La versione greca dell’orazione “Pro Archia poeta” di Mikołaj Żórawski (1632): Contributi All’edizione E Allo Studio Del Testo: 9 9783631812105, 9783631819708, 9783631819715, 9783631819722, 3631812108

Nel solco degli studi sul "greco umanistico", che negli ultimi decenni hanno conosciuto un notevole e fervido

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INDICE
Prefazione
Elenco delle abbreviazioni
Nota
0. INTRODUZIONE
0.1. Stato della ricerca, oggetto e finalità del presente studio*
0.2. Precisazioni metodologiche
PARTE PRIMA
1. PROFILO STORICO-LETTERARIO
1.1. Il «greco umanistico» come campo d’indagine sulla storia della tradizione antica
1.2. Latina discenda, Graeca tentanda. Il ritorno del greco in Europa tra i secoli XIV e XVI
1.3. Vertere attraverso i secoli: breve panoramica sulle teorie traduttologiche occidentali dall’antichità alla prima età moderna
1.4. Riappropriarsi della cultura greca: le traduzioni umanistiche
1.5. All’inverso: ex Latino in Graecum
1.6. Gli interessi grecistici in Polonia nei secoli XVI-XVII
1.6.1. Le tappe principali
1.6.2. Processi e forme di ricezione
1.7. La figura di Nicolaus Zoravius, poliedrico vir trium linguarum tra l’accademia e il palazzo
1.8. La fortuna di Cicerone in Polonia
1.9. L’orazione Pro Archia poeta: vicende di un inusitatum genus dicendi
1.9.1. Genesi e struttura
1.9.2. La trasmissione del testo
1.10. L’accoglienza dell’orazione in Polonia
PARTE SECONDA
2. LA VERSIONE GRECA
2.1. Caratteristiche del tomo impresso
2.2. Proposte di emendamenti
2.3. Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta
2.4. Passi della traduzione greca discordanti dall’originale a fronte
2.5. Esame della versione greca
2.6. Riepilogo dei fatti linguistici notevoli
2.6.1. Fatti grafico-fonetici
2.6.2. Fatti morfologici
2.6.3. Fatti lessicali I
2.6.4. Fatti lessicali II
2.6.5. Fatti sintattici
2.6.6. Osservazioni stilistico-lessicali
3. CONCLUSIONE
3.1. I glossari e la traduzione
3.2. Osservazioni conclusive
BIBLIOGRAFIA
APPENDICE 1. Indices verborum
APPENDICE 2. Riproduzioni
INDICE DEI NOMI
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La versione greca dell’orazione “Pro Archia poeta” di Mikołaj Żórawski (1632): Contributi All’edizione E Allo Studio Del Testo: 9
 9783631812105, 9783631819708, 9783631819715, 9783631819722, 3631812108

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La versione greca dell’orazione “Pro Archia poeta” di Mikołaj Żórawski (1632)

Warsaw Studies in Classical Literature and Culture Edited by Mikołaj Szymański

Volume 9

Roberto Peressin

La versione greca dell’orazione “Pro Archia poeta” di Mikołaj Żórawski (1632) Contributi all’edizione e allo studio del testo

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ISSN 2196-9779 ISBN 978-3-631-81210-5 (Print) E-ISBN 978-3-631-81970-8 (E-PDF) E-ISBN 978-3-631-81971-5 (EPUB) E-ISBN 978-3-631-81972-2 (MOBI) DOI 10.3726/b16851 © Peter Lang GmbH Internationaler Verlag der Wissenschaften Berlin 2020 All rights reserved. Peter Lang – Berlin ∙ Bern ∙ Bruxelles ∙ New York ∙ Oxford ∙ Warszawa ∙ Wien All parts of this publication are protected by copyright. Any utilisation outside the strict limits of the copyright law, without the permission of the publisher, is forbidden and liable to prosecution. This applies in particular to reproductions, translations, microfilming, and storage and processing in electronic retrieval systems. This publication has been peer reviewed. www.peterlang.com

INDICE Prefazione ..............................................................................................................   9 Elenco delle abbreviazioni .............................................................................  11 Nota ..........................................................................................................................  13 0. INTRODUZIONE .......................................................................................  15

0.1. Stato della ricerca, oggetto e finalità del presente studio ....................  15



0.2. Precisazioni metodologiche ....................................................................  17

PARTE PRIMA 1. PROFILO STORICO-LETTERARIO .................................................  23

1.1. Il «greco umanistico» come campo d’indagine sulla storia della tradizione antica .......................................................................................  23

1.2. Latina discenda, Graeca tentanda. Il ritorno del greco in Europa tra i secoli XIV e XVI .................................................................  25 1.3. Vertere attraverso i secoli: breve panoramica sulle teorie traduttologiche occidentali dall’antichità alla prima età moderna ....  37

1.4. Riappropriarsi della cultura greca: le traduzioni umanistiche ...........  43

1.5. All’inverso: ex Latino in Graecum ..........................................................  44

1.6. Gli interessi grecistici in Polonia nei secoli XVI-XVII ........................  47 1.6.1. Le tappe principali ..........................................................................  47 1.6.2. Processi e forme di ricezione .........................................................  58



1.7. Nicolaus Zoravius, poliedrico vir trium linguarum tra l’accademia e il palazzo ............................................................................  64



1.8. La fortuna di Cicerone in Polonia ..........................................................  73

6

INDICE

1.9. L’orazione Pro Archia poeta: vicende di un inusitatum genus dicendi ......................................................................................................   74 1.9.1. Genesi e struttura ..........................................................................   74 1.9.2. La trasmissione del testo ..............................................................   78

1.10. L’accoglienza dell’orazione in Polonia ..................................................   80

PARTE SECONDA 2. LA VERSIONE GRECA ..........................................................................   85

2.1. Caratteristiche del tomo impresso .......................................................   85



2.2. Proposte di emendamenti .....................................................................   86



2.3. Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta ...   90



2.4. Passi della traduzione greca discordanti dall’originale a fronte .......   95



2.5. Esame della versione greca ...................................................................   97



2.6. Riepilogo dei fatti linguistici notevoli .................................................  183 2.6.1. Fatti grafico-fonetici .....................................................................  184 2.6.2. Fatti morfologici ............................................................................  185 2.6.3. Fatti lessicali I ................................................................................  189 2.6.4. Fatti lessicali II ...............................................................................  191 2.6.5. Fatti sintattici .................................................................................  196 2.6.6. Osservazioni stilistico-lessicali ....................................................  207

3. CONCLUSIONE ........................................................................................  211

3.1. I glossari e la traduzione .......................................................................  211



3.2. Osservazioni conclusive ........................................................................  217

INDICE

7

BIBLIOGRAFIA ...............................................................................................  221 APPENDICE 1. Indices verborum ............................................................  239 APPENDICE 2. Riproduzioni ....................................................................  277 INDICE DEI NOMI ........................................................................................  301

Prefazione Nonostante non vi siano dubbi che l’idioma principale nell’Europa degli Umanisti fosse il latino, è tuttavia bene rammentare che gli studia humanitatis includevano altresì il greco e l’ebraico. La formazione intellettuale nell’epoca rinascimentale era incarnata idealmente dallo homo trium linguarum, che con disinvoltura poteva servirsi delle tre lingue sacre, nelle quali furono trasmessi i contenuti costituenti il patrimonio culturale della civiltà europea. I  membri della comunità di cittadini istruiti che esistette per alcuni secoli, la res publica litteraria, facevano capo alla tradizione comune a tutti gli Europei, una sintesi tra cultura antica e mondo biblico. Un polacco a Cracovia era dunque in grado, come due secoli prima Francesco Petrarca in Italia, non solo di scrivere lettere a Cicerone in latino ma anche in greco, ad esempio ad un amico erudito nato e cresciuto in Francia. Ed anzi, dopo essersi dedicato agli studi umanistici, era capace di leggere in greco Omero, il quale duecento anni prima alle orecchie di Petrarca era rimasto muto. Nella Respublica Utriusque Nationis polacca l’amore per la classicità si manifestava nell’assegnare a eccellenti personalità dei soprannomi che richiamavano figure del mondo antico, come Marone o Orazio polacco, Nasone o Socrate polacco, ma anche Ercole e Marte polacchi. Nelle considerazioni sui primi umanisti italici non bisogna dimenticare che essi intrapresero anche studi sui manoscritti antichi greci e latini, pratica che portò alla nascita della filologia e della critica testuale, e incise sul loro sviluppo. Grazie ai primi filologi sorse altresì la moderna arte del tradurre. L’attività letteraria degli umanisti abbracciava con sempre maggior frequenza non solo traduzioni dalle lingue classiche in lingue vernacolari o rifacimenti di opere greche in veste latina, ma si estese anche alle versioni dal latino al greco. Le pubblicazioni bilingui greco-latine e latino-greche avevano per lo più carattere pratico e fine didattico. Gli allievi che mostravano debolezze nello studio del greco traevano infatti ausilio dalla lettura del testo latino. L’interesse odierno per il greco umanistico si è sviluppato a partire dalla neolatinistica, area interdisciplinare che ha per oggetto la cultura, la filosofia e la letteratura latina della prima età moderna. Nell’opera dei filologi neolatini risultano validi i metodi elaborati dai filologi classici. Il libro di Roberto Peressin è un’analisi filologica della traduzione dell’orazione latina di Marco Tullio Cicerone Pro Archia poeta in lingua greca. L’autore della versione, pubblicata nel 1632 a Cracovia nell’officina di Franciszek Cezary, è Mikołaj Żórawski, professore presso l’Accademia di Cracovia.

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Prefazione

Il libro costituisce una approfondita analisi linguistica della versione greca del succitato testo ciceroniano. L’Autore annota le singolarità del testo greco, segnalando e descrivendo i fenomeni fonetici, morfologici, lessicali, sintattici e stilistici; riporta e commenta accuratamente le divergenze dal greco classico. In una sezione iniziale propone i propri emendamenti motivandoli solidamente. Nell’introduzione, Roberto Peressin delinea brevemente la storia dell’interesse relativo ai testi greci nell’Italia degli Umanisti, la teoria e la pratica rinascimentali della traduzione, riservando una particolare attenzione alle versioni dal latino al greco. Una parte importante è inoltre costituita dalle informazioni raccolte sull’insegnamento del greco nella Polonia rinascimentale. L’Autore getta inoltre luce, adducendo nuovi elementi, sulla figura del traduttore Mikołaj Żórawski, i suoi legami con l’Accademia di Cracovia e con la casa reale polono-svedese dei Vasa. Roberto Peressin ha approntato col presente studio una fonte fino ad ora indisponibile e ne ha proposto la propria rigorosa analisi. Il libro permetterà al Lettore di ampliare la propria conoscenza sulla ricezione del greco nell’età moderna, e forse contribuirà a rinnovare l’interesse per la storia degli studia Graeca in Polonia. Barbara Milewska-Waźbińska

Elenco delle abbreviazioni1 BUW Biblioteka Uniwersytecka w Warszawie GSD Gabinet Starych Druków w BUW PAN Polska Akademia Nauk DGE LSJ LXX NT PSB TGL TLL

Diccionario griego-español A Greek-English Lexicon Septuaginta Novum Testamentum Polski Słownik Biograficzny Thesaurus Graecae Linguae Thesaurus Linguae Latinae

a c. di abl. acc. agg. art. att.  cfr. dat.  ed. ed. or. ed. pr. f., ff. fem. gen. gr.  hrsg. inf. it. lat.  loc.

a cura di ablativo accusativo aggettivo articolo attivo confronta dativo edizione / edited / edidit edizione originale editio princeps foglio, fogli femminile genitivo greco herausgegeben infinito italiano latino locativo

1 La dicitura estesa dei testi si trova nella bibliografia.

12 m.  m.-p. masch. n.  neogr. p., pp. p.es. part. pass. pers. perf., ppf. pl. pol. prep. pron. sing. sost. ss. trad. v.  vol(l). < >

Elenco delle abbreviazioni

medio medio-passivo maschile neutro neogreco pagina, pagine per esempio participio passivo persona perfetto, piuccheperfetto plurale polacco preposizione pronome singolare sostantivo / sostantivato seguenti traduzione vedi volume, volumi proviene da passa a, diventa

Nota Le fonti antiche sono abbreviate secondo l’uso accolto dal LSJ e dal TLL (salvo alcune deviazioni motivate da esigenze di chiarezza, p.es. Dion. Hal., Cass. Dio). Le traduzioni delle fonti, dove non diversamente indicato, sono di mia mano e racchiuse fra le virgolette alte “”. Le citazioni originali sono invece delimitate dalle virgolette basse «». Quando disponibili e non desueti, si sono impiegati nomi propri di persone e luoghi in uso nell’italiano. Data la grande quantità di citazioni, ho deciso di mantenere il corsivo per il latino.

0. INTRODUZIONE 0.1. Stato della ricerca, oggetto e finalità del presente studio* Con il presente studio si è inteso riprendere un tema piuttosto trascurato in Polonia negli ultimi decenni. L’indagine sul fenomeno del «greco umanistico» o «rinascimentale» (v. infra per un approfondimento terminologico), di contro, ha conquistato tutt’oggi, nel panorama europeo, un posto visibile nell’area di ricerca di alcune facoltà umanistiche: Parigi (Luigi Alberto Sanchi); Wuppertal (Stefan Weise); Vilna (Tomas Veteikis); Tartu (Janika Päll); Oulu (Erkki Sironen); Helsinki (Tua Kurhonen); Torino (Luigi Silvano) per citare solo alcuni dei centri e dei ricercatori coinvolti. In Polonia gli studi, principiati negli anni Cinquanta del secolo scorso dalle ricerche pionieristiche di Janina Czerniatowicz e culminati con la pubblicazione, da parte della medesima, dell’antologia Corpusculum poësis polono-graecae saeculorum XVI-XVII (1991), non furono continuati se non occasionalmente1. L’anno dopo la pubblicazione del tomo fu sollevata un’interessante quanto ancora irrisolta questione concernente il rapporto fra gli scrittori bizantini e gli umanisti polacchi. Thomas Conley2, avendo rilevato infatti una nutrita presenza di autori greci medievali nelle collezioni bibliofile dell’epoca3, di trattati di retorica, medicina e altre scienze, ha postulato che proprio le opere di quest’epoca tardo bizantina potrebbero aver esercitato un particolare influsso sugli umanisti sarmatici. Più interessanti sono però i risultati dello studioso americano nell’individuazione nelle collezioni private polacche, fra XV e XVII secolo, di testi greci rari, se non unici, di provenienza orientale, i quali confermano una ricezione diretta * Questo libro è nato dal Dottorato di Ricerca in Scienze Umanistiche condotto sotto la supervisione della prof.ssa Barbara Milewska-Waźbińska e discusso nell’anno accademico 2018/2019 presso l’Università di Varsavia e viene pubblicato grazie al contributo dell’Istituto di Filologia Classica (Instytut Filologii Klasycznej Uniwersytetu Warszawskiego), a cui esprimo la mia più sincera gratitudine. Vorrei anche ringraziare la prof.ssa Zofia Głombiowska e il prof. Bartosz Awianowicz per i consigli sull’analisi e la struttura del lavoro; e naturalmente il prof. Mikołaj Szymański per il prezioso aiuto durante la fase di redazione. 1 Cfr. K.  Gara, The Greek Hymns of Gregorius Cnapius, in “Terminus”, 16, 2014, pp. 411–430. 2 T.A. Conley, Byzantine Culture in Renaissance and Baroque Poland, Warszawa 1992. 3 L’indagine, benché parziale e di carattere sostanzialmente preliminare, lascia tuttavia presupporre che la presenza di tali libri in alcune collezioni sia dovuta a motivi d’altro genere, per lo più lo sfoggio di lustro del proprietario, il prestigio derivante dal possesso di opere rare e ricercate sui propri scaffali.

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INTRODUZIONE

di manoscritti da Costantinopoli, oltre che mediata dai centri di cultura europei, soprattutto italiani4. Le relazioni culturali greco-polacche dell’epoca sono esplorate anche in un altro progetto più recente, che si occupa della ricerca e pubblicazione di testimonianze redatte in varie lingue e legate al ruolo dell’ellenismo nelle vicende della Polonia-Lituania5. In ogni caso, quasi nessuna delle pubblicazioni seriori include analisi linguistiche dei testi. Il lavoro di raccolta della Czerniatowicz si è rivelato prezioso, in quanto ha radunato quasi l’intera produzione in greco degli umanisti polacchi tra Cinque- e Seicento, per lo più disseminata in peritesti di opere latine e volgari. L’antologia è dunque un punto di partenza da cui muoversi per ulteriori indagini, che devono avere per oggetto la lingua, oltre che le circostanze, spesso occasionali o d’apparato, che hanno prodotto quei testi. In particolare, la compianta studiosa segnalava la perdita dell’opera di traduzione dell’orazione Pro Archia poeta realizzata da Mikołaj Żórawski, una delle poche stampe greche originali di un certa estensione. Sulla necessità di ricerche intorno alla penetrazione della pratica delle versioni umanistiche in Polonia si sofferma anche Włodzimierz Olszaniec6. Mi auguro dunque, da una parte, che questo mio contributo possa continuare l’opera della studiosa polacca, dal momento che oggi la stampa è stata rinvenuta; dall’altra, che l’esempio potrà costituire un impulso per studi su altri testi greci coevi, per lo più già raccolti e pubblicati, ma che ancora attendono un’analisi più adeguata e approfondita. La produzione dell’umanesimo filellenico necessita di un approccio specifico, che parta dai solidi principi della critica filologica e della glottologia, ma che prenda allo stesso tempo le dovute distanze da atteggiamenti ‘classicistici’ di svalutazione verso una letteratura estremamente varia per limiti temporali, geografici, qualità e scopi. Ritengo doveroso ammettere che, sebbene l’esame della versione abbia cercato di includere i maggiori punti d’interesse dell’opera, per motivi di tempo si è reso tuttavia necessario operare delle scelte che hanno escluso, ad esempio, un confronto sistematico con altre opere ciceroniane in traduzione greca, nonché una disamina di tutti gli aspetti grafici della stampa secentesca, i quali potrebbero far luce sullo stato e le risorse tipografiche dell’officina7. 4 Ibid., pp. 50–62. 5 Il progetto (Hellenopolonica), diretto dal prof. Gościwit Malinowski, fa capo all’Università di Breslavia ed è finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca del Governo della Repubblica Polacca:  http://hellenopolonica.blogspot.com (accesso 18.08.2018). 6 W. Olszaniec, Od Leonarda Bruniego do Marsilia Ficina, Warszawa 2008, p. 222. 7 Ad esempio, meriterebbe maggior spazio l’analisi tipografica dell’accento nei dittonghi greci, l’uso delle legature, o ancora delle maiuscole e minuscole; si veda su questo J. Päll,

Precisazioni metodologiche

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Ci si è concentrati, invece, sulla parte storico-letteraria, utile a contestualizzare l’operetta, fornendo alcune sintesi aggiornate sugli interessi grecistici in Polonia e sulle traduzioni umanistiche sia come mezzo che consentì il recupero del patrimonio culturale greco, che come strumento didattico; si sono inoltre presentate testimonianze sulla poco conosciuta figura del traduttore. La parte filologico-linguistica, riproposta anche a parte in un più agile riepilogo, mira a chiarire e a tentare un’interpretazione dei processi traduttivi, a riassumere le più salienti caratteristiche grafico-fonetiche, morfosintattiche e lessicali della metafrasi; l’index verborum vorrebbe essere un nuovo strumento di lavoro finalizzato allo studio del lessico greco della versione, nonché uno stimolo alla creazione di una futura base lessicale del greco umanistico, in collaborazione con altri studiosi.

0.2. Precisazioni metodologiche Accingendosi alla stesura di un lavoro di questo tipo, è inevitabile constatare una certa carenza di studi prettamente analitici sullo speciale genere di traduzioni dal latino al greco. Mi sono dunque rivolto, in primo luogo, ad opere di carattere generale sulle più diffuse versioni umanistiche dal greco al latino. Illuminanti a tale proposito sono le indicazioni di Mariarosa Cortesi e Ernesto Berti8: seguendo i dettami dei due esperti, mi sono attenuto al trattamento del testo cercando di evitare un atteggiamento «pregiudizialmente classicistico»9, favorendo bensì un metodo analitico-descrittivo, che individuasse sì le rese atipiche e inconsone allo stile dell’opera (un’orazione), ma cercando di spiegarle e motivarle, mostrando come non di rado nascondano motivi di ordine lessicografico, forse programmatico, o ancora siano da ricondurre all’intervento del tipografo, al testo-sorgente, e non dipendano quindi soltanto dall’imperizia del traduttore. Per alcuni raffronti col testo, vantaggiosa è stata anche la lettura della traduzione greca ottocentesca dell’orazione in lingua καθαρεύουσα.

Far away from Byzantium: pronunciation and orthography of Greek in the 17th century Estonia, in J. Päll-I. Volt (eds.), Byzantino-Nordica. Papers presented at the International Symposium of Byzantine Studies held on 7–11 May 2004 in Tartu Estonia, Tartu 2005, pp. 86–119. 8 M. Cortesi (a c. di), Tradurre dal greco in età umanistica dal greco in età umanistica. Metodi e strumenti. Atti del Seminario di studio (Firenze, Certosa del Galluzzo, 9 settembre 2005), Firenze 2007, pp. ix–xvi; E. Berti, La traduzione umanistica, in M. Cortesi (a c. di), Tradurre dal greco, cit., pp. 3–15, p. 10. 9 E. Berti, La traduzione umanistica, cit., p. 10.

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INTRODUZIONE

Presentando il testo, si è deciso di mantenere la versione bilingue latino-greca su due colonne parallele, così come la si legge nella stampa, tentando, dove possibile, di far allineare le due redazioni. Si è tuttavia scelto di non fornirne un’edizione critica, in quanto le questioni sollevate e qui discusse, in parte ancora aperte, non permettono di produrre una versione di riferimento. Ho deciso quindi di procedere ad un’analisi e commento di tipo filologico-glottologico, confidando che i materiali raccolti in questo lavoro potranno essere utili per il futuro progetto di una pubblicazione ecdotica della versione. D’altro canto, ho voluto evitare un’edizione diplomatica, inutile in questi tempi, preferendo darne una versione depurata da quei difetti più gravi che ne impedirebbero la leggibilità (spiriti, accenti, sviste minori, mentre nella maggior parte dei casi gli emendamenti più sostanziali sono stati illustrati e giustificati nel commento), riportando tutti i miei interventi testuali in una sezione antecedente la disamina della versione10. Considerata l’importanza di tali inesattezze per la lettura del testo-documento storico, esse sono state poi riprese e ridiscusse da un’angolatura globale nella parte riepilogativa sinottica. In questo modo il lettore non avrà sott’occhio l’originale, collocato in riproduzione nell’Appendice 2, ma una copia emendata. D’altro canto, un’edizione costituisce sempre una proposta interpretativa, in quanto si cerca di fornire un testo che sia leggibile, non un asettico «equivalente del documento»; si tratta infatti di un «testo-nel-tempo»11, emendato dei maggiori difetti formali per dare una lettura il più possibile lineare ai fini di una fruizione pragmatica, dove tuttavia le mende rimangono visibili nelle apposite sezioni preliminari e spiegate nel commento. Nella parte analitica, per l’atteggiamento obiettivo verso questo peculiare e meno studiato settore della letteratura greca, si sono dimostrati proficui i lavori di Erkki Sironen e Tua Korhonen12 sull’edizione del poema epico barocco Finlandia. Gli articoli di Rolando Ferri sui Colloquia bilingui tardo antichi offrono

1 0 Cfr. ibid., p. 11. 11 G. Contini, Filologia, Bologna 2014, pp. 14–24, 83–84 e passim. «Rinunciare agli adattamenti convenzionali che lo [scil. il testo] renderebbero ‘leggibile’ equivale a rinunciare a considerarlo parte ancora viva di una tradizione letteraria», p. 84. 12 E. Sironen, Notes on the Language of Johan Paulinus’ Finlandia. A Baroque Eulogy in Greek Verses, in “Arctos”, 34, 2000, pp. 129–148: lo studioso dà una panoramica dei principali tratti morfosintattici, stilistici e lessicali del testo; T. Korhonen-T. Oksala-E. Sironen (edd.), Johan Paulinus (Lilllienstedt): Magnus Principatus Finlandia. Suomen Suuriruhtinaskunta, Helsinki 2000.

Precisazioni metodologiche

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non solo una perspicace analisi contrastiva delle strutture fra le due redazioni greca e latina di un particolare genere di strumento didattico, ma anche una ricca esemplificazione di sbagli versori (tra cui la definizione teorica dell’errore «da glossario», o «resa non idiomatica»), considerati da un punto di vista neutro, al di fuori della normatività scolastica, così come i confronti rivelatori fra versioni latine di testi greci di Leonardo Bruni e Marsilio Ficino presentati da Włodzimierz Olszaniec13. Per la parte lessicografica, sono debitore dell’idea di redazione dell’index verborum al glossario di Giovanni Salanitro14, strumento di consultazione essenziale allegato alla traduzione greca del De senectute.

13 R. Ferri, Il latino dei Colloquia Scholica, in F. Bellandi-R. Ferri, Aspetti della scuola nel mondo romano, Amsterdam 2008, pp. 111–177, pp. 113–114, 118; Id., Textual and linguistic notes on the Hermeumata Celtis and the Corpus Glossariorum, in “The Classical Quarterly”, 60, 2010, pp. 238–242; W. Olszaniec, Od Leonarda Bruniego, cit. 14 Theodorus Gaza. M.T. Ciceronis liber de senectute in Graecum translatus, ed. I. Salanitro, Lipsiae 1987.

PARTE PRIMA

1. PROFILO STORICO-LETTERARIO 1.1. Il «greco umanistico» come campo d’indagine sulla storia della tradizione antica La rinascita delle lettere latine, iniziata dagli umanisti italiani grazie allo studio e all’imitazione degli scrittori classici, che furono riscoperti e resi disponibili dalla fine del XIV sec., venne accolta molto presto anche Oltralpe; la disadorna cifra stilistica del latino medievale cedette a poco a poco il posto alle eleganze degli scrittori antichi. Questa produzione, denominata “neolatina”, è un campo di studi umanistici che gode ormai di una pluridecennale attenzione da parte di filologi e storici della letteratura, e comprende non soltanto opere classicheggianti di alto valore letterario, bensì anche tutta una congerie di testi assai differenti fra loro per stile, argomento, genere e che furono scritti o stampati all’incirca nel periodo 1400–180015. Per l’umanista desideroso di seguire le vestigia dell’uomo antico, il latino costituiva la “porta”, la prima lingua da dominare, seguita, nel solco del bilinguismo dei Romani, dal greco. Con la fine del Trecento assistiamo, accanto alla riscoperta di classici latini da secoli dispersi, anche alla crescente disponibilità di libri greci provenienti per lo più dall’Oriente. La ‘caccia’ ai manoscritti greci viene ferventemente praticata dagli umanisti, bramosi di leggere gli archetipi culturali e formali degli scrittori latini e allo stesso tempo di appropriarsene. Nasce altresì una produzione minore in lingua greca, la quale, partita dall’Italia, all’inizio del XVI sec. varcherà le Alpi, dove darà frutti anche più duraturi. Negli ambienti in cui la riforma protestante aveva attecchito, infatti, grazie all’importanza data alle lingue sacre per l’interpretazione della verità scritturale, l’insegnamento del greco godette di maggior fortuna. L’interesse filologico16 per questa moderna letteratura in greco antico nacque soltanto nel secolo scorso in seno agli studia neolatina, costituendone una branca da cui si è svincolata soltanto recentemente, acquistando uno status di disciplina 15 Sulle generalità e le nuove tendenze degli studia neolatina, si veda ad esempio H. Helander, Neo-latin Studies: Significance and Prospects, in “Symbolae Osloenses”, 76, 2001, pp. 5–102. La raccolta di saggi di P. Wilczek, Polonice et Latine. Studia o literaturze staropolskiej, Katowice 2007 presenta lo stato della ricerca e delle edizioni di opere neolatine polacche finora realizzate, con una nutrita agenda e un fiducioso appello per il futuro, pp. 31–46. 16 Vale comunque la pena qui ricordare uno dei primi saggi storici sull’insegnamento del greco di Ernest Renan, scritto nel 1848 ma pubblicato solo recentemente:  P.

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PROFILO STORICO-LETTERARIO

indipendente. In quanto tale, anch’essa richiede specifici strumenti e un’adeguata preparazione da parte dello studioso che vi si accosta. Come la letteratura neolatina, essa include17 un’estesa e differenziata varietà di testi che vanno da brevi paratesti o peritesti di carattere epidittico (testi dedicatori in prosa e soprattutto in poesia), traduzioni e parafrasi di classici latini e vernacolari, a epistole erudite, trattati, esercitazioni retoriche (progimnasmi), letteratura d’occasione (epitalami, commemorazioni, promozioni accademiche), antologie poetiche ed epica. Allo stesso modo, anche la qualità dei testi è estremamente varia:  si trovano opere di grecisti di prim’ordine, come Angelo Poliziano, Lorenz Rhodomann, Filippo Melantone, Joachim Camerarius, Guillaume Budé18 e molti altri, accanto ad autori di testi vistosamente scorretti e scarsamente curati. È bene notare che per questo motivo prevalse a lungo il pregiudizio di gran parte dei classicisti, i quali ritenevano questi scritti delle mere curiosità semierudite, un soggetto degno di secondaria attenzione. Eppure, l’esistenza stessa di questa produzione è sufficiente a legittimare un interesse per il fenomeno e a ritenerlo un capitolo della storia della letteratura greca e della Rezeptionsgeschichte. Alle prime ricerche sul greco degli umanisti si sono accompagnati anche i tentativi di inquadramento e definizione della questione, sebbene gli studiosi si trovino ancor oggi in disaccordo sulla terminologia da adottare. Se alcuni propendono per l’inglese «Humanist Greek»19, in area germanofona si propone Simon-Nahum-Ch. de Nadaï (éd.), Histoire de l’étude de la langue grecque dans l’Occident de l’Europe depuis la fin du Ve siècle jusqu’à celle du XIVe, Paris 2009. 17 Riprendo in questi paragrafi alcune delle idee emerse durante il simposio “Hellenistí! – Altgriechisch als Literatursprache im neuzeitlichen Europa”. Internationales Symposium an der Bergischen Universität Wuppertal, vom 20. bis 21. November 2015, e parzialmente pubblicate in S. Weise, Προοίμιον, in Id. (hrsg.), Hellenistí! Altgriechisch als Literatursprache im neuzeitlichen Europa, Stuttgart 2017, pp. 7–11; molto utile per la vastità del campo di ricerca T. Korhonen, Ateena auran rannoilla. Humanistikreikkaa Kuninkaallisesta Turun akatemiasta, Tesi di Dottorato, Università di Helsinki 2004, pp. 9 ss. (con un riassunto in inglese alle pp. 513–523). 1 8 Può essere interessante osservare che alle personalità di ambiente tedesco distintesi per la produzione in lingua ellenica e che costituirono quella “patria letteraria” nota con con il termine “Graecogermania”, era già stata specificamente dedicata nel XVIII sec. l’opera celebrativa di M. Georgius Lizelius, Historia poetarum Graecorum Germaniae a renatis literis usque ad nostra tempora, Francofurti 1730. 19 Il termine compare come titolo della raccolta di saggi di R. Weiss, Medieval and Humanist Greek. Collected Essays (a c. di C. Dionisotti-C. Fahy-J.D. Moores), Padova 1977. Invece, secondo D. Harlfinger (hrsg.), Graecogermania. Griechischstudien deutscher Humanisten. Die Editionstätigkeit der Griechen in der italienischen Renaissance (1469– 1523). Ausstellung im Zeughaus der Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel vom 22.

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il composto «Neualtgriechisch», costruito su «Neulateinisch», il quale, pur essendo meno angusto del primo, è però mal traducibile in altre lingue, e inoltre implicherebbe un’unitarietà e una sistematicità che il fenomeno del greco rinascimentale, a differenza di quello neolatino, secondo alcuni non ebbe mai. Una scelta più idonea, poiché priva di riferimenti particolari, sembra essere quella di «Gelehrtengriechisch» (“greco erudito”), per quanto però anche l’antichità abbia conosciuto molti greci eruditi. Quanto ai limiti temporali e geografici, il fenomeno è osservato dalle regioni dell’antico impero bizantino fino alle Isole Britanniche, passando per la Scandinavia, i Paesi Baltici, l’Europa continentale, e concentrandosi in un periodo che va dal XV al XVIII secolo, ma che in realtà dura fino ai giorni nostri, se vogliamo considerare i brani greci della raccolta Some Oxford Compositions (Oxford 1949)  o il poema epico ‘fantascientifico’ Ἀστροναυτιλία, pubblicato nel 1995 dal ceco Jan Křesadlo, i più recenti contributi a quest’illustre tradizione.

1.2. Latina discenda, Graeca tentanda20. Il ritorno del greco in Europa tra i secoli XIV e XVI Sebbene sia quasi pacifico che Francesco Petrarca (1304–1374) fosse incapace di leggere gli splendidi esemplari di Omero e Platone posseduti21, è tuttavia fuor di dubbio che proprio l’entusiasmo del primo fra gli umanisti influì in modo decisivo sul recupero delle lettere greche sullo scorcio dell’età di mezzo. L’istruzione in lingua greca impartita al Petrarca dal monaco calabrese Barlaam pare essere stata infruttuosa, a differenza dei rudimenti che Giovanni Boccaccio (1313–1375)

April bis 9. Juli 1989, Wolfenbüttel 1989, p. XVII, tali definizioni non sono pienamente giustificate, in quanto mancò sempre uno status ufficiale per il greco nelle università della prima età moderna, a differenza del latino. W. Ludwig, Hellas in Deutschland. Darstellungen der Gräzistik im deutschsprachigen Raum aus dem 16. und 17. Jahrhundert, Hamburg 1998, p. 52 afferma a sua volta che la dicitura “greco umanistico” riflette una definizione data al fenomeno dalla ricerca positivista, mentre esso sarebbe interpretabile come una semplice tendenza degli umanisti ad esprimersi in prosa e in versi greci. 20 Dal celebre discorso programmatico pronunciato nel 1518 da Philipp Schwarzerd (Filippo Melantone), De corrigendis adulescentiae studiis, ora in Corpus Reformatorum (ed. C. Bretschneider), Halis Saxonum 1843, vol. 11, p. 16. 2 1 Cfr. su questa vicenda M. Cortesi, Umanesimo greco, in Lo spazio letterario del Medioevo. III. La ricezione del testo, Roma 1995, pp. 457–507 e la bibliografia alla nota 1, dove si presentano i diversi pareri sulla questione.

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apprese da Leonzio Pilato22. Grazie ad essi, il Certaldese poté apprezzare i poemi omerici e altre fonti greche che gli serivirono alla composizione, fra l’altro, della fortunata Genealogia deorum gentilium23. Provvide inoltre a commissionare al maestro una versione latina dell’Iliade e dell’Odissea. Sebbene la traduzione non suscitò l’ammirazione dei letterati contemporanei, lungi dal riconoscere in quel rude e letterale latino il decantato genio omerico, essa costituì in ogni caso un netto progresso nella faticosa ricostituzione di un patrimonio perduto a causa di un oblio millenario24. L’espressione Graeca non leguntur sintetizza e illustra indirettamente il topos rinascimentale della decadenza e barbarie in cui gli studi umanistici erano caduti nei secoli delle grandi invasioni25, a tal punto che il greco non era più inteso se non da un esiguo numero di eruditi26. Per quanto si possa affermare che nell’Europa medievale lo studio del greco fosse pressoché impossibile per carenza di materiali didattici, libri e soprattutto istitutori in grado di garantire una solida formazione, occorre però ammettere che per tutti i secoli dell’età di mezzo sino alle soglie del fatidico Quattrocento27, la cultura europea fu attraversata come da fili più o meno tenui, nei quali è possibile percepire una presenza costante della cultura ellenica, in special modo nel fenomeno religioso cristiano, le cui origini affondavano nella cultura giudaico-ellenistica28. L’uso delle lettere dell’alfabeto greco nelle cerimonie di fondazione 22 Su questo personaggio, reso celebre dai suoi contatti con Petrarca e Boccaccio e considerato fautore del primo umanesimo italiano, cfr. la bibliografia in A. Fyrigos, Leonzio Pilato e il preumanesimo italiano, in R. Maisano-A. Rollo (a c. di), Manuele Crisolora e il ritorno del greco in Occidente. Atti del Convegno Internazionale (Napoli, 26–29 giugno 1997), Napoli 2002, pp. 19–29. 23 N.G. Wilson, Da Bisanzio all’Italia. Gli studi greci nell’Umanesimo italiano, Alessandria 2003 (ed. or. 1992), p. 5. 24 J.-Ch. Saladin, La bataille du grec à la Renaissance, Paris 2004 indica questo lento riaffermarsi dell’ellenismo in Europa come una sorta di ‘anamnesi’, piuttosto che un vero e proprio ritorno, pp. 25–39. 25 Il topos è centrale ad esempio negli Antibarbari di Erasmo, cfr. ibid., pp. 178–182. 26 Lo stesso Petrarca contava meno di dieci persone in Italia in grado di leggere il greco, Fam. XXIV 12, 32–34. 27 Ritengo che il concetto sia ben espresso in É. Legrand, Bibliographie hellénique, t. 1, Paris 1885, p. xvii: «la langue grecque ne cessa pas d’être connue en Occident pendant toute la durée du moyen âge […]; mais on ne l’étudiait guère que pour le besoin des relations commerciales, politiques, religieuses avec l’empire d’Orient. La véritable renaissance de l’hellénisme ne date que de la seconde moitié du quatorzième siècle». 28 È la nota tesi di W. Berschin, Medioevo greco-latino. Da Gerolamo a Niccolò Cusano, Napoli 1989 (ed. or. 1980), pp. 26–55 e passim. Essa è stata contestata da G. Cavallo, La circolazione dei testi greci nell’Europa dell’Alto Medioevo in J. Hamesse, M. Fattori (a

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dei templi, le formule liturgiche che rivelano palesemente antecedenti greci non sono che alcuni degli elementi costantemente presenti nella cultura occidentale, e che fanno da sfondo a un alternarsi di periodi di amnesia e di recupero o di semplice contatto con la lingua ellenica, come furono le rinascite carolingia, ottoniana e poi paleologa. Tali evidenze non fanno che dimostrare come il «désir du grec»29 abbia permeato a vari livelli i secoli che separarono la fine della cultura greco-romana dall’Umanesimo, come un continuo riaffacciarsi di un anelito alle primigenie fonti della sapienza. Aree interessate dalla conoscenza del greco erano inoltre, com’è risaputo, i monasteri greci di Grottaferrata e dell’Italia meridionale30. Giova ora ripercorrere per sommi capi le fasi che hanno portato a questa separazione culturale. L’impero romano era stato un’istituzione politica bilingue31: se la pars orientalis era ellenofona, nella pars occidentalis latina era l’amministrazione, greca la cultura (l’imitazione dei cui archetipi aveva dato vita notoriamente alla letteratura e all’arte romane). La frattura tra Roma e Costantinopoli ebbe inizio nel 395 alla morte dell’imperatore Teodosio e fu aggravata nel 476 dalla deposizione dell’augusto d’Occidente, e la successiva presa di potere di Odoacre e poi dei Goti. A  sancirla in modo irrevocabile fu, com’è noto, il grande scisma sorto fra le due chiese alcuni secoli più tardi, nel 1054. In forza di divergenze ideologiche e dottrinali, le due sfere – greca e latina – maturarono un’ostile diffidenza reciproca, causata altresì da sentimenti d’invidia di Roma per il mondo bizantino, rimasto l’unico ‘Faro dell’Ecumene’, e che fino alla Quarta Crociata, culminata con la presa di Bisanzio nel 1204, godette di lustro e leggendaria prosperità32.

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c. di), Rencontres de cultures dans la philosophie médiévale. Traductions et traducteurs de l’antiquité tardive au XIVe siécle. Actes du colloque international de Cassino 15–17 juin 1989, Louvain-La-Neuve–Cassino, pp. 47–64, il quale sostiene invece che come conoscenza del greco non possa intendersi un mero uso simbolico dell’alfabeto e di formule svuotate di significato. Si veda anche F. Ciccolella, Donati Graeci. Learning Greek in the Renaissance, Leiden-Boston 2008, p. 86. J.Ch. Saladin, La bataille, cit., p. 32. W. Berschin, Medioevo greco-latino, cit., pp. 35–38, 304–309. Per i diversi atteggiamenti nei confronti del greco a Roma cfr. H.I. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 1964, pp. 356 ss.; J. Wisse, The Intellectual Background of Cicero’s Rhetorical Works, in J. May (ed.), Brill’s Companion to Cicero, Leiden 2002, pp. 334–341. Sulla leggendaria opulenza di Bisanzio, cfr. p.es. J. Harris, Costantinopoli, Bologna 2011 (ed. or. 2007), pp. 111–129.

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Isolati centri di cultura greca per l’epoca basso-medievale si possono individuare nelle comunità monastiche dell’Italia meridionale (Puglia e Calabria), dove il dominio bizantino aveva resistito fino al XII secolo; Roma e Milano, come sedi del potere politico e cancellerie all’epoca dei Franchi, ed anche Napoli erano interessate alla circolazione di manoscritti e alla presenza di traduttori33. Oltralpe l’emigrazione dei monaci irlandesi (Scotti peregrini)34 trasferì sul continente un folto numero di documenti greci, dai quali dipenderà lo sviluppo di celebri monasteri come Saint-Denis a Parigi e San Gallo. Simili centri si crearono altresì attorno a singole personalità di rilievo, come Giovanni Scoto Eriugena (IX sec.) e Roberto Grossatesta (1175–1253) in Britannia, e naturalmente presso l’illustre allievo di questi, Guglielmo di Moerbeke (1215–1286). Britannico fu anche Roger Bacon (1214–1294), cui dobbiamo la stesura della prima grammatica greca in Occidente ad uso dei traduttori. Bacon aveva infatti notato l’inaffidabilità non solo delle versioni latine dei testi filosofici (soprattutto aristotelici), ma anche della Vulgata, anticipando così concetti-chiave che saranno ripresi dagli umanisti due secoli dopo35. La presenza della cultura ellenica, inoltre, era sempre stata pregnante nel carattere essenzialmente aristotelico della filosofia scolastica36. L’Occidente era venuto a conoscenza del pensiero dello Stagirita attraverso il filtro delle traduzioni latine, vergate dal greco a partire da Severino Boezio, ma successivamente anche dall’arabo; così anche per quanto riguarda altri testi scientifici come il corpus galenico per la medicina e Tolomeo per l’astronomia. Di Platone, benché il filosofo fosse tenuto in alta considerazione per tutto il Medioevo, erano noti pochissimi dialoghi in traduzione latina37, oltre alle idee e le citazioni che dal 3 3 W. Berschin, Medioevo greco-latino, cit., pp. 163 ss.; 217 ss. 34 L’Irlanda, grazie all’isolamento e alla presenza di monaci istruiti, fra i secoli VII-VIII aveva preservato una certa conoscenza del greco, per lo più riguardante l’alfabeto e alcuni testi liturgici; sulla «questione irlandese» cfr. p.es. ibid., pp. 124–128. 35 La grammatica (pubblicata con un’analisi in E. Nolan-S.A. Hirsch (ed.), The Greek grammar of Roger Bacon and a fragment of his Hebrew grammar, Cambrigde 1902) presenta già una semplificazione della flessione nominale rispetto ai manuali bizantini ed anticipa i manuali umanistici di un secolo più tardi, cfr. W. Berschin, Medioevo greco-latino, cit., pp. 314–317. 36 Di Aristotele erano noti in traduzione latina: Metafisica, Politica, Etica Nicomachea, Retorica e i Commenti di Alessandro d’Afrodisia, Temistio, Filopono, Simplicio, Ammonio. 37 Di Platone erano noti i dialoghi Timeo, Menone, Fedone, cfr. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 42–46; R. Klibansky, The Continuity of the Platonic Tradition during the Middle Ages, London 1981, pp. 21–31

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filosofo avevano tratto Seneca, Cicerone, Lattanzio e Agostino. Sappiamo che Petrarca conosceva il Fedone e il Timeo in traduzione latina, e che era in possesso di un manoscritto greco (v. supra). Se è lecito imputare l’impossibilità di padroneggiare questa lingua alla penuria di mezzi e di validi precettori ancora fino al XIV sec., bisogna tuttavia aggiungere che gli atteggiamenti di Petrarca verso le lettere greche furono piuttosto ambigui. È stato appurato come sia alla corte avignonese sia a Napoli non mancassero traduttori e grammatici greci38 disponibili all’insegnamento; pertanto, forse in virtù di quella sua sconfinata ammirazione per i Romani a scapito dei Greci, il poeta laureatus non ritenne necessario sobbarcarsi l’oggettiva fatica di apprendere il greco, per di più con mezzi inadeguati39. L’esperienza con il maestro Barlaam gli aveva tuttavia permesso di familiarizzare con l’alfabeto e i primi elementi grammaticali; inoltre riuscì ad appassionarsi alla cultura ellenica, tramite la lettura dei poeti latini ellenizzanti – Orazio e Virgilio in primis – ma anche dei testi filosofici. Il desiderio di leggere il principe dei poeti greci trovò esaudimento grazie all’aiuto di Boccaccio. Il risultato stilisticamente non soddisfece le aspettative dei due umanisti:  Leonzio Pilato adottò infatti il metodo ad verbum, producendo un testo letterariamente poco apprezzabile, ma ciononostante era finalmente possibile accedere alle fonti primarie dell’epica40. Lo stesso Leonzio nel 1399 divenne titolare, grazie all’intervento del Certaldese, della prima cattedra dello Studio fiorentino. Consistenti sviluppi attendevano lo Studio soltanto alcuni anni dopo, quando la cattedra fu affidata al filologo e diplomatico bizantino Manuele Crisolora41, su pressante invito del cancelliere della repubblica fiorentina Coluccio Salutati. Il nuovo maestro, proveniente dalla migliore scuola di retorica bizantina42, seppe formare la prima generazione di umanisti italiani, i quali, tanto affascinati dalle lettere greche quanto civilmente impegnati, furono determinanti nella scelta delle letture greche e soprattutto delle loro traduzioni latine eseguite nella prima metà del XV secolo. Umberto Decembrio e Leonardo Bruni intrapresero la versione, fra gli altri, delle aristoteliche Politica, Etica Nicomachea, e la Repubblica platonica43. 3 8 R. Weiss, Medieval and Humanist Greek, cit., pp. 168–169. 39 M. Cortesi, Umanesimo greco, cit., p. 458. 40 La materia del ciclo troiano era comunque già ben nota attraverso l’Ilias Latina, resoconti tardo-antichi di Ditti Cretese e Darete Frigio, allora considerati coevi agli eventi bellici di Ilio. 41 La bibliografia su Crisolora è vasta, si consideri p.es. la raccolta di studi R. Maisano-A. Rollo (a c. di), Manuele Crisolora e il ritorno del greco, cit. 42 A. Rollo, Problemi e prospettive della ricerca su Manuele Crisolora, ibid., pp. 31–86, p. 80. 43 J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., p. 47.

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Poco prima di scomparire, Bisanzio poté dunque consegnare all’infido Occidente il proprio testamento spirituale, la propria millenaria cultura, allorché i contatti tra le due parti geopolitiche divennero più intensi in vista di una riconciliazione tra le due Chiese: era in gioco il salvataggio di Costantinopoli, minacciata dai Turchi, e insieme ad essa quello di un intero mondo culturale. Fra gli attori che resero possibile questra translatio vi furono numerosi dotti ellenici giunti in terra italica – in prima linea Bessarione e Gemisto Pletone – i quali, intessendo stretti legami d’amicizia con gli intellettuali e i diplomatici delle corti italiane, diedero un forte impulso alla rinascenza della speculazione platonica, inscenando altresì una serrata contesa per la supremazia tra Platone e Aristotele. Il primo, nettamente più celebre in oriente, era al di qua del Bosforo meno studiato del secondo, sul quale invece la filosofia scolastica aveva forgiato le proprie strutture; ma dall’inizio del Quattrocento i dialoghi platonici poterono essere letti e tradotti, creando un dibattito che ebbe nell’Accademia di Careggi i suoi più insigni rappresentanti. Accanto alle opere dei filosofi, gli umanisti fiorentini esprimevano il desiderio di poter leggere gli scritti di Plutarco, Demostene, Tucidide, Luciano e altri prosatori attici. Codesti autori esponevano nei loro scritti temi etico-politici e valori nei quali lo spirito civico di quegli intellettuali si rispecchiava44. A tal riguardo, va accennato in questa sede anche il contributo di numerosi personaggi di varia estrazione sociale e formazione che, spinti dal desiderio di imparare il greco e collezionare manoscritti di autori ancora semisconosciuti dai latinofoni, intrapresero, specialmente nella prima metà del secolo XV, viaggi nell’oriente greco; tra questi ricordiamo Giovanni Aurispa, Giovanni Tortelli, Francesco Filelfo (v. infra) e Ciriaco d’Ancona45. Ricercati erano altresì gli scritti dei Padri della Chiesa46, tra cui Giovanni di Damasco e Pseudo-Dionigi l’Areopagita. Quanto alle Sacre Scritture, occorre premettere che la versione che allora godeva del più alto statuto era la Vulgata, tradotta da Gerolamo di

44 Un’agile panoramica sui criteri di selezione degli autori greci studiati e tradotti dai primi umanisti è in N.G. Wilson, Da Bisanzio all’Italia. Gli studi greci nell’Umanesimo italiano, Alessandria 2003 (ed. or. 1992), pp. 16–29. 45 M. Cortesi, Umanesimo greco, cit., pp. 484–489. 46 Le numerose traduzioni di opere patristiche (si prendano ad es. l’omelia Ad adolescentes di Basilio di Cesarea tradotta dal Bruni, o Giovanni Crisostomo recato in latino da Ambrogio Traversari) confermano la continuità tra pensiero cristiano e umanistico; in particolare, gli umanisti prendevano le distanze dalla teologia medievale, mentre sposavano la schiettezza e la maggior ricercatezza linguistica del messaggio dei Padri, cfr. P.O. Kristeller, Il pensiero e le arti nel Rinascimento, Roma 2005 (ed. or. 1990), pp. 43–45.

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Stridone nel IV sec. e, pur con qualche modifica, tuttora in uso nella liturgia in lingua latina. Le vicende del testo sacro avevano tuttavia compromesso la qualità e l’intelligibilità dei testimoni disponibili. Il fervido clima di interesse testuale posò pertanto la sua attenzione anche sulla Bibbia, soprattutto ora che diventava possibile collazionare copie greche di entrambi i Testamenti, insieme alla versione ebraica47. Vale la pena riprendere, un po’ più nello specifico, quanto poc’anzi accennato a proposito dei primi passi che condussero dall’arrivo dei primi dotti bizantini in Italia fino allo sviluppo di un programma di studio in cui la letteratura greca si posizionò finalmente a fianco di quella latina nelle scuole europee. Su invito di Coluccio Salutati, Manuele Crisolora fece il suo arrivo48 nella penisola nel 1397 con un carico di manoscritti greci, opere richiestegli in particolare dal Salutati e il cui contenuto era allora ignoto in occidente. Il dotto redasse anche la prima grammatica greca49 (Ἐρωτήματα, “domande”) ad uso degli umanisti dello Studio fiorentino. È bene precisare che fino alla fine del XIV sec. le prove di studio della lingua greca erano avvenute principalmente attraverso la lettura comparata di testi latini e dei corrispondenti testi greci, quasi sempre salmi, preghiere o altri scritti religiosi50, mediante un procedimento che sottoponeva l’allievo all’arduo sforzo di estrazione degli elementi grammaticali dalle due versioni. Il metodo degli Ἐρωτήματα51 di Crisolora rifletteva invece la prassi didattica dell’ultima età bizantina e consisteva in una serie di domande e rispettive risposte su argomenti grammaticali (la sintassi era quasi assente), con l’aggiunta di porzioni di testi originali analizzati con il metodo schedografico52, per fornire ai discenti un compendio di regole e una base lessicale chiari e sistematici. Di lì a poco anche altri 47 J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 172–175, 232–239. Sull’argomento più in dettaglio v. infra. 48 La vicenda si può leggere, ad esempio, in M. Cortesi, Umanesimo greco, cit., pp. 462–465. 49 Il testo di Crisolora circolò anche fuori d’Italia e fu più volte stampato fino all’inizio del XVI sec., cfr. P. Botley, Learning Greek, cit., pp. 10–11. 50 Ibid., pp. 75–76. Diffusamente impiegate nello studio in classe erano inoltre le raccolte bilingui di sentenze: Carmina Aurea di Pseudo-Pitagora e Sententiae di Pseudo-Focilide, cfr. ibid. pp. 77–79. 51 Il manuale si rifaceva probabilmente alla tradizione della Πύλη (Ianua), traduzione greca di una versione ridotta dell’Ars minor di Elio Donato, che a sua volta si riallacciava alla consuetudine grammaticale tardo-antica della Τέχνη di Dionisio Trace, cfr. F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., pp. 104–107. 52 Il cosiddetto metodo «schedografico» consisteva nella divisione e l’analisi di passi letterari, spesso tramite l’uso di domanda e risposta, finalizzati all’apprendimento della grammatica e del vocabolario, cfr. ibid., pp. 104–107, 114–118.

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greci si cimentarono nella preparazione di grammatiche nel solco del maestro, come Costantino Lascaris e Teodoro Gaza, le quali tuttavia si affiancarono al manuale crisolorino, non sostituendolo appieno53. Possiamo tracciare gli sviluppi del centro d’irradiazione culturale fiorentino attraverso l’operato di alcune personalità legate al magistero di Crisolora. Da Firenze nel 1414 si trasferì a Venezia Guarino Veronese (1374–1460)54, il quale, tra i primi, aveva avuto occasione di soggiornare per alcuni anni a Bisanzio e di apprendervi il greco classico e il romaico. Operò soprattutto a Ferrara, dove diresse una celebre scuola, la cui biblioteca contava libri di vario genere, dagli autori pagani ai Padri, fino ai tardi scrittori bizantini. Con lui mantenne stretti contatti anche un’altra figura innovativa nel panorama pedagogico dell’epoca, Vittorino da Feltre (1378–1446)55, che esercitò in Mantova la sua attività didattica. La scuola di Vittorino si distinse per l’accento posto sullo studio del greco; sappiamo infatti che i suoi allievi erano in grado di tradurre Plutarco, Esopo ed anche alcuni testi patristici56. Notevoli erano le risorse della sua biblioteca, che comprendevano testi per l’epoca rarissimi e che grazie alle abilità di amanuensi ellenofoni, in servizio presso la scuola mantovana, era possibile riprodurre e diffondere57. Preparazione linguistica paragonabile a quella di un nativo mostrò invece Francesco Filelfo (1398–1481)58, che per la maggior parte dell’attività risiedette a Milano, occupandosi di traduzioni e corsi accademici, fra gli altri su Omero, gli oratori greci, Aristotele e alcuni autori della Seconda Sofistica. Filelfo tenne altresì la cattedra di Firenze per alcuni anni e compose epistole e versi in greco, usando vari metri59. Dopodiché, alla sua partenza nel 1434, la cattedra fu occupata in modo irregolare, finché nel 1456 venne affidata nuovamente a un bizantino, Giovanni Argiropulo. Il dotto greco si distinse per versioni latine di testi sia pagani che cristiani, letture aristoteliche di alto profilo, nonché per un acuto spirito filologico, che trasmise altresì all’illustre discepolo di Montepulciano. Con Poliziano60, infatti, i progressi linguistici e letterari delle nuove generazioni di umanisti italiani raggiungono livelli ormai paragonabili a quelli dei professori 5 3 P. Botley, Learning Greek, cit., p. 11. 54 N.G. Wilson, Da Bisanzio, cit., pp. 30, 56 ss. 55 Ibid., pp. 45 ss. 56 Ibid., p. 47. 57 Ibid. 58 Ibid., pp. 64 ss. 59 Ibid., p. 65. 60 Notizie sugli interessi grecistici di A. Poliziano ibid., pp. 132–148.

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bizantini; la sconfinata cultura classica dell’erudito è saggiabile nelle numerose prolusioni ai corsi dello Studium, dedicati non solo a Omero, Platone, ma anche ad Aristotele, il quale continuava ad avere un posto di rilievo nell’ambiente fiorentino, nonostante le tendenze neoplatoniche dell’epoca61. Gusto assai raffinato mostrano le composizioni in volgare italiano e in latino, ma Poliziano compone altresì in greco: affascinato dalla letteratura ellenistica, sceglie infatti l’epigramma per creare una sua raccolta accostabile all’Antologia Greca62. Non va neppure dimenticato il suo contributo nell’ambito della critica testuale condotto sui testi giuridici greci. L’accesso ai nuovi testi e ai manuali scolastici ricevette un eccezionale impulso dall’invenzione della stampa. Gli esordi non furono agevoli, per la difficoltà di reperire linguisti competenti e per la fabbricazione dei caratteri mobili63. Fu Aldo Manuzio a raccogliere attorno a sé un manipolo di esperti e a fondare in Venezia la prima tipografia specializzata in testi greci64. Essa formava un tutt’uno con l’istituzione della Neakademia, un sodalizio di dotti filelleni (tra cui i cretesi Marco Musuro e Zaccaria Calliergi), i cui membri provvedevano a selezionare i testi da stampare e a discuterne i problemi filologici. La scelta cadde sulla città lagunare in relazione ai fitti rapporti con la grecità intrattenuti dalla repubblica veneta, e alla sempre maggiore presenza di bizantini nei suoi quartieri, spesso diplomatici o insegnanti. Attrattiva da non sottovalutare era certamente stata anche la ricca biblioteca che Bessarione aveva donato alla città e che ancora giaceva indisponibile nei magazzini ducali. I lavori iniziali di Aldo uscirono dal torchio negli ultimi decenni del Quattrocento e, nonostante le iniziali difficoltà di reperire i manoscritti, coprirono un elenco di autori latini e greci assai vasto. Molte di queste edizioni, note altresì per la raffinatezza dei caratteri e dell’impaginazione, furono in uso fino all’inizio del XIX secolo e circolarono sopperendo alla lacune editoriali causate dai divieti imposti dalla Controriforma65. I collaboratori

6 1 Ibid., p. 138; O.P. Kristeller, Il pensiero, cit., pp. 23–74, in particolare p. 38. 62 Gli epigrammi greci del Poliziano sono pubblicati in Angeli Politiani Liber Epigrammatum Graecorum, curavit F. Pontani, Romae 2002. 63 Il primo libro a stampa in greco, l’Epitome di Costantino Lascaris, fu impresso a Milano nel 1476 da Dionigi Parravicino, per i tipi forniti dal cretese Demetrio Damila. 64 Cfr. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 93–100; N.G. Wilson, Da Bisanzio, cit., pp. 163 ss. Per la figura di Manuzio nello specifico, si veda p.es. G. Orlandi, Aldo Manuzio editore, Milano 1976; e i saggi contenuti nella ristampa di C. Dionisotti, Aldo Manuzio umanista e editore, Milano 1995. 65 Per alcuni accenni introduttivi al tema della censura nella stampa pre- e postridentina, cfr. L. Braida, Stampa e cultura in Europa, Bari 2000, pp. 107–113.

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di Manuzio erano da una parte fortemente convinti della necessità dello studio del greco nella formazione scolastica, ma dall’altra ravvisavano la mancanza di strumenti adeguati; per questo, accanto alle opere di autori classici e postclassici (quasi tutte editiones principes)66, furono preparati anche lessici, grammatiche ed estratti di testi pedagogici67. Grazie alla crescente disponibilità di testi e di nuovi docenti, non era più necessario essere nati o vissuti in terra ellenica per lenire ai discepoli le asperità di questa lingua e propagarne gli illustri monumenti. Oltralpe il primo filelleno degno di nota fu Johannes Reuchlin (1455–1522), personaggio di prim’ordine nella vicenda che portò a ristabilire il rapporto con la fruizione delle tre lingue sacre. L’importanza del greco nell’educazione si trovava in linea con le idee formative dei riformatori Lutero e Melantone. Con il secolo XVI gli elogi dell’utilità del greco e le raccomandazioni per il suo inserimento nel curriculum di studi si moltiplicano, divenendo un Leitmotiv in prefazioni, lettere, discorsi accademici, oltre che in trattazioni di educatori come Erasmo da Rotterdam, Juan Luis Vives, Giacomo Sadoleto68. Non si trattò naturalmente di un processo rapido e agevole, come dimostra un avvenimento paradigmatico. Nel 1510 scoppiò l’“affare Pfefferkorn”69: il giudeo tedesco Johannes Pfefferkorn, convertitosi al cristianesimo in età adulta, aveva cominciato ferventemente non solo a predicare, ma addirittura a propugnare la conversione forzata degli Ebrei, nonché la distruzione dei loro scritti sacri. Al partito avevano aderito naturalmente gli ordini mendicanti, capi del conservatorismo e acerrimi nemici delle bonae litterae, e dunque contrari ad ogni tipo di intervento sul testo sacro70. Con il termine bonae litterae, gli umanisti indicavano le nuove tendenze letterarie, che riprendevano la grazia dello stile degli scrittori antichi, l’interesse per il testo e rifiutavano i tradizionali atteggiamenti della scolastica. Costoro, capeggiati da Reuchlin e Ulrich von Hutten71, costituivano il 66 Tra gli autori greci più celebri messi a disposizione in lingua originale dalla stamperia aldina: Omero, Esiodo, Sofocle, Euripide, Eschilo (anche se più tardi), Erodoto, Tucidide, Platone, Aristotele, Demostene, Plutarco, Filostrato, Antologia greca, Gregorio di Nazianzo, cfr. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., p. 95. 67 P. es. gli Erotemata (1498, ma una prima edizione risale al 1471) di Crisolora, il Lessico di Giovanni Crastoni (1498, su cui v. infra), il Thesaurus cornucopiae et horti Adonidis (1496), l’Onomasticon di Polluce (1502). 68 J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 305 ss. passim. 69 Ibid., pp. 203–228. 70 Ibid., pp. 140–142. 71 U. von Hutten (ed altri) pubblicò la raccolta di lettere satiriche Epistolae obscurorum virorum (1515–1519), con l’intento di smascherare e mettere in ridicolo l’atteggiamento

Latina discenda, Graeca tentanda

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versante opposto dello scontro e sostenevano la battaglia a colpi di libelli infiammati. In palio c’era la possibilità di accedere alle fonti originali delle dottrine, in questo caso i testi ebraici, benché l’affare coinvolgesse inevitabilmente anche le fonti greche della Scrittura. Il clima culturale si era dunque arroventato ben prima dei fatidici eventi di Wittenberg del 1517, e ogni mossa da entrambe le parti provocava ormai accesi dibattiti che coinvolgevano i principali ambienti accademici europei. Da questo clima di accesi dissidi nacquero inevitabilmente anche i primi frutti critico-filologici. Lorenzo Valla nelle Annotationes in Novum Testamentum (del 1444, ma pubblicate nel 1505) individua, tramite il confronto della Vulgata latina col greco, centinaia di passaggi erronei causati dalla corruzione del testo; più tardi, ispirato da quest’ultimo, Erasmo pubblicherà con l’audace Novum Instrumentum (1516) un’edizione del Nuovo Testamento greco corredato da una nuova versione latina72. Se l’ingerenza degli umanisti nei libri aristotelici aveva irritato gli esponenti delle facoltà filosofiche, ignari di greco e fedeli alle ineleganti e difettose versioni latine prodotte nei secoli precedenti73, ora l’emendamento ai testi sacri portò, com’era prevedibile, conseguenze ben più serie, dal momento che sconfinava nell’indiscussa autorità delle facoltà teologiche. Esse detenevano l’esclusivo diritto di commento delle Scritture, fondamento su cui poggiava l’ordine del mondo e che regolava anche la vita etico-religiosa. Altrimenti detto, la controversia era scesa dall’ambiente elitario delle accademie al terreno comune della religione e della devozione. Giova inoltre ricordare che i testi greci della Chiesa d’Oriente, considerata scismatica e ostile, suscitavano sospetto nelle sfere clericali. Ulteriore terreno di scontro fu la nascita nel XVI sec. dei collegi trilingui74, istituti extrauniversitari impegnati nello studio delle tre lingue sacre. Il fine dei suoi membri era di giungere alla verità filologica e proporre strumenti testuali più affidabili, i quali non potevano provenire dagli ambienti accademici, roccaforti

conservatore e sprezzante dei rappresenanti della scolastica nei confronti delle nuove correnti intellettuali, cfr. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit. pp. 182–187. 72 Cfr. ad es. L.D. Reynolds-N.G. Wilson, Copisti e filologi, Padova 1987 (ed. or. 1968), pp. 165–166; J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 188–202. La faccenda costituì uno dei vertici dello scandalo, a causa, fra l’altro, della nuova traduzione di λόγος con sermo in luogo del tradizionalmente accolto verbum, cfr. ibid., pp. 365 ss. 7 3 Lamentele sulla scarsa qualità delle versioni latine di opere del magister sono espresse già nel XIII sec. (v. supra) e si intensificano nei secoli successivi, cfr. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 36–39. 74 Ibid., 236–239.

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della scolastica e dell’interpretazione teologica tradizionale. Il collegio trilingue di Lovanio si trovò al centro di violenti conflitti dal 1519 al 1520: Erasmo, già caduto nel mirino dei tradizionalisti, fu strenuo sostenitore del collegio, il che non fece che aumentare i sospetti di collaborazione fra il rotterdamese e il movimento ereticale. E infatti, un anno dopo la pubblicazione del Novum Instrumentum erasmiano, è Martin Lutero ad affiggere le 95 tesi sulla porta del duomo di Wittenberg, dando simbolicamente inizio alla Riforma. Per i suoi ideologi le questioni filologiche saranno fondamentali: il principio espresso con la formula sola Scriptura parte dal presupposto che ogni cristiano deve potersi servire di un testo affidabile per accedere alla verità scritturale75. Lutero notava che tale possibilità era negata ai fedeli, i quali erano così costretti a fare ricorso al magistero intermediario e corrotto dei ministri della Chiesa romana. Qui dunque si fondono i rapporti tra Riforma protestante e interessi linguistici: gli umanisti d’Oltralpe convergono sulla necessità di sottrarre l’istruzione del “nuovo cristiano” alla prerogativa ecclesiastica, affidandola a scuole civiche patrocinate da autorità laiche. In queste istituzioni si deve provvedere ad insegnare le lingue sacre, secondo il modello elaborato da Melantone, e in seguito promosso da Joachim Camerarius e Johannes Sturm76. Tornando all’affare Pfefferkorn, Reuchlin ne uscì vincitore grazie al sostegno ricevuto non solo da eminenti umanisti come Erasmo e Hutten, ma anche dallo stesso papa Leone X. Questo primo trionfo condusse faticosamente ad una vittoria del greco intorno agli anni Trenta del secolo XVI e segnò l’inizio della fase ascendente per l’ellenismo al di fuori d’Italia77. In questo processo decisivi si rivelarono altri due elementi: come già visto, l’invenzione e la diffusione della stampa, e l’organizzazione della nuova didattica. L’educazione, invero, continuò a trovarsi nelle consuete strutture di matrice altomedievale del trivio e del quadrivio, ma ne furono rinnovati i contenuti78, scelti dalla rosa delle nuove letture latine e greche che le recenti scoperte di manoscritti avevano portato. La possibilità di imprimere meccanicamente i testi, inoltre, permise di raggiungere un maggior numero di lettori a costi più accessibili79.

7 5 76 77 78 79

Cfr. p. es. S. Nergaard (a c. di), La teoria della traduzione nella storia, Milano 2009, p. 36. Cfr. W. Boyd, The History of Western Education, London 1947, pp. 187 ss. J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., pp. 305 ss. W. Boyd, The History, cit., pp. 163–165. Cfr. L. Braida, Stampa e cultura, cit., pp. 100 ss.

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1.3. Vertere attraverso i secoli: breve panoramica sulle teorie traduttologiche occidentali dall’antichità alla prima età moderna Per meglio contestualizzare l’opera oggetto del presente lavoro, è parso conveniente delineare una breve storia della pratica versoria in Occidente dall’età antica fino all’epoca che ci interessa, ossia fino al tardo Rinascimento, occupandoci in primo luogo delle traduzioni dal greco, ma dedicando utilmente spazio anche a quella nicchia costituita dalle versioni dal latino in greco. Occorre ricordare che la traduzione non assunse uno statuto epistemologico indipendente se non nel Novecento con i “Translation Studies”80; prima d’allora, riflessioni sparse sull’argomento occupavano alcuni spazi nei cosiddetti peritesti ed epitesti delle opere di traduzione81. Tali teorie, aventi un ruolo ausiliario all’interno della retorica, seppero ritagliarsi alcuni momenti definiti nel pensiero di alcuni illustri scrittori latini e volgari. Un excursus82 sull’ars vertendi in Occidente deve necessariamente cominciare da Roma, giacché, com’è noto, i Greci mostrarono esiguo interesse in questo campo e per lo più a scopi pratici, senza fornire indicazioni teoriche. La terminologia dedicata rimane limitata ad alcuni lessemi: ἑρμηνεύω esprime la semplice azione dell’interprete diplomatico che trasporta il contenuto di un messaggio in un’altra lingua; i composti di μετα-, come μεταγράφω, μεταφέρω, μεταφράζω, μεταβάλλω, μεταβιβάζω indicano semplicemente la sostituzione o trasposizione di parole con altre parole83. È noto che la letteratura latina prese avvio proprio con una traduzione. Si tratta della versione latina dell’Odissea eseguita da uno schiavo tarantino, Livio Andronico, per l’istruzione dei figli del suo patrono. La traduzione di Livio, 8 0 Cfr. S. Nergaard, La teoria della traduzione, cit., pp. 10–17. 81 Secondo la lettura applicata da Gérard Genette, ibid., p. 13. 82 Fra le principali fonti sulla riflessione traduttologica dall’antichità alla prima età moderna da me consultate, cfr. R. Sabbadini, Il metodo, cit.; P. Chiesa, Ad verbum o ad sensum? Modelli e coscienza metodologica della traduzione tra tarda antichità e alto medioevo, in “Medioevo e Rinascimento”, I, 1987, pp. 1–51; J. Domański, O teorii i praktyce przekładania w łacińskim obszarze językowym, in J. Domański et al., O poprawnym przekładaniu, Kęty 2006, pp. 5–90; G. Folena, Volgarizzare e tradurre, Torino 1991; W. Olszaniec, Od Leonarda Bruniego, cit., pp. 13–52; S. Nergaard, La teoria della traduzione, cit. I documenti sulla riflessione traduttologica d’epoca romana e tardo-antica da me citati si trovano raccolti, tradotti e commentati in S.U. Baldassarri, Umanesimo e traduzione. Da Petrarca a Manetti, Cassino 2003, pp. 151–164. 83 Sull’argomento cfr. il lavoro di G. Folena, Volgarizzare, cit., pp. 5–9.

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giuntaci frammentaria, mostra già i caratteri tipici che tale pratica assunse presso i Romani. L’obiettivo precipuo delle traduzioni eseguite fino al II secolo d.C., era assimilare, attraverso la romanizzazione, la civiltà greca nei suoi contenuti e nelle sue forme. Ad una cultura come quella latina arcaica, nemmeno paragonabile per raffinatezza alla ellenica, occorreva infatti avvicinarsi ai modelli di quella con un particolare tipo di assimilazione, attraverso le traduzioni “artistiche”, che coinvolsero i differenti generi della letteratura greca. Il termine ‘traduzione’ non deve però trarre in inganno, in quanto si trattava di libere rielaborazioni degli originali, di riscritture (appunto artistiche) che le trasformavano in opere originali. Oltre all’epica, possiamo menzionare Ennio per la tragedia, Plauto e Terenzio per la commedia, Catullo e Orazio per la lirica, Virgilio per la poesia bucolica. I principi di questo peculiare tipo di ‘traduzione oratoria’ furono enunciati da diversi scrittori in modo non sistematico almeno fino al IV secolo d.C. Cicerone per primo si espresse sull’argomento in alcune opere retoriche e filosofiche, perciò dobbiamo all’Arpinate l’inizio di una metariflessione sulla pratica versoria. Nel De optimo genere oratorum (5,14–15) descrive infatti la propria impresa, oggi perduta, di traduzione di due orazioni di Eschine e Demostene. Nell’esecuzione ammette di aver reso il testo «non verbum pro verbo», ma in modo da conservare «genus omne verborum vimque»; comportandosi quindi non come interpres, ma come orator, il cui compito è preservare il significato del testo rivestendolo di uno stile e una sintassi propria84. Precisa poi di aver tradotto i termini dei due oratori greci «ut ea non abhorreant a more nostro» (7,23), ossia adattandoli alla sensibilità e alla cultura romana, traducendone il senso pur senza preoccuparsi di restituire il medesimo numero di vocaboli in una frase (cfr. anche De fin. 3,4– 15). Occorre puntualizzare che la terminologia latina in età classica assegnava a verto e converto un significato molto più ampio di quello a cui siamo abituati oggi. “Tradussero” (verterunt) allo stesso modo, infatti, anche Accio, Pacuvio, Plauto e Terenzio, traendo e contaminando dai drammaturghi greci le ambientazioni, le trame e i personaggi per le proprie commedie e tragedie, e realizzando così dei veri e propri rifacimenti. Le idee ciceroniane sul buon tradurre furono condivise da Orazio qualche decennio più tardi. L’epistola 2,3, nota come Epistula ad Pisones o Ars poetica, nell’intento di istruire il poeta nella complessa arte della creazione letteraria, intima: «nec verbo verbum curabis reddere fidus interpres» (134–135). Se l’Arpinate aveva espresso la netta preferenza per una traduzione ad sensum su una ad

84 J. Domański, O poprawnym przekładaniu, cit., p. 33.

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verbum per la prosa, il Venosino rafforza questo concetto in poesia, lasciando intravvedere in quel fidus interpres un maldestro e pedissequo traduttore dei singoli elementi del testo, se non addirittura un plagiatore85. Senza sostanziali differenze partecipa al dibattito anche Quintiliano (Inst. 10,5,2–5), il quale rimarca l’utilità dell’esercizio traduttivo dal greco in latino, nonché della parafrasi, al fine di produrre un’opera che rivaleggi in vigore retorico con l’originale o possa perfino superarlo. Aulo Gellio (N.A. 9,9,1–4) porta a sua volta l’esempio di Virgilio, che nelle Bucoliche fece uso di modelli letterari greci ben riconoscibili, ricavandone tuttavia uno stile proprio. I benefici della pratica di imitazione-emulazione dei grandi sono messi in evidenza anche da Plinio il Giovane (Ep. 7,9,1–6). Come sopra accennato, è con la traduzione della Bibbia, testo fondante per la tradizione occidentale, che viene dato inizio a una lunga sequela di discussioni sui metodi idonei da impiegare, motivate dall’esigenza di diffondere la parola di Dio in altre lingue e culture. Dal III sec. a.C., passando per le traduzioni latine dei primi secoli della nostra èra, la parabola riflessiva sulla versione del testo biblico arriva fino al XVI sec. con Lutero, portando sempre con sé epocali svolte culturali. L’Antico Testamento fu vòlto in greco ad Alessandria d’Egitto nel III sec. grazie, secondo la tradizione, a settantadue saggi che realizzarono un’imponente opera, per volere del re Tolemeo Filadelfo (più probabilmente per venire incontro alle esigenze della comunità ebraica alessandrina che, ormai fortemente ellenizzata, leggeva con difficoltà l’aramaico e l’ebraico)86. Questa versione si caratterizzava, rispetto al testo di partenza, per il notevole letteralismo, segno di ossequio verso il testo sacro. Si può desumere che il metodo utilizzato dai Settanta abbia influito sulle seguenti versioni delle Sacre Scritture, dato che proprio su questo punto poggia il fulcro della dicotomica teoria traduttologica posteriore, inaugurata e fissata da Gerolamo di Stridone nelle note formule ad verbum e ad sensum o ad sententiam. Con la Vulgata87 il santo produsse una revisione delle precedenti versioni in uso, la Itala e la Vetus Latina per il Nuovo Testamento, e di una nuova traduzione dall’ebraico e aramaico dell’Antico Testamento. L’opera di Gerolamo ricevette numerose critiche di falsificazione e manipolazione del testo, poiché nel tradurre, pur senza seguire le direttive ormai ‘classiche’ (ciceroniano-oraziane) della versione artistica, non si era attenuto rigidamente alla lettera, rompendo così una «tradizione esegetica già affermata»88. Ormai dal

8 5 86 87 88

Ibid., pp. 22–23; W. Olszaniec, Od Leonarda Bruniego, cit., p. 15. J. Domanski, O poprawnym przekładaniu, cit., pp. 24–28. Cfr. p.es. ibid., pp. 36–46. S. Nergaard, La teoria della traduzione, cit., p. 30.

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II sec. d.C. le traduzioni artistiche, ossia gli adattamenti retorici di tipo ciceroniano, avevano infatti ceduto il posto a versioni di testi di contenuto tecnico o cristiano, i quali, per loro natura, necessitavano di precisione e aderenza lessicale e sintattica alla fonte, e di certo non lasciavano adito a sperimentazioni stilistiche89. Alle contestazioni mossegli contro, Gerolamo rispose con la celebre apologia contenuta nell’Epistola 57 Ad Pammachium, nella quale, richiamandosi all’autorità di Cicerone e Orazio, sostiene che è proprio del buon interprete «non verbum de verbo reddere, sed sensum». Sebbene condivida la necessità di una doverosa aderenza all’originale nella resa di testi sacri, tuttavia, laddove si presentino oscurità, l’autore della Vulgata ritiene che queste vadano chiarite, diversamente da quanto sostenuto dalle correnti intellettuali dell’epoca, rappresentate ad esempio da Agostino d’Ippona, per il quale il progresso filologico raggiunto con la nuova versione biblica geronimiana poco valeva contro l’ossequiosa preservazione dell’ordo verborum, in quanto latore esso stesso di un intrinseco valore pedagogico90. Dal IV sec. si assiste dunque alla preferenziale diffusione del metodo ad verbum, sebbene il panorama sia, dal punto di vista metodologico, piuttosto variegato. Calcidio, autore di un’incompiuta versione del Timeo platonico, adotta il metodo oratorio descritto da Cicerone91, mentre Severino Boezio, il quale ambiva a costituire un corpus latino delle opere aristoteliche, decide di offrire un testo il più fedele possibile all’originale. L’interesse di Boezio era infatti focalizzato sul contenuto degli scritti di logica aristotelici, caratterizzati da uno stile assai rigoroso e denso di brachilogie, mentre perdeva importanza la restituzione dell’ornato stilistico nel testo d’arrivo92. Anche la terminologia traduttiva muta col variare delle metodologie e, se in età classica erano usati per “tradurre” aemulari, imitari, vertere, dal tardo antico si afferma l’uso del termine interpretari, con il senso di “trasporre il contenuto dell’originale”, quasi sempre di un’opera in prosa93. La cultura europea dei secoli di mezzo entrò in collisione con culture e lingue di altri continenti, e per tale motivo la pratica versoria non conobbe arresti; tuttavia non disponiamo di testimonianze che descrivano le teorie sottese a questa 8 9 P. Chiesa, Ad verbum o ad sensum, cit., p. 10. 90 H.I. Marrou, St. Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1939, p. 477, cito da S. Nergaard, La teoria della traduzione, p. 30. 91 L’Arpinate aveva già a sua volta realizzato una versione non solo del Timeo, ma anche del Protagora, cfr. R. Klibansky, The Continuity of the Platonic Tradition, cit., p. 22. 92 J. Domański, O poprawnym przekładaniu, cit., p. 65. 93 Ibid., p. 12 e passim.

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attività94. Il Medioevo, dunque, non apportò in quest’ambito significativi cambiamenti; la progressiva scomparsa dello studio del greco e la popolarità del metodo verbatim sono infatti rintracciabili nelle opere di due rilevanti traduttori di Platone del sec. XII. Le posizioni del siciliano Enrico Aristippo e di Burgundio Pisa possono infatti essere illuminanti per illustrare la natura sostanzialmente servile delle versioni eseguite fino al XV sec. Come già osservato, nel processo versorio l’interesse si era spostato dalla foma al contenuto dell’opera tradotta, dunque ogni singolo elemento del testo reclamava la sua importanza. Nella versione del Timeo eseguita da Enrico, il conversor tende a preservare ogni particella greca com’è noto spesso intraducibili in latino - e a restituire nell’altra lingua un testo pedissequo di quello platonico, rinununciando consapevolemente a trasmettere allo scritto uno stile proprio, contrariamente a quanto sostenuto da Cicerone95. Burgundio, a sua volta, trova nel letteralismo il modo per conservare intatti contenuto e stile sia di opere religiose, facendo riferimento alla Bibbia, sia di opere filosofiche, indicando l’esempio di Boezio, traduttore dell’Organon aristotelico.96 Da Boezio dipendono anche le più tarde versioni di Guglielmo di Moerbeke, il quale porta all’estremo il pietismo del suo predecessore nell’utilizzo del metodo verbum de verbo97 e così pure il di lui maestro Roberto Grossatesta. Allorché il vento dell’ellenismo, portato dalle vicende politiche del XIV e XV secolo, risvegliò in Europa l’interesse e la ricerca dei testi greci, le versioni latine di opere greche sacre e profane, ma soprattutto aristoteliche, cominciarono ad essere tacciate di ineleganza, imprecisione, erroneità, a tal punto da minare la comprensibilità dell’originale98. I  canoni di concinnitas letteraria ciceroniana nuovamente ripresi dagli umanisti investirono infatti anche il campo delle traduzioni. La magra considerazione che le versioni medievali ebbero presso gli umanisti non rende però giustizia della dignità di cui esse godettero presso i contemporanei; il letteralismo rispondeva infatti a una consapevole esigenza di

94 S. Nergaard, La teoria della traduzione, cit., pp. 17–20. I nuovi centri di traduzione fiorivano ormai decentrati dall’Europa, come in Spagna dove sorse nel XII sec. la Scuola di Toledo, fondamentale per la trasmissione di Aristotele in Occidente, cfr. ibid. 95 J. Domanski, O poprawnym przekładaniu, cit., pp. 57–60. 96 Burgundio attese alla traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni di Damasco, e delle Omelie al Vangelo di Giovanni di Giovanni Crisostomo, ibid., pp. 60–64. 97 Ibid., pp. 64–66. 98 Una delle accuse più frequenti alle traduzioni medievali da parte degli umanisti era l’approssimatezza nella resa della terminologia greca, cfr. J. Domański, O poprawnym przekładaniu, cit., p. 75.

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trasferire al lettore latinofono l’esatta disposizione verbale insieme ai concetti dell’opera originale99. Portavoce delle nuove tendenze è Leonardo Bruni, il quale, nella Praefatio quaedam ad evidentiam novae translationis Ethicorum Aristotelis100 e poi nel trattato De interpretatione recta (1426), espone i principi della nuova ars vertendi e, per primo, imprime un nuovo indirizzo semantico alla famiglia lessicale di traducere, traductio, traductor101. Se per l’aretino è essenziale mantenere l’integrità del contenuto del testo di partenza, tuttavia rimane irrinunciabile la conservazione dello stile, al fine di rendere non solo ogni concetto che compare nell’opera, ma anche la ‘forma’, considerata parte integrante dell’intero messaggio da trasferire nella lingua d’arrivo. Non si tratta pertanto unicamente della meditata trasposizione di uno scritto, bensì di un prodotto culturale da un contesto storico ad un altro102. Significativo in questo senso è che una fra le più celebri orazioni demosteniche, De corona, verrà tradotta più volte dagli umanisti, in una sorta di ricerca dello stile perfetto, in competizione con lo stesso Demostene103. Tale approccio traduttivo corrisponde al tipo “oratorio” ad sententias ed è la naturale ripresa ed evoluzione delle teorie ciceroniane condensate e integrate da Gerolamo. Agli umanisti va il merito di aver riconosciuto un altro grande beneficio derivante dal vertere, che consisté in un naturale arricchimento delle risorse non solo lessicali, ma anche stilistiche e sintattiche della lingua d’arrivo. Ciò si riflette, infatti, anche nella traduzione nei volgari, teorizzata fra i secoli XVI-XVII, fra 99 È tuttavia doveroso precisare che gli stessi umanisti avevano perso di vista le reali motivazioni che avevano spinto i traduttori medievali ad approntare consapevolmente un certo tipo di traduzioni dei testi filosofici, cfr. E. Berti, La traduzione umanistica, cit., p. 6. 100 Sul pensiero traduttologico di Bruni si veda H. Baron (hrsg.), Leonarado Bruni: Humanistisch-philosophische Schriften, Leipzig 1928, pp. 76–81; M. Cortesi, Umanesimo, pp. 473–484. 101 Dal significato generico di “trasferire, condurre da un luogo all’altro” a quello di “trasporre un concetto da una lingua all’altra”. Il termine soppianterà quelli medievali come transferre, translatare, cfr. G. Folena, Volgarizzare, cit., p. vii e 72; S. Nergaard, La teoria della traduzione, cit., pp. 34–35 e nota 45. 102 A titolo d’esempio si può portare il modo di versione dei termini tecnici greci οἰκονομική e πολιτική, resi rispettivamente dall’aretino in maniera classica con res familiaris e res publica; le traduzioni precedenti offrivano al più delle traslitterazioni in alfabeto latino: yconomica e politica, J.-Ch. Saladin, La bataille, cit., p. 49. 103 M. Accame Lanzillotta, Leonardo Bruni traduttore di Demostene: la “Pro Ctesiphonte”, Genova 1986, pp. 22–23.

Riappropriarsi della cultura greca: le traduzioni umanistiche

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gli altri, dai francesi Étienne Dolet (La manière de bien traduire d’une langue en autre, 1540) e Joachim Du Bellay104, sullo scorcio della latinità letteraria, quando ai vernacoli (a cominciare dal francese) viene ormai riconosciuta una piena dignità letteraria. Tali versioni, caratterizzate da abbondanza di figure retoriche, ricchezza lessicale, ricercate costruzioni sintattiche, debbono queste strategie proprio al tirocinio delle metafrasi umanistiche in lingue classiche e dalle lingue classiche nei volgari. Emblematico rimane l’esempio di Lutero, che grazie all’opera di versione tedesca della Bibbia introdusse nel testo sacro i principi elaborati dagli umanisti, a beneficio di una lingua moderna. Nel Cinquecento, quando la rinascita umanistica è nella sua piena maturità, la pratica e la teoria della traduzione avevano già prodotto una varietà di opere, di posizioni e di motivi, che le qualificano come un fenomeno intellettuale indipendente e meritevole di studio.

1.4. Riappropriarsi della cultura greca: le traduzioni umanistiche Settore d’indagine relativamente recente105, le traduzioni dal greco in latino eseguite dagli umanisti si sono guadagnate da qualche decennio un capitolo a sé nella storia della letteratura e della tradizione classica. Come abbiamo già avuto occasione di accennare, fu grazie ad esse che, in un processo di mediazione culturale, i contenuti e i modelli dell’originalità ellenica sconosciuti in occidente – o al più noti solo per i titoli o parzialmente attraverso gli scrittori latini – poterono diffondersi e circolare fra i lettori latinofoni dalla fine del Trecento. In molti casi i medesimi libri greci già noti nel Medioevo ricevettero novelle traduzioni, condotte secondo i dettami di una nuova arte versoria. Si fanno risalire a Crisolora 104 Sul nodale problema della trasposizione culturale coinvolta nel tradurre v. G. Steiner, After Babel. Aspects of Language and Translation, Oxford 1975; qui in particolare pp. 262–263. 105 Per le generalità sull’argomento si rimanda a M. Cortesi, Vitalità della traduzione umanistica, in M. Cortesi (a c. di), Tradurre dal greco, cit., pp. ix-xvi; M. Cortesi-S. Fiaschi (a cura di), Repertorio delle traduzioni umanistiche a stampa (secoli XV-XVI), 2 voll., Firenze, 2008; E. Berti, La traduzione umanistica, in M. Cortesi (a c. di), Tradurre dal greco, cit., pp. 3–15; F. Furlan et al., Premessa, in HVMANISTICA. An International Journal of Early Renaissance Studies, 6/1, 2011, pp. 11–12. Queste opere continuano e aggiornano le innovative ricerche di R. Sabbadini, del quale si consideri almeno l’importante Il metodo degli Umanisti, Firenze 1920; e il progetto iniziato negli anni Quaranta del secolo scorso P.O. Kristeller-F.E. Cranz et al. (eds.), Catalogus Translationum et Commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin Translations and Commentaries. Annotated lists and guides, I-, Washington D.C., 1960-.

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(v. supra) le prime direttive teoriche106 sulla traduzione, tramandate dall’allievo Cencio de’ Rustici, le quali prediligevano una resa ad sententias rispettosa del testo di partenza nei suoi contenuti e stile, sconsigliando il metodo letterale ad verbum. Esse furono successivamente sviluppate dagli allievi del dotto greco, fra i quali spicca Leonardo Bruni; validi apporti diedero anche Ambrogio Traversari, Giannozzo Manetti e lo stesso Bessarione. Se finalmente «con l’Umanesimo le traduzioni tornarono ad essere dei libri da leggere»107, va tuttavia rilevato che l’affermarsi del metodo ad sententias non determinò la sparizione del metodo ad verbum. I  traduttori formatisi alla cerchia di Crisolora e Bruni furono più sensibili alla necessità di attenersi ai modelli di Cicerone e Gerolamo, ma il panorama delle versioni umanistiche si rivela assai disomogeneo, e per svariati motivi. La capacità interpretativa non dipendeva infatti solamente dalla cultura e dalla sensibilità individuali, ma anche dal genere letterario dell’opera da tradurre (un’opera in prosa o in metro, classica o patristica ecc.), dalle esigenze della commissione (la cultura e gli scopi del comittente influivano sul risultato finale, specie se questi era anche il protettore del conversor), dal codice disponibile (il quale conteneva sovente varianti d’autore, corruzioni, integrazioni) e così via108. Dopo il Cinquecento il filone versorio subisce una decadenza, dovuto alla professionalizzazione della figura dell’umanista, all’irrigidimento dei canoni letterari e dello stile latino, nonché all’affermazione dei volgari109.

1.5. All’inverso: ex Latino in Graecum Se paragonate alle precedenti, le metafrasi dal latino al greco rappresentano una branca dello stesso fenomeno meno nota, giacché assai meno rappresentate110. Cerchiamo ora di risalire alle origini di questa pratica. Abbiamo più sopra 106 Sul ruolo di Crisolora nella prima teorizzazione traduttiva, si veda certamente R. Sabbadini, Il metodo, cit., pp. 18–27, e anche M. Cortesi, Umanesimo greco, pp. 470–484; Ead., Vitalità, cit., pp. x–xv. 107 Per una rassegna dei principali problemi linguistici e filologici posti dalle traduzioni umanistiche si veda E. Berti, La traduzione umanistica, cit.; la citazione è a p. 6. 108 Ibid., pp. 8–9. 109 Ibid. 110 P. Botley, Learning Greek, cit., pp. 76–77 e la bibliografia a pp. 196–197; E. Fisher, Greek Translations of Latin Literature, in J.J. Winkler, G. Williams (ed.), Later Greek Literature, Cambridge 1982, pp. 173–216; D.Z. Nikitas, Traduzioni greche di opere latine, in S. Settis, I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società. I Greci oltre la Grecia, Vol. 3, Torino 2001, pp. 1035–1051 (la breve rassegna bibliografica alle pp. 1035–1036 pone l’interesse per questo tipo di produzione già nel sec. XIX); D. Bianconi, Le traduzioni

All’inverso: ex Latino in Graecum

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descritto la particolare situazione di bilinguismo dell’impero romano; a Roma ogni uomo di cultura non poteva esimersi dallo studio del greco accanto al latino e tradurre in greco era vivamente raccomandato dai precettori per acquisire scioltezza in entrambe le lingue111. Se le opere greche avevano goduto dell’interesse e quindi delle traduzioni da parte dei latini, lo studio del latino nella pars orientalis era invece per lo più motivato dalle possibilità di intraprendere una carriera nelle strutture amministrative civili e militari dell’impero. Ciò tradisce già una cifra ideologica che nei secoli successivi non farà che acuirsi, ossia la pregiudiziale superiorità culturale degli Ἕλληνες su tutti gli altri popoli – considerati βάρβαροι – la quale, rinforzata dalle controversie dottrinali, determinò il progressivo allontanemento fra i due mondi e l’isolamento di Bisanzio dopo il crollo dell’impero occidentale nel V sec. d.C.112 La pratica versoria dal latino al greco fu, oltre che più limitata, altresì discontinua, ed ebbe i suoi apici nella prima età tardo-antica e, successivamente, nell’epoca della dinastia dei Paleologi. Se l’atto di nascita ufficiale è considerata la versione greca delle Res gestae di Augusto (dopo il 13 a.C., rinvenute nel celebre Monumentum Ancyranum)113, le sabbie dell’Egitto ci hanno invece conservato più recenti testi digrafici recanti glossari latino-greci, nonché opere di Cicerone e Virgilio in versione greca interlineare destinati all’apprendimento, ma anche testi storici e tecnici (Columella, Eutropio); con la medesima finalità erano diffuse grammatiche, trattati pedagogici e favole tradotti in greco114. Nell’VIII secolo l’ultimo papa ellenofono, Zaccaria, redasse la metafrasi dei Dialogi di Gregorio Magno, che godette di larga in greco di testi latini, in Lo Spazio Letterario del Medioevo, 3. Le culture circostanti, I. Bisanzio (a c. di G. Cavallo), Roma 2004, pp. 519–568. B. Rochette, Du grec au latin et du latin au grec. Les problémes de la traduction dans l'antiquité gréco-latine, in “Latomus”, 54, 1995, pp. 245–261. Di grande interesse e utilità è il catalogo, curato dal prof. Anthony Kaldellis (Ohio State University) e in costante aggiornamento, delle traduzioni eseguite da lingue straniere in greco fino all’alto medioevo. Tra queste figurano, alle pp. 5–8, le versioni dal latino di testi letterari e giuridici redatte fra IV e VIII sec. (https://www.academia.edu/36711128/ Kaldellis_Catalogue_of_Translations_into_Byzantine_Greek_ version_III_ accesso 3.11.2019). 111 Cfr. Cic., De or., 1,155; Hor., Carm. 3,8,5; Quintil., Inst. 10,5,2–3. Sui rapporti dell’uomo romano nei confronti della cultura greca, vedasi H.I. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 1964, p. 374 ss.; F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., pp. 77 ss. 112 D. Bianconi, Le traduzioni, cit., p. 535–536. 113 D.Z. Nikitas, Traduzioni greche di opere latine, cit., pp. 1037–1038. 114 F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., p. 81 e nota 20; B. Rochette, Du grec au latin, cit., pp. 254–260; sul ruolo della favola nella didassi linguistica antica si veda M.C. Scappaticcio, “Fabellae”. Frammenti di favole latine e bilingui latino-greche di tradizione diretta (III-IV d.C.), Berlin-Boston 2018.

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accoglienza in Oriente, mentre già da prima erano in circolazione in lingua greca opere come gli Acta Martyrum Scillitanorum e le vite di santi occidentali. Anche i documenti latini dei concili ecumenici, utili alla preparazione delle dispute, erano tradotti in greco dai bizantini115. Dopo la chiusura ideologica determinata dal grande scisma e perdurata durante l’età medio-bizantina, i contatti diplomatici tra Occidente e Oriente si rinnovarono, prima con l’età dei Comneni nel XII sec., successivamente con la Quarta Crociata (1204) e infine con i Paleologi (1261–1453); ed anche la pratica fece il suo ritorno, costituendo prevalentemente un sussidio per i bizantini nello studio del latino. È interessante notare che Bessarione si servì, a questo scopo, della traduzione del Timeo platonico eseguita da Cicerone più di mille anni prima116. Ad assumersi la fatica delle nuove versioni in quest’epoca non erano più papi o monaci, bensì esponenti delle élites culturali bizantine. Le imprese più importanti di questo periodo sono legate al nome di Massimo Planude (1255–1305)117, il quale recò in greco svariati classici latini, probabilmente al fine di fornire un repertorio di alto livello per lettori grecofoni. Oltre a testi patristici, sono infatti da attribuirsi a lui la grecizzazione del Somnium Scipionis e il relativo commento di Macrobio; il De consolatione philosophiae, apprezzato per il tentativo di Boezio di conciliare il pensiero di Platone e Aristotele; i Disticha Catonis (circolanti insieme alla grammatica Donatus Graecus)118, raccolta di massime morali e regole grammaticali in prosa e versi, assai letta nelle scuole medievali ed anche più tardi; le Satyrae di Giovenale, forse la Rhetorica ad Herennium ed anche l’interessante progetto di un Corpus Ovidianum in lingua greca. Non erano trascurate dai greci neanche le opere sul pensiero scolastico, indispensabili per costruire dispute dottrinali a favore dell’unione con la Chiesa Romana119. Demetrio Cidone, attivo alla corte dei Palelologhi, intorno al 1350 tradusse alcuni fondamentali scritti di Tommaso d’Aquino, mentre altri trattati filosofici furono volti in greco dal discepolo di lui Manuele Caleca. Altro nome che si staglia in questo panorama è quello di Teodoro Gaza, protetto di Bessarione, sebbene l’attribuzione a lui delle

1 15 D. Bianconi, Le traduzioni, cit., pp. 519–524. 116 P. Botley, Learning Greek, cit., p. 76. 117 D. Bianconi, Le traduzioni, cit., pp. 556 ss. 118 F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., p. 52. 119 Il percorso di unione fra le due Chiese, imprescindibile al fine di offrire sostegno militare a Costantinopoli, fu lungo e tortuoso, ed ebbe compimento con il Concilio di Ferrara-Firenze tra 1438–1439.

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traduzioni di Cato Maior de senectute e dei libelli di Gerolamo Savonarola non sia pacifica120. Quanto all’epoca postbizantina, sulle versioni dal latino al greco siamo invece molto meno informati. Sappiamo tuttavia che le metafrasi dell’Arpinate continuano anche nel secolo successivo:  incontriamo infatti ancora  Paradoxa Stoichorum (XVI sec.) e De amicitia (Parigi 1653) recati in greco rispettivamente dai francesi Adrien Turnèbe121 e Denis Petau. Tengo a citare anche un’altra esercitazione accademica di alto livello, il secondo libro del De officiis, opera del danese Johannes Olai Slagendorpius e pubblicato a Wittenberg nel 1578. Come appare chiaro, anche negli ambienti umanistici occidentali dei secc. XV e XVI, testi latini in veste greca circolavano, costituendo validi strumenti didattici da confrontare con gli originali latini. Tradurre da una lingua all’altra o leggere le traduzioni comparandone l’originale serviva a conquistare speditezza e facondia nella lingua appresa. La tradizione, iniziata dai maestri bizantini, apportò dunque benefici anche agli studenti di greco latinofoni122.

1.6.  Gli interessi grecistici in Polonia nei secoli XVI-XVII 1.6.1.  Le tappe principali È ora opportuno fornire alcune notizie sulla storia della ricezione antico-greca nella Rzeczpospolita. Il paragrafo non ha pretese di esaustività, bensì mira a impostare il problema e a calare l’opera in un contesto più preciso. I rapporti fra la Polonia e la cultura ellenica nelle sue forme più varie risalgono ad epoche ben più lontane di quella che ci interessa qui. I primi contatti tra il primigenio stato polacco e il mondo greco sono databili, infatti, all’alto Medioevo. Bisanzio, com’è noto, si trovava ad essere nel IX secolo il maggiore focolaio di cultura per le regioni orientali e sud-orientali d’Europa. Per la loro particolare collocazione geografica, le terre ubicate tra l’Oder e la Vistola risentivano degli influssi culturali provenienti sia da Occidente che da Oriente123.

1 20 D. Bianconi, Le traduzioni, cit., p. 568 n. 136. 121 I Paradoxa di Turnèbe, sebbene anteriori, appaiono in Adriani Turnebi Opera, t. II, Argentorati 1600, pp. 171–175. Per queste opere cfr. M.T. Ciceronis Cato Maior, Somnium Scipionis, Laelius et Paradoxa ex Graecis interpretationibus…, instruxit P.C. Hess, Halis 1833, pp. xv-xvii. 122 P. Botley, Learning Greek, cit., p. 76. 123 D. Borawska, Piśmiennictwo i nauczanie, in T. Manteuffel (a c. di), Polska pierwszych Piastów, Warszawa 1974, pp. 270–294.

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L’inno mariano Bogurodzica (calco del greco Θεοτόκος, Dei Genitrix) è considerato una delle prime opere poetiche in lingua polacca. Si tratta di una redazione dugentesca di un testo assai più antico, nonché una delle prime espressioni del tangibile influsso della cultura greca sugli Slavi d’Occidente:  la preghiera conserva infatti gli stilemi tipici dell’innografia bizantina124. Importante fu tra X-XI sec. il ruolo tenuto dalla politica espansionistica di Bolesław Chrobry, (967–1025). Infatti, dopo la spedizione militare su Kiev (wyprawa kijowska) nel 1018, il sovrano fece ritorno recando con sé, oltre a un imponente bottino, anche un clerico greco, Anastasio di Korsun (Anastazy Korsunianin), personaggio descritto come dotto e scaltro intermediario fra l’impero d’Oriente, la Rus’ e il giovane stato polacco. Il re stava infatti preparando alcune missioni diplomatiche, fra cui una presso il basileus Basilio II, e necessitava perciò di avere con sé collaboratori ellenofoni125. È noto inoltre che Mieszko II, erede di Bolesław, effettuò lunghi viaggi, soffermandosi in luoghi di culto, dove facilmente si sarebbe potuto accostare alle lingue sacre126. Ragguardevole fu l’impulso dato all’immigrazione greca di mercanti e rifugiati politici in area germanica dall’avvento della principessa greca Teofano nel 972, consorte dell’imperatore romano Ottone II127. Sotto la reggenza degli Ottoni le arti e la cultura conobbero una ricca rinascita, e commercianti greci erano presenti nelle principali città polacche:  Cracovia, Varsavia, Poznań, Breslavia,

124 Le questioni sui modelli, le influenze (se siano greco-italiche o greco-bizantine) e la datazione del testo sono dibattute, cfr. ad esempio M. Piacentini, Dalle origini all’Umanesimo, in L. Marinelli (a c. di), Storia della letteratura polacca, Torino 2004, pp. 21–23; T. Michałowska, Leksykon. Literatura polskiego Średniowiecza, Warszawa 2011, pp. 133–138. 125 G. Labuda, Studia nad początkami państwa polskiego, t. 2, Poznań 1988, pp. 400–411; K. Kollinger, Polityka wschodnia Bolesława Chrobrego (992–1025), Wrocław 2014, pp. 187–226. È di Labuda la tesi secondo cui presso l’isolotto di Ostrów Lednicki (non lontano da Gniezno) sarebbe sorta una lavra, una colonia ortodossa greco-rutena che dava ricetto ai famigliari di Bolesław e ad Anastasio. 126 È senza dubbio affascinante la dedica di sapore piuttosto adulatorio di un tomo dell’Ordo Romanus (1027) da parte della contessa Matilde di Lorena a Mieszko II (990–1034); la palatina vi decanta le numerose virtù del principe, tra cui spicca la sua conoscenza di greco, oltre che di polacco e latino, cfr. G. Labuda, Studia, cit., p. 403 e K. Kollinger, Polityka wschodnia, cit., p. 214. 127 O. Halecki, La Pologne et l’Empire Byzantin, in “Byzantion”, 7/1, 1932, pp. 41–67. A. Chadzinikolau, Polsko-greckie związki społeczne, kulturalne i literackie w ciągu wieków, Poznań 2001; di carattere decisamente più divulgativo M. Wojecki, Polacy i Grecy. Związki serdeczne, Wolsztyn 1999, pp. 12–17.

