La profezia di Virgilio. Il Fanciullo divino e il mistero della IV egloga 9788878016323


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Table of contents :
Indice
Prefazione
Parte prima: Climaterium
Capitolo primo - Gens Julia e Troiae lusus
Capitolo secondo - Cesare e la sovranità arcaica
Capitolo terzo - Nigidio Figulo e le dottrine astrali
Capitolo quarto - Tra apocalittica e messianismo
Parte seconda: Renovatio Mundi
Capitolo primo - La pace di Brindisi e la IV egloga
Capitolo secondo - Veggenti, pastori e Muse sicule
Capitolo terzo - I Saturnia regna e la Vergine Celeste
Capitolo quarto - I simboli della Luce e del Tempo Aureo
Capitolo quinto - La nascita del Fanciullo e il Regnum Apollinis
Capitolo sesto - Il rinnovamento del mondo
Capitolo settimo - Cumaeum Carmen
Congedo
Pollio
La IV egloga Pollione
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La profezia di Virgilio. Il Fanciullo divino e il mistero della IV egloga
 9788878016323

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Jouvence Sophia n.

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Nuccio D'Anna

LA PROFEZIA DI VIRGILIO IL FANCIULLO DIVINO E IL MISTERO DELLA IV EGLOGA

JOUVENCE SOPHIA

Editoriale Jouvence (Milano) Collana: Sophia, n. 12 isbn 9788878016323 www.jouvence.it [email protected] Te!: +39 02 24411414 © 2018

INDICE

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PREFAZIONE

PARTE PRIMA CLIMATERIUM CAP. 1:

GENS jULIA E TROIAE LUSUS Il: CESARE E LA SOVRANITÀ ARCAICA CAP. III: NIGIDIO FIGULO E LE DOTTRINE

CAP.

ASTRALI CAP. IV: TRA APOCALITTICA E MESSIANISMO

17 45 75 1 03

PARTE SECONDA RENOVATIO MUNDI LA PACE DI BRINDISI E LA IV EGLOGA 131 CAP. Il: VEGGENTI, PASTORI E MUSE SICULE 141 CAP. III: l SATURNIA REGNA E LA VERGINE CELESTE 171 CAP. IV: l SIMBOLI DELLA LUCE E DEL TEMPO 207 AUREO CAP. 1:

CAP. V:

LA NASCITA DEL FANCIULLO E IL REGNUM APOLLINIS

CAP. VII: CUMAEUM CARMEN

23 1 279 29 1

CONGEDO

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POLLIO

315

LA I V EGLOGA: POLLIONE

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CAP. VI: IL RINNOVAMENTO DEL MONDO

PREFAZIONE

Lo studio della IV egloga di Virgilio offre al ricercato­ re l'opportunità di entrare in contatto con un aspetto della spiritualità del tempo della fine della repubblica e dell'inizio dell'Impero che sembra divergere dall'u­ suale panorama della religione romana. I rapidi ri­ volgimenti di portata incalcolabile conseguenti alle guerre contro Cartagine e alla conquista dell'Oriente, uniti al drammatico susseguirsi delle guerre civili e all'emergere di personalità dello spessore di un Silla, di un Cesare, di un Antonio o di un Ottaviano, porta­ vano a Roma tutta una serie di figure divine, di rituali e di nuove concezioni spirituali che nel vecchio pan­ theon italico e latino non potevano necessariamente trovare una loro collocazione. Forti scossoni colpiva­ no il mondo teologico della Roma arcaica, guerriera, pastorale e contadina, che era quello che aveva reso l'Urbe il centro del mondo. Virgilio, cosciente delle correnti spirituali nuo­ ve che percorrevano il mondo antico, riprende la vecchia spiritualità dell'antica Roma e ne dà gli elementi più arcaici legati alle diverse gentes e ai culti patrizi che meglio incarnavano il cuore della tradizione romano-italic a . Emergono così, appena accennati nel complesso delle dieci egloghe, ritua­ li di tipo oracolare che non possono essere confi­ nati in una specie di "ricordo crepuscolare " e che, in realtà , costituiscono il sottofondo che sostanzia

