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Italian Pages 128 Year 2007
Quodlibet Studio Discipline Filosofiche
Barnaba Maj Il volto e l'allegoria della storia L'angolo d'inclinazione del creaturale
Quodlibet
Prima edizione: giugno 2007 © 2007 Quodlibet Via Santa Maria della Porta 43, 62100 Macerata Tel. 0733-264965. Fax 0733 -267358 www.quodlibet.it e-mail: [email protected] Stampa: Grafica Editrice Romana s.r.l., Roma ISBN: 978-88-7462-159-0 Discipline filosofiche Collana fondata da Enzo Melandri Direttore: Stefano Besoli Il volume è pubblicato con il contributo di fondi dell'Università di Bologna, ex 60%
Indice
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Introduzione 1. Paul Celan: il meridiano terreno/terrestre 1.1. Geschopf e Kreatur: "creazione" artistica e creatura - 1.2. La maestà dell'assurdo - 1.3. Il cammino della poesia- 1.4. La poesia come "svolta del respiro" - 1.5. L'angolo d 'inclinazione - 1.6. La "concentrazione" - 1.7. I cammini creaturali e il meridiano terrestre - 1.8. Postilla: Neigungswinkel e Gesichtswinkel: angolo d'inclinazione e angolo visuale - 1. 9. Gegengeschopfe
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2. La «creatura sofferente»: allegorismo e dramma espressionista 2.1. Benjamin e il nuovo segno pittorico - 2.2. Il Cristo di van Gogh 2.3. L'orizzonte spirituale dell'arte espressionista - 2.4. Simbolismo pittorico e allegorismo teatrale - 2.5. Il "linguaggio" del dramma espressionista: metonimia e allegoria - 2.6. La "creatura sofferente" - 2.7. L'ambivalenza espressionista - 2.8. Allegoria della morte e nudità creaturale - 2.9. Collocazione storica della teoria benjaminiana dell'allegoria 2.1 O. Lineamenti della teoria: allegoria e "volto" della storia
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3. Variazioni sul crea turale 3.1. Verletzlich, aber unverletzlich - Vulnerabile, ma inviolabile - 3.2. Proust e la "cava" della memoria - 3 .3. Il vento e i volti. Dorothea Lange e John Ford - 3.4. La ciociara e la memoria intrasferibile - 3.5. Le increspature del calmo oceano
Introduzione Napule è mille culure Napule è mille paure Napule è a voce de' criature che saglie chianu chianu e tu sai ca' nun si sulo Napule è nu sole amaro Napule è addore e' mare Napule è na' carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a' sciorta Napule è na' camminata int' e viche miezo all' ate Napule è tutto nu suonno e a' sape tutto o' munnoma nun sanno a verità. Napule è mille culure ... Pino Daniele, Napule è (da: Terra mia, 1977)
Nel saggio Idea del tragico e coscienza storica nelle "fratture" del Moderno1 ho attribuito un ruolo cruciale al concetto di "creaturale" e "creaturalità", mostrando inoltre che esso è un motivo-chiave della letteratura e della poesia che nel Novecento formano la linea "trasversale" e quasi sotterranea della "crudeltà". È stata una lunga frequentazione della poesia e della poetologia di Celan - poeta che non sta in un'epoca, ma la designa -, a spingermi ad usarlo in modo del tutto "naturale". Nel frattempo, mi sono reso conto che naturale non lo è affatto, neppure intuitivamente, se non sulla scia di un "francescanesimo" che resta però molto vago. Approfondirne la definizione, dunque, è l'esigenza da cui in prima istanza nasce questo saggio. I dizionari più autorevoli spiegano che l'aggettivo "creaturale" è entrato nella lingua italiana nel 1926, con la traduzione di Ernesto Buonaiuti di uno fra i più importanti saggi di Rudolf Otto: Il sacro: l'irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale2-. L'illustre traduttore ha reso l'espressione tedesca Kreaturgefuhl con "sentimento crea turale". L'aggettivo risulta
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B. Maj, Idea del tragico e coscienza storica nelle "/ratture del Moderno, Quodlibet, Macerata, 2003. 2 R. Otto, Das Heilige: iiber das Irrationale in der Idee des Gottlichen und sein Verhaltnis zum Rationalen, Trewendt u. Granier, Leipzig, 1917, trad. it. di E. Buonaiuti, Il sacro: l'irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Zanichelli, Bologna, 1926.
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dunque attestato con un index storico di assoluta precisione storica. Lo stesso non può dirsi per il sostantivo "creaturalità"3 • Questa derivazione rende comunque di per sé legittimo il confronto tra la lingua tedesca e l'italiana, che ricorre di frequente nel corso del saggio e ne costituisce anzi un aspetto saliente. Questo aggettivo non ha avuto tuttavia alcun successo. La prova è facile. Se prendiamo il ben più antico termine "creatura" - che all'italiano passa direttamente dal tardo latino ecclesiastico medievale -, già in Dante le ricorrenze sono numerose. Lo stesso si può constatare se si salta ai Promessi sposi4 . Nel panorama linguistico della lirica italiana del Novecento la frequenza è piuttosto alta. L'aggettivo "creaturale" al contrario non presenta alcuna ricorrenza5 , fatta eccezione per l'ultima raccolta di Luzi6 . La sua apparizione così tardiva nella lingua italiana rende particolarmente significativo questo quadro di riferimento. Se, per fare gli esempi più ovvi, si pensa al primo Ungaretti o a certi temi della poesia di Saba o ancor più al mondo poetico di Pasolini - si potrebbe dire: al nucleo "germinale" del suo modo "creaturale" di sentire il mondo7 -, la cosa appare sorprendente. D'altra parte, dizionari storici e dizionari dell'uso linguistico corrente non forniscono nessun esempio di ricorrenza, qualunque sia il genere o l'ambito: saggio, poesia, drammaturgia, narrativa, giornalismo etc. Fatta eccezione per Celan, la situazione tuttavia non è molto diversa in lingua tedesca. Il Worterbuch der deutschen G egenwartssprache fornisce solo due ricorrenze, rispettivamente da Gerhart Hauptmann: «Nun aber traf mich der Strahl ihrer kreatiirlichen Mutterliebe» e da Luise Rinser: «es war
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La traduzione letterale "sentimento della creatura" produrrebbe la tipica ambiguità del genitivo, che la soluzione di Buonaiuti appunto evita. Il p assaggio da kreaturlich a Kreaturlichkeit e da creatura/e a creaturalità è ovvio in tedesco come in italiano. 4 Cfr. Concordanze dei Promessi sposi, a cura di G . De Rienzo, E. Del Boca, S. Orlando, vol. 2, Mondadori, Milano, 1985, s. v. "creatura", p. 1005 e "creaturina", p. 1006. 5 Cfr. G. Savoca, Vocabolario della poesia italiana del Novecento. Le concordanze delle poesie di Govon~ Corazzini, Gozzano, Morett~ Palazzeschi, Sbarbaro, Rebora, Ungarett~ Campana, Cardare/li, Saba, Montale, Pavese, Quasimodo, Pasolini, Turoldo, Zanichelli, Bologna, 1995 , s. v. "creatura" (latino: Turoldo), "creatura" e "creaturina" (Pasolini, come Manzoni), p. 254. 6 Cfr. M. Luzi, Dottrina dell'estremo principiante, G arzanti, Milano, 2004, pp. 16, 41, 48, 150, 173; in particolare, le espressioni «creaturale intesa» (p . 41) e «creaturale perduranza» (p. 48). 7 Una sola citazione tratta dalla breve prosa cristologica di L 'usignolo della chiesa cattolica, 1943-1949, Longanesi, Milano, 1958, p . 44, ne è un esempio illuminante: «La chiesa ferita si è aperta le piaghe con le sue mani, e un lago di sangue le è caduto ai piedi. Ed essa prima di morire ha fatto di quel lago uno specchio, e un lampo ha illuminato la sua immagine dentro il sangue».
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der Schmerz, mein eigener kreatiirlicher Schmerz»8 • I dizionari tedeschi spiegano l'aggettivo come semplice derivato da Kreatur9 - il che è naturalmente vero, in termini puramente linguistici-, nel senso cioè di "pertinente, riguardante la creatura". D 'altra parte, come mostra appunto il caso di Hauptmann, a differenza dell'italiano nella lingua tedesca l'aggettivo esiste da più tempo. Ma, anche in questa lingua, il concetto introdotto da Otto costituisce una chiara novità, che peraltro i dizionari non registrano. Attribuendo tanta rilevanza al termine Kreaturge/uhl, infatti, Otto fa del "creaturale" un concetto che innanzi tutto coincide appunto con il "sentimento appartenente alla creatura che si sente come tale" . Trattando del "sentimento di dipendenza" o Abhà'ngigkeitsge/uhl e del modo di definirlo, Otto scrive: Ich suche nach einem N amen fi.ir die Sache und nenne es Kreaturgefuhl, das Gefiihl der Kreatur, die in ihrem eigenen Nichts versinkt und vergeht gegeniiber dem, was iiber aller Kreatur ist 10•
In questo punto cruciale, dunque, Otto non usa l'aggettivo kreaturlich. La traduzione italiana dell'espressione con "sentimento creaturale" ha perciò il pregio di metterne in evidenza il concetto. Come si è detto, "crea turale" è appunto in primo luogo un "sentimento appartenente alla creatura che si sente come tale". Conviene con ciò tornare alla definizione elementare di creatura. In lingua tedesca, mentre il significato generale (1) di Kreatur è quello di Geschop/, (von Gott) gescha/fenes Wesen - essere creato (da Dio) -, immediatamente associato al sentimento del Mitleid o "com-passione" - il che determina l'ulteriore, immediata associazione con la nudità, i bisogni elementari della fame e del freddo (in certo senso la "miseria" creaturale11 ) - , il suo secondo significato è negativo. Esso designa, infatti, o, in senso lato (2a), un essere umano riprovevole o disprezzabile, con connotazioni che comprendono il "povero" (arm), il "misero/miserabile" (elend), il "comune" (gemein) e il "ripugnante" (widerlich), o, in senso più stretto e ancora più "svalutativo" (abwertend, 26), il "docile strumento privo di volontà di
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Worterbuch der deutschen Gegenwartssprache, Bd. 3, Akademie Verlag, Berlin, 1969, p. 2255, s. v. «kreati.irlich». Le traduzioni dei due passi: «Ora però mi colpì il raggio del suo creaturale amore materno» e «era il dolore, il mio personale, creaturale dolore». 9 Nel dizionario dei fratelli Grimm, la grafia è ancora «Creatur» e «creatiirlich». 10 R. Otto, Das H eilige: uber das Irrationale in der Idee des Gottlichen und sein Verhaltnis zum Rationalen, Trewendt u. Granier, Leipzig, 19204, p . 10: « Cerco un nome per la cosa e lo definisco sentimento creaturale, il sentimento della creatura che sprofonda nel suo proprio nulla e svanisce di fronte a ciò che sta sopra ogni creatura». La prima edizione di questo saggio risale al 1917. Da allora, in Germania è stato continuamente ristampato, fino ai nostri giorni. L'edizione italiana invece non è stata più ristampata. 11 Un sentimento che nella letteratura italiana è esemplificato dai romanzi di "ambiente psichiatrico" di Mario Tobino.
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un'altra persona" che, s'intende, sta in posizione a vario titolo dominante. 12 Questi due significati generali trovano riscontro in parecchie altre lingue. Ma, se si passa da Kreatur a k reaturlich - e di nuovo ciò vale per altre lingue-, appare una vistosa asimmetria: l'aggettivo, infatti, si riferisce esclusivamente al primo significato (1). La differenza va rimarcata: creaturale è ciò che è "proprio" (eigen) della creatura nel primo senso. Il concetto di K reaturgef uhl va posto al centro, poiché è proprio il sentimento creaturale a costituire il nesso tra il concetto di creatura (1) e il senso del creaturale (che è sempre pertinente il primo significato). Un'indicazione convergente proviene dal Dizionario di Salvatore Battaglia che, spiegando l'aggettivo italiano in questo modo: «Proprio delle creature (il sentimento [c. n.] di venerazione, di rispetto verso l'essere superiore)»13 , ha il pregio di recepire in pieno la "novità" dell'espressione di Otto rispetto agli stessi dizionari tedeschi. La definizione di "crea turale" cercata in questo saggio si oppone al "senso della propria nullità" e ha un'opposta indicazione vettoriale. La formula è la seguente: «proprio delle creature (il sentimento di venerazione, di rispetto verso le altre creature) . Il riconoscimento della creaturalità propria e delle altre creature come comune nesso di dipendenza reciproca». L'ultima frase di questa definizione è fondamentale per includere nel concetto di creaturale l'orizzonte del "riconoscimento" dell'Altro. Se il concetto di creatura è inteso soltanto come "creatura/ creazione, essere creato da Dio", infatti, esso resta interamente assorbito nella esclusiva relazione diretta con il "creatore" e la "creazione" . Il che ha certo radici profonde nella teologia cristiana delle origini. Sviluppando un'indicazione di Agostino14, infatti, il latino ecclesiastico ha inteso creatura appunto nella duplice accezione di "creazione" e "creatura ". Nella teologia di Paolo, che
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Duden, Deutsches Universal Worterbuch, 19892 , p. 895 . 13 Grande Dizionario della Lingua Italiana, Utet, Torino, 1971, vol. 3, p. 940 (s. v.). Anche Tullio De M auro, Grande Dizionario Italiano dell'Uso, Utet, Torino, 1999, vol. 2, p. 389 conferma l'indicazione: «[E. Buonaiuti, trad. italiana di R. Otto, "Il sacro"; derivato di creatura con -ale, cfr. ted. Kreaturge/uh[J; della creatura: sentimento creaturale». D e Mauro colloca l'apparizione della voce "creatura" nella lingua italiana prima del 1250, dal latino tardo creatura (m). Etimologia: da creo, p er il quale v. cresco. Questa etimologia, attestata da E. Ernout et A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, Klincksieck, P aris, 19594, tomo 1, p. 149 s. v. «creo» e p. 150 s. v. «cresco», rimanda ai termini «creber» e «cretus», che hanno importanti ricorrenze in Virgilio (Ae., 2, 74; 8, 135) e Lucrezio (6, 257). «Cretus» è un calco del greco pephyk6s. «Creo» è il transitivo di «cresco». Verbo e derivati sono il tentativo di tradurre i termini greci ktizo, ktisma, ktisis, ktistes (cfr. H. Balz, G. Schneider, hrsg. von, Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament, Kohlhammer, Stuttgart, 19923; ed. it. a cura di O . Soffritti, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, 1995-1998, vol. 1, coli. 120-125 ). La versione dei LXX non ha sempre tradotto br' (creare) con ktizein, ma talvolta semplicemente con poiein, in particolare in G enesi. 14 Civitas Dei 22, 14.
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dalla tradizione ellenistica riprende il concetto di creazione dal nulla15 , l'elemento innovativo è rappresentato dal concetto della "nuova creazione" l'uomo nuovo di Romani, 6 - in e attraverso Cristo. La prospettiva che qui sviluppiamo deve perciò risalire più indietro, a radici decisamente veterotestamentarie e, stando almeno ad alcune correnti interpretative, coincide in larga misura più con l'idea di "uomo" nell'accezione di 'adam, che con quella del "creare" (radice br'). Secondo la spiegazione di Claus Westermann, infatti, «nell'Antico Testamento non si parla indifferentemente di 'adam ogni volta che ci si riferisce all'essere umano, ma in prevalenza quando questo essere è visto in relazione con la sua creaturalità o con un particolare elemento della sua creaturalità. 'adam non è l'uomo che si manifesta nella famiglia, nella politica, nelle preoccupazioni quotidiane o nelle relazioni sociali; si parla di 'adam solo dove egli, al di là di tutti questi riferimenti è inteso nel suo mero essere umano. Ma soprattutto: la particolare azione salvifica di Dio, la storia di Dio col suo popolo non ha nulla a che fare con lo 'adam. Non solo i due complessi letterari in cui 'adam ricorre più spesso (Gen 1-11 e Ecclesiaste), ma anche i diversi usi del termine che sono collegati tra loro per affinità di contenuto hanno a che fare con l'uomo come creatura o con un aspetto della sua creaturalità; nei libri storici o profetici non si hanno complessi letterari fissi per forma o contenuto, né modi di esprimersi particolari in cui 'adam eserciti una funzione speciale»16. Indubbiamente questa spiegazione appare in contraddizione con la formula sopra proposta, in cui è essenziale il riconoscimento dell'Altro. Tuttavia, pensiamo che proprio l'idea pura della creaturalità come "mero essere umano" sia la radice per così dire fenomenologica del riconoscimento più profondo dell'essere dell'Altro come essere umano. Solo nelP estremo della propria "derelitudine;; o Odnis - il termine è celaniano -, l'uomo può riconoscere il suo "mero essere umano" e muovere verso l'Altro. In questa luce, solitudine estrema e silenzio dell'"eroe tragico" - il motivo centrale della grande interpretazione del tragico sviluppata in Stern der Erlosung (Stella della redenzione) da Franz Rosenzweig, non a caso meditata negli anni della Prima guerra mondiale e apparsa subito dopo la sua fine tornano ad essere vicini all'idea di 'adam. Anche l"'eroe" tragico è spesso "solo" di fronte al cielo degli dèi. Il gesto di Antigone ubbidisce ad un principio di fondamentale rispetto creaturale verso il corpo morto del fratello. Come il suo, anche i gesti di Edipo o di Aiace sono frutto di decisioni 15 Rom
4, 17. E. J.C. Westermann, Theologisches Worterbuch zum Alten Testament, 2 Bde, Chr. Kaiser, Miinchen-Theologischer V., Ziirich, 1971; ed. it. a cura di G. L. Prato, Dizionario Teologico dell'Antico Testamento, Marietti, Torino, 1978-1982, vol. 1, coli. 36-49, qui39-40. 16
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prese in solitudine. Nella irremovibile determinazione dei personaggi di Sofocle - caso estremo il personaggio di Filottete - c'è qualcosa di più che un certo aspetto del carattere: c'è appunto il "sé" profondo di cui parla Rosenzweig, un solitario dialogo dell'anima con se stessa con cui il tragico sviluppa un motivo già omerico. Questo preliminare movimento "archeologico" non intende ovviamente escludere né l'idea del legame fra creatura e creatore, né l'idea paolina della "nuova creazione" in e attraverso Cristo. In termini di teologia cristologica, esso è anzi decisamente anti-docetistico. La kénosis porta ad un estremo dialettico il rapporto tra divinità e umanità. La dimensione umana è creaturale e si condensa nel grido di Cristo sulla Croce. Tuttavia, poiché si deve partire dalla constatazione che l'idea di creaturale e creaturalità assumono una fisionomia discernibile - sia pure embrionale - solo nella lingua e nella cultura del Novecento, proprio per poter fare un "passo in avanti" nella contemporaneità è necessario presupporre un preliminare "passo indietro", in una zona in cui una certa idea veterotestamentaria dell'essere umano e una certa idea del tragico nella cultura greca del V secolo presentano un punto di contatto in termini fenomenologici. Il sentimento di rispetto e venerazione per le altre creature come creature, non vuol dire affatto escludere la prospettiva teologica - lo sguardo verso Dio -, bensì indicare la via delle sguardo verso le creature come via dello sguardo verso Dio. Mettendo con ciò in evidenza che creatura - anche nell'estremo della sua nudità - significa appunto sollevare lo sguardo verso Dio, non solo essere guardato da Dio. Una prospettiva che in certo senso dovrebbe essere trasversale e comune al nucleo delle differenti religioni. Senza negare la "verticalità" che il concetto di creaturale in quanto derivato di creatura implica necessariamente, intendiamo dunque mettere in luce Porizzonte dell\mmanenza della creatura. In questo, il concetto di crea turale è l'indice di un limite inviolabile, non-profanabile. In questa prospettiva il senso del creaturale è fondamento del sacro in un orizzonte che differisce dalla definizione di Otto. È a questo punto già evidente che alla base di ciò c'è una riflessione sulla realtà storica del Novecento. Espressa con maggiore precisione dell'accenno iniziale, l'ipotesi è che alla base del tema del crea turale c'è l'estrema crudeltà che la realtà storica di questo secolo ha manifestato. Una crudeltà che trae origine dalla Prima guerra mondiale, un evento che sotto questo profilo è ancora tutto da studiare. Di qui la ripartizione del saggio. Nel primo capitolo, viene mostrata tutta la portata del tema nella poetica di Paul Celan. Nel secondo, si risale alle radici "religiose" del dramma espressionista, nella cui epoca il tema si rivela, riservando ampio spazio alla posizione di Walter Benjamin. Nel terzo e ultimo, attraverso una serie di "variazioni" si cerca di dimostrare che, con un'inaudita potenza drammatica, è la realtà storica stessa a porre al centro la questione della corporeità umana e della sua fine. Con ciò, il
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tema del creaturale viene a saldarsi con ciò che si può definire la "svolta metonimica" nella cultura del secolo, riflessa dalla grande letteratura del Novecento. Con essa, emerge appunto la questione della "inviolabilità" sia del corpo "vulnerabile" che della memoria - come risulta da una lettura "non-metaforica" di un motivo centrale della poetica proustiana della memoria. In tal modo, il motivo del creaturale diventa alla fine un argomento di polemica diretta ed esplicita "contro l'ideologia" o anche contro il nichilismo dell' "antropologia dell'ideologico". Questa polemica prende spunto dalle parole con cui, in Germania anno zero di Rossellini, la voce fuori campo commenta le immagini di distruzione della città tedesca in cui si svolge l'azione, indicandole appunto come il frutto di una visione ideologica del mondo. C'è nell'ideologico qualcosa che mira a superare ogni barriera di ordine etico, a non vedere più nel corpo dell'altro un corpo, nel volto dell'altro un volto, nel gesto dell'altro un gesto, nella parola dell'altro una parola. I procedimenti metaforici e mitizzanti di cui si avvale l'ideologia non si iscrivono più nell'ordine della spiritualizzazione che fa parte del codice del pensiero occidentale. E tuttavia si basano su un nucleo emozionale e sviluppano una strategia discorsiva - una retorica - che è del tutto erroneo liquidare come semplicemente irrazionale. Le emozioni non sono irrazionali e da esse dipende il rapporto tra mythos e logos.
Capitolo primo Paul Celan: il meridiano terreno/terrestre
1.1. Geschopf e Kreatur: {{creazione'' artistica e creatura Der Meridian - il discorso tenuto da Celan a Darmstadt il 22 ottobre 1960 in occasione del premio letterario Georg Biichner, che qui analizziamo seguendone soprattutto le tracce linguistiche-, si apre definendo l'arte (Kunst) come un essere marionettistico che, come attesta il motivo di Pigmalione e della sua creazione/creatura (Geschop/), è anche senza figli (kinderlos), cioè infecondo 1 . Questa è l'arte su cui si intrattengono i protagonisti nella scena della conciergerie nel Dantons Tod di Biichner. Riconoscibile malgrado la sua metamorfosi, essa entra in scena anche nel Woyzeck, in tutt'altra costellazione storica e temporale. Ora essa non è più riferibile (beziehbar), come nella conversazione del dramma storico della rivoluzione, alla «ardente» (gluhende), «scrosciante» (brausende) e «splendente» (leuchtende) creazione (Schop/ung) - aggettivi2 che sono evidentemente altrettante citazioni. Essa entra in scena, infatti, «neben der Kreatur und dem {{Nix", das diese Kreatur aanhat"». Riconoscibile da giacca e pantaloni nella sua forma di scimmia, essa è annunziata dal banditore del mercato. La distinzione "intratestuale" potrebbe passare inosservata. L'arte è collocata nel regno marionettistico della metamorfosi, sotto il segno della Schop/ung ("creazione"), la cui "creazione/creatura" è appunto un Geschopf Nella forma di "scimmia vestita" con cui essa appare nel Woyzeck, essa sta appunto «accanto alla creatura e al "nulla" che questa creatura "indossa"»3. Proprio questa sua posizione, accanto alla Kreatur, non la rende più 1
P. Celan, Der Meridian, in Gesammelte Werke, hrsg. von B. Alemann u. S. Reichert, Bd. 3, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1986, pp. 187-202 (in sigla= M). L'edizione critica di riferimento di questo testo, originariamente apparso nel 1961, è oggi Der Meridian. End/assung, Entwur/e, Materialien, hrsg. von B. Boschenstein u. H. Schmull, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1999 (= Paul Celan Werke 3 ). Di rilievo storico-letterario è la collocazione di questo testo nella chiusa dell'antologia A rs poetica. Texte van Dichtern des 20. Jahrhunderts zur Poetik, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 19712, curata da Beda Alemann. Abbiamo già analizzato questo testo in «Der M eridian. Paul Celane la poetica del creaturale», Studi di estetica, 3 serie 26 (1998), 17, pp. 73-118, cui rinviamo per l'indicazione di molte delle fonti citate. La prospettiva qui seguita è del tutto diversa. 2 Significativamente si tratta sempre di participi presenti. 3 M, p. 187.
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riferibile alla "creazione" (Schop/ung), con tutti gli altisonanti aggettivi che l'accompagnano. Ancora per questa ragione, Celan spiega che la nuova apparizione dell'arte è ora nell'atmosfera di un (una più livida luce di tempesta) - un'espressione coniata dallo scrittore Moritz Heimann a proposito del Dantons Tod e qui estesa all'altro dramma. Dal punto di vista linguistico, il verbo schop/en ha quasi del tutto perduto il suo secondo significato di (er)schaffen (creare) e significa "attingere", secondo una gamma molto simile a quella del verbo italiano. Ma Schop/ung è in primo luogo die von Gott erschaffene Welt (il mondo creato da Dio: la "creazione" appunto), Schop/er o "Creatore" è quindi Dio stesso, mentre Geschopf è il risultato della creazione. La nota analogia teologica della creazione artistica è nella lingua stessa. Il ricorso ad una parola non tedesca e nien te affatto corrente in tedesco come Kreatur - dal tardo latino medievale creatura4 - intende dunque marcare una distinzione forte: tra Schopfung artistica e Kreatur c'è tensione. Si pone così subito la domanda: che cos'è e dove si colloca il teologico? L'"artificiosità" dell'arte è ancora più accentuata nel modo in cui essa appare in Leonce und Lena, l'unica commedia di Biichner, che Celan chiama il suo terzo poema (Gedicht) drammatico. La citazione è più che sufficiente: «Nient'altro che arte e meccanismo, nient'altro che cartone e molle del1' orologio»5 • La distinzione è dunque posta a partire dal Dantons T od, questo dramma di "morte", come dice il titolo stesso. Lì «si discute di arte». È bello discutere di arte. Se ne discuterebbe all'infinito, se non sopraggiungesse qualcosa. Il verbo usato è il composto dazwischenkommen. Il senso è che qualcosa si mette di mezzo. Questo qualcosa è la realtà, la realtà della vita con la morte. Nella conversazione in questione, anzi, i soggetti coinvolti sono Camille Desmoulins - che Celan definisce «un mortale» (einem Sterblichen) - e Danton che, secondo un importante rovesciamento, è invece definito come «einem nur von seinem Tod her zu Verstehenden». Assai sensibile è la sostan tivazione del termine finale: «ad una persona che va compresa a partire dalla sua propria morte». Con tutto ciò che le appartiene e che le si aggiunge, l'arte costituisce un problema. Come tale, essa permette appunto a Camille e a Danton di inanellare parole su parole, parole in serie. Ora, quando si discute di arte c'è sempre qualcuno che è presente e tuttavia non ascolta ... in modo corretto. Più precisamente, scrive Celan, qualcuno che ascolta e "spia" e guarda ... e poi non sa di che cosa tratta il discorso, «che però ascolta colui che parla, che lo "vede parlare", che ha percepi4
Nel dizionario dei Grimm, le voci «Creatur>> e, ancor più, «creaturlich» non hanno nessun rilievo particolare. Le ricorrenze letterarie della prima sono tratte quasi tutte da traduzioni tedesche di passi neotestamentari. 5 M, pp. 187 -188.
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to linguaggio (Sprache) e figura (Gestalt), e nello stesso tempo anche [...], e nello stesso tempo anche respiro (Atem), cioè direzione e destino (Richtung und Schicksal)»6 • Questa descrizione che, come capiamo subito, riguarda un personaggio del dramma, dopo la Kreatur (il riferimento è W oyzeck) definisce il concetto di kreaturlich o creatura/e. Chi fa questo, infatti, anche se non sa dire "di che cosa" il discorso tratta, ne percepisce tutta la corporeità fisica. Dunque, "ascolta" in senso stretto colui che parla, ma impegna anche la propria vista e perciò lo "vede parlare". La sua è Wahrnemung o percezione nel senso letterale e primario del termine, che vuol dire appunto "prestare la propria attenzione (Au/merksamkeit) ad una cosa con tutti i sensi corporei". Così il parlante (den Sprechenden) è insieme "linguaggio" come suono fisico e "figura" fisica, ma soprattutto "respiro" - in certo senso il più fisico degli elementi, da cui dipende il ritmo del linguaggio e dei gesti della figura che parla. Il respiro è metonimia del vivente, esso indica il ritmo e la direzione intrapresa. Non è lo stesso se si deve affrontare un percorso breve o lungo, se si passeggia, marcia o corre, se si è in pianura o in salita, se si sta affrontando una montagna. La direzione, dunque, con il respiro ha inscritto in sé il proprio destino. Non a caso così spesso citato - malgrado sia tutt'altro che "centrale" nel dramma, si può aggiungere-, il personaggio evocato è Lucile, la moglie di Camille. Ciò che sopraggiunge è il carro della morte, che porta nel luogo dell'esecuzione. In questa scena, quando proprio intorno a Camille la morte è al culmine della sua "teatralizzazione" e «pathos e battute sentenziose attestano il trionfo di ''marionetta " (Puppe) e "filo" (Draht)» - vale a dire, di nuovo: dell'arte -, proprio ora e qui c'è «Lucile, la cieca all'arte (Kunstblinde), la stessa Lucile per la quale il linguaggio ha qualcosa di attinente la persona (etwas Personha/tes) e di percepibile, ancora una volta lei, con il suo improvviso "Viva il re! "»7 . Molte parole sono state pronunciate alla tribuna - la tribuna del sangue, poiché si tratta del patibolo (Blutgerust). Dopo queste parole, davvero strano è il grido di Lucile, il grido di colei che ancora non è stata definita Kreatur come Woyzeck, ma di cui è stata indirettamente definita la creaturalità (Kreaturlichkeit) ! Che espressione (Wort) è? Che cosa grida il creaturale? Il passo di Celan va qui riportato per intero: Es ist das Gegenwort, es ist das W ort, das den «Draht» zerreillt, das W ort, das sich nicht mehr vor den "Eckstehem und Paradegaulen der Geschichte" bi.ickt, es ist ein Akt der Freiheit. Es ist ein Schritt8.
6
M, p. 188. p. 189.
7 M, 8
Ibid.
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Abbiamo visto che il respiro (Atem), in quanto metonimia del vivente, si collega con il ritmo ed il tipo dell'andatura, dipendenti dalla direzione scelta. L'ultima parola del testo: «È un passo», dunque, è strettamente collegata con il respiro. Fare un passo, vuol dire scegliere, agire. Agire è ciò che costituisce l'eticità umana. La parola/espressione di Lucile è un passo perché è un atto, un atto della libertà. Anche qui va messa in luce la scelta linguistica. Come accanto a Schop/ung e Geschopf Celan ha posto la parola Kreatur, così qui la parola della creaturale Lucile è definita ein Akt (dal latino actus). Celan avrebbe potuto usare Tat o H andlung e persino Vorgang, tutti i sinonimi tedeschi di Akt. Ma questo termine ha tuttavia qualcosa di solenne e cerimoniale, persino di giuridico. Poiché notoriamente esso designa anche il genere pittorico del "nudo", la definizione acquista una sfumatura ulteriore: (nella sua nudità) questa parola del creaturale «è un atto della libertà». Ciò rafforza il suo senso "giuridico": è un atto attraverso cui si manifesta la libertà del (nudamente) creaturale. La parola è atto (realtà). Per la prima volta, qui Celan lega strettamente le precedenti definizioni di arte - condensate dal semplice termine "filo" (Draht), cioè il meccanismo dei fili che fa agire le marionette - ad un preciso atteggiamento verso la storia - che è anche una modalità comune e diffusa della coscienza storica -, richiamato con un'esplicita citazione dal Dantons Tod. Questa è la parola che «non si inchina più di fronte ai fannulloni agli angoli delle strade e ai cavalli da parata della storia». Di nuovo, il procedimento è di condensazione fisica. Un modo di vedere la storia è quella di inchinarsi al passaggio del suo carro trionfante. Ma si tratta della stessa parola che strappa i fili del meccanismo dell'arte. Ecco perché è definita das Gegenwort. L'espressione utilizzata da Celan si basa sull'analogia tra ant- di Antwort (risposta, come parola che si pone di fronte) e gegen- (contro). Infatti, come sinonimo di Antwort essa è utilizzata in varianti regionali del tedesco. In senso tecnico stretto, il significato di Gegenwort è esattamente Gegensatzwort, ossia "antonimo": la parola usata in senso opposto ad un'altra. 1.2. La maestà dell'assurdo
Ma, in senso più lato, indica la parola/risposta che si oppone. Qui significa anche la parola usata paradossalmente contro ciò che essa stessa significa alla lettera. Come vedremo più avanti, la traduzione con "controparola" - un termine che pure esiste in italiano - non ne è un corrispettivo del tutto esauriente. Il paradosso è il seguente: certamente formulata in opposizione (gegen- come equivalente a Gegensatz), questa espressione del creaturale è innanzitutto in opposizione a se stessa, secondo il significato letterale di Gegensatzwort. Infatti, come nota lo stesso Celan, in apparenza essa suona come una professione di fede nell' ancien régime. Il che è assurdo. Tuttavia,
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è proprio nel regno dell'assurdo che stiamo entrando. Naturalmente «Viva il re!» non è un omaggio a nessuna monarchia, né ad alcun passato da conservare: Gehuldigt wird hier der fi.ir die Gegenwart des Menschlichen zeugenden Majestat des Absurden9 •
«Qui si rende omaggio alla maestà dell'assurdo, che testimonia per la presenza/il presente dell'umano». Di fronte all'Unmenschlich (inumano), è la maestà dell'assurdo a rendere testimonianza a favore della presenza dell'umano. Va notato che l'espressione Gegenwart (presenza/presente) è quasi identica a Gegenwort. L'assurdo è il rovesciamento dell'apparenza razionale del mondo. È regale e sovrano, cioè dotato di maestà. Rovesciare l'apparenza del mondo, infatti, significa prendere una posizione "assurda" nella collocazione dell'essere umano tra cielo e terra e assumere con essa un nuovo punto metafisico di osservazione. E questa è la libertà massima. La maestà dell'assurdo testimonia di fronte al mondo e alle sue decisioni che l'umano è (ancora e sempre) presente nel mondo. La parola in opposizione rende dunque omaggio alla maestà dello sguardo rovesciato sul mondo, per affermare la presenza/il presente dell'umano, in opposizione all'assenza dell'umano: l'orrore nel mondo. Ma anche l'orrore è parte e prodotto dell'umano. C'è qui un primo legame: il rifiuto del crea turale è l'assenza dell'umano (il nonumano e l'inumano) - l'orrore è il suo prodotto. Che nome dare a ciò? Nessun nome che suoni come un'etichetta stabile. Tuttavia, scrive Celan, «credo, è [... ] la poesia» 10 . Dichtung è espressione del creaturale. È un rapporto di quasi-identità reversibile: la poesia è il creaturale - il creaturale è la poesia. La poesia dice anche dell'orrore e della crudeltà del mondo. E ne dice quanto più è vicina al suo senso creaturale, di cui è l'espressione. Die Gegenwart - abbiamo visto - è la presenza (Anwesenheit) e anche il tempo presente (Jetztzeit) dell'umano. L'arte ora ritorna. L'arte è parola che può essere letta in modo diverso e su cui si possono porre accenti diversi. L'accento dell'odierno (des H eutigen) è l'acuto -1' acuto del tempo presente. Come nel Dantons Tod, l'arte ritorna come episodio in Lenz, il frammento narrativo di Biichner rimasto incompiuto. Casualmente, il pastore Oberlin ospitò il poeta dello Sturm und Drang Jacob Michael Reinhold Lenz in fuga tra le montagne. Lenz viaggiava in incognito, ma Oberlin lo riconobbe e in seguito pubblicò la cronaca del loro incontro. Biichner trasforma Oberlin in personaggio del racconto ispirato alla sua stessa cronaca. L'episodio evocato si svolge a tavola. Uscito da momenti di vera angoscia, Lenz era di 9
M, p. 190.