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Leopoli128. La chiesa polacca costituì a partire dall’XI secolo un’unità amministrativa autonoma sottoposta alla Chiesa di Roma129; sui terreni del regno erano tuttavia diffuse anche comunità di rito greco, le quali dovevano certo servirsi delle scritture liturgiche e tramandare l’insegnamento della lingua greca. È quindi assai probabile che i rapporti tra la corona polacca e Costantinopoli si mantennero relativamente costanti durante la dinastia dei Piasti, sebbene alla turbolenta situazione politica dei tre secoli successivi faccia invece riscontro una generale chiusura verso il mondo greco130. I rapporti furono rinnovati significativamente a partire dagli anni Quaranta del XIV secolo, quando ai possedimenti di Kazimierz Wielki fu aggiunta la Rutenia Rossa (Ruś Czerwona o Halicka), abitata da genti di fede greco-ortodossa; le istanze diplomatiche resero dunque nuovamente possibile la ripresa dei contatti culturali con Bisanzio131. Anche per quanto concerne l’iconografia è possibile ritrovare influenze provenienti dalle regioni di cultura rutena nei celebri affreschi realizzati su commissione dei primi Jagelloni nel XV sec. (come a Gniezno, Sandomierz, Wiślica, Lublino, alcuni dei quali conservatisi fino ad oggi), che presentano evidenti stilemi legati all’ortodossia pur essendo calati in un contesto cattolico romano, e sono definiti dalle fonti come pictura Graeca132. La fine del secolo XV aprì un periodo di feconda apertura agli influssi occidentali tanto dal punto di vista artistico quanto letterario. Tali influenze provenivano sia dall’occidente che dal meridione. L’avvento e l’attività letteraria del toscano Filippo Buonaccorsi (1438–1496) attirarono l’attenzione degli ambienti

128 St. Reychmann, Z tradycji naszych związków kulturalnych z Grecją, in “Meander” 15, 1960, p. 457 e note. 129 Pare ormai debole e indimostrata la teoria secondo cui al battesimo latino del principe Mieszko I e alla conseguente entrata della Polonia nell’orbita culturale cattolica, preesistesse un primo rito slavo modellato su quello bizantino, cfr. G. Labuda, Studia, cit., pp. 83 ss. e P. Urbańczyk, Mieszko Pierwszy tajemniczy, Toruń 2012, pp. 212 ss. 130 Cfr. A. Mironowicz, Kościół prawosławny w państwie Piastów i Jagiellonów, Białystok 2003, p. 106. 131 Ibid. 132 Sulle questioni relative all’origine e ai significati sottesi alle pitture, si veda M.P. Kruk, Malowidła Graeco opere fundacji Jagiellonów jako postulat unii państwowej i kościelnej oraz jedności Kościoła, in W. Walecki (a c. di), Między teologią a duszpasterstwem powszechnym na ziemiach Korony doby przedtrydenckiej: dziedzictwo średniowiecza i wyzwania XV-XVI wieku, Warszawa 2017, pp. 145–201 e la ricca bibliografia in nota, nella quale viene esposta in modo dettagliato la storia degli studi su questo fenomeno artistico, con speciale attenzione agli importanti lavori di Anna Różycka-Bryzek.

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più illuminati attorno ai protagonisti del primo umanesimo polacco: Grzegorz z Sanoka, Zbigniew Oleśnicki e Jan Długosz133. Sappiamo che a Cracovia soggiornò intorno al 1430 il greco Demetrio, impegnato a Basilea negli anni del Concilio; la sua attività didattica rimase tuttavia senza seguito134. L’insegnamento delle lettere greche subì un decisivo impulso solo dal Cinquecento, similmente a quanto accadde nell’area tedesca a Lipsia, Wittenberg dove nel 1518 fu inaugurata la prima cattedra ordinaria, e Francoforte135. Nel primo decennio del XVI sec.136 approdarono nella città vistolana il siculo Giovanni Silvio de Mathio (latinizzato in Iohannes Amatus Silvius Siculus) e Costantino Claretti de’ Cancellieri, originario di Pistoia, tra i quali, nonstante la convergenza d’interessi, non corse buon sangue. Silvius, nato a Palermo, lasciò presto la Sicilia per studiare diritto a Padova; dopodiché si trasferì a Vienna, ma all’Accademia Imperiale ebbe dei dissapori con l’umanista tedesco Conrad Celtis, che nel 1501 lo indussero a partire per Cracovia137. Nella capitale polacca incontrò un fervido interesse per le nuove correnti intellettuali di cui si faceva portavoce; in breve entrò nell’ambiente accademico e divenne precettore privato138.

133 Sulla fugura di Filippo Buonaccorsi-Callimaco, cfr. p.es. J. Domański, Początki humanizmu, Wrocław 1982, pp. 118 ss. 134 K. Morawski, Historya Uniwersytetu Jagiellońskiego, t.  1–2, Kraków 1900, t.  2, pp. 246 ss. 135 H. Barycz, Historia Uniwersytetu Jagiellońskiego w epoce Humanizmu, Kraków 1935, pp. 68 ss. 136 Opere di riferimento sugli interessi grecistici nella Polonia del Rinascimento:  K. Morawski, Historya Uniwersytetu Jagiellońskiego, t. 1–2, Kraków 1900, pp. 243 ss.; B. Nadolski, Nauczanie greczyzny w Polsce w XVI w., in “Minerwa Polska”, 2, 1929, pp. 9–30; Id., Autorowie greccy w szkole polskiej XVI w., in “Kwartalnik Klasyczny” 5, 1931, pp. 325–338; A. Wyczański, Uniwersytet Krakowski w czasach złotego wieku, in J. Lepszy (red.), Dzieje Uniwersytetu Jagiellońskiego w latach 1364–1764, Kraków 1964, t. 1 pp. 228–236; W. Urban, Akademia Krakowska w dobie Reformacji i Kontrreformacji, in J. Lepszy (red.), Dzieje Uniwersytetu, cit., pp. 287–290; St. Łempicki, Renesans i Humanizm w Polsce, Kraków 1952, pp. 51 ss.; H. Barycz, Historia Uniwersytetu, cit., pp. 67–84; A. Brückner, Dzieje kultury polskiej, t. 1–2, Kraków 1930, t. 2 pp. 202 ss.; J. Czerniatowicz, Początki grecystyki i walka o język grecki w Polsce doby Odrodzenia, in “Studia i materiały z dziejów nauki polskiej”, 5, 1959, pp. 28–58; Ead., Z dziejów grecystyki w Polsce w okresie Odrodzenia, Wrocław 1965; Ead., Recepcja poezji greckiej w Polsce w XVI-XVII wieku, Wrocław 1966; Ead., Poezja polsko-grecka w XVI i XVII w., Wrocław 1984. 137 H. Barycz, W blaskach epoki Odrodzenia, Warszawa 1968, pp. 170–172. 138 Ibid.

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Se l’attribuzione a Silvius di un anonimo trattato pedagogico è corretta139, possiamo intravedere in questo scritto un tentativo da parte sua di farsi strada alla corte del re Zygmunt I come precettore del principe ereditario. Le sue aspirazioni troveranno compimento, sarà infatti nominato istitutore di Zygmunt August. Il peculiare temperamento del siceliota non mancò di creare screzi presso l’Accademia, i quali lo convinsero presto a mantenere l’incarico di educatore di corte e ad impartire soltanto lezioni private: fra gli altri allievi vi furono futuri membri della classe dirigente, come Bernardino Gallo e Jan Latalski (v. infra)140. Figura altrettanto determinante  – e complementare alla precedente  – per la germinazione degli studi greci a Cracovia fu Costantino Claretti de’ Cancellieri, medico umanista proveniente dall’ambiente accademico bolognese. Durante il suo soggiorno romano, il vescovo e diplomatico Erazm Ciołek ebbe occasione di fare la sua conoscenza accanto a personalità di rilievo dell’ambiente universitario, fra cui Filippo Beroaldo il Vecchio. Ciołek decise di invitare il pistoiese nella capitale come docente di lettere greche. Costantino accettò e si trasferì in Polonia fra 1505 e 1506141, ma già dopo pochi anni di attività didattica lasciò il regno per tornare a Bologna142. Più o meno in quegli stessi anni Jan Lubrański (1456–1520)143, segretario reale e vescovo di Poznań, che aveva ottenuto il magistero a Cracovia nel 1478, si recò in missione diplomatica dapprima a Bologna e poi a Roma. Durante il viaggio ebbe l’occasione di imbeversi di studi giuridici e umanistici. Alla Sapienza fu auditore niente meno che di Giovanni Argiropulo, Francesco Filelfo e Pomponio Leto144, e conobbe personalmente Aldo Manuzio. Al ritorno in patria, il 1 39 Sulla discussa attribuzione del libello cfr. ibid., pp. 176 ss. 140 Ibid., pp. 181–182. Aggiornato sulle figure dei due ellenisti italici e inserito in un contesto di storia dell’emigrazione italica in Polonia, è il resoconto di W. Tygielski, Włosi w Polsce: utracona szansa na modernizację, Warszawa 2005, in particolare pp. 210–211. 141 H. Barycz, W blaskach, cit., p. 185. 142 W. Tygielski, Włosi w Polsce, cit., p. 211. 143 Sul vescovo umanista si vedano naturalmente l’articolo in PSB, t.  XVIII 1973, pp. 81–84; H. Barycz, Polacy na studiach w Rzymie w epoce Odrodzenia 1440–1600, Kraków 1938, pp. 52–68; Id., Historia Uniwersytetu, cit., pp. 126–128; J. Czerniatowicz, Początki, cit., pp. 28–58; nonché l’annoso ma sempre utile K. Mazurkiewicz, Początki Akademii Lubrańskiego w Poznaniu, Poznań 1921. 144 Fra i compagni di Lubrański, che furono discepoli di Argiropulo, è opportuno menzionare Jan Ursinus, medico e umanista legato all’ateneo cracoviense, e Mikołaj Czepel, originario di Poznań, dotto bibliofilo ed ecclesiastico dagli interessi grecistici. Cfr. H. Barycz, Historia Uniwersytetu, cit., pp. 29–30; H. Barycz, Polacy na studiach w Rzymie w epoce Odrodzenia 1440–1600, Kraków 1938, pp. 52–68; A. Jobert, Les

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vescovo posnaniense, coadiuvato da Jan Latalski, realizzò il progetto di fondare un’istituzione che formasse e desse ricetto ai cultori degli studia humanitatis, senza tralasciare il greco. Sorse così nel 1520 a Poznań, sull’isola presso la cattedrale, il Collegium Lubranscianum. Fra alterne vicende, la scuola perdurò fino al secolo XVIII e vantò fra i suoi insegnanti l’eminente umanista tedesco Christoph Hegendorfer, che fu interprete di Demostene e di altre opere di interesse pedagogico ad uso degli allievi. Un prezioso inventario descrive la collezione libraria di Lubrański appena dopo il decesso del mecenate. La lista colpisce per la prevalenza dei prosatori sui poeti (di Virgilio solo le Bucoliche) e per la grande presenza di scrittori post-augustei e tardo antichi, riflesso, forse, anche degli interessi antiquari, storici e geografici trasmessi a Lubrański da Leto145. Per i primi tempi, a Cracovia, i maestri e discepoli filelleni dovettero usufruire di grammatiche fatte arrivare appositamente dall’Italia per far fronte alla penuria di libri greci146. Tali strumenti, redatti da umanisti bizantini e italiani, fra cui le grammatiche di Costantino Lascaris (con la versione latina di Giovanni Crastone)147, Teodoro Gaza e Urbano di Belluno (Bolzanius), risultarono poco agili e troppo particolareggiati per gli studenti cracoviensi148. Non tardarono infatti a diffondersi altri manuali, più adeguati ai principianti latinofoni149, come quelli Polonais et le rayonnement intellectuel de Rome au temps de la Renaissance et de la Contre-Réforme, in “Revue des études slaves”, 27, 1951, pp. 168–183. 145 H. Barycz, Polacy na studiach, cit., pp. 63–65 e note. 146 Nel 1505 l’ordine di un centinaio di esemplari dell’opera di Lascaris fu inoltrato alla tipografia aldina, P. Botley, Learning Greek, cit. p. 31, P. De Nolhac, Les correspondants d’Alde Manuce, Rome 1888, lettera n° 65, p. 75. 147 J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., pp. 62–63 e P. Botley, Learning Greek, cit., p. 31. 148 Le maggiori difficoltà per i latinofoni consistevano (oltre al fatto che alcuni manuali erano interamente in lingua greca) nella flessione nominale, che da un numero iniziale di cinquantasei paradigmi flessivi, classificati in base al nominativo nelle grammatiche di stampo bizantino, fu ridotta a un totale di dieci in Guarino da Verona e sistemati secondo l’uscita del genitivo. Va detto che le prime grammatiche, utilizzate in principio anche dagli occidentali, erano state concepite per greci madrelingua, e per questo trattavano la morfologia a un livello eccessivamente dettagliato per studenti alle prime armi, cfr. P. Botley, Learning Greek, cit., pp. 3–6; F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., pp. xv ss. 149 J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., pp. 62–63. Dal Liber diligentiarum (W. Wisłocki, Liber diligentiarum Facultatis Artisticae Universitatis Cracoviensis. Pars I 1487–1563, Cracoviae 1887, passim) emerge che tra 1545 e 1557 i manuali adottati all’Accademia erano quelli di Bolzanius (sem. inv. 1557), Ecolampadio (sem. est. 1545), Lucas Lossius (sem. est. 1556) e Ioannes Metzler (sem. inv. 1554), per un semestre ciascuno; N. Clenardus è invece letto in due semestri (est. 1548 e inv. 1556). Vanno sotto il nome

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curati da eruditi continentali: Filippo Melantone, Girolamo Aleandro, Nicolaus Clenardus150. Nel capoluogo polacco l’insegnamento del greco diventa stabile nel 1520, quando a Jerzy Libanus di Legnica vengono affidate le lezioni di grammatica (le quali conosceranno una brusca pausa l’anno dopo e una ripresa nel 1528 grazie all’intervento del vescovo umanista Piotr Tomicki)151, ma bisognerà attendere ancora quasi un secolo prima che sia istituita la prima cattedra (v. infra). L’esempio dei due italioti viene rapidamente portato avanti dalle nuove generazioni di ellenisti europei ormai indipendenti. Nel periodo 1550–1600 si contano 100 semestri di lettere greche tenute da ben 70 professori. Quest’ultimo dato è però eloquente anche in merito all’instabilità delle lezioni, dovuta in gran parte allo status informale dell’insegnamento e al carattere assai poco rimunerativo della professione. I docenti erano inoltre tenuti al pagamento di una pigione d’alloggio, nonché a condurre periodicamente gravose disputazioni filosofiche, le quali sottraevano tempo prezioso alla già scarsa didattica152. Fra i più celebri insegnanti passati per il Collegium Minus si possono ancora ricordare, oltre al già citato Libanus, anche Wacław di Hirschberg, Antoni z Napachania, che legge l’Iliade nel 1525; Tomasz Pawłowicz attivo nel 1538; Wojciech Nowopolczyk, che nel 1545 introduce letture a livello elementare di Omero, Esiodo, Demostene; sempre nel 1545 insegna Aleksy z Jeżowa; Jan z Trzciany nel 1548 tiene corsi sulle

di Libri diligentiarum i registri contenenti elenchi dei docenti universitari e informazioni sugli argomenti delle lezioni e sulle dispute condotte all’Akademia Krakowska, cfr. M. Wiszniewski, Historya literatury polskiej, Kraków 1842, t. 4, p. 295. Furono parzialmente pubblicati da W. Wisłocki, Liber diligentiarum, cit.; il manoscritto con i registri del periodo 1564–1656 è invece ancora inedito (BJ rkps 220 III). 150 Ph. Melanchthon, Integrae Graecae grammatices institutiones, Haganoae 1520; H. Aleander, Elementale introductorium, Argentorati 1515; N. Clenardus, Institutiones in linguam Graecam, Lovanii 1530. In particolare il manuale del brabantino Clenardus (Cleynaerts), incluso anche nel programma ginnasiale di Johannes Sturm (v. infra), godette di straordinaria fortuna, sia in ambienti cattolici che protestanti; sovente vi era unito anche il complementare Meditationes Graecanicae in artem grammaticam, Lovanii 1531. Nel 1600 delle Institutiones fu stampata un’edizione a Vilna. Il volume omonimo Institutiones in linguam Graecam, Ingolstadt 1593 scritto dal tedesco J. Gretser diverrà invece il manuale concorrente delle scuole gesuitiche. Cfr. F. Ciccolella, Donati Graeci, cit., p. 143; J. Päll, Far away from Byzantium, cit., p. 189. Per le edizioni di Clenardus, cfr. L. Bakelants-R. Hoven, Bibliographie des œuvres de Nicolas Clénard, 1529–1700, voll. 1–2, Verviers 1981. 151 J. Czerniatowicz, Początki, cit., p. 36. 152 B. Nadolski, Nauczanie greczyzny, cit., pp. 16 ss.

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tre lingue sacre; Jakub z Ujścia legge nello stesso anno la Batracomiomachia dello Pseudo-Omero153. I focolai culturali del regno erano concentrati nelle grandi città, alcune delle quali possedevano delle biblioteche, ma le raccolte dei bibliofili si potevano trovare prevalentemente presso le abitazioni patrizie, in luoghi spesso remoti e isolati; proprio questa mancanza di collegamenti, insieme all’arretratezza dei metodi didattici e alla carenza di libri costituiscono le lamentele più frequenti di pedagoghi come Simon Maricius (Marycjusz), Jakub Górski e Marcin Kromer154. Per effetto di tali condizioni, sovente i rampolli della nobiltà preferivano intraprendere gli studi all’estero, lasciando agli strati inferiori l’accesso all’ateneo polacco. Gli studenti potevano tuttavia usufruire di diversi sussidi e di alloggi in collegi mantenuti grazie alle oblazioni delle famiglie più abbienti. Gli impedimenti all’affermazione di questi studi non erano però unicamente di ordine materiale; come si è sopra spiegato, gravava sull’interesse dei testi greci un diffuso sospetto di complicità con il pensiero riformato, eco dei violenti dibattiti tra viri clari e obscuri che avvenivano all’epoca, in modo particolare, a Lovanio e Parigi. Metter mano ai testi greci comportava dunque dei rischi, ed anche questa parte d’Europa, i cui centri di cultura erano largamente ancora ostaggio della scolastica, non ne rimase indifferente. Basti citare le traversie incontrate da Libanus, culminate con il suo abbandono delle aule nel 1520; oppure la fuga di Hegendorfer da Poznań dopo le accuse di eresia imputategli da Grzegorz z Szamotuł155; o ancora quello che toccò al dotto lituano Abraham Kulwieć, costretto per contrasti religiosi ad abbandonare il Granducato e a stabilirsi a K ­ rólewiec (Kö­nigsberg) in Prussia156. Accanto all’Accademia esistevano a Cracovia anche delle scuole preparatorie alla carriera universitaria. La loro nascita risale al 1585, quando il rettore Piotr z Gorczyna ne approvò il progetto, che fu realizzato però soltanto tre anni dopo. Henryk Barycz individua alcune cause157 che resero necessaria la creazione di questi istituti: la crescente richiesta di formazione di allievi non legati all’accademia; la necessità di formare gli aspiranti studenti delle facoltà universitarie, che spesso vi arrivavano non sufficientemente preparati; la sempre maggiore

1 53 J. Czerniatowicz, Początki, cit., pp. 43–51. 154 A. Brückner, Dzieje kultury, cit., pp. 171–183, 198–203. 155 Cfr. K. Mazurkiewicz, Początki Akademii Lubrańskiego w Poznaniu, cit., pp. 120–137. 156 K. Morawski, Historya Uniwersytetu, cit., pp. 254 ss.; W. Madyda, Z dziejów, cit., p. 19. 157 H. Barycz, Historia szkół, cit., p. 10.

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concorrenza delle scuole gesuitiche. Tali scholae privatae o classes (szkoły średnie)158 avevano dunque il precipuo compito di fornire agli studenti la formazione indispensabile per accedere alla Facoltà delle Arti159. Va precisato che l’odierno nome della prima istituzione nata a questo scopo, il Collegium Nowodworscianum (Kolegium Nowodworskiego)160, benché preesistente, è però indissolubilmente legato all’opera di beneficenza del cavaliere maltese Bartłomiej Nowodworski negli anni 1612–1619. I docenti del collegio ricevevano solitamente la nomina di professores extranei ed erano sottopagati rispetto ai professori accademici. Gli studenti erano divisi in tre o quattro classes, a seconda delle direttive del provveditore in carica (praefectus scholarum). Nella classe di grammatica161 venivano impartiti precetti di lingua latina e rudimenti di grammatica greca; la classe di poesia doveva iniziare i discenti alla lettura dei poeti ma anche fornire notizie di etimologia e musica; nella terza classe di dialettica si insegnava l’omonima materia, insieme alla stilistica greca e latina; ultima, la quarta classe di retorica era dedicata alla lettura di Cicerone e Demostene. Il programma di quest’ultima classe era un elemento comune a molte scuole umanistiche, che ritroviamo espresso anche da Maricius, insegnante e commentatore del retore attico, il quale raccomanda, nell’opera De scholis seu de academiis (Cracoviae 1551), la lettura dei due oratori in parallelo, al fine di assimilarne lo stile e la facondia162. Siffatta organizzazione scolastica, basata sull’apprendimento di lingue classiche e artes liberales, rifletteva il cursus studiorum elaborato dal pedagogo alsaziano Johannes Sturm per il ginnasio di Strasburgo, forse il modello scolastico di maggior successo nella Rzeczpospolita. A poco a poco, grazie alla lungimiranza e all’impegno di alcuni personaggi come Andrzej Schoneus (Eumorphus), veniva spianata la via per l’istituzione della cattedra di greco a Cracovia, che vide la luce nel

158 Su questo istituto vedasi H. Barycz, Historia szkół nowodworskich. t. I: Od założenia do reformy H. Kołłątaja, 1588–1777, Kraków 1947; T. Graff, Szkoły Nowodworskie w Rzeczypospolitej Obojga Narodów do reformy kołłątajowskiej w 1777 r., in T. Graff, G.  Urbanek (red.), 420 lat Szkół Nowodworskich. Wydanie jubileuszowe I  Liceum Ogólnokształcącego im. Bartłomieja Nowodworskiego w Krakowie, Kraków 2008; M. Ferenc, Collegium Nowodworskiego, Kraków 2012, pp. 9–26. 159 H. Barycz, Historia szkół, cit., p. 10; T. Graff, Szkoły Nowodworskie, cit., p. 7. 160 L’edificio si trova tuttora in ul. Świętej Anny 12 ed è attualmente sede del Collegium Medicum, ma il Collegium Nowodworscianum continua a esistere ancor oggi col nome di Liceum Nowodworskiego. 161 Si riporta la divisione in classi introdotta dal rettore Mikołaj Dobrocieski con la riforma del 1603, cfr. H. Barycz, Historia szkół, cit., pp. 43–44. 162 A. Danysz, Studia z dziejów wychowania w Polsce, Kraków 1921, p. 59.

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1612 sotto l’egida del suo primo titolare Zachariasz Starnigel163. Dopo che questi abbandonò la carica per questioni finanziarie, gli succedette il collega Adam Draski, la cui attività filellenica rimane legata prevalentemente alla produzione di panegirici in stile demostenico164. Se nel giro di circa un secolo il greco si era fatto strada conquistandosi un rango di prestigio all’ateneo sulla Vistola, esso si era diffuso non meno fervidamente nelle scuole protestanti. La Riforma infatti riscuoteva successo soprattutto in seno alla borghesia mercantile, e nel periodo che precedette il Concilio di Trento si assisté alla nascita di numerose scuole affiliate a varie confessioni riformate. La capacità di leggere era posta in cima alla lista degli obiettivi educativi, in quanto la formazione del nuovo cristiano cominciava proprio dalla lettura della Bibbia. Tra queste isitituzioni165 è d’uopo citare la scuola del francese Pierre Statorius (Piotr Stoiński, Stojeński) a Pinczów (1551)166, fra le prime ad adottare il sistema proposto da Sturm (sapiens atque eloquens pietas) con quattro classi, di cui una dedicata al greco; in quella di Lewartów (Lubartów) il programma era anche più esteso e prevedeva ben cinque classi. Entrambe le istituzioni facevano capo al movimento ariano fondato da Fausto Sozzini167. Nei collegi riformati di Danzica, Toruń, Elbląg e Chełmno – territori facenti parte della Prussia Reale – il livello d’istruzione era particolarmente alto. Questi gymnasia academica o illustria, istituti di istruzione superiore, spesso possedevano una propria biblioteca, e vi erano impartite le arti liberali e le lingue classiche, ma non si conferivano titoli accademici168. L’accento posto sull’eloquenza nella formazione imponeva un 1 63 H. Barycz, Historia Uniwersytetu, cit., p. 545. 164 W. Urban, Akademia Krakowska, cit., p. 290. 165 Oltre a quelle già citate, altre scuole calviniste erano presenti in Lituania: Vilna, Słuck; e nella Grande Polonia: Leszno, cfr. K. Mrozowska, Zarys dziejów wychowania w Polsce od XI do XX w. Podręcznik dla studentów wyższych szkół technicznych, Kraków 2002, p. 18. 166 A. Brückner, Dzieje kultury, cit., pp. 183–186: la scuola fu fondata nel 1551 ma dal 1556 conobbe un rapido sviluppo grazie alla direzione dapprima di Statorius e successivamente del collega Jean Thénaud, entrambi di formazione sturmiana. Vale la pena menzionare che inoltre Statorius curò la prima grammatica polacca interamente in latino ad uso della scuola (Polonicae grammatices institutio, Cracoviae 1568). 167 A. Brückner, Dzieje kultury, cit., p. 185–186. 168 I gymnasia si allontanavano dall’impostazione teologico-scolastica e si concentravano su un ideale di educazione destinata agli esponenti dell’aristocrazia, cfr. A. Tholuck, Vorgeschichte des Rationalismus. Abtheil 2. Die akademische Geschichte, Halle 1854, pp. 147–148. Sui centri di educazione e irradiazione culturale della Prussia Reale, si veda B. Awianowicz, Humanizm renesansowy w miastach Prus Królewskich, in A. Borowski, Humanizm. Historie pojęcia, Warszawa 2009, pp. 149–197.

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forte impegno nella lettura dei classici latini (in testa Cicerone), come si osserva a Danzica e Toruń, dove il programma contemplava il latino accanto al greco e all’ebraico, nonché prove di declamazioni e rappresentazioni teatrali169. L’insegnamento del greco era affiancato al latino anche nei collegi gestiti dai gesuiti170, i quali si trovavano a dover contrastare non solo la concorrenza delle scuole di ispirazione luterana, ma anche degli istituti ortodossi sparsi nelle regioni a maggioranza rutena. Questi erano nati nel XV secolo nelle città popolate da comunità miste di cattolici, protestanti e di ruteni di rito greco, i quali avvertivano la forte necessità di creare delle strutture in cui si praticassero e si trasmettessero i dettami dell’ortodossia. Erano divise in scuole parrocchiali, scuole di confraternite (bractwa) e accademie. In uno spirito tradizionalmente avverso al cattolicesimo e all’Unione di Brest171, vi si insegnava lo slavo ecclesiastico accanto al greco, mentre variabile era lo spazio riservato al latino e al polacco. L’insegnamento delle lingue classiche variava tuttavia dalle direttive di ciascun istituto; il latino non rientrava costantemente nei programmi delle scuole ortodosse, così come il polacco e il ruteno, mentre erano stabili il greco e lo slavo ecclesiastico172. Scopo non meno rilevante di queste scuole era anche quello di formare degli abili polemisti in grado di difendere, a colpi di libelli, la loro Chiesa dalle insidie degli Uniati. La scuola ortodossa di Vilna, prima per fondazione nel 1584 e ricca di privilegi reali, ospitò celebri insegnanti come il patriarca greco Cirillo Lucaris173 e l’attivista ruteno Melecjusz Smotrycki, e costituì un’ispirazione per gli altri istituti; grande rinomanza174 aveva anche la scuola 1 69 B. Awianowicz, Humanizm renesansowy w miastach Prus Królewskich, cit., pp. 170 ss. 170 La ratio studiorum prevedeva l’apprendimento del greco, sebbene subordinato al latino, finalizzato alla lettura dei testi, cfr. A. Danysz, Jezuicki kanon. Lektury starożytnych autorów, Lwów 1902, pp. 3–5. 171 A. Mironowicz, Bractwa cerkiewne w Rzeczypospolitej, Białystok 2003, pp. 29 ss. L’Unione di Brest (Unia Brzeska), proclamata a Brest-Litovsk nel 1596, fu un tortuoso e difficile tentativo di riunire i cristiani cattolici e ortodossi abitanti nel territorio della Polonia-Lituania, riducendo gli ultimi all’obbedienza al pontefice romano. 172 Nella scuola di Leopoli, ad esempio, il latino non rientrava nell’offerta educativa, mentre a Brest esso era insegnato accanto al polacco e alle altre lingue, ibid., pp. 52–76. 173 Il cretese, inviato in missione dal patriarca Melezio Pigas, soggiornò in Polonia dal 1596 al 1601, adoperandosi a favore dell’istruzione nelle comunità ortodosse e predicando, contro l’Unione di Brest, a sostegno della separazione degli uniati dalla chiesa cattolica, cfr. K. Kuczara, Grecy w Kościołach wschodnich w Rzeczypospolitej (1585–1621), Poznań 2012, pp. 180–213. 174 Fra le altre scuole si possono nominare Ostróg (1596), poi Łuck, Brest, Kiev; cfr. A. Mironowicz, Bractwa, cit. pp. 54 ss.; B. Nadolski, Nauczanie greczyzny, cit., pp. 10–12.

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di Leopoli, inaugurata nel 1586 dal vescovo Arsenio, metropolita di Elassona. Sappiamo che in questa scuola, dotata di una propria stamperia, la didattica del greco era basata su una grammatica composta a partire da quella, già celebre, di Costantino Lascaris175. Sembra tuttavia che gli studenti preferissero l’istruzione qualitativamente migliore offerta dalle scuole gesuitiche di quelle regioni (fra cui Vilna, Dorpat, Jarosław) e dall’Accademia di Zamość, di recente fondazione (dal 1594)176. Centro di cultura ortodossa, ma di carattere laico, era la Akademia Ostrogska, istituita dal duca Konstanty Wasyl Ostrogski intorno al 1580 e dotata di una propria tipografia. Organizzata come un ginnasio accademico, vi si insegnavano trivium e quadrivium177, e fu retta, fra gli altri, anche dallo stesso Cirillo Lucaris.

1.6.2.  Processi e forme di ricezione Come precedentemente osservato a proposito del fenomeno rinascimentale, la ricezione della cultura greca anche nei territori della Polonia-Lituania avvenne in larga parte, specialmente al principio, attraverso le metafrasi. Questa pratica consentiva infatti di trasferire i modelli (exempla) e i contenuti della cultura classica nella propria, arricchendola e dandole un’impronta innovativa178. Se 1 75 B. Nadolski, Nauczanie greczyzny, cit., p. 13. 176 Ibid. La Akademia Zamojska, capolavoro di cultura e diplomazia del cancelliere Jan Zamoyski, costituì un focolaio culturale e un ricettacolo per gli studenti delle regioni periferiche centro-orientali. Alla fondazione collaborarono diversi ingegni dell’epoca, primo fra tutti Szymon Szymonowic. Ottimo grecista, allievo di Scaligero, provvide personalmente all’organizzazione del personale accademico e fu altresì valente letterato: introdusse il genere letterario dell’idillio (sielanka), mutuandolo dai modelli greci, e pose mano all’edizione e traduzione in latino di alcuni manoscritti greci (fra cui la Enarratio in Metaphysica, Zamoscii 1604 – incompiuta e spuria – e la versione latina dell’Oratio in Sepulturam Corporis Domini di Epifanio di Salamina) fatti venire appositamente da Costantinopoli dallo storico Jan Szczęsny Herburt. Cfr. A. Brückner, Dzieje kultury, cit., p. 202; St. Łempicki, Renesans, cit., pp. 343 ss. Sull’ateneo di Zamość si veda, oltre il classico studio di J.K. Kochanowski, Dzieje Akademii Zamojskiej, Kraków 1899, il recente V. Lepri, Knowledge Transfer and the Early Modern University: Statecraft and Philosophy at the Akademia Zamojska (1595–1627), Leiden-Boston 2019. 177 L’educazione presso l’A. Ostrogska, impartita fra gli altri anche da greci, si ispirava ai programmi dei ginnasi protestanti e gesuiti, cfr. T. Kempa, Akademia i drukarnia Ostrogska, Biały Dunajec-Ostróg 2006, pp. 9–36; A. Mironowicz, Bractwa, cit., p. 67. 178 Cfr. p.es. J. Domański, Recepcja - imitacja - emulacja: kilka uwag o twórczości łacińskich humanistów jako wyrazie postawy użytkowniczej wobec dziedzictwa antycznego, in “Odrodzenie i Reformacja w Polsce”, 47, 2003, pp. 7–19; anche M. Cortesi, Vitalità, cit., pp. ix ss.

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le metafrasi dal greco in latino avevano reso fruibile il patrimonio classico alla parte alfabetizzata della popolazione occidentale, la crescente diffusione delle versioni in volgare ne allargò ulteriormente il bacino d’utenza. Dalla metà del XVI sec. infatti, grazie alla «progressiva affermazione del volgare»179, aumentano le traduzioni dei classici greci e latini in lingua polacca e sono ormai evidenti i benefici ricavati dalla pratica versoria sulla lingua polacca180. Dichiarazioni teoriche si possono leggere nella prefazione alla versione latina del De pace demostenico di Maricius: il pedagogo ammette di non aver seguito in modo esclusivo il metodo della paraphrasis (cioè la rielaborazione) né il metodo ad verbum, bensì di avere optato per un compromesso fra i due181. Ciò testimonia la riflessione e la cultura dell’umanista, che parte dalla conoscenza delle teorie antiche senza tuttavia ignorare quelle a lui contemporanee. Nelle traduzioni dal greco in polacco, invece, più frequente era la traduzione adattata, in cui, in un processo di avvicinamento ai modelli culturali dei lettori, i realia greci assumevano una veste riconoscibile dai fruitori182. Per ciò che concerne la ricezione dei generi poetici della letteratura greca, la preferenza fu accordata maggiormente alle forme minori, come epigramma, anacreontica e carme bucolico; tenue risonanza ebbero invece l’epopea e il teatro, che richiedevano maggiore preparazione linguistica e culturale183. Tale carenza viene infatti avvertita da Jerzy Libanus che, nell’esortazione Paraclesis id est adhortatio ad Graecarum litterarum studiosos184, segnala agli umanisti la necessità di volgersi alla lettura di Omero. I grandi temi epici della guerra troiana e dell’Odissea erano comunque già noti al pubblico istruito, in quanto erano stati precedentemente introdotti nella cultura polacca attraverso il romanzo cortese di origine francese; forse anche per questo motivo furono meno praticati. 179 Sulla peculiare situazione di bilinguismo latino-polacco e l’affermarsi del volgare, si veda A. Ceccherelli, Il Rinascimento, in L. Marinelli (a c. di), Storia della letteratura polacca, cit., pp. 47 ss., in particolare p. 49. 180 J. Czerniatowicz, Recepcja, cit., p. 11. 181 S. Maricius, De pace, f. D4b (cito da J. Czerniatowicz, Recepcja, cit., p. 11): «elegi medium quoddam [genus] (appellant ἑρμηνείαν)». 182 J. Czerniatowicz, Recepcja, cit., pp. 14–29, in particolare 20–21. La studiosa prende in esame le versioni polacche della Batracomiomachia (Bitwa żab z myszami) di J. Przybylski, e parte del III libro dell’Iliade di Jan Kochanowski (Monomachija Parysowa z Menelausem). 183 J. Czerniatowicz, Recepcja, cit., p. 13. Le scelte, a mio avviso, potevano però anche rispondere, in una certa misura, a particolari istanze di gusto. 184 Si trova in Carmina Sibillae Erythręae, Cracoviae 1535; cito da J.  Czerniatowicz, Początki, cit., pp. 35–37.

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Similmente, il dramma poteva apparire distante e senza appigli concreti alla realtà circostante185. Maggior popolarità dimostrò invece l’idillio, conciliabile con il gusto e gli ideali di otium della piccola nobiltà sarmatica, ed è indicativo che il primo libro interamente in greco ad uscire da una tipografia polacca fu proprio il carme bucolico Ἔρως δραπέτης hoc est Amor fugitivus (1524) attribuito a Mosco186. 1 85 Ibid. 186 In Polonia, i primi esperimenti di stampa in greco erano stati intrapresi nel 1516 a Cracovia dal tedesco Jan Haller per l’edizione dei Paradoxa e il De officiis di Cicerone, le cui citazioni greche furono impresse grazie a dei rudimentali tipi in legno. I procedimenti furono migliorati dall’officina di Hieronim Wietor, che dopo la collaborazione presso il viennese Singrenius, importò in Polonia i caratteri mobili greci. Sarà Marek Scharffenberg a proseguire l’impresa: collaborando con giovani studiosi quali Józef Struś, Stanisław Hozjusz e Marcin Kromer, produce negli anni Trenta stampe accurate e risponde così alla crescente richiesta di manuali grammaticali per gli studenti. Florian Ungler poco dopo dà il suo contributo, imprime infatti una lettura approntata da J. Libanus, ma il livello della composizione tipografica rimane inferiore a quello di Scharfenberg. È interessante sottolineare che i caratteri greci utilizzati dai tre tipografi riconducono a quelli di Singrenius a Vienna, i quali a loro volta erano tagliati su quello celebre del basileese Hieronymus Froben. Dopo la morte di Wietor, l’officina passa a Łazarz Andrysowic, il quale imprime ancora alcuni testi greci, e dopo questi Janusz Januszowski, che comincia una preziosa collaborazione con la stamperia dell’Accademia di Zamość, al fine di trapiantare anche nel nuovo ateneo i tipi greci. Dopo un periodo di regresso, Andrzej Piotrkowczyk (Byczek) riprende nel 1574 l’affermata tradizione cracoviense, introducendo nel 1597 un nuovo taglio tipografico. Il punto più alto viene raggiunto da Franciszek Cezary, subentrato all’officina Ungler-Scharfenberg dal 1616 (fino al 1651). Dalle sue presse escono stampe ordinate e scrupolose, realizzate con il lussuoso carattere grec du Roy, progettato per il re di Francia da Claude Garamond; pubblica vari componimenti greci d’occasione (fra cui Ἐπαρχίας… di Adam Draski, in onore del vescovo Andrzej Lipski), il Thesaurus polono-latino-graecus di Knapski (v. infra) e l’orazione Pro Archia poeta di M. Żórawski. Il particolare rapporto di collaborazione che Cezary instaura con gli autori stessi arreca progressi alla qualità delle impressioni. In greco si stampa altresì a Raków, centro culturale e religioso antitrinitario attivo fino al 1638, e a Vilna, dove tuttavia solo i libri editi dal proto Jan Karcan sono degni di nota. Dal 1540 libri greci escono dai torchi di Breslavia e di Danzica, e dal 1552 anche di Königsberg. A Poznań e Toruń le stampe elleniche ricevono impulso dall’iniziativa di Melchior Nering, ma nella città di Copernico si svilupperanno maggiormente, grazie alla presenza del ginnasio accademico. Vedasi sull’argomento J. Czerniatowicz, Rola drukarstwa greckiego w rozwoju piśmiennictwa naukowego w Polsce do połowy XVII wieku. Kraków i Zamość, in Z dziejów polskiej kultury umysłowj w XVI i XVII wieku, Wrocław 1976, pp. 158–218; Ead., Książka grecka średniowieczna i renesansowa, Wrocław 1976, pp. 276–326. Su F. Cezary e la

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Fra i prosatori greci di maggior successo, prescindendo dai filosofi, vi fu, in linea con le tendenze umanistiche italiane del Quattrocento, Plutarco187. Alle opere del Cheronese, per il loro contenuto moraleggiante illustrato da exempla, proverbi e aneddoti, era riconosciuto un alto valore paideutico e potevano perciò costituire un anello di raccordo fra antichità e cristianesimo188. Un posto stabile nel curriculum didattico occupavano il celebre libello spurio De liberis educandis (Περὶ παίδων ἀγωγῆς) e la raccolta di aforismi Apophthegmata. Del primo veniva usata dapprima la traduzione di Guarino, in seguito lo slesiano Jan Metzler ne produsse una propria (che inserì nel manuale Primae grammaticae Graecae partis rudimenta, Hagenoae 1529), che comparava con il testo greco durante le lezioni al ginnasio di Breslavia189. Degli Apophthegmata Lubrański richiese a Raffaele Regio una versione latina a fini didattici, mentre lo slesiano Franciszek Mymer preparò un’edizione greca, latina e polacca dei Dicteria Laconica190. Anche le Vite parallele erano assai lette e circolavano in traduzioni latine eseguite all’estero. Dalla seconda metà del secolo si producono anche delle traduzioni in polacco191. Di buona stampa godeva altresì Luciano192, dai cui dialoghi trapelava uno schietto rapporto con la realtà, critica dell’autorità, leggerezza e umorismo. Probabilmente fra le prime letture lucianee vi fu il Φιλοψευδής193, giunto a Cracovia in traduzione latina insieme al suo esecutore Costantino Claretti nel 1506. L’autore dei Dialoghi dei morti era raccomandato anche da Erasmo, che nel De ratione studii (più volte stampato a Cracovia a partire dal 1519194) lo inserisce nel canone dei prosatori accanto a Erodoto e Demostene. Il rotterdamese curò anche una traduzione latina dell’Astrologia di Luciano, pubblicata a Cracovia nel

sua officina, cfr. J. Pirożyński (red.), Drukarze dawnej Polski. Od XV do XVIII wieku. Tom 1, cz. 2, Kraków 2000, pp. 82–100. 187 Sulla ricezione di Plutarco in Polonia nel XVI sec. cfr. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., pp. 13–52; B. Milewska-Waźbińska, In the wake of Plutarch. Antique tradition in Neo-Latin heraldic work, in Acta Conventus Neo-Latini Upsaliensis. Proceedings of the Fourteenth International Congress of Neo-Latin Studies (Uppsala 2009), Leiden 2012, pp. 693–701. 188 B. Milewska-Waźbińska, In the wake of Plutarch, cit., p. 693. 189 J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., p. 19. La Slesia, confinante a ovest con il regno di Polonia, aveva in Breslavia e Nysa i maggiori centri d’insegnamento di lettere greche. 190 Ibid. 191 Ibid. 192 Ibid., pp. 53 ss. 193 Ibid., p. 54. 194 Ibid., p. 87.

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1531 con il copioso commentario di Józef Struś195. Testi dei Dialoghi entrarono presto anche nelle grammatiche, fra cui il fortunato manuale di Melantone, e l’Elementale introductorium curato da Marek Scharfenberg nel 1543196. Le letture di Luciano sono registrate in molti istituti umanistici, e in misura maggiore rispetto ad altri prosatori:  all’Accademia di Cracovia è nei programmi fino al 1575, al Lubranscianum viene letto e spiegato da Hegendorfer; Timone misantropo trova interesse come testo teatrale presso le scuole gesuitiche. Le edizioni in polacco fino al 1610 testimoniano inoltre che, pur calando l’interesse filologico del testo, tuttavia rimase a lungo quello contenutistico197. Per pregi sia estetici che formativi, erano apprezzate anche le Etiopiche di Eliodoro, la cui prima versione latina venne eseguita da Stanisław Warszewicki e impressa a Basilea nel 1552. Del romanzo greco a scuola erano estratti singoli episodi, più spesso in traduzione latina, per analizzarne la struttura narrativa198. Benché, a quanto pare, Demostene fosse presente in incunaboli già nel XV secolo a Cracovia, è tuttavia nel secolo successivo che i suoi discorsi assurgono a modello incontrastato di stile oratorio. Introdotto in Europa grazie alle quattrocentesche traduzioni latine degli umanisti italici199, nel Cinquecento l’oratore entra nel canone erasmiano e sturmiano. Nella corrispondenza con Manuzio,200 Claretti fa richiesta di testi demostenici e omerici per gli studenti della città vistolana, ma dal 1521 cominciano a uscire dalle tipografie polacche versioni latine di alcune orazioni (Maricius cura per la scuola De pace e De libertate Rhodiorum, v.  supra)201 nonché le gnomologiae202, raccolte di massime apprezzate per la profondità e l’universalità dei concetti. E inoltre, subendo un processo di attualizzazione, Demostene viene assunto ad avvocato e ispiratore della causa cristiana contro la minaccia ottomana, proprio come l’ateniese lo era stato nell’infiammare i compatrioti contro il pericolo dei Macedoni; questo indirizzo

1 95 Ibid., pp. 56–62. 196 La redazione di due dialoghi lucianei nell’Elementale era precedentemente attribuita a J. Libanus, cfr. J. Czerniatowicz, Rola drukarstwa, cit., p. 174. 197 J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., pp. 53–73. 198 Ibid., pp. 74–84. 199 Cfr. supra par. 1.3. 200 P. De Nolhac, Les correspondants, cit., p. 75. 201 Maricius, in questo, era però stato preceduto dallo slesiano Antonius Mela, che aveva già pubblicato le due medesime orazioni (1521 e 1531), e da Hegendorfer (De libertate Rhodiorum 1538), entrambi legati al Lubranscianum, cfr. J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., p. 107. 202 Ibid., p. 86.

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è rappresentato dal genere delle Turcicae, praticato da Stanisław Orzechowski e Jakub Przyłuski203. Grande curiosità suscitavano gli autori di testi scientifici come Galeno, Ippocrate e Luciano, che trovarono in Józef Struś il loro interprete e propagatore204. Medico privato presso la corte degli ultimi Jagelloni, nelle sue versioni latine si saggia una cultura vastissima e acume filologico, che testimoniano ampie letture in originale non solo dei classici greci – tra cui i poeti – ma anche dei Padri della Chiesa. La fruizione degli scrittori cristiani si inseriva infatti nel carattere edificante degli studi umanistici, ma talvolta, come nel caso dei Padri Cappadoci, all’utilità morale degli exempla e dei precetti era unita l’amenità di uno stile alto e retoricamente elaborato. Tale era il duplice intento di Stanisław Grzepski, grecista e matematico, nel pubblicare nel 1565 due orazioni greche di Gregorio di Nazianzo corredate da note latine interlineari traduttivo-esplicative205. Una delle imprese che costituiscono, per certi versi, il coronamento dei progressi filologici e lessicografici nel Rinascimento polacco206 è senza dubbio il Thesaurus polono-latino-graecus del gesuita Grzegorz Knapiusz (Knapski, Cnapius 1564–1638). Strutturato in tre tomi, il primo volume (Cracoviae 1621) contiene un lessico trilingue polacco-latino-greco, il secondo (1626) un dizionario latino-polacco, mentre nel terzo (1632) Knapiusz raccolse, in un’appendice paremiografica intitolata Adagia Polonica, un’antologia di proverbi polacchi, accostandovi le corrispondenti versioni latina e greca207. In assenza del parallelo greco, il lessicografo sopperì alle lacune creando la propria traduzione.

2 03 Ibid., pp. 97–105. 204 J. Czerniatowicz, Początki, cit., p. 43. 205 Duo poemata Gregorii Nazianzeni, Cracoviae 1565. Cfr. J. Fijałek, Przekłady pism św. Grzegorza z Nazyanzu w Polsce, in “Polonia Sacra”, 1, 1918, pp. 46–144. A Grzepski va anche il merito di aver elaborato la terminologia polacca matematica traducendola dal greco e dal latino in Geometria to jest Miernicka nauka…, Kraków 1566, cfr. H. Barycz, Dzieje nauki w Polsce w epoce Odrodzenia, Warszawa 1957, pp. 223–224. 206 S. Hammer, Historia filologii klasycznej w Polsce, Kraków 1948, p. 7. Non può mancare in questa sede una menzione dell’innovativa opera di Jan Mączyński, il Lexicon Latinopolonicum, stampato a Królewiec nel 1564. Il dizionario latino-polacco costituì il frutto di ricerche in collaborazione con i maggiori lessicografi europei dell’epoca come Petrus Dasypodius e Conrad Gesner, cfr. p.es. M. Plezia, Z dziejow filologii, cit., pp. 51–57 e nota 11. 207 Gli adagia Graeca sono pubblicati in J. Czerniatowicz, Corpusculum poesis polono-graecae saecc. XVI-XVII (1531–1648), Cracoviae 1991, pp. 49–109.

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Del lessico uscirono diverse edizioni che ebbero un’ininterrotta circolazione fino al XIX secolo208. Da questa seppur sommaria carrellata sulla circolazione di scrittori greci nelle biblioteche e tipografie polacche del XVI sec. è già possibile confermare che le scelte operate dagli umanisti polacchi dall’inizio del Cinquecento per circa un secolo e mezzo, furono in massima parte guidate da un utilitarismo che prediligeva opere storiche, scientifiche, d’intrattenimento (spesso a sfondo bucolico). La preferenza era data, come si è visto, a generi e modelli che potevano essere sfruttati nella cultura ricevente, nella quale erano tenute in sommo grado l’educazione civile e l’edificazione delle nuove generazioni, nonché tipi di poesia ‘spensierata’, evocante paesaggi agresti familiari alla cultura e all’immaginario dei lettori209.

1.7. La figura di Nicolaus Zoravius, poliedrico vir trium linguarum tra l’accademia e il palazzo Conviene ora introdurre la figura dell’esecutore della versione oggetto di questa dissertazione, insieme ad alcuni aspetti legati alla circostanze di questa rara operetta. Per un’indagine sulla biografia di Mikołaj Żórawski è possibile prendere le mosse dall’ottocentesca Encyklopedja Powszechna (Enciclopedia Universale) a cura di Samuel Orgelbrand210, contenente una voce a lui dedicata. L’articolo enciclopedico, firmato da Józef Przyborowski, omette i riferimenti bibliografici. Va segnalato che le attuali enciclopedie universali211 non contengono alcun riferimento al nostro umanista secentesco212. Grazie al catalogo di Estreicher213 si

208 Un’analisi approfondita del dizionario e della figura di Knapiusz è in J. Puzynina, “Thesaurus” Grzegorza Knapiusza: siedemnastowieczny warsztat pracy nad językiem polskim, Wrocław 1961. 209 Cfr. J. Czerniatowicz, Z dziejów, cit., pp. 9–11. 210 Encyklopedyja Powszechna, red. S. Orgelbrand, t. 1–28, 1859–1868 Warszawa (d’ora in poi Enc.Pow.), t. 28, pp. 1073–1074. 211 Si prenda la popolare Wielka Encyklopedia PWN, 31 t., Warszawa 2002–2005. Anche i dizionari enciclopedici specializzati tacciono, cfr. R. Loth (red.), Dawni pisarze polscy od początków piśmiennictwa do Młodej Polski: przewodnik biograficzny i bibliograficzny, 5 voll., Warszawa 2000–2004. 212 Si attende la preparazione dell’articolo a lui dedicato all’interno del Polski Słownik Biograficzny, giunto alla lettera “T” (febbraio 2019). 213 K. Estreicher, Bibliografia Polska, cz. 3, t. XIV, Kraków 1896, p. 225.

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sono potute rintracciare alcune delle fonti214 di Przyborowski, le quali contengono informazioni utili, benché spesso non di prima mano, concise e ripetitive. Mikolaj Żórawski nacque a Lublino nel 1595 da padre omonimo, di professione segretario della cancelleria cittadina (pisarz miejski), e da Katarzyna Felkietówna. Dal 1612 cominciò gli studi presso l’Accademia di Cracovia, beneficiando nel 1617 della Bursa Jerozolimska215 e poi fra gli anni 1617–1619 della eleemosyna istituita dalla famiglia Krasiński. Conseguì il baccalaureato nel 1618 e il titolo di philosophiae doctor216 nel 1620. Secondo il vezzo degli umanisti217, si fregiò del soprannome grecizzante Geranius (< γέρανος “żuraw”= “gru”). Sappiamo che nella capitale studiò sotto la direzione di Zachariasz Starnigel218, 214 Elenco, insieme ad esse, anche le fonti più aggiornate: J. Przyborowski, Rok śmierci S.F. Klonowicza, in “Ateneum”, t. I 1878, pp. 311–323; Z. Gloger, Encyklopedja staropolska, t. 2, Warszawa 1901, s.v. “kalendarz”; Encyklopedya Ogólna Wiedzy Ludzkiej, Warszawa 1877, t. XII, p. 465; I. Chodynicki, Dykcyonarz uczonych Polaków, Lwów 1833, t. II, p. 412–413; M.H. Juszyński, Dykcyonarz poetów polskich, t. 2, Kraków 1820, p. 383; A.B. Jocher, Obraz bibliograficzno-historyczny literatury i nauk w Polsce, 1840 Wilno, vol. 1 p. 45 (n° 376); J. Muczkowski, Statuta nec non liber promotionum philosophorum Ordinis in Universitate studiorum Jagellonica, ab anno 1402 ad annum 1849, Cracoviae 1849, pp. 281, 285; F. Giedroyć, Źródła biograficzno-bibliograficzne do dziejów medycyny w dawnej Polsce, Warszawa 1911, p. 922; L. Wachholz, Wydział lekarski Uniwersytetu Krakowskiego i jego grono nauczycielskie od r. 1364–1918, Kraków 1935; E. Hilfstein, Starowolski’s biographies of Copernicus, Wrocław 1980, pp. 10, 59; H. Barycz (red.), Archiwum Nacji Polskiej w Uniwersytecie Padewskim. T. 1, Metryka Nacji Polskiej w Uniwersytecie Padewskim (1592–1745), Wrocław 1971, pp. 81–82, passim; W. Madyda, Z dziejów, cit., pp. 37 ss.; Arch. UJ, ms. 76: Liber privilegiorum magistrorum et collegiatorum minoris domus artistarum super censibus, f. 286 (non personalmente consultato). 215 La bursa era un contributo pecuniario offerto dalle famiglie benestanti agli studenti meno abbienti, che permetteva loro anche di abitare in appositi edifici. 216 Enc.Pow., cit., p. 1073; J. Muczkowski, Statuta, cit., pp. 281, 285. 217 Cfr. p.es. Schwarzerd > Melanchthon; Rauchfuss > Dasypodius; Reuchlin > Capnion. 218 Starnigel era legato all’ambiente accademico di Zamość. Il fratello di Zachariasz, Wawrzyniec, teneva lezioni a Zamość (dove esercitò anche la carica di rettore) ed era riuscito ad assembrare una cospicua collezione di testi greci, che alla sua morte passarono poi in eredità al fratello, divenendo così proprietà della biblioteca accademica. PSB vol. 42, pp. 327–330, W. Urban, Akademia Krakowska, cit., p. 290. Il lascito della collezione sarebbe dovuto rimanere, secondo le ultime volontà di Wawrzyniec, alla biblioteca di Zamość, ma il fratello fece in modo che ne disponessero gli studenti indigenti dell’ateneo cracoviense. In seguito, alla morte di Zachariasz nel 1641, passarono al Collegium Maius e costituirono il primo nucleo della collezione libraria della cattedra di grecistica. Cfr. H. Gmiterek, Bursa Starnigela przy Akademii Zamojskiej,

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grecista traduttore di Demostene, nonché primo titolare della cattedra di lettere greche dell’ateneo cracoviense (cfr. supra). Szymon Starowolski, nel panegirico Laus Academiae Cracoviensis pubblicato nel 1639, dedica a Żórawski due versi in cui lo definisce vir trium linguarum, illustre conoscitore di greco, latino ed ebraico, nonché di discipline mediche e matematiche219; desumiamo dunque che appartenne anche alla cerchia degli orientalisti cracoviensi. Dal 1620 usufruì del sostegno di Dominik Montelupi, membro di una nota famiglia mercantile italo-polacca220, il quale lo avvicinò all’influente vescovo Jan Wężyk, funzionario reale. Entrato come docente al Collegium Minus dal 1631, lo stesso anno decise di recarsi a Padova per frequentare la celebre facoltà di medicina: lo troviamo infatti tra i sodali della gioventù polacca padovana per l’anno 1632221. L’anno stesso ottenne il titolo di doctor medicinae e fece ritorno in patria; risulta anche che abbia ricevuto l’invito dalla Facoltà di Medicina di Cracovia, a cui rispose con un rifiuto222. Grazie alle ampie competenze acquisite, scelse a poco a poco di accantonare l’improduttiva carriera di professor extraneus e di traslocare presso il palazzo reale, dove dal 1633 fu assunto come matematico e astrologo223. Era altresì medico personale della regina Maria Luisa Gonzaga, consorte prima di Władysław IV e più tardi del successore Jan Kazimierz. A quest’ultimo, nel 1655, Żórawski predisse la morte in terra straniera224. È poco probabile che a quest’epoca riuscisse ancora a coniugare gli impegni accademici con i doveri di medico e astrologo. Dalla fine del XVI secolo era iniziato il processo di trasferimento della sede del potere reale da Cracovia verso la più centrale Varsavia225. Del soggiorno in “Rocznik Lubelski”, 19, 1976, pp. 21–38; J. Zathey et al., Historia Biblioteki Jagiellońskiej, t. 1, 1364–1775 (red. I. Zarębski), Kraków 1966, p. 271. 219 «Nicolaus Zoravius trium linguarum cognitione celeberrimus, ingenio probitate Medicarum Mathematicarumque rerum scientia», p. 36. 220 Sull’influenza dei Montelupi cfr. W. Tygielski, Włosi w Polsce, cit., pp. 180–182 e passim. 221 H. Barycz (red.), Archiwum Nacji Polskiej, cit., p. 41. 222 L. Wachholz, Wydział lekarski, cit., p. 48. 223 Enc.Pow., cit., p. 1073. 224 Wespazjan Kochowski, Annalium Poloniae Climacter secundus, Cracoviae 1688, pp. 38–39. Pare inoltre che si fosse guadagnato una certa fama di ‘fallace indovino’, cfr. W.J. Rudawski, Historiarum Poloniae ab excessu Vladislai IV libri IX, Varsaviae 1755, p. 513: «ob ephemerides, in quibus futura ex astris praedicebat saepissimeque fallebat, celeber». Anche i calendari da lui composti ebbero una certa circolazione, la lista è in K. Estreicher, Bibliografia Polska, t. 36 cz. 1, Kraków 2013, pp. 123–129. 225 M. Bogucka, Warszawa w latach 1526–1795, Warszawa 1984, pp. 13, 42 ss.

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varsoviense presso i monarchi sappiamo assai poco. Dalle note vergate in un Calendarium personale,226 apprendiamo che era tuttora in contatto con mecenati, tra cui il mercante cracoviense Hieronim Szober e la consorte di Dominik Montelupi, e che continuava a esercitare l’astrologia  – pratica, a quanto pare, assai remunerativa227. Przyborowski228 commenta con tono critico l’incapacità dell’Accademia di approfittare dell’eccezionale talento di Geranius, il quale infatti fu costretto per questioni materiali a preferire la divinazione del futuro all’insegnamento. Un’indagine229 sulle collezioni librarie varsoviensi del XVII secolo ha rivelato che sette dei libri appartenuti alla biblioteca di Geranius furono trasmessi230, alla sua morte, al bibliofilo patrizio Karol Zabrzeski. Costui, borgomastro della città negli anni 1665–1666 e 1669, acquisiva le eredità librarie di medici e figure legate al mondo accademico cracoviense, dove egli stesso aveva completato gli studi; possedeva infatti libri appartenuti oltre che a Żórawski, anche ai noti ellenisti Grzepski e Draski. Si può quindi immaginare che il nostro, oltre ad esercitare la professione di astrologo, partecipasse alla vita intellettuale nel circolo di bibliofili e medici231 della nuova capitale. È utile fare il titolo di alcuni volumi certamente appartenuti all’ellenista232: la tragedia Podagra di Luciano (Argentorati 1529) versificata in greco e latino; De corporis commodis et incommodis di Giorgio Valla (Argentorati 1530); le Etiopiche di Eliodoro (Basileae 1534), che includono alcuni marginalia probabilmente non di sua mano; Horologium continens… (Florentiae 1520), manuale

226 Calendarium historicum conscriptum a Paulo Ebero… et recens, ante obitum ab eodem recognitum plurimisq[ue] locis auctum, Vite[m]‌bergae 1571 (BUW, GSD, Sd. 604.1471). 227 È curioso che annoti in greco le somme di denaro ricevute dai clienti come compenso per i suoi pronostici, Calendarium, cit., f. 173r. 228 Enc.Pow., cit., p. 1074. 229 E. Truskolaska, Burmistrz siedemnastowiecznej Warszawy Karol Zabrzeski i jego księgo­ zbiór, in “Z badań nad polskimi księgozbiorami historycznymi. Zbiory rozproszone”, 15, 1993, pp. 121–154. 230 I. Wiencek, O Pindarze i jego czytelnikach. Egzemplarz XVI-wiecznej edycji ze zbiorów BUW z rękopiśmiennymi zapiskami Ae. P. z Heidelbergu, in “Studia Źródłoznawcze”, 46, 2009, pp. 1–27, in particolare p. 3. 231 La professione galenica arrecava lauti guadagni, che sovente erano spesi per l’acquisto non solo di manuali di medicina, ma anche di opere letterarie, cfr. E. Truskolaska, Burmistrz, cit., p. 126. 232 Le note dei possessori sono leggibili sui frontespizi. Elenco in ordine le collocazioni dei volumi: BUW GSD, Sd.608.448 adl.; Sd.608.447 adl.; Sd.604.80 adl.; Sd.608.3848; Sd.604.1471.

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di liturgia greca; Calendarium Historicum, un taccuino contenente appunti personali e annotazioni su cerimonie accademiche e ricorrenze. Questo magro assaggio di quanto rimane della biblioteca greca di Geranius tuttavia riassume già alcune delle tendenze degli umanisti polacchi cinque- e secenteschi descritte poco sopra. Se parte della collezione di stampe di Żórawski passò a Zabrzeski, confluendo in seguito nella biblioteca dei Padri Carmelitani Scalzi di Krakowskie Przedmieście233, i manoscritti dovevano invece essere stati raccolti e poi affidati alla Biblioteca Załuski – la quale andava costituendosi alla fine del XVII secolo234. A.B. Jocher235 infatti nel secolo successivo segnalava la presenza di uno di essi alla Zalusciana (v. infra). Żórawski, in qualità di docente accademico, eseguì le traduzioni di alcune opere latine in lingua greca:  Ciceronis oratio pro Archia poeta, Cracoviae 1632 (stampa); Ciceronis de officiis libri III e latino sermone in Graecum conversi 1620, esemplare manoscritto che si trovava nella Biblioteca Załuski di Varsavia236; Ciceronis Laelius sive de amicitia; Ciceronis oratio pro lege Manilia. Gli ultimi due scritti più il De officiis sono menzionati soltanto da lui nella prefazione alla Pro Archia e sarebbero stati pubblicati in caso di una ricezione positiva di essa. Non è possibile stabilire come sia stata accolta l’operetta, dal momento che della stessa possediamo finora un unico esemplare237; tanto più che il grecista negli anni Trenta del XVII sec. si trovava ormai immerso in altre discipline. Per quanto concerne le tre versioni greche rimaste inedite, è opportuno ricordare il nefasto destino della Biblioteca Załuski, la quale subì ripetuti furti, incendi e danni bellici, e forse proprio in uno di questi tragici eventi238 il De officiis greco

233 E da lì, parzialmente e per vie traverse, giunse nel 1886 alla Biblioteca Universitaria di Varsavia (BUW), mentre un’altra parte del fondo è ancora in possesso della Biblioteca del Seminario (Biblioteka Seminaryjna), E. Truskolaska, Burmistrz, cit., p. 131; I. Wiencek, O Pindarze, cit., p. 3. 234 La bibliografia sulla prima biblioteca pubblica di Varsavia, fondata al principio del XVIII secolo dai fratelli Józef Andrzej e Andrzej Stanisław Załuski è ampia, si veda a titolo d’esempio B. Szyndler, Biblioteka Załuskich, Wrocław 1983. 235 A.B. Jocher, Obraz, cit., p. 153. 236 J.D. Janocki, Specimen catalogi codicum manuscriptorum Bibliothecae Zaluscianae, Dresdae 1752, p. 119; A.B. Jocher, Obraz, cit., p. 153; gli altri due manoscritti sono segnalati esclusivamente dallo stesso autore nella prefazione alla Pro Archia. 237 Se da una parte questo fatto potrebbe lasciar intendere una fredda ricezione dell’opera, dall’altra è doveroso precisare che i libri scolastici avevano solitamente vita breve poiché esposti all’usura di generazioni di studenti. 238 B. Szyndler, Biblioteka Załuskich, cit., pp. 53–54.

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(e forse anche gli altri due manoscritti) andò perduto. Dal catalogo239 che riporta il censimento degli esemplari della biblioteca, trasferiti da Varsavia alla Biblioteca Imperiale di San Pietroburgo nel 1795 su ordine di Caterina II, risulta che sotto il nome di Żórawski vi fosse un solo documento, una traduzione latina delle Epistolae Graecae di Guillaume Budé, la quale, a quanto mi consta, è oggi irreperibile. L’accademico lublinese si dilettò altresì nella composizione di epigrammi: conserviamo un componimento encomiastico in greco di 30 versi in onore dell’arcivescovo di Połock, Melecjusz Smotrycki240, contenuto nell’ultima carta di un libello polemico scritto da quest’ultimo241; altri 25 epigrammi latini ornano le biografie dei cento illustri polacchi nell’Hecatontas di Starowolski, ed un altro si trova invece nell’operetta Pobudka del medesimo242. Abbiamo infine notizia di una sua presunta traduzione in polacco del poema Victoria deorum scritto da Sebastian Fabian Klonowic (Acernus)243.

239 L’inventario fu redatto dal curatore del deposito petropolitano, Peter Dubrovsky, negli anni 1806–1807 (Registre des ouvrages et volumes des manuscripts livrés à Monsieur le Conseiller de Collège et chevalier Doubrowsky), ed è ricostituito e pubblicato in O.N. Bleskina-N.A. Elagina-K. Kossarzecki-S. Szyller (ed.), The Inventory of manuscripts from the Załuski Library in the Imperial Public Library, Warszawa 2013; per le vicende della collezione in Russia, pp. 11–14. Zoravius compare nel registro a p. 210: «Guilelmi Budaei Epistolae Graecae à M. Nicolao Żórawski latinitate donatae in 4to», (fol. 90v). Parte della collezione fu successivamente restituita alla Polonia grazie al trattato di Riga (1921), ma andò distrutta durante l’insurrezione di Varsavia nel 1944; parte fu invece rivenduta nei primi anni dopo l’arrivo nella capitale russa e dispersa. 240 M. Smotrycki (1578–1633), eminente rappresentante del primo barocco ucraino, fu dapprima un acre polemista nei confronti dell’Unione di Brest. In seguito, intorno al 1628, amareggiato dalle tragiche conseguenze causate dalle feroci polemiche confessionali e dal degrado dell’ortodossia, accolse la fede cattolica. Si distinse anche per gli interessi linguistici, pubblicando la prima grammatica di slavo antico: Grammatika slowianskaja, Jewie 1618, cfr. PSB, vol. 40, pp. 356–362 e la biografia di D.A. Frick, Meletij Smotryc’kyj, Cambridge MA, 1995. Per gli orientamenti si veda S. Babicz, Twórczość Melecjusza Smotryckiego w kontekście wczesnego baroku Ukraińskiego, in “Terminus” 4, 2002, pp. 13–30. 241 Paraenesis abo napomnienie do bractwa wileńskiego Cerkwie Ś. Ducha, Kraków 1629. 242 Scriptorum Polonicorum Hekatontas seu centum illustrium Poloniae scriptorum elogia et vitae, Francoforti 1625; Pobudka abo rada na zniesienie Tatarów perekopskich, Cracoviae 1618. 243 La notizia viene da M.H. Juszyński, Dykcyonarz, cit., p. 383, ma è messa in dubbio da I. Chodynicki, Dykcyonarz, cit., pp. 412–413. La traduzione del poema, ora indisponibile, è verosimilmente da attribuire al padre di Żórawski – anch’egli di nome Mikołaj – di età più vicina a quella di Klonowic, cfr. J. Przyborowski, Rok śmierci Fab.

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La figura di Smotrycki dovette avere certamente qualche peso nella vita di Żórawski. Forse i due dotti si ritrovarono a collaborare durante la preparazione del sinodo che si sarebbe dovuto tenere a Leopoli nel 1629. L’adunanza doveva persuadere il clero ortodosso ad aderire all’Unione di Brest e a rimettersi dunque all’obbedienza della Chiesa Romana. Promotore dell’evento era il duca Aleksander Ostrogski, al quale, se da una parte stavano a cuore le questioni relative alla chiesa greca nei propri domini di lingua rutena, dall’altra era altresì disposto ad assecondare l’unione fra le due chiese secondo i principi stabiliti durante il Concilio di Firenze circa due secoli prima. Dal resoconto che lo stesso Żórawski fa nella dedica della traduzione244 al duca Władysław Dominik Ostrogski-Zasławski (P.Ar.gr. pp. 3–11), siamo informati sulla vicenda: Geranius era stato esortato da personalità come l’arcivescovo leopolitano Andrzej Próchnicki e il letterato Melchior Stephanides (Stefanowicz), a comporre un discorso inaugurale in greco da declamare alla presenza degli intervenuti al sinodo, e soprattutto dei vescovi scismatici, allorché vi fosse stata da parte loro qualche riluttanza («non abs re me facturum existimavi, si Graece… ne in eo negotio… Schismatica pars fluctuaret, adhortarer», p.  4). Doveva pertanto essere una παραίνεσις, un’esortazione mirante ad illustrare e chiarire le origini della religione cristiana e a dirimere le maggiori difficoltà legate alle controversie dogmatiche, prima fra tutti il primato del vescovo di Roma sul patriarca di Costantinopoli. Il sinodo tuttavia non ebbe luogo, poiché la mattina del 28 ottobre 1629 il partito ortodosso, dissuaso dalla propaganda rutena anti-unitaria e scoraggiato dall’atteggiamento intransigente della sede apostolica245, rifiutò di presentarsi. A causa del fallimento diplomatico, il discorso non poté essere pronunciato, ma a seguito delle insistenti pressioni esercitate su Żórawski dallo stesso duca Seb. Klonowicza, cit.; di diverso avviso è invece H. Wiśniewska, Renesansowe życie i dzieło Sebastiana Fabiana Klonowica, Lublin 20062, pp. 100, 206. 244 Μάρκου Τυλλίου Κικέρωνος, ó ὑπερ τοῦ Ἀρχίου Ποιητοῦ ΛΟΓΟΣ, ἐκ τῶν Ῥωμαίων γλώττης, εἰς τὴν ἑλληνικὴν παρὰ τοῦ Νικολάου Ζοραβίου, ἐπί τῆς τοῦ Κράκου πολεως τῇ Ακαδημίᾳ, τῆς Φιλοσοφὶας διδασκάλου καὶ καθηγητοῦ, μεταφρασθείς. Ἔτει ἀπò τῆς θεογονίας, χιλιοςῷ ἑξακοσιοςῷ τριακοςῷ δευτέρῳ. M.  T. Ciceronis pro Archia poeta oratio ex latino sermone in graecum a Magistro Nicolao Żórawski, in Acad[emia] Crac[oviensi] Philosophiae Doctore et Professore, translata. Anno a Nativitate Dei MDCXXXII, παρὰ τῷ Φραγκίσκῳ Καισαρίῳ. D’ora in poi P.Ar.gr. 245 Le cause sono articolate e ricostruite con l’ausilio di diverse testimonianze in T. Długosz, Niedoszły synod unicko-prawosławny we Lwowie 1629r., in “Collectanea Theologica”, 19, 1938, pp. 479–506; una bibliografia sul mancato sinodo leopolitano si trova in A. Mironowicz, Józef Bobrykowicz, biskup białoruski, Białystok 2003, pp. 70–73 e note.

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Zasławski246 e dagli amici, fu ugualmente deciso di mandarlo alle stampe. L’improvviso decesso del protettore gettò il grecista nello sconforto, dal momento che per la seconda volta gli era impedito di divulgare l’opera. Non gli rimase che rivolgersi al figlio del duca, Dominik Zasławski-Ostrogski, e in nome del pio padre perorare la stampa, non più dell’esortazione sinodale, dal momento che i veri desitinatari, i greci “dalla dura cervice” (σκληροτράχηλοι, p. 7) non l’avrebbero mai più letta né udita, bensì di un nuovo brano, l’orazione ciceroniana Pro Archia poeta in veste greca («orationem pro humanitatis studiis scriptam», p. 10), ad uso della gioventù accademica cracoviense. Dopo alcune rituali formule elogiative sull’immensa cultura e la mirabile indole del giovane dedicatario, comprendiamo meglio la ragione di tale scelta: Żórawski lamenta nella condotta degli studenti cracoviensi, specialmente in quelli del Collegium Novodworscianum in cui teneva lezione, una certa ritrosia nell’apprendimento del greco («sciremque eam [scil. iuventutem] ab illis [scil. litteris Graecis] nescio cuius culpa abhorrere solere», p. 10), e per questo ha intenzione di infiammare i loro animi alla letteratura ellenica («ad Graecanicas litteras inflammare», p. 10) con la versione di un’opera latina; ed apponendovi la dedica al duca, exemplum di sapienza, cerca di nobilitare ulteriormente l’operetta agli occhi dei discepoli destinatari. Agli studenti è inoltre dedicata la successiva ἐξέγερσις (pp. 12–15), un incitamento ad appassionarsi alla lingua di Platone e Aristotele, nel quale l’umanista li invita ad apprezzare l’esclusività dell’istituzione che li ospita e gli eccellenti educatori che la gestiscono, tra cui il provisor Adam Opatowski. Attraverso la similitudine del veleno che a piccole dosi entra nel corpo dei piccoli spartani mitridatizzandoli a poco a poco, Żórawski dimostra l’utilità di un costante esercizio di lettura dell’orazione tradotta, che consentirà di passare successivamente a scritti più impegnativi di filosofia. Né tralascia di accennare alla grande varietà della lingua greca, e a questo scopo inserisce in appendice le sei versioni dell’oratio dominica in sei dialetti greci247. Per ovviare all’inevitabile tedio in cui incorrerebbero gli studenti leggendo un solo libro, l’autore preannuncia, infine, che altre tre opere di Cicerone ‘in abito greco’ sono già pronte ed aspettano soltanto la buona accoglienza della Pro Archia per vedere la luce (p. 14). Ritengo che la versione di Żórawski possa ascriversi alla corrente delle versioni didattiche dal latino al greco (v. par. 1.5.), incominciata agli albori

246 È del resto nota la beneficenza della famiglia Ostrogski-Zasławski nei confronti della Akademia Ostrogska in termini di acquisti e donazioni di libri, cfr. J. Zathey et al., Historia Biblioteki Jagiellońskiej, cit., p. 256. 247 Le sei versioni dell’oratio dominica sono analizzate in R. Peressin, The Lord’s Prayer, cit.

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dell’Umanesimo, e di cui egli stesso diventa un suo tardo esponente. A riprova di ciò si può portare il De consolatione philosophiae conservato nelle collezioni della Biblioteca Jagellonica248 che potrebbe essere servito da ispirazione, come anche la versione latina realizzata dallo stesso grecista delle Epistolae Graecae di Budé (v. supra). Un particolare rapporto con il filellenismo francese sarebbe confermato anche da un’epistola inviata da Denis Petau a Żórawski. Nella lettera249, vergata in greco, Petau espone alcune considerazioni in materia di traduzione delle opere ciceroniane, ed è la risposta ad una missiva di Geranius, il ritrovamento della quale sarebbe per noi assai prezioso allo scopo di comprenderne meglio il dibattito teorico sul tema. Si può ventilare l’ipotesi che il grecista francese abbia ispirato con la propria metafrasi il collega polacco (v. par. 1.6.). La scelta dell’orazione cade, com’è evidente, sul suo contenuto insolito e piuttosto lieve per il genus iudiciale, in cui la celebre tirata sui benefici della poesia e della cultura, in primis greca, può fare presa sugli animi dei giovani discenti. Mikołaj Żórawski, uno fra gli ultimi rappresentanti dell’ambiente filellenico cracoviense che ebbe nel Cinquecento le sue glorie più esimie e fra i primi esponenti di quella fase a metà tra la fine dell’età rinascimentale e i primi segnali del Barocco, si spense a Varsavia nel 1665250. Il secolo XVII fu tristemente celebre per le rovinose guerre sul fronte russo e l’invasione svedese (1650–1655), che abbassarono drasticamente il tenore di vita, nonché il livello degli studi presso l’Alma Mater. Il declino delle accademie di Cracovia, Zamość e Vilna fu inarrestabile fino alla fine del XVIII secolo, mentre gli studi classici sarebbero risorti in modo decisivo soltanto tra XIX e XX secolo, e rifioriti poi dal 1918 con la recuperata indipendenza nella Seconda Repubblica di Polonia251.

248 Il De consolatione è il ms. BJ 620 FF V 4 (XV sec.), donato alla biblioteca nel 1584, cfr. J. Zathey et al., Historia Biblioteki Jagiellońskiej, cit., p. 258. 249 Sono riconoscente per la gentile segnalazione a Antoine Haaker. L’epistola si trova in Dionysii Petavii Aureliensis e Societate Iesu Epistolarum libri tres, Parisiis 1652, pp. 421– 423. Non è datata, ma risale verosimilmente al periodo varsoviense di Żórawski, essendo indirizzata εἰς Οὐαρσοβίαν, p. 421. 250 W.J. Rudawski, Historiarum, cit., p. 513; M.D. Krajewski, Dzieje panowania Jana Kazimierza, Warszawa 1846, p. 113. Sulla dibattuta periodizzazione del Rinascimento in Polonia, cfr. ad esempio le opinioni riassunte in P. Wilczek, Literatura polskiego Renesansu, Katowice 2005, pp. 13–22. 251 S. Hammer, Historia filologii, cit., pp. 5–7. Per gli studi classici all’Università di Varsavia fra Otto e Novecento si veda L.T. Błaszczyk, Filologia klasyczna na Uniwersytecie Warszawskim w latach 1816–1915. Cz. 1–2, Warszawa 1995–2003.

La fortuna di Cicerone in Polonia

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1.8. La fortuna di Cicerone in Polonia L’Arpinate in terra polacca godette di una fama repentina, se già le prime cronache (XII-XIII sec.)252 mostrano allusioni al suo stile. Come nel resto d’Europa253, maggiormente letti in ambito accademico medievale erano gli scritti filosofici, ma con il consolidarsi del sistema politico della Respublica Utriusque Nationis, dove il potere monarchico elettivo era temperato dal parlamento (Sejm) e dai parlamenti locali (Sejmiki), all’arte della parola fu conferito un peso sempre maggiore. Le abilità oratorie permettevano agli oratori-parlamentari, costituenti la numerosa piccola nobiltà (szlachta), di partecipare attivamente alla vita politica254. Forse anche per questo motivo l’anticiceronianesimo di matrice erasmiana, che derideva il vacuo atteggiamento formalista di parte dell’umanesimo italico, soprattutto romano255, non attecchì in Polonia se non solo molto tardi e debolmente, ancorché il rotterdamese fosse in queste contrade assai apprezzato256. Per gli uomini di stato l’autore del De republica costituiva anzi un «maestro di stile politico»257, esimio rappresentante del periodo delle libertà repubblicane, fautore del “regime misto” in cui i teorici polacchi scorgevano riflessa la loro “repubblica nobiliare” (rzeczpospolita szlachecka). E intorno a Cicerone la filologia rinascimentale polacca diede proprio i suoi frutti migliori. Andrzej Patrycy Nidecki (1522–1587) è ritenuto infatti uno dei più fini ingegni critici del Cinquecento258; legato da rapporti di amicizia con Paolo Manuzio e Carlo Sigonio, collaborò con questi alla prima edizione dei frammenti della tradizione indiretta ciceroniana, uscita a Venezia fra 1561–1564

2 52 M. Plezia, Z dziejów, cit., p. 335 riporta l’esempio del cronista Wincenty Kadłubek. 253 Per la fortuna di Cicerone in Europa rimane ancora un classico il lavoro di T. Zieliński, Cicero im Wandel der Jahrhunderte, Leipzig 1897. 254 J. Axer, Latinitas Polonorum, in A. Nowicka-Jeżowa (red.), Humanitas. Projekty antropologii humanistycznej, Cz. 1, Warszawa 2009–2010, pp. 271–284. 255 Cfr. T. Michałowska-B. Otwinowska, Słownik literatury staropolskiej, Wrocław 1990, s.v. Cyceronianizm. 256 Cfr. St. Łempicki, Renesans, cit., pp. 123–134. 257 Sull’argomento si veda p.es. D. Pietrzyk-Reeves, Ład Rzeczypospolitej. Polska myśl polityczna XVI wieku a klasyczna tradycja republikańska, Kraków 2012, pp. 190 ss.; la citazione è a p. 195. 258 Si vedano, oltre il classico di K. Morawski, Andrzej Patrycy Nidecki: jego życie i dzieła, Kraków 1892, anche M. Plezia, Z dziejów, cit., pp. 335–337; St. Łempicki, Renesans, cit., pp. 56–62; W. Madyda, Z dziejów filologii klasycznej w Uniwersytecie Jagiellońskim, in W. Taszycki-A. Zaręba (red.), Wydział Filologiczny Uniwersytetu Jagiellońskiego. Historia katedr, Kraków 1964, pp. 1–94, pp. 31–35.

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col titolo Fragmentorum M.T. Ciceronis tomi IV cum Patricii adnotiationibus e rimasta attuale fino alla scoperta del codice del De republica nel XIX secolo259. Inoltre pubblicò nel 1583 a Cracovia un tomo di 4 orazioni dell’Arpinate (Pro C.  Rabirio, Pro Marcello, Pro rege Deiotaro, Pro Ligario). Non meno acuto ed erudito fu Adam Burski nella preparazione della Dialectica Ciceronis (Zamość 1604), nella quale assembrò e commentò passi di logica di Cicerone unitamente a scritti di molti altri pensatori antichi260.

1.9.  L’orazione Pro Archia poeta: vicende di un inusitatum genus dicendi 1.9.1.  Genesi e struttura Nel 62 a.C., il poeta di origine greca Aulo Licinio Archia261 dovette affrontare un processo per appropriazione illegale della cittadinanza romana. Per meglio capire il procedimento giudiziario in cui rimase implicato, è necessario ripercorrere alcune tappe legislative. La lex Plautia Papiria dell’89 aveva concesso la cittadinanza agli abitanti dei municipia con la duplice condizione che in quel momento i candidati fossero già iscritti in una delle comunità federate, e che entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge si presentassero davanti a un pretore per confermare la loro posizione. Per prevenire abusi in tal senso, nel 65 era stata votata la lex Papia, che comminava pene severe ai trasgressori. Archia, in base a codesta disposizione, si trovava in una situazione pericolosa: un oscuro personaggio di nome Grattius aveva infatti denunciato il poeta di detenere illegalmente i diritti di cittadino romano. Il poeta Archia – del quale oltre alla nostra arringa e forse una quarantina di epigrammi dell’Antologia Palatina

2 59 W. Madyda, Z dziejów, cit., pp. 31–35. 260 Cfr. M. Plezia, Z dziejów, cit., pp. 337–338. 261 Mi avvalgo soprattutto delle ottime introduzioni ai volumi di F. Gaffiot, Cicéron. Discours, XII. Pour le poète Archias, texte ét. et trad. par F. Gaffiot, Paris 1938 (20127), pp. 9–32 e bibliografia alle pp. 32a-32g; E. Narducci, Cicerone. Il poeta Archia, Milano 1997 (traduzione e note di G. Bertonati), pp. 33–66; ma anche di R. Reitzenstein s.v. “Archias” n° 20, in A.F. Pauly-G. Wissowa, Real-Encyklopädie der classischen Altertumswissenschaft, Bd. 2, 1, Stuttgart 1895, pp. 463–464; Ch. Selzer, s.v. “Archias” Nr. 7, in Der neue Pauly. Enzyklopädie der Antike. Hrsg. von H. Cancik-H. Schneider, Stuttgart-Weimar 1996, vol. 1 col. 989. Per una bibliografia aggiornata su molteplici aspetti storici e testuali dell’orazione, si veda J. May (ed.), Brill’s Companion to Cicero, cit., p. 594 e soprattutto Dimitris Mantzillas, disponibile online: https://www.academia. edu/12931208/Cicero_Pro_Archia_ Poeta_Bibliography (accesso 3.11.2019).

L’orazione Pro Archia poeta: vicende di un inusitatum genus dicendi

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(10,7)262 non conosciamo null’altro – era nato ad Antiochia sull’Oronte intorno al 120 a.C. Fin dall’adolescenza dimostrò ragguardevoli capacità oratorie, le quali gli permisero di viaggiare per l’Asia Minore e sfoggiare la propria eloquenza, partecipando a gare e concorsi di poesia. Erano questi dei ‘festival’, in cui gli sfidanti erano tenuti a declamare, improvvisando, elogi poetici o brani d’apparato. Distintosi per le sue grandi abilità, l’antiocheta si spinse per tutto il mondo ellenico, approdando alfine in Magna Grecia, la quale a quel tempo splendeva per le arti e la cultura263. Ad Eraclea, in Lucania, gli fu donata la cittadinanza onoraria. Nel 102 fece il suo ingresso a Roma e qui divenne presto oggetto di attenzione delle famiglie più in vista, tra cui i Metelli, passando poi sotto il patronato dei Luculli, dai quali prese il gentilizio Licinius. Il prenome Aulus potrebbe alludere la protezione di un’altra gens. Compose carmi encomiastici sulle guerre cimbriche condotte da Gaio Mario264 e più tardi, recatosi in Asia a seguito del patrono Lucio Lucullo, ne celebrò le imprese nella guerra contro Mitridate265. Espresse in versi le gesta di Quinto Metello Pio ed iniziò forse anche un poema celebrativo per Cicerone, che però, a quanto risulta da una lettera ad Attico266 del giugno 61, non fu terminato267. Per tornare al processo, su Archia pendevano due capi d’accusa: di non essere cittadino romano; di non figurare nei registri municipali di Eraclea e dunque di non avere diritto al titolo di civis Romanus. Testimoniavano a suo favore Marco Lucullo e i cittadini di Eraclea, ma a suo sfavore deponeva la distruzione, in seguito ai danni della guerra sociale, dei registri della città lucana, i quali avrebbero potuto comprovare la sua regolare iscrizione. L’Arpinate smonta il primo punto poggiando sulla deposizione degli Eracleesi, secondo cui Archia era effettivamente civis di quel municipium; la seconda imputazione è smentita dimostrando che, durante i censimenti, il poeta si trovava fuori Roma al seguito del suo protettore, ed era dunque impossibilitato a regolarizzare la sua posizione. Gli elementi a carico della difesa, come appare evidente, non erano schiaccianti, tuttavia l’avvocato poteva avvalersi in aula dell’influente presenza del fratello Quinto, che presiedeva alla giuria268. Non sappiamo con certezza se 262 R. Reitzenstein, in REA, cit., p. 463. Sull’attribuzione degli epigrammi, cfr. A.S.F. GowD.L. Page (eds.) Anthologia Graeca. The Greek anthology: The Garland of Philip and some contemporary epigrams, 2 voll. Cambridge 1968, vol. 1, pp. 432–435. 263 Cic. Arch. 3,5. 264 Ibid., 9,19. 265 Ibid., 9,21. 266 «Archias nihil de me scripserit», Cic. Att. 1,16; cfr. Arch. 11,28. 267 Le testimonianze sulla produzione perduta di Archia sono in H. Lloyd-Jones-P. Parsons (eds.), Supplementum Hellenisticum, Berlin-New York 1983, pp. 76–77. 268 Arch. 12,32.

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Archia sia stato prosciolto, ma vi sono indizi che ci spingono a crederlo. La summenzionata epistola, dove viene fatto il nome del poeta, è dell’anno successivo al processo; se costui fosse stato condannato, secondo la lex Papia avrebbe dovuto seguire immediatamente la via dell’esilio, invece risulta che nel 61 soggiornasse ancora nell’Urbe. Un primo interrogativo è sollevato dalla materia dell’orazione e riguarda la motivazione che spinse Cicerone ad occuparsi della causa. La difesa di un greco accusato di appropriazione illegale di cittadinanza, a prima vista, può infatti indurci a ritenere che questa «matière infertile et petite»269 non si conformasse alla stazza di un personaggio che l’anno precedente aveva salvato la res publica dalla congiura dei catilinari. Dietro la decisione di sostenere il poeta nel processo può nascondersi il desiderio di gloria dell’Arpinate, che in questo modo sperava di veder celebrato, come ricompensa per la difesa, in un poema il proprio consolato270. Oppure l’intenzione di risanare i rapporti con i Luculli, di cui Archia era amico e protetto, i quali si erano deteriorati allorché l’oratore aveva espresso il suo appoggio Pompeo271 contro i Luculli nella conduzione della guerra mitridatica per gli anni 74–68. Se da una parte non fa mistero la brama di gloria di Cicerone272, e dunque l’aspettativa di un carme encomiastico potrebbe essere riconosciuta come una valida ragione del suo impegno, dall’altra è tuttavia verosimile che nel 62 i Luculli avessero già dimenticato l’affronto della lex Manilia. Si dovrebbe invece considerare che proprio all’indomani della condanna dei catilinari Cicerone dovette affrontare l’accusa da parte degli oppositori di irregolarità procedurali nei confronti dei seguaci di Catilina, mandati a morte sommariamente. Alla luce di questo fatto, è comprensibile allora come l’Arpinate a quel punto della propria carriera tenesse a fare una pubblica «profession de foi»273, presentandosi sia come oratore al servizio degli amici in pericolo, sia in quanto personalità di alta statura morale, che possiede la virtus maiorum, ma che è

269 Cfr. anche Tac., Dial. 37: nec Ciceronem magnum oratorem P. Quintius defensus aut Licinius Archias faciunt. Cito da F. Gaffiot, Cicéron, cit., p. 12. 270 La promessa, come ricordato, sarà disattesa e Cicerone dovrà scrivere da sé i propri versi nel De consulatu meo (60) e De temporibus meis (54). Cfr. A. Luisi, “Pro Archia”: retroscena politico di un processo, in M. Sordi (a c. di), Processi e politica nel mondo antico, Milano 1996, pp. 189–206, p. 199. 271 Con la celebre orazione Pro lege Manilia. L’Arpinate vedeva se stesso nel ruolo di ‘saggio consigliere’ che al tempo di Scipione era stato di Lelio, cfr. Fam. 5,7, in F. Gaffiot, Cicéron, cit., p. 14. 272 Ibid., p. 12. 273 Ibid., p. 15.

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altresì dotato di eloquenza e cultura. Egli si dichiara pertanto disposto a divenire un riferimento per i personaggi politici in auge, a consigliarli e guidarne i passi; qui l’oratore ha certamente in mente Pompeo trionfante, che con discreta lusinga chiama Magnus274. L’arringa deve però la sua fama in gran parte alla lunga digressione che occupa i capp. 6,12–12,30. Essa è dedicata ai giovamenti dell’arte e della poesia nell’educazione e nella vita quotidiana, come rifugio e sollievo dal fragore del foro; al ruolo sacrale del poeta come eternatore della memoria storica di un popolo (quello romano); all’universalità del desiderio di gloria, condiviso dallo stesso Cicerone, e alla funzione essenziale che il poeta adempie a questo scopo. L’opera aveva infatti destato l’entusiasmo di Petrarca, che vi aveva trovato la celebrazione degli studia humanitatis275, formula che tanta fortuna avrà per le seguenti generazioni di intellettuali e per il termine “umanesimo”. La poesia a cui si riferisce l’Arpinate è naturalmente quella epica, la sola degna di onorare le grandi imprese, e significativo diviene il richiamo al pater Ennius in diversi luoghi del testo (8,18; 9,22; 9,27). Viene spontaneo interrogarsi sul perché si sia scelto di riservare un così ampio spazio a tematiche non tipicamente giudiziarie, che rendono la Pro Archia unica nella produzione oratoria ciceroniana. Secondo Michael von Albrecht276 nel discorso è stato impiegato il principio retorico secondo il quale agli elementi deboli della difesa deve essere riservato uno spazio ridotto, ampliando invece i punti di forza. Così si spiega la sproporzione della lunga digressio rispetto alle altre sezioni. Inoltre, è bene notare che spesso nel discorso l’Arpinate si riferisce al suo cliente usando il praenomen romano Aulo Licinio, intendendo dimostrare alla corte come il poeta si sia ormai assimilato alla cultura dei Quiriti e sia dunque in grado di giovare, con la sua arte, alla fama di Roma277. Vediamo ora di quali parti si compone l’orazione278.

2 74 Arch. 24; F. Gaffiot, Cicéron, cit., p. 17. 275 Arch. 2,3; si intendono, com’è noto, le discipline atte allo sviluppo delle facoltà proprie dell’uomo: grammatica, retorica, poesia, storia ed etica, le quali sono accomunate da un vincolo di parentela (Arch. 1,1), cfr. M. McLaughlin, Petrarch and Cicero, in W.H.F. Altman (ed.), Brill’s Companion to the Reception of Cicero, 2015, pp. 17–38, in particolare p. 25. 276 M. von Albrecht, Das Prooemium von Ciceros Rede Pro Archia poeta un das Problem der Zweckmässigkeit der argumentatio extra causam, in “Gymnasium” 79, 1969, pp. 419–429. 277 E. Narducci, Cicerone, cit., p. 68, nota 2. 278 Seguo a grandi linee F. Gaffiot, Cicéron, cit., pp. 18–22.

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1) exordium:  nell’introduzione (1,1–2,3) l’autore spiega di avere accettato la difesa del cliente per il debito culturale verso il suo precettore Archia e, presentando ai giudici la propria integrità morale e auctoritas, pone l’imputato sotto la sua influenza; nella seconda parte il patronus, confidando nell’alta cultura dei giudici, rinuncia a dissimulare i propri interessi letterari e avverte dell’andamento inconsueto che assumerà l’arringa, la quale verterà su temi inusuali per il contesto tribunalizio; 2) nella narratio vengono narrate in modo oggettivo le vicende di Archia:  i viaggi nell’Oriente greco, il suo arrivo a Roma e l’accoglienza presso le famiglie aristocratiche (2,4–4,7); 3) nella confirmatio sono esposti gli argomenti a difesa dell’imputato: l’ottenimento della cittadinanza onoraria ad Eraclea e la registrazione presso il pretore urbano Quinto Cecilio Metello Pio, elementi che lo rendono civis a tutti gli effetti; l’autorevole testimonianza degli Eracleesi e di Lucio Lucullo; con la confutatio si controbattono le accuse di Grazzio, secondo cui Archia non sarebbe in possesso dei diritti di cittadino (4,8–5,11); 4) la digressio o argumentatio extra causam (6,12–12,30), dedicata al ruolo della poesia e del poeta nella vita dell’uomo, occupa la parte più estesa; vi si espongono i meriti non solo spirituali degli studi liberali, ma anche eminentemente pratici: essa da una parte diffonde la fama e perpetua il ricordo delle gesta militari, dall’altra porta ristoro dalle fatiche della vita quotidiana; il desiderio di gloria attrae ogni uomo (compreso Cicerone) e il poeta adempie a questa sacrale funzione; pertanto Archia deve essere ritenuto degno di grandi meriti nei confronti del popolo romano; 5) la peroratio conclude il discorso con l’appello di clemenza ai giudici, la ricapitolazione della posizione di Archia e delle sue qualità (12,31–12,32).

1.9.2.  La trasmissione del testo Nell’estate del 1333 Francesco Petrarca, durante il suo soggiorno ad Avignone presso la corte papale, intraprese un viaggio nel nord della Francia, facendo tappa anche a Liegi con l’intenzione di visitare la biblioteca di un monastero. Sul luogo, il principe degli umanisti rinvenne due orazioni279, delle quali una era la 279 La vicenda si legge in M. Tulli Ciceronis orationes, VI. Pro Tullio. Pro Fonteio. Pro Sulla. Pro Archia. Pro Plancio. Pro Scauro, rec. brevique adn. crit. instr. A.C. Clark, Oxford 1911 (19647), pp. v–vi, xii; M.D. Reeve, Classical Scholarship in J. Kraye (ed.), The Cambridge Companion to Renaissance Humanism, Cambridge 201111, pp. 20–21; M. McLaughlin, Petrarch and Cicero, in W.H.F. Altman (ed.), Brill’s Companion, cit.,

L’orazione Pro Archia poeta: vicende di un inusitatum genus dicendi

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Pro Archia, mentre della seconda, poi rivelatasi spuria, accennò l’incipit Pridie quam in exilium iret. Nonostante le difficoltà a reperire l’inchiostro e un copista, riuscì a trascrivere il contenuto dei manoscritti. Soltanto diciotto anni più tardi la Pro Archia sarà trasmessa all’amico Lapo da Castiglionchio, in cambio di altri quattro discorsi ciceroniani ancora ignoti a Petrarca. Da questo momento il nostro testo, uno tra i primi ad inaugurare l’epoca delle grandi scoperte filologiche dell’Umanesimo, sarà diffuso creando una cospicua discendenza di testimoni280. Dei codici in nostro possesso, infatti, solo 4 dei 270 non risalgono alla trascrizione di Liegi (π). Oltre a questa famiglia, il testo è tramandato dal Codex Gemblacensis – ora Bruxellensis 5352 – (G) (XII sec.), dal Codex Erfurtensis – ora Berolinensis 252 – (E) (XII-XIII sec.) e dal suo gemello281 il Vaticanus-Palatinus 1525 (V) (risalente al 1467). Recentemente Jeroen De Keyser ha rimesso in discussione l’autorevolezza assegnata a GEV dagli studiosi precedenti282, i quali nel redigere le proprie edizioni critiche dell’opera attinsero principalmente ai tre testimoni citati, trascurando per lo più i discendenti di π in quanto recentiores. In questi ultimi sono state però individuate valide lectiones che corrispondono, in alcuni casi, a buone congetture prodotte dallo stesso Petrarca283 e in seguito da umanisti come Andrea Navagero (Naugerius), Manuzio, Gaspare Garatoni e altri filologi moderni. Il lavoro di Albert Clark del 1911 costituì la base per le successive edizioni284; per Félix Gaffiot, G rimane «le meilleur manuscrit» e i codici più recenti non fanno che presentare «çà et là les corrections de quelque érudit inconnu»285, ed anche pp. 23–26. Essa è ripresa criticamente da J. De Keyser-T. Deneire, A new stemma for Cicero’s Pro Archia, in “Eikasmós”, 24, 2013, pp. 193–208. 280 Negli anni Cinquanta del XIV sec. l’orazione circolava in ambito fiorentino, cfr. Fam. 13,6 riportata da J. De Keyser, The descendants of Petrarch’s “Pro Archia”, in “The Classical Quarterly”, 63, 2013, pp. 292–328, p. 294. 281 Ibid., p. 295. 282 F. Gaffiot, Cicéron, cit. p. 23; A.C. Clark, M. Tulli Ciceronis, cit., p. xii; M. Tulli Ciceronis scripta quae manserunt omnia, XIX. Oratio pro P. Sulla, rec. H. Kasten. Oratio Pro Archia Poeta, post P. Reis rec. H. Kasten, Leipzig 19663, pp. ix–xi, sviluppa nello stemma il ramo E. 283 M.D. Reeve, Classical Scholarship, cit., p. 21. J. De Keyser, The descendants of Petrarch, cit., dimostra come la stragrande maggioranza dei testimoni oggi disponibili discenderebbe dalla copia personale di Petrarca. 284 M. Tulli Ciceronis orationes, VI. Pro Tullio. Pro Fonteio. Pro Sulla. Pro Archia. Pro Plancio. Pro Scauro, rec. brevique adn. crit. instr. A.C. Clark, Oxford 1911 (19647); H. Kasten. Oratio Pro Archia, cit.; F. Gaffiot, Cicéron, cit. 285 F. Gaffiot, Cicéron, cit., p. 23.

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PROFILO STORICO-LETTERARIO

Helmut Kasten, pur avendo collazionato nuovi testimoni di E, segue sostanzialmente il testo di Clark. Si auspica pertanto che le future edizioni prenderanno in esame anche la folta messe dei codices Itali.

1.10. L’accoglienza dell’orazione in Polonia L’editio princeps di Pro Archia poeta venne impressa nel 1471 a Roma in un tomo che raccoglieva altre orazioni ciceroniane; lo stesso anno fu stampata anche a Venezia286. L’interesse per l’orazione nella Polonia a partire dal XVI sec. è piuttosto costante e documentato da alcune edizioni287:  è stampata nel 1518 a Cracovia nell’officina di Hieronim Wietor, curata da Rudolf Agricola; nel 1537 sempre a Cracovia per i tipi di Marek Scharffenberg (ristampa del testo preparato da Melantone e impresso nel 1533); nel 1610 a Toruń (in un’antologia di cinque discorsi ciceroniani); nel 1632 a Cracovia con traduzione greca, presso il tipografo Franciszek Cezary; nel 1761 a Zamość. Ciononostante, stupisce che la raccolta redatta da Adam Romer di Stężnica nel 1610288 ad uso degli studenti cracoviensi, non la includa fra le dieci orazioni scelte. Nei registri del Liber diligentiarum289 viene inclusa nel programma della facoltà filosofica per ben 6 semestri tra 1524 e 1561, vincendo, ad esempio, sulle celebri Pro Lege Manilia (4 semestri) e Pro Ligario (1 semestre). È inoltre significativo che fu il primo discorso ciceroniano ad essere letto all’Accademia: Rudolf Agricola, ospite della facoltà, ne curò la prima esposizione, rompendo in un certo senso l’uniformità delle letture filosofiche in prevalenza aristoteliche, e riscuotendo entusiasmo nella comunità studentesca290. L’esempio fu infatti seguito anche da altri professori: sappiamo che la Pro Archia costituì materia delle lezioni di Benedykt Herbest e Stanisław Sokołowski291. 286 M.T. Ciceronis Orationes, Romae 1471, curata da Gianandrea Bussi e stampata da Sweynheym e Pannartz; M.T. Ciceronis Orationes, Venetiis 1471, curata da Lodovico Carbone e stampata da Valdarfer. Entrambe le edizioni in folio, cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke (GKW), http://www.gesamtkatalogderwiegendrucke.de /GWEN. xhtml (accesso 02.02.2018). 287 A.B. Jocher, Obraz, cit., pp. 44–47. 288 A. Romer, M. Tullii Ciceronis Orationes Pro lege Manilia. Pro S. Roscio. Catilinariae quatuor. Antequam iret in exilium. Post reditum in Senatu. Nona Philippica. Pro Marco Marcello commentariis illustratae, Cracoviae 1610. 289 W. Wisłocki, Liber diligentiarum, cit., passim. 290 M. Cytowska, Cyceron w Polsce w epoce Renesansu, in “Meander”, 30, 1975, pp. 172– 184: p. 175. 291 Ibid., pp. 176–177.

