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Italian Pages 590 Year 1973
clas e
Pietro SECCHIA
e
storia
mazzotta editore
LA RESISTENZA ACCUSA 1945-1973
Storia
e
Classe 1
PIETRO SECCHIA
LA RESISTENZA ACCUSA 1945-1973
Gabriele Mazzotta editore
© 1973, Gabriele Mazzotta editore Foro Buonaparte 52 20121 Milano -
Disegno per la copertina di Cosimo Ricatto
INDICE
Premessa dell’Editore 1945 Rinnovamento Per l’unità delle forze progressive Autorità e libertà Che cos’è la Consulta
.
.
1946 e bastone Sradicare il fascismo
Mitra
.
.
1947 Libertà per i fascisti
.
Partigiano ascolta! 1948 Sulle orme di... Dolfuss La loro democrazia: « catturare e uccidere NATO nel sangue Bilancio dello sciopero generale
»
1949 Sulle orme del fascismo. La liberazione di La Resistenza accusa
Borghese
.
1950 Politica della strage Fronte unico della gioventù .
.
1951 Uniamoci contro il governo che
calpesta
la Costituzione
1952 La Resistenza italiana
-
Nord
e
Sud
»
.
Matteotti Questa è l’ora
» »
131 147 150
1953 La Le
nostra
parole
lotta per la libertà, la pace e
e
la Costituzione
i fatti del governo Pella
» »
.
155 199
1954 La Resistenza e il governo Sceiba e storia della Resistenza
Problemi
.
»
.
»
223 246
»
277
»
285
»
289
»
299
»
305
»
315
» »
339 342
»
345
»
357
»
391
1955 lì partito nuovo sorto dalla Resistenza L’unità e l’azione
.
1956 La bandiera della Resistenza
.
1957 La condanna di Gemisto-Franco Moranino
.
1958
Agire
per la pace
.
1959 Resistenza
e
Risorgimento
1960 Celebrazione della Resistenza durante la battagli?
con¬
il governo Tambroni Un cadavere ambulante tro
1961 Contro la
politica
del governo delle
«
divergenze
»
1962 La
generazione di
Porto
Longone
.
1963 Dove
va
la Grecia? L’assassinio di Grigorios Lambrakis
1964 La Fiat nella Resistenza La Resistenza beatificata 6
.
»
.
»
395 438
1965 Guerra sulle rotaie Per una solidarietà attiva
con
i
partigiani
e
del Vietnam
popolari
»
449
»
458
»
467
le forze
1966 Dibattito
e
democrazia
1967 Stato
e
Leggi
eccezionali
polizia
» -
Colpo
di Stato
»
.
473 484
1968 Commemorazione di Che Guevara La Costituzione e i rapporti tra i cittadini
»
501 508
»
527
»
537
»
541
»
553
»
579
»
593
»
e
lo Stato
1969 Lottare
contro
il fascismo. Democratizzare le forze
armate 1970 La storia
dei
re
.
1971 La realtà del
1943-’45
1972 I
corpi
armati dello Stato
dopo
la Liberazione
.
1973 Unità
e
lotta
Appendice: Secchia,
contro
una
il fascismo
.
vita al servizio del
popolo
.
1940, Confino di Ventotene. Da sinistra in piedi: Giuseppe Alberganti, Battista Santià, Gino Menami (.medaglia d moria, comandante delle formazioni Nord Emilia) Da sinistra seduti
:
e
Giulio Turchi.
Nello Poma. Umberto Macchia. Pietro Secchia.
oro alla me
PREMESSA dell’Editore
In una lettera del 10 giugno 1973 Pietro Secchia ci scriveva: Caro Mazzotta, ho terminato il lavoro per il volume La Resisten¬ za accusa. Ma mi sono sottoposto ad uno sforzo quale i miei me¬ dici proibiscono assolutamente. » Andammo a Roma a metà giu¬ gno e Secchia ci consegnò il volume il giorno prima che entrasse «
in
clinica il 7
morto
per
luglio.
una
vigorosa
Il male
dove sarebbe si sperava intaccato il suo fisico ma non la
cura
aveva
sua tempra di lavoratore: ad ogni costo aveva voluto proseguire e concludere questa sua ultima fatica. « Come vedrai è venuta una cosa seria; è una specie di storia di 30 anni », scriveva nella stessa lettera, aggiungendo: « non pochi di questi documenti li ho fatti seguire da delle note per spiegare quale era la situazione politica in cui quel tale articolo o saggio è stato scritto, qual’era il governo contro il quale quel tale discorso è stato fatto e che cosa rappresentava quel governo. Il solo incon¬ veniente è che sono venute oltre 600 pagine dattiloscritte... ma non
proprio che questo possa essere Rileggendoci a voce alcuni brani con le note
mi sembra
un
inconvenien¬
appena ultimate, desiderio di fornire ai gio¬ ci del lavoro col egli spiegò l’ampiezza vani un quadro storico di trentanni entro il quale fossero aiutati
te.
»
chiaramente nell’orientare
una
di indicazioni sulla Resistenza steva
scuole
crescita politica così spesso sfornita e sui più recenti accadimenti. Insi¬
sull’uso del libro per i giovani, anche ufficialmente nelle laddove possibile. Ci raccomandò di tenere diceva
per questo il prezzo
basso,
e
noi
pensiamo di averlo
accontentato.
Parlava di tutto, appassionatamente, quasi volesse comprimere nello spazio di un giorno tutto un passato di grandi esperienze, nell’intuizione forse di un breve futuro. Ci parlò della gravosa opera con noi intrapresa riguardante Stalin e la sua epoca, ci indicò la linee attraverso le quali la ricerca si stava muovendo, I
ricca di straordinari documenti
e ricordi. « Nel contratto abbiamo stabilito la consegna alla fine del dicembre 1974. Farò quanto mi è possibile per farcela » ci aveva scritto quando il male era
agli
inizi. Nella sua grande biblioteca ci mostrò quindi un opuscolo del 1949 intitolato La Resistenza accusa la cui copertina rappresentava un partigiano ferito aggrappato a un tricolore. « È un’immagine osservammo suggestiva potremmo usarla per la coperti¬
na;
quel tricolore... oggi forse la bandiera avrebbe potuto
ma
che essere do e parlò «
denza
»
Secchia
d’altro, riponendo
o
metà
luglio
scosse
ma
questa
non
promise congedandoci
ci sarò più, bah, vedete un po’ magari che prima di diventare un
non
dandovi
an¬
la testa, ci fissò sorriden¬ gelosamente il fascicolo.
consegnerò la prefazione,
Vi
giugno
tinta unita.
a
sarà
lunga,
entro
per coinci¬ d’arrangiarvi voi, ricor¬ uomo
e
se
di lettere
ero un
d’azione. »
uomo
Così, scherzando sore, «
ancora una
Arrangiarsi
con la morte, Secchia ci accompagnò all’ascen¬ volta infaticabile Botte.1 » è però difficile; come è possibile introdurre ciò
così chiaramente, col suo linguaggio a tutti accessibile Non sono certo sufficienti i vecchi ricordi dei “compagni d’arme", dei dirigenti del Partito, per presentare le sue parole che nascono da una continua azione, da chi il Partito lo ha costruito
che Secchia
spiega?
giorno per il
per
giorno
proletariato
la. Anche *da «
accusa »,
è
in condizioni terribili. Secchia ha combattuto per oltre
cinquant’anni
senza
chiedere mai nul¬
scritti chi è fermo. La parola Resistenza. Perché egli ha scelto questo
morto accusa con i suoi
qui legata
a
titolo? La Resistenza, accusa chi? Dal capitolo che dà il titolo al libro abbiamo riportato questo interrogativo: « In quale misura la democrazia è stata consolidata in Italia? Quanti passi in avanti stati fatti per debellare il fascismo, per consolidare la Repub¬ blica, per dare maggior benessere agli italiani, per valorizzare quel¬ sono
le forze che per fare libera l’Italia hanno sofferto e combattuto...? » Ecco che, a quasi trent’anni di distanza, l’interrogativo si fa dram¬ matico; le masse popolari sono vittime degli stessi oppressori di ieri; le lotte operaie, contadine e studentesche subiscono gli stes¬ si crimini, l’apparato dello Stato è al servizio del capitale e dei mo¬
nopoli
che nella DC
trovano
la loro
principale espressione.
Pseudonimo sotto il quale Secchia condusse la sua battaglia. Fu tro¬ da Longo come diminutivo di Bottecchia, il popolare corridore italia¬ no di quegli anni, e fu affibbiato a Secchia per la sua instancabile attività militante. 1
vato
lì
Un
gli scritti e li anima: la preoc¬ di studiare attentamente il variare, in trent’anni, cupazione delle contraddizioni, i mutamenti dei rapporti di forza, per indivi¬ duare sempre meglio il nemico principale e il modo migliore per nesso
unitario percorre tutti
costante
combatterlo, rafforzando la più larga
unità delle
popolari
masse
alla classe operaia. Da ogni scritto, da ogni discorso, emer¬ ge questa continua preoccupazione di condurre una analisi concre¬ ta della situazione concreta sulla base dei principi fondamentali del marxismo-leninismo. In ciò, soprattutto, Secchia fu discepolo di Lenin e nessuno riuscirà mai ad offuscare la capacità che egli ebbe attorno
di
essere
interprete
tra i
più conseguenti
e
creativi del
suo
inse¬
gnamento. Parlando ai
giovani nel 1950, nel periodo della feroce reazione dalla DC, Secchia diceva: Quando avviene di essere battuti, noi comunisti non abbiamo altro da fare che riprendere la lotta per andare avanti. » (p.lOO) Qui non c’è solo la irriducibile tenacia del combattente rivoluzionario, del dirigente co¬ munista. C’è l’appello ai giovani (che egli ha sempre considerato « resistenti », continuatori della Liberazione) affinché si impadroni¬
antipopolare guidata
«
degli insegnamenti della Resistenza e delle lotte successive facciano arma nella difficile lotta per il socialismo. Il nuovo nasce dal vecchio. I discorsi e gli scritti qui raccolti racchiudono un patrimonio scano
e
ne
storico
e
teorico soprattutto, il cui
rafforzare le lotte
operaie
e
apprendimento è decisivo popolari di oggi e di domani.
per
IlIl punto di partenza è costituito dalla riflessione scientifica ciò che veramente fu la Resistenza.
Secchia inchioda
sia la tesi cosiddetta della rivoluzione
«
mancata
»
senza
a
scampo
tradita », l’instaurazione o
«
secondo cui la guerra partigiana non si concluse con del socialismo mentre ciò sarebbe stato possibile, sia la tesi
piamente propagandata oggi da chi vuole
su
tutti i costi
am¬
giustificare
la propria ansia di collaborazione con la DC secondo la quale la unità tra le forze della Resistenza fu l’elemento assolutamente prin¬ cipale, senza vedere chi fu alla testa del movimento e chi invece ne era alla coda e lavorava attivamente per distruggerlo. lì programma vero della Resistenza non era il socialismo. La maggior parte dei combattenti alla macchia e degli operai che scio¬ peravano sotto la repressione delle SS e dei repubblichini, si bat¬ tevano per creare, una volta crollato il fascismo, un regime di de¬ capace di intaccare le radici economiche del
mocrazia
progressiva,
fascismo
(monopoli industriali,
concentrazioni
finanziarie, grande III
proprietà agraria), capaci di attuare radicali riforme sociali e di de¬ mocratizzare le strutture dello Stato in modo tale che la classe ope¬ raia e le masse popolari divenissero protagoniste della vita naziona¬ le. Si concepiva, giustamente, una fase intermedia di transizione al socialismo, che verso di esso avrebbe aperto una strada più larga di avanzata. Ma non tutte le forze che agivano nella Resistenza lotta¬ vano
per questa
prospettiva. C’era chi (democristiani
e
liberali) agi¬
l’intento esplicito di frenare e sabotare il movimento, lavo¬ rando perché la struttura dello Stato restasse pressocché invariata dopo il crollo del fascismo e perché potesse essere ristabilito lo diversi rispetto strapotere dei monopoli sia pure negli aspetti alla dittatura fascista della ipocrita e formale democrazia bor¬ ghese. Erano queste le forze che predicavano l’attesismo, che aspet¬ tavano la liberazione solo dagli Alleati e che, una volta cresciuto impetuosamente il movimento, si opponevano all’insurrezione. Que¬ ste forze erano terrorizzate alla sola idea del popolo in armi. va con
Tutte le classi sociali hanno partecipato alla Resistenza, ma nella stessa misura e nella stessa posizione. » (p. 396 ) non è « lì carattere di un movimento [la Resistenza (N.d.R.)] dato soltanto dalla somma dei diversi ceti e gruppi sociali che vi parteciparono, ma soprattutto dalle forze che lo mossero, lo dires¬ sero e, imprimendogli impulso e slancio, lo portarono avanti supe¬ rando le difficoltà, gli attriti e i contrasti. » (p. 397 ) Rivolto ai democristiani, Secchia afferma nel 1954: « La Resi¬ «
non tutte
stenza non
vi
appartiene.
La Resistenza
del PCI,
senza
non
»
(p.
227)
ci sarebbe
siala
senza
la presenza dei socialisti
e
la
degli
guida
rivoluzionaria
azionisti.
della DC, la cui esistenza è del tutto evidente per i revisionisti contemporanei, Secchia non la in¬ contrò mai nella Resistenza né dopo (non a caso una simile defini¬ zione non si trova nel libro). Tra i dirigenti del PCI, egli fu colui che senz’altro con maggiore subito prontezza capì il mutamento che la DC andava compiendo dello all’interno frenante dopo la Liberazione, da forza moderata e schieramento antifascista, a forza reazionaria e antipopolare aperta¬ mente a servizio dei monopoli, degli agrari e dell’imperialismo USA. Lo svuotamento di potere dei CLN, la forsennata persecu¬ zione dei partigiani, le stragi di contadini e di operai, il manteni¬ sono i mento della impalcatura dello Stato e delle leggi fasciste, Le presunta
temi
su
cui
con
responsabilità. IV
«
anima
popolare
»
maggior forza Secchia inchioda la DC alle
sue
Nel 1953, essendo già aperta la battaglia contro la legge-truffa, egli affermava al Senato rivolto ai democristiani: « Lo sappiamo tutti che nel vostro partito vi sono anche degli autentici lavoratori, sappiamo pure che purtroppo estendete ancora la vostra influenza su soprattutto per merito dei servizi che vi rende la Chiesa una parte dei lavoratori. Però la politica che il vostro partito e il governo clericale conducono è una politica che difende in pieno e completamente gli interessi dei grandi capitalisti e non quelli de; lavoratori. Potete forse negarlo? E se lo negate diteci quale è il partito che rappresenta nel parlamento e nel paese il grande capi¬ tale. » (pp.171) Si tratta di una definizione scientifica precisa: la funzione stori¬ ca della DC si risolve nell’essere la principale forza politica della grande borghesia, la forza politica dei monopoli i cui interessi por¬ ta avanti contro quelli delle masse che lavorano. Che la DC, nel condurre questa politica, estorca il consenso di settori popolari non significa affatto che al suo interno esista un’anima popolare: significa che essa è lo strumento principale attraverso cui si orga¬ nizza il potere politico dei monopoli, che per reggersi (in ciò sta appunto la « mediazione » democristiana) deve riuscire a legare ai propri interessi parte delle masse popolari di cui è nemico giurato. È a partire da. questo punto fermo che si pone il problema della alleanza e della conquista delle masse cattoliche alla prospettiva del socialismo. Il problema delle alleanze si pone cioè a partire dagli interessi di classe e dunque il movimento operaio concepisce le al¬ leanze come unità delle masse popolari contro il nemico di classe, non come unità con esso e le forze politiche che ne rappresentano interessi. Per chi si pone sulla strada del socialismo crediamo che questa questione resti il punto essenziale all’ordine del giorno nella situa¬ zione politica del nostro paese.
gli
Continuo fu l’impegno di denuncia e di lotta da parte di Secchia il risorgente pericolo fascista. Sulla natura del fascismo egli ribadì a più riprese il giudizio scientifico di Stalin, di Dimitrov, del VII Congresso della III Internazionale. Nel 1953 affermava: « lì fascismo era il sistema di reazione integrale più conseguente del grande capitale, era “ladittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finan¬ contro
ziario".
»
(p.
Nell’epoca
174 )
attuale del crollo
dell’imperialismo,
il fascismo, che V
è
giunto al potere o che cerca di giungervi, è ih ogni caso prodotto monopoli che ad esso ricorrono quando non possono più domi¬
dei
le masse con i tradizionali strumenti della democrazia borghe¬ Naturalmente bisogna rifuggire dalle semplicistiche identifica¬ zioni; una svolta reazionaria può essere una tappa verso il fasci¬ smo, ma non è ancora fascismo, non coincide con esso e Secchia lo precisa: « Non ogni forma di reazione è fascismo. » (p. 174 ) Se il fascismo è prodotto dei monopoli e se la DC è il loro par¬ tito politico, il pericolo fascista nel nostro paese non è estraneo alla politica democristiana. Affermava Secchia nel 1953: « Oggi il MSI od altri movimenti neofascisti costituiscono un pericolo nella misura in cui voi [democristiani (N.d.R.)] li stimolate, li favorite e li proteggete, ma non hanno al loro seguito né delle larghe mas¬ se e neppure sono in questo momento il partito sul quale la gran¬ de borghesia e il capitale finanziario puntano le loro carte prin¬ nare se.
» (p.172 ) Se pensiamo alle vicende più recenti, ajle stragi e alle trame fasci¬ ste, dalla strage di piazza Fontana ad oggi, all’accuratezza con cui la DC e i suoi governi hanno cercato di coprire la matrice di quelle provocazioni antipopolari, al progetto di legge liberticida sul fermo di PS, dobbiamo riconoscere tutto il valore di attualità e di indicazione che quel giudizio conserva.
cipali.
L’esempio di combattente gnamento di Pietro tinuerà a parlare al perché « la "verità" fondo) la stessa che
VI
e di dirigente rivoluzionario e l’inse¬ Secchia vivranno dopo la sua morte. Egli con¬ di là dei silenzi ufficiali e ciò sarà inevitabile per un comunista non è mai (sui problemi di per un socialdemocratico. » (p. 540)
1945
RINNOVAMENTO
1
Nell’imponente manifestazione di forza del 1° maggio, il po¬ polo milanese ha acclamato a gran voce la venuta di Togliatti e di Nenni
a
Milano.
I lavoratori milanesi hanno voluto acclamare in
Togliatti
e
Nenni i rappresentanti delle forze popolari, gli uomini nuovi chia¬ mati dalla volontà degli italiani ad avere una parte attiva e diri¬
gente del governo del nostro paese.2 Nell’esigenza fortemente sentita ed entusiasticamente espressa dai lavoratori milanesi di avere presto un governo di popolo alla testa del quale vi siano uomini del popolo che ne rispecchino i bi¬
sogni, taria,
i sentimenti, le aspirazioni, non c’è alcuna tendenza antiuni¬ c’è alcuna volontà di rottura. Noi vogliamo un’Italia
non
unita, un governo solo, ma lo Stato unitario deve poggiare su di una base democratica e profondamente rinnovata. Il governo deve essere un governo del popolo, espressione della volontà del po¬
polo. Nessuno può disconoscere che i più grandi centri dell’Italia del Nord siano stati liberati dall’insurrezione popolare vittorio¬ sa, dal valore, dall’eroismo, dal sangue dei partigiani e dei lavo¬
ratori. L’insurrezione popolare ha vinto ed ha vinto con la lotta. È lotta cruenta nella quale sono caduti con le armi alla mano centinaia e centinaia dei migliori figli del nostro popolo. Solo a Torino nelle giornate gloriose i caduti sono stati oltre quattrostata
cento. [Accenno alla lotta nelle diverse città.] La stessa radicale e cruenta epurazione di questi giorni è stata una fase della lotta
11 Articolo di fondo de settentrionale.
«
l’Unità », 4 maggio
1945, edizione dell’Italia
9
armata
popolare,
è stata parte ed
epilogo
dell’insurrezione nazio¬
nale vittoriosa. L’epurazione non è finita e non deve considerarsi finita. Nel¬ la fase culminante dell’insurrezione il popolo ha fatto giusti¬ zia sommaria dei più noti traditori della patria, dei caporioni del banditismo fascista. Ma l’epurazione non si esaurisce con alcune decine di con¬ danne a morte, ed epurazione non significa necessariamente con¬ danna a morte. L’epurazione deve continuare, deve continuare con tutte le ne¬ cessarie garanzie di scrupolosità e di giustizia, ma deve conti¬ nuare. Non si può ricostruire il paese senza epurarlo. Gli agenti dello straniero devono essere cacciati dalle officine, dagli uffici,
dall’amministrazione pubblica, dall’esercito, dalla polizia, dalle scuole. Epurazione significa eliminazione dai posti di direzione di tut¬ le forze reazionarie, antidemocratiche, antipopolari, qualunque ammantano. Ed oggi i fascisti cercano di nascondersi sotto il manto di altri movimenti politici. Non guar¬ dare solo al distintivo. Oggi non c’è più nessuno che osi portare il distintivo fascista; ma i fascisti non sono tutti scomparsi. I nemici dei lavoratori, i reazionari di tutte le risme si sforzano di coalizzarsi. Non dobbiamo dare loro tregua, dobbiamo smasche¬ rarli, metterli nell’impossibilità di nuocere al paese. L’epurazione deve essere alla base della ricostruzione del pae¬ se. Gli operai, i tecnici, gli impiegati non potrebbero lavorare te
sia la veste di cui si
con
ardore, sopportare
nostre città, delle
nostre
nuovi sacrifici per la ricostruzione delle fabbriche, dei nostri villaggi, se ai posti
di direzione delle grandi aziende che continuassero
a
e delle amministrazioni pubbli¬ sedere coloro che hanno tradito e rovinato
l’Italia. Uomini nuovi,
gli
uomini che hanno fatto di
tutto
per
impedire la rovina d’Italia, gli uomini che sempre hanno com¬ battuto il fascismo, questi devono èssere chiamati oggi ai posti di responsabilità. L’acclamazione degli operai milanesi a Togliat¬ ti ed a Nenni ha questo preciso significato. Il rinnovamento che noi chiediamo *.-on deve limitarsi ad un semplice ed ordinario rimaneggiamento ministeriale, al cambio di qualche persona, ma deve essere una vera e propria svolta parte del governo, anzi era vice-presidente del Con¬ governo Bonomi, ma la nostra lotta per un governo nuovo dopo la Liberazione, era una lotta per avere un governo dei CLN e che rappresentasse le forze e le aspirazioni della Resistenza. 22
Togliatti faceva già
siglio del
10
nella vita politica italiana, deve significare la eliminazione radi¬ cale delle cricche reazionarie dalla direzione del paese, deve voler dire governo del popolo, governo delle forze che sono state Panima e la forza della nostra insurrezione nazionale.
lì
PER L’UNITÀ DELLE FORZE PROGRESSIVE3
È con profondo dispiacere che dopo le lotte comuni di questi due anni constatiamo talvolta da parte di alcuni che parlano a nome dei cattolici o degli amici democratici-cristiani atteggiamen¬ ti che testimoniano l'esistenza, ancora oggi, di ingiustificate diffi¬ denze nei nostri confronti. Noi non pretendiamo certo che altri rinuncino al loro program¬ ma, come noi non rinunciamo al nostro, ma desidereremmo una
maggiore obiettività
e
serenità di
giudizio.
Certi scritti e certi discorsi rivelano come le vergognose calun¬ nie con le quali durante ventanni il fascismo ha cercato di in¬ fangare il partito comunista abbiano lasciato tracce profonde an¬ che in coloro che si proclamano sinceri antifascisti. Abbiamo sot¬ tocchio una lettera aperta che dei sedicenti lavoratori cattolici di Desio rivolgono « agli amici lavoratori comunisti ». In questa lettera si dice che un abisso separa i lavoratori cattolici dai lavo¬ ratori comunisti. Chi ha fatto quest’affermazione, ne siamo certi, non è né un operaio, né un contadino. Gli operai e i contadini cattolici, che per vent’anni sono stati
oppressi dalla dittatura fascista, che
per vent’anni hanno penato insieme ai lavoratori comunisti nelle officine e nei campi, che in¬ sieme a noi hanno lottato in questi diciotto mesi di terrorismo
tedesco e fascista, per il loro pane, per la vita, per la salvezza delle loro case, dei loro figli, per l’avvenire del nostro paese, san¬ no che tra noi e loro non c’è alcun abisso.
C’è purtroppo chi questo abisso vorrebbe creare. Sono, qua¬ lunque sia la loro maschera, i rappresentanti di quelle forze rea¬ zionarie e sfruttatrici che con ogni mezzo tentano di opporsi alla
marcia delle forze progressive del .lavoro. Nello scritto che abbiamo dinanzi si afferma che per noi co¬ munisti l’uomo non sarebbe che un pezzo di macchina, che noi
per la soppressione del¬ per lo sfruttamento dell’uomo sino all’abbrutimento. Ma dove mai i comunisti hanno sostenuto tali aberrazioni?
saremmo
nemici della
la proprietà,
famiglia,
saremmo
solo regime che ha sfruttato sino alFabbriitimento, che ha soppresso la proprietà dei piccoli e dei medi con¬
Noi conosciamo
3
1945
12
Conversazione e
riprodotta
un
tenuta alla radio da Pietro Secchia a Milano il 9 maggio in prima pagina su « TUnità », 10 maggio 1945.
tadini mandandoli in rovina, che ha
trattato
gli uomini peggio religione, la fami¬
delle bestie, che ha lavorato per distruggere ed ogni senso di dignità negli uomini. Questo regime mava regime fascista. la
glia
Noi comunisti
vogliamo
si chia¬
invece liberare l’uomo dalle forze
so¬
ciali e naturali che lo opprimono. Per questo abbiamo lottato, abbiamo sofferto, migliaia di nostri compagni sono caduti, hanno resistito alle più terribili torture alle quali solo con la forza dello spirito si poteva resistere. L’operaio e il contadino cattolico che ci hanno conosciuti da vicino, che come noi hanno le mani rovinate dal lavoro, che come noi hanno sofferto per anni la fame nelle galere fasciste, che hanno diviso e ci hanno visti dividere il nostro pane con coloro che un pezzo di pane non avevano, che hanno visto noi rinun¬ ciare alla tranquillità della vita familiare per difendere la causa degli umili e degli sfruttati l’operaio cattolico e il contadino cat¬ tolico non crederanno mai che i comunisti siano esseri senz’ani¬ ma e senza ideali, che i comunisti sentono solo i problemi del ventre. I lavoratori cattolici che conoscono i comunisti vivi, non quel¬ li immaginari dipinti dalla criminale fantasia dei banditi fascisti, sanno che essi sono uomini che amano la loro famiglia, i loro
bambini.
I
lavoratori
cattolici
che
hanno
conosciuto
Eugenio
Curiel, Eusebio Giambone, Dante Di Nanni e tanti altri dei no¬ stri caduti, che hanno letto le loro lettere così piene di umanità e di amore, sanno quanta parte aveva la famiglia nell’ideale per il quale lottavano ed hanno dato la vita. Ci rifiutiamo di credere che un lavoratore cattolico possa met¬ tere sullo stesso piano l’Unione Sovietica e la Germania hitleria¬ na, il regime della libertà ed il regime della schiavitù. La Germa¬ nia è stata portata dal regime nazional-socialista ad aggredire, a massacrare, a ridurre in schiavitù i popoli liberi. L’Unione Sovie¬ tica dopo aver lavorato vent’anni per la pace è scesa in campo per la difesa della sua libertà, della libertà e della civiltà dei popoli. Ciò che il popolo sovietico ha fatto, ciò che ha sofferto per la salvezza della civiltà e delle forze progressive poteva essere fatto e sopportato solo da un popolo libero. È con vivo piacere che ieri abbiamo letto sull’organo dei de¬ mocratici-cristiani che essi sono pienamente d’accordo con noi sulla necessità di combattere i seminatori di zizzania. Si, amici democratici-cristiani, noi non temiamo,
riamo che voi ci esponiate
con
franchezza il
desideriamo soprattutto lavorare
con
vostro
voi. Ma
a
anzi deside¬ pensiero, noi
questo scopo è 13
e voi non permettiamo a nessuno di seminare false citazioni e le calunnie tratte dall’arsenale propagandistico di Goebbels e di Mussolini. A nessuno dev’essere permesso di creare artificialmente tra i lavoratori cattolici ed i comunisti un abisso che non esiste.
necessario che noi
zizzania, di
usare
Gli amici democratici-cristiani affermano di lottare per eliminare la classe degli sfruttatori, per eliminare il predominio dei grandi trusts
e
del
capitale finanziario,
affermano di
essere
d’accordo
noi sulla soluzione da dare al problema della terra ai conta¬ dini, sulla necessità di lottare per fare avere ai lavoratori un sala¬ rio sufficiente a sostentarli e per dare loro la possibilità di educare i loro figli. Affermano di essere per la difesa della proprietà pri¬ vata e per un regime di vera democrazia nel quale sia consentito a ciascuno di collaborare efficacemente ai destini del proprio paese.
con
questo è quello che vogliamo anche noi comuni¬ sti. Tutto questo è ciò per cui abbiamo sempre lottato, è ciò per cui molti comunisti hanno versato il loro sangue, hanno dato la loro vita. Questi sono i problemi, gli obiettivi comuni sui quali dobbia¬ mo realizzare un accordo sempre più stretto e fiducioso, questi sono gli obiettivi che dobbiamo realizzare con la lotta comune. Quello che noi vogliamo e che voi amici democristiani dovete volere è che la religione non serva alla reazione, è che la religione non diventi uno strumento di quelle forze che hanno portato l’Italia alla rovina e che oggi lavorano per tenere divisi i lavo¬ ratori. Sta a noi, sta agli amici democristiani, sta a tutti i veri e
Ebbene,
tutto
sinceri cattolici smascherare i nia,
impedire
calunniatori,
i seminatori di zizza¬
che le forze reazionarie possano
ancora
una
volta
riuscire nel loro giuoco. La lotta tra fascismo
e antifascismo è la lotta tra le forze rea¬ le forze progressive, tra le forze sfruttatrici e le forze del lavoro. In questa lotta le forze popolari, progressive saran¬ no vittoriose solo se resteranno unite. Per realizzare, per man¬
zionarie
e
tenere, per rafforzare quest’unità noi comunisti faremo quanto umanamente sarà possibile. È dovere di ogni sincero democratico
fare altrettanto.4 4
Questo scritto è importante poiché dimostra che noi comunisti già du¬
la Resistenza e immediatamente dopo eravamo per l’unità con i lavo¬ ratori cattolici e con i democratici-cristiani; non è stata questa un’tmprovvisa XX Con« scoperta », un nuovo indirizzo scaturito dopo il 1954 o dopo il
rante
gresso. Dimostra inoltre che
14
gli
uomini
più rappresentativi del partito
comunista
durante e dopo la lotta con i cattolici e
Resistenza hanno
questa
linea dell’unità di
i democratici-cristiani e che non supposizioni messe in circolazione che i
corrispondono a ve¬ Longo ed i Secchia
sostenuto
con
rità certe voci o fossero contrari. Dimostra inoltre
come immediatamente dopo la Liberazione gli stessi scrivessero sui giornali del loro partito di essere d’ac¬ cordo sulla necessità di lottare per eliminare gli sfruttatori, il predominio
dirigenti della DC dei grandi
trusts e del
capitale finanziario,
ecc.
Dimostra infine quanto avessimo ragione nell’affermare che in quella lotta le forze popolari e progressive sarebbero state vittoriose solo se fos¬ sero rimaste unite. Purtroppo quell’unità fu spezzata nei primi mesi del 1947 dall’on. Alcide De Gasperi e dagli altri dirigenti della DC.
15
AUTORITÀ E LIBERTÀ5
Abbiamo sempre affermato la necessità di un governo che go¬ davvero e la necessità di una autorità che i cittadini rispettassero. Non siamo amici dell’illegalità, né predicatori di disordini; affermiamo invece che non soltanto vogliamo il rispet¬ to della legge, ma che impegniamo le nostre forze perché siano
vernasse
rispettate le leggi che garantiscono la libertà
e
i diritti di ognuno.
italiani che hanno tanto duramente sofferto e che hanno di fronte il compito gigantesco di richiamare alla vita il loro paese hanno bisogno di giustizia e di pace. Pace e giustizia possono e devono ottenersi attraverso la riorganizzazione demo¬ cratica, nel rispetto delle leggi che il popolo si vuol dare e col funzionamento di organismi che siano espressione della volontà popolare. È per questo che il nostro partito chiede che la Costi¬
Oggi gli
tuente
sia al
più presto
convocata e
ché fossero tenute, già prima zioni comunali e provinciali.
del
che ha fatto ogni sforzo per¬ conflitto, le ele¬
termine del
Ci preoccupano però certe affannose invocazioni che chiedono politica apparentemente d’ordine e di pacificazione capace invece di gettare il nostro paese in nuove lotte favorendo il ri¬ torno di forze reazionarie. Noi vogliamo l’autorità che ci garantisca di essere liberi, che
una
partecipazione e della collaborazione di ognuno tale sia riconosciuta. Ci opponiamo recisamente a
sia il frutto della e
che
come
certi preconcetti che andata creandosi nel nuova
tengono conto della situazione che è paese. I tentativi di costringere la democrazia nelle forme e nei ceppi dello Stato prefascista non
nostro
falliti nell’Italia centrale e meridionale. Un governo che ha confuso il mantenimento dell’ordine col corpo dei carabinieri reali senza epurarlo e che ha confuso l’auto¬ rità con le questure e le prefetture, piene ancora di uomini di Mussolini, si è dimostrato insufficiente sotto ogni aspetto e si è sono
isolato dalle masse. I comunisti, che pure vi hanno
5
partecipato
per strappare
Articolo di fondo di Pietro Secchia (non firmato),
«
l’Unità »,
13
ogni mag¬
gio 1945, edizione dell’Italia settentrionale. Nell’articolo emerge l’insistenza affinché il governo poggi sui CLN e perché siano rinnovati, democratizzati i dello Stato: polizia, carabinieri, esercito, magistratura. corpi separati «
16
»
conquista possibile
in favore delle
masse
e
perché
l’Italia
com¬
battesse la sua guerra, hanno già denunciato il governo Bonomi come un regime nel quale non può attuarsi la democrazia e che manca
degli organi
necessari per intendere la volontà perché sia convocata al più presto
popolare.
la Costi¬ dato modo di decidere al popolo sulle forme istitu¬ zionali, noi non vediamo oggi che una soluzione per garantire l’ordine e la libertà: l’autorità del governo e l’attività democra¬ tica delle masse popolari; un radicale rinnovamento della direzio¬ ne politica del paese in modo che essa rappresenti il grande mo¬ vimento dei Comitati di Liberazione e si avvalga di essi per distruggere ogni residuo fascista e per attuare la democrazia. A chi si domanda se deve esserci autorità di governo o autorità dei Comitati di Liberazione, noi rispondiamo che oggi può e deve esserci un governo che funzioni e goda prestigio solo se Mentre insistiamo
tuente
esso
e
sia
saprà valersi di questi organi
nuovi che
sono
i Comitati di
Liberazione. I Comitati di Liberazione hanno dimostrato effìcentemente nei
giorni dell’insurrezione come lo avevano dimostrato nella fase clandestina di essere in grado di organizzare e di rappresentare tutti i ceti popolari. Autorità e legalità vogliono dunque dire attività e vigilanza da parte dei Comitati di Liberazione che coordinano la loro opera con gli organi di governo. Le forze del disordine non sono quelle che liberamente si raccolgono attorno agli organismi democratici, sono le forze fa¬ sciste che insidiano la pace, che vogliono impedire che la vita
riprenda. Stroncare il fascismo
e
garantire la partecipazione di
ognuno
gli organismi di ogni fabbrica, di ogni villaggio vuol dire dare a tutti quel senso di tranquillità e di giustizia che è sentito come bisogno primordiale. Guai se avremo un governo che non sarà legato alle masse, guai se avremo un apparato di polizia che non sarà considerato come la salvaguardia della libertà. alla vita democratica attraverso
I comunisti
sono
consci
che
oggi la lotta
per
la
libertà
si
che non possono essere quelle che i lavoratori e il popolo tutto hanno conosciuto nella lotta clande¬ stina e nell’insurrezione. Essi vogliono che si smobiliti l’apparato della guerra partigiana, che tornino al lavoro le braccia che lo pos¬ sono, ma chiedono che resti della grande esperienza quanto è neces¬ sario ancora oggi per lo sviluppo della vita democratica del
conduce in
forme
nuove
paese. 17
Devono vivere i Comitati di Liberazione e su di essi deve fon¬ darsi il governo, devono essere difesi i lavoratori della ricostru¬ zione e per questo devono essere rinnovate le forze debordine.
18
CHE COS’Ë LA CONSULTA
*
Vi sono oggi due atteggiamenti nei confronti della democrazia, ce chi vuol fare a meno anche di quel poco di democrazia che oggi abbiamo e c’è invece chi vuole farla vivere, chi guarda avan¬
ti, chi ogni giorno si batte per farla progredire,
sempre
conquistarne
per
poco di più. comunisti siamo un
Noi quelli che criticano perché c’è ancora troppo poca democrazia, siamo quelli che lavorano e lottano per lo sviluppo e il rafforzamento della democrazia, ma intanto non rinunciamo ad utilizzare quel poco che c’è. Ecco perché noi comunisti non possiamo pensare di assumere ed esplicare qualsiasi mandato in nome del popolo senza render¬ senza chiedere ai cittadini, ai lavoratori, ne conto al popolo, l’aiuto del loro consiglio e delle loro critiche. Ecco perché noi comunisti non possiamo pensare di esporre le nostra linea poli¬ tica in qualsiasi organo di governo senza renderne conto al paese. Questa è la democrazia, questa è volontà di democrazia. Io non sono stato eletto da voi alla Consulta, perché come membro della Consulta è stato direttamente elet¬ popolo; sono stato designato alla Consulta dal mio parti¬ to, ma sento di rappresentare voi [si grida: si, sì], sento di rap¬ presentare la mia terra, la mia gente, i lavoratori della mia regio¬ ne per i quali ed assieme ai quali tante lotte ho combattuto per un avvenire migliore del nostro popolo. Ebbene sento che avrei mancato al mio dovere se non fossi venuto a rendere conto a voi dei lavori della Consulta, se non fossi venuto a rendervi conto di che cosa vanno a fare i comu¬ nisti alla Consulta; sento il dovere di chiedere il vostro consiglio, il vostro aiuto, di chiedere ai cittadini biellesi quali problemi essi
sapete to
nessun
dal
ritengono siano più urgenti, più utili
Consulta.
e
necessari
trattare alla
[Applausi.]
Che cos’è questa Consulta? Noi comunisti siasti di 66
non siamo e non siamo mai stati troppo entu¬ questa Consulta. Non abbiamo sopravvalutato e non
Discorso
tenuto a
Biella il 15 ottobre 1945, Edizioni di
«
Vita Nuova
».
19
sopravvaluteremo l’importanza della Consulta, seppure conside¬ riamo che per la sua funzione e composizione costituisce pur sempre
un
Non
ne
mo
passo avanti. siamo mai stati troppo entusiasti
perché
non
che la convocazione della Consulta costituisse, per
vorrem¬
qualcuno,
motivo e pretesto per ritardare la convocazione della Costituente. Non vorremmo che resistenza della Consulta rendesse meno ur¬ gente la normalizzazione della democrazia italiana, vale a dire
la convocazione dei comizi elettorali per la Costituente. Dopo averla vista da vicino non possiamo certo dire di essere diventati più entusiasti della Consulta. La Consulta non ci pia¬
soddisfa perché non è democratica, non è stata eletta popolo e dalle sue organizzazioni di massa che in Italia han¬ no importanza e funzioni notevoli. Mancano, ad esempio, i rappresentanti dell’UDI [Unione Don¬
ce, non ci
dal
Italiane], del Fronte della Gioventù, mancano i rappresen¬ tanti delle nuove generazioni che molto hanno dato, che molto hanno sofferto nella lotta per liberare l’Italia dai tedeschi e dai
ne
fascisti. Per noi comunisti sarebbe stata migliore, più democratica una Consulta formata dai delegati dei Comitati di Liberazione Nazio¬ nale e delle altre organizzazioni democratiche antifasciste di mas¬ sa che veramente hanno lottato e combattuto per la libertà e l’in¬ dipendenza d’Italia, che hanno organizzato, sostenuto e diretto la guerra di Liberazione. La Consulta non ci piace perché non è rappresentativa della volontà politica del paese, lo dicono i monarchici [ilarità], che cosa dovremmo dire noi? Tutte le forze politiche sono rappre¬ sentate su di un terreno di pariteticità! Il partito comunista, il partito socialista e la Democrazia Cristiana, che sono senza dub¬
più grandi partiti di massa esistenti in Italia, hanno di rappresentanti della Democrazia del Lavoro. l’uguale L’avete mai conosciuto voi il partito della Democrazia del La¬
bio i
tre
numero
voro? L’avete mai visto nel corso della guerra di Liberazione, nel Nel corso dei 18 corso dei 23 anni di lotta contro il fascismo?
mesi di guerra partigiana? Eppure la sui banchi della destra sie¬ de un cospicuo numero di consultori della Democrazia del La¬ voro, siedono delle venerabili barbe, delle rispettabili pance
la vecchia sto¬ [ilarità] le quali rimproverano a noi di ignorare ria o le vecchie storie parlamentari. Ma dov’erano quelle barbe, dov’erano quelle pance quando si trattava di combattere il fa¬ dalla catastrofe, scismo, quando si trattava di salvare l’Italia si trattava di combattere contro i tedeschi ed i briganti quando 20
neri?
grida:
[Si
erano
con
i
fascisti, collaboravano
con
i tede¬
schi.]
Si, alla Consulta siedono parecchi fascisti di ieri quali i sena¬ Bergamini, Frassati ed altri, vi è qualcuno talmente abitua¬
tori
to alle sedute della Camera dei Fasci e delle Corporazioni che iniziò il suo discorso dicendo: « Signori consiglieri... » Si, alla Con¬ sulta vi sono molti che hanno appoggiato, sostenuto, votato per il fascismo almeno per parecchi anni, come ad esempio Fon. Vit¬ torio Emanuele Orlando che ancora al momento della brigantesca aggressione all’Abissinia inviò a Mussolini il telegramma di feli¬ citazioni e di adesione all’impresa.
Vi sono alla Consulta dei fascisti di oggi quali, ad esempio, il monarchico marchese Lucifero d’Aprigliano, il rappresentante 7 dell’« Uomo Qualunque » o meglio del latifondista qualunque. La Consulta
non
è
rappresentativa della volontà del
mentre vi si trovano fascisti di ieri
agrari
e
grossi industriali,
sentanti dei nostri valorosi
e
paese,
di oggi, monarchici, grossi
vi si scorgono appena sedici rappre¬ partigiani. Sino a ieri quando si trat¬
tava di combattere e di arrischiare la pelle, si osannava ai parti¬ giani quali salvatori d’Italia, ma oggi si nega ai partigiani, ai patrioti il diritto di partecipare alla direzione della vita del nostro paese.
Alla Consulta mancano i reduci; vi sono pochi ex combattenti della prima guerra mondiale. Faccio tanto di cappello ai combat¬ tenti della guerra 1915-’l8, ma non è concepibile che alla Con¬ sulta gli ex combattenti siano rappresentati soltanto da quattro
cinque persone e cioè dai combattenti di trent’anni fa. E le generazioni? Ed i reduci dai campi di prigionia e dai cam¬ pi di concentramento, i reduci di questo immane conflitto, i redu¬ ci e le vittime delle brigantesche e pazzesche avventure fasciste perché non debbono fare sentire la loro voce alla Consulta? [Ap¬ plausi.] Nella Consulta c’è pariteticità o quasi tra operai e padroni, tra associazioni padronali, industriali, commerciali e quelle dei
o
nuove
lavoratori.
È forse questa democrazia? I padroni sono forse in numero uguale degli operai? Ed i grandi industriali, i grossi agrari han¬ forse contribuito alla lotta
no
7
L’Uomo
nel 1944 stesso
a
Qualunque
Roma
e
un
contro
movimento
il fascismo, alla lotta
mascherato di
con-
neofascismo, sorto un giornale dallo
nell’Italia meridionale, che pubblicava
titolo, diretto da Guglielmo Giannini.
21
tro i
tedeschi nella
operai,
i
contadini,
stessa
misura in cui
i lavoratori?
[Vivi
vi hanno contribuito
gli
applausi.]
Perché i comunisti partecipano alla Consulta? Se così stanno le cose, perché noi comunisti partecipiamo alla Consulta? È una domanda che avete ragione di pormi. Ma pri¬ ma di rispondere a questa domanda voglio cominciare col pre¬ sentarvi il gruppo dei consultori comunisti, col dirvi che il no¬ stro gruppo è un gruppo del tutto particolare. Un gruppo di combattenti e non certo di parlamentari adusati al vecchio poli¬ ticantismo di Montecitorio. Il nostro è un gruppo di giovani, abbiamo poche barbe, anzi o meglio ne abbiamo una sola ed è quella ma¬ forte combattente antifascista che risponde al di Fabrizio Maffi [vivissimi, prolungati applausi] che voi
non ne abbiamo, gnifica figura di
nome
conosciuto ed amato, che sostenute dai lavoratori biellesi avete
avete
visto alla testa delle lotte
sostenute dai lavora¬ tori italiani nel corso di questo secolo e negli ultimi anni del se¬ colo scorso. Il nostro gruppo è composto da autentici operai, da autentici contadini che portano sulle mani e sul volto le impronte del lavoro, nel nostro gruppo vi sono intellettuali di grande fama come il professor Concetto Marchesi, vi sono dei professionisti, dei tecnici e degli artisti, in una parola il nostro gruppo rappre¬ senta veramente il mondo del lavoro, dei lavoratori manuali ed intellettuali. Ma la caratteristica essenziale del gruppo di consultori comu¬ nisti è che tutti i suoi componenti sono degli antifascisti sul serio, che hanno tutti dimostrato con i fatti il loro amore alla libertà, che tutti hanno consacrato le loro energie migliori, hanno de¬ dicato tutta la loro vita alla causa dei lavoratori, che tutti hanno pagato di persona. Quando qualcuno alla Consulta ha osato chiedere a noi comu¬ nisti la carta di identità, la dimostrazione del nostro attacca¬ mento alla democrazia, il nostro compagno Terracini ha tirato e
vercellesi,
fuori i nostri autentici attestati di democrazia. Sessantuno sono i consultori comunisti, complessivamente so¬ no stati loro inflitti dal tribunale speciale fascista 530 anni di carcere, di cui 464 scontati. Il che significa che ciascun consul¬ tore comunista ha scontato in media otto anni di carcere per mantenere fede alla causa dei lavoratori, per lottare per l'abbat-
22
rimerito del regime fascista. [Vivi applausi.] Nessun altro gruppo di consultori può vantare questa caratteristica e ritengo che nella storia parlamentare costituisca un primato non solo per l’Italia,
anche in confronto ad altri paesi. Vi sono gruppi di altri partiti che hanno un numero di con¬ sultori più grande del nostro. Perché voi sapete che ogni partito è rappresentato alla Consulta da 37 consultori ed in più da un certo numero di ex deputati (dichiarati decaduti dal fascismo) al partito. appartenenti Noi comunisti non siamo stati favoriti da questa disposizione,
ma
pochi ex deputati comunisti superstiti. I nostri compagni deputati sono caduti combattendo per la causa della libertà del popolo italiano. Antonio Gramsci [vivissimi applausi], il fondatore del nostro il migliore, il più lucido partito, il capo della classe operaia,
poiché
avevamo ex
«
cervello d’Italia »,
è
stato
lentamente, giorno
per
giorno,
assas¬
galere d’Italia per ordine di Mussolini. Francesco Lo Sardo morto nel carcere di Napoli ove scontava una pena inflittagli dal tribunale speciale fascista. Guido Picelli caduto in Spagna alla testa di una Brigata Gari¬ baldi, in difesa della Repubblica spagnola. Giuseppe Srebernic, caduto sull’Isonzo nel corso della guerra partigiana. Ed è il solo ex deputato caduto alla testa di una for¬ mazione partigiana, caduto combattendo contro i tedeschi ed i fascisti. Ed ora che vi ho presentato il gruppo comunista, vi dirò che sinato nelle
cosa
stiamo facendo noi comunisti alla Consulta.
Per
Consulta è una libera tribuna dalla al paese ed al popolo, dalla quale pos¬ siamo far sentire la voce del popolo. È una tribuna della quale ci serviamo per criticare la Consulta stessa e per chiedere che sia convocata al più presto la Costituente. [Applausi.] noi
comunisti
la
quale possiamo parlare
Con tutti i suoi difetti la Consulta costituisce sempre un passo la democratizzazione della vita pubblica e noi intendiamo
verso
servirci
anche
della
Consulta
per
accelerare,
per
stimolare
lo
sviluppo, il più rapido possibile, della democrazia in Italia. Attra¬ verso la Consulta noi vogliamo sforzarci di legare maggiormente il governo ai Comitati di Liberazione, alle masse popolari e ai loro
bisogni. Ripeto: noi vogliamo
arrivare al
più
servirci della Consulta soprattutto per alla Costituente, perché solo la Costituente presto
potrà dare all’Italia siva,
un
potrà garantire il
regime di effettiva democrazia
nostro
paese
da ogni
e
qualsiasi
progres¬ ritorno
23
delle forze reazionarie, potrà ricostruire un’Italia libera
pendente La
prima Alla
e
creare
un
avvenire
migliore
per il
nostro
e
indi-
popolo.
sessione della Consulta sessione della Consulta i diversi
prima
partiti
si
sono
limitati ad esporre le loro concezioni ed i loro programmi. Non sono stati affrontati problemi concreti. Questo era forse inevi¬ tabile per una prima discussione, per una prima presa di contatto. I diversi partiti, parlando a tutto il paese da una tribuna nazionale, hanno detto quel che pensano o quasi. Certi partiti hanno detto quel tanto che ritenevano di poter dire. I monar¬ chici, ad esempio, non hanno osato, o non hanno avuto il coraggio di difendere la monarchia. E si che non sono mancati gli attacchi né a Casa Savoia, né all’istituto monarchico, e nes¬ ha osato protestare, neppure quando il compagno socia¬ suno lista Alessandro Pertini ha affermato che la monarchia è un ca¬ davere che attende di essere seppellito. [Applausi.] Alla Con¬ sulta è risultato evidente che la Repubblica è ormai voluta dalla grande maggioranza degli italiani. L’attacco reazionario non ha potuto essere fatto apertamente alla Consulta. Francesco Saverio Nitti ha sentito che non avreb¬ be potuto fare alla Consulta il suo violento attacco denigratorio ai Comitati di Liberazione Nazionale, che non avrebbe potuto alla Consulta insultare i partigiani che hanno combattuto sul serio, che non se ne sono stati tranquillamente all’estero ad at¬ tendere che l’Italia fosse liberata, e che oggi hanno il solo torto di voler partecipare alla vita politica del paese, liberato col loro sangue. Per condurre il suo violento attacco denigratorio contro i
CLN,
contro
i
partigiani,
contro
i
comunisti,
contro
i
patrioti,
gli Alleati a restare in Italia a fare da poliziotti, Nitti ha dovuto cercarsi un’altra tribuna, ha dovuto mettersi fuori dell’Assemblea nazionale. per invitare
II liberali lì vecchio senatore Benedetto Croce ha voluto impartirci una lezione di storia d’Italia, dalla quale mancavano parecchie pa¬ gine, e ha dimostrato proprio il contrario di quello che egli avrebbe voluto. Rispondendo all’affermazione del presidente del
24
Consiglio
«
regime di vera democrazia non c’era prima del fascismo » il senatore Croce
che in Italia
un
mai stato nemmeno ha affermato che la democrazia
dubbio libe¬ rale « perché se il liberalismo senza democrazia langue privo di materia e di stimolo, la democrazia a sua volta, senza osservanza del sistema e del metodo liberale, si perverte e si corrompe e apre la via alle dittature e ai dispotismi ». « Ed è proprio quello che è av¬ venuto », è stata la pronta interruzione del nostro compagno Velio Spano. Proprio sul terreno logico e storico il senatore Croce ha dimostrato in modo
prefascista
era
senza
chiaro, cristallino, quanto fosse falsa la
tesi, secondo la quale i governi prefascisti fossero democra¬ tici. Proprio Croce ha dimostrato, senza possibilità di equivoco,
sua
liberalismo non era democratico e quella democrazia liberale in quanto ha aperto la strada alla più nefasta delle dittature, alla dittatura fascista. Il segretario del partito liberale, Leone Cattani, ha sostanzial¬
che
quel
non
era
mente parlato contro i Comitati di Liberazione, sostenendo che ormai essi hanno assolto alla loro funzione ed ha chiesto la loro smobilitazione. Ha parlato contro i mezzadri, sostenendo che il contratto di
mezzadria
benissimo così com'è e che le agitazioni contadine solo per demagogia. Ha parlato contro gli operai, facendo molte riserve sui consigli di gestione e mettendo avanti le solite preoccupazioni, i soliti pericoli: che essi portano alla sono
va
mosse
paralisi produttiva.
II democristiani Alcune tendenze conservatrici e reazionarie sono venute alla luce e si sono manifestate anche attraverso certe affermazioni di alcuni oratori della Democrazia Cristiana che hanno insistito sulla necessità che siano eliminati i prefetti ed i questori desi¬ gnati dai Comitati di Liberazione. Che hanno consigliato di an¬ dare con i piedi di piombo nell’imposta straordinaria sul capi¬ tale, che si sono rivolti agli Alleati per il mantenimento dell’or¬ dine pubblico, che hanno dimostrato molta incomprensione per i Comitati di Liberazione Aziendali, che hanno affermato che le elezioni amministrative si devono fare subito e prima della
Costituente, perché le hanno chieste gli Alleati. Ma in seno alla Democrazia Cristiana vi sono dei democratici sinceri ed voce alla Consulta.
uno
di
senza dubbio essi ha levato alta la sua
25
L’on. Achille Grandi, segretario democristiano della Confe¬ derazione Generale Italiana del Lavoro, benché ammalato, ha voluto uscire dalla clinica, ove da mesi è in cura, per venire alla
Consulta ad esaltare l’unità sindacale, realizzando la quale l’Ita¬ lia ha dato un esempio al mondo intero. Grandi ha riconosciuto nel suo discorso l’importanza avuta dal movimento socialista per il progresso della società, ha denunciato gli agrari e gli industriali come gli organizzatori del fascismo ed ha difeso con calore le rivendicazioni odierne delle classi lavoratrici. Ha avuto parole di forte simpatia per l’Unione Sovietica, esaltando il patriottismo del suo popolo, il cui esempio sta a dimostrare quale forte contributo possono portare le classi operaie, in certe condizioni, alla vita di un popolo. [Applausi, si grida: Evviva l’Unione Sovietica.] Gli interventi dei compagni socialisti e degli amici del Par¬ tito d’Azione alla Consulta sono stati delle forti affermazioni di sincera e conseguente democrazia in sostegno dei Comitati di
Liberazione
e
per la
a
nome
sollecita convocazione
dell’Assemblea Co¬
stituente.
Longo parla A
dei comunisti
del gruppo dei consultori comunisti, a nome del partito comunista, ha parlato il nostro compagno Luigi Longo [vivissimi applausi] comandante generale delle Brigate d’Assalto Garibaldi, vice-comandante del Corpo dei Volontari della Libertà. nome
Rispondendo
buna, il
ai vari consultori che si
erano
susseguiti alla
tri¬
compagno Longo ha dimostrato come i comunisti abbiano sempre sostenuto e realizzato l’unità nazionale nel corso della guerra di Liberazione, combattendone i sabotatori e come anche oggi il partito comunista chiami il popolo all’unità ed al lavoro e chieda al governo di guidare con mano ferma ed audace ad un tempo, nella sua opera ricostruttiva. Il compagno Longo ha difeso l'insurrezione ed i partigiani, criticando il fatto che non è ancora stato risolto il problema della loro riammissione nella vita civile. L’immissione dei partigiani, dei patrioti sinceri nelle file della polizia e dell’esercito è garanzia di difesa e di sviluppo della democrazia contro qualsiasi tentativo di ritorno delle forze rea¬ zionarie. Troppa gente in Italia ha già dimenticato che cosa hanno fatto, che cosa noi dobbiamo ai nostri valorosi partigiani. Se le nostre fabbriche, se le nostre macchine, se la nostra 26
industria tessile, che è il più prezioso patrimonio della nostra regione, che è orgoglio e vanto dell’Italia sono salve, è perché queste macchine e queste fabbriche sono state salvate dalla lotta, dal sangue, dall’eroismo dei nostri partigiani. [Applausi prolun¬ gati.] Ed oggi insulti e diffamazioni contro i partigiani vengono lanciati proprio da quei grandi industriali che hanno avuto salve le fabbriche per merito dei partigiani, insulti e diffamazioni vengono da quei grossi industriali che non hanno pagato un soldo dei loro scandalosi profitti di guerra e di regime [applausi] e che vorrebbero vedere i partigiani morire di fame. Ma il popolo italiano conosce chi sono i partigiani, voi lavoratori biellesi li avete visti da vicino,
sono
parte di voi stessi
e
conoscete
molto bene ciò che essi hanno fatto, allo stesso modo come conoscete molto bene chi sono e che cosa hanno fatto i loro calunniatori. [ Applausi. ] lì compagno Longo ha chiesto che sia dato lavoro per tutti. Noi
non
ha detto per i partigiani sussidi, noi chiediamo
chiediamo
reduci l’avvilente elemosina dei
per i per tutti e
il lavoro che dà il pane ed eleva il morale. Ancora una volta, per bocca del compagno Longo, noi comu¬ nisti abbiamo dichiarato di essere per il disarmo, ne abbiamo dato per primi l’esempio, noi vogliamo lavorare, ricostruire. Ma se
troppe armi in giro, se vi è in giro troppo tutto questo i responsabili non sono i partigiani. responsabili tutti coloro che si sono opposti al rastrella¬
oggi
vi
sono ancora
banditismo, di
Sono
ed all’internamento di tutti gli sbandati fascisti, i respon¬ coloro che non procedono al disarmo dei criminali i fascisti, responsabili sono quei grandi industriali che alcune settimane or sono hanno stanziato 180 milioni per finanziare l’organizzazione di bande armate fasciste. Si rastrellino, si disarmino, si mettano nei campi di concen¬ tramento i briganti fascisti e gli episodi di delinquenza finiranno [applausi]. Siamo per il disarmo, vogliamo il disarmo; ma tutti
mento
sabili
sono
devono disarmare e per primi devono disarmare i fascisti, i mo¬ narchici, i reazionari, i nemici della libertà e della democrazia.
Longo ha posto alla Consulta il dei consigli di gestione
giuridico
di controllo popolare
spirito di solidarietà nazionale e non nell’in¬ di alcuni gruppi di affaristi, di speculatori e di sfrutta¬
speditamente, teresse
e
problema del riconoscimento [applausi], quali strumento nazionale, perché la ricostruzione proceda
con
tori del popolo. [Applausi.] Che cosa noi comunisti intendiamo per democrazia nuova è stato uno degli argomenti del compagno Longo. Per democrazia 27
noi intendiamo non il potere esclusivo di un gruppo di sfruttatori e di possidenti, il potere di un ceto sociale o di un
nuova
intendiamo il potere di tutte le forze sane, costrut¬ tive, di tutte le forze del lavoro, qualunque sia la natura di questo lavoro, sia esso materiale o intellettuale. Per democrazia nuova noi intendiamo una democrazia che poggi su di una serie di istituti che permettano la partecipazione
partito,
ma
diretta del popolo, degli operai, dei contadini, dei tecnici, degli intellettuali alla direzione della vita politica ed economica del dev’essere più alla mercè di una o di una banda di sfruttatori disposti a vendere ed a mandare in rovina il paese per soddi¬ sfare i loro egoistici interessi. [Applausi.] Democrazia nuova, per noi comunisti, è una democrazia che si difende e che per la sua difesa possa disporre di tutte le armi e di tutti i mezzi necessari. Il compagno Longo ha insistito sulla necessità di mantenere e rafforzare l’unità di tutte le forze sane
paese. Il
popolo
persona, di
una
lavoratore
casta
non
reazionaria,
democratiche per ricostruire l’Italia ed impe¬ ritorno alla reazione. Unire e ricostruire sono i due comandamenti dell’ora, sono le due esigenze non solo per risolvere la nostra situazione interna, ma anche per permettere
e
sinceramente
dire ogni
e
qualsiasi
al nostro paese di difendere, di fronte a tutti, i nostri diritti e nient'altro che i nostri legittimi diritti di paese democratico. Il compagno Longo a nome del partito comunista ha chiesto che sia fissata la data della convocazione della Costituente e ne ha dimostrato l’urgenza. La convocazione della Costituente è neces¬ saria
e
urgente
perché
c’è in tutti i
campi bisogno di
sicurezza
nell’avvenire. Abbiamo bisogno della Costituente se vogliamo creare un solido regime di democrazia progressiva, se vogliamo ricostruire materialmente, moralmente e socialmente il nostro paese, se vogliamo dare all’Italia un governo e delle istituzioni che ci diano la possibilità di marciare più speditamente verso la realizzazione delle aspirazioni del nostro popolo. Abbiamo bisogno della Costituente se vogliamo creare un’Ita¬
e
di
certezza
lia nuova, più giovane, più moderna, più sensibile ai bisogni ed alle aspirazioni del popolo, se vogliamo fare del nostro paese un
paese
libero
e
indipendente, un paese che possa sedere a agli altri popoli liberi d’Europa. Ecco quanto
fronte alta accanto hanno esposto i comunisti alla prima sessione della Consulta. [Vivissimi applausi.] Dopo il discorso il compagno Secchia ha invitato il pubblico a porre delle domande alle quali ha immediatamente risposto. Ne riportiamo alcune. 28
Più di uno dei presenti ha chiesto: « Perché i comunisti hanno sei donne alla Consulta, mentre gli altri partiti ne hanno una o al massimo due? » Risposta: lì partito comunista non è stato più di altri favorito in tal
senso.
numero
Ogni altro partito avrebbe potuto avere un eguale un numero maggiore di consultrici. Ogni par¬ designare 37 consultori, ed era libero di designare
ed anche
tito doveva uomini o donne.
Il partito comunista ha ritenuto necessario designare almeno sei consultrici e riconosce che, in rapporto alla popolazione fem¬ minile ed all’importanza della donna nella vita economica, poli¬ tica e sociale italiana, questo numero è del tutto insufficiente. Non vi è dubbio che le elezioni manderanno alla Costituente un numero di rappresentanti femminili ben maggiore. Ma già sin da oggi il partito comunista che è stato il primo partito d’Italia a proporre ed a sostenere che fosse accordato il diritto di voto alle donne, coerente con questa sua posizione, ha voluto inviare alla Consulta una rappresentanza femminile che non fosse solo simbolica, ma che avesse un significato reale e sostanziale in rap¬ porto all’importanza delle donne lavoratrici in Italia. Domanda.: « Pensi che si riuscirà a fare accordare il voto ai gio¬ vani di 18 anni?
»
il solo par¬ tito a sostenere tale richiesta avanzata dal Fronte della Gioventù perché il diritto di voto fosse esteso a tutti i giovani che hanno compiuto i 18 anni, o almeno a tutti i giovani inferiori ai 21
Risposta:
Come sapete, il partito comunista è
anni che hanno combattuto nelle formazioni
stato
partigiane,
nei
Grup¬
pi d’Azione patriottica. Noi riteniamo giusta questa richiesta, non solo per il peso no¬ tevole che la gioventù lavoratrice ha nell’economia italiana, ma anche per l’alto grado di maturità dimostrato dai giovani durante la guerra contro i tedeschi ed i fascisti. La proposta sostenuta dal
partito
comunista
non
è stata
però
da nessun altro partito, al solito sono state affacciate dif¬ ficoltà di ordine tecnico. In seguito all’insistenza dei rappresen¬ tanti del partito comunista in seno alla commissione incaricata di preparare la legge elettorale, è stato stabilito che i sottufficiali, i graduati, i militari dell’esercito, della marina e dell’aeronautica accettata
voteranno.
Questo
è
già
un
primo
successo, un notevole passo in
avanti. Anche sulla
Terracini, ne
questione della eleggibilità il compagno Umberto partito comunista nella commissio¬
rappresentante del
che deve preparare la
legge elettorale,
ha proposto che il li¬ 29
mite di età per
essere
anni,
gli
tanto
proposta è
per stata
eletti alla Costituente venisse fissato
a
21
uomini che per le donne. Ma anche questa sinora respinta. Anzi il rappresentante liberale
quello della Democrazia Cristiana hanno addirittura proposto che il limite di età per la Costituente venisse elevato a trentanni. Questa proposta è stata scartata per la decisa opposizione dei compagni comunisti e infine la commissione ha approvato una soluzione intermedia, ed ha stabilito il limite per la non eleggibi¬ lità a 25 anni sia per gli uomini che per le donne. e
Ma noi comunisti a
sostenere
la
causa
abbiamo rinunciato e non rinunceremo le giuste rivendicazioni delle nuove gene¬
non
e
razioni. Alcuni partecipanti all’assemblea popolare hanno chiesto che il compagno Secchia precisasse qual è Vatteggiamento del partito
comunista sui problemi di politica internazionale. Risposta: La posizione del partito comunista sui problemi di po¬ è chia¬ litica internazionale ha risposto il compagno Secchia Italiano conduce direi cristallina. Il Partito Comunista rissima, e sostiene una politica nazionale che risponde agli interessi ed alle aspirazioni del popolo italiano. Non bisogna confondere la politica nazionale con la politica nazionalista. Il nazionalismo, l’imperialismo non hanno mai fatto l’interesse del popolo ita¬
anzi lo hanno portato alla catastrofe, alla rovina. Non è affatto vero che noi comunisti siamo indifferenti a qual¬ siasi politica internazionale, non è affatto vero che noi comuni¬
liano,
sti siamo indifferenti di fronte alle soluzioni che possono uscire dalla Conferenza della pace. Noi comunisti, lo abbiamo ripetuta-
affermato, siamo per un’Italia unita e indipendente. Per un’Italia unita, libera e indipendente abbiamo combattuto, ab¬ mente
biamo dedicato
tutta
la
nostra
vita, abbiamo
versato
il
nostro
sangue.
Noi oggi, per colpa del fascismo e solo del fascismo, della mo¬ narchia e delle forze reazionarie, non siamo ancora un paese in¬ dipendente. Ma con la guerra nazionale sostenuta e condotta eroi¬ camente dai partigiani e dalla parte migliore del nostro popolo contro i tedeschi ed i fascisti, noi abbiamo acquistato dei diritti. Noi rivendichiamo oggi che gli Alleati mantengano l’impegno da essi preso quando hanno fatto appello anche a noi italiani per la guerra contro il nazifascismo. Noi pensiamo sia giunto il mo¬ mento per l’Italia di ricevere la libertà di poter governarsi da sé e di poter decidere liberamente della propria sorte, senza inter¬ venti stranieri. L’Italia dev’essere libera 30
e
indipendente
e
non
dev’essere
stru-
mento
l’Italia
di
nessuno.
una
Una
politica
di assoluta
e
per
è per
necessità, è nell’interesse supremo del popolo ita¬
liano. Noi comunisti abbiamo dimostrato l’unità
indipendenza
l'indipendenza
con
dell’Italia
i fatti di
perché
essere
per
alla guerra di Li¬
nostro partito ha consacrato le sue energie migliori. Abbiamo dimostrato di essere per l’unità d’Italia perché abbia¬ mo preso subito precisa e netta posizione contro ogni tendenza separatista.
berazione il
Vi è il problema di Trieste che è un problema complicato. Noi abbiamo affermato ed affermiamo che Trieste è città italiana. Ma appena si pone piede fuori della città di Trieste la popolazione è jugoslava. Si tratta di una provincia nella quale la maggioran¬ za della popolazione è slovena, pur avendo nel suo seno una cit¬ tà che come città è italiana. Di qui la complessità della situazio¬ ne. Noi comunisti pensiamo che la soluzione da dare al problema di Trieste dev’essere una soluzione che tenga conto degli inte¬ ressi e delle aspirazioni degli italiani e degli sloveni. Dev’essere una soluzione amichevole che crei tra italiani e sloveni dei le¬ gami d’intesa permanenti di fraterna collaborazione. Noi non vo¬ gliamo una soluzione che possa portare nuovamente ad un con¬ flitto tra i due popoli. [Applausi.] Per quanto riguarda le colonie, noi ricordiamo che i possedi¬ menti coloniali italiani non hanno mai reso nulla. Al contrario costati al popolo italiano un’ingente parte del reddito na¬ zionale, sono costati sudore, lacrime e sangue. Se il nostro paese invece di seguire la strada dell’imperialismo, del nazionalismo e del colonialismo avesse consacrato i miliardi spesi per la conquista e la difesa delle colonie al progresso eco¬ nomico del nostro paese, allo sviluppo della nostra industria, al¬ sono
l’incremento della paesi più ricchi
nostra
d’Europa
agricoltura, ed il
noi
nostro
saremmo
popolo
oggi
sarebbe
uno
dei
i
più
tra
progrediti. Noi non vogliamo affatto cedere o regalare i possedimenti co¬ loniali italiani ad altri paesi imperialisti. La nostra opinione è
regioni già aggiogate all’imperialismo italiano dovrebbero acquistare anch’esse il diritto all’indipendenza, il diritto di autogovernarsi. Non può essere libero, non è degno di essere li¬ bero un popolo che opprime altri popoli. Purtroppo la nostra posizione su questi problemi ha scarsa in¬ fluenza, perché la soluzione di questi problemi non dipende da
che le
poter
noi. Chi deciderà saranno i vincitori. L’influenza del nostro paese al tavolo della pace, nella soluzione delle grandi questioni di po¬ 31
litica internazionale, dato il punto a cui ci ha portato la politica del fascismo e della monarchia, è oggi e sarà nel prossimo futuro assai scarsa e limitata. I conti che noi oggi dobbiamo pagare sono i conti del passato,
quale ci pazzesca politica
la soluzione nella
troviamo è la conseguenza della bri¬
del fascismo, della monarchia e delle cricche reazionarie che hanno portato l’Italia alla catastrofe. Solo degli uomini in mala fede possono accusare noi comu¬ nisti di essere dei rinunciatari. I soli rinunciatari in Italia sono stati i fascisti, sono state le forze reazionarie che hanno servito Tltalia, che l’hanno venduta allo straniero. La sconfitta è stata opera del fascismo. Rinunciatari sono coloro che hanno rovinato l’Italia, che l’hanno portata alla catastrofe, che l’hanno portata a perdere la sua indipendenza. Ed è merito nostro, è merito delle forze democratiche, delle forze antifasciste se l’Italia non è stata trascinata sino in fondo gantesca
e
all’abisso insieme alla Germania. Lo si deve solo a noi, ai nostri valorosi partigiani, lo si deve a tutti i sinceri patrioti se col com¬
battimento è stato possibile salvare quello che vi era ancora di salvabile del patrimonio morale e materiale del nostro paese. [Vivi applausi.] Con la lotta, col combattimento, noi comunisti alla testa della parte migliore del popolo italiano abbiamo riscattato l’onta delle infamie fasciste, abbiamo a prezzo di molto sangue acquistato il diritto a condizioni di pace meno dure, abbiamo acquistato il di¬ ritto di sedere di intrattenere una
32
nuovo
politica
tra
di
i
popoli liberi, pace
e
di
con
i
quali vogliamo [Applausi.]
amicizia.
1946
MITRA E BASTONE
1
lì fascismo è morto con Mussolini. Questa è l’opinione dell’on. Nitti. Purtroppo si tratta solo di un’opinione. Mussolini e la monarchia ci hanno lasciato molto fascismo in eredità. Rovine, miseria, disoccupazione, filibustieri, borsari neri, sabotatori, eroi del doppio gioco, cavalieri della stampa gialla e’ della menzogna. Tra le tante piaghe della triste e pesante eredità vi sono pure i metodi fascisti. Mitra e bastone vengono tuttora
adoperati tere
a
in
posto
Italia, specie nelle province del Meridione, »
i comunisti, i
per
« met¬
disoccupati, gli scioperanti.
Molti funzionari dello Stato
sono ancora
assai spesso
in alto
dello Stato, ma dell’agrario, del la¬ tifondista, del grande industrale. In molti comuni del Mezzogior¬ no e delle isole il maresciallo dei carabinieri è ancora l’autorità assoluta e incontrollata. Qualcuno ha mutato lo stemma reale, e
in basso
ma
non
al servizio
non
i sistemi. Per lui i « sovversivi » continuano ad essere i e i socialisti, i « sovversivi » sono lo scioperante, il
comunisti
bracciante, lo zappaterra. Per questi c’è
sempre frusta
ancora
e
bastone. Lungo sarebbe l’elenco delle violenze e degli arbitrii consumati in certe regioni d’Italia prima e dopo il 2 giugno, lungo sarebbe l’elenco dei contadini che in Sicilia, in Sardegna, nelle Puglie, a Crotone e a Tuscania stanno tuttora innocentemente
in
fondo
e
galera perché
così
vogliono gli agrari,
i
signori del lati¬
della terra incolta. Citiamo uno dei tanti casi,
tra i più recenti: a Torremaggiore, in seguito ad uno sciopero di contadini, venivano inviati da S. Severo dei carabinieri di rinforzo. Per man¬ tenere l’ordine, beninteso, cioè per terrorizzare i contadini ed indurli a capitolare.
provincia di Foggia,
in
1
Articolo di fondo de
«
l’Unità », 5 ottobre 1946. 33
camion, i « reali » irruppero nel Alla maniera fascista. Nuclei di con¬ paese sparando all’impazzata. tadini alle porte della città, davanti alle loro case, ricordando le spedizioni punitive di un tempo ed i più recenti « rastrellamenti », si danno alla fuga. I carabinieri invadono un vecchio macello de¬ stinato ad abitazione dei sinistrati senza tetto, e qui mitra alla mano fanno alzare dal letto tra lo alla maniera tedesca delle loro donne una decina di contadini. Così semi¬ spavento vestiti li portano in caserma dove vengono trattati con la frusta e il bastone. Cicatrici, lividure, camicie insanguinate stanno a testimoniare. Di notte, montati
su
di
un
Nessuna arma è stata trovata a questi contadini. Solo un mitra è stato trovato in casa di un grosso agrario, ma questi è stato su¬
bito rilasciato. Da quaranta giorni invece i contadini, di nulla colpevoli, sono trattenuti in carcere. Accusati di resistenza alla forza pubblica. La storia è vecchia. L’arresto dev’essere giustifi¬ cato ed implicitamente anche le violenze. Intanto i lividi scom¬ pariranno, si sa: bisogna picchiare sodo, ma non lasciare i segni. Anche questo non è nuovo. La stessa provocazione, la stessa ba¬ stonatura, lo stesso cinismo di prima. Ma seppure non « nuovi », seppure per vent’anni a questi si¬ stemi ci si è fatta l’abitudine (che dico cent’anni! L’età della fru^ sta, del bastone e dei mazzieri, per i contadini del Meridione ri¬
sale assai più lontano)
non
possono,
non
debbono
essere
lerati in regime repubblicano. Questi fatti devono essere denunciati
più tol¬
a tutto il paese, ed i la¬ voratori da un capo all’altro d’Italia devono sentirsi feriti, col¬ piti nella loro dignità, nei loro sentimenti, nella loro vita. Anche questi episodi rivelano il pericolo fascista. Tacere signi¬ fica incoraggiare. Oggi certi sistemi cominciano ad essere appli¬ cati nelle province dove già è forte il qualunquismo. Se si lascia fare gli episodi si moltiplicheranno e di provincia in provincia si risalirà al Nord. Anche questa è vecchia storia. Basta! I tempi in cui era possibile perseguitare, maltrattare,
rompere la testa, mandare all’ospedale i comunisti, i gli operai, i contadini, devono essere finiti per sempre.
In regime
repubblicano
non
dev’essere tollerato che
socialisti,
degli
o-
nesti lavoratori diventino nelle caserme i materassi dei questu¬ rini e dei carabinieri. I carabinieri, come tutti i funzionari dello Stato, dal più elevato in grado al più umile, devono essere al ser¬ vizio del popolo, al servizio della Repubblica. Come tali saranno
dal popolo rispettati ed amati. Ma non può, non dev’essere tollerato che in Italia, in 34
qualsiasi
l'arresto ed a colpi di frusta ai contadini, ai lavoratori che chiedono il soddisfacimento dei loro più elementari bisogni. Il pericolo fascista sta anche e soprattutto in questa tolleranza,
angolo d’Italia si risponda
con
in questa passività, in questo lasciar fare del governo repubbli¬ propri funzionari siano al servizio non
cano, che permette che dei
dello Stato, ma dei grandi agrari, dei finanzieri, dei fascisti. Il susseguirsi di fatti che hanno un legame ed una linea quali i numerosi episodi di violenza, le imposizioni fatte da agrari fa¬ scisti verso i contadini dirigenti della Federterra, l’arresto, la ba¬ stonatura e le intimidazioni, in diversi comuni, di lavoratori che raccolgono le firme per presentare la lista socialcomunista alle elezioni amministrative, legittimano i dubbi che tale politica rea¬ zionaria degli organi di polizia sia non solo tollerata, ma consi¬ gliata da chi ne ha interesse. Il presidente del Consiglio si è impegnato davanti all’Assem¬
blea Costituente al consolidamento delle istituzioni democratiche
della Repubblica. Chiediamo che l’on. De Gasperi tenga fede ai suoi impegni. e
35
SRADICARE IL FASCISMO
2
lì pericolo del fascismo esiste, è stato da noi denunciato sulla stampa, sulle piazze e nel Parlamento. È un pericolo serio e solo chi non lo vuole vedere non lo vede.
Troppi sono gli episodi e le manifestazioni che provano la precisa intenzione da parte di determinati gruppi di creare nel nostro paese tutte
le condizioni per il ritorno del fascismo.
Trop¬
i fatti che denunciano l’esistenza di organizzazioni fa¬ pi sciste le quali si propongono lo scopo ben preciso di uccidere la sono
Repubblica democratica. I gruppi e le organizzazioni neofasciste sono molteplici, con aspetti e nomi diversi, ma il loro scopo è unico. Questi gruppi sono in parte collegati ed in parte Cercano collega¬ di loro. Sono finanziati da certi gruppi di capitalisti e di grossi agrari, abbastanza ben individuati, ed hanno legami con partiti e movimenti politici che 3 vanno dalle fazioni monarchiche sino alle altre correnti di destra che pur si dicono democratiche. I fili portano lontano, portano fuori dello Stato italiano ed an¬ che fuori delle nostre frontiere.
clandestini mento
tra
Fascismo
sotterraneo
lì partito fascista non ha mai cessato del tutto di esistere. Stroncata la sua esistenza legale dalla vittoriosa insurrezione del 25 aprile 1945, esso si è riorganizzato clandestinamente, pren¬ dendo il nome di partito fascista democratico (PFD). Alla sua direzione permangono i vecchi gerarchi fascisti e repubblichini e una non manca organizzazione armata, le SAM, che sono or¬
ganizzate nella seconda
metà del 1945. I membri del loro
co¬
mando fanno parte della direzione del PFD. Le SAM reclutano i loro aderenti specialmente tra gli ex ufficiali e militi della Littorio, della Nembo, della X" Mas, di altre famigerate legioni. 2
Articolo di fondo di
«
Vie Nuove »,
conto che questo articolo è stato scritto
eravamo ancora al governo. 3 All’epoca non esisteva ancora il MSI.
36
n.
4, 13 ottobre 1946. Si tenga
quando
noi comunisti
con
i socialisti
L’azione delle SAM è
prevalentemente
«
militare
».
Organiz¬
di delitti provocatori contro gli uomini e le sedi dei partiti democratici e di governo ed anche contro persone estranee alla lotta politica. zazione di attentati terroristici
e
di darsi un’organizzazione a ca¬ ovunque può, « nuclei » ai quali ven sul terreno della propaganda: diversi affidati i gono compiti più diffusione della stampa legale e clandestina, diffamazione della Repubblica e delle organizzazioni democratiche, e soprattutto ope¬ ra di spionaggio. Il PFD oltre alle SAM
rattere
cerca
politico costituendo,
Ai capi di questi nuclei è stato chiesto l’elenco dei comunisti, dei socialisti, degli azionisti, dei democristiani, dei liberali ( ! ) attivi come antifascisti nel loro quartiere. Inoltre questi nuclei fascisti devono
provvedere
a
partiti antifascisti degli elementi di sicura fede fascisti, non ex detenuti.
nei
re me
fare penetra¬ non
noti
co¬
Il PFD
il quale da altri mense
dispone altresì di un cosiddetto Ufficio di Assistenza, provvede a sussidiare i reduci da Coltano, da Procida e luoghi di detenzione. Questo ufficio ha organizzato delle
e
dei ricoveri
salvaguardia
sotto
«
coperture
»
diverse
e
alcune
sotto
sicura.
Traffico d'armi lì traffico d’armi
l’altra d’Italia per opera di questi gruppi non è trascurabile, specie nella Lombardia e nel Ve¬ neto (nel Friuli) nonché in parecchie località dell’Italia meri¬ dionale. tra una
località
e
Elementi dirigenti del cosiddetto PFD hanno rapporti con « fa¬ scisti » residenti all’estero, specialmente in Spagna, nel Brasile e nel Portogallo. Ma il fatto più grave è che questi « banditi »
impunemente contatti con ufficiali e sottufficiali del¬ particolarmente con certi ufficiali del ministero della della Marina e dell’Aeronautica, dell’arma dei carabi¬ Guerra, nieri, con funzionari di polizia, specialmente con ex funzionari mantengono
l’esercito
e
dell’OVRA. Questi nuclei fascisti hanno nelle principali città d’Italia de¬ gli organi di stampa « legali », alcuni da essi diretti, altri ispi¬ rati, con i quali tengono contatti. 37
Fogli
«
clandestini
»
Ma oltre a questi quotidiani e settimanali che si pubblicano alla luce del sole, col placet e col consenso delle autorità repub¬ blicane, ve ne sono altri « clandestini » nei quali il linguaggio è più aperto, senza veli di sorta.
Così, ad esempio,
è analizzata la situazione italiana in uno di » che si intitola clandestini questi fogli pomposamente « Rivo¬ luzione ». Secondo questo foglio tra il 25 luglio 1943 ed oggi possono distinguersi tre periodi. Il primo va dal 25 luglio 1943 al 25 aprile 1945, è il periodo dei CLN, quello in cui « il fa¬ scismo ebbe il maggior numero di avversari ed in cui questi si dimostrarono più compatti ». Il secondo periodo va sino al giugno «
già più favorevole per i fascisti che possono e ai partiti di destra « costretti a legarsi sensibilmente il loro mitigare atteggiamento antifascista ». 1946
si dimostra
e
alle forze monarchiche
Il terzo periodo, quello attuale, sarebbe caratterizzato dall’acutizzarsi della lotta sociale, in questa lotta i comunisti si tro¬ verebbero isolati, staccati persino dai socialisti. Le destre, « che hanno per caratteristica distintiva una vigliaccheria congenita per paura dei comunisti, cercheranno una forza qualunque cui ap¬ poggiarsi. Quello sarà il nostro momento », afferma « Rivolu¬ zione ». Una volta eliminato il partito comunista che è il « nucleo più ferocemente antifascista, si chiuderà il terzo periodo ed entrerà in vigore la quarta fase, caratterizzata dalla lotta contro le de¬ stre ».
Queste le prospettive dei fascisti di
Rivoluzione ». Essi ri¬ valido lo schema della lotta politica del 1922, e tengono non tengono conto della mutata situazione in Italia e in Europa. «
ancora
Ma il documento è indice del torbido lavorio di
di
disgregazione
Il fascismo
non
che il neofascismo
potrà
va
provocazione
e
compiendo.
tornare!
fantasticare di terzo e di quarto periodo fascista. Il fascismo in Italia non ritornerà, non potrà tornare. Non perché una qualche forza sovrannaturale ci garantisca da un tale pericolo. Non tornerà perché gli italiani sono decisi a battersi per la difesa e il consolidamento della Re¬ In
realtà,
pubblica 38
è
oggi
vano, e
democratica.
perfino ridicolo,
Ma il governo che cosa fa? Qui è il punto. Il vero pericolo non è nei conati politici del fascismo, ma soprattutto nella colpevole
tolleranza, nella piena libertà concessa alla stampa ed alle orga¬ nizzazioni fasciste, nell’impunità per tutti i nemici della Repub¬ blica, per tutti i sabotatori della nostra economia. Il pericolo fa¬ scista è negli atteggiamenti di certi funzionari dello Stato, di certi magistrati in particolar modo, di taluni ufficiali superiori
della polizia, dei carabinieri, dello stato maggiore, atteggiamenti che fanno pensare a qualche cosa di più della tolleranza. Fanno pensare alla connivenza ed alla complicità. Si potrebbero citare esempi a decine, se ne potrebbe fare og¬ getto di un esame particolare. È Il
che il governo agisca. pericolo fascista, senza voler drammatizzare, esiste ed è se¬ rio. Dev’essere affrontato energicamente e decisamente. Bisogna applicare le leggi della Repubblica nei confronti della stampa e delle organizzazioni del fascismo e se necessario rafforzare le leg¬ gi esistenti. Bisogna stroncare il commercio ed il trasporto di ar¬ ora
organizzazioni neofasciste in diver¬ e nel Veneto. d’Italia specie regioni dai funzionario dello Stato il rispetto e l’ap¬ Bisogna esigere
mi che viene effettuato dalle se
plicazione della legge, la difesa della democrazia e della libertà. E bisogna affrontare e risolvere, senza ulteriori lentezze buro¬ cratiche, i problemi che oggi stanno a cuore e assillano i lavora¬ tori, il problema del salario, il problema dell’alimentazione, della casa e del riscaldamento, il problema del lavoro, i problemi in una parola della vita e della ricostruzione del paese. Perché è soprattutto sul disagio economico, sulla miseria e sulla disperazione che i fascisti speculano e contano. Infine per fare fronte al pericolo fascista, per estirpare per sempre le sue radici, è necessario che le forze democratiche e repubblicane siano unite, siano attive e combattive, è necessario che certi partiti non ripetano gli errori del passato. Il fascismo nel 1922 è andato al potere perché c’è stato chi gli ha aperto le
porte.
39
ini
1947. garibaldini
a
Modena
1947
LIBERTÀ PER I FASCISTI?
1
questi giorni contro lo sche¬ di decreto recentemente approvato dal Consiglio dei ministri per la difesa della Repubblica.2 Se vuol essere democratica, secondo i nostri liberali, la Repub¬ La stampa reazionaria è insorta in
ma
blica deve lasciarsi strangolare dai
suoi nemici.
Come faccio ad infilzarti se non stai fermo », velli Tecoppa al governo repubblicano. «
gridano,
no¬
Naturalmente coloro che oggi insorgono in difesa della libertà della democrazia sono proprio gli stessi che hanno sempre calpestato la libertà e la democrazia e che assai volentieri le vor¬ rebbero mettere di nuovo sotto i piedi. È significativo lo schieramento dell’opinione pubblica di fron¬ te al progetto di decreto approvato dal Consiglio dei ministri. Hanno elevato ed elevano furibonde proteste i liberali, i qualun¬ quisti, i monarchici ed i fascisti. « L’Italia Nuova », « lì Tempo », «Risorgimento liberale», «Giornale d’Italia» senza contare i fogli legali e clandestini del neofascismo. Questi sono i giornali che insorgono contro il cosiddetto de¬ creto « liberticida », contro la pretesa violazione delle libertà democratiche. La natura di questo schieramento dice di per sé tutto! Ma di che si tratta? Si tratta in realtà di elementari misure per la tutela delle isti-
e
1 2
«
Si
Vie Nuove », 23
marzo
1947.
1546 con la quale praticamente venivano rinno¬ legge vate le disposizioni e le pene del decreto legislativo luogotenenziale del 16 aprile 1945 e in più venivano stabilite sanzioni, seppure meno gravi, per tratta della
n.
coloro che tentassero la restaurazione dell’istituto monarchico.
41
tuzioni
repubblicane
e
democratiche,
per la
repressione dell’azio¬
fascista e monarchica, si tratta di misure atte a impedire la ricostruzione del partito fascista, atte a difendere le libertà de¬ mocratiche. Misure e provvedimenti che giungono anzi in ritardo, che si sono fatti attendere troppo dando la possibilità ai fascisti ed ai
ne
monarchici di rialzare la testa, di
de
riorganizzarsi, di formare ban¬
attentati, di fare l’apològia del fascismo
armate, di ordire
e
dei suoi gerarchi. Si tratta di leggi che non hanno proprio nulla di eccezionale e che trovano le loro corrispondenti in ogni paese democratico per¬
garantire il rispetto della volontà po¬ garantire i diritti e le libertà dei cittadini.
ché è democrazia anche il
polare,
è democrazia
Di questo parere non sono naturalmente i nemici della demo¬ crazia. « La democrazia dovrebbe lasciare la più ampia e illimitata libertà a tutti, compresi i fascisti, la democrazia non ha nulla da temere salvo i propri errori », così scrivono i filosofi del liberali¬ smo. La democrazia essi dicono non ha nulla da temere dalla violenza. Quando negli anni 1921-'22 le bande fasciste mettevano a fer¬
fuoco l’Italia, quando i
delinquenti in camicia nera in¬ saccheggiavano le cooperative, devastavano le Case del Popolo, quando, violando tutte le leggi umane e ci¬ vili, assassinavano, bastonavano i lavoratori e distruggevano ogni ro
e
cendiavano i comuni,
residuo di libertà
e
di democrazia; anche allora noi udimmo i si¬
gnori liberali, senza aggettivi, proclamare che la libertà
i teorici della democrazia pura, della democrazia
non aveva nulla da te¬ nessuna violenza avrebbe che mere, potuto uccidere l’idea e la libertà! Per questa strada il fascismo, forte dell’impunità e dell’appog¬ gio accordatogli dallo Stato liberale, con le violenze e col delitto conquistò il potere ed instaurò la più feroce delle dittature. Il colmo è che anche oggi coloro che reclamavano la libertà piena, assoluta anche per i nemici della Repubblica, vorrebbero la piena libertà per sé, ma chiedono sia negata agli altri, cioè al
popolo. In questi giorni liberali, qualunquisti, monarchici, cioè quegli stessi che protestano violentemente contro le leggi in difesa della Repubblica, quegli stessi che rivendicano il diritto d’organizza¬ zione anche per il partito fascista, all’Assemblea Costituente si sono
pronunciati energicamente
contro
il diritto di sciopero
e
i diritti del lavoro sanciti nel progetto di Costituzione. La contraddizione è solo formale. In realtà costoro sanno ciò
contro
42
che vogliono. Si tratta della lotta di classe che ancora una volta si manifesta nella sua crudezza e brutalità. La classe economicamente ancora dominante tenta di mante¬ nere quanta più libertà per sé e di negarla agli altri, libertà di dominare, di sfruttare, di speculare, libertà di limitare quanto i diritti ai lavoratori. Per il capitale monopolista, per i grandi industriali, per i gran¬ di banchieri e per i loro servi era perfettamente logico che vi
più possibile
garantissero il regime monarchico e fasci¬ democratico che vi siano leggi che garanti¬ scano la libertà e la democrazia. Nei prossimi giorni le leggi per il consolidamento della Repub¬ blica verranno portate all’Assemblea Costituente, le forze demo¬ cratiche saranno impegnate in una dura battaglia, in una batta¬ glia che dev’essere vinta. Conservatori e reazionari di ogni colore ancora una volta si tro¬ veranno uniti per tentare di impedire che la Repubblica si raf¬ fossero delle
leggi, che
sta,
trovano
ma
non
forzi, per costringere la balia dei suoi nemici.
democrazia
a
restare
inerme
e
passiva
in
Repubblica de¬ al ed le Tutte forze democra¬ più presto. approvate tiche non solo all’Assemblea Costituente, ma nel paese, devono far sentire la loro decisa volontà di difendere la democrazia e la repubblica. Non devono lasciarsi ingannare da coloro che in no¬ me della libertà vorrebbero dare « via libera » al fascismo. Non vi può essere democrazia senza libertà, ma nessun regime Le
vono
leggi
per la difesa ed il consolidamento della
essere
democratico serio penserà mai di accordare la libertà ai banditi, ai ladri, ai delinquenti. La libertà non deve servire ad un pugno di filibustieri, di speculatori, e di profittatori per ridar vita al fa¬ scismo, per calunniare, per infangare, per vilipendere la Repub¬
blica, il
per accumulare miliardi rovinando il paese
popolo. tratta di impedire
e
strangolando
nostro
Si
possa
ancora
che
quello
che è
avvenuto
nel 1921-’22
ripetersi.
43
PARTIGIANO ASCOLTA!3 e voi che li odiate assai più che i carnefici dei nostri fratelli gridaste al di¬ sonore, all’anarchia, al doppio governo! Voi imprigionaste senza pietà i migliori ...
tra
quei figli del sacrificio
e
come
sem¬
solamente di perseguirli, di im¬ prigionarli, di distruggerli, ma di calun¬ niarli voi cercaste sino a volerli far pas¬ sare per ladri. Garibaldi
pre
Queste parole
non
pronunciate oggi, non sono state Longo o da Parri, queste parole fu¬ scagliate da Garibaldi dopo Sarno sul gruppo di tutti i Pa-
lanciate rono
come
non
sono
state
invettiva da
trissi di allora, contro i diffamatori dei garibaldini e dei patrioti. Perché anche ottantanni fa accadde ai garibaldini ciò che sta accadendo ai partigiani oggi. Due anni appena sono trascorsi dal
aprile 1945. Sembra ieri, le nostre città liberate, il nemico in fuga battuto e scacciato dal nostro suolo, il popolo, tutto il po¬ polo in festa. Tutti in piedi, l’Italia si era veramente desta; pazzi di gioia 25
sembravano gli italiani
e tra il crepitar dei mitra, canti, abbracci, lacrime e fiori, fiori per i nostri partigiani. Tu vivesti allora, amico partigiano, noi tutti vivemmo i gior¬ ni più belli della nostra vita. Era la vittoria, era la fine delle sof¬ ferenze, del martirio per il nostro paese. E quell’entusiasmo, quel delirio, quegli evviva che uscivano da mille e mille bocche, quel¬ le immense, indimenticabili manifestazioni di riconoscenza, di af¬ fetto e di esaltazione ti fecero veramente pensare che l’Italia non solo s era desta, ma si era rinnovata. Tutti i sacrifici, tutti i pa¬ timenti, tutto fu di colpo dimenticato! Il popolo riconosceva i suoi figli migliori, il loro eroismo, i loro patimenti, la loro epopea. Tutti gli italiani al 25 aprile si sentivano partigiani, si sentivano fratelli. Nessuno voleva non esserci stato. Quel giorno sorgeva la nuova Italia e le speranze, le illusioni salivano, salivano sempre più in alto. Sono trascorsi due anni da allora, ed i soli due anni di distan¬ za è permesso a delle canaglie da bassefondo, agli agenti dell’OVRA, ai ricattatori di professione, ai collaboratori del tede¬ sco, alle lo£o prostitute ed ai loro lacchè, è permesso ai traditori, ai profittatori, agli eroi della borsa nera e del doppio gioco di ca-
3
44
«
Vie Nuove
»,
25
aprile 1947.
lunniare, di infangare suoi uomini
e
sui vivi ed anche sui morti.
migliori,
Invece di rendere
tigiani ignoti che
di sputare sul movimento partigiano, sui
omaggio agli
agli umili, ai par¬ alla mano quando il
eroi oscuri,
battuti con le armi occupato, quando la lotta per la libertà non la si conduceva tra le poltrone di Montecitorio, ma sui monti a prezzo della vita, oggi certa gente non ha altra preoccupazione che fare l’apologià della viltà, del tradimento e del passato. Oggi sulla stampa, dal palcoscenico del teatro, del cinemato¬ grafo, del varietà, l’ultimo guitto, la sgualdrina qualunque può territorio
nostro
si
sono
era
ironizzare, partigiano,
ai tuoi
sacrifici, alla
lotta, può calun¬
tua
niarti, ingiuriarti. Perché, perché
tutto questo ti domandi? Il perché è ancora sempre lo stesso, quello di ottant’anni fa. Voi vorreste gridava Garibaldi ai reazionari dell’epoca poter cancellare dalla storia d’Italia la nostra epopea. « ...Si tollerino, si accarezzino i reazionari di tutti i colori, i
duchisti, i borboni, gli austriaci, ma gli uomini della rivoluzione si perseguitino come le belve, senza posa e senza quartiere, per¬ ché quelli sono gli uomini di cui ha paura il padrone. » Marx scrisse che la politica di Vittorio Emanuele consistette prima nello sfruttare ai suoi fini Garibaldi, poi nello screditarlo. Le classi conservatrici temevano Garibaldi ed i garibaldini, essi rappresentavano la rivoluzione democratica italiana. Essi
erano
i
portatori dell’unità e della libertà. Se Garibaldi ed i garibaldini, assieme al coraggio, allo spirito di sacrificio ed all’istinto rivoluzionario che possedevano in som¬
grado, avessero avuto coscienza del carattere di grande movimento di liberazione nazionale di cui erano mo
nisti, avrebbero potuto spazzare via i nobili
classe del i protago¬
proprietari di
terra
della società feudale. Avrebbero potuto por¬ tare a compimento il Risorgimento italiano e realizzare molto prima un’Italia unita, democratica e repubblicana. Ecco perché i nobili, i reazionari ed i partiti conservatori stretti attorno alla monarchia piemontese temevano Garibaldi, ec¬ co perché ogni volta appena terminata una campagna Garibaldi
e con essi i rottami
veniva gettato
a
Caprera,
in esilio
ché anche allora si diffamavano i ra si svalutava la loro opera.
se
non
in
garibaldini
Ecco per¬ terminata la guer¬
prigione. e
si vorrebbe ripetere lo stesso gioco. Oggi si è già arri¬ negare che ci sia stata la guerra partigiana di Liberazione, che vi sia stata insurrezione nazionale. Non è solo la viltà che odia l’eroismo e lo vuol far dimenti¬
Oggi
vati
a
45
solo i pavidi, i vigliacchi, i collaborazionisti ed le ore che vogliono fare dimenticare la loro profittatori i loro l’oro accumulato sul sangue dei fratelli, il viltà, traffici, si di tratta tradimento, qualche cosa di più. Si tratta di un piano ha Chi ieri collaborato col tedesco non disdegna oggi di politico. collaborare con gli anglo-americani. Gli affari sono gli affari. Il compito di questi collaborazionisti di sempre, di questi agenti dello straniero è oggi quello di dimostrare che la Liberazione Non
care.
sono
di
i
non
tutte
degli italiani,
è stata opera
corrisponde d’altronde
ai loro
loro che avrebbero voluto
gime molto simile Ma come
si fa
come
si fa
a
a a
e
quello
ma
è venuta dal di fuori.
Questo
desideri, al desiderio di
vorrebbero in fascista.
rimettere in
piedi
un
tutti in Italia un
piedi
co¬ re¬
regime di tipo fascista,
il potere assoluto delle vecchie classi do¬ queste classi si sono ricoperte d’infamia, hanno
restaurare
quando venduto il paese
minanti,
allo
straniero, lo hanno portato alla rovina,
quan¬
della Liberazione è stata innalzata dalle masse popolari, dai lavoratori e dai loro partiti? Ecco perché, amico partigiano, si conduce oggi una lotta con¬ tro di te a base di diffamazione, di calunnie, di insulti. Il motivo di questa scandalosa campagna non è di meschina rivalità di par¬ tito, di concorrenza elettorale. Questa lotta mira più lontano. Vo¬ gliono strapparti dalle mani, vogliono strappare dalle mani del popolo la bandiera della Liberazione nazionale. I traditori vorrebbero vestire la divisa dei traditi, i carnefici vorrebbero passare per vittime e trasformare le vittime in as¬ sassini. Si vuol arrivare a dimostrare che i collaborazionisti sono stati i veri salvatori della patria e che i patrioti, i partigiani so¬ do la bandiera del riscatto
no
e
stati dei banditeti.
Così sarebbero create le premesse tare la rivincita, per poter instaurare
rannide. Amico
ideologiche
per poter ten¬
il regime della ti¬
ancora
partigiano, non temere, non avvilirti. Oggi non Oggi la situazione dell'Italia e dell’Europa
nel 1860-’70. diversa.
Oggi abbiamo una coscienza, ideologica ed organizzativa che eroe,
ma
partigiani
era
una
allora
solo coi suoi mille
non
siete soli. È
comunista, il partito del
esperienza,
con
e
forza politica, Garibaldi era un
una
mancava.
poco voi un
siamo è ben
più. Voi amici, compagni grande partito, il partito
popolo italiano,
sono con
voi altre forze
democratiche. Ricordate la verno
46
vigilia dell’aprile
1945? Nel
di guerra il partito comunista vi rivolse
corso un
dell’ultimo in¬
appello:
«
...Noi
comunisti lavoreremo con voi per ricostruire il nostro paese, per risanare le sue ferite, per epurarlo dal marciume fascista, per li¬ quidare i più iniqui privilegi del capitale, della grande proprietà
le loro forme più retrive, per dare all’Italia un regime di libertà di democrazia, per creare un avvenire migliore a tutti gli ita¬ liani. » Ebbene quelle parole del nostro saluto sono ancora attuali, le ripetiamo oggi, sono il nostro programma. Noi non ci siamo mai lasciati ed anche in questo 25 aprile ci troviamo a fianco a fianco nella ricostruzione come lo siamo stati ieri nel combatti¬ mento. Ed anche oggi, amico partigiano, ti diciamo che la nostra
e
e
vittoria è certa. La reazione non prevarrà, il fascismo non tor¬ nerà mai più. Nessuno riuscirà a mettere la pietra sepolcrale sui combattenti della libertà. Oggi come ieri dipende da te, dipende
da noi. Innanzi tutto, amico partigiano, devi avere coscienza della tua forza, non devi lasciarti vincere dallo scoraggiamento, dalle dif¬ ficoltà, dal fango che sale. In secondo luogo, non devi lasciarti ingannare dai provocatori e dalle manovre reazionarie. Devi continuare a mantenerti unito ai tuoi compagni di lotta e devi lavorare per una sempre più lar¬ ga e salda unità di tutti i lavoratori, di tutti gli ex combattenti,
di
tutti i reduci che anch’essi hanno tanto sofferto. In terzo luogo, devi continuare a lottare sul terreno democra¬
tico
contro
il
grande capitalismo,
contro
i
grandi agrari,
contro
monopolisti che continuano a tradire oggi il paese come lo han¬ no tradito ieri. Devi continuare a lottare per il pane e la libertà sino a realizzare quel mondo migliore che è nel cuore di tutti noi. Tu non sei solo, non sei debole, amico partigiano, il popolo
i
è potente ed alla sua testa vi è un grande partito, un non ha mai tradito, che non ha mai abbandonato il
partito che
sacrifici nella lotta per la libertà. conosce
e
sofferenze,
ma
non
partito che
popolo,
conosce
un
soste
47
1947, garibaldini
a
Modcn,
1948
SULLE ORME DI ...DOLFUSS
1
stato dato dalle sta reintegran¬ Sceiba Viminale ove del palazzo grosse artiglierie do nei quadri della polizia i funzionari dell’OVRA, i vecchi squa¬ dristi, gli « esperti » nell’organizzazione dei complotti e delle pro¬ vocazioni. A grandi titoli sono stati annunciati i « piani K » dei comu¬
La campagna elettorale è cominciata. Il via è
nisti, la scoperta di misteriosi contrabbandi di armi sulle coste adriatiche, i preparativi insurrezionali, le cosiddette circolari se¬ grete. Per dare parvenza di verità
a
queste Kolossalen Ballen si
prese delle misure nei confronti degli stranieri e si sta ela¬ borando un decreto che dovrebbe proibire ai partigiani di vestire sono
le loro gloriose divise. Tutto questo fa parte del piano elettorale di De Gasperi: far paura agli italiani. Terrorismo religioso e terrorismo politico. L’on. De Gasperi ha paura delle elezioni. Oggi, come ieri, il co¬ muniSmo, ecco il nemico, e tutta la stampa conservatrice, abituata ormai per tradizione a servire, non disinteressatamente, i padroni del Viminale, fa coro: ancora 70 giorni di tempo per salvare l’Italia! Ed i « piani K » prendono forma e colore, si inventano fatti, località, i servizi speciali del PCI. Non si ha alcun scrupolo né ritegno alcuno, tanto sono certi dell’impunità; in Italia la dif¬ famazione a mezzo della stampa non è reato: al più può conclu¬
dersi con una lieve multa. Si parla di concentramento di 800.000 comunisti armati nella Valle Padana, di mobilitazione di divi¬ sioni da parte di una potenza confinante. Tutte balle, calunnie, invenzioni di giornalisti pagati un tanto al rigo. Invenzioni che tuttavia servono sempre ad ingannare qualcuno, a creare il dub¬
bio, la confusione, 1
come
Articolo di fondo di
«
servivano ieri le panzane del Vie Nuove »,
n.