10
Ibid.
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nuovo di buon umore: «si parlava di letteratura, era nel suo territorio[. ..]» Il passo di Biichner è di nuovo da citare per intero: [. . .] Das Gefi.ihl, da.E, was geschaffen seì, Leben habe, stehe i.iber diesen beiden und sei das einzige Kriterium in Kunstsachen [. .. ] 11
«[ ... ] La sensazione che ciò che è stato creato ha vita aleggiava sui due interlocutori come l'unico criterio nelle questioni d'arte [. . .]». Ma il passo, osserva Celan, è rilevante anche sotto !"'accento grave" della storia della letteratura. In esso, Biichner esprime la sua concezione estetica. Qui vanno anche cercate le radici sociali e politiche della sua poesia. Attraverso Lenz, è Biichner a formulare parole piene di disprezzo per !'"idealismo" estetico e le sue marionette di legno. Ad esse, egli contrappone «il naturale e il creaturale» (das Naturliche und Kreaturliche), con parole indimenticabili, che parlano della «vita dell'essere più insignificante» (Leben des Geringsten), degli «spasimi» (Zuckungen), dei «cenni» (Andeutungen), della «finissima, poco osservata mimica facciale» (ganz /eine kaum bemerkte Mienenspie/) 12 . Una concezione dell'arte, che Lenz (Biichner) illustra ripercorrendo un'esperienza da lui vissuta: 1
Allorché ieri risalivo fiancheggiando la valle, vidi due ragazze sedute su una pietra: la prima scioglieva i suoi capelli, l'altra l'aiutava; e la bionda capigliatura si sparse, e un pallido viso serio, eppure così giovane, e il nero costume, e l'altra così premurosa nella cura. Le più belle, le più intime immagini cieli' antica scuola tedesca di pittura trasmettono solo un vago sentore di ciò. Talvolta si vorrebbe essere una testa di Medusa, per poter trasformare in pietra un gruppo così, e chiamare la gente a raccolta13 .
È una scena di totale naturalezza, che appartiene alla vita di due creature. Il passo di Biichner, dunque, dice che «si vorrebbe essere una testa di Medusa», per cogliere «il naturale come naturale (das Naturliche als das Naturliche) per mezzo dell'arte» 14 • Questa è la prima osservazione di Celan. La seconda, fa notare che l'espressione del passo «man mochte» (si vorrebbe) non significa certamente: ich mochte (io vorrei). Man è il pronome indefinito "si" . È nominativo ed è di terza. Anche se riferito alla prima persona (qui il narratore dell'episodio), come in questo caso, è "corale". Ma lo è, senza essere un "wir" (noi). Che significa, dunque, questo man? Qui a parlare, come riconosce Celan, non è il Lenz storico, ma quello di Biichner. Sua, dunque, è la voce che abbiamo ascoltato. Come il grido di Lucile era un atto e un passo, che ci hanno condotto nel regno dell'assurdo, anche qui sia11
Ibid. M, p. 191. 13 M, pp. 191-192. 14 M, p. 192. 12
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mo di fronte a un movimento che ci immette in una cerchia, la medesima in cui la figura di scimmia, gli automi e con essi l'arte stessa sembrano essere di casa (zuhause sein). È un regno al confine: «Questo è un andare fuori dall'umano (dem Menschlichen), un recarsi fuori in una cerchia rivolta all'umano e per esso inquietante (unheimlichen)» . Anche qui, nel passo citato, per Biichner, infatti, «l'arte conserva qualcosa di inquietante (etwas Unheimliches)» 15 . Questo celebre termine, reso "canonico" anche da Freud16 , è qui usato innanzi tutto nel suo significato più letterale di "ciò che non è confidenziale e non appartiene all'intimità". Di nuovo, abbiamo un forte elemento di tensione: questo regno inquietante o dell'inquietante è tuttavia «dem Menschlichen zugewandten». Anche il verbo zuwenden ha un legame semantico privilegiato con il sostantivo Au/merksamkeit o attenzione e un significato affine a "donare": rivolgere attenzione a qualcuno o a qualcosa, nel senso del dare (geben) o del dedicare (widmen). Come nel caso dell'assurdo, ciò potrebbe far pensare ad uno straniamento o Ver/remdung, il termine che sta al centro della drammaturgia brechtiana. Ma l'uso del termine unheimlich indica un altro movimento. In un certo senso,/remd (estraneo, straniero) è un opposto di heimlich e dunque ver/remdet e unheimlich hanno una qualche affinità. Il primo sembra di significato più "forte", poiché porta nel territorio dell"'alieno". In realtà, proprio perché è la diretta negazione del confidenziale e dell'intimo (heimlich), unheimlich ha davvero un significato più "forte" e ... inquietante. Come vedremo tra poco, infatti, Celan lega direttamente l'Unheimlich con il Fremd (l'ignoto, lo sconosciuto, lo straniero). Esso conserva però il legame con ciò che appartiene ali' Heim o focolare domestico (il che corrisponde all'episodio narrato, che si svolge in casa durante una conversazione a tavola o Tischrede, genere "illustre;; nella tradizione protestante). Come la maestà dell'assurdo testimonia per la presenza/il presente dell'umano, anche questo territorio, ove l'arte ci conduce con l'immagine della testa di Medusa, rimane rivolto con la sua attenzione all'umano. Trattando del "grido" di Lucile, Celan aveva fatto i nomi di Gustav Landauer e Peter Kropotkin e poi tracciato una genealogia che, centrata sulla linea Lenz-Biichner, risale a Louis-Sébastien Mercier per scendere fino al Naturalismo e ad Hauptmann. Qui riconosce di essersi accostato a Biichner, movendo da sue stesse composizioni poetiche. L'accento acuto del presente significa allora non solo che il presente della costellazione poetico-storica di Celan si rivolge a Biichner, ma anche che dalla costellazione biichneriana sorgono questioni rilevanti per il presente. In questo senso, la definizione di Biichner come poeta non potrebbe essere più pregnante: egli 15
16
Ibid. Vi torneremo più avanti (Cap. 3, §1) per un importante confronto.
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è, infatti, il Dichter der Kreatur (poeta della creatura) che, sia pure a mezza voce e forse non con piena consapevolezza - ma proprio per questo forse nel modo più radicale -, ha messo in discussione l'arte. L'ha messa in discussione partendo da questa direzione, cioè dalla tensione tra l'Unheimlich e l'attenzione all'umano che caratterizza l'ambito dell'arte. Ma, ora si capisce chiaramente, questa è anche la direzione della creatura. Secondo Celan, tutta la poesia odierna deve ritornare ad essa, se intende andare oltre con i propri interrogativi. Espressa con parole che vanno un poco oltre, la domanda di Celan è davvero "esplosiva". Dobbiamo procedere dall'arte considerandola come qualcosa di letteralmente "pregresso" e tale da valere come presupposto incondizionato? In altre, più concrete parole: si tratta di pensare coerentemente Mallarmé fino in fondo?17 È qui chiara la consapevolezza teorica che l'arte ha epoche diverse, in ognuna delle quali non ha significato sempre la stessa cosa. L'arte poetica ha raggiunto un suo culmine con Mallarmé. Cosa significa allora l'espressione di Celan? Pensare coerentemente Mallarmé fino in fondo, vuol dire in primo luogo che non è possibile un ritorno all'indietro. Ma in che senso l'arte poetica ha raggiunto un suo culmine con Mallarmé? La cosa può interpretarsi così: con Mallarmé l'arte poetica ha raggiunto il culmine della sua compiuta meta/orizzazione. Come ha scritto Valéry, la poesia di Mallarmé è un compiuto langage dans le langage. Seguendo Bruno Snell ed estremizzando la sua analisi del parallelismo tra i processi della lingua e del pensiero nel mondo greco delle origini, cioè in sostanza della lingua omerica, sarebbe così giunta al suo compimento la cosiddetta spiritualizzazione, che ha luogo essenzialmente attraverso il procedimento di metaforizzazione degli organi e delle funzioni corporee. Secondo questo schema ideale, si tratta di una linea che da Omero, i primi lirici greci e Pindaro giunge fino a Mallarmé. Ma, stando ad un elemento della teoria aristotelica da cui è difficile prescindere, il metaforico presuppone un rapporto di "scarto" e, dunque, di "straniamento" rispetto alla lingua "normale" e propria. Per la prima volta, si potrebbe allora parlare davvero di un orizzonte post-aristotelico: se con Mallarmé la lingua poetica ha raggiunto la sua completa metaforizzazione, con essa ha raggiunto anche lo statuto di una auto-referenzialità autonoma. Portare Mallarmé fino in fondo, significa allora che non si può regredire dal grado raggiunto dalla lingua poetica, ma neppure andar oltre o "dall'altra parte" (h inubergehen) restando ancora sulla strada del metaforico. Si intravede qui la ragione del precedente riferimento genealogico a Mercier e al suo «Elargissez l'Art», su cui torneremo più avanti.
17M , pp. 192-193.
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«Pensare coerentemente Mallarmé fino in fondo» è la stessa poetica del creaturale che sta al fondo della poesia celaniana e dei riferimenti a Biichner, Lenz e al Naturalismo. Ciò aiuta anche a capire perché negli ultimi anni della sua non lunga vita, l'attenzione di Celan si è concentrata sempre più soprattutto su Kafka (insieme a Mandel'stam). Si tratta di pensare creaturalmente la realtà o, meglio, di andare incontro alla creaturalità del reale. Ciò è l'opposto di quanto in filosofia si definisce Sinngebung o "donazione di senso". Linguisticamente, significa che ogni parola poetica è wirklichkeitsbezuglich (riferita/riferibile alla realtà), perché il suo senso primario nasce dalla realtà. Un esempio poetico diretto può chiarire questo punto, meglio di un ragionamento astratto. Dal ciclo Atemkristall, prima sezione di Atemwende, prendiamo questo testo (è il quarto nella serie): IN DEN FLÙSSEN nordlich der Zukunft werf ich das Netz aus, das du zogernd beschwerst mit von Steinen geschriebenen Schatten.
Se leggiamo togliendo «der Zukun/t» (1), «van» (4) e la chiusa «geschriebenen/Schatten» (4-5), avremmo: «Nei fiumi a nord/getto la rete, che tu/esitando fermi/con pietre». È la descrizione diretta di un'immagine della pesca. La rete viene gettata e poi appesantita o, in senso figurato, "fermata" con pietre. È una semplice immagine del mondo, come la ragazza che si scioglie i capelli, mentre l'amica l'aiuta con gesti affettuosi. Gli "spostamenti" che il testo opera sugli stessi elementi che formano l'asse dell'immagine, insieme la "conservano" e ne moltiplicano il senso. In altre parole, l'immagine resta e non va cancellata dalla lettura e dalla memoria del testo. Così, sembra avere una struttura similitudinaria, in base alla quale i nessi di "spostamento" appaiono metaforici. Ma non è così. Vediamo il testo nella sua interezza: NEI FIUMI a nord del futuro, io getto la rete, che tu esitando fermi con ombre scritte da pietre.
Le espressioni «a nord del futuro» e «con ombre scritte/da pietre» cambiano tutto. Tempo e modo del verbo al v. 2 dicono che l'azione è realmente compiuta. L"'io" del testo chiaramente getta la rete. È un presente indicativo di valore piuttosto "durativo"; vuol dire: è ciò che sto facendo. Questo è decisivo, in relazione all'immagine precedente del v. 1: l"'io" ha raggiunto i fiumi che si trovano «a nord»: nordlich usato awerbialmente è
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normale (posso dire nordlich von Berlin nel senso di "(situato) a nord di Berlino"). D'altro canto, in questo come in altri cicli, quando intende esprimere la direzione Celan usa il suffisso -wéirts (per es. Landeinwà·rts, in direzione dell'entroterra). Dunque, è certo che l"'io" getta la rete in fiumi situati a nord. Perciò l'indicazione spaziale può essere fatta rientrare ancora nel primo livello di lettura. Ma essa è poi assorbita nell'indicazione di una dimensione del tempo. Il futuro o Zukun/t è l'unica dimensione del tempo possibile per Celan, come poeta e come creatura vivente. È quasi inutile spiegare perché. A questo proposito, infatti, possiamo prescindere dalle discussioni ermeneutiche sulla rilevanza o irrilevanza delle conoscenze "extratestuali" e dalle polemiche vecchie e nuove sul loro "carattere positivistico". La vita emotiva di Celan si è fermata e come "cristallizzata" nel momento in cui il presagio della quasi sicura morte della madre catturata dai nazisti è diventata la certezza dell'atroce morte inferta con il colpo alla nuca: il modo in cui si uccidono alcuni animali. Le immagini oniriche in Infanzia di Ivan (1960) di Andrej Tarkovskij - il "poeta" del cinema onirico - raccontano la stessa cosa. Cambia solo il dettaglio della morte della madre, che è stata impiccata dai soldati nazisti. Non è difficile capire che, nello stesso istante, il piccolo Ivan è interiormente "morto". Proprio perché è così radicata nel passato, la poesia di Celan non ne parla. Ma non può neppure parlare solo del o al presente. Il tempo presente del verbo è collocato appunto nel futuro. Ma - si può dire: per convenzione - il sud evoca assai di più il senso dell'" evasione". Chi si trova vicino a fiumi situati a nord, si è aperto vie attraverso un arduo e terribile cammino. È solo, inoltre, in una solitudine che, per richiamare una sua stessa espressione, si può definire "derelitudine". L'utopia dell'immagine è evidente. Il senso di realtà concreta che da essa emana, "cambia;; il respiro. Ma spesso è plausibile identificare nel "du;; che ricorre in questo ciclo la figura della madre assassinata. Spesso la madre morta agisce ed è viva.
1.3. Il cammino della poesia Il legame Steinen/Schatten dice di ombre dei morti e delle pietre del rituale funebre. Le ombre sono scritte da pietre. La rete è gettata in fiumi che scorrono. Rete di parole, che solo le ombre scritte da pietre possono tenere ferme. L'immagine è reale, ma basata su un'opposizione che la rende "assurda". Il testo invita ora a ritornare al discorso a tavola del Lenz. Alla fine della discussione, di Lenz - l'uomo che si è impegnato nella questione dell'arte - e anche dell'artista Lenz, si dice: «Er hatte sich ganz vergessen»: si era completamente dimenticato di sé18 . Lenze Lucile qui sono quasi identi18
M, p. 193.
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ficati. Nel leggere ciò, scrive Celan, penso a Lucile: «leggo: lui, lui stesso». Chi ha l'arte davanti ai suoi occhi e nella mente, come il Lenz del racconto, è dimentico di sé (selbstvergessen) . L'arte produce distanza dal proprio io: Ich-Ferne: «Qui l'arte richiede una determinata distanza (Distanz), un cammino (Weg) determinato in una direzione (Richtung) determinata » 19 • Ma la poesia è già stata distinta dall'arte. Che ne è allora di essa, che pure deve percorrere il cammino dell'arte, nel qual caso davvero si avrebbe il cammino verso la testa di Medusa e gli automi? Come l'arte, forse la poesia procede con un Io dimentico di sé verso quell'inquietante e sconosciuto (zu jenem Unheimlichen und Fremden) di cui si è detto prima. Va verso questo territorio «und setzt sich [. .. ] wieder /rei?» 20 Questa seconda parte della domanda è alla lettera "esplosiva": il verbo /reisetzen, per quanto usato in modo figurato, è proprio della chimica, ove designa la separazione di un elemento o la creazione di un nuovo composto, e della fisica, ove indica lo "sprigionamento" di energia. Fondamentali sono le domande interne, nella citazione lasciate in sospeso nella parentesi: ma dove (wo)? ma in quale luogo (an welchem Ort)? ma con che cosa (womit)? ma in qualità di che cosa (als was)? Nella sequenza delle prime due domande "spaziali", il termine Ort indica il luogo "localizzabile" (come vedremo, tutto alla fine converge sul tema del "luogo"). La terza domanda indica il mezzo o gli strumenti. L'ultima è propriamente ontologica, è la domanda sulla qualità dell'essere. In tal caso: «L'arte sarebbe il cammino che la poesia deve coprire - né più, né meno»21 . L'arte è semplicemente un cammino - e, dunque, una distanza - che la poesia deve percorrere: un cammino reale, non simbolico o prodotto immediato di rete retorica. Ci sono scorciatoie. La ragione per cui Celan le esclude, è controintuitiva e paradossale. Percorrere un cammino per intero e fino in fondo significa adottare un passo e assumere un ritmo. Non si tratta di lentezza, di velocità o di accelerazione, ma di ritmo del passo. Vale per la poesia, come per l'atletica, ove per esempio affrontare 100, 200 o 400 metri richiede passi differenti. Quanto più la distanza è lunga, tanto più occorre sapere cambiare ritmo e passo. La ragione per cui non si deve pensare a scorciatoie è che «auch die Dichtung eilt uns ja manchmal voraus»22 . Il verbo vorauseilen è uno stretto sinonimo di vorauslau/en (ecco perché ci siamo riferiti all'esempio della corsa). I due verbi indicano "correre in testa", "fare corsa di testa", quindi anche "precorrere" e precedere.
19
Ibid. Ibid. 21 M, p. 194. 22 Ibid.
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Dunque, «talvolta anche la poesia certamente ci precede nella corsa". L'idea è ritradotta con una frase in francese: La poésie, elle aussi, brule nos étapes23 .
La parola étape precisa ulteriormente l'immagine precedente. Si tratta di un cammino lungo, di un lungo percorso, che prevede delle tappe. Nel francese antico, étape indicava il luogo "fermo" e stabile del commercio, quindi il magazzino o il deposito. "Bruciare le tappe" significa alla lettera "non fermarsi alle tappe previste" o "arrivarvi prima del previsto". Ma non si tratta di semplici tappe di un cammino esterno, bensì delle nostre tappe. La poesia deve percorrere tutto il cammino dell'arte, ma per lasciarla dietro di sé, con la sua «dimenticanza di sé» (den Selbstvergessenen). Il posto localizzabile della poesia, il punto ove è possibile la "liberazione" esplosiva dell'energia umana o che consente il passo (Schritt) è una figura, è proprio colui che abbiamo incontrato nel racconto di Biichner. Dunque, non Lenz-personaggio, bensì Lenz stesso in quanto persona (als Person), la sua figura (seine Gestalt) concreta e vivente, con la sua morte. Questo Lenz coincide con la stessa figura di Lucile, colei che «con la sua attenzione percepisce il linguaggio come figura (Gestalt) e direzione (Richtung) e respiro (Atem)». Quest'ultima parola, ricordiamo, significa «direzione e destino». Lucile è la poesia. È giusto allora, visto che il Lenz è rimasto un frammento e la narrazione è interrotta, proseguirla lungo le tracce della posteriore vita di Lenz stesso, «per sapere quale direzione prese questa esistenza?» (um zu er/ahren, welche Richtung dieses Dasein hatte?) 24 • Nel testo di Biichner, la narrazione si interrompe così: Sein Dasein war ihm eine notwendige Last. - So lebte er hin [. .. ]25.
«La sua esistenza era per lui un peso cui non poteva sottrarsi. - Così andò avanti a vivere [.. .]». Come dicono i versi sulla rete gettata «a nord del futuro» - di cui risulta ora evidente il senso poetologico -, la poesia tenta di "correre in testa", di "precorrere". Come Lucile - figura della poesia stessa -, infatti, essa tenta di «vedere la figura nella sua direzione». Dalla narrazione stessa, sappiamo che Lenz un giorno - un 20 gennaio - si mise in cammino per le montagne. Il luogo (Ort) di cui narra il racconto è chiaramente una étape nel suo cammino. La narrazione si interrompe. Ma la poesia, che vede nel linguaggio la figura e nel personaggio la creatura vivente, è andata avanti. Perciò,
23
Ibid. Ibid. 25 Ibid. 24
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Wir wissen, wohin er lebt, wie er hinlebt26 •
Il passo mette in risalto la preposizione hin - tipica della direzione in avanti - in entrambi i composti. In una monografia su Lenz, Rosanow ha scritto che la morte, come una liberazione, la morte non si fece attendere a lungo. Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 1792, il corpo inanimato di Lenz fu ritrovato in una delle strade di Mosca. Fu seppellito a spese di un nobile. Il luogo della sua ultima sepoltura è rimasto sconosciuto27 .
Questa frase finale: «Seine letzte Ruhestéitte ist unbekannt geblieben», è applicabile a tanti corpi distrutti dalla guerra, come vedremo più avanti. Con questo passo di Rosanow, sappiamo: «Così egli era andato avanti a vivere». È il vero Lenz , la figura biichneriana, la persona, quella che incontriamo nella prima pagina - da cui sappiamo che «il venti di gennaio prese per le montagne», lui, proprio lui, scrive Celan, non l'artista che si impegna anche nelle questioni dell'arte, er als ein Ich28 .
L'arte è distanza dall'io, dimenticanza di sé. Questo cammino o percorso dell'arte, anche la poesia deve percorrerlo, senza scorciatoie proprio perché lo deve "precorrere" e per ritrovare l'io concreto. La poesia è «er als ein Ich». Ogni "lui" è un "Io". Ma il "lui come un Io" , è colui che ha compiuto il cammino. Questo era il cammino dell'ignoto. Forse ora , «troviamo il luogo (den Ort) ove era l'oscuro, il luogo ove la persona era in grado di far esplodere liberamente la sua energia, come uno - stupito (be/ remdetes) Io?»29 Lenz e il suo passo, Lenze il suo «viva il Re» è ora individuato in un passo del racconto, cui si lega, come vedremo, un testo poetico di Celan stesso: [. . .] nur war es ihm manchmal unangenehm, daE er nicht auf dem Kopf gehn konnte3°.
«[ .. .] sgradito gli era talvolta solo il fatto che non poteva camminare sulla propria testa». Nitida, si delinea qui l'immagine del rovesciamento, preparata nei passi precedenti: 26
Ibid. Ibid. Lo studio cui si riferisce Celan è M. N. Rosanow, Jacob M. R. Lenz, der Dichter der Sturm- und Drangperiode: sein Leben und Werk, dt. iibers. von C. von Giitschow, Schulze, L eipzig, 1909. Rosanow era libero docente a Mosca. 28 Ibid. 29 M , p. 195. 30 Ibid. 27
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wer auf dem Kopf geht, der hat den Himmel als Abgrund unter sich31 .
«Chi cammina sulla propria testa, ha il cielo sotto di sé come abisso». Creaturale vuol dire "appartenente alla terra". Secondo la tradizione, la creatura "guarda al cielo", al "creatore". Celan rovescia la direzione e il vettore dello sguardo. «Avere il cielo sotto di sé come abisso», significa affermare la "terrestrità" assoluta della terra. Camminare sui propri piedi, significa avere il cielo sopra di sé: basta alzare lo sguardo. Camminare sulla propria testa, vuol dire avere zl proprio sguardo nel cielo sotto di sé come abisso e sentire la terra cui apparteniamo con le proprie mani. La direzione teologica del rapporto tra cielo e terra è invertita. La "teologicità" del cielo come abisso si "scarica" sulle nostre mani e sul nostro legame con la terra. Teologiche sono le nostre mani, la terra e il nostro corpo, in posizione rovesciata rispetto al cielo. L'immagine richiama la "centralità" creaturale delle mani e dei suoi gesti nel cinema di Robert Bresson. La differenza è totalmente teologica. Il "Dio" bressoniano è ancora il "Dio nascosto" pascaliano, sotto il cui sguardo agiscono i suoi personaggi, come quelli di Racine (e, forse, di Manzoni). Il "Dio-niente-nessuno" di Celan è abisso. Lo sguardo del Dio di Bresson o Racine è sospeso sopra le trame delle nostre tragedie; il Dio celaniano è il Dio-a-tragedia(storica)-compiuta, perciò sprofondato nell'abisso. Il richiamo che subito dopo Celan fa alla Dunkelheit o oscurità va visto in questa prospettiva. L'oscurità rimproverata alla sua poesia è perciò quella «se non congenita, almeno assegnata alla poesia per amore di un incontro (um einer Begegnung willen), cui si muove a partire da una "terra straniera" (Fremde) o da una lontananza (Ferne) - forse autoprogettate (selbentwor/enen)»32 . È la stessa "oscurità" o "manque de clarté" professata e strenuamente difesa da Pascal, secondo una citazione che Celan ricava da Lev Sestov. Non è l'oscurità teologica, ma quella della lingua poetica. La parola Fremde, "terra straniera o incognita", ha qui un evidente significato-chiave. «Vicinissime l'una all'altra», infatti, «e in un'unica e medesima direzione, ci sono forse due specie di "terra straniera"». Identificati, Lucile e Lenz sono autori di un "passo". Ma Lenz - cioè Biichner - «qui forse è andato un passo più avanti di Lucile. Il suo "Viva il re!" non è più parola, è un tremendo ammutolire (ein /urchtbares Verstummen), è qualcosa che a lui - e a noi, con lui- mozza il respiro e la parola (verschliigt [. .. ] den Atem und das Wort)»33 .
31 32
33
Ibid. Ibid. Ibid.
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1.4. La poesia come "svolta del respiro" La definizione della poesia qui richiama il titolo di una raccolta celaniana: Dichtung: das kann eine Atemwende bedeuten34.
Tutta la fisicità dei concetti di Richtung (direzione) e Schritt (passo) si concentra ora su questa nuova nozione: «Poesia: ciò può significare una svolta del respiro». Se la poesia significa un determinato ritmo linguistico, evidentemente implica anche un mutamento del modo di respirare. In certo senso, il passo di Celan rovescia questa tradizionale relazione: è la "svolta del respiro", cioè appunto il mutamento del modo di respirare, a coincidere con la poesia. Imprimere una svolta al nostro respiro e cambiare il modo di respirare: questo è la poesia. Accanto al battito del cuore, il respiro rientra tra i più essenziali "segni di vita" (Lebenszeichen). Se temiamo per la vita di una persona, la prima cosa che istintivamente controlliamo è il respiro: "respira ancora" o "non respira più" equivalgono, infatti, rispettivamente a "vive ancora" e "è morto". Il sonno, il cambio di passo, l'inclinazione di un terreno, l'amore fisico, un'emozione violenta, la lotta, determinano "svolte" nel nostro modo di respirare. Celan non potrebbe usare termine più corporeo e "crea turale". Ma si tratta anche di un'espressione propria della lingua celaniana. Come hanno notato i fratelli Grimm a proposito di "Athem", molte lingue muovono dal concetto fisico e sensibile dello spirare o del soffio, per realizzare la gamma delle astrazioni spirituali come halitus, spiritus, anima, psyché e pneuma35 . La relazione che corre tra questo processo di astrazione e il procedimento metaforico è immanente e costitutiva, come ha mostrato il già citato Bruno Snell. Ma la matrice, che sta all'origine stessa dei concetti in base ai quali la metafora opera con procedimenti "spiritualizzanti", è un più generale processo di animazione. Il concetto stesso di anima, infatti, è il frutto di uno "slittamento" metaforico. Esso è tuttavia operato su segmenti chiaramente "metonimici" . Se facciamo "respirare" le cose, con ciò attribuiamo loro anche un'anima. L'indicazione di Celan, dunque, va nella direzione opposta, verso la fisicità dei corpi e delle cose. Il che contribuisce a chiarire ulteriormente il senso dell'osservazione precedente a proposito di Mallarmé. In altre parole, il concetto di Atemwende è creaturale, nella stessa misura in cui risale alla corporeità della sua radice metonimica. Forse è proprio in virtù di questa Atemwende che la poesia precede e "brucia", ossia "copre" il cammino, che è anche il cammino dell'arte.
34
Ibid.
35 Deutsches Worterbuch, vonJ. u.
W. Grimm, Bd. 1, S. Hirzel, Leipzig, 1854, col. 591.
30
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Poiché l'abisso e la testa di Medusa, l'abisso e gli automi sembrano trovarsi in un'unica direzione, forse qui alla poesia riesce «di distinguere tra una terra straniera e l'altra, forse proprio qui la testa di Medusa raggrinzisce, forse proprio qui gli automi si inceppano - per questo breve, unico attimo? Forse qui con l'Io - con l'Io qui e in tal modo colto nella sorpresa della sua liberazione - forse qui diventa libero anche un Altro? Forse la poesia è se stessa a partire da qui [. ..] e ora, in questo modo sciolto-e-libero-dal1' arte, essa può percorrere i suoi altri cammini, dunque anche i cammini dell'arte - percorrerli e ripercorrerli? Forse»36 . La fisicità della nozione di Atemwende è confermata dall'insistenza sull'immagine del cammino (Weg). Quanto viene aggiunto subito dopo, ne chiarisce anche il significato primario. In primo luogo, è il cambio di passo necessario per affrontare l'ascesa di una montagna. Sappiamo che Lenz un giorno prese per la montagna. Questo è l'inizio della novella di Biichner. Ciò spiega il passaggio alla domanda successiva: «Forse si può dire che ad ogni poesia resta assegnato il suo "20 gennaio" ?»37 Il riferimento temporale all'inizio del testo di Biichner è un dato filologico dubbio. Ma l'importante è che il riferimento spaziale diventa un punto nel tempo, cioè una data. Un'altra convenzione storica assegna alla data del "20 gennaio" 1942 la riunione di Wannsee, presieduta da Reinhard Heydrich e organizzata da Adolf Eichmann, in cui fu presa la decisione sulle modalità tecniche di esecuzione della Endlosung. Ciò che comunque conta nel discorso di Celan è il riferimento alle date. La novità delle poesie che oggi si scrivono, egli aggiunge con evidente riferimento in primo luogo alle sue proprie poesie, sta proprio nel tentativo solcher Daten eingedenk zu bleiben38.
"Eingedenk" significa "memor, memoria fixus". La svolta del respiro inizio del cammino -, dunque, è anche un luogo del tempo iscritto nella memoria della poesia: «serbarsi memori (fissi con la memoria) a tali date». Aber schreiben wir uns nicht alle von solchen Daten her? Und welchen Daten schreiben wir uns zu?39
La notazione ha un valore esistenziale generale, proprio perché ne ha uno storicamente specifico: «Ma non proveniamo tutti da queste date [storiche]? E, dunque, sotto quali di queste date ci registriamo?» Per capire il
36 M,
p. 196. Ibid. 38 Ibid. 39 Ibid. 37
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carattere esplosivo della domanda, si può tentare di tradurla nell'esperienza storica italiana. Tra le possibili date della nostra drammatica storia tra anni trenta e quaranta, chi sceglie di iscriversi sotto la data dell'ottobre 1938 in cui furono promulgate le leggi antisemite fasciste o sotto quella della notte del 16 ottobre 1943 in cui furono arrestati gli ebrei di Roma? Carica di tempo, la poesia parla (spricht). Celan sceglie il verbo più semplice: sprechen. Essa resta memore delle sue date, certo, ma parla. E certamente continua a parlare in causa (Sache) propria - la più propria. Ma da sempre rientra tra le speranze della poesia poter parlare proprio in questo modo anche in causa estranea o, meglio, in causa di un Altro (in eines Anderen Sache) - chi sa, forse addirittura in causa di un totalmente Altro (in eines ganz Anderen Sache). In eigener Sache sprechen ha un perfetto equivalente in italiano: "parlare in causa propria". Qui Celan utilizza il termine Sache in tutta la sua ambivalenza: res e causa. Di per sé il verbo sprechen non ricorre con la preposizione "in", bensì con mit, von, uber, /ur. La sua presenza è dovuta appunto al collegamento con Sache. Dunque: la poesia parla in causa/cosa propria, ma spera di poter parlare anche in causa/cosa di un Altro, forse di un totalmente Altro. Ma -la lingua rende legittima la domanda - parla anche "con" e/o "di" e/o "su/sopra" e/o "per" la causa/cosa di un Altro? Questo «chi sa?» è la massima tra le vecchie speranze della poesia, cui qui Celan sente di poter pervenire. Forse è addirittura continuamente pensabile un incontro, una coincidenza (ein Zusammentre//en) di questo "totalmente Altro" con un "altro" non troppo lontano, anzi del tutto vicino. Das Gedicht verweilt oder verhofft - ein auf die Kreatur zu beziehendes W ort bei solchen Gedanken40 •
«In questi ragionamenti» la poesia si sofferma o "spera" - termine quest'ultimo che va riferito alla creatura». Fin qui Celan ha parlato di speranze (Ho//nungen) . Nel passo appena citato, la traduzione resa provvisoriamente con "sperare" è difettiva. Il verbo usato, infatti, non è il semplice ho//en - "sperare", appunto -, bensì il composto verho//en. Esso è usato inoltre come un quasi-sinonimo di verweilen o "soffermarsi", "indugiare". È soprattutto di verho/fen che si dice: «un termine (un verbo) che va riferito alla creatura». In realtà, questo verbo appartiene essenzialmente alla fiigersprache (linguaggio della caccia) e, come spiega il Worterbuch der deutschen Gegenwartssprache, significa «stehenbleiben, um zu sichern», come mostra l'esempio da esso citato: «der Rehbock verhoffte einen Augenblick», che vuol dire «hat lange verhofft und nach allen Seiten gesichert»41 . 40 41
M, p. 197. Worterbuch der deutschen Gegenwartssprache, Akademie V., Berlin, 1976, p. 4060.