L’accoglienza dell’orazione in Polonia

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La lettura della produzione oratoria dell’Arpinate cominciò a rientrare nei programmi didattici cinquecenteschi a partire dalla sua raccomandazione nel De ratione studii di Erasmo (1511)292. I testi, infatti, offrivano agli studenti la possibilità di assimilare i valori etici della romanitas e di misurarsi con la ricercata struttura dell’ornatus. Ciò avveniva attraverso esercitazioni basate sull’imitazione del lessico e dello stile ciceroniani, praticate sia nelle scuole protestanti che in quelle gesuitiche293. Il programma di Johannes Sturm del 1538294 prevedeva – oltre alle opere retoriche, le Epistole e i dialoghi De amicitia e De senectute  – la lettura della Pro Archia (almeno fino al 1556) insieme alla Pro lege Manilia, Pro Ligario e Pro Marcello295. In alcuni ambienti riformati della Slesia, a Görlitz (Zgorzelec) e Olsna (Oleśnica), emerge che l’operetta si prestava, come modello di vis e virtus, durante le esercitazioni di retorica. Consistevano esse, ad esempio, nell’analisi delle partitiones dell’orazione e anche in rifacimenti imitativi dell’opera accomodati ad argomenti teologici296; è inoltre testimoniato l’impiego del testo ai fini dello studio della compositio297. Al ginnasio di Danzica il nostro testo 292 Il trattato erasmiano esercitò grande influenza nel mondo dell’istruzione; si considerino ad esempio i successivi manuali di Juan Luis Vives, De tradendis disciplinis (1531) e di Sir Thomas Elyot, The Boke named the Governour (1531). 293 B. Gaj, Tradycje retoryczne na dawnym Śląsku (XVI-XVIII wiek), Katowice-Opole 2007, p. 133. L’orazione era utilizzata come modello di laudatio anche dal pedagogo olandese Alardo di Amsterdam, cfr. B. Awianowicz,. Progymnasmata w teorii i praktyce szkoły humanistycznej od końca XV do połowy XVIII wieku, Toruń 2008, p. 218. 294 J. Sturm, De literarum ludis recte aperiendis, Argentorati 1538. 295 L. Kückelhahn, Johannes Sturm, Strassburg's erster Schulrector, besonders in seiner Bedeutung für die Geschichte der Pädagogik, Leipzig 1872, p. 73; I. Scott, Controversies over the imitation of Cicero as a model for style and some phases of their influence on the schools of the Renaissance, New York 1910, pp. 122–123. 296 Cfr. Balthasar Arnold, Oratio De Resurrectione Christi Ad Imitationem Numerorum Ciceronianorum Pro Archia Poeta, Habita Publice In Illustri Schola Olsnensi […] a Balthasare Arnholdo Strelensi Silesio, Olsnae 1613, BUWr., sygn. 356710. L’autore, riprendendo e adattando stilemi e locuzioni della Pro Archia, ricrea un’orazione il cui scopo è dimostrare la risurrezione di Cristo. Cfr. B. Gaj, Tradycje retoryczne, cit., pp. 124–138, in part. pp. 134–136. 297 Si veda M. Mylius, Doctrina de periodis, Gorlicii 1588, trattatello a cui è allegata, come testo-modello, la Pro Archia; qui l’orazione viene sottoposta a una minuta analisi retorica che ne evidenzia il sapiente uso di periodi e cola. Cfr. B. Gaj, Tradycje retoryczne, cit., p. 126. Esistono altre due stampe di esercitazioni retoriche basate sulla Pro Archia: Bartholomaeus Wilhelmi, Triumphus poetices scholasticus: hoc est orationes duae quarum altera Caii Gracchi actoris, Aulum Licinium Archiam poetam in iudicio Romano ob jus civitatis reum agentis; altera vero M. Tullii Ciceronis Archiae

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PROFILO STORICO-LETTERARIO

è incluso insieme ad altri discorsi ciceroniani nel ricco programma ginnasiale del rettore Franckenberger (1568)298, il quale prevede anche il confronto con le orazioni demosteniche; più tardi la ritroviamo letta anche nella seconda classe, in modo da permettere allo studente di comporre le proprie declamazioni nella classe prima299. Anche la Ratio atque institutio studiorum dei collegi gesuitici (1599) annovera la Pro Archia fra i testi che maggiormente si addicono ai principianti nell’apprendimento del latino: «quo tempore, omissa philosophia Ciceronis, faciliores aliquae eiusdem orationes, ut pro lege Manilia, pro Archia, pro Marcello, ceteraeque ad Caesarem habitae sumi poterunt»300. Il testo godette di buona circolazione sia in ambienti cattolici che protestanti, in virtù non solo dei pregi retorici, bensì anche della sua specificità in quanto arringa dal contenuto prevalentemente umanistico. Dal XVII secolo vennero intraprese anche le prime traduzioni polacche301.

poetae, rei, partes defendentis, caussam continet… una cum interpellationibus, suffragiis, oratiunculisque praetoris, senatorum… accomodatae et actu publico studiosae iuventutis… in schola cathedrali, quae est in Insulo-Mariana a… discipulis… recitatae et… exhibitae / Directore et moderatore M. Bartholomaeo Wilhelmi… ejusdem scholae rectore. Quibus… addita est decas odarum, quibus laudes poeseos decantandae veniunt, Dantisci 1610; Johannes Knochenhowern, Oratio de eloquentia accomodata ad orationem Ciceronis pro Archia, Stetini 1623. 298 B. Awianowicz, Retoryka w Gdańskim Gimnazjum Akademickim w świetle programów szkolnych, wykładów i praktyki oratorskiej drugiej połowy XVI i XVII w. in W Gdańskim ogrodzie Muz (red. M. Otto-J. Pokrzywnicki), Pelplin 2016, pp. 41–66, pp. 44–45. 299 Ibid., p. 52. 300 Cito da D. Marsh, Cicero in the Renaissance, in C.E. Steel (ed.), The Cambridge Companion to Cicero, Cambridge 2013, pp. 309–310. 301 A. Radzikowski, Marcus Tullius Cicero. Orationes: Pro Publio Quinctio, Pro Sexto Roscio Amerino, Warszawa 1998, pp. xvi–xvii; M. Cytowska, Cyceron w Polsce, cit., p. 181.

PARTE SECONDA

2. LA VERSIONE GRECA 2.1. Caratteristiche del tomo impresso La bibliografia di Estreicher302 fornisce il titolo e la descrizione dell’opera, annotandone altresì l’irreperibilità. Grazie a una ricerca effettuata fra 2012 e 2013 presso la Biblioteca dell’Accademia Polacca delle Scienze (PAN) di Danzica, è emersa l’esistenza di un’unica copia dell’opera303, in precedenza forse erroneamente catalogata. Si tratta dell’ultimo fascicolo rilegato (Cc 118723 adl. 5) di un volume fattizio in ottavo contenente, fra gli altri, versioni latine di scritti filosofici di Proclo, Ocello e Ierocle. Il fascicolo è in buono stato, si apre con il frontespizio che riporta, in greco e in latino, le informazioni tipografiche: il contenuto dell’opera, la paternità della versione, luogo e data di edizione (a Cracovia nel 1632, presso l’officina di Franciszek Cezary). In fondo alla pagina si legge a fatica una sbiadita noterella a matita: «Inclytae Reipub[licae] Gedanensis Bibliothecae author donat». Possiamo dunque desumere304 che la copia si trova ora a Danzica poiché fu donata alla Biblioteca del Senato della Città dall’autore stesso, e forse solo grazie a ciò si è preservata fino ad oggi. Il tomo possiede 64 pagine in numerazione continua, con segnatura (A-D)8; l’ultima carta305 mostra un errore tipografico nella paginazione:  la penultima pagina è segnata con il numero 62 anziché 63, cosicché l’ultima pagina, non numerata, dovrebbe essere la sessantaquattresima. Lo specchio presenta una pagina piena ed elegante; per entrambi i testi, greco e latino, si è fatto uso di caratteri “con grazie”; tuttavia la stampa della parte greca risulta meno accurata di quella latina. In ogni pagina è presente in basso a destra un richiamo alla pagina seguente. Nel fascicolo è contenuto il testo dell’orazione Pro Archia poeta di Cicerone affiancato dalla traduzione greca (P.Ar.gr., pp. 17–60). Lo precedono lo stemma araldico delle casate Ostrogski e Zasławski con la relativa blasonatura greca (p. 2)306, un’epistola dedicatoria di Żórawski al duca Dominik 3 02 K. Estreicher, Katalog, cit., p. 225. 303 Ringrazio la dott.ssa Maria Otto della Biblioteca PAN di Danzica per il gentile aiuto. 304 Żórawski fece effettivamente una donazione in libri alla Biblioteca del Senato di Danzica nel 1635, cfr. S. Scheluig, De incrementis bibliothecae Gedanensis Epistola et Commentatio, Gedani 1677, p. 12: «Anno MDCXXXV Dn. Nicolaus Żórawski […] Dn. Joachimus Henricus à Danwitz libros libris benevole adjecerunt». 305 Sono grato alla prof.ssa Valentina Lepri per i consigli nella descrizione materiale del tomo. 306 Si tratta di un distico elegiaco, in cui si osservano alcune mende metriche: «Θρησκείαν στερεὴν δηλοῖ αὐγοῦσα σελήνη, / Οἰκία ἣν εἶχεν πάντοτε, Δοῦκά, σεο. / Ἀστὴρ ἀλλὰ

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LA VERSIONE GRECA

Zasławski-Ostrogski (pp. 3–11) ed un’esortazione (ἐξέργεσις) alla Iuventus Academica del Collegium Nowodworscianum (pp. 12–15). Segue il thema coeli, calcolato a partire dal cominciamento della traduzione dell’opera (il 2 giugno 1631, p. 16). Appresso al testo bilingue dell’orazione è stata aggiunta un’appendice con sei versioni della oratio dominica nei cinque dialetti greci letterari più una versione in demotico (pp. 61–63); chiude il tomo l’errata corrige (p. 64). È necessario puntualizzare che nella letteratura ufficiale il tomo viene ancora classificato come disperso o sconosciuto. Si prendano in considerazione l’antologia di Janina Czerniatowicz (v. cap. 0.1.) e il ben più recente repertorio tipografico di Marian Malicki307, i quali ritengono la P.Ar.gr. irreperibile. Con certezza sia la Czerniatowicz che il Malicki non andarono oltre il catalogo bibliografico ottocentesco di Estreicher, il quale, da parte sua, non ebbe mai la possibilità di consultare l’esemplare gedanese. Ciò fu dovuto probabilmente al fatto che, com’è noto, Danzica appartenne alla Prussia fino alla Prima Guerra Mondiale; alla fine del XIX sec. essa non era pertanto facilmente accessibile allo scopo di lunghe ricerche d’archivio.

2.2. Proposte di emendamenti In questa sezione (Tab. 1) ho riportato tutte le forme greche che ho ritenuto erronee ai fini della comprensione del testo, e che sono state tralasciate nell’errata corrige di P.Ar.gr. Nella prima colonna ho posto le forme latine del testo di partenza così come compaiono nella stampa secentesca, nella seconda colonna le forme greche, e infine nella terza le mie proposte di correzione. Si tratta di imprecisioni ortografiche occorse probabilmente durante la fase di stampa (errori dovuti a pronuncia itacistica, spiriti, accenti e maiuscole, infiniti presenti contratti -ᾷν anziché -ᾶν), nonché di scorrettezze morfologiche, di divisione delle parole e di punteggiatura; rare le lacune dovute a guasti meccanici. Alcune di queste imprecisioni possono fornire informazioni utili sulla genesi dell’opera stessa, perciò sono state analizzate in dettaglio nella sezione successiva. Errori di natura interpretativa sono invece stati conservati e spiegati nel commento. Per una più scorrevole lettura dell’analisi contrastiva, il testo greco che fornirò di seguito presenterà già queste correzioni, corredate, dove opportuno, delle motivazioni che mi hanno indotto a introdurle. διδάσκε μικρόν σε μηδὲν ἐφορᾶν, / τὸ δὲ βέλος, ῥώμην ἐν πολέμοισι βριμόν». “La luna splendente mostra la ferma devozione, che la tua casata ebbe in ogni tempo, o Duca. La stella, invece, annuncia che tu nulla guardi di ciò che è vile, mentre la freccia (indica) la tua grande possenza in guerra”. 307 M. Malicki, Repertuar wydawniczy drukarni Franciszka Cezarego Starszego 1616–1651 Cz. 1, Bibliografia druków Franciszka Cezarego Starszego 1616–1651, Kraków 2010, p. 357.

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Proposte di emendamenti Tab. 1:   TESTO LATINO

VERSIONE GRECA

ultimam (1,1) conformata (1,1) ne quis (1,1) quidem (1,1) quasi (1,1) cognatione (1,2) reo (2,3) molestam (2,3) summo (2,3) Aulum (2,4) – homine (1,2) liberius (2,3) eruditissimis (3,4) ipsius (3,4) adfluenti (3,4) Romae (3,5) quorum (3,5) statim (3,5) colebantur (3,5) Tarentini (3,5) Rhegini (3,5) Neapolitani (3,5) donarunt (3,5) absentibus (3,5) decederet (4,6) intervallo (4,6) se (4,6) in eam (4,6) voluit (4,6) devinctam (3,6) annos (4,7) eadem (3,5) per se (4,6) Gracche (4,7) negabis (4,8)

ἐσχατήν (18,13) συσχημαθείσασα (18,22) μηδέ τις (19,5) παντέλως (19,13) οἰονεί (19,18) σογγένεια (19,19) φεύγυντι (20,17) χαλεπὴν· (20,19 ἀκροτείτου (20,20) Αοὖλον (21,17) δὲ, (21,21) ἀνδρώπου (20,21) παρρησιαστηκότερον (21,5) ἀσκηθηστάτων (22,10) αὕτου (22,23) ἐπιρύτῳ (22,13) ῥόμῃ (23,7) ὦν (23,24) αὐθύς (24,5) ἐκεπονοῦντο (23,4) Ταραντινοί (23,9) ῥηγηνοί (23,10) Νεαπολίται 23,10–11 ἐδωρίσαντο (23,13) ἄπουσι (23,19) ἀφεστηκὼς, (25,18) διαχωρήματος (25,13) αὐτόν (25,23) ἐπ’ ἐκείνων (25,24) ἠτέλησεν (25,25) δεδεμένην (25,5) ἔτων (26,18) ἡ αὕτη (24,16) δι’ αὐτοῦ (26,1) Γράχε (27,2) ἀρνήση (27,5)

PROPOSTA DI EMENDAMENTO ἐσχάτην συσχηματισθεῖσα μὴ δέ τις παντελῶς οἱονεί συγγενείᾳ φεύγοντι χαλεπήν· ἀκροτάτου Αὖλον δέ, ἀνθρώπου παρρησιαστικώτερον ἀσκηθεστάτων αὐτοῦ ἐπιρρύτῳ Ῥώμῃ ὧν εὐθύς ἐξεπονοῦντο Ταραντῖνοι Ῥηγῖνοι Νεαπολῖται ἐδωρήσαντο ἀποῦσι ἀφεστηκώς, διαχωρίσματος αὑτόν ἐπ’ ἐκείνην ἠθέλησεν δεδημένην ἐτῶν ἡ αὐτή δι’ αὑτοῦ Γράκχε ἀρνήσῃ

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LA VERSIONE GRECA

Tab. 1:  TESTO LATINO

VERSIONE GRECA

Heraclienses (4,8) esse (4,8) tacere (4,8) religionem (4,8) amplissimi (4,8) collocavit (4,9) Auli (5,9) nulla (5,10) Rheginos (5,10) Tarentinos (5,10) obscurum (5,11) indicat (5,11) quae tu criminaris (5,11) Gracche (6,12) quaeres (6,12) ubi (6,12) avocarit (6,12) quantacumque (6,13) suasissem (6,14) Graeci (6,14) ego (6,14)

Ἱράκλειοι (27,14) ἦναι (27,22) σιωπᾷν (28,8) ἐβλάβειαν (28,12) ἀμειοτάτη (28,12) καθίδρισεν (29,1) Αοὔλου (30,6) μηδεμίᾳ (30,14) ῥηγυνοὺς (30,19) Ταραντινοὺς (30,21) μαυρὸν, (31,24) ἐπιδύκνεισι (32,3) τοὺς ὑπὸ σοῦ διαβληθέντους (32,6–79) Γραχ. (32,25) ἐρ..ῃ (32,26) οὕπου (33,4) ἀφελκήσειεν (34,11) ὁποῖατις (35,13) ἐπίσθην (35,24) ἑλλήνες (37,1) ἐγώγε (37,3) τῆ (37,7) ἐπιπολύ (37,25) ᾖ (38,8) τὸ μοναδικὸν (38,16) εἰωθὸς γίγνεσθαι (38,17) αὐτούς (39,9–11) ἤνα (40,18) τεθνᾶναι (40,19) ῥωσκίου (40,18) ἀντικατελλάχθη (41,2) ὀκύτητος (41,6) καταφρονήσαμεν (41,7) γρᾶμμα (41,17) ταῖς μεταλαγέισαις λέξεσί γε γνώμαις γε (41,24–42,1) ὄ, τι (43,7)

prope (7,15) quam (7,15) quid singulare (7,15) solere existere (7,15) se (7,16) ut (8,17) morte (8,17) Roscii (8,17) conciliarat (8,17) celeritatem (8,17) neglegemus (8,17) litteram (8,18) commutatis verbis atque sententiis (8,18) quod (8,19)

PROPOSTA DI EMENDAMENTO Ἡράκλειοι εἶναι σιωπᾶν εὐλάβειαν ἀμειωτοτάτη καθίδρυσεν Αὔλου μηδεμιᾷ Ῥηγίνους Ταραντίνους μαυρόν ἐπιδείκνυσι τοὺς ὑπὸ σοῦ διαβληθέντας Γράκχε ἐρέσῃ ὅπου ἀφελκύσειεν ὁποῖά τις ἐπείσθην Ἕλληνες ἔγωγε τῇ ἐπὶ πολύ ἤ τί μοναδικὸν τὸ εἰωθὸς γίγνεσθαι αὑτούς ἵνα τεθνάναι Ῥωσκίου ἀντικατηλλάχθη ὠκύτητος καταφρονήσομεν γράμμα ταῖς μεταλλαγείσαις λέξεσι τε γνώμαις τε ὅ, τι

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Proposte di emendamenti Tab. 1:  TESTO LATINO Homerum (8,19) Chii (8,19) Smyrnaei (8,19) confirmant (8,19) ergo (9,19) celebrandam (9,19) et Cimbricas res (9,19) virum... aiunt (9,21) regiis (9,21) Cyzicenorum (9,21)

VERSIONE GRECA

Όμηρον (43,18) Χιοί (43,21) Σμιρνεῖς (43,23) διαστιρίζουσι (43,24) οὐκ οὐν (44,4) ἐγκωμάζην (44,16–17) τὰ καὶ πρὸς Κυμβρικά (44,18) ἄνδρά φασιν (45,6) βασιλικοῖς (46,11) Κυζυκένων (46,20) τῆ (46,21) ducibus (9,21) στρατηγών (47,5) triumphi (9,21) τρίαμβοι (47,12) carus fuit (9,21) ἤνδανε 47,17 Africano (9,22) Αφρικανῷ (47,17) constitutus (9,22) καθεστᾶσθαι (47,21) (res) quas gessimus (10,23) παρ’ ὑμῶν (49,5–6) penetrare (10,23) διαπερᾷν (49,13) et periculorum… et κινδύνων γε πόνων γε (49,20–22) laborum (10,23) Ilias (10,24) Ιλιὰς (50,9) Magnus (10,24) Μάγνος (50,14) Mytilenaeum (10,24) Μυτιλινέα (50,17) rustici (10,24) ἄγρικοι (50,23) Hispanos (10,25) Ιβέροις (51,11) poetae (10,25) ῥαψωδοῦ (52,4) duxerit... dignam (10,25) ἀξιωποιηθεὶς (52,4) virtutem (10,25) ἴσχιν (52,7) per se (10,25) δι’ αὐτοῦ (52,13) qui cuperet (10,26) γλυχομένου (52,17) sonantibus (10,26) ἥχουσι (52,20) ipsi illi (10,26) αὐτ᾽ ἐκεῖνοι (53,5) nomen suum (11,26) τοὔνομα αὐτῶν (53,10) de se (11,26) περὶ αὐτῶν (53,14–15) suorum (11,27) αὐτοῦ (53,20–22) Aetolis (11,27) Αἰθολούς (53,23)

PROPOSTA DI EMENDAMENTO Ὅμηρον Χῖοι Σμυρνεῖς διαστηρίζουσι οὐκοῦν ἐγκωμιάζειν καὶ πρὸς τὰ Κιμβρικά ἄνδρα φασὶν βασιλικαῖς Κυζικηνῶν τῇ στρατηγῶν θρίαμβοι  ἥνδανε Ἀφρικανῷ καθεστάσθαι παρ’ ἡμῶν διαπερᾶν κινδύνων τε πόνων τε Ἰλιὰς Μᾶγνος Μυτιληνέα ἄγροικοι Ἲβηρσι ῥαψῳδοῦ ἀξιοποιηθεὶς ἰσχύν δι’ αὑτοῦ γλιχομένου ἠχοῦσι αὐτοὶ ἐκεῖνοι αὑτῶν περὶ αὑτῶν αὑτοῦ Αἰτωλούς

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LA VERSIONE GRECA

Tab. 1:  TESTO LATINO Ennio (11,27) et iucunda visa est (11,28)

quid est quod (11,28) – omnes (11,29) virtus (11,29) non cum (11,29) vero (12,30) statuas (12,30) multi (12,30) multo malle (12,30) expressam (12,30) disseminare (12,30) orbis terrae (12,30) ingeniis (12,31) divina (12,31) in tantis negotiis (12,31) fori (v.l.) (12,32)

VERSIONE GRECA

PROPOSTA DI EMENDAMENTO Εννίου 53,24 Ἐννίου κᾳλυπόν τε ὄφθη (55,4) κἄλυπόν (=καὶ ἄλυπόν) τε ὤφθη ἐγώγ’ (55,4) ἔγωγε τὶ ἄν γένοιτο χάρις τινός (55,14–19) τί ἂν γένοιτο χάρις τίνος δὲ, (55,22) δέ, ἅπασας (55,25) ἁπάσας ἀρετὴ, (56,10) ἀρετή, οὐκ μετά (56,14) οὐ μετά οὗν (56,19) οὖν τὰς μὲν ἀνδριάντας (57,5) τοὺς μὲν ἀνδριάντας πολλοὶ (57,8) πολλοί μᾶλλον ἔσμεν (57,13) μᾶλλόν ἐσμεν εἰκογραφθεῖσάν (57,15–16) εἰκονογραφηθεῖσάν διασπέιρειν (57,21) διασπείρειν οἰκουμενῆς (57,22) οἰκουμένης εὐφυμίαις (58,17) εὐφυΐαις ἡ θεῖα (59,5) ἡ θεία ἀμφὶ τὸ τηλικούτων πραγμάτων ἀμφὶ τηλικούτων (59,5–7) πραγμάτων τῆς ἀγογᾶς (60,10) τῆς ἀγορᾶς

N.B. Per non appesantire il testo, ho preferito lasciare la grafia Λεύκολλος del cognomen Lucullus, che compare costantemente, contro la testimonianza degli scrittori classici (cfr. p.es. Plut. Luc. 1,1, passim; Cass. Dio 38,5, passim).

2.3. Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta Dal confronto308 del testo latino stampato a fianco della versione greca con gli apparati delle moderne edizioni sono emersi alcuni dati interessanti al fine di posizionare il testo sorgente della traduzione greca (Tab. 2). Si sono inserite

308 Vorrei qui ringraziare il prof. Jeroen De Keyser per la preziosa consulenza.

Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta

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anche le lezioni testimoniate nella prima edizione cracoviense del 1518, per l’interesse che riveste in quanto foriera di alcune lezioni isolate e coincidenti con alcune del nostro testo (le lezioni indicate con un trattino (–) sono invece testimoniate solamente in questa stampa). Tab. 2:   Lezioni Pro Archia poeta (Cracoviae 1632) bonorum studiorum 18,17 = 1,1 huic cuncti studio 19,14 = 1,2 vinculum 19,20 = 1,2,5 iudiciis 21,9 = 2,3 loco nobili et celebri 22,8 = 3,4 contigit 22,15 = 3,4 cunctaque Graecia 22,17– 18 = 3,4 celebrabatur 22,19 = 3,4 admiratioque 22,22 = 3,4 tunc 22,26 = 3,5 enim 24,10 = 3,5 fuerit 24,17 = 3,5 L. Lucullo 25,17309 Ciliciam 25,18 = 4,6 Sillani 26,6 = 4,7 Gracche 27,2 = 4,8 eum 27,4 = 4,8 L. Lucullus 27,8 Heracliae esse 27,21 = 4,8 eam quae 28,15 = 4,8

RAPPORTO CON LA TRADIZIONE MS. (SI ACCORDA CON) –

DIVERGE DA

codd. cett. – –

huic uni studio: Lambinus vinclum: GΣgp in iudiciis: codd. loco nobili celebri: codd.

codd.  corr. Puteanus

contingit: V cunctaeque Graeciae: codd.

ap2 cett. cett. – GE codd. – Sil(l)ani: codd. b2

celebrantur: EVb admirationemque: GEV tum: GEV et iam (etiam): cett. fuit: Σpbck M. Lucullo 4,6 Siciliam: codd. Silvani: Manutius gratis: cett.; Gratti: corr. mod. tum: cett. M. Lucullus 4,8 Heracliensem: codd. ea quae: codd.

c codd corr. Lambinus –

horum studiorum: codd.

309 Il personaggio è discusso nella tradizione del testo; alcuni propendono per Lucio Lucullo, altri invece ritengono che si tratti del figlio Marco Lucullo, cfr. E. Narducci, Cicerone, cit., p. 78 nota 27.

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LA VERSIONE GRECA

Tab. 2:  Lezioni Pro Archia poeta (Cracoviae 1632) at 29,2 = 4,9 iis 29,4 = 4,9 nomine 30,5 = 5,9 dubitetis 30,9 = 5,10 impertiebantur 30,19 = 5,10 irrepserint 31,7 = 5,10 ne 31,8 = 5,10 iis 32,7 = 5,10 quae 32,8 = 5,11 eum 32,8 praetore et consule 32,19 = 5,11 qua 32,21 = 6,11 Gracche 32,26 = 6,12 tantopere 33,1 = 6,12 ita se 33,24 = 6,12 his 34,1 = 6,12 ab illis nullo me umquam 34,8–9 = 6,12 commodum 34,10 = 6,12 temporis 34,27 = 6,13 intempestivis 35,1 = 6,13 aleae 35,3 = 6,13 hoc eo 35,8 = 6,13 in me est 35,14 = 6,13 laudibus effers 37,16 = 7,15 quid 37,21 = 7,15 contendo 38,10 = 7,15 atque 38,12 = 7,15 confirmatio 38,14 = 7,15 modestissimos 38,25 = 7,16 M. Catonem 39,3 = 7,16 animi remissionem 39,17 = 7,17

RAPPORTO CON LA TRADIZIONE MS. (SI ACCORDA CON) cett. corr. Manutius corr. Lambinus cett. Crac. 1518: impartiebantur corr. Manutius c corr. Manutius cett. – GV

DIVERGE DA

cett. cett. cett. cett. cett. –

quae: GEV Gratti: GEV tanto opere: GV se ita: Σ iis: c2 a nullius umquam me: codd.

– b1 – cett. –

commodo: codd. temporum: cett. tempestivis: codd. alveolo: GEV hoc adeo GEVa; hoc ideo: cett. est in me: codd.

corr. Angelius (P. de Angelis) Crac. 1518 cett. cett. cett. cett. Σb add. Manutius corr. Bonamicus

an: GEVpk his: cett. nomen: codd. dubitatis: GEa impertiebant: codd. inrepserunt: codd. nec: cett. his: cett. quem: corr. Garatoni pro consule: E

effers laudibus: codd. quod: GEVa hoc contendo: GEV et: GEV conformatio: GE moderatissimos: cett. Catonem: codd. animadversionem: codd.

Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta Tab. 2:  Lezioni Pro Archia poeta (Cracoviae 1632)

RAPPORTO CON LA TRADIZIONE MS. (SI ACCORDA CON) haec 39,25 = 7,16 cett. alunt 39,26 = 7,16 corr. Hervagen his 41,22 = 8,18 codd. pervenirent 42,6 = 8,18 cett. atqui 42,11 = 8,18 cett.; Crac. 1518 afflari 42,22 = 8,18 V; Crac. 1518 et solitudines 43,10–11 = 8,19 codd. voce 43,11 = 8,19 codd. qui et 44,8 = 9,19 b2k repudiabimus 44,10 = 9,19 ed. Naugerius (Aldina) natura regionis 46,12– bck 13 = 9,21 ac 46,25 = 9,21 cett. conservatam 46,27 = 9,21 – quare 47,13 = 9,21 – e marmore at iis 47,22– ed. Fascitellus (xvi sec.) 23 = 9,22 ipsi qui laudantur cett. 47,25 = 9,22 Rudium 48,12 – eiciemus 48,21 = 10,22 hae 49,5 = 10,23 Ilias… illa 50,10–11 = 10,24 vidimus 51,16 = 10,25 iis 51,24 = 10,25 tunc 51,25 = 10,25 sub 51,27 = 10,25 duxerit 52,3 = 10,25 huius 52,6 = 10,25 laudis studio 53,2 = 11,26 etiam in illis 53,6 = 11,26 et in 53,10 = 11,26

cett. – ed. Naugerius cett. corr. Manutius cett. codd. cett. ck – – –

DIVERGE DA at haec: GEV agunt: codd. iis: k perveniret: GEV atque: GEV inflari: cett. atque solitudines: Quintil. voci: Quintil. et qui: cett. repudiamus: cett. naturae regione: cett. atque: GEVb servatam: codd. quae: GEV; quia: cett. et marmoratis: codd. ipse qui laudatur: GEVab Rudinum: Schol. August.; rudem tum: EV; rudem tamen: cett. eiciamus G eae: codd. illi ars illa 10,24 codd. videmus: GEVa his: codd. tum: GEV sed: Schol. deduxerit: GEV cuius: codd. studio laudis: codd. etiam illis: codd. in: codd.

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LA VERSIONE GRECA

Tab. 2:  Lezioni Pro Archia poeta (Cracoviae 1632) ac 53,15 = 11,27 Decius 53,16 = 11,27 ille vir 53,17 = 11,27 huius urbis atque imperii  54,24 = 11,28 hortatus sum 55,8 = 11,28

RAPPORTO CON LA TRADIZIONE MS. (SI ACCORDA CON) codd. – – urbis suppl. Naugerius;   atque: E  b2

est eisdem 55,26 = 11,29 vita ipsa 56,6 = 11,29 an cum 57,5 = 12,30 reliquerunt 57,10 = 12,30 a summis 57,15 = 12,30 abfutura 57,26 = 12,30 sunt 57,26 = 12,30 pertinebunt 58,4 = 12,30 amicorum studiis 58,11 = 12,31 venustate 58,14 = 12,31 negotiis 59,6 = 12,31 laudum 59,17 = 12,31 quique est 59,19 = 12,31 atque 59,23 = 12,31 non fori neque iudiciali 60,10–11 = 12,32

Σpbck – b2 codd. – cett. cett. bp2ck –

certo 60,21 = 12,32

G

codd. cett. cett. k Ek – iudiciali: Vk

DIVERGE DA ac se: Ammianus Decimus: codd. ille: codd. aeque: GP adoravi: Schol.; adortavi: GV; adhortatus sum: E; hortavi: Σ iste eisdem: cett. ipsa vita: codd. an: codd. reliquerint: Manutius summis: codd. afutura: G; affutura: EV est: GEea pertinebit: cett. amicorum: codd. vetustate: corr. Muretus  ingeniis: GEe laudis: GEea isque est: codd. itaque: cett. firme a me iudicialique: codd.; a foro aliena iudicialique: Garatoni certe: cett.

Per un generale orientamento sulla provenienza della fonte usata dal conversor, si può affermare che in essa è rappresentata una sintesi delle varianti circolanti alla fine del Quattrocento, mentre non risulta che sia avvenuta la collazione con i tre testimoni superiori GEV, alla base delle moderne edizioni; fra tutti si coglie una particolare convergenza con b (8 volte), k (8 volte) e c (5 volte). Compare altresì una certa quantità d’interventi: spiccano certamente le correzioni di Manuzio e Navagero (8 casi), che nel periodo fra 1513–1516 collaborarono all’edizione in tre tomi delle orazioni ciceroniane (Venetiis 1519).

Il testo latino secentesco in rapporto alla tradizione manoscritta

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2.4. Passi della traduzione greca discordanti dall’originale a fronte In taluni luoghi la traduzione mostra delle discrepanze con il testo latino riprodotto a fronte (Tab. 3). Si tratta sia di espressioni che non corrispondono al testo greco, sia di elementi aggiunti dal traduttore. Compaiono talvolta soluzioni versorie apparentemente dipendenti da un altro testo sorgente non rintracciabile tra quelli a noi noti. Non è da escludere, naturalmente, che per alcune di esse (per lo più concernenti pronomi e congiunzioni) possa trattarsi di aggiunte o espunzioni da ricondurre alla discrezione del conversor o del tipografo. In presenza di questi elementi non siamo autorizzati ad escludere l’eventualità che la traduzione sia stata condotta su una fonte latina diversa, e che al momento della stampa sia stato approntato un testo leggermente diverso. Tab. 3:   TESTO LATINO in quaestione legitima (2,2) apud praetorem (2,3) hanc veniam (2,3) hac tanta celebritate et famae (3,5) dico (4,8) ex his (6,12) intempestivis (6,13) item (9,20) autem (10,22) quare (11,27) atque (11,28) testimonium laudum (12,31) -

TRADUZIONE GRECA ἐν τῷ ζητήματι νομίμῳ τε (19,23) παρὰ τόν τε ἔπαρχον (20,2) τὴν συγγνώμην (20,15) ταύτῃ τῇ εὐκλείᾳ (23,18) ἂν… φαίην (26,24–25) ἐξ αὐτῶν (34,1) εὐκαίροις συνεστίαις (35,1–2) πρὸς οὐδέν (35,14) οὖν (40,8) πρὸς ταῦτα (45,14) – δεήσεσι (51,6) – ἤτοι (55,2) τὴν μαρτυρίαν (59,17) ἐπὶ τούτοις (59,19)

Avvertenze Si dà per la parte latina la suddivisione moderna in capitoli e paragrafi; per il greco il numero delle pagine e delle righe dell’edizione cracoviense. Ho incluso tra < > le integrazioni che considero necessarie; con [] si segnalano le forme da

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LA VERSIONE GRECA

emendare. Per maggiore nitidezza, ho preferito uniformare il testo latino alle regole ortografiche contenute in N. Sallmann, Normae orthographicae et orthotypicae Latinae, in “Meander”, 9–10, 1992, pp. 441–457, riservando qualche eccezione sulla punteggiatura. Inoltre, in alcuni passi della parte greca, il carattere mobile derivato dalla tradizione grafica amanuense per abbreviare la desinenza dell’infinito medio-passivo -σθαι310, dovrebbe, a mio avviso, essere ragionevolmente interpretato come desinenza dell’attivo -ειν/-ναι. Casi evidenti sono quelli in cui uno stesso infinito latino attivo funziona alla medesima diatesi anche in greco. Non è sempre agevole risalire alla causa di questi scambi, sebbene, come si vedrà, uno dei maggiori intoppi per il traduttore è costituito proprio dalla resa della diatesi verbale. Ho pertanto sciolto l’abbreviatura dei seguenti infiniti medio-passivi in forme attive: - - - - - - - -

salutem ferre (1,1) ἀμύνεσθαι (19,2) → ἀμύνειν dicendi ratio (1,2) τοῦ λέγεσθαι (19,10) → τοῦ λέγειν scribendi studium (3,4) τοῦ γράφεσθαι ἐπιθυμίαν (22,4) → τοῦ γράφειν afferre (6,12) προσφέρεσθαι (34,2) → προσφέρειν ad colendamque virtutem (7,16) πρὸς τὸ ἀσκεῖσθαι… (39,7) → ἀσκεῖν videantur (8,19) δοκεῖσθαι → δοκεῖν (43,2) in scribendo (10,25) ἐν τῷ γράφεσθαι → ἐν τῷ γράφειν (52,7) videatur (12,31) δοκεῖσθαι → δοκεῖν (60,3).

Sigla311 G = codex Gemblacensis nunc Bruxellensis 5352 (XII saec.) E = codex Erfurtensis nunc Berolinensis 252 (XII-XIII saec.) V = codex Vaticanus 1525 (a. 1467) Σ = codex Parisinus 14749 (XV saec.in.) a = codex Laurentianus S. Crucis Sin. 3 (XIV saec.) b = codex S. Marci XXIII (XV saec.) c = codex Oxoniensis Canonici 226 (XV saec.) k = codex Parisinus 7779 (a. 1459) p = codex Palatinus 1820 (a. 1394) Schol. = Scholiasta Bobiensis

310 Si veda ad esempio W.H. Ingram, The Ligatures of Early Printed Greek, in “Greek, Roman and Byzantine Studies”, 7/4, 1966, pp. 371–389, in particolare p. 387; P. Canart, Lezioni di paleografia e codicologia greca, Città del Vaticano 1980, p. 44. 311 Con leggere modifiche mi baso su H. Kasten, Oratio pro Archia poeta, cit., p. 33.

Esame della versione greca

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2.5. Esame della versione greca [17] ΛΟΓΟΣ ὑπὲρ τοῦ ΑΡΧΙΟΥ ΠΟΙΗΤΟΥ ORATIO pro ARCHIA POETA [1 1] Si quid est in me ingeni, iudices, quod sentio quam sit exiguum, aut si qua exercitatio dicendi, in qua me non infitior mediocriter esse versatum, aut si huiusce rei ratio aliqua ab optimarum artium studiis et disciplina profecta, a qua ego nullum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse, earum rerum omnium, vel in primis hic A. Licinius fructum a me repetere prope suo iure debet. 

Ἐάν τί ἐστιν ἐπ’ ἐμοὶ τῆς ἀγχινοίας, ὦ κριταὶ, ἧσπερ εὖ οἶδα ὡς ὀλίγην εἶναι· ἢ δέ τις ἡ τοῦ λέγειν ἄσκησις, ἐφ’ ᾗ με οὐκ ἐξαρνός εἰμι μετρίως διατετρῖφθαι· ἢ δὲ τοῦ πράγματος τουτουὶ τρόπος τις, ἀπὸ τοῦ τῶν τε βελτίστων τεχνῶν σπουδάζειν, καὶ τῆς παιδείας πορευόμενος, ἀφ᾽ οὗ ἔγωγε μηδὲν κατεξομολογοῦμαι τὸ τῆς ἡλικίας μου μέρος μεμυσαγμένον· τουτωνὶ [18] πάντων τῶν πραγμάτων, μάλιστα πρὸς τοῖς πρώτοις ὅδ’ Αὖλος Λυκίνιος καρπὸν παρ’ ἐμοῦ ἀπαιτῆσαι σχεδὸν κατὰ τὸ δίκαιον αὐτοῦ ἐστιν ὀφειλόμενος.

Nella porzione iniziale dell’esordio si notano immediatamente tre irregolarità sintattiche: l’unione della congiunzione ἐάν con l’indicativo ἐστιν anziché con il congiuntivo (oppure εἰ con indicativo), e la costruzione ‘mista’ in ὡς ὀλίγην εἶναι “(ingegno) che riconosco essere scarso”, in cui la frase infinitiva è preceduta dalla congiunzione dichiarativa ὡς. Fenomeni simili si riscontreranno, con varia ricorrenza, in tutta la traduzione. Anche il genitivo ἧσπερ retto da οἶδα “(ingegno) che so che è…” è immotivato al posto dell’acc. ἥνπερ. In τις ἡ τοῦ λέγειν ἄσκησις “un esercizio oratorio” l’articolo determinativo ἡ è superfluo, dal momento che compare l’aggettivo relativo-indefinito τις = aliqui, qui. Evidente è poi il calco del partitivo quid ingeni = τι τῆς ἀγχινοίας “una qualche capacità”. La reggenza al genitivo (τεχνῶν) di σπουδάζω suggerisce, come vedremo più avanti, che siamo in presenza di un polonismo sintattico. La frase relativa ἀφ’ οὗ ἔγωγε μηδὲν κατεξομολογοῦμαι τὸ τῆς ἡλικίας μου μέρος μεμυσαγμένον non è sovrapponibile a lat. a qua ego nullum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse “(esercizio retorico) che io confesso di non avere

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LA VERSIONE GRECA

disdegnato in nessun tempo della mia vita”, giacché μεμυσαγμένον “disprezzato”, participio perfetto passivo da μυσάττω “disprezzare” non riproduce l’infinito perfetto attivo lat. abhorruisse. I problemi legati alla diatesi saranno ulteriormente esemplificati più avanti. Piuttosto diffuso nel testo è anche l’utilizzo del suffisso deittico -ί attaccato ai pronomi, come nel caso di τουτουί e τουτωνί. Molto probabilmente il contesto tribunalizio dell’opera ha indotto il traduttore a farne uso, sulla scorta degli esempi negli oratori attici (cfr. Dem., de cor. 1,4; 3,1; Lys. 13,1,5; 56,4). Va poi notato l’uso di ἐπί + dat. al posto di ἐν per il lat. in + ablativo, come in ἐπ’ ἐμοί = in me. Nam quoad longissime potest mens mea respicere spatium praeteriti temporis et pueritiae memoriam recordari ultimam, inde usque repetens, hunc video mihi principem, et ad suscipiendam et ad ingrediendam rationem bonorum studiorum extitisse. Quod si haec vox huius hortatu praeceptisque conformata nonnullis aliquando saluti fuit, a quo id accepimus, quo ceteris opitulari et alios servare possemus, huic profecto ipsi, quantum est situm in nobis, et opem et salutem ferre debemus.

Εἰ μὲν γὰρ ἡ διάνοιά μου μέχρι οὗ ἂν πορρωτάτω ἀναβλέπειν τοῦ παρεληλυθότος χρόνου δυναμένη, καὶ τὴν τοῦ βρέφους μνήμην ἀναμιμνήσκειν ἐσχάτην, ἄχρι τοῦ ἐκεῖθεν πεμπαζόμενος, τοῦτον ὄπτομαι ἐμοὶ ἄρχοντα, καὶ πρὸς τὸ ὑποδέξασθαι, καὶ πρὸς τὸ ἄρξασθαι τοῦ τουτουὶ τῶν σπουδῶν τρόπου παραγεγονέναι. Εἰ μὲν οὖν ἡ αὕτη φωνὴ τούτου τῷ νουθετήματι καὶ κατηχήσεσι συσχημαθείσασα, ἐνίοις ποτὲ τῇ σῳτηρίᾳ ἐγένετο· ὑφ᾽ οὗ τοῦτ᾽ ἐλάβομεν, ᾧ τοὺς ἄλλους ἀμύνεσθαι, καὶ τοὺς ἑξῆς διασῴζειν [19] δυνάμενοι, τούτῳ ἀμέλει αὐτῷ, ὅσον ἐφ᾽ ἡμῖν, τό τε ἐπικουρεῖν καὶ τὸ ἀμύνειν φέρειν ἐσμὲν δίκαιοι.

La forma m.-p. ὄπτομαι per lat. video non è attestata altrove. Il TGL (s.v.) riporta ὄπτω “vedere” alla forma attiva, specificando che il tema ὀπτ- è raro e inusitato. Il modello del futuro ὄψομαι potrebbe celarsi dietro questa forma. Si incontrano dei calchi della sintassi latina, come nel doppio dativo nonnullis … saluti fuit tradotto con ἐνίοις … τῇ σῳτηρίᾳ ἐγένετο “a qualcuno portò vantaggio” e nella congiunzione finale quo = ᾧ, a cui solitamente il greco preferisce ἵνα, ὅπως ο ὡς. La stessa frase finale mostra l’uso del participio laddove in latino troviamo una subordinata con un modo finito:  quo ceteris opitulari … possemus “affinché possiamo portare aiuto agli altri” = ᾧ τοὺς ἄλλους ἀμύνεσθαι … δυνάμενοι. È forse un errore tipografico più che morfologico, la forma συσχημαθείσασα, al posto dell’aoristo passivo συσχηματισθεῖσα (da συσχηματίζω) = lat. conformata. Per gr. ἐφ’ ἡμῖν invece di ἐν, si veda quanto detto supra a proposito di in.

Esame della versione greca

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Con τό τε ἐπικουρεῖν καὶ τὸ ἀμύνεσθαι φέρειν il testo greco risponde con degli infiniti sostantivati ai sostantivi latini opem et salutem ferre; anche questo procedimento, come si vedrà, è ben presente e ci informa su alcune preferenze traduttive del grecista. [2]‌Ac, ne quis a nobis hoc ita dici forte miretur, quod alia quaedam in hoc facultas sit ingeni, neque haec dicendi ratio aut disciplina, ne nos quidem huic cuncti studio penitus umquam dediti fuimus. Etenim omnes artes, quae ad humanitatem pertinent, habent quoddam commune vinculum et quasi cognatione quadam inter se continentur. [2  3] Sed ne cui vestrum mirum esse videatur, me in quaestione legitima et in iudicio publico, cum res agantur apud praetorem populi Romani lectissimum virum et apud severissimos iudices, tanto conventu hominum ac frequentia, hoc uti genere dicendi, quod non modo a consuetudine iudiciorum, verum etiam a forensi sermone abhorreat,

Μὴ δέ τις παρ’ ἡμῖν τοῦθ᾽ οὕτω λέγειν ἴσως θαυμάζειν, ὅτι ἄλλο μέν τι ἐν τούτῳ τὸ δύνασθαι εἴη τῆς ἀγχινοίας, μηδὲ ὁ αὐτὸς τοῦ λέγειν τρόπος, ἤτοι μάθησις, οὔτε καὶ ἡμεῖς μὲν ταύτῃ ὅλῃ τῇ σπουδῇ παντελῶς ποτε ἀνακείμενοι γεγόναμεν. Αἱ μὲν γὰρ πᾶσαι τέχναι αἱ φιλανθρωπικαὶ ἔχουσαι τυγχάνουσι δεσμόν τινα κοινὸν καὶ οἱονεὶ τῇ συγγενείᾳ δεῖνι ἀλλήλων συνέχονται. Αὐτὰρ οὐ μή τις ὑμῶν θαυμαστῶς ἔχῃ, ἐμὲ ἐν τῷ ζητήματι νομίμῳ τε καὶ τῇ κρίσει δημοσίᾳ, [20] ὄντος τοῦ πράγματος παρὰ τόν τε ἔπαρχον τῶν Ῥωμαίων ἐκλέκτατον ἄνδρα καὶ παρὰ τοὺς κρίνοντας αὐστηροτάτους, τοσαύτῃ συνόδῳ τε τῶν ἀνθρώπων καὶ πλήθει, τούτῳ χρῆσθαι τῷ τοῦ λέγειν γένει, τῷ οὐ μόνον ἀπὸ τῆς συνηθείας τῶν κρίσεων, ἀλλὰ καὶ ἀπὸ τοῦ ἀγοραίου λόγου βδελυττομένῳ·

Come accennato poco prima, le imprecisioni riguardanti la diatesi sono sparse in tutto il testo. L’infinito gr. λέγειν a fronte di lat. dici nella frase infinitiva a nobis hoc ita dici … miretur è inaccettabile, così come θαυμάζειν “meravigliarsi” per il congiuntivo miretur “si meravigli” nella proposizione finale negativa. Il periodo μηδὲ τίς παρ’ ἡμῖν τουθ’ οὕτω λέγειν ἴσως θαυμάζειν, ὅτι ἄλλο μέν τι ἐν τούτῳ τὸ δύνασθαι εἴη τῆς ἀγχινοίας segue pedetemptim il lat. ac, ne quis a nobis hoc ita dici forte miretur, quod alia quaedam in hoc facultas sit ingenii “e, affinché nessuno per caso si meravigli se si dice che vi sia in questo una particolare forma di talento”, anche nella restituzione degli elementi della proposizione epsegetica hoc… quod = τοῦτο… ὅτι. Ritroviamo una resa con infinito sostantivato τὸ δύνασθαι del sostantivo facultas, fenomeno appena osservato. Nel caso di lat. haec dicendi ratio “questo (nuovo) modo di parlare” a proposito del discorso che Cicerone sta per pronunciare, cui corrisponde gr. ὁ αὐτὸς τοῦ λέγειν τρόπος, il pronome aggettivale haec è stato interpretato come se fosse eadem, senza però che vi sia alcuna evidenza nella tradizione del testo.

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LA VERSIONE GRECA

Gr. ἀνακείμενοι γεγόναμεν “siamo stati riposti/offerti (?)” è traduzione meccanica di lat. dediti fuimus “ci dedicammo”; di fronte a deditus sum nel senso di “dedicarsi” il greco ha infatti ἐπιτίθημι (cfr. Hdt. 1,1,1), ἐπιδίδωμι (cfr. Ar., Th. 213). L’interessante aggettivo φιλανθρωπικαί riproduce l’intera relativa latina quae ad humanitatem pertinent “che riguardano l’uomo”; il suffisso -ικ-ός rimanda al neogr. φιλανθρωπικός, che è costruito sul francese ‘philanthropique’312; in ogni caso l’aggettivo non ha attestazione classica e può essere stato formato estemporaneamente dall’autore, proprio sfruttando il produttivo suffisso aggettivale greco313. L’aggiunta dell’articolo in gr. τῇ συγγενείᾳ δεῖνι, dove in latino abbiamo cognatione quadam “per un certo quale legame” è esemplare per definire uno dei tratti più discussi della versione, ossia la difficoltà d’impiego dell’articolo greco. È noto che la lingua latina, come anche molte lingue slave fra cui il polacco, non possiede questa parte del discorso; tale mancanza deve certamente aver generato un certo imbarazzo nel traduttore, come avremo occasione di sottolineare spesso. La presenza del pronome indefinito δεῖνι (a sua volta impreciso, poiché δεῖνα “un tale” si riferisce a persona; preferibile sarebbe stato τινί) avrebbe inoltre dovuto fugare ogni titubanza sull’opportunità d’uso dell’articolo. Il costrutto latino del cum circostanziale viene variamente realizzato nel testo greco, benché per lo più consista, come in questo caso, in un genitivo assoluto: ὄντος τοῦ πράγματος = cum res agantur “dal momento che la causa si svolge…”. L’insicurezza dell’autore è visibile in lat. ne cui vestrum mirum esse videatur = οὐ μή τις ὑμῶν θαυμαστῶς ἔχῃ, dove riproduce due negazioni οὐ, μή. In παρὰ τοὺς κρίνοντας per apud… iudices “presso i giudici” scorgiamo forse un riferimento a Dem. Halon. 36; l’aderenza semantica di ἐκλέκτατον riproduce fedelmente lat. lectissimum “assai distinto, sceltissimo”, attraverso il parallelo lego = ἐκλέγω. Diversamente, la relativa quod… abhorreat “(scil. stile) che è lontano, inadatto” riferita alla novità dell’argomento, insolito per un’arringa, viene resa attraverso il participio attributivo gr. βδελυττομένῳ, dove tuttavia βδελύττω “destare disgusto” non copre adeguatamente l’area semantica di lat. abhorreo, producendo una traduzione meccanica.

3 12 Δ. Δημητράκου, Μέγα λεξικὸν ὅλης τῆς ἑλληνικῆς γλώσσης, Αθῆναι 1953, τ. 15, s.v. 313 Cfr. A.N. Jannaris, An historical Greek grammar, chiefly of the Attic dialect as written and spoken from classical antiquity down to the present time, London 1897, p. 299.

Esame della versione greca quaeso a vobis ut in hac causa mihi detis hanc veniam accommodatam huic reo vobis, quemadmodum spero, non molestam, ut me pro summo poeta atque eruditissimo homine dicentem, hoc concursu hominum litteratissimorum, hac vestra humanitate, hoc denique praetore exercente iudicium, patiamini de studiis humanitatis ac litterarum paulo loqui liberius et in eiusmodi persona quae propter otium ac studium minime iudiciis periculisque tractata est uti prope novo quodam et inusitato genere dicendi.

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δέομαι παρ’ ὑμῖν τοῦ ἐν ταύτῃ τῇ δίκῃ δοῦναί μοι τὴν συγγνώμην, τὴν μὲν ἐπιτήδειαν τουτῳὶ τῷ φεύγοντι, ὑμῖν δέ, καθάπερ ἐλπίζω, οὐ χαλεπήν· ὡς ἐμὲ ὑπὲρ τοῦ ἀκροτάτου ποιητοῦ, ἤτοι μεμαθηκοτάτου ἀνθρώπου λεχθέντα, ταύτῃ τῇ συνδρομήσει ἀνθρώπων ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακότων, ταύτῃ τῇ ὑμῶν φιλανθρωπίᾳ, τούτῳ [21] τέλος τῷ ἐπάρχῳ ἀσκησαμένῳ τὴν κρίσιν ἐᾶν περὶ τῆς τῶν σπουδῶν φιλανθρωπίας καὶ τῶν γραμμάτων εἶναι κατὰ μικρὸν παρρησιαστικώτερον, καὶ ἐπὶ τοιούτου προσώπου, τοῦ διὰ τὴν σχολὴν καὶ σπουδὴν ἥκιστα ἀμφὶ τὰ τῶν κρίσεων καὶ τῶν κινδύνων πεπραγματευμένου, χρῆσθαι σχεδὸν καινῷ τινι καὶ ἀήθει τῷ τοῦ λόγου εἴδει.

Il brano presenta uno dei periodi più complessi del discorso. La tendenza a semplificare la sintassi è riscontrabile anche nel seguente passo, dove la proposizione completiva latina (quaeso…) ut … mihi detis hanc veniam “(chiedo) che mi concediate codesto favore”, è stata restituita con un infinito sostantivato, δέομαι… τοῦ … δοῦναί μοι τὴν συγγνώμην. Notiamo inoltre che il pronome hanc, omesso in greco, nel testo originale è prolettico della frase epesegetica (hanc veniam) ut me… patiamini… liberius loqui “…questo favore, cioè che mi permettiate di parlare un po’ più liberamente”, che in greco suona ὡς ἐμὲ… ἐᾶν… εἶναι… παρρησιαστικώτερον; ma la congiunzione ὡς (che prevede una dichiarativa esplicita) è stata scorrettamente unita all’infinito ἐᾶν. L’infinito in questo caso poteva essere usato apposizionalmente, senza alcuna congiunzione314; spesso le costruzioni esplicite ed implicite vengono mescolate nel nostro testo, lasciando trasparire incertezza sintattica. Gr. λεχθέντα, part. aor. pass. di λέγω a fronte di lat. dicentem dimostra ancora insicurezza sulla diatesi del traduttore (invece dell’attivo λέγοντα, λέξαντα), mentre gr. ἀνθρώπων ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακότων “(in quest’assemblea) di uomini giunti al sommo grado di cultura” per lat. hominum litteratissimorum, è probabile origine pseudoplutarchea (cfr. Ps.Plut., Mus. 3 ἐπ’ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακότες), ma ben presto è finito nei lessici come traduzione degli aggettivi eruditus, doctus, litteratus al grado superlativo315. 3 14 N. Basile, Sintassi storica del greco antico, Bari 2001, pp. 586–587. 315 Cfr. gli assai diffusi B. Hedericus, Graecum lexicon manuale, Lipsiae 1767, s.v. eruditus; C. Schrevelius, Lexicon manuale Latino-Graecum, 1736, s.v. eruditissimus, seriori al nostro testo, ma composti in modo compilatorio su lessici preesistenti (v. cap. 3).

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LA VERSIONE GRECA

Da osservare altresì la perifrasi εἶναι κατὰ μικρὸν παρρησιαστικώτερον, corrispettivo di paulo liberius loqui; il comparativo greco viene solitamente intensificato da (σ)μικρῷ (cfr. Plat., Pol. 262c; Leg. 719b), mentre κατὰ μικρόν ha il senso di “poco alla volta” (Xen., Cyr. 6,29 bis; Plut., Arist. 24,3). Va poi precisato che non v’è traccia nei lessici greci del lessema deverbativo συνδρόμησις, il quale sembra ricavato da un presunto *συνδρομέω; al lat. concursus si sovrappone invece συνδρομή, da cui probabilmente in maniera non chiara si originò la forma in questione. Sembra che al traduttore sia sfuggito il particolare significato del participio preterito tractatus usato aggettivalmente come “esperto, versato”, infatti lo ha riprodotto meccanicamente con πεπραγματευμένου “trattato”, participio perfetto passivo di πραγματεύω, equivalente del lat. tracto “negoziare, trafficare”. [4]‌Quod si mihi a vobis tribui concedique sentiam, perficiam profecto ut hunc A. Licinium non modo non segregandum, cum sit civis, a numero civium, verum etiam, si non esset, putetis asciscendum fuisse. [3] Nam ut primum ex pueris excessit Archias atque ab iis artibus quibus aetas puerilis ad humanitatem informari solet, se ad scribendi studium contulit, primum Antiochiae (nam ibi natus est loco nobili et celebri quondam urbe et copiosa atque eruditissimis hominibus liberalissimisque studiis adfluenti) celeriter antecellere omnibus ingenii gloria contigit.

Τὸ δὲ ἐμοὶ παρ’ ὑμῖν νέμειν τε καὶ συγχωρεῖν αἰσθησόμενος ἀπεργάσομαι δὴ τοῦτον τὸν Αὖλον Λυκίνιον οὐκ ἔστιν ὅτι ἀφορίζειν, πολίτην ὄντα, ἀπὸ τοῦ ἀριθμοῦ τῶν πολιτῶν, ἀλλὰ δέ, καὶ οὐκ ὄντα, οἴεσθαι ὑμᾶς μεταπεμψόμενον. Ὡς μὲν γὰρ τάχιστα ἐκ τοῦ παιδίου ἐξῆλθεν Ἀρχίας, ἀπὸ δὲ τούτων τῶν τεχνῶν, αἷς [22] ἡ ἡλικία παιδαριώδης ἐπὶ τὴν φιλανθρωπίαν εἰδοποιεῖν φιλησαμένη, ἑαυτὸν εἰς τὴν τοῦ γράφειν ἐπιθυμίαν προσήνεγκεν, πρῶτον μὲν ἐν τῇ Ἀντιοχείᾳ (ἐκεῖ γὰρ ἐγεννήθη, τόπῳ εὐγενεῖ τε καὶ εὐκλεῖ πάλαι πόλει, καὶ ἀμφιλαφεῖ καὶ ἀσκηθεστάτων καὶ ἐλευθερωτάτων ἀνθρώπων σπουδῶν ἐπιρρύτῳ) σύδην ὑπερβάλλειν τοῖς ἅπασι τῇ τῆς εὐφυΐας δόξῃ ξυνέβη.

La traslitterazione greca del praenomen e del nomen di Aulum Licinium in Αοὖλον Λυκίνιον è imprecisa e andrebbe riscritta in Αὖλον Λικίνιον (cfr. Cass. Dio 61,6,2; 55,1,47; Plut. Mar. 17,2; Diod. S. 15,4)316, sebbene in Λυκίνιον non sia insensato intravedere un tentativo di etimologizzazione del gentilizio, che lo accosterebbe a gr. λῦκος “lupo”. Diamo uno sguardo al periodo ipotetico di 1° tipo si… sentiam “e se noterò che da voi mi è garantito e concesso…”. Nella frase greca riappaiono incertezze

316 W. Pape, Wörterbuch der griechischen Eigennamen, Braunschweig 1911, p. 804.

Esame della versione greca

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sulla diatesi negli infiniti attivi νέμειν e συγχωρεῖν per i passivi lat. tribui e concedi; la proposizione infinitiva, contentente la perifrastica passiva hunc non segregandum (scil. esse) e dipendente da putetis, è restituita in greco per mezzo di una proposizione dichiarativa:  (ἀπεργάσομαι ὑμᾶς οἴεσθαι) ὅτι οὐκ ἔστιν τοῦτον τὸν Αὖλον Λυκίνιον ἀφορίζειν “farò in modo che pensiate che codesto Aulo Licinio non si possa confinare”. Questa soluzione, pur essendo accettabile ai fini della comprensione del passo, non conserva tuttavia l’idea di necessità insita nella perifrastica passiva latina segregandum “farò in modo che pensiate che codesto Aulo Licinio non debba essere confinato”. Il congiuntivo della completiva latina putetis, dipendente da perficiam ut, regge a sua volta due infinitive: 1) non segregandum esse appena vista, 2) asciscendum fuisse “(farò che) riteniate che (scil. Archia) avrebbe dovuto essere accolto”; l’enunciato però non combacia con gr. οἴεσθαι ὑμᾶς μεταπεμψόμενον, dove innanzi tutto il participio futuro μεταπεμψόμενον esprime posteriorità contro l’anteriorità dell’originale fuisse. Inoltre, μεταπέμπω “mandare a chiamare” pare essere il frutto di un’erronea lettura arcessendum invece di asciscendum da ascisco “accogliere, riconoscere”:  foneticamente simile ad ascisco, arcesso corrisponde infatti a μεταπέμπω. Inadeguato in quanto traduzione da glossario è il parallelo informare “formare, educare” = εἰδοποιεῖν “plasmare a immagine”, mentre gr. ἡ ἡλικία παιδαριώδης = aetas puerilis “l’età fanciullesca” mostra perplessità sulla posizione attributiva dell’articolo, che dovrebbe precedere immediatamente l’aggettivo:  ἡ ἡλικία ἡ παιδαριώδης. Consueto è l’uso del participio congiunto nelle frasi circostanziali, ma in (artibus) quibus aetas puerilis solet informari, per la quale leggiamo gr. αἷς ἡ ἡλικία παιδαριώδης… φιλησαμένη εἰδοποιεῖν, la frase relativa manca di un predicato verbale di modo finito. Da notare l’uso postclassico di φιλέω “essere solito”, sebbene qui compaia al m.-p.; e come φιλανθρωπία sia troppo letterale per la resa di humanitas nel senso di “studia humanitatis”; cospicua aderenza si osserva anche in ἑαυτὸν προσήνεγκεν per lat. se contulit, nonché fra εἰς τὴν τοῦ γράφειν ἐπιθυμίαν “al mestiere di scrittore” e lat. ad studium scribendi, con l’equazione gerundio latino  =  infinito sostantivato greco. Compare per la seconda volta nel testo l’aggettivo superlativo eruditissimis, reso, con un tentativo di variatio, con il superlativo ἀσκηθεστάτων, da ἀσκηθής che tuttavia nulla ha a che fare con l’erudizione. L’aggettivo significa infatti “salvo, illeso” ed è con certezza il risultato di un equivoco con ἀσκητός “esperto, allenato”, derivante da ἀσκέω “esercitare”. Lat. liberalissimis è impreciso nella resa con gr. ἐλευθερωτάτων, superlativo di ἐλεύθερος “libero”; liberalis “liberale, proprio di un uomo libero” è infatti espresso in greco da ἐλευθέριος (cfr. Plut., Ant. 1,1).

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LA VERSIONE GRECA

Da notare l’allineamento morfosemantico dell’aggettivo verbale ἐπί-ρρυτος con adlfluens: esso riproduce infatti il preverbo ad-= ἐπι- e il lessema flu- < fluo = ῥυ- > ῥέω contenuto nel composto latino adfluo. Curiosità desta altresì l’avverbio σύδην “impetuosamente”, connesso al verbo σεύω “muovere” e traducente di lat. celeriter; si tratta di uno hapax eschileo (Pers. 480). Alcuni punti in questa parte del testo mostrano un alto letteralismo, si veda: loco nobili et celebri “in un luogo nobile e famoso” = τόπῳ εὐγενεῖ τε, καὶ εὐκλεεῖ dove un dativo senza preposizione ricalca l’ablativo semplice latino; anche antecellere omnibus… gloria “superare tutti in fama” = ὑπερβάλλειν τοῖς ἅπασι τῇ… δόξῃ: qui invece il dativo semplice ricalca l’uso dell’ablativo di limitazione; ὑπερβάλλω “superare” esigerebbe l’accusativo o il genitivo di ciò che si supera317. Post in ceteris Asiae partibus cunctaque Graecia sic eius adventus celebrabatur ut famam ingenii expectatio hominis, expectationem ipsius adventus admiratioque superaret. [5]‌Erat Italia tunc plena Graecarum artium ac disciplinarum, studiaque haec et in Latio vehementius tum colebantur quam nunc iisdem in oppidis, et hic Romae propter tranquillitatem reipublicae non negligebantur. Itaque hunc et Tarentini et Rhegini et Neapolitani civitate ceterisque praemiis donarunt, et omnes qui aliquid de ingeniis poterant iudicare cognitione atque hospitio dignum existimarunt.

Εἶτα ἐν ἄλλοις τῆς Ἀσίας μέρεσι καὶ πάσης τῆς Ἑλλάδος οὐτωσὶ παρουσία αὐτοῦ ἐπεφημίζετο, ὥστε τὸ μὲν κλέος τῆς ἀγχινοίας, ἡ προσδοκία τοῦ ἀνθρώπου, τὴν δὲ προσδοκίαν αὐτοῦ ἥ τε ἐπιδημία καὶ τὸ θάμβος ἐπαρθῆναι. Ἐπληρώθη τότε ἡ Ἰταλία τῶν Ἑλληνικῶν [23] τεχνῶν τε καὶ μαθημάτων· αἱ δὲ σπουδαὶ αὗται καὶ ἐπὶ τῷ μὲν Λατίῳ σφοδροτέρως τότε ἐξεπονοῦντο ἢ νῦν ἐπὶ ταῖς αὐταῖς ταῖς πόλεσι, καὶ ἐνταῦθα ἐν τῇ Ῥώμῃ διὰ τὴν ἀτρεμίαν τοῦ κοινοῦ οὐκ ἠτημελοῦντο. Τοῦτον μὲν οὖν οἱ Ταραντῖνοι τε καὶ οἱ Ῥηγῖνοι καὶ Νεαπολῖται τῇ πόλει καὶ τοῖς ἄλλοις ἐπιτιμίοις ἐδωρήσαντο· οἱ δὲ πάντες οἱ περὶ [τῆς] τῶν φύσεων κρῖναι δυνάμενοι τῇ τε εἰδήσει καὶ τῷ καταγωγίῳ ἄξιον ἐνόμισαν.

Spicca un’illuminante incoerenza fra lat. in ceteris Asiae partibus cunctaque Graecia “nelle altre parti d’Asia e in tutta la Grecia” e gr. ἐν ἄλλοις τῆς Ἀσίας μέρεσι καὶ πάσης τῆς Ἑλλάδος “nelle altre parti d’Asia e di tutta la Grecia”: la traduzione riflette un testo sorgente contenente cunctaeque Graeciae, che è anche lezione riportata da tutti i codici. Siccome la lezione che leggiamo nel testo latino cracoviense cunctaque Graecia è quella accettata anche dai moderni,

317 Cfr. LSJ, s.v. ὑπερβάλλω.

Esame della versione greca

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è possibile che πάσης τῆς Ἑλλάδος sia stata una correzione proposta dal curatore o dallo stampatore dell’opera, oppure che la versione provenga da una diversa fonte. Il nostro testo riporta la forma verbale al singolare celebrabatur, allineandosi con parte della tradizione manoscritta (ap2), mentre le redazioni moderne propendono per il plurale celebrabantur, derivante da una correzione della lezione alternativa celebrantur (EVb); tale oscillazione nella tradizione testuale è sicuramente dovuta all’omografia del nominativo singolare e plurale di adventus. Va aggiunto che la corrispondenza tra lat. celebro “accogliere con feste, festeggiare” e gr. ἐπιφημίζω non è esatta, il verbo greco significa infatti “dedicare, attribuire”; la somiglianza con il simile ἐπευφημέω “celebrare” può aver fuorviato l’interprete. La frase consecutiva latina ut… superaret “tanto che… superava” è in greco sintatticamente corretta ma inadeguata, in quanto ἐπαίρω “sollevare” non collima semanticamente con supero. Inoltre l’uso di nominativo per accusativo compromette la chiarezza dell'enunciato. In gr. ἐπὶ τῷ Λατίῳ= in Latio si osserva ancora la preferenza di ἐπί su ἐν per tradurre lat. in. Tracce di confusione nell’uso di articoli compaiono nella ripetizione superflua ἐπὶ ταῖς αὐταῖς ταῖς πόλεσι per lat. iisdem in oppidis, mentre sviste grafiche come ῥόμη (per Ῥώμη) e ῥηγηνοί (per Ῥηγῖνοι) sono eloquenti in merito alla fonetica del greco in quel preciso contesto: oltre ad informarci sull’identità di valore fonologico di ι e η nella pronuncia del greco secentesco anche al di fuori dei territori ellenofoni, ci confermano altresì che l’opposizione quantitativa ο/ω da tempo non era più percepita e generava scambi di vocaboli. Un altro caso di itacismo è rappresentato da ἐδωρίσαντο, da ripristinare nell’aoristo ἐδωρήσαντο (< δωρέω) = donarunt. Il senso di “(diritto di) cittadinanza” è inoltre meglio espresso in greco da πολιτεία (cfr. LSJ s.v. A) che da πόλις. Cfr. infra altri casi. Assai raramente attestato (Procop., Vand. 1,21 in LSJ s.v.) è il verbo ἀτημηλέω “trascurare”, che qui troviamo all’imperfetto ἠτημηλοῦντο = negligebantur, raccolto però nei lessici rinascimentali (es. in Crastone, s.v.). In gr. οἱ περὶ τῆς τῶν φύσεων κρῖναι δυνάμενοι “coloro che potevano esprimere un giudizio sui talenti”, la forma τῆς scompagnata è da espungere. Classificabile come errore da glossario è la scelta di τῷ καταγωγίῳ ἄξιον per lat. hospitio dignum “degno di ospitalità”; καταγώγιον significa infatti “albergo, ospizio”, mentre la voce lat. hospitium in questo caso ha il valore di gr. ξενία “ospitalità”. Il dativo τῷ καταγωγίῳ con l’aggettivo ἄξιον “degno di” è inoltre un chiaro calco dell’ablativo di limitazione latino retto dall’aggettivo dignum, che ha prodotto una resa non idiomatica della locuzione dignus + abl., rendibile in greco mediante ἄξιος + gen. (cfr. Il. 23,885; Xen., Anab. 4,1,28).

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LA VERSIONE GRECA

Hac tanta celebritate famae cum esset iam absentibus notus, Romam venit, Mario consule et Catulo. Nactus est primum consules eos quorum alter res ad scribendum maximas, alter cum res gestas tum etiam studium atque aures adhibere posset. Statim Luculli, cum praetextatus etiam tum Archias esset, eum domum suam receperunt.

Ταύτῃ τῇ εὐκλείᾳ τοῖς ἀποῦσι γνωρισάμενος ὤν, ἐς τὴν Ῥώμην ἀφίκετο τοῦ Μαρίου ὑπατεύοντος καὶ τοῦ Κατούλου. Τετυχηκὼς ἦν πρώτως τῶν ὑπάτων, ὧν μὲν ἄλλος τὰ μὲν πρὸς [24] τὸ γράφειν μέγιστα, ἄλλος δὲ τὸ μὲν τὰ πεπραγμένα, τὸ δὲ τὴν σπουδὴν καὶ τὰ ὦτα συνάπτειν ἂν δύναιτο. Εὐθὺς οἱ Λεύκολλοι καὶ περιπορφύρου τότ’ ἔτι τοῦ Ἀρχίου ὄντος, αὐτὸν ἐπὶ οἰκίαν τὴν αὑτῶν ὑπεδέξαντο.

La traduzione ταύτῃ τῇ εὐκλείᾳ “per questa notorietà” presenta una riduzione degli elementi rispetto a lat. hac tanta celebritate famae, spiegabile come una sintesi dell’endiadi celebritas famae; mentre il participio aoristo m.-p. γνωρισάμενος fallisce a tradurre l’agg. lat. notus “famoso, conosciuto” per le difficoltà legate alla resa della diatesi latina in greco; qui notus ha funzione aggettivale e non participiale. La resa γνωρισάμενος ὤν è pertanto inesatta, più consono sarebbe l’utilizzo di un corrispondente di notus, come per esempio γνώριμος (Xen. Hell. 2,2,6; Plut. Caes. 47,3,3) o λαμπρός, εὐκλεής (cfr. Pr.Ar.gr. 22,8; 38,12). Il rilievo successivo necessita di una breve premessa. Ci troviamo nella fase processuale della narratio, e Cicerone espone i fatti salienti della vita di Archia, raccontando fra l’altro che, giunto a Roma nel 102 a.C., entrò in contatto con i consoli in carica quell’anno, Gaio Mario e Quinto Lutazio Catulo. Entrambi, pur diversi fra loro, avevano da offrire all’eccezionale talento del poeta le proprie doti:  il primo le gesta militari, il secondo, oltre a queste, anche un’innata predisposizione artistica. Gr. τετυχηκώς ἦν a fronte di lat. nactus est “venne in contatto”, permette di osservare che atipiche forme di sintagmi verbali perfettivi come questa si trovano sparse nel testo. La traduzione risulta in questo passo pedissequa:  (consules) quorum alter res ad scribendum maximas, alter cum res gestas tum etiam studium atque aures adhibere posset “(consoli) dei quali l’uno poteva offrire egregie imprese da narrare, l’altro, oltre alle imprese, anche passione e interesse” = ὧν μὲν ἄλλος τὰ μὲν πρὸς τὸ γράφειν μέγιστα, ἄλλος δὲ τὸ μὲν τὰ πεπραγμένα, τὸ δὲ τὴν σπουδὴν καὶ τὰ ὦτα συνάπτειν ἂν δύναιτο. La coordinazione alter… alter è ripetuta in μὲν ἄλλος… ἄλλος δέ; come anche la finale implicita ad scribendum con l’infinito sostantivato e preposizionato πρὸς τὸ γράφειν. Il verbo usato nel passo adhibeo, che vale “offrire, mettere a disposizione (al poeta le loro capacità)” è nella versione συνάπτω “collegare, combinare”, ma il significato del passo, pur essendo scorrevole, appare in traduzione leggermente diverso: “i consoli potevano mettere insieme (scil. per il poeta) diversi tipi di abilità”. In gr. ἐπὶ οἰκίαν per l’allativo lat. domum suam “in casa loro” si osserva nuovamente la preferenza di ἐπί, quindi non solo rispetto a ἐν, ma anche a εἰς.

Esame della versione greca Sed enim hoc non solum ingenii ac litterarum, verum etiam naturae atque virtutis fuit, ut domus, quae huius adolescentiae prima fuerit, eadem esset familiarissima senectuti. [6]‌Erat temporibus illis iucundus Q.  Metello illi Numidico et eius Pio filio, audiebatur a M. Aemilio, vivebat cum Q. Catulo et patre et filio, a L. Crasso colebatur, Lucullos vero et Drusum et Octavios et Catonem et totam Hortensiorum domum devinctam consuetudine cum teneret, afficiebatur summo honore, quod eum non solum colebant qui aliquid percipere aut audire studebant, verum etiam si qui forte simulabant.

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Ἀλλὰ μὲν γὰρ τοῦτο οὐ μόνον τῆς ἀγχινοίας καὶ τῶν γραμμάτων, ἀλλὰ δὲ τῆς τε φύσεως καὶ τῆς ἀρετῆς ἦν, ὡς οἴκησις ἣ τῆς ἐφηβίας τούτου πρώτη γενομένη, ἡ αὐτὴ ἐχείη ἂν οἰκειοτάτως καὶ πρὸς τὸ γῆρας. Ἦν καιροὺς ἐκείνους τερπνὸς Κοΐντῳ Μετέλλῳ ἐκείνῳ τῷ Νουμιδικῷ καὶ τῷ αὐτοῦ τῷ Πίῳ υἱεῖ, ἠκροᾶτο παρὰ τοῦ Μάρκου Αἰμιλίου, ἐβιοῦτο μετὰ τοῦ Κοΐντου Κατούλου πατρός τε καὶ τοῦ υἱοῦ· ὑπὸ τοῦ Λυκίου Κράσσου ἐσεβάζετο, [25] Λευκόλλους δὲ τόν τε Δροῦσον καὶ τοὺς Ὀκταβίους καὶ τὸν Κάτωνα καὶ ὅλην τῶν Ὁρτησίων τὴν οἰκίαν δεδημένην τῇ συνηθείᾳ κρατήσας, διετίθετο μεγίστῃ τῇ τιμῇ, ὅτι αὐτὸν οὐ μόνον ἀποθεραπεύσασθαι οἱ μανθάνειν τι ἢ ἀκροᾶν ἐπιθυμοῦντες, ἀλλὰ καὶ εἴ τινες ἴσως πλασάμενοι.

Il passo sed… senectuti nella trasmissione testuale è corrotto per la parte iniziale e per questo ha conosciuto varie interpretazioni da parte degli editori in diverse epoche. Per ciò che riguarda la nostra redazione, il congiuntivo esset della proposizione consecutiva “(fu di tale indole) che la casa che era stata per lui rifugio della prima giovinezza, diventò assai familiare anche negli anni della vecchiaia” pare non sia stato compreso dal grecista, giacché lo restituisce con ἐχείη (forse da intendersi ἔχοι, ottativo di ἔχω) ἂν οἰκειοτάτως καὶ πρὸς τὸ γῆρας “sarebbe (?) familiarissima anche per la vecchiaia”. Com’è risaputo, la nozione di tempo determinato viene espressa in greco in genitivo o dativo, con funzione analoga all’ablativo latino; appare dunque incomprensibile l’accusativo καιροὺς ἐκείνους a fronte di lat. temporibus illis “in quei tempi”. Notiamo indecisioni sulla posizione degli articoli nel luogo seguente: il naturale ordine degli elementi richiederebbe τερπνὸς Κοΐντῳ Μετέλλῳ ἐκείνῳ τῷ Νουμιδικῷ καὶ Πίῳ τῷ αὐτοῦ υἱεῖ, “gradito a quel Quinto Metello Numidico e al figlio di lui Pio” dove l’articolo precede il sostantivo υἱεῖ, apposizione di Πῖος. Il verbo σεβάζομαι “venerare, temere, riverire” in riferimento a un evento o una divinità è raramente testimoniato in ambito classico e postclassico (cfr. Il. 6,167; Ep. Rom. 1,25); σέβομαι sembrerebbe più adatto a rendere l’idea espressa dal lat. colo “tenere in considerazione” in a L. Crasso colebatur “(Archia) era tenuto in alta stima da Lucio Crasso”= ὑπὸ τοῦ Λυκίου Κράσσου ἐσεβάζετο, in quanto il verbo ha un uso più esteso nella letteratura e in contesti non solo religiosi, ma anche umani:  lo troviamo infatti impiegato per esprimere onore e omaggio a

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LA VERSIONE GRECA

personalità di riguardo, genitori e parenti (Hdt. 1,66; Soph., OC 1377 σέβειν). Come anche in altri casi, l’autore ha preferito un traducente non classico e meno diffuso, probabilmente in dipendenza da una fonte lessicografica a lui disponibile. L’aggettivo etnico  Νουμιδικός non è attestato in greco, infatti sembra essere stato traslitterato dal latino Numidicus (titolo onorifico concesso a Cecilio Metello a merito delle campagne condotte in Numidia contro Giugurta); l’aggettivo usato dagli autori greci è Νομαδικός (cfr. Plut., Luc. 1,1). Nel passo totam… domum… cum teneret “teneva rapporti di stretta familiarità con tutta la casa degli Ortensi”= ὅλην… κρατήσας, vediamo che κρατέω “dominare” ha un significato parzialmente incoerente con lat. tenere “mantenere legato (con legami affettivi)”; quanto all’ordine della frase, più congenito per il greco è: ὅλην τὴν τῶν Ὁρτησίων οἰκίαν, nel quale l’articolo, precedendo il genitivo, sortisce una funzione ‘individuante’ nei confronti del sostantivo specificato οἰκίαν “la casa degli Ortensi”318. Dal punto di vista sintattico il passo αὐτὸν οὐ μόνον ἀποθεραπεύσασθαι οἱ μανθάνειν τι, ἢ ἀκροᾶν ἐπιθυμοῦντες, ἀλλὰ καὶ εἴ τινες ἴσως πλασάμενοι è di lettura faticosa. L’originale eum non solum colebant qui…, verum etiam si qui forte simulabant suona: “gli mostravano riguardo non solo coloro che desideravano intendere e udire qualcosa, ma anche casomai qualcuno simulasse un interesse”. Notiamo: 1) che il verbo della frase principale colebant è in greco un infinito, ἀποθεραπεύσασθαι, che sembrerebbe dipendere da un verbum dicendi, del quale tuttavia non c’è traccia nel testo; 2) l’endiadi condensata in percipere atque audire = μανθάνειν; 3) che la proposizione suppositiva latina si qui forte simulabant “caso mai qualcuno simulasse un interesse” presenta in greco l’insolita locuzione congiuntiva εἰ ἴσως, che ricopia lat. si forte, ma ha dopo di sé un participio invece di un predicato di modo finito, erronea caratteristica sintattica copiosamente attestata nel testo. Da ultimo, oltre alla scorretta diatesi ἀκροᾶν per ἀκροᾶσθαι, va segnalato che gr. πλάζω “vagare, errare”, di cui πλασάμενοι è il participio aoristo m.-p., non può tradurre lat. simulo. Bisogna senza dubbio supporre una confusione con il somigliante πλάσσω “modellare, fingere”, il cui significato alla diatesi media πλάσσομαι riproduce appunto quello di lat. simulo.

318 N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 79.

Esame della versione greca [4] Interim satis longo intervallo, cum esset cum L.  Lucullo in Ciliciam profectus et cum ex ea provincia cum eodem Lucullo decederet, venit Heracleam. Quae cum esset civitas aequissimo iure ac foedere, adscribi se in eam civitatem voluit idque, cum ipse per se dignus putaretur, tum auctoritate et gratia Luculli ab Heracliensibus impetravit.

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Ἐν τοσούτῳ ἅλις διὰ μακροῦ διαχωρήματος, μετὰ τοῦ Λυκίου Λευκόλλου ἐς τὴν Κιλικίαν ἀπάρας καὶ ἐκ ταύτης τῆς ἐπαρχίας μετὰ τοῦ αὐτοῦ Λευκόλλου ἀφεστηκώς, ἧκεν εἰς τὴν Ἡράκλειαν. Οὔσης δὲ ταύτης τῆς πόλεως τῷ τε ἐπιεικεστάτῳ δικαίῳ καὶ τῇ σπονδῇ, προσπαραγραφθῆναι αὑτὸν ἐπ' ἐκείνων τὴν πόλιν ἠθέλησεν· καὶ τοῦτο, ὅτι [26] μὲν δι’ αὐτοῦ ἄξιος νομισθείς, ὅτι δὲ τῇ τε αὐθεντίᾳ καὶ τῇ χάριτι τοῦ Λευκόλλου παρὰ τῶν Ἡρακλείων ἀπήνεγκεν.

La scorretta equivalenza intervallo / διαχωρήματος dimostra ancora la lettura ita­ cistica di η:  per tradurre lat. intervallum si è fatto uso del vocabolo διαχώρημα “escremento”, invece di quello corretto διαχώρισμα, che erano letti in maniera simile. Il sistema verbale latino articola la sequenza temporale che descrive il viaggio di Archia, in compagnia di Lucullo nelle province, mediante cum + imperfetto cong. decederet e con il piuccheperfetto cong. esset profectus “essendo partito per la Sicilia… e poi ritornando da quella provincia, (giunse ad Eraclea)”; l’anteriorità e poste­ riorità, elementi molto meno essenziali nel sistema verbale greco rispetto alla qualità dell’azione, nel testo d’arrivo sembrano riprodotte all’inverso: abbiamo all’inizio un participio aoristo ἀπάρας, successivamente un participio perfetto ἀφεστηκώς, che ci informa dell’avvenuta partenza di Archia da quel luogo: “partendo per la Cilicia… e poi essendo tornato da quella provincia, (è giunto ad Eraclea)”. Queste ultime forme offrono lo spunto per un’osservazione lessicale. La terminologia legata agli spostamenti per terra e per mare è certamente ricca nella lingua greca; tuttavia incontriamo qui ἀπαίρω, che al m.-p. significa “salpare” e non ha una frequenza d’uso paragonabile a quella di lat. proficiscor; mentre ἀφ-ίστημι (al perf. att. ἀφέστηκα) “allontanarsi, staccarsi” sembra piuttosto una traduzione letterale di lat. de-cedo. Più vicini alla lezione originale sarebbero, ad esempio gr. πορεύομαι e ἀπέρχομαι. Appare soltanto in questa stampa la lezione corrotta Ciliciam = Κιλικίαν, mentre la tradizione riporta compatta Siciliam. Un’altra incoerenza è costituita da προσπαραγραφθῆναι:  affermando che Archia volle iscriversi nel registro dei cittadini di Eraclea, l’Arpinate usa il verbo adscribo:  adscribi se in eam civitatem voluit; il greco ha προσπαραγραφθῆναι, da προσπαραγράφω “aggiungere (a ciò che è già stato scritto)”. Più accuratamente traduce però poche righe più avanti lo stesso termine con gr. προσγραφθέντες (26,9) da προσγράφω, parallelo di lat. adscribo. Forse dietro questa sinonimia si può scorgere, oltre all’influsso dei glossari, anche la premura del traduttore di fornire il maggior numero di traducenti per uno stesso vocabolo all’interno del medesimo testo.

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LA VERSIONE GRECA

Compaiono errori di stampa: ἐπ’ ἐκείνων τὴν πόλιν ἠτέλησεν va corretto in ἐπ’ ἐκείνην τὴν πόλιν ἠθέλησεν. Inoltre, si evince dal confronto tra ὅτι μὲν δι’ αὐτοῦ ἄξιος νομισθείς, ὅτι δὲ… ἀπήνεγκεν e il lat. cum ipse per se dignus putaretur, tum… impetravit che la congiunzione subordinante cum e il seguente avverbio tum sono stati scambiati per le omografe congiunzioni correlative cum… tum, appunto ὅτι μέν… ὅτι δέ. Non convince nemmeno la frase circostanziale ὅτι μὲν δι’ αὐτοῦ ἄξιος νομισθείς, che dovrebbe suonare “poiché si reputava degno da sé”, nella quale il participio congiunto νομισθείς preceduto dalla congiunzione ὅτι sortiscono un anacoluto sintattico. Gr. ἀπήνεγκεν non rende precisamente lat. impetravit (scil. civitatem) “ottenne (la cittadinanza)”:  benché accettabile, il valore di ἀποφέρω “portare via” non combacia con quello di impetro “ottenere, conseguire”. [7]‌Data est civitas Sillani lege et Carbonis:  Si qui foederatis civitatibus adscripti fuissent, si tum cum lex ferebatur in Italia domicilium habuissent et si sexaginta diebus apud praetorem essent professi. Cum hic domicilium Romae multos iam annos haberet, professus est apud praetorem Q. Metellum, familiarissimum suum. [8] Si nihil aliud nisi de civitate ac lege dicimus, nihil dico amplius; causa dicta est. Quid enim horum infirmari, Gracche, potest? Heracleaene esse eum adscriptum negabis?

Ἐδόθη ἡ πόλις κατὰ τὸν τοῦ Σιλλάνου νόμον καὶ τὸν τοῦ Κάρβωνος εἴ τινες ὀμωμοκυίαις ταῖς πόλεσι προσγραφθέντες εἴησαν, εἰ τοῦ νόμου ἐπαχθέντος κατοικίαν ἐν τῇ Ἰταλίᾳ ἔχοιεν, εἰ δὲ ἑαυτοὺς ἑξήκοντα ταῖς ἡμέραις παρὰ τὸν ἔπαρχον ἐπηγγείλαντο. Τούτου μὲν οὖν κατοικίαν τὴν Ῥώμῃσι πρὸ τῶν ἤδη πολλῶν ἐτῶν ἔχοντος, ἐπαγγηλθέντος δὲ παρὰ τὸν ἔπαρχον, Κοΐντον Μέτελλον, οἰκειότατον αὐτοῦ.  Ἢν οὐδὲν ἄλλο, εἰ μὴ περὶ τῆς πόλεως καὶ τοῦ νόμου λαλοῦμεν, οὐδὲν ἂν ἐπὶ τούτοις φαίην· ἡ δίκη κεκρικυῖα τυγχάνει. Τὶ [27] μὲν γὰρ τούτων ἀνασκευάζειν, ὦ Γράχε, δυνάμενον; Τῇ μῶν οὖν Ἡρακλείᾳ προσγραφθέντα αὐτὸν ἀρνήσῃ;

Nel testo della lex Plautia Papiria la restituzione di lat. foederatis civitatibus “nelle città federate”= ὀμωμοκυίαις ταῖς πόλεσι mostra di nuovo incertezza sulla diatesi: il participio perfetto attivo ὀμωμοκυίαις non traspone la passività espressa dal participio latino foederatis; qui era richiesto il part. perf. pass. ὁμωμοσμένος319. Il traduttore potrebbe però aver avuto in mente Xen. Hell. 6,3,19, dove lo scrittore ateniese impiega proprio la formula con il participio perfetto attivo: ἐν ταῖς ὀμωμοκυίαις πόλεσι “nelle città che avevano prestato giuramento”. La legge pone delle condizioni, in greco esse sono: εἰ… κατοικίαν… ἔχοιεν, εἰ μὲν ἑαυτοὺς… ἐπηγγείλαντο “se, quando la legge veniva aggiunta, avessero domicilio e se si fossero annunciati”; le protasi sono di tipo misto (3° e 4° tipo), mentre nell’originale

319 Si veda anche l’aggettivo ὑπήκοος “suddito (alleato)” in Polyb. 3,22,12; 3,24,5.

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latino le due condizioni si equivalgono (3° tipo, si domicilium habuissent et si… essent professi “se avessero avuto domicilio e se si fossero registrati…”). Impreciso è inoltre l’uso della congiunzione eventuale ἤν con l’indicativo λαλοῦμεν; per il 1° tipo è infatti richiesto εἰ “se diciamo”. Si ha l’impressione che la difficoltà causata dalla sintassi verbale abbia creato confusioni e scambi nelle sequenze del testo. Mostra letteralismo gr. τοῦ νόμου ἐπαχθέντος, traducente lat. cum lex ferebatur. Legem ferre “approvare una legge” è infatti un tecnicismo giuridico a cui imprecisamente corrisponde νόμον ἐπάγω “aggiungere una legge”; per il medesimo concetto il greco usa solitamente τίθημι “porre, approvare” (Dem. Timocr. 99; 142; Arist. Pol. 1289a 14). La determinazione temporale ἑξήκοντα ταῖς ἡμέραις “entro sessanta giorni” non richiede l’impiego di un articolo; giustificabile sarebbe se posto prima del cardinale, ταῖς ἑξήκοντα ἡμέραις “entro i sessanta giorni”, da intendersi il preciso periodo concesso agli aspiranti al diritto di cittadinanza romana per registrarsi presso il pretore. Poco sotto, la proposizione circostanziale cum hic domicilium Romae multos iam annos haberet “poiché costui risiedeva a Roma ormai da molti anni” è di nuovo tradotta con un genitivo assoluto τούτου μὲν οὖν κατοικίαν τὴν Ῥώμῃσι πρὸ τῶν ἤδη πολλῶν ἐτῶν ἔχοντος; sennonché il costrutto investe anche la frase principale professus est apud praetorem ἐπαγγηλθέντος δὲ παρὰ τὸν ἔπαρχον, compromettendo così l’intelligibilità del periodo, che non ha più una frase reggente. Senz’altro curioso Ῥώμησι= Romae, che, sulla base del confronto con Ἀθήνησι= Athenis (cfr. Thuc. 5,25,1; Xen. Hell. 3,1,1), possiamo definire una forma di stativo (locativo), ottenuta con l’aggiunta del suffisso –ησι. Compare l’uso di τυγχάνω unito al participio: qui con il perfetto κεκρικυῖα si è cercato di restituire il valore resultativo dell’espressione idiomatica lat. causa dicta est “il caso è risolto”, fallendo però nella scelta della diatesi, che sarebbe dovuta essere passiva, p.es. con il part. perf. pass. ἡ δίκη κεκριμένη τυγχάνει o il perf. ind. κέκριται (cfr. la locuzione in Hdt. 2,129; Aesch. Eum. 433). L’uso del participio δυνάμενον per lat. potest priva, di nuovo, il periodo di una frase reggente, mentre l’infinito attivo ἀνασκευάζειν “smontare, rovinare” discorda dal corrispondente passivo infirmari “(può) essere invalidato”. Il vocativo Gracche è una lezione deteriore che si trova in b2 ed è da sostituire con il vocativo Gratti: si tratta del nome di Grattius, ignoto accusatore di Archia320. In traduzione, il vocativo dell’idionimo Gracchus va integrato in Γράκχε, sulla base del confronto con Plut. TG passim. Il dativo di luogo gr. τῇ… Ἡρακλείᾳ è stato ricalcato, come visto sopra, sul locativo lat. Heracleae. Quanto a πόλις “cittadinanza” si veda quanto detto supra. 320 E. Narducci, Cicerone, cit., pp. 40, 79.

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LA VERSIONE GRECA

Adest vir summa auctoritate et religione et fide L.  Lucullus, qui se non opinari sed scire, non audivisse sed vidisse, non interfuisse sed egisse dicit. Adsunt Heraclienses legati, nobilissimi homines, qui huius iudicii causa cum mandatis et cum publico testimonio venerunt; qui hunc adscriptum Heracleae esse dicunt. Hic tu tabulas desideras Heracliensium publicas, quas Italico bello incenso tabulario interisse scimus omnes.

Πάρεστι ἀνὴρ ἀκροτάτῃ αὐθεντίᾳ τε καὶ θρησκείᾳ καὶ τῇ πίστει Λύκιος Λεύκολλος, ὃς αὑτὸν οὐ δοξάζειν ἀλλ’ εἰδέναι, οὐκ ἀκηκοέναι ἀλλ’ὀφθῆναι, οὐ παραγεγονέναι ἀλλὰ πεπραχέναι φθέγγεται. Πάρεισι Ἡράκλειοι οἱ πρεσβεῖς εὐγενέστατοι ἄνθρωποι, οἱ ταυτησὶ τῆς κρίσεως ἕνεκα σὺν τοῖς προστάγμασι καὶ δημοσίᾳ τῇ μαρτυρίᾳ παραγενόμενοι, οἳ προσγραφθέντα τοῦτον τῇ Ἡρακλείᾳ εἶναι φάσκουσιν. Ἐνταῦθα σὺ τῶν πινάκων ἐπιποθεῖς τῶν Ἡρακλείων δημοσίων, οὓς τῷ πολέμῳ Ἰταλιώτῃ, κατακαυθέντος [28] τοῦ πινακοδοχίου, ἀπολωλεκέναι ἴσμεν ἅπαντες.

Si presentano i testimoni a favore dell’antiocheta. Vi è una confusione diatesica ancora in ὀφθῆναι, infinito aoristo passivo di ὁράω per lat. vidisse, mentre qui ci vorrebbe un infinito attivo come aor. ἰδεῖν ο perf. ἑωρακέναι. Gr. φθέγγεται rende il lat. dicit: il generico φθέγγομαι “emettere un suono” (di persone o strumenti), spesso “gridare” (Hdt., 2,57,4; Plut., Cam. 33,7,5; Plut., Sull. 12,5,1; Dem., de cor. 260,1), afferisce alla sfera della fonazione, ma non sembra del tutto adatto a tradurre dico “affermare, sostenere”, al quale corrispondono i comuni verba dicendi come λέγω, φημί. In gr. Ἱράκλειοι ritroviamo non solo le tracce di confusione η/ι, ma anche un’inesattezza morfologica. L’aggettivo greco Ἡράκλειος di 1a classe a tre uscite designa infatti persone o cose legate alla figura di Eracle, significa dunque “erculeo”. Nel nostro passo si fa invece riferimento ai cittadini della città magnogreca di Ἡράκλεια, Eraclea, che al processo sostengono il poeta: nella letteratura abbiamo esempi dell’etnonimo Ἡρακλεώτης ricavato dal nome geografico (cfr. Xen., Hell., 6,4,9; Arist., Pol. 1327 b 14; Ath. 7,306d) con il tipico suffisso etnonimico -ώτης, che è infatti la forma appropriata per il nostro passo. La posizione ῾Ηράκλειοι οἱ πρεσβεῖς, inoltre, tradisce scarsa familiarità con la tipologia sintattica greca dei costrutti attributivi: in questo caso occorrerebbe un genitivo partitivo inserito tra l’articolo e il sostantivo a cui è riferito, οἱ τῶν Ἡρακλειωτῶν πρέσβεις. Piuttosto costantemente, come si nota anche nel presente passo, le frasi relative latine sono restituite con il participio sostantivato greco (qui venerunt = οἱ παραγενόμενοι) “che sono arrivati”. Se da un lato possiamo sottolineare scelte lessicali discutibili, soprattutto nella versione di lessemi appartenenti al vocabolario elementare, dall’altra è arduo non osservare l’intenzione didattica dell’autore di fornire ai fruitori del testo uno spettro di traducenti il più possibile vario. È il caso di gr. φάσκουσιν (< φάσκω)

Esame della versione greca

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per lat. dicunt (< dico): poco sopra il medesimo verbo era stato reso con il sinonimo φθέγγομαι. Notiamo nuovamente una grafia fonetica: ἦναι per εἶναι. Problemi con gli etnonimi proseguono nella traduzione:  il gr. τῷ πολέμῳ Ἰταλιώτῃ, lat. Italico bello “nella guerra italica”, mancante dell’articolo e della preposizione ἐν, lo dimostra. Ἰταλιώτης è sostantivo etnico significante “abitante dell’Italia”, ma nell’arringa Italicum è aggettivo etnico riferito a bellum, che corrisponde invece al gr. ἰταλικός “italico” (App., b. civ. 1,1,7; Plut., Aem. 15,7); la traduzione corretta suonerebbe τῷ πολέμῳ τῷ Ἰταλικῷ. Nel genitivo assoluto κατακαυθέντος τοῦ πινακοδοχείου “dopo l’incendio dell’archivio”, il composto greco πινακοδοχεῖον è di grande interesse, poiché, pur non essendo attestato in nessun repertorio lessicale a me noto, mostra tuttavia un’elevata compatibilità con la lingua ellenica, a tal punto che la paternità del lessema potrebbe essere attribuita a un individuo con un’alta autonomia linguistica. Il sostantivo è composto dall’elemento πινακο- < πίναξ “tavola, cartella” e dal confisso lessicale -δοχιον, che qui, come sovente accade in questo testo, presenta grafia fonetica riflettente la pronuncia itacistica ει/ι e che sarà quindi da ristabilire in πινακοδοχεῖον. Questo secondo elemento δοχεῖον “vaso, recipiente” è imparentato con δέχομαι “accogliere, ricevere” e si ritrova anche in altri composti in uso nel greco antico, così come in quello moderno: si ha ad esempio ξενοδοχεῖον “luogo dove sono accolti gli stranieri”, quindi “albergo”, πανδοχεῖον sinonimo del precedente, μελανοδοχεῖον “contenitore per l’inchiostro”, “calamaio”. La transitività dell’infinito greco ἀπολωλεκέναι < ἀπολώλεκα “ho distrutto” in οὓς… ἀπολωλεκέναι ἴσμεν ἅπαντες per quas… interisse scimus omnes “tavolette che… come tutti sappiamo, sono andate distrutte” è qui inaccettabile; probabilmente il traduttore ha confuso la forma di perfetto transitivo ἀπολώλεκα= perdidi con l’intransitivo ἀπόλωλα= perii, voce qui appropriata. Est ridiculum ad ea quae videmus nihil dicere, quaerere quae habere non possumus, et de hominum memoria tacere, litterarum memoriam flagitare et, cum habeas amplissimi viri religionem, integerrimi municipii ius iurandum fidemque eam quae depravari nullo modo possunt, repudiare, tabulas, quas idem dicis solere corrumpi, desiderare. [9]‌At domicilium Romae non habuit is, qui tot annis ante civitatem datam sedem omnium rerum ac fortunarum suarum Romae collocavit? At non est professus?

