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Italian Pages 61/62 [62] Year 2009
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La città e la memoria
© Copyright ebook: 2015 maria pacini fazzi editore via dell’angelo custode, 33 – 55100 Lucca www.pacinifazzi.it [email protected]
isbn 978-88-7246-864-7
Valeria Bertolucci Pizzorusso
La Vergine e il Volto IL MIRACOLO DEL GIULLARE
(Secolo XIII)
maria pacini fazzi editore
La Vergine e il Volto: il miracolo del giullare*
S
ullo sfondo di una generale condanna o «interdizione» del giullare in epoca medievale e oltre, su cui è ormai superfluo insistere1, si distin* Una prima versione di questo contributo è stata pubblicata, con il titolo «Per una tipologia dei miracoli del giullare», nel volume Literatura y cristiandad. Homenaje al profesor Jesús Montoya Martínez, eds. M.J. Alonso García, M.L. Dañobetia Fernández, A.R. Rubio Flores, Granada, Universidad, 2001, pp. 363-376. 1
Carla Casagrande e Silvana Vecchio, «L’interdizione del giullare nel vocabolario clericale del XII e del XIII secolo», in Il teatro medievale, a cura di J. Drumbl, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 317-368. Su tale linea di contestazione moralistica si pone anche, in parte, la protesta contro l’invadente categoria giullaresca (fatta in nome del poeta compositore contro l’esecutore) che salva soltanto il «giullare di strumenti» purché conduca una vita conforme ai buoni costumi: cfr. Valeria Bertolucci Pizzorusso, «La Supplica di Guiraut Riquier e la risposta di Alfonso X di Castiglia», Studi mediolatini e volgari, XIV (1966), pp. 8-135. Cfr. anche John W. Baldwin, «The Image of the Jongleur in Northern France around 1200», Speculum, 72 (1997), pp. 635-663.
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gue, quasi come eccezione alla regola, un ristretto numero di narrazioni miracolistiche in latino e in volgare, in prosa e in versi, in cui la benevolenza divina – talvolta in opposizione esplicita all’atteggiamento ostile di rappresentanti della gerarchia ecclesiatica – si riversa su alcune figure di questa categoria di «emarginati» attraverso la mediazione di immagini taumaturgiche. Non si tratta, è bene premettere, di giullari di gesta sanctorum né di giullari di gesta heroum, che la Chiesa eccettua dalla sua condanna (giusta la celebre dichiarazione in proposito di Thomas de Chobam2), ma di assai meno prestigiosi artisti. Nella maggior parte dei casi l’immagine a cui è attribuito questo tipo di miracolo è − tranne un’eccezione importante, il Volto Santo di Lucca − un’immagine della Vergine Maria. Ci si chiede se questi testi formino un piccolo insieme che possa prestarsi ad un’analisi congiunta e comparativa: a tal fine l’analisi sarà anche trasversale, non soltanto «verticale» (rapporto tra il singolo miracolo e la sua fonte3), come nel tipo 2
Thomas de Chobam, Summa confessorum, ed. F. Bromfield, Louvain, Paris, 1968, p. 291. 3
Per un panorama delle ricerche relative alle fonti latine della letteratura miracolistica mariana, cfr. Jesús Montoya Mar-
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di approccio generalmente perseguito e comunque ovviamente necessario. L’individuazione di tratti comuni per enucleare alcune tipologie narrative può essere utile, a mio avviso, anche per fissare punti di orientamento e tracciare percorsi praticabili nell’enorme congerie dei racconti miracolistici in latino e in volgare a noi pervenuti, così da togliere da un isolamento soltanto apparente il singolo racconto miracolistico, legato in prima istanza al santo o all’immagine cui l’evento è attribuito4. Le considerazioni che seguono vorrebbero perseguire un primo tentativo in questa direzione incentrandosi sul tipo del beneficiario come rappresentante di una categoria di intrattenitori disapprovata dalle istituzioni ecclesiastiche. tínez, Las colecciones de milagros de la Virgen en la Edad Media (El milagro literario), Granada, Universidad, 1981. 4
Suggestioni incoraggianti in questo senso ricavo da Réginald Grégoire, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, 2a ed. riveduta e ampliata, Fabriano, Monastero di San Silvestro Abate, 1996, che lascia intravedere possibili aperture per un auspicabile studio della letteratura miracolistica in cui possano cooperare presupposti e metodi propri dell’agiologia, della ricerca storica e della critica letteraria, tenuti invece fin qui, a mio parere, sterilmente distinti.
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Nei racconti in cui la figura del giullare compare come beneficiario del miracolo, nonostante le diverse modalità di attuazione, si può osservare che strettissima è sempre l’analogia di struttura del breve racconto e la tipologia «concreta» del signum: un umile uomo di spettacolo, povero ma di fede sincera, che si guadagna la vita soltanto con la sua arte di intrattenitore, offre il suo unico «bene» all’immagine venerata; questa esprime il suo gradimento con il dono di un oggetto concreto in risposta ad un’offerta immateriale. È questa la fabula che sorregge le narrazioni più rappresentative del miracolo del giullare, lasciandosi individuare con particolare nitidezza.
La Vergine e il giullare. La tipologia del signum, un cero, è il tratto marcante tre versioni dello stesso miracolo, una in latino e due in volgare, attribuito a Notre-Dame de Rocamadour (santuario francese, Département de Lot, Guyenne): in questo caso è anche agevole stabilire rapporti di dipendenza reciproca tra i tre testi e tracciarne quindi una sicura linea cronologica. Alla fonte si trova la versione latina, il miracolo
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XXXIV5 della raccolta anonima relativa a questo santuario (databile intorno al 1172: riferisce miracoli anteriori al 1166). Un giullare di nome Petrus Iverni, originario di Sigelar (ora Siegelar, Germania), si procurava da vivere nelle chiese cantando e suonando sulla viola inni di lode al Signore. Così fece un giorno nella basilica di Santa Maria di Rocamadour: qui, dopo aver a lungo cantato e suonato, si rivolse all’immagine chiedendole di inviargli una delle numerose candele che le ardevano davanti come segno di gradimento dei suoi canti e delle sue melodie (organica [...] cantica). La preghiera venne esaudita, ed un cero discese sopra la viola del giullare, suscitando l’ira del monaco Gerardo, custode della chiesa, il quale, sospettando giochi di magia (illum maleficum testificans et incantatorem), afferrò il cero e lo ripose al suo posto. Continuando il giullare a suonare e a cantare, l’evento miracoloso si ripeté una seconda (secundo) e una terza 5
Si fa riferimento al testo riveduto nella recente pubblicazione della prima edizione Albe (1907) con supplemento di nuova introduzione e commento: Les miracles de Nostre Dame de Rocamadour. Traduction, introduction et notes d’Edmond Albe, Paris 1907. Introduction et complément de notes de Jean Rocacher. Préface de Régine Pernoud, Toulouse, Le Pérégrinateur, 1996, p. 142.
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volta (tertio), nonostante che il monaco tornasse a fissare più fortemente il cero sul candeliere. Gli astanti stupiti, lodando Dio, gridarono al miracolo; il giullare, piangendo di felicità (gaudio), restituì il cero, ed ogni anno, finché visse, offerse alla Vergine un cero di più di una libbra. I nomi propri, che sono frequenti anche in altri miracoli della raccolta, rimandano verisimilmente a persone realmente esistite (l’editore moderno annota che Siegelar si trova non lontano da Sieburg, distretto di Bonn, diocesi di Colonia, e che nell’anno 1181, Gerardus, abate di Siegburg, si recò a Rocamadour), e rinviano ad una prima registrazione di tipo paranotariale. Ma l’ambiziosa letterarietà che caratterizza spesso l’operazione di mise en recueil, è presente anche qui. Non si può fare a meno di rilevare l’ordinata sobrietà di questa purissima narratio, nella linea della tradizione stilistica della miracolistica in latino6, ed insieme la ricercatezza del lessico e la presenza di pertinenti citazioni bibliche. 6
Per questa tradizione stilistica rinvio a Valeria Bertolucci, «Contributo allo studio della letteratura miracolistica», Miscellanea di Studi Ispanici, n. 6, Firenze, Giuntina, 1966, pp. 5-72.