Minculpop,
7, 15 febbraio 1948. 49
che ogni giorno scopriva i piani tenebrosi del
bolscevismo,
men¬
in realtà il nazismo ed il fascismo stavano preparando le più infami aggressioni ai popoli liberi d’Europa e degli altri paesi. tre
È la tecnica dell’inganno, della truffa, volgare espediente elet¬ torale che si combina con quello della corruzione dell’opinione
pubblica. Per buona fortuna gli italiani non sono più alle prime armi. Per quanto labile possa essere la loro memoria, non possono di¬ menticare certe storie che hanno sentito raccontare cento volte. Basta aprire i giornali dell’aprile-maggio 1946 per trovarvi le mobilitazioni dell’esercito mini politici fatti a pezzi
diplomatiche sovietiche, e così
jugoslavo alle nostre frontiere, gli uo¬ e viaggianti per l’Europa nelle valigie
il salto nel buio, la monarchia
o
il caos,
via.
rigatteria fascista e che la Democrazia Cristiana non fa che ristampare vecchi cliché, vo¬ gliamo riportare un brano d’un articolo del « Die Bundesspolizei » A dimostrazione che si tratta di vecchia
(organo sindacale della polizia austriaca) pubblicato nella secon¬ « ...I nemici dello Stato si armano più che mai. Essi devono avere dei fondi considerevoli a loro disposizione. Non da metà del 1934:
è difficile indovinare la sorgente. Le loro minacce si fanno sempre più ardite. Si tratta prima di tutto dei socialdemocratici radicali e dei comunisti che si sono riuniti in fronte unico, eccitano e com¬ senza ostacoli. Grosse quantità di armi entrano di con¬ trabbando in Austria, ecc. ecc. » Sembra scritto oggi. C’è tutto, c’è il fronte unico socialistacomunista, c’è l’oro di Mosca, c’è la minaccia insurrezionale, c’è il contrabbando di armi. Anche oggi non manca nulla. Proprio come allora. Allora in Austria, nel 1934, mentre Dolfuss accusava i comu¬
plottano
nisti di preparare la guerra civile, di contrabbandare armi, ecc., che contrabbandava ed erano i fascisti c’era qualcuno veramente armi e preparava quel colpo di Stato fascista che doveva fare perdere all’Austria l’indipendenza. La libertà l’aveva persa prima per merito del cancelliere Dolfuss. Il pericolo più grave anche oggi non è tanto rappresentato dal¬ le calunnie quanto dal fatto che mentre si ingiuriano e si accu¬
già
sano
qualcuno che si arma sul serio. Mentre si le organizzazioni democratiche antifasciste, mentre si
i comunisti, vi è
sciolgono impedire
vuole
ai
partigiani di
vestire la loro divisa, si autoriz¬
le organizzazioni fasciste, si mantengono rapporti col ban¬ dito Giuliano, le autorità rilasciano i suoi luogotenenti, cacciane dalla polizia e dall’esercito gli ufficiali democratici per sostituirl
zano
50
con
lizia
gli e
trusts
ufficiali epurati, con gli ex gerarchi dell’OVRA, della mi¬ della PAI. Il fascismo non è morto: il grande capitale, i
non
sono
scomparsi.
Non diciamo che si tenti di
il fascismo di prima, il fascismo di Hitler
e
restaurare
di Mussolini,
ma
po¬
fascismo, ad un fa¬ scismo del tipo Sàlazar o Dolfuss. Un fascismo con un pizzico di democrazia formale, magari col suffragio universale, con i sinda¬ cati corporativi, senza diritto di sciopero, ma con la libertà per il partito socialdemocratico di Saragat e forse anche per quello di Pacciardi. Quanto alla stampa, al cinema, alla radio, già oggi trebbe darsi
che qualcuno pensi ad
un
nuovo
monopolio del partito demo-americano. Noi abbiamo fiducia nel popolo italiano. Anch'esso ha impa¬ rato qualcosa dal passato. Ha imparato a non credere alle panzane della stampa gialla ed alle calunnie di De Gasperi, di Sceiba e soci; ha imparato a vigilare, a guardarsi dalle provocazioni; ha imparato a unirsi per lottare e per vincere. I partigiani italiani che non hanno avuto paura di indossare la loro gloriosa divisa davanti ai tedeschi, non si nasconderanno certo davanti a Sceiba. sono
51
LA LORO DEMOCRAZIA:
gli
CATTURARE E UCCIDERE »2
Associateci Press » apprende da Washington che Stati Uniti prenderanno varie iniziative per rafforzare la po¬
L’agenzia «
«
«
sizione del governo dell’on. De
Gasperi alle prossime elezioni.
Oltre al piano Marshall saranno attuati altri provvedimenti che daranno ai partiti democratici [leggi democristiani e fascisti] «
munizioni per la fase finale della campagna elettorale. » Uomini di Stato americani parlano apertamente di dare all’Ita¬ lia gli stessi aiuti che sono stati dati alla Grecia.
nuove
Questa è la dottrina Truman in funzione. Questa è la Carta Atlantica, questo è il rispetto per la libertà e l’indipendenza dei
popoli! Qualche giornale
si domanda
ingenuamente quali saranno que¬ stati gli aiuti dati alla Grecia. Lo sappiamo tutti dai risultati: nel breve spazio di un anno vi sono stati in Grecia 3.800 patrioti fucilati, 32.000 deportati, 8.000 arrestati. Ufficiali, fucilieri, piombo e mitraglia sono stati sti
aiuti, quali
sono
generosamente forniti dall’America. Gli arrestati vengono siste¬ maticamente torturati e seviziati. Il Parlamento è chiuso, la liber¬ tà di stampa soppressa. Arresti e deportazioni terrorizzano ogni
giorno la popolazione greca. Il generale Van Fleet, il capo cia, ha dato
della missione americana in Gre¬
l’ordine: « Capture and kill. » Cattu¬ rare e uccidere. Tutti i combattenti per la libertà non saranno più, al momento della cattura, considerati prigionieri di guerra, ma saranno d’ora innanzi passati per le armi. Questa è la loro democrazia! Catturare e uccidere, ecco la pa¬ rola d’ordine dei briganti imperialisti che oggi terrorizzano la Grecia con gli stessi sistemi della Gestapo, con gli stessi metodi recentemente
delle belve hitleriane. Tutto il canagliume della stampa
giallo-nera così fertile nell’ingli sciacalli danzanti attorno ad un morto, tutti coloro che versarono fiumi di parole e di finte lacrime sulla rovina della Bulgaria, sulla sorte di un popolo per un traditore regolarmente giudicato e condannato, tutti costoro oggi tacciono. Non hanno una parola per denunciare il terrore in ventare
2
52
«
«
il
terrore
Vie Nuove
»,
n.
di Praga
12, 21
», tutti
marzo
1948.
Grecia. Ma tacessero almeno. La spudoratezza degli scribi democristiani varca ogni limite. « lì Popolo » del 13 marzo arriva a parlare di « eventi tragici ed allarmanti come quelli che vanno succedendo alle frontiere della Grecia ». Ah si, spudorate cana¬ glie, sepolcri imbiancati, voi avete occhi per « scorgere il rosseg¬ giare del sangue » alle frontiere della Grecia, ma non avete oc¬ chi per vedere che cosa accade in Grecia. Voi non avete una sola parola per le migliaia e migliaia di ar¬
restati, di torturati, di fucilati della Grecia martire. Ciò che accade in Grecia, ciò che accade in Spagna
guarda.
Non dite nulla
perché
approvate,
vi ri¬ è la vo¬
non
perché quella
democrazia. Quella democrazia che il partito americano vor¬ rebbe in Italia. « Catturare e uccidere » in massa, sommariamente, senza esi¬ stra
tazione, senza perdere tempo. Voi siete il terrore, voi siete il regno del banditismo
e della L’ondata di che sale da del mondo guerra. indignazione ogni parte civile per ciò che sta accadendo in Grecia in questi giorni deve fare riflettere e mobilitare tutti gli italiani. Non è solo la vita di migliaia di eroi, di migliaia di combat¬ tenti per la libertà che è in pericolo: è la democrazia e la libertà in Europa che sono minacciate.
53
NATO NEL SANGUE
3
lì governo del partito americano è nato. Faticosamente anzi che no, dato l’appetito dei 307 e dei loro manutengoli. Il parto è stato piuttosto difficile perché ai bassi intrighi dei trafficanti nostrani s’intrecciavano pesantemente le esigenze non meno in¬ confessabili degli imperialisti stranieri. Gli americani volevano i saragattiani, gli inglesi per contro¬ bilanciare chiedevano
posti
per i liberali. Al mercato delle
vac¬
che parteciparono direttamente i padroni da Washington e da Londra. Così, tra sfacciate macchinazioni di intriganti affamati e di servi in livree esotiche, è nato questo governo del dollaro e della rea¬
Sceiba, Sforza, Vanoni, Ivan Matteo Lombardi, Grassi, il fior fiore della grande industria, degli agrari Segni, Pella
zione.
3
Articolo di fondo di
«
Vie Nuove »,
Il governo di cui si parla
n.
22, 30 maggio 1948.
dopo le elezioni del
18 aprile 1948, svoltesi in un clima di anticomunismo viscerale, forsennato. Tutta la campa¬ gna elettorale era stata condotta dalla DC, dai Comitati Civici, dal Vaticano, da tutta la stampa cosiddetta indipendente col ricatto agli italiani, svento¬ lando lo spauracchio del « salto nel buio », del caos, della dittatura che sa¬ rebbe stata instaurata in Italia se avesse vinto il Fronte Popolare. La polizia era stata scatenata contro i lavoratori. Dal mese di novembre 1947, durante i sei mesi della campagna elettorale si susseguirono le azioni di intimidazione e di violenza contro i lavoratori. Ne ricordiamo soltanto alcune, tra le più gravi: lì 9 novembre 1947 viene ucciso un vice-segretario della Federterra di Marsala, compagno Pipitone. Il 10 novembre gruppi di attivisti della Feder¬ terra vengono dispersi con raffiche di mitraglia a Ponte Lambro. Il 20 no¬ vembre a Gravina un dimostrante è ucciso. Il 15 novembre a Cerignola (Bari) durante lo sciopero generale, 2 contadini uccisi dalla polizia: Dome¬ nico Angelini e Onofrio Perrone. Il 16 novembre a Corato (Bari) 3 contadini uccisi: Diego Masciale, Pietrino Neri, Anna Raimondi. Il 22 novembre a era
nato
Gravina di Puglia viene ucciso il lavoratore Ignazio Labbatessa. Il 6 dicem¬ bre a Roma ucciso Giuseppe Tanas. Il 22 dicembre a Canicatti viene ucciso Francesco D’Antone. Il 15 e il 19 gennaio 1948 bombe lagrimogene sono lan¬ ciate contro cortei di lavoratori
Il
e
di mutilati
gennaio cortei di lavoratori
a
Roma, Brescia, Todi
e
Napoli.
Cremona ed a Firenze sono attac¬ cati dalla Celere. Il 26 gennaio una bomba è lanciata contro la sezione co¬ munista di Maiorana (Sicilia): provoca il ferimento di 13 persone. Il 12 febbraio a Mazarino (Sicilia) sono arrestati 36 capilega contadini. Il 9 feb¬ braio una squadra fascista a San Ferdinando di Puglia devasta la sede del PCI e apre il fuoco contro un comizio del Fronte, provocando la morte di 5 persone. L’8 marzo a Cosenza viene ucciso il comunista Pietro Mazzulla. Il 21 ed il 22
54
a
e
dei forcaioli. Questi uomini, le loro
tutto
un
classe
operaia,
programma:
i loro atti, sono rapida per isolare la
parole,
la via
trovare
per spezzare la
sua
più unità, per
scindere i
sindacati,
le forze democratiche, e tutto questo allo scopo di spremere altri profitti dalla pelle dei lavoratori e di obbligare il popolo italiano a portare il giogo delPimperialismo straniero. Questo governo è nato nel sangue, suggello tragico del suo per
disgregare
programma. Nel giorno in cui il cancelliere von Gasperi annun¬ ciava che il giuoco era fatto, trentamila lavoratori accompagna¬
al cimitero di Tarcenta il giovane contadino Evelino To¬
vano
sar elio
freddato dai mitra messi dall’on. Sceiba al servizio degli alla vigilia dell'eccidio avevano invitato aperta¬ il governo a fare sparare sui lavoratori.
agrari. Questi mente
12
marzo
in Sicilia scompare
e
poi viene
trovato ucciso il sindacalista comu¬
squadra armata fascista aggredisce comizio del Fronte. Il 2 aprile a Somma Vesuviana vengono sparati colpi di arma da fuoco contro un comizio tenuto dal comunista Eugenio Reale. Il 13 aprile ad Andria (Bari) è ucciso il contadino Riccardo Suriano. L’11 aprile a Lizzanello (Lecce) una bomba viene lanciata contro un comizio del nista
Placido
Rizzotto.
Il
29
marzo
una
un
Fronte:
2
morti
e
19
feriti.
La percentuale dei votanti fu altissima: il 99%, i voti nulli, che nel 1946 erano stati circa due milioni, furono nel 1948 soltanto 544.884, il che in¬ sieme ad altre risultanze dimostrò che molti erano stati i « brogli ».
Comunque
i risultati del voto del 18
Per la Camera dei deputati: Democrazia Cristiana Fronte Popolare
aprile
12.751.841 voti 8.025.880 voti
Unità socialista
1.806.525
Blocco nazionale Partito repubblicano
1.001.150 650.413
MSI
Per il Senato-. Democrazia Cristiana Fronte Popolare Unità socialista
Blocco nazionale Partito repubblicano MSI
1948 furono i
(306 C183
voti
(
voti voti 525.408 voti
( ( (
10.740.731
voti 6.995.229 voti 1.580.722 voti 1.364.471 voti 637.433 voti 244.646 voti
33
seguenti: seggi ) seggi ) seggi) seggi)'
9 9 seggi) 6 seggi)
C130 seggi) ( 74 seggi ) ( 12 seggi ) 9 seggi) ( 3 seggi) ( 1 seggio) (
Lo spostamento di voti del 18 aprile fu notevole. La DC passò dal 35,2% al 48,4% conquistando la maggioranza assoluta, il Fronte (comunisti, socia¬ listi e indipendenti di sinistra uniti) passò dal 39,7% del 1946 al 31,1%. Dai voti del Fronte si dovettero sottrarre naturalmente i voti perduti dal partito socialista dopo la scissione socialdemocratica e la nascita del partito di Saragat. Infatti il PSLI raccolse 1.842.927 voti portando via il 7% dei votanti del PSI che nel 1946 aveva preso da solo il 20% dei voti accanto al 19% presi dal PCI.
55
degli agrari di Rovigo, il giorno prima, fra diceva l’altro: « Le elezioni fra l’altro ave¬ fondo, vano il valore di un referendum: o la violenza o la legalità. E vi sono stati molti che per dare maggior valore a tale referendum hanno sacrificato le loro personali ideologie politiche votando e consigliando di votare per lo scudo crociato. Oggi a poche set¬ timane di distanza, cerchiamo invano la efficace tutela di quelle forze dell’ordine che perfettamente equipaggiate e fornite di «
nel
lì Polesine
», organo
suo
modernissimi mezzi hanno dato bella delle elezioni. »
mostra
di sé nei giorni
ore dopo, questo pressante invito degli agrari accolto. I contadini venivano mitragliati. La Democrazia Cri¬ stiana pagava la sua cambiale. Non è un caso, anche questo dev’essere nel programma del governo De Gasperi-Saragat.
Ventiquattro
era
Le
aggressioni violente
e
sanguinose
contro
gli scioperanti,
le manifestazioni dei lavoratori, le brutalità dei carabi¬ nieri, le provocazioni poliziesche, l’uso dei manganelli e dei mitra da parte delle forze dell’ « ordine » stanno diventando un sistema, una cosa normale. Nel corso della guerra di Liberazione si era creata una unità di tutti gli italiani amanti della libertà. Nella lotta contro i tedeschi ed i fascisti popolo ed esercito, operai e carabinieri, contadini ed agenti di polizia, soldati e partigiani avevano lot¬ tato, sofferto e combattuto spalla a spalla. Là per la prima contro
volta, il popolo italiano si era sentito veramente unito contro lo straniero, contro l’oppressore, contro la tirannia. Per alcuni anni dopo il 25 aprile forze dell’esercito e della non furono impiegate contro i lavoratori, non interven¬ nelle lotte tra capitale e lavoro. Le cose sono cambiate da quando l’on. Sceiba andò al Viminale, da quando il partito del Vaticano e dell’America riuscì ad impossessarsi del potere. La libertà di sciopero dev’essere soffocata nel sangue anche se questo significa sparare sugli italiani, anche se questo signi¬ fica spezzare l’unità che si era creata tra forze armate e popolo.
polizia nero
Dove vuole arrivare questo governo? Vuol forse trasformare
campi di grano in campi di battaglia? Vuole forse quest’anno far trebbiare il grano con le mitragliatrici? Vuole forse che i
ogni sciopero diventi una cruenta lotta di strada e che ogni aumento di salario debba essere pagato dai lavoratori col sangue? Può darsi che tutto questo sia nel programma di coloro che prendono ordini da Washington e da Londra. Ma questo non è nel programma di milioni di lavoratori uniti nella Confedera¬ zione del Lavoro; questo non è nel programma delle forze 56
schierate nel Fronte Popolare; questo non è nel programma degli italiani che si sono battuti per fare un’Italia libera, unita, re¬
pubblicana. Bisogna impedire a questo gare degli italiani ad uccidere
governo dello straniero di obbli¬ altri italiani, di obbligare dei lavo¬ della Repubblica, a sparare su altri
ratori, in nome dell’ordine e lavoratori. Non c’è tempo da perdere. Il fronte democratico popolare deve mobilitare gli italiani contro il pericolo che li minaccia. Si tratta di salvare la loro libertà e la pace.
57
BILANCIO DELLO SCIOPERO GENERALE4
sciopero generale del 14,15 e 16 luglio è stato il più im¬ ponente, il più spontaneo e il più forte che la storia del movi¬ mento operaio ricordi. Il governo ed i suoi servitori, a sciopero finito, ripreso un po’ di fiato, alzano la voce e parlano di clamorosa sconfitta dei lavo¬ * * * * * * ilLo
ratori, della CGIL e del partito comunista. Così forte è stata la loro paura, che oggi si abbandonano a in¬ cosciente e bestiale reazione, senza pensare che « le violenze dal¬ come scriveva un giorno Camillo Prampolini, rendono fa¬ tali anche le esplosioni dal basso ». Lo sciopero generale è stato così compatto, così deciso, così imponente che i « nostri » governanti e i loro padroni tentano di fare credere si sia trattato di uno sciopero insurrezionale. Non erano più abituati, questi signori, allo sciopero generale,
l’alto,
dei mezzi di lotta più antichi del movimento operaio moder¬ Abbiamo sentito ripetere in questi giorni, dagli uomini del governo nero, le stesse stolte accuse che cinquantanni or sono uno no.
venivano lanciate dai più retrivi reazionari. Anche allora, come oggi, a sciopero finito vi fu chi
disillusione,
parlò di quel
di sconfitta, di scoraggiamento. L’esperienza di
4
lì 14 luglio 1948 un sicario delle forze reazionarie e neofasciste, certo Antonio Pallante, aveva tentato di assassinare con tre colpi di rivoltella an¬ dati a segno il compagno Paimiro Togliatti, rimasto gravemente ferito. Lo sciopero generale del 14 luglio fu il più imponente ed « il più spon¬ taneo » poiché nei principali centri dTtalia scoppiò prima ancora che arri¬ vassero le direttive del PCI e fosse proclamato dalla CGIL. Appena la radio delle ore 13 annunciò l’avvenuto attentato alla vita del capo dei lavoratori, tutta l'Italia operosa si fermò. Operai, impiegati, con¬ tadini, lavoratori di ogni categoria cessarono di lavorare. L’articolo di P. Secchia («Vie Nuove», n. 31, 1° agosto 1948) non fu il solo che egli scrisse in quell’occasione; nella seconda metà di luglio, scrisse una serie di articoli su « l’Unità », raccolti poi in un opuscolo dal titolo: Lo sciopero del 14 luglio, CDS, Roma, 1948, che lo spazio non ci consente di riprodurre qui. In esso viene esaminata la grandiosità dello sciopero generale senza precedenti: « Occorre soprattutto tener conto che lo scio¬ pero generale del 14-16 luglio non fu “preparato", non fu preceduto da al¬ cun lavoro di organizzazione. » Con gli aspetti positivi, vengono anche rilevati quelli negativi, i limiti, le insufficienze, gli errori (l’esame è fatto località per località). Sottolinea la differenza tra sciopero generale e sciopero insurrezionale, tra
58
dopo quello di Genova del 1900 che primo sciopero generale fece fare un grande passo si era limitato a quella provincia in avanti all’organizzazione dei lavoratori e al movimento prole¬ tario italiano. Lo sciopero
generale del 14-16 luglio
1948 è stato
un
grande
passo in avanti delle forze democratiche italiane nella lotta
il governo totalitario di De
tro e
di
con¬
Gasperi, nella lotta per la pace
per la libertà; è stato una imponente coscienza e di maturità politica del
manifestazione di forza,
popolo italiano;
è
stato
soltanto per i lavoratori italiani. grande esperienza ed internazionale di questo grandioso nazionale L’importanza non dev’essere giudicata dal risultato immediato, ma in sciopero
una
non
rapporto alle lotte di domani. Esso indica la strada da momento in cui si annunciano
nel prossimo avvenire, nel
seguire
grandi
dure battaglie nell’Italia e nel mondo per la difesa del pane, della pace e della libertà. I lavoratori italiani e le loro organizzazioni possono essere fieri di questa grande battaglia combattuta. II governo del Cancelliere (De Gasperi) ha compreso che la
e
sua
le
vittoria del 18 masse
lavoratrici
aprile
è
vittoria di carta, sino unite e animate da tale
una
saranno
a
quando
spirito di
lotta. Ognuno ha potuto constatare che col Fronte Democratico Po¬ polare sono le forze produttive, sono le forze sulle quali poggia la vita del paese. Di qui le precipitose direttive del governo dell’Azione Cattolica per la scissione sindacale; di qui i progetti di legge contro gli scioperi; di qui la minaccia di mettere fuori legge i comunisti e gli organizzatori sindacali; di qui le ridicole .pretese dei democristiani, dei liberali e di tutti i reazionari che la vita del paese sia regolata solo dal Parlamento e che nulla avvenga fuori di esso. tutta
e
La storia del movimento
sindacale, del movimento democratico
concezione marxista e concezione « miracolista » dello sciopero generale, sot¬ tolinea la necessità in qualsiasi lotta dell’unità della classe operaia e il peso che hanno le sue alleanze, i rapporti tra partito e organizzazioni di massa.
Nell’opuscolo sono pubblicati l’appello del PCI, il Manifesto della CGIL, la decisione per la cessazione dello sciopero e relativo comunicato della CGIL,
il comunicato della direzione del PCI dopo la fine dello sciopero. Lo sciopero del 14 luglio 1948 provocò una forte reazione da parte del governo; per i fatti del 14 luglio furono denunciati e arrestati 7.000 lavora¬
tori e precisamente 145 in Piemonte, 372 in Liguria, 777 in Emilia, 796 in Toscana, 115 in Umbria, 552 nel Lazio, 232 nel Veneto, 363 in Lombardia. 298 nelle Marche, 107 in Campania, 141 in Lucania, 94 in Abruzzo, 992 nelle Puglie, 800 in Sicilia, 101 in Sardegna, 59 in Calabria. 59
e del movimento socialista italiano ed internazionale è la storia di dure lotte combattute dai lavoratori per la loro emancipazio¬ ne. Nulla è mai caduto dall’alto in dono ai lavoratori. Tutte le dalla libertà di riunione al diritto conquiste della democrazia di organizzazione e di sciopero, alle leggi protettive del lavoro, alla proibizione del lavoro notturno per i giovani, al riconosci¬ mento delle Leghe e delle Camere del lavoro, alla conquista delle otto ore, al riconoscimento delle commissioni interne, ecc. sono state realizzate non per effetto di intelligente opera legisla¬ tiva dei governanti, ma sempre attraverso le agitazioni, le lotte
gli scioperi. Sempre i lavoratori si sono violenta delle classi dirigenti e
e
scontrati nella resistenza tenace e dei loro « comitati di affari », re¬
essere spezzata solo opponendo forza alla forza. La lotta sul piano parlamentare non avrebbe portato ad alcun risultato se non fosse stata sostenuta dai grandiosi movimenti di massa nei quali agivano e si muovevano milioni di lavoratori. Oggi De Gasperi, Sceiba e soci avrebbero la pretesa di croci¬ figgere la libertà con un giuoco che dovrebbe svolgersi nell’aula di Montecitorio. Tutta la democrazia e le libertà popolari, nella concezione delP« antifascista » De Gasperi dovrebbe consistere nel fare eleggere una volta ogni cinque anni dei rappresentanti al Parlamento, i quali giuocando con le palline nere o bianche dovrebbero decidere delle sorti del nostro popolo. Anche il fascismo ogni tanto concedeva il « plebiscito ». De Gasperi ed i grandi capitalisti che egli rappresenta pretenderebbero che i lavoratori stessero fermi per poterli meglio incatenare. Ma i lavoratori italiani sanno, per lunga esperienza, che la lotta par¬ lamentare per essere efficace dev’essere sostenuta ed appoggiata con la lotta delle masse lavoratrici, degli operai, dei tecnici e
sistenza che poteva
degli impiegati. Quasi sempre cire
delle
delle masse
Parlamento, con le sue leggi, non fa che san¬ conquiste già realizzate di fatto attraverso la lotta il
popolari. scriveva di¬ azione può parlare di antitesi come non si può parlare neppure di sull’altra. Per noi l’azione parlamentare è
Ivanoe Bonomi, l’attuale nel gennaio 1905: «Non si retta e azione parlamentare,
presidente
della
Repubblica, tra
preminenza dell’una l’integrazione necessaria dell’azione diretta. L’una suppone l’altra. Come ogni agitazione ha per scopo di influire sopra i poteri po¬ litici, così ogni azione parlamentare in tanto è efficace in quanto è sorretta, stimolata, dalle correnti 60
popolari.
»
Forse oggi Ivanoe Bonomi non firmerebbe più questo suo scrit¬ to, ma ciò non cambia la realtà dèlie cose. Non vi può essere governo forte, democratico e costruttivo se si governa contro il popolo o senza il popolo. L’on. Sceiba parla di Stato forte, di autorità dello Stato, di im¬ perio della legge proprio come ne parlava il fu Mussolini anni fa. Ma le baionette ed i decreti reazionari di De Gasperi-Scelba non
fermeranno l’ascesa del movimento socialista. Da parte nostra dobbiamo trarre da questo
generale a
tutti
gli insegnamenti
atti
a
grandioso sciopero migliorare il nostro lavoro,
e insufficienze per meglio orga¬ condurre le lotte di domani.
superare determinate debolezze
nizzare
e
provocatori
Jerta' o i litri) i
.
,
tutto il paese sino al 24
cinesca di coloro che riuscirono a
volete decidere soltanto
peraltro, ebbero allora incertezze, esitazioni, chiesero di poter per qualche tempo restare estranei. Dopodomani ricorreranno quindici anni dal 23 luglio 1943. Non è superfluo ricordare in questo momento, a chi già lo avesse dimenticato, che il 23 luglio segnò non soltanto il crollo della dittatura, ma il fallimento completo di quella politica di alleanze militari, di asservimento alle grandi potenze straniere, di quella politica di avventure e aggressioni. Quella politica si chiudeva con una disfatta militare senza precedenti nella storia del nostro immensa catastrofe. Né si dica che allora la colpa è stata solo di Mussolini. Sarebbe troppo comodo ridurre tutto alla responsabilità di un solo uomo, ripetere che quella fu una pa¬ rentesi di pazzia e di aberrazione. Il fascismo non fu soltanto il governo di Mussolini, ma fu il regime e la politica dei gruppi monopolistici e della grande borghesia italiana. Ed in ogni caso paese, in una
311
di pazzia si trattò, oggi si
se
stanno
commettendo le
stesse paz¬
zie. Quindici anni sono trascorsi da quel 25 luglio; noi tutti ri¬ cordiamo com’era ridotto il nostro paese: le immense rovine, le nostre città in parte distrutte, centinaia di migliaia di uomini, di
donne, di bambini uccisi, assassinati; le famiglie, le popolazioni disperse, decimate e tutto per colpa di quel crimine mostruoso che fu la guerra e il fascismo. Si vuole oggi ripetere in più grandi e
neppure
immaginabili proporzioni quella tragica esperienza?
Si parla « d’ordine pubblico », ma chi è che in questi giorni minaccia l’ordine pubblico, se non coloro che non danno garan¬ zia agli italiani che la pace sarà tutelata, assicurata? Chi è che minaccia l’ordine pubblico se non chi ordina ai prefetti, ai que¬
stori, alle forze di polizia di impedire, vietare le manifestazioni di pace? Voi, vietando le dimostrazioni pacifiche, le volete trasfor¬ in dimostrazioni violente
mare
e
rissose. Vietando i comizi, voi
il timore, il panico, il disordine perché allarmate l’opinione pubblica, date la prova che avete già deciso per la guerra al pun¬ to che volete impedire si manifesti per la pace. E con quale di¬ ritto voi proibite le nostre manifestazioni e i nostri comizi men¬ tre avete deciso di accordare ampie libertà per i comizi del vo¬ stro partito? « lì Popolo » di oggi annuncia la convocazione del Consiglio Nazionale della DC la cui direzione centrale « invita i comitati provinciali e le sezioni del partito a svolgere immedia¬ tamente una conseguente azione di informazione e di propaganda nella certezza che tale opera appoggerà e renderà più efficace l’im¬ pegno dell’Italia di concorrere solidalmente con i suoi alleati... ».
create
intende avviarsi il gover¬ dellon. Fanfani? Primo obiettivo di ogni azione di governo è quello di far ha solennemente proclamato l’on. Fanfani
Sono questi i binari nuovi sui no
godere
quali
ai cittadini i diritti che la Costituzione ad essi assicura. [...]
sappiamo che queste libertà
Lo nanzi
tutto
essere
e
questi diritti devono
difesi dalla forza, dall’unità
e
in¬
dalla lotta dei
lavoratori. Mai
come
oggi le lotte
per il pane, per il
salario,
per il lavoro
legate alle lòtte per le libertà democratiche e per la pace. I lavoratori vogliono la pace perché senza la pace non vi può essere né libertà, né benessere, né progresso. Vi sono dei mo¬ menti in cui ogni uomo deve sentire di essere un cittadino, di ave¬ re una fibra, un cervello, un cuore, di avere il coraggio di alzare sono
una
bandiera, di
assumere
un
impegno, di manifestare la
sua
volontà. È nell’interesse di tutti salvare la pace, tanto del lavo¬ ratore, dello studente o dell’intellettuale che manifesta, quanto 312
che dovrebbe garantire a tutti la possibilità di manifestare liberamente per la pace. Nessuno si illuda di soffocare a colpi di sfollagente le voci di coloro che vogliono la pace. « Contro il delitto più enorme e premeditato [non sono pa¬ role nostre, sono state pronunciate da un uomo che è stato alla testa del socialismo riformista italiano, da un uomo che una par¬ te almeno dei ministri che compongono questo governo dice di venerare e considerare come loro maestro e guida] contro il delitto più enorme e premeditato, contro il misfatto della guerra che si prepara, contro il nuovo oceano di sangue che si intravvede, ogni manifestazione sarà legittima, ogni profilassi sarà santa, ogni olocausto, ogni sacrificio sarà lieve e benedetto. » Per Filippo Turati queste espressioni furono forse soltanto un elevato volo poetico del pensiero, per noi tutti comunisti, socia¬ listi, democratici, antifascisti, uomini della Resistenza, vogliono essere e sono un impegno di attività e di lotta per il trionfo del¬ la pace. [Vivissimi applausi della sinistra, molte congratulazioni.]
dell’agente di polizia
313
1959
RESISTENZA E RISORGIMENTO
1
Domani ricorrerà il XIV anniversario del 25 aprile e noi ci ritroviamo puntualmente, come ogni anno, per celebrarlo, affron¬ tando un tema che ci sembra di particolare interesse e attualità
per la ricorrenza del centenario dell’unità d’Italia. C’è chi vorrebbe ignorare il 25 aprile, c’è chi ha il timore che « il ritornare ogni anno a questa specie di appuntamento con le memorie delle stragi, dei patiboli, delle sofferenze vissute, dei pericoli corsi, delle condanne, dei processi, dei dolori, del sangue sparso, altro non faccia che allargare il fossato che divise l’Italia in quegli anni e ne perpetui le conseguenze, tramandando anche
giovani l’eredità degli odi ». considerazioni, per gli stessi motivi, i circoli cleri¬ eredi di cali, gli quelle correnti politiche ed ideologiche che si trovarono negli anni del Risorgimento dalla parte dei Borboni, dei principi, dell’Austria, della Santa Alleanza, sono tutt’altro ai
Per le stesse
che entusiasti di dover solennizzare il centenario dell’unità di Italia. Ma il Risorgimento e la Resistenza devono essere celebrati non soltanto per trarre dalle memorie dei caduti e dal senso pro¬
esperienza e forza per perché con queste celebrazioni noi intendiamo gli ideali, i principi per i quali quelle battaglie sono
fondo del loro sacrificio lievito di vita, nuove
opere,
affermare
ma
combattute
devono
portate avanti. il 25 aprile non significa voler man¬ tenere una divisione tra gli italiani. Non siamo qui per rinfoco¬ lare gli odi, riaprire delle piaghe, scavare nel dolore. Abbiamo di¬ mostrato con i fatti di voler abbattere le vecchie barriere che videro un giorno divisi, gli uni contro gli altri scagliati, gli itastate
e
Celebrare la Resistenza
1
Conferenza
essere
e
tenuta a Biella il 24
aprile 1959, ANPI. 315
liani. Abbiamo dimostrato con i fatti di voler spezzare la spirale della divisione e dell’odio, di voler che i termini di « fascismo » e « antifascismo » perdano ogni significato nella realtà politica di oggi, per restare soltanto, nella storia, a ricordo e ad ammoni¬ mento di un regime che non deve tornare mai più, sotto qualsiasi forma mascherato. Abbiamo teso e tendiamo la mano a coloro che del regime fascista non furono i responsabili, a coloro che in passato furono fascisti per forza, per necessità, perché vittime di un ignobile inganno, d’una illusione e, in buona fede, per convinzione ideale.
Questi
non
possono sentirsi né urtati né fe¬
celebrazioni della Resistenza. Ma non possiamo essere, non siamo e non saremo mai con coloro che fascisti lo sono ancora oggi, con coloro che auspicano un regime di reazio¬ ne che nega la Costituzione, la e Repubblica calpesta gli ideali del Risorgimento e della Resistenza. Proprio per questo la Resi¬ stenza dev’essere celebrata come la data della vittoria sullo stra¬ riti dalle
nostre
niero, sulla tirannide, della riconquistata libertà
e
indipendenza
del paese, come la data che segna non la divisione, ma la ricon¬ quistata unità del popolo nostro, unità che dobbiamo rinnovare, rifare
più ampia, più forte,
come
allora, più di allora.
dirigenti clericali sono imbarazzati nell’affrontare le celebrazioni del centenario dell’unità d’Italia, non soltanto per la funzione di opposizione antiunitaria assolta dalla Chiesa e dalle correnti alle quali si richiamano durante il Risorgimento, ma perché sentono che anche la loro politica di oggi mal si concilia con gli ideali del Risorgimento; tanto più questo imbarazzo lo sentono coloro che, direttamente o indirettamente, hanno avuto responsabilità con la politica del fascismo, che portò al disastro il nostro paese, facendogli correre il rischio di perdere i due ri¬ I circoli
sultati concreti
lo
raggiunti dalle lotte del Risorgimento: l’unità del¬
nazionale. La Resistenza si riallaccia direttamente al Risorgimento; per questo noi siamo tra coloro che più fortemente di altri sentono la necessità di celebrarne il centenario ponendo in luce il fecon¬ Stato
e
l’indipendenza
do, decisivo contributo
complicato d’Italia. Anche
portato anche allora dal popolo a quel a quelle lotte che portarono all’unità storico, processo
uomini del Risorgimento dovettero lottare non sol¬ scacciare lo straniero dal nostro suolo, ma contro il ne¬ mico interno, contro quelle forze conservatrici e reazionarie che si opponevano all’unificazione d’Italia. tanto per
316
gli
L’unità d’Italia «
La
italiana
borghesia
Gramsci,
«
è
nata
e
si è
per usare un’espressione di Antonio sviluppata affermando e realizzando il
»,
principio dell’unità nazionale. Poiché l’unità nazionale ha rap¬ presentato nella storia italiana, come nella storia degli altri paesi, la forma di organizzazione tecnicamente più perfetta dell’appa¬ rato mercantile di produzione e di scambio, la borghesia italiana è stata lo strumento storico di un processo generale della società umana. »2 lì capitalismo nella sua fase ascendente fu una possente forza rivoluzionaria: spezzò i ristretti confini delle città e delle campagne, scosse le barriere doganali, i diritti regionali, le impo¬ ste arbitrarie, i privilegi, le pretese ereditarie e tutto ciò con cui il feudalesimo intralciava lo sviluppo delle forze produttive im¬ pedendo l’aumento della produzione e lo scambio delle merci; distrusse lo sconquassato edificio della società feudale, creò lo spazio nel quale il borghese, il contadino, l’artigiano, sino a quel
separati da centinaia di muraglie, gli abitanti di diverse regioni, ordini, staterelli, si riunirono nel seno della nazione. momento
Quello che
comunemente
processo storico attraverso il
viene chiamato Risorgimento è il si costituì la nazione, si rea¬
quale
lizzò l’unità d’Italia. Sappiamo tutti quali furono i limiti del Ri¬ sorgimento italiano, quanto fu rachitico, stentate le sue riforme, come esso finì nel compromesso al punto che Antonio Labriola 10 definì « una rivoluzione democratica non compiuta che lasciò 11 paese nella corruttela e nel pericolo permanente ». Sappiamo come lo Stato italiano, invece di essere realizzato da un’ampia sollevazione di masse, da una rivoluzione nazionale, fu edificato, sebbene non siano mancate le insurrezioni del popolo, più attra¬ verso ai compromessi e alle guerre che erano sì di liberazione, ma avevano come base l’alleanza con lo straniero.
Tuttavia,
con
tutti i suoi limiti
e
i suoi
fu realizzata, lo Stato nazionale costituito
difetti, l’unità d’Italia e
non
la ricorrenza del centenario per riconoscere alla
abbiamo
atteso
borghesia,
più illuminata, la funzione dirigente e che allora ha avuto, anche se ne mettiamo in luce gressiva
cialmente alla parte
spe¬
pro¬ i li¬
miti, le grettezze, le paure. Né vogliamo tacere il contributo notevole dato allora dalla giovane borghesia biellese, specialmente per opera di Quintino Sella, alla creazione dello Stato italiano, ed ancor prima alla po-
2
A. Gramsci, L’Ordine Nuovo, Einaudi, Torino, p. 276. 317
litica del Piemonte che ebbe funzione di nità d’Italia.
guida
nel realizzare l’u¬
I cospiratori biellesi del 1821 È
la
borghesia biellese soprattutto gli intellet¬ abbia preso parte attiva ai professionisti, i militari moti del 1821 per la Costituzione. Cinquantaquattro cospiratori biellesi che avevano partecipato a quei moti vennero condannati a pene varie da cinque a venticinque anni di reclusione; alcuni fu¬ rono condannati a morte, ma questi erano latitanti. Il periodo noto
come
tuali, i
della introduzione delle macchine nelle manifatture biellesi coin¬ cide con i moti liberali del 1820-’21. Nella così larga partecipazione degli elementi borghesi alla lot¬ ta per la Costituzione, nel 1821, vi è certamente l’intuito che l’unità politica e le libertà erano i presupposti necessari allo svi¬ luppo economico e industriale del paese. Da un documento dei cospiratori di quell’epoca appare chiaramente come le rivendica¬ zioni delle libertà fossero direttamente legate all'esigenza dello sviluppo industriale. In uno dei punti di un atto importante adot¬ tato dai cospiratori, si dice: « Per comprovare col fatto che i libe¬ rali
in
ogni cosa sinceri e veri amici della patria, i rivolu¬ s’impegnano di servirsi nei loro abbigliamenti’ di oggetti
sono
zionari
tratti dalle manifatture del paese. »3 Alla vigilia dell’unità, l’economia italiana era ancora prevalen¬ temente agricola. L’industria si trovava ai suoi primi albori, pre¬ dominavano l’artigianato e le manifatture. L’Italia, che aveva avuto posizioni di primato all’epoca dei Comuni e delle Repub¬ bliche commerciali, era in ritardo di un secolo nei confronti del¬ l’Inghilterra; lo sviluppo del capitalismo era impossibile sino a quando il territorio rimaneva spezzato in tanti staterelli, divisi dall’ostacolo delle barriere doganali che impedivano il formarsi di un mercato nazionale necessario ad una produzione di massa. L’unificazione dell’Italia, spezzando i confini delle città e delle campagne e abbattendo le barriere doganali, crea le condizioni per
un
più ampio sviluppo capitalistico dell’economia del doganali e la legislazione vengono unificate, ma
paese.
Le tariffe
questo è sufficiente per accelerare la formazione e l’estendersi del mercato nazionale. A tale scopo sono necessarie tutta una serie di misure alle quali gli uomini che sono alla testa del giovane non
3
318
C. Torta, La rivoluzione piemontese del 1821,
Segati, Roma,
1908.
Stato unitario italiano ricorrono
pitalistica,
indugi. La borghesia ancora legata a interessi
senza
per quanto conservatrice
e
ca¬
ter¬
che l’unità d'Italia, di per sé sola, non crea il mercato nazionale, ma soltanto le condizioni del suo sviluppo. Affinché possano svilupparsi le industrie e i commerci, occorre provvedere alla costruzione delle strade, delle ferrovie, dei porti, delle poste, dei telegrafi, delle scuole, ecc. « È evidente », proclamava con forza Q. Sella, battendosi in Parlamento per fare approvare gli stanziamenti necessari alla co¬ struzione delle ferrovie, « è evidente che non abbiamo rotto le barriere che ci dividevano per starcene ciascuno nelle nostre pro¬ vince, non abbiamo per prima cosa tolto le dogane per consu¬ mare esclusivamente merci del nostro comune. »4 La borghesia si serve del potere conquistato per accelerare il ritmo delle costruzioni; a tale scopo lo Stato rastrella capitali rieri,
con
sa
ogni
mezzo,
sia
accordando concessioni
vantaggiose
gli
per
appalti dei lavori pubblici e per le costruzioni ferroviarie, sia con la pressione fiscale e il ricorso al capitale straniero.5 La rete ferroviaria passa da 2.404 km nel 1860 a 9.290 km nel 1890. Quella delle strade statali e provinciali da km 22.500 a km 35.500. Dal 1862 al 1882 furono aperti al pubblico 1.200 nuovi uffici postali, il movimento dei valori aumentò del 73%. La lunghezza totale delle linee telegrafiche, che nel 1860 era di 8.243 km, raggiunse nel 1882 i 27.613 km. Il numero delle scuole elementari passò da 21.353 nel 1861-’62 a 41.108 nel 1878-79, e quello degli scolari da 528.000 a 1.048.000. Tutte queste iniziative, atte a organizzare e a sviluppare il mer¬ cato
nazionale, danno impulso all’industria nel
suo
complesso
e
soltanto a quella laniera. È in questo periodo che si può dire abbia origine la grande industria italiana. Mettere in rilievo il valore determinante del processo econo¬ mico e le forze reali che spingevano i gruppi dirigenti a preoccu¬ parsi del progresso del paese ed a creare le condizioni per l’au¬ mento della produzione e l’accumulazione del capitale, non signi¬ non
fica affatto
sminuire la funzione assolta dalla borghesia, né ri¬ durre il contenuto del Risorgimento alla sola evoluzione delle for¬
materiali. Sarebbe difficile sottovalutare o sminuire il patrimo¬ e morale del Risorgimento, la grande influenza che ideali e democratici ebbero nella formazione della gli patriottici nazione. « Le idee nuove sorgono solo quando lo sviluppo della ze
nio politico
4
5
Q. Sella, Discorsi parlamentari, voi. lì,
p. 27.
E. Sereni, lì capitalismo nelle campagne, Einaudi, Torino. 319
vita materiale della società pone
nuovi. Ma, importante,
di fronte alla società
che siano, diventano
compiti
forza estremamente esse agevolano il progresso della società. »6 Le idee sono delle forze attive e l’idea che l’Italia doveva essere unita e indipendente ebbe larga influenza di orientamento, di mobili¬ tazione e di organizzazione. sorte
una
Quintino Sella Noi riconosciamo che la funzione allora assolta dalla borghe¬ stata eminentemente progressiva, anche se quel pro¬ che gresso, grondava lacrime e sangue, era realizzato a spese dei sia italiana è
lavoratori. Tutti i
progressi nel
campo
industriale,
come
in
quel¬
lo delle costruzioni delle opere
pubbliche, delle ferrovie, dei mez¬ zi di comunicazione, delle scuole, erano realizzati con uno sfrut¬ tamento brutale delle masse lavoratrici e con una politica fiscale che colpiva in modo gravoso i contadini, gli artigiani, i ceti medi. Dall’unità d’Italia in poi, vennero progressivamente aumentate le imposte sui consumi e introdotta la gravissima e impopolare im¬ sul
posta
macinato.
L’inesorabile tassatore
era
Quintino Sella;
ha impedito e non impedisce che noi riconosciamo il notevole contributo da lui portato alla formazione dello Stato moderno in Italia, al Risorgimento. Per ottenere il pareggio del bilancio dello Stato e più forti stanziamenti per le ferrovie e le opere pubbliche, egli arrivò a sostenere la riduzione delle spese militari e ai suoi oppositori ri¬ spondeva decisamente: « So anch’io che in Europa vi sono gravi questo
non
problemi che si agitano minacciosi, ma essi non si risolvono uni¬ gendarme e col prete come alcuni pensano, ma bensì provvedendo seriamente all’ordinamento economico del paese. Chi
camente col
vuole il fine deve volerne i mezzi. »7 La sua opera non si limitò a favorire lo sviluppo delle indu¬
strie
dell’economia nazionale, a restaurare le finanze dissestate, portò un contributo notevole e chiaroveggente al compimento dell'unità d’Italia. Sostenne decisamente l’opportunità della più stretta neutralità nel conflitto franco-prussiano e la necessità di non lasciarsi sfuggire l’occasione propizia, non appena si fosse e
ma
per liberare Roma. Nella seduta del Consiglio dei ministri del 3 settembre 1870, a coloro che sostenevano doversi
presentata,
6
A. Gramsci, lì Risorgimento. Einaudi, Torino.
7
Q. Sella, op. cit., vedere anche Alessandro Guiccioli, Quintino Sella.
320
fare di tutto per evitare la violenza e l’impiego delle truppe con¬ tro lo Stato pontificio, Quintino Sella rispondeva che occorreva fare di tutto per andare a Roma e che sarebbe stata politica ne¬ fasta quella di indugiare ancora.
Tutti, amici ed avversari suoi, riconobbero che il punto culmi¬
del suo contributo al Risorgimento e all’unità d’Italia è rappresentato dalle lotte da lui sostenute per la liberazione di Roma. Nel 1874, il Nicotera dichiarava in Parlamento che, se egli dissentiva dal Sella sulla questione delle spese militari, ren¬ deva omaggio ai suoi meriti politici. « Senza la cooperazione del Sella, senza la sua fermezza, noi forse non ci troveremmo qui
nante
dove
siamo. »8
Insediando l’Italia
coraggioso,
atto
a
Roma, la borghesia italiana compiva
in contrasto
con
la
politica
un
di patteggiamento
e
di compromesso costantemente seguita nei confronti della nobiltà e delle vecchie classi dominanti. La borghesia aveva compreso che non poteva rinunciare a Roma capitale se voleva realizzare l’unità e dare una stabilità, una solidità al suo regime, in un’Ita¬ lia che continuava ad essere divisa fisicamente e spiritualmente dall’esistenza del potere temporale dei papi.9 Nonostante i suoi limiti, la sua incompletezza, le sue incoeren¬ ze, il Risorgimento resta un fatto obiettivamente rivoluzionario, avendo dato vita ad uno Stato moderno, borghese s’intende
unitario, indipendente, laico, quello Stato che il fascismo
ma
cherà di con
distruggere e distruggerà con il terrore, l’inganno, rinnegando lo statuto e togliendo
cer¬
la violenza, le libertà al po¬ con
italiano. Senza dubbio, anche nella nostra regione, la lotta contro il fa¬ scismo, la coraggiosa cospirazione, la tenace resistenza durante il ventennio, i cento condannati dal tribunale speciale si collegano direttamente alle lotte del Risorgimento. Il movimento partigia¬ no biellese (5.000 combattenti, 500 morti) fu così ampio e ro¬ così combattivo e darsi saldo, busto, seppe un’organizzazione di¬ un ordinamento severamente militare, perché aveva sciplinata, alle sue spalle una vecchia storia, un insieme di lotte sociali, di virtù civili e militari, si ricollegava ad antiche tradizioni di lotte del lavoro e per la libertà, ai moti insurrezionali del 1821, alle guerre d’indipendenza del 1849-’59, ai grandi scioperi del 1863’73, la sua coscienza si era forgiata e maturata nel corso di un secolo di lotte nazionali e sociali.
polo
8 9
A. Guiccioli, op. cit., vedere anche Atti parlamentari, anno 1874. E. Sereni, XX settembre, in « Lo Stato operaio », settembre 1936.
321
I lavoratori
e
il
Risorgimento
Un contributo serio, largo, effettivo al Risorgimento e al pro¬ gresso dell'Italia venne dato dai lavoratori biellesi non soltanto come soldati nelle guerre dell’indipendenza e nelle imprese ga¬ ribaldine, ma quali pionieri e tenaci combattenti nelle lotte del lavoro. I primi scioperi degli operai e dei lavoratori biellesi ri¬ salgono al 1853-’54. Quegli scioperi e quelle lotte, spesso aspre e
dure (specialmente durante il decennio 1863-’73),
rono
forte
solo al
miglioramento impulso allo sviluppo
non
porta¬
delle condizioni di vita, ma diedero dell’industria e al crearsi di una co¬
scienza nazionale. Il sorgere e raffermarsi delle Società di mutuo soccorso, prima, delle Leghe di resistenza e delle organizzazioni operaie, poi, im¬
pressero nuovo impulso alla vita di tutto il paese e all’azione po¬ litica della stessa borghesia. I rapporti tra le diverse classi, tra storia nazionale e storia del movimento operaio e socialista sono inscindibili; tra le due storie c’è un nesso di reciproca influenza nel quadro generale dei rapporti tra gruppi dominanti e gruppi
subalterni.
Non si
può comprendere il
nale astraendo dalle lotte
e
processo di
sviluppo
nazio¬
dalle esperienze della classe operaia
dei lavoratori. La Resistenza si collega al Risorgimento e ai suoi ideali col Risorgimento ha molti elementi in comune: l’eroismo, e
perché
l’amor di patria, lo spirito di sacrificio, gli obiettivi, le aspirazioni alla libertà. Gli elementi in comune sono così evidenti, che è ormai diven¬ tato di
uso
corrente
definire la Resistenza il secondo Risorgimen¬
Ma dobbiamo porre attenzione alle troppo facili analogie. Due edifici possono esternamente apparire eguali, o quasi, per la loro figura, per il disegno, lo stile, ma visti internamente ci si accorge che sono assai diversi per il materiale col quale sono stati co¬ struiti e per la differente struttura. Dal punto di vista storico, ha grande importanza cogliere le diversità tra fenomeni e movimenti che appaiono simili, anche perché la conoscenza del passato ci è utile e interessante soprat¬ tutto in quanto serve a chiarire il presente e a condurre meglio to.
le lotte di oggi.
322
Diversità
tra
Risorgimento
e
Resistenza
lo approfondiamo, è facile imbattersi nelle dif¬ è diffìcile constatare che, nella sua sostanza, nel suo contenuto, la Resistenza è stata qualcosa di profondamente diverso dal Risorgimento. Certo, vi sono anche delle analogie, come c’è la continuità, che non è soltanto quella che si ritrova in Se il
ferenze
problema e
non
ogni normale processo storico. Condivido l’opinione di Franco Antonicelli, quando afferma che, in realtà, il Risorgimento, nella
idea-forza, si è concluso con problemi del post-Risorgimento sua
zialmente diversi. L’amor di patria non
è la stessa
cosa
se
è il
vero
popolo
la conquistata unità nel 1870. J e della Resistenza sono sostan¬ è sempre amor di patria; ma è parte di questa patria oppure
cioè, è parte viva, attivamente operante e partecipe nel determinare il presente e l’avvenire di questa patria, oppure se no, se,
è soltanto
guida
e
massa
al seguito di altre volontà, in lotta
sotto
la la
per interessi di altre classi. Tanto il Risorgimento che nella stessa direzione, sono sviluppati è vero
Resistenza si
stati lotta di popolo, per la sua libertà, per la sua indipendenza, per lo sviluppo sociale. Ma questa lotta per l’indipen¬ denza, per la libertà, per il progresso sociale non si è posta du¬ rante la Resistenza come nel Risorgimento, non ha assunto le stes¬ sono
se
forme, non è stata combattuta dalle stesse forze, né contro le forze, non si è urtata contro gli stessi ostacoli. A distanza un secolo dal primo Risorgimento, le situazioni, i problemi, gli
stesse
di
interessi, gli
obiettivi
non
erano
e
non
potevano
essere
gli stessi;
raggruppamenti delle classi, le forze politiche e sociali non po¬ tevano ripetersi e non si sono ripetuti tali e quali. Gli obiettivi degli uomini del Risorgimento erano: cacciare lo straniero, realizzare l’unità d’Italia, il loro programma era quello
i
di dare
uno
sviluppo capitalista moderno al nostro paese, di di¬ e gli inciampi della vecchia società feudale.
struggere i residui
Diverso il programma della Resistenza, che non si poneva co¬ nel 1848-’59, come nel 1870 il problema di conquistare la li¬ bertà per la borghesia, ma per tutto il popolo. Diverse le forze motrici della Resistenza che non è stata diretta dalla borghesia me
com’è avvenuto per il
Risorgimento
ma
è stata diretta da
una
classe nuova: dalla classe operaia, dai contadini, dai lavoratori, dal popolo. Non è la stessa cosa se la lotta per la libertà e l’indipenden¬ za nazionale è diretta dagli uomini politici della borghesia, da con¬ e da liberali com’è avvenuto durante il Risorgimen¬ servatori, 323
oppure se la dirigono comunisti, uomini del Partito d’Aziodel com’è ne, partito socialista e di altre correnti democratiche to
durante la Resistenza. C’è chi fa osservare che se il Risorgimento fu diretto dagli uo¬ mini della borghesia, chi lottò, chi combattè, il nerbo principale delle insurrezioni e delle guerre per l’indipendenza fu dato, anche allora, dalle masse popolari. avvenuto
Ma da questo punto di vista le masse sono sempre state la for¬ motrice della storia, perché le lotte più vaste, le guerre di tut¬ ti i tempi sono state combattute, le opere più grandiose in pace e in guerra sono sempre state compiute da grandi masse. za
Le minoranze elette ed intellettuali », scriveva il compianto compagno Concetto Marchesi, « aristocratiche e borghesi posso¬ no decorare di martiri patiboli e prigioni, possono lasciare alla storia fatti e date memorabili, possono scrivere pagine imperitu¬ re per sapienza e audacia di pensiero, ma a sollevare le piazze e «
le città, creare
a
una
salutare la vittoria decisiva sui campi di nuova
storia
occorre
l’anima, il braccio, il
battaglia,
a
sangue del
10
popolo. » lì problema non è questo, non è quello di vedere se anche nel corso del Risorgimento vi furono dei contadini, degli artigiani, delle masse popolari che parteciparono alle insurrezioni e alle guerre dell’indipendenza. Senza masse, senza la partecipazione fi¬ sica del popolo, non vi sarebbero insurrezioni, né battaglie. Ma il problema è un altro: si tratta di vedere in che misura vi parteci¬ parono
come
forza attiva, coscientemente operante, in che misu¬
dirigere, a imprimere raggiungere determinati obiettivi.
ra
concorsero
ed
a
a
un
orientamento,
a
porre
partecipazione del popolo
La
Lungi dal negarlo, apprezziamo il valore delle ricerche fatte da e coscienziosi per stabilire e dimostrare la parte¬ del popolo alle battaglie del Risorgimento e liquidare il cipazione vecchio luogo comune (imposto per molti anni dalla storiografia
storici obiettivi
che il Risorgimento si sia come verità inconfutabile) svolto tra l’indifferenza e il completo assenteismo delle masse.
borghese È dite
dimostrato che, secondo un bilancio dell’epoca, le per¬ Milano durante le Cinque Giornate così si ripartirono: su
stato a
463 morti, 411 furono 10
324
C.
artigiani, operai,
uomini del
popolo;
Marchesi, Nel decennale della Resistenza, Milano, 1955.
su
914 furono lavoratori.11 La divisione Ferrari, com¬ posta da cittadini dello Stato romano, era composta, secondo il
1.003
feriti,
Lodolini, « da autentici plebei e artigiani, tranne molti ufficiali 12 appartenenti alle arti liberali e all’aristocrazia ».11 Anche lo storico Ettore Rota ha scritto: « Bisogna consultare le liste del nostro volontarismo per avere le prove dell'eroismo proletario, che scende ai più umili gradi: basti esaminare a qua¬ li ceti appartengono le colonne dei volontari parmensi al 1839: il numero maggiore è tenuto dai falegnami,
dal
1849
rigattieri, calzolai, caffettieri, imbiancatori, cuochi, barbieri, fornai, dome¬ 13
stici, muratori, conciai. » Tra i denunciati e condannati per aver preso parte nello Stato pontificio alla rivoluzione del 1848-’49, furono elencati nei re¬ gistri della Sacra Consulta su 2.227 imputati con professione in¬ dicata: 217 nobili o possidenti, 16 ecclesiastici, 233 professioni¬
intellettuali, 143 agricoltori, 334 commercianti, facchini, ri¬ gattieri, 840 artigiani e operai, 90 domestici, 110 impiegati pub¬ blici e privati, 206 militari, 13 senza professione.14 Tra gli stessi « cospiratori » biellesi condannati nel 1821 assieme agli avvocati Marrocchetti, Pollano, Ubertalli, al nobile dal Pozzo della Ci¬ sterna, agli industriali Ambrosetti, a numerosi ufficiali tra i qua¬ li Toso, Angelino, Moglia e Viana, ai medici Giovanni Benna, Carta e Speziale, agli architetti Beltrame e Maggia, al notaio Prina, e ad altri professionisti, troviamo un gruppo di operai tra i quali il minatore Gastaldi di Netro, i falegnami Margari di Graglia e Giordanetti di Biella, il fabbro Perolo di Triverio, l’oro¬ logiaio Masserano di Biella ed altri nomi di condannati dei quali sti
e
è indicata la professione (assai probabilmente deve trattar¬ si di operai o comunque di uomini di umili condizioni non appar¬
non
tenenti alle classi benestanti
e colte). Anche il Ghisalberti ha dimostrato
con dati e documenti la falsità dell’affermazione che il Risorgimento « sia stato l’impre¬ sa di una minoranza aristocratica e borghese ».15 È ormai riconosciuto dagli storici più seri che, durante tutte
11 S.
Canzio, La lotta di classe nel 1848 nascita, Roma, 1948.
in
Lombardia, Edizioni di Ri¬
12
A. Lodolini, La mobilitazione di una divisione di volontari del 1848, Storia del Risorgimento », aprile-giugno 1932. 13 E. Rota, Spiritualità ed economismo del Risorgimento italiano, in Questioni del Risorgimento, p. 469.
in
«
14
D. De Marco, Per la storia delle classi sociali nel Risorgimento, luglio1947. 15 A. M. Ghisalberti, Ancora sulla partecipazione popolare al Risorgi¬ mento, in Rassegna storica del Risorgimento, 1944-’46.
dicembre
323
le insurrezioni e le guerre per l’unità d’Italia, gli uomini del po¬ polo hanno scritto pagine gloriose, specialmente nelle leggenda¬
imprese garibaldine, nelle Cinque Giornate di Milano, duran¬
rie
l’eroica resistenza delle repubbliche di Roma e di Venezia, nel¬ le insurrezioni di Napoli, Genova, Palermo e Livorno. Tutto questo è vero, però è altrettanto vero che le masse lavo¬ ratrici e popolari, specialmente i contadini, furono in gran parte assenti e tenute lontane dal movimento per l’unificazione d’Ita¬ lia e, nella misura in cui furono presenti fisicamente nell’azione, lo furono nell’ambito di una lotta condotta dalla borghesia, vi par¬ teciparono al seguito della borghesia, sotto la direzione della bor¬ ghesia, lottarono contro i nemici della borghesia. « lì movimento in Italia », scriveva F. Engels nel 1848, « è dunque un movimento decisamente borghese. Tutte le classi en¬ te
tusiasmate dalle riforme, dai ai lazzaroni, si presentano in
principi scena
ai
nobili,
sino ai
per il momento
pifferai e borghe¬
come
si. Il papa è per il momento il primo borghese d’Italia. Ma tutte queste classi si troveranno assai disilluse una volta scosso il giogo austriaco. Giacché, quando i borghesi l’avranno fatta finita col ne¬ mico esterno, in casa propria essi separeranno i caproni dalle pe¬ core, allora i principi e i conti di nuovo invocheranno l’Austria per aiuto, ma sarà troppo tardi e allora gli operai di Milano, di Firenze e di Napoli scopriranno che proprio ora comincia il loro 16 lavoro. » Questo vaticinio di F. Engels si è realizzato alla lettera, seppu¬ re forse più lentamente di quanto egli supponesse. Per far fronte o
comunque per evitare l'intervento delle masse, si preferirono le e i compromessi. Era inevitabile la sconfitta di Novara
sconfitte
coloro che amano fare la sto¬ considerazione retrospettiva. Ci fu chi allora vide chiaramente che la « fatai Novara » avrebbe potuto essere facilmente riparata. « Se il Piemonte fosse una Repubblica, se il governo di Torino fosse un governo rivoluzionario », scriveva C. Marx il 1° aprile 1849, esattamente una settimana dopo la sconfitta di Carlo Al¬ berto, « e avesse il coraggio di ricorrere ai mezzi rivoluzionari, nulla sarebbe perduto. L’indipendenza italiana sta per essere per¬ duta non in seguito all’invincibilità delle armi austriache, ma per del 23
marzo
1849? Non siamo Non è la nostra
ria con i « se ».
tra
una
regio piemontese. L’insurrezione in massa, la rivoluzionaria, la guerriglia dappertutto sono gli unici mez-
la viltà del potere
guerra Ifi
di
«
326
F.
Engels, Deutsche Brusller Zeitung,
Rinascita », p. 144.
25
gennaio 1848,
in
quaderno
quali un piccolo popolo può vincerne uno più grande, con un esercito più debole può fare fronte ad un esercito più forte. Ma la rivolta delle masse, l’insurrezione generale del popolo, so¬ no mezzi che il potere regio ha paura d’impiegare. La monarchia
zi
i
con
si arrischierà mai ad una guerra rivoluzionaria. Piuttosto di allearsi col popolo, essa preferirà concludere la pace con il suo 17 peggior nemico, purché le sia par d’origine. » non
L’umiliante sconfitta subita dalla monarchia piemontese nella disfatta della Bicocca, a Novara il 23 marzo 1849, veniva riscat¬ tata quasi cento anni dopo dai partigiani, dai garibaldini biellesi, valsesiani e novaresi, che alla mezzanotte del 23 aprile 1943 ave¬ vano
terminato, dopo ardite lotte, l’accerchiamento di Novara
e,
alle ore 16 dell’indomani, costringevano i tedeschi alla resa cattu¬ rando 3.700 prigionieri, carri armati e grande quantità di armi e munizioni. Dicevo che il vaticinio di F.
Engels
si realizzò
parola
per paro¬
soltanto allora la borghesia italiana ebbe paura e la, perché sconfitte come nel le 1849 e i compromessi come nel preferì 1839 (pace di Villafranca), ma venne il giorno in cui, nel 1941’43, preferì invocare sul nostro suolo « il secolare nemico » pur di tenere soggiogati gli operai di Torino, Milano, Firenze, Na¬ poli. « Tra una sconfitta e una guerra civile, noi scegliamo la prima », confessava Massimo d’Azeglio. non
I contadini
e
la Resistenza
Un’altra caratteristica che distingue fondamentalmente la Resi¬ dal Risorgimento non è soltanto il fatto che la Resistenza
stenza
un grande movimento di masse, il più grande che si sia mai avuto nel nostro paese, diretto dalle correnti democratiche d’a¬ vanguardia, ma si trattò di un movimento unitario: la classe ope¬ raia, i lavoratori delle città stabilirono una salda alleanza con i contadini. Durante la Resistenza, i contadini furono con noi, invece du¬
fu
rante il Risorgimento o furono assenti o furono dalla parte dei Borboni, della Chiesa, dei principi, della reazione. Mazzini non
si
rivolgeva
contadino
17
C.
ai contadini. I
patrioti del Risorgimento vedevano nel
oppresso soltanto il
Marx, La lotta in Italia, in
servo
«
del proprietario terriero
e
Neue Rheinische Zeitung », 1° aprile
1849.
327
del prete invece che vedervi Tuomo schiacciato dalla fatica, dal¬ l'oppressione, dalla miseria e dall’ignoranza. Ad eccezione dei Cattaneo, Ferrari, Pisacane e, in modo parti¬ colare, di Garibaldi, gli altri democratici del Risorgimento, per non parlare dei « moderati », pensavano che fare appello ai con¬ tadini significava fare appello al « disordine » e quindi perdere l’appoggio delle classi colte e possidenti. Nel capitolo XX degli Statuti della Società segreta Esperia fon¬ data dai fratelli Bandiera, si legge: « Non si facciano, se non con sommo riguardo, affiliazioni tra la plebe, perché essa è quasi sem¬ pre per natura imprudente e per bisogno corrotta; è da si di preferenza ai ricchi, ai forti, ai dotti, negligendo i
poveri, gli ignoranti.
rivolger¬ deboli,
i
»
E i redattori del giornale modenese « lì Vessillo Italiano » scrivevano il 1° luglio 1848: « lì popolo non può avere idea di libertà perché egli né gode di libertà, né patisce di tirannide. Il potere non sarà mai suo. La destinazione naturale della plebe fu e sarà sempre il lavoro materiale e la clientela verso le classi al¬ te, la condanna all’inerzia dell’intelletto e all’ignoranza. Essa è il braccio dello Stato e nulla più; se verrà chiamata alle opere del¬ l’intelligenza, si avrà il disordine e la morte delle libertà. Il po¬
polo
va
istruito,
per il lavoro
e
la
ma
nella
famiglia,
nella temperanza, nell’amore
religione, non
nelle
cose
civili, nelle leggi, nelle 18
costituzioni sociali, nei diritti di classe. » Gli scritti di Giuseppe Ferrari ci rivelano come, specialmente dopo il fallimento del 1848, egli vedesse in modo abbastanza chiaro come la rivoluzione italiana non potesse consistere soltanto nella guerra contro l’Austria. « Se vuol darsi il nome di straniero al nemico, lo straniero non è solo l’austriaco, è il barone che op¬
prime il
ha né patria né famiglia; che il pri¬ vilegio della ricchezza interessa al dominio della Chiesa. »19 lì Fer¬ rari ha chiara coscienza che la Repubblica è insufficiente se il po¬ polo muore di fame e dell’impossibilità di trascinare i contadini alla lotta Soltanto con delle parole astratte di libertà e indipen¬ denza se ad esse non si unisce la lotta per la « revisione del pat¬ to sociale », per una nuova ripartizione delle ricchezze, per attua¬ re « la legge agraria ». Non è chiaro a questo punto in che cosa
barbara
terrazzano, è il prelato che è solo la Santa Sede, è
non
non
quella popolazione
S. Canzio, Atti e memorie del XXVII Congresso nazionale dell’Istituto la storia del Risorgimento italiano, 19-21 marzo 1848. per 19 G. Ferrari, Opuscoli politici e letterari, Tipografia Elvetica, Capo18
Ialo, 1852. 328
consista concretamente nel pensiero del Ferrari la « legge agra¬ ria », le riforme sociali da attuare, ma senza dubbio egli vide
chiaramente come fosse indispensabile la partecipazione delle masse contadine al Risorgimento perché questo avesse uno sbocco democratico e criticò i limiti e Terrore di Mazzini il quale non comprendeva che « in ogni tempo i diritti che non hanno radice negli interessi furono vane parole, la libertà che non risponde al
grido o pane o piombo sarà sempre disprezzata. Egli sopprime la rivoluzione e vuole una guerra «
d’insurrezio¬
vuole che i contadini si principio il marcia coi signori e vuole che contro nemico. precipitino Egli tutti i poveri si sacrifichino per la sua causa; fraternizza con i ne;
non
pone innanzi
verun
e
giugno, poi pretende che la guerra ha le idee di Cavaignac e pretende cendiaria; carnefici di
sia popolare e in¬ i prodigi del so¬
cialismo ».20 Alla stessa epoca, Marx metteva chiaramente in luce che Maz¬ zini non avrebbe mai potuto vincere perché non conosceva e non poneva le questioni contadine. « Egli trascura di dedicarsi a quel¬ la parte dell’Italia che da mille anni è oppressa, ai contadini, e prepara
con
questo
nuove
ghesi «
risorse alla controrivoluzione. Mazzini e con i loro bor¬
solo le città con le loro nobiltà liberali illuminati. [...]
conosce
Ma
certo
ci vuole del
per dichiarare ai borghesi e l’indipendenza d’Italia è la pie¬
coraggio
alla nobiltà che il primo passo per
emancipazione dei contadini
e la trasformazione del loro siste¬ di mezzadria nella libera proprietà borghese. » 21 Ma la borghesia italiana non poteva avere questo coraggio, es¬ sa stessa era legata alla terra; i manifatturieri, i commercianti, gli industriali erano essi stessi dei proprietari terrieri ed avevano una gran paura per « gli sconvolgimenti sociali » che avrebbero mina¬ to le basi della proprietà. Di qui la loro tendenza a realizzare Tunificazione senza scosse, senza partecipazione e urti di masse con le intese dall’alto e le alleanze con lo straniero. Quest’analisi ci porta a constatare che assai diverse sono state le forze in lotta nella Resistenza da quelle del Risorgimento. Durante il Risorgimento la lotta fu condotta dalla borghesia, alleata ad una parte della nobiltà più illuminata, contro le forze reazionarie, feudali, quasi sempre assenti i contadini, presenti in
na
ma
20
prefazione alla ristampa de La rivoluzione Ferrari, Univ. Ev., Milano, 1952. Weidemameyer, in Ausgewalte Briefe », lì
F. Della Peruta,
e
i rivolu¬
zionari in Italia di G. 21
« settembre C. Marx a 1851, p. 47. Vedere anche E. Ragionieri, lì Risorgimento italiano nell'opera di Marx-Bngels, in « Società », a. VII, 1951.
329
misura,
certa
artigiani
e
ma
al seguito
e
sotto
la direzione della
borghesia,
operai.
Le forze motrici della Resistenza La Resistenza è stata invece condotta e diretta dalla classe ope¬ raia alleata ai contadini, è stata condotta dalle classi lavoratrici, dagli intellettuali borghesi progressivi contro quei gruppi espres¬ sione dei monopoli e della grande borghesia che avevano dato vita al fascismo e si erano alleati ai tedeschi. Qui si deve aggiungere che nella Resistenza confluirono assie¬
agli
me
nuova
uomini delle classi lavoratrici, assieme agli uomini della dirigente anche uomini e gruppi delle vecchie classi
classe
dirigenti borghesi, tra questi esponenti del partito liberale, della Democrazia Cristiana e di altre correnti che o non erano mai sta¬ ti fascisti o si erano a poco a poco staccati dal fascismo, passando all’opposizione. Un indice, questo, della profondità e dell’ampiezza raggiunta dalla Resistenza italiana,
trasti, delle
ma
rivelatore anche della
causa
dei
con¬
interne e dei limiti della Resistenza. Furono i vecchi e i nuovi gruppi dirigenti, tra chi di fronte
remore
contrasti tra al crollo del fascismo si offriva alle vecchie classi dominanti sem¬ plicemente come personale di ricambio ed aveva come obiettivo massimo di ritornare allo stesso regime dell’Italia prefascista, e chi invece dalla lotta di Liberazione voleva fare uscire un’Italia rinnovata politicamente e socialmente, nella quale il popolo potes¬ se
partecipare alla direzione della
Ecco
vita del paese. fondamentale: la « libertà » per la maggioranza degli uomini della Resistenza per la quale lottò la borghesia nel 1848 e
un’altra differenza
lottò la grande fu la « libertà » nel 1859-’60 contro la vecchia società feudale. Anche gli uomini del Risorgimento lottarono per la libertà, ma era la libertà della borghesia nei confronti dell’assolutismo della Chiesa e della nobiltà. Durante la Resistenza lottammo per con¬ quistare la libertà non per una classe sola, ma per tutti i citta¬
quale non
dini,
per tutto il
A questo punto
popolo. qualcuno
chiede:
se
così
è stato, fu allora lot¬
No, la Resistenza
non fu lotta per la rivoluzione socialista, ma lotta per la conquista delle li¬ bertà democratiche per gli operai, per i contadini, per i lavora¬ tori, per le classi oppresse; fu lotta per realizzare profonde rifor¬ me sociali nel nostro paese.
ta per la rivoluzione socialista?
330
La
Resistenza
programma. Esistono molti documenti in proposito, i tanti ci limitiamo a ricordare ancora la ormai famosa
suo
questo ma
fece mistero di questi suoi obiettivi, di
non
tra
risoluzione del CLNAI del gennaio 1944, approvata all’unani¬ mità da tutti i partiti che ne facevano parte, compresi i liberali e la DC. In essa è detto: « Non vi sarà posto domani, da noi,
regime di
una de¬ ed sociale economico politico, non potrà essere che la democrazia schietta ed effettiva. Nel governo di domani, anche questo è ben certo, operai, contadini, artigiani, tutte le classi popolari avranno un peso determinante un
per
reazione
mocrazia zoppa. Il
e
un
presentano.
La
adeguato
posto
e
neppure per
questo peso
avranno
i
partiti che le
rap¬
»
Costituzione
nostra
concetti,
a
mascherata
sistema
nuovo
ma
diversamente
e
non
dalla Resistenza
riecheggia questi pratica le cose sono andate ben soltanto perché a questo sbocco si oppone¬ sorta
sappiamo che
in
che occupavano l’Italia, le quali diedero tutto il loro appoggio ai gruppi conser¬ vatori e reazionari, ma perché questi conservatori e reazionari esistevano nel nostro paese, non erano scomparsi e fecero sen¬ tire il loro peso durante la Resistenza, anche in seno allo stes¬ so CLN. vano
e
si
opposero
le
forze
anglo-americane
La lotta per l’unità Caratteristica fondamentale della Resistenza italiana è stato l’elemento unitario che mosse i combattenti per la libertà e portò a lottare fianco a fianco comunisti, socialisti, repubblicani, uomini del Partito d'Azione assieme a cattolici, liberali, demo¬ cratici di altre correnti; ma non si trattò di una unità senza ideali e senza contrasti. Tutta la storia della Resistenza è stata
lotta continua per l’unità, è stata una lotta continua non soltanto contro i nemici esterni, ma anche contro le forze con¬ servatrici che si trovavano all’interno stesso della Resistenza, nel CLN, nel Corpo Volontari della Libertà e nei suoi comandi. L’unità non si realizza una volta per sempre ed anche allora dovemmo batterci giorno per giorno per realizzarla, per raffor¬ zarla, per rifarla e renderla più salda, per dare a quell’unità
una
un
orientamento, Tutti
erano
divampare erano
un
ideale, un programma. il fascismo, ma c’era
voleva il tutti cercava di limitarla, di frenarla; i tedeschi, ma c’era chi non voleva fossero attac¬ contro
chi
non
della lotta, chi
contro
331
i
cati
tedeschi
evitare »,
dicevano,
le
rappresaglie, il terrorismo, applaudivano partigiani, ma avreb¬ bero voluto dei partigiani che si limitassero a restarsene tran¬ quilli in montagna in attesa che la bufera passasse, altri avreb¬ bero voluto dei partigiani « apolitici », senza ideali; ma il par¬ tigiano che non parteggia è una contraddizione in termini. Molti volevano cacciare lo straniero ma non erano d’accordo di cacciarlo con l’insurrezione armata, avevano paura del popolo, «
ecc. ».
per
Molti
«
ai
in armi. Chi vuole seriamente studiare e comprendere che cos’è stata la Resistenza e perché non poterono essere raggiunti i risultati che erano nelle aspirazioni della maggioranza dei partigiani e dei patrioti, non può ignorare questi contrasti per quel che essi hanno rappresentato, per le ripercussioni positive e nega¬ tive che hanno avuto nel corso di tutta la guerra di Liberazione e
dopo.
modo, studiando le lotte del Risorgimento, non in un sol fascio, sullo stesso piano tutte le possiamo correnti che parteciparono a quelle lotte. Mazzini non era Carlo Allo
stesso
mettere
Alberto, non
era
né D’Azeglio; Garibaldi non era Cavour, Q. Sella Lamarmora e neppure Crispi. Anche nell’azione e nelle
lotte del Risorgimento confluirono e si polarizzarono forze di classi diverse, ognuna di queste forze, di queste correnti, dai conservatori ai moderati, ai democratici, sino ai più radicali, lasciò nello sviluppo dell’azione l’impronta dei suoi interessi, delle sue aspirazioni economiche, politiche e ideali.22 Elementi progressivi e di carattere sociale li troviamo pre¬ senti anche in alcuni movimenti più caratteristici del Risorgi¬ mento, specialmente nel movimento garibaldino. La stessa Giova¬ ne Italia e il suo fondatore, Giuseppe Mazzini, malgrado le debo¬ i limiti, gli errori, movimento di liberazione
lezze,
hanno il
merito di
aver
impresso al
slancio rivoluzionario ed aver dato ad esso delle prospettive assai più avanzate. « L'Italia », come osserva F. Engels, « a differenza della Ger¬ mania, non fu unificata soltanto “dall’alto" con guerre dina¬ stiche e manovre diplomatiche. Nel processo di unificazione, al quale concorsero forze e fattori diversi, una grande e in certi momenti decisiva funzione ebbe il movimento del popolo, cioè la lotta rivoluzionaria delle masse schierate sotto la bandiera nazionale
uno
22 C. Misiano, Alcuni problemi di storia del Risorgimento italiano, Istdatelsvo Accademia delle Scienze dell’URSS, Mosca, 1955.
332
della
borghesia d’avanguardia
'
dei suoi maggiori
e
dirigenti.»
La guerra del 1859, ad esempio, cominciò come una guerra dinastica, ma si svolse nel clima di una maturata situazione rivoluzionaria. Contro l’esercito austriaco si battevano non sol¬ tanto i reparti dell’esercito franco-italiano, ma i volontari gari
baldini
e
non
indifferenti forze
Insorse
pagne. insorsero Parma vano
man
Firenze,
mano
baldi. Villafranca to popolare. I democratici,
che
popolari
nelle città
Leopoldo
e Modena e che avanzavano i Cacciatori delle
nacque dalla paura del
i
mazziniani,
e
nelle
cam¬
alla fuga; le campagne lombarde si solleva¬
costrinse
i
divampare
garibaldini
lì
Alpi di Gari¬ del movimen¬
esercitarono
senza
dubbio un’influenza notevole, suscitarono il movimento dal bas¬ so, fecero appello al popolo, agitarono rivendicazioni di carattere sociale (i decreti di Garibaldi, nel 1860, sulle terre demaniali suscitarono in Sicilia l’entusiasmo delle masse), accelerarono il processo di unificazione del territorio italiano, lasciarono la loro impronta nella creazione di una coscienza nazionale, diedero vita ad esperienze e tradizioni che furono elemento prezioso di sviluppo del popolo e di progresso per tutto il paese; ma, allora, non riuscirono ad avere il sopravvento, ebbero di conse¬ guenza un peso importante, si, ma secondario nel Risorgimento. Nella Resistenza, invece, gli elementi progressivi, popolari ebbero un peso decisivo, furono alla testa. Non dappertutto è vero il movimento partigiano e la lotta di Liberazione hanno avuto l’ampiezza e le caratteristiche assunte in Piemonte e nelle altre regioni dell’Italia del Nord invase dai tedeschi. Nel Nord, la Resistenza si sviluppò nel cuore dei grandi centri industriali: Torino, Milano, Genova dove erano concentrati mi¬ lioni di operai e di lavoratori, appoggiati attivamente dalle masse contadine avanzate dell’Emilia, della Romagna, della Valle Pa¬
dana, del Veneto
della Toscana. L’antifascismo, dati i rap¬ e di forza in porti queste regioni, ebbe funzione decisiva, riuscì a prendere nelle sue mani la direzione del CLN e dello stesso Comando del CVL. Ciò non avvenne lo ripetiamo senza
urti, ma, malgrado i contrasti, le forze democratiche di sinistra (comunisti, Partito d’Azione, socialisti) riuscirono ad avere il sopravvento nelle questioni principali; riuscirono ad imprimere alla Resistenza un carattere di lotta attiva, soprattutto a fare accettare e ad imporre l’insurrezione popolare che le forze con2323
F.
Engels, Violenza
tedesco, Roma, 1951.
ed economia nella formazione del
nuovo
impero
333
all’esterno del CLN tentarono con di impedire. Ma il Nord non era tutta l’Italia. La Resistenza, la guerra partigiana non si sviluppò a sud di Roma (nelle regioni dove giunsero quasi subito dopo l’8 settembre gli anglo-americani) e limitato fu al di sotto di Firenze. Nel Sud, il CLN non sorse o non riuscì ad affermarsi, aveva scarse radici tra il popolo e, dove esisteva, forti erano le influenze borghesi nel suo seno. I rapporti di forza a Roma e nel Sud erano del tutto diversi, tanto diversi che a Roma l’insurrezione nazionale non fu pos¬ sibile. Le forze conservatrici vi si opposero ed ebbero il so¬ pravvento; trovarono a Roma e nel Meridione le basi per la loro riorganizzazione e ciò ebbe il suo peso e le sue conseguenze sullo sviluppo degli avvenimenti, anche se non mutò la natura della Resistenza che era caratterizzata, oltreché dalle forze che la mossero e la diressero, anche dal suo programma. Queste mi sembrano essere le diversità fondamentali che ta¬ luni storici e certi uomini politici, che sinora hanno scritto, non servatrici tutti
i
riescono za
all’interno
mezzi
come
come
di sabotare
e
per cui finiscono per presentare la Resisten¬ movimento se non identico, per lo meno assai
cogliere,
a
un
simile al Risorgimento. Non sarebbe difficile
mettere in luce anche altre differenze. Basta pensare che in tutti i paesi dove la Resistenza è divampata ci si trovava non agli albori del capitalismo, ma nella fase del dominio dei monopoli, in un’epoca in cui il movimento demo¬
cratico
era
rappresentato da forti partiti comunisti
da grandi movimenti di
e
socialisti,
organizzati; dalle forze d’avan¬ del popolo. Non solo, ma esisteva nel massa
dei lavoratori e mondo un forte Stato socialista, che portò il contributo decisivo alla sconfitta del fascismo e del nazismo, il che creò una situa¬ zione e dei rapporti internazionali del tutto caratteristici. Anche dal punto di vista militare, la Resistenza si differenzia dal Risorgimento ed ha caratteristiche sue proprie sia per il numero dei partecipanti, sia per le condizioni in cui i parti¬ giani e i patrioti si trovarono a dover lottare in tutte le regioni occupate dai tedeschi, sia per la tattica impiegata. Non esiste¬
guardia
vano ai tempi di Garibaldi né carri armati, né panzerdivisionen, né aviazione, né la tecnica più moderna di sterminio e di morte.
spedizione dei Mille nelle condizioni inconcepibile e farebbe sorridere. La
di oggi è del
tutto
La Resistenza, anche se considerata soltanto nella fase che dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, si sviluppò costan¬ temente durante 18 mesi in tutta l’Italia occupata dai tedeschi,
va
334
arrivando anche a liberare temporaneamente vasti territori, men¬ tre nessuna delle guerre del Risorgimento superò la durata di un
unico ciclo
stagionale.
ha rilevato Tessari —24 Il Risorgimento presenta un solo caso di occupazione stabile di un territorio da parte dei patrioti: il Cadore nella primavera 1848, con Pietro Fortunato Calvi, a capo di cinque piccoli gruppi di volontari e di valligiani. Ma tutte queste sono differenze secondarie. Non mi sembra sia il caso di abbandonarci ad una esercita¬ zione alquanto semplice, e non so quanto proficua, di elenca¬ zione di differenze e analogie le une e le altre alquanto ovvie. Ciò che importa è cogliere le caratteristiche essenziali di un movimento, e queste sono tali per cui la Resistenza è cosa ben diversa dal Risorgimento; la si chiami pure secondo Risorgi¬ mento, purché sia chiaro il significato da dare a certe definizioni.
Alleanze militari
e
indipendenza nazionale
Studiare il passato non ha importanza soltanto dal punto di vista storico, serve per meglio operare nel presente. Anche du¬ rante la Resistenza la grande borghesia ebbe paura delle masse in lotta, collaborò con i tedeschi o, nel migliore dei casi, tenne i piedi in due staffe. Ne conosciamo le cause. C’è chi si è posto il quesito: perché l’esercito italiano, l’8 settembre, venne dis¬ solto e non fu organizzata la difesa del paese dall'invasore? Perché, se si riteneva impossibile affrontare i tedeschi in campo aperto, chi stava allora alla testa del paese e dell’esercito ed aveva preso l’iniziativa dell’armistizio non dispose la in modo organizzato, dell’esercito in tutto il ter¬ nazionale e l’inizio della guerriglia assieme al popolo?
dispersione, ritorio
La risposta è lizzare
stata
l’esercito in
data
con
grande
un
altro quesito:
parte
inquinato
era e
possibile
uti¬
controllato da possibile utiliz¬
ufficiali fascisti e dallo spionaggio tedesco, era zarlo per un rovesciamento di fronte così repentino? Si pos¬
cioè, cambiare delle alleanze nel giro di pochi giorni? Si può impiegare con successo un esercito contro un « nemico » più forte e sino a ventiquattr’ore prima « alleato »? In che misura un’alleanza militare tra un piccolo e un grande
sono,
paese lascia
ancora
libertà di movimento all’esercito del piccolo
paese? 24
T. Tessari, «Movimento di Liberazione in Italia»,
n.
lì, 1951. 335
Problema questo non astratto e non soltanto di valore storico, di attuale, immediata importanza. In che misura il nostro pae¬ se, oggi alleato con gli Stati Uniti d’America, è in grado di con¬ servare la sua indipendenza, la sua sovranità, la possibilità di ma
liberamente decidere
in ogni momento? In che misura il nostro esercito, con la cessione delle basi mi¬
litari
agli Stati Uniti d’America, con gli impianti che si stanno facendo sul nostro territorio delle basi di lancio dei missili ato¬ mici, con la installazione di ordigni e truppe americane agli ordi¬ ni di comandi americani, il nostro esercito e non soltanto l’eserci¬ to, il governo stesso avranno ancora in ogni evenienza una qual¬ siasi libertà di movimento? Domani celebreremo il XIV anniversario del 25 aprile. Dob¬ biamo essere tutti attivamente presenti, non si tratta soltanto di
partecipare alle celebrazioni, i
democratici
tratta
sinceri,
di rinnovare
un
tra
di riallacciare vecchi legami, di la collaborazione tra tutti antifascisti giovani e anziani; si
ma
stabilirne di nuovi, di ricercare
e tessere
gli
impegno di lotta
libertà, la
per la
pace
e
l’avanzata democratica del nostro paese. Dobbiamo ritrovarci tutti reagendo a quella
certa « desisten¬ che alle volte si incontra anche tra uomini che hanno attiva¬ mente partecipato alla Resistenza. Taluni forse delusi, amareggiati perché non si sono realizzate le profonde aspirazioni di rinnova¬ mento sociale che erano nel cuore loro e di tutti noi, che erano nel programma della Resistenza, si sono ritirati nell’ombra, si so¬ za »
appartati, altri,
no
certe celebrazioni
rientrati e
non
nell’oscurità,
fanno
tutto
si tengono lontani da
quanto
potrebbero perché
riescano con l’imponenza di un tempo. È verissimo che ai periodi eroici di alta tensione succedono
sempre fasi più o meno lunghe se non di relativa passività, di lotte meno aspre, di apparente immobilismo e persino di delusio¬ ne.
È accaduto anche dopo il primo Risorgimento ed in seguito.
Siccome queste fasi eroiche », scriveva nel 1880 Alessandro Guiccioli, « rispondono a condizioni storiche speciali e molto fu¬ gaci che richiedono un grande sforzo di volontà, una tensione mo¬ rale molto superiore alla forza ordinaria della maggior parte degli uomini, la loro durata è breve, e vi tiene dietro quasi sempre un lungo periodo di rilassatezza, durante il quale le cupidigie del¬ l’egoismo fanno dimenticare gli interessi della patria, la cura dei godimenti materiali rimpiazza il culto dei grandi ideali e ogni idea di sacrificio e di dovere viene travolta dall’onda melmosa di un opportunismo volgare. Spettacolo avanti al quale si provano un profondo scoraggiamento ed un amaro scetticismo: fede e speran¬ «
336
za
si crederebbero morte, se non si pensasse che nell’ordine poli¬ e sociale come in qualsiasi altro fenomeno della natura, quan¬
tico
do v’ha conflitto tra le forze che non si equilibrano, si producono dei movimenti ritmici che fanno oscillare l’umanità tra due estremi
opposti.
»
Queste erano le considerazioni non soltanto del Guiccioli, ma di uomini che erano stati all’avanguardia della democrazia radi¬ cale durante il Risorgimento. Qualche cosa di simile si nota anche oggi tra elementi che furono attivi nella Resistenza. Ma guai a lasciarsi assalire dalla sfiducia e dallo scoraggiamento per le cose rimaste incompiute e per gli obiettivi soltanto parzialmente rag¬
giunti. Lotte, sofferenze, sacrifici tinuare ad operare programma
e
a
non
sono
stati vani. Si
della Resistenza. Non
servono
i
tratta
di
con¬
compimento il rimpianti e le recri¬
lottare oggi per portare
a
minazioni. Ciò che conta è l’azione da compiere, l’attività da svol¬ gere oggi per modificare la situazione. Non dobbiamo attendere un domani ipotetico, il domani ce lo dobbiamo creare con la no¬ stra lotta. Dobbiamo soprattutto operare uniti oggi. Soltanto così andremo avanti per realizzare quell’Italia del popolo che era nel¬ le aspirazioni e nei sogni dei martiri del Risorgimento e della Resistenza.
337
1960
CELEBRAZIONE DELLA RESISTENZA DURANTE LA BATTAGLIA CONTRO IL GOVERNO TAMBRONI1
Noi
intendiamo pronunciare qualche parola di circostanza per compiere un dovere, sia pure sacro, verso i caduti, verso gli eroi, i torturati, i massacrati, verso i migliori di noi che la loro vita immolarono per la libertà d’Italia e del popolo nostro. Cade oggi il XXII anniversario del lento assassinio perpetrato dal fascismo di Antonio Gramsci; e con lui ricordiamo Giacomo Matteotti, don Minzoni, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli e tutti i mille e mille altri martiri della libertà. Ma è un dovere per noi anche verso i giovani che devono ap¬ prendere dalla scuola, dai libri, dalle lotte, ma ancora prima da
questa
non
nostra
Assemblea, che la
storia della loro
patria
passa at¬
traverso la Resistenza. Il 25 aprile non è una data di parte, la Resistenza appartiene all’Italia; per questo, prima ancora che sulle piazze, per iniziativa
di questa o di quest’altra associazione o di tutte le associazioni di ex combattenti unite, dev’essere celebrata nel Parlamento na¬ zionale. Questa data segna la riconquistata unità del popolo ita¬ liano. Se essa fu la conclusione di una guerra civile, non fummo noi a volerla; ci fu allora imposta dai tedeschi e dai fascisti, e noi l’accettammo come una dolorosa necessità per conquistare la pa¬ ce, la libertà e l’indipendenza del nostro paese, per salvare ciò 1 Discorso pronunciato il 27 aprile 1960 al Senato per celebrare il XV anniversario del 25 aprile. Vedere Nel corso della battaglia contro il governo Tambroni, DC-MSI, « l’Unità », 28 aprile 1960.
Dopo la celebrazione tenuta a nome dei comunisti dal compagno P. Secchia, prese la parola il presidente del Consiglio on. Tambroni. Mentre stava per aprire bocca, il comunista Bertoli ha gridato: « Morto che parla. » Tambroni è rimasto un attimo interdetto poi ha detto: « A nome del governo mi associo alla rievocazione celebrativa del 25 aprile, auspicando
maggiori
e
pacifiche fortune
Una frase che
suonava
per tutto il
non
omaggio,
popolo italiano. ma
»
insulto alla Resistenza. 339
che
possibile salvare: un patrimonio ideale, morale, materiale. Questo si doveva salvare e noi l’abbiamo sal¬ vato per tutti gli italiani, anche per gli stessi fascisti. Ma ciò che ci spinge a parlare non è un dovere formale, noi sentiamo oggi il dovere di rinnovare un giuramento, di assumere, senza jattanza ma senza esitazione alcuna, un impegno ben pre¬ ciso: non sarà permesso a nessuno di calpestare la Resistenza, di oltraggiare la Costituzione, di sfidare il paese. Non è certo soltanto per il fatto che si sono compiuti quindici anni dal 25 aprile dell’insurrezione nazionale vittoriosa, che si sono ritrovati l’altro giorno su cento e cento piazze d’Italia, fianco a fianco, proprio come quindici anni or sono, uomini di fedi e di era
umano
ancora
e
ideologie diverse,
ma uniti nell’amore per la libertà: socialisti, comunisti, uomini già del Partito d’Azione, repubblicani, socialdemocratici, assieme a liberali e a cattolici.
Non è un caso che l’altro ieri la grande ed operosa città di Milano, interpretando il sentimento di tutte le altre città italiane, abbia voluto ufficialmente e solennemente, autorità e popolo con¬ cordi, festeggiare e decorare i comandanti del CVL (Corpo Volon¬ tari della Libertà): Cadorna, Longo, Parri ed i due presidenti del CLN di Milano e della Lombardia, Sereni e Meda, e con loro: Mattei, Stucchi, Argenton, Marazza. Le manifestazioni solenni ed unitarie di questo 25 aprile han¬ no un ben preciso significato, hanno inteso far sentire che, al di sopra delle diversità politiche e ideologiche, c’è qualche cosa che unisce profondamente tutti gli uomini che hanno lottato per dare all’Italia la Costituzione
repubblicana,
per fare dell'Italia
un
pae¬
civile. Di fronte ai pericoli che minacciano le istituzioni democratiche, ogni italiano che ha sofferto e lottato per la libertà, che crede nel-1 la Costituzione, ha sentito che non si poteva, che non si può re¬ stare a guardare, ma che ogni italiano può celebrare degnamente il 25 aprile soltanto operando oggi per dare al paese un governo se
democratico che ci permetta di ricordare senza arrossire i nostri caduti, di ricordare che l’Italia è una Repubblica fondata sul la¬
voro, sorta dalla Resistenza. Quando l’art. 1 della nostra Costituzione afferma solennemente che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non dice soltan¬ to che la nostra Repubblica non è fondata sul privilegio, sui monopoli, sulla corruzione, sulle discriminazioni tra i cittadini, sui relitti del fascismo, ma afferma che tutte le istituzioni, le leggi (e, in primo luogo, il governo della Repubblica) devono essere infor¬ mate
340
ed
adeguate
a
quei valori che
si chiamano diritto del lavoro,
giustizia sociale, onestà, libertà della vita democratica. Non si tratta di principi astratti, ma di impegni da tutti i par¬ titi democratici continuamente affermati. Con questi principi e con questi impegni non si concilia un governo che si regge con i voti di coloro che ancora oggi osannano al defunto e per sempre fascista. Abbiamo udito con piacere, ieri l’altro, celebrare il 25 aprile anche da diversi autorevoli esponenti del partito della Democra¬ zia Cristiana, con nobili parole di esaltazione degli ideali della Resistenza. Ma occorre che a quelle parole corrispondano i fatti. Una certa indifferenza, un certo scetticismo e anche il già de¬ nunciato scadimento delle nostre istituzioni sono anche il risulta¬ to di questo contrasto, ogni giorno più stridente, tra le parole
seppellito regime
e
i fatti.
Tutti,
ma
specialmente
i
giovani,
provano
una
ripulsa quasi
realtà diversa da quella che sono che un mezzo per distrarre l’attenzione dai fatti, dal fondo delle cose reali. La gente onesta vuole, esige che le parole corrispondano ai fat¬ ti, e lo esige da noi tutti, da tutti i partiti. E se oggi molti si irri¬
fìsica per le parole che ricoprono esprimono, per le parole che non
gidiscono,
si
pronunci,
è
una
insospettiscono davanti ad ogni discorso, chiunque lo perché temono di essere « ingannati », è perché trop¬
po spesso accade che le stesse parole, le stesse frasi vengano usate da tutti i partiti indistintamente, il che significa che spesso quelle parole non hanno un contenuto o esprimono cose che vengono poi offese nella pratica quotidiana. La Resistenza non può essere, non è per noi una cosa viva sol¬ tanto nelle parole. Noi non possiamo degnamente celebrare il XV anniversario del 25 aprile senza levare la nostra sdegnata protesta nel Parlamento e nel paese contro certi connubi che sono un ol¬
traggio alla Resistenza ed alla Costituzione. Il nostro grido di « Evviva le Resistenza! »,
aprile!
», è un evviva
che deve unire tutti governo:
che deve unire
gli italiani,
ma
è
« Evviva il 25 le forze democratiche, grido che dice a questo
tutte un
andatevene.
341
UN CADAVERE AMBULANTE2
Un cadavere ambulante è
i cadaveri possono
quello dell’on. Tambroni; se non sono sepolti
danno
recar
ma
anche
in tempo.