Ἔστι γελοῖον τὸ μὲν πρὸς τὰ ἐχόμενα οὐδὲν εἰπεῖν, τὸ δὲ ζητεῖσθαι τὰ οὐκ ἔχειν δυνάμενα, καὶ περὶ μὲν τῶν ἀνθρώπων τῇ μνήμῃ σιωπᾶν, τῆν δὲ μνήμην τῶν γραμμάτων ἐξαιτεῖσθαι, καὶ ἔχοντός σου τοῦ μὲν ἁμαξιαιοτάτου ἀνδρὸς τὴν εὐλάβειαν ἀμειωτάτης δὲ τῆς πόλεως ὅρκον, καὶ τὴν πίστιν ταύτην τὰ μὲν ἀγαρράπτειν μηδένα τὸν τρόπον δυνάμενα, παραιτεῖσθαι· τῶν δὲ πινάκων, τῶν κατὰ τὸ τοῦ σεαυτοῦ λέγειν παραφθείρεσθαι εἰωθότων, ἐπιθυμεῖν. Ἀλλὰ μὲν τὸ δωμάτιον ἐν τῇ Ῥώμῃ οὐκ εἶχεν οὗτος, ὃς ἐπὶ τοσαῦτα ἔτη πρὸ τοῦ τῆς πόλεως δοῦναι ἑδώλιον πάντων τῶν πραγμάτων καὶ κατα[29]σχέσεων αὐτοῦ Ῥώμησι καθίδρυσεν. “Ἀλλὰ δὲ οὐκ ἐπηγγείλατο;”

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LA VERSIONE GRECA

Riprendono i problemi con la diatesi nell’infinito m.-p. ζητεῖσθαι per lat. quaerere “cercare” dipendente forse dal seguente ἐξαιτεῖσθαι= lat. flagitare “pretendere”. Incongruo è altresì ἔχειν in τὰ οὐκ ἔχειν δυνάμενα “ciò che non può avere”, per lat. quae habere non possumus “ciò (scil. le prove giudiziarie) che non possiamo avere”: poiché il traduttore sceglie una costruzione differente, dove l’oggetto quae diviene il soggetto τὰ δυνάμενα, il verbo avrebbe senso al passivo ἔχεσθαι “ciò che non può essere tenuto”. Insolito il dativo con  περί in gr. περὶ μὲν τῶν ἀνθρώπων τῇ μνήμῃ σιωπᾶν “tacere per la memoria umana”, lat. de hominum memoria tacere; con la funzione di argomento è infatti preferibile il genitivo (cfr. Plat., Crat. 401a 4 e Pr.Ar.gr. 21,3; 23,14). Vediamo il lungo frammento ἔχοντός σου τοῦ μὲν ἀμαξιαιοτάτου ἀνδρὸς τὴν ἐυλάβειαν ἀμειωτοτάτης δὲ τῆς πόλεως ὅρκον καὶ τὴν πίστιν ταύτην τὰ μὲν ἀγαρράπτειν μηδένα τὸν τρόπον δυνάμενα, παραιτεῖσθαι “(è ridicolo…) quando hai la devozione dell’uomo più grande, il giuramento della città più irreprensibile, rifiutare questa prova [e]‌le cose che in nessun modo si possono distruggere”. Emerge il sospetto, guardando τὴν πίστιν ταύτην τὰ μὲν, che fidem eam quae… sia stato compreso fidem, ea quae, intendendo ea quae come un neutro plurale. Da un punto di vista lessicale vi è però un’alta concentrazione di fenomeni interessanti. L’aggettivo ἁμαξιαῖος è costruito a partire da ἅμαξα “carro” e significa appunto “grande, enorme come un carro”. Nella letteratura compare riferito per lo più a oggetti (pietre, cfr. Dem., Call. 20,5; Xen., Anab. 4,2,3), mentre qui è impiegato per descrivere la grandezza morale (amplissimus) di Lucullo. Nel lessico di Crastone il lemma è così glossato: «gravis ut pondus unius plaustri»; la scelta del lessema, piuttosto ricercato e insolito per questo contesto, lascia pensare a una scelta da glossario. Gr. ἐβλάβειαν merita un commento, giacché si tratta dell’unico caso di grafia fonetica nel testo in cui si attesta la spirantizzazione di υ [w] approssimante in fricativa labiodentale sonora [β] tipica del demotico e presente tuttora nel neogreco; la grafia è pertanto da ristabilire in εὐλάβειαν “religiosità”. Una tendenza a selezionare traducenti di uso meno comune è visibile anche oltre: l’aggettivo greco deverbativo ἀμείωτος, di cui ἀμειωτοτάτη è la forma di superlativo femminile, è ricavato a partire da ἀ- privativum unito al tema di μειόω “diminuire” e significa dunque “(che) non (può essere) diminuito”, “integro”. La forma, anch’essa leggibile in Crastone, è dunque preferita dal traduttore a sinonimi ben più largamente attestati, come ἀκέραιος, ἀγαθός, ὅλος. Proseguendo, l’infinito greco ἀγαρράπτειν costituirebbe nella sua forma grammaticale uno hapax. L’unica testimonianza è infatti data dal lessico di Esichio, che

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riporta321: †ἀγαρράπτει τε· ἔφθορεν, vale a dire una terza persona singolare di un presunto *ἀγαρράπτω, che il dotto alessandrino glossa con ἔφθορεν “è rovinato”, 3a persona singolare del perfetto forte di φθείρω. Il campo semantico è chiaro, abbiamo a che fare con il concetto di rovina, corruzione, ed è quindi (eccetto per la diatesi attiva) semanticamente in linea con il latino depravari. Il lemma è finito nella lessicografia rinascimentale forse attraverso Esichio; anche TGL (s.v.) lo riporta traducendo alla lettera la glossa esichiana: «corrupit et perdidit». Tortuosa è la costruzione del passo πινάκων, τῶν κατὰ τὸ τοῦ σεαυτοῦ λέγειν παραφθείρεσθαι εἰωθότων, che letteralmente significa “tavole, che sono solite andare distrutte, secondo il dire di te stesso”, controparte di lat. tabulas, quas idem dicis solere corrumpi “tavole, le quali tu stesso dici che vengono sovente distrutte”. Il testo cracoviense riporta lat. at domicilium… non habuit = ἀλλὰ μὲν τὸ δωμάτιον… οὐκ εἶχεν “ma non aveva domicilio”, che è un ramo deteriore della tradizione testuale ciceroniana; la critica moderna favorisce la lezione an domicilium… non habuit, intravvedendovi un’interrogazione retorica dell’avvocato riguardo ad Archia: “forse che non aveva domicilio?”. Lat. ante civitatem datam “prima che fosse concessa la cittadinanza” è restituito con πρὸ τοῦ τῆς πόλεως δοῦναι: il calco sintattico con infinito sostantivato riproduce – lo abbiamo sottolineato – una struttura estranea al greco, il quale avrebbe infatti richiesto l’accusativo τὴν πόλιν al posto del genitivo τῆς πόλεως. Non è forse insensato cercare una spiegazione di questa inesattezza, ricorrendo alla linguistica applicata; alcuni recenti studi contrastivi confermano infatti un influsso della lingua madre (LM) nel processo di acquisizione di una lingua-target (LT, nel nostro caso il greco). La L1, il latino per il traduttore, riveste il ruolo di interlingua, uno ‘spazio di sperimentazione’ nel processo di apprendimento del parlante ed è suscettibile di influssi da parte della LM. Ora, in polacco la forma nominale del verbo (odsłownik), che assume le funzioni di un sostantivo, richiede il genitivo del complemento diretto, ed è infatti ciò che si legge in danie obywatelstwa “il dare la cittadinanza”322. La grafia di καθίδρισεν invece di καθίδρυσεν da καθιδρύω ci testimonia anche della confusione di lettura fra le vocali υ/ι, tipica del greco postclassico.

3 21 Hesychii Alexandrini Lexicon, rec. M. Schmidt, Ienae 1858, 331, p. 14. 322 Su tali osservazioni psicolinguistiche, applicate in questa sede ad un peculiare contesto traduttivo, cfr. R. Ellis, Second Language Acquisition, Oxford 1997, pp. 51 ss.

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LA VERSIONE GRECA

Immo vero iis tabulis professus, quae solae ex illa profes-sione collegioque praetorum obtinent publicarum tabularum auctoritatem. [5] Nam, cum Appii tabulae neglegentius adservatae dicerentur, Gabinii, quamdiu incolumis fuit, levitas, post damnationem calamitas omnem tabularum fidem resignasset, Metellus, homo sanctissimus modestissimusque omnium, tanta diligentia fuit ut ad L. Lentulum praetorem et ad iudices venerit et unius nominis litura se commotum esse dixerit. His igitur tabulis nullam lituram in nomine Auli Licinii videtis.

Μᾶλλον δὲ τούτοις τοῖς πίναξι ἐπηγγείλατο, τοῖς μόνοις ἐκ τῆς ἐκείνης ἐπαγγελίας τε καὶ τοῦ συλλόγου τῶν ἐπάρχων, κατέχουσι τῶν δημοσιακῶν πινάκων τὴν αὐθεντίαν. Οἱ μὲν γὰρ τοῦ Ἀππίου πίνακες, ὅταν ἀπεριοπτοτέρως διατηρησάμενοι λεχθείησαν, τοῦ δὲ Γαβινίου, μέχρι μὲν οὗ ἀάβακτος ἦν, ἡ φαυλότης, μετὰ δὲ τὴν καταδίκην ἡ συμφορὰ πᾶσαν τὴν τῶν πινάκων πίστιν ἀποσφραγισθείη· ὁ μὲν Μέτελλος, ἀνὴρ ὁσιώτατός τε καὶ μετριώτατος τῶν ἁπάντων, τοσαύτῃ τῇ ἐπιμελείᾳ ὢν ἐγένετο, ὡς πρὸς τὸν Λύκιον Λέντουλον τὸν ἔπαρχον καὶ πρὸς τοὺς κριτὰς ἀφιξάμενος τῇ δὲ τοῦ ἑνὸς [30] ὀνόματος ἐξαλοιφῇ τεταραχέναι αὐτὸν λεξάμενος ἐτύγχανε. Τούτοις μὲν οὖν τοῖς πίναξι οὐδεμίαν τὴν ἐξαλοιφὴν εἰς τοὔνομα τοῦ Αὔλου Λυκινίου ὁρᾶτε.

Persiste nella metafrasi l’uso del participio sostantivato per risolvere una proposizione relativa latina: quae solae… obtinent… auctoritatem “(tavole) le quali sole detengono autorevolezza”= τοῖς μόνοις… κατέχουσιν… τὴν αὐθεντίαν, mentre la costruzione passiva della circostanziale nam, cum Appii tabulae neglegentius adservatae dicerentur è stavolta mantenuta fedelmente anche in greco con un verbum dicendi: οἱ μὲν γὰρ τοῦ Ἀππίου πίνακες, ὅταν ἀπεριοπτοτέρως διατηρησάμενοι λεχθείησαν. Similmente al frammento poco sopra analizzato, anche in questo punto il testo presenta degli interessanti lessemi raramente documentati. La forma avverbiale di intensivo greco ἀπεριοπτοτέρως= neglegentius “in modo piuttosto trascurato” è costruita in modo anorganico: com’è noto, il comparativo avverbiale si forma per mezzo del suffisso neutro singolare -τερον, che qui darebbe ἀπεριοπτότερον, da ἀ-περίοπτος “noncurante”, mentre il traduttore ha mescolato -τερον con il suffisso avverbiale -ως. Ciononostante, è interessante notare come l’avverbio ἀπεριόπτως, che nella forma di comparativo non è mai attestato, compaia nell’Onomasticon di Polluce nella sezione degli avverbi, insieme ad altri sinonimi323. Nel passo, Polluce sta descrivendo il carattere del taccagno e il suo contrario, il prodigo; vengono dunque elencati gli aggettivi e gli avverbi (ἐπιρρήματα) adatti 323 Poll., Onom. 3,117,7: ἐπιρρήματα δ’ἀφειδῶς, ἀταμιεύτως, ἀπροόπτως τοῦ μέλλοντος, ἀπεριόπτως, ἀπερισκέπτως, ἀτεκμάρτως, ἀπροοράτως.

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a descrivere la condotta e le azioni di un prodigo. Poco oltre, anche l’aggettivo ἀάβακτος “incolume” non è di uso frequente nella lingua greca e nel TGL (s.v.) è così glossato: «ἀάβακτοι sunt ἀβλαβεῖς». La fonte è indubitabilmente da rintracciare in Esichio324, il quale infatti riporta: ἀάβακτοι· ἀβλαβεῖς. In gr. ἀποσφραγισθείη contro lat. resignasset, da resigno “invalidare, annullare”, è rispettata solo l’equivalenza formale (signum, sigillum = σφρηγίς); se infatti il termine greco ἀποσφραγίζω condivide con quello latino il primigenio significato di “dissuggellare, rompere un sigillo”, il verbo greco non presenta però lo sviluppo semantico di “invalidare, togliere attendibilità” che invece ha in sé il verbo latino; la corrispondenza sostanziale fra i due lessemi è comunque attestata nei lessici cinquecenteschi325. Possiamo definire atipica la perifrasi verbale in τοσαύτῃ τῇ ἐπιμελείᾳ ὢν ἐγένετο, che, traducendo lat. tanta diligentia fuit “fu di tanta solerzia”, preannuncia le due frasi consecutive ὡς… πρὸς τοὺς κριτὰς ἀφιξάμενος… λεξάμενος ἐτύγχανεν= ut… ad iudices venerit… dixerit “che andò dai giudici.. e disse…”. I congiuntivi venerit e dixerit sono restituiti con due participi aoristi ἀφιξάμενος e λεξάμενος, predicativi di ἐτύγχανεν. È noto che nel costrutto il verbo τυγχάνω completa il significato dell’azione espressa dal participio, introducendo una sfumatura di casualità o coincidenza326. Appare difficile comprendere le ragioni di questa scelta, forse dovuta a necessità didattiche particolari che ci sfuggono. Per concludere la sezione di commento, va notato che anche il sostantivo ἐξαλοιφή non compare nei lessici greci a me noti. È tuttavia agevole interpretarne il significato, essendo ampiamente attestata la forma ἀλοιφή (< ἀλείφω “spalmare, ungere”) “unguento”, “strumento per ungere”, da cui anche “cancellatura”, che collimerebbe infatti puntualmente con il latino litura < lino, con gli stessi significati. L’Arpinate vuole in questo passo argomentare che non vi fu alcuna cancellatura dai registri anagrafici di Eraclea sotto la pretura dell’irreprensibile Cecilio Metello, e che quindi il nome del suo cliente vi compariva senz’ombra di dubbio. Il significato di “rimuovere ungendo” è però effettivamente espresso in modo preciso dal verbo composto ἐξ-αλείφω= deleo ungendo, dal quale il traduttore, facilitato dal confronto con ἀλοιφή, ha tratto il deverbativo ἐξαλοιφή.

3 24 Hesychii, cit., 1,21. 325 Cfr. C. Gesner, Lexicon, cit., s.v. 326 J. Humbert, Syntaxe grecque, Paris 1960, p. 202.

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[10] Quae cum ita sint, quid est quod de eius civitate dubitetis, praesertim cum aliis quoque in civitatibus fuerit adscriptus? Etenim cum mediocribus multis et aut nulla aut humili aliqua arte praeditis gratuito civitatem in Graecia homines impertiebantur, Rheginos credo aut Locrenses aut Neapolitanos aut Tarentinos, quod scaenicis artificibus largiri solebant, id huic summa ingenii praedito gloria noluisse!

Τῶν δὲ οὕτως ἐχόντων, τί ἂν γένοιτο ὑμᾶς περὶ τῆς αὐτοῦ πόλεως ἀμφιγνοεῖν, καὶ ταῦτα τοῦ ἄλλαις ταῖς πόλεσι προσγραφθέντος; Τοῖς μὲν γὰρ μετρίοις πολλοῖς καὶ ἢ μηδεμιᾷ ἢ προσγείᾳ τινὶ τῇ τέχνῃ κεκοσμημένοις δωρεὰν τὴν πόλιν ἐπὶ τῆς Ἑλλάδος τῶν ἀνθρώπων μεταδεδωκότων, Ῥηγίνους πιστεύω ἢ τοὺς Λοκροὺς ἢ τοὺς Νεαπολίτας ἢ τοὺς Ταραντίνους τὸ μὲν σκηνικοῖς τοῖς τεχνίταις δωρεῖσθαι φιλησαμένους, τουτῳὶ τοῦτο εὐδοξοτάτῳ τοῖς φύσεως μὴ βεβουλῆσθαι.

L’espressione greca τί ἂν γένοιτο “che cosa ci sarebbe” risponde vagamente alla locuzione latina quid est quod unita al congiuntivo “per quale motivo…?”. Qualche perplessità desta pure gr. καὶ ταῦτα τοῦ ἄλλαις ταῖς πόλεσι προσγραφθέντος “e soprattutto di lui, che era registrato in altre città…”, che è conforme a lat. praesertim cum aliis quoque in civitatibus fuerit adscriptus “perché dubitate… soprattutto dal momento che era registrato anche in altre città”, ma il participio sostantivato greco si adatta meglio a rendere le relative che il cum circostanziale, come in questo caso. In τῆς αὐτοῦ π. la posizione tradisce di nuovo imbarazzo nella collocazione degli elementi pronominali. In humili = προσγείᾳ osserviamo che l’aderenza tra il lemma latino e greco anche in questo passo è assolutamente formale e non semantica: l’aggettivo πρόσγειος, formato dal preverbio πρόσ- unito a γῆ, letteralmente “vicino alla terra” (Luc., Dial. D. 24,1), è usato per descrivere la prossimità degli astri al pianeta Terra e perciò collima solo superficialmente con lat. humilis (< humus), ossia “vicino alla terra”. Lat. praeditis può essere confrontato con Cic., Manil. 21 (classem magnam et ornatam): l’aggettivo praeditus (aliqua arte) qui significa infatti “dotato (di qualche abilità)”, e κοσμέω-κεκοσμημένος è usato con lo spettro semantico di orno-ornatus “ordinare, decorare”, ma anche “fornire, dotare” cfr. Hdt. 7,40. Il difensore qui esprime con ironia la propria incredulità al fatto che Archia non riuscito, per i propri eccezionali meriti, ad ottenere la cittadinanza. La frase (credo…) quod scaenicis artificibus largiri solebant, id huic summa ingenii praedito gloria noluisse contiene una prolessi del relativo quod… id che mette in difficoltà il traduttore:  (πιστεύω…) τὸ μὲν σκηνικοῖς τοῖς τεχνίταις δωρεῖσθαι φιλησαμένους, τούτῳὶ τοῦτο εὐδοξοτάτῳ τοῖς φύσεως μὴ βεβουλῆσθαι: “(credo certamente) che, abituati a donarla (scil. la cittadinanza) ai teatranti, a costui invece, assai glorioso quanto alle cose dell’ingegno, (scil. i cittadini magnogreci) non abbiano voluto dare questo”; la comprensione del passo non è compromessa, sebbene manchi il procedimento prolettico, ben noto anche in greco

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(ὃ… τοῦτο); al posto del pronome relativo troviamo infatti τὸ μέν, che rimane incoerente senza il correlativo δέ. Ormai netta è la preferenza di ἐπί su ἐν come traducente dello stativo latino in + abl., visibile anche qui in ἐπὶ τῆς Ἑλλάδος= in Graecia; da ultimo si avverte la necessità di aggiungere l’articolo τοὺς iniziale nella sequenza Ῥηγίνους πιστεύω ἢ τοὺς Λοκροὺς… Quid? Cum ceteri non modo post civitatem datam sed etiam post legem Papiam aliquo modo in eorum municipiorum tabulas irrepserint, hic qui ne utitur quidem illis in quibus est scriptus, quod semper se Heracliensem esse voluit, reicietur? Census nostros requiris [11] scilicet. Est enim obscurum proximis censoribus hunc cum clarissimo imperatore L. Lucullo apud exercitum fuisse, superioribus cum eodem quaestore fuisse in Asia, primis Iulio et Crasso nullam populi partem esse censam.

Τί; [31] Τῶν μὲν ἄλλων οὐ μόνον μετὰ τὸ τῆς πόλεως δοθέν, ἀλλὰ καὶ μετὰ τὸν νόμον τοῦ Παπίου, ἁμηγέπως ἐς τοὺς ἐκείνων τῶν πολιτῶν πίνακας παρερπυσάντων, οὗτος διὰ τὸ τοῖς ἐκείνοις μηδὲ μὲν χρῆσθαι, ἐν οἷς προσεγράφθη, ὅτι πάντα τὸν χρόνον Ἡράκλειος εἶναι ἐβουλήθη, ἀποδοκιμασθήσεται; Ἀναγραφὰς τὰς ἡμετέρας ἀναζητεῖς, δηλαδή. Ἔστι γὰρ μαυρόν, τοῖς μὲν ἐγγυτάτοις τιμηταῖς, τοῦτον μετὰ τοῦ φανερωτάτου τοῦ στρατηγοῦ, Λυκίου Λευκόλλου, παρὰ τὸν στρατὸν γεγονέναι, τοῖς ἀνωτέροις δέ, μετὰ τοῦ αὐτοῦ τοῦ ταμίου γεγονέναι ἐπὶ τῆς Ἀσίας, τοῖς δὲ πρώτοις, τῷ Ἰουλίῳ καὶ τῷ Κράσσῳ, οὐδὲν τὸ τοῦ λαοῦ μέος ἀπογραφθῆναι.

Gr. μετὰ τὸ τῆς πόλεως δοθέν costituisce un esempio di calco poco riuscito del costrutto con participio attributivo lat. post civitatem datam “dopo che fu concessa la cittadinanza” in cui si osserva la volontà di piegare la lingua greca alle strutture latine. Per quanto concerne l’avverbio ἁμηγέπως, il TGL (s.v.) riporta:  «ἁμῆγε, Hesych. expl. ἁμηγέπως (codd. ἁμηγέτως)». Il nostro ἀμηγέπως sarebbe documentato in una glossa esichiana considerata varia lectio. L’avverbio, composto dal pronome ἁμός (o ἀμός)= τις + particella γε + πως “in qualche modo”, è però attestato anche in altre molteplici varianti: ἁμηγέπῃ o ἁμηγέπη, che può trovarsi anche in forma separata ἁμῇ γε πῇ o ἁμῆ γε πῆ (Plat., Soph. 259d 3); ἁμηγέπου è riportato invece in uno scolio aristofaneo (Αr., Ach. 608), e la Suda327 elenca in ordine: ἀμῃγέπῃ, ἀμωσγέπως, ἀμουγέπου, ἀμοιγέποι, ἀμωσγέποι. La lezione ἁμωσγέπως con aspirazione è invece segnalata dall’Etymologicum Gudianum328,

3 27 Suidae Lexicon, ex recensione I. Bekkeri, Berolini 1854, p. 77, s.v. 328 Etymologicum Graecae linguae Gudianum, ed. F.G Sturzius, Lipsiae 1818, p. 50, s.v. αμωσγεπως.

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nella cui glossa possiamo leggere: «οἱ δέ φασιν ἀμιγέπως» “altri dicono ἀμιγέπως”, dove scorgiamo naturalmente la grafia fonetica di ι per η del suddetto ἀμηγέπως. A  differenza degli autori classici, in cui è molto rara, nella tradizione lessicografica greco-latina l’avverbio risulta ben presente e costituisce il traducente più frequente di lat. aliquo modo, quodammodo, quadamtenus. La relativa latina hic, qui ne utitur quidem illis “costui, che nemmeno si serve di quelli (scil. i registri)”= oὗτος, διὰ τὸ… ἐκείνοις μηδὲ χρῆσθαι figura in greco con infinito sostantivato preceduto da preposizione, formando una frase causale di tipo implicito. Da rilevare è anche l’impiego superfluo dell’articolo τοῖς prima del pronome ἐκείνοις. La discrepanza tra lat. municipiorum “dei municipi” e gr. πολιτῶν “dei cittadini” è imputabile ad un errore tipografico, dal momento che in una copia manoscritta le parole πολιτῶν e πόλεων sono graficamente simili. Altrove municipium è tradotto correttamente con πόλις (cfr. 28,13). Il congiuntivo perf. irrepserint che troviamo attestato in questa stampa risale a una correzione contenuta nell’edizione aldina (1519), rispetto alla forma generalmente accettata di indicativo perfetto irrepserunt. L’Arpinate esprime ancora in modo antifrastico i propri dubbi sulla reità del suo cliente. Il passo è: est enim obscurum… censam “è certo un mistero che costui sotto gli ultimi censori si trovasse presso l’esercito con l’illustrissimo comandante Lucio Lucullo; che al tempo dei precedenti (censori), sia stato con il medesimo Lucullo… e che quand’erano in carica i primi (censori)… non fu condotto alcun censimento”= ἔστι γὰρ μαυρὸν… ἀπογραφθῆναι. Vi compare una serie di ablativi assoluti, in ordine: proximis censoribus, superioribus e primis Iulio et Crasso, che presentano tutti l’ellissi del verbo sum. Ciò potrebbe renderli di non immediata comprensione; il traduttore deve averli infatti scambiati per dei dativi di termine, forse indotto dal costrutto est obscurum che li precede, intedendo “è infatti ignoto agli ultimi censori che costui si trovò presso l’esercito… e ai superiori (è ignoto) che con il medesimo questore sia stato in Asia, e ai primi censori (è ignoto) che non ci fu alcun censimento della popolazione”, che è quanto si legge in greco. Questo mina la comprensibilità del passo ciceroniano, il cui intento è di dimostrare che l’imputato non poteva essere iscritto nelle liste dei censimenti della città di Roma, in quanto si trovava lontano dall’Urbe al seguito di Lucio Lucullo, quando tali censimenti venivano effettuati. Usando la regressione temporale, l’oratore ci informa che Archia si trovava in Asia all’epoca della guerra mitridatica sotto la censura di Lucio Gellio Poplicola e Gneo Lentulo nel 70 a.C.; sempre in Asia sotto la censura di Lucio Marcio Filippo e Marco Perperna nell’86 a.C; e infine che sotto i primi censori dall’entrata in vigore della lex Iulia nell’89 a.C. (che nell’89 furono Lucio Giulio

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Cesare e Publio Licinio Crasso) non vi fu nessun censimento; tutti estremi temporali, questi, con la funzione di avvalorare l’argomentazione dell’oratore. A  fronte di ciò, il testo d’arrivo non mantiene a dovere la regressione temporale espressa dagli aggettivi proximis, superioribus, primis (scil. censoribus), la traduzione impiega infatti le seguenti soluzioni:  ἐγγυτάτοις, ἀνωτέροις, πρώτοις. Si tratta, per le prime due, di rese estremamente letterali. L’aggettivo greco ἐγγύτατος, superlativo di ἐγγύς= prope, indica prossimità spaziale e approssimazione, solo secondariamente temporale e mai al superlativo (Il. 22,453; Xen., Cyr. 2,3,2); ἀνώτερος, intensivo formato a partire dall’avverbio ἄνω  =  supra e corrispettivo di lat. superior, non condivide tuttavia con esso l’idea di anteriorità (nel senso di “precedentemente” è usato per indicare i passi precedenti nei libri, cfr. Polyb. 3,1,1). L’anteriorità è invece espressa in greco, per esempio, tramite l’avverbio πρόσθεν (cfr. Il. 7,325; Xen., Anab. 5,4,18). Per la predilezione di ἐπί rispetto a ἐν in ἐπὶ τῆς Ἀσίας= in Asia, v. supra. Si noti infine che il sintagma τοῦ φανερωτάτου τοῦ στρατηγοῦ richiederebbe l’omissione del secondo τοῦ. Concludiamo questa parte analitica rilevando che in nullam populi partem “(lett.) alcuna parte della popolazione”= οὐδὲν τὸ λαοῦ μέρος l’articolo dopo l’indefinito negativo οὐδὲν è superfluo, come anche il secondo τοῦ in μετὰ τοῦ φανερωτάτου τοῦ στρατηγοῦ= cum clarissimo imperatore “con l’illustrissimo comandante”. Sed quoniam census non ius civitatis confirmat ac tantum modo indicat eum qui sit census, ita se iam tum gessisse pro cive iis temporibus (quae tu criminaris, ne ipsius quidem iudicio eum in civium Romanorum iure esse versatum) et testamentum saepe fecit nostris legibus et adiit hereditates civium Romanorum, et in beneficiis ad aerarium delatus est a L. Lucullo praetore et consule. [6] Quaere argumenta, si qua potes, numquam enim hic neque suo neque amicorum iudicio revincetur.

Ἐειδὴ δὲ ἡ ἀπογρα[32]φή οὐ τὸ δίκαιον τῆς πόλεως ἐπιρρώννυσι, τοῦτο δὲ μόνον ἐπιδείκνυσι τὸν ἀπογραφθέντα, οὕτως ἤδη τότε πεπολιτευκέναι, τούτους τοὺς χρόνους (τοὺς ὑπὸ σοῦ διαβληθέντας, μηδὲ τοῦ αὐτοῦ κρίσει ἐν τῷ τῶν πολιτῶν τῶν Ῥωμαίων δικαίῳ διατριψάμενον) καὶ διαθήκην πολλάκις ἐποιήσατο κατὰ τοὺς ἡμετέρους νόμους, καὶ ἐπορεύσατο εἰς τὴν κληρονομίαν τῶν πολιτῶν τῶν Ῥωμαίων, καὶ ἐν ταῖς εὐεργεσίαις εἰς τὸν θησαυρὸν εἰσηνέχθη τοῦ Λυκίου Λευκόλλου ἐπάρχοντός τε καὶ ὑπατεύοντος. Μάστευσον τὰ ἐπιχειρήματα, εἴ τινα δύνῃ· οὐδέποτε γὰρ οὗτος οὔτε τῇ τοῦ ἑαυτοῦ οὔτε τῇ τῶν φίλων κρίσει ἀνασκευασθήσεται.

Lat. confirmo nel significato di “ratificare, approvare” corrisponde in greco a verbi come βεβαιόω (Lys. 6,29), κρατύνω (Thuc. 3,82,6), mentre ἐπιρρώννυμι “dare forza, rafforzare” tocca soltanto parzialmente la sfera semantica del verbo

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latino, il che porta a ritenere che anche questo elemento dipenda da un glossario329. L’errore ortografico ἐπιδύκνεισι per ἐπιδείκνυσι= indicat merita d’essere menzionato in quanto evidenzia lo scambio tra il dittongo ει e la vocale υ per identica pronuncia. La traduzione greca del passo τούτους τοὺς χρόνους (τοὺς ὑπὸ σοῦ διαβληθέντας, μηδὲ τοῦ αὐτοῦ κρίσει ἐν τῷ τῶν πολιτῶν τῶν Ῥωμαίων δικαίῳ διατριψάμενον) suona così:  “in questi tempi che tu condanni (da te condannati), (egli?) nemmeno a suo giudizio si trovava nel diritto dei cittadini romani”. Osserviamo immediatamente che il testo su cui si basa la nostra traduzione iis temporibus (quae tu criminaris, ne ipsius quidem iudicio eum in civium Romanorum iure esse versatum) differisce da quello scelto e curato nelle moderne edizioni. L’assenza di un soggetto esplicitato all’interno della proposizione infinitiva retta da criminaris, deve aver portato il redattore del nostro testo (o di un suo apografo), a fini di chiarezza, ad aggiungere arbitrariamente il pronome eum “egli”, che infatti non appare in nessun ramo della tradizione testuale. La correzione quem è infatti una felice proposta ope ingenii del filologo ravennate Gaspare Garatoni330, mentre tutti i codici, compresa la nostra stampa, riportano unanimemente quae. Altri problemi morfosintattici del passo riguardano τοῦ αὐτοῦ κρίσει “nel giudizio del medesimo”, che fallisce nel rendere ipsius… iudicio “(nemmeno) nel suo proprio giudizio (scil. di Archia)”, e un’inesattezza del tipo già precedentemente incontrato nell’espressione temporale gr. τούτους τοὺς χρόνους= iis temporibus331. Tra i principali significati di lat. versor abbiamo “trovarsi in un luogo, godere di qualcosa, prendere parte”. Nel nostro caso, eum in civium Romanorum iure esse versatum, ha a che fare con la fruizione dei diritti dei cittadini romani dei quali, secondo l’accusa, Archia non godeva; pertanto nel passaggio il significato dell’espressione è “trovarsi nel diritto dei Romani”, ossia “usufruire dei diritti dei cittadini romani”. Di fronte a questo, il gr. διατρίβω, che al m.-p. vale “occuparsi di qualcosa, passare il tempo”, non rende pienamente la locuzione latina e sembra cogliere piuttosto il traducente inadatto, tra quelli offerti da un glossario, del lemma versor. La frase delatus est a L.  Lucullo = εἰσηνέχθη τοῦ Λυκίου Λευκούλλου “fu segnalato (all’erario) da Lucio Lucullo” difetta di una preposizione come ὑπό che accompagni il genitivo d’agente τοῦ Λυκίου Λευκούλλου; oltre a ciò, nella corrispondenza formale delatus est = εἰσηνέχθη rileviamo una minima imprecisione lesssicale:  defero nel senso di “riferire informazioni” non è immediatamente 3 29 Cfr. C. Gesner, Lexicon, cit. s.v. 330 H. Kasten, Oratio pro Archia poeta, cit., p. 39. 331 N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 236, 307.

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espresso da gr. εἰσφέρω “immettere” (cfr. Xen., Anab. 3,1,8 che usa il passivo di συνίστημι “raccomandare, segnalare”). I due termini ἐπιχείρημα “prova, dimostrazione logica” (cfr. Arist., Top. 162a 16; Plut., Quaest. conv. 701f 5) e ἀνασκευάζω “demolire (un argomento)” (cfr. Arist., An. pr. 43a 2; Diog. Laert. 3,48), che appartengono al lessico retorico332, sono qui impiegati in un contesto forense. Da ultimo vanno segnalati l’uso improprio dell’articolo e del pronome riflessivo in τῇ τοῦ ἑαυτοῦ ... κρίσει. [12] Quaeres a nobis, Gracche, cur tantopere hoc homine delectemur. Quia suppeditat nobis ubi et animus ex hoc forensi strepitu reficiatur et aures convicio defessae conquiescant. An tu existimas aut suppetere nobis posse quod quotidie dicamus in tanta varietate rerum, nisi animos nostros doctrina excolamus, aut ferre animos tantam posse contentionem, nisi eos doctrina eadem relaxemus? Ego vero fateor me his studiis esse deditum.

Ἐρσῃ παρ’ ἡμῖν, ὦ Γράχε, [33] τίνος ἕνεκα οὕτω σφόδρα τουτῳὶ τῷ ἀνθρώπῳ τερπόμεθα; ὅτι χορηγεῖ ἡμῖν, ὅπου καὶ ὁ θυμὸς ἐκ ταύτης ἀγοραίου τῆς κυκήθρας ἀναπαύσεσθαι καὶ τὰ ὦτα τὰ πρὸς τὰς λοιδορίας κεκμηκότα ἡσυχάζειν. Οἴει σὺ ἢ ἂν ἐξαρκεῖν ἡμῖν τὸ καθ’ ἑκάστην ῥητορεύειν ἐπὶ τοσαύτῃ τῶν πραγμάτων τῇ ποικιλίᾳ, ἐὰν μὴ τὰς ψυχὰς ἡμῶν τῇ παιδείᾳ διασκήσαντας; Ἢ ἂν φέρειν τοὺς θυμοὺς τοσαύτην φιλονεικίαν, εἰ μὴ ἐκείνους παιδείᾳ τῇ αὐτῇ χαλασθέντας; Ἐγὼ δὲ κατεξομολογοῦμαι ταύταις ταῖς σπουδαῖς ἐμὲ ὀφείλειν.

A 32,35 il testo greco è parzialmente guasto e la parola da leggervi è presumibilmente ἐρήσῃ, 2a pers. sing. del futuro di εἴρομαι, corrispondente a lat. quaeres “chiederai”. La corrispondenza strepitus = κύκηθρα “tumulto” merita un cenno. Il lemma greco è infatti molto raro ed è riportato da Esichio («κύκηθρα˙ ταραχή») e dalla Suda («κύκηθρα˙ ταραχή, συμφορά, σκυθροπώτης»)333, nonché dai più noti lessici rinascimentali (v. cap. 3.). In gr. οὕπου è evidentemente da leggersi ὅπου “dove” = ubi; il passo è ad ogni modo sintatticamente problematico: (scil. ars) suppeditat nobis ubi… reficiatur “l’arte ci fornisce un luogo dove rifocillarci”= ὅπου… ἀναπαύεσθαι… ἡσυχάζειν. Come si vede, l’interrogativa indiretta latina composta da due congiuntivi è restituita impropriamente con due infiniti greci. Di seguito compaiono ulteriori difficoltà con le le due proposizioni suppositive introdotte da nisi: nisi animos nostros doctrina excolamus… nisi eos doctrina eadem relaxemus “se non coltiviamo gli animi con gli studi… e se con questi stessi studi non li distendiamo” = ἐὰν μὴ τὰς ψυχὰς ..  διασκήσαντας … εἰ μὴ ἐκείνους… χαλασθέντας. Nella versione greca esse presentano ciascuna un 3 32 Cfr. ἀνασκευή “confutazione”, B. Awianowicz, Progymnasmata, cit., pp. 58 ss. 333 Suda, p. 632 s.v.; Hesychii, cit., p. 934,8.

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participio all’accusativo, che rimane avulso dalla struttura del periodo; constatiamo quindi che anche in questo caso il traduttore mostra un certo imbarazzo nella resa dei congiuntivi all’interno delle subordinate, a cui cerca nuovamente di fare fronte mediante l’uso ingiustificato del participio. In questo punto comincia la celebre digressio sul ruolo del poeta e della poesia nella società e nella storia; Cicerone ‘confessa’ (fateor) di rivolgersi alle letture greche:  la voce κατεξομολογέομαι non è attestata in nessun lessico, probabilmente l’autore della versione aveva in mente ἐξομολογέομαι, che corrisponde proprio a lat. fateor, confiteor. Il medesimo vocabolo nella versione compare a 11,27 = 54,19 per lat. confitebor. A tali studi l’oratore rivela di esservi addirittura ‘dedito’, usando appunto l’aggettivo deditus “reso, consegnato”; è lecito credere che l’interprete abbia invece letto debitum nel testo originale ed abbia di conseguenza reso il termine erroneamente con gr. ὀφείλω “dovere, esser debitore”. Ceteros pudeat, si qui ita se litteris abdiderunt ut nihil possint ex his neque ad communem afferre fructum neque in adspectum lucemque proferre. Me autem quid pudeat, qui tot annos ita vivo, iudices, ut ab illis nullo me umquam tempore aut commodum aut otium meum abstraxerit aut voluptas avocarit aut denique somnus retardarit?

Οἱ δὲ ἄλλοι αἰσχυνθείησαν, εἴ τινες οὕτω ἑαυτοὺς ταῖς διατριβαῖς ἀπεκάλυψαν, ὡς ἂν οὐδὲν δυνή[34]σαιντο ἐξ αὐτῶν μηδὲ πρὸς κοινὸν προσφέρειν τὸν καρπόν, μηδὲ πρὸς ὄψιν καὶ τὸ φῶς εἰσενεγκεῖν. Ἐμὲ δὲ τί ἂν αἰσχύνηται, εἰ τοσαῦτα ἔτη οὕτως διεβίων, ὦ κριταί, ἵνα παρ’ αὐτὸν οὐδένα ποτὲ τὸν χρόνον, ἢ τὸ ἕρμαιον, ἢ ἡ σχολή μου κατασύρειεν ἂν, ἢ ἀφελκύσειεν ἡ ἡδονὴ, ἢ τὸ τελευταῖον ὁ ὕπνος μελλήσειεν;

In lat. si qui ita se litteris abdiderunt = εἴ τινες οὕτω ἑαυτοὺς ταῖς διατριβαῖς ἀπεκάλυψαν il difensore nomina nel passo coloro che, al contrario di lui, se abdiderunt, ossia si sono immersi sterilmente (letteralmente “si sono nascosti”) negli studi ellenici, e impiega abdo “nascondere”; la presenza del verbo ἀποκαλύπτω nella versione, che ha il significato contrario di “svelare, rivelare”, lascia supporre che il traduttore lo abbia confuso con il foneticamente simile ἀποκρύπτω che infatti vale “nascondere”, “occultare”. Appare poi interessante la variazione gr. διατριβή “insegnamento, disciplina” (cfr. Plat. Lys. 204; Leg. 802c) per lat. litterae “studi letterari”, uniformemente tradotto con γράμματα nel resto dell’orazione (v. 2,3 = 21,4; 3,5 = 24,12 ecc.). Διατριβή designa infatti la disputa, la disquisizione filosofica, nonché l’occupazione e la ricerca, che può avere carattere letterario334. La posizione 334 P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, vol. 1, Paris 1968, p. 1137.

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dell’articolo mette in luce ancora la ben nota incertezza fra attributo e predicato in πρὸς κοινὸν… τὸν καρπόν, che dovrebbe invece essere πρὸς τὸν κοινὸν… τὸν καρπόν= ad communem… fructum. Il frammento me autem quid pudeat… retardarit, in cui l’oratore dichiara che gli studi e la tranquillità mai gli impedirono di soccorrere gli amici in difficoltà, è frutto di una ristrutturazione. La moderna critica accoglie infatti ut a nullius umquam me tempore aut commodo “(io vivo in modo tale) che mai il riposo mi ha distratto, né il piacere allontanato, né il sonno trattenuto dalla situazione difficile o dagli interessi di qualcuno”. La lezione ab illis nullo me umquam tempore non trova testimonianza in nessun codice della trasmissione manoscritta, e lo stesso vale per commodum, invece del tramandato commodo. Non è irragionevole ipotizzare che il traduttore abbia adattato il testo, forse corrotto in quel punto, alle proprie esigenze, oppure che il guasto si trovasse già sulla fonte utilizzata per la traduzione. Notiamo che la proposizione consecutiva latina, preceduta dagli avverbi tot e ita, non è stata compresa dall’interprete, il quale infatti traduce ut consecutivo con ἵνα, tipica congiunzione finale; agli ottativi greci è incomprensibilmente aggiunta la particella greca ἄν esprimente possibilità. La traduzione del passo greco suona così: “… se tanti anni così vissi, affinché mai in nessun tempo o l’interesse o il riposo mi potesse allontanare, o il piacere distogliere, o infine il sonno trattenere”. Va precisata un’altra questione lessicale. Lat. abstraho “distogliere”, usato nel significato astratto di “distrarre da un’occupazione”, non pare adeguatamente reso nel testo di arrivo, nel quale si è ricorso al verbo κατασύρω “tirare giù, devastare”; il lessema utilizzato pare essere stato ricavato da un altro composto di lat. traho = σύρω, come detraho “tirare verso il basso”, “tirare giù”. Il seguente ottativo ἀφελκήσειεν deve essere emendato in ἀφελκύσειεν, imprecisione occorsa in seguito a uniformazione della pronuncia υ/η. In οὐδένα…τὸν χρόνον= nullo tempore, l’articolo è sovrabbondante; mentre nell’equivalenza commodum “guadagno” = ἕρμαιον, il termine greco traspone il significato di quello latino in una sua peculiare sfumatura, diversa da quella più generale espressa con gr. ὄφελος. Con ἕρμαιον, sostantivo neutro derivante dall’aggettivo ἑρμαῖος (< Ἑρμῆς) “di Ermes”, si indica infatti un singolare tipo di interesse, ovvero un guadagno acquisito per caso, quindi un “colpo di fortuna” ottenuto grazie alla divinità tradizionalmente legata all’espediente335.

335 Cfr. P. Chantraine, Dictionnaire, cit., p. 374.

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[13] Quare quis tandem me reprehendat, aut quis mihi iure succenseat, si, quantum ceteris ad suas res obeundas, quantum ad festos dies ludorum celebrandos, quantum ad alias voluptates et ad ipsam requiem animi et corporis conceditur temporis, quantum alii tribuunt intempestivis conviviis, quantum denique aleae, quantum pilae, tantum mihi egomet ad haec studia recolenda sumpsero? Atque hoc eo mihi concedendum est magis quod ex his studiis haec quoque crescit oratio et facultas quae, quantacumque in me est, numquam amicorum periculis defuit.

Τίς οὖν δὴ μέμφεσθαί μοι ἢ τίς μοι δικαίως ἀγανακτεῖν, ἢν, ὅσον τοῖς ἄλλοις ἐπὶ τὸ σφῶν τὰ πράγματα διατελεῖν, ὅσον γε ἐπὶ τὸ τὰς ἑορταστικὰς τῶν παιγμάτων τὰς ἡμέρας γεραίρειν, ὅσον ὡς τὰς ἄλλας τὰς ἡδονὰς καὶ τὴν αὐτὴν ἀνάπαυσιν τῆς ψυχῆς τε καὶ σώματος ὑφίεται τοῦ καιροῦ, ὅσον ἄλλοι [35] μὲν νέμουσι ταῖς εὐκαίροις συνεστίαις, ὅσον τέλος τῷ κύβῳ, ὅσον δὲ τῇ σφαίρᾳ, τοσοῦτον μοι ἐγαυτὸς ἐπὶ τὸ ἀναμιμνήσκειν ταύτας τὰς σπουδὰς εἰληφὼς γίγνομαι; Καὶ δὴ καὶ τοῦτό μοι συγχωρητέα μᾶλλον, ὅτι ἐκ τούτων τῶν σπουδῶν καὶ οὗτος αὐξάνεται ὁ λόγος τε καὶ ἡ δύναμις ἥπερ, ὁποία τις οὖν ἐν ἐμοὶ οὖσα τυγχάνει, οὐ πώποτε πρὸς οὐδὲν τοῖς τῶν φίλων κινδύνοις ἐνεδέησεν.

Lat. quare “per questo motivo” riecheggia nella versione in οὖν δή “dunque, ebbene”. Ritroviamo anomalie sintattiche:  ai due congiuntivi potenziali latini reprehendat… succenseat “(chi mi) potrebbe biasimare… o essere (con me) in collera…?” corrispondono in greco due infiniti μέμφεσθαί… ἀγανακτεῖν, come se pendessero da una forma modale del tipo ἂν δύναιτο “potrebbe”, che tuttavia non compare nel testo. Dei tre passi seguenti, due necessitano di una lieve modifica per essere meglio compresi: ad suas res obeundas “per curare i propri affari”= ἐπὶ τὸ σφῶν τὰ πράγματα διατελεῖν > ἐπὶ τὸ τὰ σφῶν πράγματα διατελεῖν; ad festos dies ludorum celebrandos “per celebrare i giorni dei giochi”= ἐπὶ τὸ τὰς ἑορταστικὰς τῶν παιγμάτων τὰς ἡμέρας γεραίρειν > ἐπὶ τὸ τὰς τῶν παιγμάτων ἑορταστικὰς τὰς ἡμέρας γεραίρειν; ad haec studia recolenda “per riprendere questi studi”= ἐπὶ τὸ ἀναμιμνήσκεσθαι ταύτας τὰς σπουδάς. Le tre subordinate mostrano un uso insolito del costrutto greco ἐπί + accusativo. In tutti i casi siamo davanti a proposizioni finali latine implicite espresse mediante ad + accusativo del gerundivo. La costruzione è quindi calcata meccanicamente in greco tramite un simile costrutto preposizionale, che sostituisce il gerundivo con l’infinito sostantivato e preposizionato. Anche la traduzione di lat. ludi “giochi” è definibile ad verbum. Viene qui svolto un paragone fra coloro che usufruiscono del proprio tempo libero, ad esempio per partecipare ai giochi pubblici che erano istituiti a Roma nei giorni festivi, e l’Arpinate, che invece ama passare il suo tempo in compagnia dei libri. Se dunque i ludi afferivano alla sfera pubblica, il traducente greco παῖγμα “gioco, canto” (Eur. Bacch. 161)  non può prestarsi a una trasposizione idonea

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dell’originale latino, poiché referenziale di un tipo di ricreazione privata. Per una più opportuna resa del concetto, si vedano ἀγών (Cass. Dio 51,22,4; Thuc. 3,104,3); ἑορτάζω “celebrare feste” (Cass. Dio 48,34,3). Anche la traduzione ὡς τὴν αὐτὴν ἀνάπαυσιν è visibilmente inidonea non solo per la incomprensione di ipse in lat. ad ipsam requiem “al riposo stesso”, ma anche per l’uso della preposizione ὡς336 invece dell’appena impiegata ἐπί. Intempestivis che troviamo di seguito è incongruo con la lezione universalmente tradita tempestivis, e può essersi generata in fase di stampa. L’aggettivo tempestivis si trova infatti preceduto da tribuunt, una parola terminante in -nt: la sequenza tribuunt tempestivis potrebbe facilmente aver dato adito all’intrusione del prefisso in-. Se optiamo dunque per ritenere tempestivis la sorgente del passo greco, la scelta dell’aggettivo εὔκαιρος può rivelare una personale interpretazione del passo ciceroniano, quindi non banchetti “che durano fino a tardi”, ma “che avvengono in tempi opportuni”337, come le attività ludiche e le festività elencate da Cicerone, che costituivano parte integrante dell’esistenza di un civis romano. La traduzione greca εὐκαίροις “opportuni” segue tempestivis ed è dunque indipendente dal testo latino a fronte. Il pronome greco rafforzato corrispondente a lat. egomet è generalmente ἔγωγε, ed è considerato un tratto della lingua attica338. La formazione ἐγαυτός, composta da ἐγώ + αὐτός non è testimoniata se non assai sporadicamente, come in Apollonio Discolo (pron. 145c), dove il grammatico alessandrino riflette sulla correttezza del pronome fittizio ἐμ-αυτός, affermando che, al pari di ἐγ-αυτός, tali forme non sono grammaticalmente ammissibili, giacché composte da elementi declinati in casi opposti (acc. + nom.)339. In gr. εἰληφὼς γίγνομαι davanti a lat. sumpsero, si riconosce il tentativo di creare una forma perifrastica a fronte del futuro anteriore latino (cfr. il fut. perf. εἰληφὼς ἔσται τιμωρίαν “avrà preso vendetta” Lib. 19,44,7). Torniamo poi a notare la presenza di τυγχάνω con participio predicativo in ἡ δύναμις, ἥπερ, ὁποία τις οὖν ἐν ἐμοὶ οὖσα τυγχάνει…= facultas quae, quantacumque in me est… “la forza che, per quanta che si trovi ad essere in me…”;

336 Ὡς assume solitamente una funzione allativa quando l’oggetto è costituito da una persona, cfr. LSJ s.v. C, 3. 337 Con questo significato in G. Knapius, Thesaurus, cit., s.v. 338 J. Crastonus, Lexicon, cit., s.v.: «ego lingua Attica». 339 Il medesimo argomento si legge anche in H. Stephanus, Glossaria duo, Genevae 1573, p. 107.

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infine, si apprezzi la combinazione di particelle340 καὶ δὴ καί “e infatti” per lat. atque, e l’espressione πρὸς οὐδέν “per nulla”, un’aggiunta del testo greco senza riscontro nell’originale, forse con lo scopo di soddisfare un’esigenza di chiarezza dell’interprete. Quae si cui levior videtur, illa quidem certe quae summa sunt ex quo fonte hauriam sentio. [14] Nam nisi multorum praeceptis multisque litteris mihi ab adolescentia suasissem nihil esse in vita magno opere expetendum, nisi laudem atque honestatem, in ea autem persequenda omnis cruciatus corporis, omnia pericula mortis atque exsilii parvi esse ducenda, numquam me pro salute vestra in tot ac tantas dimicationes atque in hos profligatorum hominum quotidianos impetus obiecissem.

Ἣ μὲν ἂν εἴ τινι λειοτέρα δοκεῖ, τἀκεῖνα δή, τὰ ἀκρότατα ἀφ᾽ ἧς τῆς πηγῆς ἀντλήσαιμι οἶδα. Εἰ μὴ γὰρ πολλῶν τε ταῖς ἐντολαῖς, καὶ πολλῶν τοῖς γράμμασι, ἐκ πρώτης τῆς ἡλικίας ἐπίσθην ἂν οὐδενὸς δεῖν ἐν τῷ βίῳ πάνυ ἐπιθυμεῖσθαι, πλὴν [36] τοῦ ἐπαίνου καὶ τοῦ καλοῦ, ἐπὶ δὲ τὸ ἐπιτυγχάνειν αὐτῷ, πάντα τὰ τιμωρήματα τοῦ σώματος, πάντας τοὺς κινδύνους τοῦ θανάτου καὶ τῆς ἐξορίας ἐξουδενοῦσθαι οὐ πώποτε ἂν ἐμὲ ὑπὲρ τοῦ διασῴζειν ὑμᾶς ἐπὶ τὰς μὲν τόσας καὶ τοσαύτας μάχας, τὰς δὲ διαφθαρέντων τῶν ἀνθρώπων τὰς καθημερινὰς ὁρμὰς προσβλήσειεν.

La particella ἄν, solitamente accompagnata dal congiuntivo, è ingiustificata nella frase ipotetica di 1° tipo ἣ μὲν ἂν εἴ τινι λειοτέρα δοκεῖ “e se essa sembra a qualcuno più levigata”. Notiamo altresì il calco sintattico del nesso relativo quae = ἥ. Gr. λειοτέρα “più liscia” a fronte di lat. levior “piuttosto leggera” non quadra: il traduttore è stato plausibilmente fuorviato dalla perdita di opposizione quantitativa ĕ/ē propria del latino postclassico e scolastico, che lo ha indotto a leggere, lēvior invece di lĕvior. Infatti gr. λειοτέρα è il grado intensivo di genere femminile dell’aggetivo λεῖος, corrispondente a lat. lēvis “liscio, levigato”; lĕvis invece equivale in greco a κοῦφος, ἔλαφρος. L’autore avrebbe tuttavia potuto rammentarsi di passi di argomento retorico, in cui l’aggettivo lēvis e il sostantivo lēvitas compaiono con il senso di “piano, scorrevole” detto di un discorso (Cic., Orat. 20; 110; De orat. 3,171). Registriamo l’omissione della frase relativa in gr. τἀκεῖνα δὴ, τὰ ἀκρότατα “quelle cose eccelse” rispetto a lat. illa quidem certe quae summa sunt “quelle cose che sono eccelse”. L’interrogativa indiretta (οἶδα) ἀφ’ ἧς τῆς πηγῆς ἀντλήσαιμι= (sentio) ex quo fonte hauriam “riconosco da quale fonte attingo (scil. quei principi)” presenta due problemi. Il primo riguarda l’uso dell’ottativo obliquo, qui non richiesto, dato

340 J.D. Denniston, The Greek particles, Oxford 1954, pp. 255–256.

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che il verbo della proposizione reggente è un tempo principale e richiederebbe il congiuntivo341; la seconda questione investe invece l’uso del pronome relativo ἧς come corrispettivo dell’aggetivo interrogativo quo, piuttosto infrequente342, e a cui il greco preferisce p.es. ὅστις, τίς, ὁποῖος (cfr. Xen. Anab. 2,2,10; Plat. Rep. 414d). Anche ἀντλήσαιμι è interessante: l’Arpinate si serve di una metafora per descrivere la fonte da cui trae i valori più alti (illa… quae summa sunt) e per farlo adotta il verbo haurio “attingere”, propriamente usato per l’azione di cavare, attingere l’acqua, ad esempio da un pozzo. In greco troviamo una resa precisa, che mantiene la stessa figura: gr. ἀντλέω ha difatti il primario significato di “togliere l’acqua dalla stiva, prosciugare” (< ἄντλος “sentina”)343. Più avanti il testo della versione riporta una sequenza leggermente diversa dal testo a fronte, πολλῶν τε ταῖς ἐντολαῖς, καὶ πολλῶν τοῖς γράμμασι,come se l’originale fosse multorum praeceptis multorumque litteris “grazie a i precetti di molti e alle opere di molti (autori)”, invece del comune multorum praeceptis multisque litteris. La lezione, non altrove leggibile, può far capo a una decisione del traduttore, al quale forse premeva la simmetria degli elementi. Di seguito il testo greco ha εἰ μή… ἐκ πρώτης τῆς ἡλικίας ἐπίσθην ἂν = nisi… mihi ab adulescentia suasissem “se non mi fossi convinto nell’adolescenza”, in cui colpisce subito l’errata posizione dell’articolo. Cicerone qui confessa che se non si fosse persuaso già fin dalla giovinezza che nella vita solo l’onore e la gloria sono desiderabili e si acquistano a prezzo di grandi fatiche, non si sarebbe certo esposto alle lotte quotidiane nel foro per far assolvere i clienti. La supposizione è svolta in latino con una proposizione ipotetica del 3° tipo, a cui spesso corrisponde in greco un 4° tipo (ipotesi irreale):  si è correttamente adoperato εἰ + tempo storico, sebbene l’inserimento della particella ἄν sia ingiustificato. Naturalmente la forma ἐπίσθην è da ristabilire in ἐπείσθην, aor. pass. ind. di πείθω, ennesimo segnale di lettura itacistica del dittongo ει. Qualche dubbio desta il dativo αὐτῷ di gr. ἐπιτυγχάνω nel passo in ea persequenda (scil. laudem atque honestatem) “nel cercare di raggiungerle” = ἐπὶ δὲ τὸ ἐπιτυγχάνειν αὐτῷ. Il verbo, traducente di lat. persequor, nel significato di “ottenere, conseguire” è attestato decisamente di più con genetivus rei; al dativo

3 41 N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 662. 342 E. Schwyzer-A. Debrunner, Griechische Grammatik, II Band: Syntax und syntaktische Stilistik, München 1950, p. 630. 343 Thgn. 673, Alc. 19 in TGL s.v., dove la coppia greco-latina ἀντλέω= haurio è testimoniata.

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invece compare nell’accezione “incontrare, imbattersi in qualcuno”344. Veniamo ora alla traduzione dell’intero frammento. La versione greca suona: “mi convinsi che tutti i pericoli sono disprezzati”, mentre il testo originale ha “mi convinsi che tutti i pericoli devono essere disprezzati”. È quindi evidente che manca nel passo la resa dell’idea di dovere espressa dalla perifrastica passiva latina parvi esse ducenda, alla quale l’autore oppone un semplice infinito ἐξουδενοῦσθαι; un simile approccio a questa struttura sintattica si è rilevato altre volte nel brano. Anche il lessema ἐξουδενοῦσθαι è piuttosto infrequente, infinito m.-p. di ἐξουδενόω “tenere in nessun conto, disprezzare”. La voce è postclassica e di attestazione biblica (p.es. LXX Iud. 9,38). Parrebbe trattarsi, come rilevato in precedenza, di un’altra infiltrazione lessicografica. Un corrispondente più vicino alla lingua greca classica dell’espressione parvi duco è rappresentato, per esempio, da ποιέομαι περὶ ὀλίγου o ποιεόμαι παρ’ ὀλίγον (cfr. Xen. Anab. 6,6,11; Isocr. Trap. 58). L’apodosi di 3° tipo me… obiecissem “mi sarei gettato” è maldestramente restituita in greco ἐμὲ … προβλήσειεν, dove è impiegato un ottativo sprovvisto della necessaria particella ἄν. Il testo τὰς δὲ διαφθαρέντων… ὁρμὰς è poi in questo punto da ridisporre come segue: τὰς δὲ τῶν διαφθαρέντων ἀνθρώπων καθημερινὰς ὁρμάς, eliminando il secondo τάς. Merita uno sguardo ἐμέ προβλήσειεν= me obiecissem, in cui risulta chiaro che si tratta di una forma errata al posto di una 1a pers. sing. qui richiesta e che me sarebbe dovuto essere reso con il riflessivo ἐμαυτόν. La lingua greca richiede in questo caso l’uso della diatesi media con valenza ‘riflessiva’, al posto di una soluzione letterale mediante una perifrasi. La forma προβλήσειεν è morfologicamente scorretta. L’intenzione del traduttore era con certezza di trarre una forma di ottativo aoristo sigmatico dalla voce προβάλλω, corrispettivo di lat. obicio (nel paradigma, il tema βλη- è del resto molto produttivo e può aver sviato il traduttore). La forma è pertanto da emendare in προβάλοιμι, ottativo aoristo forte 1ª pers. sing. Sed pleni omnes sunt libri, plenae sapientium voces, plena exemplorum vetustas; quae iacerent in tenebris omnia, nisi litterarum lumen accederet.

Ἀλλὰ μεσταὶ πᾶσαί εἰσι αἱ βίβλοι, μεσταὶ αἱ τῶν σοφῶν φωναί, μεστὴ τῶν παραδειγμάτων ἡ ἀρχαιολογία, ἅπερ ἔκειτο ἂν πάντα περὶ τὰ σκότη, ἐκτὸς τοῦ τῶν γραμμάτων τὸ σέλας μὴ ἐφάπτειν.

344 F. Montanari, GI. Vocabolario della lingua greca, Torino 1995, s.v.

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Per quel che riguarda βίβλοι ο l’alternativo βύβλοι (il termine serviva ad indicare dapprima la pianta Cyperus papyrus e successivamente il rotolo di papiro)345 la soluzione non è chiara: entrambe le forme sono usate dagli autori, ma si sa che quella originaria era βύβλος “ghirlanda di papiri”346, poi passata a βίβλος forse per assimilazione a -ι, come nella forma derivata βιβλίον “striscia della corteccia di papiro”347. Il termine βύβλος compare sporadicamente nelle opere del periodo classico e solo per indicare i libri di cui è composta un’opera; probabilmente si tratta di inserzioni di epoca seriore (Polyb. 4,87,12; Diod. S. 1,4). Per indicare il liber, nel significato di opera letteraria, è infatti decisamente preferito il diminutivo positivizzato βιβλίον. Interessante, a proposito, è la differenza fra le due forme argomentata nell’Etymologicum Magnum «βύβλιον λέγεται τὸ ἄγραφον… βιβλίον δὲ τὸ γεγραμμένον», “βύβλιον si dice di un libro senza scrittura… βιβλίον di un’opera scritta”348. Nelle stampe rinascimentali la forma continua a presentarsi nelle due varianti βίβλος βύβλος: il TGL (s.v. βίβλος), pur distinguendo semanticamente le due forme, asserisce la loro intercambiabilità. Si è tentati di classificare come un’impropria equivalenza lessicale ἀρχαιολογία= vetustas. Con lat. vetustas, infatti, Cicerone intende il lungo spazio temporale, cosparso di exempla di uomini straordinari conservati grazie alla letteratura che comprende anche l’antichità; perciò gr. ἀρχαιολογία “storia dell’antichità” si discosta leggermente dall’originale. È lecito a parer mio porre anche il presente caso fra i fenomeni lessicali legati all’utilizzo dei lessici e indici verbali, nei quali possiamo immaginare che i lemmi ἀρχαιολογία e ἀρχαιότης (che farebbe maggiormente al caso nostro) potessero comparire in posizione contigua. Ciononostante, la scelta si rivela in un certo senso pregevole, poiché è proprio nel patrimonio della storia antica, intesa però come storiografia greca e latina, che è da ricercare quel repertorio di exempla di cui parla l’Arpinate, e che fornisce ispirazione ai contemporanei. In quae iacerent in tenebris omnia, nisi litterarum lumen accederet “(esempi) che ora giacerebbero nell’oblio, se la luce delle lettere non vi si avvicinasse”= ἅπερ ἔκειτο ἂν πάντα περὶ τὰ σκότη, ἐκτὸς τοῦ τῶν γραμμάτων τὸ σέλας μὴ ἐφάπτειν “che giacerebbero attorno alle tenebre (?), a meno che la letteratura non recasse loro la luce” riscontriamo di nuovo la preferenza del filelleno accordata alle frasi implicite greche nella resa di subordinate latine. La proposizione ipotetica di 2°

3 45 P. Chantraine, Dictionnaire, cit., pp. 200–201. 346 R. Devréesse, Introduction à l’étude des manuscrits grecs, Paris 1954, p. 59. 347 P. Chantraine, Dictionnaire, cit., pp. 200–201. 348 Etymologicum Magnum, ed. F. Sylburgius, Lipsiae 1816, p. 197.

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tipo nisi… accederet viene infatti restituita in greco con un costrutto infinitivale preposizionato, formato da ἐκτός “fuori, a meno che, senza che”349 con infinito sostantivato τὸ μὴ ἐφάπτειν (cfr. Heliod. 5,1,4); esso può essere considerato una frase infinitiva sostantivata avente il soggetto all’accusativo (τὸ σέλας) e il verbo all’infinito “senza che la letteratura le toccasse”. Quanto a in tenebris = περὶ τὰ σκότη “intorno all’oscurità”, la funzione stativa che in latino è rappresentata da in + ablativo, viene espressa atipicamente con περί nel passo greco. L’accusativo accompagnato da una preposizione locativa, com’è risaputo, evoca infatti necessariamente un movimento350. La stessa preposizione περί in questa sede non soddisfa il valore semantico di in, quanto lo farebbe la preposizione ἐν: ben attestato negli autori classici è la locuzione ἐν τῷ σκότει (Hdt. 2,121; Thuc. 8,42,1; Xen. Anab. 7,2,18) Sull’uso delle preposizioni, soprattutto locative, nel nostro testo abbiamo del resto già osservato incertezze. Quam multas nobis imagines non solum ad intuendum, verum etiam ad imitandum fortissimorum virorum expressas scriptores et Graeci et Latini reliquerunt! Quas ego mihi semper in administranda republica proponens, animum et mentem meam ipsa cogitatione hominum excellentium conformabam.

Ὡς πολλὰς ἡμῖν τὰς εἰκόνας, οὐ μόνον πρὸς τὸ θεᾶν, ἀλλὰ δὴ καὶ πρὸς τὸ μιμεῖσθαι τῶν ἰσχυρωτάτων ἀνθρώπων ἀπεικασμέ[37] νας, οἱ γραφεῖς Ἕλληνές τε καὶ οἱ Ῥωμαῖοι κατειλήφασι. Ἃς ἔγωγέ μοι ἀεὶ ἐν τῷ κυβερνᾶσθαι τὴν πολιτείαν προβαλλόμενος, τὴν τε ψυχὴν καὶ νοῦν μου μόνῃ τῇ διανοίᾳ ἀνθρώπων τῶν ἐξόχων ἐσχημάτιζον.

Nel testo greco le proposizioni finali implicite: (scil. εἰκόνας) οὐ μόνον πρὸς τὸ θεᾶν, ἀλλὰ δὴ καὶ πρὸς τὸ μιμεῖσθαι= (scil. imagines) non solum ad intuendum verum etiam ad imitandum, sono nuovamente ricalcate sulla sintassi latina (ad + gerundio) mediante πρός unito all’infinito sostantivato (v. altri casi supra); per gr. εἰκόνας l’articolo τάς non è richiesto, trovandosi in un’espressione esclamativa caratterizzata da indefinitezza ὡς πολλὰς τὰς εἰκόνας “quante immagini…!”. Per il verbo θεάομαι alla forma attiva θεάω v. supra351.

3 49 Cfr. Basile, Sintassi storica, cit., pp. 556–565. 350 A. Traina-T. Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, Bologna 1988, p. 48. 351 TGL, s.v. Appare tuttavia in Etym. Magn. l,22; Etym. Symeonis 1,50,28 (Etymologicum magnum genuinum, Symeonis etymologicum una cum Magna grammatica, Etymologicum magnum auctum, ed. F. Lasserre–N. Livadaras, Romae et Athenis 1978).

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Gr. κατειλήφασι “hanno preso” non può corrispondere a lat. reliquerunt “hanno lasciato”. Sospetto che il traduttore abbia confuso il verbo καταλαμβάνω “prendere” con καταλείπω “lasciare”, il cui perfetto καταλελοίπασι è l’emendamento da proporre. La frase successiva comincia con un nesso relativo ἅς= quas, calco occorso poco sopra, mentre gr. μόνῃ τῇ διανοίᾳ dipende probabilmente da una svista, che ha indotto il traduttore a leggere sola cogitatione invece che ipsa cogitatione, oppure da un’altra fonte ignota. [7  15] Quaeret quispiam:  “Quid? Illi ipsi summi viri quorum virtutes litteris proditae sunt istane doctrina quam tu laudibus effers eruditi fuerunt?”. Difficile est hoc de omnibus confirmare, sed tamen est certum quid respondeam.

Ἐρωτήσειεν ἄν τις· τί; οἱ ἐκεῖνοι αὐτοὶ ἀκρότατοι ἄνδρες, ὧν αἱ ἀρεταὶ τοῖς γράμμασι ἐφανίσθησαν, ἆρα τῇ αὐτῇ διδασκαλίᾳ, ἣν σὺ τοῖς ἐγκωμίοις αἴρεις, πεπαιδευκότες ἦσαν; χαλεπῶς μὲν τοῦτο περὶ ἁπάντων διϊσχυρίζειν, ἔστι δὲ δῆλον τί ἂν ἀποκριναίμην.

La differente soluzione del traduttore ἐρωτήσειεν ἄν τις “qualcuno potrebbe chiedere” si dimostra accettabile al posto dell’originale che ha invece quaeret quispiam “qualcuno si chiederà”. Essa potrebbe tuttavia anche essere il risultato di un’erronea lettura della forma quaeret in quaerat, congiuntivo potenziale. La posizione degli elementi in οἱ ἐκεῖνοι αὐτοὶ ἀκρότατοι ἄνδρες= illi ipsi summi viri “quegli stessi uomini eccelsi” complica la lettura del passo. L’articolo οἱ va infatti riposizionato prima dell’aggettivo al grado superlativo, οἱ ἀκρότατοι. Nel passo (viri) quorum virtutes litteris proditae sunt “(uomini) le cui prodezze furono consegnate alle lettere” = (ἄνδρες) ὧν αἱ ἀρεταὶ τοῖς γράμμασι ἐφανίσθησαν, la forma ἐφανίσθησαν è aoristo passivo debole alla 3ª persona plurale, apparentemente idonea a tradurre il perfetto passivo lat. proditae sunt “furono consegnate”. Bisogna tuttavia rilevare che la voce φανίζω, dalla quale è tratto il summenzionato aoristo, non appare nei moderni lessici di riferimento. Ne fanno menzione però i dizionari umanistici, fra cui il Crastone (s.v.), che lo glossa con «appareo, ostendo, manifesto». Sono maggiormente documentate le forme composte:  ἀφανίζω, ἐξαφανίζω, ἐμφανίζω, παραφανίζω e altre. Di tutti, il verbo semplice di base è un derivato di φαίνω “apparire”, fornito del suffisso verbale causativo -ίζω, appunto “fare apparire”. Se dunque da un lato ci troviamo piuttosto distanti dal valore semantico recato dal lat. prodo “consegnare, tramandare”, possiamo indubbiamente constatare che la traduzione ha una certa accettabilità.

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LA VERSIONE GRECA

Il testo greco è discrepante in istane doctrina = ἄρα τῇ αὐτῇ διδασκαλίᾳ, in quanto sembra che nell’originale vi fosse invece eadem doctrina. La versione richiederebbe infatti ταύτῃ oppure ἐκείνῃ, ma, data la maldestria nell’impiego di articoli e pronomi ampiamamente documentata nel testo, non è insensato lasciare spazio all’ipotesi di uno sbaglio. Il passo (πεπαιδευκότες ἦσαν) ἄρα τῇ αὐτῇ διδασκαλίᾳ, ἣν σὺ τοῖς ἐγκωμίοις αἴρεις “erano stati educati con la stessa dottrina che tu celebri”, sembra richiamare Plut. Caes. (6,5,3) «μέγας ἦν ὁ Καῖσαρ ἐγκωμίοις αἰρόμενος» ed anche Ps.-Plut. lib. educ. (9 A,10) «δεῖ δ’ αὐτοὺς μηδὲ τοῖς ἐγκωμίοις ἐπαίρειν καὶ φυσᾶν». Proseguono le difficoltà del traduttore alle prese con la diatesi verbale greca in πεπαιδευκότες ἦσαν= eruditi fuerunt: il participio perfetto attivo greco πεπαιδευκότες rende il senso attivo del verbo παιδεύω “educare”; il testo ciceroniano, al contrario, esige qui la forma passiva dello stesso participio perfetto πεπαιδευμένοι= eruditi “educati, istruiti”. Per quanto riguarda la frase χαλεπῶς μὲν τοῦτο περὶ ἁπάντων διισχυρίζειν= difficile est hoc de omnibus confirmare “è arduo garantire ciò per tutti” notiamo che il verbo greco διισχυρίζειν= confirmare, “affermare con certezza”, compare generalmente alla forma mediale (LSJ s.v.); pertanto la forma di infinito da usarsi dovrebbe essere διισχυρίζεσθαι. Ma il passo desta curiosità anche sotto altri aspetti: se da un lato vi si può scorgere un’ispirazione lisiana (Lys. 13,85); dall’altro, bisogna notare che una resa letterale di lat. difficile avrebbe imposto l’aggettivo neutro gr. χαλεπόν. La presenza dell’avverbio χαλεπῶς insinuerebbe l’ipotesi un po’ suggestiva di un influsso della LM del traduttore (su cui v. supra). La lingua polacca si serve infatti in questo frangente una forma avverbiale come trudno, “difficile, difficilmente” mentre la forma neutra dell’aggettivo è trudne. Nell’ipotesi, l’autore, riformulando la proposizione latina in un contesto di interlingua, avrebbe in seguito, nella fase di trasferimento alla lingua d’arrivo, lasciato delle tracce di questa riflessione. Da ultimo, rileviamo una discrepanza tra il nostro testo e le edizioni moderne dell’orazione nel frammento tamen est certum quid respondeam “tuttavia è certo quello che voglio rispondere”= ἔστι δὲ δῆλον τὶ ἂν ἀποκριναίμην. Il testo delle edizioni critiche preferisce il quod consecutivo, lezione dei codici più antichi e autorevoli, mentre il testo cracoviense riporta la deteriore lezione quid, rispecchiato nella traduzione greca con τί.

Esame della versione greca Ego multos homines excellenti animo ac virtute fuisse sine doctrina, naturae ipsius habitu prope divino et per se ipsos moderatos et graves exstitisse fateor. Etiam illud adiungo, saepius ad laudem atque virtutem naturam sine doctrina quam sine natura valuisse doctrinam. Atque idem ego contendo, cum ad naturam eximiam atque illustrem accesserit ratio quaedam confirmatioque doctrinae, tum illud nescio quid praeclarum ac singulare solere exsistere.

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Ἐγὼ μὲν πολλοὺς ἀνθρώπους ἐξόχῳ τῷ θυμῷ καὶ τῇ ἀρετῇ γεγονέναι ἄνευ τῆς παιδείας, φύσεως τῇ αὐτῇ εὐεξίᾳ ἐπὶ πολὺ τῇ θείᾳ καὶ [38] καθ’ ἑαυτοὺς σώφρονάς τε καὶ σεμνοὺς τετυχηκέναι καθομολογοῦμαι· καὶ μὴν καὶ τοὐκεῖνο κολλάομαι, πολλάκις ὡς τὸν ἔπαινον τήν τε ἀρετὴν, φύσιν ἄνευ τῆς παιδείας ἢ ἄνευ τῆς φύσεως ἰσχυκέναι τὴν παιδείαν. Ὁ αὐτὸς δὲ κἀγὼ φθέγγομαι ἐπὶ τὴν φύσιν τὴν ἐξαιρέτην, καὶ λαμπρὰν ἀφικομένου τρόπου τινὸς καὶ βεβαιώσεως τῆς παιδείας, τότε τοὐκεῖνο οὐκ οἶδα τί εὐκλεές τε καὶ τὸ μοναδικὸν εἰωθὸς γίγνεσθαι.

Viene sviluppato a questo punto un confronto fra dottrina e talento naturale:  multos homines… per se ipsos et moderatos et gravis exstitisse fateor “ammetto che vi furono molti uomini di animo e virtù eccellenti e che, senza istruzione ma per una propria disposizione naturale quasi divina, si sono dimostrati saggi e onorati” = πολλοὺς ἀνθρώπους… καθ’ ἑαυτοὺς σώφρονάς τε καὶ σεμνοὺς τετυχηκέναι καθομολογοῦμαι. Il verbo greco τυγχάνω è impiegato con il significato di “trovarsi, essere”. Esso traduce, in modo sostanzialmente accettabile, il lat. exstitisse, da ex(s)to “rivelarsi, essere evidente”, tralasciando tuttavia la peculiare nota semantica della distinzione e dell’eccellenza che la lingua greca meglio avrebbe espresso tramite ἐξέχω “spiccare”. Meno calzante è la scelta del seguente καθομολογοῦμαι, che ha il senso di “confessare, consentire” all’attivo καθομολογέω; la forma mediale, impiegata nel nostro brano, ha invece il significato più intenso di “promettere, giurare” (LSJ s.v.). Analizziamo ora il periodo successivo: etiam illud adiungo, saepius ad laudem atque virtutem naturam sine doctrina, quam sine natura valuisse doctrinam “ed aggiungo anche questo, cioè che più spesso per la virtù e l’onore ha contato un’indole senza cultura che una gran cultura senza carattere”= καὶ μὴν καὶ τοὐκεῖνο κολλάομαι, πολλάκις ὡς τὸν ἔπαινον τήν τε ἀρετὴν φύσιν ἄνευ τῆς παιδείας ἦ ἄνευ τῆς φύσεως ἰσχυκέναι τὴν παιδείαν. Cominciamo con l’osservare che gr. καὶ μὴν per etiam è pregevole, in quanto marca l’introduzione di un nuovo elemento “e inoltre”352. Lat. adiungo introduce sovente, al pari di addo, una frase sostantiva di tipo epesegetico, quando cioè il parlante decide di aggiungere un’informazione che spieghi o completi quanto annunciato. La versione greca corrispondente 352 J.D. Denniston, The Greek particles, pp. 351-352.

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LA VERSIONE GRECA

riporta in questo passo una scelta insolita:  il verbo κολλάω, denominativo di κόλλα “colla”, nella sua forma attiva e mediale significa “unire insieme, congiungere, incollare”. Si confrontino alcuni esempi con προστίθημι (Dion. Hal., Th. 54; Ael. Ar. 2,113). Presumo si debba prendere in considerazione una spiegazione legata alle già menzionate liste di parole, nelle quali il verbo κολλάω/κολλάομαι compariva in coppia con corrispondenti latini semplici o composti come iungo, coniungo, adiungo, conglutino, senza alcuna specificazione contestuale. Tutto questo rendeva complicata l’operazione versoria, poiché ogni traducente poteva apparire uguale all’altro a occhi più o meno esperti. Nel passo incontriamo ben due volte la forma insolita di pronome unito in “crasi” all’articolo, τοὐκεῖνο. Senza dubbio gr. ἦ andrà corretto in: ᾖ = quam, introducente il termine di paragone. Quanto a naturae ipsius habitu prope divino “per una disposizione quasi divina della stessa natura”, differente da gr. φύσεως τῇ αὐτῇ εὐεξίᾳ ἐπιπολὺ τῇ θείᾳ “per la medesima disposizione solitamente divina della natura”, compare il ben noto scambio fra ipse/idem in τῇ αὐτῇ, che, in ogni caso, nel testo greco non si riferisce, come nell’originale, a natura-φύσις, bensì a habitus-εὐεξία. L’acc. gr. ἐξαιρέτην non può sussistere poiché l’aggettivo ἐξαίρετος ha due uscite, ed è dunque da riscrivere ἐξαίρετον. L’articolo anteposto in τῇ θείᾳ è inoltre superfluo, giacché la funzione dell’aggetivo è qui predicativa. Un’altra dissonanza è rilevabile fra il lat. prope “circa, quasi” e il gr. ἐπιπολύ, da rettificare in ἐπὶ πολύ353, uso preposizionale della forma neutra aggettivale πολύ, il cui significato è “per lo più”, “per la maggior parte”, “a lungo”. La traduzione non stravolge il pensiero esposto nel passo originale, in cui si afferma che alcuni uomini eccellenti possiedono un’indole talmente elevata da sfiorare quasi la divinità. Da dove sia potuta sorgere tale imprecisione è forse ricavabile dalla traduzione latina di uno dei significati di ἐπὶ πολὺ “a lungo” (cfr. Plat., Crat. 415a) - longe appunto – che è il contrario di lat. prope. Più di una volta si è osservato come l’interprete possa essersi avvalso di strumenti lessicografici vari, fra i quali altresì di liste bilingui di sinonimi e di contrari, come il caso in questione, se il ragionamento è giusto, sembrerebbe indicare. Il traducente greco più idoneo per lat. prope sarebbe stato in questo caso σχεδόν (cfr. Pr.Ar.gr. 18,5). Nel periodo seguente, come anche in altri casi, il traduttore, trovandosi alle strette, semplifica. Il valore particolare di contendo in questo contesto, “asserire, dichiarare con forza”, seguito da una proposizione infinitiva, poteva non solo dare qualche difficoltà nella resa della sua sfumatura, bensì in qualche maniera eguagliarsi a quello di “dire”, perdendo però inevitabilmente quel tratto semantico eristico che 353 La grafia unita riflette la pratica ortografica bizantina, si veda anche διαταῦτα, εἰκαί cfr. A. Rollo, Study Tools in the Humanist Greek School: Preliminary Observations on Greek-Latin Lexica, in F. Ciccolella-L. Silvano, Teachers, Students, and Schools of Greek in the Renaissance, Leiden 2017, pp. 26–53, p. 42.

Esame della versione greca

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il verbo latino contendo porta con sé. Infatti, la soluzione proposta nella versione fa uso del verbo greco φθέγγομαι dal senso piuttosto generale di “emettere un suono”, e dunque “dire, parlare”. Inoltre, nel gr. φθέγγομαι εἰωθὸς γίγνεσθαι= contendo… solere existere “ritengo che… di solito si manifesta quel non so che”, il verbo solere viene tradotto avverbialmente: la forma participiale neutra sostantivata εἰωθός (< ἔθω “sono solito”) necessita tuttavia dell’articolo τὸ εἰωθός (se lo si intende come originario accusativo di relazione “di solito”), cfr. κατὰ τὸ εἰωθός (Thuc. 4,67,4, NT Lc. 4,16) “come di solito”, παρὰ τὸ εἰωθός “contrariamente al solito” (Thuc. 4,17,2), o l’accusativo semplice in τὰ εἰωθότα (Heliod. 2,35,2) “le cose solite”. Pare essersi infiltrata un’imprecisione nel passo οὐκ οἶδα τί εὐκλεές τε καὶ τὸ μοναδικὸν= nescio quid praeclarum ac singulare “quel non so che di straordinario e unico”. In luogo di τό va ripristinato il pronome interrogativo τί, corrispondente in latino al secondo quid sottinteso e riferito a singulare, proprio come il precedente gr. τί εὐκλεές. Un’altra puntualizzazione è necessaria: l’aggettivo singulare che accompagna quid: in questo contesto esso va inteso nel senso di “eccezionale, unico”; il traduttore utilizza l’aggetivo μοναδικός, ma il termine, attestato in Aristotele nell’accezione speciale di un numero “formato da unità astratte” (Metaph. 1080b 30) e poi nei grammatici in riferimento a forme uniche per i tre generi (Ap. D. Adv. 141,24), ha un carattere tecnico. Lat. singularis nel significato di eximius può essere tradotto con ἐξαίρετος, lessema che del resto compare nella versione (38,11). Anche quest’ultimo va dunque annoverato fra i casi di traduzione da glossario. La lezione confirmatioque, corrispettivo di καὶ βεβαιώσεως contenuto nella nostra stampa, è lezione deteriore, contro quella oggi comunemente accettata conformatioque. [16] Ex hoc esse hunc numero quem patres nostri viderunt, divinum hominem, Africanum, ex hoc C. Laelium, L. Furium, modestissimos homines et continentissimos, ex hoc fortissimum virum et illis temporibus doctissimum, M.  Catonem illum senem; qui profecto si nihil ad percipiendam colendamque virtutem litteris adiuvarentur, numquam se ad earum studium contulissent. Quod si non hic tantus fructus ostenderetur et si ex his studiis delectatio sola peteretur, tamen, ut opinor, hanc animi remissionem humanissimam ac liberalissimam iudicaretis.

Ἐκ τούτου εἶναι τοῦτον τοῦ ἀριθμοῦ, ὅν οἱ πατέρες ἡμέτεροι ἑωρακότες ἦσαν, θεῖον ἄνθρωπον, τὸν Ἀφρικανόν, ἐκ τούτου Γάϊον Λαίλιον, τὸν Λύκιον Φούριον, σωφρονεστάτους τε ἀνθρώπους καὶ ἐγκρατεστάτους, ἐκ τούτου [39] ἰσχυρώτατον ἄνδρα καὶ τότε ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακότα, τὸν Μάρκον Κάτωνα ἐκεῖνον γέροντα· οἳ δήπου ἢν οὐδὲν ἂν πρός τε τὸ καταλαμβάνειν καὶ τὸ ἀσκεῖν [τοῦ] τῆς ἀρετῆς παρὰ τῶν γραμμάτων ὀφέλλοντο, μήποτε αὑτοὺς ὡς τὴν τῶν αὐτῶν σπουδὴν ξυγκεκομίκοιεν. Τούτου δὲ μὴ τοσούτου τε καρποῦ ἀναδεικνυμένου καὶ ἢν ἐκ τούτων τῶν σπουδῶν ἡ τέρψις μόνη ζητήσοιτο, ὅμως, ὡς ἡγοῦμαι, ταύτην τῆς ψυχῆς τὴν ἄνεσιν φιλανθρωποτάτην τε καὶ ἐλευθερωτάτην ἂν ἐκρίνετε.

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LA VERSIONE GRECA

Se da un lato ormai riconosciamo agevolmente nell’espressione gr. οἱ πατέρες ἡμέτεροι, in cui l’avvocato introduce l’esempio dei grandi padri della respublica, il ripetersi dell’errata posizione dell’articolo, dall’altro il traduttore è nuovamente alle prese con atipici sintagmi verbali: viderunt = ἑωρακότες ἦσαν; la forma verbale greca è infatti inesistente e assomiglia a un maldestro tentativo di formazione di un piuccheperfetto (?). La soluzione ἄνδρα… ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακότα= virum… doctissimum “uomo assai colto”, riferito a Marco Catone, pare di stampo plutarcheo, ma v. supra 3,4 = 22,4–6. Si registra ancora il calco del nesso relativo qui profecto si nihil… adiuvarentur = οἳ δήπου ἢν οὐδὲν … ὀφέλλοντο “e se poi essi (scil. gli studi) non giovassero affatto”. L’apodosi del periodo ipotetico di 3° tipo greca svolge il pensiero di Cicerone, secondo cui i padri non avrebbero mai impiegato fatiche negli studi, se essi non avessero apportato loro qualche giovamento: μήποτε αὐτοὺς (da emendare in αὑτούς= se) ὡς τὴν τῶν αὐτῶν σπουδὴν ξυγκεκομίκοιεν= numquam se ad earum (scil. litterarum) studium contulissent “mai si sarebbero messi a studiarli”. Come è evidente, è stata tralasciata la particella ἄν; inoltre essa contiene una traduzione estemporanea: lat. se conferre “rivolgersi” è infatti formalmente accostabile al calco gr. κομίζω ἐμαυτόν “porto me stesso”, v. supra. Gr. ὀφέλλοντο è invece forma epica di aoristo da ὀφείλω priva di aumento. Sorprende l’uso di ὡς allativo, che troviamo solitamente quando l’oggetto è rappresentato da una persona. Dobbiamo ancora indietreggiare, per un ultimo rilievo, al passo ad percipiendam colendamque virtutem “per conoscere e praticare la virtù”= πρός τε τὸ καταλαμβάνειν καὶ τὸ ἀσκεῖν τοῦ τῆς ἀρετῆς: la finale implicita resa con un participio sostantivato (τὸ καταλαμβάνειν) ha l’oggetto espresso al genitivo τῆς ἀρετῆς (l’art. τοῦ va rimosso) invece che all’accusativo come ci si aspetterebbe; nel fenomeno si potrebbe scorgere l’interferenza linguistica con LM osservata poco sopra. Nam ceterae neque temporum sunt neque aetatum omnium neque locorum; haec studia adolescentiam alunt, senectutem oblectant, secundas res ornant, adversis perfugium ac solacium praebent, delectant domi, non impediunt foris, pernoctant nobiscum, peregrinantur, rusticantur. [8  17] Quod si ipsi haec neque attingere neque sensu nostro gustare possemus, tamen ea mirari deberemus, etiam cum in aliis videremus. Quis nostrum tam animo agresti ac duro fuit, ut Rosci morte nuper non commoveretur?

Τὰ μὲν γὰρ ἄλλα μηδὲ τῶν χρόνων ἐστὶ, μηδὲ τῶν ἡλικιῶν ἁπασῶν, μηδὲ τῶν τόπων· αὗται δὲ αἱ σπουδαὶ τὴν νεότητα τρέφουσιν, τὸ γῆρας τέρ[40]πουσι, τὰ τῆς εὐτυχίας κοσμοῦσι, τοῖς δυστυχήμασι καταφυγήν τε καὶ παραμυθίαν παρέχουσι, εὐφραίνουσιν οἴκοι, οὐκ ἐμποδίζουσι θύραζε, παννυχίζουσι μεθ’ ἡμῶν, ἀποδημοῦσι, ἀγραυλοῦσιν. Οὗπερ μὲν οὖν ἐὰν μὴ καθ’ ἑαυτοὺς οὔτε ἐπιψαύειν, οὔτε τῇ αἰσθήσει τῇ ἡμετέρᾳ γεύειν δυναμένοι, θαυμάζειν δὲ ταῦτα ἐμέλλομεν ἂν, ἔτι καὶ πρὸς τοῖς ἄλλοις ὁρώμενοι. Τίς ἡμῶν ταύτῃ τῷ θυμῷ ἀγροικός τε καὶ σκληρὸς ὢν ἐγένετο ἵνα τοῦ Ῥωσκίου τῷ τεθνάναι νεωστὶ μὴ κινεῖσθαι;

Esame della versione greca

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Si prenda il frammento quod si… possemus, tamen… deberemus, etiam cum… videremus =“che se non potessimo da noi stessi usufruire di queste cose né apprezzarle col nostro gusto, dovremmo tuttavia ammirarle, anche qualora le vedessimo negli altri” οὗπερ μὲν οὖν ἐὰν μὴ καθ’ ἑαυτοὺς οὔτε ἐπιψαύειν οὔτε τῇ αἰσθήσει τῇ ἡμετέρᾳ γεύειν δυνάμενοι, θαυμάζειν δὲ ταῦτα ἐμέλλομεν ἄν, ἔτι πρὸς τοῖς ἄλλοις ὁρώμενοι. Il lat. contiene un periodo ipotetico di 2° tipo, mentre nella protasi il testo greco presenta nuovamente un participio, laddove sarebbe richiesto un ottativo. Nell’apodosi, inoltre, lat. debeo è reso con gr. μέλλω, incoerenza che rappresenta con sempre maggiore certezza un errore da glossario. Debeo esprime infatti un’idea di dovere che è obbligo morale, mentre in greco il concetto identificato con μέλλω è dovere ma nell’accezione di predestinazione, imminenza o ineluttabilità dell’azione354. Quivi notiamo altresì la preferenza di πρός a ἐν: etiam cum in aliis videremus (scil. gli effetti degli studi sull’uomo) = ἔτι καὶ πρὸς τοῖς ἄλλοις ὁρώμενοι. Naturalmente la forma participiale qui richiesta dovrebbe essere di diatesi attiva ὁρῶντες. Ulteriori osservazioni sintattiche sulle tipologie di fenomeni già incontrati si possono avanzare anche a proposito di τίς ἡμῶν ταύτῃ τῷ θυμῷ ἀγροικός τε καὶ σκληρὸς ὢν ἐγένετο, ἥνα (sic) τοῦ Ῥωσκίου τῷ τεθνάναι νεωστὶ μὴ κινεῖσθαι= quis nostrum tam animo agresti ac duro fuit, ut Rosci morte nuper non commoveretur? “chi di noi fu d’animo così duro e insensibile da non rimanere toccato dalla recente morte di Roscio?”. Premettiamo che gr. ἥνα è l’erronea trascrizione fonetica della congiunzione finale ἵνα= ut; e tuttavia ci troviamo in presenza di un ut consecutivo nel testo ciceroniano, che andrebbe reso con il corrispettivo ὥστε (v. supra). In ὢν ἐγένετο per lat. fuit si ripresenta una forma perifrastica di aoristo forte inattestata nella lingua greca. Da ultimo notiamo in greco l’infinito perfetto sostantivato τοῦ Ῥωσκίου τῷ τεθνάναι al posto del complemento di causa lat. Rosci morte “per la morte di Roscio”: l’uso degli infiniti come sostantivi astratti è infatti frequente nella metafrasi. Qui cum esset senex mortuus, tamen propter excellentem artem ac venustatem videbatur omnino mori non debuisse. Ergo ille corporis motu tantum amorem sibi conciliarat a nobis omnibus; nos animorum incredibiles motus celeritatemque ingeniorum negligemus?

354 P. Chantraine, Dictionnaire, cit., p. 682.

Γέροντος μὲν τούτου ἀποθανόντος, ὅμως δὲ διὰ τὴν ἐξοχὴν τέχνην καὶ τὴν ἀγλαΐαν δοκοῦντος πάνυ ἀποθνῄσκειν μὴ μελλήσειν, οὐκοῦν ἐκεῖνος μὲν τῇ τοῦ σώμα[41] τος κινήσει τοσοῦτον τὸν ἔρωτα αὐτῷ ἀντικατηλλάχθη παρ’ ἡμῖν ἅπασι· ἡμεῖς δὲ τῶν ψυχῶν τῶν ἀπιθάνων κινήσεων καὶ τῆς ὠκύτητος τῶν ἀγχινοιῶν καταφρονήσομεν;

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LA VERSIONE GRECA

La menzione di Quinto Roscio Gallo, artista teatrale stimato dal popolo, procede con propter excellentem artem ac venustam = διὰ τὴν ἐξοχὴν τέχνην καὶ τὴν ἀγλαΐαν “per la sua arte straordinaria e il suo fascino”, e nel greco notiamo un’imprecisione morfologica: l’aggettivo ἔξοχος “straordinario” ha due uscite in -oς, -ον, quindi la forma qui impiegata per il femminile non può sussistere e sarà pertanto da intendere ἔξοχον, forma accusativale per entrambi i generi. Suppongo che l’errore sia stato causato dalla confusione fra l’aggettivo ἔξοχος e il sostantivo ἡ ἐξοχή (equiparabile a lat. excellentia). La preposizione propter regge anche il seguente venustatem = τὴν ἀγλαΐαν: il termine ἀγλαΐα “splendore”, “fulgore”, di matrice epica, è raro in prosa e costituisce una scelta inconsueta come traducente di lat. venustas. Costruito a partire dall’aggettivo ἀγλαός “splendido, luminoso”, generalmente indica una bellezza vistosa, splendente (di doni Il. 1,213; di offerte Hes., Op. 337). Nel brano Cicerone, al fine di dimostrare l’alta stima in cui l’arte è tenuta dai più, ricorda accoratamente il celebre attore Roscio, allora recentemente scomparso, e ne elogia le straordinarie qualità sceniche. Venustas, che viene poco più sotto riferita a motus, ossia alle movenze dell’attore sulla scena, va pertanto intesa piuttosto come grazia, leggiadria dei movimenti, come nel gr. χάρις, ἐπαφροδισία. Il genitivo assoluto, come abbiamo già rilevato, è uno dei più frequenti costrutti con cui è reso il cum circostanziale latino. Osserviamo il seguente frammento: qui cum esset senex mortuus, tamen… videbatur omnino mori non debuisse “il quale, pur essendo morto in tarda età, sembrava che non sarebbe mai dovuto morire”= γέροντος μὲν τούτου ἀποθανόντος, ὅμως δὲ… δοκοῦντος πάνυ ἀποθνῄσκειν μὴ μελλήσειν. Stupisce che il costrutto genitivale sconfini anche nella proposizione principale, videbatur (δοκοῦντος), nella quale è richiesto un modo finito, come ad esempio ἐδόκει “sembrava” (= videbatur). Lat. videbatur “sembrava” regge altresì l’infinitiva soggettiva mori non debuisse, in greco ἀποθνῄσκειν μὴ μελλήσειν: va sottolineato che qui invece μέλλω, rispetto a poco sopra, è propriamente adoperato “dovere, essere destinato”. Nel passo ille corporis motu tantum amorem sibi conciliarat “egli si era procurato grande stima con le movenze del suo corpo”= ἐκεῖνος μὲν οὖν τοῦ σώματος κινήσει τοσοῦτον τὸν ἔρωτα αὑτῷ ἀντικατηλλάχθη:  il verbo greco ἀντικαταλλάσσω “scambiare”, “dare in cambio” non costituisce il corrispettivo di lat. concilio, giacché il senso qui ricercato è quello di “procacciare”, “procurare”, rafforzato dal dativo d’interesse sibi. Più idoneo è l’utilizzo di παρέχω “procurare”355.

355 Val tuttavia la pena aggiungere che in Polyb. 15,20,5 καταλλάττω al pass. vale “riconciliarsi”.

Esame della versione greca

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L’articolo in τοσοῦτον τὸν ἔρωτα è superfluo, come anche poco sotto τῇ τῶν ὑμῶν πραότητι= vestra benignitate in quanto anteposto a un pronome personale; la forma καταφρονήσαμεν, dal confronto con lat. negligemus, è da emendare in καταφρονήσομεν, futuro di καταφρονέω, che corrisponde a negligo. [18] Quotiens ego hunc Archiam vidi, iudices (utar enim vestra benignitate, quoniam me in hoc novo genere dicendi tam diligenter attenditis), quotiens ego hunc vidi, cum litteram scripsisset nullam, magnum numerum optimorum versuum de his ipsis rebus quae tum agerentur dicere ex tempore! Quotiens revocatum eandem rem dicere commutatis verbis atque sententiis!

ποσάκις ἔγωγε τοῦτον τὸν Ἀρχίαν εἶδον, ὦ δικασταί (χρήσομαι γὰρ τῇ τῶν ὑμῶν πραότητι, ἐπειδή μου κατὰ τὸ καινὸν γένος τοῦ ῥητορεύειν οὕτω ἀκριβῶς προσέχετε), ποσάκις ἔγωγε τουτονὶ εἶδον γεγραφότα μὲν οὐδὲν τὸ γράμμα, πολὺν δὲ τὸν ἀριθμὸν τῶν βελτίστων στίχων περὶ τῶν αὐτῶν πραγμάτων τῶν τότε γιγνομένων, λέγειν αὐτοσχεδιαστὶ; ποσάκις ἀνακληθέντα τὸ αὐτὸ πρᾶγμα λέγειν, ταῖς μεταλλαγείσαις λέξεσί τε, γνώ[42]μαις τε;

È noto che il verbo προσέχω esige il dativo della persona o della cosa alla quale si rivolge l’attenzione, poiché talvolta il complemento τὸν νοῦν “la mente, l’attenzione” può trovarsi sottinteso (es. Polyb. 6,37,7); il gen. μου dunque può derivare da un errore di stampa per il dat. μοι. Sappiamo tuttavia che il dativo è il primo caso a scomparire nello sviluppo storico del greco, sostituito dal genitivo356; chi redasse o corresse la versione potrebbe forse aver smarrito la reggenza originale del verbo e avervi apposto il genitivo, proprio del greco tardo. Fra la locuzione lat. in hoc novo genere dicendi “in questo nuovo genere oratorio” e gr. κατὰ τὸ καινὸν γένος τοῦ ῥητορεύειν “secondo il nuovo genere oratorio” è caduto nella traduzione l’aggettivo hoc. Oltre a questa lacuna, possiamo rilevare la leggera discrepanza fra lat. in e gr. κατά: a proposito si è già sottolineato il generale costume dell’autore nel trattamento delle preposizioni nel testo. Gr. πολὺν δὲ τὸν ἀριθμὸν τῶν βελτίστων στίχων contro lat. magnum numerum optimorum versuum “un gran numero di versi eccellenti” mostra che l’articolo τόν è qui inopportuno, poiché si sta parlando di una ‘certa’ grande quantità di versi prodotti da Archia improvvisando, e non di un determinato numero di versi; il traduttore in οὐδὲν τὸ γράμμα fa inoltre scorretto uso dell’articolo dopo l’aggettivo negativo οὐδὲν. Sul versante lessicale, il vocabolo αὐτοσχεδιαστί si presenta interessante: è rintracciabile sui lessici rinascimentali e più recenti357, e si tratta di una formazione 356 G. Horrocks, Greek: A History of the Language and its Speakers, Chichester/Malden MA 2010, p. 125 e passim. 357 C. Gesner, Lexicon, cit., s.v.; Δ. Δημητράκου, Μέγα λεξικὸν, cit., s.v.; ma non TGL e LSJ.

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avverbiale in -τί, spesso indicante maniera o foggia (cfr. ad esempio Ἑλληνιστί “in greco, alla greca”, ἐθελοντί “volutamente”, ἐγρηγορτί “in guardia”). Per ricostruirlo, occorre partire dall’aggettivo αὐτοσχέδιος (< αὐτός + σχεδόν) “eseguito sul luogo approssimativamente”, dunque “estemporaneo”; da questo è stata derivata la voce verbale αὐτοσχεδιάζω “agire improvvisando”, da cui poi fu tratto il nostro avverbio. Il traducente è dunque adeguato all’originale ex tempore. Vediamo ora l’intero frammento ego hunc (scil. Archiam) vidi… ex tempore “io vidi costui comporre… versi, senza avere scritto nulla, improvvisando sui fatti che accadevano proprio in quel periodo”= ἐγώ γε τουτονὶ εἶδον… ἀυτοσχεδιαστί: l’interprete come di consueto ricorre a un participio attributivo τῶν τότε γιγνομένων per rendere la frase relativa latina quae tum agerentur “(fatti) che accadevano in quel periodo”. Infine, per τῶν τότε γιγνομένων può essere utile confrontare le somiglianze con l’espressione platonica τὰ τότε γιγνόμενα (Epist. 318b). In gr. ταῖς μεταλλαγείσαις λέξεσι τε γνώμαις γε= commutatis verbis atque sententiis, la meccanica trasposizione dell’ablativo assoluto latino mediante un’analoga costruzione dativale greca è un evidente calco sintattico358. Gr. γε è da emendare in τε, coordinante degli elementi della proposizione, come appunto lat. atque “cambiate e le parole e le frasi”. Quae vero accurate cogitateque scripsisset, ea sic vidi probari, ut ad veterum scriptorum laudem pervenirent. Hunc ego non diligam? Non admirer? Non omni ratione defendendum putem? Atqui sic a summis hominibus eruditissimisque accepimus ceterarum rerum studia et doctrina et praeceptis et arte constare, poetam natura ipsa valere et mentis viribus excitari et quasi divino quodam spiritu afflari.

Τὰ δὲ περιέργως καί ἐκ προνοίας γεγραμμένα, οὕτως ἑώρακα εὐδοκιμάζειν, ὥστε τῶν παλαιῶν γραφέων τῷ ἐγκωμίῳ ἀφικνεῖσθαι. Τούτου μέν τοι ἔγωγε μὴ ἐρῴην; μὴ θαυμάζοιμι; μὴ πάντα τρόπον ἂν ἀπολογεῖν οἰησαίμην; ἀλλὰ δὴ οὕτως παρὰ τῶν ἀκροτάτων ἀνθρώπων καὶ μεμαθηκοτάτων ἐλάβομεν τὰς μὲν τῶν ἄλλων σπουδὰς τῇ τε διδασκαλίᾳ καὶ τοῖς παραγγέλμασι καὶ τῇ τέχνῃ συντάττεσθαι, τὸν δὲ δὴ [τὸν] ποιητὴν τῇ μόνῃ φύσει ἐρρῶσθαι καὶ ταῖς τοῦ νοῦ δυνάμεσι ἀναζωπυρεῖσθαι καὶ δὴ ἁμηγέπως ἐνθουσιάζειν.

Per quanto possa apparire chiaro e comprensibile sulla base del confronto con i verbi εὐδοκιμέω “godere di buona reputazione” e δοκιμάζω “approvare, apprezzare”, il lemma εὐδοκιμάζω, per lat. probo, tuttavia rimane pressoché assente

358 Esso potrebbe nondimeno funzionare o essere perlomeno accettabile come costrutto dal valore strumentale (dativo assoluto) “per mezzo di parole e frasi cambiate”, cfr. N. Basile, Sintassi storica, cit., pp. 526–527 e nota 63.

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nei testi antichi359. Non così in quelli moderni, dove esso è presente e glossato con nobilito. È interessante rilevare la pregevole versione delle tre forme verbali: vidi… vidi… vidi (8,18) rese con εἶδον (41,9) εἶδον (41,15) ἑώρακα (42,3). Non va infatti sottovalutata la differenziazione fra i due passati generici e il perfetto resultativo eseguita dal traduttore nello spazio di un solo paragrafo. I primi due perfetti latini corrispondono infatti a due aoristi, che illustrano le azioni descritte come dei ‘punti’ nel tempo (quotiens ego hunc Archiam vidi; quotiens ego hunc vidi), mentre il terzo indica un’azione compiuta i cui effetti sono perduranti (ea sic vidi probari, ut ad veterum scriptorum laudem perveniret), giacché l’Arpinate ha constatato ed è tuttora testimone del successo letterario di Archia. Aggiungiamo che nella proposizione consecutiva ut ad… laudem perveniret = ὥστε… τῷ ἐγκωμίῳ ἀφικνεῖσθαι si rileva un’insolita reggenza dativale di ἀφικνέομαι “giungere”, che nel passo ha il senso traslato di “arrivare ad una certa condizione” (ossia, nel nostro contesto, al livello degli scrittori antichi): più comunemente troveremmo infatti εἰς + accusativo, mentre il dativo con tale verbo è attestato più spesso con le persone360. La serie di tre congiuntivi dubitativi hunc ego non diligam? non admirer? non omni ratione defendendum putem? “non dovrei io volergli bene? ammirarlo? non dovrei forse ritenere di doverlo difendere in ogni modo?” è malaccortamente resa nel testo greco con τούτου μὲν ἐγώ γε μὴ ἐρῴην; μὴ θαυμάζοιμι; μὴ πάντα τρόπον ἂν ἀπολογεῖν οἰησαίμην; Cicerone usa l’espediente dell’interrogativa aperta e fittizia per sostenere il suo cliente e dimostrargli stima; una sorta di congiuntivo di ‘protesta’361 del parlante per prevenire un eventuale rifiuto delle sue richieste. Il traduttore sceglie degli ottativi, forme in ogni caso non deputate ad esprimere il dubbio in greco (è utile infatti a tale scopo il congiuntivo), aggiungendo la particella ἄν, la quale dà una sfumatura potenziale alla frase: “non lo amerei? non lo ammirerei? non lo difenderei in ogni modo?”. Oltre a ciò, la voce da impiegare, dal momento che il verbo è deponente, è ἀπολογεῖσθαι “difendere in giudizio”. Nella porzione di testo latino leggiamo atqui “eppure”, lezione di certi testimoni, divergente dalla scelta dei moderni che vi preferiscono la più sensata atque “e”. L’autore aggiunge apprezzabilmente i connettivi δὲ δή, la cui natura avversativa sottolinea, nell’argomentazione, il contrasto tra la formazione

359 Unica occorrenza trovata: Orig. in Gen. 7,13a, segnalata da Δ. Δημητράκου, Μέγα λεξικὸν, cit., s.v.; e in C. Schrevelius, Lexicon, cit., s.v. 360 Cfr. gli esempi in DGE, s.v. 361 A. Traina-T. Bertotti, Sintassi normativa, cit., p. 54.