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La spiegazione-base chiarisce tanto la relazione sinonimica con verweilen, quanto l'ambito della caccia: «arrestarsi/fermarsi, per fiutare il vento». L'esempio è perfetto: «il capriolo si arrestò un attimo a fiutare il vento», cioè: «ha indugiato a lungo per fiutare da ogni lato». Ma come sichern usato intransitivamente nel significato di wittern (fiutare) richiama inevitabilmente anche il significato transitivo di "assicurare", "garantire", così in verhof /en il prefisso inseparabile ver- ha in primo luogo il compito di radicalizzare il senso di ho//en o sperare42 • La creatura che verho//t, dunque, è innanzi tutto l'animale inseguito nella caccia, che si arresta per fiutare da ogni lato il vento, nella speranza di essersi posto in salvo. Se si ritorna al passo celaniano e al riferimento alla poesia, l'immagine si delinea nella sua "crudele" limpidezza. E, va aggiunto, l'animale braccato in questa posizione di arresto "trattiene il respiro". Anche il suo respiro - come tutto il suo corpo-, infatti, lascia una serie di tracce per chi lo insegue. Si può immaginare anche che soffi il vento e allora l'animale dovrà mettersi "sotto vento", perché tanto il suo stesso respiro, quanto gli odori che emana - la paura può provocare la sudorazione e altri odori particolari - non possano essere percepiti. La poesia persiste come Verhof/en e riflessione. Nessuno può dire quanto durerà questa sua "pausa del respiro" (Atempause). Essa ha luogo mentre nel mondo esterno tutto si muove veloce e la velocità guadagna sempre più terreno. La poesia lo sa bene, aber es halt unentwegt auf jenes "Andere" zu, das es sich als erreichbar, als freizusetzen, als vakant vielleicht, und dabei ihm, dem Gedicht - sagen wir: wie Lucile - zugewandt denkt43 .
«ma imperterrita si dirige verso quell'" Altro", che essa si immagina come raggiungibile, come da liberare, forse come vacante e con ciò - diciamo: come Lucile - ad essa stessa, alla poesia, rivolta». Nella pausa del respiro, la creatura tace. L'immagine ha qui un ulteriore sviluppo poetologico. Oggi la poesia, aggiunge Celan, mostra inequivocabilmente «una forte inclinazione all'ammutolimento (eine starke Neigung zum Verstummen)»44 • Per la prima volta, qui ricorre il termine Neigung. Ciò ha a che fare solo in via mediata con le comunque non sottovalutabili difficoltà, legate al mondo della "velocità" e, quindi, della scelta lessicale, del più rapido "gradiente" della sintassi o del più debole senso per l'ellissi. La poesia si sostiene per così dire al margine di se stessa. Per poter sussistere,
42
Come chiarisce il dizionario dei Grimm, Bd. 12 (1886), coli. 572-575, che fornisce una splendida spiegazione del verbo e le ragioni del suo "slittamento" nell'ambito del linguaggio della caccia, con un'esemplificazione assai ricca. 43 M, p. 197. 44
Ibid.
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es ruft und holt sich [. .. ] unausgesetzt aus seinem Schon-nicht-mehr in seiner Immer-noch zuriick45 .
Il verbo zuruckru/en è tipico della memoria (Gediichtnis) : significa "richiamare (alla memoria)". Dall'archivio dei ricordi, che è appunto la memoria, essa "va a riprendersi" (sich zuruckholen) . È dunque alla memoria di sé come "già-non-più", che incessantemente la poesia va a riprendersi nel suo "ancor-sempre"Q . uesto " ancor-sempre"'l e a creaturali'dl ta e par1are e può essere appunto solo «un parlare (ein Sprechen)» 46 • "Parlare" non significa Sprache (lingua/linguaggio) in assoluto e neppure "Entsprechung" (corrispondenza), come sua derivazione. La distinzione è di rilievo. Va ripetuto: la poesia non può che essere un parlare. Parlare non è il linguaggio (o la lingua) in assoluto, ma qualcosa di più: è ciò che fanno le creature tra loro. Ma non è neppure Entsprechung. Entsprechen - il verbo tedesco da cui deriva questo sostantivo - indica in primo luogo il "rispondere" come corrispondere e quindi il corrispondere come "adeguatezza" delle parole alle cose. Perciò Entsprechung è anche "corrispondenza" nel senso dell"' analogia" in altri termini: la correspondance di Baudelaire -, matrice generale della metafora e della metaforologia. La poesia ha una forte inclinazione all' ammutolimento, ma può essere soltanto un parlare. Che lingua può essere? 1.5. L'angolo d'inclinazione
La risposta è: una lingua attualizzata, «liberata sotto il segno di una individuazione certo radicale, ma che nello stesso tempo resta anche memore dei confini ad essa tracciati dal linguaggio, delle possibilità ad essa dischiuse dal linguaggio». Dieses lmmer-noch des Gedichts kann ja wohl nur in dem Gedicht dessen zu finden sein, der nicht vergillt, da.B er unter dem Neigungswinkel seines Daseins, dem Neigungswinkel seiner Kreatiirlichkeit spricht47.
«Questo "ancor-sempre" della poesia può trovarsi solo nella poesia di chi non dimentica che egli parla sotto l'angolo d'inclinazione del suo esserci qui e ora, l'angolo d'inclinazione della sua creaturalità». Qui Dasein e Kreaturlichkeit sono contigui e non c'è dubbio che Celan è l'unico scrittore di lingua tedesca a fare del già raro aggettivo kreaturlich il sostantivo Kreaturlichkeit, inserendolo al centro della sua poetica. Per comprendere appieno il significato di Dasein, correntemente tradotto in italiano con "esistenza", occorre in primo luogo ricordare che il "da" di questo 45
Ibid. Ibid. 47 Ibid. 46
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composto è usato nel senso del "richiamare l'attenzione" o dell'espressione di stupore48 . Il termine risale al XVIII secolo ed è quindi relativamente recente. Il suo significato originario è la "presenza" (Gegenwart). Solo a metà del XIX secolo è venuto a designare la vita nella sua interezza, la sostanza, l'esistenza, lo stato delle cose. L'autore che più ne fa uso è Goethe. Secondo la classificazione attuale, Dasein significa nell'ordine la vita, l'esistere o l'esistenza (Existenz), (più raramente) la presenza tout court (Anwesenheit) o la presenza nel senso più fisico, quindi anche come disponibilità (Vorhandensein). La prima osservazione chiarisce che il "ci" della sua traduzione letterale -: esser-ci - è appunto quello di chi chiama per richiamare l'attenzione: "qua, qua, venite!" Essere "qua" designa la vita nella sua interezza fisica, prima che spirituale e nella pienezza delle coordinate del tempo e dello spazio. L'endiadi celaniana suona quasi come una precisazione o un'interpretazione: l'essere qui e ora, ovvero la "creaturalità". Come era da attendersi, il senso scelto per primo è quello originario: Dann ware das Gedicht - deutlicher noch als bisher - gestaltgewordene Sprache eines Einzelnen, - und seinem innersten W esen nach Gegenwart und Prasenz49.
«Allora la poesia sarebbe - ancora più chiaramente di quanto sia stato finora - lingua fattasi figura di un singolo, - e, secondo il suo essere più interiore, presente e presenza (esistenza presente)». Gegenwart è tanto il tempo presente in cui viviamo - il tempo dell'ora (Jetztzeit) -, quanto la presenza dell'esser-ci (Anwesenheit, Dasein). Priisenz, che ha anche il senso della presenza e della rappresentanza per esempio nel caso in cui si vuole mettere in evidenza che uno stato è "presente" nel territorio di un altro stato-, ha un immediato legame con la percezione cosciente, vuole cioè mettere in evidenza la coscienza che c'è un'esistenza presente. Queste distinzioni possono essere chiarite riferendosi a Celan stesso. La sua poesia è una "presenza" linguistico-poetica, poetologica e spirituale imprescindibile nel panorama del secondo Novecento. Anche chi non l'ha conosciuto di persona, può tuttavia avere ben "presenti" alcune sue foto e, dunque, collegare il suo volto alla figura della sua poesia. Chi non l'ha visto né sentito leggere di persona i suoi testi, può tuttavia ascoltare la registrazione di alcune sue letture e, dunque, percepire la "presenza" della sua voce, nell'impossibilità di evocare la sua "presenza" personale. Chi ne conosce la biografia, può collocarlo nel suo "presente", dal luogo e dalla data della sua nascita in Bucovina fino alle circostanze del suo 48
Cfr. il dizionario dei Grimm, Bd. 2 (1860) s. v. da, nr. 5, coll. 648-649 (cfr. anche la voce Dasein, coli. 806-807). 49 M, pp. 197-198.
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suicidio nella Senna (aprile 1970). La gamma del testo celaniano qui ci fornisce Dasein, Gegenwart, Priisenz. In questa successione, i due ultimi termini chiariscono che il senso del primo è prossimo al suo significato originario. E con esso va in tesa la "creaturalità". La gamma dell'italiano fornisce "presente" e "presenza" e permette anche un legame sinonimico con "esserci", che tuttavia raramente è usato come sostantivo, assai più frequentemente in locuzioni verbali come "c'è", " cera ' " , " ceravamo ' " . "P resenza " denva . da "presente" . Allora: "presente " come " tempo presente " e' Gegenwart. " Presenza " ne1 senso de11a presenza fisica e della percezione di questa presenza attuale è Priisenz. La presenza come esser presenti qui e ora sulla terra è Dasein, ma anche Anwesenheit (che è anche il significato secondario di Gegenwart). Va notato che i prefissi tedeschi sono gegen-, da-, an-. Nessun termine di questa area costruisce con vor- o voraus-, i prefissi che più corrisponderebbero al prefisso latino prae(davanti), che forma praesens, praesentis sul modello di absens, absentis. Importante è il fatto che si tratta di un derivato di prae- (davanti), ma non di praesum, verbo composto che indica semplicemente lo "stare davanti a qualcosa" (ad una schiera per esempio). Come si è accennato in precedenza, gegen- (con i suoi composti come entgegen-) è di grande importanza nella poesia e nel pensiero poetico di Celan. Delle due aree semantiche fondamentali di questa preposizione, certamente qui va messa in rilievo soprattutto la spaziale. In questo ambito, essa designa una relazione legata alla direzione (Richtung: un termine-chiave in questo testo). Essa normalmente va distinta in stato di quiete o movimento, per indicare l'esser-rivolto verso qualcosa o esser incline ad essa. Sempre in ambito spaziale, il significato subisce una leggera traslazione, con cui viene a designare la disposizione verso qualcosa o qualcuno, da distinguere a sua volta in ostile o amichevole/rispettosa. In tal caso, la comprensione è evidentemente legata ai singoli sintagmi e al contesto in cui sono inseriti. Come si è già accennato, nel caso di composti la relazione tra sistema linguistico tedesco e sistema italiano può indurre in equivoco. Se prendo Schlag (colpo), Gegenschlag ha il corrispettivo in "contraccolpo" . Se un pugile ha subito un colpo e reagisce a sua volta con un altro colpo, non lo posso chiamare "contraccolpo", mentre in tedesco posso chiamarlo Gegenschlag come colpo "contrario" o "opposto", con cui si risponde al colpo ricevuto. In altri termini, la parziale corrispondenza tra termini italiani costruiti con contro- come prefissale e termini tedeschi costruiti con gegen- come prefissale non deve far dimenticare che anche l'interpretazione di questa classe di sostantivi composti segue la regola del " termine radicale". Riprendendo la questione di Gegenwort, quindi, va ribadito che il termine "controparola" ne è un corrispettivo solo parziale. Il suo significato-
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base è in effetti quello di «espressione, concetto, il cui significato reale è contrario a quello che esso formalmente esprime»50 , mentre quello secondario designa la parola che si deve dare in risposta alla parola d'ordine. Il significato più corrente di Gegenwort tuttavia è quello di "replica che obietta" (Entgegnung, Einwana), l'obiezione contro qualcosa. Riflettendo sull'uso celaniano, dunque, la funzione della parola italiana "controparola" come la francese contremot, da cui è sostanzialmente ripresa - non stabilisce tanto una corrispondenza, quanto aiuta paradossalmente a comprendere meglio la gamma del termine tedesco. Se gegen- designa una relazione spaziale secondo una certa direzione, questo stesso asse semantico si rafforza nel composto Gegenwart, poiché il termine radicale "wart" ha una stretta relazione con il suffissale -wà'rts - peraltro frequente nella poesia di Celan, come si è accennato con un esempio-, che a sua volta ha una probabile parentela con wenden (voltare, rivoltare, volgere). Il senso dinamico ne risulta rafforzato. Ecco perché ora si dice che la poesia «[ ... ] è solitaria e in cammino (unterwegs). Chi la scrive, le resta assegnato in dote nel suo viaggio»51 . Bleibt ihm mitgegeben: il participio passato del verbo mitgeben ha il senso di "dato in dote o in provvista" per il viaggio, "dato in dono", "impartito". Stiamo trattando di un cammino (Weg) e della poesia che, solitaria come Lenz che prese per la montagna, è in cammino. Non è unterwegs zur Sprache - in cammino verso il linguaggio. È già linguaggio fattosi figura di un singolo) presente e presenza di un singolo. In cammino verso cosa, allora? Proprio per questo suo essere solitaria e in cammino, «anche qui la poesia sta nell'incontro, nel mistero dell'incontro? (im Geheimnis der Begegnung?)»52 . Si noti, la poesia che è ''in cammino", "sta" (steht) nell'incontro. È solitaria e sta nelFincontro. La gamma di significati di stehen è vastissima: stare ritto, trovarsi, esistere, essere, stare scritto. Va accolta per intero. Das Gedicht will zu einem Andern, es braucht dieses Andere, es braucht ein Gegeniiber. Es sucht es auf, es spricht sich ihm zu53 .
«La poesia ha volontà di un Altro, ha bisogno di questo Altro, ha bisogno di un qualcuno o qualcosa che gli stia di fronte. Essa lo va a trovare, si rivolge con la sua parola ad esso». Questo Altro, dunque, è ein Gegenuber. Il mistero dell'incontro sta nella relazione tra Gegenwart e Gegenuber. Ein Gegenuber è qualunque cosa o persona nella realtà si ponga "di fronte a" noi. Ma ciò che sta di fronte a noi 50
S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. 3, p. 702.
51 M,
p. 198. Ibid. 53 Ibid.
52
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nel senso della "oggettività" sarebbe ein Gegenstand. Il fatto che Celan non usi per nulla questo termine indica che la relazione tra radicale soggettività poetica e altrettanto radicale cosalità è solo apparentemente ossimorica. Infatti:
Jedes Ding, jeder Mensch ist dem Gedicht, das auf das Andere zuhalt, eine Gestalt dieses Anderen54 .
È bene ricordare che la poesia era «gestaltgewordene Sprache eines Einzelnen». La parola Gestalt diventa così cruciale. Il significato che va escluso preliminarmente è proprio quello di "creatura/creazione della fantasia poetica". Piuttosto, tralasciando qui il noto concetto di "forma", va considerato che Gestalt è "figura", a partire dall'insieme delle caratteristiche più corporee. "Figura " in italiano indica anche un qualche procedimento retorico (linguaggio figurato). "Figurale" designa in particolare il procedimento dell'allegoria. Ora, Celan dice: «Per la poesia che si dirige verso l'Altro, ogni cosa, ogni essere umano è una figura di questo Altro». Questo accomunare le cose e gli esseri umani nella relazione tra il radicale della soggettività e il radicale della cosalità è precisamente il "senso del creaturale". La natura del "procedimento" è molto interessante. Il rapporto non è in nessun modo di rappresentanza, per cui "questo sta per quello". Il rapporto è di quasi-identificazione: "questo è quello". Di volta in volta , ogni cosa e ogni essere umano è una figura di questo Altro. Di volta in volta, questo altro è la figura di una cosa o di un essere umano. Di che relazione si tratta? L'esclusione della "rappresentanza" comporta anche quella dell'asse metafora-allegoria. Il che è paradossale, poiché sia la metafora che l'allegoria si basano proprio su una relazione di alterità e le danno forma ed espressione. Inoltre, "essere figura di" è tipico dell'allegoria. Ma la parola Gestalt esclude l'allegoria in questo senso tradizionale. Essa esprime tutta la concretezza della relazione. Il che sposterebbe dal lato del simbolo e del simbolico. Ma "questo è il simbolo di quello" non è certo la relazione cui sta pensando Celan. «Ogni cosa, ogni essere umano è una figura di questo Altro»: "essere figura di" significa che l'Altro è di volta in volta la figura di ogni cosa e di ogni essere umano che ci sta di fronte. Questa relazione è riconducibile alla metonimia. In altre parole, se tecnicamente si può ricondurre il suo significato all'allegoria, la sua base è metonimica. Con ciò, il concetto di creaturalità si salda con una distinzione fondamentale del sistema categoriale della retorica, a sua volta intesa in senso antropologico-esistenziale. Come vedremo nel secondo capitolo, Celan qui porta a compimento una linea di cui Benjamin ha fornito una cornice teorica (non del tutto coerente), ma il cui nucleo "crea turale" originario è 54
Ibid.
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alla radice del dramma espressionista e soprattutto è presente in Kafka. Una citazione che riporteremo fra poco ne è la spia. Con un "carico" semantico nuovo, torna così al centro la parola Au/merksamkeit o attenzione. Il suo organo centrale sarebbe l'occhio (Aug). Ma, come spiega Celan, l'attenzione che la poesia tenta di dedicare ad ogni cosa che le viene incontro, il suo senso più acuto per il dettaglio, per il contorno, per la struttura, per il colore, ma anche per gli "spasimi" e i "cenni", ebbene tutto ciò non è una conquista dell'occhio che entra in competizione (o vi concorre) con gli apparati ogni giorno più perfetti del mondo della tecnica, tutto ciò è piuttosto una concentrazione che rimane memore di tutte le nostre date. Sull'asse dell"'attenzione", c'è qui un ulteriore slittamento semantico. {(
.
JJ
16 . . La concentrazione
Il termine Konzentration è di grande interesse. In tedesco, come in italiano, deriva dal francese concentration, sostantivo deverbale da concentrer, attestato a partire dal 1732, mentre il verbo risale ad un secolo prima. Il verbo-base centrer, denonimale da centre, risale invece al XIII secolo. La earola latina centrum (dal greco kéntron), designa l'asse fisso del compasso. E dunque per metonimia che esso ha poi designato il centro del cerchio, delimitato dalla circonferenza. La sequenza che risulta è: wahrnehmenAu/merksamkeit-Konzentration - percepire (con attenzione)-attenzione (vera e propria)-concentrazione. Se, accanto al significato corrente, nel termine centrum si mantiene quello originario di "perno fisso del compasso", la matrice metonimica del primo significato viene messa in particolare risalto. Nella sua fisicità, l'immagine dell'"angolo d'inclinazione" (Neigungswinkel) si "apre" ad una visione di 360 gradi. Essa è sotto il segno dell'attenzione: "Aufmerksamkeit" - erlauben Sie mir hier, nach dem Kafka-Essay Walter Benjamins, ein Wort von Malebranche zu zitieren -, "Aufmerksamkeit ist das nati.irliche Gebet der Seele" 55 .
«"Attenzione" - seguendo il saggio su Kafka di Walter Benjamin, permettetemi qui di citare un'espressione di Malebranche - "Attenzione è la preghiera naturale dell'anima"». Malgrado l'apparenza, Gebet non viene da beten, ossia "pregare" nel senso di "recitare" una preghiera, bensì da bitten, nel senso più comune di "pregare qualcuno". Anche chi rivolge preghiera a Dio, può dunque "pregarlo" di qualcosa. Osservato ciò, non può sfuggire l'apparente significato ossimorico dell'espressione di Malebranche: «Attenzione è la preghiera naturale dell'anima»: Chi prega Dio (betet) solo nel primo senso, Gli rivolge 55
Ibid.
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tutta la sua attenzione. Se Lo "prega" (bittet) anche nel secondo senso, richiama l'attenzione su di sé (non necessariamente per egoismo). Nell'espressione di Malebranche, il rapporto è rovesciato: l'attenzione è una preghiera naturale dell'anima che si dirige verso l'Altro, "pregandolo" per la propria attenzione, che è preghiera (Gebet) per l'Altro. Nell'attenzione ne va della propria salvezza. «La poesia - in quali condizioni! - diventa la poesia di un qualcuno che - continuamente - recepisce con attenzione, è rivolto a ciò che appare (dem Erscheinenden), lo interroga e lo interpella (Ansprechenden); essa diventa colloquio - spesso è un colloquio disperato»56 . La precedente sequenza spazio-temporale "presenza-presente" s'intreccia ora con quella del linguaggio: sprechen-ansprechen-Gesprà'ch (vi si aggiungerà mitsprechen). Ansprechen è "rivolgere la parola a qualcuno", "iniziare una conversazione o un colloquio con qualcuno": la sua relazione con Gesprà'ch è implicita. Questo termine designa uno scambio non occasionale ma durevole di "Rede und Gegenrede". L'Altro (ogni cosa e ogni essere umano) diventa così "ciò che viene interpellato": Erst im Raum dieses Gesprachs konstituiert sich das Angesprochene, versammelt es sich um das es ansprechende und nennende Ich. Aber in diese Gegenwart bringt das Angesprochene und durch Nennung gleichsam zum Du Gewordene auch sein Anderssein mit. Noch im Hier und Jetzt des Gedichts - das Gedicht selbst hat ja immer nur diese eine, einmalige, punktuelle Gegenwart -, noch in dieser Unmittelbarkeit und Nahe la.Et es das ihm, dem Anderen, Eigenste mitsprechen: dessen Zeit57 .
«Solo nello spazio di questo colloquio, ciò cui viene rivolta la parola si costituisce, si riunisce attorno all'io che gli rivolge la parola e lo nomina. Ma, in questa presenza, ciò cui viene rivolta la parola e per così dire divenuto "tu" per nominazione, porta con sé anche il suo essere-Altro. Ancora nel qui e ora della poesia - la poesia stessa ha sempre e solo questa unica, puntuale presenza di un'unica volta-, ancora in questa immediatezza e vicinanza, essa lascia parlare insieme a sé (mitsprechen) ciò che ad esso, all'Altro, è più proprio: il tempo di esso». Mitsprechen significa alla lettera "dire qualcosa insieme con altri". La sequenza diventa: sprechen-ansprechen(be/ragen-nennen)-Gesprà'ch-mitsprechen. Compito della poesia è da sempre "nominare", "dare nome" (nennen, benennen). Un colloquio è un incontro tra due temporalità umane, ma è anche uno spazio che è un presente e una presenza puntuale. È uno spazio dell'immediatezza e della vicinanza, in cui la concentrazione memore di o56
Ibid. pp. 198-199.
57 M,
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gni nostra data lascia parlare con sé ciò che più appartiene all'Altro - ad ogni Altro, sia esso cosa o persona. Il punto è molto prossimo ad un passaggio decisivo del discorso di Musil in occasione della morte di Rilke. Trattando del tema tradizionale della metafora, Musil fa osservare che nella lingua poetica di Rilke ogni cosa e ogni essere vivente è animato e ogni cosa così animata vive un'originaria relazionalità reciproca. Non vive più solo della sua qualità propria - Eigenschaft -, ma di una qualità insieme reciproca e universale o "Allerscha/t" - termine intraducibile, che potremmo ren dere come "omnitas", opposta a "proprietas". Questa affinità tematica fa capire che qui Celan compie un passo ulteriore e con esso lo compie anche la poetica del creaturale, condivisa certamente dai due grandi poeti, ma in costellazioni storiche completamente diverse. La "creaturalità" del mitsprechen è presente nella poesia di Rilke, ma in una costellazione ontologica che non può essere più quella di Celan. La differenza riguarda l'Io lirico stesso, come si vede nel passo citato: «ciò cui viene rivolta la parola si riunisce intorno a ciò che gli rivolge la parola e lo nomina». Abbiamo così das Angesprochene - ciò cui viene rivolta la parola o l'interpellato - e das ansprechende Ich - l'Io che rivolge la parola o interpella (interpellato/interpellante). In questa relazione, il colloquio o Gespriich è appunto Rede und Gegenrede - scambio di discorsi. Impressionante è perciò che l'Altro spricht mit, parla con l'io interpellato, il suo Altro, per esprimere il suo tempo, ovvero le sue date. In tutto ciò è anche evidente che l'interpellato, il quale porta con sé il suo essere-Altro, è divenuto per così dire "Tu". Come si è accennato a proposito della figura della madre assassinata, identificare una volta per sempre il "Du" della poesia celaniana per esempio come Dio o come morte - conduce in un vicolo cieco. Occorre porsi il quesito ogni volta in modo contestuale. È così possibile vedere che talvolta il "Du" interpellato dall"'Jch" poetico è il poeta stesso che agisce nello spazio del colloquio poetico o la sua stessa poesia. Le cose "parlano" e con la poesia noi parliamo con esse. Ma, allora, «noi siamo sempre anche immersi nella questione del loro da-dove e verso-dove (Woher und Wohin) - una questione "che rimane aperta", "che non finisce mai", che indica anche verso l'aperto e il vuoto e il libero - siamo ampiamente fuori (drau/sen)»58 . Das Gedicht sucht, glaube ich, auch diesen Ort59 .
«La poesia, penso, cerca anche questo luogo» .
58 M,
p. 199.
59 Ibid.
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Non dimentichiamo che siamo in un cammino (unterwegs), che ora ci porta ampiamente "fuori", in uno spazio aperto, senza più sostegni e libero. Di che luogo si tratta? La poesia lo cerca. Das Gedicht? Das Gedicht mit seinen Bildern und Tropen?60
«La poesia? La poesia con le sue immagini e i suoi tropi?» La poesia ha una lunga tradizione fatta di immagini e di figure retoriche con i suoi propri codici, che Celan designa qui intenzionalmente con una delle parole a sua volta più tradizionali: "tropi" . Parlando della poesia in questo modo, aggiunge Celan, cioè a partire da questa direzione, in questa direzione, con queste parole, «parlo della poesia che non c'è. La poesia assoluta - no, questa certamente non c'è, non può esserci. Ma c'è davvero, con ogni poesia esistente, c'è con la poesia meno pretenziosa questa ineludibile (unabweisbare) questione, questa inaudita pretesa (unerhorten Anspruch )»61 . La sequenza si allunga. Si è già visto che l'ansprechen è anche un be/ragen (che include il tradizionale nennen). Ora, il testo ha chiarito la natura della Frage. Poiché sappiamo che ciò che è chiamato a mitsprechen dice ciò che gli è più proprio - ovvero il suo tempo -, la questione/domanda collega lo spazio al tempo: da dove vieni e verso che cosa vai? Qui il collegamento con Rilke è del tutto evidente, ma anche il passo ulteriore. Tale ineludibile questione/domanda porta con sé «questa inaudita pretesa»: Anspruch. Questo Anspruch è l'esito dell'ansprechen. Di qui il senso della domanda: può fare questo la poesia, con la sua tradizione retorica? La tradizione retorica della poesia non è eludibile, poiché è ciò che la costituisce come tale. Nell'orizzonte poetologico di Celan non può tuttavia trattarsi solo di ciò. Nella tradizione distinguiamo le immagini e i tropi. La domanda allora è la seguente: Und was waren dann die Bilder? Das einmal, das immer wieder einmal und nur jetzt und nur hier Wahrgenommene und Wahrzunehmende. Und das Gedicht ware somit der Ort, wo alle Tropen und Metaphern ad absurdum gefiihrt werden wollen62.
«E che cosa sarebbero poi le immagini? Ciò che una volta, sempre e di continuo una volta e solo ora e solo qui viene percepito e va percepito con
60
Ibid. Ibid. 62 Ibid. 61
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attenzione. E con ciò la poesia sarebbe il luogo in cui tutti i tropi e le metafore vogliono essere portate ad absurdum». Proprio perché collocata in un contesto "iperlinguistico", questa definizione non è esclusivamente linguistica. Dire che le immagini sarebbero ciò che di volta in volta e sempre viene percepito con attenzione qui e ora, significa fare riferimento alla realtà. Ma anche, il che conta ancora di più, ad un modo di guardare la realtà. L'attenzione implicita nel verbo wahrnehmen designa precisamente questo modo, come sappiamo. La si può definire attenzione creaturale o, meglio, dire che l'attenzione è il modo di guardare creaturale. Lo spazio dello poesia diventa così il luogo dell'attenzione creaturale di una lingua che intende parlare con l'Altro, interpellarlo e lasciarlo parlare con sé. L'interpretazione dell'ultima frase non è tuttavia facile. È ovvio che c'è un collegamento con il passo precedente, in cui il grido di Lucile è stato interpretato come un omaggio alla maestà dell'assurdo, che testimonia per la presenza/il presente dell'umano. D 'altra parte, non si può ignorare che l'espressione "portare o ridurre all'assurdo" vuol dire galileianamente "dimostrare l'assurdità dell'ipotesi contraria a quella assunta come vera". Se seguissimo solo la prima indicazione, non terremmo conto del fatto che qui Celan parla dei codici retorici della poesia, che restano imprescindibili. Se seguissimo solo la seconda indicazione, l'intento sarebbe quello di rendere assurdi questi stessi codici. Dobbiamo chiederci invece qual è il loro elemento comune. La risposta non è difficile: la contrarietà. La maestà dell'assurdo che testimonia per la presenza/il presente dell'umano, significa che c'è un punto di resistenza, collocabile in certo senso in un non-luogo "al di là dell'umano", ma nell'umano "conficcato", che esprime la sua opposizione irriducibile al disumano - a ciò che è "contrario'' all'umano. Portare al limite dell'assurdo i tropi e le metafore, significa allora portarle al loro "rovesciamento" nella realtà stessa, esattamente secondo il movimento metonimico che abbiamo prima descritto. Poiché "luogo" è t6pos, la ricerca di t6pos diventa la parola-chiave: Toposforschung? Gewi.B! Aber im Lichte des zu Erforschenden: im Lichte der U-topie. Und der Mensch? Und die Kreatur? In diesem Licht63 .
«Ricerca di t6pos? Certamente! Ma alla luce di ciò che va ricercato: alla luce della u-topia. El' essere umano? E la creatura? In questa luce». U-topia - ovvero: "il luogo che non c'è". Derivato da surdus, la cui etimologia è incerta, absurdum contiene un chiaro riferimento allo stridore di suoni stonati. Per esprimere il concetto di assurdo, il greco ha invece fondamentalmente dlogon, che indica fenomeni irrazionali in quanto raziona!63
Ibid.
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mente "irriducibili", e dtopon , che indica più ingenerale la stranezza per così dire appunto "senza luogo". Qui il riferimento alla U-topie stacca il senso dell'assurdo da questi significati tradizionali. L'u-topia o "il luogo che non c'è" , è esattamente come la poesia assoluta: non c'è e non può esserci, ma ne esiste l'inaudita pretesa. Il non-luogo è lo spazio del dialogo tra temporalità e spazialità diverse, lo spazio dell'incontro con il senso delle cose e degli esseri, che nulla può mai esaurire del tutto, poiché la luce assoluta non c'è, non può esserci. 1.7. I cammini creatura/i e il meridiano terrestre
È tempo di ritornare indietro, scrive Celan a questo punto. Il discorso è quasi alla fine, ma con essa si è ritornati al principio. Il senso della poesia di cui si è parlato, ha condotto infine all'idea dell"'apertura" . Il filo conduttore è rimasto perciò l' Elargissez l'Art di Louis-Sébastien Mercier: «Questa questione si rivolge a noi con i suoi vecchi e i suoi nuovi aspetti inquietanti (Unheimlichkeiten ). Con essa mi sono accostato a Biichner - nelle sue opere ho creduto di ritrovarla»64 . Celan si riferisce a Du théatre ou Nouvel essai sur l'art dramatique - l'opera apparsa anonima nel 177365 • Polemizzando aspramente con la Comédie française anche per ragioni personali, in questo saggio Mercier sviluppò una critica radicale del teatro classico francese, accusandolo di essere distante dal "libro aperto del mondo". È noto che questa polemica e l'idea in essa sviluppata di un teatro rivolto al popolo e con il compito di educare la sensibilité dello spettatore, furono fatte proprie da Diderot. D'altra parte, questo autore oggi quasi dimenticato ebbe risonanza forse maggiore nella contemporanea Germania dello Sturm und Drang e un'influenza diretta - il che rafforza ulteriormente il "triangolo" istituito da Celan con Biichner e Lenz - sulla drammaturgia e sulla concezione drammaturgica di Lenz66 . A questo punto, il discorso di Celan compie quasi una "svolta": Ich batte auch eine Antwort bereit, ein "Lucilesches" Gegenwort, ich wollte etwas entgegensetzen, mit meinem Widerspruch dasein: Die Kunst erweitern? Nein. Sondern geh mit der Kunst in deine allereigenste Enge. Und setzte dich frei. Ich bin, auch hier, in Ihrer Gegenwart, diesen Weg gegangen. Es war ein Kreis67.
64 M,
p. 200. S. Mercier , Du thédtre ou Nouvel essai sur l'art dramatique, E. van H arrevelt, Amster dam, 1773. Il facsimile di questa edizion e è stato ristampato nel 1973, G . Olms, Hildesheim. 66 Tradotta da Heinrich Leopold Wagner e con un'appendice tratta da Goethe, l'op era fu tempestivamente pubblicata nel 1776 con il seguente titolo: Neuer Versuch uber die Schauspielkunst, Schickert, Leipzig. 67 M, p. 200. 65
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«Avevo pronta anche una risposta, una "parola contro" nello stile di Lucile, volevo contrapporre qualcosa, esserci con la mia contraddizione: allargare l'arte? No. Bensì, con l'arte vai nella stretta che più ti appartiene. E renditi libero. Anche qui, in Vostra presenza, ho percorso questo cammino. Era un cerchio». Non è un semplice rovesciamento: non si tratta di "restringere" l'arte, anziché "allargarla", bensì ancora una volta di un "andare oltre". Tutto ciò che si è detto prima a proposito del cammino, della concentrazione delle proprie date nella memoria e dell'incontro con il tempo dell'Altro, trova ora la sua immagine concreta. Si tratta sempre di compiere un cammino con l'arte: di procedere con essa nella "stretta" (Enge) che più ti appartiene. È in questo modo che il cammino percorso si rivela un cerchio, come in certo senso aveva anticipato il concetto di "concentrazione". Ma che cos'è propriamente la "stretta" e come si concilia con l'immagine del cerchio? Anche in questo caso, nell'interpretazione occorre procedere metonimicamente. Il senso di Enge comprende l'" angustia" e la "ristrettezza", lo "stretto passaggio" o la "strettoia", lo "stretto" (marino) o il "passo stretto" (di montagna), per estendersi anche alla "limitatezza" o "ristrettezza" di vedute. Nell'interazione con l'italiano, è da notare che Enge corrisponde largamente sia a "stretta", che a "stretto", i quali hanno però un ambito semantico più ampio. La parola "stretta" o "strettoia" è ricca di evocazioni la più carica di suggestioni riporta al luogo del "crimine" di Edipo -, ma l'espressione «vai nella stretta che più ti appartiene» ricorda Vor dem Gesetz, la più celebre fra le parabole kafkiane. La parte più propriamente narrativa di questa parabola - resa ancora più misteriosa dalla seconda parte di commento - si chiude notoriamente con la domanda dell'uomo di campagna ormai morente, che chiede al custode della porta come mai per tutto quel lungo tempo alla porta non si sia mai presentato nessuno. La "terribile" risposta è che quella porta era riservata proprio e solo a lui e ora è tempo di chiuderla. Molti sono dunque i cammini e molte le "strettoie" che si possono incontrare. Ma per camminare con la poesia occorre attraversare proprio quella strettoia che più ti appartiene. Se percorrere tale cammino con quella strettoia equivale a compiere un cerchio, ciò vuol dire che «la stretta che più ti appartiene» è quella che, nell'incontro crea turale con l'Altro, ti riporta a te stesso. Perciò «l'arte, dunque anche la testa di Medusa, il meccanismo, gli automi, l'inquietante e, per quanto difficile da discernere, forse alla fin fine unica terra incognita l'arte continua a vivere»68 . Come?
