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Italian Pages 347 Year 2020
Maria Teresa Pansera
La specificità dell'uniano Percorsi di antropologia_filosofica
A Matteo, Giuliaed Elena,
ilfaturo
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Capitolo I
Antropologiafiloso.fica
1. L'antropol.ogia fil.oso.fica contemporanea Nel complesso e variegato panorama filosofico del '900, accanto alle grandi correnti del neokantismo, dello storicismo, della fenomenologia, dell'esistenzialismo, del pragmatismo e del neopositivismo, trova spazio un orientamento di pensiero denominato "antropologia filosofica", forse non altrettanto conosciuto e studiato, ma non meno ricco di fecondi stimoli e interessanti spunti di ricerca. Nell'ambito della più generale riJl.essione etico-antropologica, la disciplina si propone di gettare un ponte tra filosofia e scienza incardinandolo sul problema dell'uomo, al fine di presentarne un'immagine globale, la quale permetta all'essere umano di recuperare la comprensione di se stesso e di identificare i suoi tratti caratteristici, la sua natura e il suo posto nel mondo. Mentre in passatosi tentava di dare una risposta al "problemauomo" traendola dal corpo generale di un sistema filosofico già strutturato, impostando cosl la questione antropologica alla luce dei problemi metafisici, ontologici, etici e gnoseologici, soltanto nei primi decenni del '900 si è avvertita l'esigen?.a di dare una risposta diversa all'interrogazione radicale sull'uomo, tenendo conto sia del rapido sviluppo delle scienze, sia dell'esi-
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gen7.a della filosofia di ribadire la propria competen7.a su un problema tanto specifico quanto essenziale. Di fronte alla "domanda sull'uomo", che da sempre la lìlosofia si è posta, l'antropologia lìlosofica vuole difendere la sua funzione critica e metodologica nei confronti di tutte quelle scien7..e che trattano alcuni aspetti dell'essere umano e pretendono di occuparsene in esclusiva Tenendo conto di una prospettiva biologica, tecnico-scientifica, politica, religiosa, economica, linguistica, socio-et>a impedito ogni conoscenza d&a pienezza del mondo morale, con le sue qualità e le sue relazioni; Scheler con la sua Etica materiale del valori =le realizzare unafondazione contenutistica dell'etica che gli permetta di superare la t>tU/tezza del formalismo kantiano, pur ccnseroando il suo rifiuto di ogni condizionamento relatit>istico, utilitaristico e eudemonistico d&a morale.
Tanto poco i nomi dei colori connotano mere proprietà di cose corporee -sebbene nell'intuizione naturale del mondo le mani • Da M. Scheler, li formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, cit., PP· 32-35, 38-39, 42-45.
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festazioni cromatiche vengano per lo più osservate con precisione solo in quanto servono da tratti distintivi delle differenti unità costituite da cose corporee - altrettanto poco i nomi dei valori designano le mere proprietà di quelle unità date in forma di cose che de6niamo come beni. Esattamente come è possibile osservare il rosso anche sotto forma di una mera «qualità» estesa (ad es. nella purezza del colore spettroscopico) senza concepirlo come rivestimento di una superficie corporea, ma come pura superficie o con6gurazione spaziale generica, cosl è possibile rilevare, in linea di principio, valori del tipo: piacevole, stimolante, grazioso, amichevole, sublime, nobile, sen7.a rappresentarli quali proprietà di cose o di uomini. Cerchiamo di provare quest'affermazione riferendoci anzitutto ai valori più semplici della sfera del piacevole sensibile, nella quale è ipotizzabile la più stretta connessione tra la qualità assiologica ed il relativo supporto reale. Il sapore di ciascun frutto è connesso ad un particolare tipo di gusto. Lo stesso sapore, ad es. quello della ciliegia, dell'albicocca, della pesca, non si dissolve nelle diverse sensazioni provate nel gustare, nel vedere e nel toccare. In ciascuno di questi casi il sapore presenta una qualità specificamente diversa; non sono quindi i complessi di sensazioni tattili, visive o gustative provate nel singolo caso e nemmeno le molteplici proprietà che si manifestano nella percezione del singolo frutto a differenziare la specificità qualitativa del gusto. Le qualità assiologiche che caratteriZ7.ano in questi casi il «pi~cevole sensibile» sono autentiche qualità del valore stesso. E fuor di dubbio che le possiamo cogliere, a condizione che ne abbiamo la capacità e l'arte, sen7.a riferirci all'immagine ottica o tattile del frutto o connessa ad una funzione sensoria diversa da quella del gusto, per quanto possa poi risultare difficile distinguere un frutto dall'altro sen7.aawalerci, ad es., dell'odorato, qualora vi fossimo abituati. Il non intenditore potrebbe avere delle difficoltà già nel distinguere al buio