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dottrinale impartita dalle altre arti e quella innata dei poeti, fondata sulle proprie capacità naturali. L’aggettivo eruditus al grado superlativo eruditissimus compare più volte nel testo (3,2 = 20,21; 4,3 = 22,10; 6,12 = 34,15; 8,18 = 42,13). Qui però la traduzione diverge profondamente dagli altri casi, apparendo maldestra e meccanica. Al termine latino risponde infatti la bizzarria morfologica gr. μεμαθηκοτάτων, participio perfetto μεμαθηκώς da μανθάνω “apprendere”, trattato come un aggettivo e fornito quindi del suffisso di superlativo -τατος. La curiosa forma ricalca il senso dell’originale “coloro che hanno appreso di più”, sebbene, come abbiamo visto, altrove si ricorra a soluzioni decisamente più idonee alla lingua greca (v. supra). La scelta versoria di gr. τῇ μόνῃ φύσει “per la sola natura” (cfr. 6,14 = 37,7) è si discosta leggermente da lat. ipsa natura “dalla natura stessa”. Un rilievo merita altresì gr. ἀναζωπυρεῖσθαι come traducente di lat. excitari:  il verbo ἀναζωπυρέω “ravvivare, riaccendere” è usato in riferimento al fuoco sopito quando viene riattizzato, ma anche metaforicamente per le passioni e i sentimenti (Eur., El. 1121; Luc., Cal. 17). Il contesto del passo descrive la potenza mentale del poeta che viene mossa, messa in azione per creare. La specificità del lessema rivela l’uso di indici verbali362. Traduzione ad sensum, e quindi in contrasto con il tenore generale della versione, notiamo in ἀμηγέπως ἐνθουσιάζειν “(scil. il poeta) è come ispirato da un dio”, laddove l’originale reca la perifrasi quasi divino quodam spiritu afflari “come se fosse pervaso da un certo afflato divino”; la coincidenza lessicale è comunque data da molti lessici umanistici363. Per ἀμηγέπως si veda poco sopra (31,4), come anche per l’uso di καὶ δή. Quare suo iure noster ille Ennius sanctos appellat poetas, quod quasi deorum aliquo dono atque munere commendati nobis esse videantur. [19] Sit igitur, iudices, sanctum apud vos, humanissimos homines, hoc poetae nomen, quod nulla umquam barbaria violavit. Saxa et solitudines voce respondent, bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt; nos instituti rebus optimis non poetarum voce moveamur?

Ὥστε κατὰ τὸ δίκαιον αὐτῶν ἡμέτεροι οἱ ἀμφὶ τὸν Ἔννιον ὁσίους προσαγορεύουσι τοὺς ποιητάς, ὅτι τινὰ τρόπον τῶν θεῶν τινι [43] τῷ χαρίσματί τε καὶ τῷ δώρῳ σεσυστηκότες ἡμῖν δοκεῖν. Ἴσθι γὰρ μέν τοι, ὦ δικασταί, ὅσιον παρ᾽ ὑμῖν τοὺς φιλανθρωποτάτους ἄνδρας τοῦτο τοῦ ποιητοῦ τοὔνομα, ὅ τι μὲν οὐδεμία ποτὲ ἡ βαρβαρότης παρεβιάζετο. Λίθοι καὶ αἱ ἐρημίαι τῇ φωνῇ ἀντιφωνοῦσι, θήρια δὲ πολλάκις τὰ ἀγριώδη ἐπὶ τῆς ὠδῆς χαυνοῦται καὶ παρίσταται. Ἡμεῖς δὲ παιδευσάμενοι πράγμασι τοῖς βελτίστοις οὐκ ἂν τῇ τῶν ποιητῶν φωνῇ παρακεκινηκότες ἐσόμεθα;

3 62 Cfr. la corrispondenza in C. Gesner, Lexicon, cit., s.v. 363 In primis J. Crastonus, Lexicon, cit., s.v.

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Il frammento che qui leggiamo pare concentrare alquante inesattezze ed è di qualità generalmente più scarsa quanto a soluzioni stilistiche traduttive, rispetto alle restanti sezioni della versione. Ciò suggerirebbe l’ipotesi di un’opera a più mani. L’intero passo suo iure… videantur “a ragione il nostro illustre poeta Ennio chiama ‘santi’ i poeti, poiché sembra che ci siano stati assegnati…” = κατὰ τὸ δίκαιον… δοκεῖσθαι sembra essere stato incompreso e ristrutturato. La traduzione greca è malagevole: “Secondo il loro diritto, i nostri (?) discepoli di Ennio dicono santi i poeti, per qualche munificenza sembra che abbiano affidato a noi”. L’errata forma σεσυστηκότες va interpretata come un infelice tentativo di formare il participio perfetto al nominativo plurale maschile di συνίστημι (συνεστηκότες); si nota poi come la subordinata causale quod… videantur sia stata resa grossolanamente per mezzo dell’anzidetto participio e l’infinito δοκεῖσθαι, difettando perciò di un modo finito nella reggente. Non è tutto: possiamo anche osservare che il verbo συνίστημι ha il significato che qui occorrerebbe di “essere presentato, raccomandato” al passivo, paragonabile al passivo di lat. commendo, mentre l’attivo che abbiamo qui vale “unire, associare”. Alla forma di perfetto attivo συνεστηκότες è dunque da preferire il participio aoristo passivo συσταθέντες. Nella frase successiva, al congiuntivo esortativo 3ª pers. sing. sit non può corrispondere gr. ἴσθι, 2ª p.  sing. d’imperativo di εἰμί. Non essendovi lezioni diverse, bisogna concludere che l’errore può essere stato generato da una lettura erronea della voce sit in sis; la forma corretta è ἔστω. Si nota altresì l’inesatta concordanza tra παρ’ ὑμῖν al dativo e la relativa apposizione in accusativo τοὺς φιλανθρωποτάτους ἄνδρας (invece di un atteso παρ’ ὑμῖν, (τοῖς) φιλανθρωποτάτοις ἀνδράσι “presso di voi, uomini di altissima levatura”). Rileviamo un’incoerenza anche nell’uso di μέν, che rimane sospeso, non seguito da δέ; come poco più avanti, nell’uso dell’articolo in λίθοι καὶ αἱ ἐρημίαι= saxa et solitudines. Si menzionano di seguito i leggendari effetti della poesia sugli elementi della natura e sugli animali feroci, i quali vengono ammansiti dal canto. Per quel che riguarda gr. θηρία δὲ πολλάκις τὰ ἀγριώδη ἐπὶ τῆς ᾠδῆς χαυνοῦται καὶ παρίσταται, si possono fare alcuni rilievi. Il verbo qui usato χαυνόω vale “rendere fiacco, indebolire”, significato che combacia parzialmente con il lat. flecto “piegare”, “addolcire”, “ammansire”; la voce παρίσταται (in sillessi con il neutro pl. θηρία) da παρίσταμαι “presentarsi, trovarsi presso” (m.-p. di παρίστημι), non convince: è probabile che sia occorsa una confusione con συνίσταμαι, il quale riproduce esattamente il significato di consisto nel passo, ossia “fermarsi”. La causa efficiente in dipendenza da un verbo m.-p. è solitamente espressa in greco

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mediante il genitivo per lo più con ὑπό o παρά, oppure con il dativo364. La scelta operata dal traduttore con ἐπὶ τῆς ᾠδῆς= cantu “(si fermano) per via del canto” è pertanto inconsueta. In gr. ἡμεῖς δὲ, παιδευσάμενοι πράγμασι τοῖς βελτίστοις οὐκ ἂν τῇ τῶν ποιητῶν φωνῇ παρακεκινηκότες ἐσόμεθα; “e noi, educando con le migliori imprese, non saremo stati mossi (?) dalla voce dei poeti?”, nonostante l’inconsuetudine dell’ennesima forma perifrastica παρακεκινηκότες ἐσόμεθα, ricavata da παρακινέω “muovere”, possiamo ipotizzare che l’intenzione del traduttore fosse quella di esprimere un futuro accompagnato dalla particella ἄν, adatto alla traduzione del congiuntivo dubitativo latino moveamur “(non) dovremmo lasciarci commuovere?”. Si sono già visti altrove simili tentativi nel testo, i quali confermano l’imbarazzo dell’interprete di fronte a tali usi del congiuntivo. Propongo il congiuntivo aoristo passivo παρακινηθῶμεν come emendamento. Inoltre, il valore passivo di lat. instituti “educati”, participio perfetto di instituo, non è conservato nella resa greca παιδευσάμενοι. Pur avendo la diatesi medio-passiva, infatti, la forma greca mantiene ancora il significato transitivo di “istruire, formare”, non di “essere istruiti” (v. supra). Homerum Colophonii civem esse dicunt suum, Chii suum vindicant, Salaminii repetunt, Smyrnaei vero suum esse confirmant, itaque etiam delubrum eius in oppido dedicaverunt, permulti alii praeterea pugnant inter se atque contendunt.

Ὅμηρον μὲν Κολοφώνιοι πολίτην εἶναι λέγουσιν αὑτῶν, Χῖοι δὲ σφῶν ἰδιοποιοῦσι, Σαλαμινεῖς δὲ ἀπαιτοῦσι, οἱ δὲ Σμυρνεῖς σφῶν εἶναι διαστηρίζουσι, ὥστε καὶ τέμενος αὐτοῦ ἐπὶ τῆς κώμης αὐτῶν καθιέρωσαν· [44] πολλοὶ δὲ ἄλλοι ἐπὶ τούτοις πρὸς ἀλλήλους διασφαξάμενοι καὶ ἐρίσαντες.

Lat. Chii suum (scil. Homerum) vindicant = Χῖοι δὲ σφῶν ἰδιοποιοῦσι: le contese origini di Omero fra le città della Grecia che a turno ne rivendicavano la natalità (lat. vindicant) sono espresse nel testo greco in modo soddisfacente con ἰδιοποιέω, che però al m.-p. ἰδιοποέομαι porta il significato di “impossessarsi, appropriarsi” con l’accusativo. Il verbo è impiegato a proposito di beni materiali, come terre e possedimenti, ma anche in modo traslato con sentimenti e affetti (cfr. Diod. S. 1,20; 15,29,4; LXX 2 Reg. 15,6; si veda anche ἀντιποιέομαι “reclamare, vendicare” in Thuc. 4,122; Polyb. 1,24,1). Tra i contendenti dei natali di Omero vi erano anche gli abitanti di Smirne (in greco Σμυρναῖοι, cfr. Ηdt. 1,143), il cui etnonimo greco, nell’aspetto che qui leggiamo Σμιρνεῖς, richiede alcune osservazioni. Oltre allo scambio grafico ι/υ nella

364 N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 337.

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prima sillaba, pare che l’autore abbia confuso la flessione propria del lessema, trattando l’aggettivo tematico Σμυρναῖος “smirneo” come un sostantivo atematico *Σμυρνεύς (sulla scorta di etnonimi del medesimo tipo flessivo:  Κιτιεύς “uomo di Cizio”, Μελιτεύς “uomo del demo di Melita”, ecc.). È verosimile che vi abbia inciso foneticamente il latino Smyrnaeus con lettura monottongata di ae [e]‌; il caso è per certi versi analogo alla celebre svista di Cicerone contenuta nelle copie giunte fino alla nostra epoca del De republica (2,8). L’Arpinate in una lettera ad Attico prega l’amico di emendare l’errore commesso nella scrittura dell’etnonimo degli abitanti di Fliunte, Phliuntii, in Phliasii. La modifica, com’è risaputo, sarà introdotta soltanto nelle moderne edizioni del testo365. Ciò potrebbe dimostrare che l’erronea citazione Σμυρνεῖς fu data a memoria sulla base di elucubrazioni e senza la verifica su un affidabile strumento lessicale. Lo stesso si dica per Σαλαμινεῖς, che presuppone un *Σαλαμινεύς; la forma dell’aggettivo attestata è Σαλαμίνιος “abitante di Salamina”, dunque la lezione andrà corretta in Σαλαμίνιοι. La pronuncia itacistica si intravede anche in gr. διαστιρίζουσι, per διαστηρίζουσι; nel verbo δια-στηρίζω è contenuta l’idea di “fissare, consolidare” qualcosa. La voce, che ricalca negli elementi costitutivi lat. con-firmo (στερεός= firmus), è di attestazione rara e prevalentemente poetica (AP 6,203; Nonnos D. 2,659 in LSJ s.v.). Il significato idoneo al nostro contesto, intorno alle opinioni sulla provenienza geografica di Omero, è più propriamente rispecchiato nei verbi greci βεβαιόω, ἐπικυρόω, διισχυρίζομαι (v. supra). “assicurare, confermare”. Si riscontrano altre incongruenze nell’uso degli articoli:  οἱ Κολοφώνιοι…, Χῖοι δὲ…, Σαλαμίνιοι …, οἱ δὲ Σμυρναῖοι; il pronome di 3a pers. pl. σφῶν per ottenere il significato riflessivo dovrebbe essere accompagnato da αὐτῶν. In merito a ἐπὶ τῆς κώμης αὐτῶν “nella loro città” = in oppido, constatiamo che il pronome αὐτῶν è un’aggiunta esplicativa del testo greco, e che di nuovo ἐπί gode di maggior favore rispetto a ἐν. Di seguito si legge permulti alii praeterea pugnant inter se atque contendunt (8,19) “moltissimi altri, poi, litigano fra loro e combattono” = πολλοὶ δὲ ἄλλοι ἐπὶ τούτοις πρὸς ἀλλήλους διασφαξάμενοι καὶ ἐρίσαντες (44,1–4). Lat. permulti “moltissimi” è reso col semplice πολλοί “molti” forse per ovviare alla difficoltà traduttiva del prefisso per- (a cui si può accostare gr. παμπολύς). Benché si tratti di una proposizione indipendente, πολλοὶ… ἐρίσαντες  =  permulti… contendunt è trattata nella versione come una subordinata circostanziale e tradotta per mezzo di participi congiunti: il valore di tali participi potrebbe essere

365 Per l’episodio cfr. L.D. Reynolds-N.G. Wilson, Copisti e filologi, cit., pp. 23–24.

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avversativo366 “mentre altri ancora su queste cose fra di loro si sgozzano e litigano”, ma in ogni caso il periodo rimane senza enunciato reggente. Il frammento contiene anche un altro caso di traduzione meccanica:  διασφάττω “sgozzare, squarciare”, nella sua forma attica (altrove διασφάζω), è un verbo raro367 e poco si confà al generico lat. pugno “combattere”. [9] Ergo illi alienum, quia poeta fuit, post mortem etiam expetunt; nos hunc vivum qui et voluntate et legibus noster est repudiabimus, praesertim cum omne olim studium atque omne ingenium contulerit Archias ad populi Romani gloriam laudemque celebrandam? Nam et Cimbricas res adolescens attigit et ipsi illi C.  Mario, qui durior ad haec studia videbatur, iucundus fuit. [20] Neque enim quisquam est tam aversus a Musis, qui non mandari versibus aeternum suorum laborum facile praeconium patiatur.

Οὐκ οὖν ἐκεῖνοι μὲν ἀλλότριον, διὰ τὸ [τοῦ] ποιητὴν εἶναι, καὶ τεθνηκότα ἔτι ἐπιθυμοῦσι· ἡμεῖς δὲ τοῦτον ζῶντα τόν τε θελήματι καὶ τῷ νόμῳ τὸν ἡμέτερον ὄντα ἀποσοβήσομεν; καὶ ταῦθ᾽ ὅτι πᾶν τὸ πάλαι ἐπιτήδευμα καὶ πᾶσαν τὴν εὐφυΐαν ἐπεστράφθη Ἀρχίας ἐς τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τῆς τε δόξης καὶ τῆς αἰνέσεως ἐγκωμιάζειν. Ὁ μὲν γάρ τοι τὰ καὶ πρὸς Κιμβρικὰ νέος ὢν καθίκετο, καὶ τῷ αὐτῷ ἐκείνῳ Γαΐῳ Μαρίῳ, τῷ πρὸς ταύτας σπουδὰς σκληροτέρως αὐτὸν ἔχειν δοκουμένῳ, ἡδὺς ἐγένετο. Οὔτε γάρ τις οὕτως ἀποστραφθεὶς τυγχάνει παρὰ τῶν Μουσῶν, ὃ [45] μὴ ὑποστὰς ῥᾳδίως τοῖς στίχοις αἰώνιον τῶν πόνων αὐτοῦ κήρυγμα παρατίθεσθαι.

Riferendosi di nuovo a Omero, la frase circostanziale causale esplicita lat. quia poeta fuit “poiché è stato un poeta” è resa in greco per mezzo di un costrutto preposizionale con infinito sostantivato διὰ τὸ τοῦ ποιητὴν εἶναι (l’articolo τοῦ non ha ragione d’essere e va rimosso). In hunc… qui et voluntate et legibus noster est “costui, che per volontà e per leggi è nostro”  =  τοῦτον… τὸν δὲ θελήματι καὶ τῷ νόμῳ τὸν ἡμέτερον ὄντα manca il parallelismo degli articoli davanti a θελήματι καὶ τῷ νόμῳ; inoltre osserviamo la diffusa tendenza ad evitare nella traduzione le proposizioni relative in modo esplicito a favore dei participi attributivi qui… est = τὸν… ὄντα. Il futuro repudiabimus  =  ἀποσοβήσομεν “rifiuteremo”, indica che il nostro testo segue la lezione proposta dal Navagero, collaboratore di Manuzio, e inclusa nell’aldina; i codici riportano il presente repudiamus. Di seguito leggiamo: praesertim cum omne olim studium… contulerit Archias ad populi Romani gloriam… 3 66 N. Basile, Sintassi storica, cit., pp. 491–492. 367 Le attestazioni sono sparse, in TLG www.tlg.uci.edu (accesso 12.03.2017): falsa lectio in Lib. Progym. 7,18; DGE: Sch. Theocr. 8,18; non l’ho rinvenuto nei lessici rinascimentali.

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celebrandam (9,19) “tanto più che da tempo Archia dedicò ogni sforzo alla celebrazione della gloria del popolo romano” = καὶ ταῦθ’ ὅτι πᾶν τὸ πάλαι ἐπιτήδευμα ἐπεστράφθη Ἀρχίας ἐς τὸ τοῦ λαοῦ ῾Ρωμαίου … ἐγκωμιάζειν. Lat. contulerit (< confero) “apportò”, “offrì” è tradotto in greco con ἐπεστράφθη “si volse”, aoristo passivo di ἐπιστρέφω “volgere”. Pare che all’imprecisione sia sotteso un errore di lettura: il significato della forma greca ἐπεστράφθη (< ἐπιστρέφω) ricondurrebbe a converto, confondibile con confero in una lista di parole. Gr. ἐς τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τῆς τε δόξης καὶ τῆς αἰνήσεως ἐγκωμάζην rende, come ormai prevedibile, con un infinito sostantivato ἐς τὸ ἐγκωμιάζειν la finale implicita lat. ad populi Romani gloriam laudemque celebrandam “per celebrare lode e gloria del popolo romano”; la presenza di genitivo anziché l’accusativo fa pensare di nuovo a un influsso della LM. La grafia erronea dell’infinito ἐγκωμάζην per ἐγκωμιάζειν rivela ancora tracce della pronuncia unificata di ει/η, mentre in τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου viene meno la posizione predicativa dell’aggettivo τοῦ λαοῦ τοῦ Ῥωμαίου. Parlando dei meriti dell’antiocheta nell’esaltazione dei successi bellici dei Romani, l’Arpinate scrive: et Cimbricas res… attigit, ma la versione greca τὰ καὶ πρὸς Κιμβρικὰ καθίκετο, va riordinata in καὶ πρὸς τὰ Κιμβρικὰ καθίκετο “e raggiunse le imprese contro i Cimbri”. Sorprende la resa di attingo: il verbo latino significa “toccare, raggiungere col tatto” e viene infatti usato nel senso figurato di “toccare”, “mettere mano”, dunque “dedicarsi a qualche cosa”, riferito naturalmente alla materia militare che Archia, secondo il racconto di Cicerone, avrebbe messo in poesia per eternare la campagna contro i Cimbri di Gaio Mario. Con gr. καθίκετο, però, ci troviamo di fronte ad una traduzione meccanica, che tiene conto soltanto del primo significato di attigit “toccò”, “raggiunse”, e che infatti rende con καθικνέομαι “raggiungere”. Altrove il medesimo verbo è restituito con καθάπτω (11,28 = 55,1). Lat. qui… videbatur “(Gaio Mario) che sembrava piuttosto refrattario a questi studi”, frase relativa, ha una resa con il consueto participio attributivo τῷ… δοκουμένῳ. Nel processo versorio del passo sono state commesse alcune inesattezze. Innanzi tutto, il verbo δοκέω corrisponde a lat. videor, pertanto la forma adeguata sarebbe non quella di un part. m.-p., ma attivo e al caso dativo δοκοῦντι; oltre a ciò, il grecista smarrisce la costruzione personale di videor / δοκέω, trattandola come se fosse impersonale, e aggiunge infatti l’accusativo αὐτόν e l’infinito ἔχειν. La frase incisiva che infatti leggiamo in greco è suppergiù: “(a Gaio Mario) che sembrava che quello fosse piuttosto refrattario a questi studi”. La proposizione relativa qui non… patiatur “(nessuno è così nemico delle Muse) da non sopportare facilmente che venga affidato alla poesia l’elogio delle sue gesta” ha valore consecutivo, preannunciato nella sovraordinata da tam; la

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traduzione greca in questo punto si serve di un participio erroneamente munito di articolo ὁ μὴ ὑποστάς “che non accetti”: la corrispondenza patior-ὑφίστημι “accettare” (cfr. Eur. Alc. 36)  è pregevole, di contro si veda poco sotto la resa estemporanea di praeconium “annuncio (di gloria)” con κήρυγμα “bando”. A gr. ὁ μὴ ὑποστάς segue l’infinitiva ῥᾳδίως τοῖς στίχοις αἰώνιον τῶν πόνων αὐτοῦ κήρυγμα παρατίθεσθαι “(che non sopporta) facilmente che ai versi venga affidato il bando eterno”. La rinuncia a seguire metodi più naturali alla lingua greca nella resa delle costruzioni sintattiche si mantiene dunque costante. Si aggiunga anche che il lessema praeconium “bando, proclama” vale qui metaforicamente “onore, gloria” delle imprese eroiche eternate dalla poesia, significato che il greco κήρυγμα non condivide appieno, possedendo soltanto quello di “annuncio, predicazione”. Ciò non toglie che, avendo in mente il corradicale κῆρυξ del paragrafo 10,24 = 50,6–7 (v. infra), l’autore abbia voluto anticipare un parallelo con l’espressione τῆς ἀνδρείας […] κήρυκα τὸν Ὅμηρον “(tu che) in Omero (trovasti) l’araldo del tuo valore”. Themistoclem illum, summum Athenis virum, dixisse aiunt, cum ex eo quaereretur quod acroama aut cuius voce libentissime audiret: “eius, a quo sua virtus optime praedicaretur”. Itaque ille Marius item eximie L. Plotium dilexit, cuius ingenio putabat ea quae gesserat posse celebrari. [21] Mithridaticum vero bellum magnum atque difficile et in multa varietate terra marique versatum totum ab hoc expressum est; qui libri non modo L.  Lucullum, fortissimum et clarissimum virum, verum etiam populi Romani nomen illustrant.

Θεμιστοκλῆ μὲν ἐκεῖνον, τὸν ἀκρότατον Ἀθήνησιν ἄνδρα φασὶν εἰλεχέναι, ἐρωτηθέντα, τίνος ἂν τοῦ ἀκροάματος ἢ τίνος ἀσμενέστατα φωνῆς ἀκούσειεν, “τούτου ἀφ᾽ οὗ ἡ ἀρετὴ αὐτοῦ βέλτιστα προκατακηρυχθείη”. Ἐκεῖνος μέν τοι ὁ Μάριος πρὸς ταῦτα καὶ ὑπερφυῶς τὸν Λύκιον Πλόκιον ἠγαπήσατο, οὗ τῆς φύσεως ᾤετο τὰ πεπραγμένα αὐτοῦ, δύνασθαι περιβοᾶν. Ὁ δὲ πόλεμος πρὸς τὸν Μιθριδάτην μέγας τε καὶ στυφελὸς ὤν, καὶ περὶ πολλὴν τὴν ποικιλίαν τῇ τε γῇ καὶ τῇ θαλάττῃ τετραμμένος, ὅλος παρὰ τούτου ἀπετυπώθη· [46] αἵτινες βίβλοι οὐ μόνον Λύκιον Λεύκολλον ἰσχυρώτατόν τε καὶ λαμπρότατον ἄνδρα, ἀλλὰ καὶ τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ὄνομα διαυγνῶσι.

Si guardi al seguente caso di omografia di due voci verbali: la voce λέγω può riferirsi in greco a due verbi distinti: 1) “dire”, morfologicamente regolare, e 2) “raccogliere”, politematico. Il significato a cui la forma εἰλοχέναι inf. perf. afferisce è naturalmente il secondo, che sicuramente non può rispondere a lat. dixisse. È evidente che il traduttore ha scambiato i due significati, usando forme verbali proprie di λέγω 2; l’infinito perfetto di λέγω 1 è infatti λελεχέναι. Il politico ateniese Temistocle fu interrogato su quale uomo virtuoso ascoltasse più volentieri (quod acroama… libentissime audiret = τίνος ἂν τοῦ

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ἀκροάματος… ἀκούσειεν: l’aggettivo interrogativo quod in quod acroama non è reso correttamente con gr. τίνος, al cui posto vi sarebbe dovuto essere ποίου (< ποῖος “quale”). Il secondo τίνος, esatto traducente di lat. cuius presente alla riga sotto (45,9), ha forse causato questa ripetizione. L’ottativo aoristo passivo προκατακηρυχθείη è morfologicamente corretto, tuttavia non è attestato nei dizionari il verbo composto di due morfemi prefissali προ-κατα-κηρύσσω; troviamo infatti soltanto le forme κατακηρύσσω e προκηρύσσω. Lat. praedico “bandire, annunciare per mezzo di araldo” ha nel passo, similmente al precedente praeconium di 9,20 (v. supra), il senso traslato di “celebrare, esaltare”. Come già sopra detto, la resa in greco appare un po’ forzata, sebbene potesse avere lo scopo di fissare nella memoria del discente la coppia lessicale praedico =κηρύττω. Prendiamo in esame ora il seguente passo:  itaque ille Marius item eximie L.  Plotium dilexit “e quel celebre Mario allo stesso modo amò grandemente Lucio Plozio” = ἐκεῖνος μέν τοι ὁ Μάριος πρὸς ταῦτα καὶ ὑπερφυῶς τὸν Λύκιον Πλόκιον ἠγαπήσατο. Gr. πρὸς ταῦτα καί “e quindi” / “oltre a questo anche” non traduce alla lettera lat. item “allo stesso modo”, che in greco equivale a ὁμοίως. Inoltre, gr. τῆς φύσεως non ridà la funzione strumentale espressa da lat. cuius ingenio “con le capacità del quale (scil. di Lucio Plozio) credeva che potessero essere cantate le sue imprese” e la costruzione della frase passiva in greco non viene mantenuta, poiché compare al posto di celebrari il verbo attivo περιβοᾶν, tradendo le consuete incertezze diatesiche dell’interprete. Da ultimo, la trascrizione greca del gentilizio Πλόκιος = Plōtius non riflette la quantità lunga della prima vocale latina come in Πλώτιος (cfr. Plut. Cr. 1,4; App. b. civ. 14,95); l’uso di κ, inoltre, desta il sospetto che il testo su cui fu redatta la traduzione contenesse Plocium, forma con il mutamento del nesso antevocalico -ti- > -ci- tipico del latino tardo e medievale368. Tale grafia oscilla non solo nei manoscritti, ma anche nelle stampe d’epoca rinascimentale (cfr. ocium, gracia a fianco di otium, gratia)369. Per quanto accettabile dal punto di vista contestuale  – si sta parlando di guerra e trionfi – il significato di gr. στυφελός “duro, scabro”, spesso riferito a luoghi e persone (LSJ s.v.), non combacia appieno con quello di lat. difficile. Vale la pena di notare che Plutarco (p.es. Ant. 40; Cam. 10,5) scrive χαλεπός “difficile” in riferimento a πόλεμος. Una spiegazione plausibile per questa soluzione è che

3 68 V. Väänänen, Introduction au latin vulgaire, Paris 1981, p. 54. 369 R. Kühner, Ausfürliche Grammatik der lateinischen Sprache, I  Band, Hannover 1912, p. 36.

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la forma, in seguito a grafia illeggibile o guasto meccanico, sia stata scambiata per στυγερός “odioso”, attributo usato in contesti bellici (cfr. Il. 4,240; 6,330). Arduo rimane affermare se l’elusione della preposizione ἐν a favore di altre per tradurre lat. in sia intenzionale, come qui in multa varietate = περὶ πολλὴν τὴν ποικιλίαν. Per quanto concerne bellum… terra marique versatum “la guerra… condotta per terra e per mare”= ὁ δὲ πόλεμος… τῇ τε γῇ καὶ τῇ θαλάττῃ τετραμμένος, è evidente che la traduzione è estemporanea: gr. τρέπω “volgere, stornare” non si adatta accuratamente al lat. versor, che nel nostro caso significa “trovarsi, essere in una situazione”. Il significato appropriato è dato in greco da verbi come ἄγω (Dem. Pax 19), διεξάγω (Diod. S. 14,20,2). In gr. αἵ τινες βίβλοι … τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ὄνομα διαυγνῶσι “e queste opere dànno lustro al nome del popolo romano” evidenziamo ancora un calco del nesso relativo αἵ τινες, lat. qui; per βίβλοι (o βύβλοι) si veda invece quanto già detto in precedenza a proposito di 6,14 = 36,15. La voce διαυγνῶσι non è rintracciabile; la forma più vicina è il verbo διαυγάζω “brillare, splendere” di uso intransitivo, che corrisponde a lat. inlucesco. Alcuni dizionari cinquecenteschi370 contengono anche il lemma διαυγάω. Si può infine vedere la discontinuità nell’uso della posizione attributiva in τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου e poco più sotto in ὁ μὲν γὰρ λαὸς ὁ Ῥωμαῖος. Populus enim Romanus aperuit Lucullo imperante Pontum et regiis quondam opibus et ipsa natura regionis vallatum, populi Romani exercitus eodem duce non maxima manu innumerabiles Armeniorum copias fudit, populi Romani laus est urbem amicissimam Cyzicenorum eiusdem consilio ex omni impetu regio ac totius belli ore ac faucibus ereptam esse atque conservatam; nostra semper feretur et praedicabitur L. Lucullo dimicante, cum interfectis ducibus depressa hostium classis et incredibilis apud Tenedum pugna illa navalis; nostra sunt tropaea, nostra monumenta, nostri triumphi.

370 C. Gesner, Lexicon, cit., s.v.

Ὁ μὲν γὰρ λαὸς ὁ Ῥωμαῖος ἤνοιξεν, τοῦ Λευκόλλου προσταχθέντος, Πόντον καὶ βασιλικαῖς ποτε ταῖς ὑπάρξεσι, καὶ τῇ αὐτῇ τῆς χώρας φύσει παραφραξάμενον· τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου στράτευμα, τοῦ αὐτοῦ στρατηγοῦντος, οὐ μεγίστῃ χειρὶ τὰ τῶν Ἀρμενίων ἀναρίθμητα συστήματα διέφθαρεν· τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τὸ ἐπαινετικόν ἐστι, τὸ τοῦ ἄστεος οἰκειοτάτου τῶν Κυζικηνῶν τοῦ αὐτοῦ τῇ βουλείᾳ, ἐξ ἅπαντος βασιλικοῦ τοῦ τε ῥόθου καὶ ὅλου τοῦ πολέμου στόματος καὶ τῶν λαρύγγων ἐξαρπάζειν καὶ τὸ σεσωκέναι· [47] τῶν ἡμετέρων ἀεὶ φθέγξεται καὶ προκηρύξεται, τοῦ Λυκίου Λευκόλλου ἀγωνισθέντος, μετὰ τῶν ἀποθανόντων τῶν στρατηγῶν καταπιεσθεὶς τῶν πολεμίων στόλος, καὶ ἀνυπέρβλητος παρὰ τῷ Τενέδῳ ἡ ἐκείνη ναυμαχία· ἡμέτερά ἐστι τὰ τρόπαια, ἡμέτερα τὰ ἐγκαταλείμματα, ἡμέτεροι οἱ θρίαμβοι.

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Di seguito si parla della campagna militare di Lucio Lucullo, che aprì a Roma la via della conquista del Ponto: populus enim Romanus aperuit…Pontum… vallatum = ὁ μὲν γὰρ λαός… παραφραξάμενον “il popolo romano… aprì la strada verso il Ponto, un tempo ben difeso dal potere dei sovrani e dalla stessa natura della regione”. Il plur. opes, nel nostro passo indica la potenza, la supremazia dei sovrani d’Asia che difendevano la regione Pontica. È però risaputo che opes porta al plurale altresì il senso di “beni, sostanze” ed è infatti questo il traducente usato imprecisamente nella traduzione; gr. ὑπάρξεσι da ὕπαρξις “sostanza, proprietà” aderisce parzialmente a lat. opibus, pur essendone uno dei suoi possibili traducenti. Riguardo al participio παραφραξάμενον= vallatum, è necessaria una precisazione: com’è noto, il participio perfetto latino dei verbi transitivi esprime l’anteriorità dell’azione descritta rispetto ad un’altra; nel passo, pertanto, vallatum impone che nella lingua d’arrivo sia impiegata una forma che denoti l’azione compiuta in precedenza, e cioè precisamente informi sullo stato di avvenuta chiusura difensiva delle acque sulle rive della Cappadocia Pontica prima dell’intervento militare romano. Deputati a questa funzione sono in greco il participio aoristo passivo e il participio perfetto passivo (cfr. con περιβάλλω Hdt. 2,91; con περιφράσσω Plut., Arist. 7,6,1). Gr. τῇ αὐτῇ τῆς χώρας φύσει= ipsa natura regionis mostra ancora che il traduttore non distingue fra lat. ipse e idem. Il testo cracoviense, presentando la lezione natura regionis vallatum = τῇ… τῆς χώρας φύσει παραφραξάμενον segue bck, codici tardi; i più antichi danno infatti una lezione migliore accolta tutt’oggi: naturae regione vallatum. Anche la resa del sintagma lat. laus est + genitivo non è riuscita: gr. ἐπαινετικός “incline alla lode” (Luc. pro im. 19,2) va sostituito col più appropriato ἐπαίνετος, aggettivo verbale di ἐπαινέω, col quale è stato scambiato, significante appunto laudabilis, “degno di lode” (cfr. Plat. Crat. 416c). Guardiamo ora l’intera frase τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου… τὸ σεσωκέναι: il grecista traduce in maniera impropria lat. eiusdem consilio “grazie alla decisione del medesimo (scil. di Lucullo)” con τοῦ αὐτοῦ τῇ βουλείᾳ, dove gr. βουλεία significa “carica consiliare, dignità senatoria”. Ciò che in latino è espresso con consilium “decisione, deliberazione” è riproducibile in greco, con varie sfumature semantiche, mediante p.es. βούλευμα, βούλευσις, βουλή, βούλημα. Si tratta sicuramente di un errore da glossario; le succitate voci e βουλεία sono infatti simili e disposte contiguamente negli strumenti lessicografici. Similmente si osserva che lat. impetus appartiene al lessico militare e designa l’attacco, la carica d’assalto di un esercito contro l’avversario; il termine è stato reso in greco con ῥόθος, che indica prima di tutto un rumore, il suono delle onde (Aesch. Pers. 462), di Dike (Hes. Op. 220); ma può riferirsi anche ai suoni ‘disarticolati’ di una lingua straniera (Aesch. Pers. 406). La traduzione è dunque

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inesatta e frutto di una prassi versoria ormai sufficientemente illustrata. Nella lingua greca impetus in questa accezione è traducibile p.es. mediante ὁρμή (Il. 9,355), ἐπιδρομή (Hdt. 4,23). Incontriamo nuovamente l’uso, caro al traduttore, dell’infinito sostantivato: in questo caso due infiniti greci τό… ἐξαρπάζειν e τὸ σεσωκέναι traducono una doppia proposizione soggettiva infinitiva (ereptam esse, conservatam (esse)). Viene impiegato con l’infinito sostantivato il genitivo: τὸ τοῦ ἄστεος οἰκειοτάτου τῶν Κυζικένων… ἐξ… ὅλου τοῦ πολέμου στόματος καὶ τῶν λαρύγγων ἐξαρπάζειν καὶ τὸ σεσωκέναι, “è cosa lodevole del popolo romano l’aver strappato della città fedelissima dei Ciziceni… e l’aver salvato dalle fauci di tutta la guerra” caratteristica che, come si è già ipotizzato, potrebbe essere legata ad un’interferenza della LM. La scrittura Κυζυκένων, da emendare in Κυζικηνῶν, evidenzia la confusione ε/η dovuta alla perdita dell’opposizione quantitativa. Analizzando il costrutto μετὰ τῶν ἀποθανόντων στρατηγῶν “con i generali uccisi (morenti)”, riproducente con precisione lat. cum interfectis ducibus, viene naturale interrogarsi se l’uso di ἀποθνῄσκω come passivo di ἀποκτείνω rifletta il consapevole utilizzo di una caratteristica attica applicata al testo371, come del resto si segnalerà in altri luoghi della versione. L’aderenza etimologica va ancora a discapito dell’idoneità lessicale in καταπιεσθεὶς τῶν πολεμίων στόλος= depressa hostium classis “la flotta nemica affondata”. Per quanto serrata sia la corrispondenza col lat. deprimo, il verbo gr. καταπιέζω non pare la miglior soluzione traduttiva. Ci troviamo infatti in un contesto bellico e l’azione dell’affondamento di una nave, espresso in latino con depressa “affondata”, non risulta chiaro dal participio passivo καταπιεσθείς “compresso, schiacciato”; il termine è oltretutto raro, lo rinveniamo per esempio in Thphr. ign. 3,23. Veniamo al passo incredibilis… pugna illa navalis = ἀνυπέρβλητος… ἡ ἐκείνη ναυμαχία: innanzi tutto prima di un pronome dimostrativo non è richiesto l’articolo ἡ ἐκείνη, ma più interessante è notare che contro l’andamento generale della versione, l’aggettivo latino incredibilis ha una resa diversa dal precedente con ἀνυπέρβλητος (cfr. ἀπίθανος 41,5). Anche gr. ἐγκατάλειμμα “residuo, rimanenza”, che compare nell’ultimo luogo commentato, è un sinonimo assai più raro rispetto a μνημεῖον per monumentum.372

3 71 J. Burnet, Greek Rudiments, London 1918, p. 281. 372 Compare ad es. in C. Gesner, Lexicon, cit., s.v.

Esame della versione greca Quare quorum ingeniis haec feruntur, ab iis populi Romani fama celebratur. Carus fuit Africano superiori noster Ennius, itaque etiam in sepulcro Scipionum putatur is esse constitutus e marmore. At iis laudibus certe non solum ipsi qui laudantur, sed etiam populi Romani nomen ornatur. In caelum huius proavus Cato tollitur; magnus honos populi Romani rebus adiungitur. Omnes denique illi Maximi, Marcelli, Fulvii, non sine communi omnium nostrum laude decorantur.

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Ὥστε οἱ ταῦτα τῷ τῆς φύσεως αὐτῶν ὑμνισθέντες, ὑπὸ τούτων ἡ φήμη τῶν Ῥωμαίων ἐπιβόητος γίγνεται. Ἥνδανε τῷ Ἀφρικανῷ ἀνωτέρῳ ὁ ἡμέτερος Ἔννιος, οὐκοῦν καὶ ἐπὶ τοῦ μνημείου τῶν Σκιπιώνων οἴεται οὗτος καθεστάσθαι ἐκ τοῦ μαρμάρου. Ἀμέλει δὲ τοῖς ἐπαίνοις οὐ μόνον αὐτοὶ οἱ ὑμνιζόμενοι, ἀλλὰ καὶ λαοῦ τοῦ Ῥωμαίου τοὔνομα κατακοσμεῖται. [48] Ἐπὶ τὸν οὐρανὸν τουτουὶ πρόπαππος Κάτων αἱρεῖται μεγάλη ἡ δόξα τοῖς πράγμασι τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ἐπιτίθεται. Πάντες δὲ τέλος οἱ ἐκεῖνοι Μάξιμοι, Μάρκελλοι, Φούλβιοι, οὐκ ἄνευ τῆς τῶν ἁπάντων ἡμῶν κοινῆς αἰνέσεως ἐπιπρέπονται.

Nel solco della funzione celebrativa della poesia, il testo prosegue con quare, quorum ingeniis haec feruntur, ab iis populi Romani fama celebratur, che costituisce un passo dibattuto nella storia della trasmissione del testo ciceroniano. Il testo latino riportato nella stampa cracoviense suona: “perciò queste cose sono riferite grazie al loro talento (scil. dei poeti) e da essi è celebrata la gloria del popolo romano”. La traduzione greca ὥστε οἱ ταῦτα τῷ τῆς φύσεως αὐτῶν ὑμνισθέντες, ὑπὸ τούτων ἡ φήμη τῶν Ῥωμαίων ἐπιβόητος non è altrettanto chiara e probabilmente bisogna supporre una lacuna dopo l’articolo τῷ, che appare pendente: “pertanto, coloro che celebrano queste cose con la… (?) del talento di essi, da questi la gloria dei Romani viene celebrata”. Dal punto di vista sintattico, il traduttore sembra interrompere la costruzione passiva della sovraordinata: la traduzione comincia infatti con l’espressione dell’agente ὑπὸ τούτων e prosegue con il soggetto ἡ φήμη τῶν Ῥωμαίων; successivamente, invece di una voce passiva equivalente a lat. celebratur, viene fatto uso del costrutto nominale ἐπιβόητος γίγνεται “diviene/è famosa (lett. gridata)”, incompatibile però con il sopra riportato ὑπὸ τούτων… τῶν Ῥωμαίων “dai Romani”: il traduttore, come è evidente, mescola ancora differenti tipi sintattici all’interno del medesimo periodo. La congiunzione quare = ὥστε che leggiamo nella nostra stampa non è rinvenuta nei rami della trasmissione del testo, i quali tramandano al suo posto quae e quia. Non è forse da escludere una divergenza fra la lezione dei codici feruntur e gr. οἱ… ὑμνισθέντες, dove l’uso di ὑμνίζω “celebrare, lodare” si rivelerebbe più affine alle congetture moderne haec ecferuntur e haec efferuntur, (effero “esaltare”) rispettivamente di Görenz e Stürenberg373. Tuttavia anche il verbo semplice 373 H. Kasten, Oratio pro Archia poeta, cit., p. 42.

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fero può avere il significato di “esaltare, celebrare”. Nonostante l’intelligibiltà della voce ὑμνίζω, devo tuttavia aggiungere che, in base alle ricerche da me finora effettuate, il verbo ὑμνίζω non è altrove attestato se non come base dell’imprestito latino (h)ymnizo (Aug. en. psa. 33,22), che è glossato da Du Cange con laudo, celebro374; ad esso si avvicina ὑμνέω “intonare inni”. Esempio lampante della discontinuità sintattica nell’uso degli articoli è carus fuit Africano superiori noster Ennius “fu caro al nostro primo Africano (scil. L. C. Scipione Africano maggiore)”= ἥνδανε τῷ Ἀφρικανῷ ἀνωτέρῳ ὁ ἡμέτερος Ἔννιος, dove la posizione attributiva è dapprima violata e poi rispettata. Per l’uso insolito dell’agg. ἀνώτερος si veda supra. Nella lettura di in sepulcro Scipionum putatur is esse constitutus ex marmore “si ritiene che nel sepolcro degli Scipioni fosse stata posta una statua di marmo di Ennio (lett. che Ennio sia stato posto in marmo)” ἐπὶ τοῦ μνημείου τῶν Σκιπιώνων οἴεται οὗτος καθεστᾶσθαι ἐκ τοῦ μαρμάρου (47,19–21), si osserva che la costruzione personale di putor con il doppio nominativo è ricalcata nella versione greca. Il verbo scelto dall’autore è però poco attestato e per lo più in testi epici all’attivo οἴω375 (cfr. Il. 1,59; 5,252; Od. 18,259); nelle opere classiche lo si trova in prosa alla forma mediale οἴομαι. Di gran lunga più frequente in costruzioni personali e impersonali è il verbo νομίζω (cfr. Plat. Phaedr. 258c; Thuc. 2,3,2; Lys.13,6). Lat. ipsi qui laudantur “essi stessi sono elogiati”= αὐτοί οἱ ὑμνιζόμενοι rappresenta una lezione tramandata da un ramo deteriore; si preferisce oggi la lezione con il singolare ipse qui laudatur. Per la voce ὑμνιζόμενοι si veda quanto spiegato poc’anzi. Gr. ἐπὶ τὸν οὐρανὸν αἰρεῖται= in caelum tollitur “è innalzato al cielo” tradisce chiaramente un errore derivante dallo scambio delle forme verbali simili αἴρω e αἱρέω; la forma corrispondente a lat. tollitur è infatti αἴρεται. Ulteriori inesattezze concernenti gli articoli sono visibili in omnes denique illi Maximi, Marcelli, Fulvii… decorantur “e infine tutti quei Massimi, Marcelli, Fulvi ne ricevono lustro”= πάντες δὲ τέλος οἱ ἐκεῖνοι Μάξιμοι, Μάρκελλοι, Φούλβιοι… ἐπιπρέπονται:  migliore è l’ordine ἐκεῖνοι οἱ Μάξιμοι. Gr. ἐπιπρέπω equivale a “spiccare, risaltare”, “essere decoroso”, significato che non rende idoneamente quello di lat. decorantur “sono celebrati”. È quindi anch’essa un’imprecisione da vocabolario. Un’altra riflessione va ancora a οὐκ ἄνευ τῆς… αἰνέσεως: il sostantivo αἴνεσις “lode” è prevalentemente biblico (cfr. LXX Lev. 7,15; NT Heb. 13,15),

3 74 C. Du Cange et al., Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort 1883, s.v. 375 P. Chantraine, Dictionnaire, cit., p. 757.

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mentre negli autori classici è più frequente ἔπαινος (cfr. Thuc. 1,76,4; Plut., Cat. Mai. 8,6). [10] Ergo illum qui haec fecerat, Rudium hominem, maiores nostri in civitatem receperunt; nos hunc Heracliensem multis civitatibus expetitum, in hac autem legibus constitutum de nostra civitate eiciemus? [23] Nam si quis minorem gloriae fructum putat ex Graecis versibus percipi quam ex Latinis, vehementer errat, propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus exiguis sane continentur.

Τὸν μὲν οὖν ταῦτα πεποιηκότα, Ῥούδιον ἄνθρωπον, πρόγονοι ἡμῶν τῇ πόλει ὑπεδέξαντο· ἡμεῖς δὲ τοῦτον Ἡράκλειον, παρὰ πολλῶν μὲν τῶν πόλεων ἐπιθυμοῦντα καὶ ἐν ταύτῃ τοῖς νόμοις καταστησάμενον ἐκ τῇ ἡμετέρᾳ πόλει ἐξοικισόμενοι; εἰ μὲν γάρ τις μείζονος τῆς δόξης καρπὸν νομίζει ἐκ τῶν Ἑλληνικῶν μὲν στίχων ἀπολαύειν ἢ ἐκ τῶν Λατίνων, λίαν ἀπαμβρότει, διὰ τὸ τοῦ μὲν Ἑλληνικοῦ [49] ἐν ἅπασι σχεδὸν ἔθνεσιν ἀναγνῶναι, τοῦ δὲ Λατίνου τοῖς πέρασιν αὐτοῦ, σμικροῖς δήπου, περιπλέκεσθαι.

Nell’orazione si fa per la seconda volta menzione del poeta Ennio, soprannominato Rudinus, ovvero originario di Rudiae, colonia messapica situata nell’antica Calabria (oggigiorno Rugge, in provincia di Lecce). Il traduttore tenta forse di trasporre in greco l’aggettivo etnico Rudinus scrivendo Ῥούδιος, ma alcuni elementi rivelano che la forma non può essere corretta. Innanzi tutto, il confronto con le ancorché scarse attestazioni greche del toponimo ci dice che la forma conteneva un altro vocalismo: Strabone scrive infatti (6,3,5) Ῥωδίαι (gen. Ῥωδιῶν); com’è noto, un fenomeno fonetico specifico della lingua latina, è l’oscuramento (Verdunkelung)376, per il quale, in determinate condizioni, la vocale -ŏ- > -ŭ- (cfr. con il gr. Πόπλιος / Publius, Νομᾶς / Numa; νόμιμος / nummus); quindi la forma qui attesa avrebbe dovuto presentare un vocalismo ο/ω originario e non ου, che invece rifletterebbe la forma latina già oscurata. La voce aggettivale non pare però attestata nella letteratura greca, e di qui probabilmente la decisione dell’interprete di trascrivere la parola in greco riproducendo foneticamente la sua grafia latina (cfr. Numidicus a 24,19). D’altra parte, è significativo che nell’ottocentesca traduzione greca dell’orazione ciceroniana l’autore eviti l’ostacolo optando per la perifrasi τὸν ἐκ Ῥωδαιῶν ἄνδρα “l’uomo

376 Cfr. ad esempio V. Pisani, Grammatica latina storica e comparativa, Milano 1974, p. 15; F. Neue, Formenlehre der Lateinischen Sprache, Hildesheim 1985, pp. 104–114; R. Kühner, Ausführliche Grammatik der Lateinischen Sprache, 1. Teil, Hannover 1966, pp. 439–441: le forme -o- e -u- convivono già dal IV secolo a.C. e il fenomeno si propaga in seguito per analogia. Il nostro caso sarebbe però atipico, non rientrando nella casistica descritta dai manuali.

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di Rudiae”377, tradendo l’imbarazzo per la mancanza di un equivalente dell’aggettivo etnico378. Che Archia godeva di grande popolarità tra le città magnogreche viene detto in hunc Heracliensem, multis civitatibus expetitum “questo cittadino di Eraclea, richiesto da molte città”= τοῦτον Ἡράκλειον παρὰ πολλῶν μὲν τῶν πόλεων ἐπιθυμοῦντα. Nel testo d’arrivo, tuttavia, il participio attributivo ἐπιθυμοῦντα è dal punto di vista diatesico inadeguato a tradurre lat. expetitum “richiesto, desiderato”; tale significato viene espresso nella lingua greca attraverso la forma passiva, p.es. ἐπιθυμηθέντα (Diod. S.  37,29,3). Per la resa di lat. Heracliensem mediante Ἡράκλειος si veda supra. Il passo continua con l’interrogativa retorica (hunc Heracliensem) in hac autem (scil. civitate) legibus constitutum de nostra civitate eiciemus? “e noi rigetteremo dalla nostra città costui, che in questa è consolidato per legge?” = τοῦτον… ἐν ταύτῃ τοῖς νόμοις καταστησάμενον ἐκ τῇ ἡμετέρᾳ πόλει ἐξοικισόμενοι; Di autem non v’è traccia nel testo greco (altrove reso con δέ cfr. 6,12 = 34,5; 6,14 = 36,2), sebbene l’elemento avversativo sia stato preannunciato dal precedente μέν. Il verbo della frase interrogativa diretta eiciemus “rigetteremo” è reso, con un procedimento atipico, senza verbo di modo finito, mediante il participio futuro ἐξοικισόμενοι, da ἐξοικίζω “esiliare”. Notiamo anche la confusione di dativo per genitivo dopo la preposizione ἐκ in τῇ ἡμετέρᾳ πόλει. Se il conteggio di casi simili rilevati nella versione non fosse così alto, si potrebbe tentare di spiegare l’imprecisione con una svista del tipografo, che stampò ἐξοικισόμενοι invece che ἐξοικίσομεν, forma di futuro corrispondente a lat. eiciemus.

3 77 Π. Κoυπιτώρης, Μ.Τ. Κικέρωνος ὁ ὑπὲρ Ἀρχίου τοῦ ποιητοῦ λόγος, Ἀθήνησι 1876, p. 49. 378 Sulla grafia greca del toponimo, in ogni caso, pare non esserci accordo. G. Kramer (Strabo, Geographica, Berolini 1847) dà la forma Ῥωδιῶν (6,3,6 p. 448) e in apparato spiega: «ῥωδαίων codd. ῾Ρωδαιῶν Corais. Equidem et hic et paulo post Cluverio auctore (Italia antiqua p. 1249 [a. 1627]) restitui formam usitatam reliquis scriptoribus praeter Steph[anum], a quo haec urbs Ῥοδαί videtur appellari». Il toponimo nel testo di Strabone è dunque stato emendato dal Kramer in Ῥωδίαι sulla scorta della lettura di Cluverius, eliminando il suffisso –αι- e preferendo –ω- ad –ο- nella prima sillaba. Altrove prevale la forma con –o-: H.L Jones, Strabo, Geographica, Cambridge MA 1929 (scrive Ῥοδιῶν, 6,3), e A. Meineke (Strabo, Geographica, Lipsiae 1897), scelta motivata anche dall’osservazione della quantità di -ŭ- in lat. Rŭdĭae, Rŭdīnŭs. Quanto riportato dal lesssico di W. Pape, Wörterbuch, cit., (s.v.) non dirime la questione. Infatti da una parte registra Ῥοδίαι (secondo l’autore, tramandato da Strabone), ma rimanda anche al lemma Ῥουδία con diverso vocalismo (forse dopo l’oscuramento o>u del latino), come riportato invece da Tolomeo (Geog. 3,1,76 C. Ptolemaeus, Handbuch der Geographie. Griechisch-deutsch, herausgegeben von A. Stückelberger–G. Grasshoff, Basel 2006).

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Si osserva poi in si quis… Latinis “se qualcuno crede che dai versi greci si tragga minore frutto di gloria che da quelli latini…”= εἰ μὲν γάρ τις… Λατίνων che la versione, con μείζονος “frutto di minor gloria”, parrebbe seguire un’originaria lezione diversa. In gr. λίαν ἀπαμβρότει (48,24) = vehementer errat (10,23) “sbaglia gravemente (chi…)”, segnaliamo la traduzione di vehementer con l’avverbio λίαν “troppo”, ma soprattutto notiamo che la supposta forma di presente indicativo ἀπαμβρότει nasconde un inesatto ragionamento morfologico. Com’è noto, il verbo ἀφαμαρτάνω (composto di ἁμαρτάνω) “errare” forma un aoristo forte ἀφήμαρτον, accanto alla variante epica ἀπήμβροτον (cfr. Il.15,521; 16,466) caratterizzata da psilosi del verbo base (ἀπ- +) ἀμαρτάνω ed epentesi eufonica di -β-. Si veda anche il lessico di Crastone, che riporta la forma di presente ἀπαμβρότω, s.v. A fronte di due proposizioni causali esplicite propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus… continentur “per il fatto che gli scritti greci sono letti presso quasi tutti i popoli, mentre quelli latini sono limitati dai loro confini”, il testo d’arrivo presenta due casi di infinito sostantivato in accusativo preposizionato διά: διὰ τὸ τοῦ μὲν Ἑλληνικοῦ ἐν ἅπασι σχεδὸν ἔθνεσι ἀναγνῶναι, τοῦ δὲ Λατίνου τοῖς πέρασι αὐτοῦ περιπλέκεσθαι. La subordinata causale espressa in greco con un participio sostantivato reca l’usuale costruzione che tratta l’infinito come un sostantivo, a cui associa però un genitivo. Quare si res hae quas gessimus orbis terrae regionibus definiuntur, cupere debemus, quo minus manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam famamque penetrare, quod cum ipsis populis de quorum rebus scribitur haec ampla sunt, tum iis certe, qui de vita gloriae causa dimicant hoc maximum et periculorum incitamentum est et laborum.

Ὥστε εἰ τὰ πεπραγμένα παρ᾽ ὑμῶν ταῖς τῆς οἰκουμένης χώραις διορίζεται, γλίχεσθαι χρὴ ἡμᾶς, ὡς ἂν ἥκιστα τὰ τῶν ἡμετέρων χειρῶν βέλη παραβῆναι, καὶ αὐτόσε τήν τε δόξαν καὶ φήμην διαπερᾶν, καὶ δὴ τούτων μὲν εὐρύτων τοῖς αὐτοῖς λαοῖς ὄντων, περὶ ὧν τῶν πραγμάτων ταῦτα γράφεται, μάλιστα δὲ καὶ τοῖς περὶ τοῦ βίου κλέους ἕνεκα ἀγωνιζομένοις, τοῦτο μέγιστόν ἐστι ὁρμητήριον κινδύνων τε, πόνων τε.

Gr. τὰ πεπραγμένα παρ’ ὑμῶν risponde a lat. res eae quas gessimus, nonostante nasconda un’imprecisione grafica: il pronome richiesto è infatti quello di 1a pers. pl. ἡμῶν, scambiato in seguito a lettura fonetica per quello di 2a pers. pl. ὑμῶν. Il passo appena esposto è parte di un più ampio periodo ipotetico, la cui apodosi è cupere debemus, quo minus manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam famamque penetrare “dobbiamo desiderare che fino dove sono giunte le armi delle nostre schiere, penetrino la fama e la gloria”= γλίχεσθαι χρὴ ἡμᾶς, ὡς ἂν ἥκιστα τὰ τῶν ἡμετέρων χειρῶν βέλη παραβῆναι, τὴν αὐτόσε τήν τε δόξαν

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καὶ φήμην διαπερᾶν. In generale sul frammento ciceroniano grava un sospetto di interpolazione379. È evidente il calco estemporaneo di gr. ὡς ἥκιστα eseguito sul latino quo minus, che nel passo ciceroniano assume la valenza dell’avverbio quo “fin dove” (cfr. Tac. Germ. 24), in correlazione con il seguente eodem. La mera riproduzione degli elementi strutturali non restituisce però semanticamente la locuzione latina, anzi, gr. ὡς ἥκιστα “il meno possibile” corrisponde a sua volta all’espressione latina quam minime, traduzione inadatta al nostro passo. Il congiuntivo pervenerint è di tipo subordinante, giacché si trova in una proposizione interrogativa indiretta, ma può presentare altresì un carattere eventuale “(fin dove) siano giunte”. Il testo greco risolve infatti con ἄν unito all’infinito παραβῆναι, soluzione insoddisfacente che non restituisce altro che una sfumatura ipotetica. Simili rese abbondano nella versione e dimostrano un impaccio nel trattamento della subordinazione greca da parte del traduttore. La versione del complesso periodo quod cum ipsis… tum iis laborum “ché, come queste lodi sono importanti per i popoli stessi di cui si scrive la storia, così di certo per quelli che rischiano la vita per la gloria questo è il più grande sprone ad affrontare i pericoli e le fatiche della vita”= καὶ δὴ… μάλιστα δὲ… τοῦτο πόνων γε necessita di qualche nota. In base alla lezione unanime et periculorum… et laborum, il testo tradotto acquista senso se sostituiamo γε… γε con τε… τε; inoltre, se la frase causale quod… haec ampla sunt resa con genitivo assoluto τούτων μὲν εὐρύτων… ὄντων non solleva difficoltà, il seguente ταῦτα rimane però pendente, dal momento che il soggetto haec è già stato restituito nel costrutto greco e qui soltanto ripetuto. Si percepisce come il traduttore non di rado lasci incompiuta una costruzione per avviarne un’altra, creando un anacoluto sintattico. Lat. ipsis populis non è conservato in gr. τοῖς αὐτοῖς λαοῖς (= iisdem), mentre il significato di ampla “importanti” non collima con gr. εὐρύτων, genitivo plurale dell’aggettivo εὔρυτος “dalla bella corrente”. L’errore va senz’altro chiarito con la confusione tra i lemmi foneticamente simili εὔρυτος e εὐρύς “ampio”; la forma qui richiesta è dunque εὐρέων. Da ultimo notiamo che καὶ δὴ “e infatti, e a questo proposito”, mancante in latino, ha un’efficace funzione connettiva380.

379 E. Narducci, Cicerone, cit., p. 99 esprime riserve sul passo, ritenendo illogico che dopo gli elogi dei successi militari romani, Cicerone aggiunga che la penetrazione in alcune aree geografiche debba essere affidata alla poesia di Archia in lingua greca. Sulla problematicità del passo si veda anche J. De Keyser-T. Deneire, A new stemma, cit., p. 206. 380 J.D. Denniston, The Greek particles, cit., p. 248.

Esame della versione greca [24] Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! Atque is tamen, cum in Sigaeo ad Achillis tumulum adstitisset:  “o fortunate”, inquit, “adolescens, qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris”! Et vere.

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Ὡς πολλοὺς μὲν γραφεῖς τῶν πραγμάτων αὐτοῦ μέγας ἐκεῖνος ὁ Ἀλέξανδρος σὺν ἑαυτῷ [50] ἐσχηκέναι λέγεται. Ὁ δὲ ὅμως, ἐπιστὰς παρὰ τῷ Σιγαίῳ ἐπὶ τοῦ Ἀχιλλέως τάφου, “ὦ εὐδαιμονέστατε”, ἔφη, “τῶν νεανίσκων, ὁ τῆς ἀνδρείας αὐτοῦ εὑρηθεὶς κήρυκτα τὸν Ὅμηρον”. Καὶ ὄντως.

Un altro calco sintattico, riuscito sfruttando una certa affinità strutturale tra le due lingue, è visibile nella costruzione personale di λέγω: ὡς πολλοὺς μὲν γραφεῖς τῶν πραγμάτων αὐτοῦ μέγας ἐκεῖνος ὁ Ἀλέξανδρος σὺν ἑαυτῷ ἐσχηκέναι λέγεται, mutuata dal lat. dicor: quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! “quanti scrittori delle sue imprese si dice che Alessandro il Grande abbia avuto con sé”. Riscontriamo qui, controcorrente con la qualità generale, il corretto uso degli articoli e dei pronomi:  secum = σὺν ἑαυτῷ, magnus ille Alexander = μέγας ἐκεῖνος ὁ Ἀλέξανδρος. L’invocazione o fortunate… “o fortunato…” = ὦ εὐδαιμονέστατε… “o fortunatissimo…” ci consente di notare che, siccome il passo non è interessato da questioni critico-filologiche, è lecito supporre che il traduttore si sia concesso una pregevole libertà versoria nel trasformare il positivo fortunate nel superlativo greco εὐδαιμονέστατε, aggiungendovi il genitivo partitivo τῶν νεανίσκων “fra i giovani”. Di contro, la frase relativa lat. qui… inveneris “tu, che trovasti in Omero l’araldo del tuo valore” è resa con il participio aoristo passivo sostantivato di εὑρίσκω, ὁ εὑρηθείς “tu che fosti trovato…”, operazione che chiaramente non rispetta quanto si legge nel testo ciceroniano. Il senso della frase richiede infatti inequivocabilmente una forma attiva come ὁ εὑρών “(tu) che trovasti”. Il pronome riflessivo di 2a persona singolare σαυτοῦ (forma attica per σεαυτοῦ) corrispettivo di lat. tuae (virtutis) potrebbe essersi corrotto nel pronome αὐτοῦ, che leggiamo, a causa della vicinanza della parola precedente ἀνδρείας, terminante per -ς. Gr. κήρυκτα, invece che κήρυκα, lascia sospettare che il traduttore abbia ritenuto il sostantivo declinabile secondo il modello di ἄναξ. Nam, nisi Ilias extitisset illa, idem tumulus qui corpus eius contexerat nomen etiam obruisset. Quid? Noster hic Magnus qui cum virtute fortunam adaequavit, nonne Theophanem Mitylinaeum, scriptorem rerum suarum, in contione militum civitate donavit? Et nostri illi fortes viri, sed rustici ac milites, dulcedine quadam gloriae commoti quasi participes eiusdem laudis, magno illud clamore approbaverunt?

Ὁ μὲν γὰρ ἐὰν μὴ παραγεγαυῖα εἴη ἡ Ἰλιὰς ἐκείνη, τὸ γε αὐτὸ τὸ μνημεῖον σῶμα καλυφθὲν αὐτοῦ, καὶ τοὔνομα καταχώσειεν ἄν. Τί δὲ οὗτος ὁ ἡμέτερος Μᾶγνος; ὁ μετὰ τῆς ἀρετῆς τὴν τύχην ὁμαλίσας, οὐχὶ τὸν μὲν Θεοφάνη Μιτυληνέα τῶν αὐτοῦ συγγραφέα, ἐν τῷ συλλόγῳ τῶν στρατιωτῶν τῇ πόλει ἐχαρίσατο; οἱ δὲ ἡμῶν ἐκεῖνοι κρατεροὶ μὲν ἄνδρες, καὶ ἄγροικοι στρατιῶται δέ, τῇ τινι τῆς εὐδοξίας γλυκύτητι διακείμενοι, κα[51] θάπερ μετεχόμενοι τοῦ αὐτοῦ ἐγκωμίου, τὸ μέγα βοῶντες ἐκεῖνο ἐπευφήμησαν;

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Nella versione ὁ μέν rimane avulso dal resto della frase, la quale di conseguenza suona come segue: “egli infatti, se non fosse esistita quella famosa Iliade, lo stesso tumulo il suo corpo nascosto anche il nome avrebbe seppellito”. Come si vede, a complicare la comprensione del passo tradotto intervengono anche altre inesattezze: dal participio passivo καλυφθέν “nascosto, celato”, non traspare la relativa latina qui… contexerat “che aveva ricoperto”; è necessaria infatti una forma attiva καλύψαν “nascondendo, che nascose”. Va inoltre segnalata la presenza della congiunzione ipotetica ἐάν μή al posto di εἰ μή, scelta grammaticale errata poiché il testo originale presenta una protasi negativa irreale “se non fosse esistita… l’Iliade” (si + congiuntivo piuccheperfetto), mentre il traduttore fa uso del tipo eventuale. Sia la protasi (2° tipo) che l’apodosi (3° tipo) greche sono inesatte: il testo latino ha infatti un 3° tipo, che in greco può essere tradotto con l’analogo 4° tipo, esprimente appunto un fatto come irreale. Curiosa è la voce παραγεγαυῖα εἴη, forma perifrastica di ottativo attivo del perfetto παραγέγαα (< παραγίγνομαι); γέγαα è una forma epica parallela a γέγονα (Il. 4,325; Od. 4,112; 19,400)381. Riportando nisi Ilias illa exstitisset = ἐὰν μὴ παραγεγαυῖα εἴη ἡ Ἰλιὰς ἐκείνη, il testo cracoviense presenta la brillante congettura del Navagero. La lezione è tuttora rifiutata da alcuni editori, che ad essa preferiscono nisi illi ars illa exstitisset “se per lui non vi fosse stata quell’arte”382. Con gr. τό γε αὐτὸ τὸ μνημεῖον= idem tumulus, il grecista mescola le costruzioni predicativa e attributiva. Passiamo all’interrogativa retorica nonne… donavit?= οὐχὶ… ἐχαρίσατο; “non l’avrebbe donata (scil. la cittadinanza)…?”, che invita innanzitutto ad una considerazione sull’idionimo Θεοφάνη Μιτυλινέα. Lo storico Teofane di Mitilene fu un personaggio al seguito di Gneo Pompeo durante la campagna mitridatica; nella ricostruzione dell’etnonimo Μιτυλινεύς (da leggersi Μιτυληνεύς, con scambio di lettura ι al posto di η per grafia fonetica) con suffisso –εύς, il traduttore sembra probabilmente ignorare l’esistenza dell’aggettivo etnico Μιτυληναῖος “originario di Mitilene” (cfr. Thuc. 3,2; 3,3; Hdt. 1,160). Va però segnalato che la presenza della forma accusativa omeoteleutica συγγραφέα alla riga inferiore potrebbe essere stata fuorviante. È atipica la reggenza di χαρίζομαι “donare” con τῇ πόλει, dativo della cosa donata. Si vedano i seguenti casi, dove è testimoniato il frequente uso del dativo del beneficiario e l’accusativo della cosa donata “donare qualcosa a qualcuno”: Ar.

381 Tali forme sono piuttosto comuni per il perf. e il ppf., cfr. H.W. Smyth, A Greek Grammar for Colleges, revised by G.M. Messing, Cambridge MA 1956, p. 182. 382 F. Gaffiot, Cicéron, cit., p. 30.

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Eq. 54; Xen. Cyr. 1,4,9. Più avanti, alla pagina 51,11–12 = 10,25 la costruzione è invece corretta. Negli storici si trova il termine πολιτογραφέω “iscrivere fra i cittadini” (Polyb. 32,7,3; Diod. S. 11,49). Nel frammento et nostri illi… milites “e quei nostri forti uomini, ma rozzi soldati” = οἱ δὲ ἡμῶν ἐκεῖνοι… δέ, il pronome ἐκεῖνοι “quelli” è ridondante, dal momento che prima compare già οἱ δὲ “ma quelli”; la posizione degli elementi nel secondo colon è incoerente con il testo originale:  la particella avversativa δέ andrebbe infatti ravvicinata a ἄγροικοι, mentre la congiunzione καί dovrebbe precedere στρατιῶται, così:  ἄγροικοι δὲ καὶ στρατιῶται. Gr. ἄγρικος non conferma la pronuncia del dittongo οι come [i]‌. Non può sfuggire l’imprecisione lessicale in milites… dulcedine quadam gloriae commoti “i soldati, commossi come da una dolcezza derivante dalla gloria”= στρατιῶται… τῇ τινι τῆς εὐδοξίας γλυκύτητι διακείμενοι:  il verbo διάκειμαι (come pass. di διατίθημι), ha il significato di “essere disposto in una certa maniera”, troppo poco connotato per corrispondere a lat. commoti. Il suddetto participio perfetto è attributivo infatti del precedente milites, i soldati di Pompeo, che rimasero commossi e turbati dall’emozione durante l’adunanza, nella quale fu conferita la cittadinanza romana allo storico greco Teofane. Va anche segnalata in τῇ τινι… γλυκύτητι l’erronea unione dell’articolo con l’aggettivo indefinito τις. In τὸ μέγα βοῶντες ἐκεῖνο ἐπευφήμησαν notiamo la presenza ingiustificata di τό; il sintagma μέγα βοῶντες “a gran voce” pare riecheggiare una locuzione d’autore (Plut. Pomp. 48,7, Galb. 26,4; Plat. Symp. 212d). [25] Itaque, credo, si civis Romanus Archias legibus non esset, ut ab aliquo imperatore civitate donaretur perficere non potuit. Sulla, cum Hispanos et Gallos donaret, credo, hunc petentem repudiasset; quem nos in contione vidimus, cum ei libellum malus poeta de populo subiecisset, quod epigramma in eum fecisset tantummodo alternis versibus longiusculis, statim ex iis rebus quas tunc vendebat iubere ei praemium tribui, sub ea condicione ne quid postea scriberet.

Πιστεύω μὲν οὖν, εἰ μὴ τοῖς νόμοις πολίτης Ῥωμαῖος Ἀρχίας οὐκ ἂν εἴη, ὡς παρά τινι τῶν στρατηγούντων χαρίσαιτο τῇ πόλει, δεήσεσι μὴ τευξάμενος. Σῦλλα, τοῖς μὲν Ἰβέροις καὶ τοῖς Γάλλοις χαριζόμενος, τοῦτον πιστεύω παραιτούμενον ἀποσείσειεν ἄν; ὃν ἡμεῖς ἐν τῇ ἀγορᾷ ἑωράκαμεν, τὸ βιβλίδιον ὑποβαλλομένου αὐτῷ τινος ποιητοῦ κακοῦ τοῦ ἐκ τοῦ λαοῦ, ὅ τι μόνον τὸ ἐπίγραμμα ἐπ’ αὐτὸν ἐπαλλήλοις μακροτέροις τοῖς στίχοις ποιησάμενος, αὐτίκα ἐκ τούτων, ἅπερ τότε ἐπώλει κεκελευκέναι αὐτῷ δοῦναι τὸ βραβεῖον ταύτῃ τῇ ἐναποθέσει, [52] ἵνα μή τι μετὰ ταῦτα γράψειεν ἄν.

Un evidente esempio di anacoluto sintattico è rappresentato dall’antifrasi εἰ… τευξάμενος, resa del lat. si… potuit “(ci credo proprio che) se Archia non fosse cittadino romano per legge, non sarebbe riuscito a farsi donare la cittadinanza

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da qualche comandante”, parole con cui l’Arpinate si dichiara incredulo allo stato di illegalità del poeta. Nel periodo ipotetico misto greco la protasi latina di 3° tipo viene restituita con un costrutto con due negazioni, di cui la seconda οὐκ superflua:  εἰ μὴ… οὐκ ἂν εἴη, che la avvicina a un’apodosi di 3° tipo (possibilità). L’apodosi vera a propria del periodo, nell’originale, è all’indicativo perfetto potuit e si trova posposta alla proposizione completiva (ut ab aliquo … donaretur) che regge. Nella versione greca, come più volte abbiamo osservato, essa si trova espressa mediante il participio aoristo μὴ τευξάμενος “non ottenendo”, che, in quanto forma implicita, non può rendere la proposizione principale. Gr. δεήσεσι “con suppliche” è un’interessante espansione del testo greco, che non ha paralleli nella trasmissione testuale. Il traduttore usa il verbo m.-p. χαρίζομαι “donare, gratificare” come se fosse passivo, conferendogli il significato di “essere gratificato, ricevere” - forse per influsso del lat. donaretur - e aggiunge altresì l’espressione dell’agente παρά τινι τῶν στρατηγούντων “da uno dei comandanti”. Sorprendentemente, però, poco più avanti (10,25 = 51,11–12) il verbo è usato correttamente. Proseguendo nella lettura, veniamo informati che persino Silla concesse la cittadinanza a Ispani e Galli: Σῦλλα τοῖς μὲν Ἰβέροις καὶ τοῖς Γάλλοις χαριζόμενος= Sulla cum Hispanos et Gallos donaret (scil. civitatem) “poiché che Silla donò (scil. la cittadinanza) a Galli e a Ispani”. La flessione del sostantivo etnico Ἰβέροις impiegato nella versione è atipica, non esiste infatti una forma tematica in -οἼβερος; bensì la forma attestata è Ἴβηρ (gen.  Ἴβηρος), appartenente alla flessione dei temi in liquida -ρ- (Plut. Sert. 22,6; 25,4 Diod. S. 5,34; 13,110, ecc.). Dunque la forma del dat. plur. è  Ἴβηρσι. Il nome greco di Silla è invece testimoniato negli scrittori come Σύλλας (cfr. LSJ, s.v.). Gr. ἀποσείσειεν ἄν pare non essere la scelta adeguata a rendere lat. repudio “mandare via, rifiutare”. Il verbo greco ἀποσείω infatti significa “sbalzare, far cadere”, mentre usato al m.-p. ἀποσείομαι vale “togliersi di dosso”, idee che non si adattano al contesto: portando avanti il procedimento antifrastico, l’oratore sta infatti immaginando per assurdo che Silla si sarebbe rifiutato di concedere la cittadinanza a un Greco, pur avendola donata a Galli ed Ispani. Il passaggio seguente quem… vidimus = ὃν… ἑωράκαμεν è aperto da un nesso relativo, reso alla lettera con gr. ὅν. Il passato generico espresso con il perfetto latino vidimus necessiterebbe di un aoristo come εἴδομεν; il perfetto ἑωράκαμεν della traduzione indica infatti una resultatività che non è richiesta dal contesto: Cicerone infatti sta ricordando un episodio storico, della biografia di Silla, com’è noto, già scomparso al tempo del processo contro Archia. Similmente possiamo notare come l’infinito iubere della proposizione oggettiva quem… iubere dipendente da vidimus “e lo (scil. Silla) abbiamo visto… ordinare che fosse a lui consegnato…”, benché non esprima niente più che un passato generico “ordinò”, tuttavia viene anch’esso tradotto

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in greco con il perfetto κεκελευκέναι (invece che p.es. con l’aoristo κελεῦσαι). È però tramandata da alcuni importanti testimoni anche la forma di presente videmus: in tal caso, ammettendo che potesse leggere quest’ultima, Żórawski avrebbe interpretato il passo come “lo abbiamo visto e ancora l’abbiamo sotto gli occhi”. Vale la pena di rilevare come nella causale cum… subiecisset, resa con un genitivo assoluto τὸ βιβλίδιον ὑποβαλλομένου… λαοῦ “allorché un poetastro del popolo gli (scil. a Silla) gettò un libretto” venga usata a dovere la costruzione attributiva ποιητοῦ κακοῦ τοῦ ἐκ τοῦ λαοῦ. Tuttavia non è chiaro l’avverbio μόνον preposto a τὸ ἐπίγραμμα – senza rispondenza nell’originale – che muta leggermente il senso del passo “soltanto l’epigramma”; dal testo latino, inoltre, si può inferire che si tratta di un epigramma di cui in precedenza non si è fatta menzione, pertanto l’articolo determinativo τό è superfluo. Va infine segnalato un ennesimo esempio di frase causale esplicita, quod… fecisset, che è stata approcciata in greco mediante ὅτι e il participio ποιησάμενος, sortendo una sintassi ibrida già notata in precedenza. È interessante come l’autore abbia affrontato la traduzione dell’ambiguo aggettivo latino longiusculus, forma diminutiva dell’intensivo longior, longius < longus383. Il risultato è parzialmente soddisfacente, giacché con gr. μακρότερος “più lungo, troppo lungo” < μακρός viene resa soltanto la parte intensiva long-iusdell’aggettivo d’origine, mentre non trova riscontro il suffisso diminutivo -culus. Si confrontino le forme degli scrittori classici: ὑπομήκης (Ar. fr. 339), ὑπόμακρος (Ar. Pax 1243), significanti “di una certa lunghezza”. L’enunciato latino che comincia per sub ea condicione ne “a condizione che non scrivesse…” ha carattere restrittivo-condizionale, frase che è solitamente espressa in lingua greca mediante locuzioni congiuntive come ἐφ’ ᾧ, ἐφ’ ᾧτε, ὅσον μή ed altre384. Ciò che leggiamo nella versione greca appare però ben diverso. Innanzi tutto, per rendere lat. sub ea condicione, il traduttore si serve dell’espressione ταύτῃ τῇ ἐναποθέσει “con questo deposito”, evidentemente una traduzione non idiomatica di lat. condicio, che rivela l’uso di un traducente piuttosto raro. Gr. ἐναπόθεσις “deposito, collocazione” < ἐναποτίθημι “mettere insieme, collocare in un luogo” compare infatti in due passaggi (TGL s.v.), rispettivamente di Sesto Empirico (S. 3,188) e di Galeno (De placitis H. 8,7), e si tratta di uno specialistico termine tecnico-filosofico. Poiché il sostantivo greco non rimanda in alcun modo semanticamente al lat. condicio, sarà utile indagare la natura di questo curioso casus traduttologico. Ritengo sia lecito pensare, più che al frutto di 383 Il significato è forse “di versi allungati ogni due” o “di impari lunghezza”, cfr. E. Narducci, Cicerone, cit., p. 103 e nota 98. 384 N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 786.

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LA VERSIONE GRECA

un’errata interpretazione, ad una svista causata dalla difficile o disattenta lettura di una fonte lessicografica latino-greca, nella quale il lemma condicio o conditio, secondo una grafia diffusa in età medievale e rinascimentale, sarebbe stato ricercato sotto il lemma inappropriato condo, condere “fondare, riporre, custodire” e non sotto condico, condicere “pattuire, stabilire”. Per ciò che concerne il resto del passo, vediamo che il traduttore ha spezzato la locuzione condizionale sub ea condicione ne, intendendo ne come congiunzione finale negativa e rendendola di conseguenza con ἵνα μή; la presenza di ἄν accompagnante l’ottativo γράψειεν è immotivata. Il passo tradotto suona: “a questo deposito, affinché non scrivesse più”. Sul piano ecdotico può infine interessare che gli scoli riportino sed, mentre la versione, con sub, si schiera con la tradizione diretta del testo. Qui sedulitatem mali poetae duxerit aliquo tamen praemio dignam, huius ingenium et virtutem in scribendo et copiam non expetisset? [26] Quid? A  Q. Metello Pio, familiarissimo suo, qui civitate multos donavit, neque per se neque per Lucullos impetravisset? Qui praesertim usque eo de suis rebus scribi cuperet ut etiam Cordubae natis poetis pingue quiddam sonantibus atque peregrinum tamen aures suas ­dederet.

Ὁ μὲν οὖν τὴν ἐπισπέρχειαν κακοῦ τοῦ ῥαψῳδοῦ ἀξιοποιηθεὶς ὅμως γερασμίου τινός, τούτου δὲ τὴν ἀγχίνοιαν καὶ τὴν ἰσχὺν ἐν τῷ γράφειν καὶ τὸ πλῆθος οὐκ ἂν ἐπιθυμήσειεν; τί; ὑπὸ τοῦ Κοΐντου Μετέλλου Πίου, οἰκειοτάτου αὐτοῦ, τοῦ χαρισαμένου πολλοὺς τῇ πόλει, μηδὲ δι’ αὐτοῦ, μηδὲ διὰ τῶν Λευκόλλων, οὐκ ἂν συγχωρηθείη; τοῦ καὶ ταῦτα ἐς τοσοῦτον περὶ τῶν αὐτοῦ γράφειν γλιχομένου, ὥστε καὶ τοῖς μὲν ἐν Κορδούβᾳ γεγαόσι ποιηταῖς, τοῖς λιπαρόν τι ἠχοῦσι καὶ ἀλλοδαπόν, ὅμως δὲ τὰ ὦτα αὐτοῦ παραδοθέντος.

Al lat. duxerit… dignam “uno che ritenne degna d’un premio la solerzia di un poetastro” corrisponde in greco il participio aoristo passivo ἀξιωποιηθείς, che rimanda ad una voce ἀξιοποιέω. La voce, inedita nei lessici antichi, è tuttavia intelligibile nel suo significato. Si compone infatti del tema dell’aggetivo ἄξιος dignus e del verbo ποιέω, che al m.-p. ποιέομαι può assumere il significato di “ritenere, stimare”; il senso è dunque “ritenere/rendere degno”, che ricopre il senso della locuzione latina duco (aliquem/aliquid) dignum, nonostante l‘inadeguata diatesi passiva. La struttura formale del lessema riflette quella di numerosi composti verbali, dotati di una parte nominale (per lo più aggettivi, come αἰσχρο-, ἀγαθο-, ma anche sostantivi λογο- e pronomi ἰδιο-) e del confisso -ποιέω, si veda a titolo d’esempio: αἰσχροποιέω “compiere nefandezze”, ἀγαθοποιέω “comportarsi bene”, λογοποιέω “comporre discorsi”, ἰδιοποιέω “rivendicare, fare proprio”. Si può dunque immaginare che il traduttore abbia fabbricato il neologismo sulla base dei molti esempi presenti nella letteratura, ma a mio parere non si può escludere

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un eventuale influsso del greco contemporaneo. Occorre infatti rimarcare che il lemma in questione è contenuto nei dizionari neogreci come αξιοποιώ, sebbene si tratti di un ben più tardo calco dal francese “mettre en valeur”385. Una svista può celarsi dietro l’uso dell’aggettivo γεράσμιος “degno di un premio” al posto del sostantivo γέρας “dono, premio”  =  praemium; entrambe le forme erano probabilmente vicine o appartenenti ad uno stesso lemma in un glossario. Nemmeno gr. ἐπισπέρχεια  =  lat. sedulitas, compare nei lessici:  ritroviamo infatti solo l’aggettivo ἐπισπερχής “premuroso”. Considerando altre simili tendenze traduttive presenti nel testo, sembra lecito ritenere che la forma sia stata costruita su imitazione386 del processo di derivazione degli astratti riscontrabile in ἀναιδής “impudico” > ἀναίδεια “impudicizia”, ἐπιφανής “manifesto” > ἐπιφάνεια “manifestazione”387. Un altro calco sintattico della costruzione lat. dono aliquem aliqua re con χαρίζομαι (v. supra) è in gr. ὑπὸ τοῦ Κοίντου Μετέλλου Πίου… τοῦ χαρισαμένου πολλοὺς τῇ πόλει “da Quinto Metello Pio, che a molti fece dono della cittadinanza”. È opportuno notare che il significato espresso da neque… impetravisset “non avrebbe ottenuto?” è trasposto in maniera inversa al passivo con μηδέ…

385 Δημητράκου, s.v.; Γ. Μπαμπινιώτη, Λεξικό της νέας ελληνικής γλώσσας, Αθήνα 2002, s.v. Sul confisso –ποιώ e la sua produttività soprattutto nel greco moderno, cfr. Α. Αναστασιάδη-Συμεωνίδη, Η φύση και η παραγωγικότητα του σχηματιστικού στοιχείου -ποιώ, in Μελέτες για την ελληνική γλώσσα-Πρακτικά της 7ης ετήσιας συνάντησης του Τομέα Γλωσσολογίας της 8  Φιλοσοφικής Σχολής Α.Π.Θ., 12–14  Μαϊου 1986, Θεσσαλονίκη 1986, pp. 49–70, p. 61. 386 Il caso si può accostare al fenomeno di “ipergeneralizzazione” osservato nell’apprendimento delle lingue moderne, che si ha quando l’apprendente applica le norme conosciute dalla propria lingua madre nella lingua di studio in casi che non le richiedono o che esulano da esse. Cfr. sulla tematica in generale G. Freddi, Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica, Torino 1999, pp. 53, 80. 387 Il seguente esempio sembra rivelare una certa sottigliezza: a fronte di lat. virtutem ci si aspetterebbe una resa meccanica a mezzo di gr. ἀρετήν, che peraltro manterrebbe il senso di “bravura, talento”, come è infatti da intendersi nel passo ciceroniano. La scelta del traducente ἰσχύν sembra sfoggiare un riferimento alla retorica: con ἰσχύς si indica infatti il vigore di scrittura, la forza stilistica, si veda p.es. D.H. Epist. ad Pomp. 3; Comp. 2,7. Anche per il contiguo lessema lat. copia “(c. verboum) abbondanza di termini” che si realizza ad esempio nella sinonimia, è impiegato il traducente ‘specialistico’ πλῆθος, che compare infatti in Plat. Parm. π. λόγων; π. τῶν ἐπιρρεόντων; e Isocr. Pan. 95. Cfr. su questo concetto H. Lausberg, Elementi di retorica, Bologna 1969 (ed. or. 1990), pp. 53-60.

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ἂν συγχωρηθείη “non (gli) sarebbe concessa (scil. la cittadinanza)?”. Lat. impetro “ottenere” e gr. συγχωρέομαι “essere concesso” indicano infatti due prospettive opposte dello stesso rapporto semantico ‘concedere / ottenere’. Gr. γλυχομένου è da leggersi γλιχομένου. Il nesso relativo qui… scribi cuperet “ed egli (Q. Metello)… desiderava che si scrivesse di lui” non è stavolta ricalcato, ma restituito con il participio sostantivato τοῦ… γράφειν γλυχομένου “di lui che desiderava scrivere”. Lat. de suis rebus “delle proprie imprese”, riferite a Quinto Metello Pio, non appare correttamente reso con gr. περὶ τῶν αὐτοῦ. Il traduttore pare non rendersi conto dell’identità di soggetto espressa, la quale richiederebbe qui un pronome riflessivo di 3ª persona. Una soluzione accettabile potrebbe essere περὶ τῶν ἑαυτοῦ o περὶ τῶν αὑτοῦ. Già altrove si sono osservate difficoltà nella resa dei pronomi personali. Rileviamo un’altra curiosa inversione di forme diatesiche: nel testo d’arrivo l’infinito γράφειν, dipendente da cuperet “desiderava che si scrivesse su di lui”, non è reso nella diatesi appropriata, che dovrebbe essere passiva, come γράφεσθαι. All’opposto, osserviamo che la locuzione latina dedere aures “prestare (lett. le orecchie) attenzione”, calcata nella versione con il gen. ass. αὐτοῦ τὰ ὦτα παραδοθέντος (v. infra) presenta inspiegabilmente il passivo di παραδίδωμι, incoerente con l’attivo dedo. La subordinata consecutiva ut… auris suas dederet dipende dalla relativa di cui si è sopra detto:  qui… usque eo de suis rebus scribi cuperet “il quale a tal punto desiderava si scrivesse sulle sue imprese, che dava ascolto perfino ai poeti di Cordova”. Nella versione greca essa viene tradotta con un participio sostantivato, come se fosse una coordinata della relativa, ma preceduto dalla congiunzione consecutiva ὥστε: τοῦ… ἐς τοσοῦτον… γλιχομένου, ὥστε καὶ τοῖς μὲν ἐν Κορδούβᾳ γεγαόσι ποιηταῖς… δὲ τὰ ὦτα αὐτοῦ παραδοθέντος, costituendo così un ennesimo caso di anacoluto sintattico. Va altresì aggiunto che la locuzione latina auris suas dederet non ha in greco una resa idiomatica, ma segue pedestremente la fonte con τὰ ὦτα αὐτοῦ παραδοθέντος. Nella letteratura classica sono attestate espressioni simili, che tuttavia non contemplano l’uso di παραδίδωμι, come:  τὰ ὦτα παρέχειν “tendere le orecchie, fare attenzione” Plat. Crat. 396d; τὰ ὦτα ἔχειν “avere orecchie per intendere” Plut. 74,1113c; τὰ ὦτα παραβάλλειν “tendere le orecchie, origliare” Plat. Rep. 531a. A conclusione dell’analisi di questo frammento, è opportuno far luce sulla resa del toponimo Corduba. La grafia del nome della città iberica di Cordova, patria di poeti ampollosi, che rintracciamo nelle fonti greche è piuttosto varia. Strabone scrive infatti Κόρδυβα (3,141; 3,160), mentre in Plutarco troviamo Κορδύβη (Caes. 17,2), traslitterazioni del nome della colonia romana che seguono entrambe la flessione in -ᾱ impuro; in Polibio (35,2,2) invece la flessione segue il modello in -ᾰ puro, vi si legge infatti ἐν Κορδύβᾳ. Decisamente meno attestate

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sono le varianti contenenti il digramma -ου-, come nel nostro testo; si veda ad esempio Cassio Dione (43,32,3–6) con Κόρδουβα in -ᾱ impuro. Il geografo secentesco Melezio di Ioannina388 distingue per il nome due allotropi: Κόρδουβα sarebbe la forma popolare, Κορδύβη la forma dotta. Non dissimilmente il lessico di Lorentis389 individua in Κόρδυβα l’antico abitato di fondazione iberica, e chiama invece Κορδούβα la successiva colonia romana, da cui si sviluppò l’odierna Córdoba. Probabilmente tale differenziazione era dettata dal fatto che i mutamenti fonetici intercorsi nella lingua greca a partire dalla tarda età romana e generalizzatisi intorno al X secolo390 avevano reso υ ormai foneticamente indistinguibile da ι, e pertanto il suono [u]‌contentuto nel toponimo latino Corduba poteva essere conservato solo attraverso il digramma ου. Neque enim est hoc dissimulandum quod obscurari non potest, sed prae nobis ferendum:  trahimur omnes laudis studio, et optimus quisque maxime gloria ducitur. Ipsi illi philosophi etiam in illis libellis quos de contemnenda gloria scribunt nomen suum inscribunt; et in eo ipso, in quo praedicationem nobilitatemque despiciunt, praedicari de se ac nominari volunt. [27] Decius quidem Brutus, summus ille vir et imperator, Accii, amicissimi sui, carminibus templorum ac monumentorum aditus exornavit suorum.

Οὐ γὰρ ἀποποιητέον, ὅπερ ἀμαυροῦσθαι οὐχ οἷός τ᾽ ὄν, ἀλλὰ προκομιστέον πρὸ ἡμῖν· [53] ἑλκόμεθα πάντες τῆς εὐδοξίας τῷ ἐπιτηδεύματι καὶ πᾶς ὁ βέλτιστος μάλιστα τῷ κλέει ἐπαγωγεῖται. Οἱ αὐτοὶ ἐκεῖνοι φιλόσοφοι καὶ ἐν ταύταις ταῖς βίβλοις, αἱ περὶ τοῦ καταφρονεῖν τῆς δόξης γεγραφότες εἰσί, τοὔνομα αὐτῶν ἐπιγράφουσιν. Καὶ ἐν τῷ αὐτῷ τῆς προκηρυξίας καὶ τῆς εὐγενείας παρορᾶσθαι, κηρυχθῆναι περὶ αὐτῶν καὶ ὀνομάζειν ἐθέλουσιν. Δέκιος μὲν Βροῦτος, ὁ μὲν ὕψιστος ἀνήρ τε καὶ στρατηγός, τοῦ Ἀκκίου οἰκειοτάτου αὐτοῦ, τοῖς μέτροις, τῶν τε ἱερῶν καὶ τῶν μνημείων τὰς εἰσόδους κατεκόσμησεν αὐτοῦ.

Il confronto fra i testi mette in luce ancora una discrepanza legata all’uso degli strumenti traduttivi. Gr. ἀποποιέω e al m-p. ἀποποιέομαι hanno il significato di “respingere, rifiutare”, perciò non sono adatti a tradurre lat. dissimulo “dissimulare, nascondere”. Emerge il sospetto che anche in questo frangente il traduttore abbia confuso il traducente con un altro verbo composto dalla stessa base -ποιέω, ma con differente preverbo. Προσποιέω alla forma mediale προσποιέομαι, infatti, collima con lat. dissimulo e potrebbe essere stato scambiato con il precedente dal

3 88 Μελέτιος (Melezio di Ioannina), Γεωγραφία παλαιὰ καὶ νέα, Βενετίησι 1728, p. 62. 389 Ν. Λωρέντης, Λεξικὸν τῶν ἀρχαίων μυθολογικῶν, ἱστορικῶν καὶ γεωγραφικῶν κυρίων ὀνομάτων, Βιέννη 1837, p. 282. 390 R. Browning, Medieval and Modern Greek, Cambridge 1983, pp. 56–57.

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traduttore. A proposito di lat. non potest, la stampa greca reca l’incomprensibile οὐχ οἷός τ‘ ὄν, costruzione con il participio neutro ὄν, che forse dovrebbe essere intesa come οὐχ οἷόν τε “non è possibile”. Evidente è poi il calco dell’uso del pronome quisque con il superlativo: optimus quisque maxime gloria ducitur “tutti i migliori sono specialmente guidati dalla gloria” con gr. πᾶς ὁ βέλτιστος μάλιστα τῷ κλέει ἐπαγωγεῖται, pedissequamente tradotto in greco. L’uso del pronome πᾶς in unione con un superlativo è attestato al plurale, cfr. πάντες ἄριστοι Hom. Il. 9,3, Od. 4,272, mentre πᾶς τις, πᾶς ὅστις compaiono con una funzione relativo-indefinita “chiunque, tutti coloro che” (LSJ s.v.). La 3a persona singolare del presente m.-p. di ἐπάγω dovrebbe dare ἐπάγεται. La forma che leggiamo nel testo greco ἐπαγωγεῖται, come corrispondente di ducitur, sembra invece provenire da un errato ragionamento intorno a una forma di aoristo forte raddoppiato ἐπήγαγον (< ἐπάγω), oppure ancora si può trattare di una forma denominativa contratta, costruita a partire da ἐπαγωγή. Non pare insensato assumere che anche in questo caso la svista sia stata provocata dalla prossimità dei due lemmi ἐπάγω, ἐπαγωγή disposti in un elenco alfabetico. La resa dei pronomi in gr. οἱ αὐτ’ ἐκεῖνοι φιλόσοφοι di fronte a ipsi illi philosophi ribadisce la malaccortezza del grecista nell’uso degli articoli, il quale pare avere letto iidem illi philosophi. Quanto a nomen suum inscribunt = τοὔνομα αὐτῶν ἐπιγράφουσι, la forma αὑτῶν è sicuramente da emendare in αὐτῶν. Il pronome relativo acc. pl. quos non collima nella resa greca nom. pl. αἱ (invece di acc. ἅς), e la forma γεγραφότες εἰσίν, che possiamo avvicinare a un sintagma verbale del perfetto (in luogo di γεγράφασι “hanno scritto”), desta perplessità: il testo latino ha qui il presente scribunt; tali forme perifrastiche isolate, già esaminate nella versione, pongono anche un problema d’interpretazione diatesica: l’autore, pur maneggiando con difficoltà gli elementi morfosintattici, voleva esprimere una forma attiva o passiva? Il passivo γεγραμμένοι εἰσί vi sarebbe da preferire: “i libelli, che sono stati scritti sulla gloria”. Il traducente greco προκηρυξία  =  lat. praedicatio è problematico. È infatti testimoniata solo la forma προκήρυξις che appartiene alla categoria flessiva dei temi -ει/-ι, mentre una forma afferente ai temi in -α è assente. Ci troviamo dinanzi ad un altra singolarità morfologica, per cui ad un lessema viene assegnata un’errata flessione nominale. Oltre a ciò, si consideri quanto detto supra (e infra 11,26) sulla famiglia etimologica (-κηρυκ-) del sostantivo: προκήρυξις vale “proclama pubblico, preannuncio” e pertanto è parzialmente adatto al contesto, in cui l’Arpinate sta smascherando il simulato disprezzo dell’elogio, notorietà (praedicatio), e della gloria (nobilitas), sfoggiato da alcuni filosofi. Anche il seguente luogo presenta irregolarità di ben nota natura:  praedicari

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de se ac nominari volunt “vogliono che si parli di loro e che si faccia il loro nome”  =  κηρυχθῆναι περὶ αὐτῶν καὶ ὀνομάζειν ἐθέλουσιν. In primo luogo, come già appena visto a proposito di praedicatio, anche a praedico in questa particolare sfumatura non può corrispondere il letterale κηρύσσω “annunciare, proclamare”; inoltre, la diatesi dei due infiniti greci è incoerente: se per lat. praedicari κηρυχθῆναι risulta almeno diatesicamente accettabile, ὀνομάζειν invece si oppone al passivo nominari; da ultimo, per convergere con lat. de se, περὶ αὐτῶν deve essere mutato in περὶ αὑτῶν. La lezione Decius quidem Brutus = Δέκιος μὲν Βροῦτος del nostro testo è isolata rispetto a quella comunemente tramandata dal testo ciceroniano Decimus. Quasi sicuramente si tratta di una corruzione del praenomen Decimus o di una abbreviazione sciolta erroneamente in un manoscritto: si veda ad esempio la lezione contenuta negli scoli Dec. q. Br., che avrebbe potuto suggerire Decius anziché Decimus. Iam vero ille qui cum Aetolis Ennio comite bellavit, Fulvius, non dubitavit Martis manubias Musis consecrare. Quare, in qua urbe imperatores prope armati poetarum nomen et Musarum delubra coluerunt, in ea non debent togati iudices a Musarum honore et a poetarum salute abhorrere. [28] Atque ut id libentius faciatis, iam me vobis, iudices, indicabo et de meo quodam amore gloriae nimis acri fortasse, verum tamen honesto vobis confitebor.

Ἤδη δὲ ἐκεῖνος ὁ πρὸς τοὺς Αἰτωλοὺς τοῦ συστρατεύσαντος Ἐννίου πολεμίσας, Φούλβιος, οὐκ ἐξάμφοτέρισεν τοῦ Ἄρε[54] ως λαβὰς ταῖς Μούσαις ἱεροποιεῖν. Ἐφ’ ᾗ μὲν οὖν τῇ πόλει σχεδὸν ὡπλισμένοι οἱ στρατηγοὶ τῶν ποιητῶν τοὔνομα καὶ τοὺς τῶν Μουσῶν νεὼς λατρεύσαντες ἦσαν, ἐπὶ ταύτης οὐ μέλλουσι τηβεννοφόροι οἱ κριταὶ παρὰ τῶν Μουσῶν τῆς τιμῆς καὶ παρὰ τῶν ποιητῶν τῆς σωτηρίας μυσάττεσθαι. Τοῦτο δὲ ὡς ἀσμενεστέρως ποιήσαιτε, ἤδη ἐμαυτὸν ὑμῖν, ὦ κριταί, ἀποφανῶ καὶ περὶ τῆς τινος φιλοδοξίας ἐμοῦ, λίαν ὀξείας μὲν τάχα, σεμνῆς δὲ ὅμως κατεξομολογήσομαι.

