarà qui abbastanza di forza per resistere anche a tale addizionale peso continuativo, e potrà effettivamente opporsi ad un suo raggiungimento della base sotto tasti. Questo lieve extrapeso mentre non avrà alcun male effetto sulla Tecnica, purché sia mante­ nuto e trasportato convenientemente alla superficie della tastiera, rialzerà le nostre possibilità dì suono in questa specie di passi, a causa delI’extra-Base così procacciata, per le vigorose, ma brevi azioni del Dito e della Mano contro il Tasto durante la scesa. 31 Vedi Nota al § 7del Capitolo X V.

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nostra padronanza nel saperci esimere da, daiV eliminare, forza fattiva e peso del braccio, sia adoprando le dita da sole, o le dita e la mano congiuntamente per la scesa del tasto; e che essa Agilità dipende, in secondo luogo, dalla preci­ sione nella smessa della forza adoprata.32 § 22. Discriminazione muscolare va insegnata e praticata sistematicamen­ te. — Si capisce ora sempre più, che l’Agilità per se stessa, quanto la facoltà di ottenere particolari e svariate Qualità, nonché Ammontari di Suono a piacer nostro, tutto ciò, diciamo, dipende, dopotutto, da conscia od inconscia discri­ minazione delle Cause Muscolari producenti gli effetti; rinforzandosi così l’argomento: che un insegnamento sistematico, nonché l’acquisizione siste­ matica di tali Discriminazioni Muscolari, debbono segnare la prima fase dello studio e della esercitazione, per chi vuole imparare a suonare. Tali esercitazio­ ni sulle discriminazioni, infatti, formano il solo modo logico, naturale e diret­ to per acquisire la base di una buona Tecnica.33 § 23. Direttive generali circa la scelta della Formazione del Tocco. — Ora saremo anche in grado di capire, per qual motivo, nella nostra scelta tra queste tre Specie di Formazione del Tocco, si debba ritenere nella mente (conscia­ mente od inconsciamente) gli svariati vantaggi e scapiti di ognuna di esse Spe­ cie, e che il grado di celerità, e la qualità del suono e l’ammontare di esso qual richiesti, sono le influenze determinanti in questa scelta.34 Aggiungiamo ora alcuni larghi principi generali di applicazione, di guida, 32 È bene assodare ora, che è un inconscio allentamento, rilascio, del Peso del Braccio, quello che, tante volte, manda alla malora e la nostra Agilità, e il nostro Staccato, non solo, ma benanco il nostro Pianissimo. Pensandoci su un pochino, si capisce, che il dover tener sospeso per aria al disopra dei tasti il gravepeso del braccio (come va fatto per tali Tocchi), invece di lasciarlo giacere (puntellato) sulla base sotto tasti, è pro­ prio un affare serio, e stanca molto se si seguita per un po’ di tempo. Quindi, il braccio si stracca, e, giù, sia­ mo spinti senza pensarci a lasciarlo allentare più o meno sui tasti — e poi, salta fuori la meraviglia, del che le dita siano rattrappite e lasse! Un esperimento da farsi: Tenere le braccia tese di fronte (via dalla tastiera) per un tempo notevole. Non ci vorrà un pezzo a «toccar con mano» (!) se ci sia o no insidia alla tecnica. 33 Ci sia ora permesso di dire quanto patente sia l’assurdità (delittuosa assurdità, lo si può dire, una volta capiti questi fatti) di sottomettere ad Esercizi, Studi, Pezzi Tecnici, studenti, sien vecchi sien giovani, senza prima somministrare loro quelle direttive, assolutamente necessarie, concernenti le abitudini, che ì medesi­ mi devonoformarsrPER mezzo di questa Pratica Muscolare, coil’insistere poi sull’attenzione da prestar­ si a tali direttive, durante la Pratica. Senza tali direttive il malcapitato studente (se è coscienzioso) cercherà di imparare «in qualche modo» a suonare le note di tali Esercizi, ecc.... e potrà esser certo (il disgraziato) di «regalarsi» una smisurata congerie di pessime abitudini muscolari, per distruggere le quali avrà poi bisogno della più grande forza dì volontà, di perseveranza e d’entusiasmo. 34 Non tenendo costantemente presenti questi fatti, ci esporremo a commettere errori nel giudicare, errori che ci precluderanno la via per ottenere debita espressione del nostro sentimento musicale, e saranno la ca­ gione per la quale suoneremo fuori ritmo, poiché i movimenti sulla tastiera saranno sempre attraversati da ostacoli immaginari. Si darà il caso, p. es., che vorremo suonare un passaggio di agilità con la III Specie, il che naturalmente avrà per effetto di rendere tale passaggio straordinariamente faticoso e magari impossibile da suonare. — Oppure, desiderando di suonare un passo in forte, adopreremo (non conoscendo distinzioni) la I Specie, e incolperemo del nostro insuccesso una supposta «mancanza di forza», ecc., la quale non ci permette di otte­ nere altra sonorità all’infuori di quella (digitale) esile e lieve! — Od anche, può darsi che ci occorra un suono pieno e cantabile, ma non sapendo qual sia la precisa condizionatura muscolare, senza la quale tal suono cantabile non può essere ottenuto, sceglieremo la II Specie e con questa non potremo ottenere che un suono brillante ed incisivo ! — Potrà poi darsi che si scelga la buona Specie, la III — e tuttavia non riuscire ad otte­ nere un vero cantabile, perché? — per non esser partiti coll’ iniziativa da parte del Peso, coadiuvato dall’atti­ tudine di dito piatto, «adesivo»!

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per lo studente, per esser difficile, sulle prime, di valersi del criterio proprio, individuale, su questi punti: § 24. Per i passi di Agilità, dobbiamo capire che si è limitati alle Specie I e II, eper i forti all’uso del dito “ricurvo” in queste due Specie.35 Quando la celerità è grande, ma non troppo eccessiva, possiamo adoprare la II Specie. In questo caso abbiamo a nostra disposizione i vantaggi ch’essa procura coll’ampiezza del suono; ma per velocità di gran carriera non pos­ siamo servirci nemmeno della II Specie, e siamo ridotti alla I Specie, con le sue possibilità estremamente ristrette nella cerchia delle sonorità.36 Le qualità di suono nell’una e nell’altra di queste Specie si può però variare lievemente, per mezzo dei contrasti tra l’attitudine Spingente del dito e quella Adesiva. § 25. Per passi di suono pieno, — sonorità di pieno ammontare e fitto, non­ ché per suoni di non grande ammontare, ma fitti e nutriti quanto a qualità — siamo ristretti alla III Specie. Ma bisogna ricordare, come già vi abbiamo insi­ stito, che questa Specie è utilizzabile solo fino ad una celerità molto limitata. AI di là di tale celerità, il suono realmente pieno riesce una impossibilità fisica, e se tentiamo ugualmente di applicare le sue condizioni muscolari oltre questi limiti di celerità, troviamo che tali passi diventano subito “difficili” e laborio­ si , se non interamente “forzati” e confusi. Tutti i passi cantabili vanno eseguiti con questa Specie. Il dito ricurvo può essere adoprato per i passi inforte, di suono però più incisivo; ma se si vuole od occorre un vero cantabile, dobbiamo ricorrere almeno alla form a dell’ Iniziati­ va da parte del peso, di questa Specie. Inoltre se si vuol con sicurezza il vero duttile cantabile, quale Chopin esige quasi sempre per il suo materiale di carat­ tere melodico, dobbiamo, in aggiunta all’iniziativa del Peso, preoccuparci d’ottenere la cooperazione di quella condizionatura pienamente elastica del Dito, della Mano e dell’Omero, implicita nell’attitudine del dito “adesivo”.37