L’on. Tambroni rifiuta di
andarsene, una parte almeno del suo partito licenziarlo, i liberali mandano per aria l’ac¬ cordo già raggiunto, la DC ricatta i partiti e il Parlamento. Que¬ non
è decisa
a
la situazione. In questi giorni si è passati di sorpresa in sorpresa, le voci più disparate ed anche allarmistiche correvano, assieme alla caval¬ leria ed alle camionette della Celere tuttora scorrazzanti per le strade di Roma, che ha l’aspetto di una città presidiata, quasi in sta
stato d’allarme. C’era chi parlava di tenebrose manovre e persino di colpi di mano in gestazione, nel tentativo di instaurare un regime di tipo
gaullista. Senza indulgere è la Francia
non
verso
esagerati allarmismi
l’Italia non
c’è alcun dubbio che la situazione creatasi nel
paese permane ancora grave. Non si devono sottovalutare i ten¬ tativi delle destre, del Vaticano, dei circoli dell’imperialismo ame¬ ricano tesi ad impedire che il nostro paese possa avere un governo democratico orientato a rispettare ed a fare rispettare la Costi¬
tuzione. L’on.
affermato nel suo intervento alla Camera dare vita ad un governo di emergenza per una urgente situazione di emergenza, una formazione governativa che rompa risolutamente col neofascismo, largamente aperta alle aspirazioni sociali delle classi lavoratrici e che sia qualificata nel suo pro¬ gramma e nella persona che la dovrà guidare da una profonda sensibilità democratica e sociale, un governo che significhi ritorno alla Costituzione ed una effettiva tregua politica che consenta di ricreare nel paese un clima di civile convivenza ». Tale impostazione venne immediatamente accettata, con gran¬ de senso di responsabilità, dai partiti di sinistra, consapevoli che la gravità dell’ora imponeva di non irrigidirsi su pregiudiziali e programmi pur legittimi di partito, per favorire una soluzione che
«
Saragat
aveva
era
atta a ristabilire la normalità della vita democratica. Questa impostazione, accettata dalla grande maggioranza del Parlamento, non ha potuto avere l’immediato suo sbocco natu¬ rale perché Tambroni si ostina disperatamente a restare in carica, «
aperta »,
2
342
«
Baita », 16 luglio 1960.
anche se il suo governo non ha più la maggioranza ed è sostenuto in modo aperto soltanto dai fascisti. La situazione che si è creata nelle ultime 48 ore è assurda e ridicola ma, al tempo stesso, non priva di pericoli. Quando un governo che non riscuote più la fiducia né del Parlamento, né del paese si rifiuta di dimettersi, sia pure col pretesto che i partiti non hanno ancora raggiunto un accordo preciso sulla nuova mag¬ tutto c’è da aspettarsi, specialmente dopo le chiare pro¬ che l’on. Tambroni ha già dato di dispregio della legalità democratica. Una situazione di questo genere non può e non deve durare. Tutti i partiti, tutte le organizzazioni di massa, tutti i cittadini e specialmente quelli che sono alla testa degli organi tutori della legalità costituzionale devono assumere in pieno le loro respon¬
gioranza, ve
sabilità.
lotta, l’iniziativa comune di tutte le forze democra¬ dei tiche, giovani e degli anziani che si richiamano alla Resistenza e all’antifascismo sono più che mai necessarie in questo momento. L’unità, la
Il governo Tambroni deve andarsene al più presto, subito. Nessuno si illuda di poter calare il sipario su ciò che è accaduto, sul sangue versato e riprendere il tran-tran quotidiano in Parla¬ mento come se nulla fosse stato. Noi respingiamo la politica dell’ar¬
bitrio, della provocazione, dell’illegalismo e della violenza, noi re¬ spingiamo la politica di coloro che vogliono creare il disordine, ma proprio per questo le cose non possono finire così. Il governo alleato dei fascisti, responsabile dei tragici eccidi,
che non ha più la fiducia nel Parlamento, deve andarsene. Il MSI deve essere sciolto, le leggi di PS fasciste devono essere abrogate e adeguate alla nostra Costituzione democratica. Questo chie¬ dono e vogliono, questo esigono le forze della Resistenza, le forze democratiche unite affinché il paese possa riprendere il suo ritmo normale di 3
lavoro, di operosità, di progresso.3
L’8 aprile 1960, il governo partorito
Camera
ed
al
Senato
con gravi difficoltà, otteneva alla esigua maggioranza i cui voti determinanti erano seguita una politica di repressione alle manifestazioni
una
quelli del MSI. Ne era popolari culminata con l’autorizzazione al MSI di tenere il suo congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza che insorse contro tale ol¬ traggio; con l’eccidio del 7 luglio a Reggio Emilia (dove furono uccisi dalla polizia Lauro Fenoli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi, Afro Tondelli), con l’eccidio dell’8 luglio a Palermo dove, nel corso di una mani¬ festazione antifascista, furono uccisi Francesco Verrà, Andrea Gangitano, Rosa La Barbera, Giuseppe Malleo, e con l’eccidio di Catania dove, durante una manifestazione, fu ucciso Salvatore Novembre, veniva a crearsi una situazione sempre più insostenibile per Tambroni. Sconfessato dal suo stesso partito, il 19 luglio l’on. Tambroni fu costretto a dimettersi.
343
1961
CONTRO LA POLITICA DEL GOVERNO DELLE «DIVERGENZE»1
IINoi crediamo alle cose per le quali abbiamo lottato e lottiamo: per noi la Costituzione non è un pezzo di carta straccia e credia¬ mo anche alle affermazioni fatte sempre da tutte le parti che la discussione sul bilancio dell’Interno è discussione sui problemi, interessi fondamentali della vita interna del paese, sui rap¬ tra lo Stato e i cittadini, sull’opera che il governo svolge attuare la riforma democratica dello Stato, per attuare la Co¬ per stituzione in tutte le sue parti.
sugli
porti
Tanto più
necessaria sarebbe una tale discussione in quanto il del presidente Consiglio, l’on. Fanfani, presentando alle Camere l’attuale morituro governo un anno fa, o poco più, aveva fatto del¬ le promesse ed assunto dei precisi impegni. Aveva dichiarato che il suo governo si proponeva di svolgere una politica economica e fiscale che scoraggiasse i monopoli esistenti, impedisse il sorgere di nuovi e rendesse impossibile l’esercizio, da parte delle forze mono¬ polistiche ed economiche, di pressioni che erodessero l’autorità del¬ lo Stato e intaccassero le libertà dei cittadini; si era impegnato alla revisione delle leggi di PS, alla lotta contro le evasioni fiscali e contro la corruzione, si era impegnato a difendere le libertà di tutti i cittadini, anche sui luoghi di lavoro, si era richiamato agli ideali dell’antifascismo ed ai valori della Resistenza. Da parte del ministro dell’Interno, on. Sceiba, il 13 ottobre
I Estratto del discorso al Senato, pronunciato il 5 ottobre 1961. II governo delle « convergenze », che Secchia ironicamente chiamava delle « divergenze », era il terzo ministero presieduto dall’on. Fanfani, che durò dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1962. Era costituito esclusivamente da
democristiani delle diverse correnti,
democratico, repubblicano nevano
dal
voto
e
ciò
a
quale doveva costituire il
e
con
l’appoggio esterno
dei
partiti social-
liberale. Per la prima volta i socialisti si
significare
che
aste¬
osteggiavano tale
governo, il ponte per passare poi al governo di centro-sinistra. non
345
dello
scorso anno,
sintetizzando in alcuni punti l’indirizzo di
poli¬
tica interna si impegnava a: 1. liberalizzare i rapporti tra lo Stato ed i cittadini; 2. decentrare la funzione attribuita agli organi esecutivi a favore degli enti autonomi locali; 3. assicurare il rigoroso rispetto della legalità democratica.
Orbene, presentando al
nostro
la relazione dovrebbe dirci che
esame
il bilancio dell’Interno,
è stato fatto dal governo per assolvere agli impegni presi, per realizzare le riforme sociali, per attuare le regioni, per dare autonomia agli enti locali, per modifi¬ care
le
leggi
cosa
di PS, per armonizzarle
con
la
nostra
Costituzione,
per limitare il predominio dei monopoli, per modificare le vecchie strutture economiche e sociali che assicurano tale predominio.
Queste
cose, dovreste
ché fare queste
cose
dirci,
significa
in che misura
assicurare le
sono state fatte, per¬ libertà, sviluppare la
democrazia, mantenere l’ordine, rispettare e fare rispettare le leggi. Invece no, quando si parla d’ordine, di libertà, di democra¬ zia, voi pensate essenzialmente a due cose soltanto: alla polizia ed all’assistenza, e sono difatti i capitoli sui quali sempre si dif¬
ampiamente le relazioni di maggioranza. Senza dubbio l’assistenza pubblica è indispensabile in un paese civile, e noi la¬ fondono
mentiamo anzi che i sussidi siano insufficienti ed assolutamente
inadeguati alle necessità. L’aumento di un miliardo di lire è qua¬ si insignificante di fronte ai molti bisogni, all’aumento del costo della vita ed alla progressiva, anche se graduale smobilitazione in atto. Ma è tutto il sistema dell’assistenza pubblica che andrebbe radicalmente riformato e modernizzato, e non si comprende nep¬ pure perché debba essere accentrato, come lo è da decenni, nelle mani del ministero dell’Interno. Ho detto non si comprende, ma si tratta di un modo di dire, poiché comprendiamo benissimo. Ma non mi propongo oggi di trattare questo aspetto del pro¬ blema. Dicevo che l’assistenza pubblica è indispensabile, almeno sino a quando non siano eliminate le più stridenti ineguaglianze sociali e le piaghe della miseria, dell’indigenza, ancora aperte in molte zone del nostro paese ed anche in certi quartieri delle gran¬ di città. Ma per noi la democrazia si sviluppa, si rafforza (e l’ordi¬ ne è veramente tale) quando alimenta tutta la vita del paese ed assicura con il lavoro un’esistenza libera e dignitosa a tutti, ed una sempre più larga partecipazione dei cittadini a determinare la vita nazionale; quando questa partecipazione si esprime non
soltanto nel
regolare
funzionamento del Parlamento,
attività democratica in ogni villaggio, in comune con il funzionamento autonomo 346
ma
in
in
una
ogni ogni fabbrica, enti locali, delle
degli
organizzazioni democratiche, delle commissioni interne, dei sin¬ dacati. Questi problemi, senza dubbio, non se li pongono coloro per i quali la vita del comune (parlo essenzialmente dei molti co¬ muni di campagna) poggia su due istituzioni fondamentali: la ca¬ serma e la parrocchia; il maresciallo che esercita e applica la leg¬ ge, il parroco che, in mancanza di altre organizzazioni, assicura alla DC molti voti, una notevole influenza elettorale. Comprendo tuttavia che sarebbe stato assai difficile presentare una relazione che avesse al centro questo consuntivo perché l’attuale governo (e
non
poteva
essere
fondamentali che sto
diversamente) è
aveva
solennemente
immobile, inetto; al contrario,
venuto assunto.
meno
agli impegni
Non che sia rima¬
è stato attivissimo,
nel colpire, limitare il potere dei monopoli, al contrario avanti il processo di massima espansione monopolistica
ma
non
portando ed
orien¬
sviluppo produttivo allungare più le le ancor di distanze, disuguaglianze sociali, aggravando più gli squilibri di classe in senso sfavorevole alle grandi masse dei la¬ tando lo
voratori
in modo da
e
dei ceti medi, nelle fabbriche, nelle città
pagne. Da questo sono
indirizzo economico è
sgorgate le scelte ben
precise
sui
ancora
e
nelle
cam¬
poi disceso tutto il resto, problemi della scuola, della
autonomie, delle libertà democratiche, da quell’in¬ dirizzo derivano le inadempienze costituzionali più volte da noi denunciate. Ho voluto, ancora una volta, fare una osservazione di metodi, che è poi anche di sostanza, perché non mi sembra sia censura, delle
giusto che
presentare le relazioni sul bilancio dell’In¬ di queste relazioni i problemi fon¬ damentali di applicazione della nostra Costituzione, che non sol¬ terno
si continui
senza
porre
al
a
centro
i problemi più importanti che stanno davanti a noi, davanti all’opinione pubblica, la quale comincia a chie¬ dersi, e se lo chiedono in modo particolare i giovani: « Perché il nostro è un paese dove la Costituzione non viene applicata? Per¬ ché l’Italia ha una Costituzione democratica repubblicana, senza dubbio avanzata, ma dove le cose sono rette e continuano ad an¬ dare in modo diverso da come la Costituzione prescrive? E chi tanto
sono
ma stanno
è responsabile? » Fatta questa premessa, non è tuttavia mia intenzione affrontare tutti i problemi ai quali ho accennato, anzi
ne
ne
affronterò
uno
solo.
347
Funzioni
e
orientamento delle forze di
Noi abbiamo detto molte volte
abbiamo alcuna prevenzione
non
mo
sempre stati
favorevoli, ogni
polizia
soprattutto dimostrato che le forze della polizia; sia¬ volta che se n’è discusso, all’au¬ e
verso
delle retribuzioni agli ufficiali e agli agenti di PS, al mi¬ glioramento delle condizioni economiche e culturali, al migliora¬ mento e all’efficienza tecnica della polizia, che vogliamo sia una polizia moderna, rispondente alle esigenze di una Repubblica democratica, di un grande paese civile, educata a far rispettare le leggi della nostra Costituzione ed a difendere i diritti di tutti i cittadini dico tutti senza discriminazione alcuna, i lavora¬ tori compresi, anzi dei lavoratori in primo luogo, perché chi non lavora e vive illecitamente sfruttando il lavoro degli altri, si pone al di fuori della nostra Repubblica che dovrebbe essere fondata sul lavoro. Siamo invece contrari al modo come continua ad essere conce¬ pita ed orientata l’istituzione della polizia, al modo antidemocra¬ tico ed antipopolare con cui vengono educate ed impegnate le for¬ ze di polizia, le quali dovrebbero essere esclusivamente al servizio dei cittadini e dello Stato. Ma come possiamo pretendere che le forze di polizia si considerino al servizio dei cittadini e della leg¬ mento
democraticamente, in base ai principi della Co¬ stituzione, quando autorità responsabili, a cominciare dal mini¬ stro dell’Interno, tengono dei discorsi nei quali essi considerano almeno dieci milioni di cittadini italiani non degli avversari poli¬ tici, ma come dei nemici dell’Italia da combattere con ogni mez¬
ge, siano educate
zo? Senza risalire al passato,
ancora
recentemente, il 24 settem¬
ministro dell’Interno, on. Sceiba, nel pieno delle sue fun¬ zioni e cioè in veste di ministro, ad una pubblica cerimonia di chiusura della mostra internazionale dell’arredamento a Monza, affermava che « l’ordine interno e la pace internazionale sono in¬ sidiati oggi da un solo vero grande nemico: il comuniSmo interno e internazionale, di cui il primo non è che una sezione ». Quando
bre, il
il «
ministro
dell’Interno, nel pieno delle
responsabilità
»,
parla
italiani, considera dei
così di
una
sue
funzioni
delle
e
sue
parte cospicua di cittadini
nemici milioni di italiani che hanno lottato
Costituzione ed ai quali la Costituzione riconosce pieno e legittimo diritto di partecipare alla direzione della vita nazionale, quando si parla così di milioni di cittadini i per dare all’Italia la
cui gran
rappresentanti siedono numero
parla così, 348
sua
numerosi
di comuni, di
c’è
poi da stupirsi
province se
in e
Parlamento
di enti locali;
uomini che occupano
dirigono quando si
e
posti
meno
responsabili pensano che occorre farla finita con questo grande nemico, che occorre farla finita, col mitra o con lo sfollagente, con questa pericolosa gentaglia? Quando voi continuate ad agitare questo sporco gagliardetto, sempre
nemico
agitato dai fascisti, quando presentate i comunisti come il numero uno dell’Italia, voi non potete tener fede alle
di applicare e fare applicare fermamente i senza discriminazione alcuna. della Costituzione, principi è un uomo di carattere, L’on. Sceiba lo riconosciamo stesse che le cose e dice già diceva nel 1948, nel oggi egli pensa 1950 o nel 1954, quando intervistato dal suo amico Pope pre¬ vostre
assicurazioni
lo assicurava che
cisamente nel 1954 ro
dovuto
essere
perché [sono le
«
gli
americani avrebbe¬
preoccupati per il comuniSmo in Italia, parole] noi sconfiggeremo in modo assoluto i
meno
sue
[badate bene, anche allora diceva il go¬ l’Azione Cattolica] farà tutto quanto è ne¬ verno, nulla escluso ». cessario per debellare il comuniSmo: È vero che mitra, sfollagente, camionette si sono dimostrati sinora mezzi insufficienti ed inadatti a debellare il comuniSmo, tut¬
comunisti. Il governo non
la DC
o
tavia continuano ad
essere
i mezzi
preferiti
e
largamente
usati
soltanto nei confronti dei comunisti, ma nei confronti degli dei lavoratori in lotta, nei confronti dei cittadini che manifestano la loro volontà, nelle forme consentite dalla Costi¬ tuzione. A questo punto, non voglio abusare della pazienza dei colle¬ ghi leggendo la troppo lunga lista degli interventi illeciti, dell’im¬ piego della polizia in funzioni antipopolari ed in compiti che non sono, che non dovrebbero essere i suoi. L’elenco è troppo lungo perché ormai è diventato un sistema nella nostra Repubblica de¬ mocratica, fondata sul lavoro, quello di mandare, sempre, le for¬ ze di polizia attorno alle fabbriche ove si sciopera, ove è in corso una vertenza sindacale, di mandarle sempre anche quando non non
scioperanti,
vi è alcun turbamento dell’ordine, anche cidenti. Anzi, è proprio tale « intervento
quando
non
vi
sono
in¬
che costituisce un ele¬ mento di « turbamento ». L’intervento armato delle forze di po¬ lizia nelle controversie del lavoro, negli scioperi, dovrebbe essere di norma escluso perché, già di per sé, tale intervento costituisce una intimidazione, una minaccia, una presa di posizione a favore di una parte. Ed è proprio per aiutare i grandi industriali nei tentativi leciti ed illeciti per impedire o far cessare lo sciopero, che voi avete preso l’abitudine di inviare sempre sul posto le for¬ ze di polizia. Perché voi e chi è alla testa delle forze di poli¬ zia
considerate lo
sciopero
come
»
disordine,
come un
« reato »,
349
che non si può fare a meno di tollerare (perché la Costituzione riconosce lo sciopero come un diritto) ma che dev’essere quanto più possibile impedito e represso. « reato »
un
nostra
Lo so, si dice che si tratta di tutelare la libertà di lavoro (lo dice anche la relazione di maggioranza che ci è stata presentata). La libertà di lavoro non la si tutela mettendo preventivamente
le forze di
al servizio di una parte, al servizio dei grandi monopoli che di tale spiegamento di forze si servono per minacciare e per tentare di intimidire gli operai, per creare un clima di paura, per creare la sensazione del pericolo, per creare il clima nel quale gli operai, quanto meno i più preoc¬ cupati, abbiano l’impressione che scioperando si mettono contro la legge, contro la legalità, contro « l’ordine », tant’è che la po¬ lizia è stata mobilitata, portata sul posto, è lì pronta ad interve¬
industriali
polizia
e
dei
nire, armi alla
Non c’è più
mano uno
bombe nello zaino. sciopero senza che le forze di e
mandate là dove si
siano
polizia
tant’è che il ministro
Sceiba, sciopera, nell’altro ramo del Parlamento, in sede di discussione del bilan¬ cio dell’Interno, volendo dimostrare come le forze di polizia non siano in numero superiore alle necessità ed ai compiti, ha sottoon.
lineato come esse siano quotidianamente impegnate nella tutela dell’ordine pubblico ed ha ricordato come, nei primi cinque mesi dell’anno in corso, vi siano stati ben 2.634 scioperi ai quali han¬
partecipato 2.812.000 scioperanti; la conclusione era che, di fronte ad un numero così grande di scioperanti, è chiaro che le
no
forze di
polizia
sono
appena sufficienti.
sciopero è dunque considerato non un diritto, una legittima manifestazione, ma un motivo di « disordine » pubblico, uno di Lo
quei motivi per i quali occorre quanto meno mobilitare gran nu¬ mero di forze di polizia. Lo so, si dice: « Si tratta di tutelare la libertà di chi vuol la¬ vorare, di chi non vuole scioperare. » Ebbene, io vorrei mi si ci¬ tasse un solo caso in cui gli operai si siano uccisi o feriti grave¬ mente fra di loro, in conseguenza di una rissa tra chi voleva scio¬ perare e chi non voleva. Questo caso non può essere citato perché non
è mai
volato
accaduto, perché
non
esiste. Al massimo,
i fatti
i conflitti
può
essere
sem¬ gravi, qualche scapaccione, mor¬ ed i mai della l’intervento prima, polizia, pre accaduti dopo ti sono sempre stati dalla parte dei lavoratori perché a sparare con le armi è sempre la polizia. Per malvagità? Per cattiveria? Nessuno di noi sostiene questo, non si tratta di malvagità, di cattiveria degli agenti presi nel loro complesso; quella del singolo non può essere esclusa, ma le colpe
350
ma
sono
del
singolo
non
possono,
non
Non di cattiveria si tratta,
ma
debbono essere addebitate a tutti. del fatto che la polizia è educata sorta di « fuorilegge », un violato¬
vedere nello scioperante una re debordine, un aggressore. Ecco là, nello scioperante, il nemi¬ co da combattere. a
polizia mobilitati in occasione di uno sciopero, davanti alle fabbriche, spesso sottoposti a trasporti fati¬ portati un servizio cosi, ad pesante, finiscono per formarsi un particolare stato d’animo, per irritarsi, per essere maldisposti verso lo scio¬ Gli agenti di
perante che considerano la causa della loro corvée, del loro lavoro « straordinario ». Da quello stato d’animo di irritazione, nascono l’avversione, lo spirito di aggressività verso lo scioperante e di qui il passo al conflitto cruento, alla carica è breve, spesso avviene quasi automaticamente per la forza delle cose, come la conseguen¬ za di una macchina che messa in movimento segue il suo corso. Per contro, l’agente di polizia che non viene mai a contatto diretto con il grande industriale, è educato e portato a considera¬ re il grande industriale (che quasi sempre ha provocato lo scio¬ pero negando ai lavoratori il riconoscimento di un giusto diritto) un uomo d’ordine, come una persona per bene, soltanto lo sappiamo non scende in piazza a discutere, ad perché affrontare i suoi operai, soltanto perché se ne sta comodamente, imperturbabile, insensibile nella poltrona del suo ufficio. Questi
come
grandi industriali, questi padroni del al proprio privilegio passano così resca
vapore che pensano soltanto per
espressione dell’on. Fanfani
mentre
essi
sordine
».
sono
i
veri
per
responsabili
pitto¬ garanti della libertà,
usare
una
recente
delle agitazioni
e
del
«
di¬
L’arma dello sciopero è un’arma democratica e civile, un di¬ ritto sancito e tutelato dalla Costituzione. Non c’è proprio alcun bisogno e costituisce una provocazione che, durante gli scioperi e le vertenze del lavoro, i lavoratori siano « scortati » come dei prigionieri da squadre di agenti e di carabinieri pronti a caricare, bastonare e anche a sparare, come si trattasse di fare la guerra a dei nemici o a dei banditi.
Ho letto nel numero di giugno della « Rivista di polizia » un articolo del vice-questore Fontana, capo dell’Ufficio Interpol della direzione generale di PS. Di ritorno dall’America, detto funzio¬ nario scrive che poiché in America vi è la massima libertà in
comizi, cortei, scioperi, serrate e simili, il personale di polizia può dedicarsi interamente al servizio di Istituto. « Potrà
materia di
sembrare
non
credibile
»,
aggiunge
il questore Fontana,
«
ma
il
351
reparto di pronto impiego della polizia ni di abitanti] è di soli 32 uomini. »
Io
non
vamente
a
New York [nove milio¬
giurerei che le cose stiano proprio così, ma se effetti¬ negli Stati Uniti d’America vi è la massima libertà di
sciopero, di comizi, di cortei e tutto si svolge senza l’intervento della polizia, voi che siete così solerti nell’importare dall’America molte cose cattive, potreste almeno trarre vantaggio dalle rienze
positive che
espe¬
ci possono venire da
quel
paese.
Se vogliamo eliminare diffidenze e prevenzioni reciproche tra cittadini e polizia, tra lavoratori e polizia, se veramente vogliamo che le forze di polizia siano rispettate e stimate, occorre impie¬
garle soltanto
per
gli scopi
cui
sono
state
create,
occorre
cam¬
biare i criteri di organizzazione, di impiego e di orientamento del¬ le forze di polizia. Se dal campo dei rapporti tra la polizia e il mondo del lavoro avessimo il tempo per esaminare altri settori, non sarebbe difficile trovare altri numerosi esempi di una condot¬ ta che non è certo in armonia con i principi che informano la Co¬ stituzione ed i costumi democratici.
Voi proteggete il fascismo Prendiamo è
stata
qui
a
un
i tanti: nel luglio scorso vi in occasione del XXV anniversario della di¬
solo
Roma,
episodio
tra
Repubblica spagnola, una manifestazione unitaria, an¬ tifascista, di solidarietà col popolo spagnolo, ancora oggi oppresso dalla dittatura fascista; ma tale manifestazione non poteva pia¬ cere ai fascisti, i quali com’è naturale sono amici e alleati fesa della
di tutti i regimi reazionari e fascisti superstiti. Dopo aver rico¬ perto e sporcato le mura di Roma con degli scandalosi manifesti infamanti l’antifascismo e la Resistenza, si proposero di disturba¬ re la manifestazione antifascista e impedirla provocando degli in¬ cidenti. Alcune decine di ben noti
giovinastri
si portarono dun¬
di Roma, nei pressi della Basilica di Massenzio, al canto degli inni fascisti e lanciando le sconce grida di « Viva il duce » et sìmilia. Orbene, chi sta alla testa della polizia doveva certamente conoscere in precedenza che i fascisti intendevano organizzare la manifestazione provocatoria. Se il compito della polizia è quello di mantenere l'ordine pubblico e prevenire disor¬ dini, conflitti, ecc. era dovere di coloro cui spettava assolvere tale compito impedire che i fascisti si portassero alla Basilica di que nel
centro
Massenzio, il che 352
era
estremamente
facile, perché
si trattava di
disperdere
non
esercito
un
cine di cialtroni. Oltretutto
se
non
o una
vado
adunata oceanica,
ai fascisti di
tenere
la loro gazzarra
stesso
luogo
scista,
e
ove
alcune de¬
ritengo che le manifesta¬
errato
zioni fasciste siano vietate e punite dalle leggi della blica. Che cosa invece è avvenuto? Non soltanto è
proprio nello
ma
provocatoria,
nostra
Repub¬
stato concesso ma
di tenerla
avveniva la manifestazione antifa¬
ai fascisti è stato permesso
ripeto
di portarsi al
inneggiando al fascismo. Quando poi gli antifa¬ scisti indignati cercarono di reagire alla indecente provocazione, allora finalmente la Celere si mosse, ma per proteggere i fascisti, per impedire che fossero messi in fuga. Diciannove giovani ven¬ nero arrestati e rinviati a giudizio, colpevoli di avere reagito ad una sporca provocazione che le autorità avevano il dovere civico e morale di impedire o, quanto meno, di non proteggere. O si impediva ai fascisti di portarsi alla Basilica di Massenzio oppure, centro
se
di Roma
proprio volevate permettere che
si portassero alla Basilica di
gli antifascisti a sbrigarsela. Ora, chi è che ha dato in quel giorno la direttiva di tollerare e proteggere i manifestanti fascisti e di disperdere e caricare gli antifascisti? Oppure si tratta di una direttiva costante e per¬
Massenzio, allora dovevate lasciare
manente?
potrebbe anche pensare che per motivi politici abbastanza qualcuno volesse provocare il conflitto; ma un giornale democratico, antifascista, non comunista, come « lì Mondo ha avanzato un’ipotesi peggiore di tutte. « Poiché personalmente Si
scoperti
»
l’on. Sceiba è
un
antifascista
»,
scrive
«
lì Mondo
»,
« e
non
si
può pensare che egli impartisca quelle direttive di favorire e pro¬ teggere i fascisti, si deve pensare che la polizia, oggi, sia un po¬ tere tra i poteri, e abbia i suoi indirizzi, la sua volontà, sue fina¬ lità », sfugga, cioè, alla direzione del ministro dell’Interno. A proposito di fascismo, non troviamo nel bilancio e nella relazione di maggioranza una sola parola. Vi sono abbondanti statistiche su tutta una serie di reati, di delitti, dai cannoni re¬
periti
ai
furti, alle rapine, agli stampati sequestrati;
ma
non
una
quanto la PS ha fatto per prevenire, reprimere e col¬ parola i reati di apologia del fascismo e di riorganizzazione del pire disciolto partito fascista. E dire che questi reati sono stati nume¬ rosi e pressoché continui, ne abbiamo fornita un’ampia docu¬ mentazione. Non voglio soffermarmi su questo importante e triste problema su
perché remo
modo di parlarne prossimamente quando discute¬ il progetto di legge del senatore e amico Parri sullo scio¬ avremo
353
glimento del MSI. Mi basti per proposito, il gni di difendere sto
fascismo del 1952 ha sua
firma,
on.
ora
osservare
governo Fanfani non ha i valori della Resistenza trovato
che, anche
mantenuto
i suoi
a
que¬
impe¬
e mai la legge contro il attuazione anche se porta la
pratica
Sceiba.
Concludo: ho detto prima che occorre cambiare i criteri di or¬ ganizzazione, di impiego e di orientamento delle forze di polizia,
adeguare questo orientamento ai principi democratici che informano la nostra Costituzione, ma ritengo che occorra fare
occorre
di più: occorre diminuire le forze di polizia. Noi abbiamo bisogno di più scuole e meno
briche
caserme,
più fab¬
più istituti scientifici e meno caserme. In questi anni, si è andati aumentando sempre sia il numero delle forze di po¬ lizia che sono salite ad oltre 220.000 uomini, sia gli stanziamenti a bilancio che superano i 93 miliardi e 600 milioni. Questo au¬ mento rapido e così pesante è il risultato del fatto che è suben¬ trata
e
l’abitudine, il
costume
di impiegare le forze di
per cacciare i banditi, non per prevenire, scoprire i colpevoli, ma per compiti che
impedire
polizia
i delitti
o
non
per
spettano ad esse e direi per dei compiti che non sono consentiti dalla nostra Costituzione che sancisce il diritto di sciopero e di manifestare li¬ beramente il proprio pensiero con comizi, cortei, con la stampa ed ogni altro mezzo di diffusione. non
Se le forze di polizia fossero tutte e soltanto impiegate per gli dalle leggi, molti miliardi e molte energie sarebbero delitti e molti delinquenti che rimangono im¬ molti risparmiate, sarebbero scoperti, molti episodi tragici e scandalosi nello puniti stesso tempo sarebbero stati impediti, come quello del pazzo di Rocca di Papa che nel luglio scorso poté sostenere durante 16 ore l’assedio di imponenti forze di polizia che assistettero alle sue de¬ littuose pazzie, né si tratta di un caso isolato, vi è stato quello ana¬ logo di Terrazzano, e vi sono molti altri delitti che restano per delle gesta quotidiane della mafia sempre archiviati, senza parlare numerosi attentati terroristici organizzati in Alto o dei recenti
scopi previsti
in diverse città del tedeschi che hanno trovato
Adige
e
aiuti senza revanscisti.
nostro
paese dai nazisti, dai fascisti
compiacente ospitalità, complicità
e
stessi ideali fascisti
e
dubbio da chi è animato
dagli
duro, spesso ingrato, lo spirito di sa¬ il col crificio, quale molti agenti, carabinieri e ufficiali di coraggio Noi conosciamo il lavoro
PS assolvono le loro funzioni; e
non
354
imputiamo ad
essi le
non
colpe
di
sottovalutiamo i loro meriti singoli ed i gravi difetti del
sistema. È il sistema, è
l’organizzazione,
sono
i criteri che devo¬
cambiati. Noi abbiamo un’organizzazione di polizia antiquata, concepita soprattutto in funzione politica, in funzione di classe: questo il no essere
difetto di fondo. Abbiamo a
far
quando
si tratta di
orientata
un’organizzazione attrezzata e pronta lagrimogene e anche delle armi attaccare i lavoratori, ma non sufficientemente
di idranti, di bombe
uso
modernamente attrezzata per condurre la lotta contro la delinquenza. Di tutto questo la responsabilità ricade intera sui governi della DC che si sono susseguiti in questi anni al potere e che hanno fatto di questo potere uno strumento nelle mani di un partito, di una fazione, nelle mani dei monopoli. Onorevoli colleghi, molti di noi hanno partecipato ieri l’altro a Torino alla grandiosa manifestazione della Resistenza in cele¬ i delitti
e
e
brazione del centenario dell’unità d’Italia. Noi tutti siamo stati colpiti ed entusiasmati dallo spirito che animava quella decina di migliaia di convenuti. È ancora lo stesso spirito, lo stesso entusia¬ smo che hanno animato nella guerra di Liberazione i combattenti per la libertà, è lo stesso spirito che ha animato i partigiani, gli an¬
tifascisti,
i
mocratica,
patrioti, nella lotta
repubblicana che
per dare all’Italia la Costituzione de¬
essa
ha
e
non
un’altra, quella Costi¬
bisogno di un governo veramen¬ te democratico, ha bisogno dell’impegno, del contributo di tutte le forze popolari, ha bisogno non di una politica di polizia, ma di una politica che unisca gli italiani per rinnovare le vecchie strut¬ ture, per fare progredire il paese, per assicurare all’Italia un av¬ tuzione che per
essere attuata
ha
e di benessere. Per questo votiamo contro il bilancio dell’Interno, per questo votiamo contro la politica dell’attuale governo. [Vivissimi ap¬ plausi dall’estrema sinistra, molte congratulazioni.]
venire di pace, di libertà
355
1962
LA GENERAZIONE DI PORTO LONGONE
'
2
lì Lungo viaggio di R. Zangrandi1 sin dai primi giorni del suo cammino s’è incontrato con molti lettori e numerosi critici, ha visto scendere in campo, a plotoni serrati, le argomentazioni fa¬ vorevoli o contrarie alle sue tesi fondamentali. Le polemiche e le tavole rotonde si sono susseguite testimoniando così l’interesse dell'opera di Zangrandi che per le stesse passioni suscitate dimo¬ stra la vitalità e l’attualità di problemi a torto ritenuti da molti
superati. Dopo
abbondante messe di recensioni e dibattiti, tutto detto e si prova persino una certa ripugnanza, un senso di colpa nell'accingerci a rimescolare la stessa acqua, quasi si volesse infierire nel prò o nel contro. Ma la mia vuole essere soltanto una testimonianza o, se si vuole, una « legittima difesa » non della mia soltanto, né di tutta sembra
così
essere
stato
ma di quella generazione che, in senso lato, po¬ chiamare di Porto Azzurro o meglio di Porto Longone per un usare nome meno romantico, ma più atto alla sua identi¬ ficazione. Intendo parlare di quei giovani antifascisti (perché allora an¬ che noi eravamo giovani) che negli anni del fascismo trionfante si trovarono impegnati nella lotta contro la dittatura e di quei giovanissimi che, cresciuti sotto il « regime », riuscirono casual¬
una
generazione,
tremmo
mente
trarsi
o
per merito
con
proprio
a
le opposizioni attive
quistati La prima
trovare
o
ad
l'antifascismo, ad essere
da
queste
incon¬ «
con¬
».
cosa
che intendo stabilire è che anche noi
quando
1 Saggio pubblicato su «Rivista storica del socialismo», nn. 15-16. gennaio-agosto 1962. 2 R. Zangrandi, lì lungo viaggio attraverso il fascismo. Feltrinelli, Milano.
357
affrontammo l’esilio e il tribunale speciale eravamo dei giovani. I processati dal tribunale speciale nel corso dei 17 anni, circa, di sua attività furono 5.619, da altri tribunali (sempre per anti¬ fascismo) 827; sul totale di 6.446 processati, 5.521 (l’86%) al
del loro arresto avevano meno di 40 anni, 3.645 (il 57%) avevano meno di 30 anni, 2.676 (il 42%) meno di 27 anni, 1.968 (il 30%) avevano meno di 25 anni, 1.293 (il 20%) meno di 22 anni, e 957 (il 15%) meno di 20 anni. Il che indica che, nel corso di 16 anni, ogni anno tra i condannati dal tribunale speciale vi fu sempre una media del 40% di giovani. Non ci fu dunque nessuna delle generazioni di giovani durante tutto il pe¬ riodo della dittatura e malgrado i mezzi di cui disponeva che non abbia portato il suo contributo alla lotta per abbattere la ti¬ rannia. Minoranza ristretta quella che trovò la strada giusta, ma non momento
quanto potrebbe apparire a prima vista, poiché fortunatamente tutti gli antifascisti finivano al tribunale speciale. Zangrandi scrive che, a fine novembre 1932, venne reso noto che in virtù non
dell’amnistia i erano
condannati
in tutto 337.
«
I
per
antifascismo rimasti
giovani che
non
avevano
bitare della veridicità di tali cifre credettero che
in
carcere
motivo di du¬ esse
indicassero
l’esatta entità dell’opposizione al regime. Anche se quelle cifre fossero state esatte, e non lo erano,3 tra l’altro non si diceva che nelle isole e nelle località di deportazione si trovavano alcune migliaia di confinati, esse erano ben lontane dall’indicare l’entità degli oppositori al regime, i quali si conta¬ vano a decine di migliaia nelle fabbriche, nei cantieri, nelle cam¬ pagne, inquadrati nelle stesse organizzazioni fasciste. Se. i giovani erano il 40% degli antifascisti scoperti e portati al tribunale speciale, saranno pure stati in una certa percentuale »
degli antifascisti arrestati e denunciati al tribunale speciale superiore a quello dei processati. Molti, dopo mesi e mesi di de¬ tenzione, venivano rilasciati perché assolti in istruttoria o deferiti ad altro giudice, per lo più gli assolti venivano mandati al confino. In una lettera al console generale della milizia fascista, Tringali Casa¬ nova, presidente del tribunale speciale, indirizzata il 20 dicembre 1932 a 3
era
lì
numero
assai
Gaetano Polverelli, capo dellTJfficio stampa del governo, si informa che « i denunciati al tribunale speciale dal 28 novembre 1926 al 30 settembre 1932, furono effettivamente 10.044. In sei anni si ha una media di 1.674 denunciati all’anno, il che rappresenta », osserva il Tringali Casanova, « un denunciato ogni 4.000 cittadini ». Se tale media la si moltiplica per i 17 anni in aggiungiamo noi cui funzionò il tribunale speciale, arriviamo ad un totale di 28.458 de¬ nunciati. 358
anche
gli antifascisti che riuscivano, sia pure forse perché un po’ meno attivi, a non farsi scoprire ed arrestare. Ognuno di noi è in grado in base alla stessa esperienza personale di citare gran tra
di comuni italiani dove vi sono stati soltanto uno o due condannati dal tribunale speciale o non ce ne sono stati affatto e dove tuttavia esistevano nuclei più o meno numerosi di comu¬ nisti e di antifascisti. R. Zangrandi premette al suo Lungo viaggio che non pretende di avere fatto opera esauriente e neppure obiettiva, sincera si. L’avvertenza era quanto mai opportuna poiché se la sincerità degli intenti è fuori discussione, è certo che l’opera sua, per molti aspetti di notevole interesse, in diverse parti difetta di obiettività. Sulle responsabilità delle vecchie classi dirigenti nell’aver aper¬ to la strada al fascismo, nell’averlo sostenuto e favorito con atti numero
positivi
o
con
colpevoli silenzi, ritengo non ci siano dubbi e con¬ degli uomini dell’antifascismo militante, ma
testazioni da parte
questi
non
complici
possono accettare le conclusioni che li accomunino ai
ed ai responsabili del fascismo. A p. 14, R. Zangrandi Non furono le eccezioni [cioè gli antifascisti coerenti]
scrive: « a riassumere il controllo effettivo della situazione, all’indomani del 25 luglio, ma gli altri: quelli che con il fascismo avevano for¬ nicato, da principio, o erano venuti a patti più tardi o non ave¬ vano mai levato un dito per indicarne a noi giovani gli inganni. « E proprio da parte di costoro, aiutati dalla circostanza che gli esuli e i reduci dalle galere, conoscendo poco le cose d’Italia, si associarono al loro atteggiamento, qualche volta per settarismo,
sempre per di
la
singolare processo si tentò di rovesciare quale in vita il fascismo sulle spalle dei giovani
errore, fu avviato nel 1943-’46 un
della verità
capovolgimento colpa di aver tenuto
con
il
allora dalla guerra o dalla prigionia, e da parte dei animosi sull’intero più popolo italiano. » di correo che dobbiamo respingere e vi è una chiamata Qui
che
tornavano
respingiamo decisamente. Gli esuli ed i reduci dalle galere non né durante, né dopo il fascismo dico mai si associarono mai coloro che cercarono di buttare sulle spalle dei giovani o del¬ l’intero popolo italiano la responsabilità del fascismo o quanto meno di averlo tenuto in vita. Intanto quando si parla di reduci dall’esilio e dalle galere, caro Zangrandi, si parla dei comunisti perché questi furono l’80% e forse più. Non c’è nessun settarismo in questa cifra. Chi mi co¬ nosce sa che quando mi occorre di scrivere sull’antifascismo e sulla Resistenza sono portato a non dimenticare mai il contributo dato alla lotta da tutte le correnti antifasciste e il largo con-
a
359
tributo
dato, specialmente durante la Resistenza, dal Partito d’Azione, dal movimento Giustizia e Libertà, dai socialisti. Ma se l’obiettività storica deve consistere nel non dimenticare mai chi furono i compagni di lotta, gli alleati, i protagonisti, non
possiamo neppure per amicizia, solidarietà di oggi falsare la realtà.
e
opportunità politiche
E la realtà dimostrabile sempre in base a dati concreti è che l’80% dei reduci dall’esilio e dalle carceri erano comunisti.4 * 6È vero che del restante 20% facevano parte eminenti personalità i cui nomi avevano maggior risonanza di tanti comunisti messi assieme. I don Sturzo,
gli Sforza,
i Nitti, i Salvemini che
torna¬
dall’estero erano certo assai più conosciuti che non le mi¬ gliaia di antifascisti che, costretti ad emigrare, avevano per venti vano
anni consumato le loro energie nelle miniere della Moselle, negli altiforni di Rumelange, nei centri industriali della Francia, del Belgio, di altri paesi. I nomi degli Ernesto Rossi, dei Bauer, dei Fancello, dei Morandi, dei Pertini, per non citarne che alcuni, avevano certo mag¬ gior eco negli ambienti culturali che non quelli delle centinaia di operai del Nord e di contadini emiliani, romagnoli e di altre re¬
gioni reduci da Ventotene, da Ponza, da Civitavecchia; non
toglie
che
quest’ultimi
e il merito dei primi il contributo e il sacrificio
do il valore nuare
ma ciò riconoscen¬ c’è alcun motivo per atte¬
fossero alcune non
migliaia
e
degli altri. dunque, partire: quando
Di qui occorre, si parla dei reduci dalle carceri e dall’esilio si deve necessariamente intendere i co¬ munisti perché questi erano la grande maggioranza, come lo fu¬ rono nella lotta attiva. Altra cosa sarebbe se parlassimo dell’antifascismo che esisteva e covava nel paese, nei diversi ambienti sociali, nelle fabbriche, negli studi, nelle università, nelle campagne, le proporzioni in tal caso muterebbero, diminuirebbe la percentuale dei comunisti. Errori di settarismo nella
nostra
attività vi furono certamente,
perché di quel passo si potrebbe antifascisti furono condannati dal tribu¬ gli lottavano non nale speciale per abbattere la dittatura, ma perché » « che non settari capivano nulla della realtà perché erano dei in altri tempi una forma di italiana. Abbiamo già conosciuto ma
cerchiamo di
arrivare
a
non
esagerare
scrivere che
4 Dei 4.671 condannati dal tribunale speciale, 4.030 erano comunisti. 13 socialisti, 42 appartenenti al movimento Giustizia e Libertà, 22 anarchici,
6 repubblicani, 323 antifascisti generici, 203 antifascisti e
32 obiettori di coscienza per motivi
360
religiosi.
e
patrioti sloveni
anarchismo che aveva la pretesa di essere di sinistra e faceva il gioco della destra, si esprimeva neH’abitudine di biasimare l’op¬ presso invece che
Non è neppure
l’oppressore. vero
che conoscessimo poco le
meglio di molti giovani
conoscevamo
assai
in libertà
che, per colpa delle condizioni
ma
e
cose
d'Italia; le
anziani che
create
dal
«
stavano
regime
»,
nulla che andasse al di là della propria scuola, del proprio luogo di lavoro, al di là del rione di abitazione. In carcere e al confino eravamo a contatto con gli antifascisti di ogni età e di ceti diversi, provenienti da ogni parte d’Italia, dalle città e dai villaggi, dalle officine e dalle campagne. Era un movimento continuo di gente che arrivava e che partiva per « fine pena ». Vi erano i « liberandi » e i nuovi « aggiunti », i colloqui con le famiglie che al confino potevano anche trattenersi per pa¬ recchi giorni. Le pubblicazioni che uscivano in Italia le riceveva¬
conoscevano
poco
o
in gran parte anche noi, al confino
mo
poi (ma
in certi
periodi
anche nelle carceri) riuscivamo ad avere abbastanza regolarmente (in modo clandestino beninteso) anche i giornali e i libri antifa¬ scisti che si pubblicavano all’estero. Certo, i nostri contatti erano prevalentemente col monde ope¬ raio e contadino, scarsi quelli con gli ambienti della piccola e media borghesia. I giovani come Zangrandi degli studi e delle università, spe¬ 5 cialmente di certe città Roma era una di queste avevano molte difficoltà a trovare la loro strada e noi comunisti non riu¬ scimmo a dare ad essi un grande aiuto; ma non vi riuscimmo perché le difficoltà erano molte, limitate le nostre forze, non vi riuscimmo per la natura stessa del nostro partito, ma non perché fossimo accecati di settarismo. Anche oggi, con tutte le possibi¬ lità, le libertà di stampa, di propaganda di cui possiamo godere, l’influenza nostra si esercita prevalentemente tra la classe operaia: tra i contadini, tra i lavoratori. Vi sono dei limiti che sono posti
dal
La percentuale le è an¬ università frequentare lo era 30-40 anni or sono.
carattere, dalla natura di classe di
dei
figli degli operai
cora
bassa,
ma
ancora
più bassa
II settarismo esercitò la
lavoro,
ma
non
si
un
partito.
che possono sua
trattò di
influenza, fu
un
elemento decisivo
limite al
poiché,
nostro
durante
5
Roma ebbe 255 processati dal tribunale speciale; non è cifra elevata, neppure trascurabile se si tiene conto che il numero dei « denunciati » era in media di 5 volte superiore. Se vi si aggiungono i confinati e gli ammoniti, si constata che l’antifascismo era presente a Roma e svolse la ma
sua
attività in modo abbastanza continuativo.
361
tutti
gli anni della dittatura, è stata stante quella di riuscire a sviluppare
nostra preoccupazione co un’azione anche all’internc delle organizzazioni fasciste. Tale esigenza si fece più sentita man mano che la dittatura fascista, prolungandosi negli anni e diven¬ tando sempre più totalitaria, rendeva difficile per non dire im¬
possibile sviluppare
una
opposizione legale al di fuori delle
or¬
fasciste ». L’ostacolo ci fu esso stesso d’aiuto e di stimolo nel superare determinate nostre posizioni insufficienti, errate o settarie. Certe esperienze forse tardammo troppo ad acquisirle, a determinate conclusioni arrivammo con ritardo, ma questo non muta il dato essenziale: la lotta contro il fascismo doveva essere innanzi tutto lotta delle masse lavoratrici ed una lotta da condursi non per migliorare ed emendare, ma per abbattere quel regime. Sarebbe stato assai più grave se noi, per meglio e più rapida¬ mente adeguarci alla « realtà », avessimo accettato quella realtà ponendoci su delle posizioni opportuniste o capitolarle. Quando, nel novembre 1926, il fascismo soppresse tutte le libertà, sciolse i partiti politici e i sindacati di classe, il PCI e la FGCI furono le sole organizzazioni che risposero alle leggi ecce¬ zionali per la difesa dello Stato fascista affermando: « Noi co¬
ganizzazioni
«
munisti non rispetteremo queste tutto, la nostra lotta. »
leggi, continueremo,
nonostante
Altri invece pensarono che tale posizione era troppo avanzata, e, tacitamente o esplicitamente, « accet¬
impossibile da tenersi tarono quelle leggi e »
vare e
nella
nuova
«
pensarono che semmai si trattava di tro¬ » le possibilità per condurre una larvata
realtà
prudente opposizione.
senza dubbio magnifici esempi di resistenza e di da di lavoratori, di antifascisti di ogni corrente coraggio parte direzioni ma le degli altri partiti si sottomisero a decreti politica, fascisti o li subirono, non invitarono i loro aderenti a continuare l’attività e la lotta. Il partito popolare (oggi Democrazia Cristia¬
Vi furono
na), il partito liberale ed si inserirono via via nel vita
altri si sciolsero, i loro quadri in parte partito fascista, in parte si ritirarono a privata. Gruppi dirigenti dei partiti socialdemocratico,* re-
socialista portarono la loro sede all’estero soste¬ nendo che in Italia, almeno per il momento, non c’era nulla da fare se non attendere che la bufera passasse. Il PCI rimase sulla breccia e per parecchio tempo vi rimase
pubblicano
e
da solo. Passarono alcuni anni prima che altri movimenti antifa¬ scisti fossero in condizione e si persuadessero della necessità di riprendere la lotta organizzata in Italia. È questo un dato di fatto
362
oggi generalmente riconosciuto anche da storici comunisti
Lo
e
stesso
dai nostri avversari.6 governo fascista dovette
constatare
e
che
politici non
non
era
la
cosa sopprimere dei partiti parlamentari, delle organizza¬ socialdemocratiche, liberali o cattoliche e sopprimere il par¬ tito comunista. Questo non era un partito come tutti gli altri, era stato costruito in modo da poter lottare in qualsiasi situa¬ zione e alla prova dei fatti seppe dimostrare, dando l’esempio, stessa
zioni
che si poteva
si doveva
e
nale speciale, il
terrore,
amanti della libertà non
e
lottare, malgrado il confino, il tribu¬ che i partiti veramente antifascisti il dovere di invitare i cittadini
avevano
rispettare le leggi inique di
un
regime che
si
era
e a
impadronito
del potere con la violenza, calpestando lo statuto e le libertà democratiche. Anche allora ci fu chi giudicò « settarie » ed errate le nostre
posizioni accusandoci di mandare troppi militanti ed antifascisti in carcere. Rispondemmo che accuse del genere erano già state lanciate a suo tempo dagli agenti bonapartisti contro Marx, dalle spie austriache sta contro
e
borboniche
contro
Mazzini, dalla polizia zari¬
Lenin.7
6
« Chi in questi primi anni dall’inizio dell’esodo svolse un’azione clan¬ destina sistematica all’interno, collegata sistematicamente con i centri diret¬
tivi esteri fu il partito comunista. Mentre gli altri partiti si sciolsero effetti¬ con limitata efficienza all’estero, vamente, ricostituendosi poi ex novo il Partito Comunista Italiano mantenne un centro interno con le sue rami¬ ficazioni locali, in relazione con un centro estero, a Parigi, diretto da To¬ gliatti. Ciò spiega i continui arresti e processi di comunisti a gruppi sempre e comprendenti anche i dirigenti: tanto da suscitare l’impressione errata che in Italia di antifascisti non fossero rimasti che loro. In ogni caso però, rimane assodato quanto abbiamo detto prima: in quegli anni, in Italia, l’azione co¬ munista fu l’unica pianificata e di estensione nazionale. Ancora maggiore fu la preminenza del partito comunista nel periodo iniziale di cui parliamo e fu mantenuta anche nel periodo successivo per la rete di rapporti tra interno ed esterno. » In Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino. 7 In un solo comunicato del marzo 1928 la direzione del PCI dichiarò « una volta per tutte di assumere piena responsabilità della lotta politica che conduce in Italia contro il regime fascista e delle sue conseguenze, di
tutte le tuazione
sue e
conseguenze. Posto al bivio tra l’accettazione passiva della si¬
l’azione per modificarla, rovesciarla in favore del proletariato, il
partito ha scelto dal primo
momento questa seconda strada, non igno¬ delle condizioni che ciò imponeva, accettandole come l’inevi¬ tabile taglia della storia. Esso fa tutto quanto può perché la lotta si svolga col minor numero di perdite, prende perciò le misure organizzative neces¬
nostro
rando
nessuna
sarie. Molte volte, il regime dominante, che impiega mezzi enormi per spez¬ il nostro movimento, riesce a infierirgli gravi colpi. Non conosciamo altra soluzione di fronte a ciò che quella di sforzarci di provvedere per ri-
zare
363
ce
Quelle posizioni erano giuste e nessuna accusa di settarismo le farà rimpiangere. Certo si trattava di una lotta che costava
Soltanto nel primo anno di attività clandestina oltre 50 comitati federali arrestati al completo, 2.000 compagni catturati e deferiti al tribunale speciale, 885 i condannati negli anni 1927-’28 a dure pene, centinaia di compagni bastonati e tortu¬ rati nelle sedi della polizia e nelle caserme della milizia. Ma quest’attività anche se costava cara era necessaria, indi¬ spensabile. Perché affrontavamo sacrifici incredibili? « È forse per una semplice manifestazione alla fedeltà dell’idea? O per una morbosa tendenza verso l’estetica del sacrificio? È certo che gli elementi della fedeltà, dell’onestà, della passione e dell’impeto rivoluzionario nutrono l’attività dei nostri compagni. Senza di essi il lavoro rivoluzionario è impossibile, senza di essi non c’è cara.
rivoluzione. Ma noi restiamo in Italia, noi lavoriamo in Italia perché noi siamo il partito della classe operaia italiana e la classe operaia italiana non è in Francia, in Cina, in Australia, ma è in Italia. Noi restiamo in Italia, lavoriamo in Italia perché neghiamo
che l’abbattimento del fascismo possa verificarsi all’infuori del¬ l’intervento delle grandi masse lavoratrici e della direzione ope¬ 8 raia di questo intervento. »
Certo,
avremmo
linea del minore
meno « settari », sostenere la conservatorismo » politico e fisico, eventi, aspettare l’ora X, la liberazione
potuto
essere
rischio, del
«
restarcene in attesa degli dall’esterno o la caduta del fascismo fatalisticamente, come cade una mela matura. Tutto ciò avrebbe significato cadere in pieno
nel pantano dell’opportunismo, nella teoria dello sviluppo « spon¬ taneo » del movimento, liquidare il partito comunista. è vero Commettemmo degli errori, mutammo con ri¬ tardo metodi di lavoro e di organizzazione superati, in certi mo¬ caro. L'errore più grave, di carat¬ di non aver colto con la necessaria tempe¬ fu quello politico, stività gli elementi nuovi della situazione che andava man mano creandosi. Il passaggio del fascismo dal sistema di compromesso con altri gruppi politici al sistema completamente totalitario, la soppressione del parlamentarismo, dei partiti, della libertà di
menti pagammo forse troppo tere
cominciare, e ricominciare possibilmente meglio d* prima. Delle sue colpe in questo lavoro che accetta con tutto il suo passivo, il partito comunista
risponde e risponderà al proletariato italiano. Esso attende l’ora di quel giudizio, che è il giudizio della storia, con sicura coscienza. In Lo Stato operaio », a. lì, n. 3, marzo 1928. 8 Lo Stato operaio », n. 3, Paimiro Togliatti. Il nostro partito, in »
«
marzo
364
1928.
«
stampa, le leggi eccezionali, l’inquadramento, volenti o nolenti, dei lavoratori nelle organizzazioni fasciste mutavano i rapporti di forza tra le classi in contrasto, l’influenza dei diversi partiti tra le masse e le condizioni nelle quali si svolgeva la lotta politi¬
Queste modificazioni
ca.
si
sarebbero accentuate col passar del
tempo. La sottovalutazione dell’importanza dei mutamenti avvenuti nella situazione politica impedì che si modificassero tempestiva¬ mente non soltanto le norme di organizzazione e i metodi di la¬ voro ma, sotto molti aspetti, anche l’impostazione politica della nostra
attività.
L’errore fu di non aver portato rapidamente il centro di gra¬ vità di tutto il lavoro di massa nelle file stesse del nemico, di non aver portato nelle forme opportune la nostra azione politica in seno alle organizzazioni di massa create o controllate dal fa¬ scismo (sindacati fascisti, dopolavoro, mutue, associazioni spor¬
tive, culturali, cooperative) utilizzando largamente per lo svi¬ luppo della nostra azione ogni più piccola possibilità legale. va
Il partito doveva si rispondere reazionaria fascista, ma mentre
come
aveva
risposto all’offensi¬
si poneva alla testa delle
avan¬
combattive doveva proporsi con nuovi metodi di lavoro di non perdere, anzi di allargare il contatto con tutti quegli strati popolari che il fascismo si sforzava in mille modi di « conquistare » e influenzare. coscienti
guardie più
e
Col passare del tempo ci rendemmo conto che non potevamo limitarci soltanto a fare della propaganda comunista, a diffondere la stampa clandestina, a sviluppare nelle fabbriche e nella cam¬ pagna l’attività per organizzare gli scioperi e le manifestazioni in difesa dei salari e delle condizioni di vita dei lavoratori, a so¬ delle posizioni « avanzate » e a pretendere che larghe stenere masse fossero disposte a scendere apertamente in lotta contro il padronato e contro il fascismo, affrontando il tribunale speciale. Gli stessi colpi che la polizia fascista ci infliggeva, le dure per¬ dite che il partito subiva ci aiutarono nel farci vedere la necessità di utilizzare ogni possibilità legale per collegarci con quelle forze che volontariamente o per forza militavano nelle organizzazioni
fasciste. L’esserci non
inadeguato Zangrandi, ma di co¬ lotte passate vedono soltanto e prevalente¬
riusciti soltanto limitatamente
giustifica
e
in modo
per nulla il tentativo (non di
loro che nelle nostre mente degli errori) piuttosto sbrigativo di liquidare come rie » delle posizioni che fondamentalmente furono giuste
« setta¬ e
deci¬ 365
sive per
l’abbattimento del fascismo
e
lo
sviluppo
del
nostro
partito. Durante
i 16 anni della dittatura totalitaria fascista (1926-’43), i ritardi, i limiti e gli errori accennati, fu costante l’azione nostra per stabilirà dei contatti con i lavoratori e con i seppure
con
giovani che militavano nelle organizzazioni fasciste e molti nostri compagni affrontarono il tribunale speciale proprio per cercare di allacciare tali contatti. L’attenzione nostra è stata sempre rivolta prevalentemente ai sindacati fascisti perché delle organizzazioni di « massa » del re¬
quelle che presentavano il più grande interesse per l’organizzazione degli scioperi e delle lotte dei lavoratori. Il 20 febbraio 1927, in un convegno organizzato a Milano per iniziativa del PCI ed al quale partecipò un gruppo di ex dirigenti
gime
erano
e attivisti sindacali comunisti, socialisti, alcuni sindacalisti anar¬ chici e indipendenti, venne presa l’iniziativa di ricostruire clan¬ destinamente la CGIL che era stata, immediatamente dopo le leggi eccezionali fasciste, dichiarata sciolta dai dirigenti riformisti. Furono in seguito costituiti dei gruppi « sindacali » nelle fab¬ briche e, durante il 1927-’28, vennero persino distribuite delle tessere con la scritta CGIL. Anche qui occorre sottolineare che l’atto di ricostituzione della CGIL era giusto politicamente e così
pure l’azione per
organizzare nelle fabbriche gli operai sul trovare dei lavoratori disposti
sindacale.9* IlEra più facile
terreno a
fare
9 lì 23 luglio 1927, il tribunale speciale condannava 19 comunisti di Imola (alcuni mesi prima la polizia aveva denunciate 287 persone e arre¬ state 70) sostenendo la necessità di forti condanne « perché a causa dell’in¬ fluenza dei comunisti, nella zona non era possibile costituire i sindacati fascisti ». Il 27 marzo del 1928 il tribunale speciale condannava tre lavoratori accusati di « aver diffuso stampa sindacale antifascista ». Il 17 aprile 1928 il tribunale speciale condannava a 5 anni di carcere il bracciante Leonardo Nissi, « in casa del quale erano state rinvenute due tessere della CGIL e un elenco in cifra ». Il 20 aprile 1928 il tribunale speciale condannava tre operai della Isotta
Fraschini di Milano; il 23 aprile tre operai della Carlo Erba, il 25 aprile 3 operai della Breda, tutti accusati di aver « ricostituito la CGIL ».
Il 21 maggio 1928 il tribunale speciale condannava Domenico Viotto (che aveva partecipato al convegno di ricostituzione della CGIL) e altri compagni socialisti accusati di non « aver ottemperato ai decreti che ordi¬ lo scioglimento della federazione socialista e della Camera del navano Lavoro ». Il 10 settembre 1928 il tribunale speciale mandava assolti alcuni operai di diverse tendenze politiche, accusati dalla questura di Milano di aver « ricostituito la CGIL ». Numerosi altri processi del genere ebbero luogo negli anni 1928-’29. 366
parte di una organizzazione, sia pure clandestina, che si poneva l'obiettivo limitato di condurre la lotta economico-sindacale, che accettare di militare nel partito comunista. Più tardi ci accorgemmo di non poter rimanere soltanto
non
su
questa posizione che progressivamente ci isolava dalle masse. La parola d’ordine: « fuori dai sindacati fascisti, tutti nei sinda¬ cati di classe » era una parola d’ordine giusta sino a quando i la¬ voratori resistevano ad entrare nei sindacati fascisti, ma diventava e di valore soltanto propagandistico o quasi già nel 1927, dopo che la grande maggioranza, per non dire la totalità
insufficiente
dei lavoratori
era
stata
costretta
fasciste. La classe operaia dimostrava
a
fare parte delle organizzazioni
ancora
assai fortemente la
sua
opposizione al fascismo al punto che Mussolini lo riconobbe in modo aperto nel
noto
discorso dell’Ascensione.10 Diventava
tutta¬
più evidente che, pur continuando l’azione per costi¬ tuire nelle fabbriche dei gruppi sindacali clandestini aderenti alla CGIL, dovevamo indirizzare la nostra più grande attività in seno ai sindacati fascisti. Questo è ciò che si fece in ritardo. Ma già nel 1928, all’epoca del V Congresso dell’Internazionale Giovanile Comunista (riunitosi immediatamente dopo il VI Con¬ via sempre
gresso dell’IC) tenutosi a Mosca dal 20 agosto al 18 settembre 1928, la delegazione della Federazione Giovanile Comunista Ita¬ liana discusse vivacemente nel suo seno e nei confronti di altre di quella polacca in particolare delegazioni perché vole¬ si inserisse nelle tesi dell’Internazionale Giovanile la ne¬ va cessità nei paesi fascisti di sviluppare il lavoro sindacale in seno ai sindacati fascisti, la pratica ci aveva dimostrato l’impossibilità massa clan¬ destini. Incontrammo una seria opposizione, in parte forse giustificata dal fatto che in altri paesi, pur essendoci dei regimi di tipo fa¬ scista, erano rimaste maggiori possibilità per organizzare dei sin¬
di organizzare in regime totalitario dei sindacati di
collaborazionisti), quelli governativi.
dacati di classe (sia pure riformisti
indipendenza
certa 1010
e
con
una
bene. Non bisogna però farsi delle illusioni ecces¬ il cosiddetto proletariato urbano; è in gran parte ancora lontano e, se non più contrario come una volta, assente. E evidente che noi dovremo essere aiutati dalle leggi fatali della vita. La generazione degli irriducibili, di quelli che non hanno capito la guerra e non hanno capito il fascismo, ad un certo momento, si eliminerà per legge naturale. Verranno su i giovani, verranno su gli operai e i contadini che noi stiamo reclutando nei Balilla e negli Avanguardisti. » Dal discorso del¬ l’Ascensione pronunciato da Mussolini il 26 maggio 1927. sive
«
I sindacati
da
per
vanno
quello che
concerne
367
Ci battemmo decisamente
e riuscimmo a fare inserire nelle tesi, che in generale sostenevano « la necessità di condurre la lotta contro il riformismo e il fascismo nelle officine e nei sinda¬ cati organizzando integralmente la gioventù operaia nei sindacati operai », un punto particolare riguardante l’Italia così formato:
In Italia il fascismo ha soppresso tutte le organizzazioni pro¬ letarie di classe. Soltanto le organizzazioni fasciste sono autoriz¬ zate dalle leggi e riconosciute dal governo. Esse sono degli orga¬ ni di Stato per la collaborazione di classe e, cioè, degli strumenti «
di dominazione «
Nei paesi
capitalista sugli operai. come
autorizzati dalla un
l’Italia dove i sindacati fascisti
legge raggruppanti larghe grande compito. Noi dobbiamo cercare con
conquistare il diritto di
sono
masse, noi
e
i soli
abbiamo
tutti i mezzi di
dei sindacati di classe e tentare di costituirne clandestinamente; ma la nostra lotta contro i sinda¬ cati fascisti non deve essere condotta soltanto dall’esterno, noi dobbiamo anche utilizzare ogni possibilità legale per entrare nei sindacati fascisti e condurvi all’interno un lavoro attivo di disgre¬
gazione.
creare
11
»
Si trattava soltanto di un primo, timido passo, di una indi¬ cazione che riuscimmo a strappare con difficoltà poiché altri com¬
pagni dell’IGC erano contrari, timorosi che noi da quella posi¬ zione potessimo scivolare sulla strada dell’opportunismo. Avremmo dovuto avere più coraggio e dire chiaramente che gran parte della nostra attività di massa dovevamo svolgerla nelle organizzazioni fasciste e non per « disgregarle », ma per farvi scaturire nel loro interno e nelle forme possibili la lotta di classe. A queste conclusioni arrivammo in seguito, ma con ritardo, dopo lunghe discussioni e non senza esitazioni. I timori e le incertezze erano anche determinate dal fatto che un gruppo di ex dirigenti riformisti (R. Rigola, L. D’Arago¬ na, C. Azimonti, B. Maglione ed altri), dopo aver dichiarato sciolta la CGIL, avevano dato vita, col permesso di Mussolini, ad un movimento chiamato Associazione Nazionale Studi « Proble¬ mi del lavoro », raccolto attorno ad una rivista mensile dello stes¬ so nome che si pubblicava legalmente con l’autorizzazione del fascismo. Questi « riformisti » avevano completamente capito¬ lato, si ponevano sul terreno del sindacalismo fascista, accetta¬ vano i principi del corporativismo e della collaborazione di clas¬ se, soltanto si proponevano di svolgere all’interno una certa IIII Résolutions du V Congrès de VInternationale Communiste des Jeunes. Bureau d’Editions, Parigi, 1929, p. 46.
368
«
critica
costruttiva
nell’intento di
contribuire
alla
riu¬
buona
degli esperimenti che il regime fascista intende realizzare ».12 « lì regime fascista è una realtà, e la realtà va tenuta in con¬ siderazione. » Con questa proposizione i riformisti credevano di poter giustificare il loro, tradimento. Era l’antica, famosa tesi di Hegel: « Tutto ciò che è reale è razionale » che ritornava ad essere interpretata nel modo più antidialettico e maccheronico che si possa immaginare. Poiché la dittatura fascista era una cosa scita
reale,
non
c’era altro da fare
secondo certi filosofi
che
ac¬
cettarla ed inserirsi nel fascismo. Noi venimmo accusati di non vedere « il nuovo » che c’era nella situazione e di voler battere la testa contro il muro. non è per niente « un at¬ Ma la realtà secondo Hegel tributo che spetti in tutte le circostanze e in tutti i tempi ad un determinato stato di cose sociale e politico ». Tener conto della realtà (nel nostro caso il fascismo) non significava accettare que¬ sta
realtà,
né tanto
L’esistenza
meno
rinunciare alla lotta per cambiarla.
l’opera di
questo gruppo creavano una certa con¬ rendevano fusione più difficile, anche a molti compagni in Ita¬ della nostra tattica la quale non aveva nulla lia, la comprensione l’azione dei riformisti de « I problemi del lavoro ». a che fare con e
e
Noi comunisti ci proponevamo di operare nei sindacati fascisti
non
contribuire alla buona riuscita dell’esperimento fascista. Era ben chiaro per noi che si trattava di sindacati pa¬ dronali, di sindacati di Stato, creati apposta dal fascismo per fare gli interessi dei monopoli e del grande capitale.13 Scopo nostro per
«
migliorarli
» e
12
« lì regime è una realtà e la realtà va tenuta in considerazione. Questa realtà è scaturita anche da principi nostri, i quali si sono imposti. La politica sindacale del fascismo, per esempio, si identifica sotto certi riguardi, con la nostra. Noi non eravamo con lo Stato liberale per il suo intervento nel¬ l’attività economica. [...] « Parimenti noi saremmo in contraddizione con noi stessi se ci ponessimo contro lo Stato corporativo o la Carta del Lavoro che il regime fascista intende realizzare. Basta richiamare i nostri voti e i nostri progetti del pas¬ sato, per stabilire che siamo tenuti a contribuire con la nostra azione e la nostra critica alla buona riuscita di tali esperimenti. » Dalla mozione teo¬
rica e
programmatica che costituisce la
Nazionale Studi
carta
fondamentale dell’Associazione
Problemi del lavoro ». firmata da Azimonti Carlo, Calda Ludovico, Colombino Emilio, D’Aragona Ludovico, Maglione Battista, Reina Ettore, Rigola Rinaldo, in «I problemi del lavoro», a. I, n. 1, Milano.
25
«
marzo 1927. 13 « Certo è
che, da allora, tutte le opposizioni in Italia sono franate, disperse, sono finite: polvere. Un gruppo importante come quello dell’Azione Cattolica ha fatto atto di adesione al regime. Poi c’è stato il sono
movimento dei confederali. Parliamo anche di questo episodio. Si è esage¬ rata la portata di questo fatto. Quando fu pubblicata la circolare a firma 369
riuscire a utilizzarli per sviluppare, nelle forme possibili, la lotta di classe anche al loro interno. Per quanto le organizzazioni di massa del fascismo avessero una scarsa vita democratica, tutta¬ via esse offrivano certe possibilità di lavoro « legale ». Di tanto in tanto, venivano convocate delle riunioni, gli iscritti ai sindacati vi potevano prendere la parola, certe cariche erano elettive, in deter¬ era
minate situazioni per trattare con i
possibile nominare delle delegazioni operaie padroni, chiedere il rispetto dei contratti di la¬
era
voro, organizzare un’agitazione. Ma ciò che era chiaro per noi,
non sempre, all’inizio, lo era per tutti i compagni; nei primi anni incontrammo molte resi¬ stenze a lavorare nelle organizzazioni fasciste; posizioni settarie ed
opportuniste,
contro
le
quali dovemmo lottare, si manifestarono
nella pratica. Col pretesto che
non dovevamo « mettere piede in casa del ne¬ mico », i settari, gli opportunisti restavano inattivi, perché era assai più facile tenere alta la bandiera della fede standosene in
casa
propria che
non
frequentare
le riunioni dei sindacati
portune, di
parlare
ai
e
delle
modo, nelle forme lavoratori, dare ad essi un orientamento,
associazioni ricreative fasciste per
trovar
op¬ sta¬
bilire dei contatti. Per obiettività ed a spiegazione di certe posizioni, occorre dire che i compagni più anziani erano conosciuti non soltanto dalla polizia, ma dai compagni di lavoro come comunisti e la partecipa¬ zione attiva alle organizzazioni, sia pure soltanto sindacali e ricrea¬ tive del
fascismo, sarebbe
apparsa
come
una
capitolazione,
come
di adesione al regime; praticamente, poi, avrebbero potu¬ to fare ben poco perché se un antifascista noto avesse preso la parola in quelle assemblee, la sua sarebbe stata senz’altro giudica¬ ta come un’opposizione di principio, fatta da un nemico, e la con¬ seguenza inevitabile non poteva essere che l’arresto ed il confino. La posizione nostra era giusta nel suo complesso perché dove¬ vamo, tenendo conto della nuova situazione, restare a contatto con le grandi masse, avendo in vista le nuove generazioni e im¬ piegando metodi che esponessero il meno possibile i lavoratori. un
atto
Rigola, io pregai i giornali di non stamburarla, di accettarla come un rico¬ noscimento perché non vogliamo evidentemente impiccare tutti gli uomini al loro passato, perché ci sarebbero troppo uncini in giro. Doveva essere interpretata come un segno dei tempi, come un segno della forza adesiva del regime. E così è in realtà. Si può dubitare di qualcuno che sta attorno a Rigola; ma Rigola è un galantuomo per lo meno, ed è certamente un uomo d’ingegno e di cultura e la dichiarazione conteneva cose utili a sapersi anche dal punto di vista fascista. » Dal discorso citato di Mussolini. 370
Tutta
una
agitazioni, di scioperi
serie di
testimoniare
che la
tattica
indicata
era
di iniziative stanno a seguita e dava i suoi
e
frutti.14
Negli anni 1925-’26 la Federazione Giovanile Comunista, pur ponendosi già il problema di lavorare anche all’interno delle orga¬ nizzazioni giovanili fasciste per non perdere il collegamento con quelle masse », aveva dato la direttiva di resistere alla fasci¬ stizzazione della gioventù, non aderire al dopolavoro, creare delle associazioni giovanili indipendenti ». «
«
Tale direttiva non rimaneva soltanto sulla carta: in diverse lo¬ calità d’Italia eravamo riusciti a creare delle associazioni sportive e ricreative « indipendenti », tra cui alcune furono in seguito sco¬ perte dalla
polizia
Il fascismo
ed i loro aderenti mandati al tribunale speciale." definirsi « rivolta della gioventù verso il ma, per quanto avesse fatto, non era riuscito
amava
vecchio mondo » sino al 1926 a crearsi un’organizzazione giovanile adeguata ai grandi mezzi di cui disponeva. Le associazioni della gioventù cattolica erano quelle che maggiormente riuscivano a resistere « legalmente » e raggruppavano il maggior numero di giovani
operai, contadini
e
studenti. In molte località i fascisti per riusçi-
14
lì 28 aprile 1931 il tribunale speciale condannava un gruppo di 23 comunisti di Faenza e di Massalombarda accusati, tra l’altro, di « condurre
in base alle nuove direttive del partito un’azione di penetrazione nel PNF nei sindacati fascisti ». Nei giorni seguenti hanno luogo altri 4 processi di numerosi comunisti romagnoli, in gran parte giovani, condannati per le stesse imputazioni. Il 7 giugno 1932 il tribunale speciale condannava i compagni Paolo Scarpone di Torino, Giacomo Gray di Romagnano e Venceslao Usaj di Cormons, accusati « di aver lavorato in diverse località e specialmente nel Veneto applicando le nuove direttive del PCI per il lavoro in seno alle organizzazioni fasciste ». Numerosi altri compagni vengono condannati negli anni 1931-’32 per analoghe imputazioni. 15 lì 21 settembre 1928, il tribunale speciale condannava lì giovani di Cecina che avevano dato vita ad una società sportiva denominata Gli scar¬ poni di Cecina. Essa aveva sede nello stesso palazzo del gruppo fascista Benito Mussolini e della società sportiva fascista Cesare Battisti. Il tribu¬ nale speciale condannò questo gruppo di giovani antifascisti ed anarchici che « operava dietro la facciata del gruppo sportivo B. Mussolini ». Tra i condannati vi era anche un giovane carabiniere. L’8 ottobre dello stesso e
il tribunale speciale condannava alcuni giovani comunisti di Malnate (Varese), accusati di aver costituito la società sportiva El rat la quale na¬ scondeva fini antinazionali e svolgeva segretamente la propria attività. anno,
Il 5 novembre 1928, il tribunale speciale condannava alcuni giovani comunisti di Milano accusati di aver dato vita ad un circolo ricreativo chiamato Sabato grasso, allo scopo di coprire la loro opera, di organizza¬ zione della Federazione Giovanile Comunista.
371
re
a
scioglierle
e
a
disperderle
stessi metodi violenti usati nisti e socialisti.
furono costretti ad adoperare gli contro i circoli giovanili comu¬
prima
Ma, dalla fine del 1926 in poi, il fascismo si pose con forza il problema della « conquista della gioventù » scatenando una gran¬ de offensiva che
aveva
per obiettivo la eliminazione di
tutte le
organizzazioni giovanili, sportive, ricreative e culturali non fasci¬ ste. Il dilemma era o assoggettarsi o essere dissolte. Le leggi del¬
l’Opera Nazionale
Balilla
il
e
1927) miravano appunto
zo
pressione ed ogni mezzo,
una
a
propaganda
ordinamento del CONI (mar¬ tale scopo. Nello stesso tempo, una
nuovo
massicce
costringere le famiglie organizzazioni dei Balilla
per
bambini nelle
venivano esercitate,
con
a
mandare i giovani
e
degli avanguardisti.
e
i
Il
25 marzo 1927, il presidente dell’Opera Nazionale Balilla, l’on. Ricci, scriveva sul « Popolo d’Italia »: « I circoli cattolici, oggi, non offrono più motivo di preoccupazione, perché in essi non
credo possano comunque annidarsi ancora rimasugli del popolari¬ smo. Del resto ove ciò si verificasse in qualche caso, non manche¬ remmo di colpire quei circoli, naturalmente non per la loro atti¬ vità
religiosa,
Nella
ma
per
quella politica.
»
creare dovevamo constatare che le nostre direttive del 1926 erano superate o quanto meno insufficienti. Già nel 1929 scrivevamo: « lì pericolo della fascistiz¬ zazione esiste realmente per la mancanza di qualsiasi libertà di associazione e di stampa che impedisce ai giovani di leggere altre pubblicazioni che non siano quelle fasciste, per l’insegnamento che viene ad essi impartito nelle scuole, per l’intensa campagna ideo¬ logica che il fascismo conduce. Per tutti questi motivi dobbiamo contrastare passo passo l’azione che il fascismo va svolgendo, cer¬ cando di essere presenti ovunque si trova la gioventù operaia e
nuova
situazione venutasi
a
contadina, cercando di fare scoppiare la lotta di classe all’interno di queste organizzazioni. Più tardi, nel 1930, insistevamo in modo più concreto, preci¬ sando: « Prima delle leggi eccezionali, quando esistevano ancora 16
»
delle possibilità di costituire legalmente delle associazioni giova¬ nili a carattere sportivo, culturale ed in certa misura anche eco¬
nomiche, era giusto fuori dei dopolavori. La
nostra
nizzazioni
ci
attenessimo
organizzatevi
essere quella di strappare alle orga¬ controllate dai fascisti i giovani operai per
attività doveva
giovanili
16 P. R. (Pietro Secchia), in della FGCI, n. 1, maggio 1929.
372
alla direttiva:
»
«Gioventù comunista»,
rassegna
mensile
in società proletarie, benché anche allora già ci po¬ il nessimo compito di non abbandonare a se stessi i giovani che restavano nelle organizzazioni fasciste. « Ma oggi, nella situazio¬ ne creatasi dopo le leggi eccezionali, dal momento che soltanto le associazioni giovanili aderenti ai dopolavori e al CONI han¬ no il diritto di esistere, dobbiamo trovare nuove forme di lavoro di massa ed operare in misura assai maggiore di ieri all’interno lx delle organizzazioni fasciste. » Poi venne la « svolta » del 1930. Lo spazio ci impedisce di
organizzarli
spiegare,
se
non
con
un
rapido
accenno, in che
cosa
consistette.
internazionale, grande crisi economica mondiale, accentuarsi del pericolo fascista in Euro¬ Mutamenti nella situazione italiana
del pericolo di guerra nel mondo, acutizzarsi della lot¬
e
pa
e
di classe e delle lotte di massa, necessità per il partito di dare impulso e mettersi alla testa di queste lotte. Da un anno e più, in seguito ai duri colpi subiti per le migliaia di com¬ ta
arrestati
pagni
perso i
negli collegamenti
ridurre la zera,
piti di
la di
sua
Belgio
nuovi
creare
nostra massa
e
anni con
1927-’28, il
partito
molte province,
era
comunista stato
aveva
costretto
attività prevalentemente all’estero, in Francia, in altri centri dell’emigrazione italiana. Tra i
a
Sviz¬ com¬
fondamentali che stavano davanti al partito era quello nuovamente il « centro interno », di riportare l’asse del¬ e
azione in Italia, di dare impulso e organizzare le lotte il fascismo. Sarebbe un errore vedere la « svol¬
contro
soltanto nei suoi aspetti organizzativi: essa significava la scel¬ ta di una linea politica che, come sempre, si sostanziava di pen¬ siero e di azione. Nel porre i compiti nuovi che la « svolta » politica e organiz¬ ta »
zativa comportava, ci si scontrò allora in un serio ostacolo rappre¬ sentato dall’insorgere di una opposizione in seno alla direzione
del partito, che spezzava quasi in due parti
eguali l’organismo
stesso. a più di trent’anni di distanza, se riesaminiamo (conclusasi con l’espulsione dal partito dei »),1S le nostre posizioni politiche, seppure riconosciamo che avrebbero bisogno di diverse precisazioni, non possiamo che considerarle fon¬ damentalmente giuste.
Ancora oggi,
questa lotta
In
quell’occasione
«
la FGCI
non
si limitò
a
sostenere
tre
decisa-
17 1817 Botte (Pietro Secchia), La lotta della gioventù proletaria contro il fa¬ scismo, Edizioni della FGCI, Bureau d’Editions, Parigi, agosto 1930, p. 65. 18 Pietro Tresso (Blasco), Lino Ravazzoli (Santini), Alfonso Leonetti (Fe¬ roci) rientrato recentemente nel PCI; a pochi mesi di distanza segui poi la
espulsione anche di Secondino Tranquilli (Ignazio Silone).
373
la necessità della « svolta » e ad appoggiare la politica del partito, ma nel fissare i suoi compiti particolari precisava che: « Realizzare la svolta, per i giovani comunisti, significa lavora¬ re all’interno delle organizzazioni govanili ove si trovano i gio¬ mente
vani
proletari,
per
influenzarli, strapparli dalle
mico, indirizzare quelle energie fuorviate attiva «
e
mani del loro
ne¬
la lotta di classe
aperta.
Realizzare la svolta
significa
non
rompere il cerchio chiuso del nostro mente
verso
avere
paura delle masse,
isolamento, finirla risoluta-
col settarismo, andare decisamente ovunque vi
sono
dei
giovani. non abbiamo la cellula giovanile, in altre le cellule si limitano ad una propaganda rivolta ad un cer¬ chio assai ristretto di persone. Il nostro lavoro nell’esercito si è enormemente affievolito. Senza i comitati di lotta, senza i nostri «
In molte officine
nostre
nuclei di senza remo
avanguardia ovunque larghe masse
trascinare le
si
trovi
la
gioventù lavoratrice,
della gioventù, noi
non
abbatte¬
il fascismo.
si esprime nelle tendenze a non voler espli¬ l’attività all’interno delle società sportive, dei dopolavoro, dei circoli cattolici e in genere nelle organizzazioni avversarie, sotto la giustificazione che noi non abbiamo nulla a che fare con le organizzazioni dei nostri nemici. Con una fraseologia di sinistra, questi compagni coprono il loro opportunismo col risultato di non andare alle masse, di non andare ovunque si trova la gioventù proletaria, di capitolare davanti alle difficoltà ed alla lotta. [...] « Bisogna finirla con coloro che credono si possano dirigere le masse e prepararle all’insurrezione con degli appelli infiammati, «
L’opportunismo
care
dall’alto, a tavolino, a cui non ci si crede, inventando delle di grande politica, sen¬ parole d’ordine, parlando continuamente 19 scritti
realizzare nulla nella pratica. » All’inizio del 1931, si acutizzava e veniva apertamente alla luce un conflitto tra la Chiesa cattolica ed il fascismo. Il papa, mal¬ grado avesse approvato ed esaltato in blocco il regime corporati¬ vo e nonostante l’Azione Cattolica avesse invitato sin dal feb¬ braio 1927 gli operai cattolici ad aderire ai sindacati fascisti,20 za
19
Botte (Pietro Secchia), Una svolta storica nel movimento giovanile in « Lo Stato operaio », n. 2, febbraio 1930. 20 « La deliberazione dell’Azione Cattolica assegna agli operai cattolici loro posto nelle organizzazioni sindacali fasciste riconosciute dal regime
comunista,
il fascista. Tutte le organizzazioni sportive che raccolgono centinaia di migliaia di giovani atleti, sono in questi giorni passate sotto l’insegna del littorio. »
Sintesi della relazione politica interna fatta da Mussolini nel Consiglio dei ministri, l’8 marzo 1927.
374
di difendere e organizzazioni. Sin dal
autonomia sciolti i stati 1928, ma erano rimaste in vita le organiz¬ giovani esploratori cattolici; zazioni dell’Azione Cattolica e in esse si erano rifugiate forti ali¬ quote di lavoratori, di operai, di contadini, di antifascisti. Il CC del PCI prendeva posizione ricordando a tutti i comunisti che il loro dovere era quello di « avvicinarsi agli operai e ai con¬ tuttavia alle sue
cercava
tadini che
sono
essi, di aiutarli
una
conservare
marzo
certa
erano
nelle organizzazioni cattoliche, di fraternizzare con a trovare ed a percorrere il cammino della lotta
e ai giovani comunisti che essi hanno l’obbligo di penetrare anche nelle organizzazioni più reazionarie ».21 Intanto la polemica tra la stampa e gli organi del regime e quel¬ li dell’Azione Cattolica si accentuava. Il 31 maggio, il papa proi¬ biva le processioni fuori delle chiese in tutta Italia. Il ministero dell’Interno ordinava lo scioglimento immediato di tutte le asso¬ ciazioni giovanili che non facevano capo al PNF.22 Il conflitto culminava il 29 giugno con la pubblicazione della enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale venivano apertamente denunciate le violenze compiute dal fascismo ai danni delle asso¬ ciazioni giovanili cattoliche. Il documento di Pio XI diceva tra l’altro: « lì clero, l’episcopato e questa medesima Santa Sede
di classe. Il CC ricorda ai comunisti
hanno mai disconosciuto quanto in tutti questi anni è stato fatto con beneficio e vantaggio della religione, ne hanno anzi spes¬ se volte espressa viva e sincera riconoscenza. Ma poi, l’episcopato, il clero e tutti i buoni fedeli, anzi tutti i cittadini si sono messi in non
pena e in preoccupazione di attentati contro le più sane e
fronte ai troppo presto incominciati preziose libertà della religione e del¬ le coscienze quali furono gli attentati contro l’Azione Cattolica, le sue diverse associazioni, massime giovanili, attentati che culmi¬ navano
nelle
Più oltre il
poliziesche misure contro Si pontefice affermava:
i documenti in tutte le sedi tinua (anche questo si fa) a
spondenza che possa sospettarsi colpite. Dopo aver dichiarato che
ciazioni
di loro
consumate. »
sequestrati in massa dell’Azione Cattolica Italiana, si con¬ intercettare e sequestrare ogni corri¬ «
in
sono
qualche
rapporto
con
le
asso¬
»
«
una
concezione dello Stato che
gli
21
Direttiva del PCI pubblicata su « Lo Stato operaio », n. 5, maggio 1931. lì 2 giugno la Stefani diramava il seguente comunicato: « Dai rapporti telegrafici mandati dai prefetti al ministero dell’Interno risulta che l’ordine di scioglimento immediato di tutte le associazioni giovanili che non face¬ vano direttamente capo al PNF e all’Opera Nazionale Balilla è stato eseguito senza il minimo incidente. » 22
375
fa appartenere le giovani generazioni interamente
zione, dalla prima età fino all’età adulta,
e
senza
ecce¬
è conciliabile per un cattolico con la dottrina cattolica », prendeva posizione circa il giuramento richiesto dal regime fascista dando ai cattolici una precisa direttiva che di per sé suonava esplicita condanna del regi¬ « A me. questo punto voi ci richiedete, venerabili fratelli, che non
pensare ed a giudicare, alla luce di quanto precede, cir¬ formula di giuramento che anche ai fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che, l’abbiamo veduto
rimane
ca
a
una
vissuto, possono comandare contro ogni verità e giustizia la manomissione dei diritti della Chiesa e delle anime, già di per se stessi sacri e inviolabili, e di servire con tutte le forze, fino al sangue, la causa di una rivoluzione che strappa alla Chiesa ed a Cristo la gioventù e che educa le sue giovani forze all’odio, alla
e
violenza, all’irriverenza, non esclusa la persona stessa del papa, gli ultimi fatti hanno più compiutamente dimostrato. [...]
come
Conoscendo le difficoltà
molteplici giuramento sono per
dell’ora presente
e sapen¬ moltissimi condizione per la carriera, per il pane, per la vita, abbiamo cercato un mezzo che «
do
come
tessera e
ridoni tranquillità alle coscienze, riducendo al minimo possibile le difficoltà esteriori. « Ci sembra potrebbe essere tale mezzo per i già tesserati fare essi davanti a Dio e alla propria coscienza la riserva: “salvele leg¬ gi di Dio e della Chiesa” oppure “salvi i doveri di buoni cristia¬ ni”col fermo proposito di dichiarare anche esternamente una tale 23
riserva, quando ne venisse il bisogno. » Le parole del papa ebbero una grande ripercussione nel paese ed all’estero; il 9 luglio il segretario del PNF annunciava pubbli¬ camente
che,
«
presi gli ordini da Sua Eccellenza il Capo del
Duce del fascismo, era revocata la compatibilità tra la iscrizione al PNF e la iscrizione alle organizzazioni dipendenti dal¬ l’Azione Cattolica ». Il 14 luglio, sotto la presidenza del « duce », si riuniva a Palazzo Venezia il direttorio del PNF, che emanò un comunicato pubblico riportato da tutta la stampa nel quale si protestava « contro l’affermazione di una recente enciclica papale, secondo la
governo
e
il giuramento delle camicie nere è prestato per il pane, la o la vita. « lì Direttorio del PNF respinge con indignazione e con pre¬ cisa conoscenza dei fatti le affermazioni contenute nel recente ve¬ ro e proprio appello allo straniero del Vaticano ».
quale
carriera
23
376
«Civiltà cattolica», 18 luglio 1931.
Il comunicato del « direttorio » concludeva invitando « tutti i fascisti a lavorare perché VOpera Nazionale Balilla raccolga ben
presto
sotto
razioni
».
i
gagliardetti
del Littorio totalmente le
nuove
gene¬
Con un così largo dilagare di una pubblica e violenta polemica che denunciava da parte della più alta autorità della Chiesa come moltissimi italiani fossero costretti per la carriera, per il pane, per la vita ad aderire al fascismo, è sorprendente come Ruggiero Zangrandi possa affermare che a quell’epoca giovani studiosi come lui credessero che l’opposizione al fascismo, in Italia, non esistesse più e fosse ridotta alle centinaia di antifascisti imprigionati. È vero che due mesi dopo Chiesa e fascismo si riconciliarono e veniva
pubblicamente
annunciato l’accordo
concluso,
in base al
quale l’Azione Cattolica veniva dichiarata essenzialmente dioce¬ sana e posta alle dipendenze dei vescovi i quali avrebbero scelto i dirigenti ecclesiastici e laici. « Non potranno essere scelti a dirigenti coloro che appartenne¬ ro a partiti avversi al regime. » L’Azione Cattolica si impegnava a non occuparsi di politica e ad « astenersi da tutto quanto è pro¬ prio e tradizionale dei partiti politici ». Adottata come bandiera quella nazionale, i circoli giovanili facenti capo all’Azione Catto¬ lica potevano avere tessere e distintivi strettamente corrispon¬ denti alla loro finalità religiosa, ma dovevano astenersi dallo svol¬ gimento di qualsiasi attività di tipo atletico e sportivo.
In seguito all’accordo intervenuto, il PNF revocava l’incompa¬ tibilità tra iscrizione al PNF e iscrizione all’Azione Cattolica. Ma ciò che pubblicamente era stato denunciato non poteva più
cancellato. Tutto il mondo sapeva per bocca del papa che moltissimi italiani erano fascisti per forza, che il fascismo edu¬ cava la gioventù all’odio e alla violenza e, infine, che la conce¬ zione fascista dello Stato non si conciliava con la dottrina catto¬ lica. Molti giovani cattolici erano stati arrestati ed anche diversi
•essere
sacerdoti, specialmente nel Veneto e in Lombardia. Alla fine del 1932, in varie province venivano diffusi manife¬ stini antifascisti stampati da cattolici dissidenti denominati « guel¬ fi » ed aventi per simbolo Cristo Re. Nei volantini si affermava che « il fascismo è nemico della Chiesa, della pace e della liber¬ tà ». I dirigenti dell’organizzazione risultarono essere degli espo¬ nenti dell’Azione Cattolica milanese che vennero arrestati
dannati alcuni anni
dopo
dal tribunale
e
con¬
speciale.24
24 lì processo al tribunale speciale ebbe luogo il 30 gennaio 1934 e i condannati furono Pietro Malvestiti, Gioacchino Malavasi, Armando Ro-
377
L’esperienza degli anni precedenti suggeriva un’impostazione della lotta sempre più concreta, i problemi venivano visti meglio e le indicazioni elaborate corrispondevano sempre più alla situa¬ zione e al grado di coscienza raggiunto dai lavoratori. Nel 1932, il regime andava estendendo il sistema di creare dei fiduciari fascisti di fabbrica, si trattava di un’arma raffinata di cui intendeva ser¬ virsi per allargare la sua influenza e l’opera corruttrice verso gli operai. Il partito diede immediatamente la direttiva di non tra¬ scurare una questione di tale importanza e di « non trattare gli operai che hanno la carica di fiduciari dei sindacati come dei cani rognosi ».25 Le direttive elaborate dall’XI Congresso della FGCI (novem¬ bre 1931) dicevano esplicitamente: «È ridicolo parlare di un lavoro giovanile di massa nella situazione attuale, se l’asse di questo lavoro non passa attraverso le organizzazioni giovanili av¬ versarie, prime fra tutte le organizzazioni fasciste della gioven¬ tù. »26 Ancora più precise le indicazioni scaturite da ampi dibatti¬ ti avvenuti nel corso del 1933 in riunioni della FGCI e della In¬ ternazionale Giovanile. Esse si possono riassumere in tre punti
essenziali: 1) è sbagliato parlare come si è fatto spesso di una gioventù disorganizzata in Italia; essa al contrario è organizzata nelle or¬ ganizzazioni fasciste e cattoliche; 2) si deve andare a cercare questa gioventù nelle organizza¬ si trova; è errato dire che bisogna penetrare nelle organizzazioni fa¬ 3) sciste allo scopo di « disgregarle ». Sinora noi abbiamo parlato di disgregazione e non abbiamo disgregato niente. « Si tratta di an¬
zioni
ove essa
dare alle
masse
giovanili con uno spirito nuovo, là politica che stia non nelle nuvole,
ove si trovano,
ma aderisca al¬ 27 » di lavoratori. di milioni l’orientamento giovani L’insistenza era continua sulla necessità di farla finita col « ti¬ more settario del collegamento con la gioventù dei Fasci giova¬ nili e col timore ancora più grande e maggiormente settario del
elaborando una
gioventù comunista dal fascismo ».28 Tale insistenza dava reclutamento della
tra
i
giovani irreggimentati
i suoi frutti:
dolfi, Oliviero Ortodossi ed Ettore Bassani; i primi due
reclusione, gli altri
a
nel 1935 il
cinque anni di
due anni. 25 Ercoli (P. Togliatti), Ancora del lavoro sindacale in condizione di illcgalità, in « Lo Stato operaio », gennaio-febbraio 1932. 26 Lenti (Ezio Zanelli), Aspetti del lavoro di massa tra la gioventù lavo¬ ratrice, in « Lo Stato operaio », gennaio-febbraio 1932. 27 F. Furini (Giuseppe Dozza), in « Lo Stato operaio », n. 8, agosto 1933. 28 Marcucci (Davide Maggioni), in « Lo Stato operaio », agosto 1934. 378
a
fascismo
era costretto
a
rafforzare la
sua
campagna contro il
co¬
slancio la sua fatica e, per muniSmo; il tribunale riprendeva la prima volta, le alte gerarchie fasciste erano costrette ad in¬ viare direttive per avvertire che era sbagliato nella ricerca del co¬ munista fare la discriminazione tra chi era iscritto al PNF e alle organizzazioni fasciste e chi non lo era. « Questa discriminazione con
è sbagliata perché probabilmente tra
i comunisti
sono
di noi in questa
spesso nelle nostre file, sono stessa sala, in questa assem¬
blea. »29 I lavoratori che prendevano la parola nelle assemblee sinda¬ cali fasciste per esigere il rispetto dei contratti di lavoro veni¬
guardati con sospetto e messi sotto vigilanza.30 Dopo il VII Congresso dell’Internazionale Comunista non soltanto viene accentuata l’azione all’interno delle organizzazioni giovanili fasciste e cattoliche, ma mutano anche le parole d’or¬ dine. Si usa un linguaggio più comprensibile ai giovani che ave¬ vano allora 15-20 anni, che erano cresciuti sotto il regime fa¬ vano
scista ed
eran stati da questo educati. Nonostante le organizzazioni giovanili create dal fascismo fos¬ sero in gran parte obbligatorie, ognuno si rendeva conto come una propaganda ed una organizzazione così massicce come quelle
che afferravano i ragazzi sin dai primi anni di scuola, li accompagnavano nei fasci giovanili, nei dopolavoro, dalla culla alla caserma, non potessero non lasciare notevole influenza. È vero che, entrando poi nell’officina o nelle folte schiere dei disoccupati, il giovane si scontrava ad ogni passo con le con¬ traddizioni tra la propaganda fascista ed i fatti. La realtà della vita smentiva la demagogia fascista più che non potessero tutti i nostri giornali clandestini messi assieme. Il fascismo aveva un bel dire che il suo era il regime della giovinezza, ed i giovani la parte migliore della nazione; queste parole non potevano sfamare il giovane disoccupato, né soddisfare i bisogni ed i
fasciste,
29 P. Gazzotti, segretario federale fascista di Torino, in un discorso tenuto il 3 gennaio 1935 ad una assemblea dei fasci della città. 30 Dal 10 al 20 ottobre il tribunale speciale in 5 diversi processi condan¬
76 comunisti della provincia di Udine (in grande maggioranza giovani). metteva in rilievo « la pericolosità del vasto movimento che, grazie a circostanze locali favorevoli, era riuscito a penetrare nelle orga¬ nizzazioni fasciste, corrompendo giovani inesperti ». II 24 gennaio 1936 il tribunale speciale condannava un gruppo di gio¬ vani comunisti bolognesi, tra i quali Enrico Bonazzi e Mario Fabiani di Firenze. « Riuscendo a penetrare », dice la sentenza, « nei sindacati, nei dopolavoro, nelle associazioni sportive e culturali fasciste, ottengono ade¬ sioni tra i giovani inesperti. » nava
La
sentenza
379
desideri di divertimento dei giovani operai e contadini costretti ad accettare dei salari di fame. Tuttavia, malgrado il contrasto tra le parole ed i fatti, la propaganda fascista lasciava le sue orme, qualche cosa rimaneva nell’animo dei giovani; che cosa? « Rimane il senso che il fascismo abbia la forza di distruggere tutti i suoi avversari politici, che sia un regime senza nemici attivi,
decisi, che, malgrado il malcontento,
esso
possa
mante¬
troppo pericolo al potere. Questo è forse l'elemento essenziale dell’influenza del fascismo sulla gioventù. « La storia della nostra federazione giovanile durante questi nersi
senza
anni di dittatura totalitaria del fascismo, è una storia ricca di eroismo. Migliaia e migliaia di giovani lavoratori hanno affron¬ tato il tribunale speciale, sono passati attraverso alla terribile esperienza di anni e anni di galera, sacrificando nei reclusori il periodo più bello della loro vita. Bisogna aver visto questa
gioventù alla terribile prova delle istruttorie condotte dalla magistratura fascista, alla prova della segregazione cellulare, della fame cronica, delle pressioni per ottenere l’atto di sottomissione, per capire di che tempra siano le energie della gioventù italiana. Sarebbe
dimenticare o diminuire il valore di eroismo che la FGCI ha scritto nella propria storia. Ma sarebbe un errore politico se pensassimo che, per abbattere il fascismo, bastano gli eroi. Per abbattere il fascismo ci vogliono le masse, ci vuole la gioventù che è oggi nei fasci giovanili, nei dopolavoro, nei corsi premilitari, ci vuole31 questa gioventù ancora in parte sotto l’influenza del fascismo. » lì 17 agosto 1934 era stato concluso tra comunisti e socia¬ listi un patto d’unità d’azione che sottolineava la necessità di «
un
delitto
queste pagine di
il fascismo e la guerra. Sulla base di tale patto i due partiti collaborarono attivamente nella lotta contro l’impresa abissina. Organizzarono il congresso contro la guerra, che si tenne a Bruxelles il 12-13 ottobre 1933 (le operazioni militari contro l’Abissinia erano cominciate il 2 ot¬ intensificare la lotta
contro
tobre) al quale parteciparono i gruppi antifascisti emigrati ed anche delegati provenienti dall’Italia, tra i quali Antonio Pesenti in Milano.32
rappresentanza
dei
gruppi
comunisti
e
socialisti
di
A. Vigna (Celeste Negarville), Sote sulla gioventù e sui nuovi compiti della federazione giovanile, in « Lo Stato operaio », agosto 1935. lì 31 gennaio 1936 vengono condannati 6 comunisti di Civitacastellana, tra i quali il compagno Enrico Minio a 22 anni di reclusione, per aver stampato un numero de « l’Unità » c dei volantini contro la guerra d’Abis380
Due grandi avvenimenti hanno larga ripercussione in Italia nel 1936: la vittoria del Fronte Popolare in Francia e la lotta in difesa della Repubblica spagnola. La stessa stampa fascista è costretta a parlarne: nell’epoca della radio le montagne non
più delle barriere e nulla può la milizia confinaria. Migliaia di lavoratori, emigrati stagionali, ogni anno torna¬ vano dalla Francia, dalla Svizzera, dal Belgio, da altri paesi e sono
lo stimolo portavano non soltanto notizie, ma spesso il consiglio, clandestina. la talvolta ideale, stampa Nel luglio 1936, all’Assemblea del Consiglio nazionale della Confederazione dei Sindacati Fascisti, Tullio Cianetti, che ne il presidente, nel discorso di apertura attacca a fondo le era vittorie del Fronte Popolare Francese e fa votare una mozione nella
quale
vengono
vilipese
le libertà democratiche camicie
immemori che la rivoluzione delle fine di tutte le imposture che attribuivano al
agli
«
e
nere
popolo
si ricorda
segnò la l’illusorio
di sovrano ». Attivisti del PCI organizzarono
aggettivo
darietà col
popolo spagnolo
antifascisti che
e
manifestazioni unitarie di soli¬ l’espatrio di compagni e giovani
volontari in Spagna per arruolarsi nelle Brigate Internazionali. Molti di essi sono appena ritornati accorrono
dalle carceri fasciste.33 Il patto d’unità d’azione tra PCI
sinia che dovevano servire fabbriche contro la guerra
a
e
PSI
trova
preparare una dimostrazione di
la
sua
piazza
prima e
nelle
il richiamo di alcune classi. Il 6 febbraio 1936 il tribunale speciale condannava il professor Antonio Pesenti a 24 anni di reclusione per aver partecipato al Congresso di Bruxelles ed avervi tenuto un violento discorso contro la guerra. e
Il 14 febbraio 8 comunisti di Modena vengono condannati dal tribunale per aver diffuso dei manifesti contro la guerra d’Abissinia. Il 28 febbraio condannava Vittorio Foà e Michele Giua a 15 anni di carcere; Cavallera Vindice, Massimo Mila, Augusto Monti, Giuseppe Aimo da 5 a 8 anni di carcere per appartenenza al movimento Giustizia e Libertà
speciale
contro la guerra d’aggressione all’Abissinia. Il 17 aprile 1936 il tribunale speciale condanna 15 giovani di Padova per aver diffuso manifestini contro la guerra d’Abissinia e il servizio pre¬
e
propaganda
militare. Il 1° dicembre 1936, otto comunisti di Milano vengono condan¬ nati dal tribunale speciale per aver diffuso l’appello lanciato dal PCI al popolo italiano Salviamo il paese dalla catastrofe. u I volontari italiani nella guerra in difesa della Repubblica spagnola
furono complessivamente 3.354, di cui 1.819 comunisti, 310 socialisti, stizia e Libertà e repubblicani, 1.096 senza partito. Su 3.108 volontari
Giu¬ com¬
battenti, 600 furono i caduti (356 comunisti)
e 2.000 i feriti (861 comunisti). 1.819 volontari comunisti, 417 erano già stati arrestati una o più volte per motivi politici, 75 di essi erano già stati condannati dal tribunale speciale, 162 provenivano dalle file dei cattolici militanti, 40 dagli anar-
Dei
381
e parzialmente realizzata la collaborazione gruppi democratici di Giustizia e Libertà. Si estendono i legami con i nuclei di studenti e di intellettuali, con gli antifascisti cattolici e le opposizioni che venivano sor¬ gendo all’interno delle organizzazioni fasciste. È il periodo in cui nei principali centri universitari, a Roma, e
grande applicazione: con
viene
curata
i
Pisa, Firenze, Perugia, Milano, Torino, Genova, Bologna, si manifestano in forme nuove e originali delle correnti progres¬ sive che aspirano alla libertà. La guerra d’Etiopia, per il modo quale era stata condotta dal fascismo, per l’eroismo dimostrato dagli abissini, per gli scandali, le speculazioni, le ruberie dei gerarchi venuti alla superficie, aveva di colpo aperto gli occhi a molti giovani. Il mito del fascismo crollava come un castello di carta. Subentrava in molti giovani, che avevano preso sul serio l’anticapitalismo demagogico del fascismo, una bru¬ ciante delusione. Tuttavia non pochi di essi pensavano ancora che la soluzione potesse trovarsi nel quadro stesso del regime. Si trattava di concezioni utopistiche, ma esprimevano una cri¬ tica al capitalismo e l’aspirazione alla libertà. « Non vi è dubbio », diceva R. Grieco, « che noi dobbiamo appoggiare queste tendenze pur criticandole in sede teorica, appoggiarle e collegarci ad esse perché contribuiscono a rom¬ barbaro col
pere il
ghiaccio
reazionario.