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Di questo miracolo conosciamo due versioni poetiche in volgare del sec. XIII, che ne rispettano con la massima fedeltà la sostanza, benché presentino la più grande diversità nelle modalità di esecuzione. Ne sono autori due grandi poeti, Gautier de Coinci e Alfonso X il Sapiente, re di Castiglia (1252-1284). La ripresa di Gautier de Coinci (morto nel 1236) nella sua raccolta Milagres de Nostre Dame (libro II, n. 21) in 356 octosyllabes7 fa espresso riferimento alla versione latina trovata nel «mout granz livres» dei miracoli compiuti «a Rocheamator» dalla «douce mere au creator», vv. 1-4. Egli ne conserva non solo i tratti principali (dalla triplice discesa del cero alla devozione annuale dell’offerta del cero «d’une livre», v. 176), ma anche particolari caratterizzanti. Ritroviamo infatti gli stessi nomi propri, sia del beneficiato, Pierre de Sygelar, v. 16 (qualificato anche menestrello: ad es. «menestreuz [...] de grant renon», v. 13), che del monaco ostile, Gerars, v. 57, gratificato da una serie di qualifiche negative (tra le quali «fel», v. 58). Ritroviamo l’accusa di magia nei confronti del giullare («enchanterres», v. 63, 7 Les miracles de Nostre Dame de Gautier de Coinci, publiés par V. Frederic Koenig, 4 voll., Genève-Paris, Droz, 1955-1970, vol. IV, pp. 175-189.
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con annessa ricca variazione sul tema, che chiama in causa anche Simon Mago) e la triplice ripetizione della discesa del cero sulla viola. La narrazione del miracolo vero e proprio termina al v. 189; nei versi restanti continuano le scintillanti trovate del poeta in materia musicale e gli attacchi polemici contro i religiosi che non sanno né vogliono cantare, già anticipati del resto nel corso della narratio vera e propria. Interessanti in particolare due piccoli ritocchi in variazione: la «chanson», la «melodie», v. 123 eseguita dal giullare è definita «lai»: «de la mere au Sauveor le lai», vv. 12-13 (cfr. anche «De Nostre Dame son ou lai», v. 182), precisando così la tonalità triste della melodia (il giullare suona piangendo: «en vïelant souspire et pleure», v. 127). A questa specificazione se ne aggiunge un’altra, il desiderio di una cena rallegrata dalla luce di una candela, motivo che il giullare adduce per giustificare la richiesta di una ricompensa: «D’un de ces cierges me fai don [...] Pour faire feste au souper», vv. 42-46. Sono questi più minuti e precisi richiami intertestuali8 a denunziare la dipendenza della ver8 Già rilevati da Teresa Marullo, «Osservazioni sulle Cantigas di Alfonso X e sui Miracles di Gautier de Coincy», Archivum Romanicum, XVIII, 1934, pp. 529-531.
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sione galego-portoghese dello stesso miracolo da quella francese piuttosto che da quella latina. È l’ottavo miragre delle Cantigas de Santa Maria (posizione numerica sempre conservata, dalla redazione più antica della raccolta, che non risale verosimilmente più indietro degli anni 1265-70, alle due successive; minime le varianti testuali) del re di Castiglia Alfonso X el Sabio (morto nel 1284). Esso è narrato in 9 strofe di 4 versi 7’+7, con refranh di 4 vv. (ed. Mettmann)9. In Rocamadour il giullare Pedro de Sigrar canta il suo «lais» davanti alla Vergine («un seu lais senpre dizia [...] O lais era da Madre de Deus», vv. 1516); a lei chiede direttamente una candela per la sua cena («Hũa candea nos dade a que ce˜emos», v. 20); il monaco ostile, qui innominato, è «mui felon», v. 29 («perfiado», v. 41). La ripresa alfonsina, eminentemente lirica e destinata al canto, è fedele, nonostante la sua brevità, all’intreccio originario; si possono rilevare inoltre alcune feli-
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Alfonso X, el Sabio, Cantigas de Santa María, edición de Walter Mettmann, 3 voll., Madrid, Castalia, 1986-1989, I, pp. 75-77. Cfr. qui in Appendice il testo completo con traduzione italiana, e l’illustrazione miniata che l’accompagna nel prezioso codice T.I.1. della Biblioteca di San Lorenzo all’Escorial.
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ci innovazioni. Sul piano formale il discorso diretto è esteso anche al monaco tesoriere, quando accusa il giullare di arti magiche («Don jograr, se a levardes, por sabedor vos terremos», v. 35), e al pubblico presente, quando manifesta la sua disapprovazione contro il monaco ostile («dissell’a gente: ‘Esto non vos sofreremos’, v. 40). Sul piano dei contenuti, si trovano sia omissioni che aggiunte rispetto alle due versioni precedenti: se del monaco, a cui è data la parola, è taciuto il nome, qui è dichiarato il pentimento (si getta in ginocchio davanti al giullare e gli chiede perdono). La fabula viene così saturata rispetto a tutti i suoi personaggi (del giullare si dice anche qui che continuerà a portare annualmente un grande cero alla Vergine). Quasi assenti gli interventi di commento: soltanto una sintetica frase, che è anche un riepilogo: la Vergine «deu ao jograr d�a e converteu o negral / monge», vv. 47-48. L’intervento di Alfonso sulla fonte consiste innanzi tutto in una rielaborazione della «storia» attraverso operazioni riduttive, attraverso le quali egli recupera l’elegante sobrietà narrativa della versione latina, e risolve liricamente la narrazione in canto: un rifacimento insieme fedele ed originale, in direzione opposta a quello sermoneggiante di Gautier de Coinci.