il vino bianco da quello rosso. Questo ed altri fatti dello stesso genere, ad es. l'incapacitàdi differenziare le percezioni del gusto senza ricorrere ali'odorato, provano semplicemente quanto sia articolato il livello di assuefazione dei singoli individui e l'abitudine di cogliere e registrare i vari gusti in un unico modo. Quanto però vale già in questa sfera vale ancor di più in quegli ambiti di valore al di fuori della sfera del piacere sensibile. In questa sfera, infatti, i valori-sono intimamente connessi al mutare delle nostre condizioni ed alle singole cose che le provocano. È comprensibile che anche per questa ragione a livello linguistico non si siano affermate particolari connotazioni di tali qualità assiologiche, differenziate piuttosto in riferimento ai loro supporti reali (ad es. la piacevoleZ7.a del profumo delle rose) oppure in riferimento al fondamento della singola sensazione (ad es. la piacevolezza del dolce, la sgradevolezza dell'amaro).
È certo, ad es., che i valori estetici connotati dai termini grazioso, affascinante, sublime, bello ecc. non sono mai concetti realizzati nelle comuni proprietà delle cose portatrici di questi valori. Ne fa prova il fatto che, se tentiamo di afferrare queste «proprietà comuni», in ultimo ci viene a mancare il referente reale. Queste proprietà comuni sono rilevabili solo se rapportiamo le cose ad un concetto di natura non assiologica, se ci chiediamo ad esempio quali siano le proprietà comuni a vasi o a fìori graziosi oppure a cavalli di razza. I valori di questo tipo non sono perciò defìnibili. Nonostante essi si presentino indubbiamente come «oggetti», devono manifestarsi come inerenti a determinate cose affinché queste stesse cose possano venir indicate come «belle», «graziose», «affascinanti». Ciascuno di questi termini condensa una serie qualitativamente graduata di fenomeni assiologici nell'unità d'un concetto di valore; quest'ultimo non si riferisce tuttavia a proprietà assiologicamente indifferenziate, che solo per il fatto di darsi nel loro
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insieme come costanti ci presentino come reale la parvenza d'un autonomo oggetto di valore. Lo stesso dicasi per i valori che appartengono alla sfera etica. Il fatto che un uomo o un'azione siano «nobili» o «volgari», «coraggiosi» o «vili», «puri» o «colpevoli», «buoni» o «cattivi» non è accertabile grazie alla semplice costanw. delle proprietà attribuibili alle cose o agli eventi relativi, né questi valori sussistono in queste proprietà È sufficiente talvolta un'unica azione o un unico uomo perché possiamo cogliervi l'essenza di questi valori. Viceversa, ogni tentativo di fissare un tratto comune per indicare ad es. il bene ed il male al di fuori della sfera dei valori comporta non solo un errore di carattere gnoseologico, ma anche un grave abbaglio morale. Ogniqualvolta si sia osato indicare il bene od il male ricorrendo ad un contrassegno extraassiologico, cioè a determinate qualità e proprietà umane fisiche o psichiche, all'appartenenza ad un ceto o ad un partito, e si sia conseguentemente parlato «di buoni e di giusti» oppure «di cattivi e di ingiusti» come d'una classe oggettivamente definibile e determinabile, si è necessariamente scaduti in una sorta di «fariseismo», scambiando i possibili portatori del «bene» e le loro caratteristiche comuni (in quanto meri portatori) con gli stessi valori corrispondenti e con l'essenza dei valori di cui erano un semplice supporto. Il detto di Gesù: «Nessuno è buono se non Dio stesso» (alla cui essenza inerisce la bontà) sembra avere semplicemente il senso di porre in evidenza questo dato di fatto contro i «buoni e giusti». Esso non intende affermare che nessuno è buono, nel senso che nessuno possa avere proprietà buone, ma piuttosto che il «bene» stesso non può mai consistere in una proprietà umana concettualmente determinabile: ha un significato opposto a quello attribuitogli da tutti coloro che intendono separare i buoni dai cattivi come le pecore dai capri, cioè secondo tratti caratteristici reali inerenti alla sfera della rappresentazione (il che costituisce l'eterna forma categoriale del fariseismo). Per formulare un'adeguata