68
Ibid.
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Zweimal, bei Luciles "Es lebe der Konig", und als sìch unter Lenz der Rimmel als Abgrund auftat, schien die Atemwende da zu sein. Vielleicht auch, als ich auf jenes Ferne und Besetzbare zuzuhalten versuchte, das schlie.Blich ja doch nur in der Gestalt Luciles sichtbar wurde. Und einmal waren wir auch, von der den Dingen und der Kreatur gewidmeten Aufmerksamkeit her, in die Nahe eines Offenen und Freien gelangt. Und zuletzt indie Nahe der Utopie69. «Per due volte, con il "Viva il re!" di Lucile e quando sotto Lenz il cielo si aprì come abisso, è sembrato che la svolta del respiro fosse qui. Forse anche quando tentai di dirigermi verso quel territorio lontano e occupabile, che alla fine è divenuto visibile soltanto nella figura di Lucile. E così, movendo dall'attenzione dedicata alle cose e alla creatura, eravamo poi pervenuti anche nelle vicinanze di un territorio aperto e libero. E alla fine nelle vicinanze dell'Utopia». È con ciò posta la premessa del legame tra poesia e creaturalità: Die Dichtung [... ] -: diese Unendlichsprechung von lauter Sterblichkeit und Umsonst! 70 «La poesia [ .. .] -: questo parlare all'infinito di pura mortalità e di "inutilità "». A proposito di questo singolare uso sostantivale dell'avverbio umsonst (inutilmente, vanamente), va notato che il suo significato originario è "um ein So" - ovvero "intorno a qualcosa che sta così e così resta". È sempre alla luce di questo significato che l'espressione assume anche il senso di "um ein Nichts" - ovvero "intorno a qualcosa che resta nulla". Dopo tutto ciò che è stato detto dell'arte e della poesia, della creaturalità e dell'incontro, ora di nuovo dell'attenzione dedicata alle cose e alla creatura, il motivo della «pura mortalità e "inutilità"» non può che stare da questa parte del discorso. Inteso nel suo significato originario, l'avverbio umsonst richiama le molte ricorrenze di Nichts e Niemand - nulla e nessuno - nella poesia di Celan. A questo proposito, è fondamentale distinguere. Niemand è verosimilmente Dio. La "nessunità di Dio" non ha niente a che spartire con il nichilismo, non è ateistica, ma per così dire "a-teologica". Lo spazio tra il Dio-nessuno e il nulla non è vuoto: è lo spazio della creatura - nella sua dimensione di pura mortalità e "inutilità". Il parlare all'infinito di pura mortalità e "inutilità", significa appunto parlare di creaturalità da parte di creature, sotto il loro angolo d'inclinazione. Creaturalità vuol dire riconoscere la propria condizione mortale, che è così, nient'altro e non altrimenti che così, fatta di corporeità iscritta in tempi e spazi concreti, in relazione con altre corporeità iscritte in altri tempi
69 70
Ibid. Ibid.
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e spazi. Qui Celan fa riferimento a due suoi testi. Il primo è una quartina risalente a qualche anno prima: Stimmen vom Nesselweg her: Komm auf den H anden zu uns. Wer mit der Lampe allein ist, hat nur die Hand, draus zu lesen71 . Voci provenientì dal sentiero d'ortica: Vieni da noi camminando sulle mani. Chi è solo con la lampada, ha solo la mano, per leggervi.
Il secondo è Gesprà'ch im Gebirg, il testo scritto da Celan nell'agosto 195972 . Il tema è l'incontro. È stato scritto, infatti, «in ricordo di un mancato incontro nell'Engadina [ ... ] in cui un uomo "come Lenz" viene fatto risalire per le montagne73 . La prima come la seconda volta, mi ero fatto iscrivere da un "20 gennaio", dal mio "20 gennaio". Io ho [ ... ] incontrato me stesso»74 . L'idea della strettoia che più ti appartiene e la sua relazione con l'immagine del cerchio trovano qui il loro chiarimento: Geht man also, wenn man an Gedichte denkt, geht man mit Gedichten solche Wege? Sind diese Wege nur Um-Wege, Umwege von dir zu dir? Aber es sind ja zugleich auch, unter wie vielen anderen Wegen, Wege, auf denen die Sprache stimmhaft wird, es sind Begegnungen, W ege einer Stimme zu einem wahrnehmenden Du, kreati.irliche Wege, Daseinsentwi.irfe vielleicht, ein Sichvorausschicken zu sich selbst, auf der Suche nach sich selbst [. .. ] Eine Art Heimkehr75.
«Si percorrono dunque, quando si pensa a poesie, si percorrono tali cammini con poesie? Sono questi cammini soltanto gira-volte, giravolte da te a te? 76 Ma, tra molti altri cammini, nello stesso tempo essi sono anche cammini sui quali la lingua si fa voce, sono incontri, cammini di una voce verso un Tu che percepisce con attenzione, cammini creaturali, forse progetti dell'esserci, un protendersi all'infuori verso se stessi, alla ricerca di se stessi [ ... ] Una forma di ritorno a casa». 71
P. Celan, Sprachgitter, Fischer, Frankfurt am Main, 1959, 2002 12 , p. 87. 72 Cfr. P. Celan, Gesprlich im Gebirg, mit einem Kommentar von T. Buck, Rimbaud V., Aachen, 2002. 73 Cfr. P. Celan, Gesammelte Werke 3, cit., pp. 169-173. Notoriamente, si tratta del mancato incontro con Adorno. 74 M, p. 201. 75 Ibid. 76 Tentiamo così di rendere il gioco di parole tra Wege, Um-wege e Umwege ("giri", ma . traverse ") . anche "vie
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C'è qui una nuova sequenza: Enge-Kreis-Heimkehr. Con la citazione del suo testo poetico, per la prima volta Celan qui parla anche di "Stimme" e di un "Tu che percepisce con attenzione". Attraverso la poesia - le poesie, che sono altrettanti cammini - la lingua si fa voce che va all'incontro con l'Altro, lo fa parlare con sé, ne richiama l'attenzione. Questi "cammini creaturali" sono possibili "progetti dell'esserci", ovvero modi di essere nella concretezza del tempo e dello spazio. Che tutto ciò sia una forma di H eimkehr (ritorno a casa) non stupisce. Se tali cammini, infatti, sono «un protendersi all'infuori verso se stessi, alla ricerca di se stessi», sappiamo che il territorio aperto e libero - il regno dell'assurdo e dell'utopia - è un territorio incognito, straniero e "inquietante". L'Heimkehr non ha nulla a che fare con il motivo classico del n6stos. Seguendo un'interpretazione del concetto che si discosta da quella tradizionale che vi legge la "nostalgia per la propria terra lontana", il n6stos è il differimento della morte attraverso l'avventurosità (Abenteuerlichkeit) della vita. Il testo celaniano parla invece di "mortali" come Camille Desmoulins, di chi va compreso a partire dalla sua morte (Danton), di un percorso esistenziale da seguire fino in fondo (la misteriosa morte di Lenz per le vie di Mosca) e di mortalità in generale. Il nucleo dell'interpretazione tradizionale permane anche nel motivo dell'"avventurosità dell'artista", che ne rimane la metamorfosi romantica e post-romantica anche nella versione più moderna. Tanto questo motivo, quanto il tema del differimento della morte - come sappiamo, la poesia è al contrario un parlare all'infinito di pura mortalità - sono estranei al mondo poetico di Celan. In esso non è presente alcun motivo "nostalgico", proprio perché c'è una barriera contro qualsiasi forma di "estetizzazione" della morte. Al riguardo, è decisiva l'espressione «kreaturliche Wege». Questi cammini con la poesia sono "creatural?, perché nell\ncontro con le cose e le creature l"' Io" in cammino si riconosca a sua volta come creatura fra creature. Ciò rende la chiusa di questo discorso celaniano sorprendente e assai difficile. Il riferimento va ora a Leonce und Lena - l'unica commedia scritta da Biichner - e in particolare alle due ultime parole in essa ricorrenti. Celan fa riferimento a Karl Emil Franzos, curatore della prima edizione critica delle opere di Biichner77 . Come il mio qui ritrovato conterraneo F ranzos, egli scrive, anch'io devo guardarmi dal leggere la parola «Commode» come . ", quasi. un "avvento ") . un «Kommendes» (un "quaIcosa a venire La parola francese Com mode (in tedesco Kommode), indica un armadio con cassetti che all'occorrenza può funzionare anche da tavolo. Com'è noto,
77
Cfr. Georg Buchner's séùnmtliche Werke und handschriftlicher Nachlass. Erste kritische
Gesammt-Ausgabe, eingeleitet und hrsg. von K.E. Franzos, Sauerlander, Frankfurt am Main, 1879.
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il passo è oggi diversamente attestato78 . Eppure proprio nella parole che chiudono Leonce und Lena è possibile cogliere i segni di virgolette che le rendono invisibilmente sorridenti. Segni che forse vogliono essere intesi non come "virgolette a piedini d'oca", ma come "virgolette a orecchiette di coniglio", cioè come qualcosa che non del tutto senza timore sussurra al di là di sé e delle parole stesse. Alla luce di ciò, ma anche dell'utopia, scrive Celan, «intraprendo - ora - la ricerca del luogo (Topos/orschung)» 79 . È la ricerca della regione (Gegend) da cui vengono Lenz e Franzos, da Celan incontrati qua e là in cammino, e in Biichner. Ma, poiché sono di nuovo qua da dove ho iniziato, scrive Celan, «cerco anche il luogo (Ort) della mia propria provenienza (H erkun/t). Con dita che l'irrequietezza rende imprecise, cerco tutto ciò sull'atlante - un atlante per bambini, come devo subito ammettere. Ma nessuno di questi luoghi è da trovare, essi non esistono, ma, specialmente ora, io so dove dovrebbero esserci, e così [ ... ] trovo qualcosa! [ .. .] trovo qualcosa che un poco mi consola di avere percorso [ ... ] questo impossibile cammino, questo cammino dell'impossibile» 80 • Con ciò: lch finde das Verbindende und wie das Gedicht zur Begegnung Fiihrende. lch finde etwas - wie die Sprache - lmmaterielles, aber Irdisches, Terrestrisches, etwas Kreisformìges, iiber die beiden Pole in sich selbst Zuriickkehrendes und dabei heitererweise - sogar die Tropen Durchkreuzendes -: ich finde [... ] einen Meridian. Mit Ihnen und Georg Biichner und dem Lande Hessen habe ich ihn soeben wieder zu beriihren geglaubt81 .
«Trovo ciò che collega e come esso conduce la poesia all'incontro. Trovo qualcosa - come il linguaggio - di immateriale, ma terreno, terrestre, qualcosa di forma circolare che attraverso i poli ritorna in se stesso e con ciò - serenamente - attraversa addirittura i tropici-: trovo [... ] un meridiano. Con Voi e Georg Biichner e con il Land dell'Assia or ora ho creduto di toccarlo di nuovo». Il termine Meridian è entrato nel tedesco alla fine del XVII secolo. Non ci sono precedenti di ricorrenza letteraria. Il suo senso corrente oggi designa la linea immaginaria che unisce i due poli e attraversa l'equatore ad angolo retto; il suo senso etimologico è quello della linea che unisce tutti i luoghi della terra che hanno il sole "a mezzogiorno" - Mittag, circulus meri-
78
Nella più canonica versione italiana, la battuta finale di Valerio suona così: «e preghiamo Dio che ci conceda maccheroni, meloni e fichi, e ugole musicali, corpi classici e una comoda religione [c. n.J»: G. Biichner, Opere, a cura di G. Dolfini, Adelphi, Milano, 1963, p. 151. 79 M, p. 202. 80 Ibid. 81 Ibid.
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dianus, meridies dal locativo meridie (sorto per dissimilazione da medieidie )82. 1.8. Postilla: Neigungswinkel e Gesichtswinkel: angolo d'inclinazione e
angolo visuale L'immagine dell'"angolo d'inclinazione" in Celan conduce a quella del "meridiano" terreno/ terrestre. Coincide dunque con quello della terra, anche nel senso astronomico/geometrico del pianeta terra. In termini geometrici, la scelta di questo angolo si traduce in una prospettiva di 360 gradi. Per percorrere la terra da un polo all'altro lungo la linea meridiana, il cammino della poesia richiede anche un momento di totale rovesciamento: camminare sulle proprie mani, in contatto con la terra, contemplando il cielo come abisso. Anche in questa contemplazione la prospettiva è "libera" e "aperta". Una ben diversa immagine ricorreva nel testo Wesen und Gestalt des Nationalsozialismus (Essenza e /orma del Nazionalsocialismo), Quaderno 8 della serie Schriften der Deutschen Hochschule fiir Politik (la scuola nazista di studi politici di Berlino)83 , scritto nel 1935 dall'allora Reichsminister fiir Volksaufklarung und Propaganda 84 dr. Joseph Goebbels, il piccolo zoppo che, con il "biondo" Hitler e lo "slanciato" Hermann Goring, rappresentava la perfetta "triade ariana", come scrisse il coraggioso organo della SPD di Monaco di Baviera Munchener Post (finché riuscì a scrivere), il potente capo dell'UF A che approfittava della sua posizione per ricattare sessualmente le attrici. Il marito della/irst Lady del Reich e adoratrice del Fiihrer Magda Goebbels, il fedelissimo del Fiihrer che nei giorni finali del Bunker (maggio 1945) insieme a Magda ha assassinato i suoi bambini ("perché non vivessero
82
Cfr. Etymologisches Worterbuch des Deutschen, Akademie-V., Berlin, 1989, Bd. 2, p.
1093. 83
Diretta da Paul Meier-Benneckenstein, la serie era edita presso Junker und Diinnhaupt, Berlin. Il testo di Goebbels verrà citato con la sigla WG. La Deutsche Hochschule fiir Politik era un'istituzione della Repubblica di Weimar, immediatamente "nazificata" nel 1933. 84 Ministro del Reich per l'educazione popolare e la propaganda. Tradotta così, la formula assomiglia a quella dell'analogo Ministero fascista, ovvero il Minculpop. In effetti, le vicende dei due ministeri sono intrecciate. In "Volksaufklà'rung" c'è però il termine che identifica l'Illuminismo. Questa deformazione del linguaggio è un tratto tipico della retorica nazista. Nel testo di Goebbels (pp. 11-12), la rivoluzione nazista è paragonata con le due più durature rivoluzioni della storia dell'umanità - il Cristianesimo e la Rivoluzione francese - , cui l'ideologia nazista peraltro si oppone. Il termine "Volksaufklarung" dice di per sé "educazione", "istruzione", "insegnamento" del popolo, ma in seconda battuta dice anche: siamo noi, titolari del Reich, il vero "educatore" o "rischiaratore" del popolo. È molto probabile che il nazismo sarebbe arrivato ad appropriarsi anche di parole della tradizione giudaico-cristiana.
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in una Germania senza Fiihrer" )85 , suscitando sgomento e orrore persino negli altri occupanti del sotterraneo, il suddetto Goebbels scrive: «In der nationalsozialistischen Revolution ist eine Weltanschauung zum Durchbruch gekommen!»86 L'espressione "zum Durchbruch kommen" vuol dire semplicemente "erompere", "manifestarsi". Ma "Durchbruch" è termine che si usa in geologia (eruzione), elettrodinamica (scarica), sport (distacco), medicina (eruzione, insorgere) e in campo militare (sfondamento). La frase è importante. In un testo che intende mostrare la struttura, le forme e la funzione storico-politica del nazismo come "concezione del mondo" è evidentemente fondamentale dire che «Nella rivoluzione nazionalsocialista si è manifestata (ovvero: ha fatto "irruzione") una visione del mondo!» Significa, infatti, che l'ideologia è al primo posto. Anche se di fatto ciò è accaduto anche nel corso della rivoluzione comunista in Urss, nel bolscevismo e nella dottrina di Lenin di per sé non c'è questo tratto strutturale. Non è possibile approfondire qui questa differenza, che è puramente teorica e non assiologica. Ciò che importa, è mettere in rilievo l'assoluto radicalismo ideologico del nazismo. Goebbels fa notare che una Weltanschauung non ha nulla a che fare con il "sapere" (Wissen). Perciò un povero, sconosciuto lavoratore sprovvisto di bagaglio culturale può esserne il rappresentante, a differenza di un illustre docente che domina con sapere sovrano il suo ambito disciplinare - un argomento tipicamente demagogico e plebeo. L'esperienza insegna, infatti, che spesso tanto maggiore è il sapere, tanto minore il coraggio (Mut) di entrare in campo per una concezione del mondo. La spiegazione di ciò è fornita da una frase-chiave: Weltanschauung ist - wie das Wort schon sagt - eine bestimmte Art, die Welt anzuschauen. Voraussetzung hierf-iir ist, da.B diese Art der Anschauung immer unter demselben Gesichtswinkel [c. n.] vonstatten geht87 .
«Come dice la parola stessa, una "visione del mondo" è un determinato modo di vedere il mondo. Il presupposto di ciò, è che questo modo di vedere proceda sempre sotto il medesimo angolo visuale». Perciò, se si rappresenta una visione del mondo, neppure l'economia e la politica forniscono i decisivi criteri di misura. La vita culturale «sta nella connessione organica con il sociale e la politica estera viene considerata in relazione organica con lo stato della politica interna»88 . Di conseguenza:
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L'inserzione delle immagini documentarie dei corpi senza vita di questi bambini nel finale di Infanzia di Ivan (1962) di Tarkovskij è un "indice" storico e morale ben preciso. 86 WG, p. 10. 87 WG, pp. 10-11. 88 WG, p. 11.
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Weltanschauung bedeutet, die Menschen und ihre Verhaltnìsse zur Welt, zum Staat, zur Wìrtschaft, zu Kultur und Religion ìmmer unter dem gleichen Gesichtswinkel [c. n.] betrachten89 .
«Visione del mondo significa considerare gli uomini e i loro rapporti con il mondo, con lo stato, con l'economia, con la cultura e la religione sempre sotto l'identico angolo visuale». L'ossessione per l'espressione Gesichtswinkel è tale che, come si vede nel confronto tra i due ultimi passi, l'aggettivo è addirittura rafforzato: sempre sotto il medesimo angolo visuale - sempre sotto l'identico angolo visuale. Il concetto di rivoluzione nazista e il concetto stesso di ideologia non potrebbero essere espressi in modo più estremo e riduzionistico, e tuttavia conforme alla loro essenza. La conseguenza da trarne è semplicemente geometrica. Se immagino due diametri ortogonali circoscritti da una circonferenza e indico la "mia" posizione nel mondo nel punto d'intersezione dei diametri, posso chiamare "mondo" la circonferenza. In questa posizione, che è un "centro" nel senso visto sopra, posso pensare di esplorare il mondo e muovermi liberamente. Se da uno degli angoli traccio una diagonale che unisce il centro alla circonferenza, delimiterò un "angolo visuale" come minimo inferiore a novanta gradi. L'ideologia pretende di fissare in questo angolo e per sempre il mio "medesimo", sempre "uguale" angolo visuale. Da questo angolo visuale l'ideologia nazista prometteva il (terzo) Reich millenario! 90 Questa elementare esemplificazione è tuttavia condotta nella geometria piana. Ma noi viviamo sulla superficie di una sfera, sulla circonferenza. Il cerchio immaginario del nostro esempio, dunque, è quello che di volta in volta possiamo tracciare nel punto in cui ci troviamo. Il termine greco dpeiron, prima ancora che !"'infinito", designava !"' illimitato", qualcosa che non ha limiti e si lega all'idea della circolarità. La sua origine è marittima e si riferisce al1' esperienza del marinaio che, staccatosi dalla costa, dopo un poco è "circondato" solo dalle acque e non vede più terra. In un passo dell'Odissea (8, 340), significa semplicemente "inestricabile" . La parola rimanda a peirar (limite, estremità, confine). Ma si può dire: l'esperienza (peira) dell'illimitato (dpeiron) è decisiva per poter fare esperienza e conoscere per esperienza (peirdo) il mondo. Il concetto di empeiria o esperienza è paradossale. Non si può diventare émpeiros o esperto, infatti, se non si fa esperienza. Ma fare esperienza vuol dire affrontare "ciò di cui non si ha esperienza". Per questo, è necessario fare esperienza dell'illimitato. Essere esperto signi89
Ibid. Prodigiosa per tempestività storica (1934) e fondamentale sul piano teorico, l'analisi del nazismo di Emmanuel Lévinas contenuta in Alcune riflessioni sulla filosofia del!' hitlerismo, Quodlibet, Macerata, 2002 2 (1996 1) collega la comprensione di questo punto con la corporeità. 90
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fica avere esperito l'illimitato e saperlo ricondurre al limitato. Ma l'esperienza resta inesauribile. Tornando all'ideologia nazista, con il suo sempre uguale angolo visuale, ricerca storiografica, letteratura, cinema e documentari hanno portato ad identificarla con il "male assoluto". Questa espressione trascina con sé una tale quantità di aporie e problemi che è preferibile abbandonarla e ancorarsi a Kant: il nazismo è stato un fenomeno estremo, ma non l'unico, di male radicale. La "riduzione ideologica" è la radice di questa forma di male radicale. Un esempio cruciale è la legittimazione ideologica dell'uccisione di bambini. In un discorso agli ufficiali impegnati sul fronte russo, che avevano manifestato qualche "residua" riserva morale di fronte alla morte per stenti o fatica o all'uccisione diretta di donne e bambini russi impegnati in lavori forzati9 1, Himmler giustificava queste uccisioni sostenendo che la vita di mille di queste donne o bambini non valeva quella di un solo soldato tedesco. Ma va considerata anche l'eliminazione dei bambini ebrei. La motivazione è tipicamente criminale: i bambini andavano eliminati come futuri vendicatori (argomento che sta più dalla parte della tesi intenzionalista). Accanto ai nazisti convinti, c'è poi il caso del Battaglione di riserva 101 della Ordnungspolizei, ricostruito da Christopher R. Browning92 . Uomini comuni di mezza età, tutti con mestieri e professioni, provenienti da Amburgo - la città meno nazificata della Germania -, mogli e bambini ad attenderli a casa, in gran parte non iscritti al partito nazista né nazisti in proprio né di dichiarato antisemitismo (religioso, politico, razziale). Eppure hanno sterminato decine e decine di migliaia di vecchi, donne e bambini ebrei in "gloriose" azioni di rastrellamento - che anticipano quel Vernichtungskrieg antigiudaico strettamente associato alla guerra antibolscevica nelle città e nei villaggi della Polonia -, in un;operazione che è già «soluzione finale», anche se non nei sistematici modi tecnici che conosciamo. Browning riflette sulla loro qualità di "uomini comuni", si riferisce al loro senso di identità sociale, professionale e di appartenenza al gruppo militare, sulla loro coscienza morale. Ne discute con Goldhagen, con eccellenti argomenti. Stranamente dimentica una domanda "bruciante": verosimilmente non erano anche dei "buoni cristiani" (protestanti)? 91
Il concetto e la pratica della Zwangarbeit nazista - un "arretramento" abissale persino rispetto al concetto "cosale" dello schiavo - naturalmente non prevedevano nessuna forma di "liberazione" o riscatto che non fosse la morte. In altre parole, si basava sul ricatto della morte: non ti uccido direttamente, ma lavora finché non muori. Forse l'unica analogia è con lo forme di lavoro nelle miniere del primo colonialismo. 92 C. R. Browning, Ordinary Men. Reserve Police Battalion 101 and the Final Solution in Poland (1992), trad. it. Uomini comuni. Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia, Einaudi, Torino, 19992 (1995 1). Cfr. il più recente The Origins o/ the Final Solution, W. Heinemann, London, 2004, vera e propria summa delle ricerche storiche dell'autore.
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Che ne è stato della loro coscienza religiosa di "buoni cristiani"? Tornati a casa, magari per una licenza, portavano in chiesa i loro bambini, dopo avere ucciso sconosciuti bambini ebrei? Pio XI e i gesuiti hanno colto nel segno nel ritenere che l'ideologia nazista mirava alla "scristianizzazione" delle coscienze e all'affermazione di un paganesimo basato sulla mitologia germanica. Tuttavia, dal lato del Cristianesimo, la domanda teologica e religiosa è terribile: non c'è stato qui un crollo della coscienza cristiana? Da molto tempo la teologia protestante ha riconosciuto che la domanda tipicamente atea sul perché muore un bambino è seria e ineludibile. In che modo tale morte rientra nella teodicea? Notoriamente Dostoevskij riteneva che nessun progetto politico giustificasse la sofferenza e le "lacrime" di un bambino. In Paisà di Rossellini è un bambino piccolo - la creaturalità alla stato puro - a piangere, dopo lo sterminio della sua famiglia di pescatori, di cui pure non "comprende" nulla. La vicenda della Polonia del 1942 non è così "lontana" da quanto accaduto in Italia. Si è ripetuta per esempio in un paese della Lucchesia il 12 agosto 1944: Sant'Anna di Stazzena. Anche qui, uomini comuni questa volta inquadrati in un reparto regolare della Wehrmacht. Senza dubbio l'ordine risaliva a Kesselring in persona. Questi uomini hanno ucciso centinaia di vecchi, donne e bambini. Lo ha raccontato in lacrime Enio Mancini, un vecchio sopravvissuto, al Ministro degli Interni tedesco Otto Schily. Uno sterminio che non sembra rientrare neppure nella infame "logica" della rappresaglia, come alle Fosse Ardeatine93 . Ma perché porre la domanda a Dio? In una celebre lettera alla fidanzata, durante la stesura del Dantons T od, Biichner confessa di sentirsi "annichilito" (zernichtet) di fronte all'orrore della storia. Ma non rivolge la domanda a Dio, bensì al cuore dell'uomo - l'abisso "vertiginoso" -, del cristiano battezzato: perché continua a uccidere, fare violenza, rubare? E i bambini? Criatura in dialetto napoletano è proprio un bambino, anche quando è già guaglione: CONCETTA (piangendo) Povero guaglione! PASCALE (piangendo) Povera criatura!
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Il processo tenacemente voluto da Marco De Paolis, Procuratore presso il Tribunale Militare di La Spezia, ha ottenuto alcune condanne. È significativo che i (pochi) sopravvissuti e i discendenti degli assassinati hanno espresso una loro misurata "soddisfazione". Queste condanne hanno un valore ormai simbolico. Eppure il loro significato è immenso, semplicemente perché hanno ripristinato la Legge fra gli uomini.
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È lo scambio di battute di due personaggi (moglie e marito) di Miseria e nobiltà (1887), a commento della fuga del piccolo Peppeniello94 (otto anni) dal padre Felice e dalla "matrigna" Luisella95 . 1.9. Gegengeschopfe WORTAUFSCHÙTTUNG, vulkanisch, meeriiberrauscht. Oben der flutende Mob der Gegengeschopfe: er flaggte -Abbild und Nachbild kreuzen eitel zeithin. Bis du den Wortmond hinausschleuderst, von dem her das Wunder Ebbe geschieht und der herzformige Krater nackt fiir die Anfange zeugt, die Konigsgeburten. Ammasso di parole, vulcanico, sovrastato dal rumore del mare. Sopra la ciurmaglia delle controcreature, marea montante: issò la bandiera - immagine a somiglianza e contraffazione incrociavano superbe verso il tempo. Finché tu non scagli fuori la luna di parole, a partire da cui alla marea accade il riflusso miracoloso e nudo il cratere a forma di cuore 94
Curiosa coincidenza: nel recente film francese L es Choristes (2004) di Christophe Barratier, tra i protagonisti c'è un piccolo orfano di guerra di nome Pépinot. 95 Atto 1, scena 6. Cfr. Eduardo Scarpetta, Miseria e nobiltà, a cura di Siro Ferrone, Einaudi, Torino, 1990, p. 24. La commedia ha avuto molte riduzioni filmiche. La più nota, di Mario Mattali (1954) con Totò, ne accentua molto il lato farsesco.
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testimonia per gli inizi, le regali epifanie96 .
Creature contro (gegen) creature: controcreature? Per designare ciò, nel 1939-1940 Benjamin ricorse al termine ancora tradizionale di "Anticristo". Nel testo da Atemwende sopra riportato, Celan ha coniato il termine Gegengeschop/e, che sembra più calzante. Al fondo dell'ammasso vulcanico di parole, che il rumore del mare sovrasta, c'è un cratere a forma di cuore. Non può rivelarsi. Al di sopra, la ciurmaglia della "controcreature" è una marea montante. Ha issato il suo vessillo. L'immagine fedele e la sua contraffazione incrociano così in direzione del tempo, vanitose e superbe. Un tempo che appartiene alla ciurmaglia, alla sua bandiera, all'immagine con la sua contraffazione. La ciurmaglia incrocia così non nel tempo - il tempo è suo. Finché tu non scagli fuori qualcosa che era rimasto sotto: la luna di parole. Che sale in alto, più in alto della marea montante. Con la luna, alla marea accade il miracolo del riflusso. Il cratere rimasto nascosto - il cratere a forma di cuore sotto l'ammasso di parole prima sovrastato, nella sua nudità fa da testimone per gli inizi. L'annunzio di un inizio è la nascita di un re. La nascita di un re è l'epifania di un nuovo tempo. Il tempo non è più un avverbio. È un nuovo tempo, perché ritorniamo nel tempo. È l'epifania della creatura, dell'immagine non contraffatta.
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Questo testo fa sempre parte del citato ciclo di A temwende.
Capitolo secondo La «creatura sofferente»: allegorismo e dramma espressionista
2.1. Benjamin e il nuovo segno pittorico L'epoca dell'Espressionismo è controversa. A partire dalle quasi contemporanee "valorizzazioni" compiute sul piano teorico-politico ed estetico da Ernst Bloch e Walter Benjamin, nella storiografia dell'arte, della letteratura e della musica è maggioritaria la corrente che gli attribuisce un valore "emancipativo". Lo ha documentato anche la recente mostra della Neue Nationalgalerie di Berlino (estate 2005), che illustra il percorso storico del gruppo Die Brucke e i suoi rapporti con la metropoli dei primi anni del Novecento, allora dominata dal gusto e dallo spirito guglielmino. La storiografia politica e delle idee invece avanza profonde riserve, com'è il caso autorevole del "classico" George Mosse. A giustificare tali riserve e distinzioni, basta pensare alla vicenda di Gottfried Benn, dagli esordi agli scritti e discorsi di adesione al nazismo del 1933 o, su altro ma non meno importante piano, alla "liquidazione" del dramma espressionista compiuta dai primi drammi brechtiani all'inizio degli anni venti. Ciò che qui tentiamo di delineare è tuttavia cosa completamente diversa. Seguendo un'angolazione critica del tutto differente, risaliamo alle radici del dramma espressionista e del suo "allegorismo" e, in tal modo, tentiamo un nuovo inquadramento della lettura datane da Benjamin a metà degli anni venti. In base ad alcune inconfondibili tracce religiose della spiritualità sotterranea dell'epoca, il centro dell'attenzione risulta così spostato su un nucleo creaturale che, come premessa "nascosta", sta alla base del parallelismo benjaminiano tra Trauerspiel barocco e dramma espressionista e ne illumina il rapporto con la teoria dell'allegoria, il più potente elemento comune tra le drammaturgie delle due epoche storiche. Eppure nell'epistolario di Benjamin degli anni 1910-1924 stranamente non ricorre alcun riferimento frequente né alle messe in scena del teatro espressionista né agli autori più importanti della drammaturgia espressionista. Nulla di confrontabile, per fare un facile esempio, con il quasi contemporaneo Gramsci che, come critico teatrale dell'Avanti!, per anni ha scritto recensioni e suscitato una rilevante polemica sul significato della drammaturgia "neo-euripidea" di Pirandello. Benjamin non appare come un "uomo di teatro", è un lettore più che uno spettatore abituale di pièces teatrali. A parte il breve ma importante saggio su Die
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Bedeutung der Sprache in T rauerspiel und Tragodie, il giovane Benjamin ha del resto scritto soltanto su Hauptmann, Shakespeare, Molière e Shaw. Negli anni venti spiccano comunque tre scritti, che qui indichiamo in ordine cronologico. Il primo è "El mayar manstrua) las celas') van Calderan und "H erades und Marianne)) van Hebbel. Bemerkungen zum Prablem des histarischen Dramas, saggio di notevole interesse teorico. Il secondo è la Zuschrz/t an Flarens Christian Rang, omaggio allo studioso sulle cui ricerche si basa la caratterizzazione storico-giuridica della tragedia antica in Ursprung des deutschen T rauerspiels. II terzo è la recensione Huga van Ha/mannsthal. Der Turm. Ein T rauerspiel in /un/ A u/zugen . Il silenzio di Benjamin appare ancora più sorprendente, se si pensa al ruolo delle metropoli nella formazione della "linea estetica" di interpretazione della modernità, che notoriamente si fa risalire a Baudelaire e alla trasformazione urbanistica della Parigi di metà Ottocento, ma riguarda in pieno anche la cultura tedesca, come ha mostrato David Frisby. In ambito pittorico, il punto di irradiazione è Monaco. Ma l'ascesa di Berlino la rende il "palcoscenico" più importante (è qui che si trasferisce il gruppo Die Briicke formatosi a Dresda). Il termine non è casuale: nella vita sociale e spirituale della metropoli, la "missione teatrale" presentava una tale varietà di forme che, come ha ricordato un testimone dell'epoca, il teatro era "uno dei polmoni della città" 1 , come le strade, la metropolitana, le case, i ristoranti, la Spree, W annsee e Griinewald. Negli anni dieci, quando "esplode" il teatro espressionista, gli interessi di Benjamin sono rivolti più alla nuova arte pittorica. In una lettera da Berlino a Herbert Blumenthal del 6/ 7 luglio 1914, egli scrive: «Visito mostre d'arte: van Gogh, Heckel, Schmidt-Rotluff. Ho anche intenzione di visitare la Secessione. La visione delle arti figurative è forse in questo periodo l'unico campo in cui sento di fare progressi»2 • Tre anni più tardi, nello stesso periodo in cui tra agosto e settembre 1917 Benjamin ha scritto il breve saggio sull'essenza del segno Uber die Malerei ader Zeichen und Mal3, in una lettera da Berna del 22 ottobre 1917 all'amico Gershom Scholem, scrive ancora: «Considerato da un certo lato, il problema del cubismo consiste nella possibilità di una pittura non necessariamente "priva di colore" (farblasen), ma radicalmente acromatica (un/arbigen), in cui costruzioni lineari dominano l'immagine, senza che per questo il cubismo cessi di essere pittura per 1
Cfr. H . Jehring, Theaterstadt Berlin. Ein A lmanach, Bruno H enschel & Sohn, Berlin, 1948, p. 116 e Die Zwanziger Jahre, Aufbau, Berlin, 1948. Una ricostruzione in "presa diretta" della vita teatrale berlinese e tedesca del primo Novecento si trova negli scritti di Julius Bab, che ne è stato il primo cronista e storico. 2 Gesammelte Brie/e, hrsg. vom T. W. Adorno Archiv, Suhrkamp , Frankfurt am Main, 1995, Bd. I 1910-1918, hrsg. von C. G odde u. H . Lonitz, p . 242 (in sigla= GB). 3 GS, Bd. 2·2, pp . 603-607.