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Altri miracoli «del giullare» attribuiti alla Vergine sono collocabili accanto a questi, purché ad una certa distanza, in ragione di tratti narrativi, funzioni, modalità di tradizione ben distinte e peculiari di ciascuno di essi. Il signum del cero si ritrova anche nel famoso miracolo dei due giullari di Arras, posto tradizionalmente all’origine della famosa «Confrérie des jongleurs». Il miracolo viene fatto risalire al 1115, ma la «confrérie» è documentata ad Arras soltanto dalla fine del sec. XIII. È da notare anzitutto che il dono del cero rappresenta in questo caso un privilegio concesso alla categoria giullaresca attraverso due suoi rappresentanti, e può essere esercitato senza limiti di tempo. La complicata fabula che lo sostiene è ben diversa da quella degli altri miracoli «del cero» fin qui analizzati. Si tratta di una visione (non di un’immagine) della Madonna che premia due giullari rappacificatisi dopo che l’uno ha ucciso il fratello dell’altro; non c’è offerta da parte loro, la cui specialità artistica è comunque analoga a quella dei casi fin qui esaminati: suonano e cantano accompagnandosi con la viola10. 10
Delle due redazioni (in prosa) di questo miracolo a noi pervenute, l’una, in latino, risale forse all’ultimo quarto del
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Allargando la nostra casistica ai miracoli del giullare reperibili in generi letterari profani, dovremmo ricordare il pregevole «examplel» (così definito al v. 3) Del Tumbeor Nostre Dame (684 octosyllabes), tramandato da un unico manosec. XIII (pervenutaci solo in una copia del sec. XVII), l’altra, in francese, alla seconda metà del XIII. Si racconta che nella cattedrale di Arras la Vergine apparve in visione a due giullari, Normand e Itier, l’uno di saint-Pol, l’altro del Brabante, che si erano riconciliati dopo che erano stati divisi da odio mortale (il primo aveva ucciso il fratello dell’altro), e dette loro in perpetua consegna un cero miracoloso, con il quale potessero guarire i malati del terribile «feu des ardents». È sufficiente che sulle piaghe del malato sia versata l’acqua in cui è stata posta qualche goccia di quella cera perché, se credente, questi sia guarito; se però la sua fede non è sincera, morirà all’istante. Cfr. E. Faral, Les jongleurs en France, pp. 133-142; inoltre: R. Berger, Le Nécrologe de la Confrérie des jongleurs et des bourgeois d’Arras (11941361), Arras, Imprimerie centrale de l’Artois, 2 voll. 1963 e 1970 (Mémoires de de la Commission Départementale des Monuments Historiques du Pas-de-Calais, tt. XI e XIII); L.B. Richardson, «The «Confrérie des jongleurs et des bourgeois» and the «Puy d’Aras» in Twelfth and Thirteeenth century literature», Studies in honor of Mario A. Pei, Chapel Hill, Univ. of North Carolina Press, 1972 («Studies in the Romance Languages and Literatures», 114), pp. 161-171. Se ne conoscono rielaborazioni in volgare anche nei Miracles de Nostre Dame di Gautier de Coinci (ed. Koenig, cit., IV, p. 295 ss.) e nelle Cantigas de Santa Maria di Alfonso X di Castiglia (n. 259, ed. Mettmann, cit., II, p. 370 ss.).
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scritto, una grande raccolta di testi in versi databile intorno al 126811. Si tratta qui di un acrobata (chiamato «menestrel»), del tutto ignorante di preghiere e di canti devoti, che si è ritirato in convento (Clairvaux) per amore della Vergine Maria. Vergognandosi di non sapere partecipare con le parole alle cerimonie religiose, se ne assenta, e in solitudine esegue indefessamente davanti a una statua della Vergine le sue più belle acrobazie, offrendole in luogo delle preghiere. Quando viene scoperto da un monaco malevolo e dall’abate, a cui il primo ha riferito, la Vergine appare loro in visione per ben quattro volte nel gesto di asciugare il sudore e di rinfrescare con un panno bianco («touaille blance») il devoto 11
L’anonimo autore lo dice attinto «Es vies des anciens peres [...] Ce nous racontent li saint pere»(vv. 1 e 680). Ms.: Arsenal B.L. fr. 283, 132ra-133vb, con miniatura; testo: E. Lommatzsch, Del Tumbeor Nostre Dame, Berlin 1920. È ristampato da Pierre Kunstmann, Vierge et merveille. Les miracles de Notre-Dame narratifs au Moyen Age, Paris, Bibliothèque médiévale 10/8, Union Générale d’Editions, 1981, pp. 143-177. Cfr. anche la rielaborazione di Michel Zink, Le jongleur de Notre Dame. Contes chrétiens du Moyen Age, Paris, Seuil, 1999, pp. 48-51. Ha avuto numerose e notevoli riprese moderne, di cui riferisce Tito Sarfioti, I giullari d’Italia. Lo spettacolo, il pubblico i testi, Milano, Xenia, 1990, pp. 51-52.
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acrobata. In questo conte il più naïf dei giullari è descritto su tonalità tra divertite ed ironiche, e il motivo dell’immagine della Vergine si raddoppia in quello della visione; ma ritroviamo anche tratti più antichi, come il grande valore dato all’offerta della propria abilità artistica da parte di chi altro non possiede, la sospettosità, benché attenuata, delle istituzioni ecclesiastiche12.
Il crocifisso e il giullare. La più stretta analogia strutturale con i miracoli mariani «del giullare» è reperibile, a mio avviso – e nonostante importanti differenze che riguardano l’agente protagonista e la tipologia dell’oggetto-signum –, in un miracolo attribuito ad un’immagine lignea (probabile statua-reliquiario) del Cristo sulla croce: il Volto Santo di Lucca. Questa volta il gradimento divino 12
Esula del tutto dalla tipologia che s’intende qui descrivere il fabliau Saint Pierre et le jongleur (prima metà del XIII sec.), benché in esso si metta in scena un Santo che finisce per recuperare dall’inferno anche il giullare di vita viziosa (un desideratum di tutta la categoria, come si dice nel gioioso finale): cfr. il testo in Nouveau recueil complet des fabliaux (NRCF), publié par Willem Noomen § Nico van des Boogaard, I, Assen, Van Gorcum, 1983, pp. 129-159.
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si concreta nel dono di uno dei calzari d’argento che rivestono i piedi del Crocifisso addobbato. Non è il caso di addentrarci qui nelle spinose questioni, tuttora aperte, relative alla particolare iconografia e alla complessa storia13 di que-
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Sul Volto Santo di Lucca esiste da tempo un’abbondante bibliografia specifica, che viene periodicamente aggiornata in convegni e mostre ad essa dedicati, in cui se ne affrontano le problematiche sotto il profilo artistico e iconografico, agiografico, storico-sociale . Rinvio ai relativi Atti: Il Volto Santo. Storia e culto, Catalogo della mostra per il XII Centenario del Volto Santo, Lucca, Pacini Fazzi, 1982; Il Volto Santo e la civiltà medioevale. Atti del Convegno Internazionale di Studi Lucca 21-23 ottobre 1982, Lucca, Pacini Fazzi, 1984; La Santa Croce di Lucca – Il Volto Santo –Storia, tradizioni, immagini, Atti del Convegno, Villa Bottini 1-3 marzo 2001, Comune di Lucca, 2003; Il Volto Santo in Europa. Culto e immagini del Crocifisso nel Medioevo, Atti del Convegno internazionale di Engelberg (13-16 settembre 2000), a cura di M.C. Ferrari e A. Meyer, Istituto Storico Lucchese, 2005. Tra i lavori più recenti e interessanti, con ricco corredo iconografico ed esaustiva bibliografia precedente, alla quale di necessità qui rinvio, segnalo: Chiara Frugoni, «Una proposta per il Volto Santo», Il Volto Santo. Storia e culto, cit., pp. 1558; Jean-Claude Schmitt, «Cendrillons crucifiée. A propos du ‘Volto Santo’ de Lucques», Miracles, prodiges e merveilles au Moyen Age (XXIe Congrès de la S.H.M.E.S., Orléans, juin 1994), Paris, Publications de la Sorbonne, 1995, pp. 241-270; Michele Camillo Ferrari, «Imago visibilis Christi. Le volto santo de Lucques et les images authentiques
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sto Cristo triumphans (il cui nome punta invece specificamente sul «volto»), rivestito da una lunga tunica con maniche e stretta in vita da una cintura; il suo sguardo è ritenuto impressionante (terribilis). La sua legenda ne attribuisce la fattura a Nicodemo, tranne la testa, che lo scultore avrebbe trovato miracolosamente costruita da un angelo mentre egli dormiva (si tratta di un’immagine presentata come acheròpita); il suo arrivo a Lucca (che la legenda sostiene avvenuto alla fine del sec. VIII), nella cattedrale di S. Martino, conclude un lungo viaggio per mare dalla Terrasanta, che ha una sua prima, importante tappa au Moyen Age», in Micrologus. VI La visione e lo sguardo nel Medioevo. View and Vision in the Middle Ages, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 1998, pp. 29-42; a questo studioso dobbiamo anche il più aggiornato contributo complessivo: Michele Camillo Ferrari, «Il Volto Santo di Lucca», in Il volto di Cristo, a cura di G. Morello, G. Wolff (Catalogo della mostra, Roma 2001), Milano, Electa, 2000, pp. 253-262 e 271-275 (schede). Fondamentali tra i precedenti restano i lavori di G. Schnürer-J.M. Ritz, Sankt Kümmernis und Volto Santo, Studien und Bilden, Düsseldorf, L. Schwann, 1934; Hans Schwarzmaier, Movimenti religiosi e sociali a Lucca nel periodo tardo-longobardo e carolingio. Contributo alla leggenda del Volto Santo, Accademia lucchese di scienze, lettere e arti, Studi e testi, 7, 1973. Si veda inoltre il recente volume di Graziano Concioni, Contributo alla storia del Volto Santo, Pisa, Edizioni ETS, 2005.