35 Per l’agilità, siamo limitati a queste due Specie, eccettuato il caso dei passaggi in dolcezza di Tenuto e Legato, quando quel tocco eccezionale, il tocco «dìpassata» (o tocco di Trapasso) è pure utilizzabile nelle condizioni di piena agilità ( Vedi il §9 e la sua Nota). Questa forma eccezionale di Tocco è già stata frequen­ temente menzionata quale solo vero tocco ppp. Siccome nella sua forma di «trapasso» è perfettamente adat­ ta per passi d’Agilità, la troveremo spesso conveniente per tanti ricami arabescati di Chopin, ecc. 36 Dobbiamo inoltre ricordare bene che il lieve Peso continuativo richiesto per indurre il Legato, non deve essere adoprato quando occorrono gli estremi dell’Agilità, resi possibili in queste due Specie. Anche questo lieve peso risulterà d’ingombro e diminuirà il nostro potere di Agilità. Come già insistemmo nella 2a nota al § 21 la tecnica di esecuzione dell’estrema Agilità deve essere di reale Staccato nell’esecuzione, benché all’orecchio i suoni vengano stemperandosi in una successione ininter­ rotta. 37 Se l’esecutore non ha questo cantabile, assolutamente, pienamente «simpatico» «piacente» nella sua tavolozza, fa vandalismo da ilota, tentando, puta caso, di suonare Chopin. Lasciate ogni speranza di poter giungere a suonare Chopin, finché, o esecutori, non siete capaci di rendere tutte le sfumature dell’attacco simpatico (non inopinato) al tasto — tanto bene nello Staccato come nel Legato — Pianissimo e Forte. Sono vere pene d’inferno, che si provano, nel dover assistere a certi concerti, nei quali il povero Chopin viene mas­ sacrato da certi scalcinati modi di suonare di... Artisti, che lo sono solo, in quanto eglino credono di esserlo! Vedi pure la 2 a Nota al §20, pag. 190.

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§ 26. Come già indicammo nel § 4,38 tutte e tre le Specie di formazione del tocco sono ugualmente utilizzabili tanto nello Staccalo che nel Legato; la dif­ ferenza dipende unicamente da quella, tra le due forme di Giacenza, che ac­ compagna queste forme di Impulso Aggiuntivo. Dobbiamo, però, rammentare bene che la Giacenza deve rimanere allasuperficie-tastiera in tutti i passaggi di molta agilità; quantunque, a tale velocità, l’effetto di Staccato non si percepisca. § 27. Va notato altresì, che tutte e tre le alternative del movimento (tocco di Braccio, di Mano e di Dito) sono utilizzabili nella III Specie; mentre nella II Specie abbiamo soltanto due di queste alternative, — i tocchi di mano e di dito —mentre da ultimo la I Specie può solamente esibire il movimento del dito. § 28. La questione dell’Ordine di Acquisizione nello Studio. — In quanto all’ordine nel quale conviene imparare i vari tocchi; si trova generalmente più facile e comodo acquisire le combinazioni muscolari della III Specie, dap­ prima come Movimento del Braccio, applicandole ad accordi semplici ed a no­ te; quindi procedendo all’acquisto degli stessi effetti tonali e muscolari, sotto la loro forma di Tocco di Dito; e finalmente sotto la loro forma di Movimento di Mano. La II Specie, di contro, s’impara meglio principiando dal Movimento di Mano. Quando la formazione del tocco è padroneggiata appieno, riesce facile sostituire il Movimento di dito a quello di Mano imparato prima.39 § 29. Anche in questi casi però va lasciato molto all’inclinazione individua­ le — l’essenziale è imparare per prima cosa ciò che si trova, sul momento, me­ no oscuro. La regola medesima serve, in una certa misura, nello stabilire se convenga acquisire prima i Tocchi Pianistici o i Tocchi Cantabili. Personalmente ritengo il Tocco Cantabile essere il primo passo da iniziarsi per molti. Nella sua forma molto dolce è, muscolarmente parlando, il più sem­ plice di tutti. Ed una volta capita bene l’importante verità che un suono può fa­ cilmente esser prodotto dal semplice “Rilasciamento”, diverrà relativamente facile imparare in conseguenza a reggere il braccio nella produzione sonora. Ma per quanto ciò sembri il partito logico, tuttavia, come insegnanti, dovendo plasmare creature umane, il solo modo di agire con esse, specialmente nei pri­ mi stadii dell’età, è quello di afferrare l’opportunità offertaci da qualsiasi bar­ lume d’intelligenza o d’attitudine fisica per un dato qualunque, e d’iniziare l’intera serie dell’insegnamento del tocco da quel punto di vantaggio.40 S8 Vedipure la seconda Nota del § 2 l,pag. 192. ” La forma di Movimento di Dito di questa Specie può infatti essere descritta come consistente in Tocco di mano («Azione del Polso») senza Movimento di Mano; poiché l’attività, individualizzata, provvista dal­ la mano, retrostante ad ogni dito, indurrebbe infatti a Movimento di Mano, se quest’ultimaattività eccedes­ se l’attività del dito, adoprata in quel momento, — come sarebbe il caso volendo tocco di dito. Probabil­ mente fu questa combinazione di tocco, la quale inconsciamente suggerì a Chopin esser desiderabile, conve­ niente «praticare» passi di diteggio con «tocco di polso». È vantaggioso, indubbiamente, servirsene, quan­ do si ha di mira la II Specie, nella sua forma di Tocco di Dito. 40 Ogni essere umano differisce più o meno dai suoi simili, dobbiamo quindi innestare la lieve punta del cuneo del Sapere colà, dove la cotenna dell’inscienza è meno fitta. Pretendere di stabilir leggi procedurali in materia simile è pazzia degna soltanto di un Militarismo esagerato.