Dobbiamo appoggiare anche tutti gli altri tentativi culturali che vengono compiuti nel campo fascista, anche i più timidi «
chici, 49 dai repubblicani, 41 dalle file fasciste
e 333 dall’antifascismo militante nell’Unione Popolare Italiana e nella Lega dei Diritti dell'Uomo. Il 16 dicembre .1936 tre intellettuali di Roma, tra cui un ispettore fa¬
scista allo scalo di Ostia, rivelato che alcuni aerei
nel luglio
per la
sono con
a
processati dal tribunale speciale per aver bordo noti gerarchi fascisti erano partiti
Spagna.
Il 20 marzo 1937 un gruppo di Giustizia e Libertà torinese viene con¬ dannato dal tribunale speciale per aver svolto attività di reclutamento di vclontaii per la Spagna. Il 13 ottobre 1937 un gruppo di intellettuali socialisti e comunisti mila¬ nesi, tra i quali Rodolfo Morandi, Lucio Luzzato, Mario Venanzi, Franco Antolini, Giorgio Todeschini, vengono condannati dal tribunale speciale per aver organizzato manifestazioni a favore della Spagna repubblicana e diffuso stampa antifascista. Il 14 ottobre 1937 il tribunale speciale condanna 16 comunisti di Bo¬
logna,
tra
i
quali Luigi Gaiani,
a
18 anni di carcere
«
per avere svolto in¬
favore della Spagna repubblicana ». Il 15 e il 18 novembre 1937 il tribunale speciale condanna due gruppi di 47 comunisti di Roma e di Genzano per propaganda comunista ed a favore della Spagna. Pochi giorni dopo, il 26 novembre, venivano condannati dal tribunale tensa attività
382
a
che rappresentano un inizio della rivolta del pensiero e della creazione artistica contro il conformismo gretto e militaresco. « Che i nostri intellettuali escano dal guscio ove pare siano chiusi, penetrino in tutte le società culturali, nelle riviste e nei
e
si
giornali,
sul
cimentino
terreno
delle
idee, prendano delle
che l’ora richiede, si avvi¬ cinino ai giovani, valorizzino quanto di nuovo i giovani hanno iniziative culturali
con
l’intelligenza
da dire. [...] « Noi pensiamo che questi dere e
un
con
contatto
essa
formista,
lavorare
aumentare
uomini di cultura debbano pren¬
migliore dell’intellettualità
la parte
con e
i
mettere
fascista
in stato d’accusa la cultura
con¬
focolai della lotta per la libertà nel campo
34
della cultura. » Alla fine del 1936, il foglio d’ordine del PNF diramava una serie di disposizioni che ponevano la lotta contro l’ideologia comunista e democratica al centro dei programmi degli istituti di cultura fascisti. Evidentemente si trattava di misure a cui il fascismo ricorreva contro il sorgere in seno alla gioventù intellettuale fascista di forze nuove che aspiravano alla libertà, alla de¬ mocrazia. Il partito reagiva contro la visione pessimistica che era prò pria di altre correnti antifasciste, portate a vedere che nel campo della cultura l’Italia era soltanto un cimitero ove dominava lo squadrismo anticulturale, l’ignoranza, la mancanza di ogni pen¬ siero vivo. « No », continuava R. Grieco nel suo intervento già citato, « vi è in Italia, accanto ai difensori anziani della nazione, una gioventù che pensa, cerca, rielabora e anche tra quella che è indifferente e scettica non è difficile scoprire che la causa del suo scetticismo e della sua indifferenza è nell’isolamento in cui la gioventù si trova, nell’assenza di coscienza civica e nella vigliaccheria dei maestri, delle guide. » lì PCI non soltanto non era assente, ma sapeva cogliere di questi nuovi movimenti, dai nomi più diversi, ciò che di posi¬ tivo, seppure in modo ancora confuso e contraddittorio, espri¬ mevano,
legarsi
e
con
tutti i suoi sforzi
erano
orientati nel lavoro per col¬
essi, nel dare loro maggior impulso ed
un
giusto
orientamento antifascista.35 speciale 8 comunisti di Firenze per
« avere svolto una intensa propaganda favore della Spagna repubblicana ». 34 R. Grieco, A voi uomini di cultura (intervento al CC del PCI), in « Lo Stato operaio », ottobre 1936. 35 lì 1° luglio il tribunale speciale condanna 7 giovani comunisti facenti parte di un’organizzazione scoperta nell’ottobre 1937 a Firenze, accusata
a
383
Di
anno
in anno, dal 1926 al 1943,
come
tanti anelli di
una
le lotte della «generazione» (in senso molto lato) di Porto Azzurro, si collegano nelle loro diverse fasi con Fazione delle più giovani generazioni, gli sforzi si moltiplicano con Fincalzare della situazione italiana e internazionale. Si marcia rapi¬ damente verso la guerra, verso il disastro a cui il fascismo por¬ terà l’Italia. Strappare la gioventù alla nefasta influenza del fascismo significa lottare per la pace e per la salvezza del
catena
paese. Nella misura in cui la guerra si vere
a
contatto
con
le
più categorico. Ma, nello grave
linea.
leve
nuove
avvicina, l’imperativo di vi¬ per
poterle guidare
si
fa
tempo, ci si accorge di una debolezza del nostro lavoro derivante da un errore di (Di quest’errore Ruggero Zangrandi sembra non essersi
accorto neppure
oggi: dal
stesso
suo
sopravvalutazione del peso, le opposizioni
e
Lungo viaggio balza evidente una trascurabile, che hanno avuto
non
le fronde in
seno
al fascismo nella lotta per
rovesciare il
regime.) Quest’errore consiste nell’aver
« accentuato eccessivamente la funzione che avrebbe dovuto avere la gioventù intellettuale in un movimento delle giovani generazioni, sottovalutando, per con¬ seguenza, i problemi della gioventù operaia. Da quest’errore
è derivata un’attività della federazione giovanile che ha sepa¬ rato, in certa misura, le naturali preoccupazioni culturali della gioventù dai problemi del paese e del lavoro. « Ciò non significa che non dobbiamo prestare la massima attenzione alle aspirazioni ideali, che devono anzi venire susci¬ tate sempre più tra le nuove generazioni. Ma queste aspirazioni dobbiamo orientarle attorno ai problemi che si pone la gioventù
« attività legale » in seno ai sindacati fascisti di propagandisti nelle fabbriche belliche. Il 22 novembre 1938 il tribunale speciale condanna 13 giovani comu¬ nisti di Bologna, tra i quali Giorgio Scarabelli a 18 anni e Giovanni Bottonelli a 16 anni di carcere, accusati di « sfruttare le possibilità legali per
di svolgere essenzialmente con
tutta
svolgere
una
rete
frequentando i corsi di cultura sindacale di¬ una politica contraria ai propri postulati filosofia all’università gli studenti con vivace spi¬
attività antifascista:
mostrano che il fascismo conduce
del 1919, nelle lezioni di rito polemico esternano idee estremiste ben lontane da quelle fasciste; si scrivono articoli critici sugli stessi giornali fascisti ». Il 26 novembre un altro gruppo di 29 comunisti bolognesi, tra i quali Monterumici Bruno, Walter Nerozzi, Giuseppe Armaroli, Benfenati ed altri, « Numerosi imputati », dice la sentenza. vengono duramente condannati:
minacciati ricoprono importanti cariche nei sindacati fascisti seriamente da queste infiltrazioni. «
»
384
lavoratrice e per la soluzione dei 36 terreno della lotta di classe. »
quali
essa
cerca
l’azione sul
E da quel momento si può dire che un ulteriore serio sforzo viene compiuto dal PCI per riorganizzare il centro interno in Italia e rafforzare tutto il lavoro specialmente nei centri indu¬ striali, ove il fascismo, per forgiare i suoi mezzi di guerra, nelle fabbriche grandi masse di lavoratori. aveva concentrato Alla fine del luglio 1941, Umberto Massola riusciva a rientrare in Italia ed a stabilirsi a Milano lavorando intensamente per consolidare e sviluppare l’attività delle organizzazioni di Milano, Torino, Genova e di altre località. Il 24 ottobre, usciva a Milano il primo numero del « Grido di Spartaco ». Veniva pure pub¬ blicato periodicamente « lì Quaderno del lavoratore ». L’azione nelle fabbriche riprendeva e si sviluppava specialmente dalla primavera 1942 in poi. Dal giugno si riprendeva la pubblica¬ zione clandestina de « l’Unità ». Nell’ottobre, cominciò a fun¬ zionare a Torino un Comitato di Fronte Nazionale composto dai rappresentanti del Partito d’Azione, dei partiti comunista, so¬ cialista e democratico-cristiano. Analoghi comitati venivano co¬ stituiti in dicembre a Milano ed a Roma. Nell’ottobre-novembre altri compagni, tra i quali Ciocchiatti e Leris, riuscivano a entrare in Italia e l’azione del centro interno poteva estendersi. Dall’agosto al dicembre, le organizzazioni di Torino e di Mi¬ lano riuscivano ad organizzare dieci scioperi: alla Tedeschi e alla Mirafiori di Torino; all’Alfa Romeo, all’Ilva, alla Caproni, allTsotta Fraschini e per tre volte alla Falck di Milano; alla
Scari di Modena. Notevole risonanza ebbe la sospensione del lavoro nel reparto aviazione della Fiat Mirafiori. Nei primi due mesi del 1943, con intenso lavoro di organiz¬ l’Unità larga diffusione de altri lì organizzati grandi scioperi: alle Fiat Mirafiori, alla Fiat Lingotto e alla zazione
e
«
»
clandestina,
venivano
Ferriere, alla Spa, alla Diatto di Torino; alla Caproni e alla Falck di Milano, alla Vay Assauto di Asti, alla Saffa in Toscana, ed in una fabbrica tessile del Biellese. L’organizzazione del partito si era frattanto ricostituita e raf¬ forzata in quasi tutti i centri industriali del Piemonte, della Lombardia, della Liguria nonché a Udine e a Trieste, in quasi
l’Emilia,
tutta
collegamento Ponza 36
e
a
Firenze, Pisa, Empoli,
permanente
Ventotene
e
con
a
Roma ed a Bari. Un con i confinati di
stabilito alcune carceri.
era
stato
A. Vigna (Celeste Negarville), La nuova generazione nella lotta e la libertà, in « Lo Stato operaio », n. 1, 15 gennaio 1939.
la pace
per
385
La lotta contro la guerra
prendeva slancio speciale.37
e
molti compagni
affrontavano i rigori del tribunale
centro interno del PCI si era rafforzato con il rien¬ Italia di Amendola, Negarville, Novella, Roasio e del compagno Roveda evaso da Ventotene. Malgrado il precipitare della situazione e nonostante i comitati unitari che già si erano costituiti in diverse località, « sarebbe sbagliato credere che i quadri antifascisti borghesi che vivevano in Italia fossero già maturi, nel 1940, per subito comprendere e far propria la formula del Fronte Nazionale. Chi scrive ricorda bene i primi contatti avuti, nel febbraio 1943, con alcuni di questi quadri nei quali era viva una nuova specie di diffidenza verso i comu¬ nisti: la diffidenza verso il nostro coraggio politico che ci fa¬ ceva, ad esempio, accantonare la pregiudiziale repubblicana, nel¬ la quale vedevamo una possibile limitazione del Fronte Na¬ zionale. Interminabili, su questo punto, le discussioni con Ugo
Intanto il
tro
in
La Malfa, esponente di primo piano del Partito d’Azione, diffi¬ cile l’accordo con gli stessi socialisti, confuse le intenzioni dei DC con i quali era a contatto il compagno Grilli che vedeva Giovanni Gronchi a Milano ».38 Ma i grandi scioperi del 16-18 marzo di Torino e di Milano, estesisi rapidamente in tutto il Piemonte e in tutta la Lom¬ bardia, diedero un colpo decisivo alle vecchie e nuove pregiu¬ diziali anticomuniste. Il partito comunista balzava in primo piano
37 lì 2 marzo 1940 il tribunale speciale colpisce con due condanne 25 compagni delle province di Genova, La Spezia, Reggio Emilia, Massa, im¬ putati di attività contro la guerra. Alcuni sono imputati di essere « dei funzionari del partito rientrati dalla Francia per svolgere tale attività ». Tra questi Giacomo Pellegrini, Bernetic Maria, Giovanni Serbandini. Il 12 novembre 1941, 4 compagni di Forlì vengono condannati dal tri¬ bunale speciale per aver distribuito dei volantini invitanti i soldati « a tra¬
sformare la guerra in rivoluzione popolare antifascista ». Il 21 dicembre 1940 il tribunale speciale condanna 41 compagni di Torino per aver stampato e diffuso il giornale « lì Contrattacco ». Il 24 gennaio 1941 il tribunale speciale condanna 10 antifascisti di Albano (Roma) « per aver tenuto discorsi contro il fascismo e contro la guerra ».
L’8 aprile 1941 il tribunale speciale condanna 19 comunisti biellesi che costituito un’organizzazione antifascista denominata Gruppo operai movimento italiano rivoluzionario comunista. Tra i condannati è Francesco Moranino (Gemisto) che, dice la sentenza, « conferenziere ufficiale della GIL approfittava della sua posizione per svolgere propaganda comunista ». Il 26 giugno 1941 il tribunale speciale condanna 20 comunisti di Torino per avere svolto attività comunista soprattutto alla Fiat. 38 C. Negarville, L'origine del Comitato di Liberazione Nazionale, in qua¬ derno di « Rinascita »: Trentanni dì vita e dì lotte del PCI, p. 162. avevano
386
della classe operaia. Ognuno senti dove stava la forza del Fronte Nazionale. « Dopo i grandi scioperi del Nord, i comunisti vennero ricercati da ambienti che prima si mantenevano ben discosti dal nostro partito. » Lo sviluppo degli avvenimenti dal 25 luglio all’8 settembre sono noti. Äll’8 settembre 1943, ancora una volta, ci si trovò di fronte ad un repentino mutamento della situazione. Con l'invasione tedesca, la bufera del terrorismo si scatenava nel paese. Il PCI fu decisamente per l’organizzazione della lotta partigiana e sostenne che occorreva agire subito. Non fummo i soli. Altri movimenti, specialmente il Partito d’Azione, sin dai primi giorni furono per la Resistenza. Ma non fu semplice, specie all’inizio, persuadere gli antifascisti sulla necessità della lotta armata contro i fascisti e contro i tedeschi. Anche allora ci fu chi giudicò le nostre posizioni pazzesche, troppo avan¬ alla
testa
principale
più saggio attendere l’arrivo degli angloamericani, rendere meno dura possibile l’occupazione tedesca ». Era la tesi non soltanto dei « collaborazionisti », ma anche degli « attesisti » in buona fede, di quelli che non stavano affatto
zate
e
riteneva fosse «
dalla parte dei tedeschi
impossibile,
tamente
e
dei fascisti,
pazzesco
o
ma
che ritenevano assolu¬ condurre contro di
sbagliato
loro la lotta armata. So bene che Ruggero Zangrandi non sostiene nulla di simile, ma coloro che nelle nostre lotte passate vedono soltanto o pre¬ valentemente
bilmente
lità era
a
legali una
»,
degli errori, del settarismo, sono portati inevita¬ quelle conclusioni. L’utilizzazione delle « possibi¬ l’azione all’interno delle organizzazioni
tattica
giusta
e
positiva soltanto
se
vista in
avversarie
collegamento
l’azione e le parole d’ordine più avanzate del PCI, il quale doveva cercare si di non staccarsi dalle masse, di rimanere col¬ legato anche con la parte più lontana, restando però sempre alla testa del movimento. Un partito comunista, per assolvere alla sua funzione di avanguardia, non può mai essere alla coda delle masse, né porsi al livello della parte meno cosciente ed
con
avanzata.
Zangrandi di cui
commette
nessuno
nega
un
il
errore
quando
valore
che
ritiene
che
andavano
l’azione
svolgendo
gruppi dissidenti all’interno delle organizzazioni fasciste fosse la stessa che veniva raccomandata da Grieco, Negarville e dagli altri dirigenti della FGCI e del PCI. L’azione che il
certi
PCI conduceva all’interno delle organizzazioni fasciste non era che una parte della sua lotta e, in ogni caso, era diretta consa¬ pevolmente a degli obiettivi ben precisi. Sviluppando il lavoro 387
nelle organizzazioni fasciste, il PCI si proponeva di con
ad
collegarsi larghe masse, di aiutarle ad orientarsi educandole e, dando esse consapevolezza, di portarle ad acquistare più chiara
coscienza ed
a
Il fatto che sano apparire,
lottare
su posizioni più avanzate e giuste. posizioni e parole d'ordine del partito pos¬
certe
in
determinate
popolari come troppo significa ancora che siano
non
Anche dopo 1*8 settembre
partigiana, alla lotta la
situazioni, avanzate
masse
o
ad
una
parte
delle
difficili da realizzarsi
errate.
non
ci limitammo soltanto alla lotta
noi
armata;
comunisti
cercammo
di svi¬
politica anche in altre direzioni: di organizzare, ad esempio, i grandi scioperi nei centri indu¬ striali, le manifestazioni dei contadini nelle campagne, perché larghe masse di lavoratori era più facile metterle in movimento, farle partecipare agli scioperi non alla lotta armata. Gli scio¬ peri li organizzavamo partendo da rivendicazioni economiche
luppare
nostra
iniziativa
elementari: l’aumento del salario, delle razioni di viveri, la richiesta di mense aziendali, di razioni supplementari, di pane, di carbone per il riscaldamento, ecc., per collegarle poi ad obiettivi politici più avanzati e portare tutto il movimento sul terreno della lotta aperta contro i tedeschi e i fascisti. Ma guai se nella nostra stampa ci fossimo limitati a chiedere l’aumento del salario o il riconoscimento delle commissioni in¬
che, peraltro,
terne
stissimi
a
i fascisti ed i tedeschi sarebbero stati
riconoscere
purché svolgessero
Nelle fabbriche tendevamo con
un’azione incessante
a
creare
«
che tendesse
dispo¬
opera di collaborazione.
un’atmosfera di guerra », a isterilire la collabora¬
tedeschi, volevamo organizzare il sabotaggio e portare un numero sempre più grande di lavo¬ ratori a partecipare alla lotta a fondo contro i tedeschi ed i
zione
degli
industriali
con
i
fascisti. Non solo con quegli operai che erano disposti a lottare sol¬ tanto per delle rivendicazioni economiche stabilimmo i contatti, ma anche con gli « attesisti », con gli incerti, i dubbiosi e cer¬ cammo sempre di sviluppare un lavoro per influenzare anche chi stava dall’altra parte della barricata (un esercito in guerra ha bisogno, d’altronde, di avere informatori e collaboratori tra le file del nemico ) : ma il lavoro più importante era la lotta ar¬ mata dei partigiani e la lotta aperta degli operai e delle classi lavoratrici con gli scioperi nelle fabbriche e le manifestazioni nelle campagne. La migliore dimostrazione che non eravamo affatto fuori della realtà e che i giovani ci comprendevano la avemmo proprio dopo 388
1*8 settembre. Se i
quadri dirigenti
della Resistenza
erano
dati
provenivano dalle carceri, dal confino, dall’esilio, reduci dalla guerra di Spagna e dalle espe¬
dagli
uomini dell’antifascismo che
rienze partigiane in terra di Francia, la massa dei partigiani in grande maggioranza era costituita da giovani educati in re¬ gime fascista, reduci dalle guerre disastrose del fascismo e dai giovani operai, contadini e studenti che, per la prima volta, partecipavano ad una grande lotta. Ed è significativo il fatto che dopo vent’anni di dittatura, di scuole fasciste, di littoriali e di premilitari, dopo vent’anni di mancanza di libertà di parola e di organizzazione quei giovani che non ci conoscevano, molti dei quali non avevano mai sentito parlare di noi e, quando ne
avevano
è
sentito
parlare,
ne
avevano
spesso
sentito
parlare
briganti, di delinquenti che stavano in galera, ebbene, significativo il fatto che, malgrado tutto, questi giovani si
come
di
siano in gran numero trovati dalla nostra invasori e i traditori del paese. Fu sufficiente che i giovani trovassero un
orientamento
sappiamo
con
parte
gli
contro
po’ di aiuto e di perché scegliessero la strada giusta; e noi tutti quale audacia ed eroismo i giovani combatterono
e nei gruppi gappisti delle città. E ci intendemmo perfettamente come se ci fossimo sempre conosciuti. Ci trovammo fianco a fianco con uomini che, ancora
nelle formazioni partigiane
qualche
anno
prima,
avevano
combattuto
dall’opposta
trincea
e
ci intendemmo
Questa
perfettamente. anche la migliore
dimostrazione che noi non ci as¬ di buttare sulle spalle dei giovani la responsabilità del fascismo, noi non disprezzam¬ mo mai il sacrificio e le sofferenze dei soldati e degli ufficiali che erano stati trascinati dal fascismo in guerre disastrose e che avevano creduto di combattere nell'interesse del paese. sociammo
è
mai
a
coloro che
cercarono
389
1963
DOVE VA LA GRECIA? L’ASSASSINIO DI GRIGORIOS LAMBRAKIS
1
D. Abbiamo chiesto al compagno sen. Pietro Secchia, vice-presi¬ dente del Senato, di ritorno da Atene dov’è stato in questi giorni in rappresentanza della Resistenza italiana e dei gruppi parlamentari comunisti, per partecipare ai funerali del deputa¬ to democratico greco Grigorios Lambrakis selvaggiamente as¬ sassinato dai terroristi
popolazione
fascisti, qual
è lo stato d'animo della
greca.
grandiose dimostrazioni dei giorni scorsi e, in particolare, quella possente di Atene durante i funerali ai quali hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, giovani, uomini e donne al grido di: «democrazia, democrazia», hanno rivelato non soltanto la profonda commozione e indignazione provo¬
R. Le
dal barbaro assassinio, ma anche resistenza nel paese, le violenze e le persecuzioni fasciste, di un poten¬ ziale rivoluzionario, quale forse gli stessi circoli dirigenti non
cata
malgrado
si immaginavano. D. Vorremmo sapere da te, che hai partecipato alle riunioni dei parlamentari dell'ED A e dei dirigenti del movimento della
pace,
quali prospettive
esistono
attualmente per permettere
un'alternativa democratica? R. Non è facile rendersi conto in due
di sti
un
paese anche
se a
giorni della situazione gravi avvenimenti di que¬
o tre
noi vicino. I
e la pronta, sdegnata risposta che essi hanno susci¬ nelle masse popolari sono senza dubbio elementi nuovi, tali da dare una spinta al movimento democratico e da aprire una situazione nuova. Sviluppi anche rapidi sono senza dub¬ bio possibili, la situazione nel momento attuale è tuttora flui¬ da ed in movimento, ma è certo che il governo reazionario di Karamanlis metterà tutto in opera per impedire uno sbocco positivo in senso democratico.
giorni
tato
1
Intervista
a
«
Nuova generazione », 3 giugno 1963. 391
Il governo Karamanlis è
stato costretto dall’ondata di sde¬ gno che ha percorso il paese a dissociarsi dagli assassini e a disporre il loro arresto e la loro incriminazione. Ciò non si¬ gnifica che il governo sia orientato a capitolare. Al contrario, le forze politiche che appoggiano i terroristi fascisti cercano di creare una situazione torbida nel paese allo scopo di giusti¬ ficare un colpo di Stato e instaurare una dittatura militare. D. A Roma ed in tutta Italia i giovani antifascisti hanno manife¬
stato il loro
brakis ne
R.
come
politica
e
per il brutale assassinio gridando: « LamMatteotti ». Tenendo conto della diversa situazio¬ delle diverse situazioni storiche, come si può in¬
sdegno
terpretare questa espressione nella realtà greca? Anche in Grecia si è immediatamente associato il nome di Lam-
brakis con quello di Giacomo Matteotti. Ritengo che il corag¬ gio dimostrato dai due eroi e il metodo feroce col quale è av¬ venuto a freddo l’assassinio premeditato di Grigorios Lambrakis non potevano non richiamare immediatamente alla mente Giacomo Matteotti, ma quanto alla situazione politica inter¬ nazionale ed interna della Grecia mi sembra assai diversa da
quella di allora in Italia. D. Quali sono, secondo te, gli elementi di diversità delTodierna situazione greca da quella italiana di allora? R. L’assassinio di Giacomo Matteotti avvenne in un periodo di crisi del regime fascista e fu anzi un elemento che contribuì ad aggravare ulteriomente tale crisi. Mussolini per salvarsi fu costretto ad arrestare non soltanto gli autori materiali dell’as¬ sassinio, ma anche alcuni dei suoi diretti collaboratori, dei suoi complici ed alti organizzatori dell’« impresa » criminale. I partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubbli¬ partito popolare (oggi Democrazia Cristiana), pure per¬ seguitati e limitati nella loro attività, avevano ancora un’ampia organizzazione nel paese ed una forte rappresentanza in Par¬
cano, il
lamento. Esistevano i sindacati di classe. Si delineò immediatamente, seppure tra contrasti, una posi¬ zione unitaria di tutte le opposizioni antifasciste, anche se le forze dirigenti dell’Aventino si opposero alla proclamazione dello sciopero generale proposto dai comunisti. Masse di emigrati politici tornarono immediatamente in Italia dalla Francia, dal Belgio, dalla Svizzera, senza incontra¬ re impedimento alla frontiera. I capi del fascismo riuscirono a superare la crisi, non senza alcuni clamorosi cedimenti nella loro compagine, grazie all’attesismo, all’incapacità delle oppo¬ sizioni aventiniane (allora noi comunisti eravamo una piccola 392
minoranza), alla loro fiducia nella monarchia, alla loro decisione di voler restare sul piano della legalità, di non volere fare inter¬ venire nella lotta le
scismo sarebbe
masse
lavoratrici, nell’illusione che il fa¬
legalmente ed eliminato dalla monarchia con una iniziativa analoga a quella che verrà presa soltanto quasi vent’anni dopo, il 25 aprile 1943. stato
processato
stessa
In
Grecia, oggi, il movimento democratico dell’EDA
costi¬
l’opposizione di sinistra più avanzata, ma è ancora in un certo senso isolato. L’Unione del Centro diretta da Papandreu, sotto l’impeto della protesta popolare, ha espresso apertamente la sua soli¬ darietà con Lambrakis ed i suoi amici del movimento della pace dell’EDA, ha accusato direttamente il governo indican¬ dolo come responsabile del delitto, obiettivamente si sono tuisce
creati elementi per il realizzarsi dell’unità tra la sinistra gre¬ ca, l’Unione del Centro ed altri raggruppamenti antifascisti, ma quest’unità potenziale non si è ancora tradotta in realtà politica. I pregiudizi anticomunisti sono ancora forti e le for¬ cercano di fare il loro gioco accusando di comu¬ di niSmo paracomunismo ogni opposizione di sinistra ed ogni movimento conseguentemente antifascista. Gli stessi dirigenti dell’Unione di Centro, che sono più a destra della loro base, sono per il momento contrari alla rea¬ lizzazione dell’unità d’azione con le forze della sinistra, con¬ dizione necessaria e indispensabile allo sviluppo in senso de¬ mocratico della situazione. D. Quali sono, secondo te, i compiti che stanno davanti ai giova¬ ni, ai lavoratori tutti ed alle forze democratiche della Grecia ze
reazionarie o
e degli altri paesi d’Europa? R. In questo momento le forze democratiche in Grecia si batto¬ no per ottenere la severa punizione degli autori degli attentati terroristi, lo scioglimento di tutte le organizzazioni fasciste, nuove elezioni e la restaurazione delle libertà democratiche e
dei diritti dei cittadini. Noi dobbiamo guardare soprattutto
a quelli che sono i nostri Non soltanto i giova¬ di solidarietà. compiti ma tutte le democratiche forze italiane dovrebbero svilup¬ ni, le iniziative unitarie nello stesso spirito che più ampie pare
doveri ed i nostri
la Resistenza per appoggiare nel modo più concreto ed attivo la lotta del popolo greco per la democrazia, per la liber¬ tà e per la pace e per porre fine ad un regime di oppressione che è un insulto alla civiltà ed alla democrazia di cui le forze dell’atlantismo menano tanto vanto.
uni
393
1^64
LA FIAT NELLA RESISTENZA
1
A
Torino gli operai difendono
non
solo
stessi, le loro persone, la vita delle loro donne e dei loro figli, ma difendono anche se
posizione nazionale. Abbiamo fiducia nella
una
è
nostra
forza
che
immensa, ricordiamoci della storia pas¬
sata di Torino operaia, storia ricca di ar¬ dore intrepido, di spirito di sacrificio, di disciplina magnifica, di costanza e di fede. La classe operaia è invincibile: essa incarna nella storia moderna lo spirito di libertà e di autonomia che è la sostanza stessa del progresso. Gli uomini possono passare, stritolati dalla bufera, rimane la classe intera, per le cui fortune, per il cui avvenire i sin¬ goli uomini devono sapersi sacrificare e devono anche saper morire. Antonio Gramsci, « Ordine Nuovo », n. 117,
28 aprile 1921 La classe
operaia
nessuno
ha dato
ormai lo contesta
contributo decisivo sia sul piano militare, sia sul piano della lotta di massa. Alta percentuale degli operai
alla
Resistenza
un
nelle formazioni partigiane, maggioranza decisiva negli scioperi nelle agitazioni dei centri industriali. Ma e qui i giudizi divergono non si trattò soltanto di un contributo quantitativo di uomini, di sangue, di sacrifici, ma di un apporto decisivo di idee e di orientamenti. Non fu certo casualmente, ma il risultato di un processo storico e delle lotte sociali sviluppatesi nel corso di decenni nel nostro paese, se la classe operaia si trovò ad essere alla testa
e
1
Saggio pubblicato
su
«Rivista storica del socialismo»,
n.
21, gennaio-
aprile 1964. 395
dei lavoratori e delle forze popolari nella lotta contro il fascismo di Liberazione nazionale. Tutte le classi sociali hanno partecipato alla Resistenza, ma non tutte nella stessa misura e nella stessa posizione. Come in ogni grande movimento, così anche nella Resistenza vi furono forze che si trovarono all’avanguardia e con funzione dirigente, altre che cooperarono in misura notevole, ed altre ancora che si e
trovarono a rimorchio, più o meno trascinate e che spesso fecero anche da remora. Diverso il contributo di pensiero e di azione, diversa la fun¬ zione assolta dalle differenti classi sociali e dai partiti che ne esprimevano le posizioni. Se queste distinzioni non hanno im¬ portanza in sede di celebrazioni (tutti i combattenti e specialmente i caduti sono egualmente grandi nel sacrificio) si rendono invece necessarie e sarebbe grave errore non farle sul piano storico. Tanto più che assistiamo in tutta l’impostazione del ventennale ad un processo sempre più accentuato di deformazione di quella che fu la Resistenza. Dal momento che certi gruppi politici hanno riconosciuto impossibile ( per anni avevano tentato di farlo) ignorare e far dimenticare un fenomeno così grandioso quale fu la Resistenza, cercano oggi di impossessarsene defor¬
mandola, velandone ogni classi sociali in categorie stesso
Ciò
carattere astratte
di
classe, poter
per
trasformando le
mettere
può fare politicamente comodo,
tutti sullo
rispon¬ piano. de certo alla verità storica. Non si possono mettere sullo stesso piano classi e gruppi sociali che alla Resistenza hanno dato la dei combattenti
grande maggioranza altri gruppi sociali camente
di
vista
e
significativa, dell’apporto
ebbe un peso di forze attive
dei
e
partiti politici la
ma non
quadri dirigenti e politi¬
cui presenza, pur assai
e
dal
modesto
punto
combattenti.
l’hanno fatta soltanto i comunisti, ma la classe operaia ed i comunisti vi hanno dato il più grande contributo di uomini, di idee, di san¬ gue e di iniziative, di quadri dirigenti e di combattenti; la classe
La Resistenza
non
operaia ed i partiti ad sitori di
ogni forma di
appartiene
essa
più
a
nessun
partito
e
vicini sono stati i più e di compromesso.
non
decisi
oppo¬
attesismo
È giusto cogliere e sottolineare nella Resistenza l’elemento uni¬ tario che mosse i patrioti, i combattenti della libertà e che portò a lottare ed a morire, fianco a fianco, uomini di idee politiche e di fedi diverse, dai comunisti ai cattolici, dai socialisti ai liberali, in certe zone assieme a monarchici, a repubblicani, ad anarchici; ma si deforma la Resistenza quando si cerca di nascondere che ad essa le forze principali furono date dalla classe operaia e dai lavo¬ 396
ratori, dalle avanguardie intellettuali di sinistra
e
dai loro
partiti,
precipuo dai
comunisti e dagli azionisti.2 tra questi Il carattere di un movimento non è dato soltanto dalla somma dei diversi ceti e gruppi sociali che vi parteciparono, ma soprat¬ tutto dalle forze che lo mossero, lo diressero e, imprimendogli im¬ pulso e slancio, lo portarono avanti superando le difficoltà, gli at¬ in modo
triti ed i contrasti. L’iniziativa della lotta attiva
di Liberazione dalla tirannia
e
contro il fascismo e della guerra dallo straniero venne presa in pri¬
luogo dalla classe operaia. È attorno alla classe operaia ed ai lavoratori che si realizzò la mobilitazione delle forze popolari. Fu la classe operaia, furono i lavoratori che dettero coraggio ad altri
mo
gruppi e ceti sociali, incitandoli alla lotta, spingendoli avanti. Le forze moderate e conservatrici, anche se avevano i loro rap¬ presentanti nei CLN, non furono certamente quelle che carat¬ terizzarono la Resistenza italiana, perché esse da sole non l’avreb¬ bero mai iniziata, né portata avanti; non possono perciò essere considerate le protagoniste. I grandi industriali, ad esempio, furo¬ no piuttosto i protagonisti e gli ispiratori dell’« attesismo ». A da naturalmente prescindere quelli che stavano dall’altra parte della barricata e che collaboravano attivamente con l’invasore. La lotta di classe fu elemento-forza, propulsore della lotta di Liberazione. In ogni epoca, la lotta nazionale ha sempre avuto un carattere di classe poiché la nazione è si una comunità di lingua, di territorio, di cultura, ma è innanzi tutto una comunità di uomi¬
ni storicamente costituita. Ed in ogni periodo storico sono stati determinati uomini, determinate classi sociali che hanno rappre¬ sentato gli interessi della nazione. Vi furono uomini e gruppi, anche in seno ai CLN che ave¬ vano dei dubbi sulla possibilità di condurre con successo la lotta di Liberazione nazionale se, nello stesso tempo, i partiti dei lavo¬ ratori favorivano e davano impulso allo svilupparsi della lotta di
classe. Al contrario, noi comunisti pensavamo che
dare alla lotta possente nazionale soltanto se, nello stesso tempo, si portava avanti con forza la difesa degli interessi immediati, quotidiani e di quelli più
una
2
giusta impostazione ed imprimere slancio
era
possibile
Non vi è dubbio per me che il movimento cosiddetto azionista ha nei più recenti periodi della vita italiana una parte molto impor¬ tante e positiva. In sostanza vi furono soltanto due grandi correnti di Resi¬ stenza e di lotta effettiva e duratura contro la tirannide fascista: una fece capo a noi comunisti, l’altra al movimento azionista. » P. Togliatti, « lì Ponte», n. 7, luglio 1951. «
avuto
397
generali delle classi lavoratrici. Non abbiamo mai
accantonato la lotta di classe, profondamente persuasi che gli interessi della clas¬ se
operaia non erano in contrasto con quelli della nazione. gli scioperi politici organizzati durante la Resistenza par¬
Tutti
tivano e avevano come base delle rivendicazioni economiche. La lotta era indirizzata contro i nazifascisti ed i grandi industriali col¬ laborazionisti. La lotta per il pane, per il salario, contro lo sfruttamento, in difesa della propria dignità diventava nello stesso tempo lotta nazionale. Gli operai e i lavoratori erano stimolati all’azione dalle loro stesse condizioni di esistenza, ma, a sua volta, la spinta della
lotta di classe muoveva e trascinava ogni giorno un numero più grande di uomini a partecipare alla lotta di Liberazione nazionale. Sarebbe un errore ritenere (per il fatto che gli scioperi erano organizzati mettendo innanzi rivendicazioni economiche) che gli operai fossero spinti ad agire soltanto da interessi economici. I la¬ voratori sapevano molto bene a quali rischi andavano incontro scioperando e sabotando la produzione. Il terrorismo tedesco e fa¬ scista faceva sentire il suo peso ed esercitò la sua influenza, sep¬ pure in misura diversa, durante tutto il periodo della guerra di Liberazione. Il salario e i cottimi erano cose importanti, ma non al
punto da spingere i lavoratori, nelle loro diverse stratificazioni, a repentaglio la vita per ottenere degli aumenti di poche lire. Alla base dell’azione della classe operaia e dei lavoratori (che non possono essere considerati un tutto omogeneo né per qualifica e condizione, né per grado di sviluppo della coscienza) stavano non soltanto le necessità economiche, ma motivi ideali, sociali e nazio¬ nali, stavano profondi sentimenti di odio contro il fascismo, di amore per la libertà e l’indipendenza da riconquistare. Motivi eco¬ nomici, politici e ideali si intrecciavano e fondevano in un’unica spinta, come tanti rivoli in un grande fiume. Il fatto che la classe operaia arrivasse ad esercitare la sua fun¬ zione nazionale precisamente partendo dai suoi interessi e dalle sue aspirazioni dimostra come la lotta nazionale fosse cosa pro¬ fondamente reale, inseparabile dalle condizioni stesse di esistenza mettere a
dei lavoratori. Difendendo le proprie posizioni ed affermando se stessa, la classe operaia, alla testa dei lavoratori, affermava gli interessi del popolo e di tutta la nazione. Essa diede alla Resistenza italiana non solo
slancio possente, ma un’impronta progressiva che la caratterizza e la distingue in modo più marcato da quella degli altri paesi. In Italia, la Resistenza è stata antifascista e, più che altrove, 398
lotta contro quei gruppi del grande capitale che avevano dato vita al fascismo, sostenuto la sua politica, portato il paese alle guerre di aggressione ed alla catastrofe. Pertanto, più che altrove, la Re¬ sistenza ha avuto carattere di classe (è stata lotta nazionale e lotta sociale nello stesso tempo) e per il suo contenuto e perché la classe operaia ne fu la forza dirigente principale. È dalla classe operaia, dai partiti e dagli uomini che la rappre¬ sentavano che vennero le parole d’ordine più avanzate, le proposte e le soluzioni più giuste, quelle che meglio corrispondevano agli in¬ teressi di tutto il popolo e della nazione. Le classi lavoratrici lotta¬ rono nella Resistenza per conquistare le libertà per tutti i citta¬ dini, per rono
gli operai,
contadini, per le classi oppresse, lotta¬ regime politico e sociale nuovo che realiz¬
per i
per dare vita ad
un
delle profonde riforme di struttura ed una vera, effettiva de¬ mocrazia. Lottarono per estirpare le radici del fascismo, per liqui¬ dare i più iniqui privilegi del capitale e della grande proprietà. Furono i rappresentanti della classe operaia e dei lavoratori che, in seno ai CLN, proposero e sostennero quelle rivendicazioni sociali e programmatiche che esprimevano le profonde aspirazioni del
zasse
popolo. Come non è vero che tutte le forze politiche e sociali siano state dalla parte della Resistenza, così non sarebbe conforme alla verità l’affermare che quelle rivendicazioni e quegli obiettivi corrispon¬ dessero alla volontà di tutti i movimenti che, più o meno direttamente, parteciparono alla Resistenza. Le aspirazioni al profondo, radicale rinnovamento economico e sociale per il quale si battevano gli operai, la parte più avanzata dei contadini, dei lavoratori e degli intellettuali progressivi non costituivano certo tutta la realtà politica italiana. Altre classi ed altri partiti agivano, in quella situazione, contro la Resistenza e, in seno alla Resistenza, con obiettivi diversi e contrastanti, mirando alla restaurazione del capitalismo, al ritorno ad un regime di de¬ mocrazia conservatrice. Di qui la discordia nell’unità, di qui la lotta continua, anche in seno ai CLN, per fare trionfare determinate
posizioni, per fare accettare certe soluzioni, per conquistare la gioranza e portare il movimento più avanti possibile.
mag¬
In questa lotta vi furono certamente alle volte delle debolezze, degli errori anche da parte dei partiti più avanzati dello schieramento democratico, che sempre dovettero fare i conti
delle esitazioni, con resa
e con una complessa, dura e difficile realtà, più difficile dalla debolezza ed inesperienza delle forze orga¬
forze contrastanti
nizzate dei lavoratori
e
della
Tuttavia, sulle questioni
stessa
classe operaia.
principali
e
proprio
per effetto del peso 399
che la classe operaia esercitò, le forze di sinistra dell’antifascismo riuscirono, quanto meno nel Nord, ad esercitare una funzione diri¬ gente e determinante in seno ai CLN. In ogni alleanza ed in ogni
grande movimento, allo scopo di definirne il carattere, ha sempre notevole importanza stabilire chi ha avuto la direzione. « Alla testa della Resistenza non ci furono i gruppi borghesi pri¬ vilegiati, non ci furono le forze politiche clericali: ci furono la classe operaia e le masse lavoratrici avanzate, ci furono le forze politiche dei comunisti, dei socialisti, dei democratici di sinistra. Altri parteciparono pure alla lotta in misura più o meno grande, ma le forze che diedero la loro impronta al movimento sono quelle che ho indicato. »3 Sin dall’inizio della Resistenza la nostra azione fu continuamente tesa ad unire tutte le forze attorno ai CLN, ma anche a dare a
quest’unità un orientamento,
una
direzione,
una
consistenza idea¬
lettera della direzione del partito per l’Italia occupata, alla federazione comunista di Torino, pubblicata poi quasi integral¬ mente in forma di articolo su « La Nostra Lotta »,4 fissavamo chia¬ ramente la posizione del partito nei confronti sia di Badoglio che dei CLN. « Compito e funzione della classe operaia nel momento attuale è di porsi all’avanguardia della lotta per la Liberazione na¬ zionale e, attraverso questa lotta, conquistare tale influenza sul popolo italiano da divenire la forza direttiva per un’effettiva de¬ mocrazia popolare. Questa dev’essere la politica del partito co¬ le. In
una
munista. « Noi comunisti voce con
partecipiamo al CLN e nel suo seno portiamo la proletariato con piena autonomia ed indipendenza, ma pur piena consapevolezza dei limiti imposti dalla situazione obiet¬ del
tiva. » Non riuscimmo certo proposte, ma riuscimmo
fare accogliere sempre tutte le nostre fare accettare dal CLNAI che la guer¬ ra di Liberazione fosse condotta anche con gli scioperi, i sabotag¬ gi e le lotte di massa. Riuscimmo a fare accettare non soltanto il principio, ma soprattutto la pratica dei grandi scioperi e dello sciopero
a
a
generale.
Riuscimmo a fare accettare dai CLN una concezione della Re¬ sistenza che comprendeva non solo il sabotaggio, ma lo svilup¬ e delle lotte degli operai po della guerriglia partigiana dei gappisti
3 P. Togliatti, intervento al CC del PCI, riportato novembre 1952. 4 « La Nostra Lotta », n. 5, dicembre 1943.
400
su
«
l’Unità »,
10
delle masse lavoratrici sul luogo stesso di lavoro ed solidarizzare con queste lotte operaie gli stessi CLN ».5 « e
Molto è
già
stato
scritto
sulla
funzione
a
fare
assolta dalla classe
dai lavoratori nella Resistenza e sul peso che determi¬ nate città come Torino hanno esercitato, per la grande concen¬ trazione e compattezza del proletariato, per le tradizioni di com¬ battività ed anche per determinate particolarità del loro sviluppo industriale. La ricerca tuttavia deve ancora essere approfondita per mettere in luce quali furono i rapporti di forza effettivi, le possibilità reali, il grado di coscienza e di organizzazione della classe operaia e dei lavoratori, la capacità dei loro partiti a di¬ fenderne gli interessi ed a partecipare autonomamente alla guer¬ ra di Liberazione nazionale. Sarebbe senza dubbio di notevole interesse studiare il contri¬ buto portato dai lavoratori di singoli complessi industriali che nell’ambito di una città o di come, ad esempio, la Fiat una assolsero una funzione regione dirigente e d’avanguardia. Ed ancora più interessante sarebbe lo studio ed il confronto di quello che fu, per contrapposto, l’atteggiamento dei gruppi dirigenti monopolisti, quale fu l’entità, l’ampiezza della collaborazione data dai grandi industriali all’invasore tedesco nel sac¬ cheggiare il nostro paese, nello spogliarlo della sua produzione e del suo patrimonio nazionale.
operaia
e
I tedeschi (ed il
saccheggio
cominciò
ancora
prima del
settem¬
bre 1943) portarono via dall’Italia tutto ciò che poterono, l’uni¬ co freno era costituito dall’insufficienza dei mezzi di trasporto e dall’azione continua, tenace dei patrioti per sottrarre ad essi mer¬ ci e materiali sia con l’azione armata dei partigiani, sia con gli scioperi ed i sabotaggi degli operai nelle fabbriche. Gli scioperi erano organizzati dai comitati segreti di agitazione, costituiti
unitariamente
nelle
officine
dai
lavoratori comunisti, correnti. Ave¬
socialisti, cattolici, dagli antifascisti delle diverse
base delle rivendicazioni economiche elementari: l’ora¬ rio di lavoro, il salario, l’insufficienza del pane, ma un obiettivo politico ben preciso e abbastanza scoperto: la lotta contro l’inva¬ sore tedesco ed i suoi complici fascisti. In certi periodi la Fiat a Torino, come la Falck e la Breda a Milano vennero completamen¬ te immobilizzate sia dagli scioperi che dal sabotaggio, la produ¬ vano come
zione andò progressivamente diminuendo dal luglio 1943 all’apri¬ le 1945, senza dubbio anche per effetto delle conseguenze belliche.
«
5 L. Longo, La lotta per l’unità nel contrasto delle tendenze politiche, in Rinascita », n. 4, aprile 1955.
401
I lavoratori pagarono duramente la loro partecipazione attiva alla guerra di Liberazione nazionale. In seguito alle agitazioni, ai
sabotaggi, agli scioperi, migliaia di operai vennero arrestaci, de¬ portati in Germania nei campi della morte e molti altri condan¬ nati e fucilati in Italia.6 I lavoratori della Fiat hanno partecipa¬ to generosamente al contributo di sacrificio e di sangue. Del tutto diverso fu l’atteggiamento dei grandi industriali in generale, i quali erano interessati a che gli operai non scioperas¬ sero e lavorassero di più per aumentare con la produzione i pro¬ fitti I
e
per
non
avere
grane
con
i tedeschi.
gruppi dirigenti dei monopoli,
al servizio dei tedeschi,
grandi industriali si misero le loro disposizioni, invita¬ non esitarono a ricorrere alle i
accettarono
gli operai a non scioperare e intimidazioni, alle minacce ed a consegnare ai comandi tedeschi liste degli operai scioperanti e di quelli ritenuti « sobillatori vano
le ».
Il loro atteggiamento non fu certo uniforme; vi furono alcuni che manifestarono apertamente le loro simpatie e l’animo collabora¬ zionista temprato dai precedenti, lunghi, intimi rapporti tecnici, economici e politici con il grande capitale tedesco e con i gerar¬ chi nazisti. Altri arrivarono a prendere delle misure, ad effettua¬ re
rai
in determinati momenti dei licenziamenti di centinaia di ope¬ per favorire l’arruolamento dei giovani nell’esercito repub¬
blichino naziste
dei lavoratori nella Todt e nella Saukel (le imprese organizzatrici del lavoro forzato e delle deportazioni, in e
maggior parte dei grandi indu¬ abilità; prevedendo che ormai la guerra
Italia ed in Germania). Ma la
striali agi con una per i nazisti era perduta, certa
di atteggiar¬ si in certo senso a vittime, avevano interesse a crearsi degli alibi per il domani, non ostentavano la loro collaborazione con i tede¬ schi; diversi di loro (Vailetta era di questi) mantenevano anche dei legami con uomini dei CLN, davano persino, talvolta, un po’ di denaro per la guerra di Liberazione. Non era d’altronde sem¬ pre facile, nelle ni partigiane.
cercarono
condizioni di allora,
di
destreggiarsi,
negare l’aiuto alle formazio¬
Sino ad oggi non si conosce, se non assai parzialmente ed ap¬ prossimativamente, quale fu l’entità del patrimonio industriale, dei beni, delle materie prime che i tedeschi trafugarono dall’Ita¬
La città di Torino ha avuto durante la Resistenza lì patrioti impiccati, 12.000 arrestati, 6.000 deportati politici e razziali di cui sol¬ tanto 400 fecero ritorno, 20.000 deportati civili e militari nei campi di la¬ voro, 132 morti in combattimento e 611 feriti in fatti d’arme. In «Rivista della città di Torino », n. 4, aprile 1955. 6
271
402
fucilati,
lia.7 Ed
meno si conosce sui profitti ricavati dai grandi in¬ produzione bellica e dalla collaborazione con i te¬ deschi. In quale misura contribuirono a spogliare il nostro paese? In quale misura il saccheggio e le distruzioni effettuate dai tede¬ schi in Italia avrebbero potuto essere assai minori se i grandi in¬ dustriali avessero rifiutato di collaborare con l’invasore? In ogni caso, è certo che tanto l’occupazione tedesca che la Resistenza ancora
dustriali dalla
italiana avrebbero avuto ben altri aspetti e dimensioni assai di¬ verse, se anche costoro avessero assunto un atteggiamento patriot¬ tico analogo a quello dei lavoratori. Questo saggio ed i pochi documenti che riproduciamo voglio¬ no essere soltanto l’inizio di uno studio che meriterebbe di es¬ sere portato avanti con ampie ed approfondite ricerche e non soltanto per la Fiat, ma per la maggior parte dei grandi com¬
plessi industriali ed
economici dell’Italia occupata. La fabbrica di cui ci occupiamo è tuttavia un esempio
tipico produzione bellica-industriale e
per
il peso che ha avuto nella
per
l’importanza decisiva della lotta condotta dalle
ze
durante la Resistenza. I proprietari ed i dirigenti della Fiat, durante
tennio, no
avevano
intimamente
sua
maestran¬
tutto
il
pienamente appoggiato il fascismo al quale
legati
e
della cui politica
erano
ven¬ era¬
l’anima ed i pro¬
fittatori. Nel corso di tutte le guerre di aggressione la produzione profitti della Fiat avevano compiuto grandi balzi in avanti;
ed
i
non
stupisce perciò che i suoi dirigenti e padroni avessero accettato, anzi promosso, la partecipazione dell’Italia alla seconda guerra mondiale a fianco della Germania nazista.
Nella relazione letta dal professor Vittorio Vailetta, ammini¬ delegato e direttore generale della Fiat, all’assemblea generale ordinaria della Fiat, presieduta dall’ingegner Giovanni Agnelli, tenuta il 12 marzo 1942, si dice anzitutto che « anche nel 1941 le attività della Fiat si sono sviluppate sotto l’imperio delle crescenti necessità belliche della nazione in guerra. L’indu¬ stria italiana è impegnata in un grande sforzo produttivo. A que¬ sto grande compito, che l’industria nazionale assolve per le pro¬ duzioni belliche, l’organizzazione Fiat partecipa con salda energia. stratore
7 E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell’Italia occupata, 1943-’45, Istituto Nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, Lerici editore, Milano.
403
Essa ha nel Duce va
e
nel Führer, assertori
e
realizzatori della Nuo¬
supremi garanti, ed ha nel Patto Tripartito, oceanicamente dimostrano, uno strumento poderoso.
Europa,
fatti
i
come
i
lì
Tripartito, secondo l’incisiva definizione mussoliniana, sa¬ e l’organizzatore della giusta pace tra i popoli. [...] «
rà pure domani l’artefice
L’anno 1941 ha seguito un sensibile andamento per le au¬ produzioni belliche. A superare le naturali difficoltà de¬ gli approvvigionamenti di materiale vale l’opera costantemente svolta dalle autorità e giovano pure gli speciali accordi della Fiat con la Germania per una sempre più stretta collaborazione tecnica». I dirigenti della Fiat avevano accettato senza riserve, a diffe¬ renza di altri gruppi del capitale finanziario, il piano Funk, che prevedeva il completo asservimento dell’economia italiana a quel¬ la tedesca e, ancora nel marzo 1942, il sen. Giovanni Agnelli pensava, come ebbe ad esprimersi nella già ricordata assemblea «
mentate
degli la
azionisti della
vittoria
e
Fiat, di
«
poter sfruttare i vasti mercati che
lo spirito di collaborazione dell'Asse assegneranno
all’Italia ». L’illusione del
sen.
Agnelli persisteva
ancora
tenacemente
per¬
vigilia del 23 luglio. Concludendo l’annuale relazione agli azionisti, il 3 giugno 1943, egli affermava: « La Fiat conti¬ nuerà a servire con disciplina ferrea e con fede la nazione che, nel nome augusto del Re Imperatore e sotto la guida del Duce, combatte per la vittoria. » Tra il 1940 e il 1943 vennero costruiti in Italia 120.000 au¬ sino
alla
33.000 motomezzi militari, 3.300 carri armati, 3.241 aerei contro i 2.798 nel 1939 e 6.433 motori contro i 4.423 nel 1939. Oltre P80% di questa produzione venne fornita dalla Fiat. tomezzi
e
Nell’estate 1943, la capacità produttiva delle aziende costruttrici di aerei e di motori per aerei era quasi raddoppiata rispetto al 1939. Dal 1924 al 1944, la Fiat aveva aumentato il suo capitale nominale da 400 milioni a 4 miliardi ed il numero dei suoi di¬ pendenti da 37.000 nel 1939 a 76.000 nel 1942.
primo sciopero, dopo lunghi anni di dominio della dittatu¬ fascista, si ebbe a Torino ITI gennaio 1943 alle Ferriere Fiat,
II ra
occasionale la mancata consegna delle tessere per il supple¬ della razione di pane. Il 13 ed il 14 gennaio, fermavano gli operai della Fiat Acciaierie di via Cigna (reparti forgia e la¬ miere) per protestare contro le paghe inadeguate al sempre cre¬ costo della scente vita, seguivano immediatamente i lavoratori causa
mento
della Fiat Diatto (3.000 operai), per protesta contro il rifiuto della direzione di liquidare il cottimo ad essi spettante, e quelli 404
della Fiat Mirafiori e della Fiat Lingotto per protesta contro la giornata lavorativa che era stata, di fatto, portata a dodici ore.8 Nel corso di questi scioperi, alcuni operai furono arrestati e deferiti al tribunale militare. Non ci soffermeremo, per i limiti ristretti di questo studio, sull’azione svolta dal partito comunista, in modo particolare, e da altri gruppi attivi dell’antifascismo torinese nella preparazio¬ ne di questi scioperi. Amerigo Ciocchiatti, Leo Lanfranco ed Er¬ mes Bazzanini, sotto la direzione di Umberto Massola (allora re¬ sponsabile del centro interno del PCI), ne furono, assieme a di¬ versi altri, i più attivi organizzatori. Nei mesi di gennaio e febbraio 1943, l’azione propagandistica e di diffusione de « l’Unità » e della stampa clandestina si inten¬ sifica. Le vittorie dell’Esercito Rosso creano entusiasmo ed un clima nuovo. Scritte murali inneggianti al crollo del fascismo « so¬ no scoperte quotidianamente nelle prime ore del mattino sulla via d’accesso alla fabbrica e prontamente cancellate da squadre di imbianchini, non prima che i fotografi le abbiano ritratte per riem¬
pire
i cartelli di tutti i commissariati ».9
largamente dicono ai lavoratori della Fiat delle altre officine torinesi: « Operai! Impiegati! Il gover¬ no di Mussolini, responsabile di aver trascinato il nostro pae¬ Manifestini diffusi
e
rovinosa, vuole farci morire di fame, dandoci degli stipendi irrisori, pagandoci con assegni in se
in
una
guerra
ingiusta
e
di moneta e allungando a 12 ore la giornata lavorativa. Smettiamo di lavorare, prepariamo lo sciopero! Manifestiamo in tutti i modi per esigere che il nostro salario sia corrisposto in moneta. Esigiamo più pane, più grassi, più carne. Esigiamo la cac¬ ciata di Mussolini dal governo. Lottiamo per la pace e per l’in¬ dipendenza del nostro paese. Contro le 12 ore e la guerra male¬ detta. L’azione, lo sciopero, la lotta sono le sole armi che posse¬ diamo, la via della nostra salvezza. Sciopero! Sciopero! Scio¬ pero! »10 11L’operaio Leo Lanfranco,11 dell’officina 19 Fiat Mirafiori e re-
luogo
8
R.
Luraghi, lì
movimento operaio torinese durante la Resistenza, Einau¬
di, Torino.
G. Vaccarino, Gli scioperi del marzo 1943 in Aspetti della Resistenza a cura dell’Istituto storico della Resistenza, Torino, 1950. 10 Archivio dellTSRP, Torino. 11 Leo Lanfranco, operaio della Fiat, membro della segreteria della Fe¬ derazione del PCI di Torino, responsabile dell’attività sindacale e del set¬ tore Mirafiori, valoroso partigiano, cadde alla testa della I divisione Gari¬ baldi. 9
in Piemonte,
405
sponsabile dell’organizzazione comunista (settore Mirafiori), aveva disposizioni circa la preparazione dello sciopero ed aveva provveduto ad illustrarle agli amici ed agli operai più fidati, assieme alle rivendicazioni e agli obiettivi dello sciopero. Il 5 marzo alle ore 10 il segnale-prova di allarme, ricevuto il 20 febbraio le ultime
che veniva ogni giorno azionato a tale ora, doveva dare il via al¬ lo sciopero. La direzione, preavvertita di quanto stava per accadere, ordinò di non fare azionare il segnale d’allarme, ma il meschino espe¬ diente non servi a nulla. Non erano trascorsi alcuni minuti che gli operai iniziavano contemporaneamente e compatti lo sciopero.
La
fuse
la
notizia di quanto stava accadendo alla Fiat Mirafiori si dif¬ la rapidità del suono per tutte le officine di Torino; nel¬
con
giornata e all’indomani lo sciopero si estendeva a quasi le fabbriche della città, divampando poi a Milano ed in mol¬ te località della Liguria, della Lombardia e dello stesso Piemonte. A Torino vennero immediatamente arrestati 164 operai, 97 dei quali furono deferiti al tribunale speciale.12 Il 17 marzo giungeva a Torino Carlo Scorza, famigerato squadrista, che doveva essere nominato un mese dopo segretario del morituro partito fascista; egli, accompagnato dai gerarchi e dirigenti aziendali, visitava le stessa
tutte
impartiva l’ordine a tutti i lavoratori iscritti al partito fascista di « indossare anche sui luoghi e durante le ore officine Fiat
e
di lavoro la camicia nera ». Si trattava di espedienti inservibili. I lavoratori squadristi non risposero neppure all’ordine di pic¬
chiare gli operai antifascisti,
com’era spesso avvenuto in passato, all’uscita della fabbrica. Il questore di Torino denunciando l’arresto di altri operai scri¬
veva:
«
La cosiddetta protesta per l’estensione
a
tutti
gli operai
provvidenziale beneficio del pagamento di 192 ore lavorative, più il pagamento di una settimana di salario a titolo di caro-vita a favore degli operai sinistrati o con la famigila sfollata, pur es¬ sendo giustificata dalle contingenti ragioni di vita, ha dato luogo ad una vera forma di propaganda sovversiva contro il regime. »13 Benché l’organizzazione comunista avesse resistito abbastanza bene agli arresti del marzo e del maggio, tuttavia non vi furono più scioperi a Torino sino alla caduta del fascismo. Questa, ben¬ ché attesa di giorno in giorno, colse in un certo senso di sorpre¬ sa. Nessuno si attendeva la notte del 25 luglio quell’annuncio da¬ del
12
13
U. Massola, Marzo 1943, ore dieci, Edizioni di Cultura Sociale, Roma. Cfr. denuncia n. 06185, gabinetto della questura, Archivio dellTSRP,
Torino. 406
to
dalla radio. Vi
la
pace »,
di gioia e la grande manifestazione di massa, in piazza Castello, per la pace e la libertà. Tre settimane dopo il crollo del regime di Mussolini, il 17 agosto 1943, è la Fiat Grandi Motori che inizia lo « sciopero per
furono, come ovunque, le esplosioni poi, nel pomeriggio del 27, l’uscita dalle fabbriche e
assumendo l’iniziativa del movimento.
Torino
aveva
subito nelle settimane di luglio ed agosto spaventosi bombardamenti che avevano causato 1.17.5 morti, migliaia di feriti, grave¬ mente danneggiate oltre 50.000 case di abitazione. Tutta la po¬ polazione, in un modo o nell’altro, era stata direttamente colpita. Gli industriali si opponevano a che gli operai nelle fabbriche eleg¬ gessero le loro libere commissioni interne. A sera inoltrata del 16 agosto un nuovo terribile bombarda¬ mento
aereo
seminava
la città di morti
la Fiat Grandi Motori dava il legazione operaia si portava
via allo dal
All’indomani, sciopero generale. Una de¬ e
rovine.
generale Adami-Rossi,
coman¬
dante la piazza militare, ed esponeva le rivendicazioni dei lavora¬ tori e prima di ogni altra la pace. « Anche Badoglio vuole la pace », fu la risposta del generale, « ma ci vuole pazienza e so¬ prattutto non dovete scioperare. » Mentre cortesemente invitava gli operai a riprendere il lavoro, reparti di soldati erano stati inviati
alla Grandi Motori.
L’ufficiale che li comandava ordinò
di sparare contro i lavoratori che stavano uscendo dalla fabbrica. I soldati si rifiutarono, ma la mitraglia venne impugnata dall’uffi¬
ciale
(sembra si trattasse di un ex ufficiale della milizia) lavoratori caddero feriti, di cui due gravemente; un ragaz¬ zo che si trovava a passare di là, venne colpito a morte.14 Il 19, tutte le officine di Torino erano per protesta in sciope¬ ro, e il Comitato del Fronte Nazionale dava la sua piena ade¬ sione. Il comitato operaio che aveva assunto la direzione del mo¬ e
stesso
sette
vimento diffondeva largamente un appello: « Lavoratori, solo il vostro energico intervento può imporre la vostra volontà al gover¬ no. Domani giovedì tutti compatti disertiamo il lavoro in segno di protesta contro la guerra fascista, per la pace immediata e la libertà. » Malgrado l’enorme spiegamento di forze militari, ordinato dal generale Adami-Rossi, la città era percorsa da folti cortei di ma¬ nifestanti che chiedevano la pace e la liberazione dei detenuti po¬ litici. Lo sciopero continuava anche all’indomani quando giunse a Torino il ministro del Lavoro Piccardi, insieme con Bruno
Rapporto G. Scappini del Luraghi, op. cit.
14
R.
17 agosto 1943 al CC del PCI; vedi anche
407
Buozzi
e Giovanni Roveda che erano stati appena nominati com¬ missari dei sindacati. Le trattative svoltesi in prefettura portarono al ritiro dei car¬ ri armati e delle truppe dalle officine e all’assicurazione che gli
arrestati sarebbero stati sollecitamente scarcerati
e
che
era
inten¬
zione del governo avviare
Dopo l’8 settembre sentire le mercato
delle
sue
e
nei
rapidamente trattative di pace. l’occupazione tedesca non tardò
a
fare
progressiva mancanza di merci sul negozi, l’insufficienza dei generi tesserati, il 50%
conseguenze. La
tutte le abitazioni prive di vetri, le di carbone e di legna distribuite tutto contri¬ buiva ad accrescere il malcontento e la preoccupazione. I salari alla Fiat come nelle altre grandi officine si aggiravano sulle 6,60 lire all’ora per gli operai qualificati e sulle 5,50 per i manovali. La situazione era aggravata anche dai licenziamenti pro¬ vocati dalla mancanza in certi reparti di materie prime e da altri motivi diversi. Alla Fiat Mirafiori lavoravano dai 12 ai 14.000 operai ripar¬ titi in una ventina di officine e soltanto in quattro di esse (17, 18, 19 e 20) vi erano in maggioranza operai qualificati e specia¬ case
sinistrate, quasi
piccole quantità
lizzati. Era
vigore il
sistema di produzione a cottimo, il che Fiat in balia degli uffici analisi-tempi. « Pra¬ della poneva gli operai in
sua relazione Leo Lanfranco, « le una tariffe cottimo in alcune officine Fiat non hanno altro scopo che di servire da pungolo per gli operai perché in realtà, anche facen¬ do il massimo sforzo per tutta la durata dell’orario, non riescono a guadagnare la media standard consentita per la loro categoria. Questa media verrà integrata in alcuni casi dai capisquadra i quali, facendo veri giochi acrobatici sulla carta, oppure conce¬ dendo ore ad economia, permettono di arrotondare la mancata realizzazione della media suaccennata. In altri casi gli operai, per completare la loro giornata, fanno risultare del lavoro non esegui¬ to alterando il numero sui "contapezzi automatici” applicati al¬ di “salvatag¬ diciamo così le macchine. Questi diversi mezzi i quali uffici sbirri conosciuti sono analisi-tempi, degli dagli gio” chiudono un occhio perché ad essi interessa una sola cosa: che gli
ticamente », scriveva in
sorpassino le medie di guadagno. [...] peggiorare la situazione per il mese di novembre ha pen¬ la direzione, la quale mediante l’affisso di un comunicato
operai «
sato
non
A
rende noto agli operai che in tutto il mese verrà pagato un anti¬ cipo unico di lire 500 agli uomini e di lire 200 alle donne ed agli apprendisti. Inoltre la liquidazione, che avrebbe dovuto essere
pagata il 15 novembre, sarà pagata soltanto il 27 408
con
un
ritardo
di 12 giorni. Inutile dire che tale forte malcontento fra gli operai che,
disposizione
ha sollevato
un
se fosse bene incanalato, po¬ sboccare in una agitazione suscettibile di ulteriori svi¬ luppi. »1S Come già nel marzo 1943, furono 1 lavoratori della Fiat a dare il via. Il 15 novembre quelli della Mirafiori sospendevano il lavoro e mandavano una delegazione in direzione per chiedere di avere un acconto sul salario del mese in corso. Col pretesto della mancanza di liquido, la direzione respingeva la richiesta ed indirizzava gli operai al comando tedesco dicendo che ad esso
trebbe
spettava ogni decisione. Questi si riservò di dare una risposta il lunedi 22 novembre e fu largo di promesse. Gli operai non cad¬ dero nella manovra dilazionatrice: nominarono un comitato di agitazione e posero una serie di rivendicazioni tra le quali l’au¬ mento del 100% del salario, una maggiore razione di pane e di grassi ed il diritto di sospendere il lavoro durante le incursioni aeree. In uno degli ultimi bombardamenti la direzione aveva ri¬ tardato nel dare l’allarme e gli operai avevano potuto correre ai rifugi solo quando i bombardieri già erano sulla città.
Lo sciopero, iniziato nel pomeriggio del 15 novembre all’offi¬ cina 17 della Fiat Mirafiori, si estendeva il giorno dopo ad altre officine: il 17 alla Fiat Grandi Motori, alle Acciaierie Piemon¬ tesi, all’Aeritalia, alla Riv, alla Spa, alle Ferriere, alla Michelin e diveniva generale il 18 dicembre in tutti i più importanti sta¬ bilimenti di Torino. 16 Il Comitato provinciale sindacale clandestino lanciato aveva il 17 novembre un manifesto ai lavoratori torinesi: « Operai, ope¬ raie torinesi! Da ieri gli operai della Fiat sono in sciopero. Essi rivendicano la sollecita liquidazione delle paghe del mese di otto¬
bre, l’aumento degli anticipi del
mese, l’aumento della
paga-base, Operai,
dei cottimi, l’aumento della razione dei generi tesserati.
torinesi! Solidarizzate con i forti operai degli stabilimenti Fiat. Le loro rivendicazioni sono le vostre. Imitateli, scendete in lotta. I nostri figli hanno fame e freddo, così non può durare. 1
operaie
magnati dell’industria hanno accumulato favolosi profitti di tarchia
e
di guerra. Bisogna indurli
a
metterci
mano
au¬
per salvare
Rapporto di Leo Lanfranco, responsabile del settore Barriera di Nizza, presentato il 14 novembre 1943 alla Federazione Comunista di Torino. Vedi l’archivio delle Brigate Garibaldi e l’archivio dell’ISRP, Torino. Ih lì Comitato provinciale sindacale clandestino era composto da Paolo Scarpone del PCI. da Giuseppe Rnpelli per la Democrazia Cristiana e da Luigi Carmagnola per il partito socialista (PSIUP).
409
le
famiglie operaie dalla fame, dal freddo, dalla deportazione te¬ desca. Basta col fascismo! Vogliamo pane, pace e libertà! »17 Alla Fiat Mirafiori (l’esempio verrà imitato dalle altre fabbri¬ che) gli operai eleggono una commissione composta da 17 operai 6 impiegati. Questa presentò alla direzione le seguenti richie¬
e
nello: Ordine del giorno
ste contenute «
n.
1 delle
maestranze stabilimento
Fiat
Mirafiori: « Vagliate le varie discussioni, avute dai fiduciari delle varie officine ricevuti dalla direzione Fiat, formuliamo le seguenti ri¬ chieste: « Date le condizioni economiche contingenti riteniamo che codesta direzione possa accogliere le desiderate richieste delle sue
maestranze. « 1) Aumento immediato delle paghe del 100%, essendo nella facoltà della direzione poter decidere detta questione nel termi¬
di 48
ne
«
ore.
2) Questo
vi fosse la
possibilità
di
essere ridotto del 50% qualora delle razioni viveri adeguate allo
potrebbe
aumento
aumento
Questa riduzione del 50% dell’aumento dal vigore giorno dell’aumento delle razioni viveri. « 3) Le maestranze sono disposte a riprendere il lavoro qualora venga data formale assicurazione di una concreta risposta entro il sforzo delle
maestranze.
entrerebbe in
termine fissato. «
4) La commissione si riserva di prendere
contatto con
la dire¬
problemi inerenti alla massa lavoratrice. La dovrà aumentata automaticamente al costo essere 5) paga
zione per esaminare altri «
della vita. «
6) Le 500 lire promesse
pendio
delle
non
devono
essere
dedotte dallo sti¬
maestranze.
7) Donne
allievi lire 350 anziché lire 200. »18 lì giorno 19, la commissione mista si presentava alla direzione per trattare sulla base delle rivendicazioni sopraesposte. La dire¬ zione della Fiat dichiarava la sua impossibilità a trattare e invita¬ va la commissione a rivolgersi al comando tedesco. Questo dichia¬ rava spudoratamente che avrebbe preso in esame tutte le richie¬ ste ed una risposta sarebbe stata data alla fine del mese. La commissione era cascata nella trappola, accontentandosi del¬ le promesse e, con Lordine del giorno n. 3, « rivolge appello a «
e
tutti i lavoratori affinché continuino il 17 Archivio 18
410
Ibid.
delle
Brigate
Garibaldi
e
proprio lavoro
dell’ISRP, Torino.
in
attesa
dei risultati che speriamo per tutti soddisfacenti ». Con lo stesso comunicato la commissione avvertiva che, « ritenendo scaduto il proprio mandato », si considerava dimissionaria. In realtà essa sentiva di essersi squalificata accettando senza alcuna garanzia, se non delle vaghe promesse, di riprendere il lavoro. Gli operai nominarono un’altra commissione della quale facevano parte alcuni antifascisti più capaci e decisi, anche que¬
però di discutere col comando tedesco. Intanto la a quelle nominate da altre fabbriche, si re¬ cava alla sede dei sindacati fascisti e poi al comando germanico. Questi ribadì Passicurazione che entro il mese il comando tedesco di Milano avrebbe dato la risposta, ma intanto riprendessero su¬ bito il lavoro pena l’applicazione della legge militare. sta
accettò
commissione, assieme
Le commissioni accettarono il ricatto e disposero la ripresa del lavoro per il 22. Il comitato federale del partito comunista si riunì nella sera stessa e, all’indomani (domenica mattina), i comitati di settore e delle principali cellule diedero la direttiva di fare il pos¬ sibile per rafforzare le commissioni con elementi più energici e coraggiosi e di preparare per il lunedì lo sciopero generale. Al mattino del 22 gli operai si presentarono alla Fiat Mirafiori, ma proclamarono immediatamente lo sciopero. Lo stesso fe¬ i lavoratori di altri stabilimenti. Funzionari di polizia porta¬ tisi nelle fabbriche invitarono gli operai a sospendere lo sciopero sino a mezzogiorno, poiché erano imminenti le decisioni delle cero
autorità superiori
che avrebbero accolto le rivendicazioni delle
maestranze.
Dopo alcune denza za
o
un
ore uscivano i quotidiani, essi portavano in evi¬ comunicato: senza troppi preamboli preparatori, sen¬
scambi di lettere e senza numero di ordini del giorno, con una due telefonate e con una riunione di pochi minuti il rappresen¬
tante del governo faceva le seguenti concessioni: 1) aumento del 30% con decorrenza 22 novembre
sugli sti¬ pendi e salari inferiori alle 2.300 lire mensili. Aumento del 13% sugli stipendi e salari superiori a detta cifra; 2) garanzia di un salario minimo settimanale; 3) corresponsione di un premio di lire 300 ai capifamiglia e di lire 330 a coloro che non hanno famigliari a carico. « La Stampa », il quotidiano di Agnelli e di Valletta, così com¬ mentava:
«
Oggi
i lavoratori hanno la dimostrazione che i loro
le loro aspirazioni bisogni conosciuti ed accolti. » e
In realtà le concessioni
pomeriggio stesso,
sono
realmente ed efficacemente ri¬
insignificanti e ridicole che, nel indignati, gli operai della Fiat proclamavano erano
così
411
compatti lo sciopero seguiti da quelli della Grandi Motori, delle Ferriere Fiat, della Savigliano, della Fiat Grandi Motori, della Lancia, della Viberti, deirAeritalia, della Riv, e di altre officine. AlFindomani lo sciopero La
era nuovamente
ripresa dello sciopero fece andare
generale su
tutte
in tutta Torino.
le furie tedeschi
fascisti. Al mattino del 24, le commissioni operaie vennero con¬ nella sede dellTJnionè sindacale fascista ove il presidente delLUnione stessa, Rabecchi, cercò di persuadere i lavoratori a riprendere il lavoro. Investito da urla e fischi, cercò di calmare gli operai chiamandoli « compagni comunisti ». « Ascoltatemi », disse, « credete alle nostre buone intenzioni. Noi fascisti repub¬ blicani vogliamo sul serio il bene della classe operaia. Anch’io am¬ miro quello che si è fatto in Russia per gli operai; vedrete che anche noi in Italia la faremo finita con i plutocrati, socializzere¬ mo le industrie. »19 Fischiato ed interrotto continuamente dagli operai concluse: « Se non mi volete, nominatevi un altro presidente. » Nel pomeriggio del 24 il colonnello tedesco von Klaus, coman¬ dante per le province di Torino e di Aosta, scortato da soldati te¬ deschi si presentava alla Fiat Mirafiori, faceva radunare gli ope¬ rai e prometteva che alla fine del mese avrebbe dato piena soddi¬ sfazione alle loro richieste, ma concludeva minacciando: « Chi in¬ tralcia il buon andamento del lavoro è nemico del grande Reich e contro di lui si procederà con le sanzioni più severe ed intanto del regolare andamento del lavoro e della produzione si riterran¬ no responsabili le commissioni interne. » lì colonnello tedesco rivelava così apertamente come in regi¬ me di occupazione le commissioni interne non fossero che degli ostaggi nelle mani dei tedeschi, confermando così la giustezza del¬ le direttive sindacali diramate dal partito comunista che invitava¬ no gli operai a sciogliere le commissioni interne ed a nominare e
vocate
dei comitati clandestini di
Alcune decine di operai
agitazione.
arrestati, ma furono all’indomani rilasciati in seguito alla ripresa del movimento. Promesse e intimidazioni ebbero tuttavia il loro effetto e gli operai decisero di sospendere lo sciopero « per una settimana ». Il fermento però continuava, la caldaia era sempre in ebollizio¬ ne. Il CLN Alta Italia votava il 27 un ordine del giorno di soli¬ vennero
19 Dalla relazione di Alfredo (Arturo Colombi), segretario della Fede¬ razione Comunista di Torino e responsabile del triumvirato insurrezionale piemontese, in data 27 novembre 1943, alla direzione del PCI per ITtalia occupata. Archivio delle Brigate Garibaldi.
412
darietà piena con gli operai di Torino. Il 30, arrivava da Milano il colonnello tedesco Schreiber, si presentava alla direzione della Fiat e convocava la commissione operaia, la quale al termine del¬ la riunione faceva affiggere nello stabilimento il seguente comu¬ nicato:
Nella riunione del 30 novembre alle ore 15 alla Fiat Mirafiopresieduta dal tenente colonnello Schreiber e presenziata dalla
«
ri,
direzione della Fiat, presenti le
commissioni interne
provvisorie
di tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat, il comandante germani¬ co ha esposto chiaramente le soluzioni intervenute sui problemi alimentare e salariale. « Dalla esauriente esposizione fatta e dai chiarimenti della dire¬ zione generale e dello stesso tenente colonnello Schreiber anche in seguito a interpellanze di diversi membri delle commissioni è risultato quanto segue: «
Problema alimentare
Estensione a tutti i membri delle mento pane di g. 15 già concesso al «
dal
1° dicembre. Concessione di
una
famiglie operaie del supple¬ capofamiglia e ciò a partire carta
annonaria
supplemen¬
per la distribuzione dei generi alimentari diver¬ si nella misura massima delle disponibilità, come sarà volta vol¬ ta annunciato dai giornali (validità dal 1° dicembre). « I prezzi dei generi alimentari riportati e fermati al livello del¬ tare
preferenziale
l’agosto «
scorso.
Lotta decisa
contro
la borsa
nera.
Problema salariale
« L’autorità germanica conferma la concessione del 30% fatta dalle autorità italiane e ciò in via transitoria in quanto le autorità
germaniche hanno iniziato studi di esperti venuti appositamente dalla Germania per la sistemazione definitiva del problema delle paghe. « In seguito a queste concessioni e all’assicurazione che sarà ul¬ teriormente provveduto per il meglio, le autorità germaniche con¬ fidano che le maestranze continueranno disciplinatamente il lavo¬
ai fini della più intensa produzione e con uno spirito di reci¬ proca fiducia. È infine da tener presente che il tenente colonnello ro
Schreiber ha ricordato che d’ora innanzi non saranno dalle forze armate germaniche assolutamente tollerate interruzioni del la¬ voro. »20
20
Archivio delle Brigate Garibaldi
e
dell’ISRP, Torino. 413
Al mattino del 1" dicembre le Acciaierie Fiat, la Fonderia Ghi¬ sa, la Fiat Grandi Motori, le Officine Metallurgiche, la Materiale Ferroviario erano nuovamente in sciopero. La Fiat Mirafiori, pre¬ sidiata da forti
reparti
Frattanto giunse
armati
tedeschi,
questa volta
non
si
mosse.
Torino il
generale Zimmerman, incaricato an¬ speciale germanico e Brigadführer delle SS, con lo scopo nunciava La Stampa del 2 dicembre di assicurare con ogni mezzo l’ordine e la tranquillità », in altre parole di reprime¬ a
«
re
»
il movimento operaio
schi.
La lotta
«
con
i sistemi terroristici
degli operai torinesi,
che
tipici dei tede¬
visto alla loro la FIAT era durata praticamente, con brevi interruzioni, dal 15 novembre al 1" dicembre; essa costituì l’inizio della gran¬ de battaglia contro l’occupante tedesco ed i suoi complici fascisti. Un rapporto dell’organizzazione comunista di Torino alla dire¬ zione del PCI per l’Italia occupata così conclude: « Nella terza fase dell’agitazione, lo sciopero non si è realizzato alla Mirafiori, avevano
testa
dove la
organizzazione è più debole,21 era stato invece ini¬ Motori, alle Acciaierie Metallurgiche, Spa, Fonderie Viberti, Fiat, Materiale Ferroviario, Aeronautica, ecc. Non essendo riuscito nel principale stabilimento che aveva dato inizio al movimento degli scioperi e che per la sua importanza in¬ fluenza le altre fabbriche della città, della provincia e della regio¬ nostra
ziato alla Fiat Grandi
ne, lo sciopero è
cessato
nel pomeriggio del 1° dicembre
può considerarsi conclusa questa prima fase di scioperi. ni che hanno portato alla fine riassunte:
degli scioperi
possono
e con
Le
ciò
ragio¬
essere
così
e alimentari, per questo mese al¬ di una entità meno, sono ragguardevole. Basti pensare che oltre le 500 lire di gratificazione straordinaria e l’aumento del salario del 30%, è stata concessa come gratificazione natalizia al posto della 53a settimana 192 ore di lavoro; «
a) le concessioni salariali
« b) l’intimidazione che ha giocato sull’effetto psicologico de¬ terminato dall’arrivo del generale delle SS che viene apposita¬
mente «
dal fronte orientale;
c) l’intervento di elementi socialisti per convincere gli ope-
21 A quella data, alla Fiat Mirafiori, su 14.000 lavoratori esistevano sol¬ tanto 27 gruppi di cellule con un complesso di 70 aderenti. Dice il rapporto della federazione: « Si tratta dello stabilimento più importante, ma anche quello col quale fino ad oggi ci è stato più difficile collegarci. Le difficoltà erano date dai motivi dello sfollamento e dalla confusione creata dall’occu¬ pazione tedesca. Con la Fiat Lingotto siamo già più avanti nel lavoro di riorganizzazione. » Rapporto organizzativo in data 25 dicembre 1943.
414
rai va
a
rinviare
hitleriana. Occorre
«
i
l’agitazione e tener
per evitare lo scatenamento della bel¬
presente che, salvo il Partito d’Azione, tutti
partiti del Comitato di Liberazione Nazionale hanno agito
per
lo sciopero. L’inasprirsi della lotta di classe fa si che i nostri rapporti con altri ceti e partiti si siano irrigiditi. « Intanto i tedeschi mobilitano gli industriali, i direttori di aziende e il personale di sorveglianza per organizzare lo spio¬ naggio nelle fabbriche. Sono apparsi “nuovi operai” con man¬ sioni non ben definite. Il tedesco pensa all’impiego della maniera forte e, benché esiti a rompere gli indugi, bisogna aspettarsi lo scatenamento di un’offensiva in grande stile ed essere preparati a farvi fronte. »22 In gennaio venne iniziato alla Fiat e nelle altre officine di Tori¬ no il lavoro per organizzare lo sciopero generale in tutte le regio¬ fare
cessare
ni dell’Italia occupata. Il 24 gennaio vi fu un nuovo tentativo da parte della direzione della Fiat Mirafiori di fare eleggere la com¬ missione interna di « esperti » (chissà perché avevano ritenuto di
aggiungervi la qualifica
ma anche questa volta il 90% molte altre vi era scritto: W Stalin, W L’Esercito Rosso, A morte Mussolini e la Petacci. Venne invece, negli stessi giorni, costituito il comitato segreto «
esperti »),
risultarono schede in bianco
di
e
su
agitazione. All’inizio di febbraio, la preparazione dello sciope¬
buon punto, ma anche il nemico cominciava a sospettare cosa di grosso si stava preparando. In tre officine del¬ la Mirafiori la direzione sospendeva il lavoro per tre giorni, col pretesto che mancavano le sfere. « Si può presumere che sia una ro era a
che qualche
manovra
per
prevenire lo sciopero facendo
paura
agli operai
e
disorganizzando. Abbiamo dato la parola d’ordine di presentarci tutti al lavoro e di esigere il pagamento integrale della giornata. »23 Malgrado i ripetuti rinvìi che causarono contrattempi misero in allarme l’avversario e gli permisero di manovrare concedendo agli di molte officine le ferie anticipate, lo sciopero riuscì in a Torino. anche pieno Al mattino del 1° marzo gli operai della Mirafiori entravano in
operai
fabbrica,
ma non iniziavano il lavoro: discussero sulle rivendica¬ zioni da presentare e nominarono una commissione. A differenza di quanto era avvenuto in novembre, la direzione della Fiat (e
Rapporto della Federazione Comunista di Torino del gennaio 1944, alla direzione del PCI per l’Italia occupata. Archivio delle Brigate Garibaldi. 23 Lettera di Alfredo (Arturo Colombi) del 17 febbraio 1944 alla dire¬ zione del PCI per l’Italia occupata. Archivio delle Brigate Garibaldi. 22
415
ciò fecero anche le altre aziende) si rifiutò di trattare asserendo che per farlo occorreva l’autorizzazione del comando tedesco, poi¬
ché la commissione era considerata illegale. Il comitato di agita¬ zione faceva allora pervenire alla direzione le rivendicazioni per iscritto. Dopo aver atteso tutta la mattinata, consumato il pasto nel refettorio, i 14.000 lavoratori dello stabilimento si misero in sciopero. Altrettanto facevano i 6.000 della Fiat Lingotto, i
dell’Aeronautica,
5.000
i
1.200 delle Fonderie Fiat
degli
altri stabilimenti
non
4.000
della
Materiale
Ferroviario, i
i 4.000 delle Acciaierie Fiat messi in ferie.
e
quelli
gli operai della Mirafiori, della Lingotto e della Riv nelle fabbriche, ma senza riprendere il lavoro. Delega¬ zioni recatesi alla Microtecnica e alla Fiat Ricambi per vincere alcune esitazioni riuscivano ad ottenere l’uscita totale degli ope¬ Il 2
marzo
entravano
rai anche da queste officine.
Dopo quattro giorni lo sciopero continuava compatto alla Fiat Mirafiori e nelle altre grandi fabbriche e si prolungava il lunedì 6 ed il martedì 7, sebbene si notassero sintomi di stanchezza. In¬ tanto tedeschi e fascisti procedevano a numerosi arresti. La ripre¬ sa del lavoro avveniva a Torino soltanto l’8 marzo. Non ci sof¬ fermiamo, perché esula dal nostro tema, sulla grande importanza dello sciopero generale del l"-8 marzo 1944, d’altronde oggi ge¬ neralmente ammessa. Sul suo carattere politico non vi possono es¬ ser dubbi ed ha perfettamente ragione il segretario di Stato nazi¬ sta Lanfried che nella lettera del 2 marzo al generale Leyers scri¬ veva: « Credo tuttavia che Lei giudichi l’attuale situazione in ma¬ niera assolutamente errata, quando nel Suo scritto dichiara che l’attuale agitazione di scioperi è stata causata dall’insufficiente at¬ tenzione prestata ai problemi del razionamento, dei salari e dei prezzi. Per me era sin dall’inizio inequivocabile, in ciò concor¬ dando pienamente con il generale plenipotenziario del Reich e con il supremo capo delle SS e della polizia, sulla scorta delle in¬ formazioni in nostro possesso, che l’agitazione degli scioperi è da imputarsi unicamente a manovre politiche fomentate da parte co¬ munista e nemica. Le richieste economiche qui e là sollevate sono unicamente il mascheramento dell’obiettivo politico. Tale giudi¬ zio sulla situazione è stato ampiamente confermato dalle notizie pervenute nella
giornata odierna. »24
Dalla lettera del segretario di Stato F. W. Lanfried, capo della MY in Italia, al generale Leyers, incaricato per l’Italia del ministro del Reich Vedere anche per gli armamenti e la produzione bellica, del 2 marzo 1944. E. Collotti, op. cit., p. 295. 24
416
La reazione tedesca allo sciopero generale fu feroce. L’amba¬ sciatore Rahn riferisce di aver avuto ordine da Hitler di fare de¬
portare il 20%
l’idea era mostruosa, anche tutti i pre¬ supposti tecnici per effettuare simili trasporti ». Rahn minacciò di dimettersi ed ottenne di fare rientrare l’or¬ dine prospettando l’ulteriore danno che sarebbe derivato alla produzione bellica dalla deportazione di un così grande numero di operai.25 Tuttavia da Torino vennero deportati 700 operai (in tanto
più
degli operai scioperanti;
aggiunge
«
in quanto
gran parte delle officine Fiat)
e
mancavano
parecchie
centinaia da Milano
e
da Genova. Le conseguenze non mancarono di farsi sentire ed ancora al lc maggio non erano del tutto scomparse, al punto che la fermata di lavoro di un quarto d’ora, decisa dai comitati segreti di agitazio¬ ne, riuscì soltanto parzialmente. Fermarono solo una parte delle officine Mirafiori, della Spa, della Grandi Motori, delle Ferriere Valdocco e di altri stabilimenti. Ma già alcuni giorni dopo il 1° maggio, alla Fiat Mirafiori i lavoratori erano in agitazione per re¬ clamare le famose 500 lire anticipate loro in novembre, ma poi trattenute in dicembre. Una commissione operaia veniva ricevuta dalla direzione che prometteva di dare soddisfazione alla richiesta. Il comitato di agitazione rivendicava l’anticipo di un mese di paga prospettando l’eventualità che Torino potesse venire a trovarsi nelle condizioni di immediato retrofronte. Gli operai non avendo riserve avevano bisogno di mezzi per provvedersi di un minimo di scorte alimentari.
Alla metà di maggio veniva costituito alla Fiat Mirafiori il Comitato di Liberazione Nazionale composto da operai, tecnici e impiegati, comunisti, socialisti e del Partito d’Azione. Nella sua
prima riunione approvò il le
seguente
appello diffuso clandestina¬ della Mirafiori, che riunisce il grandioso sciopero del 1°
lì CLN che ha organizzato marzo, ha preso conoscenza dell’ordine del giorno approvato al¬ l’unanimità dal CLN dell’Alta Italia nella sua seduta del 22 apri¬ le, per la collaborazione con il governo nazionale democratico di guerra che comprende i rappresentanti di tutti i partiti antifa¬ scisti. Il CLN della Mirafiori approva tale ordine del giorno e darà tutta la sua collaborazione al nuovo governo formato allo scopo di affiancare l’Italia alle nazioni alleate e di aiutare efficacemente i mente
16.000
25
tra
operai
maestranze: e
«
R. Rahn, Ruhelosesleeben, Düsseldorf, anche E.Collotti, op. cit., p. 203.
1949, pp.
251,
258.
Vedere
417
combattenti della libertà che nella zona occupata dal nemico lot¬ tano per la liberazione del territorio nazionale. « Informato che il Comitato esecutivo centrale del Partito di Azione avrebbe intenzione di prendere posizione contro tale go¬ verno che rappresenta Punita della nazione contro i distruttori nazifascisti, sino a prospettare l’espulsione dal partito di quei mi¬ nistri che ne sono membri, il CLN della Mirafiori rivolge un cal¬ do appello al Comitato esecutivo del Partito d’Azione affinché non abbia a prendere tale decisione che porterebbe al suo distacco dal CLN. Si rammenta che se non vorremo esser trattati da vinti, dobbiamo fare in modo che il paese possa
alla «
ma
partecipare globalmente
guerra di Liberazione.
La situazione in cui ci troviamo non ci permette la disunione, ci comanda il consolidamento della nostra unità; noi dobbia¬
fare di tutto per nuocere ai nazifascisti, nulla per giovare loro. lì CLN della Mirafiori pensa che il più elevato senso di re¬ sponsabilità di fronte agli italiani che lottano contro il tallone nazista prevarrà su ogni altra considerazione di parte e che il Par¬ tito d’Azione saprà imporsi quell’autodisciplina indispensabile per
mo
«
l’unione alla vittoria
comune.
»26
l’agitazione che andava sviluppandosi per le richieste avanzate, la direzione della Fiat Mirafiori comunicava che concedeva un prestito di mille lire ad ogni operaio, costituito Allo scopo di frenare
da buoni da spendersi negli spacci aziendali. Tali spacci dispone¬ vano soltanto di scatolame scadentissimo. Il comitato di agitazio¬
impartì la direttiva di rifiutare tale prestito; soltanto una cin¬ quantina di operai su 16.000 ritirarono i buoni. Ai motivi economici dell’agitazione venivano ad aggiungersi quelli politici, la difesa dei giovani operai delle classi 1923, 1924, ne
1925, già esonerati che erano costretti ad arruolarsi per essere mandati a lavorare in Germania. Per calmare gli animi, la direzione comunicava che i giovani
precettati
per
la
Germania
sarebbero
sempre
stati
considera¬
facenti parte del personale della Fiat. Assai magra con¬ solazione per i molti destinati a non fare più ritorno dai lager tedeschi. Il 12 giugno gli operai del turno di notte della Fiat Mirafiori scioperavano contro le voci circolanti del prossimo invio coatto di lavoratori in Germania. La liberazione di Roma e l’apertura del ti
come
26 Da un rapporto di informazione da Torino alla direzione del PCI per l’Italia occupata, 30 maggio 1944. Archivio delle Brigate Garibaldi e del-
l’ISRP, Torino. 418
secondo fronte
ricreato un’atmosfera di entusiasmo tra i essi sentivano che ci si avvicinava alla fase decisiva e
lavoratori,
avevano
vittoriosa della guerra di Liberazione.
Contro la
lì
deportazione
di uomini
e
macchine
15 giugno, si sparge improvvisamente la voce tra le della Fiat Mirafiori che nei prossimi giorni avrebbe
giovedì
maestranze avuto
inizio lo
zione) per
smontaggio delle macchine dell’officina
essere
17 (avia¬
trasportate in Germania.
La notizia crea vivo fermento tra gli operai e viene immediatamente inviata in direzione per
una
commissione
avere
delle spie¬
gazioni. Non avendo ottenuto alcuna risposta soddisfacente, all’indoma¬ ni il comitato di agitazione impartiva le disposizioni per lo scio¬ su tutti i muri delle officine Fiat Mirafio¬ il ri viene affisso manifestino invitante i lavoratori a scioperare. Alle nove precise il lavoro si arresta in tutti i reparti ed i lavo¬ ratori si riversano nei piazzali e nei refettori ove vengono tenuti quattro brevi comizi. Alle 10 gli operai si riuniscono nel grande piazzale prospiciente gli uffici della direzione ove il direttore generale, professor Vitto¬ rio Valletta, tiene ad essi questo discorso: « Poco fa, mentre usci¬
pero. Al mattino del 17
alcuni vostri compagni mi hanno interpellato relativamente richieste fatte alla direzione Fiat. Le risposte che io diedi loro sono quelle che, su loro preghiera, vi riferisco ora. « Lo so che la vostra più grande preoccupazione è determina¬ ta dalla paura di essere prelevati e inviati in Germania; è bene che sappiate che mai nessun dipendente della Fiat è stato inviato
vo, a
in Germania; compagni vostri arrestati in diverse circostanze so¬ no stati rilasciati a nostra domanda. [« Bene », gridano gli operai.] « La direzione lavora ininterrottamente giorno e notte affinché non si realizzi quello che temete. [«E le macchine? », gridano
gli operai.] «
Delle macchine noi ci stiamo interessando
non
con
urla
e
strepiti, responsabilità garanzia. [« Non vogliamo che le macchine vadano via», interrompe un operaio.] « Quel signore che grida, che cosa ha fatto lui per fermare le ma con
e
macchine? Si è egli mosso affinché non una macchina uscisse dal¬ la Fiat? Noi della direzione, io e tutti gli altri componenti, abbia¬ mo semplicemente esposto il nostro petto... Non si conclude nulla facendo come fate voi... [Si grida: « Abbasso la Germania! »]
419
Questo non è un momento da operetta, è un momento tra¬ gico, di una tragedia che dura giorno e notte, non dovete fare «
delle sciocchezze nei confronti di
una
nazione le cui truppe
occu¬
pano il nostro territorio. Il comando germanico voleva portare via il reparto completo [allude all’officina 17 aviazione], sono riuscito ad ottenere che macchine e uomini restassero entro i con¬
fini d’Italia. Sono riuscito ad ottenere molto di più di quello che avreste ottenuto voi con le grida e l’abbandono del lavoro. È la
direzione della Fiat che si deve interessare innanzi tutto, affinché né un uomo, né una macchina sia portata via dalla Fiat per es¬ portata altrove. [Interruzione: « Ma intanto i tedeschi vo¬ portar via le macchine ».] « lì comando germanico prevede, in modo sicuro, un violentissi¬ mo bombardamento del nostro reparto aviazione, appunto per questo il suo programma è di trasferire questo reparto. Io mi so¬ no opposto, gli uomini e le macchine non devono andare in Ger¬ sere
gliono
mania. Il comando germanico ha assicurato che le macchine sa¬ rebbero state portate sulla Gardesana dove, com’è noto, esiste un grande dispositivo di gallerie con macchine e gente che lavora. Non avendo noi trovato di meglio, e non essendoci luogo più adatto, abbiamo acconsentito. [Interruzioni: «Noi vogliamo ga¬ ranzie ».] « Le garanzie le abbiamo ottenute, io voglio che i "miei" uo¬ mini che seguono le macchine abbiano gli stessi salari, gli stessi trattamenti. I familiari non devono soffrire di questo trasferi¬
[Si urla: « Al Garda si è al confine! »] È nostro interesse e insisteremo sino a soddisfazione affinché le macchine restino qui, benché ci sia ragione di pensare che esse non ci saranno tolte. Che le macchine rimangano alla Fiat è in¬ teresse dell’azienda. Noi non facciamo come altre piccole e grandi aziende che abbandonano gli operai a se stessi. È interesse della Fiat, di noi tutti, soprattutto della Direzione e di Agnelli, che abbiamo difeso, esponendoci non solo con delle chiacchiere, ma con i nostri petti. Così abbiamo difeso le nostre macchine. « Io vi consiglio e vi esorto a riprendere il lavoro. Questo per la mento. «
vostra
in
to re...
sicurezza. Non abbandonate il
altre circostanze.
lavoro,
[Interruzioni:
vi ho
già det¬
vogliamo
lavora¬
come
«Non
»]
Quelli che gridano non capiscono niente o pire, si facciano spiegare da quelli che hanno la «
non
testa
vogliono più
a
ca¬
posto.
vuole lavorare abbandoni la Fiat. Si tratta ora di non testa. [Urla ed interruzioni diverse. Una voce chiede la perdere distintamente che venga chiarita la questione degli esoneri.] Chi
420
non
mi ricorda che questa notte non ho dormito. Sono stato Como per ottenere gli esoneri delle classi 1920, 21, 26. Siamo riusciti ad ottenerli dopo aver lottato e pregato, nonostan¬
Questo
«
a
te
il
nuto
no
che
detto da alcune autorità presenti su
1.800
appartenenti
a
a
Como. Abbiamo
quelle classi,
nissero concessi ai lavoratori e, ascoltatemi
otte¬
1.200 esoneri
bene, che
ve¬
essi siano
appartenenti o no, direttamente od indirettamente alla lavora¬ zione dei motori aviazione, apparecchi aerei, cuscinetti a sfere e altre lavorazioni. Nessuna ditta ha potuto ottenere quello che ab¬ biamo ottenuto noi relativamente agli esoneri. Ho finito. »27 Dal discorso di Vailetta gli operai traggono la conclusione che le chiacchiere sono chiacchiere, ma le macchine non debbono an¬ dare via. Alle 10,30 i lavoratori vanno ai refettori dove vengono tenuti quattro brevi comizi. Motivo di essi: « Le macchine non
devono andare in Germania; Vailetta è complice dei tedeschi. » Mentre gli operai escono dai refettori entrano nel piazzale dello stabilimento un camion ed un carro armato con mitragliatrici, montati da repubblichini. Girano però al largo accolti dalle invet¬ tive degli operai. Poco dopo escono dallo stabilimento. Al loro arrivo molti operai si erano armati di sbarre di ferro. Dopo un’ora di fermata, 4.000 operai escono dalle officine, mentre il grosso usciva alle ore 13, come da disposizione del co¬ mitato di agitazione. La notizia dello sciopero alla Mirafiori mette in agitazione tutte le fabbriche di Torino. Nelle riunioni di partito vengono lette e accolte con entusiasmo le ultime direttive del partito. Tutti han¬ no la netta impressione che ci si avvicini alle battaglie decisive. Tra il sabato e la domenica vengono diffusi a migliaia di copie due manifestini. Uno del comitato di agitazione ed uno della Fede¬ razione. Il lunedì 19 giugno, lo sciopero continua compatto alla Mirafiori. Il 20% degli operai non si è presentato negli stabilimenti. Gli altri sono in fabbrica, ma non lavorano. L’entusiasmo è anco¬ ra
più grande che al primo giorno dello sciopero. Le trattative la commissione operaia
e la direzione continuano sino a mez¬ rivendicazioni economiche e sul proble¬ zogiorno, ma delle macchine. La direzione lascia intendere che, se gli operai cedono sulle macchine, la direzione potrebbe accogliere alcune rivendicazioni economiche come il pagamento in due tempi delle
tra
esse
vertono
su
27 Riassunto del discorso tenuto da V. Valletta agli operai della Fiat Mirafiori il 17 giugno 1944. Archivio delle Brigate Garibaldi e dell’INSML,
Milano.