Il genitivo assoluto τοῦ συστρατεύσαντος Ἐννίου traducente il corrispettivo ablativo assoluto (ellittico del predicato) Ennio comite “accompagnato da Ennio; in compagnia di Ennio” non pone problemi, eccetto per la posizione dell’articolo, che è preposto al participio anziché al nome; l’ordine corretto è τοῦ Ἐννίου συστρατεύσαντος. Con ἐξημφοτέρισεν (nell’aoristo ἐξαμφοτέρισεν è stato tralasciato l’aumento temporale, per cui la forma corretta è ἐξημφοτέρισεν), derivante da ἐξαμφοτερίζω “trattare un argomento in modo duplice, rendere ambiguo” (cfr. Plat. Euthyd. 300d) la traduzione disattende lat. dubito, che qui significa “esitare, tentennare”. Verosimilmente la causa è da ricercare di nuovo negli indici di parole utilizzati

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dal traduttore, dove non è difficile supporre che nelle adiacenze del lemma dubito figurasse altresì un’espressione polirematica del tipo dubium facio unita a un suo traducente greco, appunto ἐξαμφοτερίζω, e con la quale è stata confusa. Traducentε grecο di lat. dubito è p.es. διστάζω (Plat. Theaet. 190a). Nemmeno gr. λαβάς “manici” corrisponde a lat. manubias “spoglie, bottino”. Lo sbaglio prende origine dalla somiglianza grafica tra manubias, accusativo plurale femminile, e manubria “manici”, accusativo plurale neutro. Il traduttore ha scambiato i due termini, il corrispondente greco per manubiae è infatti τὰ λάφυρα. La correlazione delle marche testuali prolettica in qua ed epanalettica in ea “in questa città…, lì…” è apprezzabilmente trasportata anche nel testo d’arrivo, che presenta ἐφ’ ᾗ però con successiva variazione sintattica del pronome ἐπὶ ταύτης. È già stata ripetutamente sottolineata la compresenza nella versione di ἐπί e di ἐν di fronte a lat. in, con prevalenza del primo rispetto al secondo. La perifrasi verbale λατρεύσαντες ἦσαν “erano adoranti (?)” per lat. coluerunt “tennero in considerazione” composta dal participio aoristo λατρεύσαντες (< λατρεύω “servire, adorare”) e da ἦσαν, 3ª pers. pl. dell’imperfetto di εἰμί, non pare rispondere a nessuna forma o costruzione nota della flessione verbale greca. Si può ipotizzare che nelle intenzioni del traduttore vi fosse inizialmente l’indicativo aoristo ἐλάτρευσαν “adorarono”, tuttavia tali anomali tentativi di forme perifrastiche, data la loro frequenza nel testo, potrebbero forse dipendere da una fonte grammaticale. Al di là dell’atipica forma verbale, è opportuno evidenziare che gr. λατρεύω negli autori classici ha il significato di “servire, fare da servo” (Xen., Cyr. 3,1,36; Soph., Tr. 35), e “venerare, adorare” nei confronti di divinità (NT Luc. 2,37), corrispondente del lat. colo del passo qui trattato. Nei testi classici, fra i traducenti di lat. colo, troviamo: θεραπεύω, τιμάω, σέβομαι (Hes. Op. 135; Ar. Nub. 293), è pertanto significativo che Crastone riporti nel suo dizionario l’equivalenza λατρεύω  =  colo, poiché costituisce un’indicazione abbastanza persuasiva che il termine non fu scelto con uno scopo preciso dal traduttore, ma attinto da uno dei sussidi lessicali a lui disponibili. Di seguito, nel frammento non debent togati iudices … a poetarum salute abhorrere “i giudici togati non devono provare avversione ad onorare le Muse né a salvare i poeti”= οὐ μέλλουσι τηβεννοφόροι οἱ κριταὶ … παρὰ τῶν ποιητῶν τῆς σωτηρίας … μυσάττεσθαι, il traduttore rende di nuovo il verbo debeo con μέλλω unito all’infinito, solitamente, come già notato, indicante l’imminenza di un’azione o la predestinazione. Gr. μυσάττομαι “rigettare, provare disgusto per qualcosa” (= abhorreo) si trova in genere con l’accusativo391; παρά unito al genitivo pare un calco della costruzione latina di abhorreo ab + ablativo. La posizione 391 F. Montanari, GI, cit., s.v.

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attributiva dei due sintagmi lessicali è inusuale, dovendo il genitivo essere posto fra l’articolo e il sostantivo a cui si riferisce: παρὰ τῆς τῶν Μουσῶν τιμῆς […] παρὰ τῆς τῶν ποιητῶν σωτηρίας. Consideriamo ora il periodo τοῦτο δὲ ὡς ἀσμενεστέρως ποιήσαιτε, ἤδη ἐμαυτὸν ὑμεῖς, ὦ κριταί, ἀποφανῶ, versione di lat. atque ut id libentius faciatis, iam me vobis, iudices, indicabo “e affinché con più zelo ve ne occupiate, ora vi rivelerò…”. È risaputo che, di norma, la proposizione circostanziale finale greca vuole l’ottativo nel caso in cui la proposizione reggente contenga un tempo storico. Non è questo il caso, dato che abbiamo nella principale il futuro ἀποφανῶ; pertanto nella subordinata finale è richiesto il congiuntivo presente ποιῆτε invece dell’ottativo ποιήσαιτε392. Il nominativo ὑμεῖς va corretto nel dativo ὑμῖν, corrispondente a lat. vobis. L’articolo con aggettivo indefinito in περὶ τῆς τινος φιλοδοξίας  =  de meo quodam amore gloriae “di una certa mia inclinazione per la gloria” segnala ancora l’imbarazzo nella gestione di questa parte del discorso. Quanto a lat. confitebor = κατεξομολογήσομαι, si veda quanto detto per 6,12 = 33,19–20. Nam, quas res nos in consulatu nostro vobiscum simul pro salute huius urbis atque imperi et pro vita civium proque universa re publica gessimus, attigit hic versibus atque inchoavit; quibus auditis, quod mihi magna res et iucunda visa est, hunc ad perfi-ciendum hortatus sum. Nullam enim virtus aliam mercedem laborum periculorumque desiderat praeter hanc laudis et gloriae; qua quidem detracta, iudices, quid est quod in hoc tam exiguo vitae curriculo et tam brevi tantis nos in laboribus exerceamus?

Τὰ μὲν γὰρ ἐν τῇ ὑπατείᾳ ἡμῶν ἅμα μεθ᾽ ὑμῶν ὑπὲρ σωτηρίας τῆς τε ταύτης πόλεως, καὶ δυναστείας, καὶ τῆς ζωῆς τῶν πολιτῶν, καὶ ὑπὲρ ἁπάσης τῆς πολιτείας πε[55]πραγμένα, καθῆψατο οὗτος τοῖς στίχοις, ἤτοι κατήρξατο· τούτων δὲ ἔγωγε ἀκηκοὼς ὤν, ὅτι μέγα τὸ πρᾶγμα κἄλυπόν τε ὤφθη, τουτῳὶ διατελεῖν παρῃνεσάμην. Οὐδενὸς γὰρ ἄλλου μισθώματος τῶν πόνων τε καὶ κινδύνων ἱμειρομένη ἡ ἀρετὴ, πλὴν ταύτης τῆς αἰνέσεως καὶ τοῦ κλέους· οὗ μὲν κατασυρθέντος, ὦ κριταί, τί ἂν γένοιτο χάρις τινὸς ἐν τοσούτως σμικρῷ τοῦ βίου δρομήματι, τοσούτως δὲ μινυνθαδίου, τοσούτοις ἂν πόνοις ἡμᾶς ἀσκήσαιμεν;

Il testo cracoviense si schiera di nuovo con la correzione apportata dal Navagero huius urbis atque imperii “(per la salvezza) di questa città e dell’impero” = ταύτης πόλεως καὶ δυναστείας, contro la lezione dei codici huius aeque imperi “allo stesso tempo (per la salvezza) di questo impero”.

392 Ma cfr. N. Basile, Sintassi storica, cit., 669 nota 8: il caso è testimoniato ed interpretato come tratto di libertà di un enunciato, che trae origine dalla lingua parlata.

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La traduzione di lat. attingo a mezzo di gr. καθάπτω è discutibile:  il verbo latino ha qui il senso preciso di “toccare un tema”, “occuparsi di qualcosa” – in questo caso l’attività poetica – mentre il greco καθάπτω (ad- + tango → κατα- + ἅπτω) all’attivo significa “attaccare, assalire”, mentre al m.-p. “rivolgersi a qualcuno con parole”, senso più idoneo al nostro caso (cfr. Il. 1,582; Od. 18,415). Il verbo semplice ἅπτω alla forma mediale ἅπτομαι renderebbe la voce latina più adeguatamente (cfr. “accingersi a”, Ar., Eq. 581, Plat., Euthyd. 283a); nonché ἐφάπτω, anch’esso al m.-p. “dedicarsi a qualcosa, intraprendere” (Plat., Leg. 891c). Gr. ἤτοι presuppone una lezione latina come vel, vel quidem che non compare in nessuna redazione dell’opera; tutte hanno infatti atque. Forse il contesto può venire in aiuto: Cicerone accenna qui con fiero compiacimento che Archia sta approntando un poema avente per iscopo la celebrazione del suo consolato. Come sappiamo, l’opera verrà disattesa (v. par. 1.9.1.) e il grecista polacco, consapevole di questo, avrebbe inserito la propria interpretazione del passo: “costui ha messo mano all’opera in versi, oppure l’ha cominciata”. Tale accorgimento per un verso attenuerebbe l’affermazione attigit, per l’altro preciserebbe che l’opera non è stata portata a termine. In quibus auditis “dopo aver udito ciò” = τούτων δὲ ἔγωγε ἀκηκοὼς ὤν osserviamo una resa insolita dell’ablativo assoluto, comunemente risolto con un analogo genitivo assoluto. Inoltre incontriamo un’altra perifrasi verbale, composta da participio perfetto e participio presente. Si registrano ulteriori inesattezze sintattiche nel passo μέγα τὸ πρᾶγμα κἄλυπόν τε ὤφθη traduzione di mihi magna res et iucunda visa est “mi sembrò una cosa grande e gradita”. La costruzione di lat. visa est subisce una resa automatica con l’aoristo passivo ὤφθη “fu vista”, che così perde il particolare significato di videor. Altrove nel testo, ma senza continuità, videor è tradotto correttamente con δοκέω (cfr. 6,13  =  35,17). Curiosa è la scelta dell’aggettivo ἄλυπος “senza dolore” come corrispettivo per il lat. iucundus “gradevole, allettante”. Il termine greco, che compare sovente associato ai concetti di filosofia morale come assenza di sofferenza, di turbamento, di vecchiaia (cfr. Soph. OT 593, OC 1765; Plut. Pomp. 1,3,6; Plat. Phil. 43c), invero non si pone in conflitto semantico con iucundus, ma appare troppo fievole per descrivere la soddisfazione di Cicerone per la celebrazione poetica del suo operato dedicatagli dall’antiocheta. Ritengo sia pertanto da considerare come una traduzione da vocabolario e, a sostegno di quest’ipotesi, la presenza della suddetta equivalenza in Crastone può essere significativa. Più frequentemente iucundus corrisponde in greco a τερπνός, ἡδύς. Curiosa sul piano grafico la prova di crasi κᾄλυπον fra καί e ἄλυπον. La stampa riporta la rara lezione hortatus sum, che risulta da una correzione a margine di un unico codice tardo del XV sec. b2. Gli altri codici presentano varie

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lezioni: adoravi, adhortavi, adhortatus sum; Klotz congettura adornavi, così anche Gaffiot; Kasten propone adoptavi. Passando al gr. παρῃνησάμην, com’è noto, il verbo αἰνέω e i suoi composti come παραινέω non sono soggetti ad allungamento della vocale tematica393 -ε-, quindi la forma d’aoristo è da ristabilire in παρῃνεσάμην. Il predicato della reggente desiderat è svolto in greco con il participio ἱμειρομένη; la frase assume così l’aspetto di una circostanziale implicita, lasciando, come già più volte osservato, la frase principale priva di un verbo di modo finito. Il brano τὶ ἂν γένοιτο … ἀσκήσαιμεν; suona come segue: “che sarebbe, per quale motivo ci eserciteremmo in così grandi fatiche (in) un così piccolo corso della vita e tanto breve?”. La locuzione interrogativa è dunque riportata una prima volta con τὶ ἄν γένοιτο “che sarebbe?”, e successivamente ripetuta con χάρις τίνος “a quale scopo?”. Veniamo al genitivo assoluto οὗ κατασυρθέντος “tolta la quale (scil. la gloria)”:  nella scelta di κατασυρθέντος prevale il mantenimento della struttura etimologica: de-traho → κατα-σύρω “tirare giù”, “devastare”. La resa è qui ad verbum, contro una restituzione più idonea p.es. con ἀφαιρέω “togliere”, ma indubbiamente il composto porta con sé una più efficace metaforicità. Secondo TGL e LSJ (s.v.), il lemma δρόμημα è da ripristinare in δράμημα (= cursus, curriculum), sua forma originaria. I papiri e la tradizione indiretta di Euripide conservano infatti δράμημα, forma che poi scompare negli autori successivi, sostituita dal più diffuso δρόμημα. Pare tuttavia che ambedue le forme coesistano (DGE, s.v.). Dal pronome indefinito τοσοῦτος, com’è noto, proviene la forma neutra τοσοῦτον con valenza avverbiale “tanto; a tal punto”. L’anomalo τοσούτως invece, che leggiamo due volte nella stampa, non compare nei lessici e pare ipergeneralizzato sull’avverbio οὕτως. [29] Certe, si nihil animus praesentiret in posterum et si, quibus regionibus vitae spatium circumscriptum est, eisdem omnes cogitationes terminaret suas, nec tantis se laboribus frangeret neque tot curis vigiliisque angeretur nec totiens de vita ipsa dimicaret. Nunc insidet quaedam in optimo quoque virtus, quae noctes ac dies animum gloriae stimulis concitat atque admonet non cum vitae tempore esse dimittendam commemorationem nominis nostri, sed cum omni posteritate adaequandam.

ἀμέλει, εἰ μή τι ὁ θυμὸς προῃσθῆσθαι ἐς τὸ ὄπισθεν, εἰ δέ, αἷς χώραις τοῦ βίου τὸ διάστημα περιεγράφθη, ταῖς αὐταῖς ἁπάσας τὰς διανοίας [56] ὁρίζειν αὐτοῦ, μηδὲ τοσούτοις καμάτοις ῥῆξαι ἑαυτόν, μηδὲ πρὸς τοσαύτας φροντίδας τε καὶ τὰς ἀγρυπνίας δυσθυμηθείη, μηδὲ τοσάκις περὶ τῆς αὐτῆς ζωῆς διαδορατίσαιτο. Νῦν δὲ ἐνιδρύεταί τις τῷ βελτίσθ᾽ ἑκάστῳ ἡ ἀρετή, ἥ γε νυκτὰς καὶ ἤματα τὴν ψυχὴν τοῦ κλήτους κέντροις παρορμᾷ καὶ νουθετεῖ οὐκ μετὰ τοῦ τῆς ζωῆς χρόνου ἀφίεσθαι τὸ ἀπομνημόνευμα τοὐνόματος ἡμετέρου, σὺν δὲ πᾶσι τοῖς μεθ’ ἡμᾶς ὁμαλισθῆναι.

393 H.W. Smyth, A Greek Grammar, cit., p. 160.

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LA VERSIONE GRECA

Il periodo ipotetico greco εἰ μή… ἑαυτόν= si nihil… suas “se l’animo non provasse alcun presentimento per il futuro e se limitasse i sui pensieri entro gli stessi confini in cui è circoscritto lo spazio di una vita” presenta palesi irregolarità. Vediamo l’uso di modi indefiniti sia in protasi esplicite:  εἰ μή τι ὁ θυμὸς προῃσθῆσθαι ἐς τὸ ὄπισθεν, che nella prima apodosi:  μηδὲ τοσούτοις καμάτοις ῥῆξαι ἑαυτόν. Le successive apodosi mostrano invece l’uso dell’ottativo: δυσθυμηθείη e διαδορατίσαιτο. Da rilevare anche il calco della prolessi del relativo in αἷς χώραις… ταῖς αὐταῖς…  =  quibus regionibus …, isdem… In gr. περιεγράφθη abbiamo l’uso dell’aoristo passivo in luogo dell’espressione circumscriptum est “è circoscritto”. La confusione sembra provenire dal riconoscimento della forma latina come un perfetto passivo invece che con un predicato nominale. Passando agli aspetti lessicali, gr. διαδορατίζομαι “combattere con lancia” (< δόρυ “lancia”) è una scelta traduttiva che sembra risalire ad alcuni lessici, fra cui il lessico di Gesner (s.v.), dove il primo traducente di lat. dimico coincide con questo verbo, cui seguono διαμάχομαι e ἀγωνίζομαι. La voce latina nella locuzione de vita dimico assume il significato di “rischiare, mettere a repentaglio la vita”, sfumatura che non emerge nella meccanica resa greca. Con la posizione del pronome in περὶ τῆς αὐτῆς ζωῆς il greco non rispetta l’uso di ipse in lat. de ipsa vita. Emergono tuttavia nel frammento prove di una certa conoscenza delle regole sintattiche, come dimostra il passo ἐνιδρύεταί τις τῷ βελτίσθ’ ἑκάστῳ ἡ ἀρετή= insidet quaedam in optimo quoque virtus “in tutti i migliori risiede una certa forza”. Il verbo ἐνιδρύω “trovarsi, risiedere” al m.-p. regge infatti il dativo, come l’autore dimostra di sapere, cfr Hdt. 4,53,6. Gr. τῷ βελτίσθ’ ἑκάστῳ (si notino l’anomala elisione di -ῳ e la conseguente aspirazione) riflette il calco di quisque + superlativo di lat. in optimo quoque (v. supra). Il passo νύκτας καὶ ἤματα ha un’eco epica, cfr. Ιl. 18,340; Hes. Th. 722, Op. 385. Merita un commento il lessema τοῦ κλήτους= gloriae. La letteratura greca conosce il sostantivo neutro κλῆτος “gloria” (corradicale di καλέω e κλέος), testimoniato394 una volta in Alcmane (fr. 122)  e in rarissimi passi di scrittori cristiani (Ps.-Io., De negatione Petri et Ioseph 613,62). Più orientativo nel nostro caso è però la sua attestazione nella Suda395 dove è glossato con δόξα. Che il nostro abbia consultato il lessico bizantino non è sicuro, ma all’interrogativo può rispondere nuovamente l’uso di altri sussidi lessicografici: basti citare il lessico di Gesner (s.v.) che lo spiega con multitudo, gloria.

3 94 TLG, www.tlg.uci.edu (accesso 12.03.2017). 395 Suidae Lexicon, cit., p. 608 s.v.

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Il latino ha una perifrastica passiva all’infinito esse dimittendam… adaequandam che parte dalla reggente admonet, mentre la resa greca con dei semplici infiniti ἀφίεσθαι… ὁμαλισθῆναι fallisce nuovamente nel rendere l’idea di necessità espressa dal costrutto, che avrebbe necessitato di un infinito come δεῖν o la forma χρή. Aggiungiamo altresì che la stampa cracoviense reca la lezione dimittendam “(la memoria …) non deve essere abbandonata” tramandata dai codici, invece della felice correzione dimetiendam “(la memoria …) non deve essere misurata” apportata dal Lambin. [12 30] An vero tam parvi animi videamur esse omnes qui in re publica atque in his vitae periculis laboribusque versamur ut, cum usque ad extremum spatium nullum tranquillum atque otiosum spiritum duxerimus, nobiscum simul moritura omnia arbitremur? An cum statuas et imagines, non animorum simulacra, sed corporum, studiose multi summi homines reliquerunt; consiliorum relinquere ac virtutum nostrarum effigiem nonne multo malle debemus a summis ingeniis expressam et politam?

Ἆρα μὲν οὖν οὕτως μικρόψυχοι ἂν δοκεῖν ἅπαντες, οἱ περὶ τῆς κοινῆς καὶ τῶν τοῦ βίου κινδύνων καὶ τῶν καμάτων διατριβόμενοι, ὥστε, μέχρι τοῦ ἐσχάτου διαστήματος, οὐδὲν γαληνόν τε καὶ [57] σχολασθὲν τὸ πνεῦμα διαγαγόντες, πάντα μεθ᾽ ἡμῶν τελευτήσειν νομίσαιμεν; ἆρα δὲ τοὺς μὲν ἀνδριάντας τά τε ἀγάλματα, οὐ ψυχῶν ὁμοιώματα, σωμάτων δὲ, μετὰ τῆς σπουδῆς πολλοὶ οἱ ἀκρότατοι ἄνθρωποι ἀπειληφότες ἦσαν, τὸν δὲ βουλῶν ἀπολείπειν καὶ τῶν ἀρετῶν ἡμετέρων εἰκόνα ἦπου πάνυ μᾶλλόν ἐσμεν ἀξιούμενοι, ταῖς τῶν ἀκροτάτων εὐφυΐαις εἰκογραφθεῖσαν τε καὶ γλαφυράν;

Osserviamo ora an cum statuas… reliquerunt “dal momento che uomini eccellenti lasciarono statue…, non dobbiamo noi preferire di lasciare l’immagine della nostra attività…?”: la presenza della congiunzione cum evidenzia che il testo cracoviense include correzioni del codice b2 del XV sec. Żórawski, nella traduzione preferisce la forma esplicita, omettendo però la congiunzione, come se la subordinata causale appesantisse la frase; scrive infatti: ἄρα δὲ, τὰς μὲν ἀνδριάντας… εἰληφότες “molti uomini sommi hanno lasciato le statue…, non consideriamo noi più degno lasciare la nostra immagine…?”. La forma ἀπειληφότες ἦσαν per lat. reliquerunt appartiene alla categoria di forme verbali perifrastiche già precedentemente trattata. Data la frequenza con cui esse fanno capolino nel testo, è sempre più probabile che dipendessero da alcuni modelli grammaticali. Quanto a εἰκογραφθεῖσαν  =  expressam, l’errore è forse solo di carattere tipografico, il participio aoristo passivo fem. sing. di εἰκονογραφέω “rappresentare, dipingere” è infatti εἰκονογραφηθεῖσαν.

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LA VERSIONE GRECA

La lezione di tutti i testimoni è politam summis ingeniis “(l’immagine) rifinita da geni straordinari”, in ablativo semplice, mentre l’aggiunta della preposizione a summis compare solo in questa stampa. Ego vero omnia quae gerebam iam tum in gerendo spargere me ac disseminare arbitrabar in orbis terrae memoriam sempiternam. Haec vero sive a meo sensu post mortem abfutura sunt, sive, ut sapientissimi homines putaverunt, ad aliquam animi mei partem pertinebunt, nunc quidem certe cogitatione quadam speque delector. [31] Quare conservate, iudices, hominem pudore eo, quem amicorum studiis videtis comprobari tum dignitate, tum etiam venustate, ingenio autem tanto quantum id convenit existimari, quod summorum hominum ingeniis expetitum esse videatis, causa vero eiusmodi quae beneficio legis, auctoritate municipii, testimonio Luculli, tabulis Metelli comprobetur.

ἐγὼ δὲ πάντα τὰ παρ’ ἐμοῦ πραχθέντα ἤδη τότε πραξάμενος ᾤμην σκορπίζειν με καὶ διασπείρειν εἰς τὸ τῆς οἰκουμένης ἀεὶ μιμνήσκεσθαι. Τούτων δὲ ἤτε παρὰ τῆς αἰσθήσεως ἐμῆς ἀπαλλαξομένων, ἤτε, καθά[58] περ οἱ ἐλλογιμώτατοι ἄνθρωποι ᾠήθησαν, πρός τινι τῆς ψυχῆς ἐμοῦ μέρει κατηκόντων, νῦν δήπου τῇ διανοίᾳ τινὶ καὶ τῇ ἐλπίδι τέρπομαι. Διασῴζετε μὲν οὖν, ὦ δικασταί, τὸν ἄνθρωπον αἰσχύνῃ τῇ ταύτῃ ἣν τῶν φίλων τοῖς ἐπιτηδεύμασι ὁρᾶτε εὐδοκιμάζειν, εἶτα τῷ ἀξιώματί γε καὶ τῇ ἐπαφροδίσει, ἀγχινοίᾳ δὲ τοσαύτῃ, ὡσαύτῃ χρὴ ταύτην οἴεσθαι, ἣν παρὰ τῶν ἀκροτάτων ἀνθρώπων ταῖς εὐφυΐαις ἀπαιτησαμένην ἔσθ᾽ ἑωρακότες, δίκῃ δὲ τοιαύτῃ, ἥτις ἂν εὐεργετήματι μὲν τοῦ νόμου, τῇ δὲ αὐθεντίᾳ τῆς πόλεως, καὶ τῇ μαρτυρίᾳ τοῦ Λευκόλλου καὶ τοῖς πίναξι τοῦ Μετέλλου συνδοκιμασθεῖσα τυγχάνει.

Ricompare nel frammento seguente l’uso dell’infinito sostantivato greco (stavolta privo di articolo, μιμνήσκεσθαι) nella funzione di sostantivo astratto: disseminare… in orbis terrae memoriam sempiternam “(mi immaginavo) di spargere (scil. le mie azioni) nella memoria sempiterna del mondo” = διασπείρειν εἰς τὸ τῆς οἰκουμένης ἀεὶ μιμνήσκεσθαι “disseminare (le mie azioni) nella memoria sempiterna del mondo (lett. per ricordarle sempre)”. Le due protasi latine haec sive… abfutura sunt, sive… ad aliquam mei partem pertinebunt “ma queste azioni forse scompariranno dalla mia percezione dopo la morte, oppure andranno a finire in qualche parte del mio animo” sono rese in greco con due genitivi assoluti: τούτων δὲ… ἀπαλλαξομένων, ἤτε… πρός τινι τῆς ψυχῆς ἐμοῦ μέρει κατηκόντων. Con il verbo κατήκω (forma ionica psilotica di καθήκω) “raggiungere” è testimoniato l’uso delle preposizioni πρός, ἐπί, εἰς  unite all’accusativo, speculare a lat. ad con acc. (cfr. Hdt. 3,96; 7,22); con il dativo invece non pare appropriato, si usa infatti nel significato di “si addice per qualcuno” (LSJ s.v.). Gr. τῇ διανόιᾳ τινί … τέρπομαι rivela ancora un caso erroneo di articolo con aggettivo indefinito.

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Il testo cracoviense è di nuovo eterogeneo nelle lezioni seguenti: con afutura (da absum “essere lontano, assente”) = gr. ἀπαλλαξομένων si schiera infatti con i codici contro EV, che invece riportano affutura da adsum “essere presente”; il sunt che leggiamo ancora nel nostro testo si trova invece in codici tardi del XV secolo, a fronte del preferibile est (haec si riferisce infatti al precedente memoria), migliore lezione riportata dai più antichi GEV. Inizia la peroratio, in cui l’avvocato domanda ai giudici di salvare il cliente in virtù dei suoi meriti e degli importanti collegamenti sociali. Il termine studiis non compare in nessun altro testimone. Si potrebbe intravedere in esso un’espansione con intento esplicativo, considerato che l’ablativo di causa dignitate retto da comprobari compare soltanto dopo tum, e in tal caso l’appello ai giudici dell’Arpinate suona suppergiù: “salvate quest’uomo di un’integrità tale che potete vedere confermata grazie agli studi (o all’impegno) degli amici, sia per l’autorevolezza che per la bellezza dei suoi rapporti amichevoli”. Tuttavia l’aggiunta sembrerebbe maggiormente frutto di uno sbaglio. Il primo tum, in luogo di cum correlato con il secondo tum, pare quasi certamente un errore paleografico o tipografico, che compare altresì in un’altra edizione cracoviense del testo ciceroniano (1518); cum… tum è infatti una correlazione ben sfruttata dall’oratore (cfr. Arch. 3,5; 4,6; 7,15; 10,23). Notiamo ancora come l’articolo preceda infondatamente il pronome dimostrativo in αἰσχύνῃ τῇ ταύτῃ. Quanto a εὐδοκιμάζειν, oltre all’inappropriata diatesi attiva a fonte del passo lat. comprobari, è possibile ripetere quanto già detto a 8,18 = 42,4. La lezione venustate, tramandata dai codici ma corretta dal XVI secolo in vetustate, è stata trasferita con gr. τῇ ἐπαφροδίσει. In greco è documentato il sostantivo in -ᾱ ἐπαφροδισία “avvenenza”, il cui corretto dativo singolare è ἐπαφροδισίᾳ, mentre la forma della stampa secentesca mostra terminazioni della flessione atematica, assumendo l’esistenza di un non attestato *ἐπαφρόδισις. La forma ὡσαύτῃ, correlata a τοσαύτῃ, sembra essere ricavata dall’avverbio ὡσαύτως “nello stesso modo in cui”; rimane da chiedersi perché il traduttore non si sia servito di un pronome correlativo come ὅσος. In (scil. ingenium) summorum hominum ingeniis expetitum = (scil. ἀγχίνοια) παρὰ τῶν ἀκροτάτων ἀνθρώπων ταῖς εὐφυΐαις ἀπαιτησαμένην “(l’ indole di Archia) desiderata dalle più alte intelligenze umane” il congiuntivo presente di attrazione modale videatis (12,31) è stato tradotto con la perifrasi ἐσθ’ ἑωρακότες (58,18) formata dal presente di εἰμί e dal participio perfetto attivo ἑωρακότες da ὁράω, per la quale resta arduo fornire una spiegazione. Rinveniamo di nuovo il “costrutto” τυγχάνω + participio nel caso di traduzione di una proposizione relativa consecutiva:  hominem… causa… quae… comprobetur = τὸν ἄνθρωπον … δίκῃ… ἥτις ἄν… συνδοκιμασθεῖσα τυγχάνει

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LA VERSIONE GRECA

“un uomo … che si trova in una situazione processuale tale… da essere approvato dai registri di Metello”. La particella ἄν sembra in questo caso voler riprodurre il congiuntivo subordinante consecutivo comprobetur. Quae cum ita sint, petimus a vobis, iudices, si qua non modo humana verum etiam divina in tantis negotiis commendatio debet esse, ut eum qui vos, qui vestros imperatores, qui populi Romani res gestas semper ornavit, qui etiam his recentibus nostris vestrisque domesticis periculis aeternum se testimonium laudum daturum esse profitetur, quidque est eo numero qui semper apud omnes sancti sunt habiti atque dicti, sic in vestram accipiatis fidem ut humanitate vestra levatus potius quam acerbitate violatus esse videatur.

[59] Τούτων μὲν οὖν οὕτως ὑπαρχόντων, αἰτοῦμαι παρ' ὑμῖν, ὦ ἄνδρες δικασταί, ἐάν τις οὐ μόνον ἀνθρωπίνη ἀλλὰ καί ἡ θεία ἀμφὶ [τὸ] τηλικούτων πραγμάτων μέλλει σύστασις εἶναι, τοῦτον τὸν μὲν ὑμᾶς, τὸν δὲ τοὺς στρατηγοὺς ὑμετέρους, τὸν δὲ τὰ βεβιωμένα τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου πάντα τὸν χρόνον ἐγκωμιασθέντα, τὸν δὲ τοῖς νεαροῖς ἡμετέροις τε τῶν αἰνέσεων καὶ τοῖς ὑμῶν ἐφεστίοις τοῖς κινδύνοις ἀϊδίαν τὴν μαρτυρίαν δοθήσεσθαι καθομολογοῦντα, τὸν δὲ ἐπὶ τούτοις τουτουῒ ὄντα τοῦ ἀριθμοῦ, οἳ πάντα τὸν χρόνον παρὰ τοῖς πᾶσι ὅσιοί τε ἔχειν καὶ προσαγορεύειν εἰωθότες, οὕτως εἰς ὑμετέραν πίστιν προσδέχεσθαι, ὡς τῇ φιλανθρωπίᾳ [60] ὑμῶν κουφισθεὶς μᾶλλον ἢ στρυφνότητι ὑβριζόμενος ἂν δοκεῖν.

Nella peroratio si infittiscono le richieste del difensore. Il verbo αἰτέω “domandare, pregare” richiede in greco il genitivo della persona alla quale si domanda, rafforzato spesso dalle preposizioni ἀπό, παρά. Il dativo che si legge in παρ’ ὑμῖν, pertanto, non pare giustificato, se non forse da un influsso dell’ablativo latino in a nobis. L’articolo acc. sing. τό in ἀμφὶ τὸ τηλικούτων πραγμάτων è inutile, mentre l’uso di μέλλω nel significato di debeo è ormai ben noto. Le due proposizioni latine, una completiva (petimus) ut eum accipiatis “(chiediamo) che lo accogliate”, e una consecutiva sic, ut… levatus… esse videatur “cosicché sembri sostenuto” vengono rese come segue:  per la completiva è stato scelto in greco ACI:  ἀιτοῦμαι… τοῦτον… προσδέχεσθαι; la consecutiva ut … esse videatur è anch’essa coerentemente tradotta con il costrutto greco parallelo ὡς … ἂν δοκεῖν (ὡς + ἄν + inf.), sebbene il cambio di soggetto rispetto alla sovraordinata avrebbe richiesto l’accusativo396 κουφισθέντα… ὑβριζόμενον. È evidente che l’andamento ipotattico del periodo ciceroniano, nel quale l’oggetto è separato dalla completiva da alcune frasi circostanziali, può rivelarsi disorientante, specialmente per un traduttore poco esperto, che è portato a smarrire i costrutti sintattici,

396 Cfr. p. es. N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 724.

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stravolgendo la natura e così anche l’intelligibilità del periodo. La stampa ha negotiis = πραγμάτων “in cause così complesse”, contro la lezione ingeniis “in così grandi menti” riportata dai codici GEP. Il participio sostantivato resiste come la scelta più frequente per rendere la frase relativa, ne contiamo ben tre:  qui… ornavit, qui… profitetur, quique est “(lui) che ha sempre esaltato voi… e che dichiara… e che è”= τοῦτον τὸν… ἐγκωμιασθέντα, τὸν… καθομολογοῦντα, τὸν ὄντα… Il passo non è scevro d’imprecisioni, si veda la diatesi passiva di ἐγκωμιασθέντα a fronte dell’attivo ornavit. Nel caso immediatamente successivo, il traduttore ha modificato la struttura della frase, utilizzando un verbo passivo: τὸν… ἀϊδίαν τὴν μαρτυρίαν δοθήσεσθαι καθομολογοῦντα “(Archia) il quale dichiara che eterno testimonio sarà dato”. Laudum è omesso nel testo greco, mentre l’aggettivo ἐφέστιος “domestico, del focolare” (cfr. ἑστία “banchetto, focolare”), poco si adatta al senso di lat. domesticus “della patria”, usato da Cicerone in his… domesticis periculis “in questi pericoli interni”. Il lessema è infatti derivato da domus “casa, patria”, duplice concetto che in greco è restituito solo parzialmente da ἐφέστιος. Le seguenti posizioni attributive sono di nuovo errate: vestros imperatores… populi Romani res gestas = τοὺς στρατηγοὺς ὑμετέρους… τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου (v. supra). Un cenno merita anche lat. res gestas “le imprese” (lett. le cose fatte) = τὰ βεβιωμένα (lett. le cose vissute): il traduttore ha forse sott’occhio un luogo di Demostene (22,53), dove l’oratore ateniese scrive τὰ πεπραγμένα καὶ τὰ βεβιωμένα “le imprese compiute e la vita vissuta”; semanticamente più adeguato al contesto sarebbe il primo elemento del passo demostenico, τὰ πεπραγμένα. La subordinata relativa οἳ … ὅσιοί τε ἔχειν καὶ προσαγορεύειν εἰωθότες che è frapposta nel lungo periodo petimus… videatur: qui … sancti sunt habiti atque dicti “i quali (scil. i poeti) sono ritenuti e chiamati sacri” è di impervia lettura. Vi scorgiamo l’uso del participio perfetto εἰωθότες preceduto dal pronome relativo οἵ, per cui occorre postulare l’ellissi della copula εἰσίν “i quali sono soliti”; laddove invece si consideri il pronome una forma errata per l’articolo οἱ, avremmo un participio sostantivato οἱ εἰωθότες “coloro che sono soliti”, metodo a cui l’ellenista ricorre sovente nella traduzione delle relative. I due infiniti attivi ἔχειν… προσαγορεύειν non riflettono, per i consueti motivi, le forme passive sunt habiti … dicti del testo originale; malgrado ciò, è interessante osservare che lat. habeo come “stimare, ritenere” è ricalcato nel testo greco con ἔχω, uso postclassico presente p.es. in Matth. 14,5.

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LA VERSIONE GRECA

[32] Quae de causa, pro mea consuetudine breviter simpliciterque dixi, iudices, ea confido probata esse omnibus; quae non fori neque iudiciali consuetudine et de hominis ingenio et communiter de ipsius studio locutus sum, ea, iudices, a vobis spero esse in bonam partem accepta, ab eo qui iudicium exercet certo scio.

Τὰ μὲν περὶ τῆς δίκης κατὰ τὴν συνήθειάν μου, βραχέως τε καὶ ἁπλῶς εἰρημένα, ὦ κριταί, θαρρέω εὐδοκιμασθῆναι παρὰ τῶν πάντων· ἅπερ δὲ οὔτε μὲν τῆς ἀγορᾶς, οὔτε δὲ δικανικοῦ τοῦ ἔθους καὶ περὶ τοῦ ἀνθρώπου τῆς ἀγχινοίας καὶ κοινῶς περὶ τοῦ αὐτοῦ ἐπιτηδεύματος εἰλοχώς εἰμι, ταῦτα, δικασταί, παρὰ μὲν ὑμῶν ἐλπίζω εἰς ἀγαθὸν μέρος εἰληφέναι, παρὰ δὲ τοῦ ἀσκήσαντος τὰ τῆς κρίσεως ἀρχὴν οἶδα.

Nell’epilogo della perorazione, l’Arpinate riprende il tema dell’inconsuetudine del suo discorso, vertente sulle qualità e i meriti artistici del suo cliente. Lat. quae… dixi “le cose che ho detto”, frase relativa prolettica, ha una resa in greco con un participio sostantivato passivo τὰ … εἰρημένα “le cose dette”; la natura della costruzione participiale permette che in questo caso il soggetto latino di 1ª pers. sing. rimanga inespresso. Il traduttore tuttavia sceglie di non aggiungerlo attraverso l’agente, p.es. παρ’ἐμοῦ “(le cose dette) da me”. Cicerone confida nella buona accoglienza del suo cliente da parte dei giudici. Il passo dell’orazione quae non fori neque iudiciali consuetudine … locutus sum “le cose che ho detto non nel tribunale né nella tradizione giudiziaria” presenta una dibattuta corruttela dopo non. La critica testuale, nei secoli, si è ingegnata a sanarla in vari modi. Tra le correzioni proposte vi sono: fere a mea (Gaffiot); infirmata mea (Sydow); a foro aliena (Madvig, Garatoni); a forensi aliena (Halm); aliena a forensi sermone (Klotz); a forensi abhorrentia sermone (Reis)397. Il nostro testo offre ancora un’altra soluzione non attestata in nessun testimonio né avanzata da altri filologi: non fori neque “non nel foro né…”. L’abbondanza e varietà di proposte di emendamento per il luogo corrotto, delle quali nessuna sembra tuttavia definitivamente convincente, può spiegare il carattere isolato della nostra lezione. Chiunque nei secoli si sia cimentato nell’edizione o nella traduzione del passo dovette giocoforza tentare una soluzione interpretativa o un’integrazione, a seconda delle proprie capacità intuitive. La lezione iudiciali che ritroviamo nel testo è riportata da Vk, contro la migliore iudicialique della restante tradizione, scelta anche dalle edizioni moderne398. Quanto alla corrispondenza greca del passo ἅπερ δὲ οὔτε μὲν τῆς ἀγορᾶς οὔτε δὲ δικανικοῦ ἔθνους… εἰλοχώς εἰμι, ci accorgiamo che il genitivo locativo fori “nel foro” è stato ricalcato in greco

3 97 Cfr. A.C. Clark, M.T. Cicero. Orationes, cit., p. 31; F. Gaffiot, Cicéron, cit., pp. 31–32. 398 Così Clark, Gaffiot, Kasten.

Riepilogo dei fatti linguistici notevoli

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con il semplice genitivo ἀγορᾶς: il caso greco, comè noto, non esplica la medesima funzione del locativo latino; neanche il successivo genitivo δικανικοῦ τοῦ ἔθους = iudiciali consuetudine sembra integrarsi nella struttura della frase. Non è infondato vedere in entrambi i casi l’uso del genitivo di pertinenza: non fori neque iudiciali consuetudine = οὔτε μὲν τῆς ἀγορᾶς οὔτε δὲ δικανικοῦ τοῦ ἔθους “non proprio del foro, né della consuetudine giudiziaria”. Al tentativo di copiare la forma perifrastica deponente del perfetto locutus sum con εἰλοχώς εἰμι, si accompagna altresì la confusione (v. supra) tra le forme dei due verbi omografi al presente λέγω “raccogliere” e λέγω “dire, parlare” (cfr. 45,7). Per in bonam partem = εἰς ἀγαθὸν μέρος si è optato per una resa non idiomatica. L’aggettivo bonus ha qui il significato di “grande, abbondante” (cfr. it. “in buona parte”), assente invece in gr. ἀγαθός. Inoltre, la lingua greca esprime simili locuzioni impiegando altre preposizioni, cfr. κατὰ μέρος, ἐκ μέρους, ἐν μέρει, ἐπὶ μέρος, παρὰ μέρος o il semplice accusativo μέγα μέρος (LSJ, s.v.). L’accusativo avverbiale in ἀρχὴν οἶδα “innanzi tutto, per prima cosa so”, se da un lato non rende letteralmente lat. certo (il sinonimo certe è reso altrove con ἀμέλει 11,29 = 55,19; μάλιστα 10,23 = 49,17), dall’altro potrebbe rivelare la conoscenza da parte del traduttore di un particolare contestuale, ossia che il presidente del tribunale incaricato di giudicare Archia era proprio Quinto, fratello di Cicerone399. Di qui forse la sicurezza – espressa da ἀρχὴν οἶδα – che i giudici, consigliati dal consanguineo, avrebbero accolto senz’altro le richieste dell’Arpinate.

2.6. Riepilogo dei fatti linguistici notevoli La messe di osservazioni raccolta nella sezione precedente ha reso necessario fornire una raccolta schematica dei fatti grafico-fonetici, morfologici, morfo-sintattici e lessicali più rilevanti incontrati nell’analisi della versione greca. L’intento è quello di offrire un excursus ordinato e ragionato sulle più importanti caratteristiche linguistiche del testo, che descriva la frequenza e le modalità d’impiego delle scelte traduttive, le principali difficoltà osservate nel processo versorio in riguardo della flessione nominale e verbale, nonché nella sintassi; senza trascurare una menzione delle tendenze lessicali e stilistiche. Per agevolare il confronto, soprattutto nella parte fonetica e morfologica, si pongono accanto alla forma originale la versione greca interessata dal fenomeno e la sua proposta di correzione preceduta da pro. 399 Cfr. E. Narducci, Cicerone, cit., pp. 40, 109.

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2.6.1.  Fatti grafico-fonetici Itacismo Piuttosto numerosi nella stampa i casi di itacismo, ovvero di scambio fra le vocali η, υ, ι e i dittonghi ει, οι. Ciò è dovuto alla convergenza fonetica di questi suoni in [i]‌400, iniziata in età ellenistica e presente tuttora nella pronuncia del neogreco. Essa fu importata in Occidente dai dotti bizantini a partire dal XV secolo, e alla sua diffusione contribuì anche l’attività didattica dei primi umanisti come Reuchlin e Melantone. La diffusa grammatica di Clenardus, in uso anche a Cracovia, indica infatti la corrispondenza fonetica  η= ita, e lo stesso per i dittonghi οι= i ει= i. Nonostante i tentativi di Erasmo di ristabilire l’antica pronuncia delle vocali, dittonghi e consonanti a partire dal XVI sec., le due pronunce, reuchliniana ed erasmiana, venivano accostate senza produrre influssi a favore di quella erasmiana401. • riflessi di pronuncia postclassica: – donarunt (3,5)   ἐδωρίσαντο (23,13)   pro ἐδωρήσαντο – Heraclienses (4,8)   Ἱράκλειοι (27,14)   pro Ἡράκλειοι – collocavit (4,9)   καθίδρισεν (29,1)   pro καθίδρυσεν – suasissem (6,14)   ἐπίσθην (35,24)   pro ἐπείσθην – Smyrnaei (8,19)   Σμιρνεῖς (43,23)   pro Σμυρναῖοι – confirmant (8,19)   διαστιρίζουσι (43,24)   pro διαστηρίζουσι – Mytilenaeum (10,24)   Μυτιλινέα (50,17)   pro Μυτιληναῖον (v. infra) – rustici (10,24)   ἄγρικοι (50,23)   pro ἄγροικοι – virtutem (10,25)   ἴσχιν (52,7)   pro ἰσχύν • ipercorrettismi: – liberius (2,3)   παρρησιαστηκότερον (21,5–6)   pro παρρησιαστικώτερον – Rhegini (3,5)  Ῥηγυνοί (23,10)  pro Ῥηγῖνοι – intervallo (4,6)   διαχωρήματος (25,13)   pro διαχορίσματος – esse (4,8)   ἦναι (27,22)   pro εἶναι – indicat (5,11)   ἐπιδύκνεισι (32,3)   pro ἐπιδείκνυσι 400 Dobbiamo ad Erasmo l’inizio di una riflessione sulla pronuncia di questi suoni, che tentò di ripristinare secondo il loro antico valore fonetico nel dialogo De recta Latini Graecique sermonis pronuntiatione (Basileae 1528). Cfr. R.  Kühner, Ausführliche Grammatik der griechischen Sprache, Erster Theil, Erste Abtheilung, Hannover 1869, pp. 45–46; R. Browning, Medieval, cit., pp. 25–26, 56–57. 401 Si veda ad esempio la grammatica di N.  Clenardus, Institutiones ac meditationes in Graecam linguam, 1566 Parisiis, pp. 1–2; J. Päll, Far away from Byzantium, cit., pp. 92–93 e nota 44.

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– avocarit (6,12)   ἀφελκήσειεν (34,11)   pro ἀφελκύσειεν – ut (8,17)   ἤνα (40,18)   pro ἵνα – celebrandam (9,19)   ἐγκωμάζην (44,16–17)   pro ἐγκωμιάζειν – Cimbrica (9,19)   Κυμβρικά (44,18)   pro Κιμβρικά – res eae quas gessimus (10,23)  pro τὰ πεπραγμένα παρ’ ὑμῶν (49,5–6)  pro ἡμῶν – cuperet (10,26)  γλυχομένου (52,17)  pro γλιχομένου È emerso altresì un caso in cui la semivocale -υ nel dittongo ευ davanti a liquida λ subisce spirantizzazione. Si tratta anch’esso di un fenomeno osservato dal V sec.402 e che rispecchia la moderna pronuncia del dittongo greco. Per l’unicità del fenomeno è tuttavia prudente astenersi da conclusioni su questo aspetto della pronuncia del greco nello specifico ambiente che ha prodotto quest’opera. – religionem (4,8)   ἐβλάβειαν (28,12)   pro εὐλάβειαν

2.6.2.  Fatti morfologici Irregolarità nei paradigmi flessivi nominali Il traduttore è talvolta incerto sui paradigmi flessivi di sostantivi e aggettivi. Applica, infatti, a nomi afferenti alla flessione tematica le desinenze di quella atematica: – Smyrnaei (8,19)   Σμυρνεῖς (43,23)   pro Σμυρναῖοι – Mytilenaeum (10,24)   Μυτιλινέα (50,17)   pro Μυτιληναῖον – venustate (12,31)   ἐπαφροδίσει (57,12–13)   pro ἐπαφροδισίᾳ Viceversa, alcuni sostantivi atematici sono declinati secondo modelli tematici: – Hispanos (10,25)   Ἰβέροις (51,11)  pro Ἴβηρσι – praedicationem (11,26)    προκηρυξίας (53,12) pro προκηρύξεως Aggettivi di prima classe a due uscite (ἔξοχος, -ον) sono trattati come se fossero a tre uscite: – propter excellentem artem (8,17)  διὰ τὴν ἐξοχὴν τέχνην (40,22–23) pro ἔξοχον – naturam eximiam (7,15) φύσιν ἐξαιρέτην (38,11) pro ἐξαίρετον Una volta registriamo confusione fra i casi dei pronomi personali:

402 R. Kühner, Ausführliche Grammatik der griechischen Sprache, cit., p. 46.

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– vobis, iudices, indicabo (11,28)   ὑμεῖς, ὦ κριταί, ἀποφανῶ (54,14) pro ὑμῖν Una forma pronominale neutra in -ον con valore avverbiale compare in due casi con l’insolita desinenza avverbiale -ως: – quid est quod in hoc tam exiguo vitae curriculo et tam brevi… nos… exerceamus? (11,28) τί ἂν γένοιτο χάρις τίνος ἐν τοσούτως σμικρῷ τοῦ βίου δρομήματι τοσούτως δὲ μινυνθαδίου… ἡμᾶς ἀσκήσαιμεν; (55,14–19) pro τοσοῦτον… τοσοῦτον… Inoltre, da avverbi pronominali sono ricavate, per un processo di retroformazione, forme flesse di pronomi altrove non testimoniati: – ingenio autem tanto, quantum id convenit existimari (12,31) ἀγχινοίᾳ δὲ τοσαύτῃ, ὡσαύτῃ χρὴ ταύτην οἴεσθαι (58,13–15), pro ὅσῃ, cfr. ὡσαύτως “quanto”. Degna di nota è altresì la formazione locativa con il suffisso stativo –ησι, creata a partire da dativi locativi come Ἀθήνησι403: – Romae (4,7; 4,9)    Ῥώμησι (26,16; 29,1) Irregolarità nei paradigmi flessivi verbali Anomalie sono visibili anche nella flessione verbale404. Un fenomeno piuttosto frequente è la presenza di forme perifrastiche impiegate nella resa di alcuni tempi del perfectum. Le voci rilevate sono composte dai verbi di stato εἰμί, γίγνομαι, τυγχάνω, e da μέλλω unitamente a participi di diatesi attiva al presente, aoristo e, in maggior numero, al perfetto. La ragione dell’impiego di tali sintagmi verbali nel testo non è semplice da individuare, è tuttavia utile proporre delle ipotesi. Una motivazione sembrerebbe più evidente per τυγχάνω + part., (casi i, l, m, n, o), che porta in sé una sfumatura di casualità “trovarsi (per caso) in una situazione”, sebbene nel periodo postclassico essa vada diminuendo, fino ad indicare soltanto un concetto ‘più pieno’ di essere o una coincidenza405. Eἰμί e

4 03 E. Schwyzer-A. Debrunner, Griechische Grammatik, cit., 2 Band, p. 154. 404 K. Bentein, Verbal Periphrasis in Ancient Greek. A state of the art, in “Revue belge de Philologie et d’Histoire”, 90, 2012, pp. 5–56, espone lo stato della ricerca sull’uso delle forme perifrastiche della lingua greca classica e postclassica. L’argomento è complesso e, in assenza di una trattazione completa e di accordo fra gli studiosi, l’autore ha fornito i risultati di varie indagini, ai quali ho cercato di accostare le mie riflessioni, con la cautela che si deve ad un testo in greco umanistico. 405 Ibid., p. 21; H.W. Smyth, A Greek Grammar, cit., p. 467.

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γίγνομαι + part. sono produttivi soprattutto nei LXX e nel NT (Act. 25,10; Heb. 2,13; Lc. 13,10), sovente con participi medio-passivi (possono sostituire i pas­ sivi), raramente attivi406; nel nostro caso tutte le circonlocuzioni traducono forme attive, salvo in due casi (c, d), dove la diatesi scelta è tuttavia inadeguata. L’origine potrebbe dunque essere cercata nella loro attestazione nelle opere cristiane. Osserviamo inoltre che l’ausiliare εἰμί ricorre all’imperfetto laddove vi sono dei perfetti latini (e, f, g). Tra gli altri casi, μέλλω con l’infinito presente (di regola però anche futuro e aoristo) esprime l’imminenza di un’azione in relazione al soggetto p.es. μέλλω ποιήσειν “sto per fare”, oppure in relazione a fattori esterni “devo fare (per predestinazione o per necessità)”407; questo spiega la corrispondenza con il lat. debeo nella traduzione (p, q, r), traducente che è registrato anche nei lessici latino-greci (v. 2.3. passim). Si confrontino i casi seguenti, raccolti per verbo ausiliare: • γίγνομαι a) sumpsero (6,13) εἰληφὼς γίγνομαι (35,7) b) fuit (8,17) ὢν ἐγένετο (40,18) • εἰμί c) non… moveamur? (8,19) οὐκ ἄν… παρακεκινηκότες ἐσόμεθα; (43,16–18) d) in illis libellis quos… scribunt (11,26) ἐν ταύταις ταῖς βίβλοις, αἱ… γεγραφότες εἰσίν (53,5–9) e) viderunt (7,16) ἑωρακότες ἦσαν (38,20–21) f) delubra coluerunt (11,27) τοὺς τῶν Μουσῶν νεὼς λατρεύσαντες ἦσαν (54,5–7) g) reliquerunt (12,30) ἀπειληφότες ἦσαν (57,9–10) h) quibus auditis (11,28) τούτων δὲ ἔγωγε ἀκηκοὼς ὤν (55,3–4) j) videatis (12,31) ἐσθ’ ἑωρακότες (= ἐστὲ ἑ.) (58,18) k) locutus sum (12,32) *εἰλοχώς εἰμι (60,15) • τυγχάνω i) hominem… causā vero eius modi quae… tabulis Metelli comprobetur (12,31) τὸν ἄνθρωπον… δίκῃ δὲ τοιαύτῃ, ἥ τις ἂν… τοῖς πίναξι τοῦ Μετέλλου συνδοκιμασθεῖσα τυγχάνει (58,7–26)

406 Alcuni lo interpretano come semitismo penetrato nella lingua greca, K. Bentein, Verbal Periphrasis, cit., pp. 8–11. 407 A.N. Jannaris, An historical Greek grammar, cit., p. 443; N. Basile, Sintassi storica, cit., pp. 413–415.

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l) neque enim quisquam est tam aversus a Musis (9,19) οὔτε γὰρ τις ἀποστραφθεὶς τυγχάνει παρὰ τῶν Μουσῶν (44,24–26) m) causa dicta est (4,8) ἡ δίκη κεκρικυῖα τυγχάνει (26,25–26) n) facultas quae, quantacumque in me est (6,13) ἡ δύναμις, ἥπερ, ὁποία τις οὖν ἐν ἐμοὶ οὖσα τυγχάνει (35,12–14) o) omnes artes… habent quoddam commune vinculum (1,2) πᾶσαι τέχναι… ἔχουσαι τυγχάνουσι δεσμόν τινα κοινὸν (19,15–18) • μέλλω p) non debent togati iudices… a poetarum salute abhorrere (11,27) οὐ μέλλουσι τηβεννοφόροι οἱ κριταὶ… παρὰ τῶν ποιητῶν τῆς σωτηρίας… μυσάττεσθαι (54,8–12) q) debet esse (12,31) μέλλει… εἶναι (59,7–8) r) tamen ea mirari deberemus, etiam cum in aliis videremus (7,17) θαυμάζειν δὲ ταῦτα ἐμέλλομεν ἄν, ἔτι πρὸς τοῖς ἄλλοις ὁρώμενοι (40,13–15) L’autore crea, pur seguendo le regole formali, voci grammaticalmente inesistenti, ricavandole da infondati o imprecisi paradigmi verbali: – errat (10,23) ἀπαμβρότει (48,24) pro ἀφαμαρτάνει, ma cfr. aor. inf. ἀπαμβροτεῖν – ducitur (10,26) ἐπαγωγεῖται (53,3–5) pro ἐπάγεται, ma cfr. aor. inf. ἐπαγωγεῖν – me… obiecissem (6,14) ἐμέ… προβλήσειεν (36,8–13) pro προβάλοιμι, ma cfr. fut. βεβλήσομαι – commendati nobis esse videantur (8,18) σεσυστηκότες ἡμῖν δοκεῖσθαι (43,1– 3) pro συνεστηκότες L’allungamento del tema dell’aoristo (ε > η) nel verbo παραινέω non è previsto408: – hortatus sum (11,28) παρῃνησάμην (55,6–8) pro παρῃνεσάμην Nel seguente, invece, le forme sono teoricamente accettabili, benché tali voci verbali non siano attestate in nessun lessico greco munite di quel particolare preverbo, e occorre, pertanto, supporre che ci troviamo di fronte a una svista, intervenuta, ad esempio, nella fase di scelta del lemma da una lista. – non dubitavit (11,27) οὐκ ἐξαμφοτέρισεν (53,26): ἐξ-αμφοτερίζω non è documentato – praedicaretur (9,20) προκατακηρυχθείη (45,10–12): προ-κατακηρύσσω non è documentato.

408 Cfr. H.W. Smyth, A Greek Grammar, cit., p. 160.

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2.6.3.  Fatti lessicali I Calchi lessicali – lectissimum (hominem) (2,3) ἐκ-λέκ-τατον (20,3):  calco strutturale – (urbe) adfluenti (3,4) ἐπι-ρρύτῳ (22,13):  calco strutturale – hauriam (6,13) ἀντλήσαιμι (35,20):  calco semantico Nomi propri Nel trattamento dei nomi propri vi sono talora imprecisioni che mostrano carenza di strumenti lessicografici; inoltre, per un certo numero di etnici non è rispettata la distinzione fra aggettivo e sostantivo. – ex Graecis versibus… ex Latinis (10,22) ἐκ τῶν Ἑλληνικῶν μὲν στίχων… ἐκ τῶν Λατίνων (48,20–24) – Rudinum hominem (scil. Ennium) (10,22) Ῥούδιον ἄνθρωπον (48,11–12) – Heracliensis (4,6; 4,8; 5,10;10,22) Ἡράκλειος (26,4; 27,14; 31,10; 48,14) Altri idionimi e toponimi rispecchiano incertezze grafiche dovute alla stessa tradizione manoscritta, soggetta al mutamento della pronuncia e alle convenzioni scrittorie. – Cordŭbae (10,26) ἐν Κορδούβᾳ (52,19) – Plocium (< Plōtium) (9,20) Πλόκιον (45,15) Costante è poi la resa Λεύκολλος per Lucullus (contro Λούκουλλος degli autori, v. supra). Lessemi assenti dai lessici di riferimento Riporto in questa sezione i lessemi greci incontrati nella traduzione che non sono reperibili in nessuna fonte lessicale a me nota (v. bibiliografia, sezione Lessici). Occorre tuttavia precisare che non è possibile escludere il sospetto di errori interpretativi e inesattezze di varia natura, che in tal caso li renderebbero dei meri errori grammaticali o di stampa409. – προκηρυξία:  praedicationem (11,26) τῆς προκηρυξίας (53,12) cfr. προκήρυξις – φιλανθρωπικός:  (scil. artes) quae ad humanitatem pertinent (1,2) (τέχναι) φιλανθρωπικαί (19,15–16)  cfr. φιλανθρώπινος 409 Cfr. M. Cytowska, Nad przekładem listów Symokatty Mikołaja Kopernika, in “Meander”, 28, 1973, pp.  90–92; F.  Pontani, Politiani Angeli Liber Epigrammatum, cit., pp. cxi ss.

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– συνδρόμησις: hoc concursu hominum (2,3) ταύτῃ τῇ συνδρομήσει ἀνθρώπων (20,22–23)  cfr. συνδρομή – πινακοδοχεῖον: tabularium (4,8) πινακοδοχεῖον (28,1)  cfr. ξενοδοχεῖον – ἐξαλοιφή: liturā (5,9) ἐξαλοιφῇ (29,27–30,1)  cfr. ἐξαλείφω e ἀλοιφή – κατεξομολογοῦμαι:  fateor (6,12) κατεξομολογοῦμαι (33,19–20) cfr. καθομολογέω – φανίζω:  virtutes… proditae sunt (7,15) αἱ ἀρεταὶ… ἐφανίσθησαν (37,11– 13)  cfr. φαίνω – ὑμνίζω: quorum ingeniis haec feruntur (9,21) οἳ ταῦτα τῷ τῆς φύσεως αὐτῶν ὑμνισθέντες (47,13–14) – ὑμνίζω: ipsi qui laudantur (9,22) αὐτοὶ οἱ ὑμνιζόμενοι (47,24)  cfr. ὑμνέω – ἐπισπέρχεια: sedulitatem (10,25) τὴν ἐπισπέρχειαν (52,2)  cfr. ἐπισπερχής Lessemi rari È parso utile fornire anche quei termini di relativamente rara attestazione la cui presenza nella nostra versione suscita interesse, in quanto privilegiati rispetto a sinonimi più comuni e correnti: – – – – – – – – – – – – – – – – – –

εὐκλεής: celebri… urbe (3,4) εὐκλεῖ πόλει (22,8) ὄπτομαι: video (1,1) ὄπτομαι (18,15)  cfr. ὄπτω e ὄψομαι ἁμαξιαῖος: amplissimi viri (4,8) τοῦ ἁμαξιαιοτάτου ἀνδρός (28,11–12) ἀμείωτος: integerrimi municipii (4,8) ἀμειωτοτάτης τῆς πόλεως (28,12) ἑδώλιον: sedem (4,9) ἑδώλιον (28,25) ἐγαυτός: egomet (6,13) ἐγαυτός (35,5) ἀναζωπυρέω:  poetam… mentis viribus excitari (8,18) τὸν δὲ δὴ ποιητὴν… ταῖς τοῦ νοῦ δυνάμεσι ἀναζωπυρεῖσθαι (42,18–21) διαυγάω: libri… populi Romani nomen inlustrant (9,21) βύβλοι… τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ὄνομα διαυγῶσι (46,1–6)  cfr. διαυγάζω ἐλλόγιμος: sapientissimi (12,30) οἱ ἐλλογιμώτατοι (58,1) ἀτημελέω: non neglegebantur (3,5) οὐκ ἠτημελοῦντο (23,8) σύδην: celeriter (3,4) σύδην (22,13) ἀτρεμία: propter tranquillitatem (3,5) διὰ τὴν ἀτρεμίαν (23,7) λαλέω: dicimus (4,8) λαλοῦμεν (26,23) ἀπεριόπτως: neglegentius (5,9) ἀπεριοπτοτέρως (29,11) ἀάβακτος: incolumis (5,9) ἀάβακτος (29,14) ἀμηγέπως:  aliquo modo (5,10) ἀμηγέπως (31,4); quasi… quodam (8,18) ἀμηγέπως (42,22) κυκήθρα: ex strepitu (6,12) ἐκ τῆς κυκήθρας (33,4–6) ἐξουδενόω:  pericula… parvi esse ducenda (6,14) τοὺς κινδύνους… ἐξουδενοῦσθαι (35,24–36,7)

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– ἀγλαΐα: venustatem (8,17) τὴν ἀγλαΐαν (40,23) – διαστηρίζω: Smyrnaei… suum esse confirmant (8,19) Σμυρναῖοι σφῶν αὐτῶν εἶναι διαστηρίζουσι (43,23–24) – γλίχομαι: cupere debemus (10,23) γλίχεσθαι χρὴ ἡμᾶς (49,8–9) – διαδορατίζομαι:  de ipsa vita dimicaret (11,29) περὶ τῆς αὐτῆς ζωῆς διαδορατίσαιτο (56,7–8) – κλῆτος: gloria (11,29) κλῆτος (56,12) – ἀγαρράπτω: depravari (4,8) ἀγαρράπτειν (28,15) Lessemi di provenienza neoellenica (?) Due lessemi sono registrati soltanto nei lessici moderni410. – φιλανθρωπικός: quae ad humanitatem pertinent (1,2) φιλανθρωπικαί (19,16) – ἀξιοποιέομαι:  duxerit… dignam (10,25) ἀξιοποηθείς (52,5) cfr. neogr. ἀξιοποιώ

2.6.4.  Fatti lessicali II Lessemi di natura specialistica Un ristretto gruppo di termini ha carattere retorico-filosofico, sebbene il contesto non richieda vocaboli specialistici. – ἀνασκευάζω “confutare, demolire con argomenti”:  numquam enim hic… revincetur (6,11) οὗτος οὔτε… ἀνασκευασθήσεται (32,23–25) – ἐπιχείρημα “dimostrazione logica”:  quaere argumenta (6,11) μάστευσον τὰ ἐπιχειρήματα (32,20–21) – ἄλυπος “indolore, libero da preoccupazioni”:  magna res et iucunda (11,28) μέγα τὸ πρᾶγμα κἄλυπον (55,4) – μοναδικός “monadico, unitario”: nescio quid… singulare (7,15) οὐκ οἶδα τί… μοναδικὸν (38,15–17). Incoerenze semantiche o lessicali parziali Da un lato411 le traduzioni meccaniche e dall’altro la tendenza ad imitare la lingua di partenza portano ad alcuni esiti che esulano dall’idiomaticità della lingua greca, sortendo forzature semantiche e lessico-sintattiche nella lingua d’arrivo. Si 4 10 Δ. Δημητράκου, Μέγα λεξικὸν, cit. s.v.; Γ.Δ. Μπαμπινιώτη, Λεξικό, cit., s.v. 411 Per un confronto su alcune tipologie d’errore, oltre a R. Ferri, Il latino dei Colloquia, cit., si sono rivelati utili i lavori di S. Lundström, Lexicon errorum interpretum Latinorum, Stockholm 1983, e di F. Weissengruber, Epiphanius Scholasticus als Übersetzer, Wien 1972, benché riguardino la pratica di traduzione dal greco al latino.

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dànno di seguito le anomalie emerse, distinte fra incoerenze parziali e totali. Per le prime si tratta quasi sempre di “traduzioni non idiomatiche”, le quali rendono soltanto un aspetto del termine tradotto o sono impiegate in un contesto inappropriato; mentre il secondo sottotipo riguarda falli interpretativi. – abhorreat “esula (dal genere giudiziale)” (2,3) βδελυττομένῳ “inorridisce” (20,12) – persona quae… in iudiciis… tractata est (2,3) “è esperta nei processi” προσώπου, τοῦ ἀμφὶ τὰ τῶν κρίσεων… πεπραγματευμένου (21,7–11) “che tratta in processi” – informari “formare, educare” (3,4) εἰδοποιεῖν “creare un’immagine” (22,3) – ad humanitatem “(formare) agli studi umanistici” (3,4) ἐπὶ τὴν φιλανθρωπίαν “(formare) alla benevolenza” (22,2) – liberalissimis “(studi) liberali (propri di un uomo libero)” (3,4) ἐλευθερωτάτων “studi liberissimi” (22,12) – celebrabatur “era festeggiato” (3,4) ἐπεφημίζετο “era acclamato” (22,19) – studiaque… colebantur “tali studi erano coltivati” (3,5) σπουδαί… ἐξεπονοῦντο “tali studi erano faticati” (23,4) – hospitio (dignum) “degno di ospitalità” (3,5) τῷ καταγωγίῳ “degno di albergo” (23,16) – adhibere “offrire” (3,5) συνάπτειν “unire” (24,4) – colebatur (scil. Archias) “(Archia) era onorato” (3,6) ἐσεβάζετο “(Archia) era venerato” (24,26) – domum devinctam… cum teneret “poiché teneva la casa in un legame” (3,6) τὴν οἰκίαν… κρατήσας “poiché dominava la casa” (25,3–6) – civitatem… impetravit “ottenne la cittadinanza” (4,6) ἀπήνεγκεν “portò via (la cittadinanza)” (26,5) – cum lex ferebatur “quando la legge era proposta” (4,7) τοῦ νόμου ἐπαχθέντος “quando la legge era portata innanzi” (26,10–11) – pueritiae memoriam “i ricordi dell’infanzia” (1,1) τὴν τοῦ βρέφους μνήμην… “i ricordi del bambino” (18,11) – integerrimi municipii iusiurandum “il giuramento di una comunità del tutto irreprensibile” (4,8) ἀμειοτωτάτης τῆς πόλεως ὅρκον “il giuramento della città del tutto indiminuita” (28,12) – fidem… resignasset “annullare l’attendibilità” (5,9) ἀποσφραγισθείη “dissigillare” (29,18) – humili aliqua arte “con qualche modesta arte” (5,10) προσγείᾳ τινί τέχνῃ “con qualche arte vicina alla terra” (30,14–16) – municipiorum “dei municipi” (5,10) πολιτῶν “dei cittadini” (31,5)

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– non ius civitatis confirmat “(il registro) non conferma il diritto di cittadinanza” (5,11) οὐ τὸ δίκαιον τῆς πόλεως ἐπιρρώννυσι “(il registro) non rafforza il diritto di cittadinanza” (31,26–32,11) – eum in civium Romanorum iure esse versatum “(il registro indica che) egli si trovava nel diritto dei cittadini romani” (5,11) τόν… ἐν τῷ τῶν πολιτῶν τῶν Ῥωμαίων δικαίῳ διατριψάμενον “(il registro indica) che egli passava il tempo nel diritto…” (31,26–32,11) – ad aerarium delatus est “fu segnalato all’erario” (5,11) εἰς τὸν θησαυρὸν εἰσηνέγχθη “fu immesso nell’erario” (32,17–18) – litteris “nella letteratura” (6,12) διατριβαῖς “nelle discussioni” (33,24) – abstraxerit “distolse (dai doveri)” (6,12) κατασύρειεν “trascinò in basso” (34,10) – commodum “vantaggio” (6,12) ἕρμαιον “colpo di fortuna” (34,9) – dies ludorum “i giorni dei giochi pubblici” (6,13) τῶν παιγμάτων τὰς ἡμέρας “i giorni degli scherzi” (34,19–20) – cruciatus “sofferenze” (6,14) τιμωρήματα “punizioni” (36,3) – vetustas “l’antichità” (6,14) ἡ ἀρχαιολογία “le antiche leggende” (36,16–18) – illud adiungo “aggiungo questo (al discorso)” (7,15) τοὐκεῖνο κολλάομαι “e incollo questo” (38,4) – nescio quid… singulare “non so che cosa di particolare” (7,15) οὐκ οἶδα τί… μοναδικὸν “non so che cosa di solitario” (38,15–17) – bestiae… flectuntur (8,19) “le fiere sono ammansite” θήρια… χαυνοῦται “le fiere si indeboliscono” (43,11–12) – pugnant inter se “litigano fra loro” (8,19) πρὸς ἀλλήλους διασφαξάμενοι “si ammazzano l’un l’altro” (44,1–4) – Cimbricas res… attigit (9,19) “narrò le imprese contro i Cimbri” πρὸς τὰ Κιμβρικά καθίκετο “toccò le imprese contro i Cimbri” (44,17–19) – praeconium (9,20) “l’onore (delle imprese)” τῶν πόνων αὐτοῦ κήρυγμα “il bando” (45,1–4) – bellum… terra marique versatum “una guerra combattuta per terra e mare” (9,21) ὁ δὲ πόλεμος… τῇ τε γῇ καὶ τῇ θαλάττῃ τετραμμένος “la guerra rivolta per terra e mare” (45,19–24) – bellum… ab hoc expressum est “la guerra fu raccontata da costui” (9,21) ὁ δὲ πόλεμος… παρὰ τούτου ἀπετυπώθη “la guerra fu impressa da costui” (45,20–26) – populi Romani laus est “è una gloria del popolo romano” (9,21) τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τὸ ἐπαινετικόν ἐστι “è (cosa) lodevole del popolo romano” (46,18–19)

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– ex omni impetu regio “da ogni attacco del re” (9,21) ἐξ ἅπαντος βασιλικοῦ τοῦ τε ῥόθου “da ogni strepito del re” (46,22–23) – depressa hostium classis “distrutta la flotta nemica” (9,21) καταπιεσθεὶς τῶν πολεμίων στόλος “compressa la flotta nemica” (47,5–7) – illi Maximi… decorantur “quegli illustri Massimi vengono celebrati” (9,22) οἱ ἐκεῖνοι Μάξιμοι… ἐπιπρέπονται “quegli illustri Massimi spiccano” (48,6–11) – hunc… repudiasset “avrebbe rifiutato costui” (10,25) τοῦτον… ἀποσείσειεν ἄν “avrebbe sbalzato costui” (51,10–14) – praedicationem “la fama” (11,26) τῆς προκηρυξίας “del proclama” (53,12) – non dubitavit “non esitò” (11,27) οὐκ ἐξαμφοτέρισεν “non rese ambiguo” (53,25–54,2) – domesticis periculis “nei pericoli interni (dello Stato)” (12,31) ἐφεστίοις τοῖς κινδύνοις “nei pericoli domestici” (59,16) – res gestas “le imprese” (12,31) τὰ βεβιωμένα “le esperienze” (59,10) – certo scio “so con certezza” (12,32) ἀρχὴν οἶδα “so prima di tutto” (60,20) – (puerilis ad humanitatem) informari solet (3,4) “è solita educare”  … εἰδοποιεῖν φιλησαμένη (22,3) “è solita dare forma” – copiosa (scil. urbe) (3,4) “in una città ricca” ἀμφιλαφεῖ (22,10) “frondosa” – monumenta (9,21) “i monumenti” τὰ ἐγκαταλείμματα (47,10–11) “i residui” – Latina (scil. scripta)… continentur (10,23) “le lettere latine sono delimitate…” τοῦ δὲ Λατίνου… περιπλέκεσθαι (48,25–49,5) “sono intrecciate” – delubra coluerunt (11,27) “onorarono i templi” τοὺς νεὼς λατρεύσαντες (54,5–7) “adorarono i templi” – quas res… attigit hic versibus (11,28) “celebrò con versi le imprese” τὰ πεπραγμένα καθήψατο οὗτος τοῖς στίχοις (54,19–55,2) “toccò con i versi le imprese” – proximis censoribus… superioribus (5,11) “al tempo dei censori ultimi… dei precedenti” ἐγγυτάτοις τιμηταῖς… ἀνωτέροις (31,14–25) – auris (3,5) “gusto per le lettere” τὰ ὦτα (24,4) “le orecchie” – se contulit (3,4) “si recò” ἑαυτὸν προσένηγκεν (22,4–5) “portò se stesso” – census non ius… confirmat (5,11) “l’iscrizione non conferma il diritto” ἡ ἀπογραφὴ οὐ τὸ δίκαιον… ἐπιρρώννυσι (31,26–32,11) “l’iscrizione non rafforza il diritto” – numquam se ad… studium contulissent (7,16) “mai si sarebbero rivolti allo studio” μήποτε αὑτούς ὡς τὴν… σπουδὴν ξυγκεκομίκοιεν (39,9–11) “mai avrebbero portato se stessi allo studio” – mihi magna res… visa est (11,28) “mi sembrò cosa grande” μέγα τὸ πρᾶγμα… ὤφθη (55,4–5) “fu vista cosa grande”

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– civitas aequissimo iure ac foedere (4,6) τῷ ἐπιεικεστάτῳ δικαίῳ καὶ τῇ σπονδῇ (26,5) – praedicari (11,26) “essere elogiato” κηρυχθῆναι (53,14–15) “essere annunciato” Incoerenze semantiche o lessicali complete – ut hunc… putetis asciscendum fuisse (2,4) “(farò sì) che riteniate che costui avrebbe dovuto essere accolto” τοῦτον… οἴεσθαι ὑμᾶς μεταπεμψόμενον (21,22) “(farò sì) che riteniate che costui debba essere mandato a chiamare” – eruditissimis “(uomini) assai colti” (3,4) ἀσκηθηστάτων “(uomini) assai allenati” (22,10) – si… simulabant “se qualcuno simulasse” (3,6) πλασάμενοι “(se qualcuno) vagasse” (25,11–12) – me studiis esse deditum “(confesso di) essermi dedicato agli studi” (6,12) ὀφείλειν “(confesso di) essere debitore” (33,21) – se… abdiderunt “si nascosero” (6,12) ἑαυτοὺς… ἀπεκάλυψαν “si rivelarono” (33,23–25) – levior… facultas “(una capacità) piuttosto scarsa” (6,13) δύναμις… λειοτέρα “una forza più levigata” (35,17) – reliquerunt “hanno lasciato” (6,14) κατειλήφασι “hanno preso” (37,2) – dixisse (scil. Themistoclem) aiunt “dicono che Temistocle abbia affermato” (9,20) φασίν (τὸν Θεμιστοκλέα) εἰλοχέναι “dicono che Temistocle abbia raccolto” (45,6–7) – eruditissimisque “(uomini) assai colti” (8,18) μεμαθηκοτάτων “coloro che hanno insegnato” (42,13) – haec ampla sunt “queste cose sono importanti” (10,23) τούτων μὲν εὐρύτων… ὄντων “queste cose sono in piena corrente” (49,14–15) – neque… est hoc dissimulandum “e non bisogna dissimulare” (10,26) οὐ ἀποποιητέον “non bisogna rifiutare” (52,23–24) – manubias consecrare “consacrare le spoglie” (11,27) λαβὰς ἱεροποιεῖν “consacrare i manici” (53,25–54,2) – tempestivis conviviis “nei banchetti fino all’alba” (6,13) ταῖς εὐκαίροις συνεστίαις “nei banchetti a tempo opportuno” (35,1–2) – bestiae… consistunt (8,19) “le fiere riposano” θήρια… παρίσταται “le fiere assistono” (43,11–13) – tantum amorem sibi conciliarat “sì grande affetto si era acquistato” (8,17) τοσοῦτον τὸν ἔρωτα αὑτῷ ἀντικατηλλάχθη “sì grande affetto si era scambiato” (40,26–41,4) – milites… dulcedine gloriae commoti “i soldati spronati dalla dolcezza della gloria” (10,24)

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στρατιῶται… τῇ… τῆς εὐδοξίας γλυκύτητι διακείμενοι “i soldati disposti dalla dolcezza della gloria” (50,24–25) – habitu prope divino “la natura quasi divina” (7,15) εὐεξίᾳ ἐπὶ πολὺ τῇ θείᾳ “la natura per lo più divina” (37,24–25) – sit (8,19) “sia” ἴσθι (43,3) “sii”

2.6.5.  Fatti sintattici Il traduttore fa uso di soluzioni sintattiche spesso innaturali per la lingua greca. Si badi che in taluni casi l’erroneità delle espressioni impedisce una precisa classificazione dei fenomeni. I. Ricorrenti sono nella traduzione l’uso improprio dell’articolo determinativo greco (sottolineato negli esempi laddove la frase risulti complessa). a) casi in cui l’articolo è controindicato oppure superfluo (prima di pronomi personali, dimostrativi, indefiniti; numerali; in presenza di pronomi negativi): – si qua exercitatio (1,1) ἢ δέ τις ἡ… ἄσκησις (17,4)412 – iisdem in oppidis (3,5) ἐπὶ ταῖς αὐταῖς ταῖς πόλεσι (23,5) – sexaginta diebus (4,7) ἑξήκοντα ταῖς ἡμέραις (26,13) – humili aliqua arte (5,10) προσγείᾳ τινί τῇ τέχνῃ (30,14–16) – cum clarissimo imperatore (5,11) μετὰ τοῦ φανερωτάτου τοῦ στρατηγοῦ (31,16) – nullam populi partem (5,11) οὐδὲν τὸ λαοῦ μέρος (31,24) – suo… iudicio (6,11) τῇ τοῦ ἑαυτοῦ… κρίσει (32,23–24) – nullo tempore (6,12) οὐδένα τὸν χρόνον (34,8–9) – ad alias voluptates (6,13) ἐπί… τὰς ἄλλας τὰς ἡδονάς (34,21–22) – in tot ac tantas dimicationes (6,14) ἐπὶ τὰς μὲν τόσας καὶ τοσαύτας μάχας (36,9–10) – quam multas… imagines…! (6,14) ὡς πολλὰς… τὰς εἰκόνας (36,22–37,3) – vestra benignitate (8,18) τῇ τῶν ὑμῶν πραότητι (41,10–11) – cum litteram scripsisset nullam (8,18) τοῦτονί… γεγραφότα μὲν οὐδὲν τὸ γράμμα (41,15–17) – magnum numerum… versuum (8,18) πολὺν δὲ τὸν ἀριθμὸν… στίχων – omnium nostrum (9,22) τῶν ἁπάντων ἡμῶν (48,7–9) – apud omnes (31,12) παρὰ τοῖς πᾶσι (59,20–21) 412 Invero τις può essere preceduto da articolo, ma nel preciso significato di “singolo”, “preso individualmente” cfr. l’esemplificazione in LSJ, s.v. τις n. 10.

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– quod epigramma… fecisset (10,25) ὅτι τὸ ἐπίγραμμα… ποιησάμενος (51,19–20) – de meo quodam amore gloriae (11,27) περὶ τῆς τινος φιλοδοξίας (54,16–17) – cogitatione quadam speque delector (12,30) τῇ διανόιᾳ τινί… τέρπομαι(57,4–6) – si qua… divina… commendatio (12,31) ἐάν τις… ἡ θεία… σύστασις (59,3–7) – dulcedine quadam gloriae (10,24) τῇ τινι τῆς εὐδοξίας γλυκύτητι (50,24–25) b1) l’articolo si trova in posizione erronea; sono infatti numerose le inesattezze riguardo alla posizione attributiva (l’articolo precede l’aggettivo) e predicativa (l’articolo non precede immediatamente l’aggettivo): – totam Hortensiorum domum (3,6) ὅλην τῶν Ὁρτησίων τὴν οἰκίαν (25,3–4) pro ὁλην τὴν – erat… iucundus… eius Pio filio (3,6) ἦν… τερπνὸς… τῷ αὐτοῦ τῷ Πίῳ υἱεῖ (24,21) pro τῷ αὐτοῦ υἱεῖ τῷ Πίῳ – haec vox (1,1) ἡ αὕτη φωνή (18,20) pro αὕτη ἡ – aliis quoque in civitatibus (5,10) ἄλλαις ταῖς πόλεσι (30,11) pro ταῖς ἄλλαις – in hos profligatorum hominum cotidianos impetus (6,14) ἐπὶ τὰς δὲ διαφθαρέντων τῶν ἀνθρώπων τὰς καθημερινὰς ὁρμάς (36,10–13) pro ἐπὶ τὰς δὲ τῶν… ἀνθρώπων καθημερινὰς ὁρμάς – illi ipsi summi viri (7,15) οἱ ἐκεῖνοι αὐτοὶ ἀκρότατοι ἄνδρες (37,10–11) pro… οἱ ἀκρότατοι – pugna illa navalis (9,21) ἡ ἐκείνη ναυμαχία (47,8–9) pro ἐκείνη ἡ ναυμαχία – omnes denique illi Maximi (9,22) πάντες δὲ τέλος οἱ ἐκεῖνοι Μάξιμοι (48,5–7) pro ἐκεῖνοι οἱ – Ennio comite (11,27) τοῦ συστρατεύσαντος Ἐννίου (53,23–24) pro τοῦ Ἐννίου συστρατεύσαντος – conservate… hominem pudore eo (12,31) διασῴζετε… τὸν ἄνθρωπον, αἰσχύνῃ τῇ ταύτῃ (57,6–9) – tantum amorem (8,17) τοσοῦτον τὸν ἔρωτα (41,1–2) pro τὸν τοσοῦτον ἔρωτα – memoriam recordari ultimam (1,1) τὴν μνήμην ἀναμιμνήσκειν ἐσχατήν (18,13) pro …τὴν ἐσχάτην – aetas puerilis (3,4) ἡ ἡλικία παιδαριώδης (22,1) pro ἡ παιδαριώδης ἡλικία – Heraclienses legati (4,8) Ἡράκλειοι (sic) οἱ πρέσβεις (27,14–15) οἱ Ἡράκλειοι π. – Italico bello (4,8) τῷ πολέμῳ Ἰταλιώτῃ (sic) (27,25–26) – ad communem afferre fructum (6,12) πρὸς κοινὸν τὸν καρπόν (34,2–3) – ab adolescentia (6,14) ἐκ πρώτης τῆς ἡλικίας (35,23–24) – ad populi Romani gloriam… celebrandam (9,19) ἐς τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τῆς τε δόξης… ἐγκωμιάζειν (44,14–17)

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– populi Romani nomen (9,21) τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ὄνομα (46,5) – populi Romani exercitus (9,21) τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου στράτευμα (46,13–14)413 – commemorationem nominis nostri (11,29) τὸ ἀπομνημόνευμα τοὐνόματος ἡμετέρου (56,15–17) – vestros imperatores (12,31) τοὺς στρατηγοὺς ὑμετέρους (59,9–10) – populi Romani res gestas (12,31) τὰ βεβιωμένα τοῦ λαοῦ ῾Ρωμαίου (59,10– 11) – iudiciali consuetudine (12,32) δικανικοῦ τοῦ ἔθους (60,11) – carus fuit Africano superiori noster Ennius (9,22) ἥνδανε τῷ Ἀφρικανῷ ἀνωτέρῳ ὁ ἡμέτερος Ἔννιος (47,17–19) qui è rispettata solo nel secondo sintagma ὁ ἡμέτερος Ἔννιος – togati iudices (11,27) τηβεννοφόροι οἱ κριταί (54,2–12) b2) le difficoltà legate alla disposizione degli articoli sono evidenti soprattutto nella resa dei pronomi determinativi ipse e idem: – ipsis populis (10,23) τοῖς αὐτοῖς λαοῖς (49,15) – naturae ipsius habitu (7,15) φύσεως τῇ αὐτῇ εὐεξίᾳ (37,24–25) – idem tumulus (10,24) τό γε αὐτὸ τὸ μνημεῖον (50,10) – ipsi illi philosophi (10,26) οἱ αὐτ’ ἐκεῖνοι φιλόσοφοι (53,5) – de vita ipsa (11,29) περὶ τῆς αὐτῆς ζωῆς (56,7) – ipsi illi C. Mario (9,19) τῷ αὐτῷ Γαΐῳ Μαρίῳ (44,19–20) – de ipsius studio (12,32) περὶ τοῦ αὐτοῦ ἐπιτηδεύματος (60,13–14) – ad ipsam requiem (6,13) ἐπὶ… τὴν αὐτὴν ἀνάπαυσιν (34,22–23) c) l’articolo non compare dove richiesto oppure è usato in modo discontinuo, soprattutto nelle coppie di termini legate in polisindeto (le prime 4): – animum et mentem meam (6,14) τήν τε ψυχὴν καὶ νοῦν (37,6–9) – saxa et solitudines (8,19) λίθοι καὶ αἱ ἐρημίαι (43,9–10) – et voluntate et legibus (9,19) δὲ θελήματι καὶ τῷ νόμῳ (44,8–10) – Rheginos credo aut Locrenses (5,10) Ῥηγινοὺς πιστεύω ἢ τοὺς Λοκροὺς (30,19–20) – Rudinum hominem (scil. Ennium) (10,22) Ῥούδιον ἄνθρωπον (48,11–12)

413 La posizione attributiva è invece rispettata in: populus Romanus (9,21) ὁ μὲν γὰρ λαός ὁ ῾Ρωμαῖος (46,6–7); sed etiam populi Romani nomen (9,22) ἀλλὰ καὶ λαοῦ τοῦ Ῥωμαίου τοὔνομα (47,24–26).

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– maiores nostri (10,22) πρόγονοι ἡμῶν (48,12) – Mithridaticum bellum (9,21) ὁ δὲ πόλεμος πρὸς τὸν Μιθριδάτην (45,19–20) II. L’uso dell’infinito sostantivato greco come sostantivo astratto, che talora sostituisce un’intera subordinata (v. anche infra gli enunciati circostanziali). a) come sostantivo astratto: – studia (1,1) τὸ σπουδάζειν (17,9) – facultas (1,2) τὸ δύνασθαι (19,8) – pro salute vestra (6,14) ὑπὲρ τοῦ διασῴζειν ὑμᾶς (36,8–9) – ut morte… non commoveretur? (8,17) ἵνα… τῷ τεθνάναι μὴ κινεῖσθαι (40,15–20) – et opem et salutem ferre (1,2) τό τε ἐπικουρεῖν καὶ τὸ ἀμύνειν φέρειν (19,3–4) – disseminare… in… memoriam sempiternam (12,30) διασπέιρειν εἰς τὸ… ἀεὶ μιμνήσκεσθαι (57,21–22) ) nel caso di una proposizione sostantiva e una relativa: b – quaeso… ut… mihi detis (2,3) δέομαι… τοῦ δοῦναι μοι (20,12–14) – hic, qui ne utitur quidem illis (5,10) oὗτος, διὰ τὸ… ἐκείνοις μηδὲ χρῆσθαι (30,17–18) c) in un’espressione con participio perfetto di valore attributivo (enunciati temporali impliciti): – ante civitatem datam (4,9) πρὸ τοῦ τῆς πόλεως δοῦναι (28,24–25) Enunciati relativi a) prevale la resa mediante participio attributivo o sostantivato414: – genere… quod… abhorreat (2,3) γένει τῷ… βδελυττομένῳ (20,12) – ad ea quae habemus nihil dicere, quaerere quae habere non possumus (4,8) τὸ μὲν πρὸς τὰ ἐχόμενα οὐδὲν εἰπεῖν, τὸ δὲ ζητεῖσθαι τά οὐκ ἔχειν δυνάμενα (28,5–6) – ea, quae depravari… possunt (4,8) τὰ… ἀγαρράπτειν… δυνάμενα (28,15) – (tabulas) quas… dicis solere corrumpi (4,8) (πινάκων) τῶν… παραφθείρεσθαι εἰωθότων (28,18–20) – (tabulis) quae solae… obtinent… auctoritatem (4,9) (πίναξι) τοῖς μόνοις κατέχουσι… τὴν αὐθεντίαν (29,5–10) – ea quae gesserat (9,20) τὰ πεπραγμένα αὐτοῦ (45,17)

414 Molto spesso preceduto da articolo, sebbene per il participio sostantivato in posizione predicativa l’articolo non sia previsto, cfr. N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 480.

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– fortunate, qui… Homerum praeconem inveneris (10,24) ὦ εὐδαιμονέστατε, ὁ… *εὑρηθεὶς κήρυκα τὸν Ὅμηρον (50,4–7) – qui sedulitatem… duxerit… dignam (10,25) ὁ μὲν οὖν τὴν ἐπισπέρχειαν… ἀξιοποιηθεὶς (52,2–5) – a Q. M. Pio… qui civitate… donavit (10,26) ὑπὸ τοῦ Κοίντου Μετέλλου Πίου… τοῦ χαρισαμένου… τῇ πόλει (52,10–13) – qui… de suis rebus scribi cuperet (10,26) τοῦ… περὶ τοῦ αὐτοῦ γράφειν γλιχομένου (52,15–18) – qui cum Aetolis… bellavit, Fulvius (11,27) ὁ πρὸς τοὺς Αἰτωλούς… πολεμίσας Φούλβιος (53,22–25) – quas res nos… gessimus (11,28) τὰ… πεπραγμένα (54,19–55,2) – omnia quae gerebam (12,30) πάντα τὰ παρ’ ἐμοῦ πραχθέντα (57,17–18) – eum qui vos… ornavit, qui… profitetur, quique est ex eo numero qui… sancti sunt habiti (12,31) τοῦτον τὸν μὲν ὑμᾶς… ἐγκωμιασθέντα, τὸν δὲ… καθομολογοῦντα, τὸν δὲ ἐπὶ τούτοις τουτουῒ ὄντα τοῦ ἀριθμοῦ, οἳ… ὅσιοί τε ἔχειν… εἰωθότες (59,8–23) – quae… dixi (12,32) τὰ… εἰρημένα (60,4–7) – de iis ipsis rebus, quae tum agerentur (8,18) περὶ τῶν αὐτῶν (sic) πραγμάτων τῶν τότε γιγνομένων (41,15–22) – qui… venerunt (4,8) παραγενόμενοι (27,19) (qui senza articolo) – omnes, qui… versamur (11,29) ἅπαντες οἱ διατριβόμενοι (56,21–24) ) mediante proposizioni relative esplicite: b – virtus, quae… concitat (11,29) ἀρετή, ἥ… παρορμᾷ (56,10–13) – quae… locutus sum (12,32) ἅπερ… εἰλοχώς εἰμι (sic) (60,9–15) c) in un caso dubbio mediante ACI: – quid est quod… dubitetis (5,10) τί ἂν γένοιτο… ὑμᾶς… ἀμφιγνοεῖν (30,8–10) d) omissione: – illa… quae summa sunt (6,13) τἀκεῖνα δὴ, τὰ ἀκρότατα (35,19) Enunciati circostanziali consecutivi a) sono per lo più resi mediante ὡς ο ὥστε con indicativo, infinito o ottativo: – celebrabatur ut famam ingenii expectatio hominis… superaret (3,4) ἐπεφημίζετο, ὥστε τὸ μὲν κλέος τῆς ἀγχινοίας, ἡ προσδοκία τοῦ ἀνθρώπου… ἐπαρθῆναι (22,19–25) – tam parvi animi videamur, ut… nobiscum simul moritura omnia arbitremur? (12,30) δοκεῖν …, ὥστε… πάντα μεθ’ ἡμῶν τελευτήσειν νομίσαιμεν; (56,24–57,4)

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– sic… ut ad… laudem pervenirent (8,18) οὕτως… ὥστε… τῷ ἐγκωμίῳ ἀφικνεῖσθαι (42,3–6) – tanta diligentia fuit, ut… ad iudices venerit et… se commotum esse dixerit (5,9) τοσαύτῃ… ἐπιμελείᾳ ἐγένετο, ὡς… πρὸς τοὺς κριτὰς ἀφιξάμενος… τετραχέναι αὑτὸν λεξάμενος ἐτύγχανεν (29,23–30,3) – fuit, ut domus… esset familiarissima (3,5) ἦν, ὡς οἴκησις… ἐχείη [ἂν] οἰκειοτάτως (24,14–17) – (se abdiderunt), ut nihil possint afferre (6,12)… ὡς [ἂν] οὐδὲν δυνήσαιντο προσφέρειν (33,25–34,2) – (perficere) ut ab aliquo imperatore civitate donaretur (10,25) ὡς παρά τινι τῶν στρατηγούντων χαρίσαιτο τῇ πόλει (51,5–7) – sic… ut humanitate vestra levatus quam acerbitate violatus esse videatur (12,31) οὕτως… ὡς τῇ φιλανθρωπίᾳ ὑμῶν κουφισθεὶς μᾶλλον ἢ στρυφνότητι ὑβριζόμενος ἂν δοκεῖν (59,25–60,3) ) mediante l’insolito costrutto ὥστε + participio sostantivato: b – de suis rebus scribi cuperet, ut etiam Cordubae natis poetis… auris suas dederet (10,26) τοῦ… περὶ τοῦ αὐτοῦ γράφειν γλιχομένου, ὥστε καὶ τοῖς μὲν ἐν Κορδούβᾳ γεγαόσι ποιηταῖς… δὲ τὰ ὦτα αὐτοῦ παραδοθέντος (52,15–23) c) una frase relativa impropria con valore consecutivo è resa con una semplice relativa greca: – causa vero eius modi, quae… tabulis Metelli comprobetur (12,31) δίκῃ δὲ τοιαύτῃ, ἥ τις ἂν… τοῖς πίναξι τοῦ Μετέλλου συνδοκιμασθεῖσα τυγχάνει (58,7–26) Enunciati circostanziali finali a) impliciti (ad + gerund.): sono ricalcati in greco con l’uso di preposizione + infinito sostantivato: – ad populi Romani gloriam… celebrandam “per celebrare la gloria del popolo romano” (9,19) ἐς τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου τῆς τε δόξης καὶ τῆς αἰνήσεως ἐγκωμιάζειν (44,14–17) – ad percipiendam colendamque virtutem “per conoscere e praticare la virtù” (7,16) πρός τε τὸ καταλαμβάνειν καὶ τὸ ἀσκεῖν τοῦ τῆς ἀρετῆς (38,5–7) – ad suscipiendam et ad ingrediendam rationem… studiorum (1,1) πρὸς τὸ ὑποδέξασθαι καὶ πρὸς τὸ ἄρχεσθαι τῶν τουτουῒ τῶν σπουδῶν τρόπου (18,17–18) b) espliciti: con ὡς + congiuntivo; – ut id libentius faciatis (11,28) τοῦτο… ὡς ἀσμενεστέρως ποιήσαιτε

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c) con calco sintattico della preposizione quo: ᾧ + participio: – quo ceteris opitulari possemus (1,1) ᾧ… διασῴζειν δυνάμενοι (18,25–19,1) Enunciati circostanziali causali a) mediante genitivo assoluto – cum… fuerit adscriptus (5,10) τοῦ ἄλλαις ταῖς πόλεσι προσγραφθέντος (30,11–12) – cum… civitatem… homines impertiebantur (5,10) τὴν πόλιν… τῶν ἀνθρώπων μεταδεδοκότων (30,17–18) – cum ceteri irrepserint (5,10) τῶν ἄλλων παρερπυσάντων (31,1–6) – quod… haec ampla sunt (10,23) καὶ δὴ τούτων μὲν εὐρύτων (sic) ὄντων (49,14–22) – cum res agatur apud praetorem (2,3) ὄντος τοῦ πράγματος παρὰ τὸν ἔπαρχον (20,2) ) infinito sostantivato preceduto da preposizione διά: b – quia poeta fuit (9,19) διὰ τὸ… ποιητὴν εἶναι (44,5–6) – propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus… continentur (10,23) διὰ τὸ τοῦ μὲν Ἑλληνικοῦ ἐν ἅπασι σχεδὸν ἔθνεσι ἀναγνῶναι, τοῦ δὲ Λατίνου τοῖς πέρασι αὐτοῦ περιπλέκεσθαι (48,25–49,5)415 c) proposizione temporale-causale con la congiunzione ὅταν: – cum… tabulae… dicerentur (5,9) πίνακες, ὅταν… λεχθείησαν (29,11–13) Enunciati circostanziali temporali a) mediante genitivo assoluto: – cum ad naturam eximiam… accesserit ratio conformatioque doctrinae (7,15) ἐπὶ τὴν φύσιν τὴν ἐξαιρέτην καὶ λαμπρὰν ἀφικομένου τρόπου τινός, καὶ βεβαιώσεως τῆς παιδείας (38,10–15) b) mediante participio congiunto: – Sulla cum Hispanos et Gallos donaret (scil. civitatem) (10,25) Σῦλλα τοῖς μὲν Ἰβέροις (sic) καὶ τοῖς Γάλλοις χαριζόμενος (51,10–12) – cum… nullum tranquillum… spiritum duxerimus (12,30) οὐδὲν γαληνόν τε… τὸ πνεῦμα διαγαγόντες (56,26–57,2) (causale-temporale)

415 Com’è noto, l’uso di questo costrutto prevede che venga espresso il soggetto in accusativo se questo è diverso da quello della sovraordinata, cfr. N. Basile, Sintassi storica, cit., p. 556; nel secondo esempio, tuttavia, il soggetto è al genitivo, mentre all’accusativo compare l’oggetto dell’infinito.

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– cum esset… notus (3,5) γνωρισάμενος ὤν (23,19) c) con infinito sostantivato: – ante civitatem datam (4,9) πρὸ τοῦ τῆς πόλεως δοῦναι (28,24–25) Enunciati circostanziali ipotetici a) mediante genitivo assoluto: – quod si non hic tantus fructus ostenderetur (7,16) τούτου δὲ μὴ τοσούτου τε καρποῦ ἀναδεικνυμένου (39,11–20) – haec sive… abfutura sunt, sive… pertinebunt (12,30) τούτων δὲ… ἀπαλλαξομένων, ἤτε… κατηκόντων (57,23–58,4) ) con participio congiunto: b – quod si ipsi haec neque attingere… possemus (8,17) οὗπερ μὲν οὖν ἐὰν μὴ καθ’ ἑαυτοὺς οὔτε ἐπιψαύειν… δυνάμενοι (sic) (40,8–9) c) in modo esplicito: – si ex his studiis delectatio sola peteretur (7,16) ἢν ἐκ τούτων τῶν σπουδῶν ἡ τέρψις μόνη ζητήσοιτο (39,13–15) Enunciati circostanziali concessivo-condizionali a) per mezzo di participio congiunto: – etiam cum in aliis videremus (7,17) ἔτι καὶ πρὸς τοῖς ἄλλοις ὁρώμενοι (40,14–15) Proposizioni complementari sostantive oggettive a) mediante accusativo + infinito: – perficiam… ut hunc A. Licinium… putetis (2,4) ἀπεργάσομαι… τὸν Αὖλον Λυκίνιον… οἴεσθαι ὑμᾶς (21,16–22) – petimus… ut… eum… accipiatis (12,31) αἰτοῦμαι… τοῦτον… προσδέχεσθαι (59,2–27) b) mediante infinito sostantivato (v. supra 2,3 = 20,12–14) c) ὡς + infinito: – quaeso… ut patiamini (2,3) δέομαι… ὡς… ἐᾶν (20,12–14) Ablativo assoluto a) per mezzo di genitivo assoluto – Lucullo imperante (9,21) τοῦ Λευκούλλου προσταχθέντος (46,7–8) – Ennio comite (11,27) τοῦ συστρατεύσαντος Ἐννίου (53,23–24) b) mediante participio congiunto: – quibus auditis (11,28) τούτων δὲ ἔγωγε ἀκηκοὼς ὤν (sic) (55,3–4)

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c) costrutto con dativo (calco): – commutatis verbis atque sententiis (8,18) ταῖς μεταλλαγείσαις λέξεσι τε γνώμαις τε (41,24–25) Perifrastica passiva In un solo caso l’autore impiega l’aggettivo verbale in –τέον, nei restanti abbiamo dei tentativi di resa tramite il semplice infinito. – hunc non segregandum (scil. esse) (2,4) οὐκ ἔστιν τοῦτον τὸν Αὖλον Λυκίνιον ἀφορίζειν (21,19) – mihi concedendum est (6,12) τοῦτό μοι συγχωρητέα (35,9) – pericula… parvi esse ducenda (6,14) τοὺς κινδύνους… ἐξουδενοῦσθαι (36,7) – admonet… esse dimittendam commemorationem… adaequandam (11,29) νουθετεῖ… ἀφίεσθαι… τὸ ἀπομνημόνευμα… ὁμαλισθῆναι (56,15) Calchi sintattici I seguenti calchi strutturali seguono da vicino la sintassi del testo ciceroniano; anche se solo taluni questi procedimenti imitativi sono grammaticalmente accettabili nella lingua greca, essi illustrano significativamente l’importanza dell’influsso esercitato dal latino sul testo d’arrivo. a) vari costrutti sintattici tipicamente latini: – nonnullis saluti fuit (1,10–11) ἐνίοις… τῇ σωτηρίᾳ ἐγένετο (18,23–24) (doppio dativo) – ad studium scribendi (3,4) εἰς τὴν τοῦ γράφειν ἐπιθυμίαν (22,4–5) (gerundio → inf. sost.) – loco nobili, celebri… urbe et copiosa atque… adfluenti (3,4) τόπῳ εὐγενεῖ τε καὶ εὐκλεῖ… πόλει, καὶ ἀμφιλαφεῖ καὶ… ἐπιρρύτῳ (22,8–10) (abl. locativo → dat. semplice) – cupere debemus, quo minus… tela pervenerint, eodem gloriam… (10,23) γλίχεσθαι χρὴ ἡμᾶς, ὡς ἂν ἥκιστα τὰ… βέλη παραβῆναι, αὐτόσε τήν τε δόξαν… (49,8–13) (calco della locuzione congiuntiva) – optimus quisque (10,26) πᾶς ὁ βέλτιστος (53,3) – in optimo quoque animo (11,29) τῷ βελτίσθ’ ἑκάστῳ (56,9–10) – magna res et iucunda visa est (11,28) μέγα τὸ πρᾶγμα κἄλυπόν τε ὤφθη (55,4–5) (calco della costruzione personale di videor) b) nesso relativo:

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– quae (scil. facultas) si cui levior videtur (6,13) (δύναμις) ἣ μὲν ἂν εἴ τινι λειοτέρα δοκεῖ (35,17) – quas (imagines) ego mihi semper… proponens (6,14) ἃς ἐγώ γε μοι ἀεὶ ἐν τῷ κυβερνᾶν τὴν πολιτείαν προβαλλόμενος (37,3–5) – qui profecto si nihil… adiuvarentur (7,16) οἳ δήπου ἢν οὐδὲν… ὀφέλλοντο (38,5–9) – qui libri… inlustrant (9,21) αἵ τινες βύβλοι οὐ μόνον Λύκιον Λεύκουλλον… ἀλλὰ καὶ τὸ τοῦ λαοῦ Ῥωμαίου ὄνομα διαυγνῶσι (sic) (46,1–6) – quem nos in contione vidimus (10,25) ὃν ἡμεῖς ἐν τῇ ἀγορᾷ ἑωράκαμεν (51,14–16) c) prolessi del relativo ed epanalessi del dimostrativo: – in qua urbe imperatores… delubra coluerunt, in ea non debent togati iudices (11,27) ἐφ’ ᾗ μὲν οὖν τῇ πόλει… οἱ στρατηγοὶ… τοὺς νεὼς λατρεύσαντες ἦσαν, ἐπὶ ταύτης οὐ μέλλουσι τηβεννοφόροι οἱ κριταὶ (54,2–12) – (scil. animus) si quibus regionibus vitae spatium circumscriptum est, iisdem… cogitationes terminaret suas (11,29) εἰ δέ, αἷς χώραις τοῦ βίου τὸ διάστημα περιεγράφθη, ταῖς αὐταῖς… τὰς διανοίας ὁρίζειν αὐτοῦ (55,21– 56,1) ) reggenze sintattiche e funzioni dei casi: d – antecellere omnibus (3,4) ὑπερβάλλειν τοῖς ἅπασι (22,13–15) – me autem quid pudeat? (6,12) ἐμὲ δὲ τὶ ἂν αἰσχύνηται; (34,5–6) – a Q.  Metello Pio… qui civitate multos donavit (10,25) ὑπὸ τοῦ Κοΐντου Μετέλλου Πίου… τοῦ χαρισαμένου πολλοὺς τῇ πόλει (52,10–13) (dono + acc. e abl.) – Heracleae (loc.) “ad Eraclea” (4,8) τῇ Ἡρακλείᾳ (27,3) (abl. loc. → dat. semplice) – his… tabulis (5,9) τούτοις… πίναξι (30,3–4) (v. supra) – adversis perfugium… praebent (7,16) τοῖς δυστυχήμασι καταφυγήν τε… παρέχουσι (40,2–4) (v. supra) – non fori (varia lectio) (12,32) οὔτε μὲν τῆς ἀγορᾶς (60,10) (loc. lat. → gen. gr.) – hospitio dignum (3,5) τῷ καταγωγίῳ ἄξιον (23,16) e) espressioni idiomatiche: – in primis (1,1) πρὸς τοῖς πρώτοις (18,2–3) – in bonam partem (12,32) εἰς ἀγαθὸν μέρος (60,17–18)

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Diatesi verbale Il sistema diatesico greco costituisce uno scoglio importante per il traduttore, il quale non riesce a gestire la corrispondenza delle forme verbali latine attive e passive con quelle greche, sia finite sia indefinite. In particolare incontra maggior difficoltà nell’impiego del passivo, sviato forse dalla diatesi delle forme latine: – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –

debet (1,1) ἐστίν ὀφειλόμενος (18,6) dici (1,2) λέγειν (19,6) dicentem (2,3) λεχθέντα (20,22) a vobis tribui concedique (2,4) παρ’ ὑμῖν νέμειν τε καὶ συγχωρεῖν (21,14–15) sic… ut…superaret (3,4) οὑτωσὶ … ὥστε … ἐπαρθῆναι (22,24) causa dicta est (4,8) ἡ δίκη κεκρικυῖα τυγχάνει (26,25–26) infirmari (4,8) ἀνασκευάζειν (27,1) vidisse (4,8) ὀφθῆναι (27,11) (tabulas) interisse scimus (4,8) ἀπολωλεκέναι (28,1) quae habere non possumus (4,8) τὰ οὐκ ἔχειν δυνάμενα (28,5) nisi eos (scil. animos) doctrina relaxemus (6,12) εἰ μὴ ἐκείνους παιδείᾳ χαλασθέντας (33,13–14) (doctrina) eruditi fuerunt (7,15) πεπαιδευκότες ἦσαν (37,15–16) fateor (7,15) καθομολογοῦμαι (38,3) pro καθομολογέω hunc… non… defendendum putem? (8,18)…ἀπολογεῖν (42,10) commendati nobis esse videantur (8,18) συνεστηκότες ἡμῖν δοκεῖσθαι (43,1–3) nos instituti rebus optimis (8,19) ἡμεῖς δὲ παιδευσάμενοι πράγμασι τοῖς βελτίστοις (43,14–16) Chii suum (Homerum) vindicant (8,19) Χῖοι δὲ σφῶν ἰδιοποιοῦσι (43,21) pro ἰδιοποιοῦνται omne ingenium contulerit Archias (9,19) πᾶσαν τὴν εὐφυΐαν ἐπεστράφθη Ἀρχίας (44,12–17) (C. Mario) qui durior ad haec studia videbatur (9,19) τῷ πρὸς ταύτας σπουδὰς σκληροτέρως αὐτὸν ἔχειν δοκουμένῳ (44,21–23) putabat ea quae gesserat posse celebrari (9,20) ᾤετο τὰ πεπραγμένα αὐτοῦ δύνασθαι περιβοᾶν (45,15–18) Pontum… vallatum (9,21) Πόντον… παραφραξάμενον (46,9–12) pro παραπεφραγμένον hunc… multis civitatibus expetitum (10,22) τοῦτον… παρὰ πολλῶν μὲν τῶν πόλεων ἐπιθυμοῦντα (48,14–16) hunc… legibus constitutum (10,22) τοῦτον… τοῖς νόμοις καταστησάμενον (48,14–18)

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– qui… praeconem inveneris (10,24) ὁ… εὑρηθεὶς κήρυκα (50,4–7) – tumulus qui corpus eius contexerat (10,24) τὸ μνημεῖον σῶμα καλυφθὲν (50,10–11) – ut (scil. Archias) ab aliquo imperatore civitate donaretur (10,24) ὡς (Ἀρχίας) παρά τινι τῶν στρατηγούντων χαρίσαιτο τῇ πόλει (51,5–7)416 – deo de suis rebus scribi cuperet, ut etiam Cordubae natis poetis… auris suas dederet (10,26) τοσοῦτον περὶ τοῦ αὐτοῦ γράφειν γλιχομένου, ὥστε καὶ τοῖς μὲν ἐν Κορδούβᾳ γεγαόσι ποιηταῖς… δὲ τὰ ὦτα αὐτοῦ παραδοθέντος (52,15–23) – nominari volunt (11,26) ὀνομάζειν ἐθέλουσιν (53,14–15) – pudore… quem… videtis comprobari (12,31) αἰσχύνῃ… ἣν… ὁρᾶτε εὐδοκιμάζειν 58,10 – qui… res gestas… ornavit (12,31) τὸν δὲ τὰ βεβιωμένα… ἐγκωμιασθέντα (59,10–13) In questi due esempi, invece, la difficoltà è rappresentata dai participi perfetti con funzione aggettivale: – cum esset… notus (3,5) γνωρισάμενος ὤν (23,19) – vitae spatium circumscriptum est (11,29) αἷς χώραις τοῦ βίου τὸ διάστημα περιεγράφθη (55,21–23).