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§ 30. Cautela necessaria nello studio delle condizioni muscolari. La Musi­ ca, a mezzo del moto del tasto, scopo supremo da tener sempre in vista. — Sarà

bene, ora, rammentare sia allo Studente, sia al Maestro, che dobbiamo star at­ tenti, pur sforzandoci di acquisire le necessarie facilità muscolari, di non scor­ dare intanto di servirci del tasto, e così in definitiva di non scordare lo scopo vero di tale facilità muscolare — il Risultato Musicale! Vale a dire, che negli sforzi d’adoprare i mezzi muscolari corretti i quali ci pongono in grado di otte­ nere ogni suono richiesto, dobbiamo sempre sforzarci nel cercare di far tende­ re tali operazioni muscolari unicamente per la produzione sonora a mezzo del Tasto ; dirigendole non solo verso un suono, ma verso la qualità di suono volu­ ta, e, sopratutto, al tempuscolo (atomo di tempo) definito e prestabilito per l’i­ nizio del Suono medesimo, — insomma il nostro Scopo ultimo: musica, musi­ ca, musica e sempre MUSICA! Intanto rammentiamo, che soltanto per mezzo di questo fermo proposito nel Tempo tutto ciò potrà compiersi; Proposito, nel Tempo; Tempo quale mèta è fatto tanto inseparabile dall’Atto della Produ­ zione sonora, quanto lo è dalla Musica medesima, se vi ha da essere un succes­ so; rammentiamo altresì, che il nostro Concetto del Lavoro Musicale può ve­ nir “tradotto” in Esecuzione, soltanto coi mezzi che agguantare” e il “gher­ mire” — tale precisione del Tempo ci offre.41 Rammentare quindi altresì costantemente l’importanza dell’ascoltare con vivida attenzione l’inizio d’ogni suono (il momento nel quale il silenzio “diven­ ta suono”), in modo da poter dirigere a puntino il culminare di ogni muscolare azione corretta e la sua pronta smessa; badando che questo culminare e smet­ tere dell’operazione muscolare avverso il tasto, esattamente diretti, siano as­ solutamente sincroni con un momento scelto (consapevolmente o no) nel tem­ po e nel suono.42 Inoltre, è necessario insistere sul fatto, che questa regola si applica con forza uguale, quando ci applichiamo allo studio di semplici suoni od accordi, ad essi medesimi, suoni ed accordi semplici, lungo il processo d’apprendimento del­ l’arte della produzione del suono; poiché è ugualmente indispensabile per noi, studiando, lo avere in mente un definito “momento” del Tempo,—al quale di­ rigere il culmine della celerità di ogni scesa del tasto ; se no ci formeremo cattive abitudini di attenzione.

Ricapitolazione. a) Abbiamo imparato43 che i tre fattori muscolari utilizzabili (forza del Di­ to , forza della Mano e peso del Braccio, con i costui cooperatori) possono essere 41 Partei, Cap. V. 42 Insomma, ricordare sempre la regola enunciata nella Parte I, che cioè bisogna ascoltare esternamente e interiormente ogni principio di suono, affinché esso possa nascere in istretta risposta al «posto» immaginato nel Tempo e nel Suono, dettato dal nostro intelletto musicale e dal sentimento. Poichéèsolo con questo mez­ zo — con l’accuratezza del Ritmo, che possiamo rendere evidente nella nostra esecuzione l’esattezza del pro­ posito assunto; — solo in questo modo il nostro suono può diventare «vivente» e non rimanere uno strimpel­ lamento senza senso alcuno. 43 Cap.XVII, §6.

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applicati al Tasto, nei tre Principi essenziali della Combinazione, costituendo tre Specie distinte di Formazione del Tocco : Descrizione delle tre specie di Formazione di Tocco: b) La Prima Specie consiste nella sola forza del Dito che agisce avverso il ta­ sto durante la costui scesa; mentre la mano è passiva, e il Braccio si regge da se stesso. La Seconda Specie consiste nella forza della Mano che agisce unitamente al Dito contro il tasto durante la scesa, mentre il braccio siregge da sé. La Terza Specie consiste in tutti e tre i fattori, che operano avverso il tasto nella scesa; la forza del Dito e della Mano essendo coadiuvata dal peso del Braccio, ecc. Come si adoprano queste Formazioni del Tocco: c) Per produrre la la Specie: Il Braccio rimane pienamente, ma elastica­ mente retto dai propri muscoli, e mentre il Braccio si libra così, sopra la tastie­ ra e regge la terminazione (dalla parte del polso) della Mano che pende rilascia­ ta; il suono deve essere prodotto unicamente dalla azione del Dito avverso il ta­ sto; smettendo, tale azione, al momento medesimo in cui si raggiunge il suono. d) Per produrre la 2a Specie: La condizione del braccio è la stessa come so­ pra, ma la Mano deve qui agire retrostando al dito, durante la scesa del tasto; smettendo di agire, sia il Dito come la Mano, nel momento preciso in cui si ode l’inizio del suono. e) Per produrre la 3a Specie: Dobbiamo aggiungere il Peso del Braccio al­ lentato di retro al Dito e alla Mano, agendo questi ultimi come nelle altre Spe­ cie. Tale allentamento nel sostegno del braccio deve raggiungere il suo massi­ mo nel momento dell’emissione del suono, e, come le azioni impiegate del dito e della mano, deve sparire in quel momento preciso. Le forme utilizzabili del movimento: f) La Terza Specie si può adoprare o in forma di Tocco di Braccio (movi­ mento del braccio) o di Tocco di Mano44 (movimento della Mano), o come Tocco di Dito (movimento del Dito); tutte e tre le forme di movimento essendo utilizzabili in questa Specie, poiché essa contiene tutti e tre i fattori muscolari. La Seconda Specie si può adoprare soltanto, oppure nella forma di tocco di Mano, ovvero di tocco di Dito, poiché il Braccio non cambia qui il suo condi­ zionamento durante l’atto della produzione del suono. La Prima Specie è solo utilizzabile come tocco di Dito, poiché né Mano, né Braccio devono addimostrare in questo caso cambiamento veruno di condi­ zionamento durante la scesa del tasto. Celerità di tempo in rapporto alle Specie: g) La 3a Specie può però essere adoperata soltanto quando la celerità del passaggio non eccede un certo grado; — la celerità essendo ristretta dal limite

44 «Azione del polso».