421
192 ore, l’aumento di 300 lire al mese per caro-vita, l’anticipo di 1.500 lire. La commissione insiste nel dire che il problema fon¬
damentale è quello delle macchine. Nel pomeriggio, comizio generale
alPinterno dello stabilimento parla un compagno riferendo sulle trattative in corso e in¬ citando gli operai alla lotta. La direzione convoca una riunione alla quale partecipano i capi-officina, i capi-reparto, i capi-squadra ove
ed invita una rappresentanza operaia di tutte le officine. Gli ope¬ rai declinano l’invito. Alla presenza di 120 persone parlano il professor Valletta ed un colonnello tedesco. Valletta dice: « Verranno fatte concessioni economiche a condizione che gli operai non oppongano resisten¬ za, anzi aiutino la direzione a smontare ed a spedire le macchine. » TI colonnello tedesco aggiunge: « Alla Germania occorrono di urgenza le macchine; il lavoro di smontaggio deve cominciare do¬ mattina. Se gli operai si oppongono impiegherò la forza e farò venire gli operai della Todt. » « Rispondendo all’appello della Federazione del PCI, gli operai delle principali fabbriche torinesi entrano in lotta. Si sciopera al¬ la Fiat Lingotto, alle Ferriere Fiat, alla Riv Centro, alla Rasetti, alla Cimat, alla Fiat Grandi Motori, alle Acciaierie Fiat, all’Arse¬ nale, nei tre stabilimenti della Riv, alla Spa ed in altri stabilimenti. »28 lì CLN della Fiat Mirafiori lancia il seguente appello: « Ope¬ rai, tecnici, impiegati! La belva nazista braccata da ogni parte, nel suo affannoso tentativo di raggiungere la tana, spoglia di ogni bene i paesi che attraversa. Nel toglierci i mezzi di produzione, i nazisti tentano di eludere la vostra avversione alla deportazione
forzata, obbligandovi,
per
non
morire di
fame,
chine in Germania. Ricordatevi che le macchine sono
i nostri mezzi di vita,
nostra «
A
i
senza
quali
non
seguire le
a e
mac¬
le attrezzature
potrà
avvenire la
ripresa.
qualsiasi
tentativo di asportare le macchine
rispondete
con
la resistenza attiva e passiva. Manifestate, scioperate, ma non ab¬ bandonate le officine! E se i moderni barbari usano le armi, rovi¬ nate le macchine, fate di ognuna di esse una trincea. Ricordatevi che
non
siamo soli! »29
Dal rapporto della segreteria della Federazione Comunista di Torino del 23 giugno 1944, Dieci giorni di sciopero a Torino e provincia. Archivio delle Brigate Garibaldi. 28
29
422
Archivio delle
Brigate Garibaldi
e
dellTSRP, Torino.
viene pure indirizzato ai tecnici, direttori, capi-re¬ parto, capi-officina, capi-squadra per metterli di fronte alle loro responsabilità. L’appello non rimane senza risultato. Il giorno
Un
appello
dopo, gli impiegati abbandonano Mirafiori oratore
dopo
è
che
arrestato
in
di loro ha
uno
poche
ore
stabilimenti della ad essi. L’impiegato
gli
massa
parlato
dopo.
Vengono diffuse 10.000 copie dell’ordine del giorno n. 8 del¬ Brigate Garibaldi ed un manifestino della Federazione del PCI che mette in guardia gli operai dal pericolo della deportazione in massa. Vengono impartite disposizioni per la difesa. Dapper¬ tutto si chiedono armi. « La parte più avanzata degli operai è di¬
le
sposta tita la
a
la mancanza di armi dell’azione gappista. »
battersi,
mancanza
ma
crea
incertezza. È
sen¬
All’indomani, martedì 20 giugno, lo sciopero continua com¬ patto alla Mirafiori. Alle 10 i lavoratori si riuniscono in due co¬ mizi ove gli oratori applauditi incitano alla lotta. Alle 10,30 ar¬ rivano una ventina di militari tedeschi i quali, dopo aver disar¬ mato i carabinieri, entrano all’officina n. 17 sparando una serie di salve. Gli operai sono sconcertati, ma a nulla valgono le esor¬ tazioni del direttore Genero, né le minacce dei tedeschi: essi si rifiutano di riprendere il lavoro. Vengono introdotti gli operai della Todt che iniziano lo smontaggio delle macchine. In seguito all’intervento dei tedeschi ed alla sparatoria, si for¬ mano tra gli operai due correnti: una per la continuazione dello sciopero sino a lunedì 26 senza rientrare in fabbrica, l’altra per la continuazione dello
sciopero rimanendo all’interno degli
sta¬
bilimenti. Mercoledì 21, lo sciopero continua compatto alla Mirafiori nelle altre fabbriche e si estende ancora.
e
Il comando tedesco ordina la serrata in tutti gli stabilimenti è in corso lo sciopero. Il morale degli scioperanti è alto. Si
ove
l’intervento dei gappisti. Giovedì 22 giugno, ha luogo un massiccio bombardamento
chiedono armi
reo.
e
La Mirafiori è
strutta.
ae¬
l’officina 17 è rimasta semidi¬ Il fatto che le bombe abbiano colpito a segno ha susci¬
tato ottima
stata centrata e
impressione
tra
gli operai.
Venerdì 23 giugno, lo sciopero continua è ancóra esteso ad altri stabilimenti
tra
Martiny, la Michelin, la Samma. In
i
un
pressoché totale e si quali la Fiat Ricambi, la rapporto, steso dopo lo
sciopero dal colonnello Giovanni Cabras, comandante provinciale 423
della GNR, si dà Teleria) delle aziende in sciopero 100.000 scioperanti già al martedì 20
e
la cifra di
giugno.30
Sabato 24 lo sciopero continua compatto. I comitati di agita¬ zione deila Fiat Mirafiori, Riv, Centro e Lingotto inviano una lettera al CLN del Piemonte, protestando per il fatto che, dopo
giorni di lotta unitaria degli operai in difesa del patrimonio nazionale, Torganismo che dovrebbe dirigere la lotta di Libera¬
otto
non abbia sentito il dovere di fare appello alle altre forze sociali e politiche affinché appoggino la lotta degli operai. Il CLN regionale si era in quei giorni riunito più volte, ma purtroppo si era trovato profondamente diviso di fronte allo scio¬ pero. Partito comunista e Partito d’Azione erano favorevoli sen¬
zione
za
riserve, i rappresentanti del partito liberale lo
con
qualche esitazione,
nettamente contrari erano
erano
quelli
pure,
ma
del PSIUP
della DC. Finalmente, il sabato 24, un intervento del segreta¬ rio della Federazione torinese del PSIUP valse a fare superare e
resistenze e indecisioni e, nel giorno stesso, venne diffuso in 20.000 copie un manifesto firmato dal partito comunista e dal partito socialista e, il giorno dopo, un manifesto a nome del CLN di solidarietà con i lavoratori in lotta. Il lunedì 26 giugno il comando tedesco revocava la serrata ed ordinava la ripresa del lavoro; ma il 27 ed il 28 lo sciopero continuava ancora. Le commissioni operaie discutevano con le di¬ rezioni dei rispettivi stabilimenti le condizioni della ripresa del lavoro. Alla Fiat Mirafiori veniva concesso T8% di aumento ai percentualisti, il pagamento delle 96 ore quale anticipo delle 192 di fine d’anno, furono accordate molte licenze agricole e le ferie agli operai che ancora non le avevano avute. Continuava però l’esodo delle macchine dall’officina 17, ma il sabotaggio era lar¬ gamente ed intelligentemente applicato non solo alle macchine, ma anche ai mezzi di trasporto. La direzione ha rivolto un appello parte di loro accetti di partire per la Gar¬ desana, ma soltanto una ventina accettano. Viene comunicato che la revoca degli esoneri è prorogata di un mese. Anche negli altri stabilimenti vengono accordate con¬ cessioni salariali e gli operai riprendono gradatamente il lavoro.
agli operai perché
una
I comitati di agitazione non avevano dato l’ordine di ripresa si¬ multanea del lavoro per dare modo alle commissioni di ogni fab¬ 30 Relazione in data 19 luglio 1944 del colonnello Giovanni Cabras, comandante provinciale della GNR, al comando generale della GNR. Ar¬ chivio dell’ISRP, Torino.
424
brica di
trattare
con
le direzioni ed
ottenere
il massimo di
con¬
cessioni. Gli operai della Fiat e delle grandi officine torinesi avevano combattuto un’altra coraggiosa battaglia durata ben dieci giorni contro i tedeschi, in difesa della loro vita e del patrimonio nazio¬ nale. Non erano mancate lacune e debolezze, gli operai erano ri¬ masti in certo senso « isolati », non avevano avuto la larga soli¬ darietà di tutti i ceti sociali come nel marzo, erano mancate le azioni gappiste e partigiane in concomitanza con la lotta operaia, i dissensi e le esitazioni verificatisi in seno al CLN regionale ave¬ vano avuto la loro influenza. Tuttavia si trattò di una lotta di grande importanza la cui esperienza venne immediatamente ela¬ borata e popolarizzata con direttive precise ai lavoratori delle al¬ tre città industriali.31 In luglio gli operai della Fiat Mirafiori rivolsero una lettera aperta al signor Valletta, diffusa a migliaia di esemplari. Continuavano alla Mirafiori le pressioni per indurre gli operai ad andare a lavorare sulla Gardesana, ove lavoravano secondo le informazioni 6.000 operai in gallerie in condizioni massacranti. Metà di quegli operai erano stati « rastrellati » a Genova, e colà deportati al lavoro forzato. La direzione della Fiat Mirafiori minacciava dei licenziamenti per costringere gli operai ad arruolarsi per la Gardesana; una com¬ missione operaia va a chiedere spiegazioni. Il giorno lì agosto la direzione riceve la commissione ed assicura che non vi saranno licenziamenti. Alla Fiat Lingotto vi è una fermata di lavoro di 45 minuti per protesta contro il ritardo nel dare l’allarme aereo. Il 24 agosto le maestranze della Fiat Mirafiori effettuarono compatte una fermata di lavoro di tre quarti d’ora in segno di solidarietà col popolo di Parigi insorto vittoriosamente contro l’op¬ pressore nazista. In tutte le officine della Mirafiori è stato
do solo:
Viva il popolo di Parigi. Durante la sospensione del lavoro «
un
gri¬
»
gli operai hanno portato nel refettorio una grande corona di fiori con un nastro tricolore ab¬ brunato e il nome di un operaio della fabbrica impiccato dai te¬ deschi alcuni giorni prima a Torino. In una cassetta posta ai 31 L’azione gappista era stata insufficiente perché l’organizzazione dei GAP era stata duramente colpita in precedenza da numerosi arresti e fu¬ cilazioni. L’esperienza della lotta degli operai torinesi venne popolarizzata e su « l’Unità » e su « La Nostra Lotta », con le direttive per la lotta contro le deportazioni. Né un uomo, né una macchina per la Germania, in « La Nostra Lotta», n. lì, 10 luglio 1944.
425
piedi della
raccolte offerte
corona sono state
degli operai
per aiu¬
tare la
famiglia. Prosegue Fazione
canza
ture e
di sabotaggio. Alla Fiat Lingotto, e per man¬ del materiale e per il sabotaggio, la produzione delle vet¬ dei camioncini è fortemente diminuita.
La lotta
contro
il terrorismo
Se nelle fabbriche i lavoratori lottavano con le agitazioni, gli il sabotaggio, le formazioni partigiane alle porte della città ed i gruppi gappisti, riorganizzati dopo la crisi del maggiogiugno, non stavano fermi ed agivano ogni giorno nelle stesse vie centrali di Torino. Tedeschi e fascisti rispondevano col terrore, le rappresaglie, la tortura e la fucilazione dei prigionieri, degli ostaggi e di quanti altri patrioti capitavano nelle loro mani. Kesselring, battuto e messo in fuga dagli Alleati, assalito alle spalle ed ai fianchi dai partigiani, colpito da ogni parte dalle azioni dei patrioti, ricorreva al terrorismo contro la popolazione italiana. Era l’ultima arma che gli rimaneva. Ma l’arma del ter¬
scioperi,
rorismo poteva
lì
essere
spezzata dall’azione.
lo si può spezzare solo con l’azione forte e imme¬ diata, con l’azione decisa di massa. È un errore pensare che, su¬ bendo passivamente, si possa calmare l’ira della belva ferita mor¬ talmente e assetata di sangue. Solo rafforzando la lotta, assestan¬ do sempre nuovi, più potenti colpi al nemico, solo con la parteci¬ pazione di masse sempre più larghe all’azione, spezzeremo l’arma «
terrore
del terrorismo. »32 lì 30 agosto sei
operai venivano fucilati
a Torino dai nazifascisti; del IV settore, al mattino del 31 ago¬ per iniziativa dei compagni sto veniva diffuso tra i lavoratori degli stabilimenti Fiat un ap¬ pello del comitato di agitazione: « A tutte le maestranze degli
stabilimenti Fiat! Ieri all’alba i nazifascisti hanno fucilato sei operai, i nostri mi¬ difensori della libertà e dell’avvenire del popolo italiano. In segno di lutto e di protesta contro questa nuova in¬ famia, invitiamo oggi tutte le maestranze ad una fermata di la¬ «
gliori compagni,
voro
di
tre
quarti d’ora dalle 12,30 alle 13,13. Lavoratori
solidali al fraterno
32 33
426
appello.
Il Comitato di
Agitazione.
« La Nostra Lotta », n. 14, 25 agosto 1944. Archivio delle Brigate Garibaldi e dell’ISRP, Torino.
»33
siate
Tutte le maestranze degli stabilimenti Fiat Mirafiori, Lingotto, Grandi Motori, Riv, Officine Metallurgiche, attuavano compatte la fermata di lavoro osservando un commovente silenzio assoluto nei reparti, durante i tre quarti d’ora di arresto del lavoro. Intanto si studiava la possibilità di un’azione generale di massa contro il terrorismo e le fucilazioni. In una lettera della direzio¬ ne del PCI per l’Italia occupata alla Federazione di Torino, in data 5 settembre, si legge: « ...Non è possibile condurre una gran¬ de agitazione contro le fucilazioni e le impiccagioni? Perché non
lanciare dei manifesti-ultimatum in cui si intima al nemico il ba¬ sta e si
invitano
gli operai
a
scioperare
non
appena ci
saranno an¬
delle fucilazioni? Qui a Milano la settimana scorsa hanno ri¬ nunciato a fucilare 20 persone, la cui fucilazione era già stata ostentatamente annunciata sui giornali del giorno prima. È voce pubblica che i tedeschi vi abbiano rinunciato per il timore che tale fucilazione avrebbe potuto scatenare lo sciopero insurrezio¬ nale. Informazioni avute confermano tali voci, il che indica che essi non si sentono sicuri. »34 35LÌ 25 settembre alla Fiat Mirafiori ed alla Lingotto nuovo scio¬ cora
pero di mezz’ora per protestare contro altre fucilazioni; infine, il 28 settembre, si ha la prima grande manifestazione contro il ter¬ rore e
cise
il ripetersi delle fucilazioni di patrioti in città. Alle 10 pre¬
gli operai, gli impiegati,
i tecnici della Fiat Mirafiori effettua¬
sciopero; abbandonato il lavoro si riversarono nel refettorio più grande ove un compagno tenne un breve discorso. « lì discorso caldo, unitario, incitante alla lotta fu interrotto più volte da vivi applausi, gli operai avevano le lacrime agli occhi. Quando il compagno dopo il breve comizio scese dal tavolo, i vano
un’ora di
rappresentanti di tutti i partiti si precipitarono per arrivare primi stringergli la mano, dichiarando a quale partito appartenevano. Ognuno voleva salutarlo e complimentarlo. »3:5 La fermata di lavoro si estese a molte altre fabbriche. In corso Vercelli fermarono pure i tram. Gli operai rispondevano al ter¬ rorismo accentuando il sabotaggio della produzione bellica e le agitazione economiche, rivendicative. All’inizio di settembre, la direzione della Fiat Mirafiori comuni¬ cava che era concesso ai lavoratori un prestito di 750 lire agli
a
34
Lettera di Vineis (Pietro Secchia) a nome della direzione del PCI per l’Italia occupata, 5 settembre 1944, alla Federazione Comunista di To¬ rino. Archivio delle Brigate Garibaldi. 35 Rapporto della Federazione Comunista di Torino in data 1° ottobre 1944, richiamato anche da R. Luraghi, op. citp. 264. Archivio delle Bri¬ gate Garibaldi.
427
uomini
e
di 500 lire alle donne, più 200 lire per la
100 lire per
ogni figlio
rimborsato
re
comitato di
le
con
a
trattenute
agitazione
moglie
e
prestito avrebbe dovuto esse¬ progressive sulle paghe mensili. Il
carico. Il
inviò
una
commissione per protestare
con¬
ed ottenne dalla direzione di poter rimborsare .il prestito soltanto alla fine della guerra. Alcune settimane dopo, persistendo il malcontento e l’agitazione, la direzione della Fiat tro
trattenute
concesse un premio straordinario per ogni capofamiglia, 2.000 agli scapoli
il caro-vita di 3.000 lire ad e 1.000 lire ai giovani in¬
feriori ai 18 anni. Continuavano però le pressioni da parte della direzione Fiat per¬ ché gli operai accettassero di andare a lavorare sulla Gardesana.
I lavoratori dell’officina 17 (che si trovavano a casa con il 75% dello stipendio) erano già stati convocati una volta il 18 settem¬ bre, lo furono nuovamente alla fine del mese, dal direttore Gene¬ ro che li invitò a partire. Tutti rifiutarono. Egli comunicò loro che i tedeschi avevano richiesto 300 uomini entro due settimane e, qualora non fossero stati dati, li avrebbero scelti a sorte tra 2.000
operai. Alle
minacce ed alle intimidazioni il
signor Genero
anche la carota assicurando gli operai che alla Gardesana avrebbero avuto un ottimo trattamento: vitto, alloggio, lavatura 196 ore al momento del¬ e stiratura gratis, un’indennità pari a la partenza; alle famiglie, su delega dell’interessato, sarebbe stata corrisposta una settimana di 48 ore e, alla fine di ogni mese, 1.000 lire di regalia. Ad ogni rinnovo di contratto per altri tre uni
mesi sarebbe stato Gli
operai
non
corrisposto
un
si lasciarono
premio di
commuovere
1.000 lire.
da
tante
in tutti sempre più forte la persuasione della accentuare la vigilanza per essere pronti a reagire ai ma
era
deportazione. Infatti, gli
arresti
non
si fecero attendere. I
promesse, necessità di tentativi di
patrioti più attivi
considerati « sobillatori » venivano ogni giorno « prelevati » all’uscita degli stabilimenti o per lo più nelle loro case durante la notte. Alla sera dell’lì ottobre, in seguito allo scoppio di alcune bombe, alle ore 21, nell’albergo dei Tre Re (in piazza Statuto, an¬
e
via Cibrario), che provocarono la morte di alcuni tedeschi, i nazisti fucilarono sul posto 9 patrioti, alcuni dei quali prelevati
golo
dalle carceri, tra di essi i compagni Battista Gardoncini, coman¬ dante la lì divisione Garibaldi, e Pino Casana, capo dei servizi di polizia della stessa divisione. I cadaveri vennero lasciati per oltre 24 ore esposti sul luogo del massacro. Grande indignazione tra la popolazione. 428
Già all’indomani del
vi furono in diverse fabbriche fermate di lavoro che si susseguirono nei giorni seguenti. Dal 16 massacro
al 19 ottobre vi furono scioperi di due ore alla Fiat Mirafiori, al¬ la Lingotto, alla Grandi Motori, alle Officine Metallurgiche, alle Ferriere Piemontesi, alla Riv, alla Michelin, alla Rasetti, alla Westinghouse, alle Officine Savigliano ed in molte altre fabbriche.36 I funerali dei patrioti ebbero luogo nella camera mortuaria del ci¬ mitero con la partecipazione di notevole folla. Vi furono anche delle manifestazioni di strada. Il 19 ottobre, durante lo sciopero, il professor Vailetta ricevet¬ te una rappresentanza degli operai di tutte le sezioni Fiat, pre¬ senti anche alcuni impiegati. Dopo un breve preambolo di Vai¬ letta, parlò un delegato della Grandi Motori che espose le condi¬ zioni di terrore in cui gli operai erano costretti a lavorare e pro¬ pose un minuto di silenzio in onore alle vittime della barbarie fascista. Dopo il minuto di raccoglimento, Valletta assicurò di es¬ sersi interessato personalmente delle fucilazioni che egli disappro¬ vava nel mondo più fermo, però disapprovava anche le continue fermate di lavoro. Poiché era al corrente che anche le altre sezio¬ ni Fiat avevano scioperato, diede disposizione affinché fossero immediatamente informati il comando tedesco e quello italiano delle avvenute fermate del lavoro. Alla Fiat Grandi Motori ebbe luogo un comizio dove parlò bre¬ vemente un
nale
giovane alla
presenza anche
degli impiegati
e
perso¬
dirigente.
Il 29 ottobre, alcuni giovani del Fronte della Gioventù depo¬ una corona di fiori in via Cibrario dove era avvenuta la fucilazione dei nove partigiani. La corona rimase sul posto per nevano
circa un’ora, accanto ad essa, di guardia, i giovani armati. Al 2 novembre vi fu al cimitero una grande manifestazione di
fronte
a
nastro
rosso
di persone. Vennero deposte corone di fiori col sulle tombe di Giuseppe Bravin, l’eroe gappista, di Battista Gardoncini e di Pino Casana, i due comandanti partigiani. Sui nastri v’era la scritta: « I garibaldini ai loro comandanti », « I su quella di Bravin: comunisti della Fiat Mirafiori. » Altre corone furono deposte sulle tombe di partigiani e patrioti cadu¬
migliaia
ti. Un operaio della Fiat Grandi Motori, Alfio Basaglia, parlò ai lavoratori e ai cittadini presenti mentre gruppi di giovani gappisti e sappisti vigilavano in armi per impedire l’intervento dei fascisti.
36
Da
«
lì Grido di
1TSRP, Torino.
Spartaco
»,
Torino,
1° ottobre
1944. Archivio del-
429
Nel cimitero ma
non
erano
presenti nuclei di brigatisti neri della Muti,
si azzardarono ad intervenire.37
Molti mazzi di fiori
con nastri rossi e tricolori vennero pure davanti alla casa di via S. Bernardino 14, dove era caduto deposti l’eroe Dante Di Nanni.
Al mattino del 7 novembre vi furono nuove fermate di lavoro alla Fiat Mirafiori, alle Ferriere, alla Spa, alla Lancia, alla Riv ed in altri stabilimenti per solennizzare l’anniversario della rivoluzione russa.
Il mattino del sabato 18 novembre, improvvisamente, alla Fiat Mirafiori ed alla Lingotto la direzione affigge un comunicato an¬ nunciarne che per ragioni « urgenti » gli operai avrebbero dovuto lavorare nel pomeriggio della giornata stessa ed anche al mattino della domenica portando le ore settimanali da 48 a 56. Le ragio¬
urgenti consistevano nelle pressioni del comando tedesco, il quale protestava poiché la produzione era scesa al minimo. ni
Il comunicato crea vivo fermento tra gli operai, le cellule co¬ muniste mobilitano immediatamente i comitati d’agitazione i qua¬ li decidono la cessazione del lavoro alle ore 13 come avveniva ogni sabato. I lavoratori compatti abbandonavano tutti il lavoro a tale ora e non si ripresentavano che al lunedi, malgrado la dire¬ zione Fiat si fosse impegnata
a
pagare le
ore
straordinarie.
Al mattino del 20 novembre il prefetto convocò una riunione quale parteciparono, oltreché il capo della provincia, diri¬ genti militari e politici tedeschi e fascisti. Furono decise e comuni¬ cate le seguenti misure: alla
1)
della Fiat Mirafiori e delle Fonderie Lingotto da martedì 21 novembre;
serrata
correre
2)
a
de¬
occupazione militare dei due stabilimenti;
3) sospensione della paga
agli operai
per tutta la durata della
serrata; 4)
pattugliamento
in
forza delle
vie cittadine
truppe fasciste e presso gli stabilimenti visione fascista Leonessa; 5) cenno
delle armi di protesta;
uso
contro
gli operai
con
con
reparti di
carri armati della di¬
ed i cittadini al minimo
ac¬
37 Da un rapporto della Federazione Comunista di Torino (Alfredo), in data 3 novembre 1944 alla direzione del PCI per l’Italia occupata. Archi¬ vio delle Brigate Garibaldi.
430
re
6) il questore dirigerà le stesse.38
manovre
di
applicazione
Era evidente che i tedeschi ed i fascisti
tentavano
delle misu¬ di
approfit¬
stasi delle operazioni militari, della situazione contingente proclama di Alexander, difficoltà accresciute dall’inverno incom¬ bente per scatenare un’offensiva contro gli operai e le forze patriottiche. Nel manifesto fatto affiggere dal prefetto, si rim¬ proverava agli operai di ricorrere frequentemente allo sciopero, si minacciavano rappresaglie verso i « sobillatori » e si promette¬ vano condizioni di favore verso gli operai che si « dimostrassero disciplinati ». Il triumvirato insurrezionale diretto da Arturo Co¬ lombi si riunì immediatamente, lanciò un manifesto invitante i lavoratori ed i cittadini a solidarizzare con gli operai della Fiat colpiti dalla serrata. Non venne data immediatamente la parola d’ordine dello sciopero generale perché era indispensabile una certa preparazione, ma vennero mobilitati l’organizzazione del partito ed i comitati di agitazione, lanciata una sottoscrizione tare
pubblica
per aiutare gli operai serrati (la Federazione Comunista stanziò subito un milione e mezzo). Fu deciso di richiedere al
CLN adeguata sottoscrizione
e di esigere dalla direzione della Fiat il pagamento delle giornate di serrata. Furono mobilitate le for¬ mazioni gappiste e sappiste allo scopo di poter prontamente rea¬ gire alle azioni terroristiche dei tedeschi e dei fascisti.
I comitati di agitazione delle officine Fiat convocano immedia¬ il giorno 22 una conferenza allo scopo di studiare la intensificazione della lotta contro la fame, il freddo e il terrore nazifascista. tamente per
Alla conferenza partecipano 35 operai rappresentanti i diversi stabilimenti Fiat con un complesso di 50.000 lavoratori. È pre¬ sente anche una rappresentanza degli impiegati. Di questi delegati dei comitati di agitazione, 23 erano comunisti, 4 socialisti, un democristiano, un membro del Partito d’Azione e 6 senza partito. Un rappresentante del comitato provinciale di agitazione svolse la relazione sul tema: Le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e la lotta contro la fame ed il terrore nazifascista. Dopo un’animata discussione alla
gati,
venne
approvato
un
quale parteciparono quasi
ordine del giorno ed
un
tutti i dele¬
cahier di riven¬
dicazioni.
38 Informazioni da Torino. Vedere anche lettera in data 30 novembre 1944 del colonnello Cabras, comandante la GNR di Torino. Archivio del1TSRP, Torino.
431
Venne nominata una commissione che chiese di essere ricevuta dal professor Valletta. L’incontro ebbe luogo il giovedì 23 alle
negli uffici della Fiat Ferriere. Erano presenti i rappresen¬ tanti delle sezioni Mirafiori, Lingotto, Grandi Motori, Acciaierie,
ore
17
Fonderie Ghisa, Aeronautica, Microtecnica, Riv, Ricambi riere. In seguito ad un dissenso sorto, non era presente socialista
capo Fiat
non
avesse
e
Fer¬
nessun
poiché questi ritenevano che la direzione della alcuna responsabilità circa la serrata imposta dal¬
le autorità nazifasciste. I
delegati
1)
presentarono due richieste:
nessuna
gli operai devono
rappresaglia deve esser esercitata nei confronti de¬ colpiti dalla serrata, le giornate di serrata
della Fiat
essere
pagate dalla Fiat;
2) la direzione della Fiat deve intervenire affinché arrestati siano scarcerati.
gli operai
II professor Valletta trattò gli operai in modo formalmente cor¬ diale, rispose che la direzione della Fiat non aveva alcuna respon¬ sabilità sulla serrata, che questa era stata un colpo di forza delle autorità germaniche e fasciste, fece rilevare che gli operai aveva¬ no compiuto un grave errore poiché la loro azione era stata intem¬ pestiva. I delegati risposero che gli operai erano contrari all’au¬ mento delle ore lavorative. Vailetta ribattè che, pur non essendo in sua facoltà prendere alcuna decisione, si sarebbe interessato per dare soddisfazione agli operai, ma che ciò egli avrebbe fatto sol¬ tanto dopo la ripresa del lavoro, non poteva farlo prima « per ra¬ gioni tattiche ». Volle dare una lezione di tattica agli operai di¬ cendo loro che bisogna sempre saper scegliere il momento per im¬
postare delle agitazioni o degli scioperi. Lo è come una pistola scarica puntata contro
sciopero
osservò
avversario che non si preme il grilletto e
un
le condizioni della pistola, ma se l’avversario si accorge della inefficienza, allora può prendere il sopravvento. Gli fu risposto che la pistola era carica e che se gli operai aves¬ sero fatto scattare il grilletto l’avversario se ne sarebbe accorto e sarebbe stato duramente colpito. conosce
Poiché il colloquio si era concluso con nulla di concreto, il co¬ d’agitazione provinciale decise di chiamare gli operai di tutte le fabbriche allo sciopero per mercoledì 29, benché l’ulti¬ mo giorno di serrata fosse il 28. Alle 10,30 del 29, le principali fabbriche della città erano ferme e gli operai inviavano delle delegazioni alle rispettive dire¬ mitato
432
zioni per comunicare che essi erano solidali con i lavoratori « ser¬ rati » della Mirafiori e della Lingotto e chiedevano che fossero indennizzati e venissero rilasciati gli arrestati. In quei giorni cen¬ tinaia di lavoratori erano stati arrestati. Il giorno dopo scioperava anche l’Aeronautica e nel complesso la manifestazione di solidarietà era riuscita in pieno, in modo uni¬ tario con la partecipazione attiva dei compagni socialisti (gli scre¬
giorni prima erano stati superati nel fuoco della lotta) e dei lavoratori di tutte le correnti. Molti degli arrestati vennero rila¬ sciati subito, altri alla spicciolata nei giorni seguenti. Anche questa forte lotta dei lavoratori si chiudeva ancora una volta con il pie¬ no successo. Il comitato d’agitazione provinciale inviava una let¬ tera al CLN per il Piemonte per denunciare l’atteggiamento anti¬ nazionale di molti industriali e particolarmente del professor Vailetta. Alcuni giorni dopo, il CLNP indirizzava al direttore generale della Fiat la lettera che qui riproduciamo: « A questo CLNP so¬
zi dei
no
vo
pervenute circostanziate denunce di fatti che mettono in rilie¬ la Sua attività contraria alla lotta di Liberazione alla quale par¬
tecipa la parte migliore del popolo italiano, dalle classi lavoratrici alle valorose formazioni partigiane. Riteniamo che tutte le classi sociali debbano sentire il dove¬ di partecipare alla lotta con quelle forme varie applicabili al¬ l’attività che ognuno esplica e confidavamo quindi che la Sua «
re
persona si ispirasse
a
questi principi.
della serrata, il Suo atteggiamento nei con¬ fronti delle commissioni di fabbrica ha deluso questa fiducia ed ha creato nelle masse un’opposta convinzione. Inoltre le condi¬ «
L’episodio recente
zioni di vita fatte tuttora ai lavoratori, assolutamente inadeguate necessità economiche del momento, non depongono a Suo
alle
favore. « La Fiat non ha ancora provvisto, attraverso all’organizzazio¬ ne dei suoi spacci, ad un sufficiente approvvigionamento alimen¬ tare; come pure, malgrado le intenzioni manifestate tempo addie¬ tro, non si è adoperata per risolvere il problema dei combustibili. « Se a questi fatti si aggiunge quello più grave della collabora¬ zione data in modo tangibile agli occupanti tedeschi ed ai fascisti con l’aumento verificatosi nella produzione di guerra nei due tra¬ scorsi mesi e se si tiene ancora presente le pressioni continue eser¬ citate da parte Sua perché questo incremento della produzione sia
ad un livello ancora maggiore, senza dubbio il Comitato di Liberazione deve considerarla un nemico della causa nazionale. « Gli svolgimenti futuri della Sua attività saranno più minuportato
433
ziosamente controllati
vagliati e, ove questo nostro richiamo inefficace, il CLN sarà costretto ad assumere quei provvedimenti che lo stato delle cose e la condizione
dovesse
tutti
e
risultare
della lotta fino alla vittoria finale impongono. » Con gli scioperi e le agitazioni i lavoratori avevano raggiunto il loro pr'ncipale obiettivo di assestare un forte colpo alla mac¬ china bellica nazista col sabotaggio della produzione, la quale era fortemente discesa dal 1943 alla fine del 1944 (un lieve au¬ mento lo si era avuto soltanto negli ultimi due mesi in seguito al¬ le forti pressioni dei tedeschi e della direzione Fiat). La produ¬ zione unità si era
degli
autocarri alla Fiat Mirafiori era passata da 422 a 250 carri armati alla Spa da 33 a 22 e poi gradatamente ridotta a poche unità. Nel corso delPinverno,
mensili, quella dei
la produzione alla Mirafiori precipiterà al di sotto di 10 auto¬ carri al giorno invece dei 70 quotidiani del 1943. Lo stesso crol¬ lo, all’inclrca, si era avuto negli altri stabilimenti della Fiat e delle diverse aziende. Il 2 dicembre il professor Vailetta convocava il « gran consi¬ glio » della direzione Fiat per discutere della crisi di produzione, di lavoro, di materie prime e dei trasporti, per esaminare la neces¬ sità di addivenire a dei licenziamenti i quali secondo le parole « dovranno essere fatti con di Valletta criteri di selezione quei
già
in
precedenti rapporti illustrati,
maestranza
per
salvaguardare
anzitutto la
anziana, quella buona d’anteguerra. A tale fine
occorre
al più presto
compilare degli elenchi ». Parlando «in confidenza», Vailetta avrebbe dichiarato che la Fiat si trovava in difficoltà, con un miliardo di debiti, a trovare nuovi crediti, che la scarsissima produzione degli operai non era neppure a coprire le spese per i salari. Un altro degli argomenti il fu quello di organizzare trattato nella riunione anzi, primo la difesa attiva e passiva degli stabilimenti e dei magazzini, ma non nei confronti dei tedeschi, bensì nell’eventualità di colpi di mano sufficiente
da parte dei partigiani. I tedeschi ed i fascisti lo esigevano e il professor Vailetta, ossequiente, ubbidiva. La difesa attiva degli stabilimenti sarà affidata ai militi fascisti delle brigate nere, alle guardie repubblichine e ai sorveglianti diretti da ufficiali tedeschi delle SS. Dev’essere in proposito osservato che l’Ufficio controsabotaggi del SMRP aveva predisposto la difesa e la salvezza degli impianti industriali dalle distruzioni dei tedeschi, prendendo le necessarie misure dentro e fuori gli stabilimenti. « In tutti i casi », scrive l’ingegner Sergio Bellone (Claudio), «le direzioni degli stabilimenti collaborarono attivamente per la difesa e la salvaguardia e
prelevamenti
434
degli impianti: eccezione unica il direttore generale della Fiat, il quale, sin dal dicembre 1944, si dimostrò avverso all’armamento di squadre operaie. A metà dicembre vi fu un ulteriore tentativo fascista di colpire 39
»
la resistenza della classe operaia con la decisione di abolire l’in¬ dennità di guerra che veniva corrisposta nella misura di 25 lire al giorno. Alla Fiat il 70% dei lavoratori guadagnava in media da 9 lire a 9,50 all’ora, l’abolizione dell’indennità di guerra non po¬ teva assolutamente essere sopportata. In tutti gli stabilimenti si creò immediatamente un vivo fermento. Il 24 dicembre, vi fu una prima manifestazione di donne, poi iniziarono fermate di lavoro
agitazioni parziali che si susseguirono durante i mesi di gennaio e di febbraio.
e
nei diversi stabilimenti
Il comitato di agitazione provinciale studiò l’opportunità di organizzare uno sciopero generale, ma l’opinione prevalente fu quella di temporeggiare per non provocare una reazione nazifa¬ scista in una fase delicata della preparazione insurrezionale. La Fiat propose agli operai l’aumento del salario di una lira all’ora purché lavorassero di più e portassero la produzione a 700
carri armati mensili. I lavoratori rifiutarono compatti dicendo che essi non erano disposti, per un pezzo di pane, a collaborare con i
tedeschi. Per tentare di frenare la spinta ogni giorno crescente, il fasci¬ smo fece la sua ultima trovata decidendo « la socializzazione della Fiat e delle grandi aziende ». Ma la demagogica trovata non pote¬ va più ingannare nessuno e finì miseramente nel ridicolo. Ai pri¬ mi di marzo, dovevano aver luogo negli stabilimenti le elezioni degli « esperti », i quali avrebbero dovuto costituire « le libere amministrazioni operaie delle aziende », al posto dei padroni. Durante tre giorni, dal 6 all’8 marzo, i quotidiani di Torino
pubblicarono
in evidenza
pressanti appelli perché gli operai andas¬
Fu per i fascisti un’altra clamorosa sconfitta. Alla Fiat Mirafiori su 14.000 dipendenti vi furono 13.953 astenuti e 47 schede valide; alla Fiat Lingotto su 4.000 operai
sero
e
a
votare.
impiegati vi furono 3.953 astenuti, 38 schede bianche e 9 sche¬ valide, e così, all’incirca, furono i risultati in tutti gli altri sta¬
de
bilimenti. Complessivamente,
su
32.676
dipendenti
delle azien¬
39 Ingegner Sergio Bellone, già comandante della Brigata Garibaldi Ca¬ priolo, dirigente dell’ufficio sabotaggio e controsabotaggio del CLN di To¬ rino. Collaboravano con lui gli ingegneri Calenti, Rivetti e il professor Zin. Vedere La salvezza degli impianti industriali in Piemonte, in « Rinascita »,
n.
4, aprile 1955.
435
de Fiat, che
avevano
partecipato alle elezioni, soltanto
espresso voto valido. Tre giorni dopo il voto, ITI le Acciaierie, le Ferriere, la
405
ave¬
vano
marzo, alcuni
stabilimenti Fiat
Grandi Motori
si mettevano per ottenere le rivendicazioni economiche da tempo presentate. Alla Fiat Mirafiori ed alla Lingotto gli operai stavano in
sciopero
scendere in sciopero quando la direzione fece prontamente la corrente elettrica e, con quel pretesto, mandò a casa i
per
togliere
lavoratori onde evitare che il movimento si generalizzasse, venne decretata la serrata -sino al 15 marzo.
diché
Il 24
soldati tedeschi e repubblichini visitavano tutti i alla Mirafiori e, il 25, nuclei di SS tedesche e ita¬
marzo
rifugi attigui
liane fecero irruzione nei cuni e
operai tentando di
l’operaio ricercato
tervento vennero
reparti deirofficina
6
e
perquisirono al¬
arrestarne uno. Ne nacque un
riuscì
a
fuggire,
ma
tafferuglio
alcuni altri che lo
aveva¬
fermati. La reazione degli operai provocò l’indella direzione; i tedeschi, dopo una sparatoria a salve, a più miti consigli e rilasciarono gli operai che avevano
aiutato
no
dopo¬
vennero
in arresto. Intanto i comitati di
tratto
agitazione e il CLN stavano attivamente lo preparando sciopero generale contro la fame ed il terrore, con una larga diffusione di stampa e manifestini e la mobilitazione dei diversi partiti antifascisti e degli organismi unitari. Su questo
né è il
sciopero preinsurrezionale molto
è
già
stato
scritto,
di ripeterci. Basti dire che, anche in quest’occasione, i lavoratori della Fiat furono tra i primi. Nella notte tra il 18 e il 19 aprile, mentre in città squadre armate di sappisti coprivano i muri con manifesti patriottici, gruppi di gappisti e di partigiani scesi dalle valli attaccavano i posti di blocco ed alcune caserme. All’indomani tutte le fabbriche erano ferme, chiusi i negozi e le scuole; i tram non circolavano, i treni immobili, i telefoni muti. La città era completamente paralizzata: allo sciopero partecipava la popolazione tutta. I fascisti impotenti ad impedire o anche soltanto a limitare lo sciopero, si vendicarono assassinando nella notte due antifascisti comunisti prelevati nelle loro case: Antonio Banfo, operaio della Fiat Grandi Motori, e Raimondo Melis. Alla Fiat Grandi Motori lo sciopero continuava anche il giorno 20 come protesta per l’as¬ sassinio del Banfo. Nelle altre fabbriche il lavoro veniva ripreso secondo le disposizioni del CLN e dei comitati di agitazione che non
caso
consideravano
ancora
dell’insurrezione. Questa batterà alle 436
ore
scoccata, una
anche
se
imminente, l’ora
del giorno 26. (Aldo dice 26 X 1
il tanto atteso messaggio convenzionale.)40 Nella notte stessa tra il 25 e il 26 gli stabilimenti Fiat vennero occupati dagli operai che ne prepararono febbrilmente la difesa erigendo muretti e trin¬ cee e piazzando mitragliatrici sui tetti e nei punti cruciali. AlPindomani, gli operai della Fiat Mirafiori dovranno sostenere una dura lotta perché il loro stabilimento sarà attaccato dai tedeschi alle ore 18 del 26 con tre carri armati e dieci autoblindo. I nazisti riusci¬ rono ad entrare nella prima cintura di difesa ma furono presto ri¬ cacciati dai lavoratori che rispondevano efficacemente al fuoco con le mitragliatrici poste ai finestroni dello stabilimento e lanciando granate e bottiglie molotov. Dopo una mezz’ora di battaglia i te¬ deschi erano costretti a ritirarsi lasciando sul posto, immobiliz¬ zato, un carro armato ed alcuni autoblindo in fiamme. Finalmente era la vittoria. Gli operai della Fiat innalzavano entusiasti a testa alta la loro bandiera, quella bandiera che essi avevano dovuto ammainare 25 anni prima, quando Antonio Gram¬ sci aveva scritto: « A Torino oggi si è avuta una prova. Vedremo domani se sarà vittoria o sconfitta, ma una cosa resti, resti un ammaestramento, uno sprone a fare di più. Non solo a Torino si combatte, ma in tutta Italia, ma nel mondo intiero, e ciò che ser¬
era
ve a
rendere più saldo
strumento di
proposito, più tenace un volere, preparazione, anche se conquistato a prezzo di un
ciò è sacri¬
fici, di apparenti abbandoni. Anche la speranza perduta, anche la delusione, anche la rabbia che sarà negli animi quando si rientrerà in officina, anche ciò sarà arma per la vittoria. »41 Così fu in realtà e così è, poiché le parole di Antonio Gramsci conservano ancora oggi la loro validità, al pari di quelle pronun¬ ciate da Giovanni Parodi, il dirigente operaio della Fiat il 30 set¬ tembre 1920, al
momento
della riconsegna della fabbrica nelle
ma¬
ni di Giovanni Agnelli: « Domani », egli disse, « faremo come ieri. Lavoreremo, ma lavoreremo qui e fuori di qui per instaurare una
società
migliore.
Liberi voi,
dinamento presente, di lavorare
credete che migliore sia l’or¬ qui fuori di qui per mantenerlo se
combattere le aspirazioni nostre. posto. Ed è un posto di battaglia.
e
Oggi 42
e
ognuno
riprende il
suo
»
40
P. Secchia, Aldo dice 26x1, Feltrinelli, Milano. A. Gramsci (articolo non firmato), in « Avanti! », edizione piemon¬ tese, 3 aprile 1920 e L’Ordine Nuovo, Einaudi, Torino, p. 107. 42 Dalla cronaca dell’occupazione della Fiat-Centro, redatta da Giovanni Parodi, operaio comunista dirigente dell’occupazione delle fabbriche a To¬ rino nel 1920, in collaborazione con gli altri commissari di officina della Fiat. Tale cronaca venne pubblicata quasi integralmente nel X anniversario della occupazione delle fabbriche in « Lo Stato operaio », n. 10, ottobre 41
1930, Parigi. 437
LA RESISTENZA BEATIFICATA4'
Cari compagni della
«
Rivista storica del socialismo »,
ho
fatto, in questi giorni, una scoperta sensazionale che mi co¬ stringe a cospargermi il capo di cenere e a scusarmi per una gra¬ ve
lacuna insita nel mio scritto sulla Fiat nel periodo della Resi¬ pubblicato nel n. 21 della vostra rivista. Ignoravo un
stenza,
grande
testo,
un’opera
veramente
monumentale, edita ben sedici
dei grandi industriali, che porta nuova luce sul possente, decisivo contributo di questa emerita categoria al successo della Resistenza. I dirigenti dei più grandi monopoli, la Fiat in testa, sono stati tutti in prima linea nella lotta partigiana, e noi non lo sapevamo! « Un forte numero di questi uomini, ponendo risolutamente a repentaglio le proprie aziende, i loro averi, a volte, e non po¬ che, la loro libertà e la loro vita hanno completato, aiutato, inte¬ anni
or
sono
a
cura
grato l’azione delle forze clandestine. In
molti, infiniti casi, l’azio¬
così decisa ed degli industriali a favore della Resistenza è stata 44 »43 da Non risolutiva determinante. ci rimane e aperta apparire che fare solenne ammenda ed accingerci a rivedere molti giudizi, a rielaborare profondamente non soltanto lo studio sulla Fiat, ma tutta la storia della Resistenza, poiché ad aver peccato, e ciò mi è ne
di
sollievo, siamo Avevamo è
in
molti,
vero
e
un
mi trovo in buona compagnia. po’ tutti nei nostri studi tenuto in
il contributo dato alla numero di medi e piccoli industriali, al¬ con la vita il loro amore alla libertà. Ma non si tratta di questo. Ci eravamo dimenticati dei grandissimi in¬ dustriali; ancor peggio, avevamo posto in cattiva luce il loro com¬ portamento ed in genere quello dei gruppi monopolisti. Molti di questi grandi capitani d’industria erano dei cospiratori,
considerazione
l’atteggiamento positivo
e
Resistenza da un certo cuni dei quali pagarono
dei partigiani
e noi lo ignoravamo. Essi hanno armato, finanziato la Resistenza, ridotto al minimo la produzione, organizzato il sa¬
botaggio mente
e
gli scioperi
i loro
petti al
Non c’è direzione di
nelle loro
fabbriche,
tentativo tedesco di
grande complesso
opposto coraggiosa¬ deportare gli operai.
industriale che
43
In
44
Resistenza, Editoriale Italica, Milano, 1948, p. 10.
438
«
Rivista storica del socialismo »,
n.
non
riven¬
22, maggio-agosto 1964.
dichi « di essersi opposta energicamente » all’invio delle masse la¬ voratrici in Germania; ognuno dei « dirigenti lottò sino alla fine con forza e con abilità ». L’errore nel quale siamo incorsi è veramente imperdonabile. Gli operai avviati a migliaia oltre il Brennero, a Mauthausen, a Buchenwald, negli altri campi della morte, non dovevano essere italiani, forse erano dei marziani. C’è di più. « In molti posti i combattimenti ebbero luogo al¬ l’interno degli stabilimenti o nelle immediate vicinanze ed i feriti
aziende; il reciproco soc¬ eguale in industriali e parti¬
erano
ricoverati nelle infermerie delle
corso,
l’afletto, l’amor di patria
giani.
43
era
»
Tutte cose da noi sempre ignorate, e tutte sono documentate fabbrica per fabbrica, cantiere per cantiere. Non c’era officina, a cominciare dalla Fiat, che non nascondesse un comando partigia¬ no, missioni alleate, stazioni radiotrasmittenti e riceventi, depo¬
siti di armi, servizi informativi, comitati di agitazione. Veramente questo era stato da noi documentato, ma con una grave omissio¬ di fondo: ziativa, con il
detto che tutto ciò avveniva per ini¬ ed il pieno appoggio dei grandi industriali. Ignoravamo che « al mattino del 25 luglio il sen. Giovanni Agnelli arrivò presto in ufficio ed il suo primo atto fu quello di telegrafare a Badoglio per salutare a nome di tutta la Fiat il ri¬ torno alla libertà e per mettere a disposizione del nuovo governo l’opera della Fiat ed il giornale “La Stampa” di proprietà della Fiat ». Ignoravamo che « il pomeriggio del 10 settembre alla Fiaf si attendeva che da Roma si confermasse chiaro, risoluto l’ordine della resistenza militare ai tedeschi. La cosa era possibile con l’ap¬ poggio del popolo. Il direttore generale della Fiat, professor Vit¬ torio Valletta, si precipitò al comando militare ed ebbe con il ge¬ nerale Adami-Rossi un colloquio drammatico. Bisogna opporsi, resistere, combattere, mandare contro le forze germaniche le no¬ 46 stre forze armate, sollevare la popolazione ».45 Valletta si pone così alla testa dell’insurrezione nazionale, la lettura diventa di pagina in pagina sempre più avvincente. Sono elencate, ad una ad una, tutte le date in cui, durante i 18 mesi di occupazione, Giovanni Agnelli e Vittorio Valletta vennero dai tedeschi minacciati d’arresto, chiamati, alcune volte anche di not¬ te, portati in certe ville dove si svolgevano fieri colloqui con i ne
45 46
non
avevamo
consenso
Ibid., p. 114. Ibid., p. 117. 439
comandanti tedeschi. Fortunatamente la scamparono sempre,
ogni volta proprio
Proseguendo
per
un
ma
pelo.
nella lettura troviamo tutti
Donegani, Faina, Marinotti, Pirelli, Rivetti,
gli altri, i
i compagni Crespi del « Cor¬
riere della Sera », i
dirigenti della Montecatini, delle Ferriere Lom¬ barde, delle Officine Reggiane, dei Cucirini Cantoni Coats, dell’Isotta Fraschini, delle Officine Falck, della Dalmine, fior fiore di patrioti al cento per cento. Non manca nessuno. E dire che siamo stati così ingiusti! Ma una qualche attenuante ci dev’essere concessa, perché questi grandi industriali che hanno provveduto con un così grosso e ricco volume a fornirci tutte queste notizie, confessano che avevano in passato, per modestia, taciuto di « ave¬ re svolto quella rischiosa attività in modo invisibile. Quanto ver¬ rà qui esposto », essi concludono, « per molti apparirà una rive¬ lazione. Il tedesco non bisognava affrontarlo, occorreva aggirarlo. Si può dire che tutta la lotta antitedesca si svolse con questa tat¬
giudiziosa, specialmente considerata oggi ».47 E dire che noi ed i nostri comandi partigiani non
tica
conoscevamo
tattica così abile. Eravamo
proprio degli scriteriati, sprovve¬ principi più elementari dell’arte militare. A parte le amenità, ritengo tuttavia che il tema meriti di es¬ sere ripreso in modo sereno e pacato. Anche quel cumulo di fa¬
una
duti dei
cezie, di
bugie,
di invenzioni, di dati affastellati,
ma non
tutti falsi,
modo loro, anch’esse, delle testimonianze; ci spingono intanto a verificare i dati, ad approfondire la ricerca, ad esplorare più da vicino certi aspetti della Resistenza, trattati finora piuttosto sommariamente. Recenti studi hanno affrontato il problema dell’amministrazione tedesca in Italia e dei suoi rapporti con le organizzazioni econo¬ miche ed industriali; ma nessuno di noi ha mai ignorato che le¬ gami finanziari e quindi politici i grandi capitalisti li hanno avuti anche con gli Alleati, con i CLN, con certi uomini dell’antifasci¬ smo e della Resistenza. Abbiamo sempre riconosciuto che, dopo il 25 luglio e specialmente dopo l’8 settembre, i grandi industriali andarono mutando il loro atteggiamento non tanto perché toc¬ cati dalla grazia divina e convertiti improvvisamente agli ideali dell’antifascismo e della Resistenza, ma poiché era ormai evidente la sconfitta del nazismo. Di qui la loro cauta fronda nei confronti dei tedeschi, della Repubblica di Salò, il loro doppiogiochismo.
ha il
suo
interesse. Le menzogne
sono
a
Né abbiamo mai taciuto delle influenze che essi riuscirono ad
47
440
Ibid., pp. lì, 114.
esercitare nella situazione
(l'attesismo) ed all’interno
stesso
dei
CLN. Non so però se le abbiamo tutte soppesate ed adeguatamen¬ te valutate anche in rapporto al modo come andarono a finire le cose. Problemi tutti sui quali ancora molto dovremo scavare e che ci potranno servire a meglio comprendere anche il presente. Ma in questo momento siamo in altre faccende affaccendati. Le celebrazioni del ventennale della Resistenza si susseguono a ritmo serrato: è tutta una processione di discorsi, di inaugurazioni di lapidi, monumenti, tra preci, fiori, musiche, fanfare e l’elevarsi di inni di gaudio. Su questo ventennale della Resistenza sembra spirare dro Galante Garrone
al
vento
ha osservato Alessan¬ uno zefiro soave; sembra avere in sé », come diceva il
un’aura dolce, senza turbamento, padre Dante, all’insegna del volemose
«
bene. Tutti oggi celebrano la Resistenza, non manca proprio nessu¬ no. L’Italia ufficiale e popolare, laica e cattolica. Persino i gesuiti di « Civiltà cattolica » hanno sentito il bisogno di essere presenti. Naturalmente la celebrano a modo loro, aprendo un editoriale con le autorevoli parole pronunciate da Paolo VI per dichiarare che la ricorrenza è « per l’Italia piena di memorie tragiche e grandi ». La celebrano come « una lotta fratricida che ha lasciato degli stra¬ scichi dolorosi nell’animo degli italiani, una ferita non ancora ri¬
marginata;
una
guerra civile combattuta con spaventosa violenza tre parti in lotta (partigiani, tedeschi e fascisti)
che ha portato le
ad efferatezze, ad eccidi,
rappresaglie e vendette terribili ».48 torto e la ragione, l’umanità e la barbarie secondo i reverendi padri dalle due a
Il bene ed il male, il naturalmente parti. Vittime e carnefici, oppressi ed oppressori sono messi in fascio ed accomunati in un solo destino. Al coro s’è unito persino Indro Montanelli, che tutto giulivo va cantando a distesa: « che bellissima cosa rievocare la Resi¬ stavano
stenza ».
Non mancano, è vero, alcuni
brontoloni, ai quali l’amico Parri « ricorda che paternamente l’ufficialità, spesso refrigerante, l’ab¬ biamo voluta noi, perché in questo paese dalla memoria così bre¬ ve, una prima garanzia contro i dietrofront la dà, e questo pas¬ saporto occorre per arrivare alla scuola. Io mi sono sinceramente rallegrato », continua Maurizio, « quando ho sentito uomini di governo, lontani spesso dalle nostre esperienze, onorare i fatti della Liberazione con lo stesso accento di chi ha combattuto per 48
I cattolici
e
la Resistenza, in
«
Civiltà cattolica
»,
maggio 1964. 441
essa.
Ed hanno
torto i
diffidenti di quanto
sa
compagni brontoloni, desiderosi ed di ufficiale
insieme
».
Appartengo anch’io, modestamente, alla schiera dei celebratori al tempo stesso dei brontoloni. Non c’è domenica e spesso an¬ che sabato che non mi trovi in qualche piazza o teatro a comme¬ morare la Resistenza assieme a uomini che hanno combattuto per essa, o ad altri che per usare il diplomatico eufemismo sugge¬ rito da Parri furono in quegli anni « lontani dalle nostre espe¬ rienze ». Di ciò non posso anch’io che essere lieto. Altro è il motivo del brontolio. In troppe manifestazioni uf¬ ficiali la Resistenza è celebrata soltanto da uomini che furono lon¬ tani dalle nostre ed assai vicini ad altre esperienze, per cui ne viene fuori la celebrazione di una Resistenza che non fu certo la nostra né quella di Maurizio. Non è l’ufficialità, non sono i nuovi cantori della Resistenza a dare fastidio. Che siano uomini di governo ed alte autorità dello Stato a celebrarla può essere elemento positivo e contribuire a farla penetrare negli studi, nelle scuole e nelle aule magne. Pur¬ ché celebrino la Resistenza quale essa fu, con i suoi ideali ed il suo programma e non una sorta di mito o di divinità fatta ad immagine e somiglianza dell'odierno governo di centro-sinistra più che non a quello che stava alla testa della Liberazione na¬ zionale: il CLN. e
È
altari la teoria del minor male, del « me¬ « da cosa nasce cosa », meglio come che domani ». E sia purché l’uovo la glio oggi gallina diceva Antonio Gramsci non si tratti di un uovo di pidocchio.
gli
che oggi
vero
sta
sugli
accontentarci di poco »,
«
Ciò di cui non pochi brontolano, e con ragione, non sono tanto amen che spesso chiudono, quasi a dare loro sepoltura, le ma¬
nifestazioni celebrative, quanto il tentativo aperto e sfacciato da parte dei nuovi arrivati di deformare, rovesciare la Resistenza, presentarla con un volto ministeriale, dall’aspetto piuttosto « si¬ nistro », funereo.
di governo monopolizzando o quasi manife¬ le più ufficiali, sia sulle piazze che nei tea¬ tri, ed alla televisione, cercano di presentare una Resistenza evi¬ I circoli
stazioni, rata, me
senza
un
dirigenti
quanto
meno
principi,
grande
senza
obiettivi,
movimento al
quale
senza
programmi sociali, co¬ pártecipato, da Pio
tutti hanno
Valletta, e nel quale, come ha scritto il generale « la Cadorna, grande maggioranza dei caduti diede la vita non per creare in Italia un nuovo regime di libertà, ma in nome degli XII
a
Vittorio
ideali tradizionali: Dio, patria, 442
famiglia
».
ad altre simili falsificazioni, come ritenerci soddisfatti, come non brontolare? La televisione brilla nella sua opera di discriminazione e di deformazione. Certo, le trasmissioni dedicate alla Resistenza co¬ stituiscono qualche cosa di nuovo, un passo avanti rispetto al¬ Di fronte
a
tali
e
anni della guerra fredda, al punto che la stampa fascista s’è scagliata contro l’andata in onda dei docu¬ mentari delle atrocità compiute dai tedeschi e dai fascisti e del
l’aperta denigrazione degli
martirio dei patrioti. Ma la lettura dei brani, la scelta delle lettere, delle ultime pa¬ role dei condannati a morte è sempre fatta con sottile discrimina¬ zione (i comunisti non vi figurano mai né come idee, né come per¬
l’eroismo, il sacri¬ Dio. Mai si illuminano e
sone) nell’intento evidente di mettere in luce
ficio, le sofferenze, il pensiero rivolto si precisano gli ideali per cui i caduti
a
lottarono.
delle trasmissioni televisive ab¬ bondano di questa retorica del sacrificio, dell’eroe senza volto tanto lontano e diverso dai vivi, appunto perché morto. Nell’esal¬ tazione astratta della forza d’animo e della nobiltà dei caduti ap¬ pare chiara la volontà di svuotare la Resistenza della sua realtà ignorandone gli ideali ed il programma. Non possiamo certo dichiararci soddisfatti, né tanto meno pre¬ starci a simili deformazioni della verità e della storia. I giovani Molti dei discorsi celebrativi
vogliono
sapere,
ma
non
e
vogliono
essere
ingannati.
Per di
più
coloro che contribuiscono a trasformare la Resistenza in una sorta di mito, di fenomeno religioso, già co¬ minciano a credere alla leggenda da essi stessi messa in circola¬ stiamo osservando
come
zione.
No, la Resistenza
non fu né un fenomeno religioso, né sempli¬ la manifestazione del sublime sacrificio di un popolo e neppure soltanto un grande movimento di lotta contro lo stra¬ niero, o la rivolta dell’uomo per la salvezza dell’onore e della dignità umana. Non è lecito ignorare gli ideali, le classi, le forze
cemente
sociali che furono il nerbo, le forze motrici della Resistenza. È giusto cogliere l’elemento unitario che mosse gli antifascisti, i pa¬ trioti, i combattenti della libertà, ma si deforma, si nega la Re¬ sistenza quando si tace del suo programma che venne poi rias¬ sunto e tradotto in formule giuridiche nella Costituzione, rima¬ sta ancora oggi, nelle sue parti fondamentali, inattuata. Nessuno pretende che gli uomini di governo e le alte autorità dello Stato celebrando la Resistenza ci parlino delle aspirazioni, delle esigenze che mossero le correnti più avanzate (le quali fu¬ rono anche le più numerose, le più combattive, quelle che die-
443
clero il maggior contributo di idee, di sacrificio, di forza operante
dirigente), ma obiettivi comuni, e
giusto chiedere che almeno
è
di
quel
ci parlino degli programma di rinnovamento democra¬
ancora di essere realizzato: la Costituzione. Gli uomini della Resistenza non hanno lottato soltanto per cac¬ ciare i tedeschi, per battere i fascisti e lasciare poi le cose come prima; essi hanno lottato per dare all’Italia un altro ordinamento, un regime fondato sulla libertà e sulla giustizia, si sono battuti
tico che attende
per
un
rinnovamento totale della
nostra
vita
struire dalle fondamenta il nostro paese. Celebrare il ventennale della Resistenza
nazionale,
significa
per rico¬
riconoscere
che, in questi vent'anni trascorsi, dei passi in avanti sono stati compiuti, che quella lotta non fu combattuta invano; ma significa altresì sottolineare che molta strada rimane da percorrere per rin¬ novare
l’Italia, per
farne
un
come
paese
pensavano i resistenti
fu scritto nella Costituzione dove il popolo fosse vera¬ mente sovrano ed il benessere la condizione di vita di tutti gli italiani e non il privilegio di pochi.
e
come
Nel
siglio
Pietro Nenni, oggi vice-presidente del La Costituzione è ridotta ad un pezzo di
gennaio 1951, scriveva:
«
Con¬
carta
che annuncia diritti quotidianamente violati dal potere esecutivo, la democrazia è ridotta a delega di potere, il Parlamento è dive¬
nuto un organismo decorativo dominato da oligarchie di interessi, l’autonomia promessa ai comuni è imbrigliata dall’arbitrio dei
prefetti, l’ordinamento regionale
è tuttora da attuare, i
menti di polizia ed i codici
ancora
reno
quelli fascisti,
regola¬
l’ammini-
strazicne rrata^e è anchilosr.m e risponde a criteri accentratori di¬ venuti incompatibili con la vita moderna, l’esercito e le forze ar¬ mate tendono a ricostituirsi come una casta, la polizia è il braccio secolare del
sia
venuto
partito al potere.
»
solo di questi aspetti così diligentemente elencati or sono dall’attuale vice-presidente del Consiglio, che meno? Sussistono tutti, e ad essi si potrebbero aggiun¬
C’è forse tredici anni
uno
gere gli scandali che si susseguono che dilaga, il sottogoverno elevato
tredici
anni di discorsi
inadempienze,
e
ninteso, poiché
di
a a
parole, di
ritmo serrato, la corruzione
regime. Eppure
sono
passati
promesse non mantenute, di
è rimasto come prima, in questo campo be¬ siamo così ciechi da non vedere che per altri
tutto non
andate avanti, sono mutate, per merito masse lavoratrici. Alcuni si chiedono se oggi possiamo ancora riallacciarci alla Resistenza oppure se dobbiamo constatare che in questi anni è avvenuta una frattura così profonda che la continuità è ormai aspetti alcune
cose
sono
soprattutto delle lotte delle
444
che la Resistenza come fatto politico e culturale, malgrado le fratture, non soltanto è presente e valida ancora, ma vuole altresì essere studiata perché lo stesso presente con i vuoti, le contraddizioni ed i problemi che esso pone può essere com¬ preso soltanto se volgiamo lo sguardo al passato. Dobbiamo ri¬ cercarci ancora lo spirito, i valori ed anche i limiti, che forse oggi ci appaiono più chiari. Le celebrazioni dovrebbero servire, più
perduta. Ritengo
di quanto
non
stia
avvenendo, ad approfondire, allargare, dare
slancio agli studi e alle interpretazioni della Resistenza, che sembra invece debbano lasciare il posto soltanto alla retorica ed ai discorsi di circostanza. Ciò è soprattutto necessario nel mo¬
nuovo
in cui alle deformazioni storiche si accompagna la pressio¬ revisionista a cedere, a non essere più noi stessi, ad adattarci al conformismo dilagante. Noi siamo, beninteso, per le manifestazioni unitarie purché da esse non siano escluse, messe in un angolino, quasi in castigo, le
mento
ne
forze effettive della Resistenza. Non possiamo accontentarci
dicono i romani àzWajetto. Siamo per le manifestazioni unitarie, anzi siamo noi dirigenti della lotta di Liberazione che le vogliamo effettivamente unitarie, senza discriminazioni, tese a fare comprendere che cos’è stata, che cosa voleva e vuole la Re¬ sistenza, quale fu il suo programma e che cosa deve ancora essere come
fatto affinché sia realizzato. Qualcuno disse un tempo: ci si offre una diciamo: No. se
messa
«
Parigi vai bene
una
messa »,
ma
in cambio delle riforme di struttura, allora
si celebra il ventennale della Resistenza se le for¬ democratiche assumono l’impegno unitario di operare perché la Costituzione sia finalmente attuata nella sua pienezza oggi e non nel duemila, perché le riforme di struttura siano attuate oggi e non tra un secolo. Se invece le celebrazioni devono risolversi sem¬
Degnamente
ze
plicemente e
in tanti discorsi retorici
banchetti, il pericolo, dallo
passata la festa
delle prediche realmente.
e e
e
stesso
rievocativi, seguiti da cortei amico
Parri
denunciato, che
finisca con l’ultima eco spenti la Resistenza sia fregata un’altra volta », esiste i lumi
«
tutto
Questo pericolo è già in atto nel tentativo di giubilare la Resi¬ beatificandola. È contro questo pericolo che dobbiamo bat¬ terci e non soltanto brontolare, rifiutandoci di aiutare il centrostenza
sinistra
a
coprire
una
politica sostanzialmente
conservatrice
(bloc¬
dei salari e della scala mobile, alti profitti ai padroni, offensiva contro l'unità e l’autonomia dei sindacati, applicazione della linea Carli) sotto il manto e l’aureola della Resistenza.
co
445
Ci opponiamo
a che i gruppi capitalisti, i cui giornali parteci¬ anch’essi alle celebrazioni del ventennale e che si gloriano pano essi stessi d’aver preso parte a quella grande lotta, tentino di por¬
tare avanti, all’ombra di una bandiera che loro non appartiene, la politica di sfruttamento, di oppressione, di discriminazione che è la negazione della democrazia e della libertà.
anche la
Ripubblichiamo
scritta da
postilla
Luigi
Cortesi
La lettera di Pietro Secchia, che è stato uno dei protagonisti della vera Re sistema, quella che considerava il movimento antifascita
come
una
fase particolare della
di testimonianza che
va
lotta di classe, ha
evidentemente assai al di là di
un
valore
aggiun¬ precedente nostro fasci¬ una
ta al suo saggio sulla Fiat comparso nel colo. Gli spunti che essa contiene per un esame del periodo 1943'45 troveranno senza dubbio sulla « Rivista storica del sociali¬ smo » uno sviluppo critico, stimolato ormai apertamente dalle condizioni politiche e sociali dell*Italia (e non solo delVItalia)
odierna,
venti anni di distanza dalla Liberazione.
a
noi non è sfuggito quel processo di « beatificazio¬ della Resistenza di cui Secchia parla con tanta amarezza. Ma ci parrebbe sbagliato rispondere ad esso riproponendo semplicesulla base di un mente la vecchia linea unitaria e sostenendo Anche
a
ne »
rispetto della
storia che è
ignoto alla controparte
di il rischio di veder accolta essere
come
e
correndo quin¬ che dovrebbe
preghiera quella
che anche le neppure discutibile socialiste hanno il diritto di essere presenti ora nei fatti che si vogliono commemorare. Come è
esigenza prepotente
e
forze operaie e come lo furono possibile, dal momento che le attuali riduzioni, deformazioni
falsificazioni
sono
nazionale nello stadio in cui
e
prodotto dell'indirizzo unitario-
il
esattamente
esso
sfugge
totalmente alla iniziativa
ogni senso che un livello ufficiale? ad canonizzato, avere, portato poteva Come è possibile, quando l'ideologia resistenziale, con le oppor¬
dei suoi
primitivi sostenitori,
e
viene svuotato di
ancora
tune
ma
non
lo dice
difficili
come
cautele
coperchio
e
censure,
viene assunta
Secchia
del moderatismo politico?
qualcosa è stato sbagliato, e va verificato e rettificato: gji obiettivi, o i mezzi, o tutt'e due. Nessun culto è più possibile, né della Resistenza, né della unità nazionale, né della Costituzione, né delle riforme di struttura, quando su tutto si stende la benedizione del vescovo e Vapprova¬
Quando
le
ciò avviene, è segno che
del
Ztone
prefetto, quando preti, poliziotti
questi valori
e
borghesi
«
riconosco¬
la parte di protagonisti o di fautori. Né è possibile, quando essi abbiano compiuto questo sfor¬ zo (che è pure un passo storicamente rimarchevole), continuare no »
e
se
ne assumono
\ad insistere perché operino subito in conseguenza, senza porre al¬ tro tempo in mezzo: poiché essi con il riconoscimento e il riassor¬ bimento della Resistenza hanno guadagnato un nuovo diritto al¬ l'indugio, una nuova reale possibilità conservatrice. Alle forze politiche che si rifanno alla lotta popolare antifa¬ scista nere
come
a
una
delle loro matrici spetterà scegliere
prigioniere della grande
unità nazionale da
tra il rima¬
stesse pre¬ decisa azione differenziatrice e de¬ mistificatrice, che riporti alla luce i contenuti della mobilitazione popolare del biennio dà guerra civile e ridia espressione alla spin¬
conizzata
ta
e
il promuovere
proletaria che ne riformista.
usci
esse
una
mortificata,
o
limitata in
un
quadro
me¬
ramente
di studio e di « coscienza » di una sola possibilità di con¬ noi vediamo intanto queste questioni, tribuire efficacemente a una tale chiarificazione: quella di spaccare criticamente il mito dell'antifascismo, della Resistenza e della de¬ mocrazia repubblicana che ne è figlia, nella sua accezione corrente, individuando e distinguendo le sue diverse componenti e alterna¬ Per quanto
riguarda gli aspetti
tive, liberando l'essenza rivoluzionaria di quel momento storico, misurando sempre ad esso senza alcuna riserva e nessuna pietà lo stato attuale della società e le chiusure inter¬ autobiografica ne
ed C'è
esterne
che
quindi
un
sono
largo
state
poste al
suo
sviluppo.
le nostre posizioni
e quelle del compagno Secchia; anche se, forse, noi ci spingiamo oltre il suo pensiero nella ricerca di una Resistenza che non sarà mai « beatificata » e di una eredità politica ed essa conforme.
consenso
tra
447
1965
GUERRA SULLE ROTAIE
1
La storia della partecipazione dei ferrovieri alla Resistenza dev’essere ancora scrit¬ è stato giustamente rilevato italiana ta. Un primo notevole contributo ce l’ha dato Edio Vailini col 2 che tratta in particolar modo suo volume Guerra sulle rotaie,1 dell’attività clandestina dei ferrovieri del compartimento di Mi¬ lano e della Lombardia. L’opera si occupa prevalentemente dei rapporti politici ed or¬
ganizzativi tra i rappresentanti dei partiti antifascisti nei comi¬ tati di agitazione e nel CLN dei ferrovieri, degli sforzi per arri¬ vare ad una più stretta ed armonica unità d’azione, delle diffi¬ coltà che si incontrarono e dei contrasti insorti. Il tutto abbastanza ben documentato, anche indicata la
provenienza dei documenti
citati
e
se
non
sempre è
riportati. I princi¬
le Considerazioni ed esperienze da trarre dallo scio¬ sono presi da « La Nostra pero generale del V-8 marzo 1944 Lotta », organo del Partito Comunista Italiano per l’Italia occu¬
pali
come
pata. Più che della
guerra sulle rotaie », il volume ci parla dei di¬ battiti e dei contrasti in seno al CLN ed all’organizzazione clande¬ stina dei ferrovieri, e ciò, anche se di cospicuo interesse, costi¬ tuisce il limite più serio dell’opera il cui contenuto poco corri¬ sponde al suo titolo. Scarsa è infatti la documentazione sulle azioni effettive com¬ piute, sui sabotaggi effettuati e sulle lotte sostenute dai ferro¬ vieri. Né persuade la giustificazione addotta che « il libro non vuole assumere un carattere episodico e rievocativo, ma.contri 1
«
Recensione inedita scritta per
«
Rinascita
»,
26
gennaio 1965,
e
mai
pubblicata. 2
E. Valimi, Guerra sulle rotaie, Lerici, Milano, 1964. 449
buire ad un discorso più ampio sulla lotta di Resistenza in Ita¬ lia ». Tanto più quando la spiegazione è preceduta dalla premes¬ sa che « la lotta dei ferrovieri italiani non è stata meno viva e meno combattuta di quella svolta dai loro colleghi nel continen¬ te ». Affermazione piuttosto generica che, sino ad oggi, non è stata documentata benché esistano in abbondanza dati
delle diverse e
regioni che dovrebbero però
essere
e
notiziari
raccolti, studiati
coordinati.
Sfogliando gno 1944 al
i 23 bollettini di guerra del CVL marzo
pubblicati
dal giu¬
1943, abbiamo rilevato che complessivamente
compiute nel corso di tale periodo 3.371 azioni di sabo¬ di queste 973 si riferiscono a linee ferroviarie interrotte, taggio, 230 locomotori e 760 vagoni ferroviari distrutti, 276 ponti di vennero
ferrovia fatti saltare. Assai
probabilmente queste cifre sono al di poiché non tutte venivano a
delle effettive azioni compiute conoscenza del comando del CVL. sotto
nel Veneto, numerose furono le interruzioni fer¬ ad roviarie; esempio, 32 nella sola notte dal 23 al 24 luglio sulle linee Vicenza-Verona, Vicenza-Treviso, Vicenza-Padova e 21 inter¬
Specialmente
ruzioni nella notte dal 26 al 27 agosto 1944 sulle linee Vicenza-
Verona, Vicenza-Schio
con deragliamento di 4 treni e la distru¬ di zione locomotori, incendi di carri merci, ecc. Frequenti i sa¬ botaggi anche delle linee che attraversavano l’Emilia, la Liguria e il Piemonte.
Si tratta però, anche se non sarà certo mancata la collabora¬ zione diretta o indiretta (quanto meno come informatori) dei
ferrovieri, di azioni compiute prevalentemente da nuclei di gap¬ pisti e di partigiani. Ciò che sino ad oggi manca è una ricerca più approfondita di quanto hanno fatto direttamente i ferrovieri sia come azioni di massa: scioperi, agitazioni, sia come attività di almeno approssimativo, sarebbe indi¬ con sbrigativa facilità affermare che « la lotta dei ferrovieri italiani non è stata meno viva di quella svolta dai loro colleghi nel continente ».
sabotaggio. Questo studio, spensabile prima di poter Se
non
è stata inferiore
da, Cecoslovacchia),
non
a
quella
ha
certo
di alcuni paesi (Belgio, Olan¬ lo sviluppo e l’ampiez¬
avuto
situazione, raggiunti, ad esempio, nelPolonia ed in Francia, in l'Unione Sovietica, In base a calcoli approssimativi, nel corso della guerra i parti¬ za,
anche
per
la
diversa
messo fuori uso oltre 4.000 carri cingolati, e autotrainati cannoni autoblindati, circa 2.000 pezzi di artiglie¬ hanno ria e di mortai, provocato circa 18.000 deragliamenti di
giani sovietici hanno
430
fuori
più di
2.400 locomotori
e 85.000 vagoni, 1.600 ferroviari.3 distrutti'o danneggiati gravemente ponti La Resistenza in Polonia (anche qui i dati sono incompleti) provocò il deragliamento di 1.301 convogli militari, 732 dei quali ad opera delle forze polacche dell’interno (AK) e 449 ad opera della Guardia Popolare (GL) e dell’Armata Popolare (AL). Una successivamente la Zwiazek Odwetu altra organizzazione
treni,
messo
uso
incorporata nell’esercito dell’interno, condusse un’importante ope¬ ra
di
sabotaggio
nelle officine di riparazione
danneggiando, negli
anni 1940-’42, circa 7.000 locomotive, quasi 20.000 vagoni fer¬ roviari e più di 4.300 autovetture dell’esercito tedesco. Dal 15
maggio 1942 al 15 settembre 1943, i sabotatori della GL distrus¬ 36 stazioni ferroviarie.4 In Francia, tra l’aprile 1943 e il maggio 1944, l’aviazione al¬ leata distrusse 2.495 locomotive, mentre la Resistenza francese sero
ne distrusse 1.846 ed altre 820 nei due mesi successivi. Inoltre, alla vigilia dello sbarco in Normandia, l’organizzazione della Re¬ sistenza francese riuscì a ritardare di quasi due settimane l’arrivo dal sud della Francia di dieci divisioni tedesche; i ferrovieri ef¬ fettuarono su larga scala lo sciopero a singhiozzo, nel sud-est 1.000 treni vennero paralizzati per 15 giorni, al deposito di Amberieu il 6 giugno esplosero 52 locomotive, nello stesso giorno il numero delle interruzioni alle linee ferroviarie superò il cinque¬ cento. Dall’inizio dello sbarco alleato, nei due mesi di giugno e luglio, l’azione dei FFI provocò 600 deragliamenti di treni.5 In Italia, il paese tra quelli dell’Europa occupata dai tedeschi
più numerosi, ampi e possenti furono gli scioperi degli ope¬ rai, l’azione dei ferrovieri non assunse analogo sviluppo; sarebbe
dove
interessante ricercarne le
cause un po' più in profondità di quan¬ si sia fatto sinora. Negli anni 1943-’45, malgrado i massicci bombardamenti al¬ leati ed i gravi danni provocati, il traffico ferroviario era ancora
to non
relativamente intenso. Parzialmente attivo, almeno sino all’aprile 1944, anche nel settore meridionale dal nord verso Roma. Sol¬ 3 E. Boltin, L'Unione Sovietica e la Resistenza in Europa durante la seconda guerra mondiale, Istituto del marxismo-leninismo di Mosca, pub¬ blicato in La Resistenza europea e gli alleati, Ledei, Milano. 4 S. Okecki, La Resistenza polacca e gli alleati, Istituto storico dell’Ac¬ cademia polacca delle scienze, pubblicato a cura dell’Istituto Nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, Ledei, Milano.
5 M. Baudot, La Resistenza francese e gli alleati, pubblicato a cura del¬ l’Istituto Nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, Ledei, Milano.
451
tanto dall’inizio di maggio venne distrutta dai bombardieri al¬ leati la linea principale Firenze-Roma e furono paralizzate quelle costiere lungo il Tirreno e l’Adriatico. Notevoli interruzioni era¬ no state effettuate anche nel settore La Spezia-Livorno-Piombino. Ma invece nel settore dell’Italia settentrionale secondo il generale Leyers (capo del Reich in Italia, incaricato del ministero del Reich per gli armamenti e la produzione bellica) —*il traffico ferroviario e la disponibilità di carri erano ancora soddisfacenti/ Nel mese di febbraio 1944, erano stati trasportati dall’Italia in Germania 6.930 carri merci per un totale di 108.139 tonnel¬ late di merci, materiale bellico e macchinari; in marzo 6.018 carri
merci
con 102.754 tonnellate; in aprile 6.056 vagoni con 92.321 tonnellate; dalla seconda decade di aprile alla prima decade di maggio, 7.046 vagoni di cui 4.309 attraverso la Svizzera. Nello stesso periodo di tempo, erano giunti dalla Germania in Italia
31.216 vagoni per
566.896 tonnellate di merci, com¬ materie prime inviate alle industrie italiane per la lavorazione delle commesse destinate al Reich.
complessive
prese le forniture di carbone
e
I ferrovieri del solo compartimento di Milano raggiungevano allora i 20.000, di cui 13.000 nel solo capoluogo. Oltre all’azione di sabotaggio, alle fermate di lavoro, all’appli¬ cazione integrale ed alla lettera del regolamento (equivalente ad un continuo ostruzionismo), vi furono due soli scioperi generali
dei ferrovieri di notevole importanza. Quello dei ferrovieri mila¬ nesi del 23 aprile (alla vigilia dell’insurrezione), che proclama¬ rono lo sciopero generale ad oltranza e non ripresero il lavoro che dopo la vittoria del 25 aprile, e quello del 10 settembre 1944 a Torino, Bra, Pinerolo, Chivasso ed altre località del Piemonte, che durò compatto per alcuni giorni e parzialmente per due setti¬ mane.
Vi parteciparono 500 macchinisti,
riprese più il lavoro ed andò
a
una
raggiungere
parte dei quali non le formazioni parti-
giane. Lo
sciopero dei ferrovieri piemontesi segnò un forte balzo in avanti dell’insurrezione nazionale perché si trattò della prima grande agitazione di questa categoria durante la Resistenza. Salvo eccezioni in località secondarie, i ferrovieri neppure partecipato allo sciopero generale del l°-8
poche
non
avevano
marzo
1944.
Malgrado gli sforzi fatti dai comitati di agitazione, dai partiti antifascisti ed in particolare dal partito comunista, lo sciopero di 66 Rapporto del generale Leyers in data 27 maggio 1944 al ministero del Reich per gli armamenti. Vedi E. Collotti, L' amministrazione tedesca neiritalia occupata, 1943-’45, Lerici, Milano.
452
settembre dei ferrovieri piemontesi Lombardia ed alle altre
regioni.
riuscì ad estendersi alla Le autorità tedesche e repubbli¬ non
distribuire immediatamente ai ferrovieri del compartimento di Milano viveri, biciclette, indumenti, accorda¬ rono un’indennità di caro-vita che andava da 17,50 lire al giorno per i semplici ferrovieri a 60 lire per i capi-compartimento, il chine
provvidero
a
che valse ad impedire l’estendersi dello sciopero. « In ogni provincia, in ogni regione occupata dai tedeschi dob¬ biamo organizzare lo sciopero generale dei ferrovieri, dobbiamo organizzare l’abbandono permanente e definitivo del lavoro da parte dei ferrovieri. I comitati di agitazione dei diversi compar¬ timenti non devono attendere di vedere e di sapere che cosa fa¬ ranno i ferrovieri di Torino e di Milano, non devono attendere l’arrivo degli anglo-americani. I ferrovieri di Torino hanno già
indicato
con
cosa si deve fare. »7 incitamenti ed il lavoro
i fatti che
Malgrado questi
di
organizzazione
svolto, vigilia dell'insurrezione per¬ ché i ferrovieri del compartimento di Milano abbandonassero in massa il lavoro. Si deve tener conto che i ferrovieri si trovavano in condizioni assai più difficili di quelle degli operai e dei lavoratori delle fab¬ briche e dei cantieri. Essi erano sorvegliatissimi. Spesso, accanto al macchinista, nella cabina del locomotore vi era un ufficiale te¬ desco. Un corpo specializzato di ferrovieri della Wermacht e del¬ la polizia risiedeva in Italia dislocato nelle stazioni, nelle officine ferroviarie, nei depositi, lungo le linee stesse delle ferrovie. Ogni treno era accompagnato da una scorta armata tedesca. Per quanto siano stati numerosi i colpi di mano ed i deraglia¬ menti effettuati dai partigiani, essi erano limitati dalla fitta vigi¬ lanza lungo le linee percorse da numerose pattuglie con cani-poli¬ ziotto. I treni trasportanti militari tedeschi e materiale bellico erano quasi sempre composti e da carri merci e da vagoni di viag¬ e ciò difficile rendeva dei sabotatori l’azione giatori italiani, più che avevano cura di risparmiare il più possibile le vite umane della popolazione italiana. I trasporti militari di materiale bellico erano sempre preceduti da una locomotiva-staffetta, ed i loro ora¬ si dovette attendere sino alla
ri costantemente modificati. Ritornando ai ferrovieri,
questi si trovavano a lavorare sotto la continua vigilanza dei tedeschi. Il ferroviere nel deposito o sulla macchina si sentiva isolato, era per lui più difficile che non per l’operaio nella fabbrica stabilire legami, accordi con altri com¬ 7
«
La Nostra Lotta
»,
n.
16, settembre 1944. 453
pagni di lavoro,
per muoversi uniti, in
massa.
A differenza della
fabbrica, pochi ferrovieri sotto la minaccia o la sorveglianza dei tedeschi erano sufficienti per portare a destinazione un convoglio, lungo
un
treno,
ecc.
Tutti questi elementi hanno
spiegano molte
senza
dubbio
avuto
la loro influen¬
negare (e il Vailini lo
am¬
mette) che l’organizzazione antifascista nei servizi pubblici
era
za,
più debole che Ancora
nel
cose, ma non si
in altri settori.
1944 comitato di razione dei ferrovieri.
Milano
può
marzo
nessun
non
esisteva
agitazione
e
nel
compartimento di
nessun
comitato di libe¬
era la stessa organizzazione dei comunisti, che pure avanti altri più degli partiti antifascisti. Si legge in un rap¬ della Federazione Comunista di Milano del 20 aprile 1944: porto
Debole
erano
« L’organizzazione dei ferrovieri dipende dal comitato di settore il quale dirige il lavoro del comitato di partito dei ferrovieri a mezzo di un compagno responsabile di questo lavoro. L’organiz¬ zazione di partito dei ferrovieri esiste da poco tempo. Si può dire che un lavoro in questa direzione data soltanto dall’inizio di feb¬ braio. Durante lo sciopero essa svolse già una discreta attività. Il manifestino era stato elaborato da loro ed ora hanno già fatto un bollettino. È stata formata una squadra di GAP. È stato co¬ stituito un comitato di partito di 5 membri. Vi sono 29 compa¬ gni così suddivisi: 15 al deposito di Greco, 10 a Lambrate, 2 a porta Romana, 1 alla Stazione Centrale, uno alla Nord. L’orga¬ nizzazione è ancora debole ma esistono grandi possibilità di svi¬ lupparla e rafforzarla. »8
In un rapporto di qualche tempo dopo, si parla di 160 compa¬ gni ferrovieri inquadrati complessivamente a Milano ed in altre località della Lombardia, e precisamente 75 macchinisti e fuochi¬ sti, 40 personale di officina, 15 personale viaggiante, 25 di ma¬ e 5 impiegati. Questa debolezza organizzativa oltre che ad
novra
una sottovaluta¬ zione dell’importanza del lavoro dei ferrovieri, che fu forse ini¬ zialmente trascurato dai partiti antifascisti, dev’essere attribuita anche alle caratteristiche della categoria stessa, alle sue tradidizioni di accentuata tendenza all’autonomia, all'opera di « in¬ quadramento » e di controllo svolta nel corso del ventennio dal fascismo che era riuscito, assai più che non nelle fabbriche, ad imporre una disciplina « militare » ai ferrovieri, a compiere tra
8 Archivio
454
del
PCI, Istituto Gramsci, Roma.
di essi
una
molti anni
certa
agitazioni
Severe sanzioni anche prima della
pubblici Non
opera di
che
e
«
fascistizzazione
»,
ad
impedire
per
scioperi.
ed il licenziamento immediato erano previsti guerra per i ferrovieri e gli addetti ai servizi
avessero
scioperato.
significato che, tribunale speciale, su
corso di 17 anni di funziona¬ 4.596 condannati (in grande mag¬ gioranza operai, artigiani e salariati agricoli) i ferrovieri siano stati soltanto 23 di cui la metà non erano già più in servizio al momento del loro arresto. Così pure è sintomatico, a riprova delle forti tradizioni e ten¬ denze autonomistiche, che il primo numero del giornale clande¬ stino « lì ferroviere », apparso soltanto nel febbraio 1945, nel
mento
è
del
senza
nel
pieno della battaglia insurrezionale, avesse un fondo non dedicato al potenziamento della lotta nella quale i lavoratori ed i patrioti si trovavano impegnati, ma alla necessità di ricostruire, il sinda¬ cato « autonomo » dei ferrovieri, senza neppure un accenno alla opportunità che esso fosse collegato con le altre organizzazioni sin¬ dacali dei lavoratori. Il Vailini attribuisce il dissenso di alcuni partiti del CLN dalle azioni di massa ingaggiate dagli operai al fatto che questi, per mezzo degli scioperi, conducevano essenzialmente una lotta di classe. Anche a p. 69 l'autore insiste sullo stesso concetto, là dove afferma che: « lì partito comunista quale partito operaio concepì e condusse, dove gli fu possibile, una lotta antifascista che fu spic¬ catamente lotta di classe, ed è per questo motivo che si adoperò con ogni sua forza nell’organizzazione degli scioperi. Non così fu l’antifascismo del partito liberale, ad esempio, lotta quasi esclusivamente d’opinione. »
impegnato
in
una
In questa presentazione si dà l’impressione di accettare, certo involontariamente, la errata tesi portata avanti dai partiti bor¬ ghesi per giustificare la loro contrarietà, le loro riserve alle pro¬
poste di sciopero avanzate dai comunisti e dai comitati di agita¬ zione. Durante la Resistenza, gli scioperi ebbero uno spiccato ca¬ rattere di lotta nazionale. È anzi impossibile separare la lotta e interessi di classe dalla lotta nazionale. Alla base dell’azione della classe operaia e dei lavoratori stavano non soltanto neces¬ sità economiche, ma motivi ideali, sociali e nazionali, stavano profondi sentimenti di odio contro il fascismo, di amore per la
gli
e l’indipendenza da conquistare. Difendendo le proprie posizioni ed affermando se stessa, la classe operaia affermava gli interessi del popolo e di tutta la na¬
libertà
zione. La lotta che
gli operai
e
i lavoratori conducevano
con
gli
455
scioperi, l’azione di massa ed il sabotaggio della produzione bel¬ lica per i tedeschi, non erano soltanto nell’interesse di una classe, ma assumevano funzione e carattere nazionale. Con quella lotta, la classe operaia dimostrava di avere maturato la sua coscienza di classe nazionale portatrice e interprete dei destini della nazione. È facilmente comprensibile come gli operai, anche se mette¬ vano avanti delle rivendicazioni di carattere economico, non scio¬ peravano soltanto per avere un aumento del salario zioni di viveri, per motivi cioè strettamente economici
delle ra¬ di classe. I lavoratori sapevano bene che, scioperando, sabotando i tra¬ sporti e la produzione, correvano il rischio dell’arresto, della de¬ portazione ed anche della fucilazione. Salari e cottimi, per im¬ portanti che fossero, non lo erano al punto da spingere i lavo¬ ratori a metter a repentaglio la libertà e la vita per ottenere au¬ menti di poche lire ed una maggior quantità di viveri. Erano perciò del tutto inconsistenti e assurdi i pretesti messi avanti dai rappresentanti di certi partiti in seno ai CLN per giu¬ stificare la loro contrarietà e le loro riserve agli scioperi impe¬ gnati dagli operai. In realtà, quei partiti non volevano fossero toccati gli interessi dei grandi industriali e sostenevano l’impos¬ sibilità di condurre con successo la lotta di Liberazione nazio¬ nale se, nello stesso tempo, i partiti dei lavoratori favorivano e davano impulso allo svilupparsi degli scioperi e della lotta di classe. Al contrario, nei comunisti pensavamo che era possibile dare e
e
giusta impostazione ed imprimere slancio possente alla lotta nazionale soltanto se nello stesso tempo si difendevano con forza
una
gli
interessi immediati
e
generali
delle classi lavoratrici. Gli in¬
teressi e la lotta della classe operaia non erano in contrasto, ma coincidevano con quelli della nazione. Così come oggi la lotta contro i monopoli che gli operai e i lavoratori conducono è nel¬ l’interesse non di una classe soltanto, ma di tutta la nazione. Vallini ha invece del tutto ragione quando afferma che la di¬ versità fondamentale tra l’attività antifascista dei comunisti, delle forze di sinistra e quella dei partiti borghesi in seno ai CLN con¬ sisteva essenzialmente nella diversa prospettiva storica dei due schieramenti. La classe operaia, i lavoratori ed i loro partiti d’avanguardia lottavano nella Resistenza per conquistare le libertà per tutti i per gli operai, per i contadini, per le classi oppresse, lottavano per dare vita, dopo la Liberazione del paese, ad un re¬
cittadini,
sociale nuovo che realizzasse profonde riforme di ed una effettiva democrazia, che estirpasse le radici del
gime politico struttura
456
e
fascismo
liquidasse grande proprietà. e
i
più iniqui privilegi del capitale
e
della
Altre classi e altri partiti come quello liberale, ad esempio agivano in seno alla Resistenza con obiettivi diversi, mirando alla restaurazione del capitalismo ed al ritorno ad un regime di
democrazia
discordia nell’unità, anche
in
«
seno
sviluppo
conservatrice. Di qui, la ai CLN. Di qui, le posizioni
attesiste », contrarie allo
delle lotte di massa, da parte del partito liberale e, in
misura, anche della DC. È dalla classe operaia, dai partiti
certa
e dagli uomini che la rappre¬ che vennero avanzate le proposte più giuste per il raf¬ forzamento della lotta di Liberazione, le iniziative che meglio corrispondevano non agli interessi di una classe soltanto, ma agli interessi di tutto il popolo e di tutta la nazione.
sentavano
457
PER UNA SOLIDARIETÀ ATTIVA CON I PARTIGIANI E LE FORZE POPOLARI DEL VIETNAM9
...Ritengo della
sia
situazione
bene porre all'ordine del giorno l’esame internazionale che è andata aggravandosi per
stato
l’accentuarsi delle
spinte aggressive deH’imperialismo americano più aperte e virulente non soltanto nello scacchiere asiatico, ma nell’Africa, nell’America Latina, ovunque vi sono dei popoli che lottano per la loro indiche si manifestano in azioni sempre
pendenza
e
libertà.
Era me
tanto più necessario porre all’ordine del giorno questo in quanto mi sembra vi sia, in diverse organizzazioni, una
esa¬ sot¬
tovalutazione dei fatti che stanno accadendo e del modo come si sviluppa la situazione internazionale, la cui gravità è tale da ri¬ chiamare seriamente l’attenzione dei lavoratori, del movimento democratico, delle forze della pace del nostro paese e di tutta
l’Europa. Con le loro frequenti aggressioni, gli imperialisti americani re¬ coi fatti la politica di coesistenza e di pace. Non ritor¬
spingono
nerò sui motivi della
brigantesca aggressione
deliberatamente
or¬
ganizzata dai circoli dirigenti politici e militari dell’imperialismo americano al Vietnam del Nord, sui motivi della guerra che da anni insanguina quello ed altri paesi che ancora lottano per la loro indipendenza. Questi motivi sono stati ampiamente illustrati nel rapporto del compagno Berlinguer; ma credo che anche se già è stato detto, e nel rapporto stesso e negli interventi di compagni che mi hanno preceduto, non sia superfluo sottolineare ancora il punto del: « che fare? ». Dobbiamo esaminare che cosa dobbiamo fare noi comunisti, che cosa deve e può fare il movimento demo¬ cratico ed antifascista italiano per dimostrare la sua attiva e con¬ creta solidarietà con i partigiani e le forze popolari che si battono eroicamente nel Vietnam del Sud e con gli altri popoli che lot¬ tano per il diritto alla vita, alla indipendenza, alla libertà, per¬ ché ognuno di noi in questa situazione sente l’esigenza di una
più larga mobilitazione delle forze che lottano per la pace. Tanto più che i gravi avvenimenti di questi giorni nel Vietnam non sono
episodi {solati, e
ma
di aggressioni,
9
458
un
sono
anello di
tutta una
catena
un’ennesima prova della
Dall’intervento al CC del PCI,
«
di provocazioni
volontà dell’impe¬
l’Unità », 19 febbraio 1965.
rialismo americano di affermare con la violenza, con lo strapotere delle armi atomiche e convenzionali il suo predominio nel mondo, la sua volontà di voler conservare ad ogni costo lo statu quo per cui i
popoli
ancora
in lotta per la
della libertà dovrebbero
essere
conquista dell’indipendenza
condannati per sempre alla
e
ser¬
vitù, alla fame ed alla vergogna. Il sistema coloniale è stato battuto, spazzato via dalla lotta ri¬ voluzionaria dei popoli, ma non vi è dubbio che gli si rassegnano alla nuova situazione del mondo e
imperialisti
non hanno rinunciato ad esportare la controrivoluzione, né a cercare di rista¬ bilire il loro predominio con altri sistemi di schiavitù o di neo¬ colonialismo. Tuttavia il problema non è soltanto quello di analizzare raggra¬ varsi della situazione, di ricercarne le cause ed esprimere dei giu¬ dizi sui quali è facile concordare. Si tratta soprattutto di esami¬ nare, il che non può esaurirsi con degli articoli sulla stampa e dei discorsi al Senato o alla Camera, che cosa dobbiamo e possiamo fare noi comunisti, noi movimento operaio e democratico per eser¬
non
più forte pressione sul governo affinché assuma una conforme posizione agli interessi del nostro paese ed ai dettami della Costituzione, affinché si decida ad esprimere la volontà della grande maggioranza del popolo italiano che condanna le aggres¬ citare
una
imperialiste e la politica nazista delle rappresaglie, del ter¬ della forza che calpesta con i diritti dei popoli ogni norma morale e civile. Gli avvenimenti del Vietnam ci richiamano energicamente a considerare una realtà che non può essere per noi soddisfacente. Il modo come anche i più forti partiti comunisti e socialisti d’Eu¬ ropa, il modo come le forze democratiche nel loro complesso han¬ sioni rore,
reagito alla brutale e ripetuta aggressione delhimperialismo non può certo soddisfare, né lasciare tranquilli sul gra¬ do e capacità di mobilitazione del movimento operaio, antifascista ed antimperialista d’Europa e sulla capacità all’occorrenza di im¬ pegnare rapidamente, con decisione ed a fondo il movimento ope¬ raio e democratico per fermare la mano agli aggressori e salvare no
americano
l’indipendenza e la libertà dei popoli la pace del mondo. Non esaminerò, anche perché non spetta a me e non ne ho l’informazione necessaria, quanto hanno fatto i partiti comunisti e operai di altri paesi, se hanno fatto di più o di meno di quanto siamo riusciti a fare noi. Ma ritengo che noi dobbiamo guardare innanzi tutto a casa nostra, perché il modo migliore per mettere il dito sulle debolezze è quello di vedere intanto ed in parti¬ colare le nostre. con
459
Non possiamo pronte reazioni
non
rilevare,
assieme ad alcune buone iniziative
manifestazioni di massa, anche dei vuoti, del¬ le lacune e dei ritardi notevoli. Non si sfugge all’impressione di una scarsa sensibilità, di una certa indifferenza e sottovalutazione da parte delle nostre organizzazioni dell’importanza della solida¬ rietà internazionale, della lotta contro il colonialismo e le aggres¬ sioni imperialiste, una sottovalutazione della gravità della situa¬ zione che ci potrebbe fare trovare anche improvvisamente di fron¬ te a crisi pericolose molto acute, in cui, come scriveva il compa¬ gno Togliatti, « dovranno essere impegnati a fondo tutto il mo¬ vimento comunista e tutte le forze operaie e socialiste d’Europa e del mondo intero ». Si ha l’impressione che certi avvenimenti internazionali, anche se gravi, non riescono a distogliere le nostre organizzazioni dalla e
normale
routine
e
e
dall’impegno
per i
problemi
amministrativi
e
della pianificazione, dell’urbanistica, della programmazione e di tante altre cose senza dubbio importanti, ma che in certi momenti non possono e non devono distrarre la nostra attenzione da quanto succede nel mondo. Non si possono e non si devono considerare i gravi avveni¬ menti del Vietnam come qualcosa che viene a distrarci dalle no¬ stre normali occupazioni, dai nostri piani di lavoro, per cui si cerca di farvi fronte alla meglio organizzando affrettatamente un comizio, una manifestazione tanto per fare e per poter dire di aver fatto qualche cosa. Organizzazioni nostre e democratiche anche importanti si sono mosse con una certa lentezza e in seguito all’intervento, allo sti¬ molo del quotidiano e degli organismi centrali del partito e quan¬
politici
parti del paese la stessa opinione pubblica dimo¬ in modo attivo la sua preoccupazione per i gravi avveni¬
do in diverse strava
e la volontà di fare sentire la presenza del popolo italiano. Abbiamo presentato delle interpellanze alla Camera ed al Se¬ nato, ma qui la discussione è avvenuta con non sufficiente rilievo, si può dire quasi assente il paese, come d’altronde rimangono senza eco tutte le discussioni che si svolgono in Parlamento quan¬
menti
do
non
studi
vi
partecipano
attivamente le
fabbriche, le officine, gli
le scuole, quando la discussione e la protesta in Parlamen¬ to non sono nello stesso tempo discussione e protesta delle masse lavoratrici. Se guardiamo alle manifestazioni di un certo rilievo queste si sono avute a Roma, a Napoli, a Milano, a Torino e, se non vado errato, in alcuni altri centri secondari, ma si è trattato per lo più di manifestazioni di giovani. Non sottovaluto certo la loro im¬ 460
e
portanza che avrebbe potuto anche essere maggiore se si fossero svolte in tutta Italia. Ma la nostra azione non può esaurirsi in poche manifestazioni di strada ed in alcune iniziative analoghe so¬
prattutto
le
quando
in
ogni simile
circostanza si
ripetono quasi nel¬
forme schematiche. Il limite di queste manifestazioni e della pressione che sale dal paese lo si può avere dal fatto che il presidente del Consiglio, l’on. Moro, si è deciso a rispondere alle interpellanze dopo pa¬ stesse
giorni ed
recchi
cinque giorni dopo che alla Camera
esattamente
dei Comuni in Inghilterra aveva già avuto luogo sull’argomento un ampio e vivace dibattito. Ancora una volta, come in altre circostanze analoghe, abbiamo avuto la dimostrazione del poco rispetto del governo verso il Par¬ lamento. Non è mai il governo, non è mai il presidente del Consi¬ glio, né il ministro degli Esteri a prendere l’iniziativa di andare ad informare il Parlamento su avvenimenti internazionali la cui gravità è tale da poter fare trovare il nostro paese coinvolto o trascinato in avventure le cui conseguenze possono essere disa¬ strose. Ed anche quando governo e presidente del Consiglio sono trascinati per i capelli ad ascoltare lo svolgimento delle interpel¬ lanze, non danno mai una risposta, si rifiutano di dire che cosa una opinione sul¬ le diverse iniziative di pace avanzate in questi giorni da varie parti, né chiedono su di esse l’opinione responsabile del Parla¬
intendono fare, si rifiutano persino di esprimere
al Senato, rispondendo agli oratori inter¬ degli Esteri, il presidente del Consiglio, on. Moro, dopo aver accennato alle diverse iniziative per impedire l'aggressione e il prolungamento del conflitto nel Vietnam, ha detto: « Non entro nel merito di queste proposte che dovranno essere esaminate e valutate particolarmente da coloro che hanno diretta e immediata responsabilità in quel settore geografico. Noi continuiamo a ritenere che non sia oggi nostro compito quello di prendere una diretta iniziativa, anche se guardiamo a quelle au¬ torevoli manifestazioni di attività internazionale con attenzione mento.