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nell’approdo a Luni (vicino all’odierna Sarzana). Il culto del Volto Santo a Lucca presenta caratteri di «religione civica» (l’immagine del Volto Santo compare sulle monete lucchesi a partire dai primi anni del sec. XIII). È documentato in Europa (Inghilterra compresa) a partire dal sec. XI: numerose sono le allusioni ad esso in testi letterari latini e volgari (lirici ed epici) dei secc. XII e XIII14. Nei paesi germanici ha subito una metamorfosi al femminile divenendo Santa Wilgefortis, la santa barbuta15. In questa sede interessa soltanto il primo, e certo il più antico, dei miracoli attribuiti al Volto Santo (una dozzina, in prevalenza guarigioni di paralitici o liberazioni dal demonio) nel libellus
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Prontamente segnalati già da Wendelin Foerster, «Le Saint Vou de Luques», in Mélanges Chabaneau, 1907 (Romanische Forschungen, 22), pp. 1-65, alle pp. 6-9; Schnürer-Ritz, Sankt Kümmernis cit., pp. 163-17; inoltre Frugoni, «Una proposta» cit.; Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit. Una rassegna dei testi medievali francesi è fornita da Ute LimacherRiebold, «Il Volto Santo dans la littérature francaise médiévale», nel volume Il Volto Santo in Europa, cit., pp. 169-191. 15
Cfr. Schnürer-Ritz, cit. e la voce «Wilgefortis» (a cura di Rombaut Van Doren) in Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Ed., vol. XII, Roma, 1969, pp. 1094-99.
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che si trova in appendice alla relatio in prima persona del diacono Leboino (o Leobino): insieme queste due parti costituiscono la legenda relativa a quest’immagine. Dell’intero dossier, conservato in numerosi manoscritti (i più antichi del sec. XIII), manca ancora un’edizione critica16; gli studi fin qui condotti lo fanno risalire alla fine del sec. XII. L’appendice dei miracoli è preceduta da una formula di transizione, successiva alla dichiarazione di fine della relazione principale di Leboinus (Huc usque Leboinus), in cui i canonici della cattedrale lucchese (S. Martino) si assumono la responsabilità del dossier miracolistico17.
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Promessa ora da M.C. Ferrari, «Imago visibilis», cit., p. 30. Una traduzione italiana è stata procurata da F.P. Luiso, La leggenda del Volto santo. Storia di un cimelio, Pescia, Benedetti-Niccolai, 1928. Per il miracolo del giullare cfr. la nota seguente. 17 Inferiora vero eiusdem ecclesie venerabiles clerici Deum timentes, que noverunt aut a veracibus viris seu etiam ab ipsis egrotis iam sanatis audierunt et pro certo cognoverunt, ne diuturnitate temporis oblivioni traderentur, litteris commendarunt. “Quanto segue venne redatto dai canonici di quella stessa chiesa, venrabili e timorati di Dio, che lo appresero per certo da uomini degni di fede o dagli stessi infermi già risanati, affinché nel tempo non se ne perdesse la memoria”. Passo citato e tradotto anche da M.C. Ferrari, «Identità e immagine
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Sotto il titolo De calciamento sancti vultus argenteo cuidam pauperi mirabiliter oblato si parla di un giovane (juvenis quidam) proveniente de partibus Gallie per un pellegrinaggio a Gerusalemme, che passa da Lucca per vedere il famoso vultum del Cristo ivi conservato prima di vederne il Sepolcro. Davanti all’immagine, pregando e piangendo tra la grande folla di pellegrini che portano offerte, e vergognandosi di presentarsi a mani vuote, pensa – pauper rebus sed meritis dives – di offrire l’unico suo bene: accompagnandosi con lo strumento musicale che tiene appeso al braccio, comincia a cantare inni in onore della Santa Croce con tanta dolcezza che tutti gli astanti ne sono incantati. Allora Dio onnipotente, che conosce i segreti del cuore, manifesta il suo gradimento gettandogli in grembo la pianella d’argento, che calza sul piede destro: argenteum calciamentum de destro sancti vultus pede sola Dei potentia procul exiliens gremium cecidit cantantis. Il giovane, del Volto Santo di Lucca», in La Santa Croce di Lucca, cit., pp. 92-102, a p. 97. Cito da Schnürer-Ritz, Sankt Kümmernis, cit., p. 133, che fornisce anche la migliore edizione (ma non basata sulla totalità dei manoscritti) a tutt’oggi disponibile del miracolo del giullare.
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confuso e intimorito, esce dalla cappella e si ritira all’interno della chiesa; dopo lunga meditazione decide di restituire ad gloriosissimi vultus pedem [...] argenteum illud calciamentum divina sibi gratia largitum [...]. Grande è lo stupore della moltitudine dei pellegrini di fronte a tale insigne miraculum (come è subito definito), ed aumenta il concorso di popolo. Perché non resti alcun dubbio (nullo tempore mentibus audientium scrupulus nasceretur dubitationis) sulla natura miracolosa dell’evento e a prova per il futuro, la pianella non può più adattarsi al piede del crocifisso. Questa narrazione miracolistica, di cui si rileva subito la stretta analogia con quelle precedentemente esaminate, presenta anche, ovviamente, alcuni tratti peculiari. Qui il giullare è un giovane pellegrino in Terrasanta e resta innominato; di lui si sottolinea soprattutto la povertà (così a cominciare dalla rubrica; si noti anche che il tipo dello strumento musicale non è precisato); non c’è alcuna richiesta da parte sua; manca la triplice ripetizione dell’evento, e soprattutto manca il motivo dell’ostilità da parte delle gerarchie ecclesistiche. L’impossibilità di far aderire in seguito la pianella al piede destro del Crocifisso fornisce per il presente e per il futuro la prova del miracolo
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[un calice18, presente già nella più antica iconografia del Volto Santo di Lucca ma non nei testi, viene anche oggi collocato sotto questo piede]. Lo stile ampolloso di questa prosa latina ornata da cadenze (cursus) rimanda, come osservato da Schnürer-Ritz, al sec. XII. Di questo miracolo la più antica (e singolare) versione francese pervenutaci è stata pubblicata nel 1904 da Wendelin Foerster19. Essa si trova nel manoscritto della Biblioteca di Torino L II 14 (ff. 79ra-81vb), grande miscellanea di testi in versi (584 ff., datato 1311, danneggiato nell’incendio di questa Biblioteca nel 1904; tratti linguistici piccardi) di argomento biblico ed epico messo insieme probabilmente da un monaco dell’abbazia di Saint-Bertin nella città di SaintOmer20. Il miracolo è narrato nel prologo della 18
È in discussione anche il significato e la funzione di questo calice, non menzionato nei testi: cfr. Frugoni, «Una proposta», cit., pp. 42-46; Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit., pp. 264-266. 19
Foerster, «Le saint Vou», cit., pp. 43-46: a questa edizione rinviano nel prosieguo le citazioni. 20
Cfr. Foerster, «Le Saint Vou», cit., p. 3; M. Dando, «Récits légendaires et apocriphes dans le manuscrit français
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Vengeance Jhesu-Christ (o Roman de Vespasien), in poco più di un centinaio di endecasillabi assonanzati (vv. 403-509), ed è supposto avvenuto subito dopo l’arrivo del crocifisso di Nicodemo. Esso è introdotto al v. 402 da una formula in cui si fa riferimento al dato (nuovo) che la statua, come vedremo, prende la parola in prima persona: «Or entendés la merveille qu’il [il Volto] dist». Arrivato a Lucca, il Volto viene addobbato e posto sull’altar maggiore di una chiesa [la cattedrale di S. Martino]: un cero viene acceso davanti a lui [la processione che si tiene a Lucca per la festa di Santa Croce, 13 settembre, è caratterizzata dall’obbligo fatto ai partecipanti di portare un cero acceso]. A quel tempo, si dice, nessuno era stato a S. Giacomo di Compostella, tranne «Jenois, un gentis menestrés»,v. 410, il quale viveva solo della sua arte, restando addirittura senza cibo finché non se lo fosse guadagnato con il canto: «Une costume avoit a Dieu vöé, / (Quil)
L.II.14 de la Bibliothèque Nationale de Turin», in Cahiers d’Études Cathares, XXXI, hiver 1980, IIe s. n. 88, pp. 329; Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit., pp. 253-54; Angelique M.L. Prangsma-Hajenius, La Légende du Bois de la Croix dans la littérature française médiévale, Asen, Van Gorcum, 1995, pp. 43-45.