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oltre il quale non possiamo fare le ripetizioni necessarie di Rilasciamento del braccio.45 La2a Specie permette un’agilità assai maggiore, mentre: — La 1a Specie non presenta nessun limite fisico alla velocità, eccettuata la dif­ ficoltà mentale del tenere il passaggio “in mano ”. Contrasti di quantità (sonorità) utilizzabili: h) La 3 a Specie ci offre l’intera estensione del Suono, dal più lieve al massi­ mo di forza e pienezza a seguito della presenza del Peso del Braccio. La 2a Specie non può darci altrettanta sonorità, poiché in questo caso la ma­ no e il dito hanno come Base solamente il braccio sospeso per aria (autoreg­ gente). La 1a Specie offre piccolissima quantità di suono poiché la Base non consi­ ste che nel lieve peso della Mano giacente rilasciata. Contrasti di qualità utilizzabili: z) La Terza è la sola Specie sotto la quale tutte le varietà di Qualità sonora sono a nostra disposizione. Perché a causa dell’inclusione dell’allentamento del Braccio, possiamo con questa Specie iniziare l’atto della produzione sono­ ra ovvero col Rilascio del Peso oppure con l’Eserzione Muscolare.46 La seconda e la prima specie non permettono che l’“Iniziativa Muscolare”. Nessun suono “cantabile” è da aspettarsi col loro mezzo. j) Tutte tre le specie possono inoltre modificarsi (o verso la bellezza o verso l’incisività) colla scelta tra l’attitudine “piatta” e quella “adesiva”. k) Per ottenere un suono piacente appieno, ben “cantante” dobbiamo com­ binare l’attitudine adesiva con la Terza specie, nella costei forma d’inizio col peso. Il dito ricurvo, 2a specie, coercitivo, per passaggi rapidi, forte'. I) Inoltre vediamo ora, che il dito Adesivo (o piatto) ha bisogno, in certo modo, alcunché d’allentamento dell’Omero. Ciò vieta, ostacola questa forma di tocco per passaggi rapidi, se occorre siano suonati/orte. Per i passaggi rapidi inforte dobbiamo perciò far reggere il braccio da sé (2a Specie) in combinazione col dito spingente (o ricurvo) .47 ni) Il segreto dell’Agilità sta, dunque, nel Braccio auto-reggente; combina­ to col dito spingente, trattandosi di passaggi forte. La puntualità nello smette­ re l’azione al suono è ferrea legge; non la si può trasgredire. I contrasti nella Durata; come utilizzati: ri) Tutte e tre le Specie di formazione del tocco sono Staccato, purché ba­ diamo intanto che l’Atto della Giacenza sia sufficientemente leggero; — tanto lieve che il braccio possa rimanere continuamente e completamente in istato di 45 Dobbiamo ricordare che tali alternative di rilasciamento del braccio e di riassunto sostegno del medesi­ mo non si dimostrano necessariamente quali movimenti del braccio. Ciò che si può considerare come una varietà di questa specie, serve però anche in passaggio di piena veloci­ tà, purché non cerchiamo di ottenere suono maggiore che un piano, — purché prenda la forma di trapasso o di tocco passante. Sotto questa forma ciò serve anche come Glissando. 46 Rammentiamolo: Tocco di Peso: suono piacente. — Tocco Muscolare: suono incisivo. 47 II dito adesivo nei passaggi rapidi, forte tenderebbe a rendere il passo confuso col trascinare POmero f pesare sul listello-base sotto tasti.

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autoreggenza; e purché badiamo di determinare la nostra azione avverso il ta­ sto tanto esattamente dismetterla in modo che questo possa rimbalzare.48 o) Tutte le Specie possono essere trasformate in Tenuti, cambiando pura­ mente la Giacenza in una forma alcunché più greve, il braccio non essendo qui (riguardo al suo condizionamento continuativo) sorretto tanto appieno come nello Staccato. p) Tutte le Specie possono pure essere trasformate in Legati, trapassando questa forma di Tenuto della Giacenza da un tasto all’altro. Il pericolo di scordare il Suono, cercando d’imparare nuove abitudini musco­ lari: q) Sforzandoci di acquisire condizionamenti muscolari corretti, dobbiamo intanto tenere sempre in vista il loro Scopo, cioè quello di eccitare il tasto a mo­ zione per un fine musicale. Per riuscire a ciò, dobbiamo ricordarci di vigilare continuamente il tasto, sia prima della depressione — riguardo al suo peso, sia durante la depressione — riguardo al “posto” dove culmina e dove smette l’azione per produrre il suono. Possiamo essere sicuri di adempiere a questo, soltanto ricordandoci di vigilare il TEMPO. Dobbiamo perciò badare di giudicare non solo come, ma dove ogni nota de­ ve suonare. Soltanto così possiamo sperare d’arrivare ad adoprare la Tecnica unicamente a scopo musicale. r) Converrà ora studiare il quadro che segue.

48 Rammentiamo che il condizionamento Continuativo del braccio qui implicato nella Giacenza non ci vieta affatto di lasciarlo allentare per riprendersi — rilasci momentanei — come è richiesto dalla Specie III allo scopo di provvedere gPImpulsi Aggiuntivi.

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QUADRO DIMOSTRANTE LE RELAZIONI TRA LE TRE SPECIE DI IMPULSO AGGIUNTIVO, MOVIMENTO, GIACENZA, ecc.

Capitolo XX

Enumerazione e Classificazione dei tocchi. § 1. Per facilitare la comprensione di questa materia, dobbiamo dapprima rivedere brevemente tutto il terreno dei Fatti Muscolari e della costruzione del Tocco. Segue l’enumerazione delle varietà principali del Tocco, e nel corso di questa Enumerazione nascerà naturalmente la Classificazione. Dopo una ri­ capitolazione ed un Sommario, parecchi quadri sono stati aggiunti i quali espongono l’Enumerazione e la Classificazione da differenti punti di vista. Sono state necessarie costanti ripetizioni dei medesimi fatti, allo scopo di completare in sé ogni punto successivo, per quanto possibile. Come già indi­ cammo, ciò potrà riuscire tedioso a più d’un lettore, è tuttavia indispensabile per il bene dello studente ordinario. L’Enumerazione e la Classificazione dei Tocchi possono a priori parere im­ possibili da compiere, data l’infinità delle varietà possibili e delle loro modifi­ cazioni.1 Il compito diventa però possibilissimo se rammentiamo le divisioni naturali del Tocco, — dovute alle tre specie di costruzione muscolare descritte nell’ultimo Capitolo. Tenendo debitamente a mente queste e altre distinzioni fondamentali e radi­ cali, tutto il problema, lungi dall’essere complesso, diventa semplicissimo; e ci sarà molto facile capirlo chiaramente in un con la sua applicazione pratica alla tastiera. Il risultato, ridotto in cifre, può a prima vista parere spaventosamente com­ plicato e impraticabile; ma nella pratica le difficoltà scompaiono. Non ce n’è, purché, tanto lo Studente quanto il Pianista non perdano mai di vista, i pochi fatti essenziali e semplici, che spiegano la derivazione di tutta questa baraonda complicata, delle possibili varietà di Tocco; — Varietà che ci permettono ine­ sauribile scelta per quantità e qualità di suono, tutte occasioni con infinite op­ portunità per il variare dell’Agilità. Ripeteremo perciò prima questi fatti generali più importanti e poi conside­ reremo brevemente le Tre Specie di Formazione del Tocco e le loro potenzia­ lità: § 2. Questi fatti principali, lo rammentiamo, si possono riassumere nei seguenti capi: a) La Giacenza — l’Elemento continuativo, nelle sue due forme di Base, Staccato e Legato. 1 Fortunatamente non c’è limite alle combinazioni e alle gradazioni del Tocco, tanto come non ve n’è al­ cuno alle possibilità di combinazioni della Melodia, dell’Armonia e del Ritmo, altrimenti dovremmo dar ra­ gione a Giovanni Stuart Mill, e lasciarci vincere dalla disperazione, trovando la nostra arte miserevolmente «circoscritta» e «finita».