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trasformarsi in mera grafica»4 • In questa stessa lettera, Benjamin parla inoltre di uno stato di commozione (Ergrz//enheit) che occorre elaborare sul piano della teoria e, fatto storicamente rilevante, rispetto all'arte di un Kandinsky o di uno Chagall, esprime una chiara preferenza per Paul Klee, nella cui pittura vede relazioni più strette con il cubismo. 2.2. Il Cristo di van Gogh
È lo stesso Benjamin, quindi, a suggerirci di iniziare con le arti figurative. Nella storia dell'immagine e poi dell'arte in senso moderno5, l'immagine di Cristo ha conosciuto un rinnovamento spirituale nella pittura espressionistica, della cui "evoluzione" costituisce un presupposto. Ciò corrisponde all'essenza del concetto di "spirituale" e l'idea-base dell'espressionismo consiste nel vedere la realtà come esperienza spirituale. La formula più significativa al riguardo è stata scritta da Klee nel 1918: «L'arte non riproduce il visibile, bensì rende visibile»6 • La cronaca stessa delle origini dei termini "espressionismo" ed "espressionistico" rivela del resto le sue profonde radici nella storia dell'arte. Al Salon des Indipéndents del 1901, per la prima volta Julien-Auguste Hervé ha esposto otto dipinti sotto il titolo complessivo di Expressionismes. Nel fascicolo dell'agosto 1911 dell'importante rivista "Der Sturm", Wilhelm Worringer - le cui teorie estetiche elaborate ai primi del Novecento hanno avuto una larga influenza - parlò «dei giovani "sintetisti" ed "espressionisti" di Parigi Cézanne, van Gogh e Matisse»7 . In campo letterario, l'esigenza di un rinnovamento insieme spirituale e linguistico era espresso da riviste come la citata "Der Sturm", "Das neue Pathos", "Revolution" e "Aktion". Negli anni 1911/1912, il rinnovamento del linguaggio lirico come "cifra" dell'atmosfera espressionistica è un fatto compiuto con le raccolte Der ewige Tod di Georg Heym e Der Welt/reund di Franz Werfel e con la celebre antologia della lirica più recente Der Kondor, curata da Kurt Hiller. 4
GB, Bd. 1, p. 394. Ci basiamo qui sulla distinzione centrale discussa da H. Belting in Bild und Kult. Bine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, Beck, Miinchen, 1995, che al concetto benjaminiano di "aura" riserva un'acuta analisi. Rilevante per la prospettiva qui seguita è anche il recente tentativo di teoria generale dell'immagine elaborato da Belting in Bild-Anthropologie. Entwur/e /ur eine Bildwissenschaft, W. Fink, Miinchen, 2001. 6 «Die Kunst gibt nicht das Sichtbare wieder, sondern macht sichtbar»: Schop/erische Kon/ession, in: Tribune der Kunst und Zeit, Kasimir Edschmid (Hg.), Berlin, Erich Reill, 1920 (v. P . Klee, Das bildnerische Denken. Schri/ten zur Form- und Gestaltungstheorie, hrsg. von Jiirgen Spiller, Schwabe & Co, Basel-Stuttgart, 1964, p. 76. 7 Se nelle prospettive attuali della storia dell'arte questo raggruppamento appare anacronistico e bizzarro, esso conserva tuttavia un certo valore di riferimento nella fenomenologia spirituale dell'arte moderna. 5
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Quando il termine Expressionismus è usato per la prima volta in modo esplicito da Hermann Bahr, in realtà il movimento è già profondamente in atto. Kasimir Edschmid ammise che, allorché i suoi racconti Die sechs Mundungen (1915) furono giudicati dalla critica come "tipicamente espressionisti", egli ignorava il significato di questa nuova definizione stilistica. Ma - fatto storico di grande interesse - anche i primi racconti di Kafka apparsi a Leipzig dapprima presso Ernst Rowohlt (1912: Betrachtung) e poi presso Kurt Wolff (1913: Der Heizer. Ein Fragment- un racconto che Rilke lesse e giudicò di grande coerenza; 1916: Die Verwandlung; 1919: In der Stra/kolonie. Erzéihlung; 1919: i 14 racconti della piccola raccolta Ein Landarzt) furono giudicati da gran parte della critica come esemplari di un "espressionismo minore" di impronta "praghese". Come ha documentato Siegfried Kracauer, Das Kabinett des Dr. Caligari di Frank Wiene (1920) venne considerato come l'archetipo del film espressionista. Il neologismo francese "caligarisme", infatti, divenne sinonimo di espressionismo. Ma le sue radici cinematografiche vanno notoriamente cercate nell'atmosfera praghese del leggendario Der Student van Prag (1913 ). Del resto, già un anno dopo Henrik Galeen e Paul Wegener girarono la prima versione poi andata perduta di Der Golem wie er in die Welt kam (quello a tutti noto è del 1920), con le immagini sceniche antropomorfe di Hans Polzig8 • Tra gli eventi teatrali decisivi va annoverata la messa in scena (dicembre 1917) diretta da Max Reinhardt di Der Bettler (1911), un testo di Johannes Sorges che rientra programmaticamente nel cosiddetto espressionismo "estatico-palingenetico"9 • Ma dov'è in tutto ciò l'immagine di Cristo? Per rispondere a questa domanda, bisogna risalire al 1890, anno in cui van Gogh dipinge la Resurrezione di Lazzaro, normalmente considerata come una "copiai; della Grossa Resurrezione di Lazzaro di Rembrandt 10 . Il confronto con l'originale risulta piuttosto sorprendente: il dipinto di van Gogh, infatti, appare come un "Torso" o, per usare una terminologia fotografica o cinematografica, uno "zoom" del modello, che abolisce l'immagine stessa di 1
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Alcuni riferimenti del Passagen-Werk lasciano intuire che Benjamin attribuiva un certo rilievo al cinema espressionista. La sua predilezione sembra andare a Murnau, in particolare alla sua versione del Faust (un film di culto per la Nouvelle Vague). Murnau è un poeta della luce e dell'immagine, dotato di un alto senso "creaturale". La simbiosi tra queste due doti è perfetta in Der letzte Mann (1925), primo e forse unico film muto interamente affidato al montaggio delle immagini. 9 Anche l'intreccio e lo scambio tra teatro e cinema era ormai stabile. I protagonisti della pièce erano Ernst Deutsch, attore già acclamato come protagonista della prima di Dresda di Der Sohn di Hasenclever in seguito considerato come tipico attore "espressionista" , Gertrud Eysoldt, che poi interpretò la madre nella prima di In Dickicht der Stcidte ( 1923) di Bertolt Brecht, e il già citato Wegener, protagonista eco-sceneggiatore di Der Student van Prag. 10 Entrambi i dipinti si trovano allo Stedelijk Museum di Amsterdam.
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Cristo, per lasciare che l'osservatore possa percepire ormai per così dire solo le tracce della sua "azione salvifica". Nel dipinto di Rembrandt si può osservare una tripartizione spaziale: nella zona di sinistra, accompagnato da cinque persone Cristo spicca sul sepolcro con una figura solenne e maiestatica; nella zona centrale è visibile il sepolcro, ove giace la figura distesa di Lazzaro, mentre di fronte a lui, ai suoi piedi, c'è la prima delle sue due sorelle; nella zona di destra (quindi alla sinistra di Lazzaro), si osserva un primo gruppo con l'altra sorella, che apre le braccia verso il fratello in un gesto pieno di devozione, mentre dietro di lei un uomo le solleva in un gesto tra l'ammirato e il terrorizzato; sullo sfondo, un secondo gruppo di tre persone osserva la scena. Rispetto alla complessa struttura figurativa del dipinto di Rembrandt, l'opera di van Gogh opera una drastica riduzione. In primo piano, si vede la figura di Lazzaro che giace nel sepolcro e le due sorelle. Nello sfondo, sulla destra splende un sole. Questa presenza è un segno chiarissimo: van Gogh non chiude del tutto le porte alla speranza. Ma non meno chiaro è il significato complessivo: poiché Cristo ormai è assente e il miracolo è già compiuto, da solo e sulla terra soltanto l'uomo deve dare le risposte alle proprie domande. Con questa semplice, ma "tagliente" indicazione, van Gogh anticipa un dilemma centrale nella storia del Novecento. 2.3. L'orizzonte spirituale dell'arte espressionista Si fa la storia delle immagini, assai più raramente la storia con le immagini. In questo c'è un acuto paradosso. La ragione di ciò, infatti, è che le immagini toccano le radici più profonde dell'esperienza storica, ma il loro linguaggio in parte ci sfugge e in parte non sappiamo "tradurlo". Van Gogh ha presagito ciò che in seguito le arti figurative hanno percepito sempre più acutamente: la presenza sotterranea delle smisurate11 potenze "demoniche" cresciute nella "struttura subatomica" 12 del processo di tecnicizzazione e massificazione del mondo. Ma dai dipinti di Max Ensor Einzug Christi in Brussel (1889) e Tod ver/olgt die Menge (1896) fino al bronzo del 1926 di Ernst Barlach Das Wiedersehen (Au/erstandener Christus) si può tracciare 11
Da pensare in corrispondenza con il termine tedesco Ungeheuer, usato da Holderlin anche per tradurre il termine greco deinòn (tremendum). 12 Questa espressione, usata da Isaiah Berlin per designare l'esperienza storica in generale, qui allude al fatto che l'arte e la poesia toccano in profondità le radici di tale esperienza e la esprimono con il loro linguaggio. Talvolta, ciò accade direttamente, come nel caso del dramma Die letzten Tage der M enschheit (1922) , nel cui frontespizio Karl Kraus volle che fosse pubblicata l'immagine dell'impiccagione di Cesare Battisti, ove il corpo ormai senza vita è "oscenamente" tenuto in piedi, mentre il boia e gli altri esecutori intorno a lui ridono altrettanto " oscenamente". Tale immagine era stata riprodotta su Postkarten ufficiali dell'Impero austriaco.
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una linea, in cui la questione centrale consiste nel chiedersi se l'uomo contemporaneo può ancora riconoscersi nell'incontro con Cristo. Tale questione non può prescindere dalla Prima guerra mondiale, che della prima metà del Novecento non è solo un evento cruciale, ma la matrice dei più importanti eventi successivi. È nella sua stessa fioritura che la giovane generazione degli artisti espressionisti va incontro alla smisurata realtà distruttiva di questa guerra, in cui fa esperienza diretta delle potenze ancora "astratte e anonime" della distruzione. Si tratta delle potenze che l'arte moderna e in parte la stessa teoria estetica hanno già percepito13 . Il fatto cruciale è che questa guerra di trincee ha reso insensata la morte. Il problema, quindi, è direttamente religioso, ancora prima che teologico. La "negazione di Cristo" (Christus-Leugnung) della nuova, "totale" guerra moderna, è una sorta di condensazione di tutte le questioni più drammatiche della moderna società tecnologica 14, dall'immagine dell'uomo stesso alla "questione del senso" (Sinn/rage) che, per ragioni immanenti al suo stesso sviluppo, non si riferisce più solo e tanto all' esistenza dell'uomo, quanto alla sua stessa storia complessiva 15 . Nel dipinto del 1918 Ist euch nicht Christus erschienen? di Schmidt-Rottluf, questa domanda appare con il volto "devastato" di Cristo. Come Kirchner, Heckel, Pechstein, Nolde, Beckmann, Miiller e Kokoschka, Schmidt-Rottluf apparteneva al citato circolo "Die Briicke" che si era formato a Dresda, ma già nel 1911 si era trasferito a Berlino. Secondo un giudizio storiografico consolidato, "Die Briicke" rappresenta la svolta del nuovo secolo, mentre la vera e propria arte moderna fa irruzione con il circolo "Der blaue Reiter". In tal
13 Non sembra un caso che in
First World War (1994), Martin Gilbert citi cosl spesso testi poetici, lettere e documenti di artisti dell'epoca - come Oskar Kokoschka, per fare un nome nell'ambito della cultura di lingua tedesca - o ne segnali la morte in guerra, come nel caso di FranzMarc. 14 Una "iconologia cristiana" sui generis della crocifissione ricorre anche nella scena in cui i tre condannati a morte sono portati nel luogo dell'esecuzione in Paths o/ Glory (1958) di Stanley Kubrick, ispirato all'omonimo romanzo-reportage del canadese Humphrey Cobb (Viking Press, New York, 1935). L'espressione fa parte di una celebre poesia. 15 Questa tesi è stata introdotta e persuasivamente dimostrata da Hans Blumenberg. L' arco temporale considerato va da Simmel ad Heidegger. Va aggiunto che la crisi "abissale" prodotta dalla guerra non ha colpito solo lo storicismo - ovvero la corrente filosofica e spirituale fondamentale della cultura tedesca dell'epoca -, come rivelano gli scritti di Ernst Troeltsch dei primi anni venti, ma la stessa storiografia che, come ha mostrato Georg G. Iggers in The German Conception o/ History, Wesleneyan, Middletown Connecticut, 1968, si trovò letteralmente priva di strumenti per capire tanto la crisi, quanto la natura della modernità. Questo sfondo permette di inquadrare con chiarezza la convergenza degli interessi filosofici di Benjamin sulla teoria della storia. È sufficiente una considerazione complessiva di che cosa esce in Germania tra il 1918 e il 1927 (fino a Sein und Zeit di Heidegger) per capire l'enorme portata del conflitto "ideologico" apertosi con e dopo la guerra.
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senso, gli artisti che hanno aperto la nuova strada nell'arte contemporanea sono Kandinsky e Klee. Ciò riguarda la classificazione storiografica, non necessariamente la fenomenologia spirituale dell'arte. Il criterio del "superamento" è discutibile, già a partire dall'atto stesso della fondazione della storiografia dell'arte con Vasari. Considerando i due movimenti citati, secondo tale criterio per esempio la capacità innovativa di Klee lo renderebbe "superiore" a Kokoschka. Più che assurda, tale valutazione è inutile. Questa osservazione è banale, ma porta ad una conseguenza importante. La nascita dell'arte "astratta" è un evento che segna una "soglia epocale" (Epochenschwelle). Ma, a sua volta, essa stessa è "segnata" da tale soglia. Certamente l'irruzione di nuove questioni spirituali esige l'invenzione di nuove forme. Tuttavia, come si vede in particolare proprio nella parabola del teatro espressionista tedesco, sul piano fenomenologico l'elaborazione formale è in certo senso meno importante e decisiva del fatto della percezione in sé e per sé di tali questioni. Al di là dei differenti mondi artistici e delle differenze formali, quindi, è possibile per esempio trovare un filo conduttore che collega l'arte di un Emil Nolde - l'esplicito rinnovatore moderno dell'arte religiosa - con quella del Klee degli anni trenta, che dipinge le differenti serie di angeli. 2.4. Simbolismo pittorico e allegorismo teatrale
Baudelaire ha percepito la trasformazione della metropoli moderna come una svolta nel rapporto tra tempo interiore e tempo esterno. In Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (1936), Benjamin ha acutizzato questa percezione, facendo notare che, alla svolta del secolo, per la prima volta nelle mostre fotografiche sono apparse immagini di Parigi senza la presenza di figure umane 16. Sarebbe però sbagliato sottovalutare per questo l'importanza dei dipinti di Kirchner degli anni 1912-1914, che ritraggono scenari cittadini di Berlino. Kirchner è tra i primi artisti a mettere in luce il ritmo moderno di una metropoli, con alcuni suoi caratteristici personaggi umani. Allo stesso modo, il reportage di Siegfried Kracauer per la Frank/urter Zeitung, poi diventato il saggio Die Angestellten (1931), è frutto di un'intuizione sociologica acutissima e insieme di una spontanea attenzione "creaturale" 17 . Con ciò, la riflessione sull'arte astratta ci ha condot16
Cfr. W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in Schri/ten, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1955, trad. it. di E. Filippini, L'opera d'arte nel!' epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1966, 19922, p. 28. 17 Kracauer è correntemente considerato una sorta di parente minore della Scuola di Francoforte. Forse perché è autore poco "utilizzabile" dall'ideologica politica. Gli impiegati hanno anticipato una svolta storiografica nella ricerca sugli anni Trenta, che prenderà forma solo negli anni Settanta. Kracauer muove da una volontà di comprensione umana del tutto
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to in un territorio che ci awicina a capire il tema fondamentale della teoria dell'allegoria di Benjamin, ponendo la sua natura e il suo significato in relazione sia con il dramma espressionista che con il posteriore dramma brechtiano. Il punto di partenza è una precisazione di Kandisnky. L'assenza di oggetti (Gegenstandlosigkeit) dell'arte astratta non significa che essa sia priva di riferimenti (beziehungslos) 18 tematici. Questa formula è centrale nell'elaborazione teorica dei fondamenti dell'arte astratta, cui Kandinsky si è dedicato negli anni 1910-1914 (gli scritti principali apparvero su "Der blaue Reiter", l'Almanach fondato nel 1911 dalla "Neue Kiinstlervereinigung Miinchen"; Uber das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei apparve nel 1912) 19 . Il punto su cui il pittore russo più insiste è che la nuova pittura tratta "fatti pittorici" (malerische Fakten) puri, colori e costruzioni di forme come "simboli spirituali" (geistige Symbolen). Mare e Klee entrarono nel circolo dei nuovi artisti di Monaco rispettivamente nel 1910 e nel 1911. La formula programmatica di Mare (morto prematuramente a Verdun), che ricorre nei suoi appunti, dice che compito della pittura è esprimere un mondo, «in cui le cose sono condotte alla parola»20 . Accantonando la tradizionale illusione dell'immagine naturale, Klee equipara la creazione artistica alla genesi divina e considera la forma come una "sostanza concreta " o come un " cosmo forma1e " , ehe presenta una ta1e somi-· glianza con la creazione divina che basta un respiro, per realizzare il respiro del religioso (den Hauch des Religiosen), la religione stessa21 . Tra queste tre posizioni spicca la semplicità della formula di Mare. La ricerca formale di nuovi simboli spirituali-religiosi coincide con la ricerca di un nuovo linguaggio corrispondente alle cose. C'è qui un punto di contatto con Kokoschka. La pittura figurale del pittore austriaco esponente della "Briicke\ spinta fino alFestremo del "visionario;;, infatti, ha in comune con sconosciuta a Benjamin, come agli altri esponenti della Scuola di Francoforte, per non parlare di Brecht. Lo si può avvicinare a Mumau. 18 Anche Paul Celan ha sempre insistito sul fatto che ogni parola della sua poesia contiene riferimenti alla realtà - è wirklichkeitsbezuglich -, respingendo perciò quella parte della critica che la considerava oscura e puramente astratta. 19V. Kandinsky, Uber das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei, R. Piper, Miinchen, 1912. 20 «die Dinge zum Reden gebracht sind»: F. Mare, Brie/e, Au/zeichnungen und Aphorismen, 2 Bde, Paul Cassirer, Berlin, 1920. Questa formula sintetizza i frammenti in folio del periodo 1912-1913, in cui Mare parla esplicitamente della relazione tra arte e religione. 21 Oltre ad Arnold Schonberg, del gruppo faceva parte anche Alexej von Jawlensky, giunto a Monaco insieme a Kandinsky. Questo pittore si occupò del ritratto di volti umani e si specializzò poi nello sviluppo della tradizione dell'icona russa. Le prime esposizioni si tennero a Monaco nel 1911/1912 e furono riprese nel 1913 a Berlino, ove suscitarono un'impressione enorme. L'aspetto religioso della nuova arte non sfuggì a una parte della contemporanea critica tedesca: cfr. G. F. Hartlaub, Kunst und Religion. Ein Versuch uber die Moglichkeit neuer religiosen Kunst, Kurt Wolff, Miinchen, 1919.
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l'astrazione formale del "blaue Reiter" una concezione essenzialmente simbolica del mondo e dell'arte. In termini teorici puri, questa definizione crea un problema di principio nel rapporto con il teatro espressionista, che con la pittura ebbe un legame molto stretto. Già nel 1914, dopo avere assistito ad una lettura pubblica di Der Sohn tenuta da Hasenclever (autore del pezzo) nel celebre cabaret Gnu, il critico Kurt Pinthus osservò che questo teatro aveva le stesse finalità della nuova musica e soprattutto della nuova pittura e perciò lo definì un «teatro di pittori» (Theater der Maler) 22 . In effetti, il teatro espressionista si svilupperà sempre sul "doppio registro" della ricerca di un rinnovamento tanto del linguaggio drammaturgico quanto di quello scenico. Il rapporto tra questi due fattori varia da caso a caso e ciò dipende non solo dagli autori, ma anche dai registi. Ma questa ricerca non è ma1· so1o "forma1e " . Dietro a ogni nuova soluzione formale c'è sempre il tentativo di dare espressione alla rivoluzione spirituale. Storicamente ciò si registra soprattutto laddove appunto la collaborazione tra pittura e teatro è stretta e diretta. Dopo la guerra, Kandinsky e Klee si ritrovarono nel Bauhaus, che aveva una sezione teatrale con un laboratorio. Al circolo berlinese "Der Sturm", fondato e diretto dal critico e pittore Herwarth Walden (il cui vero nome era Georg Levin) e la cui citata, omonima rivista d'avanguardia apparve fino al 1932, apparteneva il drammaturgo Lothar Schreyer. Walden e Schreyer fondarono a Berlino l'importante "Sturm-Biihne". Chiamato a dirigere la sezione teatrale del Bauhaus, Schreyer vi trasferì le riflessioni sul teatro e le esperienze acquisite in precedenza nel suo circolo. Nel 1923, gli subentrò il pittore e scultore Oskar Schlemmer, il quale nel 1921 aveva messo in scena la pièce di Kokoschka Morder, Ho//nung der Frauen (1907), musicata da Paul Hindemith. Con la completa approvazione di Walther Gropius, le messe in scena di Schlemmer erano caratterizzate da una geometrica ed astratta essenzialità, che mirava esplicitamente alla rappresentazione "figurale" di idee metafisiche e alla personificazione di universali concetti spirituali23 . 22
K. Pinthus, Versuch eines zukun/tigen D ramas, in «Die Schaubiihne», 10 (1914), pp. 391-394. A una rivoluzione del linguaggio scenico (Buhnensprache) aveva già alluso Georg Fuchs in Die Revolution des Theaters. Ergebnisse aus dem Munchener Kunstler-Theater, Miiller, Miinchen-Leipzig, 1909. 23 Cfr. O. Schlemmer, L. Moholy-Nagy, F. Molnar, Die Buhne im Bauhaus, Nachwort von W. Gropius, Kupferberg, Mainz-Berlin, 1965 (facsimile dell'edizione del 1925 ); O. Schlemmer, Brie/e und Tagebucher, hrsg. von T. Schlemmer, Langen & Miiller, Miinchen, 1958. Sul circolo "Sturm" cfr. H . Walden, Einblick in Kunst. Expressionismus, Futurismus, Kubismus, V. der Sturm, Berlin, 1917 (19242 ); N. Walden, L. Schreyer, Der Sturm. Ein Erinnerungsbuch an Herwarth Walden und die Kunstler aus dem Sturmkreis, Klein, Baden-Baden, 1954; N. Nalden, Herwarth Walden. Ein Lebensbild, Kupferberg, Mainz-Berlin 1963; L. Schreyer, Expressionistisches Theater. Aus meinen Erinnerungen, Toth, Hamburg 1948. Dopo il suo ritiro, con lo
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È chiaro allora che, mentre nell' autodefinizione della poetica della nuova pittura si parla di "simboli spirituali", una concezione teatrale di questo genere rientra più nel concetto di allegorico. Ma è noto che la critica ha giudicato allegorico il teatro espressionista in generale, non solo questo tipo di messe in scene. In termini teorici, il rapporto presenta qui una divaricazione: la nuova pittura e la nuova drammaturgia espressionista partecipano della stessa rivoluzione spirituale, ma mentre la prima è tendenzialmente simbolica, la seconda è tendenzialmente allegorica. Saremmo così ricondotti alla distinzione tradizionale, che risale a Goethe. Ma la tradizione non fa testo, di fronte ad una rivoluzione dei linguaggi dell'arte che tenta di dare espressione alle radici religiose di un mutamento storico e spirituale. La trattazione deve essere perciò completamente nuova. In Ursprung des deutschen Trauerspiels, Benjamin fu certamente il primo a comprendere questa esigenza, ma con implicazione teoriche di cui egli stesso non fu del tutto consapevole. È questa parziale inconsapevolezza la ragione per cui la teoria benjaminiana ha "risolto" la principale aporia del dramma espressionista, ma per esporsi in seguito ad una nuova e diversa aporia nel rapporto preferenziale stabilito con il dramma brechtiano. 2.5. Il "linguaggio'' del dramma espressionista: metonimia e allegoria Il carattere "erratico ed esplosivo" dello stile linguistico è la novità drammaturgica di pièces come i citati Der Bettler (1912) e Der Sohn (1913 ), Der tote Tag (1913) di Barlach, Der brennende Dornbusch di Kokoschka (1913 ), Die Burger van Calais (1914) di Kaiser. Come nel periodo dello Sturm und Drang, di rilievo è stata anche la rielaborazione di tragedie antiche24. Il caso forse più importante è la rielaborazione da Euripide di un classico "del dolore e del lamento" come Die Troerinnen (1915) di Werfel. La novità linguistica di queste pièces non è espressa in modo adeguato dai testi poetologici, come la celebre Programmrede uber den dichterischen Expressionismus (1917) di Kasimir Edschmid, ove si dice che il poeta «non vede, ma osserva. Non descrive, esperisce. Non riproduce, ma crea. Non prende, cerca. [ ... ] offre l'immagine profonda dell'oggetto; il paesaggio della sua arte è il paesaggio grande e paradisiaco creato da Dio, che è più splendente, colorato e infinito di quello che nella loro cecità i nostri sguardi sono in grado di percepire e che non sarebbe affatto esaltante descrivere. In pseudonimo di Angelus Pauper, Schreyer si dedicò alla storia dell'arte sacra, in particolare cristiana, pubblicando numerosi studi, tra cui Das Christusbild und die Kunst des 20. Jahrhunderts, Miiller, Salzburg, 1960. Una ricostruzione generale del tema in: H. Denkler, Das Drama des Expressionismus in Z usammenhang mit den expressionistischen Programmen und Theaterre/ormen, Diss., Miinchen, 1963. 24 Cfr. L. Secci, Il mito greco nel teatro tedesco espressionista, Bulzoni, Roma, 1969.
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esso va invece cercato il profondo, l'autentico e lo spiritualmente meraviglioso, mentre secondo per secondo ogni cosa è fonte di esaltazioni e rivelazioni. Tutto acquisisce un rapporto con l'eternità (Beziehung zur Ewigk eit)». La somiglianza con la formula prima citata di Klee è solo apparente. Nonostante l'esaltazione della "creazione", il riferimento all'eternità implica una certa "degradazione" della realtà empirica e della temporalità. Ciò è il sintomo di un'oscillazione. Se si presuppone l'eternità come pienezza ontologica del tempo, infatti, la realtà temporale delle cose mondane risulta abbandonata alla transitorietà e solo l'assoluto può garantirne la consistenza. La "spiritualità" di Kandinsky, Mare e Klee poggia su un rapporto inverso tra realtà crea turale, creazione e "creatore" (la questione si ripropone con Proust, come vedremo nel terzo capitolo). Di nuovo una divaricazione, che dimostra come le questioni poetologiche di principio e le strutture retoriche fondamentali da esse chiamate in causa riconducono a problemi "ontologici". È la retorica a mostrare che la questione della "realtà crea turale" è di natura metafisica. Essa rimanda, infatti, alla formula filosofica della Sinngebung o "donazione di senso"25 • In linea di principio, è incontestabile che il senso del mondo è essenzialmente costituito mediante il linguaggio. Per parte sua, il linguaggio non è però in grado di "riempire" (er/ullen ) del tutto il senso dell'essere delle cose. Deve quindi muovere dalla coscienza di questo limite. La parola può dare senso alle cose, se va incontro al loro senso. Sotto questo profilo, Celan è la condensazione di un tratto comune del linguaggio poetico del Novecento, che riporta alla luce il significato originario e radicale del termine greco herm eneia. Questa parola significa espressione, prima che "interpretazione;; e "traduzione;;. Il concetto originario di espressione contiene l'idea del venire incontro al senso delle cose e della corrispondenza con i movimenti dell'anima. Su questa intuizione originaria, si è innestata una tradizione retorica basata sulla chiave analogico-metaforica, che sta tutta dalla parte del logos. Riportare alla luce questa relazione originaria significa quindi ricollocare l'incontro tra il senso espresso dalle cose e l' espressività linguistica. In termini retorici, si tratta dell'asse m etonim ico. Questa indicazione non coincide del tutto con la distinzione tra asse della "somiglianza" e asse della "contiguità" , come base della differenza tra metafora e metonimia, elaborata da Roman Jakobson, poiché riconduce la contiguità al rapporto ontologico tra essere delle cose e linguaggio, cioè alla questione del senso. Storicamente, tra ambivalenze e non poche ambiguità, la struttu25
P er una approfondita trattazione di questo tem a e della questione della "nominazione" dr. M . Kohlenbach, Self-Re/erence and Religiosity, Palgrave M acmillan, Basingstoke/New York, 2002, pp. 24 sgg.
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rale tendenza metonimica fa la sua apparizione proprio nel radicale "scompiglio" dei e fra linguaggi prodotto dall'espressionismo. Nella letteratura di lingua tedesca, Celan e Kafka26 sono i casi estremi di linguaggio rigorosamente metonimico27 . Nella narrativa di Kafka, il procedimento metonimico è evidente. All'inizio di Der Prozefl, per esempio, un estraneo entra nell'appartamento di Joseph K. per procedere ali' arresto. Non viene descritto, mentre lo è minuziosamente il suo singolare abito. Al suo risveglio, Gregor Samsa si ritrova trasformato in un animale parassita (Ungezie/er), un insetto-gigante di tale '' carenatura" che le coperte del letto gli scivolano da ogni parte (Die Verwandlung). Grazie a questo procedimento, Kafka ci immette in un mondo "fiabesco" (spesso in un "incubo" fiabesco), che viene però caratterizzato in modo "realistico" 28 . Questa duplicità di registro esclude che si tratti di simboli. Tuttavia, non siamo neppure di fronte all'allegoria classica. Nel primo esempio, la descrizione metonimica rende il poliziotto "talmente" poliziotto, che basta descriverne la giacca. Il tipo di giacca esclude però che esso "incarni" l'idea della polizia e della autorità arbitraria, secondo lo schema tradizionale dell'allegoria. La realtà metonimicamente attestata e indiscutibile del poliziotto dice "altro da sé", senza incorporare un'idea astratta. È un'allegoria di nuovo tipo. Le teorie retoriche tengono normalmente separate tra loro la coppia metonimia-metafora da una parte e quella simbolo-allegoria dall'altra. Di per sé, il procedimento metonimico si collega naturalmente con il simbolico, poiché il concetto di simbolo presuppone la pertinenza tra il veicolo e ciò che simboleggia (una forma di "contiguità"). Il procedimento metaforico (basato sul "nome allotrio", secondo la definizione aristotelica) si collega con l'allegoria, con cui condivide l'elemento dell"' alterità". La novità consiste allora nel fatto che qui rallegoria è connessa con un procedimento metonimico. Poiché nella teoria tradizionale di matrice aristotelica l'allegoria è una "metafora continuata", se costruiamo il quadrato corrispondente avremo dal lato sinistro, in alto e in basso, la relazione tra simbolo e metonimia e dall'opposto lato destro quella tra allegoria e metafora. In questo quadrato - qui costruito secondo lo schema utilizzato dai commentatori rinascimentali di Aristotele, come Castelvetro -, la relazione tra metonimia e allegoria è rappresentata da una diagonale. Questa è una novità, perché nella tradizione degli studi retorici, come si è accennato, simbolo e allegoria, me26
Le biografie di Celan concordano nel notare che, sotto l'influenza dei saggi kafkiani di Margarete Susman, a partire dal 1965 circa Celan si avvicinò sempre più a Kafka, "abbandonando" gradualmente Benjamin. 27 Nella vastissima letteratura su Kafka, c'è un evidente oscillazione nell'uso critico delle categorie linguistiche, retoriche e poetiche. La questione decisiva è il rapporto tra Gleichnis o parabola e metonimia. 28 Questo importante rapporto è discusso nel capitolo 3.