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ne mangeroit, ne seroit desjunés,/ Desqu’il l’ëust gaagniet au chanter» (vv. 410-12). Per tutta una domenica egli si esibisce davanti alla chiesa, e subito si riuniscono intorno a lui ben settecento persone, ma nessuno gli dà una moneta. Allora entra nella chiesa, dove il Volto era da poco arrivato, e osserva i piedi e le mani del Crocifisso trapassati dai chiodi, e il costato, che gli sembra gettar sangue. Chiede ad un uomo l’identità della persona crocifissa, in quale guerra sia stato ferito, se è ancora in vita o se è già morto. Risposta: «Amico, voi mi gabbate. Non fu di carne ed ossa, ma è un volto che fu fatto oltremare, per significare che Dio fu così trattato per redimere il mondo» (vv. 430-434). Il «jougleres» vuole adorarlo, e accompagnandosi con la viola comincia a cantare: «Trait sa vïelle et prent a vïeler,/ Devant le vous commencha a chanter» vv. 438-39. Allora il Volto, invaso dallo Spirito Santo, comincia ad animarsi, schioda uno dei piedi, lo tende e lancia al giullare il suo calzare: «son soler / D’or et d’argent, a pieres pointuré(s)», vv. 443-45. Il giullare lo raccoglie e ringrazia, dicendo che andrà a cenare: «»Peres, dist il, or m’irai desjuner», v. 446. Ma il vescovo interviene e ordina a Jenois di riportare il calzare al Santo Volto, promettendo che non gli sarà tolto, se gli sarà inviato
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di nuovo. Così fa il giullare, ma il Volto si adira («de grant ire embrasés» v. 455), e rigettando indietro il calzare, si rivolge direttamente a lui e agli astanti, ingiungendo che non gli sia tolto se prima non venga ricomprato a caro prezzo. L’offerta di duecento libbre è respinta dal giullare; il calzare viene riempito d’oro e d’argento, e quindi a lui restituito. Allora il Volto ritira il piede e lo ripone sul chiodo, poi reclina il capo: il suo pallore è quello di un uomo morto. Lo Spirito Santo si è ritirato da lui, così come il sole si riprende la sua luce e come le acque rientrano tutte in mare, vv. 474-78. Jenois può così cenare, offrendo anche un abbondante pasto ai poveri della città e donando loro quanto resta del denaro ricevuto. Poi si congeda e si rimette in cammino (la gente bacia la terra su cui è passato), ma viene catturato dai «bougres»21, che a causa della sua fede lo torturano ed infine lo decapitano. Il corpo del martire, conservato in un prezioso sarcofago, è venerato nella città di Roma. Questa singolare e drammatica versione del miracolo – non priva di incoerenze, come segna21
Foerster (op. cit., in nota) interpreta genericamente ‘pagani’; Dando, «Récits légendaires», cit., p. 23, propone ‘catari’ (a mio avviso con deboli argomenti).
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lato anche dal suo editore, W. Foerster –, presenta molti tratti divergenti da quella latina analizzata sopra, tra i quali i più rilevanti sono il nome attribuito al giullare (Genesio, che è stato il primo, si dice, a recarsi a S. Giacomo di Compostela), e il discorso diretto posto in bocca al Volto Santo22, che impone al vescovo di riscattare il calzare con una forte somma di denaro (accentuazione dell’aspetto economico23). La povertà del giullare (non vive se non del suo mestiere) è qui ancor più sottolineata; interviene un personaggio ostile, il vescovo; il miracolo si ripete due volte; il giullare può finalmente mangiare ed offre a tutti una cena. Infine si descrive la fine del giullare in termini che ne impongono l’identificazione con S. Genesio, l’attore martirizzato per decapitazione sotto Diocleziano (e fatto poi patrono delle 22
Non è la prima volta. Se risaliamo un poco nel testo, durante la costruzione della statua da parte di Nicodemo, il Volto, su cui è disceso lo Spirito Santo, gli si rivolge direttamente per pregarlo di cessare di modellare il naso (riuscito un poco «boçus», secondo lo scultore), perché non vuole sanguinare ancora una volta, come sulla croce, quando fu ferito al costato (vv. 372-380); il passo è riportato anche da Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit., p. 253). 23
Sottolineato da Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit., p. 260.
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genti di spettacolo)24. Non è precisato qui invece il particolare relativo al piede destro (quello con cui il crocifisso getta il suo calzare: così invece nelle altre versioni e nell’iconografia). Secondo il Foerster, il testo del miracolo potrebbe risalire alla metà del sec. XIII; secondo il Dando la Vengeance farebbe parte, insieme ad altri testi contigui, di composizioni di raccordo nel montaggio del codice dovute all’anonimo compilatore (risalenti quindi ai primi anni del sec. XIV). Forse è bene rilevare che le notevoli differenze tra queste due versioni del miracolo del giullare si riflettono non di rado nelle numerose allusioni al Volto Santo reperite sin qui in testi medievali (altre ne potranno emergere da ricerche in corso). Accanto a quelle che ricordano semplicemente il Volto Santo di Lucca, e a quelle che ricordano questo miracolo citando solo il calzare, alcune alludono precisamente ai due tratti principali che caratterizzano la versione «epica» francese o a uno dei due. Alla «parola» del Volto si riferisce quella ritenuta fin qui la più antica, che si trova nell’Itinerarium di 24 Su S. Genesio martire romano cfr. Biblioteca Sanctorum, cit., VI, 1965; altri santi francesi di questo nome sono Genesio di Arles, martire (VI sec) e Genesio di Lione.