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b) L’Impulso Aggiuntivo — il breve atto che fa muovere il tasto. c) Le Tre Specie di Combinazioni muscolari (o Formazioni di Tocco) sotto le quali si può dare l’impulso Aggiuntivo. d) Il Tocco iniziato col Peso, e il Tocco iniziato Muscolarmente — le due grandi distinzioni che producono rispettivamente la “cantabilità” el’“incisività” del suono. e) Le Attitudini "Adesiva” e "Spingente” che influenzano ulteriormente in maggior grado il suono verso il “piacente” o verso lo “incisivo”. § 3. Ricordiamo che le Tre specie di Formazione del Tocco sono le se­ guenti: I) La Prima Specie, implica il Braccio sé reggente e la Mano giacente non­ ché rilasciata; II) La Seconda Specie, implica il braccio sé reggente, mentre il suono è pro­ dotto dall’ azione congiunta di Dito e Mano. Ili) La Terza Specie, implica l’avvento di tutti e tre i fattori muscolari av­ verso il tasto, durante la scesa; cioè, il rilasciamento del Peso del Braccio, uni­ tamente all’ attività del Dito e della Mano.

§ 4. Abbiamo veduto, la Specie III essere la più importante, perché conte­ nendo l’elemento separato del Rilasciamento del Braccio, per ogni singola sce­ sa del tasto, ci fornisce quelle differenze radicali nelle Qualità del Suono, che abbiamo nomato rispettivamente: Tocco di peso, e Tocco muscolare,2*le quali ultime si elencano nei Sotto-generi. Questa Terza Specie è la più importante al­ tresì perché ci offre tutte e tre le alternative del Movimento, — oppure movi­ mento del Braccio medesimo, o della Mano, ovvero del dito; e poi perché ci permette la massima scelta nell’impiego della quantità di suono, dal più tenue al più forte. § 5. Le Specie II e I, mentre non ci offrono né i grandi contrasti di Qualità né di Quantità della III Specie ci dànno tuttavia il vantaggio di traslazione facile per la tastiera, ed entrambi quindi possono essere considerati giustamente quali Tocchi di Agilità. La II Specie inoltre, è più importante della I Specie, perché quella (dipen­ dendo la scesa del tasto dalla forza del Dito con quella della Mano) ci porge una notevole scelta nella sonorità, nonché le alternative del movimento della Mano e quella del Dito; di contro con la Specie I, siamo circoscritti al solo mo­ vimento del Dito medesimo, ergo ad una scarsissima varietà nel Suono, poiché dipendiamo dalla meschina sola forza del dito. § 6. Per completare questa rassegna della derivazione della Varietà del 2 Dobbiamo ricordare che il Tocco di Peso è chiamato così, perché la combinazione completa (del Bracciò, della Mano e del Dito) è qui portata in azione a mezzo dell’iniziativa del Rilasciamento del Braccio; mentre il tocco muscolare è chiamato così, perché la combinazione completa è al contrario messa in opera dall’Azione Muscolare del Dito-e-Mano,

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Tocco, dobbiamo rammentare il fatto, che alcune di queste Specie e Sotto­ generi possono esercitarsi sotto l’attitudine “Spingente” (Dito ricurvo), o sotto quella “Adesiva” (Dito piatto). Fatto, questo, che raddoppia d’un trat­ to il numero delle varietà del tocco.3 § 7. Vi è, però, un genere di Tocco non compreso nelle menzionate Spe­ cie, e che nondimeno è forse uno dei più importanti: è il Tocco di Peso ppp, Tenuto o Legato.4 Classifichiamo quindi questa eccezionale forma di Tocco, quale una for­ ma producente suono, dello stesso atto di Giacenza; effettivamente quale “Seconda forma della Giacenza”; — Giacenza seguitata al livello del fondotasto, e Base di tutti i Tenuti e Legati. § 8. Siamo nuovamente, ora, di fronte a quei due Concetti Mentali-Muscolari che, assieme riuniti, formano il fondamento di ogni vera Tecnica; “l’impulso Aggiuntivo” e la “Giacenza”, ricordiamo pure, essere soltanto la lieve differenza nel peso della Giacenza, ciò che cagiona la distinzione tra lo Staccato nonché il Tenuto o il Legato.5 Ci si presenta alla mente pure, che se la Giacenza è greve abbastanza, per abbassare il tasto, basta altresì (come peso) per tenere il tasto depresso; e che se vogliamo l’effetto dello Staccato naturale, la nostra Giacenza deve essere ancora più lieve che non nel primo caso; cioè allora deve sussistere senza il minimo vestigio di Peso del Brac­ cio.6 § 9. Passato quindi in rivista il nostro materiale, possiamo ora procedere all’Enumerazione desiderata, dando nello stesso tempo la Classificazione naturale dei Tocchi. In detta Classificazione, il Tocco anzitutto si scinde nel­ le due Divisioni primarie di Staccato e di Legato, — con la “Giacenza”: ov­ vero alla superficie oppure al livello depresso del fondo-tasto. In ognuna di queste divisioni, abbiamo quindi i tre aspetti di Movimento', cioè il Tocco di Dito, il Tocco di Mano, e il Tocco di Braccio. Siccome il Movimento del Di­ to è utilizzabile in tutte e Tre le Specie di Combinazioni Muscolari (o Forma­ zione di Tocco), e siccome il movimento della Mano è utilizzabile nella Spe­ cie II e nella III, e il movimento del Braccio soltanto nella Specie III, siamo 5 Abbiamo ancora l’ulteriore alternativa, che quasi tutti questi Tocchi possono essere accompagnati dal movimento dì rotazione dell*Avambraccio (oscillazione della mano, chiamato anche da taluno Tocco di Giro), invece dei movimenti più usuali del Braccio, della Mano e del Dito. 4 II Tocco di Peso ppp Tenuto o Legato, potrebbe essere classificato quale forma leggerissima della Specie 111, se non ci fosse la pregiudiziale, che la classificazione «Specie» è di quei brevi atti muscolari che durano soltanto nella scesa del tasto. Tale eccezionale forma di produzione sonora, invece, seguita ad es­ sere dello stato medesimo muscolare, dopo il momento, che si conchiude l’atto della produzione del suo­ no, ed è quindi identica all’atto continuativo di Giacenza sulla tastiera, il quale atto di Giacenza, nella sua seconda forma, costantemente sta in aspettativa dei singoli atti muscolari di mozione al tasto durante il Tenuto od il Legato. 5 Oltre all’ampia estensione di contrasti che si apre qui nella forma di Staccati e Legati naturali; abbia­ mo anche quei contrasti sussidiari ottenuti dallo Staccato «sbalzato via» nei suoi molti aspetti, e quel Le­ gato artificiale indotto dalla Mano, che qualche volta necessita. 6 Qui è nuovamente necessario rammentare, di non confondere questo continuativo, ossia «continuamente riassunto» stato di Giacenza (colle relative condizioni del Braccio) con quei discontinui e rapida­ mente alternati condizionamenti, cui il Braccio soggiace nel momento della scesa del tasto, nella Terza Specie.