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definizione del valore non è mai sufficiente far astrazione dai tratti e dalle proprietà non pertinenti alla sfera dei fenomeni assiologici; è necessario invece che lo stesso valore definito si dia in quanto tale nell'intuizione o che si presenti come un dato correlato a quest'intuizione. È privo di senso ricercare i tratti comuni a tutte le cose azzurre o rosse, poiché l'unica risposta possibile è che esse sono appunto azzurre e rosse; analogamente, è privo di senso cercare le proprietà comuni di azioni, intenzioni, uomini ecc. buoni o cattivi. In base alle riflessioni sinora condotte si può quindi affermare che vi sono qualità di valore autentiche e vere, caratteri7.7.ate da relazioni e contesti partirolari, che costituiscono un ambito specinco di oggetti e che possono, proprio in quanto qualità di valore, occupare una posizione superiore o inferiore ecc. Se ciò è vero, possono sussistere tra loro un ordine ed una gerarchia esperibili «a priori» poiché del tutto indipendenti dal!'esistell7.a di un mondo di beni in cui si manifestano, come pure dall'evoluzione e dalla trasformazione di un tale mondo nella storia. Tutti i valori, anche i valori «buono» e «cattivo», sono qualità materiali, ordinate reciprocamente secondo un rapporto di «superiorità» e di «inferiorità» ed indipendenti dalla forma d'essere in cui si presentano, ad esempio dal fatto di manifestarsi come pure qualità di oggetti, o come componenti di strutture assiologiche(]' esser-piacevole o l'esser-bello di qualcosa) o come momenti parziali di beni o come il valore «che una cosa ha». Questa indipendenza assoluta dell'essere dei valori da cose, beni, strutture reali si manifesta chiaramente in una serie di dati di fatto. Conosciamo uno stadio della comprensione assiologica in cui il valore di una cosa ci si manifesta con chiare7.7.a ed evidenza senza che ci siano dati i supporti di questo valore. Un uomo ci risulta, ad es., ributtante o sgradito ovvero piace-
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vole e simpatico, anche se non siamo in grado di sapere da che cosa ciò dipenda, analogamente riteniamo da lungo tempo una poesia od un'altra opera d'arte «bella» o «brutta», «sublime» o «volgare» sen2:a minimamente sapere a quali proprietà sia dovuta l'immagine concreta che ce ne facciamo. In questo senso una località o una stan1.aod il soggiorno in un luogo possono risultare «piacevoli» o «tediosi» sen7.a che ci siano noti i supporti di questi valori. Tutto ciò vale egualmente per realtà di natura fìsica e psichica. Né l'esperien7.a assiologica, né il suo grado di adeguazione e di eviden2:a (ove cioè l'adeguazione venga intesa «stricto sensu» come «pura datità» ed eviden2:a) risultano essere in un qualche modo condizionati dall'esperien2:a dei supporti di quei valori. Anche il significato dell'oggetto - «ciò» che esso è in questa prospettiva (il fatto, ad es., che un uomo sia maggiormente «artista» o «filosofo») - può oscillare notevolmente sen7.acoinvolgere minimamente il valore. In tali casi è assolutamente evidente che i valori - nel loro essere - sono indipendenti dai rispettivi portatori: sia dalle cose, sia dai fatti. La capacità di distinguere tra i valori dei vini, ad es., non presuppone affatto la conoscen1.a della composizione e dell'origine di questa o quell'uva o del tipo di pigiatura. Analogamente gli «stati assiologici» non sono i meri valori ikgli «stati delle cose». Esse cioè non ci si presentano a condizione che conosciamo le strutture reali. Il fatto che un determinato giorno nell'agosto dello scorso anno sia stato «meraviglioso» può essere percepito sen2:a essere contemporaneamente posto in correlazione al fatto che in quel giorno ho ricevuto la visita di un amico particolarmente caro. È come se nella sfumatura assiologica d'un oggetto (dato, ricordato, atteso, immaginato o percepito) si presentassero sia l'elemento originario che di esso ci colpisce, sia il valore del singolo insieme cui il dato inerisce come parte o componente. Questa sfumatura è, per così dire, il «medium» attraverso cui l'oggetto sviluppa pienamente il proprio contenuto come immagine o il proprio significato come concetto. In un
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certo senso, il suo valore lo precede: è il primo «messaggero» della sua natura specifica. Anche qualora l'oggetto si presenti come privo di chiare7..za e distinzione, il valore può manifestarsi già come chiaro e distinto. Nella conoscenza dell'ambiente, ad es., cogliamo dapprima sia l'insieme non ancora analizzato, sia il valore del dato in riferimento a quest'insieme; nel valore dell'insieme cogliamo poi i valori parziali «inerenti» ai singoli oggetti della rappresentazione.