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Nicolaus, abate del monastero di Thingeymar in Danimarca, pellegrino in Terrasanta nel 1151 e ritornato nel 1154. L’abate danese, ricordando il suo passaggio da Luni a Lucca, annota che nella chiesa di S. Martino a Lucca si conserva l’effigie di Cristo di Nicodemo «quae bis locuta fertur, altera vice pauperi calceos dans, altera pro viro accusato testimonium ferens»25, alludendo quindi sia ad interventi in prima persona del Volto, sia al dono del calzare. All’ultimo quarto del sec. XII risale anche il riferimento al Volto di Lucca che «parlò» («e parlet per vos lo voutz de Luca, rics reis resplandens», vv. 55-56) del trovatore Peire d’Alvernhe, non più attivo dopo il 118090, in una sua poesia religiosa26. Altre allusioni
25
Il Volto Santo parla infatti anche nel secondo miracolo del dossier, in cui viene salvato un uomo ingiustamente accusato grazie all’intervento del Volto Santo: l’abate danese riferisce anche di questo miracolo. Il passo di Nicola da Thingeymar è riportato da G. Sforza, Bibliografia storica della città di Luni e dei suoi dintorni, Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, s. II, LX, 1910, parte II, p. 261, ed è citato da Frugoni, «Una proposta», cit., p. 23, e da Schmitt, «Cendrillon crucifiée», cit., p. 259 nota. 26 Deus, vera vida, verays: il testo in Peire d’Alvernhe, Poesie, a cura di Aniello Fratta, Roma, Vecchiarelli, 1996, p. 105-111, vv. 55-56.
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alla «parola» del Volto Santo di Lucca si trovano, tra quelle segnalate già da Foerster (pp. 5-9) e da Schnürer-Ritz (pp. 165-168), in testi epici francesi; la più interessante in Aliscans, in cui si allude precisamente al grosso riscatto pagato dalla chiesa al giullare per rientrare in possesso del «soulier»27. Quanto al nome Genesio, la circolazione di una versione del miracolo lucchese in cui il giullare è così nominato – così come il dono dal calzare – è attestata da una rubrica del grande canzoniere provenzale C (Paris, B.N. fr. 856, 360v.; sec. XIV): «Geneys lo joglars a cuy lo voutz de Lucas donet lo sotlar», ripetuta anche negli Indici di questo manoscritto, che sorprendentemente attribuisce proprio al giullare miracolato dal Volto Santo di Lucca, secondo la versione più diffusa fuori d’Italia, un componimento religioso 27
Schnürer-Ritz, op. cit., p. 166. Ricordo appena qui (è ben più interessante sotto altri aspetti) il divertente aneddoto riferito al giurista Piacentino nella Rhetorica antiqua del dictator Boncompagno da Signa (inizio del XIII sec.), riportato per intero in Schnürer-Ritz, cit., pp. 163-64, in quanto conferma la notorietà del miracolo in questione in termini molto precisi («[...]nec fuisse verum neque consimile, quod argenteum subtellarem projecerit histrioni, qui ante ipsam tangebat chitaram in dulcore»).
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(di pentimento e di preghiera): tale attribuzione viene peraltro generalmente respinta28. Sempre a proposito del nome del giullare, conviene aggiungere, come da tempo è stato rilevato, che S. Genesio (Ginese è la forma lucchese, 28
È bene precisare meglio i termini del problema attributivo. La situazione è la seguente: nel corpus dei testi del manoscritto C (sec. XIV) la rubrica, nella sua formulazione più estesa (quale l’abbiamo riportata sopra), si trova al f. 360v, in relazione alla canzone religiosa Dieus verais, a vos mi ren, ed egualmente nella prima Tavola del manoscritto, f. 15v, CCCLXI (è qui che nel rigo sottostante alla rubrica è scritto «Peire d’Alvernhe»); essa è ribadita anche, in forma più breve, nella Tavola alfabetica f. 22v «Geneys lo joglars de Lucas». Il componimento cui la rubrica si riferisce si trova anche nel ms. M, con attribuzione a Arnaut Catalan, ed a questo trovatore (di cui verrebbe a rappresentare l’unico componimento religioso) è ora attribuito; la paternità di Peire d’Alvernhe (attribuzione secondaria solo nella prima Tavola di C) viene esclusa supponendo una confusione con la poesia religiosa di questo trovatore, già ricordata qui sopra per il riferimento al Volto Santo di Lucca che ‘parlò’, con incipit molto simile: Deus, vera vida, verais. Cfr. Pillet-Carstens, Bibliographie der Trobadours, Halle (Saale), 1933 (reprint Burt Franklin 1968), 175, 1. Per il testo della canzone cfr. F. Blasi, Le poesie del trovatore Arnaut Catalan, Firenze, Olschki, 1937, pp. 33-37, che espone la questione alle pp. XXI-XXIV dell’Introduzione; Francisco J. Oroz Arizcuren, La lírica religiosa en la literatura provenzal antigua, Pamplona, Diputación Foral de Navarra, 1972, pp. 74-81; inoltre Peire d’Alvernhe, Poesie, cit., p. XXXVI.
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francesizzante, presente in numerose indicazioni toponomastiche) è un santo molto venerato a Lucca e nella sua diocesi29. Potremmo forse ipotizzare, con tutta la prudenza richiesta dal caso, l’esistenza di due redazioni abbastanza differenziate, ma costruite su un’unica struttura narrativa, del miracolo del giullare, in una fascia cronologica anteriore o contemporanea a quella delle citazioni qui sopra evidenziate: esponente dell’una sarebbe la versione latina accolta nel dossier ufficiale del santuario, esponente dell’altra la versione francese in versi, in una tarda rielaborazione. Non sembra possibi-
29
Cfr. Foerster, «Le Saint Vou», pp. 20-23. Risultano ben cinque chiese a lui dedicate (e conseguenti indicazioni toponomastiche) a Lucca e dintorni (a cui deve aggiungersi anche S. Genesio, località vicina a S. Miniato in provincia di Pisa, facente parte anticamente della diocesi di Lucca) nell’«Estimo della diocesi di Lucca dell’anno 1260» in Rationes decimarum Italiae nei secc. XII e XIV. Tuscia I: La Decima degli anni 1274-1280, a cura di Pietro Guidi, Città del Vaticano, 1932, p. 289; Réginald Grégoire, «L’agiografia lucchese antica e medievale», Lucca, il Volto Santo, cit., p. 68. Nell’iconografia tradizionale S. Genesio è raffigurato non come un attore, ma come un giullare con la viola: così anche a Lucca in molte sue immagini, tra le quali un affresco trecentesco, che si trova nella chiesa di S. Giovanni e Reparata, vicinissima alla cattedrale di S. Martino che ospita il Volto Santo.
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Lucca, chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, Giuliano di Simone: I Santi Genesio, Sebastiano e Barbara.
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le, allo stato attuale delle ricerche, precisare di più quanto alla cronologia relativa tra le due supposte redazioni, i testimoni delle quali risentono certamente di interventi rielaborativi profondi.
Il cero e il calzare. La tipologia miracolistica del giullare ha senza dubbio trovato nei miracoli di Rocamadour e del Volto Santo di Lucca la sua espressione più nitida e rappresentativa. Il cero come signum non sorprende. Esso ha già un suo significato nella liturgia, essendo prescritto per l’illuminazione nelle chiese; inoltre ha ricevuto un potente supporto in sede istituzionale dall’antichissima festa della Candelora, che celebra la purificazione della Madre di Cristo il 2 febbraio30. Nelle processioni ognuno è tenuto a portare una candela accesa (con precise indicazioni circa le sue dimensioni a seconda del peso sociale o della funzione di ciascun partecipante). 30
Per antecedenti dell’uso dell’illuminazione con ceri e fiaccole nelle feste romane delle calende di febbraio, cfr. Philippe Walter, La mémoire du temps. Fêtes et calendriers de Chrétien de Troyes à la Mort Artu, Paris, Champion, 1989, p. 290.
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Miracolo del menestrello che suona di fronte al Volto Santo, Codice Pal. Lat. 1988 della Biblioteca Apostolica Vaticana (prima metà del secolo XV) eseguito da un miniatore francese per la famiglia dei mercanti lucchesi Rapondi.