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finalmente in grado di computare il numero delle principali Varietà utilizza­ bili in ciascuna di esse Specie.

Enumerazione dei tocchi Divisione I. — Staccato.

L’atto della “Giacenza” è qui al livello della Superficie della Tastiera. Sui tasti deve giacere continuamente un peso non superiore a quel­ lo

CHE ESSI POSSONO REGGERE SENZA SPIOMBARE. IL BRACCIO DEVE QUINDI TROVARSI NELLO STATO CONTINUO (O CONTINUAMENTE RIPRESO) DI AUTO-SO­ STEGNO.

§ 10. Tocchi di Staccato di Dito. Vi sono otto distinte Varietà di Staccato di Dito:

L’Impulso inducente il suono può esser prodotto: a) da semplice eserzione di Dito, b) da eserzione di Mano con quella di Dito7 e c) col Peso del Braccio in congiunzione d’entrambi. Siccome l’ultima menzionata Specie di tocco (la Terza Specie) può esistere sia come l’uno o come l’altro dei due Sottogeneri: a) Tocco iniziato di peso, oppure b) Tocco iniziato Muscolarmente, ne deri­ va esservi quattro specialità di Tocco. Queste quattro possono esercitarsi o nell’attitudine “Spingente” (ricurva) o in quella “Adesiva” (piatta), il che eleva a otto il numero completo degli Staccati di Dito.8 §11. Tocchi di Staccato di Mano. Vi sono sei Varietà distinte di Tocchi di Staccato di Mano (Staccato del

Polso): Le Specie II e la III, possono esistere entrambe come Tocco di Mano (“azione del Polso”), se permettiamo all’Attività della Mano di soprabilan­ ciare lievemente gli altri fattori muscolari. La Specie II (in cui la Mano agi­ sce in congiunzione al Dito) ci darà così due sorta di Tocco di Mano, poiché esso comparisce nell’attitudine “Ricurva” o nella “Piatta” del Dito. La Spe­ cie III ce ne dà altre quattro, — poiché abbiamo i Sottogeneri alternativi, nella forma del Rilasciamento iniziale del peso o dell’iniziale Azione Musco­ lare, e di più, per ognuno di questi, le alternative dell’attitudine “Ricurva” e di quella “Piatta”, salendo così a sei il numero completo dei Tocchi di Stac­ cato della Mano.9

7 Non si confonda la costruzione del tocco col mero movimento. * Staccato: «Sbalzato via di scatto». Siccome gli Staccati iniziati muscolarmente si possono rendere più pronti (e più aggressivi nel carattere del suono), aiutando il rimbalzo, altrimenti «passivo» del tasto e dell’arto sovrastante, con l’applicazione di una brusca «pedalina di scatto all’infuori», possiamo in tal modo guadagnare parecchie più o meno precise sottovarietà addizionali di Staccato di Dito. 9 L’aggiunta di una «spinta (pedalina) di scatto all’infuori» dalla base (appoggio) sottotasto, ci offre, come per i Tocchi di Staccato del Dito, una serie ulteriore di modificazioni del Tocco o di Varietà.

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§ 12. Tocchi di Staccato di Braccio. Vi sono quattro Varietà nel Tocco di Staccato di Braccio:

Un leggerissimo eccesso del rilasciamento del Braccio, sopra gli altri due fattori muscolari che formano la Specie III, determina il sopravvenire del movimento del Braccio, invece del movimento della Mano o del movimento del Dito. Siccome possiamo iniziare l’azione, colle complete condizioni mu­ scolari occorrenti nella Specie III, o col Rilasciamento del Peso o con l’atti­ vità della Mano-e-Dito, e siccome l’uno o l’altro di questi Sotto-generi può esistere, o nella forma “Spingente” o in quella “Adesiva”, il numero comple­ to dei Tocchi dello Staccato di Braccio1011 ascende a quattro. Divisione II. — Tenuto e Legato.

L’atto della “Giacenza” è qui al livello depresso dei tasti (fondo-tasti): Il Peso “giacente” deve quindi essere sufficiente per soprabilanciare e spiom­ bare i tasti in modo che scendano, e perciò basta anche a tenerli giù, al di là del momento, nel quale l’atto della produzione del suono si compie appieno. I muscoli reggenti il braccio devono quindi trovarsi in istato di leggero e continuativo (o continuamente riassunto), rilasciamento.11 § 13. Abbiamo riconosciuto, questa seconda forma di “Giacenza” essere essa medesima un agente della Produzione del suono.

Adoprata da sola (cioè senza verun Impulso Aggiuntivo), ci dà il suono più lieve possibile da ottenersi dallo strumento, e forma nello stesso tempo il Tenuto. Tale Tenuto, trapassato ininterrottamente da un tasto all’altro, dal­ le dita, forma il Legato. — È anche la Base di tutti gli altri Tocchi di Tenuto e di Legato; siano essi forti o brillanti o cantanti. È inoltre la sola forma semplice del Tocco; e può accompagnarsi o col movimento del Braccio, o col movimento della Mano, o con quello del Dito.12 Si può anche usare come agente modificante la qualità di suono, quando è combinato (nella forma di Tocco di trapasso di peso) con i leggeri tocchi di Dito della Specie I. Perché l’influenza del suo peso (diretta alla qualità can­ tabile), può qui farsi sentire da sé, a cagione del fatto, che l’influenza dell’i­ niziativa muscolare, di questa forma di Impulso aggiuntivo è troppo lieve per risultare preponderante. (K § 17, Cap. XIX, pag. 189). § 14. Tocchi di Tenuto e di Legato di Dito. Vi sono dieci Varietà distinte di tocchi di Tenuto (o di Legato) di Dito:

Per cominciare, possiamo ottenere suono a mezzo della “Giacenza” mede­ sima non aiutata,13 e siccome possiamo impiegare o l’attitudine “Spingente” o quella “Adesiva” questo ci dà due Varietà di Tocco. 10 Lo Staccato «Sbalzato vìa di scatto» ci dà, nel caso di movimento del Braccio, quattro ben definite Sotto-varietà addizionali di Tocco. 11 Dobbiamo ricordare che la presenza di questo lieve grado di Peso del Braccio deve essere continuati­ vo durante ogni Frase o Sentenza musicale, o deve essere incessantemente riassunto nel corso di tali frasi. 12 Come spiegammo sopra, è la sola forma di tocco semplice; non essendovi qui cambiamento nelle condizioni muscolari esistenti durante la scesa del tasto e dopo di essa — poiché le condizioni che produ­ cono il suono, e quelle che producono il Tenuto e il Legato sono qui identiche; mentre in tutti gli altri toc­ chi (Staccato come Legato) siamo obbligati d’avere un «giuoco» separato di condizioni muscolari per produrre ogni suono — «giuoco muscolare» separato dal «giuoco» di condizioni che ci dànno la «Gia­ cenza», sia questa a livello tastiera o a livello fondo-tasto. 13 Quando è trapassata da una nota all’altra, in forma di Legato, questa specie di attacco al tasto, for­ ma il Tocco di Trapasso, o tocco di «Passata».