Ancora
stamane
venuti sul bilancio
e
speranza.
lì
di dare la se
la
»
nostro governo non
cava
sua
con
ha
una
politica
opinione sulle proposte affermazioni
momento, dicendo che
estera, si rifiuta
avanzate
persino
da diversi paesi,
quanto mai gravi in questo continuerà a svolgere una politica
generiche,
esso
«
che,
tenendo presente la necessità della difesa nazionale e le immutabili istanze di solidarietà atlantica, riaffermi la volontà di pace dell’Occidente ». Tutto questo rivela, da un lato, lo scarso rispetto delle istitu461
zioni democratiche da parte del governo di centro-sinistra che se il Parlamento non esistesse, ma, dall’altro, anche insufficiente mobilitazione del movimento operaio e demo¬ cratico che con un intervento più attivo potrebbe sollecitare il governo ad una maggiore sensibilità nell’assumere una posizione responsabile davanti all’opinione pubblica e davanti agli organismi che legittimamente rappresentano l’intera nazione.
agisce
come
una
Certi
uomini
atteggiamenti degli
di
governo,
dell’esecutivo
il Parlamento sono anche la conseguenza di una insufficiente e tardiva pressione da parte del paese. I giovani, i partigiani della pace, alcune associazioni di ex combattenti hanno senza dubbio il loro peso, ma non sono essi a muovere le larghe masse della verso
popolazione, mentre ogni giorno nelle diverse parti d’Italia mi¬ gliaia di lavoratori entrano ed escono dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro, si raccolgono in determinati punti, in imponenti assem¬ blee economiche, sindacali, di categoria i motivi più diversi. Nei momenti più
o
in comizi convocati per
drammatici
come quelli dei giorni scorsi, di fiumane di dovreb¬ lavoratori questo spontaneo be offrire occasione per poter parlare ad essi a mezzo di comizi improvvisati o di interventi negli stessi comizi già convocati, per
concentramento
richiamare
su quanto accade nel mondo. Le solo il Parlamento devono esprimere
l’attenzione anche
le officine
fabbriche, la loro opinione, la loro ferma volontà di pace. Vi fu un tempo in cui nei luoghi di lavoro, negli studi e nelle università tra i lavoratori e gli uomini di cultura si raccoglievano firme a ripetizione, forse anche abusando di una forma d’azione che, come ogni altra quando diventa abitudinaria, acquista un sa¬ pore burocratico e perde d’efficacia. Non si tratta di ritornare a forme superate, ma di trovarne delle nuove e più efficaci; non possiamo accontentarci di poco dal governo, dal Parlamento e dal e
non
paese. Nello stesso lavoro di preparazione della Conferenza nazionale delle fabbriche, non dobbiamo dimenticare di porre assieme ai pro¬ blemi economici e rivendicativi, assieme a quelli della program¬ mazione anche i problemi della pace, della coesistenza, della lotta contro l’imperialismo e le provocazioni di guerra. I sindacati stessi
non
possono,
specie in certi momenti gravi,
fare sentire la parola, la volontà, le aspirazioni alla coesistenza ed alla pace, lo spirito di solidarietà internazionale della grande massa dei lavoratori italiani. Abbiamo letto ieri un telegramma di solidarietà della CGIL pubblicato però nell’ultima pagina de « l’Unità », mentre in prima non
462
pagina dominano
lì Vicario e le legittime proteste per il grave arbitrio poliziesco. Fatto senza dubbio grave quello accaduto a
Roma, che
dev’essere sottovalutato, le proteste ripeto sono legittime e devono continuare, ma l'albero non ci deve na¬ scondere la foresta e dobbiamo dare l’adeguato rilievo ai fatti ancora più gravi che stanno accadendo nel mondo. Nel corso di manifestazioni, assemblee di massa, comizi in occa¬ sione di agitazioni e scioperi dev’essere possibile a dei semplici operai, contadini, a dei lavoratori rappresentanti di una fabbrica, di un cantiere o anche non delegati da alcuno chiedere la parola per presentare un ordine del giorno, proporre un’iniziativa, avan¬ zare una proposta. Un tempo si usava; il comizio era anche una assemblea, in un certo senso un dibattito tra oratori e operai.
Oltre agli
non
oratori ufficiali la
parola
era
quasi
sempre accordata al¬
due o tre dei partecipanti che la chiedevano. Se erano in molti a chieder la parola, non potevano certo averla tutti; chi la otteneva poteva essere ascoltato o no, applaudito o fischiato, ma meno
in
a
ogni manifestazione,
seppure necessariamente per
pochi minuti,
la parola veniva concessa anche a qualcuno dei partecipanti. C’era in quest’abitudine la manifestazione di un metodo democratico, i lavoratori partecipavano all’assemblea di massa, al comizio, attiva¬ mente e non soltanto come ascoltatori. Oggi invece il dibattito avviene per lo più soltanto in alto nelle tavole rotonde, tra le élites. Sono in corso in questi giorni grandi manifestazioni di pensio¬
nati, di lavoratori tessili, di emigrati
contro
licenziamenti, di metallurgici, edili,
i
tornare alle loro case, di operai in agitazione per difendere i loro diritti. Nessuno sottovaluta certo l’importanza dei problemi e delle rivendicazioni che interessano direttamente e immediatamente i lavoratori: il pane, il lavoro, il salario, l’occupazione, la pensione, la condizione umana ed il tenore di vita. Ma mentre dobbiamo impegnarci sempre più per essi, non possiamo ignorare tutto il resto perché esiste un collegamento reale tra i problemi economici e sociali, tra i problemi della program¬ mazione e delle riforme e quelli della coesistenza, della libertà e della pace. Le stesse correnti unitarie e progressive, che partecipano attiva¬ mente ed operano nelle associazioni di massa degli ex combattenti,
costretti
a
degli ex partigiani, degli antifascisti, degli studenti e degli uomini di cultura, nelle associazioni le più diverse, dovrebbero muoversi in determinate occasioni, come questa, con maggiore scioltezza e tempestività. In genere, queste correnti si muovono bene e rapidamente nelle 463
occasioni in cui è facile trovare l’accordo con tutti i gruppi di di¬ verso orientamento politico ed ideale che fanno parte di queste associazioni. Ma non possiamo limitarci ad avanzare proposte ed iniziative soltanto quando è facile trovare l’accordo di tutti e ri¬ nunciare
proprio
a
priori ad ogni tentativo di promuovere azioni più gravi quand’è necessario che
nei momenti
unitarie
il paese
attraverso le molteplici e articolate forme dell’odierna vita democratica, faccia sentire la sua volontà di pace, la sua energica protesta contro le aggressioni imperialiste, contro la politica colo¬ nialista ed eserciti la sua legittima, decisa pressione sugli organi responsabili di governo perché si associno alle iniziative di pace e di disimpegno dell’Italia da azioni avventurose di guerra o che po¬ trebbero portare alla guerra. L’azione per l'unità esige sempre un impegno attivo e costante
tutto,
per realizzarla. Non possiamo a rinunciare preventivamente
proposte
pensando
respingeranno. convincere,
che
non
Intanto ciò
persuadere,
essere
noi stessi
a
crearci dei
tabù,
proporre iniziative, ad avanzare tutti saranno d’accordo, che altri le
non
riuscire
a
è sempre a
trovare
Discutendo si può l’accordo per una inizia¬
vero.
magari su di un piano più limitato di quello che desiderato. Inoltre non tutte le associazioni di massa democratiche antifasciste, unitarie con le loro sezioni periferiche che operano nelle diverse province sono orientate allo stesso modo, composte e dirette dalle stesse persone. L’accordo che non si può realizzare con Puna è possibile realizzarlo con un’altra di esse, ciò che non si può fare oggi a Torino, è possibile ottenere a Milano e viceversa. A Bologna, ad esempio, i rappresentanti delle tre associazioni di ex partigiani e della Resistenza, dopo una discussione inizial¬ mente vivace e non priva di contrasti, hanno trovato l’accordo nel voto di un ordine del giorno accettato da tutti, anche dall’organiz¬ tiva comune,
avremmo
zazione di
partigiani democratici-cristiani, di solidarietà col
Viet¬
nam, con i popoli che lottano per la loro indipendenza, di deplo¬ razione delle aggressioni imperialiste, di sostegno delle iniziative
di pace. Non soltanto in Parlamento, ma anche nei comuni, nelle pro¬ vince, negli enti locali le correnti democratiche e progressive de¬
fare sentire la loro volontà di pace. Per concludere, ciò che oggi intendiamo sottolineare è la
vono
cessità di dare
più forte slancio, maggior vigore all’azione di
ne¬
massa
della classe operaia, dei contadini, dei lavoratori, del movimento democratico, maggior slancio alle iniziative ed alle lotte per la 464
coesistenza, per la pace, per l’indipendenza dei popoli,
contro
la
politica aggressiva dell’imperialismo.
Sullo stesso piano internazionale non dobbiamo esitare a pro¬ muovere, a sollecitare in Europa delle iniziative per sviluppare azioni unitarie, azioni comuni per portare avanti la lotta antico¬ lonialista, di solidarietà con i popoli che lottano per l’indipen¬ denza, iniziative per la coesistenza e per la pace. Non si tratta di fare delle
il
senso
di
frasi,
né di
responsabilità
biamo ricordarci di
proposte velleitarie ma, con tutto nei limiti della nostra influenza, dob¬ un grande movimento e di avere una
avanzare e
essere
forte responsabilità nelle posizioni e negli atteggiamenti che il movimento operaio, comunista e democratico dell’Occidente as¬ sume e deve assumere. Abbiamo ripetutamente espressa la volontà di ricercare il collegamento concreto per stabilire l’unità nella lotta col movimento operaio e democratico di altri paesi d'Europa al fine di realizzare un più vasto e compatto fronte contro l’imperialismo, contro il colonialismo, contro la politica dei monopoli, al fine di dimostrare una più concreta e fattiva solidarietà con tutti i popoli che lottano per la loro indipendenza. Oggi più che mai balza agli occhi di tutti la necessità di raffor¬ zamento dell’unità e della effettiva concreta solidarietà del movi¬ comunista e operaio internazionale. Le nostre insistenze per rafforzare quest’unità non derivano da una concezione feticistica mento
dalla consapevolezza della gravità della situazione della responsabilità che tutto il movimento comu¬ nista ha verso l’intera umanità; derivano dalla convinzione che l’unità e la solidarietà attiva del movimento comunista, operaio e democratico internazionale corrispondono alle esigenze ed agli inte¬ ressi di tutte le forze che lottano per la pace e per il socialismo.
dell’unità,
ma
internazionale
e
465
1966
DIBATTITO E DEMOCRAZIA
1
Perché apriamo un dibattito? Il punto di partenza ritengo sia la necessità di ricercare e infine trovare la risposta concreta ad un
interrogativo che molti compagni
amici si pongono:
e
che
cosa
deve fare oggi la Resistenza? Che cosa deve fare oggi l’ANPI? Si tratta di due ordini di problemi distinti: l’uno riguarda tutti gli uomini che si richiamano alla Resistenza, l’altro interessa un’asso¬ ciazione, la più attiva, la più unitaria, seppure anch’essa con le
debolezze,
sue
stenza.
tra
quelle che raggruppano gli uomini della Resi¬ problemi distinti per portata ed obiettivi separati da una muraglia. Le rispettive soluzio¬
Due ordini di
di lavoro, ma non ni infatti si intrecciano
e confluiscono in un unico scopo. Arialdo Banfi ha iniziato la discussione trattando soprattutto del primo
ordine di problemi, il che
per
ora
farò anch’io.
Sull’inquietudine del mondo e dell’Italia, sui problemi non risolti che si accumulano, sulla crisi che non è soltanto crisi di governo, sui vecchi e nuovi motivi di sfiducia nelle istituzioni par¬ lamentari sorgenti dalle acque stagnanti, non credo sia il caso di
le stesse cose. Così pure concordo pie¬ l’amico Banfi sulla necessità che gli italiani prendano coscienza che « elemento insostituibile di un sistema democratico aggiungere
parole, ripetere
namente con
sono
i
partiti politici che esprimono,
in modo
organizzato, le
ten¬
denze presenti nel paese e che la loro adesione ai partiti non può essere un semplice fatto elettorale, da esprimere in occasione del voto, ma un modo di essere cittadini democratici ». Un
anno
fa,
a
Siena,
unanimi da Boldrini
1
«
a
ci trovammo tutti uniti
Banfi, da Andreis
a
Nitti,
e a
possiamo dire Secchia
a
tanti
Patria indipendente », febbraio 1966. 467
altri nel respingere quella tendenza, così ben descritta da Mazzon, ad una critica recriminatoria e negativa dei partiti considerati da certuni in parte falliti ed in gran parte responsabili, tutti sullo stesso piano, della non avvenuta realizzazione degli ideali della
Resistenza; così come fummo concordi nel respingere l’idea che parve affiorare, seppur da nessuno espressa in modo preciso, che la soluzione a tutti i mali potesse trovarsi in una specie di nuovo
partito al di nome:
sopra di tutti i
partiti, portante sul cappello il grande
Resistenza.
I partiti sono una realtà e piaccia o non piaccia a certuni alla base della nostra Costituzione, gli strumenti necessari e indispensabili della dialettica e della vita democratica, soprat¬ tutto, i partiti danno la possibilità « ai cittadini di concorrere con metodo democratico a determinare la vita nazionale ». Ma i partiti, i loro apparati e i loro gruppi parlamentari non risolvono e non possono pretendere di risolvere tutto da soli. Da che cosa nasce questa serpeggiante sfiducia nei partiti e nelle isti¬ tuzioni democratiche? Da molte cause, ma una di esse e forse la sono
principale è che oggi tutto si risolve sempre più dall’alto nei grandi centri di potere e questo potere è nelle mani di grup¬ pi sempre più ristretti che dominano la vita nazionale, nell’econo¬ mia (monopoli), nella politica (governi), nei partiti (direzione e »
«
apparati). Gli apparati politici vivono in un mondo in un certo senso irreale, astratto, di « eletti », di professionisti della politica, mentre sempre più forte si sente la necessità di vivere la vita reale uomini semplici, la vita normale ed abituale del mondo del lavoro.
degli zia
degli
uomini
Si è andata facendo strada in certi ambienti l’idea che democra¬ e Parlamento siano sinonimi; mentre invece la democrazia si
esplica in molte forme di cui quella parlamentare non è che una. Sempre più forte è sentita dalla grande massa dei cittadini la ne¬ cessità di poter partecipare più direttamente alla determinazione della politica nazionale. Sempre più forte il cittadino produttore (in genere si usa parlare di uomo semplice, uomo della strada, ma
sarebbe più giusto chiamarlo
uomo
del lavoro)
cessità di contare, di poter esprimere e fare valere la di poter esercitare un peso effettivo nelle decisioni,
sente
la
ne¬
opinione, nella soluzio¬ sua
dei più importanti problemi della vita nazionale. Ritengo che Pierre Mendès-France abbia detto una grande verità quando af¬ fermò che nel prossimo avvenire la democrazia di rappresentanza elettiva dovrà cedere il passo di fronte alla democrazia di parte¬ cipazione diretta. ne
468
Gli operai, i tecnici, i contadini, i i lavoratori di
sentono
esaurirsi nel
anni
e
ogni categoria dare ogni cinque
neppure nella lotta
quotidiana
professionisti, gli impiegati, che la loro azione non può
un voto, un mandato fiduciario in difesa del salario, dell’orario
delle condizioni di lavoro. Non si vive di solo pane e vi sono problemi dalla cui soluzione dipendono i salari, le condizioni di vita, il progresso e con la pace l’avvenire del paese. Da oltre un mese la crisi di governo si trascina nella confusio¬ ne, negli inganni, negli equivoci barattieri e nelle risse tra ristretti gruppi di potere. In quale modo gli operai, i contadini, i tecnici, i professionisti, gli uomini del lavoro e degli studi possono inter¬ venire? Chi li consulta? Come possono fare sentire la loro volon¬ tà? Attraverso quali meccanismi? Il Parlamento? I partiti? Il Parlamento è estraneo, anzi in periodi di « crisi » è chiuso, non funziona neppure formalmente. I partiti? Ma dal consesso dei partiti e delle direzioni che si incontrano al tavolo delle trattative ne manca uno, ed è uno che conta 8 milioni di elettori e rap¬ presenta una grande parte del corpo elettorale ed una parte ancor e
In questo modo, la democrazia il gioco alterato. Quando la discriminazione prevale, la democrazia cessa di fun¬ zionare. Quando un partito ha la vocazione del monopolio del po¬ tere per sé e del veto discriminatore per altri, il suo governo si
più grande del mondo del lavoro. viene falsata
e
trasforma in
regime. potrà
Nessun
tutto
governo
mai veramente governare,
durare, risol¬
problemi vitali, fare una politica progressiva se prescinde da una grande parte delle forze produttive, dalle forze democratiche e del lavoro. Potrà mettere assieme una trentina di poltrone mi¬ nisteriali, fare prevalere questa o quella corrente di partito, ma vere
i
non
avrà effettivo potere di governo, i suoi ministri
capacità di persuasione, varranno pressoché duttivo, tra gli uomini del lavoro. Qualsiasi
zero
non
avranno
nel campo pro¬
programma di gover¬
di partiti che non tenga in adeguata considerazione le forze del lavoro e la loro volontà non può essere un programma demo¬ cratico. Ogni politica che non parta dal presupposto di « libera¬ re », di dare maggior potere, attraverso le necessarie riforme, alle forze del lavoro non può che essere sterile, destinata al fallimento, anche se viene sbandierata nel nome di grandi ideali e con le mi¬ gliori buone intenzioni. Si tratta di verità semplici, elementari, che dovrebbero unire tutti gli uomini che si richiamano agli ideali della Resistenza. Ma non bastano certo le parole, né la propaganda delle verità per no
o
469
dei cittadini, per unire i demo¬ determinare le condizioni necessarie alla realizzazione di governi nuovi, di una politica nuova, a retti rapporti tra governo e paese e ad un effettivo funzionamento delle istituzioni demo¬ cratiche. Ecco perché dobbiamo si discutere, dibattere, ma soprat¬ tutto operare, lavorare, agire. La discussione da sola non è suffi¬ ciente se non è accompagnata dalPimpegno di lavoro, di iniziative e di lotta di tutti gli uomini della Resistenza e delle loro orga¬ nizzazioni. Prima di Siena abbiamo detto: apriamo un dibattito; dopo Sie¬ na abbiamo ripetuto: portiamolo avanti. È trascorso un anno e, tanto per cambiare, stiamo aprendo o riprendendo un dibattito. Senza dubbio il dibattito aiuta a chiarire le idee, può dare una spinta, farci fare dei passi, ma la soluzione occorre trovarla nel lavoro, nelle iniziative, nell’impegno e nelle lotte non di gruppi ristretii ma delle masse. I dibattiti devono andare al fondo delle cose, investire i problemi reali quali le condizioni di vita, l’occu¬ pazione, le libertà, le discriminazioni, il governo che occorre dare al paese; deve affrontare le questioni che ogni giorno si dibattono nelle officine, nelle aziende, negli studi, nelle scuole, ed in questi dibattiti devono avere il loro posto anche gli ideali. Poiché gli ideali sono anch’essi una realtà; la Resistenza non sarebbe vissuta, gli uomini come la società non potrebbero vivere, né progredire senza ideali. I dibattiti devono affrontare problemi reali e ad essi devono partecipare il più gran numero di lavoratori, di cittadini. Oggi è invalsa l’abitudine delle tavole rotonde, ma le stesse tavole roton¬ de hanno assunto una forma sempre più di élitey di aristocrazia, riuniscono alcuni cervelli attorno ad un tavolo, dinanzi ad un regi¬ stratore o anche davanti a un « video »: in ogni caso, si tratta mettere
cratici
in
movimento le
masse
e
sempre di una forma limitata e indiretta di democrazia che divide il popolo in pochi eletti da una parte ed in milioni di ascoltatori
dall’altra. Cosicché non soltanto è ristretta la partecipazione diret¬ ta dei cittadini alle decisioni, ma persino ai dibattiti. II papa s’è recato nei giorni scorsi in mezzo agli operai edili. È stato un grande esempio. Perché certe tavole rotonde non po¬
delle assemblee di cittadini, di lavoratori col diritto, nei limiti di tempo e di possibilità, ai presenti di po¬ trebbero farsi davanti
a
ter intervenire? Occorre
studi, studi, 470
raggiungere direttamente gli
uomini del lavoro
e
degli
produttori nelle loro sedi più naturali, nelle officine, negli nelle assemblee sindacali e associative. Quale governo dare i
al paese,
con
quali forze,
veramente governare,
come
dare vita
a
governi che
uscire dalla crisi che
non
possano è soltanto
politica e sociale? Queste le questioni che inte¬ cittadini, tutti i democratici e con essi gli uomini Resistenza. Tutti sono interessati a queste questioni, devono
economica, ressano
della
come
ma
tutti i
poter intervenire nei dibattiti, esprimere il loro parere, far senti¬ re la loro volontà. E questa loro volontà non può essere ignorata né dal
Parlamento,
né dal governo, né dai
partiti.
471
1967
STATO E POLIZIA
'
Non credo superfluo, signor presidente, on. colleghi, richiamare alla vostra attenzione due punti fondamentali introduttivi della relazione che accompagna il disegno di legge che il sen. Terracini ed altri di noi abbiamo avuto occasione di presentare tre anni or
sono.
A vent’anni dall’abbattimento del fascismo, a diciotto dalla cacciata della monarchia e dalla proclamazione della Repubblica, proclamazione fatta per volontà di popolo, non è più tempo di adeguamenti parziali della legge di PS, ma urge una legge nuova e generale. Il testo unico vigente venne posto a presidio di uno
Stato eretto sulla radicale negazione della democrazia, dei diritti delle libertà politiche, a presidio di un ordinamento fondato non sulla sovranità popolare, ma sulla dittatura, sulla gerarchia dall’alto e sul più stretto accentramento politico e amministrativo.
e
Fuori del codice
civile, l’esercizio della più
gran parte delle atti¬
dal consenso discre¬ dal zionale dell’esecutivo e, per esso, placet dell’autorità di PS o del prefetto. Questi erano i cardini dell’ordine pubblico in regime monarchico e fascista. vità consentite al cittadino doveva
dipendere
11 Discorso tenuto al Senato, il 22 maggio 1967. L’on. Taviani, ministro dell’Interno (del terzo ministero Moro)
aveva pre¬
al Parlamento il 12 luglio 1966, di concerto col ministro di Grazia e Giustizia on. Reale, un disegno di legge di riforma della legge di PS. Esso aggravava per alcuni aspetti la legge di PS, ancora in vigore, pro¬ mulgata dal regime fascista il 18 giugno 1931, legittimando gli arbitri e le vessazioni poliziesche contro i singoli cittadini, e chiedendo una delega in bianco concessa al governo di poter instaurare con decreto-legge lo stato di emergenza. L’editore Feltrinelli pubblicava i due discorsi del sen. Secchia, quello del 22 maggio e quello che segue del 16 giugno 1967 con un commento nel quale tra l’altro era detto: « Per questo bisogna lottare oggi contro la legge sentato
473
repubblicano si fonda invece su principi radicalmente sulla effettiva sovranità popolare, sull’esercizio a tutti opposti, della libertà politica e religiosa e dei diritti costituzio¬ garantito Lo Stato
nali; sul diritto di tutti i cittadini ad associarsi liberamente in par¬ titi per concorrere con metodo democratico a determinare la poli¬
tica nazionale; sul diritto di libera manifestazione del pensiero, di stampa, di propaganda, di riunione, di circolazione, di sciope¬ ro, nonché sul decentramento, sulle autonomie locali, sulla impar¬
zialità della pubblica amministrazione, sulla garanzia di confor¬ mità delle leggi ai dettati costituzionali e sulle responsabilità di ogni cittadino, sia privato che investito di funzioni pubbliche. È chiaro a tutti, on. colleghi, che con tali premesse il testo unico vigente non poteva e non può essere adattato con parziali, seppure larghi mutamenti, all’attuale nostro ordinamento demo¬ cratico, repubblicano, ma deve essere, dovrebbe essere interamen¬ te sostituito. sen. Airoldi ci informa, nella sua impegnata relazione, come, sede di commissione, dopo ampia discussione sia prevalsa la scelta non di proporre nel suo insieme una nuova legge di PS, ma di introdurre in quella esistente quelle modifiche determinate dalla nuova struttura dello Stato. Il fatto stesso che si sia atteso vent’anni per modificare soltanto in parte l’attuale legge di PS è sintomatico e sta a dimostrare che non la si voleva modificare, che quanto meno quella legge fascista andava benissimo anche adesso. Dopo essere venuti meno per vent’anni, tutti i governi che
Il
in
si
sono
succeduti, al giuramento prestato, alla parola solennemen¬
data al Parlamento ed al paese (non c’è stato governo che non abbia annunciato tra i suoi impegni programmatici l’adeguamento te
delle leggi di PS all’ordinamento democratico repubblicano dello proposta dall’on. Taviani,
a
nome
e
per conto della destra italiana
e
del¬
l’imperialismo americano. Illudersi che la battaglia di oggi sia una battaglia definitiva sarebbe sbagliato. Ma sarebbe un’imperdonabile colpa illudersi che si possa rimandare a domani tale battaglia: ciò significherebbe compro¬ e fin da oggi l’esito. Gli interventi dell’on. Secchia, vice-presidente del Senato, sul progetto di legge attualmente in discussione puntualizzano efficacemente i pericoli della riforma proposta dall’on. Taviani. Essi rappresentano il contributo più
metterne irrimediabilmente «
finora dall’opposizione per chiarire la portata negativa di per sottolineare la necessità di opporsi alla sua promulgazione. lieto di presentarli al pubblico italiano, che certo non ha ancora avuto occasione di leggerli e di studiarli. » Non può non essere sottolineato che tale disegno di legge dell’on. Taviani venne presentato da un governo di centro-sinistra, ma venne poi insabbiato
concreto
offerto
questa legge Sono quindi
e
non
474
e
ottenne
l’approvazione del Parlamento.
Stato); dopo ventanni di parole, di giuramenti mancati, di insince¬ rità e di inganni, si arriva oggi a presentare, a discutere non un testo sostitutivo, ma il vecchio testo fascista modificato e inte¬ non comporta ci assicura il sen. Airoldi alcun detrimento alla sostanza, ma tutti sappiamo che la forma è sempre anche sostanza. Si tratta di antica discussione, da Aristote¬ le a san Tommaso d’Aquino, a Hegel, a Spinoza, a Marx, la for¬ ma non soltanto è una unità organica, ma anche la sua unità con la materia, con la sostanza, è una unità originaria ed è vana la ricerca di un principio unificatore ove forma e sostanza siano
grato. Tale scelta
separate. Ma, dal
momento che si è preferito scegliere la strada di modi¬ ficare il vecchio testo anziché sostituirlo con uno nuovo, sembra a me che sarebbe stato necessario, anzi indispensabile, premettere al disegno di legge una introduzione, almeno un preambolo, che richiamasse i principi fondamentali della Costituzione ed i diritti dei cittadini che l’autorità di PS è chiamata a tutelare. Tanto me¬
glio poi chiamati
quei diritti direttamente,
se
e
quei principi fossero di volta
sia pure
articoli della
lazioni
con
concise
in volta ri
parole, nelle
formu¬
che ad essi si riferiscono.
Depu¬ degli legge ogni articolo, ogni formulazione da qualsiasi nota, precisa¬ zione, sfumatura politica, ridurre tutto ad un arido linguaggio, a frasi puramente tecniche significa in realtà evitare, svigorire la rare
sostanza,
#
significa formulare degli articoli atti a tutti gli usi, a l’ordine pubblico in senso astratto, tanto in uno Stato
tutelare dittatoriale che in uno Stato democratico. Le leggi e le autorità di PS sono invece chiamate a tutelare l’ordine del nostro Stato democratico ed i diritti dei cittadini della Repubblica democratica fondata sul lavoro; le leggi e le autorità di PS non possono e non devono assolutamente ser¬ vire a sovvertire l’ordinamento esistente; non possono e non debbono servire a funzionari o ad ufficiali di qualsiasi grado per farsi ubbidire qualora essi attentassero o avessero attentato alla nostra ro.
Costituzione, alla Repubblica democratica fondata sul lavo¬ ad esempio, che in una o più città del nostro le autorità civili o militari, con uno di quei « colpi » che
Immaginiamo,
paese
si
usa chiamare di Stato si impadronissero con la violenza del po¬ tere, mediante l’arresto di tutti o di una parte dei ministri o delle autorità che sono alla testa degli organi costituzionali dello Sta¬
to
e
proclamassero, lo
per il cosiddetto mantenimento dell’ordine
di emergenza. Sarebbero tenuti gli agenti e i pubblico, funzionari di polizia, i soldati e gli ufficiali ad ubbidire agli or¬ dini di chi si facesse forte del potere usurpato con un colpo di stato
475
procedere all’arresto illegittimo dei cittadini costringerli a restare impassibili, inerti, volenti
mano, per
que per
impotenti, di fronte
ai
e
comun¬
o
nolenti,
sovvertitori dell’ordinamento della
Re¬
pubblica? La Grecia
insegni
Di fronte ad un avvenimento analogo a quello verificatosi in Grecia alcune settimane or sono, gli agenti di polizia, gli uffi¬ ciali comandati all’arresto di personalità e autorità politiche, di dirigenti e militanti dei partiti democratici, all’occupazione di edi¬ fici pubblici, a mantenere lo stato d’assedio, ad eseguire con la violenza ordini illegali, liberticidi e delittuosi, dovrebbero si o no ubbidire? Evidentemente no. Il giuramento prestato alla Costitu¬ zione, alle leggi dello Stato democratico e repubblicano e soprat¬ tutto la loro stessa coscienza civica dovrebbero spingerli a negare l’obbedienza, anzi dovrebbero essere un imperativo categorico per ognuno di loro a dare man forte a tutti i cittadini che in quel
erigessero ad attivi difensori della Repubblica, della del nostro Stato democratico fondato sul lavoro. democrazia, Ma come potrebbero essere in grado di fare questo se le stesse leggi della nostra Repubblica, per il modo come sono elaborate, momento
non
e, in
si
aiutano la formazione della coscienza civica di
primo luogo, di coloro che
sono
chiamati
a
ogni cittadino
tutelare la difesa
dell’ordinamento esistente? Nel momento stesso in cui noi stiamo per approvare un nuovo testo delle leggi di PS, dobbiamo avere coscienza che stiamo po¬ nendo uno dei pilastri portanti dell’ordinamento democratico e repubblicano, che stiamo costruendo su nuove basi i rapporti tra i cittadini e lo Stato. Orbene, in tutto il testo del disegno di legge non ricorre mai, mai una sola volta la parola Repubblica, non ricorre mai la parola democrazia: sempre e soltanto si parla di Stato, senza aggettivazioni, sempre si parla di ordine pubblico senza mai precisare che si tratta dell’ordine pubblico nella Repub¬ blica democratica fondata sul lavoro. Si dirà che ciò è superfluo ed invece superfluo non è. Se ce una legge che più di qualsiasi altra esige di essere formulata in termini chiari e precisi questa è proprio la legge di PS poiché essa stabilisce, fissa, regola i rapporti tra i cittadini e le autorità e per essere chiara ha bisogno che le stesse sue formulazioni dicano chia¬ ro
a
tutti i cittadini ed alle autorità, al semplice lavoratore, agli e ai soldati, ad ogni agente di PS o milite dell’arma dei
ufficiali 476
carabinieri qual è lo Stato, ad osservare o a tutelare.
qual
è l’ordine che essi
sono
chiamati
Il carattere profondamente democratico della nostra Repubbli¬ ca, delle nostre istituzioni deve balzare fuori in modo chiaro e inequivocabile anche dalle stesse formulazioni, anche dallo stesso linguaggio, anche dalle stesse espressioni che si impiegano nel redigere le nostre leggi, specie le fondamentali, come quelle che stiamo discutendo. Nel testo da noi presentato, all’art. 2 si dice esplicitamente che l’autorità di PS dipende dal governo della Repubblica e non, putacaso, da un governo che potrebbe essersi insediato contro la Repubblica. È stupefacente che questa nostra formulazione, con la quale si stabilisce che l’autorità di PS dipende dal governo del¬ la Repubblica e non da un governo che potrebbe essersi insedia¬ to
contro
Ja
Repubblica,
non
sia stata accettata.
Sempre nel nostro testo si aggiunge: « Nei limiti delle leggi e salvo quanto è stabilito negli ordinamenti regionali a statuto spe¬ ciale. » Ma anche questa precisazione è stata respinta. Ogni com¬ mento è superfluo. Tutti gli agenti, gli ufficiali, i soldati, i militi della PS e dei carabinieri, tutti i cittadini indistintamente devono sapere da chi dipende l’autorità di PS; leggendo il testo della leg¬ ge devono sapere per prima cosa a chi essi devono rivolgersi, a chi debbono prestare ascolto, a chi debbono ubbidire. Devono sa¬ non è quello di ubbidire in ogni caso, ma che vi possono essere dei casi, delle situazioni in cui non devono ubbidire. On. Taviani, le voglio porre una domanda, come vede mi e non accadrà preoccupo anche di lei. Se dovesse accadere è quello che accaduto in Grecia, e cioè se improvvisamente qual¬
pere che il loro dovere
che colonnello al servizio di un aspirante dittatore venisse al ministero per arrestarla, quel colonnello ed i suoi subordinati vrebbero
quale sarebbe il loro dovere. sarebbe quello di non ubbidire, anzi
conoscere
loro dovere
suo
do¬
In tal caso, il di ribellarsi al¬
l’ordine, darle aiuto. Ma ciò che vale per i ministri deve valere anche per il più semplice, per il più modesto cittadino della Re¬ pubblica minacciato nella sua libertà, nei suoi diritti, nella sua vita.
Le forze armate:
Gli ufficiali
e
presidio
della
Repubblica
democratica
gli agenti di PS devono sapere che essi sono te¬ e di disposizioni conformi alle leggi
nuti all’osservanza di ordini
477
dettate dalla in contrasto
Costituzione
nostra con
i
e
non
a
ordini
principi della Repubblica
a
e
e con
disposizioni
i dettami della
Costituzione. In
occasione
delle manifestazioni
avvenute
venerdì
scorso
a
Milano e in altre città se non sono male informato mi 'risulta che i reparti di polizia si sono comportati correttamente, come sempre dovrebbero comportarsi agenti e ufficiali responsabili di tutelare l’ordine, rispettando i diritti dei cittadini. Non è accaduto di conseguenza nessun incidente, come non sareb¬ bero accaduti tante altre volte, se i cittadini che hanno diritto,
Roma,
a
in base alla
Costituzione, di esprimere la loro volontà anche
mani¬
fossero stati ostacolati nelle loro manifestazioni. Orbene, io mi permetto di ritenere, on. colleghi, che ciò è av¬ venuto per disposizioni superiori, del che mi compiaccio e credo che tutti ce ne compiacciamo. Ma non posso non chiedermi perché
festando,
non
in tanti altri casi ciò
non
avviene, ciò
non
è
avvenuto.
Ufficiali e agenti di PS a chi devono ubbidire? Agli ordini che, di volta in volta, ad essi vengono impartiti o devono ubbidire in primo luogo e soprattutto al dettame della legge? Ecco perché abbiamo il dovere di operare tutti per dare un’educazione civica, democratica e repubblicana a tutti i cittadini indistintamente, uf¬ ficiali, soldati e agenti di PS compresi. Questo lo dobbiamo fare
anche elaborando delle leggi che, per le loro stesse formulazioni, esprimano chiaramente il contenuto e lo spirito della nostra Co¬ stituzione, il contenuto e lo spirito della nostra democrazia; dicano chiaramente, specialmente a chi ha il dovere di assicu¬ rare ai cittadini il libero esercizio dei loro diritti, che cosa può e che cosa deve fare, e ciò che non può e ciò che non deve fare. Ufficiali, soldati e agenti di polizia e di tutte le forze armate de¬
presidio della Repubblica e delle isti¬ al servizio di un partito che, col voto e senza voto, monopolizza il potere, e con tale monopolio tende a dimostrare, con l’aiuto di leggi infide, equivoche o volutamente reticenti, che con la prepotenza tutto si può fare. La prepotenza vono
sapere che essi
tuzioni democratiche,
sono
a
e non
può chiamarsi SIFAR, SID, CIA, può chiamarsi modi. Gli
ufficiali,
i
soldati, gli agenti di PS,
i
in tanti altri
carabinieri, graduati
devono sapere che essi commettono un delitto, violano la legge quando, con o senza violenza fisica, impongono ai cittadini disposizioni ed ordini che siano in contrasto con la Costituzione e con le leggi della Repubblica; e devono altresì sapere che essi o
no,
hanno il dovere di
che siano in 478
non
ubbidire a ordini, da chiunque impartiti, le leggi della Repubblica.
contrasto con
Che vale, on. colleghi, affermare e sancire, della Costituzione, che l’ordinamento delle forze
come
fa l’art. 52
armate
si informa
spirito democratico della Repubblica? Che vale ripetere ad ogni momento che le forze armate sono il presidio della nostra Repubbhca, se poi noi facciamo delle leggi di PS che, quando non dicono il contrario, sono monche, sono equivoche, si prestano a qualsiasi interpretazione? Noi abbiamo bisogno di avere delle leggi chiare che parlino all’intelligenza, che parlino al cuore di ogni cittadino, di ogni sol¬ dato, di ogni ufficiale, di ogni agente; che parlino in modo tal¬ allo
mente
della
chiaro da garantire che essi ubbidiranno sempre in difesa in difesa della
Repubblica,
della democrazia,
pubblica
e
e
contro
che
non
nostra
Costituzione, in difesa
ubbidiranno mai
a
danno della Re¬
i nostri ordinamenti democratici
nostre
forze
e
repubbli¬
devono sentire soprattutto come dettame di coscienza, ma anche perché sta scritto nelle nostre leggi, che esse sono veramente a presidio non di un qualsiasi Sta¬ to, ma dello Stato democratico e repubblicano, sono a presidio delle istituzioni democratiche del nostro paese. Che vale sciacquar¬ si continuamente la bocca con parole solenni quali « il senso del¬ lo Stato », quando poi noi elaboriamo delle leggi che, anziché creare, distruggono o quanto meno non aiutano il cittadino a formarsi il senso dello Stato? Ha il senso dello Stato chi intanto sa che cosa è questo Stato, da che cosa esso è sorto, su che cosa poggiano le nostre istituzioni. E non si venga a dire che noi vof gliamo sovvertire o anche soltanto politicizzare le forze armate e le forze di polizia. Sono altri che le vogliono politicizzare e
cani. Le
armate
sovvertire; siete voi colleghi della maggioranza che le sovvertite quando presentate e sostenete il. disegno di legge governativo, mettete queste forze armate al servizio di un partito o di un preteso Stato di diritto al di fuori e al di sopra della Costituzione. La funzione delle forze armate e dell’autorità di PS è di essere a presidio e a tutela dello Stato democratico l’aggettivo ci vuole della Repubblica fondata sul lavoro, a tutela dei citta¬ dini di questa Repubblica i quali, in base alla nostra Costituzione,
quando
devono altresì
sapere quali sono i loro diritti e i loro doveri. Que¬ noi dobbiamo ribadire in ogni momento, nella scuola, nella vita e, in primo luogo, nelle leggi che noi elaboriamo: ed è su questi principi che devono basarsi i rapporti tra i cittadini e lo Stato, i rapporti tra i cittadini e le autorità. Non dobbiamo mai avere il timore di essere troppo chiari in proposito. Noi ab¬ biamo troppi precedenti, e non soltanto in Spagna o in Grecia
sti
principi
479
in altri continenti,
anche in Italia. Il nostro paese ha pagato di educazione civica dei cittadini e delle stesse forze armate, ha pagato troppo cara l’ubbidienza non al¬ le leggi dello Stato, non allo statuto, ma l’ubbidienza cieca alla violenza, agli ordini illegali di coloro che avevano usurpato il po¬ tere, l’ubbidienza cieca agli arbitrii e alle violenze della tirannide. Basterebbe ricordare la situazione in cui ci siamo trovati nel no¬ stro paese dopo l’8 settembre 1943 (senza parlare dell’ottobre 1922). A chi avrebbero dovuto ubbidire le autorità di PS, gli o
troppo
cara
la
ma
mancanza
ufficiali, gli agenti, i militi, i carabinieri e tutti i cittadini? Alle ordinanze del governo Badoglio o a quelle del fantomatico gover¬ di Mussolini
no
e
della
Contro la schedatura Ed è
e
estremamente
Repubblica
di Salò?
lo spionaggio
sbalorditivo che da parte
vostra
si siano
respinti gli articoli così chiaramente conformi ai dettami della nostra Costituzione, come quelli da noi presentati nel nostro dise¬ gno di legge, ossia gli artt. 3, 3, 6 e 7. L’art. 3 del nostro disegno di legge dice: « Al fine di garan¬ tire ai cittadini
l’imparzialità della pubblica amministrazione, è qualsiasi circostanza, per qualsiasi fine e sotto ogni forma, impartire ordini, disposizioni, istruzioni che comportino un’attività comunque contraria all’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ecco un principio del¬ la nostra Costituzione tradotto in un articolo della nostra legge. vietato in
»
Perché lo si respinge? Leggo l’art. 5: « È vietato schedare i cittadini, in base alla fe¬ de religiosa, alle opinioni politiche, all’appartenenza ad organiz¬ zazioni politiche, sindacali, cooperative, assistenziali e culturali: nonché in base alle attività che essi svolgono appartenendo alle predette organizzazioni o simpatizzando per esse. » È ancora un altro dei principi fondamentali della nostra Costituzione tradotto in un articolo di questa legge; perché lo si respinge? Art. 6: « È vietato a chiunque, anche se investito di pubbliche funzioni, agli organi politici dello Stato nonché agli organi della pubblica am¬
ministrazione, chiedere per qualsiasi finalità all’autorità di PS, alla polizia giudiziaria, alle agenzie di investigazioni o agli inve¬
stigatori privati, informazioni sulla fede religiosa
o
politica,
ché sull’attività religiosa, politica, sindacale del cittadino. « Se le predette informazioni sono richieste non devono 480
non¬
essere
fornite. Se ve
tener
sono
fornite,
nonostante
il divieto, di
esse
non
si de¬
conto.
È vietato all’autorità di PS, alla polizia giudiziaria, alle agen¬ zie di investigazioni e agli investigatori privati, fornire le informa¬ zioni di cui al primo comma, anche nelle denunce, nei rapporti, nelle testimonianze dell’autorità giudiziaria o amministrativa, non¬ ché alle autorità politiche e agli organi della pubblica ammini¬ «
strazione.
Questi
»
sono
tutti
principi della
tradotti letteralmene, articoli della legge di PS, no
fica che
senza ma
Costituzione che vengo parola in più o in meno, in
nostra
una
vengono tutti
respinti, il che signi¬
Costituzione è sol¬ quest’aula di carta, la si accetta come una enunciazione gene¬ rica, ma quando si tratta di tradurla in articoli di legge, allora la si respinge! Il rifiuto di accogliere uno solo di questi articoli è come potre¬ la migliore conferma, anzi è la confessione piena ste negarlo? della esistenza dei servizi di segnalazione, di in¬ formazione, di schedatura di cittadini onesti, incensurati ma re¬ gistrati soltanto perché professano fede religiosa e ideali o mili¬ per
qualcuno
in
la
nostra
tanto un pezzo
tano
in
un
partito
o
associazioni
politiche, sindacali, cooperative,
culturali non gradite al gruppo di maggioranza della Democrazia Cristiana che detiene le leve del potere; questa è una piena con¬ fessione, da parte vostra, della discriminazione, della persecuzio¬ ne in atto nei riguardi di cittadini italiani in base alle loro opi¬ nioni politiche e della vostra proterva volontà di continuare tali discriminazioni e persecuzioni, perché di questo si tratta. Molti di noi, della nostra parte politica, siamo schedati da 50 anni, ma questo non ci fa né caldo né freddo, né ci interessa conoscere se queste schedature si trovino presso il SIFAR, il ministero del¬ l’Interno o l’OVRA, non ci importa nulla; ma per gran parte di cittadini che devono trovare un impiego, un lavoro, una occupa¬ zione presso aziende pubbliche o private, quelle segnalazioni,
quelle schedature, quelle informazioni che
vanno da una caserma dalle caserme spesso direttamente alle direzioni azien¬ dali, non soltanto sono causa di una iscrizione qualsiasi, ma spes¬ so determinano la non assunzione al lavoro o il licenziamento e la disoccupazione. Quante volte noi abbiamo portato qui a lei, on. Taviani, prove, documenti inoppugnabili, fotocopie sull’esistenza di questi servi¬ zi di informazioni, di queste schedature, lei sa benissimo che si tratta di documenti autentici anche se mai una sola volta abbiamo avuto la più scarna delle giustificazioni, né vale la pena di portar¬ ne altre per provare ciò che tra l’altro nessuno nega.
all’altra
e
L’on. Andreotti, ad un deputato che l’aveva interrogato sui li¬ cenziamenti avvenuti da parte del ministero della Difesa di diri¬ genti attivisti sindacali, ex partigiani, ex decorati soltanto per la loro appartenenza a sindacati o a partiti di sinistra, ha risposto con parole che, per non usare altri termini, io definirei spiritose: « Non risulta che il ministero abbia mai licenziato chicchessia per i motivi lamentati dagli interroganti », come se fosse il ministero a licenziare direttamente! Non si possono efficacemente difendere le istituzioni democratiche se non ci si preoccupa di difendere tut¬ ti i cittadini e tutti i lavoratori che sono la forza principale sul¬ la quale queste istituzioni possono contare, dobbiamo preoccupar¬ ci di difendere i diritti e le libertà di ogni cittadino. L’on. Taviani recentemente ha dichiarato qui e alla Camera di assumersi tutta intera la responsabilità di quanto è stato fatto dai servizi della Difesa nel periodo in cui egli ha retto quel dica¬ stero. Ciò però equivale anche a dire che le schedature sono state fatte e che oggi l’on. Taviani, come ministro dellTnterno, conti¬ nua a far schedare i cittadini che egli e le autorità subordinate ri¬ tengono appartenere a determinati partiti di sinistra. Non sono trascorsi molti giorni da quando l’on. Tremelloni proclamava nell’altro ramo del Parlamento che la fiducia nelle isti¬ tuzioni non viene scossa quando si scopre che qualche cosa nella macchina dello Stato ha funzionato male se, nel medesimo tempo, si ha la certezza che a
quel difetto
viene posto
severo
riparo.
Ma
quale fiducia possono mai avere i cittadini nelle nostre istituzioni quando vedono che noi elaboriamo delle leggi difettose, in stri¬ dente contrasto non
con
i dettami della Costituzione, delle
parlano chiaro, che è una Repubblica
non
leggi
che
affermano neppure il principio che
democratica fondata sul lavoro, che sembrano fatte apposta per favorire, per consolidare dei metodi, dei costumi, dei sistemi che erano si in armonia col regime ditta¬ toriale, ma che suonano offesa ai principi basilari della nostra Costituzione democratica e repubblicana e che, quanto meno, non aiutano tutti i cittadini, dai lavoratori, contadini, operai, intel¬
la
nostra
lettuali agli agenti,
ai
militi, agli ufficiali di PS,
ficiali delle forze armate,
a
formarsi
una
ai soldati e agli uf¬ coscienza civica?
profonda
questo spirito che noi discutiamo questo disegno di leg¬ che ge presenteremo gli emendamenti che esso esige. È vero l’abbiamo detto tante volte (e forse qualche volta ripetere gio¬ che nessuna legge scritta sulla carta è mai servita a garan¬ va) tire i diritti dei cittadini, a salvare le libertà e la democrazia se a presidio di questi diritti, a presidio della democrazia e della no¬ non stanno la coscienza democratica di chi sta stra Repubblica È
e
482
con
in alto
di
e
di chi
tutto un
sta
in
basso, la
coscienza
e
la fede democratica
popolo.
Se questo è vero, non è però meno vero che noi abbiamo tutta¬ via il dovere di elaborare delle leggi che corrispondano nella let¬ tera e nello spirito ai dettami di quella Costituzione e di quella Resistenza spesso da tutti richiamate nelle celebrazioni, ma di¬ menticate quando si tratta di operare in modo conseguente per il consolidamento della Repubblica democratica, della libertà e del¬ la pace.
483
LEGGI ECCEZIONALI
-
COLPO DI STATO
Al punto cui siamo giunti,
dopo
avere
2
precisato
nettamente
le
posizioni dopo ognuno di fronte alle sue re¬ si se deve andare si ritiene che la questione sia avanti, sponsabilità,
nostre
e
aver
messo
importante e decisiva per l’avvenire della nostra democrazia e delle nostre istituzioni, ed allora la lotta deve acquistare ben altro carat¬ deve impegnare il Parlamento ed il paese, come in altre oc¬ avvenuto anche con successo e con risultati positivi. On. colleghi, non illudetevi di poterci indurre né oggi, né domani a votare, sia pure con voto contrario, a tamburo bat¬ tente, dei progetti di legge che violino o feriscano gravemente la Costituzione. È vero che questo disegno di legge è qui solo in prima discussione, dovrà passare all’altro ramo del Parlamento, e l’attenzione del paese, distolta in questi giorni da gravi avveni¬ menti che hanno minacciato e ancora minacciano la pace del mon¬ do, certamente si rivolgerà a questa legge la cui gravità, forse, lo voglio sperare sfugge ancora all’uomo della strada; e forse anche a molti colleghi che siedono in quest’aula. Desidererei vi¬ vamente che gli on. colleghi si rendessero conto dell’importanza della questione che potrebbe essere gravida di disastrose conse¬ guenze e di altre rovine per il nostro paese. Ci troviamo di fron¬ te, soprattutto per quanto attiene a questi articoli 64 e 65, ad tere,
casioni è
2
Discorso pronunciato al Senato, il 16 giugno 1967. Riportiamo qui di seguito il testo degli artt. 214, 215, 216 della legge
fascista
e
gli
artt.
64, 65 del disegno-legge Taviani.
Legge fascista Art. 214. Nel
caso di pericolo di disordine il ministro dell’Interno con Capo del Governo, o i prefetti, per delegazione, possono dichiarare, con decreto, lo stato di pericolo pubblico.
l’assenso del
Art. 215. Durante lo stato di pericolo pubblico il prefetto può ordinare l’arresto o la detenzione di qualsiasi persona, qualora ciò ritenga necessario per stabilire o per conservare l’ordine pubblico. Art. 216. Oltre quanto è disposto dall’art. 2, qualora la dichiarazione di pericolo pubblico si estenda all’intero territorio dello Stato, il ministro dell’Interno può emanare ordinanze, anche in deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza all’ordine pubblico o alla sicurezza
pubblica. I contravventori alle ordinanze
predette
sono
puniti
con
l’arresto
non
inferiore a un anno salvo le maggiori pene stabilite dalle leggi. La disposizione precedente si applica anche a coloro che contravvengono 484
eccezionale che tocca e calpesta l’ordinamento costitu¬ zionale dello Stato. L’art. 78 della nostra Costituzione stabilisce che le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al go¬ una
legge i
verno
sativo,
necessari. Questo articolo è vi possono essere dubbi sulla
poteri non
chiaro, esplicito, tas¬ interpretazione e
sua
sulle intenzioni dei costituenti che, in primo luogo, hanno sta¬ bilito che solo le Camere possono deliberare lo stato di guerra e, in secondo luogo, non hanno previsto alcun altro caso in cui pos¬ sa essere dichiarato lo stato di emergenza o di pericolo pubblico;
badate, on. colleghi, per dimenticanza, per
e
per trascuratezza, non per negligenza, difetto di immaginazione; il problema fu
non
posto, discusso e venne respinto. Fino a quando dunque la nostra Costituzione non sarà abrogata, quanto meno in questa sua parte, il governo per nessun motivo, anche il più grave, cioè la guerra, può conferire a se stesso dei poteri che solo dalle Camere gli possono essere conferiti. Il caso di guerra è proprio il più grave che possiamo immaginare, quello che può presentarsi oggi di sor¬ presa, immediatamente, da un momento all’altro e può colpire rovinosamente tutto il paese nei suoi centri vitali, economici, in¬ lo sappiamo tutti dustriali, umani. Infatti ai tempi nostri in base anche a precedenti recentissimi che stanno davanti ai no¬
stri occhi, la guerra non viene più dichiarata o, meglio, viene di¬ chiarata quando già i carri armati hanno superato le frontiere del paese avversario, quando i suoi centri vitali sono già stati colpiti
dai bombardamenti come
o
quando gli
è accaduto nelle settimane
è
già
scorse
stata
distrutta l'aviazione,
all’Egitto.
A
questi
casi
alle ordinanze del prefetto
emesse durante lo stato di dichiarato pericolo pubblico, in forza dei poteri che gli sono conferiti dall’art. 2 (95). Sinossi degli artt. 214, 215, 216 nella formulazione della legge fascista del 18 giugno 1931 (T.U. delle leggi di PS) e in quella del disegno di legge
per le modifiche del T.U. presentato dal ministro Taviani il 12
Disegno
luglio
1966.
Taviani
Art. 64. Nei casi straordinari di necessità e di urgenza il governo prov¬ vede con decreto-legge ai sensi del secondo comma dell’art. 77 della Costi¬ tuzione alla tutela dell’ordine e della sicurezza, dichiarando lo stato di peri¬ colo pubblico e adottando le misure per farvi fronte.
Art. 65. Durante lo
stato
di
pericolo pubblico il prefetto può adottare
i provvedimenti provvisori indispensabili per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, limitati al periodo strettamente necessario. Tali provvedimenti, ove riguardino singole persone, sono comunicati al procuratore della Repubblica entro 48 ore per la convalida e, se questa non intervenga nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi
di ogni effetto. L’articolo viene ripreso integralmente dalla legge fascista.
485
abbiamo assistito all’inizio e durante la seconda guerra mondiale, ed anche nelle imprese di aggressione che l’avevano preceduta. Se una prossima guerra malauguratamente dovesse scoppiare (ma abbiamo la certezza che i popoli non se la lasceranno più imporre ), la dichiarazione sarà portata dai missili, magari con le testate ato¬ miche e non più dagli ambasciatori. Tuttavia anche per il caso di guerra, che è il pericolo più grave che si possa creare nel paese, quello che può presentarsi improvvisamente senza dare tempo alla convocazione delle Camere e ai dibattiti parlamentari, la no¬ stra Costituzione ha previsto (e pure è stata elaborata questa no¬ stra
Costituzione
all’epoca
nostra
e
non
negli
avancarica, non all’epoca in cui le marce di San Francesco) che lo stato di guerra
anni dei fucili ad fatte con i carri
erano
può
essere
proclamato
solo dalle Camere e beninteso dalle Camere italiane. Solo le Camere possono conferire al governo i poteri necessari dopo la dichiarazione dello stato di guerra. Alla Costituente si è persino discusso se fosse democratico oppure no, conforme ai principi fondamentali della nostra Costituzione conferire alle Ca¬ mere il potere di dichiarare lo stato di guerra e attribuire, di con¬ seguenza, al governo i poteri necessari. Noi non possiamo mai dimenticare il valore fondamentale che ha l’art. 1 della nostra
Costituzione che solennemente afferma: blica democratica, fondata sul lavoro. »
La sovranità
«
L’Italia è
una
Repub¬
appartiene al popolo
La sovranità appartiene al nei limiti della Costituzione.
popolo, che la esercita nelle forme e Questo articolo non dice che la so¬
deriva dal popolo, dice assai di più: dice che ap¬ al partiene popolo. All’Assemblea Costituente si discusse molto voi lo sapete tutti, on. colleghi sulle formulazioni, ed an¬ che su questa, e non certo per motivi lessicali o di bello scrivere. A meno di considerare inesistente e privo di qualsiasi valore giu¬ ridico l’art. 1 della nostra Costituzione, a meno di considerare questo articolo soltanto come una frase retorica da comizio, voi dovete riconoscere che qualche cosa di fondamentalmente nuovo sorgeva in quel momento, quando abbiamo approvato la Costi¬ tuzione. Quella formulazione non dice soltanto che l’autorità e l’attività dello Stato devono esplicarsi nell’interesse del popolo, ma dice assai di più: dice che la sovranità appartiene al popolo. Nel momento in cui nacque la nostra carta costituzionale, la no¬ stra Costituzione democratica e repubblicana, sorta, conquistata vranità
486
emana o
dalla Resistenza, c era nello stesso tempo qualche cosa che moriva, che doveva morire, che noi seppellivamo, o che credevamo di seppellire. Ciò che moriva e allora veniva sepolto o, meglio, avrebbe dovuto essere sepolto era il vecchio, arcaico, 'tradizionale mito conservatore e retrivo dello Stato sovrano. Quel vecchio dogma reazionario venne sepolto dall’Assemblea Costituente e
può più trovar posto (o meglio non dovrebbe, perché la realtà, lo sappiamo, è un’altra) nell’ordinamento, nel sistema eret¬
non
to
sulla base della Costituzione italiana. Da
quel
momento
in
Italia sorgeva, solennemente riconosciuta, una nuova sovranità e sorgeva come sovranità costituita, come sovranità giuridicamente determinata e come sovranità preminente, non dico come unica sovranità. Senza dubbio, da quel momento, si trattava di regolare, di ar¬ monizzare la sovranità del popolo con l’autorità ed i poteri dello
Stato. È appunto per questo che le leggi che noi elaboriamo de¬ essere in armonia con la Costituzione. Nel nostro caso con¬ creto, le leggi di PS (l’ho già detto in sede di diicussione gene¬ rale), che noi stiamo dibattendo, non possono essere valide per qualsiasi Stato, per tutti gli Stati, per uno Stato in senso astratto; non possono valere tanto per uno Stato democratico quanto per uno Stato autoritario; non possono valere tanto per uno Stato che ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli quanto per uno Stato che afferma e potenzia il suo dominio aggredendo altri popoli e distruggendo, se necessario con bombardamenti che durano da anni, un altro popolo, soltan¬ to perché rivendica la sua libertà e la sua indipendenza. La nuova legge di PS che stiamo elaborando, se la vogliamo in armonia con la Costituzione, deve essere tale da servire a tutelare l’ordine dello Stato democratico e a salvaguardare i diritti e le libertà dei cittadini della Repubblica democratica fondata sul lavoro, di una Repubblica dove la sovranità appartiene o dovreb¬ vono
be appartenere, per dettato costituzionale, al
popolo.
In altre pa¬
role, in base alla nostra Costituzione, nella Repubblica democrati¬ ca italiana, la forza prima, la forza motrice che a tutto dovrebbe dare
e dalla sovranità po¬ lo so, lo sappiamo tutti, noi e voi, che così non è; questa stessa discussione lo sta a dimostrare, se ve ne fosse stato ancora bisogno. Sappiamo bene che le cose vanno diversamente perché la nostra Costituzione democratica, di tipo nuovo, è sorta sulle vecchie strutture economiche e poli¬ tiche della società italiana; sono queste strutture che impediscono e che limitano notevolmente la sovranità popolare e il libero
impulso è rappresentata polare. Così dovrebbe essere,
dalla volontà ma
487
della volontà del popolo. Esiste, cioè, un’aperta contrad¬ la Costituzione scritta che stabilisce e riconosce la so¬ vranità popolare e lo Stato italiano così come è rimasto struttu¬ rato. Di qui le nostre lotte continue per attuare le riforme di struttura poiché, sino a quando rimangono in piedi le vecchie strutture, il popolo non potrà mai esercitare effettivamente la sua
esplicarsi dizione
tra
sovranità, le libertà la minaccia di
saranno
sempre in
pericolo
e
noi
saremo
sot¬
di Stato o tentativi reazionari. Ma non voglio addentrarmi in una discussione che ci portereb¬ be lontani. Intendevo solo ricordare che alla Costituente si è posto il problema se, in base all’art. 1 della nostra Costituzione to
e
a
tutta
la
possibili colpi
concezione
democratica che la
informa, potesse
es¬
affidato alle Camere il potere di dichiarare lo stato di guerra. Nessuno metteva e nessuno mette in dubbio che il Parlamento sia la legittima espressione della rappresentanza popolare, anche se non sempre esso è lo specchio del paese, anche se non sere
sempre
dato,
esso
tutta
tamente
e
esprime la volontà del popolo
o,
in un momento
la realtà del paese. Ma, ammesso che la rifletta esat¬ senza deformazioni in periodo normale, è ovvio che,
di fronte ad
eccezionali, straordinari, decisivi per avvenimenti che si usa definire di im¬ nazione, si come portanza storica, quasi sempre è avve¬ può verificare, avvenimenti
l’avvenire della
nuto, e
una
tra
profonda divergenza
di vedute
e
di volontà nel paese
e
governo paese. Si è discusso dunque alla Costituente
se
in tali casi di
emer¬
straordinari, come quello di genza guerra, sia lecito e demo¬ cratico che un migliaio di rappresentanti del popolo possano de¬ cidere direttamente e senza alcuna consultazione popolare. È sta¬ e
una
proposto alla Costituente che, in casi del genere, dovesse es¬ direttamente il popolo a decidere per mezzo dell’istituto del referendum; sembrava, cioè, ai costituenti, o a una parte di essi, che fosse in un certo senso farsi beffa di questa tanto solenne¬ mente proclamata sovranità popolare prevedere il ricorso al refe¬ rendum nei casi meno gravi per le sorti del paese e di tutta la na¬ to
sere
zione ed escludere dal diritto di far sentire la loro volontà i 50 milioni di italiani proprio nei casi più gravi, quelli che mettono
in causa la loro vita, la loro esistenza e la vita e l’avvenire del¬ l’intera nazione, forse per più generazioni. La proposta del referendum per dichiarare la guerra non fu tuttavia presa in considerazione per il fatto sem¬ ritengo essere decise se le dovessero per referendum plicissimo che, guerre dal popolo, di guerre non ce ne sarebbero più. Quella proposta, allora caduta, non siamo qui oggi per risollevarla, ma non pos¬ 488
appartiene al popolo lo si re¬ stringa ancora di più tentando di escludere anche i rappresentanti del popolo; non possiamo consentire che, nell’ora in cui sono in questione 1 destini di tutto il popolo, di tutta la nazione, possa essere esclusa dalla decisione anche una parte di quel migliaio di rappresentanti del popolo liberamente eletti che potrebbero es¬ sere privati dei loro diritti, potrebbero essere diciamolo, per¬ arrestati o per disposizione del go¬ ché non dovremmo dirlo? verno o persino per ordine di un prefetto o di un questore e siamo accettare che
quel
potere che
che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero essere chiamati a ra¬ tificare, dopo settimane, delle decisioni irrevocabili, dei provvedi¬ menti già presi, di estrema gravità e di imprevedibili conse¬ guenze.
Qui l’altro
non
si tratta di accorciare i termini, essere noi
on.
ministro, che
tra
farlo; questi poteri eccezionali che danno facoltà all’esecutivo di violare, mettere in mora, sospendere la Costituzione non possono essere da noi con¬ cessi, né per due mesi, né per cinque giorni e neppure per cinque minuti. Noi non daremo il nostro voto a questi articoli. Si dice: ma vi possono essere dei casi straordinari di emergenza, di così grave e immediato pericolo che non si può attendere la non
mi sembra potremmo
a
convocazione delle Camere. Sul terreno della casistica diamo metterci. Vi sono delle leggi (a cominciare da
damentali costituzionali) che
IlIl
pericolo più Nessuno di
colo più
grave,
non
non
inten¬
quelle fon¬
sopportano delle eccezioni.
grave: la guerra
noi, d'altra parte, riesce ad immaginare
più immediato, più improvviso che
peri¬ colpire il pericolo un
possa
il paese, all’infuori della guerra. Per questo si è rite¬ più grave di tutti quelli che si possono immaginare nuto che soltanto le Camere possono dichiarare lo stato di guer¬ ra e dare al governo i poteri conseguenti. tutto
Quale altro pericolo può esserci più grave di questo? È già dimostrato dai colleghi e compagni che mi hanno precedu¬ che gli artt. 64 e 65 sono anticostituzionali, perché essi non
stato to
possono richiamarsi al secondo capoverso dell’art. 77 della nostra Costituzione. L’art. 77 prevede come casi di necessità e di ur¬ genza dei casi che non hanno nulla a che fare con lo stato d’asse¬
dio,
con
lo
stato
d’emergenza, con
il
pericolo pubblico; tant’è che « I decreti perdono ef-
l’ultimo capoverso dell’articolo 77 recita:
489
Acacia sin dall’inizio,
se
non
sono
giorni dalla loro pubblicazione.
convertiti in
legge
entro
60
»
cosa significa: « perdono efficacia fin dall’inizio »? È chia¬ che, dunque, la Costituzione si riferisce a provvedimenti e a
Che ro
ma attinenti a problemi economici, finanziari, fi¬ scali che possono trováre la loro riparazione, che possono per¬ dere la loro efficacia fin dall’inizio, ma non si riferisce a leggi ec¬ cezionali o a provvedimenti come i casi previsti dagli artt. 64 e 65 che potrebbero essere irreparabili. Che valore può avere nel caso che stiamo discutendo, l’affermazione « perdono efficacia fin dall'inizio »? Quando quei provvedimenti fossero stati adottati anche soltanto per un’ora, potrebbero essere irreparabili, non po¬ trebbero più perdere efficacia, in ogni caso sarebbero gravidi di terribili conseguenze sin dal primo momento.
leggi urgenti,
Ma esaminiamo quali possono essere questi casi previsti, ipo¬ tizzati dal governo o da chi ha elaborato questo disegno di leg¬ ge. Lasciamo stare la fiaba che è corsa per settimane (meno male che non se ne parla più) delle inondazioni, dei terremoti che po¬
l'intero paese! Di anche la discesa dei marziani questo passo potremmo ipotizzare a invadere la terra; nessuno nella siamo fantascienza, può qui seriamente discutere su fantasie del genere. Ritengo che dobbia¬ mo dare atto all’on. ministro dell’Interno di non essere ricorso a tali ridicole giustificazioni per gli artt. 64 e 65. Il disegno di legge prevede ben altro; prevede dei casi straordinari di necessità e di urgenza per i quali sia necessario dichiarare lo stato di pericolo pubblico: in altre parole, quello che in altri tempi si chiamava lo stato d’assedio (tant’è che anche quando parliamo tra di noi, molte volte diciamo indifferentemente stato d’assedio intendendo stato di pericolo pubblico). Tutti sappiamo che stato d’assedio e stato di pericolo pubblico sono sinonimi, sono la stessa cosa. Bi¬ trebbero
colpire, sconvolgere improvvisamente
sogna dare al governo i
pubblico,
ma
quali
sono
poteri per dichiarare lo stato di pericolo questi poteri? Nell’art. 64 è detto: oc¬
dare i poteri al governo e ai prefetti per adottare le mi¬ a fare fronte al pericolo. Ma quali sono queste misure? Non si dice una sola parola. Tutto è lasciato all’arbitrio del go¬ verno e dei prefetti. E si osa chiedere a noi Papprovazone di que¬ sti articoli del disegno di legge? La seconda commissione del¬ l’Assemblea Costituente aveva approvato un articolo che diceva testualmente: « È vietata la dichiarazione di stato d’assedio. È al¬ tresì vietata ogni misura di sospensione totale o parziale delle garanzie regolate dalla presente Costituzione. » Tale articolo non trovò poi posto nella Costituzione poiché si corre sure
490
atte
divieto per tutto ciò che era già escluso dal contenuto, dallo spirito e dalla lettera della Co¬ stituzione e che non doveva neppure supporsi che i diritti dei cittadini e le garanzie regolate dalla presente Costituzione potes¬ sero essere totalmente o parzialmente soppresse. Orbene, voi, con questo disegno di legge, ci presentate un ar¬ ticolo, il 65 (che è direttamente legato all’art. 64), nel quale è detto: « Durante lo stato di pericolo pubblico il prefetto può disse che
adottare
non
occorreva
porre
un
provvedimenti provvisori indispensabili per la tutela e della sicurezza pubblica limitati al periodo stret¬ Tali provvedimenti, ove ri¬ E aggiunge: tamente necessario. al procuratore della comunicati sono guardino singole persone, se questa non in¬ la convalida ore entro 48 e, per Repubblica i
debordine
»
«
tervenga nelle successive 48 ore, si intendono revocati
e
restano
privi di ogni effetto. » Dunque è chiaro che
si tratta di provvedimenti che si riferi¬ all’annullamento o alla sospensione delle libertà, dei di¬ ritti dei cittadini, delle loro organizzazioni, dei loro partiti, di tutte le prerogative sancite dalla Costituzione. Tutto potrebbe es¬ sere fatto poiché nulla è precisato. Se vi fosse un dubbio in pro¬ posito, è sufficiente leggere gli artt. 214 e 215 della legge di PS fascista ancora in vigore e gli artt. 64 e 65 del progetto-legge che ci viene presentato dal governo di centro-sinistra. Gli artt. 64 e 65 sostituiscono nella forma, ma lasciano pienamente in vita nella sostanza, i già citati 214 e 215. Che cosa dicono questi articoli? Li vogliamo leggere nuova¬ mente? L'art. 214 stabiliva che « nel caso di pericolo, di disor¬ dini, il ministro delPInterno con l’assenso del presidente del Con¬ siglio [e qui la differenza la vediamo tutti] o i prefetti per de¬ legazione possono dichiarare con decreto lo stato di pericolo pub¬
scono
blico
». Ma dove consiste l’identità? Dice l’art. 64: « Nei casi straordinari di necessità e di urgenza », qui non si parla di peri¬ colo, di disordini (la legge fascista era più chiara e più esplicita), « il governo provvede con decreto-legge ai sensi del secondo
dell’articolo 77 della Costituzione alla tutela dell’ordine e della sicurezza, dichiarando lo stato di pericolo pubblico e adot¬ tando le misure per farvi fronte. » Che cosa diceva l’art. 215? « Durante lo stato di pericolo pubblico il prefetto può ordinare l’arresto e la detenzione di qualsiasi persona qualora ciò ritenga necessario per ristabilire e per conservare l’ordine pubblico. » L’art. 65 odierno dice: « Durante lo stato di pericolo pubblico il prefetto può adottare i provvedimenti provvisori indispensabili per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, limitati al pe¬
comma
491
riodo
strettamente
dino singole Qui
si
sono
persone,
È chiaro che si non
necessario.
parla
Tali
provvedimenti,
comunicati...
ove
riguar¬
»
volta della libertà di arrestare. persona, ma dirò poi che ciò non
tratta ancora una
di
qualsiasi Ogni commento
ha alcuna importanza.
a
questi articoli
è super¬
rilevare che la sola differenza sta nel fatto che gli artt. 214 e 215 della legge fascista dicevano espli¬ citamente e con franchezza quello che con dei pudichi veli in¬ gannatori dicono gli artt. 64 e 65 attuali. A nessuno di noi inte¬ fluo. Non si
ressa
può
tuttavia
non
in questo momento chiedere se, fra le persone alle
potrebbero la libertà
essere
tolte dal
personale,
sono
prefetto
quali
le guarentigie costituzionali
e
compresi quei parlamentari che do¬
vrebbero essere chiamati a dichiarare lo stato di guerra oppure ad esprimere decisamente la volontà di pace del nostro popolo. Non ci interessa, si tratta de minimis. Non mi sembrerebbe nep¬
dignitoso porre una questione del genere. La Costituzione e le leggi che vi si conformano garantiscono
pure
determinate libertà ben precise, determinati diritti, chiaramente sanciti, a tutti i cittadini indistintamente; salvaguardano le li¬ bertà di tutti, senza discriminazione alcuna. E non c’è governo, non c’è alcun prefetto che abbiano il diritto di sopprimere o gra¬ vemente limitare ai cittadini italiani
nali, di
persone che abbiano
(a
commesso
ritti e queste libertà per motivi di detto ordine pubblico.
meno
reati
carattere
si tratti di crimi¬
specifici) questi di¬ politico e di cosid¬
questione la si esamini, non si riesce, signor pre¬ ipotizzare un altro pericolo che possa presentarsi in
Per quanto la
sidente,
a
modo così grave, improvviso, urgente da giustificare la conces¬ sione al governo e ai prefetti di poteri così eccezionali. Due sole ipotesi serie possono farsi: la guerra oppure un tentativo di colpo di Stato per imporre la guerra o per imporre un regime contrario alla nostra Costituzione. Per quanto riguarda il pericolo pubblico determinato dallo sta¬ to di guerra, la Costituzione ha esplicitamente previsto che sol¬ tanto le Camere possono deliberare lo stato di guerra e conferire al governo i necessari poteri. In questa ipotesi, quindi, la que¬ stione è chiara e non può essere messa in discussione se non modi¬ ficando la Costituzione.
IlIl
colpo
di Stato
Esaminiamo l’altro caso, quello di un grave pericolo pubblico determinato da un tentativo di colpo di Stato, di sovvertimento 492
istituzioni democratiche. Ma deve essere ben grave quel pericolo e tale da coinvolgere l'intero paese se impedisce persino la convocazione delle Camere. Difa’i, se si trattasse di
delle
nostre
poche persone o piccoli gruppi, questa ipotesi figurarsi. Supponiamo che qualcuno assalti la
non
potrebbe
sede del
suo
con¬
mini¬
Taviani; credo che chi è proposto alla difesa non at¬ tenderà il decreto-legge per reagire adeguatamente di fronte a
stero,
colpi
on.
di
mano
da
chiunque organizzati.
Non per
questi
casi
di pericolo pubblico, il pericolo che si presume deve essere di ben altra gravità se è tale da impedire la convocazione immediata delle Camere. Orbene, un tentativo di sovvertimento, di colpo di Stato così grave da impedire la convo¬ cazione delle Camere non può che essere organizzato con la com¬ plicità diretta del governo o di una parte del governo. E se an¬ che il governo ne fosse vittima, allora ciò vorrebbe dire che quel colpo è stato organizzato con grandi forze, direttamente dallo straniero: sbarchi navali, sbarchi aerei. Ma, in questi casi (se, cioè, noi fossimo vittime di aggressione improvvisa da parte dello straniero), non è ai prefetti che occorrerebbe dare i pieni poteri! Tutti i poteri in tali casi dovrebbero essere dati a degli organi¬ smi rappresentativi di tutto il popolo italiano, non ai prefetti! [Applausi dall’estrema sinistra.] Ieri sera c’è stata una certa indignazione, una sorta di indi¬ gnazione mista a un atteggiamento permettetemelo, on. col¬ di finta ingenuità, di ingenuo candore; quel candore che leghi ebbe nell’antichità una altissima, autorevole definizione che qui non voglio ripetere. Ma come ci si è detto voi avete il so¬ spetto che qualcuno voglia tentare dei colpi di Stato, voglia an¬ nullare le guarentigie costituzionali, voglia mettere in non cale la Costituzione? On. colleghi, stiamo appena oggi, dopo vent’anni, è
credo
previsto lo
stato
discutendo della legge di PS; dopo troviamo pure
con
dover mente
vent’anni dalla Costituzione, ci
ad avere la legge di PS e i codici fascisti, sia le modificazioni apportate e, soprattutto, ci troviamo a
ancora
attuare
tutta
previste
una
entro
sorprende quando
noi
i
parte delle riforme strutturali tassativa¬ termini della nostra Costituzione. E vi
esponiamo
i
nostri
fondati
sospetti che
si
possa attentare alla sicurezza dell’ordinamento democratico? Ma questa inattuazione delle parti fondamentali della nostra Co¬ stituzione non costituisce già di per sé una violazione della Co¬ stituzione? Fingete di scandalizzarvi perché noi sospettiamo che si voglia violare ancora più gravemente di quanto è già stato fatto
la Costituzione,
perché pensiamo
ai
colpi
di Stato. Ma
non
ab¬ 493
forse le confessioni, le dichiarazioni esplicite fatte ripetutamente anche in questi giorni dal vice-presidente del Con¬ siglio on. Nenni su quanto si stava tramando nel 1964 per sca¬ valcare il Parlamento? L’on. Nenni è vice-presidente del Con¬ siglio, non è un cittadino qualunque e non un qualsiasi, seppure autorevole, giornalista. Ma non abbiamo forse avuto a suo tem¬ po la dichiarazione pubblica dell’on. Fanfani, attualmente mini¬ stro degli Esteri, sul pericolo corso dal nostro paese negli Anni Sessanta? Ma non abbiamo forse avuto le dichiarazioni pubbliche fatte alla stampa dall’ex presidente del Consiglio e nostro collega
biamo
avuto
Ferruccio Parri, la cui serietà, sincerità, onestà sono unani¬ riconosciute? Non abbiamo forse dichiarazioni e testi¬ monianze di autorità politiche e militari su determinati tentativi
sen.
memente
lontani di scavalcare il Parlamento. Non abbiamo forse avu¬ la commissione d’inchiesta sul SIFAR? Il rapporto in gran parte noto, l’esposizione fatta dal ministro della Difesa on. Tremelloni, il dibattito che è avvenuto in Parlamento non hanno for¬ se fornito la prova che sono stati compiuti tutta una serie di atti colpevoli che costituiscono gravi attentati alle libertà dei citta¬ dini, alle guarentigie costituzionali, alla Costituzione? Quei fatti illegali sono stati compiuti, ce ne sono state fornite qui le prove. Come avete l’ardire di venirci a chiedere: « Ma come, voi so¬ spettate? » Francamente noi abbiamo più di un sospetto, abbiamo delle prove, e queste prove sono venute dalla vostra parte, da una parte di voi. La cosa che importa sottolineare è che nel corso di questi anni, dalla Liberazione in poi, come già era avvenuto non
to
prima del fascismo, le libertà democratiche messe
in
pericolo
dalle classi dominanti,
gli
sono state sempre attentati alla Costi¬
gruppi di potere del¬ la Democrazia Cristiana (non dico da parte di tutta la Democra¬ tuzione
sempre venuti da determinati
sono
o anche da gruppi di altro orientamento, strettaalla grande industria, ai monopoli italiani e all’imj perialismo americano. Se poi vogliamo dare uno sguardo al di fuori dei nostri confini, è sufficiente guardare a quanto è avvenuto in Grecia alcune set¬ timane or sono; e per brevità non aggiungo parola, tanto ci sia¬
zia Cristiana) mente
legati
proprio di fronte a queste eventua¬ lità che noi non vogliamo che l'esecutivo, da chiunque sia rappre¬ sentato, qualunque sia la sua etichetta e il suo colore, abbia certi poteri. Ha già risposto brillantemente ieri sera l’amico e compa¬ mo
ugualmente
gno Perna
cratici, 494
non
su
intesi. Ma è
questo punto. Non è sufficiente
essere
dei demo¬
è neppure sufficiente portare il distintivo dell’asso-
dazione dei
partigiani
o
partecipare alla
commemorazione dei
ca¬
duti della Resistenza o celebrare alla televisione la Resistenza, ricordare i caduti delle Ardeatine, ecc., per dare garanzia contro certe eventualità. Quindi, qualunque sia la sua etichetta e il suo colore, noi non vogliamo che l’esecutivo di oggi o di domani possa impunemente tentare dei colpi di Stato servendosi della legge scritta, servendosi della stessa Costituzione. Noi non pos¬ siamo fare delle leggi fidando su questo o quel governo. Ci sem¬ bra del tutto normale e saggio che i costituenti abbiano voluto che la Costituzione
e
i diritti dei cittadini fossero
rispettati
so¬
decisivi per l’avvenire del a decidere del suo in è chiamato cui il nei momenti popolo paese, avvenire e di quello di intere generazioni. Sarebbe ben strano che i costituenti avessero deciso che la Costituzione e la demo¬ crazia debbano essere rispettate in tempi normali e possano, in¬ prattutto nei momenti
essere
vece,
ciali
più gravi
e
impunemente abrogate, calpestate
nei momenti
cru¬
decisioni possono mandare allo sbaraglio l’in¬ È proprio nei momenti cruciali che il popolo deve chiamato a decidere, il popolo che delle guerre deve sop¬
quando
certe
tera nazione. essere
portare tutte le conseguenze. È soprattutto in questi momenti che spetta al popolo di poter liberamente decidere, quanto meno tramite i suoi rappresentanti. Per questo noi chiediamo la sop¬
pressione degli Sino
a
dell’intero
artt.
qualche capitolo
64
65. fa tutti concordavano sulla abrogazione IX del testo unico delle leggi di PS. e
anno
Unità nella lotta Non molti anni fa, bensì il 18 giugno 1958, venne presentata una proposta di legge firmata dagli on. Luzzatto Leonetto, Ferri, Jacometti, Pertini ed altri nella quale, all’art. 1, si diceva: gli artt. 2, 9, 20, 21, ecc. e l’intero titolo IX, compren¬ sivi degli articoli dal 209 al 219, sono abrogati. Si può chiedere
alla Camera
quali sono i ripensamenti che hanno portato alcuni dei firmatari di questo progetto di legge a farsi sostenitori proprio di questi
articoli che ancora nel 1958 intendevano abolire? Io non sono animato da volontà polemica nei confronti dei compagni socialisti, anzi qui non vedo Fon. Amadei, gli avrei voluto dire, se fosse stato presente, che egli sa bene quali sono i legami della Resistenza che ci hanno uniti e che ci uniscono,
perché
i
governi
passano, i centro-sinistra passano,
e
passeranno, 495
al di sopra dei governi vi deve sempre essere qualche cosa che resta e unisce gli uomini che veramente hanno creduto nella Resistenza, nei suoi valori supremi di libertà e di demo¬ crazia, di salvaguardia della libertà e della indipendenza di tutti i popoli. Ma questa unità alla quale ci richiamiamo non è una ma
unità solo nelle celebrazioni
e
neppure
una
unità nei
campi di
con¬
nelle carceri. Tra i firmatari di questo progetto di che legge prevedeva l’abolizione dell’intero art. 9 ve ne è uno (non faccio il nome perché appartiene all’altra Camera) che ave¬ « va allora o pochi anni prima forgiato lo slogan: Meglio con i comunisti in galera che con i democristiani al governo ». Ma non di questo si tratta; all’unità nelle galere noi preferiamo immensa¬ centramento
e
mente l’unità nella lotta per l'indipendenza, per la pace, per la libertà del nostro paese. [Vivi applausi dall’estrema sinistra.]
Noi vogliamo l’unità nella lotta per la libertà e l’indipendenza del popolo greco, del Vietnam, dei popoli arabi e di tutti i popoli che hanno il diritto di vivere indipendenti in casa loro. All’unità nelle galere, noi preferiamo l’unità nella lotta, quel¬ l’unità che ha visto combattere e cadere uniti a Cefaionia, a Lero, nei campi di concentramento dove c’era il compagno Amadei, uomini di ogni corrente politica, ma animati da ideali di libertà. Scusatemi questa parentesi; non solo gli uomini che alcuni anni or sono non erano al governo, ma autorevoli uomini della Demo¬ crazia Cristiana, fin dal 1948, erano per l’abolizione completa degli articoli che noi siamo discutendo. È già stato ricordato come l’on. Sceiba presentò nel dicembre 1948 il suo progetto di legge di PS e propose l’abolizione del queste precise parole: « Ti¬ che contemplano fun¬ abrogarsi perché zioni e particolari poteri connessi con lo stato di guerra e con lo stato di pericolo pubblico che non hanno ragione di essere. » Ma è altrettanto vero che il ministro Sceiba ritornò in seguito sui suoi passi e nel marzo 1930, quando il progetto di legge ven¬ ne discusso alla Camera, allora improvvisamente presentò gli emen¬ damenti al suo progetto di legge, quegli emendamenti che preve¬ devano che il governo potesse dichiarare lo stato di pericolo pub¬ blico, adottando le misure per farvi fronte. Noi dobbiamo chiederci: cosa era accaduto, dal dicembre 1948 al marzo 1950, da poetare gli on. De Gasperi e Sceiba ed il go¬ titolo IX del testo unico del 1931
tolo da
contiene
verno
a
stione
così
e
della
496
con
norme
opinioni, a ritornare sui loro passi, importante e decisiva per l’avvenire del
mutare
nostra
Costituzione?
su
una
nostro
que¬ paese
Contro le basi militari straniere, per
so e
Non si era assistito soltanto allo di questa discussione per le riforme sociali del
l’indipendenza
come
del paese
è stato ricordato nel
sviluppo
cor¬
delle lotte per il lavoro
nostro paese, ma era
accaduto
qualche
di immensamente grave per l’indipendenza del nostro paese. Il 4 aprile 1949, era stato firmato a Washington il Patto Atlan¬ tico, dal quale poi sorse quella mastodontica organizzazione bel¬ lica e militare, chiamata NATO, con le sue migliaia di basi mili¬ tari terrestri e navali, sparse in ogni continente e purtroppo atti¬ vamente presenti e operanti nel nostro paese; basi militari fornite di armi termonucleari, in dotazione sia delle forze terrestri, sia di
cosa
gittata, di cui i comandi ame¬ ricani detengono il controllo, hanno facoltà di impiego e con cui soprattutto si propongono di compiere tutte quelle azioni,
quelle
aeree, con missili di diversa
l'impiego della forza militare, per mantenere la sicu¬ ristabilire l’ordine in tutte quelle zone di sicurezza che essi chiamano dell’Atlantico del Nord. Gli americani non negano
compreso rezza
e
neppure questo divisamento, e ancora recentemente un ammira¬ glio di una flotta che tutti conosciamo ha fatto quelle ben note dichiarazioni che non rivelano per altro nulla di nuovo: ha det¬ to, cioè, che questa flotta è presente per intervenire in ogni paese ove l’ordine fosse minacciato. Quale ordine? Perché non è inter¬ venuta questa flotta in Grecia, a ristabilire quel poco di ordina¬ mento democratico che c’era in quel paese? Abbiamo visto di quale carattere sia il loro intervento a difesa e a salvaguardia della libertà dell’ordine democratico! Qui sta la questione; noi abbiamo l’art. 78 della nostra Costituzione il quale stabilisce che soltanto le Camere possono dichiarare lo stato di guerra e conferire al governo i poteri necessari. Questo articolo della no¬ stra Costituzione non piace agli imperialisti americani, non piace ai comandi della NATO, non piace forse neppure al nostro go¬ verno. E allora si vuole trovare una scappatoia giuridica, si vuole, un articolo della legge di PS, dare la possibilità al governo all’esecutivo di poter dichiarare la guerra o, quanto meno, lo stato di pericolo pubblico e di adottare tutte le misure per farvi fronte e, cioè, di cancellare o sospendere a un certo momento i
con o
diritti dei cittadini sanciti dalla Costituzione. Qualcuno mi ha fatto osservare: ma, se così
fosse, il governo avrebbe bisogno di presentare una nuova legge di PS, dato che quella attualmente in vigore gli dà questa possibilità. Si è vero la legge attualmente in vigore pii dà tale possibilità, ma non è stata fatta dal Senato della Repubblica, si tratta di una legnon
497
non è stata approvata da noi, si tratta di una legge fatta da Mussolini, dal regime fascista e che, insieme alle altre elaborate da quel regime, contribuì a togliere la libertà a milioni di italiani ed a portare a rovina il nostro paese. Invece, questo progetto-legge che stiamo discutendo ci viene presentato dal governo di centro-sinistra, in regime democratico e repubblicano: questa è la grande differenza. Altri ha osservato: ritieni tu, ritenete voi che gli imperialisti americani, che già han¬ no installato le loro basi terrestri e navali nel nostro paese, si preoccupino di un articolo della legge di PS, e credi forse che questo o quell’altro articolo possa costituire un ostacolo, un im¬ pedimento a chi volesse imporre al nostro paese la sua volontà di guerra? Credete voi che tutto o in parte il nostro esecutivo,
ge che
ligio all’obbedienza, alle ingiunzioni degli impegni NATO, legato ad una alleanza, si fermerebbe dinanzi ad un articolo della legge di PS che stabilisce che per nessun motivo, senza la deliberazione delle Camere, il governo può dichiarare lo stato di guerra, lo stato di pericolo pubblico, né può attribuire a sé dei poteri che
soltanto le Camere gli No! Non
sono e non
mulazione di
un
possono accordare? siamo così ingenui
articolo,
un
da
pezzo di carta
pensare che la for¬ scritta, possa fer¬
la mano di chi fosse deciso ad impiegare la violenza, e di da chi, anni, sta dando prova, con dei criminosi bombardamenti, con lo sterminio di un intero popolo, della considerazione e del rispetto che esso ha per tutte le convenzioni internazionali fir¬ mate e per tutte le costituzioni basate sul rispetto dei diritti del¬ l’uomo e dell’umana civiltà. Non abbiamo alcuna illusione in pro¬ posito. Allo stesso modo che nessun codice ha mai impedito che vi siano dei crimini e dei delinquenti, così siamo i primi ad es¬ mare
sere
persuasi che
nessuna
costituzione è mai servita da sola
a salvare le libertà dei cittadini e la democrazia, se a presidio di queste libertà e di questa democra¬ zia non stanno la coscienza e la fede democratica di tutto un
l’ho detto altre volte
Ma è proprio questa fede, questa coscienza che intanto impone il dovere di elaborare delle leggi che corrispondano ai dettami della nostra Costituzione. È proprio questa coscienza che impone a noi stessi, intanto, di cominciare col non strappare la
popolo. ci
Costituzione. Se è vero che una legge ben fatta forse non sarà sufficiente a trattenere qualcuno, italiano o straniero, che inten¬ da ricorrere al colpo di Stato per imporre al nostro paese la guer¬ o per dichiarare lo stato di pericolo pubblico, tale argomento tuttavia lo respingiamo perché noi intanto abbiamo il dovere di fare delle leggi che non favoriscano i colpi di Stato o, anche, sol¬ ra
498
non
li
legittimino
dopo
o
per assolvere
tanto care
impartito e
o
o
possano o
anche coloro che
essere
utilizzate per
per proteggere coloro che avessero
ubbidito ad ordini
contrari alla nostra Costituzione democratica
Il
problema
che ponevo al ministro,
nella discussione
generale,
era
giustifi¬ avessero
e
quando
appunto questo:
illegali repubblicana.
sono se
intervenuto
domani
con
venissero ad arrestarla, quelli che sono stati colpo comandati ad eseguire questa azione dovrebbero ubbidire all’ordine o no? Certamente no, ma abbiamo detto che ciò che vale
di
un
mano
per le alte autorità del paese deve valere per tutti i cittadini italiani. Le garanzie di libertà possono salvare le istituzioni demo¬ cratiche se valgono per tutto un popolo, e non soltanto per l’ese¬ cutivo; non vogliamo che questi artt. 64 e 65 possano coprire di immunità coloro che tentassero, sotto il velo del pericolo pub¬ blico, questi colpi di Stato; noi non vogliamo, cioè, fabbricare con le nostre stesse mani delle leggi che potrebbero portare il
paese un’altra volta alla rovina. Ecco perché abbiamo presentato gli emendamenti soppressivi agli artt. 64 e 65; noi vogliamo, in altre parole, che queste cose le sappiano chiaramente non soltanto gli uomini politici respon¬
sabili, i comandi responsabili. Gli uomini politici, i comandi re¬ sponsabili delle forze armate di oggi o di domani le sanno, ma vogliamo le sappiano, le conoscano tutti: gli ufficiali, i soldati del¬ le forze armate, dei carabinieri, tutti gli agenti e i militi della po¬ lizia. Non vogliamo più avere, come è accaduto in passato, dei uomini che dicevano: io ho ubbidito. uomini dovevano sapere che non ubbidivano alle leggi dello Stato, ma a degli usurpatori. Tutti devono sapere che non è lecito, non è conforme alle leggi della nostra Repubblica, anzi è un reato, ubbidire a degli ordini che siano in contrasto con la
processi
a
Quegli
Costituzione, con Pordinamento democratico dello Stato, la Repubblica sorta dalla Resistenza. Tutti devono sapere che soltanto il Parlamento italiano può dichiarare lo stato di emergenza; nessun altro organo italiano o straniero lo può fare, nessun altro organo italiano o straniero ha il diritto di farlo!
nostra con
Un’eventuale invasione del nostro territorio da parte di un qual¬ siasi esercito o la utilizzazione per fini di guerra, di una guerra non dichiarata dal nostro Parlamento, o per un supposto mante¬ nimento dell’ordine pubblico devono essere considerati una ag¬ gressione, e tutti i cittadini, tutti, ufficiali e soldati (polizia, cara¬
binieri compresi), hanno il dovere, in simili casi, di
concorrere al¬ la difesa della Repubblica, alla tutela delle libertà, dei diritti del cittadino contro l’aggressione, contro le misure sovvertitrici, ille¬
499
cite, di qualunque forza, italiana
o stranera, contro chiunque ab¬ bia organizzato l’aggressione. Noi vogliamo sperare che non avverrà mai e che, se fosse ten¬ lo tata, troverebbe adeguata e pronta risposta. Ma intanto noi abbiamo il dovere di fa¬ ripeto e ho finito, on. presidente re delle leggi che non intacchino, che non violino la Costituzione. Noi non vogliamo violare la Costituzione e siamo convinti che il
popolo italiano tutto operai, contadini, studenti, intellettuali, ufficiali e soldati di tutte le armi, sicuro presidio della nostra Re¬ non permetterà mai che la nostra Costi¬ pubblica democratica tuzione sia violata
e
che lo straniero
provvisamente al paese lo stato di pubblico senza che la decisione sia no
e
dal Parlamento in base alla
o
chi per o lo
guerra
500
stato
imponga im¬ di pericolo
dal popolo italia¬ Costituzione.
stata presa
nostra
Questi sono i motivi per cui chiediamo la 64 e 65.
artt.
esso
soppressione degli
1968
COMMEMORAZIONE DI CHE GUEVARA
Compagni luto fraterno ex
1
ed amici, giovani ed anziani, porto a voi tutti il e caloroso dell’ANPI, l’associazione che unisce
sa¬
gli
partigiani delle diverse
correnti antifasciste democratiche; par¬ associazione unitaria, io vi esprimo il pen¬
lando a nome di una siero che corrisponde all’orientamento unitario dell’ANPI.
Vi ringrazio, giovani compagni ed amici, per la vostra calorosa manifestazione, per l’entusiasmo che vi anima e che ha fatto rivi¬ vere
in
me
i
tempi della
mia
gioventù quando anche
noi
eravamo
esuberanti e talvolta intemperanti, ma soprattutto decisi nella lot¬ ta che conducevamo contro il fascismo. Or fa un anno, cadeva vigliaccamente assassinato uno dei più fulgidi eroi dell’epoca nostra. Un vero uomo. Mancano a noi le parole per dire degnamente di lui. Ogni volta che mi sono tro¬ vato a dover scrivere o parlare di uomini come Che Guevara ho
sempre sentito il pudore, quasi l’immodestia di doverlo fare. Il compagno Che Guevara dedicò l’intera sua vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dei popoli. Seppe abbandonare
ministeri, di uno Stato, seppe rinun¬ ambizioni, agli onori, ad ogni vanità legata a qualsiasi forma di potere, per riprendere l’azione, la lotta armata,
la direzione di ciare
a
un
governo, di
tutto, alle
dando un sublime esempio di coraggio e di purezza morale, virtù divenute così rare ai tempi nostri. « Ogni nostra azione », egli ha lasciato scritto, « è un grido di
guerra popoli
contro
contro
l’imperialismo, è un appello vibrante all’unità dei grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti
il
1 Discorso tenuto da Pietro Secchia a Milano il 12 ottobre 1968, in occa¬ sione della manifestazione indetta da l’ANPI con la partecipazione di tutti i movimenti giovanili del PCI, del PSI, dello PSIUP, degli universitari, in commemorazione di Ernesto Che Guevara.
501
d’America. In
qualunque luogo ci sorprenda la morte, sia la ben¬ purché il nostro grido di guerra giunga ad un orecchio ri¬ cettivo e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi. » Sembrano parole di morte, amici e compagni, eppure so¬ no parole di vita. Esse ci dicono che certi uomini, gli uomini veri, gli uomini eccezionali valgono immensamente da vivi, ma il loro valore si accresce ancora di più perché sono morti a quel modo. venuta
poeta della Resistenza: « Un’idea che s’è di chi l’ha professata acquista attraverso una forza di persuasione e di verità che prima non aveva, una forza di vita quasi che il pensiero di chi si è sacrificato si trasformi misteriosamente e si centuplichi in essa. » Ha scritto
un
la sacrificio questo attestata
con
Così è stato,
grande
morte
così
è per Che Guevara che è diventato
simbolo della gioventù Mai
l’idolo, il
di tutti i combattenti per la libertà. nella vita leggendaria e nella morte eroica, sublime
come
perché prevista,
e
coscientemente sentita, di Che
Guevara,
è stata
la verità delle idee si dimostra sol¬ tanto col sacrificio della vita, unica testimonianza valida che serve a distinguere la fede dei martiri dalla ciurmeria dei ciarlatani ».
provata l’affermazione che
«
In qualunque luogo ci sorprenda la morte sia la benvenuta purché altri continuino la nostra lotta. Sono le stesse, analoghe parole che pronunciavano i nostri partigiani, i nostri gappisti ne¬ gli anni in cui attaccavano in queste strade di Milano i tedeschi, i nazifascisti, un nemico enormemente superiore per numero e «
»
per
mezzi.
Era forse
No,
non
i nostri mitra
tiglia cuno
illuso, illuso, partigiani ed i un
era
un
un
sognatore il compagno Che Guevara? era un sognatore come non lo erano
non
nostri
gappisti quando
attaccavano con un
talvolta anche soltanto con una pistola o con una bot¬ molotov uno o più carri armati tedeschi. Sembrò a qual¬ e
pazzia la loro, gappisti.
una
i nostri
ma
pazzi
non
erano
i nostri
partigiani,
Così il compagno Che Guevara non era un illuso, un sognatore, un vero uomo, un uomo intero: pensiero e azione, una co¬ scienza morale adamantina le cui parole corrispondevano ai fatti. ma
Si dice
giustamente che gli uomini,
come
i
partiti,
si
giudicano
dalle parole, ma dai fatti, non dalla faccia, dal volto, ma da ciò che vi sta dentro. Ebbene, il compagno Che Guevara era uno di quegli uomini che si potevano giudicare dal volto e dalle paro¬ le perché il suo volto esprimeva la verità ed alle parole fece sem¬ non
pre
502
seguire
i fatti.
un illuso, ma un vero rivoluzionario e non soltan¬ straordinario uomo d’azione, ma un uomo politico. Più di uno ha detto: « Si, era un grande, un meraviglioso combat¬ tente, ma non un politico. » Non condivido questa opinione, poi¬ ché Che Guevara fu anche uomo politico di eccezione, dotato di una grande intelligenza, un politico lungimirante che seppe per¬ sino prevedere che la sua tragica morte non avrebbe segnato la fine, ma un nuovo punto di partenza, una più forte spinta allo svilupparsi, sulla base di una nuova esperienza e di una più matu¬
No,
to
non era
uno
coscienza, dei movimenti rivoluzionari per l’indipendenza dei popoli e in America Latina ed in altri paesi del mondo. rata
Certo che se per uomo i cuochi della bassa cucina
politico qualcuno parlamentare, Che
intende i maestri e Guevara non era di
questi. Egli non era un esperto in alchimie elettorali, non era uno di quei trafficanti che s’incontrano, specie in Parlamento, pronti a tutti i baratti, a tutti i compromessi, a tutte le transa¬
zioni,
a
Egli
tutti i trasformismi. era uno
di
quegli uomini,
che
spezzando
certi vecchi sche¬
mi ed interpretazioni meccaniche, dogmatiche, valorizzò al mas¬ simo l’elemento dell’azione portando un soffio nuovo, vitale, là dove il burocratismo ed il dogmatismo avevano generato l’inerzia.
Senza dubbio alcuni interrogativi critici s’impongono, direi che stesso, il compagno Che Guevara, a porli con la sua vita e con la sua morte eroica. Egli aveva posto come principio basi¬ lare della guerriglia nell’America Latina il collegamento perma¬ nente tra avanguardia e masse popolari, tra lotta armata e lotta
fu egli
questo collegamento di avanguardia e di reale movimento delle masse, questo collegamento tra le due forme di lotta, quella politica e quella militare, che egli stesso aveva indi¬ cato come necessario, è venuto a mancare nelle sue ultime batta¬ glie, e anche questo è un insegnamento, un problema che egli ci ha lasciato da esplorare, da approfondire, insieme alla ricca espe¬ rienza positiva. Egli è stato uno di quegli uomini che per la coerenza morale,
politica. Orbene,
l’audacia nell’azione, la piena dedizione, per la forma delle loro idee, della loro fede e dell’esempio, suscitano nei popoli quelle correnti rinnovatrici che sole creano la storia e spingono il mondo al progresso, alla libertà, al socialismo. Fa un anno da quando il compagno Che Guevara è caduto ed è stato un anno di lotte dei popoli oppressi, non soltanto in Ame¬ rica Latina, ma possiamo ben dire in tutti i continenti, è stato un anno di lotte soprattutto della gioventù studiosa che vuole e deve collegarsi con la gioventù delle officine e delle campagne.
503
Il tempo ad
non
accennare
ci permette di ricordare queste
lotte,
mi limiterò
all’ultima.
In queste stesse ore, mentre noi siamo qui riuniti, si sono aperte a Città del Messico le Olimpiadi che sono una tradizionale festa della gioventù sportiva di tutto il mondo. Ma quest’anno le Olimpiadi sono state funestate da uno dei più barbari e tragici massacri che ha avuto come vittime proprio dei giovani. C’è qual¬ che cosa di molto rivoltante in questo vergognoso cinismo del go¬ verno
messicano che ha voluto
organizzare contemporaneamente
festa internazionale ed un massacro nazionale della gioventù. E c’è qualcosa di molto rivoltante anche nella insensibilità di¬ mostrata dai governanti, da uomini politici e da dirigenti delle organizzazioni sportive internazionali, nell’indifferenza dimostrata per i morti, per le loro famiglie e per tutti i vivi che, in tanti paesi del mondo, si battono per la grande causa della libertà, contro Pimperialismo e per l’emancipazione sociale. I giovani che lottano per il loro avvenire nelle scuole, nelle officine, nelle campagne e tutti gli uomini che hanno conservato il senso della vita e dell’umanità non possono che considerare come un atroce insulto il fatto che i giochi olimpici si svolgano proprio là dove la violenza e la strage dei difensori della società dell’oppressione e dell’ingiustizia, hanno fatto scorrere il sangue di tanti uomini semplici e stroncato col piombo tante giovani vite. È un ben macabro spettacolo quello di queste Olimpiadi che dovrebbero essere una grande festa di gioia e si svolgono invece in una cornice di sangue e di violenza. Dovrebbero essere le Olimpiadi una grande festa della gioventù, poiché lo sport è una manifestazione essenziale della vita delle masse. Esso è festa, una
forza, salute ed
una
manifestazione di
salute, di forza delle
tate
e
oppresse,
ma
promessa sicure
rivoluzionaria.