Una cosa naturale, data alla percezione, può essere portatrice di un qualche valore ed essere in tal senso una cosa dotata di valore, se la sua unità come «cosa» non è costituita dall'unità di una qualità assiologica, ma possiede solo accidentalmente un valore, allora essa non è ancora un «bene». In tal caso potremmo definirla come «ccsa-real,e,> - ricorrendo ad un termme con cui connotiamo le cose in quanto oggetti correlati ad un'esperien7..a vissuta e fondata su un valore nonché ad una capacità di disporne come oggetti del volere. La nozione di proprietà presuppone, ad es., «cose reali», non semplici cose in séo beni. Il bene invece è una cosa-di-oolore.
La differenza tra le unità delle cose e le unità dei beni risulta particolarmente chiara nel fatto che, ad esempio, un bene può esser distrutto senza che con ciò venga annientata la cosa in cui si manifesta lo stesso oggetto reale (si pensi allo sbiadimento dei colori di un quadro, cioè di un'opera d'arte). Una cosa, inoltre, può venir suddivisa, mentre lo stesso oggetto reale in quanto «bene» non viene suddiviso ma annientato, potendo anzi rimanere illeso se la suddivisione non tocca l'essenza di ciò che lo caratterizza come bene. La trasformazione dei beni non è quindi identica alla trasformazione degli stessi oggetti reali in quanto cose, e viceversa. Solo nei beni i valori divengono «reali». Non lo sono ancora nelle cose dotate di valore. Nel bene il valore è al contempo
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oggettivo (come lo è sempre) ereale. Con il darsi di ogni nuovo bene si verifica una vera crescita di valore del mondo reale. Le qualità assiologiche sono invece «oggetti ideali» come le qualità dei colori e dei suoni. In altri termini, si può dire che beni e cose sono dati egualmente originari. Questo principio esclude due possibilità. Esclude, in primo luogo, la possibilità di riportare l'essenza della cosa, la «cosalità», ad un valore, riconducendo tutte le unità-della-cosa ad unità-di-beni. Questo tentativo è stato compiuto ogniqualvolta si sia riportata l'unità della cosa ad un'unità comprensiva, in termini meramente «economici», dei contenuti della sensazione (Emst Mach) o all'unità della «fruibilità», della «dominabilità» o simili (es. H. Bergson), oppure qualora si sia ritenuto di poter concepire la cosa come una mera «richiesta» di riconoscimento identificandola, esplicitamente od implicitamente, con un contenuto emotivo partecipato. Secondo queste teorie, la semplice materia dell'intuizione non si configura come cosa indipendentemente da valori d'un determinato tipo, ma solo grazie a sintesi precedentemente operate in riferimento a valori. La cosa sarebbe in sé una semplice unità di valore. A prescindere da altri errori, qui viene scambiato evidentemente ciò che costituisce le particolari unità delle cose nella visione naturale del mondo con l'essenza di questa forma dell'unità, cioè con lacosalità. Il riferimento ai valori è possibile per comprendere le unità delle cose, non la cosalità. Secondo una prospettiva genetica il problema sembra porsi nei seguenti termini: nella visione naturale dei mondo gli oggetti reali non si manifestano, «in un primo tempo», né come pure cose, né come puri beni, bensl come «cose-reali»: sono cose unicamente in quanto sono dotate di valore, cioè essenzialmente utili; è tuttavia muovendo da questo centro, per cosi dire, che si è successivamente passati dalla sintesi alle pure cose (facendo espressamente astrazione da tutti i valori) ed ai