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Le otto varietà rimanenti si ottengono aggiungendo a questa "seconda forma di Giacenza” caduna delle otto forme di produzione di Staccato di Dito — o forme dell’impulso Aggiuntivo precedentemente enumerate. Cioè, possiamo combinare un Impulso Aggiuntivo con questo atto di Gia­ cenza, e questo Impulso Aggiuntivo può essere nella forma di caduna delle tre Specie di Formazione del Tocco; — mentre la III Specie è inoltre utilizza­ bile nell’uno o nell’altro dei suoi generi; — tutti questi ancora o nell’attitudi­ ne “Ricurva” o “Piatta”. Così troviamo che il numero completo di Tocchi di Dito utilizzabili come Tenuto (o Legato) è di dieci.14 § 15. Tocchi Tenuto di Mano (“Polso”). Vi sono Otto Tocchi di Tenuto di Mano:

La “Giacenza” non aiutata (da semplice “tocco di peso”) fornisce due Va­ rietà, poiché si può applicare o nell’attitudine "Ricurva” o nella “Piatta”. Poi possiamo pure aggiungere a questo elemento di Tenuto ciascuna delle sei forme già enumerate, della produzione di suono dello Staccato di mano. Così abbiamo la scelta della terza Specie di Formazione di Tocco, nell’una o nell’altra delle forme Sotto-generiche, ed altresì la seconda specie, mentre abbiamo l’ulteriore scelta di disporre d’ognuna di queste tre, o nella modifi­ cazione “Ricurva” o nella “Piatta” ascendendo così a otto il numero intero dei tocchi di Tenuto di Mano.15 § 16. Tocchi di Tenuto di Braccio. Vi sono Sei varietà di Tenuto del Braccio:

La “Giacenza” stessa dà due Varietà, poiché possiamo applicarla ai tasti o nella forma “Spingente” o in quella “Adesiva”.16 Dobbiamo le quattro Varietà rimanenti al fatto, che la terza Specie può applicarsi o come Tocco di Peso o come Tocco Muscolare; e che entrambi questi Sottogeneri possono apparire o nell’attitudine “Ricurva” o in quella

14 Dì più, possiamo ottenere il legato «artificiale» come già abbiamo spiegato, impiegando un’azione continuativa ma leggerissima della Mano e delle Dila (o «pressione») invece del solito Peso leggero del Braccio. Questo è applicabile occasionalmente, e, come notammo prima, è per suo mezzo che dobbiamo ottenere quelle brevi extra «pressioni» occorrenti durante le inflessioni momentanee del Legato e del Le­ gatissimo. 15 Udiamo spesso parlare di Legato, di «Polso» o di «Braccio». Questo però è soltanto un termine di convenienza, come già indicammo. Perché è ovvio che nessun vero Legato può esistere, senza il tocco (o movimento) di Dito, eccetto che per l’intervento del pedale. — Senza il pedale possiamo soltanto avvici­ narci, al Legato, nei Tocchi di Mano e di Braccio; badando che le successioni dei Tenuti siano il più possi­ bile vicine, fitte. Il termine «Semilegato» è un altro nome errato, quando lo si consideri fisicamente. L’effetto di durata in questione dovrebbe chiamarsi Semitenuto', poiché si ottiene col rendere discontinuo ciascuno degli ef­ fetti successivi di Tenuto, prima dell’apparire di ogni nuova nota. 16 Dobbiamo ricordare che il semplice Tocco di Peso pianissimo prende la forma di un movimento del Braccio, quando l’eserzione del Dito e della Mano è fatta in modo insufficiente per reggere con garbo (e solo leggermente) il Peso rilasciato del braccio intero — quindi il Braccio stesso cade giù col tasto. Il mo­ vimento del Braccio forma il modo migliore (e usuale) di applicare questo tocco (il più semplice), nella lenta successione di note e accordi.

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«Piatta» del Dito; elevando così a sei il numero completo dei Tenuti di Brac­ cio.17 § 17. Tocchi di Rotazione. La maggior parte dei tocchi fin qui enumerati sono utilizzabili (più o me­ no convenientemente) come Tocchi di Rotazione dell’Avambraccio, detti Seitenstreich (Tocchi di Giro). Essi sono così trasformati, col permettere l’avvento dei continui e variati adattamenti, ognora sempre in atto, della Rotazione dell’Avambraccio, di manifestarsi come un movimento di effetti­ vo dondolamento della Mano e dell’Avambraccio; tali adattamenti sono, in questo caso in leggero eccesso sopra gli altri fattori muscolari del Tocco, e questo movimento a dondolo, fa qui le veci dei movimenti più usuali del Di­ to, della Mano o del Braccio. Siccome l’applicazione appropriata del Tocco di Rotazione è relativamen­ te rara, non è conveniente ingombrare questa pagina con una enumerazione minuta delle possibili varietà di questo genere di Tocco; specialmente perché tali differenziazioni dipendono precisamente dalle stesse cause, come nel ca­ so di tutte le altre formazioni di Tocco.18 § 18. Avendo trovato così, che 42 principali sorta di attacchi avverso il ta­ sto sono enumerabili, non significa affatto che sia, né necessario o anche nemmeno desiderabile, tenere presenti, suonando, queste distinzioni. Anzi, meno siamo costretti di pensare ad esse, tanto meglio, purché ci si presentino spontanee e le applichiamo correttamente.19 Certo, imparando a suonare, dobbiamo prima di tutto adoperarle consa­ pevolmente, cioè con predeterminato scopo; ma dobbiamo anche imparare gradualmente a servircene più o meno inconsciamente finché la Suggestione Musicale basti essa stessa a eccitarle all’opra. — Inoltre, perdendo così gra­ dualmente di vista, per modo di dire, queste macchinali (ma necessarie) di­ stinzioni, dobbiamo farlo a seconda del loro naturale ordine d’importanza. Quindi le azioni meno importanti nonché meno facili da eseguirsi male, de­ vono, prima delle altre, raggiungere una, quasi inconsciamente, ma corretta, applicazione. È bene perciò ricordare, a questo proposito, che il Movimento (la distin­ zione tra il tocco di Dito, di Mano e di Braccio) è il meno importante musco­ larmente; la differenza nella Giacenza (differenza tra la Base dello Staccato 17 Lo studente è qui di nuovo avvertito di tener ben chiara in mente la differenza tra quel leggero e continuativo (o continuamente riassunto) rilasciamento del braccio, che costituisce l’atto del Semplice Tocco (ed è Base di tutti i Tenuti e i Legati) — nella 2a forma della «Giacenza» e ha quelPaftro atto che è un rila­ sciamento momentaneo dei muscoli reggenti il Braccio, — rilasciamento che può essere completo e può anche avere, retrostante il Peso della Spalla e del Corpo, atto però, che è soltanto aggiunto, per dare l’im­ pulso necessario al tasto nella più potente sonorità; e che smette l’intervento al momento medesimo del­ l’emissione del Suono. 18 [Come fu detto più sopra, l’Autore ha poi (quando già aveva scritto e stampato quest’opera) pubbli­ cato il fascicolo: «La Rotazione dell "Avambraccio al Pianoforte», — Ed. Marcello Capra, N° 1511.— In essa opera sono esposti esercizi adatti. M. C.]. 19 Comunque non sono le frasi da tenere in vista, ma i Fatti. E fatti che hanno da essere trasformati, a forza di pratica, in «seconda natura», se l’abitudine, come dice il proverbio, lo è, una seconda natura.