Tutto ciò che è
lavoratrici oggi sfrut¬ trionfatrici di domani è altamente masse
rivoluzionario. Anche le Olimpiadi dei tempi nostri, dei tempi in cui la guerra fa ancora strage del popolo vietnamita, dei tempi in cui la guerra si fa sempre più minacciosa anche in altri settori, le Olimpiadi sono la prova concreta che giovani e anziani, uomini e donne di tutto il mondo, di razza, di lingua, di costumi diversi possono incontrarsi ed intendersi per pacifiche competizioni. Le Olim¬ piadi sono una manifestazione di gioia e di pace e, in certo senso, una manifestazione contro la guerra. Ma proprio per questo le Olimpiadi non avrebbero dovuto svolgersi là dove è stata scate¬ nata la violenza e si è sparato come in guerra contro la gioventù. Una giornalista italiana, Oriana Fallaci, rimasta ferita nella spa¬ 504
quale inviamo i nostri migliori auguri, ha afferma¬ Sembrava la strage di Sant’Anna in Versilia quando, nel 1944, sono entrate le SS in chiesa ed hanno ammazzato tutti quelli che vi hanno trovato. » Queste parole ricordano a tutti gli
ratoria ed alla to:
«
uomini della Resistenza gli anni della barbarie nazista scatenata, gli anni in cui parve che certi uomini ed un intero popolo, un tempo civile, fossero ripiombati nelle più oscure notti nibelungi¬
che. C’era in quella bestialità trionfante delle SS qualche cosa che sembrava non appartenere più alla società umana. Ma nel fascismo di allora come nei bombardamenti stermina¬ tori deH’imperialismo USA nel Vietnam e nei mitragliamenti dei granaderos del Messico vi è la rinnovata dimostrazione di che cosa può accadere nel mondo quando l’imperialismo e la reazione si scatenano per mantenere i popoli in servitù. Gli universitari, gli studenti mitragliati dalla polizia sono una grande forza che lotta nel Messico contro i pericoli della dittatura golpista e contro i grandi monopoli americani che saccheggiano il loro paese. I giovani studenti nel Messico non lottano soltanto per l’auto¬ nomia universitaria, ma per la libertà dei prigionieri politici, con¬ tro i sindacati corrotti, contro la stampa prezzolata, contro l’autoritarismo e per una società nuova. I giovani studenti universitari messicani sono scesi in lotta unendosi al grande movimento di contestazione e di rinnovamento già esploso in altri paesi del¬ l’America e dell’Europa, in Italia, in Francia, in Germania, ed in altri paesi ove è sempre più evidente la contraddizione di fon¬ do tra la spinta all’istruzione, ad una reale cultura e la discrimi¬ nazione classista che è il marchio caratteristico della società ca¬
pitalistica. La realtà delle classi dominanti è ovunque la
stessa.
È la scel¬
della coercizione non soltanto ideologica, ma della repressione violenta quando il movimento studentesco ed operaio guardano oltre la scuola e oltre l’officina e investono le arcaiche strutture classiste che impediscono il progresso della società moderna. II movimento giovanile che ci sta di fronte e che è esploso con grande forza in questi ultimi anni è il più grande movimento rivo¬ ta
luzionario che si sia Resistenza in poi.
registrato negli ultimi trent’anni, direi dalla
Anche la Resistenza movimento di giovani,
in Italia ed in
Europa
è stata
un
grande
caratteristiche diverse. La Resi¬ furono i giovani ad apportarvi il più gran numero ma
con
stenza, anche se di combattenti, non si caratterizzava come un movimento giovanile. Oggi, al fondo del grande movimento della gioventù universita¬ ria, studentesca ed operaia d’Europa e degli altri continenti, sta 505
la lotta per un nuovo potere, sta la lotta per il rinnovamento del¬ la società, sta la lotta per Pavvenire non solo dei giovani, ma del¬ la stessa società umana, sta la lotta per la pace e contro l’impe¬ rialismo. La libertà, come la pace, è indivisibile. Siamo e ci battiamo per la libertà e l’indipendenza reali effettive, in casa nostra e per¬ tanto siamo coerentemente per il diritto alla effettiva libertà ed
indipendenza di ogni popolo. Ecco perché la nostra manifestazione di questa sera non ha voluto ricordare soltanto un grande partigiano caduto e con lui gli altri caduti per la pace e la libertà da Martin Luther King a Mulele, alle decine
e decine di giovani bruciati nel fiore della vita dal fuoco delle mitraglie, ma la nostra ha voluto essere una manifestazione di solidarietà internazionale verso tutti i giovani e gli anziani, verso tutti i popoli che lottano contro l’imperiali¬
smo
e
per il loro avvenire. La nostra manifestazione vuol
essere
la lot¬ ta contro l’imperialismo che ha qui, in casa nostra, le sue basi militari, contro la NATO, contro l’imperialismo che estende sem¬
soprattutto
pre
più
un
impegno
i suoi tentacoli
paese per
a
portare avanti nel
nostro paese
sull’economia, sulle industrie del
nostro
dominarlo. Dobbiamo portare avanti la
soggiogarlo profondo rinnovamento e
lotta per il
della società italiana. Si tratta di una lotta che esige la più larga unità di tutte le forze della Resistenza di ieri e di oggi, dei giovani e degli anziani,
del mondo della cultura e del lavoro, delle forze laiche e catto¬ liche. Ma la base di ogni unità dev'essere l'azione. Poiché l’unità senza l’azione non servirebbe, tutto si ridurrebbe a chiacchiere ed a perditempo. Anche a questo proposito il compagno Che Gue« È vara ci ha lasciato un grande insegnamento: l’ora di mode¬ rare », egli ha detto, « le nostre divergenze per lottare uniti con¬ tro il nemico comune; che grandi controversie agitino il mondo che combatte per la libertà, lo sappiamo molto bene e non pos¬ siamo nascondercelo. Che queste divergenze abbiano raggiunto un carattere ed una asprezza tali che il dialogo e la conciliazione sembrano estremamente difficili, lo sappiamo anche questo. Ma
là, colpisce tutti i giorni e ci minaccia con nuovi col¬ pi e questi colpi ci uniranno oggi, domani, dopodomani. Coloro che per primi capiranno questa esigenza e si prepareranno a que¬ il nemico è
sta unione necessaria
Ascoltiamo il
avranno
il riconoscimentö dei
consiglio, uniamoci, compagni
e
popoli.
»
amici, giovani
anziani, contro il nemico comune che in Grecia, in Portogallo altrove si chiama fascismo, che nella Germania di Bonn si chia¬ ma nazismo e militarismo revanscista, che nel Vietnam, nell’Ame-
e
e
506
fica Latina e ovunque opera con la violenza e il terrorismo ameri¬ cano, tentando di tenere ancora in soggezione i popoli, si chiama
imperialismo. In
nome
dei nostri morti
e
per l’avvenire delle
nuove
genera¬
ed andiamo avanti, con la stes¬ sa bandiera di sempre, la bandiera della Resistenza. Evviva la Re¬ sistenza europea ed internazionale!
zioni, uniamoci, alziamoci in
piedi
507
LA COSTITUZIONE E I RAPPORTI TRA I CITTADINI E 2 LO STATO
lì
caso
vuole che io mi trovi
mento
in cui lTtalia democratica
scossa
e
così e
la
commossa
da
un
grave
a e
civile è
eccidio,
pagine nel
stata ancora una
uno
dei tanti
frequenti nel nostro paese che ha conquistato la sua indipendenza a prezzo di tanto sangue, versato
dalle classi
mo¬
volta
un
tempo
sua
libertà
soprattutto
lavoratrici, dagli operai, dai contadini, dall’unità d’Ita¬
lia in poi.3 La coincidenza mi ha deciso ad mi
scrivere queste
accantonare
più generali oggi largamente dibattuti
e
alcuni dei
rispondenti
a
proble¬ quella
riflessione critica
», cui siamo stati invitati (« alla luce del¬ ultimi vent’anni sull’opera compiuta dall’As¬ semblea Costituente e sul nuovo ordinamento costituzionale dello Stato italiano »), per limitarmi ad uno solo di essi. Quello della polizia e delle forze armate con i loro ordinamenti che ne fanno, «
l’esperienza degli
aspetti essenziali, dei corpi indipendenti all’interno dello Stato. Anche se questo è soltanto un aspetto del problema più gene¬ rale che oggi tutti discutono: l’inadeguatezza dell’attuale mac¬ chinosa struttura statale e del suo funzionamento, ed il nuovo sotto
autoritarismo che si è andato sviluppando attraverso l’esistenza di centri di effettivo potere al di fuori di quelli previsti dalla Co¬ stituzione. Sono problemi che meritano di essere affrontati e che hanno ormai preso il sopravvento sulle denunce fatte in occasione del X anniversario della Costituente, circa la Costituzione inapplicata e disattesa nelle sue parti fondamentali. Non che quelle denunce non avessero ragione di essere, al con¬ trario possono
essere
oggi ripetute, quasi integralmente,
per la
volontà di applicare la Costituzione dimostrata dalle forze politiche che di fatto hanno monopolizzato il potere anche in que¬ sto secondo decennio. Quest’amara constatazione porta immediata¬ mente a chiederci se non vi sia stata una responsabilità anche dei scarsa
2 Estratto dal voi. lì di Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente, Vallecchi, 1969. 3 L’eccidio a cui si allude è quello del 2 dicembre 1968 ad Avola (Sira¬ cusa), dove, durante una manifestazione di braccianti, furono uccisi Giu¬ seppe Scibilia e Angelo Signone.
508
costituenti,
se non
ci siano state
zione della Costituzione
stessa.
gravi lacune nell’opera di elabora¬ a primo acchito salta al¬
Ciò che
l’occhio è che vi fu quanto meno, da parte di tutte le forze de¬ mocratiche, un’eccessiva fiducia su quella che sarebbe stata la volontà ranti i
e
la capacità dei futuri
legislatori
a
tradurre in
leggi
ope¬
principi che la Costituzione solennemente affermava. Qua¬
si fosse sufficiente riscrivere ancora una volta i grandi principi dei diritti dell’uomo, unitamente a quelli sovrani del popolo, con l’aggiunta di alcuni fondamentali diritti dei lavoratori perché poi il nuovo Stato democratico sorgesse come per incanto. Esso è sorto e non poteva che essere così, data la situazione interna e come qualcuno internazionale creatasi negli anni 1945-’46, non affermò sulle macerie, ma bensì sui pilastri del vecchio Stato.
È vero che già allora vi fu, specialmente da parte della sinistra, chi criticò il fatto che la Costituente non avesse anche funzioni legislative, fosse chiamata soltanto a ricostruire in forma repub¬ blicana le strutture dello Stato e non anche a deliberare almeno talune riforme di carattere socio-economico che rappresentassero l’inizio di una trasformazione della società in senso progressivo.
Anche quest’Assemblea, pur essendo per sua natura costi¬ tuente, avrebbe dovuto cominciare a muoversi per questa strada. Essa infatti è stata eletta dal popolo nella speranza che avrebbe preso le prime misure necessarie per introdurre, o almeno iniziare trasformazioni profonde nell’organismo economico della nazione, nell’interesse delle masse lavoratrici e di tutti i cittadini. »4 «
Tale osservazione di fondo è stata ripresa in questi anni ed an¬ che recentemente quasi fosse una scoperta di oggi. Tuttavia è altamente significativo ed indice di maturazione delle coscienze dei cittadini che quella esigenza, sentita venti anni or sono sol¬ tanto dalle forze democratiche più avanzate, sia oggi ritenuta in¬ dispensabile dalla grande maggioranza del paese, dai giovani e dagli anziani, persuasi che è l’intero sistema della struttura stata¬ le e delle relazioni tra lo Stato e i cittadini, tra potere politico e grandi formazioni imprenditoriali che esige di essere trasformato.
Quella che vent’anni
posizione
di sinistra,
or
sono
come una
apparve
come una
critica
dell’op¬
lacuna della Costituente di
scarso
peso, oggi è diventata la critica dei più e sono rari gli antifascisti ed i democratici che non riconoscano oggi le gravi conseguenze
derivate dal fatto dell’avere poteri 4
privato l’Assemblea Costituente dei
legislativi ordinari.
Dall’intervento di Paimiro
Togliatti
alla Costituente, lì
marzo
1947.
509
Così pure oggi non
aver
non ce chi non riconosca come grave errore il fissato dei termini quanto meno per i più importanti
adempimenti costituzionali. furono fissati,
mini
non
consigli regionali
Vero è che
vennero
tanto
per
quelli per i quali i ter¬ poi rispettati. Le elezioni dei
citarne
avvenire, né si può giurare che
cora
uno
solo
devono
avverranno
nel
corso
an¬
del¬
l’anno. In ogni caso, ognuno pensava che quanto ste
o
comunque
ispirate
a
meno le leggi fasci¬ principi diametralmente opposti a
della Costituzione sarebbero automaticamente decadute con l’andata in vigore della Costituzione. Di fronte alla critica quasi generale nei confronti delle attuali
quelli
sopravvivenze di
tutto
quanto avrebbe dovuto
essere
abrogato,
di fronte alle critiche sempre più forti e giustificate rivolte alle stesse istituzioni attuali e in primo luogo al Parlamento, privo ormai di effettivi
poteri decisionali,
non
mi sembra fuori
luogo
ricordare (in genere per molto tempo furono richiamati soltanto
gli innegabili aspetti positivi) anche i giudizi espressi sin da allora non soltanto sui limiti,
critici nettamente le lacune e gli er¬ sul significato della
ma anche sul valore e costituzionale. Paimiro Togliatti al Congresso del PCI nel gennàio 1948 ebbe « Non a dire: voglio con questo giustificare le debolezze che ci sono state nell’attività dei CLN, le debolezze dei partiti democra¬ tici italiani e anche del nostro partito; voglio però richiamare tutti gli elementi della realtà affinché il giudizio sia aderente alla realtà stessa. Forse vi è stato da parte del popolo italiano un ec¬ cesso di ingenuità. Una parte del popolo italiano ha senza dubbio pensato che la lentezza con la quale esso consentiva a che si svi¬ luppasse il movimento democratico poteva essere tollerata quasi come un contributo alla causa dell’unità delle grandi nazioni de¬ mocratiche e quindi anche alla ricostruzione pacifica del mondo. Oggi ci siamo avveduti che, di fronte a noi, stavano non autorità che si preoccupassero di non turbare la causa della pace. [...] Tutto ciò non toglie-che questa debolezza e timidezza del movi¬ mento democratico italiano vi sia stata. Essa si riflette del resto nella nostra Costituzione, la quale per una parte, per la prima parte soprattutto, è una Costituzione di tipo nuovo, che non si
rori della
stessa
Costituente,
carta
registrare trasformazioni politiche già avvenute, ma in¬ strada che dovrebbe essere seguita per operare profonde trasformazioni di carattere economico e sociale, indica la neces¬
limita dica
sità di non
510
a
una
una
riforma industriale
più soltanto degli
e
di
una
riforma agraria; parla e del
astratti diritti di libertà dell’uomo
del nuovo diritto di tutti gli uomini e di tutte le donne al lavoro, ad una retribuzione sufficiente ai bisogni dell’esi¬ stenza, all’educazione, al riposo, all’assicurazione sociale. Tutto questo è contenuto nella prima parte della nostra Costituzione. Nella stessa Costituzione non esistono però articoli i quali indi¬ chino concretamente quali sono i mezzi e gli istituti attraverso i quali verranno realizzate le indicate riforme e attuati i nuovi di¬
cittadino,
ritti del
ma
si passa alla seconda parte della Co¬ organizza in modo concreto il nuovo
lavoro; anzi, quando
stituzione stessa, la
quale
vi è dubbio che in questa seconda parte la connivenza delle forze conservatrici della destra con quelle del¬ la Democrazia Cristiana sia riuscita a fare passare una serie di di¬
regime democratico,
non
l’esclusivo intento di porre ostacoli e barriere al¬ l’azione di quell’Assemblea di rappresentanti del popolo la quale volesse veramente e speditamente marciare sulla via di un pro¬ fondo rinnovamento economico e sociale del paese, applicando
sposizioni
con
nei fatti le promesse della Costituzione. Per questo il
nostro av¬
politico e persino costituzionale è incerto perché si pos¬ sono prevedere scontri seri tra una parte progressiva, che si appoggerà su di una parte della nostra carta costituzionale, e una parte conservatrice e reazionaria che cercherà nell’altra parte gli
venire
strumenti della
sua resistenza. » La critica è sostanziale, di fondo,
senzialmente nel fatto che sono,
contro
con e
sviluppo Oggi
acuta
ed il
suo
valore consiste
es¬
esercitata allora, vent’anni or pericoli cui si sarebbe andati in¬
venne
previsione dei
del costo che certi errori avrebbero avuto nel corso dello della nostra società. molti possono facilmente fare sfoggio di chissà quali
nuove scoperte e non si tratta che di mosche cocchiere in ritardo di vent’anni. Ma il problema non è questo e neppure come si sia arrivati a quel risultato o a quel « compromesso » giudicato in¬
soddisfacente
e
carico di
pericolose
conseguenze,
già all’indomani
della sua conclusione. Come a quel risultato si sia giunti, malgrado i fermi propositi e gli sforzi congiunti, non di una sola parte, è noto. All’Assem¬ blea Costituente i partiti di destra, che sostanzialmente sostene¬ vano la restaurazione dello Stato liberale prefascista, erano pic¬ cola minoranza; lo schieramento unitario dei partiti di massa (co¬ munista, socialista, Democrazia Cristiana ed altre forze democra¬ tiche di sinistra: Partito d’Azione, ecc.) si trovò allora inizial¬ mente concorde nel ritenere che l’avvento del fascismo fosse stato reso possibile dalla grave carenza dello Stato liberale e delle vec¬ chie classi dirigenti italiane e pertanto fosse necessario un pro¬ stesso
511
fondo rinnovamento democratico delle strutture economiche e sociali del paese. L’Assemblea Costituente comprendeva 556 deputati suddivisi in 10 gruppi parlamentari che, nel complesso, formavano una si¬ nistra ed un centro che si equilibravano ed una destra con un peso limitato. Sotto la spinta
delle forze conseguentemente democratiche eche era spressione dell’unità antifascista e della Resistenza
stata lotta politica e lotta militare insurrezionale furono in¬ trodotti nella carta costituzionale una serie di nuovi diritti dei
cittadini e con essi la indicazione, nuovo Stato democratico, quello di
come
compito essenziale del
gli ostacoli di or¬ dine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’e¬ guaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della per¬ sona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese ». Ma l’accordo, che era stato realizzato in linea di massima, ven¬ ne
a
mancare
quando
«
rimuovere
si trattò di passare dalla enunciazione dei
principi alla elaborazione delle norme concrete che garantissero lo sviluppo della democrazia e delle libertà; quando si trattò di introdurre le riforme di struttura non si riuscì ad andare più in là della generica indicazione di norme orientative per quanto ri¬
la riforma industriale, la riforma agraria e la program¬ mazione delle attività economiche. Ed il contrasto divenne an¬
guardava cora
più
acuto
quando
si
giunse alla definizione degli organi
e
delle funzioni dello Stato, sia perché la Democrazia Cristiana, quanto meno nei suoi gruppi dominanti, si batteva per una ri¬
corporativo, sia per¬ ebbe luo¬ la discussione sul di Costituzione ché, quando progetto era avvenuta. in la dell’unità antifascista rottura aula, go già forma dello Stato di indirizzo chiaramente
E
nella Costituzione non rimane traccia delle concezioni corporativistiche della DC, in quanto in essa vi si afferma la pre¬ se
corpi rappresentativi, espressione diretta del¬ la volontà popolare, si da realizzare sulla carta una larga articola¬ zione democratica della macchina statale, di fatto però quella concezione corporativa era radicata fuori e dentro l’organismo valenza assoluta dei
statale che usciva appena allora da vent’anni di regime fascista. Con troppa facilità si scrisse allora che lo Stato corporativo era stato
battuto; di
esso
però sopravvivevano dei
centri di potere effetti¬
dopo la scom¬ anche dopo l’ap¬ provazione della nuova carta costituzionale. Mancò in pieno la indicazione delle misure da adottare immediatamente per impe¬ vo
che continuarono
parsa del
512
a
funzionare
e
ad esistere anche
regime fascista, delle corporazioni
e
dire che determinati centri di potere economico e politico con¬ tinuassero a sussistere al di fuori e al di sopra dello Stato e diven¬ tassero anzi pilastri fondamentali del partito o dei partiti al po¬ tere. Così come mancarono le misure concrete da adottare im¬ mediatamente per democratizzare quegli organi non elettivi che costituiscono parte importante della macchina statale e strumen¬ to del partito o dei partiti al potere (forze armate, polizia, ecc.). La premessa è già troppo lunga per affrontare il solo tema al quale ho accennato, ma era necessaria ad evitare la facile critica che quello delle forze armate e della polizia è soltanto uno dei tanti problemi non risolti. Lo sappiamo. Tuttavia, in questo mo¬
tragici avvenimenti di piano, all’attenzione nostra
mento, i mo
Avola lo hanno e
riproposto
in
pri¬
dell’opinione pubblica.
e dall’andata in vigore della Co¬ di PS è ancora quello stesso delle forze l’ordinamento stituzione, del 1931, posto a presidio di uno Stato creato sulla radicale ne¬ gazione della democrazia, dei diritti e delle libertà politiche a pre¬ sidio di un ordinamento fondato non sulla sovranità popolare, ma sulla dittatura, sulla gerarchia dall’alto, sul più stretto accen¬ tramento politico e amministrativo. Mentre invece le leggi e le autorità di PS sono e dovrebbero essere chiamate a tutelare l’or¬ dine dello Stato democratico, i diritti fondamentali dei cittadini della Repubblica fondata sul lavoro. Se c’è una legge che avrebbe dovuto essere immediatamente adeguata alla Costituzione questa è la legge di PS. Ciò non è av¬
A vent’anni dalla Costituente
venuto, e sono trascorsi vent’anni, per manifesta volontà dell’ese¬ cutivo ed anche per il fatto che il paese sente e si muove per
per altre esigenze, soltanto nel momento dell’emo¬ del pericolo. Com’è accaduto, ad esempio, nel 1933, nel 1960 e nel 1967 dopo il colpo di Stato in Grecia e com’è acca¬ duto in questi giorni dopo le fucilazioni senza processo ad Avola. come
questa
zione
o
Poi tutto ritorna
come prima. Superfluo fare la storia dei disegni di legge presentati in Parla¬ mento dalla prima legislatura in poi, sulla riforma della legge di PS, e regolarmente archiviati l’uno dopo l’altro. Siamo a sei mesi dall’inizio della quinta legislatura e non vi è stato un solo accenno
da parte dei partiti di governo e dello stesso governo Rumor ad af¬ frontare un problema così bruciante anche se sin dal 19 luglio 1968, ad un mese dall’inizio dei lavori parlamentari, un gruppo di senatori comunisti, del PSIUP e della sinistra indipendente si sono affrettati a ripresentare il disegno per la nuova legge di PS. Questo ostinato rifiuto a rispettare un preciso dettame costi¬ tuzionale è fonte non soltanto di profonda inquietudine e di cre¬ 513
sfiducia nelle istituzioni democratiche da parte delle masse popolari e dei giovani in particolare che ogni giorno misurano l’incredibile distanza esistente tra le precise norme della Costitu¬ zione e la realtà pratica dei rapporti tra lo Stato e i cittadini, tut¬ scente
tora
improntati all’osservanza delle disposizioni del
testo
unico
di PS, 18 giugno 1931; disposizioni coerenti con la logica, la na¬ tura e gli obiettivi del regime fascista e perciò stesso contrastanti con la Costituzione repubblicana. Anche la sfiducia verso la le¬ gislazione operaia, lo statuto dei lavoratori nelle fabbriche i cui progetti giacciono in Parlamento e non sono approvati mai (e già si pensa che quando fossero approvati non sarebbero mai ap¬ plicati), ha lo stesso punto di origine nella non applicazione della Costituzione. « Bisogna finirla con l’avere due Stati uno legale e uno reale, uno scritto sulla carta ed uno diverso e contraddittorio vivente nelle istituzioni. Bisogna finirla con il divorzio tra il formalismo giuridico e la realtà operante delle forze sociali. Lo Stato liberti¬ cida ha dato per primo l’esempio della inosservanza sistematica dei suoi impegni costituzionali. » Sono queste le parole sdegnate pronunciate dall’on. Guido Gonella nella relazione al I Congresso nazionale della Democrazia Cristiana (24-27 aprile 1946). Erano rivolte allo Stato liberticida del passato, ma queste parole, se vi si togliesse la data e il nome del loro autore, si potrebbe ritenere siano state pronunciate oggi:
dicembre 1968. Lo Stato liberticida, invettiva,
sua
tendeva
era
seppellire
il quale l’on. Gonella lanciava la Stato che l’Assemblea Costituente in¬
contro
quello
insieme al
vecchio,
arcaico mito dello Stato
sovrano.
Sulla
carta
venne
sepolto,
in quanto l’Assemblea Costituente
proclamò solennemente che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Quest’arti¬ colo non dice che la sovranità emana o deriva dal popolo, dice che appartiene al popolo. All’Assemblea Costituente molto si di¬ scusse sulle formulazioni ed anche su questa, e non certo per motivi lessicali. A meno di considerare inesistente o privo di qualsiasi valore giuridico l’art.
1 della nostra
Costituzione,
a
me¬
una frase reto¬ di fondamentalmente nuovo era sorto nel momento in cui venne appovata la Costitu¬ zione. Da quel momento sorgeva, solennemente riconosciuta, in Italia, una nuova sovranità e sorgeva come sovranità costituita, giuridicamente determinata e come sovranità se non unica, certa¬ no
di considerare questo articolo soltanto
rica,
514
si deve riconoscere che
qualche
cosa
come
in quello stesso momento, sarebbe stato armonizzare la sovranità del popolo con l’autorità ed i poteri dello Stato, sulla base dei principi costituzionali. La legge di PS, ad esempio, se la si vuole in armonia con la Costituzione dev’essere tale da servire a tutelare l’ordine dello Stato democratico ed a salvaguardare i diritti e le libertà dei cit¬
mente
preminente. Ma,
necessario
tadini della
Repubblica quale Repubblica partenere al popolo. nella
democratica fondata sul lavoro, di una la sovranità appartiene o dovrebbe ap¬
In base alla Costituzione, la forza
prima, la forza
motrice che
dovrebbe dare impulso e chiaro orientamento è rappre¬ sentata dalla volontà e dalla sovranità popolare. In uno Stato fondato sul lavoro, la polizia dovrebbe sempre collocarsi dalla parte dei lavoratori. Ma gli operai, i contadini, i lavoratori e gli studenti non chiedono tanto. Chiedono che le forze di polizia rimangano estranee, non siano impiegate, non in¬ a
tutto
tervengano in alcun modo nelle controversie del lavoro e non in¬ tervengano armate nel corso di manifestazioni sindacali e politiche le quali sono legittime e previste dalla Costituzione. Art. 17: « I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e
senza
armi.
»
Art. 21: «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. » Per contro, non passa giorno (e lo abbiamo recentemente di¬ mostrato in Senato documentando gli interventi verificatisi ogni giorno nel corso di tre mesi) senza che vi siano cariche violente nel corso di dimostrazioni operaie o studentesche. Ogni volta che è indetta una manifestazione sindacale o politica, vi è immedia¬
spiegamento di forze di polizia, pronte ad interve¬ i gruppi di dimostranti. Quando questi spie¬ gamenti di polizia e forze armate non avvengono, non sono mai accaduti incidenti di rilievo. Osservava l’on. Pietro Nenni, in un suo intervento all’Assemblea Costituente, il 12 dicembre 1947: tamente nire per
uno
sciogliere
L’ostentazione della forza alla quale assistiamo è all’origine dei incidenti e rientra nella tecnica della provocazione. » Nella mentalità di chi governa, di chi dirige le forze di polizia ed anche di quella parte dell’opinione pubblica « moderata » e conservatrice, è finalmente entrata l’idea (ma ci sono voluti anni di lavoro e di lotte) che il diritto di sciopero è legittimo, dev’es¬ sere riconosciuto, ma non il diritto di manifestazione. Ogni ma¬ nifestazione di « opposizione » nelle strade è considerata sin dal suo inizio un atto di sedizione anziché l’esercizio di un diritto, «
deprecati
515
di poter liberamente esprimere il pensiero, la volontà, le aspirazioni da parte delle masse popolari. Infatti i lavoratori e gli studenti, i cittadini tutti non hanno altro modo per esprimere direttamente la loro volontà, per atti¬ rare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle loro rivendicazioni economiche, sindacali, culturali e politiche. Dall’ottobre 1966 al giugno 1968, quasi diecimila operai e studenti sono stati condannati o, al momento dell’amnistia del¬
quello
l’ottobre 1968, erano in attesa di giudizio; e precisamente per agitazioni sindacali: 125 condannati e 5.169 in attesa di giudizio; per agitazioni politiche: 84 condannati e 847 in attesa di giu¬ dizio; per agitazioni studentesche: 9 condannati e 3.170 in at¬
di giudizio. Praticamente è il diritto di manifestazione che in Italia non esiste; impedire l’esercizio di un tale diritto significa impedire ed ostacolare lo stesso diritto di sciopero, significa colpire, violare una parte fondamentale della Costituzione. L’art. 1 della Costituzione non dice soltanto che l’autorità e l’attività dello Stato devono esplicarsi nell’interesse del popolo, ma dice che la sovranità appartiene al popolo. Certo non è facile creare questa coscienza in uomini abituati a tesa
comandare,
nei
quali
è insita la mentalità autoritaria del
regime
di fronte ad esso non vi passato (quando erano che dei sudditi), ma alimentata anche dopo nel corso degli ultimi 25 anni. Non è facile fare comprendere a prefetti ed a questori che il nuovo sovrano è il popolo e che pertanto il loro dovere è quello di difendere e garantire le libertà dei cittadini e i diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione, è quello di di¬ fendere e garantire la piena esplicazione della libertà e sovranità lo Stato
era
tutto
e
popolare. Il problema
dei rapporti tra i cittadini e lo Stato non lo si risolve neppure e soltanto col non intervento armato delle forze di polizia nel corso di manifestazioni sindacali e politiche, anche se questa misura s’impone ormai come urgente e indilazionabile. Ma non è sufficiente. Si può uccidere un manifestante anche sen¬ za
fucilarlo. Una bastonata
o
una
jeep scagliata
contro
stanti possono portare allo stesso risultato. È accaduto
due anni or sono, un giovane studente schiacciato lonna della galleria di Milano.
i manife¬ a
Milano,
contro una co¬
Nella relazione al suo disegno di legge n. 1206 (disciplina del¬ l’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia), il sen. Fenoaltea ha osservato giustamente: « Le masse popolari sono ormai pervenute ad un livello di educazione politica e civile tale 516
la
è la prova la circostanza che da gran tempo mai si è lamentato il più lieve
da poter
disordine
assumere
quando
esse
le
stesse
masse
sono
cura
state
dell’ordine;
ne
libere di manifestare
com¬
postamente come ormai è loro costume, soggette soltanto all’alto grado di responsabilità loro proprio e dei loro dirigenti; mentre il sangue è stato versato ogni volta che la polizia è intervenuta esercitando brutale violenza senza che alcun motivo realmente adeguato lo richiedesse. » Giustificare l’intervento di forze di polizia armate con la pre¬ visione di possibili incidenti, vuol dire ammettere che essi pos¬ sano essere sedati con l’uso delle armi da fuoco, sparando cioè sulla folla. Il che comporta l’attribuzione alle forze di polizia di un potere indiscriminato di condannare a morte e uccidere sul diffe¬ posto, che sarebbe illegittimo anche in un ordinamento il quale preveda la pena di morte rente dal nostro che la vieta da irrogarsi sempre però con sentenza di giudice, nei confronti del
colpevole. basta togliere i mitra, occorre disarmare gli spiriti e alla testa, tra i quadri e nelle file delle forze di polizia e delle forze militari, uomini di sicura coscienza democratica. Ufficiali, soldati, agenti di polizia, e carabinieri devono sapere che essi sono a presidio della Repubblica e delle istituzioni de¬ mocratiche e non al servizio di un partito, di gruppi economici e politici o di organismi che si pongono al di sopra dello Stato. Ufficiali e soldati, prefetti, questori, agenti di PS e militari del¬ l’arma dei carabinieri hanno maggior bisogno di educazione de¬ mocratica che non di istruzione militare sull’uso delle armi. « L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito de¬ mocratico della Repubblica » non significa soltanto che coloro che dirigono e fanno parte delle forze armate non debbono sparare o ordinare di sparare sui manifestanti, di fucilare sul posto, ma significa che i facenti parte di queste forze armate, e in primo luogo coloro che le dirigono, devono essere dei democratici, de¬ vono provenire dal mondo del lavoro e della produzione. Vi de¬ v’essere un legame sempre più stretto tra le forze armate e il pae¬ Ma
non
mettere
se.
In questa direzione dev’essere favorito
un
rapido
processo di
delle forze armate. polizia Il problema venne posto immediatamente dopo la Liberazione e da più parti fu sottolineato che avrebbe potuto essere risolto immettendo nelle forze armate quadri nuovi, ufficiali che aves¬ sero dato prova della loro fede democratica e rinnovando i rego¬ lamenti con criteri moderni e democratici. Sull’ondata della Resi¬ stenza vittoriosa e del riconoscimento della lotta partigiana, al¬ democratizzazione delle forze di
e
517
migliaia di combattenti antifascisti ed ex partigiani furono immessi come ufficiali nelle forze armate e nelle forze di polizia. Un certo numero di prefetti e di questori venne scelto non dalla cune
burocrazia, ma tra gli uomini che provenivano dalla Resistenza e dai CLN. Ma, ancor prima che fosse spezzata l’unità dei partiti ancor prima che fosse portata sione dal governo delle forze di sinistra e
antifascisti,
democratiche, ufficiali
compimento l’esclu¬ più conseguentemente
a
e militari provenienti dall’antifascismo e dalla guerra di Liberazione furono esclusi dalle forze armate e dalla polizia. Si compì l’operazione inversa: ritornarono ai loro posti con piena autorità, assolti da ogni processo o inchiesta epurativa, gli uomini che per vent’anni avevano servito il regime del¬
la dittatura fascista, dimenticando persino che molti di questi mini
uo¬
tradito il loro giuramento e si erano macchiati di propri « delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello
avevano
veri e Stato ».
Qui non si tratta di indulgenza, di misure di pacificazione mi¬ ranti ad unire nuovamente il paese dopo vent’anni di dittatura e di criminalità fascista, tali misure di una generosità senza prece¬ denti furono da noi e dalle forze democratiche sostenute e appro¬ vate. Si aveva piena coscienza che ricostruzione e rinnovamento del paese to prima
avrebbero potuto procedere tanto più rapidamente quan¬ il popolo italiano avesse ritrovato la sua unità in una
politica che segnasse la fine degli odi e dei terribili piaghe scavate dal fascismo e dalla Le misure di pacificazione ci trovarono non
di questo si
nuove,
non
rancori suscitati dalle
guerra.
sempre concordi, ma Bensì di ricostruire delle forze armate economicamente e politicamente alle vecchie
trattava.
legate
in piedi; ma strettamente collegate alla nuova realtà del paese, fedeli alla Costituzione e alla Repubblica demo¬ cratica. Il generale Giacomo Zanussi scrisse nel 1946: « Se davvero strutture
rimaste
aspiriamo a possedere finalmente un esercito serio, solido e sano, dobbiamo rassegnarci non più a ricostruire qualche pezzo del tra¬ ballante edificio, ma a buttarlo giù dalle fondamenta e rifare tut¬ to daccapo. »5 Non se ne fece nulla, anzi si operò in senso contrario ed il grosso problema dev’essere risolto ancora oggi, sia con mutamen¬ to di uomini sia con la elaborazione di nuovi ordinamenti delle forze armate che garantiscano lo sviluppo della democrazia. Ufficiali delle forze armate, funzionari, agenti di polizia e ca5
518
G. Zanussi, Salvare l’esercito, Corso, Roma, 1946.
rabinieri devono essere scrupolosamente reclutati ed educati in base ai principi democratici della Costituzione, senza mai dimen¬ ticare che ad essi viene affidata una delle funzioni più importanti la tutela delle libertà e dei diritti e delicate della vita sociale: dei cittadini, la tutela dell’ordine pubblico in un paese civile e democratico e la difesa dell’indipendenza nazionale. Talvolta ci si obietta che difficoltà oggettive, il peso di radi¬ cate tradizioni ostacolano il rinnovamento di uomini, di costumi, di regolamenti. Ma è proprio perché sul nostro paese gravano un passato e tradizioni non certo democratiche che è necessario, indispensabile da parte di tutti e dei governi in primo luogo un più forte, deciso impegno per un reclutamento, una formazione ed una educazione delle forze armate dello Stato sulla base dei principi della Costituzione e sulla base dei diritti elementari del¬ l’uomo e del cittadino. La democratizzazione delle forze armate esige oltre al resto un nuovo regolamento di disciplina delle forze armate. L’ultimo ri¬ sale al 31 ottobre 1964 ed è stato approvato nei suoi 108 arti¬ coli dal ministro della Difesa del tempo, on. Giulio Andreotti. Non è il caso di esaminare i 108 articoli che, nel loro com¬
plesso,
non
si propongono neppure lontanamente di
rapporti democratici
soldati
ufficiali
creare
nuovi
forze armate e paese. Come già nel nuovo progetto di legge di PS presentato dal ministro Taviani e discusso al Senato nel maggio-giugno 1967, così anche nell’ordinamento disciplinare delle forze armate non si trova neppure un solo accenno diretto o indiretto alla Costitu¬ zione ed alla Repubblica. Chi scrive ha avuto occasione di osservare, nel corso della di¬ scussione al Senato del progetto-legge Taviani per le modifiche del testo unico del 18 giugno 1931, che in tutto il testo non ricor¬ reva una sola volta la parola Repubblica, non ricorreva mai la parola Costituzione, mai la parola democrazia; sempre e soltanto si parla di Stato senza aggettivazioni, si parla di ordine pubblico senza mai precisare che si tratta dell’ordine pubblico nella Repub¬ blica democratica fondata sul lavoro. Ci siamo sentiti rispondere che ciò era del tutto inutile e su¬ perfluo. Il che non è vero. Se c’è una legge che più di qualsiasi altra esige sia formulata in termini chiari e precisi questa è pro¬ prio la legge di PS poiché essa stabilisce, fissa, regola con deter¬ minate norme i rapporti tra lo Stato e i cittadini. Per essere chia¬ ra tale legge deve dire nelle sue stesse formulazioni a tutti i cit¬ tadini ed alle autorità, al semplice lavoratore, agli ufficiali ed ai soldati, ad ogni agente di PS o militare dell’arma dei carabinieri, tra
e
e
tra
519
qual od a
è lo
Stato, qual
è l’ordine che essi
sono
chiamati
a
rispettare
tutelare.
Il
carattere fondamentalmente democratico della Costituzione della Repubblica, delle istituzioni nostre deve balzare in modo chiaro ed inequivocabile dalle stesse formulazioni, dalle espres¬ e
sioni che si
impiegano nel redigere leggi
e
regolamenti.
Nel progetto Terracini, Secchia, Gianquinto ed altri per la nuo¬ va legge di PS, presentato al Senato, si dice esplicitamente che l’autorità di PS « dipende dal governo della Repubblica » e non da un governo che potrebbe per avventura essersi insediato con¬ tro la Repubblica. Ma la formulazione « dipende dal governo della Repubblica » venne respinta dalla maggioranza con il mali¬ zioso e pretestuoso argomento che la precisazione era superflua. Superflua invece non è poiché tutti gli ufficiali, militari, agenti di ecc. devono sapere da chi dipendono, tutti i citta¬ dini indistintamente devono sapere a chi devono rivolgersi, a chi devono prestare ascolto, a chi devono ubbidire. Devono inoltre sapere che il loro dovere non è di ubbidire in ogni caso (anche
PS, carabinieri,
all’ordine scriteriato di
un
superiore che, avendo perduto la
testa
essendo impazzito, intimasse di sparare sui dimostranti) che vi possono essere circostanze e situazioni in cui il dovere manda loro di non ubbidire.
o
ma
co¬
Militari e civili devono sapere che nel caso un gruppo di uf¬ o di civili, sia pure con gradi elevati o ricoprenti alte ca¬ in Grecia nel 1967) di impadro¬ avvenuto tentasse (com’è riche, nirsi con la violenza del potere calpestando la Costituzione e le libertà, il loro dovere sarebbe quello di non ubbidire, di.ribellarsi a tali ordini, di prestare aiuto alle legittime autorità democra¬
ficiali
tiche. armate e delle autorità di PS è quella tutela dello Stato democratico l’ag¬ sul fondata ci della vuole lavoro, gettivo sempre Repubblica a tutela dei diritti dei cittadini della Repubblica, i quali in base
La funzione delle forze
di
essere
a
presidio
ed
a
alla Costituzione devono altresì sapere quali sono i loro doveri. Questi princìpi devono essere ribaditi in ogni momento nelle scuo¬ le, nelle caserme, nella vita e, in primo luogo, nelle leggi che si elaborano ed è su questi princìpi che debbono basarsi i rapporti tra
lo Stato ed i cittadini.
Il nostro paese ha pagato troppo cara la mancanza di educa¬ zione civica dei cittadini e delle forze armate, ha pagato troppo cara l’ubbidienza non alle leggi dello Stato, ma l’ubbidienza cieca
agli arbitrii ed alle violenze della tirannide. Non si deve 520
avere
mai
timore di essere troppo chiari a proposito e di rapporti tra i cittadini e lo Stato.
Ciò che da noi è
stato
di diritti
e
di doveri
pretestuosamente ritenuto
stato invece considerato necessario
superfluo è persino nella Repubblica Fe¬
derale Tedesca di Bonn. Il regolamento delle forze armate tede¬ sche è stato, dopo la tragica esperienza hitleriana, profondamente modificato. Mi limito a citare un solo articolo, il 14 che dice: « Dovere del militare è quello di denunciare ogni azione illecita e,
qualora
siano
messe
in discussione le istituzioni
di prendere posizione in loro difesa.
democratiche,
»
Così pure nel regolamento delle forze armate francesi si affer¬ « la preminenza dello spirito civico su quello militare » e si precisa: « lì rispetto della legge fondato sull’obbedienza cieca non deve più esistere, ma deve esistere il rispetto del cittadino verso le istituzioni dello Stato. » In altri articoli dello stesso re¬ golamento è detto esplicitamente che il superiore non può ordi¬ nare al proprio dipendente atti che costituiscano crimini o delitti contro lo Stato, la Costituzione e la pace pubblica o colpire la vita, l’integrità e la libertà delle persone: « Se il dipendente lo fa, esegue, se ne assume le responsabilità penali e disciplinari. » Tutte norme delle quali in Italia si ha, da parte dei governi e del potere costituito, un sacro terrore e che, col pretesto che esse sono inutili e superflue, vengono sistematicamente respinte ogni volta che se ne propone la introduzione nei regolamenti delle for¬ ze armate e nei testi di legge di PS. È vero che qui si urta oggi non solo con gruppi di potere in¬ terni, ma anche contro forze internazionali. L’adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica, resa sempre più grave dagli impegni NATO che divengono ogni giorno più pesanti, ha complicato e complica il problema dell’ordinamento e della educazione delle forze ar¬ mate, della loro fedeltà ai principi della Costituzione e dell’indi¬ pendenza nazionale. Lo scandalo SIFAR ha portato alla luce gravi interferenze tra ma
e quelli dello stato maggiore italiano. Esse anche per l’accentrarsi nelle Stesse persone di fun¬ zioni diverse. La subordinazione di questi servizi « nazionali » ai
i servizi della NATO sono
molteplici
comandi della NATO è tale che ad alcuni ufficiali, i quali in via privata, nei giorni del luglio 1964, avevano chiesto spiegazioni
circa certi « preparativi », fu risposto che essi rientravano nel¬ la messa a punto del piano di sicurezza interna stabilito nel quadro degli accordi NATO, d’intesa con le forze americane di stanza in Italia e nell’ambito di un’operazione di carattere na¬ zionale. 521
sugli accordi segreti che pure esistono dal denunciati (quelli governo francese ne sono una prova incon¬ è sufficiente esaminare gli accordi palesi per constatare futabile), che essi includono funzioni di polizia e di collaborazione nei ser¬ vizi informativi e cosiddetti di « sicurezza » tra i paesi aderenti alla NATO. È sufficiente leggere, ad esempio, il rapporto tenuto dal generale Liuzzi, ex capo di stato maggiore dell’esercito, al Senza fare supposizioni
convegno internazionale di studi sulla NATO tenuto
a
Pavia; in
« Per esso ha affermato che: la prima volta nella storia è stata creata un’alleanza militare tra nazioni retta a regime democratico, la quale, pur avendo carattere difensivo, è in grado di interve¬ nire tempestivamente e con piena efficacia nel caso in cui uno de¬ gli Stati membri venga aggredito. L’efficacia deriva essenzialmente dall’integrazione dei comandi e delle forze. » Più avanti il generale Liuzzi fa affermazioni ancora più gravi e precisamente: « La NATO non prevede di dover fronteggiare soltanto l’ipotesi di un conflitto totale. Contro l’eventualità di minacce minori [si noti: qui non si impiega neppure più il ter¬ mine di aggressione, è sufficiente la minaccia] è stata da qualche anno creata una forza mobile di SHAPE, che è aeroterrestre ed è costituita da unità di differenti nazioni. Essa è aviotrasportabile e può intervenire con immediatezza in qualsiasi regione mi¬ nacciata, particolarmente su fianchi settentrionali e meridionali dello schieramento alleato, per contrastare infiltrazioni, incursioni ed aggressioni locali. L’Italia », ha concluso, « vi partecipa con diversi reparti. »6 Superfluo sottolineare la estrema gravità di queste dichiarazioni e il grado di impegno dell’Italia nella NATO con le conseguenze che ne possono derivare. Sul carattere difensivo di questi impe¬ gni, già osservava acutamente in un suo discorso all’Assemblea Costituente (lì marzo 1947) Leo Valiani: «Si entra veramente in quel campo in cui si finisce sempre con lo stiracchiare i fatti, per dimostrare che si salvaguarda la libertà di un paese interve¬ nendo con le armi o che, viceversa, la si salva non intervenendo. La storia recente è piena di contraddizioni in proposito. Basti pensare all’ultimo grande fatto di politica internazionale: il mes¬ saggio di Truman che pone le fronn’0^ strategiche degli Stati Uniti in Grecia e in Turchia, allo scopo come dice il presi¬ di di americano difendere la libertà dente quei popoli. Io po¬
trei anche pensare che la libertà di 6
non
L. Liuzzi, La funzione militare della NATO, in La NATO:
prospettive, GiufTré, Milano, 1967, 522
quei popoli
pp.
197-199.
si difende
problemi
e
degli istruttori militari a sostegno di go¬ verni che non sono democratici e neppure liberali. » Neppure è il caso di soffermarci a dimostrare (esula dal tema che ci siamo
efficacemente inviando
del Patto Atlantico con la Carta di dell’ONU e con la stessa nostra Co¬ stituzione italiana. Lo hanno fatto a suo tempo in teoria e sul pia¬ no dottrinale numerosi giuristi ed esperti di diritto internazio¬ nale,, dallo Schick7 al Calamandrei,8 ed ancora recentemente al Convegno internazionale di studi della NATO tenutosi a Pavia, il prof. Ludovico Matteo Bentivoglio, ordinario di diritto e di organizzazione internazionale, pur dichiarandosi tra i sostenitori della NATO e di una cauta riforma di essa, ha esplicitamente af¬ fermato: « Bisogna francamente ammettere che il trattato costi¬ tutivo della NATO si pone al di fuori delle Nazioni Unite. In proposti) la S. Francisco,
incompatibilità con
lo
statuto
certo senso si può affermare addirittura che l’organizzazione del Patto Atlantico si contrappone alle Nazioni Unite. »9
un
lì Patto Atlantico
e
gli impegni
ledono gravemente la
NATO
sono
anticostituzionali
del
perché popolo italiano, tolgono ai suoi governi la potestà di dirigere autonomamente la loro politica estera e vasti settori della politica interna e trasfe¬ «
sovranità
»
un altro ente, e più precisamente ad un al¬ Stati Uniti d’America. gli Trattando del consiglio supremo di difesa, già dieci anni or so¬ « Non si deve trascurare che i vincoli no il Predieri osservava:
riscono tale potestà ad tro paese:
delle alleanze politico-militari hanno diminuito i suoi poteri, in¬ tegrando la difesa italiana con quelli del trattato che istituisce la NATO e del protocollo 23 ottobre 1955 di adesione al Patto di Bruxelles. Gli
organi della NATO,
comunque debba
essere
con¬
figurata la natura della NATO, impartiscono direttive ai singoli governi degli Stati. E già questo comporterebbe gravi limitazioni di fatto ai poteri del consiglio supremo di difesa... »10 Ma, tornando al
nostro tema,
ciò che
a
noi premeva sottolineare
le difficoltà che oggi si frappongono, anche di ordine inter¬ nazionale, alla riforma degli ordinamenti militari e della legge di PS. Condizione prima dovrebbe essere l’indipendenza delle for¬ sono
7 Schick, The north atlantic Treaty and thè problem of peace, in «The Juridical Review », 1950. 8 P. Calamandrei, La Costituzione italiana, in Dieci anni, Laterza, Bari,
1960. 9 L.
Matteo Bentivoglio, Strutture istituzionali e organizzative della in La NATO: problemi e prospettive, op. cit., p. 65. 10 A. Predieri, lì consiglio supremo della difesa, in Studi sulla Costitu¬ zione, Giuffré, Milano, 1958, p. 263.
NATO,
523
maggiori nazionali ed i ser¬ maggiori e servizi stra¬ integrati nieri è inevitabile che tendano a perdere di vista gli interessi na¬ zionali i quali non risiedono nel potenziamento militare, nei co¬
ze
italiane. Quando
armate
vizi ad essi affidati
gli
stati
in stati
sono
mandi NATO, nel SIFAR, ma nello sviluppo della democrazia, delle libertà, del benessere del paese, nella politica di riforme so¬ ciali e di pace.
problemi attinenti tadini, alle sue strutture ed Questi
allo Stato, ai suoi
rapporti.con
i cit¬
alle strutture delle forze discussi alla Consulta nazionále, prima, e nell’Assemblea Costituente, dopo; ma la discussione, oltre a non avere impe¬ gnato il paese, non si può dire abbia impegnato a fondo neppure i partiti democratici e di sinistra. Forse non c’era, e non a torto, eccessiva fiducia sulla carta scritta e nei regolamenti. Forse si pensava che sarebbero state le riforme di struttura a determinare il mutamento dei rapporti so¬ ciali e dei rapporti tra lo Stato e i cittadini. Ma se è vero che le fondamentali riforme di struttura determinano il mutamento dei rapporti sociali, è altresì vero che dei rapporti civili, democratici tra lo Stato e i cittadini facilitano, aiutano, favoriscono la realiz¬ zazione di altre riforme che possono invece essere ritardate o im¬ pedite dall’intervento autoritario e coercitivo dello Stato o di centri di potere che allo Stato si sovrappongono. Non si tratta di avere più o meno fiducia sulla carta scritta. Da tempo la storia ha insegnato che non soltanto i regolamenti, gli ordinamenti che disciplinano e ispirano le forze armate, le leggi di PS ma le stes¬ se Costituzioni hanno valore duraturo soltanto quando sono la espressione di reali rapporti tra le forze vitali del paese. Ma è armate ven¬
nero
proprio
Òggi
a queste forze reali che occorre guardare. si urtano e sono destinate a scontrarsi sempre
mente, due tendenze che si manifestano apertamente
e
più dura¬ in Italia
paesi capitalisticamente sviluppati. Una tendenza ac¬ centratrice,'- autoritaria, espressione delle grandi concentrazioni monopolistiche che si scontra contro la esigenza di una politica di e
in tutti i
maggiore libertà, democrazia ed autogoverno. D’altra parte, assi¬ stiamo ad un possente sviluppo della coscienza democratica, alla esigenza sempre più sentita ad una effettiva partecipazione dei
cittadini alla direzione della vita del paese, nelle officine, nelle scuole, nei comuni, negli enti locali, nelle associazioni economi¬ che e sindacali e negli stessi partiti. Le giovani generazioni si
e impongono al mondo una evo¬ più rapidi, radicali mutamenti: la trasformazione di strutture e arcaici princìpi che hanno fatto il loro tempo.
stanno ribellando ai vecchi miti
luzione vecchie
524
e
Vi
sono
oggi
nel paese, nelle
officine,
nei
campi, nelle
univer¬
sità e nelle scuole possenti forze nuove che premono, si fanno avanti, che vogliono ed hanno il diritto di contare. Sarebbe grave
spingere queste forze alLautoritarismo, o di poterle tratte¬ nere promettendo autogoverno, autonomie agli enti locali, alle università, ai comuni, alle regioni e riforme di strutture econo¬ miche, politiche e sociali che poi non si realizzano mai. La Costituente lavorò con intensità, direi con passione, non
errore
se
l’indietro
qualcuno con
si illudesse di poter
la violenza
e
vi erano in Parlamento le quotidiane assenze ed i vuoti di oggi. Molti sentivano la urgente necessità di dare una nuova struttura non solo allo Stato, ma alla società italiana. Purtroppo, malgra¬ do l’auspicio del CLN e dei partiti democratici, la Costituzione è nata limitata, monca e contraddittoria. Minata dal compromesso iniziale è stata applicata soltanto a metà e non nelle sue parti fondamentali; si potrebbe dire che è nata in ritardo con i tempi ed in confronto al rapido sviluppo economico, scientifico, cultu¬ rale della società moderna. Ciò che ieri era urgente fare, oggi è divenuto urgentissimo e indilazionabile. Ogni ritardo nell’adeguare i rapporti tra lo Stato e i cittadini, tra lo Stato e le esigenze della società di oggi po¬ trebbe essere estremamente pericoloso. Non si tratta di avanzare rivendicazioni di revisione della Co¬ stituzione, ma di operare decisamente, in modo conseguente per la sua applicazione. Malgrado i suoi limiti, le sue lacune, le sue remore essa è sempre una Costituzione tra le più avanzate. Anche se essa non prevede una democrazia direttamente articolata sulle basi della produzione, contiene « elementi essenziali di un pro¬ gramma di sviluppo della società e dello Stato verso un nuovo po¬ tere » che non è certo lo Stato socialista, ma non è e non può essere neppure lo Stato borghese dominato dalla grande proprietà e dai monopoli capitalistici.
525
1969
LOTTARE CONTRO IL FASCISMO. DEMOCRATIZZARE LE 1 FORZE ARMATE
lì rapporto del compagno Boldrini, col
concordiamo, tutta
è stato talmente
l’odierna tematica
aggiungere altri temi,
si
ampio,
quale
concreto
mi sembra tutti
ed ha abbracciato
politica che non mi sembra tratta piuttosto di esaminare
necessario come
por¬ tare fuori di questo teatro, ognuno nelle nostre città, nelle ANPI provinciali e locali, i nostri propositi ed i nostri indirizzi, affin¬
ché non rimangano, come spesso accade, dei propositi velleitari, salvo poi a ritrovarci in una prossima occasione a lamentare qual¬ che altra Avola, o qualche altro compagno (come il compagno Lino Zocchi al quale rinnoviamo tutta la nostra solidarietà ed
affetto) ferito dalla teppaglia fascista. Superfluo insistere sulla gravità della situazione nazionale ed internazionale. Non c’è chi non si renda conto di tale gravità, di una situazione divenuta ormai intollerabile e che, se dovesse il
nostro
a grave repentaglio non soltanto i valori l’avvenire del nostro paese. Un paese non può vivere permanentemente sotto il rischio, la minaccia e il ricatto di colpi di Stato, siano essi orditi, tenuti pronti ed aggiornati (in una di quelle buste con nome convenzio¬ nale) da qualcuno di quei mille generali, dei quali ci ha parlato Boldrini, che non hanno mai imparato che cosa significa Repub¬ blica democratica, o siano minacciati da uomini politici che cre¬ dono di sbarazzarsi degli ostacoli alla loro ingordigia di potere, sopprimendo di fatto il Parlamento, l’autonomia e qualsiasi po¬ tere degli organi locali, negando agli operai ed ai lavoratori qual¬ siasi potere nelle fabbriche e fuori delle fabbriche; organizzati o sognati da uomini politici che credono di poter abbattere le di¬ ghe al malgoverno, alla corruzione sfrenata, all’asservimento allo
perdurare, metterebbe della Resistenza,
a
ma
1 Intervento di Pietro Secchia al Padova il 29 giugno 1969.
Convegno
nazionale dell’ANPI, tenuto
527
straniero, eliminando ogni legalità costituzionale di fatto la Costituzione. È vero che non abbiamo motivo di in avanti vengono dal
possenti spinte te della gioventù operaia compreso che
cosa
c’era
e
e
accantonando
pessimisti poiché basso, specialmente da par¬ essere
studentesca che dimostra di avere che cosa c’è ancora di vivo e di rinno¬ e
nella Resistenza. I giovani hanno compreso, senza forse averne avuto da prin¬ cipio piena coscienza, che la Resistenza lottava ed ha lottato non soltanto contro lo straniero, ma per contestare tutta la vecchia società italiana, non soltanto nella sua ultima espressione di al¬ lora che era quella fascista, ma anche nella sua matrice prefasci¬ sta che era quella dell’Italia cosiddetta liberale che al fascismo aveva aperto le porte. La gioventù oggi, nella sua grande massa, tende a diventare una grande forza rinnovatrice (un tempo avremmo detto rivolu¬ zionaria e non dobbiamo avere timore di ripeterlo) e non s’ap¬ paga della parola Resistenza perché il nome gli suona come qual¬ cosa di difensivo. Resistere a che cosa? Difendere forse ciò che esiste? No, ciò che esiste dev’essere cambiato. vatore
Vogliamo
lottare nel sistema
o
al di fuori,
contro
il sistema?
Ieri il compagno Arialdo Banfi accennava ad un dilemma: vo¬ lottare nel sistema o al di fuori, contro il sistema? A me sembra che il dilemma non esista. Noi lottiamo nel sistema ma,
gliamo
al tempo stesso, per cambiare questo sistema. Lottiamo nel si¬ stema in quanto viviamo nella società come oggi è organizzata, ma
lottiamo per
attuare
nelle
sue
parti fondamentali la Costitu¬
e pertanto per rinnovare pro¬ fondamente l’attuale sistema. Il rapporto di Boldrini è stato tutto una bruciante denuncia di questo sistema fatto di istituzioni vecchie, arcaiche, in rovina, fatto di organismi burocratici, anchilosati, che non funzionano più e che sono ancora in gran parte i vecchi organismi della buro¬ crazia fascista in tutti i settori dell’apparato statale da quello pen¬
zione,
per attuare le riforme sociali
quello assistenziale-ospedaliero, quello diplomatico, ecc. sionistico
a
a
quello fiscale,
Che cos’è che i giovani operai ed i giovani studenti
a
contestano,
che noi stessi contestiamo, ciò che la Resistenza contesta? Sono queste superate ed anacronistiche strutture fasciste e prefa¬
ciò
sciste? 528
È l’attuale
organizzazione della società
con
tutte
le
sue
ingiustizie, le
ipocrisie,
sue
suoi
inganni,
i
doppigiuochi
del sopragoverno? È questa civiltà
e
sottogoverno
i
senza
del
anima?
speculazioni sfrenate, della corru¬ loro manutengoli? È tutto questo che
È la morale del lucro, delle
zione, dei biscazzieri i
giovani
e
dei
contestano.
le stesse cose che noi contestiamo. Sono le le quali ha lottato la Resistenza. Ecco perché la Resistenza forse più di qualsiasi altro movimento intende, comprende la voce dei giovani, sa comprendere i giovani nella loro generosità, nel loro slancio, nei loro impulsi ed anche nella loro esasperazione che talvolta esplode. Ma queste
stesse
cose
sono
contro
La Resistenza
non
ha nemici,
non
ha avversari
a
sinistra
discutere, dissentire, litigare magari con questo o giovanile, con questo o quest’altro partito
Possiamo
quest’altro
movimento
di cui
condividiamo le posizioni, ma la Resistenza, oggi ha avversari, non ha nemici a sinistra.
me
non
ieri,
co¬
non
I nostri avversari, i nostri nemici sono tutti a destra, stanno nelle destre retrive e reazionarie che la Resistenza non l’hanno
voluta ieri e non la vogliono oggi. La nostra è un’associazione unitaria, noi siamo un grande mo¬ vimento unitario perché tutta la nostra esperienza è una espe¬ rienza unitaria, tutti i nostri successi li abbiamo ottenuti con l’unità, ma era un’unità basata sull’azione, per degli obiettivi pre¬ cisi e con una prospettiva chiara. Volevamo distruggere il fascismo dalle radici, volevamo rin¬
prospettiva, questi obiettivi nostri chiari¬ non era una unità mitologica e senza confini, chiarivano subito da quale parte stavano i nostri amici e da quale parte stavano i nostri nemici. Con questo accenno all’unità ho voluto salutare come positivi gli episodi qui ricordati ed i risultati ottenuti con un lavoro te¬ nace fatto dai compagni, dagli amici di Milano, di Firenze, di Padova e di altre località. Altamente positive quelle firme otte¬ nute da tutti i partiti democratici sotto quei manifesti di pro¬ testa contro le teppistiche manifestazioni fasciste, purché quel¬ le firme significhino un impegno reale ed effettivo di lotta contro ogni forma di autoritarismo, di reazione, di rinascita del fasci¬ smo. Purché quelle firme non siano apposte a delle cambiali che non pagheranno mai. Noi non possiamo essere paghi e soddisfatti per avere strappato una firma che talvolta qualcuno ci concede
novare
vano
l’Italia;
questa
subito che la
nostra
5 29
ad alibi di operazioni di malgoverno di cui è cor¬ direttamente responsabile. responsabile Quelle firme sono certo importanti, sono un primo passo per la lotta comune contro i rigurgiti fascisti, contro le velleità rea¬ zionarie, ma acquistano un valore reale quando, ad esempio, il compagno Aniasi, sindaco di Milano, si unisce personalmente e come rappresentante della città alla protesta ed alla indignazione contro le vicende fasciste e la compiacenza di chi le tollera, e quando questa protesta egli la fa sentire, insieme a noi, alle su¬ preme autorità dello Stato e della Repubblica. a
copertura
e
o
La
stessa
cosa
intendo dirla per tutti i partiti che appongono
quei manifesti, dal partito democristiano al par¬ tito comunista. Ad esempio, noi tutti siamo rimasti stamane di¬ spiaciuti e sorpresi nell’aprire « l’Unità » e P« Avanti! » e nel la loro firma
a
constatare che l’uno di questi quotidiani dedica poche righe e l’altro neppure una parola a questo nostro convegno nazionale convocato tempestivamente in seguito a fatti e ad avvenimenti « che sembrano voler minacciare di travolgere la stessa vita de¬
mocratica nazionale, esposta all’attacco sempre più aperto delle forze fasciste ». La firma sotto un manifesto ha un valore se significa un im¬ pegno di iniziative e di azione, se significa un impegno di cia¬ scuno di noi in seno ai partiti ed alle organizzazioni di cui fac¬ ciamo parte, in seno al governo (se si tratta di un partito al go¬ verno), in seno ai comuni e alle province della cui amministra¬ zione facciamo parte, in seno alle organizzazioni sindacali e di massa. una manifestazione e ad una protesta antifascista deve esaurirsi in una firma; l’unità non può limi¬ può tarsi al vertice o nel giro di una tavola rotonda, dev’essere un’u¬ nità che si estende e si realizza alla base, dalle officine alle scuole, a tutti i luoghi di studio e di lavoro, un’unità che abbracci vera¬ mente il mondo del lavoro e della cultura. No, la Resistenza non è morta, né senza prospettive purché sappia essere attivamente operante dentro e fuori delle organizza¬ zioni di massa esistenti, comprese, anzi, in primo luogo, le
L’adesione ad
non
e
non
organizzazioni sindacali, le quali dai partiti,
ma
non
sono
e
non
sono
autonome
possono
essere
e
indipendenti
né autonome, né
politica che si conduce nel paese. Non possono indifferenti davanti ai rigurgiti del fascismo e davanti ai tentativi di infrenare lo sviluppo della democrazia con l’autori¬ tarismo, con l’impiego delle forze armate e con gli eccidi. E quando fatti gravi come quelli accaduti a Roma, a Verba-
indifferenti alla essere
5 30
nia,
Novara, ed
accadono, anche
in altre località
e
soprattutto i sindacati hanno qualche cosa da dire, telegramma di solidarietà, ma con un atto, con una immediata iniziativa che esprima la decisa volontà dei lavoratori di non lasciare più ri¬ sorgere lo squadrismo fascista, di non lasciarsi più privare della libertà e di farla finita con i nostalgici dei colpi di Stato e del a
non
con
un
fascismo. Quando affermiamo che è tempo di uscire da questa stretta, lo ripeto avere coscienza che assumiamo degli dobbiamo di unità e di azione nel Parlamento, ma so¬ di lavoro, impegni prattutto nelle fabbriche, nelle scuole e nel paese. Qualche compagno intervenuto nel dibattito ha richiesto lo scioglimento del MSI. Noi non abbiamo una eccessiva fiducia in a suo tempo è già stata altro progetto di legge ver¬ rebbe in discussione tra un anno o chissà quando. A parte che il fascismo ed i pericoli eversivi non sono con¬ tenuti soltanto in queste tre lettere: MSI. Noi dobbiamo chie¬ dere ed esigere l’applicazione delle leggi che puniscono l’esalta¬ zione, l’apologià del fascismo, le manifestazioni squadriste, dob¬ biamo chiedere l’applicazione delle leggi esistenti che vietano la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma. Non c’è alcun bisogno di leggi nuove, è sufficiente l’applica¬ zione delle leggi esistenti che colpiscono il fascismo nelle sue ma¬ nifestazioni, che colpiscono le aggressioni, le violenze a danno delle persone e delle associazioni, che colpiscono chiunque at¬ tenti alle libertà dei cittadini, alle istituzioni democratiche e co¬ stituzionali. Dobbiamo fare sentire a tutti, dalle più alte autorità dello Sta¬
iniziativa che presa.2 Nella migliore
una
to
ai
come
sapete
delle ipotesi
un
più grandi industriali, che le libertà democratiche ed i di¬ saranno difesi, che alle squadracce fasciste non
ritti del cittadino si ritornerà più
e che renderemo direttamente responsabili chi chi paga, organizza e chi finanzia queste squadracce. Ultima cosa alla quale intendo accennare sia pure brevemente sono
le forze
armate.
2 Una legge per lo scioglimento del MSI è stata presentata al Senato nel 1960 dal sen. Ferruccio Parri; ne è stato relatore di minoranza, insieme al socialista Sansone, il sen. Pietro Secchia. Il progetto di legge venne respinto in aula con 124 voti e approvato da 93. Votarono a favore del progetto di legge Parri, i comunisti e i socialisti; votarono contro democristiani, liberali e
fascisti. 531
Le forze armate Non
forze
a quanto sta accadendo nelle in cui operai e studenti si battono per potere nelle fabbriche e nelle scuole, è necessario una larga campagna per la democratizzazione del¬
possiamo
armate.
restare
Nel
avere
maggiore
che si
sviluppi
le forze armate, della Resistenza.
indifferenti
momento
questo è
e
un
compito particolarmente
Le forze armate che dovrebbero informarsi allo
cratico della
zione
nostro,
spirito demo¬
secondo quanto prescrive la Costitu¬
Repubblica
invece state ristrutturate in forme, quadri e corpi adatti a difendere l’autoritarismo, il padronato, i residui speciali di fascismo, gli arbitrii dei gruppi privilegiati che spadroneggiano nel nostro paese. La democratizzazione delle forze armate esige, oltre al resto, un nuovo regolamento di disciplina delle forze armate. Non pos¬ siamo qui esaminare i 108 articoli dell’attuale regolamento che, sono
nel loro creare
armate
complesso,
nuovi e
non
si propongono neppure lontanamente di
rapporti democratici
tra
soldati
e
ufficiali
e
tra
forze
paese.
armate e dell’autorità di PS è quella di essere a presidio ed a tutela della Repubblica democratica fondata sul lavoro, a tutela dei cittadini della Repubblica e delle libertà costituzionali. Questi principi debbono essere ri¬ baditi in ogni momento nelle scuole, nelle caserme, nella vita e, in primo luogo, nelle leggi e nei regolamenti che si elabo¬ rano ed è su questi principi che debbono basarsi i rapporti tra lo Stato ed i cittadini.
La funzione delle forze
Il nostro paese ha pagato troppo cara la mancanza di educa¬ zione civica dei cittadini e delle forze armate, ha pagato troppo cara l’ubbidienza non alle leggi statutarie, ma l’ubbidienza cieca agli arbitrii ed alla violenza della tirannide. Non si deve mai
posito dei diritti
avere timore di essere troppo chiari a pro¬ dei doveri, dei rapporti tra i cittadini' e le i cittadini e lo Stato.
e
forze armate, tra Ciò che da noi è
pretestuosamente ritenuto sino ad ora beninteso) è stato considerato ne¬ cessario persino nella Repubblica Federale Tedesca di Bonn. Il regolamento delle forze armate tedesche è stato, dopo la tragica esperienza hitleriana, profondamente modificato. Mi limito a citare un solo articolo, il 14, che dice: « Dovere del militare è quello di denunciare ogni azione illecita e, qualora vengono
superfluo (dal
532
nostro
stato
governo
discussione
in
messe
le
istituzioni
democratiche, di prendere
difesa. » Così pure nel regolamento delle forze armate francesi, sii afferma, « la preminenza dello spirito civico su quello militare si precisa che: « lì rispetto della legge fondata sull’obbedienza in loro
posizione
»
e
deve più esistere, ma deve esistere il rispetto del cit¬ il rispetto verso le istituzioni dello Stato. » In altri articoli dello stesso regolamento è detto esplicita¬ mente che il superiore non può ordinare al proprio dipendente atti che costituiscano crimini o delitti contro lo Stato, la Costi¬ tuzione, la pace pubblica o colpire la vita, l’integrità e la libertà delle persone: « Se il dipendente lo fa, esegue, se ne assume le responsabilità penali e disciplinari. » Allo stesso modo che i sindacati hanno preso e portato avanti l'iniziativa dello statuto democratico dei lavoratori nelle fab¬ briche, propongo che l’ANPI prenda l’iniziativa di elaborare, presentare urgentemente nel Parlamento e popolarizzarlo subito nel paese uno statuto o regolamento democratico delle forze armate. Uno statuto delle forze armate in cui all’art. 1 sia detto in modo chiaro e preciso: « Le forze armate, tutte le forze cieca
non
tadino
e
il preciso dovere, Vobbligo di difendere la Re¬ le istituzioni democratiche e la sovranità del popolo, pubblica,
armate,
hanno
hanno il preciso dovere di tutelare le libertà ed i diritti dei cittadini. » L’ANPI ha le carte in regola per parlare alle forze armate, perché se queste forze armate hanno potuto ripresentarsi sulla scena politica del paese ed alla ribalta internazionale, lo devono soprattutto alla Resistenza che ha riscattato l’onore dell’esercito, e delle nostre forze armate, che era stato trascinato nel fango dal fascismo, da una monarchia imbelle e da generali molluschi' e traditori. Non tutti traditori, non tutti molluschi: sappiamo bene che alcuni di quei generali e di quegli ufficiali hanno saputo fa¬ re il loro dovere, si sono battuti e sono caduti eroicamente
Cefalonia,
Corfú,
in altre terre battendosi contro i tedeschi, noi nella Resistenza, hanno dato prova di capa¬ cità e di coraggio, numerosi sono eroicamente caduti combat¬ tendo contro i tedeschi ed i fascisti. Ecco perché la Resistenza ha le carte in regola per parlare a
sono
stati
a
con
loro ed ha il dovere di parlare agli ufficiali ed ai soldati. Dobbiamo ricordare loro come già abbiamo fatto l’8 set¬ tembre 1943 ed anche dopo qual è il dovere loro ed il loro imperativo categorico. La Resistenza non ha ricostituito le 533
siano succubi di volontà reazionarie o di gruppi eversivi interni o stranieri. Le forze armate non sono state ricostituite neiritalia democratica perché qualcuno tenti di farne uno strumento per governare col mitra, col manga¬
forze
perché
armate
o con le fucilazioni sommarie. Lo sappiamo che, quanto più forte è la spinta al rinnova¬ mento delle vecchie strutture e ad uno sviluppo di una reale
nello
democrazia, tanto più i gruppi reazionari tendono ad accrescere il ruolo delle forze armate, ad affidare ad esse altre funzioni come, ad esempio, quelle che essi chiamano « difesa dell’ordine costituito », ma non costituzionale. I partiti conservatori e reazionari quando si sentono impo¬ tenti dinanzi
a
situazioni che
esigono provvedimenti urgenti
e
riforme di fondo, abdicano alla loro funzione a favore delle forze armate o, più precisamente, a favore di alcuni gruppi che si trovano ad occupare posti delicati alla testa delle forze armate. Posti che non dovrebbero occupare per il loro passato fascista o per i loro collegamenti con movimenti neofascisti. Cosicché le forze armate sono chiamate ad assolvere a compiti che non sono più quelli della difesa nazionale e della difesa delle istituzioni democratiche. Noi non possiamo limitarci a denunciare le violenze, i soprusi, gli arbitrii, gli illegalismi. Occorre che noi parliamo alle forze armate, agli ufficiali ed ai soldati, sappiamo che molti di loro sono dei sinceri democratici, dobbiamo parlare loro francamente con tutto il senso di responsabilità di uomini della Resistenza. Dobbiamo spezzare una barriera che esiste e che i gruppi reazionari cercano di elevare tra noi e le forze armate, tra le forze armate, la polizia ed il popolo. Lo statuto dei lavoratori nelle fabbriche, lo statuto degli stu¬ denti nelle scuole, lo statuto democratico delle forze armate: ecco tre obiettivi di fondo, e per quest’ultimo è soprattutto la
Resistenza,
è
operare. Soltanto
se
soprattutto
l’ANPI che
si
deve
noi, alla forza ed alla lotta delle
impegnare ad masse
operaie
lavoratrici delle officine, della gioventù nelle scuole e nelle fabbriche, delle organizzazioni sindacali, sapremo unire le forze armate della Repubblica, associate, affiatate col mondo del lavoro e della cultura, coscienti che il loro primo dovere è la difesa della libertà e della democrazia, solo così noi renderemo impossibili i colpi di Stato, certo non facili da attuare, ma sempre organiz¬ zagli, sempre sognabili da chi, impotente a fronteggiare con le riforme il movimento che giustamente esige il rinnovamento e
534
della società, pensa di ricorrere a colpi autoritari. Colpi che in Italia sono in ogni caso destinati a fallire, ma che noi non
vogliamo
neppure
siano
tentati.
vigilate »; possiamo appagarci ripetendo la parola: non possiamo ad ogni estate essere minacciati da certi signori che sembrano soffrire il sole di luglio o di agosto. Certi signori Noi
«
non
devono sapere sin da questo momento che dovranno rispondere davanti al paese di ciò che stanno tramando. Le forze armate, dal più alto ufficiale alPultimo soldato, devono sapere che il loro dovere è la difesa della pace, della libertà e della Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma noi dobbiamo aiutare tutti i componenti delle forze armate a prendere coscienza di una realtà che non sta soltanto davanti a noi, sta davanti a loro, e sono gli interessi reali e l’avvenire di pace e di progresso del nostro paese e delle gio¬ vani generazioni. Per questo l’appello che è stato qui proposto e che dobbiamo lanciare al paese deve rivolgersi ai lavoratori, alla gioventù ed
anche alle forze
armate.
5 35
1970
LA STORIA DEI RE
'
alcuni dei problemi della storia del par¬ tito, dibattuti attorno alla tavola rotonda del gennaio scorso, ho avuto più di un’occasione per esprimerla e soprattutto per cercare di applicarla. Non mi hanno mai affascinato le storie dei re e neppure quelle scritte per i re. Il mio pensiero va in questo momento La mia
opinione
su
alle nostre letture, ai nostri appunti critici ed alle vivaci discus¬ sioni del carcere e del confino. Senza sottovalutare, anzi, la fun¬
zione delle grandi personalità, ritengo che le forze motrici della storia siano le masse popolari. Questo è stato il punto di par¬ tenza di ogni mio modesto e artigianale lavoro di militante che, senza alcuna pretesa, ha cercato di portare talvolta il con¬ tributo della sua testimonianza e di qualche ricerca.
un punto di par¬ e qui ha ragione Amendola Perché tenza c’è sempre, quello che si vuole trovare è già presente
problema nella coscienza del ricercatore. In altre parole, ha scritto Marc Bloch, « ogni ricerca storica presuppone sin dai primi passi una direzione di marcia. In principio c’è lo spi¬ come
rito. Mai
nessuna scienza, l’osservazione passiva sempre sia ha prodotto alcunché di fecondo ». nell’ipotesi possibile
in
A cominciare da I comunisti e Vinsurrezione (1953) dove ho sottolineato sin dalle prime pagine la funzione dirigente della classe operaia e della sua avanguardia nella Resistenza, a lì Monte Rosa è sceso a Milano (1958) che mi ha dato il modo di ricordare, accanto ai nomi dei più noti protagonisti, le azioni leggendarie ed anche le iniziative politiche e militari, originali di centinaia e centinaia di combattenti. Specialmente la guerra partigiana è quanto mai ricca di iniziative delle singole unità, « e dei numerosi combattenti: capitani » o semplici partigiani. 11
«
L’Unità », 14 febbraio 1970. 537
Dei
dirigenti
scrivevo nel
la maggior parte delle
parlato:
guerra di Liberazione nazionale
preambolo pubblicazioni sono saggi a
molto già si è uscite sinora sulla carattere
personale
di comandanti e dirigenti del movimento partigiano. Senza sot¬ tovalutare il loro valore, per alcuni notevole, ciò che in essi spesso manca o non è sufficientemente documentato, è l’azione della classe operaia, dei contadini, delle masse, dei giovani, degli uomini semplici. La stessa impostazione abbiamo dato Frassati ed io ai nostri volumi La Resistenza e gli Alleati (1962) e La storia della Resi¬ stenza italiana (1965). Sino al recente primo volume deìYEnci-
Resistenza (1968) nella cui ho voluto spiegare il principale motivo che mi a tale ambizioso e duro lavoro. « La nostra vuole
clopedia dell'antifascismo introduzione aveva
spinto
essere
una
in
riranno
della
e
storia delle idee
degli
e
uomini. Ecco
perché
primo piano, accanto ai leaders, ai grandi dell’azione, le decine di migliaia di uomini
pensiero
e
ed ossa,
con
compa¬ eroi del
in
carne
il loro nome e cognome, con la loro individualità grande o modesta che sia, con il loro personale contributo che, per molti di essi, si è compendiato nel supremo sacrificio della vita. Siamo persuasi che le idee diventano una forza e le perso¬ nalità assolvono ad una funzione decisiva soltanto* quando sono comprese,
appoggiate
e
seguite dalle
masse. »
Lo stesso indirizzo mi sono proposto (quanto a riuscirci è un’altra cosa) nel lavoro che ho testé terminato su L'azione svolta dal PCI in Italia ( 1926-1931 ) contro il fascismo, che sta per
dall’Istituto G.G. Feltrinelli. Con questa te¬ tra l’altro di dimostrare che, contraria¬ mente all’opinione autorevole ed anche appassionata di storici di valore, le lotte e le vicende interne dell’Internazionale Co¬ munista hanno scarsamente inciso, in quegli anni, sulla situa¬ zione italiana e sull’attività del PCI. C’era si molto attaccamento e grande fiducia dei militanti comunisti nell’Unione Sovietica e nell’Internazionale Comunista ma, nella loro grande maggioranza, ignoravano il fondo dei problemi che si dibattevano ed erano oggetto di aspre lotte in seno ai partiti comunisti di altri paesi, da quello bolscevico
essere
pubblicato
stimonianza, ho
cercato
dell’URSS, a quello tedesco, polacco, cinese, ecc. Quei pro¬ blemi, scarsamente conosciuti in Italia, non erano assillanti per i militanti comunisti. Negli stessi organismi dirigenti del PCI sulle questioni che travagliavano altri partiti comunisti, cominciare da quello dell’Unione So¬ vietica, non furono frequenti (il caso Tasca fu più unico che
i dibattiti
sulle
divergenze a
538
e
raro), presi com’eravamo dai nostri problemi della lotta
contro
il fascismo in Italia. Al momento delle leggi eccezionali del novembre 1926, il PCI volle continuare a sviluppare la sua azione in Italia e chiamò tutti i suoi militanti ad impegnarsi nella lotta, ad affrontare i rischi del tribunale speciale, ecc. Questa sua deci¬ sione la prese autonomamente senza la pressione o l’intervento esterno di alcun partito fratello, né dell’Internazionale Comuni¬ sta, anche se ci furono senza dubbio di orientamento e di guida i principi del leninismo, la carta fondamentale dell’Internazio¬ nale Comunista e tutta la pratica dei partiti comunisti che prima di noi avevano impegnato dure ed eroiche lotte contro regimi di feroce reazione, si chiamassero o no fascisti. i I lavoratori, gli operai italiani e le loro avanguardie scendevano in lotta
comunisti
o
ne
dai loro bisogni, dalle condizioni di vita
erano
e
trattenuti, mossi
di lavoro create dal della loro coscienza
stimolati dal grado di sviluppo dalle iniziative che il nostro partito ed essi stessi prendevano, dalle parole d’ordine che venivano lanciate per rag¬ giungere determinati obiettivi. La storia del PCI come la storia di ogni movimento rivolu¬ zionario non è solo la storia del gruppo dirigente e delle grandi personalità, ma è la storia di decine di migliaia di com¬ battenti, di uomini vivi in carne ed ossa, che hanno lottato contro il fascismo, sacrificando la vita o pienamente dedicandola a quella lotta; è la storia di sacrifici, di dolori, di sangue di tanti uomini che non erano dei pezzi di ricambio, delle rotel¬ line di una macchina, ma si sentivano parte viva del partito e della classe operaia, si sentivano protagonisti, « cervelli pen¬ santi *>, combattenti, ognuno con la propria personalità per mo¬ desta che essa fosse. La stessa « svolta », di cui tanto si è parlato e scritto, non fu affatto imposta dall’Internazionale Comunista, da Stalin o dal PCUS. Certo le analisi, le prospettive, le decisioni del VI Congresso e in particolare del X plenum dell’Internazionale Co¬ munista influirono nell’orientare politicamente il PCI, pesarono per tutto quanto esse avevano di positivo e per gli aspetti negativi. Ma la « svolta » in Italia fu decisa dal PCI. In base all’analisi della situazione internazionale ed a determinate pro¬ spettive, l’Internazionale Comunista aveva deciso che i partiti comunisti dovessero realizzare una svolta nella loro attività e nelle forme di lotta. Si trattava di indicazioni e di direttive generali sui compiti principali che venivano riassunti in una
fascismo; di classe
e
5 39
parola:
«
Conquista della maggioranza
».
dovevano tradursi per l’Italia quelle formule e indicazioni quelle generali? Quali erano per noi comunisti italiani i compiti da affrontare? Questi furono indicati e fissati dal PCI e non da altri. Tra i compiti nuovi e fondamentali per realizzare la svolta, il PCI si propose di ricostituire il centro interno e di spostare l’asse di tutta la sua attività in Italia ed all’interno delle stesse organizzazioni fasciste. Tutti problemi Ma in che
cosa
questi che non si ponevano, ad esempio, il Partito Comunista Francese o il Partito Comunista Tedesco, per i quali realizzare la « svolta » significava affrontare altri problemi, assolvere ad altri compiti. L’Internazionale Comunista approvò, ma non c’è un solo documento dell’Internazionale Comunista, prima che gli orga¬ nismi dirigenti del PCI lo avessero deciso, il quale affermi e stabilisca che realizzare la « svolta » dovesse significare per il PCI spostare in Italia la sua attività principale, impegnarvi le sue forze, proporsi di organizzare i di difesa, lo sciopero politico, ecc.
comitati di
lotta, le squadre
Nella stessa analisi della situazione politica italiana, i dirigenti dellTnternazionale Comunista furono sotto alcuni, importanti aspetti più cauti e prudenti di quanto non lo fossimo noi stessi, di quanto non lo fossero gli organismi dirigenti del PCI. In un suo discorso del luglio 1930, Manuilski, criticando alcune parti di un rapporto che il compagno Togliatti aveva fatto a nome della delegazione italiana, disse: « Ercoli ha caratterizzato la situazione attuale del fascismo come un inizio di crisi politica.
ritengo che questa formula sia un po’ generica. Occorre in primo luogo precisare che cosa s’intende per inizio di crisi po¬ 10
litica del fascismo. Esaminando certi articoli della stampa [si riferisce alla stampa clandestina del PCI] ci si può convincere che si esagera molto sugli elementi di disgregazione e di crisi del fascismo. Sarebbe più giusto dire che noi abbiamo in Italia i primi sintomi di una crisi politica agli inizi, sintomi che per 11 momento sono ancora deboli. » Ma naturalmente chi voleva sostenere un’altra tesi questi ed altri documenti non li ha considerati. Ulteriore prova che la « verità » è sempre una cosa assai concreta, ma la « verità » un non è mai (sui problemi di fondo) la stessa comunista per che per un socialdemocratico. E qui mi verrebbe da accennare ad altri temi da voi posti nella tavola rotonda, ma lo spazio mi costringe a rinviare ad altra occasione. 540
1971
LA REALTÀ DEL 1943-M5
Le
nostre
'
scelte nel 1943-’45 (com’è abitudine dei marxisti altro momento) le abbiamo fatte in base all’esame
per qualsiasi di una situazione reale ed obiettiva
complicate costruzioni vanno escogitando.
e
intellettualistiche
non
che
in
25
conseguenza di anni dopo si
A chi ci ha posto certe domande, a chi ci ha chiesto spie¬ gazioni sulle nostre scelte di allora, abbiamo sempre risposto (da Togliatti a Longo, a tanti altri di noi chiamati spesso a rendere delle testimonianze) con le sole motivazioni pertinenti e valide. La verità è semplice e non ha mai bisogno di troppe spiegazioni ed argomentazioni, tanto meno di quelle che arri¬ vano
con
tanti anni di ritardo.
oggi per amor del « nuovo » o per ragioni di politica attuale andare ad inventare o a « sottolineare particolarmente » altre argomentazioni non ci sembra né giusto, né utile ai fini di chiarire i motivi della nostra politica di allora e di persua¬ dere i giovani di oggi. Con i « nuovi » argomenti che il compagno Sereni ha voluto scoprire e sottolineare nel n. 5 di « Rinascita » (29 gennaio 1971) credo che egli non riuscirà a persuadere nessun giovane (se veramente di questo si tratta), semmai renderà ancora meno A voler
chiara
e confusa la questione. Va da sé che io concordo con il compagno Sereni su tutta una parte del suo articolo e non riprenderò gli argomenti da lui trattati in merito alla questione « nazionale », alle lotte di Libe¬ razione ed alle insurrezioni nazionali che io condivido. Ma è lo stesso punto di partenza che mi sembra sbagliato.
11
«Rinascita», 9 febbraio 1971. 541
Che oggi vi siano dei giovani i quali chiedono a noi comunisti perché, allora, non abbiamo fatto la rivoluzione proletaria, è assai
Ma
probabile. Quali e quante domande non si fanno oggi? era quella la domanda alla quale 25 anni or sono fum¬ chiamati a rispondere, non era quella la scelta che stava
non
mo
davanti
a noi. Noi ci trovammo nel 1943-’45 a dover scegliere non tra in¬ surrezione nazionale e rivoluzione proletaria, ma tra il ritorno ad una democrazia borghese di tipo prefascista ed una demo¬
crazia di tipo nuovo, progressiva, basata
su
nuove
strutture,
su
aprisse la strada dell’Italia ad ulteriori sviluppi sociali ed al socialismo. L’insurrezione nazionale non si poneva l’obiettivo del socia¬ lismo, non fu lotta per la rivoluzione socialista, ma lotta per la conquista delle libertà democratiche per gli operai, per i contadini, per i lavoratori, per le classi oppresse, fu lotta per la partecipazione diretta delle masse lavoratrici al nuovo potere rinnovamento dello Stato che
un
di che non si sarebbero realizzate profonde riforme sociali. La democrazia progressiva non serve solo ad assicurare alla classe operaia ed alle_.masse popolari il posto preminente nella nuova società epurata dal fascismo e dai trusts [oggi diciamo senza «
monopoli], la democrazia progressiva
è
condizione
essenziale
sociale. »2 Non che siano mancate le occasioni in cui sia stato neces¬ sario spiegare a dei compagni di base, in alcune riunioni ed in qualche articolo, perché non si poneva il problema dell’insur¬ rezione proletaria. Polemizzammo, anzi, anche vivacemente verso gruppi di « dissidenti » che conducevano una pubblica cam¬ del progresso econòmico
pagna diffamatoria
e
contro41.PCI, contro.la.sua politica
la guerra partigiana da essi considerata vamo alla borghesia.
un
e
contro
servizio che rende¬
ed alla periferia di scegliere tra pensò insurrezione nazionale e rivoluzione proletaria. La politica del¬ l’unità, del fronte popolare, delle alleanze antifasciste che ave¬ vano portato poi al sorgere dei fronti nazionali e dei CLN non era nata nel settembre 1943, ma sin dal VII Congresso dell’In¬ ternazionale Comunista. Non era piovuta improvvisamente dal cielo, ma sin dal 1933, dopo l’andata al potere dçl^azigmo in Germania, era iniziato subito un riesame della politica'*pàá$ta, imposto dalla grave situazione che si era venuta a creare e Ma
nessun
dirigente comunista quella situazione
mai che in
al si
centro
trattasse
.
2
542
Perché
vogliamo
la democrazia progressiva, in
«
l’Unità », 1° agosto 1944.
dai pericoli che minacciavano di dieci anni quella politica
l’Europa era
stata
dai comunisti, anche da quelli che
e
il mondo. Nel
corso
acquisita ed assimilata
avevano
trascorso
anni ed
e nelle isole di confino. Le discussioni che ci furono tra noi ed i rappresentanti degli altri partiti aderenti ai CLN non furono mai se la scelta dovesse insurrezione nazionale o rivoluzione proletaria. Nessuno essere: di noi pensò mai di andare a proporre agli altri partiti altra politica, altri obiettivi che non fossero quelli di realizzare un regime di democrazia progressiva e non solo perché il fare ciò avrebbe spezzato l’unità di tutte le forze democratiche, ma anche per il fatto che non esistevano né le condizioni, né le possibilità per porre altri e più avanzati obiettivi. « Noi oggi lottiamo per la Liberazione nazionale e per un re¬ di ^democrazia gime progressiva. Ma anche sul piano ideologico la che vuole fare credere che la dittatura proletaria, iscrit¬ campagna ta nel programma comunista, ha qualcosa di comune con la ese¬ crata dittatura fascista, è menzognera e vergognosa, perché più
anni nelle carceri
a nessuno oggi è permesso di ignorare che la dittatura proletaria è sinonimo della più larga democrazia per le grandi masse. Ma, ripetiamo noi oggi lottiamo non per la dittatura proletaria, ma per la democrazia progressiva che si differenzia da quella non tanto per la sua sostanza democratica, ma soprattutto per il con¬
sociale. »3 Le discussioni che ci furono allora dentro e fuori dai CLN tra noi e gli altri partiti antifascisti erano se si doveva agire subito o no, se dovevamo batterci prima dell’arrivo degli anglo-americani tenuto
o
no,
se
gli scioperi dovessero
zione nazionale
o
se
no,
essere armi della lotta di Libera¬ i CLN dovevano essere soltanto degli
organismi di vertice dei rappresentanti dei vari partiti', oppure organismi rappresentativi delle larghe masse popolari, se l’obiet¬ tivo per il quale ci battevamo doveva essere semplicemente la cacciata dei tedeschi, la sconfitta dei fascisti e la restaurazione del¬ la vecchia democrazia prefascista oppure l’instaurazione di un regime di democrazia
E per democrazia di
lo ricordo io per i «
1)
certo
nuova
tipo
e
progressiva.
nuovo, per democrazia
al compagno Sereni che ben lo sa,
progressiva ( non ma
scrivo anche
giovani) intendevamo: una
Repubblica
democratica
con una
Costituzione la
quale
3 L. Longo, brano tratto dal rapporto politico presentato alla Conferenza dei triumvirati insurrezionali, in « La Nostra Lotta », nn. 19, 20, novem¬ bre 1944.
5 43
a tutti gli italiani tutte le libertà', le libertà di pensiero di quelle parola; la libertà di stampa, di associazione e di riu¬ di religione e di culto; e la libertà della piccola la libertà nione;
garantisse e
media proprietà di svilupparsi gruppi della plutocrazia, cioè del e
senza
schiacciata dai
essere
grande capitalismo monopoli¬
stico. « 2) lì regime democratico e progressivo che proponiamo e alla costruzione del quale vogliamo collaborare e collaboreremo in tutte le forme, dovrà essere unjegime forte, il quale si difenda con tutte le armi contro ogni tentativo di rinascita del fascismo
e
della reazione,
le libertà
contro
ogni
tentativo di
sopprimere
o
calpestare
popolari.
democrazia dovrà mettere fuori legge ogni e qualsiasi residuo di fascismo, e dovrà inoltre prendere delle mi¬ sure per estirpare le radici da cui sorse il fascismo nel passato e da cui potrebbe rinascere nel futuro. «
Questa
nuova
3) Per questo noi proporremo che venga decisa, dopo la guerra, dalla Assemblea Costituente italiana una profonda rifor¬ «
ma
agraria la quale
favore del piccolo
e
crei nelle campagne
una
del medio contadino,
nuova
situazione
a
distrugga ogni residuo
feudale, 22.
5) giornata lavorativa di 8 ore; 6) comitati rivoluzionari contadini. Sei mesi dopo, al momento deirinsurrezione di Sebastopoli, Lenin ritornava sui
problemi
delle forze
armate
ponendo
in luce
ed esaltando le rivendicazioni avanzate dai soldati in diverse unità dell’esercito a Pietroburgo. « Che magnifico documento è que¬ st’elenco di rivendicazioni », esclamava Lenin. « I soldati di Pie¬
troburgo vogliono
ottenere
il
miglioramento
stiario, degli alloggi, l'aumento della
del rancio, del
ve¬
paga, la riduzione della ferma
di esercitazione. Ma le rivendicazioni che occupano posto maggiore sono altre, sono rivendicazioni che essere potevano presentate solo dal soldato cittadino. Il diritto di frequentare in uniforme tutte le riunioni, "alla pari di tutti i cittadini", il diritto di leggere e di tenere in caserma tutti i gior¬ e
delle
ore
quotidiane
un
nali, la libertà di coscienza, la parità di diritti per tutte le nazio¬ nalità, la completa abolizione di ogni saluto ai superiori fuori del¬ la caserma, l’abolizione degli attendenti, l’abolizione dei tribunali militari e la subordinazione di tutti gli affari giudiziari militari al tribunale ordinario [i tribunali militari esistono ancora oggi in Italia e neppure all’Assemblea Costituente ne fu chiesta l’aboli¬ zione], il diritto di presentare reclami collettivi, il diritto di di¬ fendersi al minimo cenno di un superiore di passare alle percosse. Sono queste le principali rivendicazioni dei soldati di Pietro¬ burgo. »3 In Francia, sin dai primi anni del 1890, Jaurés non si limi¬ tava a tuonare in Parlamento contro il militarismo, a denunciare i suoi misfatti, a difendere con tutte le sue energie Dreyfus (1898), a utilizzare gli scandali come quello del Panama (1893’94) per attaccare con violente requisitorie la corruzione capita¬ lista, l’ingiustizia delle leggi, i delitti dei tribunali militari, ad attaccare con veemenza le lois scélerates che colpivano la libertà di pensiero; ma presentava progetti di legge ed emendamenti che
tendevano alla completa riforma dell’ordinamento dell’esercito
e
delle forze armate. Dedicò ai problemi militari, della difesa na¬ zionale e dell’esercito un intero volume: L’Armée nouvelle. A Jules Guesde, che gli rimproverava di intervenire in nome della legalità borghese in favore di un ufficiale, Jaurés rispondeva
che quella
« legalità » era costituita da due parti: Luna, data da insieme di leggi destinate a proteggere le fondamentali ini¬ quità della società capitalista, e l’altra, costituita dalle leggi che riassumevano le modeste garanzie conquistate a poco a poco dal
un
3
V. I. Lenin,
Opere, Editori Riuniti, Roma, voi. X,
p. 45. 557
movimento democratico
dalle
masse popolari. « Noi difendiamo giudici gallonati che le spezzano, allo stesso modo in cui noi difenderemmo la legalità repubblicana con¬ tro dei generali che organizzassero dei colpi di Stato. »4 Ed a
le
garanzie legali
e
contro i
coloro che si stupivano della sua tesi sulla necessità di fare inter¬ venire i sindacati e le organizzazioni proletarie nella formazione dei quadri dell’esercito, Jaurés rispondeva che un esercito è forte soltanto quando esprime la vivente realtà sociale. « È con l’orga¬ nizzazione che la forza operaia si afferma e prepara il destino nuo¬ non vi sarà esercito veramente nazionale e popolare se non quello che accoglierà le nuove forze. L’esercito non sarà forte se vo;
esso
sul
non
appoggerà
tutto
il
proletariato organizzato
suo
e
essere
neppure il
la
gerarchia anche proletariato sarà potente
e
sua
saprà assumere nell'esercito nuovo la funzione creatrice e al tempo stesso rivoluzionaria ed organica che spetta ad una classe in ascesa. »5 Jaurés chiedeva che gli ufficiali fossero educati nelle università e non nelle scuole e nelle accademie militari. La stessa commis¬ sione parlamentare per le scuole era allora pervenuta alla conclu¬ sione che nelle scuole vi era « una disciplina soffocante, una di¬ sciplina da gerarchia che non contribuisce a creare degli spiriti li¬ beri per un esercito veramente popolare di una democrazia in movimento. Nelle scuole militari il professore è innanzi tutto un capo, un superiore. Esso non insegna, comanda e il suo insegna¬ mento stesso è un comando, un ordine ». Per comprendere a fondo le stesse questioni dell’arte militare, se
non
insisteva Jaurés che gli ufficiali le studino di spirito, liberi da pregiudizi di casta e di routine professionale e che soprattuto « siano abituati, da una
è indispensabile in piena libertà
dalla familiarità intellettuale con i tener conto di tutti gli elementi della natura umana e di tutte le forze della storia. [...] È neces¬ sario che sin dall’inizio dell’educazione degli ufficiali, cadano le barriere delle scuole militari che li separano dalla nazione. [...] L’esercito si considera come un’istituzione a parte, con il suo co¬ dice speciale, ed il suo onore speciale. I governi borghesi cercano nel patriottismo delle parole e nell’esaltazione del militarismo un diversivo alla spinta operaia e alla questione sociale. [...] Se l’isti¬ tuzione militare non viene rinnovata per mezzo di una specie di
cultura
veramente
generale
giovani di ogni professione,
rivoluzione sociale
e
e
a
morale, l’esercito francese borghese,
4 F. 5
558
Challay, Jaurés, Mellot, Parigi, p. 255. J. Jaurés, Pages choisies, F. Rieder, Parigi,
1922.
senza
la disciplina automatica delle monarchie, senza lo slancio delle democrazie popolari, non sarà che un’enorme amministrazione sen¬ za
scopo
senz’anima ».6
definito,
nostro tema, di esaminare qui criticamente, dal punto di vista del marxismo e del leninismo, le posizioni di Jaurés che erano espressione di una concezione so¬ cialdemocratica avanzata e pacifista. Le sue idee sull’importanza della nazione, sul valore della patria, sulla necessità di organiz¬ zare una efficace difesa nazionale ci dicono a sufficienza sugli obiet¬ tivi che Jaurés si prefiggeva. Ed anche se non mancò mai di sottolineare l’importanza dell’internazionalismo e la necessità della lotta per la pace, egli faceva dell’organizzazione della difesa na¬ zionale e dell'organizzazione della pace internazionale due anelli della stessa catena; il sistema da lui proposto in regime capitalista gli sembrava accrescere al massimo le condizioni della sicurezza nazionale e ridurre al minimo i rischi del « militarismo bellicoso ». La nazione armata significava per lui, necessariamente, la nazione
Non è il caso,
poiché esula dal
potesse esserci in una società dominata dal grande capitale e dai gruppi imperialistici una nazione giusta ». Malgrado questi ed altri limiti accennati, si deve riconoscere che Jaurés fu uno dei pochi socialdemocratici a occuparsi seria¬
giusta. Quasi
«
mente
delle questioni militari, ed
dicazioni cito
che,
a battersi non per delle riven¬ per delle riforme fondamentali dell’eser¬ attuate, avrebbero costituito uno strumento democra¬
spicciole se
ma
tico ed efficiente per e socialista.
2. Le forze
armate
avanzare
dopo
verso
una
democrazia progressiva
la Liberazione
Non si può dire che nel corso della Resistenza i problemi delle forze armate e della loro riorganizzazione fossero lontani dalla mente dei partigiani e degli uomini dei CLN, anche se discussioni specifiche in merito, se ben ricordo, non furono fatte; in quel momento i problemi immediati erano altri. Ma in numerosi do¬ cumenti, sia del PCI che del CLN, specialmente dopo la costitu¬ zione a Roma, in seguito alla liberazione della capitale, del go¬ verno democratico, si accennava al problema: « Sarà attraverso la lotta di Liberazione nazionale che i Comitati di Liberazione Na¬ zionale creeranno i quadri, le forze, le organizzazioni capaci non solo di rovesciare il fascismo e cacciare i tedeschi, ma anche di 6
Ibid., p. 136. 559
rimpiazzare poi il corrotto apparato statale fascista ed aiutare le progressive ed il governo di unione nazionale a mantenere l’amministrazione e l’ordine anche nel periodo più diffìcile di forze
ricostruzione e creazione delle istituzioni democratiche del nuo¬ vo Stato italiano. »7 Non c’è alcun dubbio che nella lotta combattuta tra le forze di sinistra e quelle moderate conservatrici durante la lotta di Li¬ berazione e specie alla vigilia della insurrezione, il problema fon¬ damentale era quello di come sarebbe stato organizzato lo Stato italiano, il nuovo Stato democratico sorto dalla Resistenza. Le forze democratiche di sinistra prepararono alla vigilia del¬ l’insurrezione (vedi le lettere scambiate tra i partiti aderenti al
CLNAI nel dicembre 1944-gennaio 1945) degli schemi di
go¬
delle linee indicatrici delle basi su cui avrebbe dovuto essere strutturato il nuovo Stato italiano. Nella lettera aperta del Partito d’Azione a tutti i partiti ade¬ renti al CLN, con la quale il partito comunista concordava piena¬ mente sui punti fondamentali poiché « prospettati su di una linea rispondente a quella che il nostro partito ha da tempo propugnato verno
e
e
propugna nella
al
sua
azione
politica generale
»,
può leggere
si
Nel ricostruire le forze armate italiane accanto alle Nazioni Unite, bisogna vegliare affinché non si ricostituisca un corpo di ufficiali che sia semenzaio di future guardie della rea¬ zione e di candidati a dittature militari. Le forze armate italiane devono essere il migliore contributo che la democrazia italiana dà alla comune lotta delle Nazioni Unite e devono perciò essere esse cap. IV:
stesse
«
animate da
spirito democratico. Il
deve
ministro della Guerra capace di fare delle formazioni par-
perciò essere un uomo tigiane il nucleo centrale delle forze
armate
italiane
e
di costituire
corpo di ufficiali democratici. »8 Di questo parere non furono i liberali e neppure i democratici¬ cristiani; questi ultimi, pur dichiarandosi d’accordo su molti pun¬
un
ti del programma rinnovatore, ammonivano che si sarebbe dovuto procedere con prudenza ed avanzavano esplicite riserve sulla pro¬ spettiva di considerare i CLN come organismi-base delle strut¬ ture del nuovo Stato italiano. Fatto sta che le forze moderate e conservatrici, alla vigilia del¬
l’insurrezione alla quale si opposero sino all’ultimo, contrappo¬ sero
altri schemi di governo
con
i
quali, col pretesto di
7 lì governo dì unione nazionale è il governo di tutti gli Nostra Lotta », n. 9, maggio-giugno 1944, p. 8. 8 « Critica marxista », n. 2, marzo-aprile 1965, p. 57.