2.6.6.  Osservazioni stilistico-lessicali a) Si sono osservati fenomeni di espansione del testo, nei quali il traduttore introduce aggiunte esplicative: – ut (Archias) ab aliquo imperatore civitate donaretur perficere non potuit “Archia non poté farsi concedere la cittadinanza da qualche generale” (10,24) ὡς (Ἀρχίας) παρά τινι τῶν στρατηγούντων χαρίσαιτο τῇ πόλει δεήσεσι μὴ τευξάμενος (51,5–7) “… con suppliche…” – in oppido “nella città” (8,19) ἐπὶ τῆς κώμης αὐτῶν (43,25) “nella loro città” b) altrove l’autore sembra cogliere finemente il senso di un passaggio logico, che sa rendere mediante le adeguate marche testuali greche – etiam illud adiungo (7,15) καὶ μὴν καὶ τοὐκεῖνο κολλάομαι (38,3–5) – accepimus ceterarum rerum studia et doctrina et praeceptis et arte constare, poetam natura ipsa valere (8,18) (ἐλάβομεν) τὰς μὲν τῶν ἄλλων σπουδὰς

416 Ma poco più avanti (10,25 = 51,11–12) lo stesso verbo è usato correttamente.

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τῇ τε διδασκαλίᾳ καὶ τοῖς παραγγέλμασι καὶ τῇ τέχνῃ συντάττεσθαι, τὸν δὲ δὴ ποιητὴν τῇ μόνῃ φύσει ἐρρῶσθαι (42,13–20) Atticismi Alcuni tratti rimandano al dialetto attico, illustre lingua di drammaturghi ed oratori. La mancanza di sistematicità nel loro impiego, accanto ad altre forme che invece appartengono allo stile epico-ionico (v. infra), sembra suggerire, da parte dell’autore, un intento didattico-espositivo: a) preverbo ξυν-: ξυνέβη (22,15) b) forme in  –ττω:  βδελύττω (20,12), συντάττω (42,17), θάλαττα (45,23), μυσάττομαι (54,12); c) ἀποθνῄσκω usato come passivo di ἀποκτείνω “uccidere”417:  cum interfectis ducibus (9,21) μετὰ τῶν ἀποθανόντων στρατηγῶν (47,4–5) d) ἥγε 56,10 la forma ricorda ἔγω-γε “io per me” rafforzato dalla particella γε, tratto considerato attico e) così anche il pron. pers. ἔγωγε (37,3; 41,8; 41,15; 42,7; 55,4) per il lat. ego (cfr. Crastonus: ego lingua Attica, s.v.) f) particella deittica -ί con le forme pronominali e avverbiali: τουτωνί (17,15), ταυτησί (27,16), τουτῳΐ (30,24; 33,2; 55,6), τουτουΐ (48,1; 59,20), οὑτωσί (22,18). Fra gli espedienti più caratteristici dello stile oratorio, il nostro traduttore sceglie di usare la deissi del suffisso -ί con i pronomi dimostrativi e gli avverbi. Ampiamente rappresentata negli oratori attici Demostene ed Eschine, questa risorsa mira a catturare o mantenere l’attenzione dell’uditorio e a mettere al centro del discorso l’opponente o il cliente. È certo, infatti, che fosse accompagnato da una precisa gestualità e da una particolare impostazione della voce418.

417 H.W. Smyth, A Greek Grammar, cit., p. 397; D.J. Mastronarde, Introduction to Attic Greek, Berkeley 2013, p. 177. 418 E. Schwyzer-A. Debrunner, Griechische Grammatik, 1 Band, cit. p. 611; sull’uso in ambito forense cfr. A. Serafim, Attic Oratory and Performance, London 2017, pp. 120– 121.

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Forme epico-ioniche Introdotte forse per la medesima finalità che supra: a) participio perfetto attivo di γίγνομαι, γεγαώς: – nisi Ilias exstitisset illa (10,24) ἐὰν μὴ παραγεγαυῖα εἴη ἡ Ἰλιὰς ἐκείνη (50,8–10) – Cordubae natis poetis (10,26) τοῖς μὲν ἐν Κορδούβᾳ γεγαόσι ποιηταῖς (52,18–20) b) psilosi: – κατηκόντων (58,3), cfr. attico καθήκω c) uso di οἴω all’attivo (33,9; 45,17; 47,21; 58,1). Variationes Si sono riscontrati anche alcuni validi impieghi di variatio lessicale: – ceteris opitulari et alios servare (1,1): τοὺς ἄλλους ἀμύνεσθαι (sic) καὶ τοὺς ἐξῆς διασῴζειν (18,26): la variatio in questo caso era presente nell’originale ed è stata mantenuta – eruditissimus (7,15; 2,3; 8,18; 3,4):  *πεπαιδευκώς (37,15), μεμαθηκότατος (20,21; 42,13), *ἀσκηθέστατος (22,10) – incredibilis (9,21; 8,17): ἀπίθανος (41,5), ἀνυπέρβλητος (47,7). Nei casi seguenti si è tentati di ravvisare una certa libertà stilistica da parte del traduttore: – – – –

neque… patiatur (9,19) ὁ μὴ ὑποστάς (45,1) vehementer (10,23) λίαν (48,24) quaeret quispiam (7,15) ἐρωτήσειεν ἄν τις (37,9) fortunate, inquit, adulescens (10,24) ὦ εὐδαιμονέστατε, ἔφη, τῶν νεανίσκων (50,4–5).

3. CONCLUSIONE 3.1. I glossari e la traduzione Per dare un giudizio più completo al lavoro di traduzione, è opportuno prendere in speciale considerazione anche quella parte fondamentale del mestiere di traduttore costituita dallo strumentario, ossia i sussidi lessicografici. L’indagine può fare luce su alcuni di quegli aspetti traduttologici del testo ancora incomprensibili e che dipendono in buona parte da questi strumenti, di natura e qualità assai varia e sfuggente. Dal momento che sull’argomento dei lessici umanistici greco-latini non vi sono ancora studi sufficientemente estesi, bensì ricerche su singole opere419, anche questo modesto contributo mira a precisare maggiormente la questione della circolazione e dell’utilizzo dei dizionari delle lingue classiche nel Rinascimento. Tentare di comprendere di quali strumenti poteva disporre un grecista nell’Europa centro-orientale a cavallo fra la fine del XVI e il XVII secolo richiede che si tracci almeno un breve excursus sulla lessicografia bilingue greco-latina fra IX e XVII secolo420. Le fonti che la bassa antichità aveva conservato furono in massima parte trascurate per secoli, fino alla rinascita carolingia421. La riforma scolastica promossa da Alcuino per conto di Carlo Magno rinnovò l’interesse per i glossari greco-latini, i quali tornarono ad essere preziosi strumenti di aiuto per gli studiosi che si cimentavano nella lettura dei difficili testi 419 J. Considine, Dictionaries in Early Modern Europe: Lexicography and the Making of Heritage, Cambridge 2008, ad esempio, traccia una ricca storia dei lessici in Occidente partendo da quelli rinascimentali greco-latini per approdare a quelli delle lingue moderne; la messe di opere lessicografiche di lingue classiche è però assai ampia e necessita di uno spoglio più capillare. 420 L. Cohn, Griechische Lexikographie, in K. Brugmann, Griechische Grammatik (Lautlehre, Stammbildungs- und Flexionslehre, Syntax), München 1900, pp.  599–616,; J. Considine, Dictionaries, cit., pp. 19–100 passim; A.C. Dionisotti, From Stephanus to Du Cange: Glossary Stories, in “Révue d’histoire des textes”, 14/15, 1984/1985, pp. 303–336, Ead., Greek Grammars and Dictionaries in Carolingian Europe, in M.W. Herren – S.A. Brown (eds.), The sacred nectar of the Greeks: the study of Greek in the West in the Early Middle Ages, London 1988, pp. 1–56; K. Alpers, Lexicography, in Brill's New Pauly: Encyclopaedia of the Ancient World: Classical Tradition. Ed. by H. Cancik and H. Schneider, Leiden-Boston 2008, vol. 3, coll. 203–207. 421 A.C. Dionisotti, From Stephanus to Du Cange, cit., p. 304; E. Berschin, Medioevo grecolatino, cit., pp. 41–48.

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CONCLUSIONE

patristici o giuridici, nei quali spesso s’infiltravano oscure parole greche (non di rado anche in traslitterazione latina). Grazie all’operazione di ricopiatura, queste liste di parole furono salvate dall’oblio e dalla distruzione cui invece andarono soggetti molti altri manoscritti prima dell’Umanesimo. Infatti, sebbene questo tipo di letture interessasse ben pochi eruditi che non si rassegnavano a vivere in un «Greekless world»422, i glossari ricopiati poterono però giacere al sicuro nelle biblioteche in attesa del XV secolo, allorché, con la crescente disponibilità di testi greci a stampa - classici e postclassici - aumentò parallelamente il bisogno di vocabolari. Un umanista, infatti, non si accontentava di leggere le opere di Omero e Esiodo, ma spesso desiderava anche comporre in greco per corrispondere con altri ἑλληνίζοντες e sfoggiare le proprie abilità scrittorie. Dal XVI secolo la ricerca dei manoscritti portò risultati importanti soprattutto in Francia (abbazia di Fleury) e nei Paesi Bassi (Leida), dove numerosi glossari cominciarono ad essere stampati. Già qualche decennio prima, però, intorno al 1478, a Milano aveva visto la luce il Lexicon graecolatinum di Giovanni Crastone, un’opera destinata a godere di ben 27 ristampe fino al 1568. Il monaco piacentino non concepì però il suo dizionario sulla base delle proprie letture, è anzi molto probabile che si sia basato su un glossario medievale (da alcuni identificato con il codex Harleianus 5792, con stratificazioni dal VII fino al XIII sec.)423 che egli incrementò e migliorò. Il lessico è composto da liste di entrate greche a cui corrispondono singole espressioni latine, senza esemplificazione né collocazione negli autori; alla ristampa aldina del 1498 fu aggiunto il cosiddetto Vocabulista, la parte latino-greca che era già stata precedentemente edita nel 1480. Queste liste di parole piuttosto scarne presentavano in genere, per la parte latina, un livello letterario, mentre la parte greca era «uniformly non-literary:  technical and vernacular koiné»424, e anche il vocabolario di Crastone mantiene un profilo lessicale piuttosto tecnico, destinato ad usi pratici. Ciononostante, la fatica di Crastone va considerata come il significativo inizio di una lunga tradizione. Rispetto alle opere precedenti, il lessicografo aggiunse – pur senza grande coerenza – al lemma greco l’articolo, indicandone così il genere; l’uscita del genitivo singolare; e per gli aggettivi l’uscita genitivale del maschile 4 22 A.C. Dionisotti, From Stephanus to Du Cange, cit., p. 304. 423 L. Delaruelle, Le Dictionnaire gréco-latin de Crastone. Contribution à l'histoire de la lexicographie grecque, in “Studi italiani di filologia classica”, 8, 1930, pp. 221–246, p. 228; P. Thiermann, I dizionari greco-latini fra medioevo e umanesimo, in J. Hamesse (ed.), Les manuscrits des lexiques et glossaires de l’antiquité tardive à la fin du Moyen Áge, Louvain-la-Neuve 1996, p. 662. 424 A.C. Dionisotti, From Stephanus to Du Cange, cit., p. 326.

I glossari e la traduzione

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singolare. Quanto ai verbi, la forma di 1a persona del presente indicativo è accompagnata da quelle del futuro e del perfetto; non v’è menzione del passivo425. Compaiono spesso lemmi di singole voci verbali ritenute difficili, con equivalente latino426. Pochi lemmi sono sviluppati e presentano anche il nome dell’autore in cui li si incontra, anche se con certezza Crastone non trasse queste informazioni dalla propria lettura dei classici, bensì dai principali lessici tardo antichi (Suda, Polluce, Arpocrazione, Eustazio, Etymologicum Magnum; assente invece Esichio) e dalla grammatiche di Teodoro Gaza e Erodiano427. Lesse tuttavia materiale scoliografico ed altre fonti medievali428. I dizionari seriori avrebbero invece incluso anche i più noti autori classici, dando precedenza a Omero e a Plutarco429. Non essendo possibile soprassedere ai numerosi difetti di questo strumento realizzato in modo sostanzialmente acritico, occorre tuttavia notare che esso offriva una risposta concreta ai bisogni di chi voleva leggere il greco in un’epoca in cui erano disponibili soltanto pochi e complessi trattati grammaticali scritti da greci (cfr. l’antologia di grammatiche e trattati Thesaurus Cornucopiae et Horti Adonidis, pubblicata da Aldo Manuzio nel 1496). La fama di Crastone venne a poco a poco eclissata dai successivi dizionari che, pur mantenendo un simile schema, erano viepiù ricchi in lemmi430; al centro di questa fitta e competitiva attività editoriale furono soprattutto le officine di Basilea e Parigi431. Un’autentica svolta fu sancita nel 1572, quando a Ginevra uscì in 4 volumi il labor Herculeus per eccellenza della lessicografia, il Thesaurus Graecae linguae di Henri Estienne (Henricus Stephanus). L’anno seguente fu impresso un ulteriore quinto tomo contenente l’editio princeps di due antichi glossari, quello latino-greco di Pseudo-Cirillo e quello greco-latino di Pseudo-Filosseno, col titolo Glossaria duo; unitamente a una disquisizione sul dialetto attico ed altri trattatelli grammaticali. Buona parte dei progressi metodologici utilizzati da

425 Si prendano gli esempi, aggettivo: ἄξιος, -ου, ὁ dignus; sostantivo: ἔριον –ου, τό lana; verbo: ζητέω μ[έλλων] -ήσω, π[αρεληλυθώς] –ηκα quaero. 426 P.es. ἤπαφε decepit; ἤριπον cecidi; ὑλομανεῖ insanit. 427 L. Delaruelle, Le Dictionnaire gréco-latin, cit., pp. 233 ss. 428 Ibid., pp. 235–237. 429 A. Rollo, Study Tools in the Humanist Greek School, cit., pp. 46–47. 430 Un elenco dei lessici greco-latini stampati fra 1478 e 1568 è disponibile in L. Cohn, Griechische Lexikographie, cit., pp. 600–601. L’autore sottolinea tuttavia che «alle diese Lexica sehen sich einander sehr ähnlich; wenn auch jedes einzelne sich im Titel rühmt, an Vollständigkeit alle früheren bei weitem zu übertreffen, so sind doch die Unterschiede verhältnismässig unbedeutend», p. 601. 431 Cfr. P. Botley, Learning Greek, cit., pp. 67–70.

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CONCLUSIONE

Estienne provenivano, oltre naturalmente all’apprendistato conseguito presso il padre Robert, dall’opera filologica e antiquaria di Erasmo, Reuchlin, Ambrogio Calepino e soprattutto di Guillaume Budé, i cui Commentarii approfondivano minuziosamente, anche se non in ordine alfabetico, la storia ‘materiale’ dell’uso delle parole. Il Thesaurus si presentava come un copioso repositorio di termini e fraseologie, disposti in ordine alfabetico e per famiglie etimologiche, il quale prendeva fermamente le distanze dagli strumenti scarsamente attendibili in uso fino ad allora. Alla grande accoglienza di pubblico, fece seguito nel 1580 una riedizione abbreviata e più economica del lessico curata da Johannes Scapula, professore a Losanna, che era stato collaboratore di Estienne. La crescente passione per le opere della letteratura postclassica richiedeva ormai strumenti ancora più circoscritti, che prevedevano lo spoglio rigoroso della letteratura bizantina; tale indirizzo di ricerca fu intrapreso da Johannes Meursius (Glossarium graeco-barbarum 1614) e soprattutto da Charles Du Cange, che con due opere complesse e monumentali, dedicate alla latinità tarda e medievale (1678) e alla grecità bizantina (1688), proseguì gli sforzi dei colleghi nel tracciare la storia e lo sviluppo delle civiltà antiche attraverso il lessico. Un’indagine sistematica su tutti i lessici stampati tra la fine del XV e il 1614 avrebbe richiesto un lavoro che esulerebbe dai confini del presente lavoro. Le ricerche condotte hanno comunque coinvolto alcuni dei vocabolari di maggior diffusione tra Cinque- e Seicento. Si sono considerati quelle specificità o anomalie lessicali che nell’analisi dell’orazione rientrano nelle categorie di parole rare o altrove inattestate, incoerenze lessicali parziali e totali – annotandone l’eventuale presenza nei lessici nella parte greco-latina o in quella latino-greca. Accadeva infatti che tali liste di parole redatte per la ricerca da una lingua, venissero successivamente riscritte per l’uso inverso, spesso mantenendo intatto l’ordine alfabetico originale, che in tal caso si ritrova spostato nella colonna dei traducenti432. Il conteggio si è basato sui seguenti vocabolari, in ordine cronologico di pubblicazione: 1) J. Crastonus, Lexicon graecolatinum, Venetiis 1480 2) J. Crastonus, Vocabulista latino-graecus, Vicentiae 1480 (?) 3) H. Aleander, Lexicon graecolatinum multis additionibus locupletatum, Lutetiae Parisiorum 1512 4) S. Grynaeus, Lexicon graecum, Basileae 1539

432 C. Dionisotti, From Stephanus to Du Cange, cit., pp. 305–306; P. Botley, Learning Greek, cit., p. 66.

I glossari e la traduzione

5) 6) 7) 8)

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P. Dasypodius, Λεξικόν graecolatinum, Argentorati 1539 C. Gesnerus, Lexicon graecolatinum, Basileae 1545 H. Stephanus, Glossaria duo, e situ vetustatis eruta, Genevae 1573 J. Scapula, Lexicon graecolatinum novum, Basileae 1605.

Si tratta, com’è evidente, di un limitato campione lessicografico, un punto di partenza dal quale muoversi per ulteriori sperate ricerche sulle traduzioni e le composizioni greche rinascimentali (Tab. 4). Si è intenzionalmente tralasciato il Thesaurus Graecae Linguae, sebbene nell’analisi si sia fatto più volte riferimento a questo imprescindibile strumento. La ragione di questa decisione risiede nella complessa costruzione del lessico di Estienne, il quale procede per famiglie etimologiche, rendendo assai ardua una ricerca di lemmi greci dal latino (proprio ciò, fra l’altro, rese necessaria la realizzazione di strumenti prima come il Vocabulista e poi i Glossaria duo). Le caratteristiche della metafrasi, illustrate nelle pagine precedenti, mi hanno pertanto indotto a escludere un uso sistematico del Thesaurus da parte di Żórawski, senza tuttavia negare che egli potesse conoscerlo e forse anche servirsene occasionalmente. Emerge dal raffronto la spiccata prevalenza della fonte di Conrad Gesner (22+3 coincidenze) e del maestro Petrus Dasypodius (16+4 coincidenze). Altro risultato eloquente è il lessico di Simon Grynaeus (20+4 coincidenze), grecista operante in ambito elvetico più o meno negli stessi anni di Gesner. Possiamo a questo punto soltanto supporre che Żórawski si sia servito dei dizionari succitati oppure di appunti tratti da una base lessicale facente capo ad essi. È tuttavia lecito affermare che il traduttore polacco non ha seguito nessuna fonte in modo esclusivo: alcuni lessemi ricorrono infatti in diversi strumenti, il che lascia pensare all’utilizzo di più vocabolari, forse sotto forma di minute o liste approntate personalmente o da altri. Se alcune coincidenze appaiono incontrovertibili per individuare alcune fonti lessicografiche del grecista, tuttavia occorre essere cauti e tenere presente che assai sovente definizioni e traducenti, ancorché errati o imprecisi, venivano ripetuti e diffusi per acritica compilazione in molti dizionari. In tal modo non si ha sicurezza che il nostro si sia servito di opere tardo-antiche o medievali di prima mano come Polluce (ed. pr. 1502), Esichio (ed. pr. 1514) o la Suda (ed. pr. 1499), dal momento che molti traducenti compaiono anche nei successivi vocabolari umanistici.

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CONCLUSIONE

Tab. 4:   LEMMA: TRADUCENTE adfluens: ἐπίρρυτος afflor (numine): ἐνθουσιάζω aliquo modo: ἀμηγέπως amplus: ἀμαξιαῖος approbo: ἐπευφημέω argumentum: ἐπιχείρημα celebris: εὐκλεής celeriter: σύδην depravo: ἀγαρράπτω dico: φθέγγομαι dimico: διαδορατιζομαι egomet: ἐγαυτός ex tempore: αὐτοσχεδιαστί excito: ἀναζωπυρέω exprimo: εἰκονογραφέω gloria: κλῆτος illustro: διαυγάω incolumis: ἀάβακτος iucundus: ἄλυπος liberius loqui: παρρησιαστικώτερος monumentum: ἐγκατάλαειμμα neglego: ἀτημελέω negligens: ἀπερίοπτος praesertim: καὶ ταῦτα prodo: φανίζω strepitus: κυκήθρα venustas: ἀγλαΐα video: ὄπτω/ὄπτομαι

CORRISPONDENZE NEI LESSICI 1 2 3 4 5 6 o   o   o o x   x x x x       x x x o   o x o x       x x x o   o o     o   o x x x       x x x       o o o         x x       x   x                   x x x o   o x x x                   x x x       x   x       ο   ο x   x x x x       x x x       x x x   o o x x x       x   x x     x x x o   o o o o x   x x x x x     x x x x   x x   x 12 1 11 24 20 25

7             o                                           1

8 o       x x x x     x   x x o               x       o x 12

x = presenza del lemma greco con preciso traducente latino o viceversa o = presenza del lemma greco con un diverso traducente latino

Dai dati raccolti, per quanto lungi dall’essere completi, si trae tuttavia l’impressione che, da una parte, numerosi traducenti appartenenti a diversi ‘vocabolari’ d’età tardo-antica e medievale abbiano circolato fino alla tarda età moderna su supporti in gran parte non ben precisabili, e che furono poi raccolti in epitomi o indices verborum; dall’altra, si nota come certe risoluzioni siano potute sorgere

Osservazioni conclusive

217

dalla personale consultazione e rielaborazione di questo materiale, in base non solo alla qualità dell’esemplare disponibile, ma anche alla preparazione linguistica e culturale e forse anche al gusto del conversor.

3.2. Osservazioni conclusive Ritengo utile, a questo punto, presentare una somma dei temi discussi o accennati, al fine di poter meglio valutare i risultati dell’indagine svolta e per indicare anche quali filoni di ricerca siano auspicabili in futuro. Se nella dedica dell’opera l’autore faceva riferimento all’amabile prosa di Aristotele, la quale sarebbe suonata aspramente in latino (Aristoteles certe si latine legatur durus nimium et obscurus est, idem si Graece iucundissima quaedam narratio, P.Ar.gr., p. 7), era lecito aspettarsi una traduzione umanistica che attingesse alla lingua dei prosatori classici. Inoltre, poiché il genere letterario stesso impone un confronto con i grandi dell’oratoria attica, non era possibile non pensare almeno a Demostene o a Lisia, il primo dei quali, come abbiamo visto, era spesso letto accanto al suo corrispondente romano nei ginnasi sturmiani. L’esame della versione ha portato alla luce un testo tipograficamente poco curato nella parte greca, nonostante la revisione a cui fu sottoposto, e che non riflette integralmente la controparte latina. Un testo altresì linguisticamente variegato, dove trovano posto echi classiche assieme a banali errori scolareschi; sperimentazioni morfologiche e sintattiche accanto a soluzioni decisamente inusuali per la lingua ellenica. L’orazione greca si legge con fatica, in quanto appesantita da costrutti che, anche se non sempre estranei alla lingua di Demostene, sono impiegati però in maniera atipica, spesso incoerente. Il compito annunciato da Żórawski nella prefazione sarebbe rimasto dunque qualitativamente disatteso. Eppure, è d’obbligo interrogarsi se queste aspettative non siano forse anacronistiche: il risultato ottenuto è pur sempre un testo composto in lingua greca semi-classica, nonostante gli elementi strutturali siano impiegati e disposti in modo da sortire una composizione lontana dai modelli canonici. Questa importante puntualizzazione fuga infatti il comune «pregiudizio classicistico» nell’approccio al greco degli Umanisti accennato nell’introduzione. È noto che il mondo dell’officina separava l’autore dal lettore, ed era costituito da personaggi di eterogenea preparazione tecnica e culturale: stampatore, correttori e compositori addetti alla cassa tipografica. Com’è già stato osservato, queste figure erano in grado di influire sul risultato finale. La traduzione, pur essendo formalmente redatta in uno stile lontano dalle opere in prosa a cui implicitamente s’ispira, testimonia però innanzitutto la sopravvivenza di un’illustre e antichissima tradizione, ed è non secondariamente

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CONCLUSIONE

una fonte preziosa di informazioni circa i gusti letterari dell’epoca, i libri in circolazione, l’uso degli strumenti grammaticali. L’opera è altresì relativamente interessata al dibattito sulle metodologie versorie; occorre ribadire che si tratta di uno scritto prodotto espressamente a fini scolastici e destinato a una classe d’allievi poco inclini allo studio del greco. Non sorprende pertanto che il metodo ad verbum, che segue da vicino la disposizione delle parole e dà spesso rese meccaniche, sia largamente rintracciabile; e ciò per consentire al discente di ritrovare gli elementi corrispondenti nelle due colonne di testo, secondo un noto modello didattico. Non di rado compaiono però soluzioni versorie diverse, alcune più armoniche e allineate con la prosa greca. In questo senso l’autore immette anche elementi esornativi: fa uso delle caratteristiche marche testuali greche (μέν, δέ, δή, μήν, γε), della sillessi, di variationes sinonimiche con probabile intento diversificante e ludico (sovente sacrificando la semantica del termine), secondo il celebre principio auditorem quidem varietas maxime delectat (Rhet. Her. 3,12); ma inserisce anche forme attinte dal dialetto attico e dalla lingua epica. Nella fonetica del greco secentesco all’interno dell’ambiente universitario, è indiscutibile, dai dati emersi, un forte influsso della pronuncia itacistica tipica del greco medievale e moderno per le vocali υ, η, i dittonghi ει, οι, come del resto raccomandata anche da alcuni manuali; mentre non abbiamo elementi a sufficienza per affermare un simile impatto della contemporanea pronuncia sull’emissione dei dittonghi αυ, ευ. Le incertezze di tipo morfologico che emergono da un certo numero di luoghi sono spesso da attribuire, come ritengo, a citazioni mnemoniche, tipiche di un ambiente dove i mezzi di rapida consultazione scarseggiano. Invece, quanto alle oggettive difficoltà che trasudano da un folto numero di passi, si può affermare che esse sono in maggioranza legate alla sintassi dell’articolo e della frase complessa. Spiccano infatti la resa problematica delle posizioni attributiva, predicativa e del costrutto attributivo, l’utilizzo ingiustificato della particella ἄν e l’abuso del participio e dell’infinito preposizionato; nonché la difficile trasposizione di strutture tipiche della lingua latina, come la costruzione perifrastica passiva e le espressioni participiali (tipo post civitatem datam). Non fanno eccezione la mescolanza di modi impliciti ed espliciti nella resa delle frasi circostanziali, che generano numerosi anacoluti sintattici. Rimane da chiarire se ciò rifletta certe “tendenze” oppure semplicemente lo stato d’insegnamento e le disponibilità bibliografiche del milieu accademico cracoviense nella prima metà del XVII sec. Interessanti i calchi lessicali e sintattici eseguiti a partire dal latino, i quali evidenziano l’influsso della lingua di partenza su quella d’arrivo; ma innegabile curiosità destano anche quei pochi elementi individuati nel testo che, se confermati, assegnerebbero un ruolo non indifferente alla lingua madre nel processo

Osservazioni conclusive

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di versione. Dal momento che altra produzione greca dell’ellenista, oltre alla laudatio indirizzata a Melecjusz Smotrycki, risulta irreperibile, si ravvisa l’esigenza di condurre accertamenti su eventuali sopravvivenze della collezione Załuski dispersa tra XVIII e XIX secolo in Russia, ma al contempo gioverebbe eseguire confronti su coeve opere di traduzione, o di composizione in greco (molti dei quali già pubblicati in J.  Czerniatowicz, Corpusculum poësis Polono-Graecae, cit.), al fine di approfondire le relazioni tra i procedimenti attuati e gli scogli incontrati dall’ellenista polacco e le caratteristiche di altri autori. Spunti di ulteriore ricerca sono suggeriti anche dai risultati acquisiti nello studio del lessico. Si è visto come una parte delle scelte lessicali sia dipendente dai vocabolari, ma occorre scoprire ancora fino a che punto questa dipendenza condizionasse il conversor, se si tratti solo di pure rese meccaniche, che rendono spesso la struttura formale del termine rinunciando a trasmettere la parte semantica, se siano dettate da un’insufficiente conoscenza della lingua, oppure ancora da un diverso intento. La creazione di un database lessicale disponibile telematicamente agevolerebbe le ricerche sulla frequenza e lo stile nei testi greci umanistici. Sulla personalità poliedrica di Mikołaj Żórawski, tipico erudito del primo barocco, si avverte il bisogno di sondare meglio i rapporti con gli altri filelleni contemporanei fra Cracovia e Varsavia, ed anche a livello europeo, specialmente con il milieu padovano, ma altresì parigino; nonché di chiarire i suoi contatti con alcuni attivisti legati alla chiesa uniate come Melecjusz Smotrycki. Se a sette anni dalla pubblicazione della traduzione, Starowolski elogia le competenze dell’ellenista, è lecito pensare che la versione, pur non avendo goduto di buona stampa, certamente non gli avesse nemmeno tolto la fama di vir trium linguarum. Occorre infine situare la sua figura, come in piccola parte si è cercato di fare in questo lavoro, in un contesto di Rinascimento europeo, secondo una necessità avvertita anche da alcuni studiosi odierni433.

433 P. Wilczek, Polonice et Latine, cit., p. 33.

BIBLIOGRAFIA 1)  FONTI EDITE L’ORAZIONE PRO ARCHIA POETA: TESTO E TRADUZIONI Cicero M.T., Auserwählte Reden, hrsg. von R. Klotz, Leipzig 1838. Cicero M.T., Cicéron. Discours, XII. Pour le poète Archias, texte établi et traduit par F. Gaffiot, Paris 1938 (20127). Cicero M.T., Cicerone. Il poeta Archia, a c. di E. Narducci (trad. e note di G. Bertonati), Milano 1997. Cicero M.T., Orationes, VI. Pro Tullio. Pro Fonteio. Pro Sulla. Pro Archia. Pro Plancio. Pro Scauro, rec. brevique adn. crit. instr. A.C. Clark, Oxonii 1964. Cicero M.T., Scripta quae manserunt omnia, XIX. Oratio pro P.  Sulla, rec. H. Kasten. Oratio Pro Archia Poeta, post P. Reis rec. H. Kasten, Lipsiae 1966. Koυπιτώρης Π., Μ.Τ. Κικέρωνος ὁ ὑπὲρ Ἀρχίου τοῦ ποιητοῦ λόγος, Ἀθήνησι 1876. Zoravius N., Μάρκου Τυλλίου Κικέρωνος, ὁ ὑπερ τοῦ Ἀρχίου Ποιητοῦ ΛΟΓΟΣ, ἐκ τῶν Ῥωμαίων γλώττης, εἰς τὴν ἑλληνικὴν παρὰ τοῦ Νικολάου Ζοραβίου, ἐπί τῆς τοῦ Κράκου πολεως τῇ Ακαδημίᾳ, τῆς Φιλοσοφὶας διδασκάλου καὶ καθηγητοῦ, μεταφρασθείς. Ἔτει ἀπò τῆς θεογονίας, χιλιοςῷ ἑξακοσιοςῷ τριακοςῷ δευτέρῳ. M. T. Ciceronis pro Archia poeta oratio ex latino sermone in graecum a Magistro Nicolao Żórawski, in Acad[emia] Crac[oviensi] Philosophiae Doctore et Professore, translata. Anno a Nativitate Dei MDCXXXII, παρὰ τῷ Φραγκίσκῳ Καισαρίῳ.

ALTRE FONTI Aeschylus, Tragoediae, ed. M.L. West, Stutgardiae et Lipsiae 1998. Anthologia Graeca. The Greek Anthology: The Garland of Philip and some contemporary epigrams, by A.S.F.-Gow-D.L. Page, 2 voll., Cambridge 1968. Apollonius Dyscolus, Quae supersunt, rec. R. Schneider et G. Uhlig, Grammatici Graeci, vol. 1 fasc. 1, Lipsiae 1878. Appianus Alexandrinus, Historia Romana, rec. I. Bekker, voll. 1–2, Lipsiae 1852. Aristophanes, Comoediae, rec. brevique adnotatione critica instr. F.W. Hall et W.M. Geldart, t. 1, Oxonii 1906. Aristoteles, Aristoteles graece, ex recognitione I. Bekkeri, 5 voll., Berolini 1831– 1836.

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APPENDICE 1. Indices verborum* Index Latino-Graecus a (ab)  — 32,17; 57,13 | ἀπό 20,9; 20,11; 21,20; 45,10; 21,25 | ἐκ 35,23 | παρά + dat. 19,5; 20,13; 21,14; 32,26; 41,3; 51,7; 59,2 | παρά + gen. 24,21; 26,4; 42,11; 44,26; 54,9; 54,10; 57,23; 60,16; 34,8; 45,25; 60,18 | ὑπό 18,24; 24,25; 47,15; 52,10 abdo  (a. me) *ἀποκαλύπτω ἐμαυτόν 33,23–24 abhorreo  βδελύττομαι 20,12 | μυσάττω 54,12; μυσάττομαι 17,15 absens  → absum abstraho  κατασύρω 34,10 absum  ἀπαλλάττομαι 57,24 | (absens) ἄπων 23,19 ac  δέ 19,5; 32,2; 50,23 | καί 20,7; 21,4; 21,8; 23,1; 24,11; 25,22; 26,23; 28,26; 36,10; 37,22; 38,16; 39,18; 40,3; 40,17; 40,23; 46,23; 46,24; 53,15; 53,20; 57,11; 57,20

accedo  ἐφάπτω 36,21 | ἀφικνέομαι 38,12 accipio  λαμβάνω 18,24; 42,13; 60,18 | προσδέχομαι 59,25 accommodatus  ἐπιτήδειος 20,16 accurate  περιέργως 42,1 acer  ὀξύς 54,17 acerbitas  στρυφνότης 60,2 Achilles  Ἀχιλλεύς 50,3 acroama  ἀκρόαμα 45,8 ad  — 19,15; 34,22; 55,6 | εἰς 22,4; 32,17; ἐς 44,14 | ἐπί + acc. 22,2; 34,16; 34,18; 35,5; 38,11 | ἐπί + gen. 50,3 | πρός + dat. 58,2 | πρός acc. 29,23; 29,25; 36,24; 39,5; 36,23; 23,24; 28,3; 34,2; 44,21 | ὡς + acc. 34,21; 38,5; 39,10      → ἐγκώμιον adaequo  ὁμαλίζω 50,16; 56,18 adeo  πορεύομαι 32,14 adfluens  ἐπίρρυτος 22,13

* Con qualche adattamento, ho seguito le modalità elaborate per gli indices in Theodorus Gaza. M.T. Ciceronis liber de senectute in Graecum translatus. Edidit I. Salanitro, Lipsiae 1987, pp. 88 ss. Si è fatto uso del testo latino che compare nell’edizione cracoviense dell’orazione (Cracoviae 1632) sulla colonna di sinistra, normalizzando la grafia di tutti i lemmi (v. Avvertenze). I traducenti greci sono forniti secondo le coordinate della suddetta edizione sulla colonna di destra (pagina, primo rigo in cui si trova la parola). Nei casi già emendati in fase preliminare (par. 2.2.) si è talvolta riportato, per comodità di confronto, in parentesi quadre la grafia dell’originale. L’asterisco (*) indica traducenti erronei o inappropriati (che sono stati discussi nell’analisi), mentre il cerchietto (º) contrassegna forme occorrenti nel testo, ma altrove ignote. I riferimenti incrociati sono indicati con (→). Si tenga presente, inoltre, che per istanze di chiarezza, sono state omesse voci che non hanno corrispondente in greco per ragioni di tipo sintattico, come ad esempio il cum circostanziale.

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APPENDICE 1. Indices verborum

adhibeo  συνάπτω 24,4 aditus  εἴσοδος 53,21 adiungo  κολλάομαι 38,4 | ἐπιτίθεμαι 48,5 adiuvo  ὀφέλλω 39,9 administro  κυβερνάω 37,4 admiratio  θάμβος 22,23 admiror  θαυμάζω 42,8 admoneo  νουθετέω 56,13 adolescens  νέος 44,19 | νεανίσκος 50,5 adolescentia  ἡ πρώτη ἡλικία 35,23–24 | ἐφηβία 24,14 | νεότης 39,24 adscribo προσγράφω 27,20; 30,12; 26,9; 27,4 | ºπροσπαραγράφω 25,22 adservo  διατηρέω 29,12 adspectus  ὄψις 34,4 adsto  ἐφίσταμαι 50,2 adsum  πάρειμι 27,5; 27,14 adventus  παρουσία 22,17 | ἐπιδημία 22,22 adversus (adversum) δυστύχημα 40,2 Aemilius  (Marcus Ae. Scaurus) Μάρκος Αἰμίλιος 24,22–23 aequus (aequissimus) ἐπιεικέστατος 25,21 aerarium  θησαυρός 32,17 aetas  ἡλικία 17,14; 22,1; 39,22 aeternus  αἰώνιος 45,2 | ἀΐδιος 59,17 Aetolus  Αἰτωλός [*Αἰθολός] 53,23 affero  προσφέρω 34,2 afficio  διατίθημι 25,6 afflo  (divino spiritu afflor) ἐνθουσιάζω 42,22 Africanus  (Publius Cornelius Scipio A.) Ἀφρικανός 38,22;  47,17

ago  εἰμί 20,1 | πράσσω 27,13 | γίγνομαι 41,20 agrestis  ἀγροικός 40,16 aio  φημί 45,6 alea  κύβος 35,3 Alexander  Ἀλέξανδρος 49,25 alienus  ἀλλότριος 44,4 aliquando  ποτε 18,23 aliqui  τις 30,15; 42,27; 51,7; 52,5; 58,2    →  modo aliquis  — 23,13 | τις 25,9 alius  ἄλλος 19,7; 26,22; 30,11; 34,21; 34,25; 40,15; 44,1; 55,8 | (alii) οἱ ἐξῆς 18,26 alo  τρέφω 39,25 alter  (a. … a.) ἄλλος… ἄλλος 23,24–24,2 alternus  ἐπάλληλος 51,20 amicus1  φίλος 32,24; 35,15; 58,9 amicus2  (amicissimus) οἰκειότατος 46,20; 53,18 amor  ἔρως 41,2 | (a. gloriae) φιλοδοξία 54,16 amplius  ἐπὶ τούτοις 26,24 amplus *εὔρυτος 49,14 | (amplissimus) ἁμαξιαιότατος 28,11 an  — 33,8 | ἆρα 56,19; 57,4 ango  δυσθυμέω 56,5 animus  θυμός 33,4; 33,16; 37,21; 40,16; 55,20 | ψυχή 33,13; 34,23; 37,6; 39,17; 41,4; 56,12; 57,6; 58,2 | (parvi a.) μικρόψυχος 56,20 annus  ἔτος 26,18; 28,24; 34,6 ante  πρό + gen. 28,24 antecello  ὑπερβάλλω 22,13 Antiochia  Ἀντιόχεια 22,6 aperio  ἀνοίγω 46,7 appello  προσαγορεύω 42,25 Appius  (A. Claudius Pulcher) Ἄππιος 29,11

APPENDICE 1. Indices verborum

approbo  ἐπευφημέω 51,3 apud  παρά + acc. 20,2; 20,4; 26,14; 26,19; 31,18 | παρά + dat. 43,4; 47,8; 59,21 arbitror  νομίζω 57,4 | οἴομαι 57,20 Archias  (Aulus Licinius A.) Ἀρχίας 21,25; 24,7; 41,9; 44,14; 51,6  → Licinius argumentum  ἐπιχείρημα 32,21 armatus  ὡπλισμένος 54,3 Armenius  Ἀρμένιος 46,16 ars  τέχνη 17,1; 19,15; 21,26; 23,1; 30,15; 40,22; 42,17 artifex  τεχνίτης 30,23 ascisco  μεταπέμπω 21,22 Asia  Ἀσία 22,16; 31,22 at  ἀλλὰ δέ 29,2 | δέ 47,23 | ἀλλά μέν 28,21 Athenae  (Athenis) Ἀθήνῃσιν 45,6 atque  δέ 21,25; 36,11; 50,1; 54,12 | δὲ καί 38,10 | ἤτοι 20,20; 55,2 | καί 22,10; 23,16; 24,4; 24,13; 36,1; 36,6; 38,12; 43,1; 43,13; 44,3; 44,13; 45,21; 46,26; 52,21; 54,23; 56,13; 56,22; 56,26; 59,23 | καὶ δὴ καί 35,8 | τε 38,6; 41,25 atqui  ἀλλὰ δή 42,11 attendo  προσέχω 41,14 attingo  ἐπιψαύω 40,10 | καθικνέομαι 44,19 | καθάπτω 55,1 Accius  (Lucius A.) Ἄκκιος 53,18 auctoritas  αὐθεντία 26,2; 27,6; 29,10; 58,22 audio  ἀκροάομαι 24,21; 25,10 | ἀκούω 27,11; 45,10; 55,4 Aulus  → Licinius auris  οὖς 24,4; 33,7; 52,22 aut  ἤ 17,4; 25,9; 30,14 bis; 30,19; 30,20; 30,21; 33,9; 33,15; 34,9 bis; 34,11; 34,12; 34,14; 45,9 | ἤ τοι 19,11

241

autem  δέ 34,5; 36,2; 58,13 | καί 48,16 aversus  ἀποστραφθείς 44,25 avoco  ἀφελκύω 34,11 barbaria  βαρβαρότης 43,8 bello  πολεμίζω 53,24 bellum  πόλεμος 27,25; 45,19; 46,24 bene  (optime) βέλτιστα 45,11 beneficium  εὐεργεσία 32,16 | εὐεργέτημα 58,20 benignitas  πραότης 41,11 bestia  θηρίον 43,11 bonus  — 18,18 | ἀγαθός 60,17 | (optimus) βέλτιστος 41,18; 43,16; 53,3; 56, 17,1    → quisque brevis  μινυνθάδιος 55,17 breviter  βραχέως 60,6 Brutus  (Decimus Iunius B.) Δέκιος Βροῦτος 53,15–16 Caius  → Laelius → Marius calamitas  συμφορά 29,17 cantus  ᾠδή 43,13 Carbo  (Gaius Papirius C.) Κάρβων 26,7 carmen  μέτρον 53,19 carus  → sum Cato  (Marcus Porcius C.) Μάρκος Κάτων 25,3; 39,3; 48,2 Catulus  (Quintus Lutatius C.) Κόϊντος Κάτουλος 23,22; 24,24 causa  δίκη 20,14; 26,25; 58,19; 60,4 causā  ἕνεκα 49,19; 27,17 celeber  εὐκλεής 22,8 celebro  γεραίρω 34,20 | ἐγκωμιάζω 44,16 | περιβοάω 45,18 | ἐπιβόητος γίγνομαι 47,16 | ἐπιφημίζω 22,18 celeritas  ὠκύτης 41,6 celeriter  σύδην 22,13 censeo  ἀπογράφω 31,25; 32,4 censor  τιμητής 31,15

242

APPENDICE 1. Indices verborum

census  ἀναγραφή 31,12 | ἀπογραφή 31,26 certe  — 35,18 | ἀμέλει 47,22; 55,19 | μάλιστα 49,17 | δήπου 58,4 certo  ἀρχήν 60,20 certus  δῆλος 37,19 ceter  ἄλλος 18,25; 22,16; 23,12; 31,1; 39,20 | ὁ ἄλλος 34,16; 42,14 | ceteri οἱ δὲ ἄλλοι 33,22 Chius  Χῖος 43,21 Cimbricus  Κιμβρικός 44,18 circumscribo  περιγράφω 55,23 civis  πολίτης 21,19; 21,20; 32,9; 32,15; 43,19; 51,5; 54,25  → gero civitas  πόλις 23,11; 25,20; 25,23; 26,6; 26,9; 26,23; 28,24; 30,9; 30,11; 30,16; 31,2; 32,1; 48,13; 48,16; 48,19; 50,20; 51,9; 52,13 clamor  (magno clamore) μέγα βοῶντες 51,2 clarus  λαμπρός 46,3 | φανερός 31,16 classis  στόλος 47,6 coelum  οὐρανός 48,1 cogitate  ἐκ προνοίας 42,2 cogitatio  διάνοια 37,7; 55,25; 58,4 cognatio  συγγένεια 19,18 cognitio  εἴδησις 23,16 collegium  σύλλογος 29,7 colloco  καθιδρύω 29,1 colo  σεβάζω 24,25 | ἀποθεραπεύω 25,8 | ἀσκέω 39,7 | λατρεύω 54,6 | ἐκπονέω 23,4 Colophonius  Κολοφώνιος 43,19 comes  ὁ συστρατεύων 53,23 commemoratio  ἀπομνημόνευμα 56,15 commendatio  σύστασις 59,7 commendo  συνίστημι 43,2 commodum τὸ ἕρμαιον 34,9 commoveo  κινέω 40,20 | ταράσσω 30,1 | διάκειμαι 50,25

communis  κοινός 19,18; 34,2; 48,9 communiter  κοινῶς 60,13 commuto  μεταλλάττω 41,24 comprobo  εὐδοκιμάζω 58,10 | συνδοκιμάζω 58,25 concedo  συγχωρέω 21,15; 35,9 | ὑφίεμαι 34,24 concilio  ἀντικαταλλάττω 41,2 concito  παρορμάω 56,13 concursus  ºσυνδρόμησις 20,22 condicio  ἐναπόθεσις 51,26 confero  ἐπιστρέφομαι 44,14 | (c. me) ξυγκομίζω ἐμαυτόν 39,9–11 | (c. me) προσφέρω ἐμαυτόν 22,4–6 confido  θαρρέω 60,8 confirmatio  βεβαίωσις 38,14 confirmo ἐπιρρώννυμι 32,2 | διισχυρίζω 37,18 | διαστηρίζω 43,24 confiteor  ºκατεξομολογέομαι 17,13; 54,19 conformo  συσχηματίζω 18,22 | σχηματίζω 37,8 conquiesco  ἡσυχάζω 33,8 consecro  ἱεροποιέω 54,1 conservo  διασῴζω 58,6 | σῴζω 46,26 consilium  βουλεία 46,21 | βουλή 57,11 consisto  παρίσταμαι 43,14 constituo  καθίσταμαι 47,21; 48,17 consto  συντάττομαι 42,17 consuetudo  συνήθεια 20,10; 25,5; 60,5 | ἔθος 60,11 consul  ὑπατεύω 23,21; 32,20 | ὕπατος 23,23 consulatus  ὑπατεία 54,20 contego  καλύπτω 50,11 contemno  καταφρονέω 53,8 contemplo  θεάω 36,24 contendo  φθέγγομαι 38,10 | ἐρίζω 44,3

APPENDICE 1. Indices verborum

contentio  φιλονεικία 33,17 continens (continentissimus) ἐγκρατέστατος 38,25 contineo  συνέχω 19,20 | περιπλέκω 49,4 contingo  ξυμβαίνω 22,15 contio  σύλλογος 50,19 | ἀγορά 51,15 convenio  (convenit) χρή 58,14 conventus  σύνοδος 20,6 convicium  λοιδορία 33,7 convivium  συνεστία 35,2 copia  πλῆθος 52,8 copiae  τὰ συστήματα 46,17 copiosus  ἀμφιλαφής 22,10 Corduba  Κορδούβα 52,19 corpus  σῶμα 34,24; 36,4; 40,26; 50,11; 57,7 corrumpo  παραφθείρω 28,19 Crassus  (Publius Licinius C.) Κράσσος 24,26; 31,23 credo  πιστεύω 30,19; 51,4; 51,13 cresco  αὐξάνομαι 35,11 criminor  διαβάλλω 32,7 cruciatus  τιμώρημα 36,3 cum  μετά 24,22; 25,14; 25,17; 31,16; 31,20; 40,7; 47,4; 50,15; 54,21; 56,14; 57,3 | ὅταν 29,11 | ὅτι 44,11; 25,24 | πρός + acc. 53,23 | σύν 56,17; 27,17 | (c. … tum) τὸ μέν… τὸ δέ 24,2–3 cunctus  ὅλος 19,12 | πᾶς 22,17 cupio  γλίχομαι 49,8; 52,17 cur τίνος ἕνεκα 33,1 cura  φροντίς 56,4 curriculum  δρόμημα 55,16 Cyzicenus Κυζικηνός [Κυζυκενος] 46,20 damnatio  καταδίκη 29,16 de  ἐκ 48,18; 51,18 | περί + gen. 21,3; 23,14; 28,6; 30,9; 26,22; 37,17; 41,19; 49,16; 49,18; 52,16;

243

53,7; 53,14; 54,16; 56,7; 60,4; 60,12; 60,13 debeo  — 57,13 | δίκαιός εἰμι 19,4–5 | μέλλω 40,13; 40,25; 54,8; 59,7 | ὀφείλω 18,6 | χρή 49,9 decedo  ἀφίστημι 25,18 Decius  → Brutus decoro  ἐπιπρέπομαι 48,9 dedico  καθιερόω 43,26 deditus  ἀνακείμενος 19,14 dedo  παραδίδωμι 52,22 | ὀφείλω 33,21 defendo  ἀπολογέω 42,10 defero  εἰσφέρω 32,17 defessus  κεκμηκώς 33,8 definio  διορίζω 49,8 delectatio  τέρψις 39,15 delecto  εὐφραίνω 40,5 | (delector) τέρπομαι 33,3; 58,6 delubrum  τέμενος 43,24 | νεώς 54,6 denique  τὸ τελευταῖον 34,12 | τέλος 21,1; 35,2; 48,6 depravo  ºἀγαρράπτω 28,15 deprimo  καταπιέζω 47,5 desidero  ἐπιποθέω 27,23 | ἐπιθυμέω 28,20 | ἱμείρω 55,10 despicio  παροράω 53,13 desum  ἐνδέω 35,16 detraho  κατασύρω 55,13 deus  θεός 42,27 devincio  δέω 25,4 dico  *εἴλοχα 45,7 | εἶπον 28,4 | εἴρημαι 60,7 | (d. causam) κρίνω 26,25 | λαλέω 26,23 | λέγω 17,5; 19,6; 28,19; 29,13; 41,21; 41,24; 43,20; 50,1; 20,22 | προσαγορεύω 59,23 | ῥητορεύω 33,11 | τυγχάνω λεξάμενος 30,2–3 | φάσκω 27,22 | φημί 26,25 | φθέγγομαι 27,13    → genus →  ratio

244

APPENDICE 1. Indices verborum

dies  ἡμέρα 26,14; 34,20 | ἦμαρ 56,11 difficile  χαλεπῶς 37,16 difficilis  στυφελός 45,21 dignitas  ἀξίωμα 58,11 dignus  ἄξιος 26,1; 23,17  → duco diligenter  ἀκριβῶς 41,13 diligentia  ἐπιμέλεια 29,22 diligo  ἐράω 42,8 | ἀγαπάομαι 45,15 dimicatio  μάχη 36,10 dimico  ἀγωνίζομαι 47,3; 49,19 | διαδορατίζομαι 56,7 dimitto  ἀφίημι 56,15 disciplina  παιδεία 17,11 | μάθησις 19,11 | μάθημα 23,2 dissemino  διασπείρω 57,21 dissimulo  ἀποποιέω 52,23 divinus  θεῖος 37,25; 38,21; 59,5  → afflo do  δίδωμι 20,14; 26,5; 28,25; 31,2; 59,18 doctrina  διδασκαλία 33,14; 33,18; 37,13; 37,23; 42,15; 38,7; 38,9 | παιδεία 38,14 doctus  (doctissimus) ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακώς 39,2–3 domesticus  ἐφέστιος 59,16 domicilium  κατοικία 26,11; 26,16 | δωμάτιον 28,21 domus  οἴκησις 24,13 | οἰκία 25,4, 24,8 | (domi) οἴκοι 40,5 dono  δωρίζω 23,13 | χαρίζομαι 50,20; 51,8; 51,12; 52,12 donum  χάρισμα 43,1 Drusus  (Marcus Livius D.) Δροῦσος 25,1 dubito  ἀμφιγνοέω 30,10 | ἐξαμφοτερίζω 53,26 duco  διάγω 57,2 | (d. dignum) ἀξιοποιέομαι 52,4 | (d. parvi)

ἐξουδενόω (-ομαι) 36,7 | ºἐπαγωγέω 53,4 dulcedo  γλυκύτης 50,24 durus  σκληρός 40,17; (durior) σκληροτέρως 44,22 dux  ὁ στρατηγέων 46,14 | στρατηγός 47,5 ego  — 34,8 | (egomet) ἐγαυτός 35,5 | ἐγώ 17,1; 17,5; 19,22; 20,14; 20,19; 21,14; 32,26; 33,4; 33,10; 33,19; 33,21; 34,5; 34,14; 34,15; 35,4; 35,8; 35,13; 36,8; 36,22; 37,20; 41,11; 57,17; 57,20; κᾀγώ 38,10 | ἔγωγε 37,3; 41,8; 41,15; 42,7; 55,4 | ἐμαυτοῦ 54,14 eicio  ἐξοικίζομαι 48,19 eiusmodi  τοιοῦτος 21,7; 58,19 enim  γάρ 24,10; 27,1; 31,14; 32,22; 41,10; 44,24; 46,6; 52,23; 55,8 Ennius  (Quintus E.) Ἔννιος 42,25; 47,19; 53,24 eo  — 35,8  → usque eodem  αὐτόσε 49,12 epigramma  ἐπίγραμμα 51,19 ergo  οὐκοῦν 40,25; 44,4 | οὖν 48,10 eripio  ἐξαρπάζω 46,25 erro  ºἀπαμβρότω 48,24 eruditus  *πεπαιδευκώς 37,15 | (eruditissimus) μεμαθηκότατος 42,13; 20,21 | (eruditissimus) *ἀσκηθέστατος 22,10 et  δέ 23,13; 26,13; 29,27; 50,21; 55,17; 55,22 | καί 19,3; 19,18; 19,23; 20,4; 21,6; 21,12; 22,8; 22,9; 23,3; 23,6; 23,10 bis; 23,21; 24,20; 24,24; 25,2; 25,3 bis; 25,16; 26,3; 26,7; 27,7; 27,18; 28,6; 28,10; 29,25; 30,13; 31,23; 32,11; 32,13; 32,16; 32,19; 33,4; 33,6; 34,22; 34,24; 35,12; 37,2; 37,6; 37,25; 38,2; 38,25; 39,1; 39,13; 42,16;

APPENDICE 1. Indices verborum

42,17; 42,20; 43,10; 44,9; 44,18; 44,19; 45,21; 46,3; 46,9; 46,11; 47,2; 47,7; 50,7; 51,11; 52,7; 52,8; 53,3; 53,11; 53,17; 54,5; 54,10; 54,15; 54,24; 55,5; 55,12; 56,11; 57,16; 60,12; 60,13 | καὶ δή 42,21 | τε 19,3; 23,10; 24,24; 25,1; 37,2; 42,15; 44,8; 49,21; 49,22; 57,5 etenim  γάρ 19,1; 30,13 etiam  — 24,3 | δέ 59,13 | ἔτι 24,7; 44 | ἔτι καί 40,14 | καί 31,3; 43,24; 46,4; 47,19; 47,25; 50,12; 52,18; 53,6; 58,12; 59,5 | καὶ μὴν καί 38,3–4  → non e (ex)  — 45,8 | ἀπό 35,19 | ἐκ 21,24; 25,16; 29,5; 33,4; 35,10; 38,18; 38,22; 38,26; 39,14; 47,22; 48,22; 48,23; 51,23; ἐξ 34,1; ἐξ 46,22   →  tempus excedo  ἐξέρχομαι 21,25 excellens  ἔξοχος 37,8; 37,21 | *ἐξοχή 40,22 excito  ἀναζωπυρέω (-ομαι) 42,21 excolo  διασκέω 33,15 exemplum  παράδειγμα 36,17 exerceo  ἀσκέω 60,19; ἀσκέομαι 55,19; 21,1 exercitatio  ἄσκησις 17,5 exercitus  στρατός 31,19 | στράτευμα 46,14 exiguus  ὀλίγος 17,3 | σμικρός 49,4; 55,16 eximie  ὑπερφυῶς 45,14 eximius  ἐξαίρετος 38,11 existimo  νομίζω 23,17 | οἴω 33,9; οἴομαι 58,15 exorno  κατακοσμέω 53,21 expectatio  προσδοκία 22,21; 22,22 expeto  ἐπιθυμέω 35,26; 44,7; 48,16; 52,9 | ἀπαιτέομαι 58,17

245

exprimo  ἀπεικάζω 36,26 | εἰκονογραφέω [εἰκογράφω] 57,15 | ἀποτυπόομαι 45,25 exsilium  ἐξορία 36,6 exsisto  γίγνομαι 38,17 exsto  παραγίγνομαι 18,19; 50,8 | τυγχάνω 38,2 extremus  ἔσχατος 56,25 facile  ῥᾳδίως 45,1 facio  ποιέω 32,12; 48,11; 51,22; 54,13 facultas  τὸ δύνασθαι 19,8 | δύναμις 35,12 fama  κλέος 22,19 | εὔκλεια 23,18 | φήμη 47,15; 49,13 familiaris (familiarissimus) οἰκειότατος 25,15; 26,21; 52,11 fateor  ºκατεξομολογέομαι 33,19 | καθομολογέομαι 38,3 faux  λάρυγξ 46,25 fere  σχεδόν 49,1 fero  φέρω 19,1; 33,15 | προκομίζω 52,25 | (f. legem) ἐπάγω 26,11 | (feror) φθέγγομαι 47,1 | (feror) ºὑμνίζω 47,14 festus  ἑορταστικός 34,19 fides  πίστις 27,8; 28,14; 29,18; 59,25 filius  υἱός 24,21; 24,25 finis  πέρας 49,3 flagito  ἐξαιτέομαι 28,9 flecto  χαυνόω 43,13 foederatus  ὁμωμοκώς 26,8 foedus  σπονδή 25,22 fons  πηγή 35,19 forensis  ἀγοραῖος 20,11; 33,5 foris  θύραζε 40,6 fortasse  τάχα 54,18 forte  ἴσως 19,6; 25,11 fortis  κρατερός 50,22 | (fortissimus) ἰσχυρώτατος 36,25; 39,1; 46,2

246

APPENDICE 1. Indices verborum

fortuna  κατάσχεσις 28,26 | τύχη 50,15 fortunatus  εὐδαιμονέστατος 50,4 forum  ἀγορά 60,10 frango  (f. me) ῥήγνυμι ἐμαυτόν 56,2 frequentia  πλῆθος 20,7 fructus  καρπός 18,4; 34,3; 39,12; 48,21 Fulvius  (Marcus F.) Φούλβιος 48,7; 53,25 fundo  διαφθείρω 46,17 Furius  (Lucius F.) Φούριος 38,24 Gabinius  (Publius G.) Γαβίνιος 29,14 Gallus  Γάλλος 51,12 gens  ἔθνος 49,1 genus  (g. dicendi) τὸ τοῦ λέγειν γένος 20,7–8 | τὸ τοῦ λόγου εἶδος 21,13 | γένος τοῦ ῥητορεύειν 41,12 gero  πράττω 45,17; 49,5; 54,26; 57,18; 57,19 | (g. me pro cive) πολιτεύω 32,5  → res Gracchus  Γράκχος [Γράχος] 27,2; 32,26 gloria  — 30,25 | δόξα 22,15; 44,15; 48,21; 49,12; 53,8 | εὐδοξία 50,24 | κλέος 49,19; 53,4; 55,12 | κλῆτος 56,12 | (praeditus summa g.) εὐδοξώτατος 30,25  → amor Graecia  Ἑλλάς 22,17; 30,17 Graecus  ῞Ελλην 37,1 | Ἑλληνικός 22,25; 48,22; 48,25 gratia  χάρις 26,3 gratuitus  δωρεάν 30,16 gravis  σεμνός 38,2 gusto  γεύω 40,12 habeo  τυγχάνω ἔχων 19,17 | ἔχω 26,12; 26,18; 28,4; 28,6; 28,10; 28,22; 50,1 | (habeor) ἔχω *εἰωθώς 59,22 habitus  εὐεξία 37,24

haurio  ἀντλέω 35,20 Heraclea  Ἡράκλεια 25,19; 27,3; 27,21 Heracliensis  Ἡράκλειος 26,4; 27,14; 27,24; 31,10; 48,14 hereditas  κληρονομία 32,14 hic1  — 20,14; 36,11; 41,11; 41,19; 49,5; 52,23; 55,14; 56,22; 59,13 | αὐτός 34,1 | ὁ αὐτός 19,1 | οὖτος 19,1; 19,6; 19,8; 19,12; 20,7; 20,14; 20,16; 20,22; 20,25; 20,26; 21,17; 23,3; 23,9; 23,18; 24,10; 24,14; 26,15; 27,1; 27,21; 30,3; 30,24; 31,6; 31,16; 32,23; 33,5; 33,20; 35,6; 35,8; 35,10; 35,11; 37,17; 38,18 bis; 38,22; 38,26; 39,11; 39,14; 39,16; 39,23; 41,8; 41,15; 42,7; 43,6; 44,8; 44,21; 45,25; 47,13; 48,10; 48,14; 48,17; 49,14; 49,20; 50,13; 51,13; 52,6; 57,23; 54,23; 55,2; 55,11 | οὑτοσί 27,16; 33,2; 48,1; 55,6 hic2  ἐνταῦθα 23,6; 27,22 Hispanus  º Ἴβερος 51,11 Homerus  Ὅμηρος 43,18; 50,7 homo  — 58,1 | ἀνήρ 29,10; 43,6 | ἄνθρωπος 20,6; 20,21; 20,23; 22,11; 22,20; 27,16; 28,7; 30,17; 33,2; 36,11; 37,7; 37,21; 38,21; 38,25; 42,12; 48,11; 57,9; 58,7; 58,16; 60,12 honestas  τὸ καλόν 36,1 honestus  σεμνός 54,18 honor  τιμή 25,7; 54,10 | δόξα 48,3 hortatus  νουθήτημα 18,21 Hortensius  Ὁρτήσιος 25,4 hortor  παραινέω 55,7 hospitium  καταγώγιον 23,16 hostis  πολέμιος 47,6 humanitas φιλανθρωπία 20,26; 21,3; 22,2; 59,26 | (qui

APPENDICE 1. Indices verborum

ad humanitatem pertinet) φιλανθρωπικός 19,16 humanus ἀνθρώπινος 59,4 | (humanissimus) φιλανθρωπότατος 39,18; 43,5 humilis  πρόσγειος 30,14 iaceo  κεῖμαι 36,18 iam  — 23,19 | ἤδη 26,17; 32,4; 53,22; 54,14; 57,19 ibi  ἐκεῖ 22,7 idem  *αὐτός ὁ 50,10 | ὁ αὐτός 23,5; 24,15; 25,17; 31,20; 33,18; 38,9; 41,23; 46,14; 46,21; 51,1; 55,24 | (tu i.) σεαυτοῦ 28,19 igitur  οὖν 30,4 | γὰρ μέν τοι 43,3 Ilias  Ἰλιάς 50,9 ille  — 42,25 | αὐτός 34,8 | ἐκεῖνος 24,17; 24,19; 29,6; 31,7; 37,10; 39,4; 40,26; 44,4; 44,20; 45,5; 45,12; 47,8; 48,6; 49,24; 50,10; 50,21; 51,3; 53,5; 53,22; τοὐκεῖνο 38,4; 38,15; τἀκεῖνα 35,18 | ὁ μέν 48,10; 53,16 | οὗτος 53,6  → tempus illustris  λαμπρός 38,12 illustro  ºδιαυγνάω 46,6 imago  εἰκών 36,22 | ἄγαλμα 57,6 imitor  μιμέομαι 36,25 immanis  ἀγριώδης 43,12 immo  μᾶλλον 29,3 impedio  ἐμποδίζω 40,5 imperator  στρατηγός 31,17; 53,17; 54,4; 59,9 | ὁ στρατηγέων 51,7 imperium  δυναστεία 54,23 impero  προστάσσω 46,8 impertior  μεταδίδωμι 30,18 impetro  ἀποφέρω 26,5 | συγχωρέομαι 52,15 impetus  ὁρμή 36,13 | ῥόθος 46,23 in  + abl.  — 57,19 | dat. 19,24; 30,4; 30,11; 56,9; | ἀμφί + acc. 59,5 | ἐν 19,8; 19,22; 20,13; 22,16;

247

26,12; 31,8; 32,8; 32,16; 35,13; 35,25; 37,4; 48,17; 49,1; 50,18; 51,15; 52,7; 53,6; 53,11; 54,20; 55,15; 55,18 | ἐπί + acc. 36,2 | ἐπί + dat. 17,1; 17,5; 19,2; 23,3; 23,5; 33,11; 54,2 | ἐπί + gen. 21,7; 30,17; 31,21; 43,25; 47,19; 54,7; | κατά + acc. 41,11 | παρά + dat. 50,2 | περί + acc. 36,19; 45,21 | περί + gen. 56,21; 56,22 | πρός + dat. 18,2; 40,14     + acc.  — 36,11 | dat. 48,13 | εἰς 30,6; 57,21; 59,24; 60,17; ἐς 25,15; 31,4; 55,21 | ἐπί + acc. 25,23; 36,9; 48,1; 51,19 | πρός + acc. 34,3 incendo  κατακαίω 27,26 inchoo  κατάρχομαι 55,3 incitamentum  ὁρμητήριον 49,21 incolumis  ἀάβακτος 29,14 incredibilis  ἀπίθανος 41,5 | ἀνυπέρβλητος 47,7 inde  ἐκεῖθεν 18,13 indico  ἐπιδεἰκνυμι 32,3 | ἀποφαίνω 54,15 infirmo  ἀνασκευάζω 27,1 infitior  ἔξαρνός εἰμι 17, 6 informo  εἰδοποιέω 22,3 ingenium  ἀγχίνοια 17,2; 19,9; 22,19; 24,11; 41,6; 52,6; 58,13; 60,13 | εὐφυΐα 22,15; 44,13; 57,15; 58,17 | φύσις 23,14; 30,25; 45,16; 47,13 ingredior  ἄρχομαι 18,17 innumerabilis  ἀναρίθμητος 46,16 in primis  πρὸς τοῖς πρώτοις 18,2 inquam  φημί 50,5 inscribo  ἐπιγράφω 53,10 insideo  ἐνιδρύομαι 56,8 instituo  παιδεύω 43,14 integer (integerrimus) ἀμειώτατος 28,12 intempestivus  *εὐκαιρός 35,1

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APPENDICE 1. Indices verborum

inter  → sui intereo  *ἀπόλλυμι 28,1 interficio (interficior) ἀποθνῄσκω 47,4 intersum  παραγίγνομαι 27,12 intervallum  *διαχώρημα 25,13 intueor  θεάω 36,23 inusitatus  ἀήθης 21,13 invenio  εὑρίσκω 50,6 ipse  — 26,1 | αὐτός 19,2; 22,22; 37,10; 47,24 | (se ipsum) ἑαυτοῦ 38,1 | ἑαυτοῦ 40,10 | *μόνος 37,7; 42,19 | *ὁ αὐτός 32,8; 34,22–23; 37,24; 41,19; 44,19; 46,11; 49,15; 53,5; 53,11; 56,7; 60,14   → se irrepo  παρερπύζω 31,6 is  — 23,23; 28,3; 32,3; 42,2; 45,8; 45,17; 47,23; 53,11; 60,7; 60,18 | αὐτός 22,17; 24,8; 24,20; 25,7; 27,5; 30,9; 36,3; 43,25; 50,12; 51,17; 51,20; 51,25 | ἐκεῖνος 25,23; 31,4; 33,17 | ὁ αὐτός* 39,10 | ὁ δέ 50,1 | οὖτος 21,26; 25,15; 25,24; 28,14; 28,23; 29,4; 30,24; 32,6; 40,13; 45,10; 47,15 47,21; 51,23; 51,26; 54,7; 54,12; 58,8; 58,15; 59,8; 60,15 | οὑτοσί 59,20    →  tempus iste  *ὁ αὐτός 37,13 ita  οὕτω 19,6; 33,23 | οὕτως 30,7; 32,4; 34,6; 59,1 Italia  Ἰταλία 22,25; 26,12 Italicus  *Ἰταλιώτης 27,26 itaque  οὖν 23,9 | ὥστε 43,24 | μέν τοι 45,13 | οὐκοῦν 47,19 | οὖν 51,4 item  *πρὸς ταῦτα 45,14 iubeo  κελεύω 51,24 iucundus  τερπνός 24,18 | ἡδύς 44,24 | ἄλυπος 55,6 iudex  ἀνήρ δικαστής 59,3 | δικαστής 41,9; 43,4; 58,7; 60,15 | κριτής 17,2; 29,26; 34,7; 54,9 54,15; 55,14; 60,7 | ὁ κρίνων 20,4

iudicialis  δικανικός 60,11 iudicium  κρίσις 19,24; 20,10; 21,2; 27,17; 32,8; 32,24 | τὰ τῆς κρίσεως 60,19 | τὰ τῶν κρίσεων 21,9–10 iudico  κρίνω 23,15; 39,19 Iulius  (Lucius I. Caesar) Ἰούλιος 31,23 ius  τὸ δίκαιον 25,21; 32,1; 18,5; 42,23; 32,10 | (iure) δικαίως 34,15 iusiurandum  ὅρκος 28,13 labor  πόνος 45,2; 49,22; 55,9; 55,18 | κάματος 56,2; 56,23 Laelius  (Gaius L.) Γάϊος Λαίλιος 38,23 largior  δωρέομαι 30,23 Latinus  Ῥωμαῖος 37,2 | Λατῖνος 48,23; 49,2 Latium  Λάτιον 23,3 laudo  ºὑμνίζω 47,24 laus  αἴνεσις 44,16; 48,9; 55,12; 59,15; | ἐγκώμιον 37,15; 42,6; 51,2 | *ἐπαινετικόν 46,19 | ἔπαινος 36,1; 38,6; 47,23 | εὐδοξία 53,1 lectus (lectissimus) ἐκλέκτατος 20,3 legatus  πρέσβυς 27,15 legitimus  νόμιμος 19,23 lego  ἀναγιγνώσκω 49,2 Lentulus  (Lucius Cornelius L.) Λέντουλος 29,24 levis  (levior) *λειότερος 35,17 levitas  φαυλότης 29,15 levo  κουφίζω 60,1 lex  νόμος 26,7; 26,11; 26,23; 31,3; 32,13; 44,9; 48,17; 51,5; 58,21 libellus  βιβλίδιον 51,16 | βίβλος 53,7 libenter  (libentius) ἀσμενεστέρως 54,13; (libentissime) ἀσμενέστατα 45,9 liber  βίβλος 36,15; 46,1

APPENDICE 1. Indices verborum

liberalis (liberalissimus) *ἐλευθερώτατος 22,12 | ἐλευθεριώτατος 39,19 libere  (liberius loqui) παρρησιαστικώτερός εἰμι 21,6 Licinius  (Aulus L. Archias) Αὖλος Λυκίνιος 18,3; 21,17–18; 30,6  → Archias littera  γράμμα 21,4; 24,12; 28,9; 35,23; 36,20; 37,12; 39,8; 41,17| διατριβή 33,24 litteratus  (litteratissimus) ἐς ἄκρον τῆς παιδείας ἐληλακώς 20,23–25 litura  ºἐξαλοιφή 30,1; 30,5 Locrensis  Λοκρός 30,20 locus  τόπος 22,8; 39,23 longe (longissime) πορρωτάτω 18,8 longiusculus  μακρότερος 51,21 longus  μακρός 25,13 loquor  *εἴλοχα 60,15  → libere Lucius  → Crassus → Lentulus → Lucullus  → Furius → Plotius Lucullus  (Lucius L.) Λύκιος Λεύκολλος 25,14–15; 25,18; 27,8; 36,4; 31,17–18; 32,18; 46,2; 46,9; 47,3; 58,23 | (Luculli) οἱ Λεύκολλοι 24,6; 25,1; 52,14 ludus  (ludi) παίγματα 34,19 lumen  σέλας 36,21 lux  φῶς 34,4 Lutatius  → Catulus magis  → magnopere magnopere  πάνυ 35,26 | (magis) μᾶλλον 35,9; (maxime) μάλιστα 53,3 magnus  πολύς 41,17 | μέγας 45,20; 48,3; 49,24; 55,5; (maximus) μέγιστος 24,1; 46,15; 49,20; | (maiores) οἱ πρόγονοι 48,12  → clamor

249

Magnus  (Gnaeus Pompeius M.) Μᾶγνος 50,14 malo  ἀξιόω 57,14 malus  κακός 51,18; 52,3 mandatum  πρόσταγμα 27,18 mando  ὑφίστημι 45,1 manubiae  *λαβαί 54,1 manus  χείρ 46,15; 49,10 Marcellus  (Marcus Claudius M.) Μάρκελλος 48,7 Marcus  → Aemilius → Cato mare  θάλαττα 45,23 Marius  (Gaius M.) Μάριος 23,21; 44,20; 45,13 marmor  μάρμαρον 47,22 Mars  Ἄρης 53,26 Maximus  (Quintus Fabius M.) Μάξιμος 48,6 mediocer  μέτριος 30,13 mediocriter  μετρίως 17, 6 memoria  μνήμη 18,12; 28,7; 28,8 | τὸ μιμνήσκειν 57,22 mens  διάνοια 18,7 | νοῦς 37,6; 42,20 merces  μίσθωμα 55,9 Metellus  (Quintus Caecilius M. Numidicus) Κόϊντος Μέτελλος… ºNουμιδικός 24,19– 20 meus  μου 34,10; 37,6; 60,5; ἐμοῦ 54,17; 58,3 | ἐμός 57,24 miles  στρατιώτης 50,19; 50,23 minime  ἥκιστα 21,9 miror  θαυμάζω 19,7; 40,13 mirus  θαυμαστῶς 19,22 Mithridaticus (bellum Mithridaticum) πρὸς τὸν Μιθριδάτην 45,19 Mitylenaeus  [Μιτυλινεύς] ºΜιτυληνεύς 50,17 moderatus  σώφρων 38,1

250

APPENDICE 1. Indices verborum

modestus (modestissimus) μετριώτατος 29,21| (modestissimus) σωφρονέστατος 38,24 modo  → non modus  τρόπος 28,16 | (nullo modo) μηδένα τὸν τρόπον 28,16 | (aliquo modo) ἀμηγέπως 31,4 molestus  χαλεπός 20,18 monumentum ἐγκατάλειμμα 47,11 | μνημεῖον 53,20 morior ἀποθνῄσκω 40,21; 40,24 | τελευτάω 57,3 mors  — 57,24 | θάνατος 36,5 | τὸ τεθνάναι 40,19 | (post mortem) τεθνηκώς 44,6 motus  κίνησις 41,1; 41,5 moveo  παρακινέω 43,17 multo  πάνυ 57,13 multus  πολύς 26,17; 30,13; 35,21; 35,22; 36,22; 37,20; 45,22; 48,15; 49,22; 52,12; 57,8 municipium  πόλις 28,13; 58,22 | *πολίτης 31,5 munus  δῶρον 43,2 Musa  Μοῦσα 44,26; 54,1; 54,6; 54,10 nam  γάρ 18,7; 21,23; 22,7; 29,10; 35,21; 39,20; 48,20; 50,8; 54,20 | γάρ τοι 44,17 nanciscor  τυγχάνω 23,22 | γίγνομαι 22,7; 52,19 natura  φύσις 24,13; 37,24; 38,7; 38,8; 38,11; 42,19; 46,12 navalis  → pugna ne  ἵνα μή 52,1 | *οὐ μή 19,21 | μή 19,5 | (n…. quidem) οὔτε καί 19,12; μηδέ 31,8; 32,8 -ne  μῶν 27,3 | ἆρα 37,13 Neapolitanus Νεαπολίτης 23,10; 30,20 nec  μηδέ 56,1

negligenter (negligentius) ἀπεριοπτέρως 29,11 negligo  καταφρονέω 41,7 | ἀτημελέω 23,8 nego  ἀρνέομαι 27,5 negotium  πρᾶγμα 59,6 neque  μηδέ 19,1; 34,1; 34,3; 39,21; 39,23 52,13; 52,14; 56,3; 56,6 | οὐ 52,23 | οὔτε 32,23; 32,24; 40,10; 44,24; 60,11  → si nescio  οὐκ οἶδα 38,15 nihil  οὐδέν 26,22; 26,24; 28,4; 33,25; 35,25; 39,5 | μή τι 55,20  → sum nimis  λίαν 54,17 nisi  ἐὰν μή 33,13; 50,8 | εἰ μή 26,22; 33,17; 35,21 | ἐκτός 36,20 | πλήν 35,26 nobilis  εὐγενής 22,8 (nobilissimus) εὐγενέστατος 27,15 nobilitas  εὐγένεια 53,13 nolo  μὴ βούλομαι 30,26 nomen  ὄνομα 30,1; 43,7; 46,5; 47,26; 50,12; 53,10; 54,5; 56,16 nomino  ὀνομάζω 53,15 non  μή 39,12; 40,19; 40,25; 42,7; 42,8; 42,9; 45,1; 51,9 | οὐ 20,18; 27,9; 27,12; 31,1; 32,1; 46,1; 46,15; 47,23; 54,8; 57,6; 59,4; οὐκ 17,6; 21,18; 21,21; 23,8; 27,10; 28,5; 28,22; 29,2; 40,5; 43,16 48,7; 52,8; 52,25; 53,25; 56,14 | οὔτε 60,10 | (non solum… verum etiam) οὐ μόνον… ἀλλὰ δέ 24,11–13; οὐ μόνον… ἀλλὰ καί 25,8–11; οὐ μόνον… ἀλλὰ δὴ καί 36,23 | (non solum… sed etiam) οὐ μόνον… ἀλλὰ καί 47,23–25 | (non modo… verum etiam) οὐ μόνον… ἀλλὰ καί 20,9–11; 46,1–4; 59,4–5 | (non modo… sed etiam) οὐ μόνον… ἀλλὰ καί 31,1–3

APPENDICE 1. Indices verborum

nonne  οὐχί 50,16 | ἦπου 57,13 nonnullus  (nonnulli) ἔνιοι 18,23 nos  — 54,20; 55,19 | ἡμεῖς 19,3; 19,6; 19,12; 40,7; 40,16; 41,3; 41,4; 43,2; 43,14; 44,7; 48,8; 48,14; 51,15; 52,26; 57,3 noster  ἡμέτερος 31,13; 32,13; 38,20; 40,11; 42,24; 44,10; 47,1; 47,9; 47,10; 47,12; 47,18; 48,18; 49,10; 50,14; 56,16; 57,12; 59,14 | ἡμῶν 33,14; 48,12; 50,21; 54,21 notus  *γνωρισάμενος 23,19 novus  καινός 21,12; 41,12 nox  νύξ 56,10 nullus  μηδείς 28,16; 30,14 | οὐδείς 30,5; 31,24; 34,8; 41,16; 43,8; 55,8; 56,26  → modus numerus  ἀριθμός 21,20; 38,19; 41,18; 59,20 Numidicus  → Metellus numquam  οὐδέπωτε 32,22 | οὐ πώποτε 35,14; 36,7 | μήποτε 39,9 nunc  νῦν 23,5; 56,8; 58,4 nuper  νεωστί 40,19 o  ὦ 50,4 obeo  διατελέω 34,18 obicio  προβάλλω 36,13 oblecto  τέρπω 39,25 obruo  καταχώννυμι 50,12 obscuro  ἀμαυρόομαι 52,24 obscurus  μαυρός 31,14 obtineo  κατέχω 29,8 Octavius  (Gnaeus O.) Ὀκτάβιος 25,2 olim  πάλαι 44,12 omnino  πάνυ 40,24 omnis  ἅπας 22,14; 29,21; 37,17; 39,22; 41,3; 46,22; 48,8; 49,1; 55,24; 56,21 | πᾶς 18,1; 19,15; 23,13; 28,2; 28,25; 29,17; 36,3; 36,4; 36,14; 36,19; 42,9; 44,11;

251

44,13; 48,5; 53,1; 56,17; 57,2; 57,17; 59,22; 60,9 opinor  δοξάζω 27,9 | ἡγέομαι 39,16 opitulor  ἀμύνω (-ομαι) 18,25 oppidum  πόλις 23,5 | κώμη 43,25 ops  τὸ ἐπικουρεῖν 19,3 | (opes) ὕπαρξις 46,10 oratio  λόγος 35,11 orbis terrae  ἡ οἰκουμένη 49,7; 57,21 orno  κοσμέω 40,2 | κατακοσμέω 47,26 | ἐγκωμιάζομαι 59,12 os  στόμα 46,24 ostendo  ἀναδείκνυμι 39,13 otiosus  σχολασθείς 57,1 otium  σχολή 21,8; 34,10 Papius  (Gaius P.) Πάπιος 31,3 pars  μέρος 22,17; 31,24; 58,3; 60,17 particeps  μετεχόμενος 51,1 parvus  (minor) *μείζων 48,20       → animus  → duco pater  πατήρ 24,23; 38,19 patior  ἐάω 21,2 patior  παρατίθεμαι 45,3 paulo  κατὰ μικρόν 21,5 penetro  διαπειράω 49,13 penitus  παντελῶς 19,13 per  διά + gen. 26,1; 52,13; 52,14 | κατά + acc. 38,1 percipio  μανθάνω 25,9 | καταλαμβάνω 39,6 | ἀπολαύω 48,23 peregrinor  ἀποδομέω 40,7 peregrinus  ἀλλοδαπός 52,21 perficio  — 51,8 | ἀπεργάζομαι 21,16 | διατελέω 55,7 perfugium  καταφυγή 40,3 periculum  κίνδυνος 21,10; 35,16; 36,5; 49,21; 55,10; 56,22; 59,16

252

APPENDICE 1. Indices verborum

permultus  πολύς 44,1 pernocto  παννυχίζω 40,6 persequor  ἐπιτυγχάνω 36,2 persona  πρόσωπον 21,7 pertineo  — 19,16 | κατήκω 58,3  → humanitas pervenio  ἀφικνέομαι 42,6 | παραβαίνω 49,11 peto  παραιτέομαι 51,13 | αἰτέομαι 59,2 | ζητέομαι 39,15 philosophus  φιλόσοφος 53,6 pila  σφαῖρα 35,4 pinguis  λιπαρός 52,20 Pius  (Quintus Caecilius Metellus P.) Πῖος 24,21; Κόϊντος Μέτελλος Πῖος 26;20; 29,19; 52,10–11; 58,25 plenus  μεστός 36,14; 36,15; 36,16 | (p. sum) πληρόομαι 22,24 poeta  ποιητής 20,20; 42,19; 42,26; 43,7; 43,17; 44,5; 51,18; 52,19; 54,5; 54,11 | ῥαψῳδός 52,4 politus  γλαφυρός 57,16 Pontus  Πόντος 46,9 populus  — 20,3; 47,15 | λαός 31,24; 44,15; 46,5; 46,6; 46,13; 46,18; 47,25; 48,4; 49,15; 51,19; 59,11 possum  — 33,10; 33,16 | δύναμαι 18,1; 19,1; 23,15; 24,5; 27,2; 28,6; 28,16; 32,22; 33,25; 40,12; 45,18 | τυγχάνω 51,10 | οἷός τ᾽ εἰμί 52,25 post  — 57,24 | μετά + acc. 29,16; 31,1; 31,3 | εἶτα 22,16  → mors postea  μετὰ ταῦτα 52,1 posteritas  οἱ μεθ᾽ ἡμᾶς 56,18 posterus  (in posterum) ἐς τὸ ὄπισθεν 55,21 potius  μᾶλλον 60,1 prae  πρό + dat. 52,26 praebeo  παρέχω 40,4 praeceptum  κατήχησις 18,21 | ἐντολή 35,21 | παράγγελμα 42,16

praeclarus  εὐκλεής 38,16 praeco  κῆρυξ 50,7 praeconium  κήρυγμα 45,3 praedicatio  ºπροκηρυξία 53,12 praedico  ºπροκατακηρύττω 45,12 | προκηρύσσω 47,2 | κηρύσσω 53,14 praeditus κεκοσμημένος 30,15  → gloria praemium  ἐπιτίμιον 23,12 | βραβεῖον 51,25 | γεράσμιος 52,5 praesentio  προαισθάνομαι 55,21 praesertim  καὶ ταῦτα 30,10; 44,11; 52,16 praeter  πλήν 55,11 praeterea  ἐπὶ τούτοις 44,1 praeteritus  παρεληλυθώς 18,9 praetextatus  περιπόρφυρος 24,6 praetor  ἔπαρχος 20,2; 21,1; 26,14; 26,20; 29,7; 29,25 | ἐπάρχω 32,19 primum  πρῶτον 22,6 | πρώτως 23,23  → ut primus  πρῶτος 24,14; 31,22  → in primis princeps  ἄρχων 18,15 pro  — 54,24 | ὑπέρ 20,19; 36,8; 54,22; 54,25 | κατά + acc. 60,5  → gero proavus  πρόπαππος 48,1 probo  εὐδοκιμάζω 42,4; 60,8 prodo  φανίζομαι 37,12 profecto  ἀμέλει 19,2 | δή 21,17 | δήπου 39,5 profero  εἰσφέρω 34,4 professio  ἐπαγγελία 29,6 proficiscor  ἀπαίρω 25,16 | πορεύομαι 17,12 profiteor  ἐπαγγέλλω ἐμαυτόν 26,13–15 | ἐπαγγέλλω 26,18; 29,3; 29,4 | καθομολογέω 59,18 profligatus  διαφθαρείς 36,11

APPENDICE 1. Indices verborum

prope  σχεδόν 18,5; 21,12; 54,3 | *ἐπὶ πολύ 37,25 propono  προβάλλομαι 37,5 propter  διά + acc. 21,8; 23,7; 40,22 propterea quod  διά + acc. 48,25 provincia  ἐπαρχία 25,17 proximus  ἐγγύτατος 31,15 publicus  δημόσιος 19,24; 27,18; 27,24 | δημοσιακός 29,8 pudet  αἰσχύνομαι 33,22; 34,5 pudor  αἰσχύνη 58,8 puer  παιδίον 21,24 puerilis  παιδαριώδης 22,1 pueritia  βρέφος 18,11 pugna  (p. navalis) ναυμαχία 47,9 pugno  διασφάττω 44,2 puto  νομίζω 26,1; 48,21 | οἴω 47,21; 45,17; 58,1; οἴομαι 21,22; 42,10 quaero  ζητέομαι 28,5 | μαστεύω 32,20 | εἴρομαι 32,25 | ἐρωτάω 37,9; 45,7 quaeso  δέομαι 20,12 quaestio  ζήτημα 19,23 quaestor  ταμίας 31,21 quam  ὡς 17,3; 36,22; 49,22 | ἤ 23,5; 60,2; 38,8; 48,23 quamdiu  μέχρι οὗ 29,14 quantum  ὅσον 19,2; (q…. q…. q…. q…. q…. q…. tantum) 34,16; 34,18; 34,21; 34,25; 35,2; 35,3 quantus  ºὡσοῦτος 58,14 quantuscumque  ὁποῖός τις 35,13 quare  οὖν 34,13; 54,2; 58,7 | ὥστε 42,23; 47,13; 49,5 quasi  οἱονεί 19,18 | ἀμηγέπως 42,22 | τινά τρόπον 42,27 | καθάπερ 50,25 -que  δέ 59,19 | καί 21,10; 21,15; 22,11; 22,17; 23,11; 25,24; 28,14; 29,7; 29,10; 34,4; 35,22; 38,13; 39,6; 41,5; 42,2; 42,12; 44,16;

253

45,23; 49,12; 53,12; 54,25; 55,10; 56,4; 56,23; 58,5; 59,15; 60,6 quemadmodum  καθάπερ 20,17 qui  — 19,15; 20,8; 21,7; 23,13; 25,8; 28,3; 28,5; 28,14; 28,18; 29,4; 30,7; 30,8; 31,7; 32,3; 33,10; 34,5; 35,18; 41,19; 42,1; 44,8; 44,20; 44,26; 45,17; 47,13; 47,24; 48,10; 49,5; 49,17; 50,10; 50,14; 52,11; 52,15; 53,7; 53,11; 53,22; 54,20; 55,14; 56,21; 57,17; 59,8 bis; 59,9; 59,12; 59,19; 60,18 | τὸ μέν 30,22 | ὅς 17,5;18,25; 21,26; 23,24; 24,13; 27,9; 27,20; 27,25; 28,23; 31,8; 35,17; 35,19; 37,3; 37,11; 37,14; 38,19; 39,5; 45,11; 45,16; 49,16; 51,14; 54,2; 55,13; 55,22; 58,9; 58,15; 59,21 | ὅσγε (ὅς γε) 56,10 | ὅσπερ 17,3; 35,13; 36,18; 40,8; 51,23; 52,24; 60,9 | ὅστις 43,7; 46,1; 55,4; 58,20 | οὖτος 25,20; 40,20; 55,3; 59,1 | τις 17,4; 25,11; 26,8; 32,22; 33,23; 35,17; 59,4 | τίς 45,7 quia  ὅτι 33,3 | διά + acc. 44,5 quidam  — 42,22 | τις 19,8; 19,18; 21,12; 38,13; 50,24; 52,20; 54,16; 56,9; 58,5 | δεῖνα 19,18 quidem  - 58,4 | δή 35,18 | μέν 53,16; 55,13   → ne1 Quintus  → Catulus → Metellus → Pius quis  τίς 34,13; 34,14; 40,15; 45,9 | τις 17,1; 19,5; 19,21; 48,20 | (quid) τί 26,26; 30,8; 30,26; 34,5; 50,13; 52,9; 55,14 | τι 37,9; 37,19; 38,16; 52,1 quispiam  τις 37,9; 44,24 quisque  ἕκαστος 56,10 | (optimus q.) *πᾶς ὁ βέλτιστος 53,3 quo  ᾧ 18,25  → quominus quominus  *ὡς ἥκιστα 49,9

254

APPENDICE 1. Indices verborum

quoad  μέχρι οὗ 18,8 quod  — 49,13 | ὅτι 19,7; 25,7; 31,9; 35,9; 42,27; 51,19  → si quondam  πάλαι 22,9 | ποτε 46,10 quoniam  ἐπειδή 31,25; 41,11 quoque  — 30,11 | καί 35,11 quotidianus  καθημέρινος 36,12 quotidie  καθ’ ἑκάστην 33,10 quotiens  ποσάκις 41,7; 41,14; 41,22 ratio  τρόπος 17,8; 18,18; 38,13; 42,9 | (r. dicendi) ὁ τρόπος τοῦ λέγειν 19,10–11 recens  νεαρός 59,14 recipio  ὑποδέχομαι 24,9; 48,13 recolo  ἀναμιμνήσκομαι 35,5 recordor  ἀναμιμνήσκομαι 18,1 reficio  ἀναπαύομαι 33,6 regio  χώρα 46,11; 49,7; 55,22 regius  βασιλικός 46,9; 46,22 reicio  ἀποδοκιμάζω 31,11 relaxo  χαλάω 33,18 religio  θρησκεία 27,7 | εὐλάβεια 28,12 relinquo καταλαμβάνω 37,2 | *ἀπολαμβάνω 57,9 | ἀπολείπω 57,11 res  — 50,18; 51,23; 52,17 | πρᾶγμα 17,8; 18,1; 20,1; 28,26; 33,12; 34,17; 41,19; 41,23; 43,15; 48,3; 49,16; 49,23; 55,5 | τὰ μέν 54,19 | (ceterae r.) τὰ ἄλλα 42,14 | (r. secundae) τὰ τῆς εὐτυχίας 40,1 | (r. Cimbricae) τὰ Κιμβρικά 44,18 | (r. gestae) τὰ βεβιωμένα 59,10; τὰ πεπραγμένα 24,2 | (r. maximae) τὰ μέγιστα 23,24 | (r. quas gessimus) τὰ πεπραγμένα 49,5 resigno  ἀποσφραγίζω 29,18 respicio  ἀναβλέπω 18,9 respondeo  ἀποκρίνομαι 37,19 | ἀντιφωνέω 43,11

respublica  τὸ κοινόν 23,8 | πολιτεία 37,4; 54,26 | ἡ κοινή 56,21 retardo  μέλλω 34,13 reus  ὁ φεύγων 20,17 revinco  ἀνασκευάζω 32,25 revoco  ἀνακαλέομαι 41,22 Rheginus  Ῥηγῖνος 23,10; 30,19 ridiculus  γελοῖος 28,3 Roma  Ῥώμη 28,22; 29,1; 23,20; 23,7; (Romae) Ῥώμησι 26,16 Romanus  Ῥωμαῖος 20,3; 32,9; 32,15; 44,15; 46,5; 46,7; 46,13; 46,18; 47,16; 47,25; 48,4; 51,6; 59,11 Roscius  Ῥώσκιος 40,18 Rudius  Ῥούδιος 48,11 rusticor  ἀγραυλέω 40,8 rusticus  ἀγροικός 50,23 saepe  πολλάκις 32,12; 43,12; (saepius) πολλάκις 38,5 Salaminius  ºΣαλαμινεύς 43,22 salus  σωτηρία 18,23; 54,11; 54,22 | τὸ ἀμύνειν 19,4 | τὸ διασῴζειν 36,8 sanctus  ὅσιος 42,25; 43,4; 59,22; (sanctissimus) ὁσιώτατος 29,20 sane  δήπου 49,4 sapiens  σοφός 36,16 | (sapientissimus) ἐλλογιμώτατος 58,1 satis  ἅλις 25,12 saxum  λίθος 43,9 scaenicus  σκηνικός 30,22 scilicet  δηλαδή 31,14 scio  οἶδα 27,10; 28,2; 60,21 Scipio  Σκιπίων 47,20 scribo  γράφω 22,4; 24,1; 41,15; 42,2; 49,17; 52,1; 52,7; 52,17; 53,9 | προσγράφω 31,9 scriptor  γραφεύς 37,1; 42,5; 49,23 | συγγραφεύς 50,18 sed  ἀλλά 24,10; 27,10; 27,11; 27,12; 31,2; 36,14; 52,25 | αὐτάρ

APPENDICE 1. Indices verborum

19,21 | δέ 31,26; 37,18; 56,17; 57,7 | *καί 50,22  → non secundus  → res sedes  ἑδώλιον 28,25 sedulitas  ἐπισπέρχεια 52,3 segrego  ἀφορίζω 21,19 semper  πάντα τὸν χρόνον 31,9– 10; 59,12; 59,21 | ἀεί 37,3; 47,1 sempiternus  ἀεί 57,22 senectus  γῆρας 24,16; 39,25 senex  γέρων 39,4; 40,20 sensus  αἴσθησις 40,10; 57,24 sententia  γνώμη 41,25 sentio  εὖ οἶδα 17,3 | αἰσθάνομαι 21,16 | οἶδα 35,20 sepulcrum  μνημεῖον 47,20 sermo  λόγος 20,12 servo  διασῴζω 18,26 severus (severissimus) αὐστηρότατος 20,5 sexaginta  ἑξήκοντα 26,13 si  — 17,4; 21,14 | *ἄν εἰ 35,17 | ἐάν 17,1; 59,4 | εἰ 25,11; 26,8; 26,10; 26,13; 32,21; 33,23; 48,20; 49,5; 51,5; 55,20; 55,22 | ἤν 26,21; 34,16; 39,5; 39,13 | καί 21,21–22 | (si… neque… neque… neque) *ἐὰν μή… οὔτε 40,9–11; (si… non) *εἰ μή οὐκ 51,5–6 | (quod si) εἰ μὲν οὖν 18,19; 40,9 οὖν ἐὰν μή; — 21,14; 39,12 sic  οὑτωσί 22,17 | οὕτως 42,3; 42,11; 59,24 Sicilia  *Κιλικία 25,15 Sigaeum  Σιγαῖον [Σιγεῖον] 50,3 Silvanus  (Marcus Plautius S.) *Συλλαῖος 26,6 simpliciter  ἁπλῶς 60,6 simul  — 57,3 | ἅμα 54,21 simulacrum  ὁμοίωμα 57,7 simulo  *πλάζω 25,11 sine  ἄνευ 37,23; 38,7; 38,8; 48,8 singularis  μοναδικός 38,17