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puri beni (facendo espressamente astrazione dalla loro mera natura di cose). Viene così, però, parimenti respinta l'opinione secondo cui i «beni» debbano essere considerati come mere «cose dotate di valore». Per i beni è infatti essenziale che il valore non si manifesti come semplicemente costruito sulla cosa perché, in un certo senso, essi devono essere invece completamentepermeati dal valore: l'unità di un unico valere orienta la fusione di tutte le altre qualità rilevabili nel bene (sia delle altre qualità assiologiche, sia di quelle non assiologiche, come forme, colori ecc., se si tratta di beni materiali). L'unità dei beni è fondata su un determinato valore che - in un certo senso - occupa nel bene la «posizione» della fisicità, senza peraltro «rappresentarla». In un mondo con le stesse qualità le cose potrebbero quindi essere totalmente diverse da ciò che sono e nondimeno il mondo dei beni rimarrebbe lo stesso. Il mondo delle cose naturali non esercita mai ed in nessun ambito di beni una funzione definitoria o semplicemente limitativa nella configurazione del mondo dei beni. Il mondo è così, originariamente, sia un «bene» che una «cosa». Ogni sviluppo del mondo dei beni non è quindi mai una mera continuazione dello sviluppo delle cose naturali, né viene condizionato dal loro «orientamento evolutivo». Ogni formazione d 'un mondo di beni viene orientata piuttosto, in ogni suo aspetto, da una qualche gerarchia dei valcri, come avviene, ad es., nell'arte di una determinata epoca. Sia nel rapporto gerarchico esistente tra i beni, sia in ogni singolo bene si riflette pertanto la gerarchia dominante. Questa gerarchia di valori non definisce univocamente il singolo mondo di beni. Esso ne delimita l'ambito di possibilità, al di fuori del quale non può verificarsi una formazione di beni. Rispetto al singolo mondo di beni essa è quindi a priori. Ueffettiva formazione di determinati beni dipende dal)' energia che viene investita in essi, dalle capacità degli uomini che li formano, dal «mate-
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riale,,, dalla «tecnica» e da innumerevoli altre circostanze. La formazione di un mondo di beni non è però mai comprensibile ove si tengano presenti solo questi fattori, senza cioè riferirsi al riconoscimento di quella gerarchia di valori come qualità ed all'attività che vi è orientata. I beni esistenti sono sottoposti, in sé, al dcminw di questa gerarchia, che non costituisce peraltro una astrazione da essi o una loro conseguenza. Questa gerarchia di valori è una gerarchia materiale, un ordine di qualità assiologiche; essa, poi, non essendo assoluta, ma solo «dominante>>, si manifesta nelle regole di preferenz.a delle qualità assiologiche che animano la singola epoca. I sistemi di queste regole preferenziali sono definibili come «stile,, nella sfera dei valori estetici e come «morale,, nella sfera dei valori pratici. Anche in questi sistemi si manifesta un processo di evoluzione e di sviluppo. È uno sviluppo, però, del tutte diverso da quello del mondo dei beni e varia indipendentemente da esso. In base alle affermazioni precedenti risulta chiaro il punto di cui si tratta. Da un lato, ci riferiamo al principio che Kant ha giustamente posto in eviden7.a e che viene qui generalizzato: «Nessuna dottrina filosofica dei vtÙori, sia essa l'etica o l'estetica ecc., può presupporre dei beni e, tanto meno, delle cose». È chiaro però, d'altro lato, che è comunque possibile scoprire una serie materiale di valori, ed in essa un ordine, del tutte indipendente ed a priori rispetto al mondo dei beni ed alle sue mutevoli configurazioni; è pertanto completamente erroneo dedurre dalla grande intuizione kantiana, ora citata, l'affermazione che ogni contenuto dei valori non etici (ed estetici) dipenderebbe per essenza e rapporto gerarchico dal)'«esperienza» (intesa come induzione),mentre per i valori etici (ed estetici) si darebbe solo una legge formal.e, capace di astrarre da ogni valore come qualità materiale.
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2. Max Sche'ter. Scala dellemodalità delvalore 0 Prendendo le mosse dall'intuizione emozionale del valore, Scheler giunge a tracciare una scala gerorchica serondo cui si collocano i valmi. Questi ultimi, infatti, non sono tutti sullo stesso piano, ma si dispongorw serondo un ordinamento che va dai più alti ai più bassi. C'è un or