560
«
italiani,
inqua¬ in
«
La
ordinare » il nuovo potere conquistato, di fatto lascia¬ vano inalterato il vecchio ordinamento dello Stato, inalterate le vecchie strutture dei cosiddetti corpi separati: magistratura, forze armate, polizia, con tutto il codazzo dei generali, prefetti, que¬
drare
»
e
«
stori, ereditati dal vecchio Stato italiano. Mentre da una parte si operava per rinnovare alle radici
quegli
strumenti e quegli organismi che avevano contribuito a portare l’Italia alla rovina e al disastro nazionale, già sin d’allora certi alti ufficiali che uscivano dai ranghi di un esercito disfatto, disgregato,
nelle sue alte gerarchie e che ad altro non pensavano se salvare alcuni galloni su di una vecchia giacca », intriga¬ vano perché le cose ritornassero come prima. « Le manovre reazionarie e disgregatrici tentano di penetrare anche nel Corpo dei Volontari della Libertà cercando di seminare zizzania tra le forze patriottiche, di staccare le forze partigiane dal¬ la direzione dei CLN per portarle su un terreno di azione antide¬ mocratica e antipopolare, volta a conservare, sotto nuove forme corrotto non
a
«
nuovi nomi, l’esecrato regime fascista. Animatori di queste ma¬ novre si dice siano alcuni alti ufficiali rimasti sempre prudente¬ mente in disparte dal movimento di Liberazione nazionale che, e
durante
quest’anno di
ben guardati dal fare che ora pretenderebbero in nome delle loro greche di mettere le mani sul Corpo stesso dei Volontari della Libertà, di sottrarlo alla direzione dei CLN, di volgerlo contro la ragione stessa della sua esistenza. Pre¬ tendono costoro di trovare degli appoggi negli stessi comandi
qualcosa
tutto
contro
guerra, si i tedeschi ed i fascisti
sono e
alleati... »9 Durante tutta la guerra di Liberazione l’azione dei e militari monarchici e conservatori si collegò
litici
gruppi con
po¬
quella
degli Alleati,
che intervennero pesantemente su tutte le que¬ stioni concernenti la condotta della guerra e il movimento parti¬ giano (che cercarono di limitare al massimo), per impedire che i governi di unità nazionale antifascista riorganizzassero le forze armate con strutture e forze nuove, con indirizzi moderni e de¬ mocratici. Raffaele Cadorna, già comandante del Corpo dei Volontari del¬ la Libertà, appena nominato capo di stato maggiore dell'esercito, inviava a L. Longo, il 5 maggio 1945, un telegramma nel quale tra l’altro era detto: « Mi è stato affidato un nuovo compito per la ricostruzione dell’esercito nazionale.
Questo compito
non
è pos¬
9 Dal discorso di L. Longo pronunciato alla Conferenza dei triumvirati insurrezionali a Milano, in «La Nostra Lotta», nn. 10-20, p. lì.
561
sibile assolvere senza lo stretto appoggio dei partiti del CLNAI per il rischio di cadere prigioniero della burocrazia romana, il che per me equivale ad un suicidio. In quest’opera io conto dunque sull*appoggio del tuo partito e sul contributo della tua personale esperienza e della tua amicizia. »10 11lì 18 maggio 1945, il CLNAI riunitosi a Milano votava all’u¬ nanimità un ordine del giorno in cui chiedeva: 1 ) che la composizione del governo venisse designata dal CLN centrale; 2) che il CLNAI, che promosse, diresse e condusse a termine l’insurrezione, avesse nel governo la libera rappresentanza che gli spettava in riconoscimento del contributo dato alla cacciata dei
te¬
deschi e dei fascisti. Seguivano altre richieste quali la creazione di un’Assemblea rappresentativa provvisoria, che procedesse im¬ mediatamente alla elaborazione della legge elettorale per la con¬ vocazione della Costituente. Al quarto punto si chiedeva che « i valorosi Volontari della Libertà, dietro loro richiesta, venissero
accolti nell’esercito italiano
nelle forze di
e che essi co¬ della patria »." di partigiani furono immessi, con avara
e
stituissero il germe rinnovatore delle forze
Infatti, alcune
migliaia
polizia
armate
parsimonia, nelle forze di polizia e dell’esercito, ma non vi misero radici; con la rottura dell’unità antifascista, vennero quasi tutti eliminati dai successivi governi di De Gasperi, attivamente coa¬ diuvato dagli ultras dell’anticomunismo: i ministri Sceiba, Pacciardi, ecc. Già nel primo semestre del 1945, mentre da una parte si chie¬ deva e si otteneva la limitata immissione dei partigiani nelle for¬ ze armate, gli elementi reazionari tramavano ed agivano in senso diametralmente opposto; talché Togliatti scriveva: « Se vi sono nell’esercito dei gruppi di combattimento i quali abbiano alla loro testa dei generali reazionari che possano accarezzare la stolta illu¬ sione di servirsi delle armi date loro dal paese per fomentare dei colpi reazionari contro le forze democratiche di avanguardia, noi chiediamo che queste unità vengano disarmate, che questi gene¬ rali vengano tolti dai loro posti. Noi vogliamo che l’esercito sia profondamente rinnovato; vogliamo che siano profondamente rin¬ novate le forze di polizia. »12 Gli stessi concetti ripeteva il compagno Luigi Longo nel suo discorso alla Consulta nazionale, il 28 settembre 1945, afferman¬ 10
«
11
«
12
562
L’Unità », 15 maggio 1945. L’Unità », 19 maggio 1945. Disarmare le forze reazionarie. in
«
L'Unità
».
lu
giugno
1945.
Noi vogliamo che il nostro esercito, che i nostri soldati sia¬ no circondati dall’amore premuroso e fiducioso di tutta la popo¬ lazione. Bisogna perciò che esso non sia contaminato dalla vergo¬
do:
«
esso ancora si annidano. Bisogna file dell’esercito dalle quanti ufficiali e agenti fascisti vi espellere si trovano, quanti vengono meno al proprio dovere di servire one¬
gna di ufficiali fascisti che in
le cricche e le caste reazionarie. Dia il e la fiducia dei patrioti e del po¬ forza di governo questa prova fu nei tornerà giorni migliori dell’insurrezione. »13 quale polo la nazione
stamente
e
non
Erano appena trascorsi cinque mesi dall’insurrezione vitto¬ riosa e già si sentiva quanto serpeggiassero la delusione e la sfiducia. Fatti preoccupanti si stavano verificando. Il 20 settem¬ bre 1945 il generale Brunetto, comandante dell’arma dei cara¬ binieri, in una circolare indirizzata ai vari comandi periferici, accusava il PCI di preparare per il mese di settembre un movi¬ sarebbe stato L. testa del quale vi mento insurrezionale alla ciò avveniva Tutto delle bande partigiane. Longo, organizzatore mente F. Parri era presidente del Consiglio e P. Togliatti mi¬ nistro della Giustizia. Da parte sua, il 1°
settembre, l’ammiraglio Bianchieri
aveva
indirizzato una circolare ministeriale « segreta » con la quale raccomandava ai comandi dipendenti di concedere, dopo la li¬ berazione della Venezia Giulia, « a tutti i militari repubblichi¬ ni, di comportamento antislavo, attenuanti » e di « trattenerli in servizio servendosene per la propaganda anticomunista ed in favore della monarchia ».14 La tirannia dello spazio ci
impedisce di riportare altre cir¬ colari di comandi militari e di forze di polizia invitanti i co¬ mandi subalterni a non utilizzare in servizi speciali e di ordine pubblico i militari e gli agenti provenienti dalle file partigiane e dalla Resistenza. Senza dubbio vi furono ritardi, già lo abbiamo detto disinteresse e carenza da parte dei partiti democratici di sinistra oggi certi contestatori, ed anche cri¬ polemica o per ignoranza della situa¬ allora, esagerano alquanto sulla effettiva possibilità di operare rapidamente ed in profondità. Dimenticano persino che questi problemi;
su
tici seri, zione di
per
gli anglo-americani non
13
se
L.
ne
ma
amore
di
occupavano
militarmente
andarono che nel 1946,
dopo
Longo, Discorso alla Consulta nazionale,
il
aver
nostro
paese
e
dato l’aiuto de¬
in Atti della Consulta, 28
settembre 1945, p. 54. 14
«
L’Unità », 17 ottobre 1945. 563
del grande capitale perché potes¬ le loro posizioni di potere politico riprendersi e militare, sulle quali s’erano abbattuti i duri colpi della scon¬ fitta e della Resistenza. È stato recentemente ricordato che Ferruccio Parri, in una conferenza tenuta a Torino nel febbraio 1968, ha dichiarato di essere stato estromesso dal governo di unità nazionale del¬ l’immediato dopoguerra, proprio per avere voluto porre all’or¬ dine del giorno il problema della nuova organizzazione delle forze armate italiane.15 Ma quando egli era ancora al governo, in una conferenza-stampa tenuta il 10 novembre 1945, non aveva cisivo ai
gruppi monopolisti
sero
e
e
restaurare
mancato, facendo alcune rivelazioni, sulle condizioni di armistizio, di specificarne taluni aspetti: « Noi non possiamo modificare la composizione delle nostre forze militari, non possiamo conge¬
dare le classi, non siamo liberi per quanto riguarda il trattamento economico delle forze militari, non possiamo spostare, secondo i nostri bisogni e le nostre vedute, le unità militari da un luogo all’altro, non possiamo smobilitarle, ci è proibita l’aviazione
civile. Le condizioni di armistizio ci limitano anche nel campo 16 delle sanzioni contro il collaborazionismo ed il fascismo. » Infatti gli anglo-americani avevano posto il veto all’epura¬ zione di tutta una serie di uomini politici e militari correspon¬ sabili del fascismo, avevano impedito l’arresto o quanto meno la eliminazione dai ranghi delle forze armate di generali colpevoli. Il generale dei carabinieri Taddeo Orlando, responsabile di aver fatto fuggire il generale Roatta (che gli anglo-americani vole¬ vano ad ogni costo salvare), già alla fine del 1946 presiedeva la commissione di avanzamento per gli ufficiali inferiori; il generale Berardi, che prima del 2 giugno 1946 aveva patroci¬ nato un colpo di Stato monarchico, pochi mesi dopo era nomi¬ nato presidente della commissione centrale di avanzamento per gli ufficiali superiori, così com’era stato promosso ed impiegato in alte funzioni il generale Porzio Biroli, criminale di guerra la stessa cosa era e massacratore di partigiani in Montenegro; avvenuta per altri generali d’armata.
Queste cose occorre non siano dimenticate da uomini e mo¬ vimenti antifascisti che allora erano assai più vicini agli angloamericani di quanto non lo fossero i comunisti. Non furono certo i comunisti a porre dei freni al rinnova¬ mento ed alla democratizzazione delle
forze armate, in
piu di
15
A. d’Orsi, La macchina militare, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 65.
16
«L’Unità»,
564
lì
novembre 1945.
un’occasione essi stimolarono lo
Quando
più.
stesso
governo
Parri a fare di Dia il governo
Longo esclama in Parlamento: una pressione, vuole «
questa prova di forza », esercita
all’acceleratore
mano
e
non
si ponga
al freno.
Il giorno prima « l'Unità » portava un fondo di Velio Spano nel quale, commentando il discorso-programma presentato da Parri in
Parlamento,
si diceva:
«
Bene ha fatto Parri
a
parlare
della necessità del disarmo, ma come non accentuare il pericolo che su questo terreno viene oggi dagli industriali e dagli agrari che procedono secondo un piano all’armamento di squadre fa¬
sciste, incettando le
armi presso i residui delle
brigate
nere
e
polacchi? Come non accentuare la necessità che il governo per vincere questo tenebroso nemico, ricorra decisa¬ mente alle masse popolari, le quali non domandano che di dare il loro consenso entusiastico al governo del CLN alla sola con¬ presso i fascisti
dizione che il governo si dimostri energico, deciso alla lotta democratica, desideroso di attingere le sue forze direttamente dal popolo? « Marciare sulla giusta via tracciata dal presidente del Consi¬
glio,
ma
marciare
con
maggiore rapidità
e
un
più fermo
propo¬
le forze reazionarie e distruggere i residui di fascismo, questa è senza dubbio la volontà del popolo italiano. Ed è per questo che le correnti sinceramente democratiche com¬ menteranno il discorso del presidente del Consiglio esclamando: "Bravo Parri!" ed aggiungendo tuttavia a questa approvazione un incitamento: "Sveglia Parri!" »17 Era quello il momento in cui era stata posta all’ordine del giorno la necessità di riorganizzare le forze armate, con strut¬ sito di
ture
sbaragliare
democratiche, quadri nuovi, regolamenti moderni, collegate
direttamente col popolo, con la vita sociale del paese. Era il momento di rompere col passato, di spezzare le vecchie strutture unitarie, di fare delle forze armate non dei « corpi separati », ma strettamente uniti, fusi con la nazione. Era il momento di immettere nelle forze armate non delle piccole aliquote-cam¬ pione, ma migliaia di quadri formatisi nell’esperienza della lotta partigiana e insurrezionale, di promuovere gli ufficiali che dopo P8 settembre avevano lottato dalla parte della Resistenza, nei gruppi di combattimento, nella marina, nell’aeronautica contro i tedeschi ed i fascisti ed avessero dato prova del loro attac¬ camento alla democrazia, alla libertà del popolo ed all’indipen¬ denza dell’Italia. 17
«
L’Unità », 27 settembre 1945.
565
Era il momento in cui il generale Giacomo Zanussi scriveva: Se davvero aspiriamo a possedere un esercito serio, solido e sano, dobbiamo rassegnarci non più a ricostruire qualche pezzo «
del traballante a
rifare Era il
tutto
edificio, o
ma
a
buttarlo giù dalle fondamenta ed
quasi daccapo.
»
18
in cui Parri pensava che per rifare tutto cominciare col chiudere il ministero della Guerra di via XX Settembre. momento
daccapo bisognava
L’Assemblea Costituente
3.
La
già
questione delle
trovato
un
strutture
inizio di
militari dello Stato che
discussione,
sia pure in termini
aveva
generali
e propagandistici alla Consulta, venne dibattuta alla Costituente. Qui dobbiamo autocriticamente riconoscere « che fu un dibat¬ tito senza vasta eco nel paese e affrontato con scarsa competenza da parte dei partiti di sinistra, a differenza di quanto era av¬ venuto nel 1849, allorché si trattò di ricostruire l’esercito pie¬ montese dopo la sconfitta di Novara, nel 1859-’60, quando si dovette gettare le basi dell’esercito nazionale, e nel 1919-’20, dopo la prima guerra mondiale: in quelle tre contingenze sto¬
riche, infatti, Parlamento, stampa particolarmente impegnati ».19
ed
opinione pubblica furono
Non poche furono le carenze della Costituente, grave fu certamente quella di non essersi occupata, se
la più molto forze delle strutture dare alle da armate, alla superficialmente, « » dello Stato. Molti pro¬ polizia ed agli altri corpi separati blemi di carattere economico e politico e non soltanto i rapporti tra lo Stato e la Chiesa furono ampiamente dibattuti e svisce¬ rati, ma per quanto riguarda invece i problemi militari tutto si è risolto in due articoli. L’art. lì: « L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali »; e l’art. 52 che vale la pena di riprodurre: « La difesa della patria è sacro ma
non
dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti po¬
18
G. Zanussi, Salvare l’esercito, Cirso, Roma, 1946. A. Boldrini, Le forze armate e i comandi militari nello Stato italiano nella NATO, in « Critica marxista », n. 2, marzo-aprile 1968. 19
e
566
litici. L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. » In quest’ultimo paragrafo di una assoluta genericità, si è voluto compendiare tutto lo spirito rinnovatore; tutti i progetti di « democratizzazione delle forze armate » cadevano così nel nulla, ciò che rimaneva era una frase. Eppure anche quella frase sollevò dubbi e opposizioni. Alcuni deputati di destra
(Coppa, Colitto, Selvaggi
e
altri) proposero la soppressione di
quest’ultimo comma, affermando che la dizione usata potuto autorizzare interpretazioni contrarie allo spirito
avrebbe
tradizio¬
nale dell’esercito italiano: ad esempio, consentire l’invasione delle caserme da parte della politica, con possibilità di libere discus¬ sioni, di
propaganda,
ecc.,
sioni interne nelle caserme,
oppure la costituzione di commis¬ o il sistema elettivo per la nomina
ufficiali e dei sottufficiali. Il democristiano Umberto Merlin, relatore, spiegò in assem¬ blea perché la commissione nella sua maggioranza aveva voluto
degli
mantenere
quel
comma.
«
Non si intese dalla Commissione di nell’esercito; questo fu lontano dalla
fare penetrare la politica nostra mente nel senso più assoluto; no, noi vogliamo l’esercito ‘come istituzione al di fuori e al di sopra della politica, com¬ posto da uomini dediti soltanto al servizio della patria. Ma la democrazia in Italia non è un partito; è il regime che il popolo
italiano
si è dato con piena libertà; e nella democrazia vivono lottano tra di loro numerosi partiti. Ora domandare che l’or¬ dinamento dell’esercito si informi allo spirito democratico che deve informare tutta la vita del paese, è domandare cosa lecita. La democrazia è lo stato non di fatto, ma di diritto nel nostro domandare che l’esercito lo riconosca è fare opera di paese; unione e di concordia, non di divisione politica. Vuol dire ancora quella formula che l’esercito, senza venire meno al prin¬ cipio di dignità e di disciplina, nella sua organizzazione e nei suoi regolamenti non deve venir meno a quel rispetto della dignità e della libertà umana che è elemento fondamentale del progresso civile. »20 Vi fu allora chi, in coerenza con questo articolo, propose
e
l’abolizione dei tribunali
militari,
servatrice
la
che
coprendo
ma
prevalse la
corrente
con¬
reazionaria con la foglia mantenerli in vita. Il ministro della sostanza
di fico dell’ipocrisia riuscì a Giustizia del tempo, on. Grassi, disse che sopprimere addirit¬ tura la giurisdizione militare del tempo di pace era forse un 20
Atti
dell’Assemblea Costituente, p. 4129. 567
errore,
si
poiché
sarebbe
gravata
la
magistratura ordinaria di
cumulo di lavoro quale quello di tutti i reati militari che possono avvenire in tempo di pace. Che la Costituente fosse avversa ai tribunali militari è pro¬ vato dal suo rifiuto ad accogliere un emendamento proposto dai democristiani Bettiol e Codacci Pisanelli i quali volevano affi¬ dare ai giudici militari la « giurisdizione sui reati militari tanto
un
in tempo di pace che in tempo di guerra
».
Questo emendamento
fu sancita invece la norma contenuta nell'art. 103 della Costituzione che mantiene in vita i tribunali militari, ma con due precise limitazioni: una oggettiva, che si tratti cioè di reati militari, e l’altra soggettiva, che questi reati siano com¬
venne
respinto
messi da
e
appartenenti alle forze
Al tempo stesso, la
armate.
di cassazione ritenne doveroso san¬ cire che in nessun caso un civile può essere giudicato da un tribunale militare. Ma alcuni anni dopo, e precisamente il 2 gennaio 1951, il ministero della Difesa, retto allora dall’on. Pacciardi, emanava un comunicato nel quale era detto: « La pro¬ cura generale militare ha ritenuto di competenza dei tribunali militari il fatto d’istigazione diretta a militari in congedo a non ricevere, a restituire o a distruggere cartoline personali di preavviso di destinazione in caso di chiamata alle armi. [...] L’apologia del fatto costituisce istigazione indiretta. « Se gli autori del reato non hanno obblighi militari dovranno preventivamente indagare, ai fini di trattenere il procedimento 0 di trasmetterlo alla competente procura della Repubblica, se il reato è commesso da un appartenente alle forze armate, in¬ tendendo per appartenenti alle forze armate, a norma dell’art. 80 del codice penale militare in tempo di pace, anche coloro che si trovano in congedo non assoluto. » Così, per ottemperare alle disposizioni del ministro Pacciardi, 1 giudici militari scavalcarono la Costituzione e, riesumando Pare. 7 del codice militare di pace che i fascisti avevano ema¬ nel 1941, considerarono giudicabili dai tribunali militari nato tutti i cittadini maschi abili alle armi. Furono gli anni in cui i
dirigenti
e
gli
corte
attivisti del movimento della pace furono
con¬
dannati per vilipendio alle forze armate e si arrivò, nel 1955, al caso clamoroso Renzi-Aristarco del quale l’autorità giudiziaria militare approfittò per sancire che la critica alla guerra fascista e ai metodi con i quali era stata condotta era un reato, giacché non vi sarebbe stata alcuna soluzione di continuità tra l’esercito fascista e quello della Repubblica democratica. Non è il caso di ritornare qui sulle critiche ed autocritiche 568
già più volte ripetute circa le debolezze, le timidezze che vi sono state subito dopo la Liberazione da parte dei partiti antifascisti del movimento democratico. Una delle critiche di fondo fu rivolta al fatto che la Costituente non abbia avuto anche delle funzioni legislative, sia stata chiamata soltanto ad elaborare i grandi principi, a ricostruire in forma repubblicana le strutture, e
e
neppure tutte, dello Stato. Ci limitiamo a ricordare quanto
disse in proposito il com¬ del PCI nel gennaio 1948: Congresso pagno Togliatti « ...Tutto ciò non toglie che questa debolezza e timidezza del movimento democratico italiano vi sia stata. Essa si riflette del resto nella nostra Costituzione, la quale per una parte, per la prima parte soprattutto, è una Costituzione di tipo nuovo, che al VI
registrare trasformazioni politiche già avvenute, che dovrebbe essere seguita per operare profonde trasformazioni di carattere economico e sociale, indica la necessità di una riforma industriale e di una riforma agraria, parla non più soltanto di astratti diritti dell’uomo e del citta¬ non
ma
si limita
indica
a
una
strada
dino, ma del nuovo diritto di tutti gli uomini e di tutte le donne al lavoro, ad una retribuzione sufficiente ai bisogni dell’esistenza, all’educazione, al riposo, all’assicurazione sociale. Tutto questo è contenuto nella prima parte della nostra Costituzione. Nella stessa Costituzione non esistono però articoli i quali indichino concretamente
quali
sono
i mezzi
e
gli
realizzate le indicate riforme
istituti attraverso i
quali
attuati i nuovi diritti del lavoro; anzi quando si passa alla seconda parte della Costi¬ tuzione stessa, la quale organizza in modo concreto il nuovo regime democratico, non vi è dubbio che in questa seconda parte la convivenza delle forze conservatrici della destra con quelle verranno
e
della Democrazia Cristiana è riuscita a fare passare una serie di disposizioni con l’esclusivo intento di porre ostacoli e barriere all’azione di quell’Assemblea di rappresentanti del popolo la quale volesse veramente e speditamente marciare sulla via di un profondo rinnovamento economico e sociale del paese, ap¬
plicando
nei fatti le promesse della Costituzione. Per questo il nostro avvenire politico e persino costituzionale è incerto, perché si possono prevedere scontri seri tra una parte progressiva, che si appoggerà su di una parte della nostra carta «
costituzionale,
e
una
cherà nell’altra parte 21 P. Togliatti, Tre Roma, 1948.
parte conservatrice strumenti della
gli
e sua
reazionaria che resistenza. »21
cer¬
minacce alla democrazia italiana, Edizioni di Rinascita,
569
Sotto
la
spinta delle forze conseguentemente democratiche, che era espressione dell’unità antifascista e della Resistenza stata lotta politica e lotta militare insurrezionale furono in¬ trodotti nella carta costituzionale una serie di nuovi diritti dei cittadini
e
con
essi
la
indicazione
del
compito essenziale del
Stato democratico: « Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’egua¬ glianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’orga¬ nizzazione politica, economica e sociale del paese. » Ma l’accordo, che era stato realizzato in linea di massima, nuovo
quando si trattò di passare dalla enunciazione alla delle norme concrete che garan¬ elaborazione principi
venne
dei
a
mancare
tissero lo
sviluppo della democrazia e della libertà; quando si trattò di introdurre le riforme di struttura, non si riuscì ad andare più in là della generica indicazione di norme orientative per quanto riguarda la riforma industriale, la riforma agraria e la
programmazione
venne
nizione
ancora
delle attività economiche.
più profondo
degli organi
e
quando
acuto
dello Stato
e
si
Il
contrasto
di¬
giunse alla defi¬
delle loro funzioni, sia
perché
quanto meno nei suoi gruppi domi¬ si una riforma dello Stato di indirizzo chia¬ batteva nanti, per ramente corporativo, sia perché, quando la discussione sul pro¬ getto di Costituzione ebbe luogo in aula, la rottura dell’unità antifascista era già avvenuta. E se nella Costituzione non rimane traccia delle concezioni corporativistiche della DC, in quanto in essa si afferma la pre¬ la Democrazia Cristiana,
assoluta dei corpi rappresentativi, espressione diretta della volontà popolare, si da realizzare sulla carta una larga articolazione democratica della macchina statale, di fatto però quella concezione corporativa era radicata fuori e dentro l’orga¬ nismo statale che usciva appena da vent’anni di regime fascista. Con troppa facilità si scrisse allora che lo Stato corporativo era stato battuto; di esso sopravvivevano però dei centri di valenza
funzionare e ad esistere, delle corporazioni fascista regime della nuova carta costituzionale. delle misure da adottare imme¬ determinati centri di potere eco¬ nomico e politico continuassero a sussistere al di fuori e al di sopra dello Stato e diventassero anzi pilastri fondamentali dei gruppi dominanti, dei monopoli e del grande capitale, pilastri fondamentali dei partiti o del partito al governo. Così come
potere
effettivo
che
continuarono
anche dopo la scomparsa del e anche dopo l’approvazione Mancò in pieno l’indicazione diatamente per impedire che
570
a
le misure concrete da adottare immediatamente per democratizzare quei « corpi separati », non elettivi, che costitui¬ scono parte importante della macchina statale e strumento di potere dei gruppi dominanti (forze armate, polizia, magistra¬ mancarono
ecc.). Ancora una volta si
tura,
era
sciarpe, nelle greche, nella
visto il fascismo nei
distintivi, nelle
pagliaccesca coreografia, invece di combatterlo ed estirparlo nelle strutture degli organismi che aveva forgiati per tenere in piedi il regime della dittatura. La Costituzione non era ancora approvata che, spezzata la coalizione antifascista, all’inizio del 1947, prima con la scissione socialdemocratica di palazzo Barberini, poi con l’esclusione dei sua
comunisti e dei socialisti dal governo, cominciò l'ondata repres¬ siva e il moto in senso contrario. Seppure poco, qualcosa era stato fatto dai governi antifascisti. Alcuni loro atti avevano sot¬ tolineato nuovi indirizzi di politica militare. Il 16 novembre 1944 con ddl n. 409, si era provveduto allo scioglimento dello stato maggiore, quale organo di potere ac¬ delle forze armate, dal quale era stata sostenuta la centrato dittatura mussoliniana, ed era stato disposto il rientro di tutti gli ufficiali di stato maggiore nell’arma di provenienza. Era stato inoltre posto sotto accusa e liquidato il SIM (Servizio Informa¬ zione Militare), quale strumento del regime fascista. Infine si erano
costituiti,
con
per
comitati per la disciplina, le biblioteche. Tutto questo per
i militari di
il controllo della mensa,
leva,
fini, fu cancellato. Le poche migliaia di combattenti antifascisti ed ex partigiani che erano stati immessi come ufficiali nelle forze armate e nelle forze di polizia furono tutti esclusi, cacciati via. Ritornarono ai loro posti con piena autorità, assolti da ogni processo o inchiesta epurativa, uomini che per vent’anni avevano servito il regime del¬ la dittatura, dimenticando persino che molti di questi uomini ave¬ tradito il loro giuramento ed aderendo alla Repubblica di Salò si erano macchiati di veri e propri « delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato ». Cominciarono le persecuzioni, i processi e le inique condanne contro partigiani per fatti di guer¬
vano
ra
i
quali,
come
tali,
in base alla
legge,
non
costituivano
e
non
dovevano costituire reato. Superfluo farne la storia. Ed ora, a quasi 25 anni dalla andata in vigore della Costitu¬ zione, l’ordinamento delle forze di PS è ancora quello stesso del 1931, posto a presidio di uno Stato creato sulla radicale nega¬ zione della democrazia, dei diritti e delle libertà politiche, a pre¬ sidio di un ordinamento fondato non sulla sovranità popolare, ma 571
sulla dittatura, sulla
gerarchia dall’alto, sul più stretto accentra¬ amministrativo. Mentre invece le leggi e le au¬ politico torità di PS sono e dovrebbero essere chiamate a tutelare l’ordine dello Stato democratico, i diritti fondamentali dei cittadini della
mento
e
Repubblica fondata sul lavoro. Troppo lungo sarebbe fare la
storia dei disegni di legge presen¬ tati in Parlamento a cominciare dalla prima legislatura, dal PCI e da altre forze di sinistra, sulla riforma delle leggi di PS e rego¬ larmente archiviati uno dopo l’altro. Non c’è stata una sola le¬ gislatura in cui non sia stato presentato un disegno di legge di riforma delle leggi di PS ed ogni volta sono finiti nel nulla. Questo ostinato rifiuto a rispettare un preciso dettame costitu¬ zionale è fonte non soltanto di profonda inquietudine e di cre¬ scente sfiducia nelle istituzioni democratiche da parte delle masse popolari e dei giovani in particolare, che ogni giorno misurano l’incredibile distanza esistente tra le precise norme della Costitu¬ zione e la realtà pratica dei rapporti tra Stato e cittadini, tuttora improntati di fatto all’osservanza delle disposizioni del testo unico delle leggi di PS del 18 giugno 1931; disposizioni coerenti con la logica, la natura e gli obiettivi del regime fascista e perciò stes¬ so contrastanti con la Costituzione repubblicana. Molta acqua è passata dal I Congresso nazionale della Demo¬ crazia Cristiana (24-27 aprile 1946) quando l’on. Guido Gonella affermava con forza: « Bisogna finirla con l’avere due Stati uno legale e uno reale, uno scritto sulla carta ed uno diverso e con¬ traddittorio vivente nelle istituzioni. Bisogna finarla con il divor¬ zio tra il formalismo giuridico e la realtà operante delle forze so¬ ciali. Lo Stato liberticida ha dato per primo l’esempio della inos¬
dei^ suoi impegni costituzionali. Le sdegnate parole dell’on. Gonella erano rivolte allo Stato liberticida del passato, allo Stato fascista. Egli sosteneva che oc¬ correva arrivare al più presto a dare al paese una Costituzione democratica. Ma se a quelle parole si togliesse la data ed il nome del loro autore potrebbero essere pronunciate anche oggi. Anche per quanto riguarda l’esercito e le altre forze armate si potrebbero fare le stesse considerazioni. Quell’esercito che si vo¬ servanza
sistematica
leva rifare da capo
operò
in
senso
»
a
fondo è
contrario
a
ricostruito come prima, si uomini della Resi¬ contrario allo spirito democra¬
stato
quello voluto dagli
stenza e dell’antifascismo, in senso tico della Repubblica. Si è dato vita ad uno strumento di regime al servizio dei poli, delle classi dominanti e dell’imperialismo americano. L’adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica, 572
resa
mono-
sempre
più
pesante dagli impegni NATO, ha complicato e complica ancora di più il problema della struttura, dell’ordinamento e dell’educa¬
zione delle forze armate, della loro fedeltà ai principi della Costi¬ tuzione e dell’indipendenza nazionale.
Lo scandalo SIFAR ha portato alla luce gravi interferenze tra e quelli dello stato maggiore italiano. Esse stesse persone di sono molteplici anche per l’accentrarsi nelle funzioni diverse. La subordinazione di questi servizi « nazionali »
i servizi della NATO
ai comandi della NATO è tale che ad alcuni ufficiali i quali in via privata, nei giorni del luglio 1964, avevano chiesto spiegazioni
preparativi », fu risposto che essi rientravano nella punto del piano di sicurezza interna stabilito nel quadro
circa certi messa
a
«
accordi NATO, d’intesa con le forze americane di stanza in Italia e nell’ambito di un’operazione di carattere nazionale. L’Alleanza in cui si trova ad essere incapsulata l’Italia, la sua posizione strategica di capitale importanza per gli Stati Uniti di
degli
America, sempre più pesantemente presenti economicamente, po¬ liticamente e militarmente nel nostro paese, la crescente potenza dei servizi segreti e palesi della NATO ed in particolare della CIA, la funzione di certi corpi « specializzati », divenuti per molti aspetti dei centri di potere « autonomi » che si sovrappongono al governo e al Parlamento queste sono le minacce ed i peri¬ coli più gravi per la democrazia nel nostro paese.
Poiché l’attuale strategia americana, di cui la NATO è una del¬ le principali componenti, investe anche il Mediterraneo ed il Me¬ dio Oriente e coinvolge quindi anche l’Italia, è chiaro che il go¬ verno italiano ed i comandi delle forze armate debbano sottosta¬ re a
continue richieste
ricani, il che
accresce
La presenza di
e
i
pressioni da parte degli imperialisti
pericoli
eversivi
e
ame¬
reazionari nel paese.
questi molteplici organismi della NATO e del e la funzione di certi comandi e corpi mili¬
governo statunitense tari « nazionali », ai
quali abbiamo accennato, costituiscono un pericolo permanente per la sicurezza della Repubblica democra¬ tica e delle sue libere istituzioni. Da chi dipendono questi ser¬ Quali garanzie ha il Parlamento, quali ha il Nessuna. garanzie paese? Il Parlamento italiano non ha alcun potere di intervento nel¬
vizi? Chi li controlla?
le questioni che riguardano le forze armate. Il ministero della Di¬ fesa si è sempre opposto alle richieste delle sinistre di informa¬ zioni e di indagini conoscitive anche se circoscritte a problemi che nulla hanno a che fare con il segreto militare e che di norma i parlamentari di altri paesi, dalla Germania all’Inghilterra, agli 573
Stati Uniti, possono
avere con estrema facilità e come un diritto riconosciuto. Tutte le assunzioni di responsabilità nel quadro della NATO avvengono senza dibattiti in Parlamento e nelle commissioni par¬ lamentari, senza pubbliche decisioni del consiglio superiore della Difesa (del quale, tra l’altro, non fa parte alcun rappresentante dell’opposizione, e qui sorge un altro problema che ci porterebbe lontano ma che meriterebbe di essere posto). Il Parlamento è chiamato soltanto a mettere lo spolverino su stanziamenti militari già decisi in partenza e senza poter avere le necessarie spiegazioni sulla loro destinazione e sul tipo di armi acquistate. Ufficiali e soldati di qualsiasi arma non possono, nep¬ pure nel caso di ufficiali superiori, rivolgersi ad una commissione parlamentare (ad esempio, alla commissione Difesa) per denun¬ ciare quanto accade in certi comandi e uffici, magari in contrasto con la Costituzione e con lo spirito democratico della Repubblica. Un parlamentare può assistere se vuole ai posti d’onore alle para¬
te
militari,
ma
non
per accertarsi della
ufficiali
può visitare seriamente un’accademia militare preparazione tecnica, culturale e civica degli
dei sottufficiali delle forze armate, dell’istruzione loro impartita. Eppure, il problema dell’educazione delle forze armate è tutt’altro che trascurabile. Se si vuole avere certezza che ufficiali e militari della polizia, dei carabinieri e delle forze armate siano fedeli alla Repubblica, alle libertà, alle istituzioni democratiche ed all’indipendenza del paese, è indispensabile che essi abbiano in primo luogo una coscienza civica, morale e politica democrati¬ ca ed antifascista. La polizia e le forze armate hanno ancora una struttura bor¬ bonica, sono delle isole, dei corpi a sé staccati dalla nazione e dal paese. Ufficiali e militari sono tenuti ad ubbidire ciecamente a qualsiasi ordine venga dall’alto, il che ha per conseguenza di poter essere strumentalizzati non per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche, ma per la difesa degli interessi dei grup¬ e
pi dominanti: zione di piani renzo
Lo
i
grandi monopoli
eversivi del
o, se si desse il caso, per l’esecu¬
tipo di quelli orditi dal generale De Lo¬
nel 1964. scarso
spirito
civico
e
democratico di
non
pochi ufficiali
prefetti e questori fa loro considerare tutto ciò che polizia e nelle forze armate come una questione in¬ terna di corpo e questo spirito è validamente sorretto e giustifi¬ cato dalle disposizioni disciplinari e da vecchi regolamenti autori¬ tari che nella sostanza sono ancora quelli fascisti. Persino nella Repubblica Federale Tedesca di Bonn, dopo fa superiori,
avviene nella
574
tragica esperienza hitleriana, il regolamento militare
è stato
mo¬
dificato. Per citarne solo articolo, il XIV dice: « Dovere del militare è quello di denunciare ogni azione illecita e, qualora siano messe in discussione le istituzioni democratiche, di pren¬ un
dere
posizione
in loro difesa.
»
Alla commissione parlamentare italiana recatasi in Germania nel 1971 alti ufficiali della Bundeswehr hanno dichiarato: « Da noi i soldati eleggono, con le stesse modalità con cui gli operai designano la commissione interna di fabbrica, i loro delegati che hanno accesso direttamente a tutti i gradi della gerarchia, ivi compreso il commissario parlamentare per le forze armate che ha il compito specifico di vigilare che siano rispettati i diritti fonda-
mentali della persona umana nell’ordinamento militare. » Anche il regolamento militare delle forze armate francesi, dopo la seconda guerra mondiale, è stato modificato. In esso si afferma che « il rispetto della legge fondata sull’obbedienza cieca non deve più esistere, ma deve esistere il rispetto del cittadino verso le istituzioni dello Stato ». In un altro articolo è detto espli¬ citamente che il superiore non può ordinare al proprio dipendente atti che costituiscano crimini o delitti contro la libertà delle per¬ sone: « Se il dipendente lo fa, lo esegue, se ne assume le respon¬ sabilità penali e disciplinari. » Da noi, il governo e il potere costituito hanno un sacro terrore di tali o analoghe norme democratiche, che sono sempre state si¬ stematicamente ne
respinte ogni volta che l’opposizione di sinistra
ha proposto l’introduzione nei
regolamenti
delle forze
armate.
Da noi continuano infatti ad esistere i tribunali militari che fun¬ zionano anche in tempo di pace, le discriminazioni più scandalose,
le cartelle segnaletiche si ha, a fianco del suo
per
ogni soldato
nome,
e
ufficiale. Ognuno di
es¬
il partito al
quale appartiene o per sigla; né occorre elencare
quale simpatizza, indicato con una quali sono le conseguenze per coloro che
il
risultano o siano sospet¬ tati di essere iscritti ad un partito di sinistra o di essere amici di militanti di questo partito od anche soltanto lettori della stampa di sinistra, de « l’Unità », dell’« Avanti! », ecc. Gli ufficiali che risultano sinceri democratici ed antifascisti han¬ no avuto la carriera bloccata, quando non sono stati estromessi dalle forze armate, mentre coloro che per tanti anni avevano ser¬ vito fedelmente la monarchia e il fascismo hanno potuto percor¬ rere tutti i gradi della carriera e occupano oggi posti di alta re¬
sponsabilità. L’educazione civica che si dà nelle scuole e nelle accademie militari agli ufficiali non è per nulla conforme né dal punto di vi575
sta
né da
storico,
Che
cosa
quello politico allo spirito della Costituzione. hanno fatto le forze democratiche di sinistra nei tra¬
scorsi 25 anni? Sono state
No, anche
non
sono
posti,
ma
di sinistra
guardare? guardare, i problemi sono stati visti ed che l’azione dei parlamentari comunisti e a
state a senza
un’eco nel paese, fosse appoggiata dalle masse i bilanci della Difesa per constatare come i comunisti siano intervenuti, e pervicacemente, per intro¬ durre i problemi più importanti e non soltanto quelli riguardanti i singoli stanziamenti o l’adozione, l’acquisto di determinate ar¬ avesse
popolari. È sufficiente leggere
mi, la promozione di gruppi di ufficiali, la istituzone di
«
corpi
la riduzione della ferma militare, il miglioramento del¬ le condizioni economiche e culturali dei soldati, il rispetto dei loro diritti e della personalità umana. Ma si è trattato per lo più di un’azione di denuncia, di critica, di condanna di una politica, si è trattato anche di proposte con¬
speciali
»,
crete, tra le altre i progetti di legge per la riduzione della ferma di leva per l’esercito, la marina e l’aviazione, l’aumento del « sol¬ do » ai militari e graduati di truppa, di tutte le forze armate, il
divieto del servizio di attendente; diversi progetti di il riconoscimento dei diritti dei
partigiani
per l’aumento delle pensioni di guerra,
e
degli
ex
legge
per
combattenti,
ecc.
Ciò che è mancato nel corso di oltre 20 anni è una battaglia di fondo sostenuta dal paese sulla politica e sugli ordinamenti mi¬ litari. Soltanto recentemente è stato presentato in Senato, il 3 feb¬ braio 1971, un progetto per l’istituzione del commissariato par¬ lamentare per le forze armate che assicuri al Parlamento un co¬ stante collegamento con le forze armate. I commissari parlamen¬ tari dovrebbero avere il diritto di indagare su qualsiasi questione relativa alla difesa e alle forze armate, e di poter visitare senza preavviso qualsiasi unità, ufficio, comando, scuola militare. I mi¬ litari o il militare dovrebbero poter ricorrere a voce o per iscrit¬ to, senza percorrere la via gerarchica, al commissario parlamentare
quando intendessero farlo.
Alla Camera, il gruppo parlamentare comunista ha presentato l’il dicembre scorso un importante ordine del giorno sui pro¬ blemi del rinnovamento delle forze armate. Tale ordine del gior¬ no parte dall’esigenza di trasformare e rinnovare le forze arma¬ e dei regolamenti militari Si vuole impegnare il go¬ costituzionale. al dettato adeguandoli verno a provvedere, anche in base alle risultanze dell’inchiesta SIFAR, a ristrutturare e a controllare determinati organismi, a
te, di attuare la revisione dei codici
5 76
rivedere la legislazione riguardante il segreto militare, a stroncare la pratica delle discriminazioni e dello spionaggio politico a cari¬ co dei militari e dei giovani di leva, colpendo con sanzioni adegua¬ te chi promuove le indagini e la raccolta di informazioni sull’orien¬ tamento politico ed ideale dei militari e dei loro familiari. Si rivendica altresi l’autorizzazione della vendita all’interno delle caserme della stampa quotidiana e periodica senza esclusione al¬ cuna, la modifica del vigente regolamento di disciplina militare, il diritto di avanzare reclami e di rivolgersi direttamente o per
superiori ed anche ad
iscritto ai
una
apposita
commissione par¬
lamentare.
di
Tutto questo però rischia di non approdare a nulla se i sinistra non si persuaderanno che i problemi delle forze
non ma
sono sono
problemi che interessano problemi politici, morali e
partiti armate
alcune categorie di persone, sociali di grande importanza
e l’avvenire del paese. Riforme economiche e riforme politiche devono andare avanti contemporaneamente, le sovrastrutture hanno un grande peso, in
per il presente
persino decisivo. Realizzare le riforme economiche
certi momenti
non
è certo
facile,
ma
non
è neppure facile realizzare le riforme politiche. Sul terreno delle conquiste economiche parziali si sono fatti dal dopoguerra ad og¬
gi sensibili passi in avanti. Per contro, per quanto riguarda la democratizzazione delle forze armate, non si può dire la stessa cosa,
poiché
sino ad
oggi
i
partiti di
sinistra hanno dimostrato
insufficiente interesse e, in certo senso, un’incomprensione verso le forze armate e le questioni militari. Ciò ha facilitato lo svilupparsi tra le forze armate della propaganda e dell’azione del¬ le destre e dei fascisti. Che, oltre al danno arrecato all’esercito ed alle forze armate, ha arrecato grave danno alla democrazia col un
netta, due mondi diversi: il politico e il solida democrazia ha bisogno che non vi siano corpi « separati » dal popolo e dallo Stato. La democratizzazione delle forze armate andrà avanti soltanto se l’azione non sarà deferita soltanto al Parlamento. È indispen¬ sabile che i partiti antifascisti, i sindacati, i movimenti democra¬ tici, i lavoratori, i giovani, gli operai e gli studenti siano disposti a lottare per queste riforme politiche con lo stesso slancio col lottano la riforma della casa, della scuola, della sanità, per quale dei trasporti. Si tratta di obiettivi che possono essere raggiunti
creare
una
militare,
soltanto
separazione
mentre
con
una
ampie lotte
unitarie delle
larghe
masse
in tutto il
paese.
511
1973
UNITÀ E LOTTA CONTRO IL FASCISMO
1
Ci siamo incontrati qui esattamente quindici giorni or sono, ed i quindici giorni trascorsi sono stati densi di avvenimenti, di lotte e di risultati che ci hanno riempiti di gioia e, al tempo stesso, di dolore, ma che tutti hanno toccato la nostra associazione.
La pace nel Vietnam Abbiamo salutato
con
gioia raccordo di
pone finalmente fine per
lotta per
quasi
l’indipendenza
pace nel Vietnam che
le parole di Le Due Tho ad una la libertà del popolo vietnamita durata
usare e
trent’anni.
La Resistenza degli ultimi tredici anni è stata la più difficile delle lotte secolari condotte dal popolo vietnamita contro gli in¬ vasori stranieri. È stata la più micidiale nella storia ti di liberazione nazionale ed ha profondamente scienza degli uomini. La vittoria dell’eroico popolo vietnamita non è
la,
non
è
piovuta dal cielo (dal cielo
sono
piovuti
dei
i
movimen¬
scosso
la
venuta
da
so¬
criminali,
or¬
co¬
rendi bombardamenti delle superfortezze americane che mirava¬ no all’annientamento di un popolo civile amante della pace e della libertà). La vittoria del popolo vietnamita e, possiamo ben dire, dei popoli di tutto il mondo che amano la pace, la libertà e l’indi¬
pendenza
è stata il risultato in primo tenacia sovrumana del
eroismo, della sua
1
salda unità, della capacità politica Rapporto
tenuto
al
Consiglio
e
luogo del coraggio, dello
popolo vietnamita, della militare dei suoi dirigen-
nazionale dell’ANPI,
Bologna,
17
gen¬
naio 1973.
579
ti. In secondo luogo, è il risultato della concreta e fattiva soli¬ darietà internazionale che ha visto i paesi socialisti ed i movi¬ menti rivoluzionari progressisti uniti in questo obiettivo comu¬ ne: dare tutto l’aiuto possibile al popolo vietnamita, non ab¬ bandonarlo a quelle che erano le mire deH’imperialismo ameri¬ cano.
In
la vittoria
luogo,
terzo
politica,
militare
e
diplomatica
del
vietnamita è anche il risultato della crescente solidarietà espressa nelle forme più diverse dai lavoratori, dai loro partiti,
popolo
dalle loro tribuito
associazioni di tutti i
popoli oggi lismo
e
paesi del mondo che hanno
con¬
l’imperialismo americano, a dimostrare che i disposti a battersi contro ogni forma di imperia¬
isolare
a
sono
di neocolonialismo,
contro
ogni
tentativo di ritorno al
sopraffazione delle libertà. Noi sappiamo bene che purtroppo la battaglia non è finita. La lotta per rendere concreta e duratura quella che Nixon defi¬ nisce la fragile pace sarà aspra e difficilie, come duro sarà fascismo ed ai metodi nazifascisti di
«
»
il lavoro di ricostruzione di
paese semidistrutto. Ma la vitto¬ grande auspicio per il domani e, al tempo stesso, per noi, per tutti gli uomini della Resistenza, per
è
un
è di
ria di
oggi impegno popoli di tutto un
il mondo a rafforzare la lotta unitaria, la soli¬ darietà internazionale verso tutti i popoli che lottano per conqui¬ stare la loro indipendenza, per liberarsi dall’oppressione reazio¬ i
naria fascista. Ed è con questo chinati davanti alle una
causa
che
non
spirito che
noi in
ci siamo in¬
questi giorni
migliaia di vittime cadute nel Vietnam per era soltanto la loro, ma la nostra causa.
Amilcar Cabrai Ci siamo pure inchinati a dare l’estremo saluto ad Amilcar Cabrai il compagno comandante partigiano che aveva saputo mettersi alla testa del suo popolo e conquistare l’indipendenza
alla Guinea Bissau ed alle Isole del Capo Verde, l’uomo che per le sue capacità politiche e militari aveva saputo conquistarsi au¬ torità e prestigio non soltanto nel suo paese, ma in tutto il mon¬ do. se
«
Combattendo
noi diamo la
e
morendo per la liberazione del
nostra
vita per la
nostro
legalità internazionale,
pae¬ per lo
ideale che le Nazioni Unite stesse hanno definito nella loro
car¬
ta. »
Sono le
parole
l’ottobre scorso, 580
con
le
quali
Amilcar Cabrai
aveva
riassunto nel¬ e interna¬
all’ONU, le grandi finalità nazionali
zionali della lotta del suo popolo. Sono le parole con le quali sono caduti molti dei nostri migliori compagni della Resistenza costretti ad impugnare le armi per conquistare la pace, la libertà e l’indipendenza. Sono le parole e gli ideali per i quali aveva com¬ battuto in Italia Francesco Scotti.
Francesco Scotti Aveva combattuto in
ideali; il
Spagna ed
compagno, l’amico nostro, il
Italia per quegli vice-presidente della
in
stessi nostra
associazione, che sfidò impavido cento volte la morte, la sorte volle che egli cadesse vittima di un male che non perdona dopo aver dedicato l’intera sua vita alla nostra associazione, alle sue lotte, alle lotte della Resistenza italiana e internazionale. Dopo aver combattuto per l’unità dell’antifascismo nella battaglia che
oggi si combatte nel mondo per abbattere i regimi fascisti Grecia, in Spagna, in Portogallo, là dove operano le loro ditta¬ ture sanguinarie e per estirparne le radici ovunque queste, come
ancora
in
da noi, tentano di rinascere. Quando quindici giorni or sono ci lasciammo, assumemmo lo impegno « di fare appello a tutte le forze popolari, sindacali, gio¬ vanili perché si uniscano nella battaglia comune contro il fasci¬ smo ed i suoi complici ». Assumemmo l’impegno di isolare il congresso del MSI chia¬ mando gli antifascisti ed i democratici tutti giovani e anziani a manifestare in ogni città d’Italia contro il fascismo, i suoi promotori, finanziatori e fiancheggiatori. È un impegno che abbia¬ mo
mantenuto.
a fare l’elenco delle manifestazioni e delle iniziative che si sono sviluppate in ogni parte d’Italia con un crescendo che potremmo chiamare « impetuoso » se la parola non suonas¬ se un po’ retorica e non avesse un certo senso di autosoddisfa¬ zione che è lungi da noi perché sappiamo che la nostra battaglia è appena agli inizi. Sarà dura e difficile. Ma le ANPI si sono mos¬ se, hanno dimostrato che nessuno vuole essere assente. Il congresso del MSI, convocato a Roma con grande baldanza da coloro che credevano o si illudevano di essere già padroni del¬ la capitale, è finito squallidamente e nell’isolamento più comple¬ to non soltanto nella capitale, ma in tutto il paese che non si è accorto del congresso del MSI e ha visto le grandi manifestazioni popolari antifasciste. Quella di Roma è stata una delle più gran¬ diose e delle più unitarie, ha unito i giovani e gli anziani, gli
Non starò
581
antifascisti di ieri
e quelli quelli extraparlamentari.
di oggi, i movimenti
parlamentari
e
Non è
senza una punta di orgoglio che possiamo ben dire che tale risultato unitario si è giunti grazie all’iniziativa presa dalFANPI; questa nostra associazione ancora una volta ha sapu¬ to dimostrare di non essere una associazione di reduci, di ex combattenti in pantofole o in pensione, ma una associazione che ha un largo prestigio nazionale, tale da poter in certe occasioni mobilitare ed unire nella lotta antifascista giovani e anziani di ogni corrente politica ed ideale. Ma se il congresso del MSI con¬ a
vocato
a
Roma, la capitale dello Stato, la sede delle più alte
au¬
torità dello Stato e degli organi che dovrebbero garantire l’appli¬ cazione della Costituzione repubblicana, conquistata dalla Resi¬
stenza, che dovrebbero fare applicare quelle leggi che mettono al bando il fascismo sotto qualsiasi forma esso si presenti, se ha sollevato in tutta Italia un’ondata di sdegno e di indignazione da parte di tutte le forze democratiche e antifasciste, questo non ci fa certo pensare che il nostro compito sia finito. Non siamo che agli inizi, semmai il risultato ci stimola a fare meglio e di più, per por¬ tare avanti le nostre iniziative che non sono poche e per combat¬ tere efficacemente i pericoli dai quali la società italiana è minac¬ ciata. Nessuno di noi pensa che il pericolo fascista o di una involu¬ zione reazionaria nel nostro paese consistesse soltanto nel con¬ gresso del MSI che i fascisti hanno voluto tenere a Roma. C’era in ciò non tanto un pericolo quanto un insulto che si è voluto fare alla Resistenza, ad una città che trent’anni or sono ha dato il via alla Resistenza con i combattimenti che hanno visto uniti a S. Paolo soldati e popolo.
Il
perìcolo
fascista
fascista o di involuzione reazionaria consiste nelle omertà che il fascismo incontra là dove invece dovrebbe troppe incontrarsi e scontrarsi con la forza dello Stato deciso ad appli¬ care ed a fare applicare le leggi. Oggi, in Italia, si aggira qualco¬ sa di più del neofascismo dei nostalgici. Si tollera il neofascismo dell’arroganza, della provocazione, della violenza missina o « de¬ stra nazionale » e delle sue organizzazioni squadristiche e paramilitari. Ancora ieri abbiamo avuto a Genova una delle sedi del¬ la nostra associazione, una tra le più attive, invasa e saccheggiata. Né vale che oggi il MSI abbia cambiato nome e si chiami « de-
lì
582
pericolo
nazionale », né che in questo congresso al posto dei gagliar¬ detto neri si sia sventolato il tricolore, quel tricolore che i fasci¬ sti avevano infangato con le infami imprese aggressive, con l’al¬ leanza con Hitler, con le orrende stragi ed i campi di concentra¬ mento e della morte. Toccò a noi, agli antifascisti, ai partigiani riscattare, per la libertà e l’indipendenza dell’Italia, l’onore del nostro esercito e delle forze armate. Non basta cambiare il nome ed i labari. La XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzio¬ ne vieta « la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto stra
partito fascista » per questo i democratici, gli antifascisti, la gran¬ de maggioranza del popolo italiano chiede lo scioglimento imme¬ diato di tutte le organizzazioni squadriste e paramilitari fasciste.
Invece, sino ad oggi, sono state tollerate le trame che mettono pericolo la vita democratica e possono minacciare le fondamen¬
in
ta stessa della
Sarebbe ancora
nostra
un
più
Repubblica.
vedere, in quello che avviene per il futuro, se non ci si pone
errore
grave
e
al
nel
pericolo più presto
le forze democratiche ed anti¬ diceva¬ fasciste, dei giovani e degli anziani; sarebbe un errore mo vedere soltanto il ritorno dei nostalgici di Mussolini, il rag¬ grupparsi dei resti delle bande che noi abbiamo battuto e disperso rimedio
con
trent’anni
Il
or
l’azione unita di
tutte
sono.
pericolo autoritario, l’arroganza neofascista
sono
legati
processi sociali che già furono all’origine del fascismo, oltre zo
secolo fa. Sono i padroni che
a
mez¬
di passare al contrattacco, sono i vogliono giocare sulla miseria e sulla disperazione di ceti sociali senza prospettive, sono coloro che tentano di ingannare i giovani e di impaurire i ceti medi. Ancora una volta, dietro le bandiere logore del nazionalismo, i gruppi più conservatori e retrivi cercano di nascondere e di con¬ tentano
corruttori al loro servizio che
trabbandare la
merce avariata e sporca del fascismo. Per questo è necessario denunciare in tempo il
pericolo,
sma¬
scherando le complicità, battere i provocatori ed i finanziatori. Noi lo possiamo fare oggi con più forza di ieri e con la certezza di vincere uniti anche questa battaglia proprio per le battaglie che abbiamo combattuto insieme e per le sconfitte che la Resi¬ stenza ha inflitto al fascismo. La situazione di oggi è assai diversa da
ni fa. Se i lavoratori oggi vani nella loro
quello
sono
quella di cinquantan¬ fascismo, se i gio¬
uniti contro il
grande maggioranza
sono
con
noi è anche per
che ha rappresentato la lotta di Liberazione, per
quello 583
che è stata la Resistenza e la guerra partigiana, è per quello che abbiamo fatto tutti insieme allora e dopo per ricostruire e per rinnovare l’Italia. Ricordiamoci ancora
una volta che una grave responsabilità dell’avvento del primo fascismo la portano non soltanto quelli che se ne fecero complici, ma anche i pavidi, i deboli, coloro che furono incapaci di trovare la strada dell’unità e della Resi¬ stenza, coloro che si persero nelle recriminazioni, nelle critiche, nelle discussioni filosofiche invece di agire in tempo ed unitaria¬
mente.
Di fronie all’attacco delle forze conservatrici, alla repressione provocata dalla parte più corrotta dell’apparato statale, al rigur¬ gito fascista, i giovani oggi rispondono battendosi uniti con noi. insieme a tutte le forze democratiche e antifasciste, perché i gio¬ vani oggi sanno che con l’azione unitaria non solo si batte il fa¬ scismo, ma si va avanti. Abbiamo letto nelle manifestazioni di questi giorni, su molti cartelli: « il fascismo non passerà », ma questo non basta, dob¬ biamo passare noi, devono passare, andare avanti, progredire le forze democratiche popolari per mutare l’attuale situazione.
Non facciamo
certo
dell’esibizionismo
se
noi,
come
ANPI,
pos¬
largamente contribui¬ to alla presa di coscienza da parte delle masse popolari e antifa¬ sciste dell’importanza di certi problemi come quello dell’ammini¬ siamo
buon diritto rivendicare di
a
avere
strazione della giustizia in
uno Stato democratico. Non si tratta cui si interessavano soltanto un certo numero di avvocati e di specialisti. Le masse popolari hanno preso co¬ scienza del nesso esistente tra i rapporti di governo, di potere e
più di questioni di
ordinamenti giudiziari, del nesso sono strutturati e e il modo come » dello Stato: magistratura, corpi separati
le strutture e esistente tra la democrazia di classe
e
organizzati
i cosiddetti
polizia, forze
armate.
«
gli
Quando alcuni
anni
or
sono
noi,
come
delle riforme di struttura, della de¬ mocratizzazione delle forze armate, della polizia e della magistra¬ tura, pochi ci ascoltavano.
ANPI,
ponemmo i
problemi
queste idee hanno camminato, oggi i lavoratori hanno che queste riforme sono ancora più importanti di coscienza preso economiche; oggi si è creata una unità che certamente quelle
Oggi
deve ancora allargarsi, estendersi, tra i lavoratori, gli antifascisti, i sindacati ed i magistrati. Abbiamo visto con quale coraggio i giovani magistrati partecipano alle nostre manifestazioni e inter¬
efficacia. Antifascisti, uomini della Resistenza, giovani
vengono
584
con
e
anziani
sono
e
devono essere ancora più uniti perché sanno che il fascismo è sta¬ to il frutto della società dominata dai grandi industriali, dal pa¬ drone monopolista, dall’apparato monarchico-militarista, e che il suo ritorno può essere impedito soltanto se la Repubblica e le sue istituzioni saranno veramente fondate sul lavoro, soltanto se saranno realizzate quelle riforme che devono dare vita ad una Italia nuova, democratica, progressiva.
La gravità della situazione Non è il
molte parole per ribadire la gra¬ vità della situazione attuale e la pericolosità del governo che oggi è alla testa del paese, la pericolosità di questo governo di cen¬ tro-destra che si regge con i voti dei fascisti (non c’è stato nep¬ pure, in queste ultime settimane, un voto di una certa importan¬ za in Parlamento che non abbia visto i fascisti accorrere in dife¬ sa del governo), e quindi non può non essere condizionato dai fascisti, che non affronta e non risolve i problemi che travagliano il paese e preoccupano in primo luogo i lavoratori, dal rifiuto delle pensioni all’aumento vertiginoso dei prezzi, a calmieri che anziché risolvere hanno creato e creano il mercato nero, dando il via ad una svalutazione galoppante, senza una misura tesa a di
caso
spendere
colpire l’esportazione massiccia dei capitali all’estero, alti profitti continuano a prosperare in molti settori capitale, dei grossi agrari e dei monopoli.
gli grande
mentre
del
Noi assistiamo alla minaccia alle libertà di manifestazioni e di sciopero ed al ritorno della polizia armata in assetto di guerra davanti alle scuole e davanti alle fabbriche, che spara e colpisce impunemente a morte dei giovani studenti come Roberto France¬ schi e dei giovani operai come Roberto Piacentini che si aggiun¬ gono alle tante vittime di cui è lastricata la strada della libertà nel
nostro
Noi
non
paese.
soltanto consideriamo questi caduti
della Resistenza di oggi mo
no
a
lottare per
ripristinati.
come
impedire
tare
già più
i comuni
a
oggi
un
all’agire
come
repressione
se
questi feriti impegnia¬
ci
infami sia¬ dallo sca¬ il Parlamento non
governo che
e
va
più nulla,
in corso nelle fabbriche arrivare alla cessione di altre basi militari
atti di
e
ma
sino all’azione per esor¬ riconoscere i poteri alle regioni, sino agli
o non contasse non
compagni,
che questi metodi barbari
Noi abbiamo
valcamento del Parlamento esistesse
nostri
e
nelle scuole, sino ad
all’imperialismo ameri¬ 585
e
potremmo ben
tutte
le cose fatte e di più la situa¬
cano, all’affossamento della riforma della scuola
dire di Non
le riforme.
tutte
voglio
continuare nell’elencazione di
fatte dall’attuale governo per aggravare zione, per aggravare la subordinazione del non
ancora
nostro paese all’orga¬ politica dell’imperialismo ame¬ ricano, alla politica della NATO, per limitare ancora più quel poco che è rimasto di indipendenza del nostro paese, per render¬ ci responsabili insieme al Portogallo, alla Spagna, alla Grecia,
nizzazione militare atlantica ed alla
alla Turchia, tive
non
a
certo
paesi dominati da dittature fasciste, delle inizia¬
pacifiche
della
politica militare degli
Stati Uniti
nel Mediterraneo. Privo di una base
parlamentare e di un appoggio nel paese, il governo attuale cerca di reggersi basandosi su centri di poteri interni ed internazionali che sono nemici della democrazia, mobi¬ litando, incoraggiando le forze più
retrive che esistono ed
inqui¬
gli apparati dello Stato, della polizia, della magistratura, del¬ le forze armate, delle aziende pubbliche e private. nano
Esiste la a
tendenza,
sempre
più evidente, di questo
soffocare sempre più di fatto (non
spesso
ambigue
e
a
parole
governo
che queste
suadenti) ogni dialettica democratica,
a
sono creare
situazione di regime, a monopolizzare tutte le forze decisio¬ nali esistenti, a monopolizzare la stampa, i mezzi di comunica¬ zione e d’informazione di massa, a impedire qualsiasi riforma de¬ una
mocratica, dal campo universitario a quello dei contratti agrari, a quello sanitario e dell’urbanistica. Siamo ora arrivati al progetto di legge del fermo di polizia che ci riporterebbe ai tempi neri del fascismo quando gli italiani pote¬ vano essere fermati ed arrestati per strada o in qualsiasi ora del giorno e della notte, non per dei delitti commessi, ma per una presunta opinione di pericolosità. Non c’è alcun dubbio che tut¬ te le forze democratiche e della Resistenza in primo luogo, gio¬ vani e anziani, impiegheranno, dovranno impiegare tutte le loro energie, nelle iniziative unitarie e di lotta in Parlamento e fuori del Parlamento per impedire che questo progetto di legge sia approvato.
586
Che
cosa
(are?
Ma non è sulla pericolosità dell’attuale situazione che vi sono dei dubbi. I dubbi sorgono semmai sul che cosa fare. Ognuno sente che è necessario che il paese abbia una direzione, un gover¬ no che governi, che governi in base ai principi della nostra Co¬ stituzione nell’interesse di tutto il popolo italiano e delle classi lavoratrici in primo luogo. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, queste parole non sono state scritte a caso, ma avevano ed hanno un preciso significato. Chi ha dettato ed approvato quel primo articolo del¬ la nostra Costituzione sapeva che è impossibile governare un pae¬ se
tro
civile,
è
impossibile governare democraticamente senza e gli operai organizzati, senza e contro la classe operaia
con¬
ed i
lavoratori uniti. Non si fanno funzionare permanentemente le fabbriche né le scuole di un paese capitalisticamente avanzato con la repressione. Lo sappiamo, i grandi industriali italiani scelsero una volta la stra¬ da della più dura repressione, la strada del fascismo, ma la sto¬ ria dimostrò che non scelsero la strada giusta, si trovarono dopo vent’anni ad avere le fabbriche rovinate, distrutte dai bombardamenti ed il paese portato alla rovina. La democrazia nel nostro paese è già perita una volta perché non ha saputo difendersi, perché in organismi delicati dello Stato si annidavano
troppi complici del fascismo.
La democrazia ed il
popolo italiano hanno pagato duramente con vent’anni di ditta¬ tura, con guerre disastrose, con la rovina del paese per non ave¬ re combattuto in tempo il pericolo, per avere avuto un governo che si diceva liberale, ma che non sapeva difendere le libertà, i diritti e con i diritti la vita dell’uomo e del cittadino. Che cosa fare? « Noi abbiamo consapevolezza », ha detto Boldrini, « che è ancora aperta la questione di tagliare le radici del fascismo che trova la sua matrice nelle concentrazioni industriali e finanziarie e in quelle grandi famiglie che hanno il dominio della vita sociale, economica, politica e culturale. » Non intendo ripetere che oggi larga parte dei lavoratori
e
dell’opinione pubblica
sentono urgen¬
la necessità di realizzare al più presto una svolta veramente de¬ mocratica e progressiva. Vorrei limitarmi a ricordare quello che abbiamo deciso di fa¬ te
re
noi, quello che pensiamo di potere fare noi,
contribuire
a
portare il
più ampio contributo al
come
ANPI,
per
del¬ di mobili¬
mutamento
l’attuale situazione. Noi abbiamo deciso recentemente tare tutte le ANPI per portare avanti un’azione permanente,
coe¬
587
ed
rente
deve ve
essere
avere
Noi
una
non
fascista,
di tollerata
adeguata
vigilanza nessuna
le provocazioni fasciste. Non
provocazione; ogni provocazione de¬
pronta ed
vogliamo
nessun
adeguata risposta unitaria e di massa. guerriglia, ma nessun anti¬ della Resistenza è disposto a tollerare le
né la rissa, né la
uomo
provocazioni, l’assalto alle ai
contro
provocatori fascisti. Noi
sedi, ad offrire l’altra guancia vogliamo la rissa, lo scontro per
nostre non
lo scontro, ma sia ben chiaro che non siamo disposti a subire le aggressioni e le violenze fasciste. Ci siamo impegnati ad esigere un’inchiesta parlamentare sui responsabili e sui finanziatori del movimento neofascista, ed a chie¬ dere l’immediato scioglimento delle organizzazioni squadristiche e paramilitari fasciste. Già esistevano alla Camera presentate dai comunisti e dai socialisti due richieste del genere. L’altro ieri ne abbiamo pre¬ sentata una analoga al Senato in cui si chiede al governo la « pie¬ na applicazione delle leggi e la più rigorosa repressione delle vio¬ lenze fasciste squadriste e di procedere allo scioglimento imme¬ diato di tutti i gruppi e delle organizzazioni paramilitari fasci¬ ste ».
Il neofascismo è fuori legge, la Costituzione lo vieta; tuttavia i neofascisti vengono utilizzati dai superstiti gruppi reazionari nella lotta contro i partiti ed i movimenti di sinistra. La Repubblica ed i governi democratici sono fondati sulla Costituzione e la Costitu¬ zione è sorta dalla Resistenza. Ricorrere ai fascisti ed accettare i loro voti significa violare la legge, tradire la Costituzione.
Il giuramento che uomini di governo e di Stato fanno di fedeltà alla Costituzione non può, non dev’essere un rito formale. C’è un articolo della Costituzione che dichiara illegittimo il fascismo, che punisce chiunque si rende responsabile di apologia del fascismo.
ammissibili confusioni. Non si può parlare di due estre¬ a quando la Costituzione non viene applicata, non si può parlare di ordine sino a quando chi governa non fa applicare da tutti gli organi dello Stato le leggi dello Stato. Ed è un ben triste esempio che è stato dato ai cittadini ed ai giovani in partico¬ lare, nei venticinque anni trascorsi, dai governi che si sono succe¬ duti al potere, e forse anche per debolezza delle forze democratiche, di governi e organi dello Stato che non applicano e non fanno ap¬ plicare le leggi. Perché chi ha il dovere di applicare e fare applicare le leggi e non lo fa concorre a screditare le leggi, autorizza ognuno a violarle. Se la democrazia non è una realtà effettiva nel paese, se i giovani non la ritrovano nella serietà e serenità dei loro studi, Né
mismi
588
sono
sino
nella sicurezza del loro avvenire, nella quotidiana realtà della vita, la propaganda e le parole non servono a nulla. Neppure possiamo attendere che le inchieste parlamentari siano
compiute.
Noi ci siamo
l’iniziativa di
una
impegnati a petizione popolare
promuovere in tutto il paese per l’immediato scioglimento
delle organizzazioni fasciste e la immediata approvazione e attua¬ zione di una inchiesta parlamentare sui responsabili, sui promotori, finanziatori e fiancheggiatori della riorganizzazione del fascismo in Italia e sulle collusioni che tale tentativo di riorganizzazione trova in certi settori dell’apparato dello Stato.
A che
cosa serve
la
petizione
Alcune
le firme per la la petizione e la raccolta delle firme? È evidente che deve servire a mobilitare an¬ cora più largamente i cittadini italiani, a fare prendere loro co¬ scienza del grave pericolo che corre il nostro paese. Deve servire soprattutto a isolare i fascisti come degli appestati, a fare sentire loro ed ai loro complici che essi si pongono al bando della nazione, non fanno parte della comunità nazionale, serve ad additare i fa¬ scisti ed i loro complici al disprezzo di ogni cittadino democratico. Serve ad allargare ancora di più l’unità nella lotta contro il fascismo. La petizione inoltre non va vista come la sola iniziativa di lotta contro il fascismo, né come una iniziativa a sé, non è la sola ini¬ ANPI hanno già iniziato a ed hanno fatto bene. A che petizione
raccogliere
cosa
serve
ziativa che le ANPI vi propongono. Serve ad allargare ancora di ripeto
più l’unità nella lotta il fascismo. Siamo per una unità che non si limiti certo ad una firma, ma la firma contro il fascismo deve servire poi a por¬ tare avanti l’unità nei fatti, a realizzare una unità sui problemi che più assillano e preoccupano ogni giorno le masse lavoratrici e contro
popolari. L’iniziativa della petizione deve servire a sviluppare un lavoro casa per casa, a realizzare una unità nella lotta contro il fascismo che si esprima non soltanto ai vertici dei partiti, dei sindacati, delle associazioni democratiche, una unità dei giovani e degli anziani nella lotta contro il fascismo e contro coloro che lo incoraggiano, lo sostengono e se ne servono che si esprima in ogni casa, in ogni quartiere, in ogni fabbrica, in ogni scuola. Siamo per una unità di lotta contro il fascismo che abbia i suoi
capillare,
comitati antifascisti in
ogni fabbrica,
in
ogni quartiere,
in
ogni
villaggio. 589
Trentanni or sono, durante la Resistenza, noi siamo stati le forze motrici dei CLN, ma abbiamo sempre voluto e sostenuto che i CLN per rappresentare veramente le masse popolari sorgessero in
ogni fabbrica, in ogni quartiere, in ogni scuola, in ogni villag¬ gio ed in essi fossero direttamente rappresentati gli operai, i con¬ tadini, i giovani, le donne, gli intellettuali e tutta la popolazione che voleva attivamente operare contro i tedeschi ed i fascisti. In questa lotta unitaria noi non escludiamo nessuno, c’è posto per tutti. Siamo i primi a volere e ad applaudire gli studenti quan¬ do scendono in campo insieme agli operai, e quando gli operai si trovano con gli studenti nella lotta per la riforma della scuola e per la loro
occupazione.
In questa lotta unitaria c’è posto per tutte
quelle forze comuni¬ ste, socialiste, cattoliche, senza partito che si propongono vera¬ mente di operare per porre fine all’attuale situazione e lottare con¬ tro il fascismo, lottare per quelle riforme che sole possono estir¬ pare le radici del fascismo. Ovviamente noi non concordiamo e non possiamo concordare con coloro che coscientemente o infantilmente si prestano alle pro¬ vocazioni fasciste o con coloro che invece di attaccare i responsa¬ bili dell’attuale situazione attaccano i partiti e le associazioni dei lavoratori, con coloro che comunque tendono a portare nuove rot¬ ture tra la classe operaia ed i lavoratori. Oggi, di fronte all’offen¬ siva della destra reazionaria il compito primo e più importante è quello dell’unità di tutte le forze democratiche ed antifasciste, di tutti gli antifascisti giovani e anziani. E chi non è per questa unità dobbiamo cercare di convincerlo e di persuaderlo. Tutto quello che unisce nella lotta contro il fascismo dev’essere sostenuto, tutto quello che divide il fronte della lotta deve essere respinto. Si tratta oggi di disporre di una forza sempre più grande, più larga in difesa della democrazia, si tratta di muovere questa forza unitaria come una leva possente per cambiare il corso sempre
dell’attuale tiva delle
politica,
masse
per
aprire la strada della partecipazione effet¬
lavoratrici alla direzione della
internazionale del nostro paese. Ci siamo impegnati a realizzare nel
corso
politica
interna ed
di quest’anno
un
con¬
vegno sui problemi della giustizia e della magistratura, un conve¬ gno sui giovani e la Resistenza. I giovani guardano a noi con grande simpatia, noi vogliamo che i giovani siano con noi, noi siamo tra quelli che meglio possono farsi ascoltare da loro. Anche
sostengono opinioni che noi consideriamo errate e criti¬ anche chiamo, quando seguono vie sbagliate, non dobbiamo consi¬
quando derarli 590
come
dei nemici, dobbiamo chiederci
piuttosto
se
abbiamo
proprio fatto fare
conoscere
tutto
quanto
che cos’è
era
stata
possibile
per farci conoscere, per
la Resistenza, che cos’è
stato
il fa¬
scismo. Non c’è nessuno di noi che ha la pretesa di possedere la verità assoluta e neppure vuole avere il monopolio delle lotte e delle iniziative. Nel lavoro e nelle lotte contro le forze reazionarie e fa¬ sciste, c’è posto per tutti. Ma naturalmente non c’è neppure nes¬ suno di noi che è disposto ad andare in congedo come se una ge¬ nerazione potesse passare ad un’altra il
compito dell’iniziativa
e
della lotta. Ci siamo impegnati a realizzare un convegno che abbia per tema i problemi e la funzione delle forze armate in una Repubblica democratica ed antifascista. Ci siamo impegnati a realizzare un grande raduno nazionale delle forze partigiane, antifasciste, dei gio¬ vani e degli anziani della Resistenza. Ci siamo impegnati a realiz¬ zare un convegno sulla cultura, l’antifascismo e la Resistenza. Poi¬ ché l’esperienza ci insegna che in un paese minacciato da una invo¬ luzione politica e sociale reazionaria, la prima ad essere colpita è la cultura, è la libertà di opinione e di espressione artistica, nel teatro, nel cinema, nella radio e nella televisione. La prima forma di libertà ad essere colpita insieme ai diritti dei lavoratori è la cultura. Il resto verrebbe poi se si lasciasse fare. Queste iniziative non devono limitarsi soltanto alle grandi ini¬ ziative nazionali, ma devono dare il via ad analoghe iniziative su scala provinciale e regionale. Senza attesismi di chi deve fare prima e chi dopo, senza preoc¬ cuparsi se in una località sarà possibile realizzare prima il convegno dei giovani ed in un’altra invece quello sui problemi della magi¬ stratura, senza il timore di proporre e di realizzare una o più ini¬ ziative non previste nel nostro piano, ma che si presentano come utili e realizzabili in questa od in quest’altra provincia. Soltanto per mancanza di tempo, non per dimenticanza, non ho parlato dei nostri impegni internazionali. Abbiamo salutato in que¬ sti giorni sia il riconoscimento della Repubblica Democratica Te¬ desca, sia la riuscita della Conferenza per la sicurezza europea, sia le iniziative di solidarietà con i paesi ancora oppressi dal fascismo, sia
quelle
Oriente
e
per assicurare la pace nel Mediterraneo, nel Medio per porre fine alla guerra ed alla politica aggressiva del¬
l’imperialismo che minaccia sempre più l’indipendenza, la libertà e la pace dei popoli. Con questo complesso di iniziative, noi apriamo il XXX anni¬ versario della Resistenza che dev’essere un anno non di celebra¬ zioni (ci saranno anche queste), non di discorsi ai morti (che certo 591
dimenticheremo)
non un
di
mobilitazione dei vivi; dev’essere impegnarci a dare un contributo di lotta per colpire le più proterve radici ma
in cui noi dobbiamo
anno
attivo di iniziative e del fascismo. Ce un fascismo vivo che
gici di
non
si
esprime soltanto
nei nostal¬
passato che non può più ritornare, ma nelle forze reazionarie e conservatrici che qualunque sia la loro maschera e la loro divista, in orbace o in doppio petto, vogliono impedire il rinnovamento delle vecchie strutture del nostro paese, la realiz¬ zazione di quelle riforme politiche e sociali indispensabili a fare un
la società italiana, a farla veramente progredire, a realiz¬ effettiva democrazia che garantisca la pace, la libertà, il benessere per tutti gli italiani. Contro questo fascismo, le ANPI si batteranno a fondo non con delle parole, ma con quelle inizia¬
avanzare zare
una
tive unitarie che contribuiscono ma a
592
difendere ed
a
fare
non
avanzare
a tenere
viva un’associazione,
la democrazia nel
nostro paese.
APPENDICE
I
anni
cinquant
Note
biografiche
a
cura
di
di
Secchia
Maurizio Ferrara
Per un profilo biografico di Pietro Secchia riportiamo in reprint il discorso di Maurizio Ferrara pronunciato in occasione del festeg¬
giamento Secchia
e
per il
cinquantesimo
pubblicato
comunista biellese
chia,
una
e
anniversario della nascita di Pietro
opuscolo edito a cura della Federazione valsesiana il 12 marzo 1954 intitolato: Sec¬
in
un
vita al servizio del
popolo. L’opuscolo
contiene:
L'augurio dei compagni della Direzione del Partito a Pietro Sec¬ chia Gli auguri del Partito espressi da Luigi Longo, e la rispo¬ Note biografiche di Pietro Secchia a cura di Mau¬ sta di Secchia I saluti di Guido Sola e di Oreste Momhello lì rizio Ferrara discorso di Secchia: ”Per un nuovo indirizzo della politica italia¬ na” Le manifestazioni di Roma, Biella e Cossato Illustrazioni: -
-
-
-
-
momenti della vita di Pietro Secchia.
-
Pietro Secchia nel 1945.
no,
jI. / compagno Pietro Secchia è nato cinquantanni il 19 dicembre 1903, a Occhieppo Superiore, un
or
so¬
paese
del Biellese. Suo padre Giovanni, contadino, lavorava da mat¬ tina a sera in un piccolo campo tenuto in affitto. Nel 1915
lasciò la famiglia, richiamato in guerra e ritornò come cen¬ tinaia di migliaia di contadini, alla fine del ’18, disilluso, ferito, ammalato e senza un soldo. Trovò la famiglia impo¬ verita, dispersa e rovinata. La madre di Secchia, durante la guerra era ritornata al suo lavoro di operaia tessile e, già sfibrata, era caduta malata per eccesso di lavoro, e poco do¬ po era morta. La miseria più nera era caduta sulla famiglia e Pietro Secchia, a tredici anni, la dovette abbandonare
scuola
e
andò
a
Biella
a
l' amministrazione di una
A
quindici
guadagnarsi il pane lavorando fabbrica di cinghie.
anni cominciò
nel¬
leggere libri, giornali e ri¬ padre lo cominciò a portare con sè al a
viste politiche: suo circolo socialista. E Pietro Secchia, sedicenne, vembre del ’19, senza chiedere autorizzazione
il sette a
no¬
nessuno
fondò subito no
un circolo giovanile nel suo villaggio. Qualcu¬ della Federazione di Biella andò a vedere che succedeva
il circolo che contava sessanta iscritti fu subito drato nella Federazione Giovanile Socialista. e
inqua¬
Pietro Secchia poco dopo entrava a far parte del Co¬ mitato federale della Federazione Giovanile della città e da allora la vita di Secchia essere
non
ha cessato un attimo solo di
dedicata intieramente al lavoro di partito. Suo padre,
sulle prime,
se
ne
doleva.
A volte la sera, quando Pietro
tornato, prima di andarsene a-dormire lasciava in evidenza sul ta¬ volo un biglietto con le sue raccomandazioni. Aveva una
calligrafia contadina, larga quella di D'Annunzio
come a
notte
non
era
ancora
i figli dicevano che
e
alta:
e
spesso
era
quando Pietro tornava
alta il fratello lo avvertiva: "Bada che di là sul ta¬
un proclama di D’Annunzio''. Erano i biglietti del "Stai attento, perderai l'impiego, te lo dico per padre: il tuo bene...". E infatti l'impiego Pietro Secchia lo perse presto. Nel¬ l'aprile del 1920, diretto dal movimento dell' Ordine Nuovo,
volo c'è
scoppiò ¦a
a
Torino lo "sciopero delle lancette" che si estese
tutto il Piemonte. Secchia
scioperò anche lui,
e
l'impie¬
go saltò.
Nel ’22 perse un altro impiego quando partecipò allo sciopero generale ”legalitario”indetto dalla Alleanza del Lavoro prima della Marcia su Roma.
ca
Nel febbraio del 1923 dovette emigrare a Milano in cer¬ di lavoro. Lì, Secchia lavorò come manovale e muratore,
¦trasportò mattoni
rimestò la calce nei cantieri che sorge¬
e
la costruzione dell Università. Non fu quella la so¬ la volta in cui la sua esistenza lo costrinse al lavoro ope¬ raio: fu decoratore in Francia, lavorò in officine a Parigi, vano per
fu meccanico a Torino, alla Fiat Diatto. Ancora oggi egli sostiene che quelle esperienze furono per lui fondamentali, lo aiutarono a completare la sua edu¬ cazione
di
comunista
sempre meglio la vita
Intanto la aspra.
e
e
di le
rivoluzionario
a
comprendere
esigenze della classe operaia.
lotta politica in Italia si faceva sempre più
Tra arresti
e
processi Secchia continuava sulla
Passò di città in città
sua
di incarico in incarico, fu segretario della F.G.C. di Biella nel 1921 e ’22, poi nel 1925 strada.
e
fu segretario della F.G.C. di Torino. Nel 1924, intanto, come rappresentante dei giovani aveva partecipato anche al V
Congresso dellInternazionale Comunista a
23 anni, divenne membro del C.C.
e
a
Mosca. Nel 1926,
della Segreteria Nazio¬
stato già in prima volta nel 1923, fu
nale della F.G.C. A quelVepoca
era
due
carcere
in istruttoria: arrestato una seconda volta nel maggio 1925 sulle soglie di una fabbrica, mentre stava diffondendo ma¬ nifesti contro il delitto di Matteotti, fu condannato a tre .mesi. Ma il terzo arresto, il 6 novembre 1925 a Trieste, ove si era recato per un giro di propaganda tra i soldati, gli procurò dièci mesi di carcere. Nel novembre del 1926, dopo volte. Processato
una
assolto
>Vattentato di Bologna contro Mussolini, il Partito entrò nel¬ la illegalità più rigida. Cominciò allora il secondo periodo della vita di Pietro Secchia. scriverà Longo nel maggio ”Dopo le leggi eccezionali Secchia fu l’anima della resistenza e della organiz¬ zazione antifascista. Lavorava per Vorganizzazione antifa¬ scista. Lavorava per Vorganizzazione giovanile, per quella del Partito, era dirigente ed ispettore, era giornalista e ti¬ a945
pografo”. Dal
1928 egli è membro del C.C. del Partito
e
dal
rappresentante della mese di marzo dello stesso anno fu Federazione Giovanile nella Segreteria del Partito. Entrò a il far parte di questa dopo la lotta vittoriosa condotta, tra
’29
il '30 contro Vopportunismo. Il voto di Secchia in
e
seno
alla Segreteria fu decisivo per mettere in minoranza ”i tre" capi dell'opportunismo. Secchia votò infatti con Togliatti,
Longo e con Grieco contro i tre, i quali, da quel mo¬ sconfìtti, passarono alle forme più smaccate di frazio¬ nismo e di tradimento. con
mento
Il
senso della "svolta" impressa al lavoro del Partito in momento diffìcile e duro fu compiutamente interpetato quel da Secchia. Rimasto in Italia tutto il 1927, solo nel 1928 an¬
dò alVestero. Ma i suoi viaggi in Italia
erano frequenti e in Fu nel Italia ’28 stesso, nel ’29, nel ’30 e infine nel lunghi.
ultimo viaggio del Capodanno del 1931. rimeditarla oggi Fattività di Secchia in quegli anni, ha del prodigioso. suo
A
Come si chiamava Secchia in quel periodo? E’ difficile e i suoi passaporti non stavano mai
dirlo: i suoi documenti fermi, e
come
lui. Tuttavia
un
nomignolo gli rimase
fu quello sotto il quale lo conobbero centinaia
e
sempre
migliaia
Fu il
nome che già da tempo gli aveva trovato il diminuitivo di Bottecchia, il popolare cor¬ Longo "Botte”, ridore italiano che seminava gli avversari per le strade e
di
compagni.
infilava sempre puntualmente il traguardo. Per cinque anni, dal ’26 al ’31, "Botte" filò la trama dell organizzazione del Partito dovunque riuscisse ad arrivare. I risultati del paziente e tenace lavoro di Secchia, sem¬ pre fondato non su una arida manifestazione di "attivismo" sulla chiara visione marxista dei problemi da risolvere, si videro soprattutto nei primi mesi del 1931 durante la pre¬
ma
parazione del V Congresso del Partito di Colonia-Dusseldorf. I delegati che allora andarono a Colonia non partirono
ad occhi chiusi,
ma
dopo
aver
partecipato
a
discussioni di
Partito nelle quali era stata esaminata la linea del Partito, la situazione interna e internazionale, le questioni di orga¬
nizzazione, ecc., si trattò naturalmente di "Congressi" par¬ organizzati in modo eccezionale. Per esempio a To¬
ticolari
rino, il Congresso fu tenuto in sei riunioni separate: lo stes¬ Milano e a Genova mentre a La Spezia il Con¬ gresso fu tenuto in un cascinale e durò il sabato notte e la domenica intiera. In altre province, come in Emilia, fu in¬ so avvenne a
possibile
Secchia tenere riunioni più larghe ove la e dove le nascevano delegazioni dopo lungo dibattito, dopo votazioni regolari. vece
discussione
era
a
animata
Vaspetto politico del lavoro di preparazione Congresso: contemporaneamente Secchia dirigeva la
Questo per
il
era
organizzazione del passaggio dei delegati alVestero. Il lavoro durò, estenuante e pericolosissimo, per tre mesi intieri. Ma l'OVRA
era
riuscita
in
quel periodo
a
far crollare
parte dell'organizzazione torinese e aveva operato numerosi arresti. Secchia prima di partire per il Congresso, decise di compiere un ultimo sforzo per tentare di ripren¬ una
gran
dere i contatti
con
Torino. Si recò in città, trovò un gruppo e rimasti senza
di delegati al Congresso venuti dalla Sicilia il
contatto
per
gli arresti operati in quei giorni; li rifornì
di documenti
e
mento per la
sera
mancò. Recatosi
di danaro stessa.
e
Ma
dette loro a
un
ultimo appunta¬
quellappuntamento "Botte"
appuntamento nel pomeriggio il contatto con la organizzazione di nel tentativo riprendere torinese, VOVRA lo arrestò e la sera stessa "Botte" era già a
un
altro
nelle carceri di Torino. Era il 3 aprile 1931. L' annuncio del suo arresto giunse drammatico ai compagni radunati al Congresso di Colonia. Togliatti ne dette Vannuncio dalla tribuna e il Congresso in piedi ascoltò la notizia della "caduta" del compagno "Botte", il suo nome fu acclamato tra quelli della presidenza d'onore di quel V Congresso per il cui successo Secchia aveva sa¬ crificato la libertà. Entrato in carcere il 3 aprile 1931 a 28 anni di età, Sec¬
chia doveva riacquistare la libertà solo il 13 agosto 1943, all'età di 40 anni dopo aver passato in prigionia, tra carcere e confino, 12 anni 4 mesi e 10 giorni. Arrestato a Torino il 3 aprile del '31 Secchia fu con¬ dannato a
a
17 anni
Roma dal Tribunale Speciale nel gennaio del 1932, e 9 mesi di carcere. In piena aula del Tribunale
in faccia al generale della milizia che fungeva da presiden¬ te, a voce alta rese la seguente dichiarazione: "Come mem¬ bro del Comitato Centrale del P.C.I. dichiaro di assumermi in pieno la responsabilità di tutta l'attività svolta dal mio Partito in Italia dal momento delle leggi eccezionali del novembre 1926 fino ad oggi. Personalmente ho partecipato
a
questa attività nel modo più largo che mi è stato possibile, lottando con tutte le mie forze per l'abbattimento del regi¬ me
fascista". In seguito fu espulso dall'aula,
peso dai carabinieri gridando
andò portato di "Viva il Partito Comunista, e
se
ne
viva l’Internazionale!”.Secchia rimase in tenziari di Lucca
e
di Civitavecchia oltre
peni¬ cinque anni. Ri¬
carcere
nei
dotta la pena in seguito alle amnistie, nell'aprile del 1936 fu ”rilasciato”.Fu cioè assegnato al confino, prima a Ponza e
poi
vivo
a
Ventoiene. Sulla vita di Secchia in questi periodi è
ancora
oggi il ricordo di tutti i compagni, che
soffrirono e lottarono. Secchia aveva i contatti
con
lui
il centro-estero del Partito
con
di messaggi che partivano e arrivavano per stemi più fantastici. Riceveva dall’esterno dei veri mezzo
con
i si¬
propri paio di calze, Secchia le sfilava e la calza diveniva un grosso gomitolo di filo, pie¬ no di punti e lineette, le quali decifrate secondo l’alfa¬ beto ”morse”recavano resoconti di congressi, risoluzioni telegrammi: ricevuto, ad esempio,
e
un
del Partito, notizie, indicazioni, decisioni. In calligrafia im¬ su cartine per sigarette, Secchia scriveva con
percettibile,
pazienza da certosino
tutte le indicazioni e i
messaggi
neces¬
sari. un soggiorno a Regina Coeli, Secchia e Reale uscire fecero persino l’Unità, fabbricando da soli i mezzi scrivere. Quel raro esemplare dell’Organo del Partito eb¬ per
Durante
be
come
carta
inchiostro
era
alcuni fogli bianchi strappati stato
ricavato da
un
a
un
miscuglio di
libro: lo
acqua e di
ìucido da scarpe, due pennini erano stati rubati nell’infer¬ meria e il calamaio era stato fatto modellando la cera di una candela. Questo singolare numero dell’Unità recava per¬ sino il contrassegno della tipografia e del direttore respon¬ di Regina sabile. Naturalmente la ”tipografìa”era quella
Coeli
e
come
tore stesso del
”Direttore responsabile” fu
indicato il diret¬
carcere.
Dal ’36 in poi, al confino, l’organizzazione della vita po¬ litica illegale fu ancora perfezionata. Secchia al confino era divenuto un ”grande sorvegliato” continuamente piantonato
da
guardia che non lo abbandonava mai. Ciò nonostante organizzare tutto quanto era possibile: dalle fughe di alcuni compagni, a vere e proprie ”Scuole di Partito” munite di dispense, di vere e proprie biblioteche segrete, con depositi di libri e di riviste. Malgrado tutto per tutti gli una
riuscì
a
anni del e
carcere e del confino Secchia fu sempre di esempio di guida per tutti, in ogni momento. Sicché il suo sforzo e la sua capacità di tenersi al cor¬
rente
della situazione politica fecero sì che quando il 13 ago-
stó v 1943, dopo dodici anni di isolamento uscì dal carcere, Secchia non era un "sopravvissuto”, non si trovò spaesato
nella
situazione politica, ma fu in grado di riprende¬ posto di direzione nel movimento operaio. Questo tornare al lavoro ”subito”non è detto tanto per nuova
subito il
re
suo
dire. Venuto via da Ventotene il 13 agosto ’43, il giorno dopo è a Roma ove riprende i contatti con gli altri compagni del¬ la Direzione del Partito. Poi, recatosi a Biella ”riposa”48 ore.
Erano ventanni che mancava da
casa e
forse quelle
so¬
state le uniche 48 ore di riposo che dal 1919 al 1943 Sec¬ chia si sia conceduto, tornato vicino a suo padre, a sua so¬
no
rella, alla
sua vecchia zia, la ”zia del Partito”. Il sette settembre è a Roma con Longo e Scoccimarro
gli altri compagni della Direzione:
e qui con i compagni, vengono mobilitate le organiz¬ zazioni del Partito. Ma Veroismo del popolo è frustrato dal¬ la fuga dei generali. Nella sera stessa in cui i tedeschi en¬ travano a Roma, per incarico della Direzione riprende la e
álVindomani
dell armistizio
strada per il Nord per portare partigiano. Si ferma a Firenze e no
le a
prime direttive di lotta Bologna e giunge a Mila¬
il tredici. Secchia traccia le prime linee di azione sulla lotta in a Milano e qui con Longo che nel frat¬
Valsesia. Poi torna
tempo lo ha raggiunto al Nord per assumere la direzione settentrionale, diviene in breve tempo
del Partito nelVItalia
Vanima della Resistenza. E’ infatti il Commissario generale delle Brigate Garibaldi incorporate nel C.V.L.,, di cui Lon¬ go è il vice-Comandanie. "Botte” in questo periodo
non organizza più solo riu¬ nioni e congressi sotto il naso delVOVRA: ma dirige le Bri¬ gate garibaldine sotto gli occhi delle S.S. NelVottobre ’44 e
il rapporto organizzativo alle riunioni dei triunvirati insurrezionali. Contemporaneamente partecipa nel marzo ’45 tiene
alla elaborazione e direzione di Nostra Lotta, delVUnità e del Combattente che divengono giornali diffusi a migliaia di co¬ pie. Longo e Secchia dirigono nel Nord il grande movimen¬ to unitario dei comunisti nel C.L.N., in contatto con Togliat¬
ti
che da
Napoli
ha lanciato la grande parola d'ordine del¬
l'unità nazionale. Dopo il 25
aprile Secchia rientra
la direzione unica del Partito egli
sponsabile
della
organizzazione.
ne
a
Roma. Ricostituita
diviene membro,
re¬
E’ quello il periodo della costruzione dal ”Partito Nuo¬ vo”. Nasce il Partito che nel ’46 si metterà alla testa del po¬ polo per rovesciare la monarchia, che nel *47 conquisterà centinaia di Comuni nelle elezioni amministrative, che sa¬
prà resistere
e
contrattaccare
alVondata
reazionaria scate¬
nata dal 1947 al 1948.
vice-Segretario generale del Partito a rappresentarlo an¬
Dal 1948 Secchia è
Comunista.
Il Partito, inoltre, lo chiama
in tutte le assemblee parlamentari fin qui succedutesi. E’ Secchia è membro della Consulta Nazionale, nel 1946. eletto deputato alla Costituente il 2 giugno, è senatore di di¬ che
ritto nel 1948
e
il 7 giugno è rieletto trionfalmente
in
To¬
scana.
Oggi Secchia, ancora una volta, è per tutto il Partito, dai giovani compagni venuti alla lotta nella Resistenza agli anziani del 1921, uno di quei compagni la cui vita si iden¬ tifica
la vita stessa del Partito. Ma la
con
chia è la biografia grafia di
un
non
solo di
italiano che
reca
un
con
biografia di Sec¬
di partito: è la bio¬ nella sua storia di sè,
uomo
combattente, la rappresentazione viva e appas¬ sionata di un largo brano della storia d’Italia. Quando il 13 agosto 1943 Secchia uscì dal confino ritro¬ vò sul suo cammino ciò che neppure il fascismo era mai uomo
e
riuscito
di
a
strappargli: ritrovò
compagni nuovi che il
suo
il Partito
nei mille
e
mille
sacrifìcio di dodici anni prima
aveva contribuito a creare. Fu questo forse il premio mi¬ l’aver ritrovato più forte di prima il Par¬ gliore per ”Botte”: tito da cui invano avevano cercato di staccarlo.
MAURIZIO FERRARA
Finito di stampare nel mese di luglio 1973 dalla Litografia Leschiera Via Perugino 21 Cologno Monzese Milano -
È una lettera
specie di
storia di trentanni » scriveva Pietro Secchia in all’editore. Scomparso pochi giorni dopo aver terminato questa ultima opera, Secchia rivive qui attraverso un nesso unitario, una sorta di « filo rosso » che percorre tutti gli scritti: la preoccupazione costante di studiare attentamente, nel periodo fra il 1945 e il 1973, il variare delle contraddizioni, i mutamenti dei rapporti di forza, per in¬ dividuare sempre meglio il nemico principale e il modo migliore per «
una
combatterlo, rafforzando la alla
più larga unità delle
masse
popolari
attorno
classe operaia. Da ogni scritto, da ogni discorso, emerge questa
con¬
tinua preoccupazione di condurre un’analisi concreta della situazione concreta sulla base dei princìpi fondamentali del marxismo-leninismo. L’esempio di combattente e di dirigente rivoluzionario e l’insegna¬ mento di Pietro Secchia vivranno dopo la sua morte. Egli continuerà a parlare al di là dei silenzi ufficiali e ciò sarà inevitabile perché « la Ve¬ rità’ per un comunista non è mai (sui problemi di fondo) la stessa che per un socialdemocratico»
(p. 540).
Pietro Secchia nasce il 19 dicembre paesino del biellese. Il lavoro manuale
1903 a Occhieppo Superiore, un la milizia politica gli si presen¬ Non avevo ancora vent’anni ed ere mili¬ e
tano insieme in giovane età. « tante di un grande Partito e di una grande idea scriveva nel 1953.— Mi occupai come manovale muratore. Le mie mani si copersero di pia¬ ghe nello scaricare mattoni, barcollavo sotto il peso dei sacchi di ce¬ mento. Ma poi tutto è questione d’abitudine, le mani fecero .1 calli, le gambe non vacillarono più e imparai a salire agi'mente su impalcature e passerelle. Lavorai in seguito in officina a Parigi, feci il decoratore a Vienna, il meccanico alla FIÁT Diatto. Poi venne il carcere e il resto, per me e per tanti altri compagni. » Segretario della FGC di Biella nel 1921-’22, si reca nel 1924 come
rappresentante dei giovani al V Congresso dell’Internazionale comuni¬ sta a Mosca. Nel 1926, a 23 anni, è membro del CC. Á quest’epoca ha già conosciuto il carcere tre volte. Nel 1931 viene arrestato a Torino dall’OVRÁ e l’anno dopo è condannato a 17 anni e 9 mesi di carcere. Passa il resto della sua giovinezza nelle galere di Lucca, poi in quelle di Civitavecchia, quindi al confino a Ponza e a Ventotene. Ma la sua azione prosegue, come sempre, instancabile e fruttuosa: le carceri si tra¬ sformano in scuola di partito formando così il nerbo dei futuri quadri comunisti. Il 13 agosto del 1943 Secchia è libero. Commissario generale delle Brigate Garibaldi, organizza con Longo la Resistenza, militarmente e ideologicamente. Dopo la Liberazione diviene membro della direzione del Partito, responsabile dell’organizzazione. Nel 1946 è membro della Consulta Nazionale. Nel 1948 diventa vicesegretario nazionale del Par¬ tito. Deputato alla Costituente, nel 1948 è eletto senatore e rimane vicepresidente del Senato dal 1963 al 1972. Oltre all’azione politica diretta, Pietro Secchia ha svolto un grande lavoro di storico le cui tappe più importanti sono: « I comunisti e l’in¬ surrezione (1943-1945) », Roma, 1954; «lì Monte Rosa è sceso a Mi¬
Moscatelli, Torino, 1958; «La Resistenza e gli allea¬ Frassati, Milano, 1962; « Storia della Resistenza. La », in Italia, 1943-1945 », scritto con Frassati, Roma, liberazione di guerra fa¬ 1965; «L’azione svolta dal Partito Comunista in Italia durante il la scismo, 1926-1932 », Milano, 1970; « lì Patito Comunista Italiano e lano», scritto
ti
scritto
con
con
1973. Da ricordare inoltre: guerra di Liberazione, 1943-1945 », Milano, «G. M. Serrati», Imperia, 1954; «Capitalismo e classe operaia nel centro laniero in Italia », Roma, 1960; « Aldo dice: 26 per 1. Cronisto¬ ria del 25 aprile 1954 », Milano, 1963; «Le armi del fascismo (19211971) », Milano, 1971. Pietro Secchia è morto il 7 luglio 1973, per i postumi di un avvele¬ namento subito l’anno precedente al ritorno da un suo viaggio nel Cile.