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tonimia e metafora sono analizzate come coppie in modo disgiuntivo, non nella relazione tra loro. Ciò dipende anche dal fatto che la prima coppia si applica tanto al linguaggio delle arti figurative quanto al linguaggio poetico, cui la seconda è in genere riservata. Fondendo la retorica dell'immagine con quella della parola, il cinema ha reso necessario pensarle nella relazione reciproca. Tornando allo schema descritto, le relazioni trasversali (diagonali) mostrano che l' allegorico e il simbolico possono essere raggiunti con un procedimento rispettivamente metonimico e metaforico. Questa possibilità dipende dal fatto, di cui Creuzer fu tra i primi a rendersi conto, che nell'anti-retorico Platone c'è un concetto di allegoria come "senso nascosto" o hyp6noia diverso dal concetto aristotelico di allegoria, ripreso da tutta la tradizione retorica latina di Cicerone e Quintiliano. Il "senso nascosto" non coincide con l'idea di allegoria come metafora continuata. La descrizione omerica delle vicende degli dèi è antropomorfica e, come tale, condannata da Platone. C'è però la possibilità che essa abbia un senso nascosto o "altro", di accesso tuttavia troppo difficile perché le si riconosca una funzione "pedagogica". Questa seconda parte dell'argomentazione critica non toglie interesse alla prima: delle vicende sono descritte, ma la descrizione racchiude un senso non visibile. Se si applica questo concetto di allegoria al metonimico, il risultato è che la realtà stessa ha un senso altro. Viene rovesciata l'analogia di Gorgia, secondo cui le parole stanno all'anima come i farmaci alle vicende corporee, che è certamente un presupposto della teoria aristotelica della metafora. Il metaforico spiritualizza il fisico-corporeo attraverso la sua "risemantizzazione". Il metonimico resta ancorato al fisico-corporeo e ne riconosce direttamente il senso spirituale. Tutto ciò viene a convergere con il significato puro di Gleichnis, che non è similitudo, bensì Parabel. La parabola è la cifra stessa della scrittura di Kafka, esemplificata in modo canonico da Vor dem Gesetz, il celebre racconto inserito in Der Prozefl. Se stiamo alle definizioni tradizionali, la parabola non è né simbolo né allegoria. Se il simbolo è elaborazione del concreto che attinge all'universale e l'allegoria elaborazione dell'universale che assume il concreto sotto di sé, la parabola è elaborazione narrativa del concreto che illustra una situazione parimenti concreta. Nel Processo, il cappellano del tribunale dice a Joseph K.: «circa la tua posizione nel processo tu ti inganni. Negli scritti di introduzione alla Legge, si narra di questo inganno». Alla fine del racconto, si apre un'autentica "dissemina. " 1nterpretat1va. . . z1one Se il racconto fosse una similitudine, si esaurirebbe nel confronto. Se intendo descrivere l'angoscia di un uomo, posso dire che si sente come il viandante che, nelle ombre della sera, si trova improvvisamente di fronte le acque grigie e tempestose di un fiume. Questo è Omero e permette colle-
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gamenti simbolici. È anche un codice, in base al quale per esempio Vladimir Nabokov confronta la prosa di J ane Austin con quella di Charles Dickens. La rete interpretativa aperta dalla parabola immette invece inaspettatamente nel territorio dell'allegorico, ma rimanendo sul piano del concreto, tradizionalmente riservato appunto al simbolico. La similitudine e la metafora differiscono soprattutto come procedimenti analogico-linguistici, ma hanno in comune l'individuazione del tratto di somiglianza. Al simbolico si può giungere tanto dal metonimico, quanto dal metaforico. Ma il caso davvero complesso resta quello della linea metonimico-allegorico: è appunto la prosa parabolica di Kafka a compiere questo nuovo passo nella letteratura. Ma ciò che la teoria può dimostrare diventa allora una domanda storica: come mai questo procedimento trova espressione in Kafka proprio in questo periodo? Celan, si è visto, dice che, con le sue immagini e i suoi tropi, la poesia esplora il territorio ignoto ed estraneo29 . Steiner e Fortini hanno definito Kafka come "profeta" degli incubi storici della prima metà del Novecento. La definizione trascura il legame con l'epoca dell'Espressionismo. Kafka non è un profeta. Ha saputo captare le forze oscure della realtà storica contemporanea e leggervi il fatto che essa ha imposto un procedimento metonimico. Nella violenza astratta e incontrollabile delle potenze in essa scatenatasi, infatti, ha posto al centro la più soggettiva delle realtà: il corpo e le sue vicende. E con ciò ha messo in discussione il più radicale tra i problemi del senso: la morte30 • La guerra stessa è stata in sé e per sé una realtà metonimica31 che, con il suo aurorale senso creaturale, il dramma espressionista ha percepito. Iniziato nel 1914, il Processo fu concluso nell'autunno del 1915. Se lo si legge nel "senso nascosto" di una relazione con la guerra e la sua inaudita "crudeltà", In den Stahlgewittern di Ernst Jiinger apre una divaricazione che coincide con quella tra metonimico e metaforico. "Metaforizzare" la violenza e la crudeltà della guerra significa proseguirla con mezzi linguistici, aprire un varco alla violenza politica del fascismo e del nazismo32 . Il metonimico kafkiano è un 29
Quasi a fargli eco, Andrea Zanzotto ha osservato che la poesia capta le vibrazioni più oscure e profonde della realtà storica. 30 S. Audoin-Rouzeau, Corps perdus, corps retrouvés: Trois exemples de deuils de guerre, in «Annales HSS», janvier-février 2000, n °1, pp. 47 -7 1. Sull'argomento dr. l'importante saggio di Giovanni De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Einaudi, Torino, 2006. 31 Di qui l'estrema importanza del citato Paths o/ Glory di Kubrick, ove la guerra è soprattutto nei volti, nelle espressioni, negli sguardi e nei gesti. 32 Questo aspetto è importante per comprendere un cruciale motivo ideologico. I movimenti politici di estrema destra sorti nel dopoguerra hanno "metaforizzato" la realtà della guerra, trasformandola in mito. In ciò, sono stati anticipati da una certa linea della letteratura (D'Annunzio e }unger, per esempio). Questi procedimenti metaforico-mitizzanti " trasformano funzionalmente" (um/unktionieren) l'insensatezza della morte stessa, rendendola ciò che non è
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ethos linguistico, è il rifiuto di metaforizzare la violenza e la crudeltà, è la lingua che le dice nella loro realtà e le interpella. 2.6. La "creatura so/ferente" La "meta-parabola" di Kafka Von den Gleichnissen ha descritto la situazione spirituale e religiosa dell'epoca. Non è più tempo dell"'andare oltre" (Hiniibergehen): questa formula, che ne riassume il senso, tocca il nucleo problematico dell'espressionismo e in certa misura riguarda tutta l'arte moderna. La drammaturgia espressionista in particolare ha posto al centro della sua ricerca la "creatura sofferente" (leidende Kreatur). Non può non colpire la coincidenza con le ricerche di Rudolf Otto che, come si è detto, hanno fissato un nuovo senso della "creatura" anche in campo teologico. Ma il dolore (Lez'd) è un sentimento creaturale tipicamente tragico. Il mondo di Eschilo, da cui questo sentimento trae origine33 , presuppone una stabile religiosità e un ordinamento degli dèi celesti e sotterranei, che garantisce legittimità e giustizia della "città umana". È su questo sfondo che assume significato l'azione della stessa Antigone, che mira a ristabilire i limiti del potere umano e politico e contemporaneamente il rispetto dovuto al regno dei morti e agli dèi sotterranei che lo custodiscono. Tema dell' Antigone, infatti, è l'illegittimità della profanazione di un corpo morto. La concezione hegeliana della dialettica tragica riconosce ancora il regno dei morti e della loro cura all'ambito del potere femminile3 4 . Nell'esperienza della guerra, cui è andata incontro la generazione espressionista, è ancora riconoscibile la problematica di Antigone, ma secondo una scala inaudita e ignota35 : una violenza che non conosce più limi-
e soprattutto non era: un motivo avventuroso e vitalistico. Per esempio la morte affrontata dalla trincea - perciò "dal basso" (von unten) - con animo guerriero: un motivo centrale nel testo di Goebbels analizzato nel precedente capitolo (§8), come in discorsi di Benito Mussolini. 33 In Eschilo il motivo del dolore è notoriamente legato alla conoscenza. Questo legame non significa solo che l'essere umano conosce e comprende in quanto fa esperienza del dolore, ma anche che, nel conoscere e nel comprendere stesso, egli fa esperienza del dolore. Dopo due millenni di quasi oblio e di scarso interesse, Eschilo fu "riscoperto" dal romanticismo europeo. L'ambivalenza di questo recupero è esemplificata dalla figura di Prometeo incatenato. Questa "creatura sofferente" è stata letta sia nella chiave della "ribellione" contro il mondo degli dèi e del "titanismo", che in quella della sofferenza e della "solidarietà" con il genere umano. Pareyson ha fatto notare che Prometeo stesso è una "divinità sofferente". 34 Ci riferiamo naturalmente alle riflessioni sull'Antigone contenute non solo nella Phcinomenologie des Geistes ma anche nelle Vorlesungen uber die Àsthetik e nella Vorlesungen uber die Religion. 35 Tra i primi a percepirlo è stato Sigmund Freud, con i saggi Zeitgemaf,es uber Krieg und Tod e Trauer und Melancholie apparsi già nel 1915 e ora in: Gesammelte Werke, Bd. 10, S. Fischer, Frankfurt am Main, 19655, pp. 324-355 e 428-446. A questi saggi si richiama Nicola
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ti, né un "regno dei morti" e il diritto che scaturisce dalla loro sfera religiosa36. La guerra è come un crudele e imperscrutabile totem37 , che esige il sacrificio di innumerevoli "creature sofferenti" senza nome. Anonimi (namenlose Leute) sono in fondo questi esseri umani anche quando i loro nomi sono conservati, poiché la loro Namenlosigkeit (essere-senza-nome) dipende proprio dal fatto che non si sa che nome dare alla violenza distruttiva della guerra. Perciò la figura del "milite ignoto" in fondo trascina nel suo campo anche coloro cui è ancora stato possibile dare un nome. Nello stesso periodo, Simmel ha scritto il saggio Die Ruine. È un vero e proprio spartiacque. La guerra, infatti, non ha lasciato dietro di sé propriamente rovine, ma un campo di macerie (Trummer/eld). I termini Ruinen e Trummer3 8 distinguono tra ciò che nella distruzione ha conservato una fisionomia e ciò che è ridotto allo stato di frammenti. La rovina presuppone una continuità storica nel rapporto tra natura e spirito e una forma circolare del tempo, mentre le macerie sono il segno di un abisso storica3 9 • Alla luce di questa distinzione, non sembra casuale che la più importante rielaborazione di una tragedia antica nell'ambito del teatro espressionista sia rappresentata dalle citate Troerinnen di Werfel. Lo sfondo di questa tragedia, infatti, è la distruzione di Troia. In essa, inoltre, come in genere nel mondo tragico di Euripide, i fondamenti della religione e della religiosità sono chiaramente messi in discussione. È stato proprio Benjamin ad osservare che in certo senso il testo di Werfel designa l'inizio della tragedia propriamente espressionista, esattamente come Die Troerinnen di Martin Opitz (1625) a suo tempo hanno aperto la serie del Trauerspiel barocco. Questa coincidenza significa anche che esiste un'affinità religiosa e spirituale tra il cosiddetto "grido (Schrei) espressionista" e quel "lamento (Klage) barocco", che anche Benjamin considera come elemento costitutivo del Trauerspiel. Occorre tuttavia distinguere. Werfel riprende direttamente Euripide. ConTranfaglia in apertura del suo volume della storia d'Italia dedicato a Prima guerra mondiale, dopoguerra e fascismo. 36 Nel film di Kubrick il cappellano militare è una figura quasi grottesca, che dice cose insensate e contraddittorie, come quando invita uno dei condannati già in marcia verso il luogo dell'esecuzione "ad essere coraggioso e forte, come ha sempre dimostrato in battaglia", dimenticandosi che è stato condannato per codardia di fronte al nemico. 37 Un altro degli elementi della grandezza del film di Kubrick sta nell'anonimo, mostruoso sfondo ostile del cosiddetto "formicaio" (Ant Hill), presidiato dalle sempre invisibili forze nemiche (i tedeschi). 38 Questa distinzione è stata ampiamente sviluppata in Idea del tragico ... , cit. e in altri saggi. 39 L'espressione «abisso storico» rimanda alla Politische Romantik, pubblicata a Berlino nel 1919 da Carl Schmitt. Genio della "manipolazione" politica dei concetti giuridici, Schmitt qui parla dell' «abisso irrazionale della storia» scoperto dal romanticismo nella sua ricerca dell'origine della storia stessa e nella sua costitutiva incapacità di fondare autentici miti storici, che nell'epoca contemporanea possono sorgere solo dalla profonda realtà metafisica della guerra.
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dotto nello spirito di un cristianesimo melancolico, il dramma di Opitz è in realtà una "traduzione ritmica" delle Troades di Seneca, dramma il cui nucleo "ideologico" è trasparentemente rappresentato dal tema della Bestéindigkeit dell'anima stoica, nel mezzo delle tribolazioni del mondo40 . Bestéindigkeit corrisponde a constancy4 1 , motivo misto tipicamente barocco che non dischiude alcuna prospettiva di redenzione del tempo umano in sé e per sé, poiché fa riferimento ad una temporalità sottomessa alla transitorietà ontologica e destinata alla morte. Non a caso, l'iconologia cristiana barocca assume i "torsi" della scultura greca come immagini allegoriche del martirio. C'è qui un altro parallelo con la rielaborazione di tragedie antiche compiuta dalla drammaturgia espressionista, che ne rivela le oscillazioni. Così, il personaggio di Ecuba nelle Troerinnen di Werfel ha qualche tratto della martire, ma è anche una figura della "rivolta", mentre l'Antigone di Hasenclever (1916) è una martire pura, in modo non dissimile dalla rielaborazione di Opitz. La questione cruciale del dramma espressionista appare così la stessa formulata a suo tempo da un critico contemporaneo: più che una tragedia autentica in grado di dare espressione ad una nuova idea del tragico, esso è il risultato di una «volontà di tragico» (Wille zur Tragik) 42 , che non elabora compiutamente la nuova realtà storica, trasformandola in materia tragica. Il suo '' grido" lascia oscillare la creatura "denudata" (entblofit)43 tra spirito eroico della pura rivolta e martirio, tra "conversione" (Wandlung) 44 e sacrificio (Op/erung). 2.7. L'ambivalenza espressionista In Theorie des modernen Dramas (1956), Szondi ha osservato che il dramma espressionista tratta consapevolmente l'uomo come un essere astratto, che cerca di dominare forze puramente astratte come l'autorità paterna, la metropoli e la guerra stessa. In altre parole, questo dramma conosce soltanto una dialettica allegorica dell'interiorità che, dal punto di vista politico-sociale, non è in grado di superare la cornice della società "borghe40
L. Annaei Senecae Tragoediae. Accedunt Incertae Originis T ragoediae T res. Recensuerunt R. Peiper et G. Richter, Teubner, Leipzig, 1868 (Troades, pp. 229-274). Cfr. P. Stachel, Seneca und das deutsche Renaissancedrama. Studien zur Literatur und Stilgeschichte des 16. und 17. Jahrhunderts, Mayer u. Miiller, Berlin, 1907 (ristampa anastatica Johnson, New York, 1967). 41 La corrispondenza constancy-Bestandigkeit è attestata dalla versioni dei sonetti shakespeariani di Paul Celan. 42 Cfr. B. Zickel, Ist ein expressionistisches Drama moglich?, in «Neue Blatter fiir Kunst und Literatur», 1919-1920, Nr. 6, pp. 96-99. 43 L'espressione è di Kornfeld. 44 Tipica, in particolare, del teatro di Ernst T oller.
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se". Questa valutazione critica si inserisce nel quadro del dibattito marxista sull'espressionismo, ma dipende da una concezione del tragico che in sostanza si identifica con lo schema hegeliano della dialettica45 • Essa va tuttavia riveduta, nella misura in cui non tiene conto proprio della fondamentale determinazione religiosa della letteratura e del dramma espressionista46 • L'esperienza della tragedia storica che questo dramma tenta di esporre è improntato da questa determinazione. Da ciò dipende la sua caratteristica ambivalenza. La questione cruciale è la morte. Nella prefazione alle Troerinnen, Werfel scrive inequivocabilmente: «Il poeta nega all'uomo il "diritto" di morire. Il dovere dell'uomo è vivere. E la vita dell'uomo è il dovere. Ma il dovere è anche l'opposizione agli aspetti inumani della creazione, la resistenza contro la natura, la fede nella posizione centrale dell'umanità, che è su questa terra per conferire il suo senso al mondo»47 . Il significato religioso del teatro espressionista non è sfuggito alla teologia, che ne ha anzi proposto una classificazione in base alla concezione religiosa. Come è stato scritto efficacemente, l'aspetto decisivo è che in esso «Dio viene trovato nella creatura so/ferente (in der leidenden Kreatur)» e che, «rovesciando completamente la dottrina di Nietzsche, la sofferenza dei sottoposti e dei sottomessi (das Leiden der Unterwor/enen und Unterwur/igen) diventa la vera azione. Al posto dell'azione di conquista subentra il sacrificio (das Op/er)»48 . Pur tra oscillazioni e ambivalenze, con questa fondamentale intuizione il dramma espressionista ha aperto la via al creaturale, ossia all'allegorico su base metonimica. Tutta la letteratura critica che gli imputa un allegorismo astratto non si è accorta di ciò, proprio perché non ha riflettuto sulle sue radici religiose. Peraltro, se si trascura la novità del concetto di allegoria non si comprende fino in fondo neppure lrnequiparazionej; benjaminiana del dramma espressionista al Trauerspiel barocco. Questa conquista critica non nasce nel vuoto, ma è stata preparata da una serie di studi di storiografia dell'arte e della poesia del barocco che sono in
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Cfr. Die Expressionismusdebatte. Materialien zu einer marxistischen Realismuskonzeption, hrsg. von H. -J. Schmitt, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1973. 46 Nella sua concisione, può essere qui ricordata una formula di Franz Mare in Au/zeichnungen und Aphorismen, Nr. 78: «An die Stelle des Naturgesetzes als Kunstmittel setzen wir heute das religiose Problem des neuen Inhalts» («Al posto della legge di natura oggi noi poniamo come mezzo dell'arte il problema religioso del nuovo contenuto»). 47 «Der Dichter gibt dem Menschen nicht das Recht zu seinem Tod. Die Pflicht des Menschen ist zu leben. Und das Leben des Menschen ist die Pflicht. Pflicht aber ist der Trotz gegen die unmenschliche Schopfung, der Widerstand gegen die Natur, Glaube an das Mittlertum der Menschheit, die da ist, ihren Sinn der Welt zu geben.» 48 R. Samuel, Deutsche Literatur des Expressionismus, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart. Handworterbuch /iir Theologie und Religionswissenscha/t, hrsg. von K. Galling, Bd. 2,J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Ti.ibingen,19863 , coll. 837-842.
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sintonia profonda con le radici religiose del rinnovamento prodotto dall' arte d'avanguardia. Con la sua scoperta dell'irruzione del caotico e del brutale ("Bruta!") nel mondo moderno, la principale opera del 1907 del citato Worringer rappresenta insieme una svolta nel campo dell'estetica pura o teoretica e una premessa del movimento espressionista49 . Per parte sua, con gli studi di Wollflin, Riegl, Dvoràk e Gurlitt la storia dell'arte ha riscoperto il profondo significato dell'arte barocca e delle sue radici religiose. Questi studi hanno aperto la strada alla riscoperta anche del barocco letterario. Come ha osservato Ivernel, in particolare Strich (1916) ha individuato nell"'accumulazione" e nell"'antitesi" le due leggi fondamentali dello sviluppo del lirismo tedesco nel secolo XVII, mentre Cysarz (1923) ha considerato l'epoca barocca come una specie di "pseudo-Rinascimento", che non riesce a dissimulare il suo estremo dualismo. Proprio a Herbert Cysarz in particolare si deve l'osservazione secondo cui, dato che le forme non sono più organiche, la tecnica poetica dell'allegoria sostituisce l'arte del simbolo50 . È tuttavia dagli studi di Riegl sull'arte barocca romana che Benjamin riprende il concetto di una "volontà d'arte" (Kunstwollen), che va intesa come l'opposto della naturale "pratica dell'arte" (Kunstubung) caratteristica della civiltà delle epoche organiche51 . La "distorsione" del linguaggio, sottoposto a una violenza che per parte sua rivela lo sforzo dell'arte espressionista di dare espressione a una svolta epocale della storia, è da Benjamin considerata come il carattere distintivo o la cifra della "volontà d'arte" espressionista, nel profondo della grande crisi del moderno52 . Dare compiuta espressione a questa crisi è tuttavia qualcosa 49
Cfr. Abstraktion und Ein/uhlung. Ein Beitrag zur Stilpsychologie, R. Piper & Co., Miinchen, 1908 (Diss. Bern, 1907). Nello stesso anno Worringer ha scritto su Lukas Cranach; nel 1911 su Formprobleme der Gotik. 5 Cfr. P. Ivernel, «L'abstraction et l'inflation tragiques dans le théàtre expressioniste allemand», in L 'expressionisme dans le thédtre européen, Editions du Centre Nationale de la Recherche Scientifique, Paris, 1971, pp. 79-91. I testi canonici di riferimento sono F. Strich, Der lyrische Stil des siebzehnten Jahrhunderts, in Abhandlungen zur deutschen Literaturgeschichte. Franz Muncker zum 60. Geburtstag dargebracht von Eduard Berend, Meyer, Miinchen, 1916 e H. Cysarz, Deutsche Barockdichtung. Renaissance, Barock, Rokoko, H. Haessel, Leipzig, 1924. Cfr. anche V. Manheimer, Die Lyrik des Andreas Gryphius. Studien und Materialien, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin, 1904; A. Hiibscher, Barock als Gestaltung antithetischen L ebensge/uhls. Grundlegung einer Phaseologie der Geistesgeschichte, in «Euphorion», 1922, pp. 517-562, 759-805. 51 Cfr. A. Riegl, Die Entstehung der Barockkunst in Rom, hrsg. von A. Burda u. M. Dvoràk, A. Schroll, Wien, 1923. 52 Secondo Ivernel, op. cit., p. 81, la violenza cui il linguaggio è sottoposto «è sempre la caratteristica di una produzione a stento capace di strappare ai conflitti e allo scatenamento della forze storiche una forma e un'espressione autentiche. Così dilaniata, l'attualità riflette certi aspetti della mentalità barocca, fin nei dettagli della prassi artistica».
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che sfugge alla sua presa. Ritorniamo con ciò al dilemma già segnalato: la "volontà di tragico" (Wille zur Tragik) espressionista produce una "tragedia della volontà", che non è interamente all'altezza dei conflitti storici che vorrebbe rappresentare. Nel suo saggio del 1925 su Baal di Brecht e sul nuovo teatro in generale, è stato Hugo von Hofmannsthal per primo a dare una forma sistematica a questo giudizio critico53 . Egli osservò che l'intento del teatro espressionista non era distruggere la forma drammatica, bensì trovare nuove configurazioni sceniche per la sua idea del tragico - supporto fondamentale del suo ideale "salvifico" -, attraverso le quali salvare l'uomo nel mezzo del caos esistenziale e storico. In questa valutazione, risalta la polarità dialettica tra forma drammatica e idea del tragico, che il dramma brechtiano spezzerà. Distruggendo la forma drammatica, infatti, esso spezza la sua relazione con il tragico. 2.8. Allegoria della morte e nudità creaturale
A proposito del motivo-base dell'allegoria espressionista, si sono così chiaramente delineati due "fronti" interpretativi. Il primo e largamente maggioritario, che include anche le correnti "dialettiche" di ispirazione hegelo-marxista, vede in essa un processo di astrazione pura, che coinvolge tanto il concetto dell'essere umano, quanto quello della società e della loro relazione. Il secondo e minoritario è rappresentato da una critica religiosa e teologica, che in essa vede invece la capacità di cogliere il punto nodale di un concetto di uomo come "creatura sofferente", colpita dagli eventi storici. Un sintomo storico importante, che avvalora questa seconda interpretazione, è la "rinascita" in epoca espressionista della drammaturgia di Biichner, il "poeta della creatura" (Celan) che era stato ormai dimenticato. Questa rinascita è anche uno spartiacque. Non a caso, la drammaturgia biichneriana è rimasta sempre sostanzialmente estranea all'orizzonte di Brecht. Come si è visto attraverso la lettura di Celan esposta nel primo capitolo, la creatura sofferente è la radice e la novità precorritrice di Biichner, a suo modo posta sotto il segno dellrnincontro dell'uomo con Cristo" nella storia umana. Questa divisione di fronti porta ad una semplificazione estrema. Nella prima interpretazione dell'allegoria espressionista, domina il motivo della morte (un "facile" punto di contatto con il dramma barocco), nella seconda domina il motivo della vita. Secondo la prima linea interpretativa, i vettori del significato nel procedimento di allegorizzazione sarebbero per53
Il giovane Brecht fu lanciato nel 1922 da Otto Falckenberg, direttore dei Kammerspiele di Monaco, che mise in scena Trommeln in der Nacht. Le prime pièces di Brecht non sono drammi espressionisti, come ritennero Hofmannsthal (il che nulla toglie al valore del giudizio riferito nel testo) e tanti altri dopo di lui, bensì una loro parodia.
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sanificazioni astratte di concetti generali - metropoli, civilizzazione moderna, meccanizzazione, famiglia borghese -, i cui conflitti sono ricondotti ad opposizioni a loro volta puramente astratte e generalizzanti, come quelle tra guerra e pace, capitalismo e socialismo e così via. La divergenza interpretativa sorta a questo proposito, è persistita ancora oltre la stagione espressionista e ha riguardato molta parte della poesia e delle arti del Novecento, incluso il cinema (a partire appunto da quello espressionista). Proprio un esempio cinematografico può illuminare la questione: il primo film davvero "hitchcockiano" di Alfred Hitchcock è The Lodger. A Story o/ the London Fog (1927: Il pensionante. Una storia della nebbia a Londra). L'assimilazione di motivi dal cinema espressionista tedesco è vistosa. Tra questi, impressiona l'uso della "folla" nelle sequenze finali, che ricorda tra l'altro un film allegorico (in senso canonico) come Metropolis (1926) di Fritz Lang. Nell'altrettanto celebre M, il mostro di Dusseldor/ (1931: M - Bine Stadt sucht einen Morder) di Lang si percepiscono alcune influenze del precedente film di Hitchcock. Soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra polizia e criminalità organizzata, anche M presenta un potente motivo allegorico. Ciò che più lo caratterizza tuttavia sono momenti metonimici - il palloncino della bimba che vola nel cielo, la sedia vuota nella casa, il motivetto fischiettato dall'assassino -, che hanno fatto epoca nella storia del cinema. Questa opposizione va in certo senso "sciolta". Se la morte è la base semantica di questo procedimento, in quanto centro insieme di emanazione e per così dire di riassorbimento di ogni significato, allora l'allegoria è alla fine sempre dissoluzione della temporalità finita: la morte è sempre il suo "senso nascosto", cioè il vero "vettore significante". Il che è esattamente l'opposto della definizione del tragico di F riedrich Holderlin, secondo cui la morte è il "grado zero;; che rivela Fopposizione tra le potenze che dominano la vita umana. Questo motivo "rivelatorio" della morte dell'eroe tragico non è applicabile al dramma espressionista. In esso, infatti, non sono le potenze a manifestarsi attraverso la morte, ma al contrario è la crudele nudità della morte stessa a rivelarsi come potenza dominante. Questo fatto decisivo esprime un significato creaturale (e, sotto questo angolo di inclinazione, anche religioso) primario, che resta "oscurato" dall'insistenza sul carattere semplicemente negativo e astrattamente retorico dei motivi del sacrificio (Op/erung) e del rinnovamento antropologico (l"'uomo nuovo ") : una critica peraltro già espressa nei f atti dai primi drammi di Brecht. Nel dramma espressionista, la morte e il sacrificio spostano le relazioni che caratterizzano il tragico, ma non ne eliminano l'idea. Nella concezione della creatura sofferente e del suo sacrificio c'è anzi una componente cristologica non tradizionale, in virtù della quale la domanda sul senso della morte e del sacrificio viene radicalmente rinnovata. Non è la concezione del tragico che interroga il sacrificio di Cristo, ma è la realtà del
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sacrificio che entra in confronto con l'idea del tragico e, per questa via, con il senso del sacrificio stesso di Cristo. Imponendo nelle cose stesse il tema del sacrificio umano e della morte, la realtà storica ha rovesciato il problema intuito dalla teoria filosofica con Kierkegaard. L"'incompiuto" allegorismo del dramma espressionista ha colto questa novità storica e ha posto il tema della "nudità creaturale" del sacrificio - la stessa di Cristo sulla croce - in un nuovo orizzonte del tragico. Espungendo questa tematica e operando con ciò una netta cesura con l'espressionismo, il "dramma epico" brechtiano ha scelto di descrivere la realtà delle potenze storiche, ma ha dimenticato la creatura sofferente. Sotto questo profilo, l'espressione più pura e profonda di questa tematica è l'opera musicale Wozzeck di Alban Berg, messa in scena per la prima volta nel 1925 e tradizionalmente considerata l'ultima opera della stagione espressionista. Le riflessioni con cui Berg ha accompagnato questa composizione sono tra le più "commoventi" e penetranti che siano state scritte su questo soggetto. Il loro culmine è probabilmente rappresentato da una lettera a Webern del 19 agosto 1918, in cui Berg dice che a toccarlo nel vivo non è solo il destino di sfruttamento e persecuzione del povero soldato Woyzeck, ma anche il contenuto che determina l'atmosfera delle singole scene di questo dramma, che non a caso egli definisce come un "vor-expressionistisches Stationen-Drama" (un dramma a stazioni pre-espressionista). Nella presentazione scritta in occasione della prima messinscena berlinese del 14 dicembre 1925, Berg ha parlato inoltre della "chiusa" circolarità di questo dramma, in virtù della quale dalla mortale "sospensione" dell'ultima scena è possibile ritornare indietro, al suo inizio54 .
2.9. Collocazione storica della teoria benjaminiana dell'allegoria Das Selbst ist das, was im Menschen zum Schweigen verurteilt ist und dennoch iiberall sofort verstanden wird. Es braucht blo.B sichtbar gemacht, blo.B "dargestellt" zu werden, um in jedem andern gleichfalls das Selbst zu erwecken. Es selber verspiirt dabei nichts, es bleibt gebannt in die tragische Lautlosigkeit, es starrt unverwandt in sein lnneres; wer es aber sieht, in dem erwachen, wie es wiederum schon Aristoteles voli ahnenden Tiefsinns formulierte "Furcht und Mitleid" . Im Beschauer werden sie wach und richten sich sofort in sein eigenes Innere, machen ihn zum Selbst. Wiirden sie im Helden selber wach, so horte er auf, stummes Selbst zu sein; "Phobos" und "Eleos" wiirden sich als "Ehrfurcht und Liebe" enthiillen, die Seele Sprache gewinnen und das neugeschenkte Wort von Seele zu Seele ziehen. Nichts 54
In A lban Berg. Der Meister des kleinsten Obergangs, Lafite-O sterreichisch er Bundesverlag, Wien , 1948, 1968', T. W . Adorno h a osservato che, con l'intuizione poetica della su a attualità espressionista, Berg h a saputo colmare il divario cronologico che lo sep ar ava dal dram m a di Biichner ( 1835 ).
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von solchem Zueinanderkommen hier. Alles bleibt stumm. Der Held, der Furcht und Mitleid in andern erweckt, bleibt selber unbewegtes starres Selbst. Im Beschauer wiederum schlagen sie sofort nach innen, machen auch ihn zum in sich selber eingeschlossenen Selbst. Jeder bleibt fiir sich, jeder bleìbt Selbst. Es entsteht keine Gemeinschaft. Und dennoch entsteht ein gemeinsamer Gehalt. Die Selbste kommen nicht zueinander, und dennoch klingt in allen der gleiche Ton, das Gefi.ihl des eigenen Selbst. Diese wortlose Ùbertragung des Gleichen geschieht, obwohl noch keine Briicke fiihrt von Mensch zu Mensch. Sie geschieht nicht von Seele zu Seele - es gibt noch kein Reich der Seelen, sie geschieht von Selbst zu Selbst, von einem Schweigen zum andern Schweigen55 .
Accanto agli elementi di cui disponiamo per affrontare la svolta benjaminiana, questo passo di Stern der Erlosung di Franz Rosenzweig sul "silenzio dell'eroe tragico" (Schweigen des tragischen Helden) - peraltro ispirato ad un motivo del Faust di Goethe - svolge un ruolo particolare. Nell'interpretazione di Benjamin, il motivo in esso delineato appare peraltro più vicino alla definizione del tragico del Grund des Empedokles di Holderlin, lo scritto teorico che introduce al dramma sulla figura di Empedocle. Mentre la metafisica del tragico di Rosenzweig delinea la difficoltà metafisica del "dialogo tra le anime", nel testo holderliniano il problema-chiave è la possibilità della fondazione di una comunità, il cui vincolo politico si basa su un fondamento etico-religioso. L'intento teorico di Benjamin converge con le citate ricerche storico-filologiche di Rang sull'origine storica della tragedia, secondo le quali essa sorge dal cerchio violento del rituale mitico, in cui le potenze demoniche che abitano nel mito esigono un sacrificio di conciliazione, secondo un processo parallelo a quello del diritto arcaico. L'eroe tragico infrange questo cerchio e con tale "misfatto", che lo perde e lo condanna, paradossalmente fonda un nuovo ordinamento etico-giuridico. La funzione che l'eroe tragico svolge nella trasfigurazione dell'ordine sia etico-religioso che etico-politico è una premessa teorica rilevante, che sta sullo sfondo dell'interpretazione benjaminiana dell'allegoria. Le "macerie della storia" (Trummer der Geschichte), evocate nella cornice di questa, sono ricondotte ai volti degli sconfitti e delle creature sofferenti. Ciò presuppone un'idea del tragico che si oppone all'estetismo di Nietzsche e dissolve l'ambivalenza espressionista tra morte e vita. La svolta è resa possibile dal fatto che, laddove la critica ha visto concetti e in particolare astratti concetti storici, Benjamin invece ha visto un'idea, che rovescia il senso tradizionale dell'allegoria e con esso il rapporto tra morte e vita (senza però rendersi conto fino in fondo del nucleo metonimico presente in questo rapporto). 55
F. Rosenzweig Der Stern der Erlosung, mit einer Einfiihrung von R. Mayer und einer Gedenkrede von G. Scholem, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 19965: Erster Teil, Drittes Buch: Der M ensch und sein Selbst oder M etaethik , pp. 67-90 (cit. p. 88).
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Nel senso del tragico è compreso un rapporto con il creaturale-religioso un tema attinto dalla teologia del Seicento-, diametralmente opposto a una concezione estetizzante della vita, al fondo della quale sta invece, in una sorta di allegorismo rovesciato, l'estetizzazione della morte e la sua trasfigurazione metaforico-mitica. In sostanza, attraverso la teoria benjaminiana dell'allegoria irrompe una nuova configurazione ideale del tragico56 . La storia delle forme drammaturgiche e delle teorie del tragico di questa epoca, quindi, può essere ricondotta a questo nodo: il passaggio dal dramma espressionista a quello brechtiano pone la questione della scissione tra un'idea del tragico fondamentalmente creaturale-religiosa che, pur alimentandosi di una tragica materia storica non è stata in grado di articolarla in una "dialettica storica", e una drammaturgia che tratta dialetticamente i conflitti storici, ma si allontana dal nucleo vivente della tragicità storica della creatura. La teoria benjaminiana dell'allegoria conserva ed elabora questo nucleo, mantenendo così nell'equiparazione tra dramma espressionista e dramma barocco una connessione tra idea del tragico e coscienza storica. Il rapporto tra il creaturale e la storia è l'impressionante anticipazione prodotta dalla drammaturgia di Biichner, come Celan ha visto nel discorso del 1960. Il senso del creaturale si identifica con il lato metonimico della forma allegorica introdotta dal dramma espressionista. Esso è presente in Benjamin, ma non elaborato a livello di teoria. Se ciò fosse accaduto, probabilmente avrebbe evitato l'errore di elevare Brecht a paradigma del nuovo dramma moderno. Il teatro epico non è la soluzione all'antinomia indicata. È la sua negazione, viziata dall'ideologia57 .
2.10. Lineamenti della teoria: allegoria e "volto'' della storia L'equivoco che la teoria dell'allegoria intende dissipare è innanzi tutto il pregiudizio secondo cui il fenomeno per il quale un'idea fa apparizione in un'opera d'arte è per definizione un simbola58 • Esso presuppone il concetto di un individuo compiuto, che rende tipicamente romantica la messa a fuoco all'interno di un decorso storico infinito in certo senso addirittura sacro, in quanto legato alla storia della salvezza (heilsgeschichtlichen). Il moderno "sprofondamento" del soggetto etico rende critico il concetto di individuo che costituisce il pendant del circolo descritto dal simbolico e il punto di riferimento della concezione (cristiana) della storia della salvezza. Di fronte a ciò, quindi, è piuttosto la stessa "apoteosi barocca" a porsi come dialettica, 56
Versuch uber das Tragische di Peter Szondi manca completamente questo punto.
57 Questo giudizio non ha nulla a che fare con il "valore" drammaturgico dell'opera di
Brecht, che qui non è in discussione. 58 U, p. 336.