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situs  — 19,2 sive  ἤτε 57,23; 57,25 Smyrnaeus  Σμυρνεύς 43,23 solatium  παραμυθία 40,4 soleo  εἴωθα 28,20; 38,17 | φιλέομαι 22,3; 30,23 solitudo  ἐρημία 43,10 solum  → non solus  μόνος 29,5; 39,15 somnus  ὕπνος 34,12 sono  ἠχέω 52,20 spargo  σκορπίζω 57,20 spatium  διάστημα 55,23; 56,25 | (s. temporis) χρόνος 18,1 spero  ἐλπίζω 20,18; 60,17 spes  ἐλπίς 58,5 spiritus  πνεῦμα 57,1  → afflo statim  εὐθύς 24,5 | αὐτίκα 51,23 statua  ἀνδριάς 57,5 stimulus  κέντρον 56,12 strepitus  κυκήθρα 33,5 studeo  ἐπιθυμέω 25,10 studiose  μετὰ τῆς σπουδῆς 57,8 studium  ἐπιθυμία 22,5 | τὸ σπουδάζειν 17,9 | σπουδή 18,18; 19,13; 21,3; 21,8; 22,12; 23,2; 24,4; 33,21; 35,7; 35,10; 39,10; 39,14; 39,24; 42,15; 44,22 | ἐπιτήδευμα 44,12; 53,2; 58,10; 60,14 suadeo  πείθομαι 35,24 subicio  ὑποβάλλομαι 51,17 succenseo  ἀγανακτέω 34,15 sui  — 31,9; 32,4; 56,1; 59,17 | αὑτόν 25,22; 26,1; 27,9; 30,2; αὑτοῦ 52,13; 53,14 | (se ipsum) ἑαυτοῦ 38,1; (σὺν) ἑαυτῷ 49,25 | (inter se) ἀλλήλων 19,20; πρὸς ἀλλήλους 44,2 Sulla  (Lucius Cornelius S.) Σῦλλα (51,10) sum  — 19,2; 21,11; 21,22; 22,23; 27,3; 30,11; 35,19; 37,16; 47,17; 49,17; 52,23; 56,20; 58,17 |

256

APPENDICE 1. Indices verborum

γίγνομαι 18,24; 19,14; 24,14; 30,8; 31,19; 31,21; 37,22; 44,24; 55,14; ὤν εἰμί 29,23; 40,18 | εἰμί 17,1; 17,4; 19,9; 19,22; 21,19; 21,22; 23,19; 24,8; 24,13; 24,17; 25,20; 26,10; 27,22; 28,3; 29,15; 31,11; 31,14; 36,14; 37,16; 37,18; 38,18; 39,21; 43,3; 43,20; 43,23; 44,6; 44,10; 46,19; 47,10; 49,20; 51,7; 59,8; 59,20 | ἔχω 24,15; 30,8 | τυγχάνω 26,26; 44,25; τυγχάνω ὤν 35,14 | ὑπάρχω 59,1 | (nihil est) δεῖ 35,25 | (carus s.) ἁνδάνω 47,17 summus — 30,24 | ἀκρότατος 27,6; 35,19; 37,10; 42,12; 45,5; 57,9; 57,14; 58,16; ὁ ἀκρότατος 20,20 | μέγιστος 25,7 | ὕψιστος 53,17    →  gloria sumo  λαμβάνω 35,7 superior  ἀνώτερος 31,19; 47,18 supero  ἐπαίρομαι 22,23 suppedito  χορηγέω 33,3 suppeto  ἐξαρκέω 33,9 suscipio  ὑποδέχομαι 18,16 suus  αὐτοῦ 26,21; 29,1; 45,3; 45,11; 49,3; 49,24; 50,18; 52,11; 56,1; αὐτῶν 24,9; 42,24; 43,20 | αὑτοῦ 52,17; 52,22; 53,10; 53,19; 53,22 | σφῶν 34,17; 43,21; 43,23 | *τοῦ ἑαυτοῦ 32,23 Sulla  (Lucius Cornelius S.) Σύλλας [Σῦλλα] 51,10 tabula  πίναξ 27,23; 28,18; 29,4; 29,9; 29,11; 29,18; 30,4; 31,5; 58,24 tabularium  ºπινακοδοχεῖον 28,1 taceo  σιωπάω 28,8 tam  ταύτῃ 40,16 | οὕτω 41,13 | οὕτως 44,25; 56,19 | τοσούτως° 55,15; 55,17 tamen  — 37,18 | ὅμως 39,16; 50,2; 52,5; 52,21; ὅμως δέ 40,21 | δέ 40,13

tandem  δή 34,14 tantopere  οὕτω σφόδρα 33,1 tantum  τοσοῦτον 35,4 tantummodo  μόνον 32,3; 51,19 tantus  — 23,18 | τοσοῦτος 20,5; 29,22; 33,11; 33,16; 36,10; 39,12; 41,1; 55,18; 56,1; 58,14 | τηλικοῦτος 59,6 Tarentinus  Ταραντῖνος 23,9; 30,21 telum  βέλος 49,11 templum  ἱερόν 53,20 tempus  καιρός 24,17; 34,25 | χρόνος 34,9; 39,21; 56,15 | μέρος 17,14 | (ex tempore) αὐτοσχεδιαστί 41,21 | (iis temporibus) τούτους τοὺς χρόνους 32,6 | (illis temporibus) τότε 39,2  → spatium tenebra  σκότος 36,19 Tenedus  Τένεδος 47,8 teneo  κρατέω 25,6 termino  ὁρίζω 56,1 terra  γῆ 45,23  → orbis terrarum testamentum  διαθήκη 32,11 testimonium  μαρτυρία 27,19; 58,23; 59,17 Themistocles  Θεμιστοκλῆς 45,4 Theophanes  Θεοφάνης 50,17 togatus  τηβεννοφόρος 54,8 tollo  αἴρομαι 48,2 tot  τοσοῦτος 28,23; 34,6; 56,3 | τόσος 36,9 toties  τοσάκις 56,6 totus  ὅλος 25,3; 45,24; 46,23 tracto  πραγματεύω 21,11 traho  ἕλκω 53,1 tranquillitas  ἀτρεμία 23,7 tranquillus  γαληνός 56,26 tribuo  νέμω 21,14; 35,1 | δίδωμι 51,25 triumphus  θρίαμβος 47,12 trophaeum  τρόπαιον 47,10

APPENDICE 1. Indices verborum

tu  σύ 27,23; 32,7; 33,9; 37,14 tum  — 26,10; 58,11 | τότε 23,4; 24,7; 32,5; 38,15; 41,20; 57,19 | δὲ καί 49,18 | εἶτα 58,11 | ὅτι* 26,2 tumulus  τάφος 50,4 | μνημεῖον 50,10 tunc  τότε 22,24; 51,24 tuus  αὑτοῦ 50,6 ubi  ὅπου 33,4 ultimus  ἔσχατος 18,13 umquam  ποτε 19,13; 34,8; 43,8 universus  ἅπας 54,25 unus  εἷς 29,27 urbs  πόλις 22,9; 54,3; 54,23 | ἄστυ 46,20 usque  ἄχρι 18,13 | (u. ad) μέχρι 56,24 | (u. eo) ἐς τοσοῦτον 52,16 ut  — 20,13; 21,17; 59,8 | *ἵνα 34,7; 40,18 | καθάπερ 57,25 | (uti) *χράομαι 21,11 | ὡς 20,19; 24,13; 29,23; 33,25; 39,16; 51,7; 54,13; 59,26 | (u. primum) ὡς τάχιστα 21,23–24 | ὥστε 22,18; 42,4; 52,18; 56,24 utor  χράομαι 20,8; 31,8; 41,10 valeo  ἰσχύω 38,8 | ῥώννυμαι  42,20 vallo  παραφράσσω 46,12 varietas  ποικιλία 33,12; 45,22 vehementer  λίαν 48,24 | (vehementius) σφοδροτέρως 23,3 vendo  πωλέω 51,24 venia  συγγνώμη 20,15 venio  ἀφικνέομαι 23,20; 29,26 | ἥκω 25,18 | παραγίγνομαι 27,19 venustas  ἀγλαΐα 40,23 | ºἐπαφρόδισις 58,12 verbum  λέξις 41,25 vere  ὄντως 50,7 vero  δέ 25,1; 29,3; 33,19; 42,1; 43,23; 45,19; 53,22; 57,17; 57,23; 58,19 | οὖν 56,19

257

versor  διατρίβομαι 17,7; 32,10; 56,23 | τρέπομαι 45,24 versus  στίχος 41,18; 45,2; 48,22; 51,22; 55,2 verum  → non verumtamen  ὅμως 54,18 vester  ὑμῶν 20,25; 36,9; 41,10; 59,15; 60,1 | ὑμέτερος 59,9; 59,24 vetus  παλαιός 42,5 vetustas  ἀρχαιολογία 36,17 video  ὄπτομαι 18,15 | ὁράω 27,11; 30,7; 38,20; 40,15; 41,9; 41,15; 42,3; 51,15; 58,10; 58,18 videor  — 19,22 | δοκέω 35,18; 43,3; 56,20; 60,3; δοκέομαι 40,24; 44,23 | *ὁράομαι 55,6 vigilia  ἀγρυπνία 56,5 vinculum  δεσμός 19,18 vindico  ἰδιοποιέω 43,21 violo  παραβιάζομαι 43,9 | ὑβρίζω 60,2 vir  ἀνήρ 20,4; 27,6; 28,11; 37,11; 39,1; 45,6; 46,4; 50,22; 53,17 | ἄνθρωπος 36,26 virtus  ἀνδρεία 50,6 | ἀρετή 24,13; 37,11; 37,22; 38,6; 39,7; 45,11; 50,15; 55,11; 56,10; 57,12 | ἰσχύς 52,7 vis  δύναμις 42,20 vita  βίος 35,25; 49,18; 55,16; 55,23; 56,22 | ζωή 54,24; 56,7; 56,14 vivo  βιόω 24,22; 34,7 vivus  ζῶν 44,8 volo  βούλομαι 31,11 | ἐθέλω 25,24; 53,15 voluntas  θέλημα 44,8 voluptas  ἡδονή 34,11; 34,22 vos  — 54,18 | ὑμεῖς 19,21; 20,13; 20,17; 21,14; 43,5; 54,14; 54,21; 59,3; 59,8; 60,16 vox  φωνή 18,2; 36,16; 43,10; 43,17; 45,9

258

APPENDICE 1. Indices verborum

Index Graeco-Latinus ἀάβακτος  incolumis 5,9 ἀγαθός  bonus XII 32 | βέλτιστος optimus 1,1; 8,18; 8,19; 11,26; 11,29 | βέλτιστα optime 9,20 ἄγαλμα  imago 12,30 ἀγανακτέω  succenseo 6,13 ἀγαπάω  diligo 9,20 ἀγαρράπτω  depravo 4,8 ἀγλαΐα  venustas 8,17 ἀγορά  concio (contio) 10,25 | τῆς ἀγορᾶς* fori 12,32 ἀγοραῖος  forensis 2,3; 6,12 ἀγραυλέω  rusticor 7,16 ἀγριώδης  immanis 8,19 ἀγροικός  agrestis 8,17 | rusticus 10,24 ἀγρυπνία  vigilia 11,29 ἀγχίνοια   ingenium 1,1 (bis); 1,2; 3,4; 3,5; 8,17; 10,25; 12,31; 12,32 ἀγωνίζομαι  dimico 9,21; 10,23 ἀεί  semper 6,14; 9,21 | sempiternus 12,30 ἀήθης  inusitatus 2,3 Ἀθῆναι  (Ἀθήνῃσιν) Athenae 9,20 ἀΐδιος  aeternus 12,31 Αἰμίλιος (Mάρκος Αἰ.)   Aemilius 3,6 αἴνεσις  laus 9,19; 9,22; 11,28; 12,31 αἴρω  effero 7,15 | tollo 9,22 αἰσθάνομαι  sentio 2,4 αἴσθησις  sensus 8,17; 12,30 αἰσχύνη  pudor 12,31 αἰσχύνομαι  pudet 6,12 (bis) αἰτέομαι  peto 12,31 Αἰτωλός [Αἰθόλος]  Aetolus 11,27 αἰώνιος  aeternus 9,20 Ἄκκιος  Attius (Accius) 11,27 ἀκούω  audio 4,8; 9,20; 11,28 ἀκριβῶς  diligenter 8,18

ἀκρόαμα  acroama 9,20 ἀκροάομαι  audio 3,6 (bis) ἀκρός  (ἀκρότατος) summus 2,3; 4,8; 6,13; 7,15; 8,18; 9,20; 12,30 (bis); 12,31 Ἀλέξανδρος  Alexander 10,24 ἅλις  satis 4,6 ἀλλά  at 4,9 (bis) | sed 3,5; 4,8 (ter); 5,10; 6,14; 9,22; 11,26 | verum 2,3; 2,4; 3,6; 12,31; 9,21; 12,31 | ἀ. δή atqui 8,18 | ἀ. δὴ καί verum etiam 6,14 ἀλλήλων  inter se 1,2 ἀλλοδαπός  peregrinus 10,26 ἄλλος  alius 1,2; 4,8; 5,10; 6,13 (bis); 8,17; 8,19; 11,28 | οἱ ἄλλοι  ceteri 1,1; 3,4; 3,5; 5,10; 6,12; (οἱ δὲ ἄλλοι) 6,13; 7,16; 8,18 | ἄλλος … ἄλλος alter… alter 3,5 ἀλλότριος  alienus 9,19 ἄλυπος  iucundus 11,28 ἅμα  simul 11,28 ἁμαξιαῖος (ἁμαξιαιότατος)  amplissimus 4,8 ἀμαυρόω  obscuro 11,26 ἀμείωτος (ἀμειωτότατος) integerrimus IV 8 ἀμέλει  certe 9,22; 11,29 | profecto 1,1 ἀμηγέπως  aliquo modo 5,10 | quasi 8,18 ἀμύνομαι  opitulor I 1 | τὸ ἀμύνειν salus I 1 ἀμφί  in 12,31 ἀμφιγνοέω  dubito 5,10 ἀμφιλαφής  copiosa  3,4 ἀναβλέπω  respicio 1,1 ἀναγιγνώσκω  lego 10,23 ἀναγραφή  census 5,10

APPENDICE 1. Indices verborum

ἀναδείκνυμι  ostendo 7,16 ἀναζητέω  requiro 5,10 ἀναζωπυρέω  excito 8,18 ἀνακαλέω  revoco 8,18 ἀνακείμενος  deditus 1,2 ἀναμιμνήσκω  recordor 1,1 | recolo 6,13 ἀναπαύομαι  reficio 6,12 ἀνάπαυσις  requies 6,13 ἀναρίθμητος  innumerabilis 9,21 ἀνασκευάζω  infirmo 4,8 | revinco 6,12 ἁνδάνω  carus sum 9,22 ἀνδρείας  virtus 10,24 ἀνδριάς  statua 12,30 ἄνεσις  remissio 7,16 ἄνευ  sine 7,15 (ter) 9,22 ἀνήρ  homo 5,9; 8,19 | vir 2,3; 4,8 (bis); 7,15; 7,16; 9,20; 9,21; 10,24; 11,27 | ἀ. δικαστής iudex 12,31 ἀνθρώπινος  humanus 12,31 ἄνθρωπος  homo 2,3 (ter); 3,4 (bis); 4,8 (bis); 5,10; 6,12; 6,14 (bis); 7,15; 7,16 (bis); 8,18; 10,22; 12;30; 12,31 (bis); 12,32 | vir 6,14 ἀνοίγω  aperio 9,21 ἀντικαταλλάττω  concilio 8,17 Ἀντιόχεια  Antiochia 3,4 ἀντιφωνέω  respondeo 8,19 ἀντλέω  haurio 6,13 ἀνυπέρβλητος  incredibilis 9,21 ἄνω  (ἀνώτερος) superior 5,11; 9,22 ἀξιοποιέομαι  duco (alqm dignum) X 25 ἄξιος  dignus 3,5; 4,6 ἀξιόω  malo 12,30 ἀξίωμα  dignitas 12,31 ἀπαίρω  proficiscor 4,6 ἀπαιτέω  repeto 1,1; 8,19 ἀπαιτέομαι  expeto 12,31

259

ἀπαλλάττω  absum 12,30 ἀπαμβρότω  erro 10,23 ἅπας  omnis 3,4; 5,9; 7,15; 7,16; 8,17; 9,21; 9,22; 10,23; 11,29; 12,30 | universus 11,28 ἀπεικάζω  exprimo 6,14 ἀπεργάζομαι  perficio 2,4 ἀπεριόπτως ἀπεριοπτέρως negligentius 5,9 ἀπίθανος  incredibilis 8,17 ἄπειμι  absum 3,5 ἁπλῶς  simpliciter 12,32 ἀπό  a 2,3 (bis); 2,4; 9,20; 3,4 | ex 6,13 ἀπογραφή  census 5,11 ἀπογράφω  censeo 5,11 (bis) ἀποδοκιμάζω  reicio 5,10 ἀποδομέω  peregrinor 7,16 ἀποθεραπεύω  colo 3,6 ἀποθνῄσκω  interficio 9,21 | morior 8,17 (bis) ἀποκαλύπτω*  (ἀ. ἐμαυτόν) abdo me 6,12 ἀποκρίνομαι  respondeo 7,15 ἀπολαμβάνω*  relinquo 12,30 ἀπολαύω  percipio 10,23 ἀπολείπω  relinquo 12,30 ἀπόλλυμι  intereo 4,8 ἀπολογέω  defendo 8,18 ἀπομνημόνευμα  commemoratio 11,29 ἀποποιέω  dissimulo 11,26 ἀποσείω  repudio 10,25 ἀποσοβέω  repudio 9,19 ἀποστρέφω ἀποστραφθείς aversus 9,20 ἀποσφραγίζω  resigno 5,9 ἀποτυπόω  exprimo 9,21 ἀποφαίνω  indico 11,28 ἀποφέρω  impetro 4,6 Ἄππιος  (Ἄ. Κλαύδιος) Appius 5,9

260

APPENDICE 1. Indices verborum

ἆρα  an XII 30 (bis) | ne 7,15 ἀρετή  virtus 3,5; 7,15 (ter); 7,16; 9,20; 10,24; 11,28; 11,29; 12,30 Ἄρης  Mars 11,27 ἀριθμός  numerus 2,4; 7,16; 8,18; 12,31 Ἀρμένιος  Armenius 9,21 ἀρνέω  nego 4,8 ἀρχαιολογία  vetustas 6,14 ἀρχήν  certo 12,32 Ἀρχίας  (Αὖλος Λυκίνιος Ἀ.) Archias 3,4; 3,5; 8,18; 9,19; 10,25 ἄρχω (-ομαι)  ingredior 1,1 ἄρχων  princeps 1,1 Ἀσία  Asia 3,4; 5,11 ἀσκέω  colo 7,16 | exerceo 2,3; 11,28; 12,32 ἀσκηθής*  ἀσκηθέστατος eruditissimus 3,4 ἄσκησις  exercitatio 1,1 ἀσμένως  ἀσμενεστέρως libentius 11,28; ἀσμενέστατα libentissime 9,20 ἄστυ  urbs 9,21 ἀτηλέω  volo 4,6 ἀτημελέω  negligo 3,5 ἀτρεμία  tranquillitas 3,5 αὐθεντία  auctoritas 4,6; 4,8; 4,9; 12,31 Αὖλος  → Λυκίνιος αὐξάνω (-ομαι)  cresco 6,13 αὐστηρός  αὐστηρότατος severissimus 2,3 αὐτάρ  sed 2,3 αὐτίκα  statim 10,25 αὐτός  hic 6,12 | ille 6,12 | ipse 1,1; 3,4; 7,15; 9,22 | is 3,4; 3,5; 3,6 (bis); 4,8; 5,10; 6,14; 8,19; 10,24; 10,25 (ter) | ὁ αὐτός hic 1,2 | idem 3,5 (bis); 4,6; 5,11; 6,12; 7,15; 8,18; 9,21 (bis); 10,24; 11,29 | *ipse 5,11; 6,13; 7,15; 8,18; 9,19; 9,21;

10,23; 11,26 (bis); 11,29; 12,32 | is 7,16 | iste 7,15 αὐτός ὁ* idem 10,24 | αὐτοῦ suus 4,7; 4,9; 8,18; 9,20 (bis); 10,23; 10,26; 11,29 | tuus 10,24 αὐτόσε  eodem 10,23 αὐτοσχεδιαστί  ex tempore 8,18 αὑτοῦ  → ἑαυτοῦ ἀφελκύω  avoco 6,12 ἀφίημι  dimitto 11,29 ἀφικνέομαι  accedo 7,15 | pervenio 8,18 | venio 3,5; 5,9 ἀφίστημι  decedo 4,6 ἀφορίζω  segrego 2,4 Ἀφρικανός  (Πόπλιος Ἀ.) Africanus 7,16; 9,22 Ἀχιλλεύς  Achilles 10,24 ἄχρι  usque 1,1 βαρβαρότης  barbaria 8,19 βασιλικός  regius 9,21 (bis) βδελύττω  abhorreo 2,3 βεβαίωσις  confirmatio 7,15 βέλος  telum 10,23 βιβλίδιον  libellus 10,25 βίβλος  libellus 11,26 | liber 6,14; 9,21 βίος  vita 6,14; 10,23; 11,28; 11,29; 12,30 βιόω  vivo 3,6; 6,12 | (τὰ βεβιωμένα) res gestae 12,31 βοάω  (μέγα βοῶντες) clamor 10,24 βουλεία  consilium 9,21 βουλή  consilium 12,30 βούλομαι  volo 5,10 | μὴ* βούλομαι nolo 5,10 βραβεῖον  praemium 10,25 βραχέως  breviter 12,32 βρέφος  pueritia 1,1 Βροῦτος (Δέκιος Β.) Brutus 11,27 Γάϊος  → Λαίλιος → Μάριος γαληνός  tranquillus 12,30

APPENDICE 1. Indices verborum

Γάλλος   Gallus 10,25 γάρ  enim 3,5; 5,11; 6,12; 8,18; 9,20; 9,21; 11,26; 11,28 | etenim 5,10 | nam 1,1; 3,4; 5,9; 6,14; 7,16; 10,23; 10,24; 11,28 | γὰρ μέν τοι igitur 8,19 | γάρ τοι nam 9,19 γελοῖος  ridiculus 4,8 γένος  (γ. τοῦ ῥητορεύειν) genus dicendi 8,18 | τὸ τοῦ λέγειν γ.  genus dicendi 2,3 γεραίρω  celebro 6,13 γεράσμιος  praemium 10,25 γέρων  senex 7,16; 8,17 γεύω  gusto 8,17 γῆ  terra 9,21 γῆρας  senectus 3,5; 7,16 γίγνομαι  ago 8,18 | exsisto 7,15 | nascor 3,4; 10,26 | sum 1,1; 1,2; 3,5; 5,11; 7,15; 9,19; 11,28; 5,10; 5,11 | γίγνομαι ὤν* sum 5,9; 8,17 γλαφυρός  politus 12,30 γλίχομαι  cupio 10,23; 10,26 γλυκύτης  dulcedo 10,24 γνώμη  sententia 8,18 γνωρίζω  (γνωρισάμενος*) notus 3,5 Γράκχος [Γράχος]  Gracchus 6,12; 4,8 δέ  — 2,4; 3,5; 4,9; 7,15; 10,23 | ac 1,2; 5,11; 10,24 | at 9,22 | atque 3,4; 6,14; 10,24; 11,28 | autem 6,12; 6,14; 12,31 | et 3,5; 4,7; 5,9; 10,24; 11,28; 11,29 | etiam 12,31 | -que 12,3 | sed 5,11; 7,15; 11,29; 12,30 | tamen 8,17 | vero 3,6; 4,9; 6,12; 8,18; 8,19; 9,21; 11,27; 12,30 (bis); 12,31 γράμμα  littera 3,5; 4,8; 6,14 (bis); 7,15; 7,16; 8,18 γραφεύς  scriptor 6,14; 8,18; 10,24 γράφω  scribo 8,18 (bis); 10,25 (bis); 3,4; 3,5; 10,23; 10,26; 11,26

261

δεῖνα  quidam 1,2 Δέκιος  → Βροῦτος δέομαι  quaeso 2,3 δεσμός  vinculum 1,2 δέω1  devincio 3,6 δέω2  nihil esse 6,14 δή  — 6,14; 8,18 | profecto 2,4 | quidem 6,13 | tandem 6,13 δηλαδή  scilicet 5,10 δῆλος  certus 7,15 δημοσιακός  publicus 4,9 δημόσιος  publicus 2,3; 4,8 (bis) δήπου  certe 12,30 | profecto 7,16 | sane 10,23 διά  + acc. propter 2,3; 8,17; 3,5 | propterea quod 10,23 | quia 9,19; + gen. per 4,6; 10,26 (bis) διαβάλλω  criminor 5,11 διάγω  duco 12,30 διαδορατίζομαι  dimico 11,29 διαθήκη  testamentum 5,11 διάκειμαι  commoveo 10,24 διάνοια  cogitatio 6,14; 11,29; 12,30 | mens 1,1 διαπειράω  penetro 10,23 διασκέω  excolo 6,12 διασπείρω  dissemino 12,30 διάστημα  spatium 11,29; 12,30 διαστηρίζω  confirmo 8,19 διασφάττω  pugno 8,19 διασῴζω  conservo 12,31 | servo 1,1 | τὸ διασῴζειν  salus 6,14 διατελέω  obeo 6,13 | perficio 11,28 διατηρέω  adservo 5,9 διατίθημι  afficio 3,6 διατριβή  littera 6,12 διατρίβω  versor 1,1; 5,11; 12,30 διαυγνάω°  illustro 9,21 διαφθείρω  fundo 9,21 | profligo 6,14 διαχώρημα*  intervallum 4,6

262

APPENDICE 1. Indices verborum

διδασκαλία  doctrina 7,15; 8,18 δίδωμι  do 2,3; 4,7; 4,9; 5,10; 12,31 | tribuo 10,25 διισχυρίζω  confirmo 7,15 δίκαιος  δ. εἰμι debeo 1,1; τὸ δίκαιον ius 1,1; 4,6; 5,11 (bis); 8,18 δικαίως  iure 6,13 δικανικός  iudicialis 12,32 δικαστής  iudex 8,18; 8,19; 12,31; 12,32 δίκη  causa 2,3; 4,8; 12,31; 12,32 διορίζω  definio 10,23 δοκέω  videor 6,13; 8,17; 8,18; 9,19; 12,30; 12,31 δόξα  gloria 3,4; 9,19; 10,23 (bis); 11,26 | honos 9,22 δοξάζω  opinor 4,8 δρόμημα  curriculum 11,28 Δροῦσος (Μάρκος Δ.)  Drusus 3,6 δύναμαι  possum 1,1 (bis); 3,5 (bis); 4,8 (bis); 6,12 (bis); 8,17; IX 20; τὸ δύνασθαι facultas 1,2 δύναμις  facultas 6,13 | vis 8,18 δυναστεία  imperium 11,28 δυσθυμέω  ango 11,29 δυστύχημα  adversum 7,16 δωμάτιον  domicilium 4,9 δωρεάν  gratuitus 5,10 δωρέω  largio 5,10 δωρίζω  dono 3,5 δῶρον  munus 8,18 ἐάν  quod si 8,17 | si 1,1; 12,31; ἐὰν μή nisi 6,12; 10,24; si neque 8,17 ἑαυτοῦ  se 4,6 (bis); 4,8; 5,9; 10,24; 10,26; 11,26 | se ipsum 7,15; 8,17 | ipse 8,18 | suus 3,5; 6,12; 8,19; 10,24; 10,26 (bis); 11,26; 11,27 (bis) ἐάω  patior 2,3 ἐγαυτός°  egomet 6,13 ἐγγύς  ἐγγύτατος proximus 5,11

ἐγκατάλειμμα  monumentum 9,21 ἐγκρατής  ἐγκρατέστατος continentissimus 7,16 ἐγκωμιάζω  celebro 9,19 | orno 12,31 ἐγκώμιον  laus 7,15; 8,18; 10,24 ἐγώ  ego 1,1 (bis); 2,3 (ter); 2,4; 6,12 (quinquies); 6,12; 6,13 (quinquies); 6,14 (ter); 7,15 (bis); 8,18; 12,30 (bis); ἐμοῦ meus 11,28; 12,30 | μου meus 6,12; 6,14; 12,32 ἔγωγε  ego 6,14; 8,18 (ter); 11,28 ἑδώλιον  sedes 4,9 ἐθέλω  volo 11,26 ἔθνος  gens 10,23 ἔθος  consuetudo 12,32 ἔθω  soleo 4,8; 7,15 εἰ  si 3,6; 4,7 (ter); 6,12 (bis); 6,13; 10,23 (bis); 10,25; 11,29 (bis); εἰ μή 7,8; nisi 4,8; 6,12; 6,14 εἴδησις  cognitio 3,5 εἰδοποιέω  informo 3,4 εἶδος  τὸ τοῦ λόγου εἶ. genus dicendi 2,3 εἰκονογραφέω  exprimo 12,30 εἰκών  effigies 12,30 | imago 6,14 εἰμί  ago 2,3 | sum 1,1 (bis); 1,2; 2,4 (bis); 3,5 (ter); 3,6; 4,6; 4,7; 4,8 (bis); 5,9; 5,10; 5,11; 6,14; 7,15 (bis); 7,16; 8,19 (ter); 9,19 (bis); 9,21 (bis); 10,23; 10,25; 12,31 (bis)  → παρρησιαστικός εἶπον  dico 4,8 εἴρομαι  quaero 6,12 εἴρω  dico 12,32 εἰς  ad 3,4; 5,11; 9,19 | in 4,6; 5,10; 5,9; 11,29; 12,30; 12,31; 1232 εἷς  unus 5,9 εἴσοδος  aditus 11,27 εἰσφέρω  defero 5,11 | profero 6,12 εἶτα  tum 12,31 | post 3,4

APPENDICE 1. Indices verborum

ἐκ  a 6,14 | de 10,22; 10,25 | ex 3,4; 4,6; 4,9; 6,12; 6,13; 7,16 (ter); 9,22; 10,23 (bis); 10,25  → πρόνοια ἕκαστος  quisque 11,29; καθ' ἑκάστην quotidie 6,12 ἐκεῖ  ibi 3,4 ἐκεῖθεν  inde 1,1 ἐκεῖνος  ille 3,6 (bis); 4,9; 5,10; 6,13; 7,15 (ter); 7,16; 8,17; 9,19 (bis); 9,20 (bis); 9,21; 9,22; 10,24 (quater); 11,26; 11,27 | is 4,6; 5,10; 6,12 ἔκλεκτος  (ἐκλέκτατος) lectissimus 2,3 ἐκπονέω  colo 3,5 ἐκτός  (ἐ. μή) nisi 6,14 ἐλευθέριος  (ἐλευθεριώτατος) liberalissimus 7,16 ἔλεύθερος  (ἐλευθερώτατος) liberalissimus 3,4 ἕλκω  traho 11,26 Ἑλλάς  Graecia 3,4; 5,10 ῞Ελλην  Graecus 6,14 Ἑλληνικός  Graecus 3,5; 10,23 (bis) ἐλλόγιμος (ἐλλογιμώτατος) sapientissimus 12,30 ἐλπίζω  spero 2,3; 12,32 ἐλπίς  spes 12,30 ἐμαυτοῦ  ego 11,28 ἐμός  meus 12,30 ἐμποδίζω  impedio 7,16 ἐν  in + abl. 1,2; 2,3 (ter); 3,4; 4,7; 5,10; 5,11 (bis); 6,13; 6,14 (bis); 10,24; 10,25; 11,28; 10,22; 10,23; 10,25; 11,26 (bis) ἐναπόθεσις  conditio (condicio) 10,25 ἐνδέω  desum 6,13 ἕνεκα causā 10,23; 4,8 ἐνθουσιάζω  divino quodam spiritu afflor 8,18 ἐνιδρύω  insideo 11,29

263

ἔνιοι  nonnulli 1,1 Ἔννιος  Ennius 8,18; 9,22; 11,27 ἐνταῦθα  hic 3,5; 4,8 ἐντολή  praeceptum 6,14 ἐξ  ex 6,12; 9,21 ἐξαίρετος  eximius 7,15 ἐξαιτέω  flagito 4,8 ἐξαλοιφή°  litura 5,9 (bis) ἐξαμφοτερίζω  dubito 11,27 ἐξαρκέω  suppeto 6,12 ἔξαρνoς  (ἔ. εἰμι) infitior 1,1 ἐξαρπάζω  eripio 9,21 ἐξέρχομαι  excedo 3,4 ἑξήκοντα  sexaginta 4,7 ἐξῆς  (οἱ ἐ.) alii 1,1 ἐξοικίζω  eicio 10,22 ἐξορία  exsilium 6,14 ἐξουδενόω  duco parvi 6,14 ἐξοχή*  excellens 8,17 ἔξοχος  excellens 6,14; 7,15 ἑορταστικός  festus 6,13 ἐπαγγελία  professio 4,9 ἐπαγγέλλω  profiteor 4,7; 4,9 (bis); ἐ. ἐμαυτόν  profiteor 4,7 ἐπάγω  (ἐ. νόμον) fero legem 4,7 ἐπαγωγέω°  duco 11,26 ἐπαινετικόν*  laus 9,21 ἔπαινος  laus 6,14; 7,15; 9,22 ἐπαίρω  supero 3,4 ἐπάλληλος  alternus 10,25 ἐπαρχία  provincia 4,6 ἔπαρχος  praetor 2,3 (bis); 4,7 (bis); 4,9; 5,9 ἐπάρχω  (ὁ ἐπάρχων)  praetor 5,11 ἐπαφρόδισις°  venustas 12,31 ἐπειδή  quoniam 5,11; 8,18 ἐπευφημέω  approbo 10,24 ἐπί  + dat.  in + abl. 1,1 (ter); 3,5 (bis); 6,12; 11,27  + gen. in + abl. 2,3; 5,10; 5,11; 8,19; 9,22; 11,27 | ad 10,24 + acc.  ad 3,4; 6,13 (ter); 7,15 | in + acc. 4,6; 6,14; 9,22;

264

APPENDICE 1. Indices verborum

10,25 | in + abl. 6,14  → πολύς → οὗτος ἐπιβόητος  (ἐ. γίγνομαι) celebror 9,21 ἐπίγραμμα  epigramma 10,25 ἐπιγράφω  inscribo 11,26 ἐπιδείκνυμι  indico 5,11 ἐπιδημία  adventus 3,4 ἐπιεικής  (ἐπιεικέστατος) aequissimus 4,6 ἐπιθυμέω  desidero 4,8 | expeto 6,14; 9,19; 10,22; 10,25 | studeo 3,6 ἐπιθυμία  studium 3,4 ἐπικουρέω  τὸ ἐπικουρεῖν ops 1,1 ἐπιμέλεια  diligentia 5,9 ἐπιποθέω  desidero 4,8 ἐπιπρέπω  decoro 9,22 ἐπίρρυτος  affluens 3,4 ἐπιρρώννυμι  confirmo 5,11 ἐπισπέρχεια  sedulitas 10,25 ἐπιστρέφω  confero 9,19 ἐπιτήδειος  accommodatus 2,3 ἐπιτήδευμα  studium 9,19; 11,26; 12,31; 12,32 ἐπιτίθημι  adiungo 9,22 ἐπιτίμιον  praemium 3,5 ἐπιτυγχάνω  persequor 6,14 ἐπιφημίζω  celebro 3,4 ἐπιχείρημα  argumentum 6,12 ἐπιψαύω  attingo 8,17 ἐράω  diligo 8,18 ἐρημία  solitudo 8,19 ἐρίζω  contendo 819 ἕρμαιος  τὸ ἕρμαιον commodum 6,12 ἔρως  amor 8,17 ἐρωτάω  quaero 7,15; 9,20 ἔσχατος  extremus 12,30 | ultimus 1,1 ἔτι  etiam 3,5; 9,19; ἔ. καί etiam 8,17 ἔτος  annus 4,7; 4,9; 6,12

εὖ  → οἶδα εὐγένεια  nobilitas 11,26 εὐγενής  nobilis 3,4; 4,8 εὐδαίμων  (εὐδαιμονέστατος) fortunatus 10,24 εὐδοκιμάζω  comprobo 12,31 | probo 8,18; 12,32 εὐδοξία  gloria 10,24 | laus 11,26 εὔδοξος  (εὐδοξώτατος) praeditus summa gloria 5,10 εὐεξία  habitus 7,15 εὐεργεσία  beneficium 5,11 εὐεργέτημα  beneficium 12,31 εὐθύς  statim 3,5 εὐκαιρός*  intempestivus 6,13 εὐκλεής  celeber 4,4 | praeclarus 7,15 εὔκλεια  fama 3,5 εὐλάβεια  religio 4,8 εὑρίσκω  invenio 10,24 εὔρυτος*  amplus 10,23 εὐτυχία  (τὰ τῆς εὐτυχίας) res secundae 7,16 εὐφραίνω  delecto 7,16 εὐφυΐα  ingenium 3,4; 9,19; 12,30; 12,31 ἐφάπτω  accedo 6,14 ἐφέστιος  domesticus 12,31 ἐφηβία  adulescentia 3,5 ἐφίστημι (-εμαι)  adsto 10,24 ἔχω  habeo 1,2; 4,7 (bis); 4,8 (ter); 4,9; 10,24; sum 2,3; 3,5; 5,10; ἔχω εἰωθώς habeor 12,31 ζάω  (ζῶν) vivus 9,19 ζητέω  peto 7,16 | quaero 4,8 ζήτημα  quaestio 2,3 ζωή  vita 11,28; 11,29 (bis) ἤ  aut 1,1 (bis); 3,6; 5,10 (quinquies); 6,12 (septies); 9,20 | quam 3,5; 12,31; 10,23; 7,15; ἤ τοι aut 1,2 ἡγέομαι  opinor 7,16

APPENDICE 1. Indices verborum

ἤδη  iam 4,7; 5,11; 11,27; 11,28; 12,30 ἡδονή  voluptas 6,12; 6,13 ἡδύς  iucundus 9,19 ἥκιστα  minime 2,3 | ὡς ἥ. quo minus 10,23 ἥκω  venio 4,6 ἡλικία  aetas 1,1; 3,4; 7,16; ἡ πρώτη ἡ. adolescentia 6,14 ἦμαρ  dies 11,29 ἡμεῖς  nos 1,1; 1,2 (bis); 7,16; 8,17 (ter); 8,18; 8,19; 9,19; 9,22 (bis); 10,25; 11,26; 11,28; 12,30; ἡμῶν noster 6,12; 10,22; 10,24; 11,28 ἡμέρα  dies 4,7; 6,13 ἡμέτερος  noster 5,10; 5,11; 7,16; 8,17; 8,18; 9,19; 9,21 (quater); 9,22; 10,22; 10,23; 10,24; 11,29; 12,30; 12,31 ἤν  si 4,8; 6,13; 7,16 (bis) ἦπου  nonne 12,30 Ἡράκλεια  Heraclea 4,8 (bis); 4,6 Ἡράκλειος  Heracliensis 4,6; 4,8 (bis); 5,10; 10,22 ἡσυχάζω  conquiesco 6,12 ἤτε  sive 12,30 (bis) ἤτοι  atque 2,3; 11,28 ἠχέω  sono 10,26 θάλαττα  mare 9,21 θάμβος  admiratio 3,4 θάνατος  mors 6,14 θαρρέω  confido 12,32 θαυμάζω  admiror 8,18 | miror 1,2; 8,17 θαυμαστῶς  mirus 2,3 θεάω  intueor 6,14 θεῖος  divinus 7,15; 7,16; 12,31 θέλημα  voluntas 9,19 Θεμιστοκλῆς  Themistocles 9,20 θεός  deus 8,18 Θεοφάνης  Theophanes 10,24 θηρίον  bestia 8,19

265

θησαυρός  aerarium 5,11 θνῄσκω  (τεθνηκώς) post mortem 9,19 | τὸ τεθνᾶναι mors 8,17 θρησκεία  religio 4,8 θρίαμβος  triumphus 9,21 θυμός  animus 6,12 (bis); 7,15; 8,17; 11,29 θύραζε  foris 7,16 Ἴβηρ [Ἴβερος°]  Hispanus 10,25 ἰδιοποιέω  vindico 8,19 ἱερόν  templum 11,27 ἱεροποιέω  consecro 11,27 Ἰλιάς  Ilias 10,24 ἱμείρω  desidero 11,28 ἵνα  ut 6,12; 8,17; ἵ. μή ne 10,25 Ἰούλιος  Iulius 5,11 ἰσχυρός  (ἰσχυρώτατος) fortissimus 9,21; 6,14; 7,16 ἰσχύς  virtus 10,25 ἰσχύω  valeo 7,15 ἴσως  forte 1,2; 3,6 Ἰταλία  Italia 3,5; 4,7 Ἰταλιώτης*  Italicus 4,8 καθάπερ  quasi 10,24 | quemadmodum 2,3 | ut 12,30 καθάπτω  attingo 11,28 καθημέρινος  quotidianus 6,14 καθιδρύω  colloco 4,9 καθιερόω  dedico 8,19 καθικνέομαι  attingo 9,19 καθίστημι (-αμαι)  constituo 9,22; 10,22 καθομολογέω  profiteor 12,31 | fateor 7,15 καί  ac 2,3 (ter); 3,5 (bis); 4,6; 4,8; 4,9; 6,14; 7,15 (bis); 7,16 (bis); 8,17 (bis); 9,21 (bis); 11,26; 11,27; 12,30 (bis) | atque 3,4; 3,5 (ter); 6,14 (bis); 7,15 (bis); 8,18; 8,19 (bis); 9,19; 9,21 (bis); 10,26; 11,28; 11,29; 12,30 (bis); 12,31 | autem 10,22 | et 1,1; 1,2; 2,3 (quater); 3,4 (bis);

266

APPENDICE 1. Indices verborum

3,5 (quinquies); 3,6 (quinquies); 4,6 (bis); 4,7; 4,8 (quinquies); 5,9; 5,10; 5,11 (quinquies); 6,12 (bis); 6,13 (ter); 6,14 (bis); 7,15 (bis); 7,16 (ter); 8,18 (ter); 8,19; 9,19 (ter); 9,21 (sexies); 10,24; 10,25 (ter); 11,26 (bis); 11,27 (ter); 11,28 (quater); 11,29; 12,30; 12,32 (bis) | etiam 5,10; 6,14; 8,19; 9,21; 9,22 (bis); 10,24; 10,26; 11,26; 12,31 | -que 2,3; 2,4; 3,4 (bis); 3,5; 4,6; 4,8; 4,9; 5,9; 6,12; 6,14; 7,15; 7,16; 8,17; 8,18 (bis); 9,19; 9,21; 10,23; 11,26; 11,28 (bis); 11,29; 12,30 (bis); 12,31; 12,32 | quoque 6,13 | sed 10,24 | simpliciter 12,32 | tum 10,23; καὶ δή et 8,18; καὶ δὴ καί atque 6,13; καὶ μὴν καί etiam 7,15; καὶ ταῦτα* praesertim 5,10; 9,19; 10,26  → ἀλλά καινός  novus 2,3; 8,18 καιρός  tempus 3,6; 6,13 κακός  malus 10,25 (bis) καλός  τὸ καλόν honestas 6,14 καλύπτω  contego 10,24 κάματος  labor 11,29; 12,30 κάμνω  (κεκμηκώς) defessus 6,12 Κάρβων (Γάιος Παπίριος Κ.)  Carbo 4,7 καρπός  fructus 1,1; 6,12; 7,16; 10,23 κατά  + acc.  in + abl. 8,18 | per 7,15 | pro 12,32   → ἕκαστος → μικρός καταγώγιον  hospitium 3,5 καταδίκη  damnatio 5,9 κατακαίω  incendo 4,8 κατακοσμέω  exorno 11,27 | orno 9,22 καταλαμβάνω  percipio 7,16 | relinquo 6,14 καταπιέζω  deprimo 9,21

κατάρχομαι  inchoo 9,28 κατασύρω  abstraho 6,12 | detraho 11,28 κατάσχεσις  fortuna 4,9 καταφρονέω  contemno 11,26 | negligo 8,17 καταφυγή  perfugium 7,16 καταχώννυμι  obruo 10,24 κατεξομολογέομαι  confiteor 1,1; 11,28 | fateor 6,12 κατέχω  obtineo 4,9 κατήκω  pertineo 12,30 κατήχησις  praeceptum 1,1 κατοικία  domicilium 4,7 (bis) Κάτουλος (Kόιντος Κ.)  Catulus 3,5; 3,6 Κάτων (Μάρκος K.)  Cato 3,6; 7,16; 9,22 κεῖμαι  iaceo 6,14 κελεύω  iubeo 10,25 κέντρον  stimulus 11,29 κήρυγμα  praeconium 9,20 κῆρυξ  praeco 10,24 κηρύσσω  praedico 11,26 Κιλικία*  Sicilia 4,6 Κιμβρικός  Cimbricus 9,19 κίνδυνος  periculum 2,3; 6,13; 6,14; 10,23; 11,28; 12,30; 12,31 κινέω  commoveo 8,17 κίνησις  motus 8,17 (bis) κλέος  fama 3,4 | gloria 10,23; 11,26; 11,28 κληρονομία  hereditas 5,11 κλῆτος  gloria 11,29 κοινός  communis 1,2; 6,12; 9,22; ἡ κοινή respublica 12,30; τὸ κοινόν respublica 3,5 Κόϊντος  → Κάτουλος → Μέτελλος → Πῖος κοινῶς  communiter 12,32 κολλάομαι  adiungo 7,15 Κολοφώνιος  Colophonius 8,19

APPENDICE 1. Indices verborum

Κορδούβα  Corduba 10,26 κοσμέω  orno 7,16; (κεκοσμημένος) praeditus 5,10 κουφίζω  levo 12,31 Κράσσος (Πόπλιος Λικίνιος K.)  Crassus 5,11 κρατερός  fortis 10,24 κρατέω  teneo 3,6 κρίνω  iudico 3,5; 7,16 | dico 4,8; ὁ κρίνων iudex 2,3 κρίσις  iudex 4,8 | iudicium 2,3 (bis); 5,11; 6,12; 12,32 κριτής  iudex 1,1; 5,9; 6,12; 11,27; 11,28 (bis); 12,32 κυβερνάω  administro 6,14 κύβος  alea 6,13 Κυζικηνός  Cyzicenus 9,21 κυκήθρα  strepitus 6,12 κώμη  oppidum 8,19 λαβή*  manubiae 11,27 Λαίλιος (Γάιος Λ.)  Laelius 7,16 λαλέω  dico 4,8 λαμβάνω  accipio 1,1; 8,18; 12,32 | sumo 6,13 λαμπρός  illustris 7,15; (λαμπρότατος) clarissimus 9,21 λαός  populus 5,11; 9,19; 9,21 (quater); 9,22 (bis); 10,23; 10,25; 12,31 λάρυγξ  faux 9,21 Λατίνος  Latinus 10,23 (bis) Λάτιον  Latium 3,5 λατρεύω  colo 11,27 λέγω  dico 1,1; 1,2; 2,3; 4,8; 5,9; 8,18 (bis); 8,19; 10,24 λέγω (εἴλοχα)*  dico 9,20 | loquor 12,32 λεῖος*  (λειότερος) levior 6,13 Λέντουλος (Λύκιος Λ.)  Lentulus 5,9 λέξις  verbum 8,18

267

Λεύκολλος  Lucullus 3,5; 3,6; 4,6 (bis); 4,8; 5,11 (bis); 9,21 (ter); 10,26; 12,31 λίαν  nimis 11,28 | vehementer 10,23 λίθος  saxum 8,19 λιπαρός  pinguis 10,26 λόγος  oratio 6,13 | sermo 2,3 λοιδορία  convicium 6,12 Λοκρός  Locrensis 5,10 Λυκίνιος (Αὖλος Λ. Ἀρχίας) Licinius 2,4; 5,9  → Ἀρχίας Λύκιος  → Κράσσος  → Λέντουλος  → Λεύκουλλος → Φούριος Μᾶγνος (Πομπήιος M.)  Μagnus 10,24 μάθημα  disciplina 3,5 μάθησις  disciplina 1,2 μακρός  longus 4,6; μακρότερος longiusculus 10,25 μάλα  (μᾶλλον) immo 4,9 | magis 6,13 | potius 12,31; (μάλιστα) certe 10,23 | maxime 11,26 | in primis 1,1 μανθάνω  percipio 3,6 Μάξιμος  Maximus 9,22 Μάριος (Γάϊος Μ.)  Marius 3,5; 9,19; 9,20 Μάρκελλος (Mάρκος Κλαύδιος Μ.)  Marcellus 9,22 Μάρκος  → Αἰμίλιος → Κάτων → *Συλλαῖος μάρμαρον  marmor 9,22 μαρτυρία  testimonium 4,8; 12,31 (bis) μαστεύω  quaero 6,12 μαυρός  obscurus 5,11 μάχη  dimicatio 6,14 μέγας  magnus 9,21; 9,22; 10,24; 11,28 | (μέγιστος) maximus

268

APPENDICE 1. Indices verborum

3,5; 9,21; 10,23; (summus) 3,6 | μείζων* minor 10,23  → βοάω μέλλω  debeo 8,17 (bis); 11,27; 12,31 | retardo 6,12 μανθάνω  (μεμαθηκότατος) eruditissimus 2,3; 8,18 μέμφομαι  reprehendo 6,13 μέν  — 3,4; 4,9 | quidem 11,27; 11,28 | μ. γάρ  enim 4,8 | etenim 1,2 | nam 3,4 | μ. τοι itaque 9,20 | τὸ μέν … τὸ δέ cum… tum 3,5 μέρος  pars 3,4; 5,11; 12,30; 12,32 | tempus  1,1 μεστός  plenus 6,14 (ter) μετά  + gen.  cum + abl. 10,24; 5,11 (bis); 7,16; 11,28; 11,29; 12,30; 9,21; 3,6; 4,6 (bis) | + acc. post 5,9; 5,10 (bis) | οἱ μεθ᾽ ἡμᾶς posteritas 11,29  → σπουδή  → οὗτος μεταδίδωμι  impertior 5,10 μεταλλάττω  commuto 8,18 μεταπέμπω  ascisco 2,4 Μέτελλος  → Νουμιδικός → Πῖος μετέχω  μετεχόμενος particeps 10,24 μέτριος  mediocer 5,10 | (μετριώτερος) modestissimus 5,9 μετρίως  mediocriter 1,1 μέτρον  carmen 11,27 μέχρι  usque ad 12,30 | (μ. οὗ) quamdiu 5,9 | quoad 1,1 μή  ne 1,2 | non 10,25; 7,16; 8,17 (bis); 8,18 (ter); 9,20 | (μή… οὐ*) non 10,25  → τις μηδέ  ne quidem 5,10; 5,11 | nec 11,29 | neque 1,2; 6,12 (bis); 7,16 (ter); 10,26 (bis); 11,29 (bis) μηδείς  nullus 4,8; 5,10 μήποτε  numquam 7,16 Μιθριδάτης  (πρὸς τὸν Μιθριδάτην) Mithridaticus 9,21 μικρόψυχος  parvi animi 12,30

μικρός  (κατὰ μικρόν) paulo 2,3 μιμέομαι  imitor 6,14 μιμνήσκω  (τὸ μιμνήσκειν) memoria 12,30 μινυνθάδιος  brevis 11,28 μίσθωμα  merces 11,28 Μιτυλινεύς°  Mitylenaeus 10,24 μνημεῖον  monumentum 11,27 | sepulchrum 9,22 | tumulus 10,24 μνήμη  memoria 1,1; 4,8 (bis) μοναδικός  singularis 7,15 μόνον  tantummodo 5,11; 10,25  → οὐ μόνος  ipse 6,14; 8,18 | solus 4,9; 7,16 Μοῦσα  Musa 9,20; 11,27 (ter) μυσάττω  abhorreo  1,1; 11,27 μῶν  (μ. οὖν) ne 4,8 ναυμαχία  pugna navalis 9,21 νεανίσκος  adolescens 10,24 Νεαπολίτης  Neapolitanus 3,5; 5,10 νεαρός  recens 12,31 νέμω  tribuo 2,4; 6,13 νέος  adolescens 9,19 νεότης  adolescentia 7,16 νεώς  delubrum 11,27 νεωστί  nuper 8,17 νομίζω  arbitror 12,30 | existimo 3,5 | puto 4,6; 10,23 νόμιμος  legitimus 2,3 νόμος  lex 4,7 (bis); 4,8; 5,10; 5,11; 9,19; 10,22; 10,25; 12,31 νουθετέω  admoneo 11,29 νουθήτημα  hortatus 1,1 Νουμιδικός°  (Κόϊντος Μέτελλος Nομαδικός) Numidicus 3,6 νοῦς  mens 6,14; 8,18 νῦν  nunc 3,5; 12,30; 11,29 νύξ  nox 11,29 ξυγκομίζω  (ξ. ἐμαυτόν) me confero 7,16 ξυμβαίνω  contingo 3,4

APPENDICE 1. Indices verborum

ὁ, ἡ, τό  — passim | qui 2,3; 6,12; 12,31; 9,20 | ille 8,18 | ὁ μέν ille 10,22; 11,27 | qui 5,10; 10,25; 12,32 | ὁ δέ is 10,24 | τὸ δέ quod 2,4 οἶδα  scio 4,8 (bis); 12,32 | sentio 6,13 | εὖ οἶ. sentio 1,1 | οὐκ οἶ.  nescio 7,15 οἰκεῖος  (οἰκειότατος) familiarissimus 3,5; 4,7; 10,26 | amicissimus 9,21; 11,27 οἰκέω  ἡ οἰκουμένη orbis terrae 10,23; 12,30 οἴκησις  domus 3,5 οἰκία  domus 3,5; 3,6 οἴκοι  domi 7,16 οἴω  existimo 6,12 | puto 9,22 | (-ομαι)  arbitror 12,30 | existimo 12,31 | puto 2,4; 8,18; 9,20; 12,30 οἱονεί  quasi 1,2 οἷος  (οἷ. τ᾽ εἰμί*) possum 11,26 Ὀκτάβιος (Γναῖος Ὀ.)  Octavius 3,6 ὀλίγος  exiguus 1,1 ὅλος  cunctus 1,2 | totus 3,6; 9,21 (bis) ὁμαλίζω  adaequo 10,24; 11,29 Ὅμηρος  Homerus 8,19; 10,24 ὁμοίωμα  simulacrum 12,30 ὅμνυμι  (*ὁμωμοκώς) foederatus 4,7 ὅμως  tamen 7,16; 8,17; 10,24; 10,25; 10,26 | verumtamen 11,28 ὄνομα  nomen 5,9; 8,19; 9,21; 9,22; 10,24; 11,26; 11,27; 11,29 ὀνομάζω  nomino 11,26 ὄντως  vere 10,24 ὀξύς  acer 11,28 ὄπισθεν  (τὸ ὄ.)  posterus 11,29 ὁπλίζω  (ὡπλισμένος) armatus 11,27 ὁποῖός τις  quantuscumque 6,13 ὄπτομαι  video 1,1

269

ὁράω  video 4,8; 5,9; 7,16; 8,17; 8,18 (bis); 10,25; 12,31 (bis) | (-ομαι) videor 11,28 ὁρίζω  termino 11,29 ὅρκος  iusiurandum 4,8 ὁρμή  impetus 6,14 ὁρμητήριον  incitamentum 10,23 Ὁρτήσιος  Hortensius 3,6 ὅς  qui 1,1 (bis); 3,4; 3,5 (bis); 4,8 (ter); 4,9; 5,10; 6,13 (bis); 6,14; 7,15 (bis); 7,16 (bis); 9,20 (bis); 10,23; 10,25; 11,27; 11,28; 11,29; 12,31 (ter) ὅσγε°  qui 11,29 ὅσιος  sanctus 8,18; 8,19; 12,31 | (ὁσιώτατος) sanctissimus 5,9 ὅσον  quantum 1,1; 6,13 (sexies) ὅσπερ  qui 1,1; 6,13; 6,14; 8,17; 10,25; 11,26; 12,32 ὅστις  qui 8,19; 9,21; 11,28; 12,31 ὅταν  cum 5,9 ὅτι  cum 4,6; 9,19 | quia 6,12 | quod 1,2; 3,6; 6,13; 8,18; 5,10; 10,25 | tum 4,6 οὐ  non 2,3; 4,8 (bis); 5,10; 5,11; 9,21 (bis); 9,22; 11,27; 12,30; 12,31 | (οὐκ) non 1,1; 2,4 (bis); 3,5; 4,8 (bis); 4,9 (bis); 7,16; 8,19; 9,22; 10,25; 11,26; 11,27; 11,29 | (οὐχ) 11,26 | (οὐ μή*) ne 2,3 | (οὐ μóνον… ὀλλò δέ) non solum… verum etiam 3,5 | (οὐ μóνον… ὀλλò καί)  non solum… verum etiam 3,6 | non solum… sed etiam 9,22 | non modo… sed etiam  5,10 non modo… verum etiam 2,3; 9,21; 12,31 | (οὐ μóνον… ἀλλὰ δὴ καί) non solum… verum etiam 6,14 οὐδείς  nullus 5,9; 5,11; 6,12; 8,19; 11,28; 12,30 | οὐδέν nihil 4,8 (ter); 6,12; 6,14; 7,16; nullus 8,18

270

APPENDICE 1. Indices verborum

οὐδέπωτε  numquam 6,12 οὐκοῦν  ergo 8,17; 9,19 | itaque 9,22 οὖν  ergo 10,22 | igitur 5,9 | itaque 3,5; 10,25 | quare 6,13; 11,27; 12,31 | vero 12,30 οὕπου  ubi VI 12 οὐρανός  coelum 9,22 οὖς  auris 3,5; 6,12; 10,26 οὔτε  neque 6,12 (bis); 8,17; 9,20; 12,32 (bis) | (οὔ. καί)  ne quidem 1,2 οὖτος  hic 1,1; 1,2 (ter); 2,3 (quinquies); 2,4; 3,5 (quater); 4,7; 4,8 (bis); 5,9; 5,10 (bis); 5,11; 6,12 (bis); 6,13 (quater); 7,15; 7,16 (octies); 8,18 (ter); 8,19; 9,19 (bis); 9,21 (bis); 10,22 (ter); 10,23 (bis); 10,24; 10,25 (bis); 11,28; 12,30 | ille 11,26 | is 11,27; 11,28; 3,4; 4,6 (bis); 4,8; 4,9 (bis); 5,10; 5,11; 8,17; 9,20; 9,21; 9,22; 10,25 (bis); 12,31 (ter); 12,32 | qui 4,6; 8,17; 11,28; 12,31 | (μετὰ ταῦτα) postea 10,25 | (ἐπὶ τούτοις) amplius 4,8 | praeterea 8,19 | (ταύτῃ) tam 8,17 οὑτοσί  hic 4,8; 6,12; 9,22; 11,28 | is 12,31 οὕτω  ita 1,2; 6,12; 5,10; 5,11; 6,12; 12,31 | sic 8,18 (bis); 12,31 | tam 8,18; 9,20; 12,30 | οὕ. σφόδρα tantopere 6,12 οὑτωσί  sic 3,4 οὐχί  nonne 10,24 ὀφείλω  adiuvo 7,16 | debeo 1,1 | dedo 6,12 ὄψις  adspectus 6,12 παῖγμα  ludus 6,13 παιδαριώδης  puerilis 3,4 παιδεία  disciplina 1,1 | doctrina 6,12 (bis); 7,15 (ter) | (ἐς ἄκρον

τῆς π. ἐληλακώς) litteratissimus 2,3 | doctissimus 7,16 παιδεύω  instituo 8,19 | (πεπαιδευκώς*) eruditus 7,15 παιδίον  puer 3,4 πάλαι  olim 9,19 | quondam 3,4 παλαιός  vetus 8,18 παννυχίζω  pernocto 7,16 παντελῶς  penitus 1,2 πάνυ  magnopere 6,14 | multo 12,30 | omnino 8,17 Πάπιος (Γάιος Π.)  Papius 5,10 παρά  + dat.  a 1,2; 2,3; 2,4; 6,12; 8,17; 10,25; 12,31 | in + abl. 10,24 | + acc. apud 2,3 (bis); 4,7 (bis); 5,11; 8,19; 9,21; 12,31 | + gen. a 3,6; 4,6; 6,12; 8,18; 9,20; 9,21; 11,27 (bis); 12,30; 12,32 (bis) παραβαίνω  pervenio 10,23 παραβιάζομαι  violo 8,19 παράγγελμα  praeceptum 8,18 παραγίγνομαι  exsto 1,1; 10,24 | intersum 4,8 | venio 4,8 παράδειγμα  exemplum 6,14 παραδίδωμι  dedo 10,26 παραιτέομαι  hortor 11,28 | peto 10,25 | repudio 4,8 παρακινέω  moveo 8,19 παραμυθία  solatium 7,16 παρατίθημι  patior 9,20 παραφθείρω  corrumpo 4,8 παραφράσσω  vallo 9,21 πάρειμι  adsum 4,8 (bis) παρερπύζω  irrepo 5,10 παρέρχομαι  (παρεληλυθώς)  praeteritus 1,1 παρέχω  praebeo 7,16 παρίστημι (-αμαι)  consisto 8,19 παροράω  despicio 11,26 παρορμάω  concito 11,29 παρουσία  adventus 3,4

APPENDICE 1. Indices verborum

παρρησιαστικός (παρρησιαστικώτ ερός εἰμι) liberius loquor 2,3 πᾶς  cunctus 3,4 | omnis 1,1; 1,2; 3,5; 4,8; 4,9; 5,9; 6,14 (quater); 8,18; 9,19 (bis); 9,22; 11,26; 11,29; 12,30 (bis); 12,31; 12,32 | (π. ὁ βέλτιστος*) optimus quisque 11,26 πατήρ  pater 3,6; 7,16 πείθω (-ομαι)  suadeo mihi 6,14 πεμπάζω  repeto 1,1 πέρας  finis 10,23 περί  + acc. in + abl. 6,14; 9,21 | + gen.  in + abl. 12,30 | de 2,3; 3,5; 4,8 (bis); 5,10; 7,15; 8,18; 10,23 (bis); 10,26; 11,26 (bis); 11,28; 11,29; 12,32 (ter) περιβοάω  celebro 9,20 περιγράφω  circumscribo 11,29 περιέργως  accurate 8,18 περιπλέκω  contineo 10,23 περιπόρφυρος  praetextatus 3,5 πηγή  fons 6,13 πινακοδοχεῖον°  tabularium 4,8 πίναξ  tabula 4,8 (bis); 4,9 (bis); 5,9 (ter); 5,10; 12,31 Πῖος (Κόιντος Καικίλιος Μέτελλος Π.)  Pius 3,6 | Quintus Metellus Pius 4,7; 5,9; 10,26; 12,31 πιστεύω  credo 5,10; 10,25 (bis) πίστις  fides 4,8 (bis); 5,9; 12,31 πλάζω*  simulo 3,6 πλῆθος  copia 10,25 | frequentia II 3 πλήν  nisi 6,14 | praeter 11,28 πληρόω (-ομαι)  plenus sum 3,5 Πλόκιος  → *Συλλαῖος πνεῦμα  spiritus 12,30 ποιέω  facio 10,22; 10,25; 11,28; 5,11 ποιητής  poeta 2,3; 8,18 (bis); 8,19 (bis); 9,19; 10,25; 10,26; 11,27 (bis) ποικιλία  varietas 6,12; 9,21

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πολεμίζω  bello 11,27 πολέμιος  hostis 9,21 πόλεμος  bellum 4,8; 9,21 (bis) πόλις  civitas 3,5; 4,6 (bis); 4,7 (bis); 4,8; 4,9; 5,10 (quater); 5,11; 10,22; 10,24; 10,25; 10,26 | municipium 4,8; 12,31 | oppidum 3,5 | urbs 3,4; 11,27; 11,28 πολιτεία  respublica 6,14; 11,28 πολιτεύω  gero me pro cive 5,11 πολίτης  civis 2,4 (bis); 5,11 (bis); 8,19; 10,25; 11,28 | municipium 5,10 πολλάκις  saepe 5,11; 8,19 | saepius 7,15 πολύς  magnus 8,18 | multus 4,7; 5,10; 6,14 (ter); 7,15; 9,21; 10,22; 10,24; 10,26; 12,30 | permultus 8,19  | ἐπὶ πολύ*  prope 7,15 πόνος  labor 9,20; 10,23; 11,28 (bis) Πόντος  Pontus 9,21 πορεύομαι  adeo 5,11 | proficio 1,1 πόρρω  (πορρωτάτω)  longissime 1,1 ποσάκις  quotiens 8,18 (ter) ποτε  aliquando 1,1 | quondam 9,21 | umquam 1,2; 6,12; 8,19 πρᾶγμα  negotium 12,31 | res 1,1 (bis); 2,3; 4,9; 6,12; 6,13; 8,18 (bis); 8,19; 9,22; 10,23; 10,24; 11,28 πραγματεύω  tracto 2,3 πραότης  benignitas 8,18 πράττω  ago 4,8 | gero 3,5; 10,23; 9,20; 11,28; 12,30 (bis) πρέσβυς  legatus 4,8 πρό  + gen.  ante 4,9 | + dat. prae 11,26 προαισθάνομαι  praesentio 11,29 προβάλλω  obicio 6,14 | propono 6,14 πρόγονος  (οἱ πρόγονοι) maiores 10,22

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APPENDICE 1. Indices verborum

προκατακηρύττω°  praedico 9,20 προκηρυξία°  praedicatio 11,26 προκηρύσσω  praedico 9,21 προκομίζω  fero 11,26 πρόνοια  (ἐκ προνοίας) cogitate 8,18 πρόπαππος  proavus 9,22 πρός  + acc.  cum 11,27; ad 3,5; 4,8; 5,9 (bis); 6,14 (bis); 6,12; 7,16; 9,19 | in + acc. 6,12 | + dat. ad + acc. 12,30 | in + abl. 8,17 | πρὸς ταῦτα* item 9,20 προσαγορεύω  appello 8,18 | dico 12,3 πρόσγειος  humilis 5,10 προσγράφω  adscribo 4,7; 4,8 (bis); 5,10 | scribo 5,10 προσδέχομαι  accipio 12,31 προσδοκία  expectatio 3,4 (bis) προσέχω  attendo 8,18 προσπαραγράφω°  adscribo 4,6 πρόσταγμα  mandatum 4,8 προστάσσω  impero 9,21 προσφέρω  affero 6,12 | (π. ἐμαυτόν) confero me 3,4 πρόσωπον  persona 2,3 πρῶτος  primus 3,5; 5,11 | (πρῶτον) primum  → ἡλικία πρώτως  primum 3,5 πωλέω  vendo 10,25 πώποτε  (οὐ π.) numquam 6,13; 6,14 ῥᾳδίως  facile 9,20 ῥαψῳδός  poeta 10,25 Ῥηγῖνος  Rheginus 3,5; 5,10 ῥήγνυμι  (ῥ. ἐμαυτόν) frango me 11,29 ῥητορεύω  dico 6,12 ῥόθος  impetus 9,21 Ῥούδιος  Rudius 10,22 Ῥωμαῖος  Latinus 6,14 | Romanus 5,11 (bis); 9,19; 9,21 (quinquies);

9,22 (bis); 10,25; 12,31 | (οἱ Ῥωμαῖοι) populus Romanus 2,3 Ῥώμη  Roma 3,5 (bis); 4,9 (bis) | Ῥώμῃσι Romae 4,7 ῥώννυμι  valeo 8,18 Ῥώσκιος  Roscius 8,17 Σαλαμινεύς°  Salaminius 8,19 σεαυτοῦ  idem 5,8 σεβάζω  colo 3,6 σέλας  lumen 6,14 σεμνός  gravis 7,15 | honestus 11,28 Σιγεῖον°  Sigaeum (Sigeum) 10,24 σιωπάω  taceo 4,8 σκηνικός  scaenicus 5,10 Σκιπίων  Scipio 9,22 σκληρός  durus 8,17 σκληροτέρως  (σ. ἔχω) durior (scil. sum) 9,19 σκορπίζω  spargo 12,30 σκότος  tenebra 6,14 σμικρός  exiguus 10,23; 11,28 Σμυρνεύς°  Smyrnaeus 8,19 σοφός  sapiens 6,14 σπονδή  foedus 6,6 σπουδάζω  (τὸ σπουδάζειν) studium 1,1 σπουδή  studium 1,1; 1,2; 2,3 (bis); 3,4; 3,5 (bis); 6,12; 6,13 (bis); 7,16 (ter); 8,18; 9,19 | μετὰ τῆς σπουδῆς studiose 12,30 στίχος  versus VIII 18 IX 20 X 23 X 25 XI 28 στόλος  classis 9,21 στόμα  os 9,21 στράτευμα  exercitus 9,21 στρατηγέω  (ὁ στρατηγέων) dux 9,21 | imperator 10,25 στρατηγός  dux 9,21 | imperator 5,11; 11,27 (bis); 12,31 στρατιώτης  miles 10,24 στρατός  exercitus 5,11

APPENDICE 1. Indices verborum

στρυφνότης  acerbitas 12,31 στυφελός  difficilis 9,21 σύ  tu 4,8; 5,11; 6,12; 7,15 συγγένεια  cognatio 1,2 συγγνώμη  venia 2,3 συγγραφεύς scriptor (rerum) 10,24 συγχωρέω  concedo 2,4; 6,13 | impetro 10,26 σύδην  celeriter 3,4 Συλλαῖος* (Μάρκος Πλόκιος Σ.)  Silvanus 4,7 Σῦλλα  Sylla (Sulla) 10,25 σύλλογος  collegium 4,9 | concio (contio) 10,24 συμφορά  calamitas 5,9 σύν  cum 4,8; 11,29  → ἑαυτοῦ συνάπτω  adhibeo 3,5 συνδοκιμάζω  comprobo 12,31 συνδρόμησις°  concursus 2,3 συνεστία  convivium 6,13 συνέχω  contineo 1,2 συνήθεια  consuetudo 2,3; 3,6; 12,32 συνίστημι  commendo 8,18 σύνοδος  conventus 2,3 συντάττω  consto 8,18 σύστασις  commendatio 12,31 σύστημα  (τὰ συστήματα) copiae 9,21 συστρατεύω  (ὁ συστρατεύων) comes 11,27 συσχηματίζω  conformo 1,1 σφαῖρα  pila 6,13 σφόδρα  (σφοδροτέρως) vehementius 3,5 σφῶν  suus 6,13; 8,19 (bis) σχεδόν  fere 10,23 | prope 1,1; 2,3; 11,27 σχηματίζω  conformo VI 14 σχολάζω  (σχολασθείς*) otiosus 12,30

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σχολή  otium 2,3; 6,12 σῴζω  conservo 9,21 σῶμα  corpus 6,13; 6,14; 8,17; 10,24; 12,30 σωτηρία  salus 1,1; 11,27; 11,28 σώφρων  moderatus 7,15 | (σωφρονέστατος) modestissimus 7,16 ταμίας  quaestor 5,11 Ταραντῖνος  Tarentinus 3,5; 5,10 ταράσσω  commoveo 5,9 τάφος  tumulus 10,24 τάχα  fortasse 11,28 ταχύ  ὡς τάχιστα  ut primum 3,4 τε  atque 7,15; 8,18 | et 1,1; 3,5; 3,6 (bis); 6,14; 8,18; 9,19; 10,23 (bis); 12,30 τελαυταῖος  τὸ τελευταῖον denique 6,12 τελευτάω  morior 12,30 τέλος  denique 2,3; 6,13; 9,22 τέμενος  delubrum 8,19 Τένεδος  Tenedus 9,21 τερπνός  iucundus 3,6 τέρπω  (-ομαι) delector 6,12; 12,30 | oblecto 7,16 τέρψις  delectatio 7,16 τέχνη  ars 1,1; 1,2; 3,4; 3,5; 5,10; 8,17; 8,18 τεχνίτης  artifex 5,10 τηβεννοφόρος  togatus 11,27 τηλικοῦτος  tantus 12,31 τιμή  honor 3,6; 11,27 τιμητής  censor 5,11 τιμώρημα  cruciatus 6,14 τις  aliqui 1,1; 5,10; 8,18; 10,25 (bis); 12,30 | aliquis 3,6 | qui 1,1; 3,6; 4,7; 6,12; 6,13 (ter); 9,20; 12,31 | quidam 1,2 (bis); 2,3; 7,15; 10,24; 10,26; 11,28; 11,29; 12,30 | quis 1,1; 1,2; 2,3; 7,15; 8,15 (bis); 10,23; 10,25 | quispiam 7,15 | quisquam

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APPENDICE 1. Indices verborum

9,20 | μή τι nihil 11,29  → τρόπος τίς  quis 4,8; 5,10 (bis); 6,12; 11,28; 8,17; 9,20; 10,24; 10,26 | τίνος ἕνεκα cur 6,12 τοι  → ἤ τοιοῦτος  eiusmodi 2,3; 12,31 τόπος  locus 3,4; 7,16 τοσάκις  toties 11,29 τόσος  tot 6,14 τοσοῦτος  tantus 2,3; 5,9; 6,12 (bis); 6,14; 7,16; 8,17; 11,28; 11,29; 12,31 | tot 4,9; 6,12; 11,29 | τοσοῦτον tantum 6,13 | ἐς τοσοῦτον usque eo 10,26 τοσούτως°  tam 11,28 (bis) τότε  illis temporibus 7,16 | tum 3,5 (bis); 5,11; 7,15; 8,18 | tunc 3,5; 10,25 τρέπω (-ομαι)  versor 9,21 τρέφω  alo 7,16 τρόπαιον  trophaeum 9,21 τρόπος  modus 4,8 | ratio 1,1 (bis); 7,15; 8,18 | τινὰ τρόπον quasi 8,18 | τ. τοῦ λέγειν ratio dicendi 1,2 τυγχάνω  exsto 7,15 | nanciscor 3,5 | possum 10,25 | sum 4,8; 9,20 | τ. λεξάμενος  dico 5,9 | τ. ὤν sum 6,13 τύχη  fortuna 10,24 ὑβρίζω  violo 12,31 υἱός  filius 3,6 (bis) ὑμεῖς  vos 2,3 (ter); 2,4; 8,19; 11,28 (bis); 12,31 (bis); 12,32 | ὑμῶν vester 2,3; 6,14; 8,18; 12,31 (bis) ὑμέτερος  vester 12,31 (bis) ὑμνίζω°  laudo 9,22 | fero 9,21 ὕπαρξις  opes 9,21 ὑπάρχω  sum 12,31 ὑπατεία  consulatus 11,28

ὑπατεύω  consul (scil. sum) 3,5; 5,11 ὕπατος  consul 3,5 ὑπέρ  pro 2,3; 6,14; 11,28 (bis) ὑπερβάλλω  antecello 3,4 ὑπερφυῶς  eximie 9,20 ὕπνος  somnus 6,12 ὑπό  a 1,1; 3,6; 9,21; 10,26 ὑποβάλλω  subicio 10,25 ὑποδέχομαι  recipio 3,5; 10,22 | suscipio 1,1 ὑφίημι  concedo 6,13 ὑφίστημι  mando 9,20 ὕψι  (ὕψιστος) summus 11,27 φανερός  (φανερώτατος) clarissimus 5,11 φανίζομαι  prodor 7,15 φάσκω  dico 4,8 φαυλότης  levitas 5,9 φέρω  fero 1,1; 6,12 φεύγω  (ὁ φεύγων) reus 2,3 φήμη  fama 9,21; 10,23 φημί  aio 9,20 | dico 4,8 | inquam 10,24 φθέγγομαι  contendo 7,15 | dico 4,8 | feror 9,21 φιλανθρωπία  humanitas 2,3 (bis); 3,4; 12,31 φιλανθρωπικός  qui ad humanitatem pertinet 1,2 φιλάνθρωπος (φιλανθρωπότατος) humanissimus 7,16; 8,19 φιλέω (-ομαι)  soleo 3,4; 5,10 φιλοδοξία  amor gloriae 11,28 φιλονεικία  contentio 6,12 φίλος  amicus 6,12; 6,13; 12,31 φιλόσοφος  philosophus 11,26 Φούλβιος (Μάρκος Φ.)  Fulvius 9,22; 11,27 Φούριος (Λύκιος Φ.)  Furius 7,16 φροντίς  cura 11,29

APPENDICE 1. Indices verborum

φύσις  ingenium 3,5; 5,10; 9,20; 9,21 | natura 3,5; 7,15 (quater); 8,18; 9,21 φωνή  vox 1,1; 6,14; 8,19 (bis); 9,20 φῶς  lux 6,12 χαλάω  relaxo 6,12 χαλεπός  molestus 2,3 χαλεπῶς  difficile 7,15 χαρίζω  dono 10,24; 10,25 (bis); 10,26 χάρις  gratia 4,6 χάρισμα  donum 8,18 χαυνόω  flecto 8,19 χείρ  manus 9,21; 10,23 Χῖος  Chius 8,19 χορηγέω  suppedito 6,12 χράομαι  utor 2,3; 8,18; 5,10 | *uti 2,3

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χρή  convenio 12,31 | debeo 10,23 χρόνος  spatium temporis 1,1 | tempus 7,16; 11,29 | πάντα τὸν χρόνον semper 5,10; 12,31 (bis) χώρα  regio 10,23; 11,29 ψυχή  animus 6,12; 6,13; 6,14; 7,16; 8,17; 11,29; 12,30 (bis) ὦ  o 10,24 ᾧ  quo 1,1 ᾠδή  cantus 8,19 ὠκύτης  celeritas 8,17 ὡς  ad 6,13; 7,15; 7,16 | quam 1,1; 6,14; 10,24 | ut 2,3; 3,5; 6,9; 6,12; 7,16; 10,25; 11,28; 12,31  → ἥκιστα  → ταχύ ὡσοῦτος°  quantus 12,31 ὥστε  itaque 8,19 | quare 8,18; 9,21; 10,23 | ut 3,4; 8,18; 10,26; 12,30

APPENDICE 2. Riproduzioni*

 

*

L’esemplare è qui parzialmente riprodotto per gentile concessione della Biblioteca dell’Accademia Polacca delle Scienze (PAN) di Danzica (segnatura: Cc 118723 adl. 5). Tutti i diritti riservati.

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APPENDICE 2. Riproduzioni

 

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INDICE DEI NOMI A Accame Lanzillotta, Maria  42, 226 Accio, Lucio  38 Agostino d’Ippona  40 Agricola, Rudolf  80 Alardo di Amsterdam  81 Albrecht, Michael von  77, 225 Alcuino 211 Aleandro, Girolamo  53 Aleksy z Jeżowa  53 Alessandro d’Afrodisia  28 Alessandro il Grande  161 Alpers, Klaus  211, 237 Altman, William  77, 78, 234 Ammonio di Alessandria  28 Anastasio di Korsun (Anastazy Korsunianin) 48 Andrysowic, Łazarz  60 Antoni z Napachania  53 Archia, Aulo Licinio  74–76, 78, 102, 103, 106, 107, 109, 115, 118, 122, 141, 143, 149, 158, 160, 163, 164, 174, 179, 181, 183, 192, 207, 241, 249 Areopagita, Pseudo-Dionigi  30 Argiropulo, Giovanni  32, 51 Aristippo, Enrico  41 Aristotele  28, 30, 32–34, 41, 46, 71, 137, 217, 221 Arnold, Balthasar  81 Arpinate, v. Cicerone Arpocrazione 213 Attico, Tito Pomponio  75, 147 Augusto, Ottaviano  45 Aurispa, Giovanni  30 Awianowicz, Bartosz  15, 56, 57, 81, 82, 123, 228, 233 Axer, Jerzy  73, 228

B Babicz, Sergiusz  69, 228 Bacon, Roger  28, 234 Bakelants, Louis  53, 233 Baldassarri, Stefano Ugo  37, 226 Barlaam  25, 29 Baron, Hans  42, 222 Barycz, Henryk  50–52, 54–56, 63, 65, 66, 228 Basile, Nicola  101, 108, 122, 129, 132, 142, 146, 148, 165, 173, 180, 187, 199, 202, 235 Basilio di Cesarea  30 Basilio II, imperatore d’Oriente  48 Bentein, Klaas  186, 187, 225 Beroaldo, Filippo (il Vecchio)  51 Berschin, Walter  26–28, 233 Berti, Ernesto  17, 42–44, 226 Bertonati, Giovanna  74, 221 Bertotti, Tullio  132, 143, 236 Bessarione  30, 33, 44, 46 Bianconi, Domenico  44–47, 227 Błaszczyk, Leon Tadeusz  72, 228 Bobrykowicz, Józef  70, 232 Boccaccio, Giovanni  25, 26, 29 Boezio, Anicio Manlio Torquato Severino  25, 40, 41, 46 Bogucka, Maria  66, 232 Bolesław Chrobry, re di Polonia  48 Borawska, Danuta  47, 228 Borowski, Andrzej  228 Botley, Paul  31, 32, 44, 46, 47, 52, 213, 214, 233 Boyd, William  36, 233 Braida, Ludovica  33, 36, 233 Browning, Robert  169, 184, 225 Brückner, Aleksander  50, 54, 56, 58, 228

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INDICE DEI NOMI

Brugmann, Karl  211, 225, 235 Bruni, Leonardo  19, 29, 30, 42, 44, 222 Budé, Guillaume  24, 69, 72, 214 Buonaccorsi, Filippo  49, 50 Burgundio di Pisa  41 Burnet, John  154, 223, 235 Burski, Adam  74 Bussi, Gianandrea  80 C Calcidio 40 Caleca, Manuele  46 Calliergi, Zacaria  33 Camerarius, Joachim  24, 36 Canart, Paul  96, 233 Carbone, Lodovico  80 Carlo Magno  73, 211 Caterina II la Grande, zarina  69 Catilina, Lucio Sergio  76 Catullo, Gaio Valerio  38 Cavallo, Guglielmo  26, 45, 211, 227, 233 Ceccherelli, Andrea  59, 229 Celtis, Conrad  19, 50, 227 Cencio de’ Rustici  44 Certaldese (v. Boccaccio)  29 Cezary, Franciszek  9, 60, 80, 85 Chadzinikolaou, Ares  48 Chantraine, Pierre  124, 125, 131, 139, 156, 236 Chiesa, Paolo  37, 40, 227 Chodynicki, Ignacy  65, 69, 237 Ciccolella, Federica  27, 31, 45, 46, 52, 53, 136, 233 Cicerone, Marco Tullio  9, 29, 38, 40, 41, 44–46, 47, 55, 57, 60, 71, 73–78, 81, 85, 99, 106, 109, 117, 120, 124, 126, 127, 129, 131, 138, 140, 143, 147, 149, 160, 164, 170, 174, 179, 181–183, 221 Ciołek, Erazm  51

Ciriaco d’Ancona  30 Claretti de’ Cancellieri, Costantino  50, 51, 61, 62 Clark, Albert Curtis  78–80, 182, 221 Clenardus, Nicolaus  52, 53, 184, 235 Cluverius, Philippus (Philipp Klüver) 158 Cohn, Leopold  211, 213, 225 Columella, Lucio Giunio Moderato 45 Conley, Thomas  15, 229 Considine, John  211 Contini, Gianfranco  18 Copernico, Niccolò  60 Cornelio Lentulo, Gneo  120 Cortesi, Mariarosa  17, 25, 29–31, 42–44, 58, 226, 227, 233 Cranz Ferdinand, Edward  43, 237 Crastone, Giovanni (Crastonus)  52, 105, 114, 133, 159, 172, 174, 212, 213, 225 Crisolora, Manuele  29, 31, 32, 34, 43, 44, 234 Crisostomo, Giovanni  30, 41 Cytowska, Maria  80, 82, 189, 229 Czepel, Mikołaj  51 Czerniatowicz, Janina  15, 16, 50–54, 59–64, 86, 219, 222, 229 D Damila, Demetrio  33 Danysz, Antoni  55, 57, 229 Darete Frigio  29 Dasypodius, Petrus  63, 65, 215, 236 De Keyser, Jeroen  79, 90, 160, 225 De Nolhac, Pierre  52, 62, 233 Debrunner, Albert  129, 186, 208, 235, 236 Decembrio, Umberto  29 Delaruelle, Louis  212, 213, 225 Demetrio Cidone  33, 46, 50

INDICE DEI NOMI

Demostene  30, 34, 38, 42, 52, 53, 55, 61, 62, 66, 181, 208, 217, 226 Deneire, Tom  79, 160, 225 Denniston, John Dewar  128, 135, 160, 222, 225 Devréesse, Robert  131, 233 Dione Cassio  169 Dionisio Trace  31 Dionisotti, Carlo  24, 33, 214, 233, 235 Dionisotti, Carlotta  211, 212, 226 Ditti Cretese  29 Długosz, Jan  50 Długosz, Teofil  70, 232 Dobrocieski, Mikołaj  55 Dolet, Étienne  43 Domański, Juliusz  37–41, 50, 58, 227, 229 Donato, Elio  31 Draski, Adam  56, 60, 67 Du Bellay, Joachim  43 Du Cange, Charles  156, 211, 212, 214, 226, 236 Dubrowski, Peter  69 E Ecolampadio (Oecolampadius)  52 Eliodoro di Emesa  62, 67 Ellis, Rod  115, 227 Elyot, Thomas  81, 222 Ennio, Quinto  38, 90, 145, 156, 157, 171, 197, 203 Epifanio di Salamina  58 Erasmo da Rotterdam  26, 34–36, 61, 81, 184, 214 Ercole 9 Erodiano 213 Erodoto  34, 61 Eschilo 34 Eschine  38, 208 Esichio di Alessandria  114, 115, 117, 123, 213, 215

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Esiodo  34, 53, 212 Esopo 32 Estreicher, Karol  64, 66, 85, 86, 237 Euripide  34, 175, 223 Eustazio di Tessalonica  213 Eutropio 45 F Felkietówna, Katarzyna  65 Ferenc, Marcin  55, 229 Ferri, Rolando  18, 19, 191, 227 Fiaschi, Silvia  43, 227 Ficino, Marsilio  19 Fijałek Jan  63, 229 Filelfo, Francesco  30, 32, 51 Filopono, Giovanni  28 Filostrato 34 Folena, Gianfranco  37, 42, 227 Franckenberger, Andreas  82 Freddi, Giovanni  167, 227 Frick, David  69, 229 Froben, Hieronymus  60 Furlan, Francesco  43, 227 G Gaffiot, Félix  74, 76, 77, 79, 162, 175, 182 Gaj, Beata  81, 229 Galeno, Claudio  63, 165 Gallo, Bernardino  28, 51, 140 Gara, Katarzyna  15 Garamond, Claude  60 Garatoni, Gaspare  79, 92, 94, 122, 182 Gaza, Teodoro  19, 32, 46, 52, 213, 224, 239 Gellio, Aulo  39 Gellio Poplicola, Lucio  120 Genette Gérard  37 Gerolamo di Stridone  26, 30, 39, 40, 42, 44, 47, 233

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INDICE DEI NOMI

Gesner, Conrad  63, 117, 122, 141, 144, 152, 154, 176, 215, 236 Giedroyć, Franciszek  65, 229 Giovanni di Damasco  30, 41 Giovenale, Decimo Giunio  46 Giugurta 108 Giulio Cesare, Lucio  120 Gloger, Zygmunt  65, 237 Gmiterek, Henryk  65, 230 Górski, Jakub  54 Gow, Andrew Sydenham Farrar  75, 221 Graff, Tomasz  55, 230 Grazzio (Grattius, Gracchus) 78, 111, 246, 261 Gregorio di Nazianzo  34, 63 Gregorio Magno  45 Gretser, Jakob  53 Grossatesta, Roberto  28, 41 Grynaeus, Simon  214, 215, 236 Grzegorz z Sanoka  50 Grzegorz z Szamotuł  54 Grzepski, Stanisław  63, 67, 223 Guarino Veronese  32, 52, 61 Guglielmo di Moerbeke  28, 41

Horrocks, Geoffrey  141, 235 Hozjusz, Stanisław  60 Humbert, Jean  117, 235 Hutten, Ulrich von  34, 36, 223

H Halecki, Oskar  48, 232 Haller, Jan  60 Hamesse, Jacqueline  26, 212, 226, 233 Hammer, Seweryn  63, 72, 230 Harlfinger, Dieter  24, 233 Harris, John  27, 233 Hedericus, Benjamin  101, 237 Hegendorfer Christoph  52, 54, 62 Helander, Hans  23, 233 Herbest, Benedykt  80 Herburt, Jan Szczęsny  58 Hess, Philipp Carl  47, 222 Hilfstein, Erna  65, 230

K Kaldellis, Anthony  45 Karcan, Jan  60 Kasten, Helmut  79, 80, 96, 122, 155, 175, 182, 221 Kazimierz Wielki, re di Polonia  49 Kempa, Tomasz  58, 232 Klibansky, Raymond  28, 40, 233 Klonowic, Sebastian Fabian  69 Klotz, Alfred  175, 182 Knapiusz, Grzegorz (Knapski, Cnapius)  63, 64 Knochenhowern, Johannes  82 Kochanowski, Jan Karol  58, 59, 230 Kochowski, Wespazjan  66, 230

I Ierocle di Alessandria  85 Ingram, William  96, 226 Ippocrate 63 J Jakub z Ujścia  54, 63 Jan Kazimierz, re di Polonia  66 Jan z Trzciany  53 Jannaris, Antonius Nicholas  100, 187, 235 Janocki, Jan Daniel  68, 237 Januszowski, Janusz  60 Jobert, Ambroise  51, 230 Jocher, Adam Benedykt  65, 68, 80, 230 Jones, Horace Leonard  75, 158, 224, 237 Juszyński, Michał Hieronim  65, 69, 237

INDICE DEI NOMI

Kollinger, Karol  48, 232 Korhonen, Tua  18, 24, 234 Kramer, Gustav  158, 224 Kraye, Jill  78, 234 Křesadlo, Jan  25, 223 Kristeller, Paul Oskar  30, 33, 43, 234, 237 Kromer, Marcin  54, 60 Kruk, Mirosław Piotr  49, 232 Kückelhahn, Louis  81, 234 Kuczara, Konrad  57, 232 Kühner, Raphael  151, 157, 184, 185, 235, 236 Kulwieć Abraham  54 L Labuda, Gerard  48, 49, 232 Lapo da Castiglionchio  79 Lascaris, Costantino  32, 33, 52, 58, 235 Latalski, Jan  51, 52 Lattanzio, Firmiano  29 Lausberg, Heinrich  167, 226 Legrand, Émile  26, 237 Lelio, Gaio  76 Łempicki, Stanisław  50, 58, 73, 230 Leone X  36 Lepri, Valentina  58, 85, 232 Lepszy, Kazimierz  50, 231 Leto, Pomponio  51, 52 Libanus, Jerzy  53, 54, 59, 60, 62 Licinio Crasso, Publio  121 Lipski, Andrzej  60 Livio Andronico  37 Lizelius, Georgius  24, 234 Lossius, Lucas  52 Loth, Roman  64, 238 Lubrański, Jan  51, 52, 61 Lucaris, Cirillo  57, 58 Luciano  30, 61–63, 67 Lucullo, Lucio  75, 78, 91, 109, 119–122, 152, 153

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Lucullo, Marco Terenzio Varrone  75, 91 Ludwig, Walter  25, 234 Luisa Maria Gonzaga, regina di Polonia 66 Luisi, Aldo  76, 225 Lundström, Sven  191, 227 Lutazio Catulo, Quinto  106 Lutero, Martin  34, 36, 39, 43 M Macrobio, Ambrogio Teodosio  46 Mączyński, Jan  63, 237 Madvig, Johan Nicolai  182 Madyda, Władysław  54, 65, 73, 74, 230 Maisano, Riccardo  26, 29, 234 Malicki, Marian  86, 238 Malinowski, Gościwit  16 Manetti, Giannozzo  37, 44, 226 Manteuffel, Tadeusz  47, 228 Mantzillas, Dimitris  74 Manuzio, Aldo  33, 34, 51, 62, 213, 233, 234 Manuzio, Paolo  73 Marcio Filippo, Lucio  120 Marinelli, Luigi  48, 59, 229, 231 Mario, Gaio  75, 106, 149, 151 Marrou, Henri-Irénée  27, 40, 45, 234 Marsh, David  82, 234 Marycjusz, Szymon (Maricius)  54 Mastronarde, Donald  208, 235 Matilde di Lorena  48 May, John  27, 74, 235 Mazurkiewicz, Karol  51, 54, 230 McLaughlin, Martin  77, 78,  234 Meineke, August  158, 224 Mela, Antonius  62 Melantone, Filippo (Philipp Melanchthon, Philipp

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INDICE DEI NOMI

Schwarzerd)  24, 25, 34, 36, 53, 62, 80, 184 Melezio di Ioannina  57, 169, 238 Metello Numidico, Quinto Cecilio 107 Metello Pio, Quinto Cecilio  75, 78, 166–168, 205 Metzler, Ioannes  52, 61 Meursius, Johannes  214 Michałowska, Teresa  48, 73, 238 Mieszko I, re di Polonia  49 Mieszko II, re di Polonia  48 Milewska-Waźbińska, Barbara  10, 15, 61, 230 Mironowicz, Antoni  49, 57, 58, 70, 232 Mitridate VI  75 Montanari, Franco  130, 172, 237 Montelupi, Dominik  66, 67 Morawski, Kazimierz  50, 54, 73, 230 Mosco 60 Mrozowska, Kamila  56, 230 Muczkowski, Józef  65, 230 Musuro, Marco  33 Mylius, Martin  81, 223 Mymer, Franciszek  61 N Nadolski, Bronisław  50, 53, 57, 58, 230 Narducci, Emanuele  74, 77, 91, 111, 160, 165, 183, 221 Navagero, Andrea (Naugerius)  79, 94, 148, 162, 173 Nergaard, Siri  36, 37, 39–42, 227 Nering, Melchior  60 Neue, Friedrich  157, 236 Nidecki, Andrzej Patrycy  73, 230 Nikitas, Dimitrios  44, 45 Nowicka-Jeżowa, Alina  73, 228 Nowodworski, Bartłomiej  55, 230 Nowopolczyk, Wojciech  53

O Ocello Lucano  85 Odoacre, principe barbaro  27 Oleśnicki, Zbigniew  50 Olszaniec, Włodzimierz  16, 19, 37, 39, 227 Omero  9, 25, 32–34, 53, 54, 59, 146–148, 150, 161, 212, 213 Opatowski, Adam  71 Orazio Flacco, Quinto 9, 29, 38, 39, 40, 45 Orgelbrand, Samuel  64, 238 Orlandi, Giovanni  33, 234 Orzechowski, Stanisław  63 Ostrogski, Konstanty Wasyl  58 Otto, Maria  82, 85, 228 Ottone II, imperatore romano  48 Otwinowska, Barbara  73, 238 Ovidio Nasone, Publio  9, 39 P Pacuvio, Marco  38 Page, Denys Lionel  75, 221 Päll, Janika  15–17, 53, 184, 226, 234 Pannartz, Arnold  80 Pape, Wilhelm  102, 158, 238 Parravicino, Dionigi  33 Pawłowicz, Tomasz  53 Perperna, Marco  120 Petau, Denis  47, 72 Petrarca, Francesco  9, 25, 26, 29, 77–79, 223 Pfefferkorn, Johannes  34, 36 Piacentini, Marcello  48, 231 Pietrzyk-Reeves, Dorota  73, 232 Pigas, Melezio  57 Pilato, Leonzio  26, 29 Piotr z Gorczyna  54 Piotrkowczyk, Andrzej  60 Pirożyński, Jan  61, 231 Pisani, Vittore  157, 236 Planude, Massimo  46

INDICE DEI NOMI

Platone  25, 28, 30, 33, 34, 41, 46, 71 Plauto, Tito Maccio  38 Pletone, Gemisto  30 Plezia, Marian  63, 73, 74, 231 Plinio il Giovane  39 Plozio Gallo, Lucio  151 Plutarco  30, 32, 34, 61, 151, 213 Polibio 168 Poliziano, Angelo  24, 32, 33 Polluce, Giulio  34, 116, 213, 215 Pompeo, Gneo  76, 77, 162, 163 Pontani, Filippomaria  33, 189, 224 Próchnicki, Andrzej  70 Proclo, Licio Diadoco  85 Przyborowski, Józef  64, 65, 67, 69, 231, 238 Przybylski, Jacek  59 Przyłuski, Jakub  63 Pseudo-Focilide 31 Pseudo-Pitagora 31 Puzynina, Jadwiga  64, 231 Q Quintiliano, Marco Fabio  39 R Radzikowski, Andrzej  82, 222 Reeve, Michael  73, 78, 79, 232, 234 Reis, Peter  79, 182, 221 Reitzenstein, Richard  74, 75, 238 Renan, Ernest  23, 234 Reuchlin, Johannes  34, 36, 65, 184, 214 Reychmann, Stanisław  49, 232 Reynolds, Leighton Durham  35, 147, 234 Rhodomann, Lorenz  24 Rochette, Bruno  45, 227 Rollo, Antonio  26, 29, 45, 136, 213, 234 Romer, Adam  80, 222 Roscio Gallo, Quinto  140

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Różycka-Bryzek, Anna  49 Rudawski, Wawrzyniec Jan  66, 72, 232 S Sabbadini, Remigio  37, 43, 44, 234 Sadoleto, Giacomo  34 Saladin, Jean-Christophe  26–29, 31, 33, 34–36, 42, 234 Salanitro, Giovanni  19, 224, 239 Sallmann, Nicolaus  96, 226 Salutati, Coluccio  29, 31 Sanchi, Luigi Alberto  15 Savonarola, Gerolamo  47 Scaligero, Giuseppe Giusto  58 Scappaticcio, Maria Chiara  45, 234 Scapula, Johannes  214, 215, 237 Scharffenberg, Marek  60, 80 Scheluig (Schelwig), Samuel  85, 231 Schoneus, Andrzej (Eumorphus)  55 Schwyzer, Eduard  129, 186, 208, 235 Scipione Africano Maggiore, Lucio Cornelio 156 Scoto Eriugena, Giovanni  28 Selzer, Christoph  74, 238 Seneca, Lucio Anneo  29 Serafim, Andreas  208, 226 Sesto Empirico  165 Settis, Salvatore  44, 227 Sigonio, Carlo  73 Silla, Lucio Cornelio  164, 165 Silvano, Luigi  15, 136, 233 Silvius Siculus, Iohannes Amatus  50 Simplicio 28 Singrenius, Johannes  60 Sironen, Erkki  15, 18 Slagendorpius, Johannes  47 Smotrycki, Melecjusz  57, 69, 70, 219, 224, 228 Smyth, Herbert Weir  162, 175, 186, 188, 208, 236 Socrate 9

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INDICE DEI NOMI

Sofocle 34 Sokołowski, Stanisław  80 Sordi, Marta  76, 225 Sozzini, Fausto  56 Starnigel, Wawrzyniec  65 Starnigel, Zachariasz  56, 65, 230 Starowolski, Szymon  65, 66, 69, 219, 224, 230 Statorius, Pierre (Stoiński Piotr)  56 Steel, Catherine  82, 234 Steiner, George  43, 228 Stephanides, Melchior  70 Stephanus, Henricus (Henri Estienne)  127, 213, 215, 237 Strabone  157, 158, 168 Struś, Józef  60, 62, 63 Sturm, Johannes  36, 53, 55, 56, 81, 224, 234 Sweynheym, Conrad  80 Sydow, Rudolf  182 Szober, Hieronim  67 Szymonowic, Szymon  58 Szyndler, Bartłomiej  68, 231 T Taszycki, Witold  73, 230 Temistio 28 Temistocle  150, 195 Teodosio I, imperatore  27 Teofane di Mitilene  162 Teofano, imperatrice  48 Terenzio, Publio Afro  38 Thénaud, Jean  56 Tholuck, August  56 Tolemeo II Filadelfo  39 Tolomeo, Claudio  28, 158 Tomicki, Piotr  53 Tommaso d’Aquino  46 Tortelli, Giovanni  30 Traina, Alfonso  132, 143, 236 Traversari, Ambrogio  30, 44 Truskolaska, Ewa  67, 68, 231

Tucidide  30, 34 Tullio Cicerone, Quinto  9 Turnèbe, Adrien  47 Tygielski, Wojciech  51, 66, 232 U Ungler, Florian  60 Urban, Wacław  50, 56, 65, 231 Urbańczyk, Przemysław  49, 232 Urbanek, Grzegorz  55, 230 Urbano di Belluno (Urbanus Bolzanius) 52 Ursinus, Jan  51 V Väänänen, Veikko  151, 226 Valdarfer, Christoph  80 Valla, Giorgio  67 Valla, Lorenzo  35 Venosino, v Orazio Veteikis, Tomas  15 Virgilio Marone, Publio  29, 38, 39, 45, 52 Vittorino da Feltre  32 Vives, Juan Luis  34, 81, 224 W Wachholz, Leon  65, 66, 231 Wacław di Hirschberg  53 Walecki, Wacław  49, 232 Warszewicki, Stanisław  62, 224 Weise, Stefan  15, 24, 235 Weiss, Roberto  24, 29, 235 Weissengruber, Franz  191, 228 Wężyk, Jan  66 Wiencek, Izabela  67, 68, 231 Wietor, Hieronim  60, 80 Wilczek, Piotr  23, 72, 219, 231 Wilhelmi, Bartholomaeus  81, 82 Williams, Gordon  44, 227 Wilson, Nigel Guy  26, 30, 32, 33, 35, 147, 224, 234, 235

INDICE DEI NOMI

Winkler, John  44, 227 Wisłocki, Władysław  52, 53, 80,  231 Wiśniewska, Halina  70, 231 Wisse, Jakob  27, 235 Wiszniewski, Michał  53, 231 Władysław IV Vasa, re di Polonia  66, 70 Wojecki, Mieczysław  48, 232 Wyczański, Andrzej  50, 231 Z Zabrzeski, Karol  67, 68, 231 Zaccaria, papa  45 Załuski, Andrzej Stanisław  68 Załuski, Józef Adrzej  68 Zaręba, Alfred  73, 230

309

Zarębski, Ignacy  66, 231 Zasławski-Ostrogski, Władysław Dominik  70, 71, 85, 86 Zathey, Jerzy  66, 71, 72, 231 Zieliński, Tadeusz  73, 231 Żórawski, Mikołaj (Nicolaus Zoravius, Geranius)  9, 10, 16, 60, 64–72, 85, 165, 177, 215, 217, 219, 221, 238 Zygmunt August, re di Polonia  51 Zygmunt I, re di Polonia  51   Αναστασιάδη-Συμεωνίδη, Άννα  167, 225 Μπαμπινιώτης, Γεώργιος  237

Warsaw Studies in Classical Literature and Culture Edited by Mikołaj Szymański Vol.

1

Maria Grazia Iodice / Mariusz Zagórski (eds.): Carminis Personae – Character in Roman Poetry. 2014.

Vol.

2

Mieczysław Mejor / Katarzyna Jażdżewska / Anna Zajchowska (eds.): Glossae – Scholia – Commentarii. Studies on Commenting Texts in Antiquity and Middle Ages. 2014.

Vol.

3

Małgorzata Budzowska / Jadwiga Czerwińska (eds.): Ancient Myths in the Making of Culture. 2014.

Vol.

4

Julia Doroszewska: The Monstrous World. Corporeal Discourses in Phlegon of Tralles’ Mirabilia. 2016.

Vol.

5

Juliusz Domański: Le texte comme présence. Contribution à l’histoire de la réflexion sur le texte et le livre. 2017.

Vol.

6

Iwona Wieżel: Legein ta legómena. Herodotusʼ Stories as Natural Narrative. 2018.

Vol.

7

Dariusz Brodka: Narses. Politik, Krieg und Historiographie. 2018.

Vol.

8

Karol Jan Myśliwiec: In the Shadow of Djoser. The work of Polish Archaeologists in Saqqara. 2020.

Vol.

9

Roberto Peressin: La versione greca dell’orazione “Pro Archia poeta” di Mikołaj Żórawski (1632). Contributi all’edizione e allo studio del testo. 2020.

www.peterlang.com