Più circoscritta invece la ricorrenza del calzare come signum, anche se assumiamo nel discorso il Saint Soulier di Notre Dame di Soissons, che agisce miracolosamente in alcuni miracoli narrati intorno alla metà del sec. XII dal canonico Ugo Farsitus nel suo pregevole liber relativo a questo santuario31. Nessuno di questi miracoli si riferisce ad un giullare, né la miracolosa reliquia viene donata ad alcun beneficiario. Gautier de Coinci non mancò di esaltare la virtus miracolosa della reliquia e, a richiesta della contessa Ada di Soissons, riprese dalla raccolta del Farsitus (il riferimento alla fonte è esplicito e ripetuto) quattro miracoli, che formano un piccolo gruppo preceduto da un breve prologo; essi fanno immediatamente seguito a quello del cero di Rocamadour32. Per cogliere il senso «ultimo» del dono della pantofola, J.-C. Schmitt evade dal contesto strettamente agiografico e si
31
Cfr. Hugonis Farsiti, Libellus de Miraculis B.Mariae Virginis in Urbe Suessioniensi, in Migne, Patrologia Latina, t. 179, coll. 1777-8000. Vi sono narrati 31 miracoli di cui si dichiara testimone, che si addensano intorno all’anno 1128, l’anno della grande epidemia del «feu des ardents». 32
Cfr. ed. Koenig, cit., vol IV, pp. 190-264 (sono i miracoli 22-25 del secondo libro ); Foerster, op. cit., p. 5 nota.
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Le immagini delle pagine (affiancate nel codice T.I.1. della Biblioteca dell’Escorial) contenenti il testo della cantiga e la grande miniatura in sei vignette, sono riprodotte dall’edizione in facsimile: Alfonso X el Sabio, Cantigas de Santa Maria, Edicíon facsímil del Códice T. I. 1. de la Biblioteca de San Lorenzo el Real de El Escorial. Siglo XIII, Madrid, Edilán, 1979. Ogni vignetta illustra una scena del miracolo, ed è corredata da una rubrica che ne illustra il contenuto; l’insieme delle rubriche ne rappresenta un sintetico racconto: 1. Como o jograr violava ant’o altar de Santa Maria e lle pediu hũa candea. 2. Como a candea lle deceu na viola e fillou la o monge. 3. Como o monge tornou a candea en seu logar e atou. 4. Como a cadea deceu outra vez e o monge lla quis fillar. 5. Como o monge ao jograr que o perdõasse. 6. Como o jograr tragia cad’ano hũa candea a Santa Maria.
appella al senso simbolico e antropologico della scarpa e del piede nel «vaste ensemble mythique du monosandalysme»; si spinge quindi fino a dare al miracolo del giullare del Volto Santo di Lucca la «signification ultime» di una «union ‘nuptiale’ et même sexuelle avec le Christ, transposée dans les métaphores de la symbolique religieuse» (op. cit., pp. 260-269). Lo storico francese tende ad isolare dagli altri casi fin qui ricordati il miracolo lucchese: «Mais le miracle lucquois ne se confond pas avec ces traditions venues d’ailleurs»33. Più fiduciosi nella possibilità di istituire dei confronti all’interno di un «ciclo» di giullari miracolati si erano mostrati, fornendo riscontri preziosi, altri studiosi come, oltre i già ricordati Foerster e Schnürer-Ritz nei
33 Schmitt, op. cit., p. 259: «S’il [le miracle du jongleur] est très différent des autres miracles récensés localement, il s’apparente à d’autres récits qui mentionnent eux aussi la reconnaissance, en général par la Vierge, des mérits d’un pauvre jongleur: c’est le cas du «Tombeur Notre Dame» qui, faute de savoir prier, se mit à danser devant la statue de la Vierge, ou encore du jongleur Pierre de Syglar, qui vit un cierge descendre sur sa vielle, forçant les moines de Rocamadour à reconnaître son élection par la Vierge. Mais le miracle lucquois ne se confond pas avec ces traditions venues d’ailleurs».
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loro fondamentali contributi, Edmond Faral e Réginald Grégoire34. Mi pare interessante a questo proposito sottolineare che già nella ricezione medievale era stata avvertita l’affinità sostanziale dei miracoli del cero e del calzare. La si coglie nell’accostamento tra i due tipi che viene fatto nell’anonimo Dit des taboureurs, i rumorosi suonatori di strumenti a percussione, che l’autore denigra in favore dei suonatori di viola, strumento questo tanto amato dalla Vergine Maria. A dimostrazione di ciò, ricorda (in due strofe successive, 20 e 21: si tratta di un componimento in 26 quartine di alessandrini) che ad Arras ella volle donare ai giullari «sainte digne chandele», e che il Volto Santo di Lucca donò «son soller» al giullare che cantava per divertire la gente, a cui nessuno (né cortese né villano) aveva dato in compenso qualcosa35. 34 Edmond Faral, Les jongleurs en France au moyen âge, Paris, Champion, 1910, p. 135 nota: «Il est certain qu’il y a pour le fond une parenté étroite entre les trois légendes [si parla dei miracoli di Rocamadour, di Arras e del Volto Santo di Lucca] ...»; Grégoire, «L’agiografia lucchese», cit., p. 57, a proposito di Genesio, parla di «ciclo agiografico dei mimi e dei giullari convertiti». 35
Il testo si trova in Achille Jubinal, Jongleurs et trovères des XIIe et XIVe siècles [...], Paris, Librairie grecque-lati-
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Un’analisi congiunta del piccolo complesso di narrazioni miracolistiche «del giullare» consente, a mio parere, di rilevare la circolazione di un modello narrativo in cui il giullare è assunto come beneficiario, nella fascia cronologica che comprende la seconda metà del sec. XII e l’inizio sec. XIII. È l’epoca della decisa spinta propagandistica del culto delle immagini e delle reliquie in diversi santuari, tra i quali quelli dedicati al culto della Vergine Maria, la cui grande promozione è in atto da tempo. S’instaura quindi una forte concorrenza tra questi santuari, che ha certamente provocato una corrispondente, solerte confezione di raccolte di miracoli, le quali presuppongono una precisa organizzazione e rielaborazione accurata dei materiali ed ambiscono ad un pregevole livello di scrittura. Siamo nell’epoca in cui un papa, Alessandro III, concede che un giullare possa essere salvo vivendo del suo mestiere, purché si astenga da comportamenti equivoci e osceni36. In questo clima può essere ne..., 1835, pp. 165-169; è citato da Foerster, «Le Saint Vou», cit., p. 8; Schnürer-Ritz, cit., p. 170 nota. Cfr. inoltre Faral, Les jongleurs, cit., pp. 90 e 215. 36
Jacques Le Goff, Pour un autre moyen âge, Paris, 1977, p. 101.
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apparsa opportuna una riabilitazione parziale della popolare figura del giullare (presentato ovviamente come pentito e animato da profonda fede), sicuro elemento di richiamo presso i santuari, in particolare quelli situati lungo gli itinerari dei pellegrini. Tale era sicuramente Lucca, situata sulla via Francigena, percorsa dai pellegrini a Roma e in Terra Santa37.
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Cfr. Ludwig Schmugge, «Lucca e il pellegrinaggio medievale», Lucca, il Volto Santo, cit., pp. 157-176; da un punto di vista generale, Pierre-André Sigal, «Les voyages des reliques aux onzième et douzième siècles», in Voyage, quête, pelérinage dans la littérature et la civilisation médiévale, Sénéfiance n. 2, Aix-en-Provence, CUER-MA, 1976, pp. 73-104.
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Appendice Alfonso X el Savio, re di Castiglia Cantigas de Santa Maria ed. Mettmann, vol. I, Madrid, Castalia, pp. 77-79, n. 8.