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cioè a compiersi nel rovesciamento degli estremi. Perciò l'allegoria si delinea insieme al concetto profano del simbolo - caratteristico del classicismo -, come suo opposto speculativo, ma nello stesso tempo si pone come lo sfondo oscuro rispetto al quale si staglia chiaramente il mondo del simbolo59. È questa la base del rovesciamento di una tradizionale ipotesi, che si prolunga fin nelle concezioni poetiche del Novecento (Yeats, in particolare), secondo cui l'allegoria designa solo una relazione convenzionale tra una data immagine e il suo significato. Ad agire è ancora il pregiudizio classicista, che condanna l'allegoria come una forma convenzionale dell'espressione, cioè come un puro modo di designare, secondo una tecnica codificata delle immagini. Al contrario, l'allegoria è una forma di espressione della convenzione, esattamente come la lingua e la scrittura. Al centro della discussione barocca della scrittura come sistema di segni (Benjamin si riferisce qui alla citata trattazione sulla poesia barocca tedesca di Cysarz) sta appunto la definizione della natura dell' allegorico60 . Su questo sfondo, vengono in primo piano sia il dibattito suscitato dalla concezione winckelmanniana della scultura greca e della "plasticità" del simbolo artistico, che la trattazione del simbolismo nel primo volume della mitologia di Creuzer. Ad essa e in particolare alla distinzione tra esposizione simbolica e allegoria, secondo cui questa significa soltanto un concetto universale o un'idea che resta diversa da se stessa, mentre quella è l'idea stessa resa sensibile e incorporata, si deve un significativo progresso conoscitivo nella teoria dell'allegorico. Lo schema è il seguente: nel primo caso ha luogo un meccanismo di "rappresentanza" (Stellvertretung), nel secondo il concetto stesso "si cala" nel mondo corporeo e nell'immagine possiamo riconoscerlo immediatamente. Questa distinzione presenta un;essenziale relazione con il tempo, con una conseguenza fondamentale nell'interpretazione del mito. Nel simbolo, infatti, è presente la «totalità momentanea», mentre nell'allegoria è presente il progresso o la successione in una serie di momenti. Perciò, non è il simbolo ma l'allegoria a comprendere sotto di sé il mito, la cui essenza è espressa nel modo più perfetto dall'epos con la sua successione progressiva6 1 . Nel suo collegamento con il senso dell'estensione mondana e storica che sta alla base dell'intenzione allegorica, la categoria del tempo svolge dunque un de59
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U, p. 337. U, p. 339. U, p. 341. Qui è possibile solo accennare alla discussione sull'interpretazione filosofica
della mitologia formulata da Schelling e occasionata da uno scambio intellettuale con Coleridge. Schelling parte da posizioni favorevoli a Creuzer - la cui mitologia venne violentemente attaccata per le sue implicazioni religiose - , ma rovescia la tradizionale concezione allegorica del mito, opponendole un'interpretazione chiamata "tautegorica" (tautegorisch) per antonomia. Benjamin non sembra conoscerla.
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cisivo ruolo nel passaggio al campo dinamico del semiotico. L'elemento dinamico è definito sullo sfondo da un concetto di storia della natura (Naturgeschichte), in quanto storia originaria di un processo di significazione intenzionale di tipo dialettico62 . A questo proposito, è importante rilevare preliminarmente che il termine latino /acies (di cui il tedesco Fazies è un calco) non è solo medico, ma anche geologico. Esso è costitutivamente temporale e storico, poiché designa la conformazione assunta da una sedimentazione, alle cui epoche di trasformazione è possibile risalire attraverso lo studio litografico. La facies, quindi, è un prodotto del tempo ed è soggetta al tempo. La premessa è importante per comprendere il passo ulteriore del testo sulla relazione tra simbolo e allegoria. Il tema è l'Untergang, il declino o la rovina. Nel simbolo, osserva Benjamin, si ha una "metamorfosi" del declino, in cui il volto trasfigurato della natura si rivela solo transitoriamente nella luce della redenzione (Erlosung). Come un paesaggio originario irrigidito - ossia appunto una sedimentazione in cui sono riconoscibili i segni della sua epoca originaria-, nell'allegoria si rivela invece la/acies hippocratica della storia. Questa distinzione presuppone movimenti di traslazione semantica cospicui, ma tutt'altro che immediati. In effetti, la nozione di /acies hippocratica presuppone quella di facies assegnabile in generale alla storia della natura e, dunque, un passaggio dal campo della geologia a quello della medicina che però non è stato esplicitato. È un passaggio non del tutto simmetrico, poiché il volto che un certo paesaggio ha assunto presenta i segni attraverso i quali è possibile ricostruirne l'epoca e la storia. Ma in sé questi segni non hanno nulla di "patologico", se non vengono "letti" nella chiave creaturale-religiosa della "sofferenza" della natura. Che la traslazione (illatio) venga operata è certo, altrimenti non avrebbe senso parlare di «facies hippocratica als erstarrte Urlandscha/t». L'asimmetria consiste nel fatto che il concetto medicale di /acies presuppone il riconoscimento dei segni della malattia e delle sofferenze. L'immagine, infatti, presuppone un'analogia: come la storia agisce sul volto e sul corpo della natura, a sua volta la storia stessa è come dotata di un corpo e di una figura. Il complicato procedimento opera con un duplice scambio tra "veicoli" metaforici, basato su un'analogia non proporzionale (di tipo aristotelico), bensì a tre termini (di tipo platonico). L'analogia proporzionale consacrata da Aristotele risale al citato archetipo di Gorgia, secondo cui le parole stanno all'anima umana come i farmaci ai corpi e alle loro vicende. Perciò le parole sono "farmaci delle anime" e i farmaci "parole del corpo". Nell'analogia di Benjamin, invece, c'è un termine comune di riferimento sottinteso: il corpo. Il fatto che non sia esplicitato rende difettivo il "metafo62
U, p. 342.
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rismo" e tuttavia l'immagine ha un effetto persuasivo, perché l'analogia è in realtà spostata sul piano metonimico del corpo, in base al quale è istituita la relazione tra il volto (Antlitz) della natura e lafacies hippocratica della storia. In altre parole, il corpo come concetto comune alla natura e alla storia è ricondotto all'idea del volto o facies - secondo il suo duplice significato: geologico e medicale-, che ne è la metonimia. I passi immediatamente successivi lo confermano: in tutto ciò che fin dal suo inizio la storia ha di intempestivo, sofferente e difettoso, essa si imprime in un volto, anzi in una «testa di morto». Nel vincolo allegorico di questa immagine, viene meno gran parte della classica libertà di espressione simbolica dell'umano. Tuttavia in essa, assai più della natura umana in generale, si esprime tutta la connotazione della storicità biografica del singolo essere umano: è la figura dell'umano esposta nell'estremo del suo abbandono alla natura. Di qui la definizione del nocciolo della concezione barocca dell'allegoria, cioè l'esposizione mondana della storia come storia della passione (Leidengeschichte) del mondo, in cui la cosa più significativa sono le stazioni della decadenza63 . Il passaggio stesso dalla staticità del simbolico alla dinamicità semiotica dell'allegoria, riassumibile nella formula ricordata secondo cui l'allegoria barocca non è convenzione dell'espressione ma espressione della convenzione64 , presuppone l'interpretazione dei segni impressi dalla storia nella natura come scrittura. È questo il senso più profondo di ciò che Benjamin definisce come dialettica religiosa del contenuto (un senso che nella sua teoria estetica Lukacs ha troppo genericamente interpretato come contenuto trascendentale della comune religiosità). Nella natura ci sono tracce della scrittura sacra. Il legame tra i segni della scrittura storica e le tracce di quella sacra è il geroglifico, che è insieme immagine della scrittura (Schri/tbild) e frammento (Bruchstuck). Restando così ancorati alle tracce impresse nella natura, i segni della scrittura-immagine sono consegnati alla sofferente transitorietà della natura stessa. In tal modo, la metonimia del volto è potentemente rafforzata e diventa anzi una "catena metonimica". Nel Trauerspiel, infatti, la storia non appare in scena per celebrare la sua apoteosi, ma come scrittura, poiché sul volto della natura la storia sta come scrittura dei segni della transitorietà65 . Usando un termine prediletto, Benjamin la definisce «fisionomia» allegorica della storianatura. Se essa compare sulla scena come "scrittura dei segni", nella realtà è presente come rovina. Con questa nuova immagine metonimica, la catena si allarga e questa volta permette l'istituzione di un'analogia proporzionale: le 63
U, p. 343. Va qui notata l'analogia con il termine che definisce il caso clinico in Freud: Krankengeschichte. 64 U, p. 351. 65 U, p. 353.
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allegorie sono nel regno dei ragionamenti (del pensiero) ciò che le rovine sono nel regno delle cose66 . Qui ha luogo l'importante slittamento semantico già segnalato: il frammento più significativo, ciò che costituisce la più nobile materia della creazione artistica del barocco, è precisamente ciò che giace abbattuto «in macerie» (in T rummern) 67 • Questo termine ha una connotazione più creaturale e religiosa del termine "rovina", rispetto al quale giustifica di più l'idea del processo della storia come decadenza, passione e dolore e, per correlato, quella del suo "riscatto". Perciò nell'allegoria del Trauerspiel si delineano come segno «forme "maceriali"» (trummerha/te Formen) e al movimento della storia verso la natura - che è la base dell'allegorico, secondo il procedimento metonimico descritto - corrisponde in una sorta di contromovimento la storia come «storia della salvezza» (H eilsgeschichte) 68 . È perciò inscritto nel senso profondo dell'allegorico che nel dramma barocco la stessa figura di Cristo venga proiettata nell'inaffidabile prowisorietà del quotidiano. Al contrario, nel simbolico l'intenzione mira a ricondurre tutto alla pienezza dell'umano. L'allegorico spezza l'intenzione, poiché esso proviene dal fondo dell'essere69. L'allegoria, scrive Benjamin riferendosi anche all'attualità, si contrappone al simbolico come primato del casale rispetto al personale, del frammento rispetto al totale70 • Ciò rovescia non solo il classico e convenzionale legame tra metafora e allegoria, ma anche l'ancora più convenzionale teoria della metafora come personificazione (sviluppata in modo innovativo soprattutto da Quintiliano). Nella personificazione allegorica del casale, l'intenzione nascosta è dare forma e senso al casale stesso71 • Tratto decisivo del barocco è la tensione tra la parola e la scrittura, una distinzione religiosa che Benjamin riferisce alla creatura. La parola è un atto estatico della creatura, il suo mettersi a nudo e compromettersi, impotente, di fronte a Dio, mentre la scrittura è un atto di raccoglimento, l'espressione della dignità della creatura nel suo potere sulle cose mondane72 . Il rapporto tra scrittura e immagine è il centro nevralgico della tensione dialettica dell'allegoria. Di qui l'importanza del concetto di emblema, che culmina nel tema del cadavere, con il quale l'allegorizzazione della physis può imporsi con la massima energia73 • L'allegoria si mette in movimento nell'incontro tra transitorietà e eternità e ne è l'espressione dia66
U, p. 354. Ibid. 68 U, p. 358. 69 U, p. 359. 70 U, p. 362. 71 U, p. 362-363. 72 U, p. 377. 73 U, p. 391. 67
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lettica. Perciò non può che stare sotto il segno della resurrezione dei morti e del passato74 : un motivo decisamente religioso, che è tra i "moventi" profondi del pensiero di Benjamin. La risoluzione dialettica dell'antinomia del contenuto religioso del dramma espressionista non si concilia però con il dramma brechtiano. Anche il legame tra memoria e "resurrezione dei morti", che ha precedenti in Melville e ricorre in Joyce e soprattutto in Proust, è estraneo al dramma brechtiano.
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Cfr. U, p. 406.
Capitolo terzo Variazioni sul crea turale
Ciò che qui si intende per creaturale, dunque, ha in comune con la definizione di Rudolf Otto soltanto il riferimento ad una sfera del sacro. A sua volta, sacro è qui inteso in modo elementare come ciò che è inviolabile. Ma l'inviolabilità è strettamente associata alla corporeità umana, coincidente con la dimensione e con il senso del "metonimico" prima discussi. Questa associazione rivela una connessione tra il pensiero tragico e quello religioso, qui messa innanzi tutto alla prova di quella "filosofia" della cieca corporeità (Lévinas) che si è prodotta nel tentativo di annientare l'inviolabilità corporea stessa: il nazismo. 3 .1. Verletzlich, a ber unverletzlich - Vulnerabile ma inviolabile 1
L'idea immediatamente associata alla corporeità è la "vulnerabilità" o Verletzlichkeit. Essa sta dal lato del Leiden - del patire e del dolore umano , concetto introdotto nel pensiero metafisico dal Filebo di Platone e che Burckhardt ha "incorporato" anche nella teoria della storia e della storiografia1. Siamo esposti alle ferite, in un senso per il quale il passaggio dalla sfera corporea a quella psichica e spirituale - come l'analogia tra la ferita "moraIe " e que11a "f.1s1ca · " - e' per cosi' di re ne11e cose stesse. Passare da11a ferita fisica all'idea della ferita morale e viceversa, infatti, è del tutto spontaneo. Ma questa idea della ferita, che trascina con sé quella della chiusura/apertura, difficilmente è "a resto zero". Anche la ferita che si è rimarginata e richiusa, infatti, lascia sempre una traccia, anche se non c'è alcuna cicatrice esterna. Questo vale già per la memoria profonda del corpo, prima ancora che a livello mentale. D'altra parte - questione su cui ritorneremo ci sono ferite che rimangono aperte, che non si chiudono e non si rimarginano. Il loro emblema è la figura di Filottete nella tragedia sofoclea2 , la cui ferita "fisica" di origine "sacra" non si richiude mai- al contrario gli provo-
1
Lo ricorda Jorn Riisen in Grundzuge einer Historik, 3 Bde,Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen, 1983-1989. 2 La versione sofoclea innova profondamente rispetto alle precedenti versioni (purtroppo in gran parte perdute) di Eschilo e di Euripide, a cominciare dall'invenzione di un'isola di Lemno disabitata, aspra e solitaria, cosa notoriamente non vera.
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ca intermittenti, ma regolari crisi dolorosissime - e la cui ferita "morale" è addirittura del tutto insanabile. Alla "vulnerabilità" è associabile l'idea della "violabilità". La lingua italiana distingue con le due parole. Non così la lingua tedesca, in cui l'aggettivo verletzlich significa sia "vulnerabile" che "violabile" e, quindi, Verletzlichkeit è ovviamente "vulnerabilità" e "violabilità". Questo sembra deporre per una maggiore chiarezza dell'italiano, mentre il tedesco sembra corrispondere di più alla concezione corrente, secondo la quale la ferita sia corporea che morale produce la "violazione" di un corpo e di un'anima (o di entrambi). Le parole "vulnerabilità" e "violabilità" non hanno tuttavia un legame diretto. Vulnus e vis, da cui derivano, non presentano un collegamento del tutto immediato, soprattutto perché, anche quando indica la costrizione o violenza "morale", vis sembra sempre implicare l'uso o la minaccia dell'uso della violenza fisica, mentre si può immaginare che una ferita profonda e non rimarginabile sia prodotta anche senza esercitare una vera e propria violenza fisica3 . Dal punto di vista sia linguistico che concettuale, l'opposto di "vulnerabile" tuttavia è ovviamente "invulnerabile", non "inviolabile", che è l'opposto di "violabile". Solo se si decide di istituire una relazione tra le coppie di opposti, si ottiene l'incrocio per cui ciò che è "vulnerabile" può essere anche "inviolabile". Come accade per la coppia di opposti heimlichlunheimlich, analizzata magistralmente da Freud, in tedesco invece l'ambivalenza di significati del termine positivo istituisce la relazione tra coppie di opposti in modo immediato. Verletzlich!unverletzlich vuol dire sia (1) "vulnerabile/invulnerabile", che (2) "violabile/inviolabile". Se si incrociano le coppie si ottiene altrettanto immediatamente il caso (3), in cui unverletzlich non "nega" il significato (1) di verletzlich come "vulnerabile ma produce la coppia "vulnerabile/inviolabile", esattamente come nell'analisi freudiana unheimlich non nega il significato di "heimlich" come "domestico", "casalingo" e l'incrocio, quindi, produce il risultato contro-intuitivo per cui heimlich!unheimlich diventa "casalingo/inquietante". La sequenza che ne risulta è rilevante: il creaturale designa una sfera del sacro; il sacro è l'inviolabile; inviolabile è il corpo umano; il corpo umano è vulnerabile: allora il corpo è insieme vulnerabile, ma inviolabile - verletzlich, aber unverletzlich. Invertendo, l'inviolabilità si collega con la vulnerabilità, come !'"inquietante" si annida nel familiare. La concezione corrente è totalmente rovesciata. Il corpo non è violabile. Più lo i;,
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Interessante per esempio il caso narrato in Gaslight ( 1944: Angoscia) di George Cukor, con Ingrid Bergmann, Charles Boyer e Joseph Cotten, ove la protagonista è condotta a uno stato di angoscia e di dubbio sulle sue facoltà mentali dalla subdola strategia del marito assassino che, tra l'altro, ricorre al semplice trucco di sottrarle cose che lui stesso le ha regalato, per . 1e ehe non so1o 1e "perde ", ma se ne "dimentlca · ". dImostrar
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si vulnera credendolo violabile, più la sua stessa vulnerabilità rivela la sua inviolabilità. La tradizione assegna invece l'inviolabilità all'anima e alla volontà. Il tragico fornisce il paradigma teorico dei problemi connessi, essendo concentrato sull'aporia della decisione. Qui è la radice della differenza tra tragico antico e moderno. Non è vero che il mondo greco ignora il fenomeno della volontà. Aristotele collega desiderio e movimento. Chi desidera si muove verso l'oggetto desiderato e, per farlo, deve volere il suo movimento. La differenza sta nel fondamento etico dell'azione. La nozione della soggettività umana come fenomeno del tutto individuale e interiore è estranea al mondo greco. Nel concetto moderno, il fondamento della volontà sta in se stesso, è autonomo. In quello antico, l'azione è sempre iscritta nell'ordine della necessità. Come vedremo ancora più avanti, è nella relazione con la necessità che si coglie la ragione ultima del mutamento delle concezioni del tragico. In Sofocle, come in campo storiografico con Tucidide, la correlazione tra i concetti di "natura umana" e di responsabilità dell'azione si delinea con più chiarezza. Tuttavia lo scontro tra Antigone e Creante - per citare un caso sicuramente paradigmatico - non è il conflitto tra due caratteri e due volontà autonome, ma tra due volontà che ubbidiscono a due ordini di necessità opposti. Sotto questo profilo, l'opposizione tra tragedia antica e dramma moderno ubbidisce ad una simmetria speculare: l'orizzonte del riferimento etico dell'azione nel dramma moderno è più ampio, ma meno profondo e universale; nella tragedia è meno ampio (in certo senso circoscritto), ma più profondo e universale. Molte motivazioni concorrono a spiegare il comportamento di una figura come Lady Macbeth, che organizza un complotto sanguinoso perché il marito possa impadronirsi del potere regale. Anche Clitemestra ha organizzato un complotto per uccidere Agamennone. Basta un semplice confronto per capire che Lady Macbeth è impensabile nella tragedia greca. È possibile ricondurre il suo comportamento ad uno schema generalizzabile dei "moventi" dell'azione umana, ma è impossibile assegnarlo a una potenza etica, come nel caso di Clitemestra - madre "ferita" dal sacrificio della figlia. Con la sua trama e i suoi punti di annodamento, il dramma shakespeariano ha la sua radice nella stessa volontà di Lady Macbeth. Anche Antigone viola un ordine (quasi) regale. Già nella scena iniziale, la forza della sua volontà si rivela subito nel dialogo e nello scontro con la sorella Ismene. Come alcuni monologhi rivelano senza dubbio, essa tuttavia non è "autonoma". Non c'è volere per il volere. Al contrario, esso ubbidisce al riconoscimento di un dovere dell'ordine etico - ad un sacro dovere di tipo "religioso", come ha osservato Manzoni. Ma è proprio questo a rendere la sua volontà così dura e inflessibile - "inviolabile". L'ordine etico da cui discende
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il dovere cui si conforma la volontà di Antigone è l'inviolabilità corporea (del corpo morto). Iscritta nell'ordine etico del "dover essere", questa inviolabilità fa parte della grammatica etica. Ciò che qui sosteniamo, dunque, va oltre, è l'affermazione dell'essere inviolabile del corpo "vivente". Malgrado le differenze, il problema della corporeità inviolabile mantiene un punto di collegamento tra dramma moderno e tragedia antica e, come vedremo, apre lo spazio di un connessione con la Legge religiosa. Nel Macbeth, il re viene ucciso a tradimento di notte, nel letto ove è stato ospitato nella stessa casa di Macbeth. La violenza è esercitata subdolamente e non ha dietro di sé nessuna legittimità etica né politica. Le sue stesse modalità ne sono lo specchio fedele. La vendetta "riparatrice" si abbatterà su Lady Macbeth, precipitandola nell'abisso delle nera follia abitata da mostri e su Macbeth, con l' assedio finale e la morte. Essa è espressione della potenza etica legata all' inviolabilità del corpo del re. Un tema che diventa di cruciale rilevanza politica, etica e teologica a metà del Seicento, nel parallelismo tra Guerra dei Trent'anni e Rivoluzione inglese. Lo mostra in particolare la trilogia di Miirtyrerdramen dello slesiano Andreas Gryphius e in particolare il dramma Ermordete Majestiit Oder Carolus Stuardus Konig van Grafi Britanien. Trauer-Spil, scritto in prima versione nel 1649. Trattata in "presa diretta", la materia riguarda il caso storico eclatante della rivoluzione inglese e in particolare la decapitazione del re un autentico choc per tutta l'Europa. Proprio perché in questo Trauerspiel assume i chiarissimi contorni del martirio cristiano, la morte del re rivela un processo storico di crisi '' abissale" della teologia politica. L'evoluzione laica e razionalistica del pensiero politico, che con Hobbes si dirama a partire proprio da questa epoca, non riesce a dissolvere del tutto il nocciolo del problema che si lega alla "corporeità sovrana;;. È questo uno dei punti di riferimento del "Viva il Re!", il grido assurdo di Lucile nel finale del Dantons Tod, su cui tanto si è soffermato Celan. La questione ritorna. Ritorna anche in episodi ben più recenti e scottanti, come i cadaveri di Piazzale Loreto. È una pensatrice radicale come Simone Weil a ricordarcelo. Nell'Antigone l'inviolabilità corporea riguarda appunto il corpo morto di Polinice, il fratello fattosi "nemico" di Tebe. Il destino di questo corpo riguarda la giustizia della città umana, posta tra l'ordine degli dèi olimpici o della luce e quello degli dèi inferi o del buio (della notte). Le posizioni di Creante e Antigone non sono né eticamente né politicamente equivalenti. Come l'Eschilo dell'Agamennone, anche Sofocle pensa che la città umana è una realtà terrena che sorge da un patto con gli dèi olimpici, ma in virtù di un patto precedente tra questi e gli dèi inferi. Il rispetto di questo patto vincola la città umana, è anzi la misura della sua giustizia. Creante ha emesso un decreto che della città umana vede una sola dimensione. Antigone è nella posizione intermedia, che vede la città tra i due ordini divini. Questo vin-
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colo etico riguarda la stessa memoria storica della vita politica della città. C'è un chiaro parallelismo tra la linea della città, owero le sue mura, e il corpo morto di Polinice. Con il suo decreto, Creante lo ha collocato "fuori" dalle mura della città, il che equivale ad annientarlo. Ma lo spazio delle mura stesse comprende quello della memoria. L'annientamento, dunque, verrebbe a colpire la memoria stessa della posizione della città negli ordini della realtà. L'ordine dice che il corpo del "nemico" Polinice colpito a morte deve restare fuori le mura, abbandonato agli elementi distruttivi della natura - le piogge, il vento e gli animali feroci. In altre parole, l'unica traccia che può lasciare di sé è sparire come traccia di un corpo. L'ordine dimentica che il corpo è inviolabile, proprio perché consegnato alla morte, un regno cui ha sempre appartenuto anche come corpo vivente. Dimentica il patto, in virtù del quale il vincolo che garantisce la sottrazione della città alla distruzione e alla morte è appunto il rispetto di questa inviolabilità. La resistenza di Antigone è basata su ragioni "ultime". Come Siegfried Kracauer, pensiamo che la dimensione dell'umano e della sua azione è nel regno delle "penultime cose". È la morte a fare della corporeità il tramite tra il "penultimo" cui appartiene la vita umana e !"'ultimo". Questo nesso la rende inviolabile, poiché esso tocca il fondamento corporeo della memoria umana. L'errore di Creante è credere di poter applicare al corpo umano l'idea dei "confini" della città, mentre la città è un'estensione del corpo stesso, una memoria "dilatata" che si basa sull'inviolabilità della corporeità - della memoria umana. È questo nesso a rendere possibile le metafore e proprio per questa ragione non è a sua volta metaforizzabile. Il punto può essere chiarito con un importante esempio. Per tutta la sua vita, e in particolare nell'ultimo periodo, Pasolini ha riflettuto sulla corporeità umana da vari punti di vista, che includono anche momenti rilevanti di incontro con la tragedia greca (per esempio Orestiade e Medea). È perciò quasi incomprensibile l'errore in cui è caduto nella parabola filmica Salò o le 120 giornate di Sodoma (che la morte gli ha impedito di vedere). Questo film "metaforizza" la realtà storica delle stragi naziste e fasciste dell' Appennino tosco-emiliano. Lo fa già all'inizio con la semplice inquadratura di un cartello stradale con la scritta "Marzabotto" - un nome-simbolo per la memoria storica italiana - e in seguito spostando la localizzazione a Salò (il resto del film è quasi per intero girato in interno). La materia trattata non ha però nulla a che fare con le vicende storiche evocate da questi nomi. Siamo perciò di fronte ad una metafora canonica: qualcosa è chiamata con un nome non proprio, ma allotrio. Il racconto di Giorgio Bassani e il film La lunga notte del '43 (1960) di Florestano Vancini per esempio rievocano la spedizione punitiva di miliziani della RSI a Ferrara e l'eccidio delle mura
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del castello - torbido episodio con cui ha avuto inizio la guerra civile italiana-, senza alcuna operazione "metaforica" 4 . Il punto è che Marzabotto o Sant' Anna di Stazzena sono materia che non consente di essere metaforizzata, esattamente come il nome Auschwitz non è metafora di campo di concentramento e sterminio, bensì il nome stesso di questa realtà. È in base a ciò che Peter Weiss ha scritto Die Ermittlung e forse questo era il senso della celebre affermazione di Adorno sull'impossibilità di scrivere ancora poesia dopo Auschwitz. Un'affermazione che ha senso, persino dopo la poesia di Celan. In un episodio di Die zweite H eimat. Chronik einer ]ugend (1992: H eimat 2) di Edgar Reitz, una giovane ebrea giunge ad Auschwitz, ma si rifiuta di visitare quello che è diventato un luogo di "turismo". È giusto: anche chi visita il Colosseo, dovrebbe ricordare che cosa esso è realmente stato. Auschwitz aperto alle visite "turistiche" è diventato altra cosa, non ha nulla a che fare con ciò che è stato. La materia richiamata da questi nomi è inviolabile, poiché inviolabile è la vicenda di corpi violentati, alla cui memoria vissuta non può accedere del tutto neppure la memoria storica e certamente nessuna memoria personale altra. La "lezione" della poesia di Celan è proprio questa: parla continuamente della shoah, senza tuttavia nominarla mai e tanto meno utilizzarla come veicolo metaforico. Metaforizzando la realtà, il film di Pasolini finisce per "duplicarla". Al massacro finale si giunge attraverso i vari "gironi" infernali. Se l'intento apertamente dichiarato dall'autore - è mostrare che il "vero" fascismo è quello delle società contemporanee, che in nome dello "sviluppo" violentano i corpi, esso è doppiamente fallito5 . Il fascismo storico non è veicolo adeguato per illustrare quello contemporaneo e viceversa. Metaforizzare significa rendere qualcosa altro da sé, dire che x è y, o trasporre in un altro ordine del discorso. Ora, poiché la radice del movimento metaforico è il corporeo, è il corporeo stesso a tracciarne il limite di possibilità. Il metaforico è un movimento a partire dalla corporeità. Avendo assimilato l'eros stesso ad una ferita, Lucrezio ricorre alla potente immagine della "ferita d'amore", in cui il sangue del ferito corre verso il suo "assassino": è una (splendida) immagine metaforica. Come vedremo nel paragrafo successivo, Proust parla della "trasposizione metaforica" come mezzo linguistico per rendere il rapporto tra le sensazioni. Nel trattare della corporeità erotica, 4
Nel finale del film di Vancini, l' ex-&erarca interpretato da Gino Cervi riappare nel dopoguerra democratico in una nuova veste. E l'allusione alla "continuità" con il passato, non una metafora. 5 Dawn o/ the Dead (1979: Zombi) di George A Romero fornisce l'esempio opposto. Il film è concepito come metafora della "società dei consumi". Del tutto coerentemente, i sopravvissuti si rifugiano in un enorme supermercato. Ma è proprio lì che i "morti viventi" desiderano rientrare.
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segue però una strada "metonimica" e descrive la memoria iscritta nei corpi stessi6 • La presenza del corpo dell'altro per esempio è già iscritta nei gesti stessi della mano e del braccio di chi lo cerca. Non c'è immagine metaforica, ma la descrizione di un gesto. Quando il corpo è direttamente implicato, non c'è "spazio" per il metaforico. In Roma, città aperta (1945) di Rossellini c'è il celebre urlo della Magnani, che ricorda l'urlo di Helene Weigel in Mutter Courage und ihre Kinder (1941) di Brecht, mentre non c'è nessun urlo quando viene mostrato il corpo martoriato del partigiano torturato dalla Gestapo nel "carcere" di via Tasso. C'è la corporeità sanguinante, null'altro. Non abbiamo visto le torture, è il corpo nudo che ne mostra le tracce a dire della loro crudeltà. Tuttavia proprio l'esempio del film di Pasolini ci permette di andare oltre nella riflessione su inviolabilità e crudeltà. Tra le fonti del film, nei titoli di testa è citata una piccola selezione dalla vasta bibliografia su Sade - ali' epoca peraltro assai in voga grazie anche al dramma di Peter Weiss noto come Marat-Sade. Tra questi spicca Sade man prochaine (1947, 19672 ), un saggio in cui Pierre Klossowski delinea un'interpretazione originale della natura del "sadismo", rigorosamente inteso come filosofia di Sade. La questione essenziale è questa: lo scopo per cui Sade ha spinto così avanti la "sperimentazione" e la trasgressione sessuale è trovare il punto in cui sia possibile liberarsi del senso del peccato e, con esso, del pensiero di Dio. Questo punto si è però rivelato irraggiungibile, poiché il piacere stesso della trasgressione attraverso la "violazione corporea" non esiste più, se non è accompagnato dalla sensazione del peccato, cioè appunto dal senso della trasgressione. In altre parole, senza peccato il piacere è annientato. Se si collega questa riflessione con l'indagine proustiana introdotta nella narrazione come "scoperta del sadismo;; , il risultato è spaventoso: ciò che comunemente chiamiamo sadismo - non nel senso "scientifico di fenomeno di patologia psicologica - non è esattamente il "sadismo" di Sade, ma !'"indifferenza" del cuore. Nel suo eccellente inquadramento storico-politico, Klossowski mette in luce che, proprio perché Sade h a cercato una forma di libertà asso-
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In tutt'altro mondo poetico-letterario, un esempio di procedimento metonimico è all'inizio di M. Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia, Einaudi, Torino, 1953 , p. 11: «Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò le sue settantadue bombarde» (c. n.). Cfr. anche i passi di p. 66 sulla dolorosa sensazione di "perdita delle mani", con la chiusa: «Quante cose può ricordarmi il mio corpo», e di p. 89 sul senso di sdoppiamento e di totale autonomia del corpo.