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e del Legato) viene dopo; e che le distinzioni formate dalle attitudini Ricurve e Piatte e dalle Tre Specie di Formazione del Tocco, sono al contrario le più importanti, specialmente, perché la terza di queste, porta con sé la distinzio­ ne tra Tocco di Peso e Tocco Muscolare. Anche l’Artista deve sempre badare ad adoperare buon giudizio, sotto questi ultimi rispetti, quando ha un’opera “sotto i ferri” per Io studio. Le distinzioni tra (a) le Tre Specie di Formazione (b) tra il Tocco di Peso e il Tocco Muscolare (c) tra il Dito Ricurvo e il Dito Piatto, devono dunque ri­ manere sempre questioni vive, sia che le consideriamo con questa nomencla­ tura effettiva, sia che le consideriamo quali Mezzi indefiniti per il raggiungi­ mento della vera musica.

Ricapitolazione e sommario a) L’enumerazione e la Classificazione sono possibili (e facili) soltanto se teniamo fissi in mente i fatti principali della Costruzione del Tocco, cioè: 1) La Giacenza. 2) L’Impulso Aggiuntivo. 3) Le Tre Specie distinte di combinazione muscolare, o Formazione di Tocco e 4) Le due grandi distinzioni che ne derivano: I . Il Tocco iniziato col peso. IL II Tocco iniziato muscolarmente. 5) La distinzione tra l’Attitudine Adesiva e quella Spingente. b) Per raggiungere il nostro scopo dobbiamo ripassare alcune delle poten­ zialità di questi Elementi: 1) La Terza Specie di Combinazione Muscolare (o Formazione di Tocco) è la sola che ci offra (a causa de’ suoi due Sottogeneri) la scelta dell’inizia­ tiva Muscolare e dell’iniziativa del Peso; poiché le altre specie sono neces­ sariamente iniziate Muscolarmente. Questa Terza Specie, riguardo al movimento, può esibirsi o come Tocco di Dito, o di Mano o di Braccio. 2) La Seconda Specie offre soltanto la scelta tra il Tocco di Dito e il Toc­ co di Mano. 3) La Prima Specie si può ottenere soltanto quale Tocco di Dito. 4) L’attitudine muscolare Spingente e quella Adesiva tendono a determi­ nare la qualifica del tocco verso il tipo brillante e verso il simpatico, rispet­ tivamente. 5) Il complesso di questi Elementi producenti Suono può applicarsi o nel­ la prima forma di Giacenza (alla superficie della tastiera) o nella seconda forma di Giacenza (tasto depresso). Nel primo caso l’effetto è lo Staccato; e nel secondo caso è il Tenuto, e quest’ultimo può inoltre, nel caso del tocco di dito, esser trasformato in Le­ gato. 252

6) La Seconda forma di Giacenza, applicata da sé stessa al Tasto (senza l’aiuto di verun Impulso Aggiuntivo) forma il vero Tenuto ppp, o Legato ppp di Tocco di Peso o Tocco di passata, opp. di trapasso. È identico alla combinazione muscolare, Specie III, e può perciò esistere in forma di movimento o di Dito, o di Mano o di Braccio.20 è) Enumerando le forme dell’Attacco al Tasto fin qui rivedute troviamo che ci sono: I. Otto sorta diverse di Staccato di Dito, e dieci sorta di Tenuto di Dito o Legato. IL Sei forme di Staccato di Mano (“Polso”) e otto forme di Tenuto di Mano. III. Quattro forme di Staccato di Braccio e sei forme di Tenuto del Braccio. d) Questi 42 modi ben definiti di attacco al tasto, ci offrono ciascuno una estensione maggiore o minore di quantità e di qualità di suono, e di possi­ bilità di celerità, rispettivamente, secondo la loro costruzione come è di­ mostrato nei capitoli precedenti: e) Sono modificazioni sussidiarie: I. Una serie addizionale di forme di tocco, che si mostrano come Tocchi di Rotazione dell’Avambraccio, talvolta da consigliarsi, e utilizzabili nella maggior parte delle forme principali di costruzione di tocco. IL L’influenza dello staccato dello “sbalzo di scatto all’infuori” capace d’essere aggiunto a tutte le forme enumerate dello Staccato. III. La forma “Artificiale” di Legato, indotta da una lieve continua pres­ sione della mano e delle dita, al posto delle solite forme più pesanti di Gia­ cenza. f) Non è necessario che tutte queste distinzioni siano tenute presenti con­ sapevolmente, una volta che ne signoreggiamo la loro applicazione. Ma dobbiamo rimanere più o meno consci di quei pochi principii essenziali ri­ cordati nei §§ a e g di questa Ricapitolazione. g) Dal punto di vista dell’Artista, e dello Studente già colorista21 la Clas­ sificazione deve perciò necessariamente prendere il seguente aspetto: Dell’iniziat. del Peso e dell’iniDiv. I. Formano le distinzioni della ziat. Muscolare. Div. II. qualità del suono: dalla ro­ Dell’attitudine ricurva e di tondità alla incisività. quella piatta del Dito-Braccio (della Spingente e dell’Adesiva). Div. III.

Le Tre Specie di Costruzione dell’impulso Aggiuntivo.

Danno varie scelte per la quantità di suono e pei pote­ ri di Agilità.

20 Questa Giacenza, quando applicata unitamente alla 1 * Specie di Impulso Aggiuntivo modifica sottilmente la qualità di suono di quest’ultimo. 21 Senza Colorito il Suono del Pianoforte è ridotto a una mera strimpellatura.

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Div. IV.

Della Giacenza — al livello-ta­ stiera e al livello fondo-tasto.

Forma la distinzione tra il Legato e lo Staccalo.

Div.

Tocchi di Dito, di Mano e di Braccio.

Formano le distinzioni del semplice movimento.

V.

h) Si dovrebbero ora considerare i tre quadri seguenti:

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Q U A D R O II. ZIONE

DURATA (STACCATO E LEGATO) E MOVIMENTO FORMANO QUI LA BASE CAPITALE PER LA CLASSIFICA

CLASSIFICAZIONE N.I.

z o §«