Esta é como Santa Maria fez en Rocamador decender hũa candea na viola do jograr que cantava ant’ela.
A Virgen Santa Maria todos a loar devemos, cantando e con alegria, quantos seu ben atendemos. E por aquest’un miragre vos direi, de que sabor averedes poy-l’oirdes, que fez en Rocamador a Virgen Santa Maria, madre de Nostro Sennor, ora oyd’o miragre, e nos contar-vo-lo-emos. A Virgen Santa Maria... Un jograr, de que seu nome era Pedro de Sigrar, que mui ben cantar sabia e mui mellor violar, e en toda-las eigrejas da Virgen que non á par un seu lais senpre dizia, per quant’en nos aprendemos. A Virgen Santa Maria... Aquel lais que ele cantava era da Madre de Deus, estand’ant’a sa omagen, chorando dos ollos seus; e pois diss’: “Ai, Groriosa, se vos prazen estes meus cantares, hũa candea nos dade a que cẽemos.» A Virgen Santa Maria...
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Come Santa Maria fece discendere una candela sulla viola del giullare che suonava davanti a lei.
La Vergine Santa Maria tutti dobbiamo lodare, cantando in allegria, noi che aspettiamo il suo amore. E per questo vi dirò un miracolo, che vi piacerà quando lo udirete, che la Vergine Santa Maria, madre di Nostro Signore, fece a Rocamadour; ora ascoltate il miracolo, e noi ve lo racconteremo. La Vergine Santa Maria... Un giullare, il cui nome era Pedro di Sigrar, che sapeva ben cantare ed ancor meglio suonare la viola, in tutte le chiese della Vergine senza eguali una sua canzone sempre cantava, a quanto abbiamo appreso. La Vergine Santa Maria... La canzone che egli cantava era della Madre di Dio, e diceva, piangendo davanti alla sua immagine, “Oh, Gloriosa, se vi piacciono queste mie canzoni, datemi una candela per la mia cena”. La Vergine Santa Maria...
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De com’o jograr cantava Santa Maria prazer ouv’, e fez-lle na viola hũa candea decer; may-lo monge tesoureiro foi-lla da mão toller, dizend’: “Encantador sodes, e non vo-la leixaremos. A Virgen Santa Maria... Mas o jograr, que na Virgen tĩia seu coraçon, non quis leixar seus cantares, e a candea enton ar pousou-lle na viola; mas o frade mui felon tolleu-lla outra vegada mais toste ca vos dizemos. A Virgen Santa Maria... Pois a candea fillada ouv’aquel monge des i ao jograr da viola, foy-a põer ben ali u x’ant’estav’, e atou-a mui de rrig’e diss’assi: “Don jograr, se a levardes, por sabedor vos terremos.” A Virgen Santa Maria... O jograr por tod’aquesto non deu ren, mas violou como x’ante violava, e a candea pousou outra vez ena vyola; mas o monge lla cuidou fillar, mas disse-ll’a gente: “Esto vos non sofreremos.” A Virgen Santa Maria... Poi-lo monge perfiado aqueste miragre vyu, entendeu que muit’errara, e logo ss’arrepentiu;
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Piacque a Santa Maria come il giullare cantava, e fece discendere una candela sulla viola; ma il monaco tesoriere gliela tolse di mano, dicendo: “Siete uno stregone, non ve la lasceremo” La Vergine Santa Maria... Ma il giullare, che aveva nella Vergine riposto il suo cuore, non volle cessare i suoi canti, e la candela allora tornò a posarsi sulla viola; ma il frate molto irato gliela tolse un’altra volta, più veloce che non si dica. La Vergine santa Maria... Dopo che quel monaco ebbe ripreso al giullare la candela dalla viola, subito la ripose là dove prima stava, e la fissò ben forte, dicendo così: “Signor giullare, se la prenderete, vi crederemo un mago”. La Vergine Santa Maria... Il giullare di tutto questo non si preoccupò, ma continuò a suonare come prima suonava, e la candela si posò un’altra volta sulla viola; e il monaco volle prenderla, ma la gente gli disse: “Questo non permetteremo”. La Vergine Santa Maria... Dopo che quel monaco ostinato vide questo miracolo, comprese che aveva sbagliato, e subito se ne pentì;
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e ant’o jograr en terra se deitou e lle pedyu perdon por Santa Maria, en que nos e vos creemos. A Virgen Santa Maria... Poy-la Virgen groriosa fez este miragr’atal, que deu ao jograr dõa e converteu o negral monge, dali adeante cad’an’un grand’estadal lle troxe a ssa eigreja o jograr que dit’avemos. A Virgen Santa Maria...
52
si gettò in terra davanti al giullare, e gli chiese perdono per Santa Maria, in cui voi e noi crediamo. La Vergine Santa Maria... Dopo che la Vergine gloriosa ebbe compiuto questo miracolo, per cui fece doni al giullare e fece convertire quel monaco nero, il giullare di cui abbiamo raccontato, da allora portò per lei ogni anno un grande cero alla sua chiesa. La Vergine Santa Maria...
53
“Oh, Gloriosa, se vi piacciono queste mie canzoni, datemi una candela per la mia cena”. 54
Piacque a Santa Maria come il giullare cantava, e fece discendere una candela sulla viola; ma il monaco tesoriere gliela tolse di mano, dicendo: “Siete uno stregone, non ve la lasceremo” 55
…subito la ripose là dove prima stava, e la fissò ben forte, dicendo così: “Signor giullare, se la prenderete, vi crederemo un mago”. 56
…e la candela si posò un’altra volta sulla viola; e il monaco volle prenderla, ma la gente gli disse: “Questo non permetteremo”. 57
Dopo che quel monaco ostinato vide questo miracolo, comprese che aveva sbagliato, e subito se ne pentì; si gettò in terra davanti al giullare, e gli chiese perdono per Santa Maria, in cui voi e noi crediamo. 58
Dopo che la Vergine gloriosa ebbe compiuto questo miracolo, per cui fece doni al giullare e fece convertire quel monaco nero, il giullare di cui abbiamo raccontato, da allora portò per lei ogni anno un grande cero alla sua chiesa. 59
INDICE
La Vergine e il Volto: il miracolo del giullare 5
Appendice Cantigas de Santa Maria 39
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La città e la memoria
1. Kasimir Edschmid, La processione di Lucca, traduzione a cura di Alessandro Fambrini 2. Niccolò Machiavelli, Delle cose di Lucca, a cura di Angela Guidotti 3. Pompeo Rocchi, Il Gentilhuomo, a cura di Renzo Sabbatini 4. Enrico Ridolfi, Passeggio delle Mura, a cura di Pierluigi Amoroso 5. Antonio Morosi, La Città industriosa, a cura di Umberto Sereni 6. Miguel de Cervantes, Occorse in Lucca un caso dei più strani..., a cura di Diego Símini
7. Lorenzo Viani, Gente di Versilia, a cura di Angela Guidotti 8. Pietro Santi Puppo, A tavola con la principessa Elisa, premessa di Aldo Santini 9. Anonimo spagnolo del xviii secolo, Il diavolo predicatore nella città di Lucca, a cura di Diego Símini 10. Eugenio Lazzareschi, Lucida Mansi nella leggenda e nella storia, a cura di Fabrizio Bondi 11. Lorenzo Angelini, La Festa della Libertà a Lucca e Pieve Fosciana 12. Remigio Coli, M. Giovanna Tonelli, Dame e cicisbei a Lucca nel tardo Settecento 13. Daniela Marcheschi, Chiara Matraini e la letteratura delle donne nei nuovi fermenti religiosi del ’500 14. Valeria Bertolucci Pizzorusso, La Vergine e il Volto. Il miracolo del giullare