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Iuta appartenente all'uomo come soggetto, egli ha sempre negato con la massima decisione il "diritto" del potere politico - anche quello del contemporaneo potere rivoluzionario giacobino - di decretare la condanna a morte di altri esseri umani. Rispetto a ciò, l'accostamento del fascismo e del nazismo al sadismo classicamente introdotto nella ricerca filosofica e sociologica dalla Dialettica del!' illuminismo di Horkheimer e Adorno non va molto oltre il luogo comune. La prospettiva di indagine di Klossowski mira a esplorare più in profondo questa zona di tenebre e acquista ulteriore significato nel confronto con l'analisi di Proust. Nella sezione della R echerche ove il narratore rievoca la sua scoperta del sadismo, è sviluppata una sottile analisi della connessione tra "peccato" della carne e tentativo di cancellare un'immagine del passato: l'episodio clou è il gesto della ragazza che, in occasione di un incontro erotico con un'amica, rovescia la foto del padre morto. La conclusione dell'analisi è profonda. Nella falsa convinzione di compiere un'azione trasgressiva di chi sa quale malvagità, la ragazza non ha indagato la vera zona del male, le ragioni del suo cuore. Se lo avesse fatto, così si chiude il passo e l'episodio, avrebbe scoperto che la vera radice della crudeltà "sadica" è I'indzf/erenza del cuore. Punti di contatto e differenze appaiono chiari. Sade cerca di raggiungere la zona al di là del limite, in certo senso il "male puro" senza più Dio, ossia senza più la coscienza della colpa e del peccato. Ma non riesce a raggiungerla. Proust non collega più il male alla trasgressione, ma lo colloca nell'indifferenza del cuore, non a caso definita come radice della crudeltà. La contraddizione immanente in cui sfocia la "via" di Sade è in realtà il segno di un limite non valicabile. "Indifferenza" significa di per sé assenza di piacere o dispiacere. Mostrando la "compatibilità;; tra piacere e indifferenza, Proust si sottrae alla contraddizione sadiana e mette con ciò a nudo la spaventosa possibilità della crudeltà e l'ampiezza della sua gamma. Ottiene il risultato cercato da Sade rendendo non intenzionale il "sadismo" , che non consiste più nel cosiddetto "piacere sadico", cioè nell'intenzionale trasgressione, ma nella possibilità di perseguire il piacere nell'indifferenza . Nell'episodio narrato, la ragazza si sente in colpa e vede nell'immagine fotografica del padre morto il "simbolo" del senso di colpa. Il gesto di rovesciare la fotografia cerca di cancellarla, di renderla indifferente. Tra piacere e senso di colpa Proust ha colto una zona intermedia sfuggita a Sade. Ciò permette di tornare alla questione sollevata in precedenza (Capitolo 1, § 8) a proposito delle gesta compiute in Polonia dagli Ordinary M en, ricostruite e discusse da Christopher Browning. Dov'era finita la loro religiosità? Tanto in Sade quanto in Proust, l'implicazione corporea della religiosità è evidente. Dal confronto tra le loro analisi risulta che l'indifferenza per la corporeità "altra " è la radice della
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crudeltà. L'indifferenza rende possibile che l'annientamento del corpo di altri non turbi la coscienza. L'indifferenza è la massima deviazione possibile dalla Legge. Con ciò si dissolve anche l'alternativa suscitata dalla teoria della banality o/ evil di Hannah Arendt. Il male puro non sta nella "grande", intenzionale trasgressione. Questa, infatti, è in realtà condannata dalla sua contraddizione. La "coscienza" del male è costretta a coabitare con la coscienza della trasgressione della Legge. In tal caso, la ricerca stessa del male puro lo rende impossibile. Questa è l'importante scoperta di Sade. Ma se per occultare questa coscienza si accede all'indifferenza, proprio qui si annida il male in tutta l'ampiezza delle sue possibilità, fino ali' annientamento degli uomini. Questa è la scoperta di Proust. Il male puro ha radice nell'indifferenza. Il suo grado estremo è l'indifferenza all'idea della violabilità corporea. Il male di cui Adolf Eichmann è responsabile è la sua stessa grigia indifferenza. La distanza dalla Legge in cui è precitato non è banale. Quando, dopo avere nominato Marzabotto, il film di Pasolini descrive come gironi infernali i vari piaceri sadici dei notabili radunati nella villa fino al massacro finale, cade in un estetismo forse non voluto, ma non per questo meno irritante. Una delle grandi lezioni manzoniane è che la realtà storica va rispettata - qualunque sia il senso che attribuiamo a questa espressione. Marzabotto significa un ordine di Albert Kesselring in persona - l'uomo che durante la ritirata da Roma non toccò una pietra della città - e l'esecuzione di quest'ordine da parte di un uomo di nome Walter Reder. Tranquillamente seduto a bere e a mangiare in un'osteria, Reder attese che la contabilità della morte "tornasse", secondo lo stesso rapporto numerico di 10 a 1 applicato in Russia: 16 soldati tedeschi uccisi, 160 civili uccisi per rappresaglia. Ma si andò oltre questa stessa contabilità. Marzabotto è anche un;eccedenza, come le cinque persone ''in più" alle Fosse Ardeatine. Occorre riflettere su ciò. L'uccisione dei civili, motivata per esempio dalla necessità politica di "decapitare" la Polonia della sua classe dirigente o dalla precisa volontà di annientare tutto ciò che in Russia era identificabile come comunista (Kommissarbefehl), è certamente un fatto distinto, ma contribuisce a gettare luce sulla shoah. Identificare la volontà nazista di annientamento con la sola shoah significa restare sul piano ideologico del razzismo antisemita e della connessione politica tra bolscevismo e giudaismo, peraltro ribadita da Hitler fino alla fine (per esempio nell'ultimo messaggio inviato a Mussolini, poche ore prima della sua uccisione). Nell'indagare il quadro ideologico del nazismo, occorre stare attenti a non cadere prigionieri delle motivazioni da esso fornite. Sul piano politico, a rendere così efficace l'antisemitismo nazista è stato il fatto di averlo "chirurgicamente" liberato da qualsiasi legame teologico-religioso (a differenza delle leggi antisemite italiane del 1938). Ciò rientra però in una complessa e
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precisa strategia retorica, tipica del nazismo, definibile come simulazione di una dissimulazione. Si simula ciò che non c'è e si dissimula ciò che c'è. Sembra, dunque, che o si simula o si dissimula. In realtà, i due dispositivi possono essere incrociati. Posso simulare un affetto che non provo, per dissimulare l'odio che provo. È il caso di Jago ed è relativamente semplice. Il caso del nazismo è diverso e più complesso: dichiaro apertamente l'odio che provo e ne indico le ragioni. Dico perciò: odio gli ebrei non per la loro religione, ma in quanto popolo. Agisco in coerenza con l'odio dichiarato e le ragioni dichiarate. Nessuno, dunque, può pensare che sto simulando. In effetti, in certo senso non sto simulando, ma dissimulando, poiché l'odio che provo è di altra natura e ha altre ragioni. In tal modo l'odio dichiarato è "vero" per il lato in cui è vero che provo dell'odio, come è vero che non ho nessuna difficoltà a fare mie le ragioni dichiarate. Ma è anche falso per l'altro lato, poiché il vero odio da me dissimulato è un altro, e diversamente motivato. L'odio (1) da me dichiarato non è del tutto finto, non sto del tutto simulando qualcosa che non provo. E tuttavia l'odio (2) che provo davvero resta dissimulato. L'elemento della simulazione esiste, poiché in ciò che manifesto c'è pur sempre un'assenza, un elemento negativo. Ma ciò che sto simulando è la mia dissimulazione. Prendere alla lettera il nazismo è ingenuo, per la semplice ragione che i dispositivi retorici delle sue strategie non sono ingenui. Occorre allora rovesciare il topos avallato dal nazismo stesso: con una mossa politicamente e ideologicamente efficacissima, esso libera il suo antisemitismo da ogni riferimento teologico e religioso, rendendo direttamente e totalmente politica la sua base etnicorazziale. Nessun residuo di antigiudaismo: un ebreo resta tale, indipendentemente dalla sua religione7 • Ma ciò ha precisamente lo scopo di mascherare la segreta radice teologica. Forse qui c;è un profondo punto di contatto con il "sadismo". Il mistero profondo della "potenza ebraica", secondo i nazisti talmente minacciosa da richiedere una vera e propria guerra di annientamento, in un certo senso è racchiuso nell'esistenza corporea stessa degli ebrei. Da un certo punto di vista, essi sono "segno vivente" della persistenza dell'idea di Dio e della Legge più di quanto lo sia ogni chiesa mondana. L'esistenza degli ebrei testimonia di per sé l'invisibilità di Dio e la persi-
7 Cfr.
A. Prosperi, Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent'anni, Einaudi, Torino, 2000, pp.
396-397 a proposito della "Spagna imperiale": «Si scatenò una caccia al "cristiano nuevo" e si dette vita a un meccanismo micidiale di denunce e di sospetti contro chiunque avesse anche un lontano ascendente ebreo: nasceva così una forma di razzismo che stabiliva una discriminazione in base al sangue - non la fede professata ma il sangue era ciò che contava nel definire l'identità». Questo importante passo mostra non solo che quella del nazismo non è un'"invenzione" assoluta ma anche che una connessione religiosa è sempre a suo modo presente.
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stenza della Legge8, più di quanto possa fare ogni tentativo di renderle in forma visibile. Dopo quasi due millenni di persecuzione anti-giudaica, l'esistenza e la persistenza degli ebrei ha qualcosa di prodigioso e misterioso. Il punto può essere illustrato dalla discussione sull'antisemitismo condotta dai Gesuiti, nel periodo dall'enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI alle "leggi razziali" del 1938. Proprio in questo anno, mentre ingaggia una polemica con il fascismo, la Civiltà cattolica si rivolge esplicitamente ai nazisti, affermando che il loro neo-paganesimo con gli ebrei sta facendo solo le prove generali, mentre il loro vero obiettivo è distruzione della Chiesa cattolica e del Cristianesimo. Questa affermazione contiene un nucleo di verità, ma anche un errore di valutazione. Essa dimostra, infatti, che i Gesuiti hanno compreso che !"'indifferenza" nazista in materia religiosa è solo apparente. Essi hanno ragione anche nel pensare che nel lungo periodo la Chiesa non verrà risparmiata, poiché nel nuovo "ordine europeo" del "Terzo Regno" non ci sarà posto per essa. I nazisti non potevano attaccare immediatamente la Chiesa. Anche a Roma nell'ottobre 1943, l'unica cosa che temevano era una reazione del Vaticano. Ma i Gesuiti sbagliavano nel considerare la persecuzione degli ebrei come un diversivo tattico. La politica nazista seguiva un piano, secondo un preciso ordine genealogico. Eliminare gli ebrei significava non solo fare qualcosa di cui "nessuno in poco tempo si ricorderà più, come è stato per il genocidio degli Armeni" (Hitler), bensì eliminare coloro che, con la loro stessa esistenza, nel bene e nel male restano misteriosamente imprescindibili anche per l'esistenza della Chiesa e la teologia cristiana. Il ragionamento della Civiltà cattolica va rovesciato. Eliminare gli ebrei non è un finto scopo "diversivo", è un'amputazione teologica necessaria per potere colpire in seguito anche la Chiesa. In questa prospettiva, si "spiega;; almeno in parte ciò che altrimenti rimane inesplicabile, cioè il lungo silenzio che, dopo il 1938 e peraltro anche nel dopoguerra, ha caratterizzato la Civiltà cattolica in tema di persecuzione e annientamento nazista degli ebrei d'Europa. La Chiesa nel suo complesso non ha ancora fornito una spiegazione teologica dell' accaduto. Il "fallimento" della commissione voluta da Giovanni Paolo II con un importante documento9 sembra confermarlo. La conclusione sul punto è che !"'unicità" dello sterminio degli ebrei non deve impedire di cogliere il tratto in comune con i "crimini" nazisti contro le popolazioni civili polacche, greche e slave, russe, italiane etc. Na8
Argomento centrale dello scambio epistolare tra Gershom Scholem e Walter Benjamin tra il 1933 e il 1938, a proposito del significato della scrittura di Kafka. Cfr. B. Maj Scrittura e teologia. Il "caso Kafka" nel confronto Scholem-Benjamin (1933-1938), in G. Ruggieri (a cura di), Io sono l'altro dell'altro. L 'ebraismo e il destino dell'Occidente, Giunti, Firenze, 2006, pp. 73-119. 9 Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, Milano, 1998.
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turalmente, le necessarie distinzioni storiografiche vanno mantenute. A parte le coincidenze tecniche e l'utilizzo dello stesso personale, per esempio, tra il programma Euthanasie e l' Endlosung non corre alcun rapporto interno di "progressione" storica. Nel rispetto della ricostruzione storiografica della realtà storica, tra i vari e distinti crimini nazisti esiste tuttavia un filo conduttore che l'arte e la poesia hanno saputo cogliere. Il nazismo ha alimentato l'idea di una sua "indifferenza" in materia religiosa, che ha fatto breccia con una diffusione che sarebbe stato difficile prevedere. E tuttavia essa serviva a "coprire" un intento ben altrimenti radicale, cioè estirpare la coscienza teologica dell'Europa. Il "sadismo" nazista è duplice: l'indifferenza ha reso possibile pratiche di annientamento corporeo spinte fino all'eliminazione delle tracce stesse dei morti, ma l'intento profondo era liberarsi della coscienza del male. L'auto-annientamento hitleriano ne è una prova significativa. Ma anche la tragica materia storica dell'Italia 1943-1945 offre molti argomenti al riguardo. Questa duplicità sadica è rivelata dai meccanismi di "metaforizzazione", con cui il nazismo ha cercato di occultare la realtà corporea dell'Altro, a cominciare dall'ebreo. L'identificazione dell'ebreo come nemico razziale da annientare utilizza una rete metaforica che, con la sua stessa necessità retorica, rivela la consapevolezza dell'impossibilità di principio di sopprimerne la realtà corporea - l'inviolabilità. La riflessione sul pensiero tragico conduce a questo nesso primario. A un nuovo livello, si deve allora tornare a discutere dell'associazione tra il concetto di "inviolabilità" e !"'incoercibilità" della volontà umana. Come si è detto, quanto più è espressione di una volontà necessaria, tanto più interessante è il caso dei personaggi tragici antichi. Molto dipende da cosa si intende per "necessità". Di nuovo la tragedia sofoclea torna al centro delPattenzione. La letteratura è unanime nel riconoscere che un tratto caratteristico della drammaturgia di Sofocle è la presenza di personaggi dalla dura e inflessibile determinazione della volontà. Così è Antigone, ma anche Edipo, Elettra, Eracle, Aiace. Sorprendentemente, ciò non accade in Eschilo, ove un personaggio centrale come Oreste è esitante. La ragione è che in Eschilo la "durezza" sta più dal lato della necessità pura. È necessario che il sangue di Agamennone violentemente versato trovi giustizia. Poiché ciò comporta un matricidio, al dunque la volontà di Oreste - l'esecutore della necessità - vacilla. È parimenti necessario che le ragioni che presiedono al diritto della madre uccisa e quelle che presiedono al diritto del padre (e marito) tradito e ucciso trovino una conciliazione. Così è il voto di una dea a decidere il processo. Non può essere altrimenti che così, poiché più che i personaggi ad agire nell'Orestea sono potenze etiche e metafisiche. In Sofocle, tra queste potenze e la volontà dei personaggi c'è un nuovo rapporto. La necessità trova la sua radice nella coscienza dei perso-
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naggi. Edipo agisce fino in fondo, malgrado l'opposizione di Giocasta, che cerca disperatamente di farlo recedere; così Antigone, malgrado la sorella Ismene, e Aiace, malgrado la sua schiava concubina e il figlioletto. Da Karl Reinhardt, che meglio di ogni altro ha saputo fornirne la cornice teorica e filosofica, al resto della letteratura, il topos sembra dunque confermato: il nucleo "inviolabile" dell'uomo è la sua volontà. Sembrerebbe così anche nel caso già ricordato di Filottete. Un'analisi più approfondita mostra invece un nesso differente, in cui la corporeità sta in primo piano. Troia potrà cadere solo grazie all'arco di Eracle che si trova nelle mani di Filottete, il più grande arciere greco, a suo tempo esiliato a Lemno. Così ha predetto l'oracolo, che ne ha anche richiesto la partecipazione, cioè il concorso della sua volontà. Lo sviluppo della tragedia porta così ad una difficoltà insormontabile. Nell'intreccio dell'azione c'è stato un capovolgimento. La trama ingannevole ordita da Odissea è stata smascherata. La tremenda crisi di dolore provocata dalla ferita sempre aperta e sanguinante di Filottete ha rovesciato la posizione di Neottolemo. L'arco è finito in mano sua - l'arco viene restituito a Filottete. Neottolemo lo vorrebbe al suo fianco, per tornare insieme a Troia. Malgrado la precedente disillusione, Filottete riconosce ora in Neottolemo un amico autentico, ma non è disposto a seguirlo. Vuole che lo riaccompagni in patria. Odissea e i greci che lo hanno esiliato, abbandonandolo con l'inganno, non avranno il suo perdono. Le minacce di Odissea si sono dissolte. Filottete è di nuovo in possesso dell'arco e Neottolemo non sarebbe più disposto a sottrarglielo. Anche Od.isseo ora è impotente ad agire. Non sembra necessario andare oltre nell'analisi di questo intreccio, poiché la situazione è chiara: l'inflessibile volontà di Filottete ha paralizzato tutto. Proprio qui bisogna invece andare più a fondo. N eottolemo aveva in mano l'arco. Con ciò, la prima parte dell'oracolo è stata compiuta. A mettere in crisi Neottolemo, inducendolo alla restituzione, è stata per così dire la nudità corporea del dolore di Filottete. A partire da uno studio di Tycho von Wilamowitz, questo mutamento dell'animo di Neottolemo è stato messo in discussione, ma a torto. È indubbio che, quando siamo ancora nella trama dell'inganno ordito da Odissea, il discorso di Filottete sulla grandezza di Achille ha fatto breccia nell'animo di Neottolemo. Ma al motivo che si richiama all'etica pura dell'aristocrazia guerriera se ne aggiunge un altro: di fronte alla crisi di dolore di Filottete, Neottolemo scopre la nuda verità erisale alla memoria di fatti che gli sono stati tenuti nascosti. Quello che ha di fronte a sé è un grande animo, che abita un corpo piagato per sempre. Ed è proprio questo corpo ciò che i greci avevano abbandonato con l'inganno nell'isola deserta di Lemno: un corpo considerato ormai contaminato, quindi
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profanato e profanante, insopportabile per il suo odore e per le sue grida 10. Il racconto che all'inizio della tragedia Odissea gli ha fatto, si rivela ora in tutt'altra luce. C'è l'eco del passo dell'Iliade in cui si dice che i greci si sarebbero dolorosamente ricordati dell'eroe Filottete. L'inflessibile animo di Filottete - di cui l'arco è simbolo - è la sua ferita sempre aperta. La memoria profonda del suo corpo è la memoria di una ferita che "non si piega", che non può più essere "trasferita" in qualcosa d'altro. Ciò che fa resistenza è il corpo "inviolabile", lo stesso che i Greci hanno considerato ormai profanato. Il motivo dell'etica aristocratica acquista con ciò altra consistenza. Neottolemo non può più stare dalla parte del "discorso ingannevole", che il "regista" Odissea gli ha assegnato. Schierandosi con Filottete, Neottolemo non pensa certo di schierarsi contro i Greci. Vorrebbe Filottete con sé e non ne capisce fino in fondo l'ostinazione. Come nell'Antigone, un motivo profondo della corporeità si oppone alle ragioni dell'ordine politico, in nome di qualcosa che sta a fondamento della costituzione dello spazio politico. In questa prospettiva, il mutamento della posizione di Neottolemo non ha nulla a che fare con l' èleos-Mitleid in senso puramente soggettivo, bensì con la sostanza etica della comunità politica, in un nesso che coinvolge direttamente la memoria. È appunto il nesso che cercavamo a proposito del nazismo, il cui nichilismo sadico corrisponde al tentativo di annientare un'inestirpabile traccia: il legame tra corpo e Legge.
3 .2. Proust e la a cava" della memoria Seguito poi da altri critici, nei saggi proustiani e in Il romanzo europeo del Novecento, Giacomo Debenedetti è stato tra i primi a mettere in luce che la rinascita del romanzo europeo con Proust avviene sotto l'insegna del "platonismo". Dal punto di vista filosofico, il tema torna con una specificazione assai precisa in Hohlenausgiinge11 di Hans Blumenberg, ove l'immagine platonica della caverna è ricollegata direttamente con la scena iniziale della Recherche - il sonno e il bacio della mamma - e sta sullo sfondo della questione antropologica della necessità umana di "uscire" dalla caverna e "rientrarvi", formulata da Leszek Kolakowski. Posta in questi termini, la genealogia rientra comunque nel quadro tracciato in modo indipendente da Konrad Gaiser che, in Il paragone della caverna 12 , ha mostrato le radici preplatoniche dell'immagine e le sue varianti posteriori, fino ad arrivare ai primi del Novecento, con il racconto del 1912 Ciàula rivede la luna di Luigi 10
Le situazioni che Marta Nussbaum analizza in Hiding /rom Humanity, Princeton University Press, Princeton, 2004, hanno qui il loro archetipo. 11 H. Blumenberg, Hohlenausgcinge, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1978. 12 K. Gaiser, Il paragone della caverna, Bibliopolis, Napoli, 1980.
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Pirandello. D 'altra parte, il tema del tempo e della memoria in Proust ha prodotto un'altra e più nota genealogia, in questo caso riannodata ad Agostino e in particolare alle Confessioni. Le due linee convergono, poiché sarebbe facile mostrare che dal punto di vista filosofico dire Agostino significa tornare di nuovo in pieno platonismo. Il punto che qui si vuole mettere in luce riguarda direttamente il tema della memoria. Un'analisi del Fedro - se non il più complesso, certo tra i più stratificati dialoghi platonici - deve certamente partire dalla constatazione che tra gli obiettivi di questo dialogo c'è la distinzione tra memoria di superficie e memoria profonda. Esattamente ciò che Proust sviluppa nell' ampia sezione "poetologica" della Matinée chez Guermantes in Le Temps retrouvé. È noto che, nella discussione suscitata dal nuovo paradigma di interpretazione di Platone, elaborato a partire dalla fine degli anni '50 dalla cd. Scuola di Tubinga, questo dialogo svolge un ruolo decisivo, in particolare nella parte finale in cui, richiamandosi al mito egiziano di Theut, viene sviluppata un'appassionata perorazione della comunicazione orale rispetto all'apprendimento attraverso la scrittura. La ragione è che la prima si imprime nella "memoria profonda", mentre il secondo si appoggia ad un mero supporto esterno, definito perciò come "ipomnematico". Nell'interpretazione dei filologi di Tubinga, questa distinzione è la base per la dimostrazione della tesi secondo cui la parte essenziale del pensiero di Platone è affidata alle ungeschriebene Lehren (dottrine non scritte): una tesi che si presenta con un paradosso evidente. Ciò ha condotto a trascurare un altro paradosso. La teoria platonica della memoria sta in una connessione strutturale con la teoria della visione, al vertice della quale c'è la visione diretta delle idee (eidetica). La distinzione finale del Fedro implica invece necessariamente il primato delPudito. Comunicazione orale, infatti, vuol dire contatto corporeo e voce. La corporeità h a più dimensioni di quanto lasci intendere la tradizionale interpretazione del pensiero platonico. La coscienza interna del tempo in Agostino si innesta in questo nesso sotterraneo dell'anima con la corporeità. Proust si muove nello stesso ambito, ma con due novità importanti. In genere, il presente viene definito come la dimensione sospesa tra il "non più" (nicht mehr) e il "non ancora" (noch nicht). Quest'ultimo è chiaramente il futuro. Ma se il passato è inteso come qualcosa di niente affatto concluso e morto, anch'esso è riconducibile a un noch nicht, cioè a qualcosa che, pur essendo stato, non è semplicemente passato (vergangen) ma è ancora vivo, come la lampada della celebre lirica di Eduard Morike, che "ritorna" paradossalmente proprio perché è Noch unverruckt «non ancora spostata». Al centro della teoria proustiana della memoria c'è esattamente questa dimensione del noch-nicht del passato.
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È per questa ragione che i ricordi di cui essa parla rappresentano il tentativo di sconfiggere il tempo e la morte, come ha osservato Szondi. Se l'immortalità dell'anima è in certo senso ''pregressa" in Platone e volta al futuro della salvezza individuale in Agostino, in Proust è legata all'arte stessa e alla "bellezza", secondo una concezione "idealistica" che risale all'estetica schellinghiana. Movendosi tra i due punti focali della sensazione e della spiritualità, la teoria proustiana della memoria porta così la riflessione sull'arte a un punto così estremo, da rendere particolarmente visibile lo spostamento metonimico-creaturale fin qui analizzato. La citata sezione proustiana si apre con un passo che ricorda sia Holderlin che, in certo senso, Kafka: Mais e' est quelquefois au moment où tout nous semble perdu que l' avertissement arrive qui peut nous sauver, on a frappé à toutes les portes qui ne donnent sur rien, et la seule par où on peut entrer et qu'on aurait cherchée en vain pendant cent ans, on y heurte sans le savoir, et elle s'ouvre13 .
Il tema è niente meno che la salvezza. L'episodio è il seguente: il narratore/protagonista è entrato nel cortile del palazzo dei Guermantes e, nella sua distrazione, non si è accorto di una carrozza che sta uscendo a tutta velocità. Al grido del vetturino (wattman), non gli è rimasto altro che arretrare bruscamente. Nel fare ciò, posa un piede su un pavé che si trova più in basso del precedente. La sensazione scatenata da questo piccolo "inciampo" fa svanire l'attimo di paura e lo inonda di felicità, una felicità che egli riconosce subito: è uguale a quella provata alla vista delle campane di Martinville o assaporando la madeleine inzuppata nell'infuso. Ma mentre proprio nell'occasione della madeleine aveva lasciato passare questa sensazione senza interrogarla, ora è ben deciso a non rassegnarsi a ignorarne il perché. La felicità provata è identica. L'unica differenza è nelle immagini evocate in questa nuova occasione: un azzurro profondo, impressioni di freschezza e di una luce abbagliante. A rischio di suscitare il riso dei vetturini sparsi lì attorno, il protagonista resta fermo nella sua posizione, una gamba più in alto e una più in basso, sui pavés mal squadrati vicino ad una rimessa. Resta fermo, ben deciso ad accogliere la sfida che la visione abbagliante e indistinta gli ha lanciato sfiorandolo, come se gli avesse detto: Saisis-moi au passage si tu en as la force, et tache à résoudre l'énigme de bonheur que je te propose14 .
Ma egli è in grado di "decodificare" subito la sensazione.
13 14
M. Proust, Temps retrouvé, Gallimard, Paris, 1990, p. 173 (in sigla=TR). TR, p. 174.
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È Venezia - la stessa Venezia che ogni sforzo di descrivere e le istantanee prese dalla memoria non avevano saputo restituire et que la sensation que j' avais ressentìe jadis sur deux dalles inégales du baptistère de Saint-Mare m'avait rendue avec toutes les autres sensations jointes ce jour-là à cette sensation-là, et qui étaient restées dans !'attente, à leur rang, d'où un brusque hasard les avaìt impérieusement fait sortir, dans la série des jours oubliés 15 .
Le sensazioni collegate con un piccolo incidente del passato accaduto sulle lastre del battistero di San Marco, simili a quelle dell'istante ora descritto, erano rimaste nell'attesa, pronte a uscire. Il parallelismo con l'episodio del passato ora è chiaro: allo stesso modo, il sapore della piccola madeleine aveva suscitato un fascio di ricordi associato con l'immagine di Combray. La domanda diventa così: perché, in due momenti differenti, le immagini di Combray e di Venezia avevano donato una gioia simile a una certezza et suffisante sans autres preuves à me rendre la mort indifférente? 16
Giunto al primo piano del palazzo dei Guermantes, il protagonista viene pregato da un maggiordomo di accomodarsi per un poco in un piccolo salone-biblioteca. Qui, nello stesso istante, un second avertissement vint renforcer celui que m' avaient donné les deux pavés inégaux et m'exhorter à persévérer dans ma tàche. Un domestique en effet venait, dans ses efforts infructueux pour ne pas faire de bruit, de cogner une cuiller contre une assiette17 .
Di nuovo si sente invaso da una sensazione di felicità. Il rumore è identico a quello sentito nel corso di un viaggio in treno, durante una sosta vicino a una alberatura (il motivo degli alberi è stato colto da Kracauer): l'illusion du bruit du marteau d'un employé qui avait arrangé quelque chose à une roue du train pendant que nous étions arretés devant ce petit-bois 18.
Un cameriere lo ha riconosciuto. Gli porta un bicchiere d'aranciata e una salvietta, con cui il protagonista si asciuga le labbra. Di nuovo, davanti ai suoi occhi passa una visione di azzurro,
15 Ibid. 16
Ibid. Ibid. 18 TR, p. 175. 17
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mais il était pur et salin, il se gonfla en mamelles bleuatres; l'impression fut si forte que le moment que je vivais me sembla etre le moment actuel [. .. ] 19.
Ora si sente trasportato a Balbec. Il gesto del cameriere sembra invitarlo ad aprire la finestra per vedere la spiaggia, l'oceano e la diga nell'alta marea. Tre episodi in rapida successione. Tre resurrezioni del tempo. La felicità è la certezza di essere scrittore, ma anche di più, la certezza di avere compreso il rapporto tra vita e scrittura. Tale certezza si basa sulla percezione della differenza estrema tra l'impressione vera che noi abbiamo avuto di una cosa e l'impressione fittizia (factice) che noi ci diamo di essa, quando cerchiamo di rappresentarla volontariamente. Con l'aiuto di una memoria volontaria e uniforme si cerca di ricordare Venezia, Balbec e Combray. Ma ciò che viene in tal modo evocato non ha nulla a che fare con le sensazioni e le immagini suscitate dalle lastre ineguali, dal rumore del cameriere, dalla raideur della salvietta - come dal gusto della madeleine. La loro forza deriva paradossalmente proprio dal fatto che sono state dimenticate. A resuscitarle non è perciò lo sforzo della memoria volontaria, che agisce sul piano della rappresentazione e non può quindi risalire a questo strato profondo - che è pur sempre memoria come Gediichtnis (archivio) . Non è neppure il ricordo, bensì qualcosa di più importante e "reale": gli episodi corporei della vita stessa. È questo il senso del passo famoso: Oui, si le souvenir, grace à l' oubli, n' a pu contracter aucun lien, jeter aucune chaìnon entre lui et la minute présente, s'il est resté à sa place, à sa date, s'il a gardé ses distances, son isolement dans le creux d'une vallée ou à la pointe d'un sommet, il nous fait tout à coup respirer un air nouveau, précisément parce que e'est un air qu' on a respiré autrefois, cet air plus pur que les poètes ont vainement essayé de faire régner dans le paradis et qui ne pourrait donner cette sensation profonde de renouvellement que s'il avait été respiré déjà, car les vrais paradis sont les paradis qu'on a perdus20.
La sovrapposizione delle sensazioni, tale da fare empiéter il passato sul presente e indurre all'esitazione nel decidere se ci si trova appunto nel presente e nel passato, è basata dunque su qualcosa di comune ad esse, un elemento extra-temporale, che conduce a jouir de l' essence des choses, e' est-à-dire en dehors du temps21 .
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Ibid. TR, p. 177. 21 TR, p. 178.
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Ciò che si produce è un miracolo dell'analogia, grazie al quale è possibile ritrovare i giorni antichi, il tempo perduto, di fronte al quale gli sforzi della memoria e dell'intelligenza échouiaent sempre. Ciò che risorge, dunque, è un momento del passato. Ma non c'è anche qualcosa d'altro? Si tratta di qualcosa che, comune tanto al passato che al presente, è molto più essenziale di essi. La legge dell'immaginazione dice che non è possibile immaginare se non ciò che è assente. Questa legge si trova ora neutralizzata e sospesa. La sensazione sonora, visiva, olfattiva o gustativa del presente si trova ora nel passato, il che permette all'immaginazione di goderne. Ma nel presente, la scossa ricevuta dai sensi avait ajouté aux rèves de l'ìmagination ce dont ils sont habituellement dépourvus, l'idée d'existence - et grace à ce subterfuge avait permis à mon ètre d'obtenir, d'isoler, d'immobiliser - la durée d'un éclair - ce qu'il n'appréhende jamais: un peu de temps à l'état pur22 •
Un rumore o un odore che siano già stati intesi o respirati a suo tempo, lo sono ora di nuovo insieme nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti. Con ciò, aussitòt l'essence permanente et habituellement cachée de choses se trouve libé/ [ ... ]23 . ree
L'essenza delle cose nascoste - delle cose reali - risveglia il nostro vero essere (vrai mai): Une minute affranchie de l' ordre du temps a recrée en nous pour la sentir l'homme affranchi de l'ordre du temps24 .
Alla compresenza temporale che, per un attimo balenante, diventa fuoruscita dal tempo, si accompagna la compresenza spaziale, legata al fenomeno di une sensation (gout de la madeleine trempée, bruit métallique, sensation du pas) qui était commune à cet endroit où je me trouvais et aussi à un autre endroit (chambre de ma tante Octave, wagon du chemin de fer, baptistère de Saint-Marc)25 •
Non si tratta nel presente di una "duplicazione", ma della sensazione stessa che "risorge" in una memoria del tutto corporea, in cui ricorre l'immagine fisica della "lotta":
22
23
TR, p. 179.
Ibid. Ibid. 25 TR, p.180. 24
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IL VOLTO EL' ALLEGORIA DELLA STORIA
Toujours, dans ces résurrections-là, le lieu lointain engendré autour de la sensation commune s'était accouplé un instant, comme un lutteur, au lieu actuel26.
Il rapporto è triangolare: la sensazione provata nel luogo presente ha fatto rivivere la sensazione legata al luogo passato, che ora "risorge". Il luogo passato così ora rivive anch'esso nel presente, costringendo a respirare la stessa aria, a risentire la stessa marea montante, a rivedere lo stesso liquido azzurro. La sensazione-istante-luogo del presente fa risorgere la sensazioneistante-luogo del passato nel presente. Essa ha un nome: madeleine Combray, salvietta Balbec, lastricato San Marco-Venezia. Per poter godere completamente della contemplazione di questi frammenti d'esistenza sottratti al tempo, che tocca !"'eternità" ma è pur sempre fuggitiva, occorre cercare di capire e conoscere questo fenomeno delle resurrezioni della memoria, che nessuno sforzo intenzionale diretto può provocare: La seule manière de les gouter davantage, e'etait de tacher de les connaitre plus complètement, là où elles se trouvaient, c'est-à-dire en moi-meme, de les rendre claires jusque dans leurs profondeurs27 .
Con l'indicazione di questo compito, diventa chiaramente visibile la relazione istituita tra l'essenza nascosta delle cose e il "mai" profondo. P er Proust le cose non sono puri oggetti materiali, non solo hanno un senso, ma hanno anche un senso nascosto: déjà à Combray je fixais avec attention devant mon esprit quelque image qui m'avait forcé à la regarder, un nuage, un triangle, un clocher, une fleur, une caillou, en sentant qu'il y avait peut-etre sous ces signes quelque chose de tout autre qu je devais tàcher de découvrir, une pensée qu'ils traduisaient à la façon de ces caractères hiéroglyphiques qu'on croirait représenter seulement des objets matériels28 .
Questo compito difficile ma necessario di decifrazione riguarda la verità stessa delle cose, è un compito di conoscenza. Si tratta di leggere questa verità. Ma si tratta anche di distinguere preliminarmente tra i diversi livelli di verità: Car les vérités que l'intelligence saisit directement à claire-voie dans le monde de la pleine lumière ont quelque chose de moins profond, de moins nécessaire que cel-
26
TR, p. 181. TR, p. 184. 28 TR, p. 185. 27
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les que la vie nous a malgré nous communiquées en une impression, matérielle parce qu'elle est entrée par nos sens, mais dont nous pouvons dégager l'esprit29.
L'immagine platonica dell'ascesa è rovesciata. Ma, quel che conta ancora di più, l'immagine della "discesa" rovescia anche la relazione tra sensazioni e idee. La contemplazione delle cose comunica attraverso i sensi. L'espressione proustiana è chiara. «Dégager l'esprit», infatti, non vuol dire "attribuire un senso", ma liberare il senso che è nelle cose e che queste appunto ci hanno comunicato. Le cose esprimono. Il punto appare assai più aristotelico che platonico. Il linguaggio e l'arte hanno così ragione d'essere nelle cose stesse e nella relazione con il nostro sé profondo. Si tratta, infatti, de le convertir en un équivalent spiritueP0 •
Convertire in un equivalente spirituale vuol dire esattamente corrispondere al senso che comunicano. La gioia delle sensazioni descritte - questo non vuol dire che Proust non parli del dolore, che anzi lascia i segni più profondi e importanti nel libro interiore dell'anima - deriva, dunque, dalla sensazione del reale ritrovato. Questo movimento profondo è caratterizzato da una proporzione infallibile di luce e ombra, rilievo e omissione, ricordo e oblio, che la memoria o l' osservazione coscienti ignorano del tutto. La lettura di questo libro interiore dei segni sconosciuti, consiste en un acte de création où nul ne peut nous suppléer ni meme collaborer avec nous31 .
Il legame tra il sé profondo e il senso delle cose trasmesso dalle sensazioni è iscritto in una memoria che appartiene a me e solo a me, che solo io posso decifrare. Il tema tocca un punto fondamentale, affrontato anche da Kant nella Kritik der Urtheilskra/t. L"'universalità" della creazione artistica, come del godimento e del giudizio estetico, si basa proprio sul riconoscimento dell'individualità. A ragione qui Proust osserva che, per sottrarsi a questo difficile compito, gli scrittori e gli artisti si rifugiano nei grandi awenimenti esterni, come le crisi politiche o le guerre. L'arte è invece ciò che c'è di più reale, la più austera scuola di vita, il vero Giorno del giudizio. La "conversione creativa", dunque, consiste nella decifrazione, nella traduzione di questo libro in terio re dei segni trasmessoci dalla realtà:
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Ibid. Ibid. 31 TR, p. 186. 30
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IL VOLTO EL' ALLEGORIA DELLA STORIA
Ce livre, le plus pénible de tous à déchiffrer, est aussi le seul que nous ait dicté la réalité, le seul dont l'