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l'annuncio profetico della IV egloga . Ma, contem­ poraneamente, Virgilio mostra il suo interesse per le dimensioni spirituali più profonde delle varie re­ ligioni orientali, le cui élites era finalmente possibile conoscere direttamente grazie alla corsa vittoriosa delle legioni romane. Così , in un piccolo compo­ nimento come la IV egloga sembrano affiorare elementi di una spiritualità arcana, tesa a rendere intelligibili aspetti di tradizioni solitamente non in­ quadrabili nell'ambito della " teologia " delle varie figurazioni divine che avevano costituito la base della religione romana. Nel corso della nostra analisi innanzitutto ci siamo chiesti se era possibile rinvenire all'interno della tradizione romana simboli, dottrine o rituali che avevano potuto costituire un retroterra pro­ priamente latino per le tensioni di tipo escatologi­ co che emergevano alla.fine della repubblica e agli inizi dell'Impero, e che proprio per il loro radica­ mento nelle tradizioni più vetuste di Roma non po­ tevano considerarsi secondarie per un autore come Virgilio così attento a tutto il patrimonio spirituale tradizionale. Non è infatti ipotizzabile che i conte­ nuti dottrinali presenti nel poemetto abbiano po­ tuto costituire una specie di unicum estraneo alla mentalità e alla cultura romana del l o secolo a . C . Nella prima parte del nostro testo c i si è perciò preoccupati di capire la straordinaria contingenza storica, il climaterium spirituale che poteva deter­ minare un'attesa come quella che prendeva forma nell'egloga virgiliana . Certi aspetti del culto cesarèo legati a figurazioni e a simboli come quello di un Re sacrale, sembravano costituire la base di un simi­ le approccio. Taluni rituali della più antica Roma, come i Lupercalia e il Troiae lusus, ci hanno intro­ dotti verso il legame, evidenziato per es. da Ovidio

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e dallo stesso Virgilio, fra questi rituali di un'ar­ caica organizzazione sociale formata da società di "giovani uomini " , il ruolo storico eccezionale della gens ]ulia e, perciò, della speciale funzione sovra­ na di Cesare e Ottaviano, ad un tempo politica e sacrale, per molti versi tesa a realizzare quello spe­ ciale rapporto con il divino che i Romani chiama­ vano pax deorum. Accanto a questi aspetti rituali appartenenti ad una civiltà proto-storica, radicati in un contesto propriamente latino-italico, trovia­ mo un elaborato apporto dottrinale di tipo astrale e cosmologico formalizzatosi nel neopitagorismo e nelle opere del più rappresentativo dei pitagori­ ci romani , quel Publio Nigidio Figulo che occupò importanti cariche dello stato, la cui influenza nei circoli colti a lui contemporanei non è possibile sottovalutare. Questo insieme di dottrine astrali con coloriture messianiche di varia forma e prove­ nienza , fortemente influenzate dalle attese e dalle pa ure radicate alla fine della repubblica in tutti gli strati sociali del popolo romano, si ritrova accanto alle riflessioni che possiamo definire con una ter­ minologia sicuramente impropria, ma utile ai fini della comprensione dell'egloga virgiliana, di tipo genericamente " pessimistico " fatte in alcuni famosi componimenti di Orazio, che ai utano a capire l 'ec­ cezionale condizione spirituale nella quale poteva trovare significato la composizione della IV egloga . Questa particolare ambientazione di alcune poesie di Orazio permette di collocare in un ambito dot­ trinale molto vasto il significato del XVI epodo e di riflettere sul tempo della sua stesura secondo moda­ lità meno condizionate da eventuali rassomiglianze con questo o quel verso della IV egloga . La seconda parte del libro è in un certo senso il centro della nostra analisi e tocca quello che era

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uso definire renovatio mundi. Essa studia l'egloga secondo particolari angolature che ci hanno indotti ad analizzare da una prospettiva storico-religiosa e non solamente letteraria, ogni verso del componi­ mento di Virgilio: 1. il mondo dei profeti e degli arcaici Veggenti; 2. i cicli cosmici e il Grande Anno; 3. l'età aurea e il rinnovamento universale; 4. Il mistero del Fanciullo; S. il culto solare, la regalità sacra e i simboli mes­ stamct. Abbiamo ritenuto indispensabile analizzare tut­ ti i versi della IV egloga . Non è infatti lecito studiare solo alcuni versi ritenuti i più significativi e trascu­ rare l 'impianto complessivo nel quale essi vengono a comporsi. I versi e la dottrina che essi esprimono devono chiarire contemporaneamente l'insieme del messaggio dell'egloga e le singole parti di cui essa si compone, in un rapporto armonico che è il solo in grado di dare coerenza all'annuncio virgiliano. E tutto ciò deve essere fatto non solo per spiegare la capacità tecnico-creativa di Virgilio, ma per fare emergere l'omogeneità dei singoli aspetti dottrinali che altrimenti rischierebbero di restare muti . Un di­ scorso similare va fatto per le divinità che Virgilio menziona : Saturno, Lucina, Apollo, Jupiter, Pan, le Parche, la stessa Vergine. Sono figure divine che si trovano ordinate in un modo preciso, non circoscri­ vibile ad una menzione di circostanza e che, anzi, qui sembrano acquisire un ruolo particolarmente rilevante. È un tentativo di analisi che non è stato ancora tentato da alcuno e che tocca in profondità quanto Virgilio ha ritenuto di indicare sotto un velo simbolico. Si tratta di vedere non solo qual è questo ruolo, ma anche di studiare il tipo di rapporto esi­ stente fra ognuna di queste divinità e le altre, e poi

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le loro relazioni con lo sfondo religioso complessivo dell'egloga . Solo così si potrà capire quali dottri­ ne suppone l'annuncio virgiliano, qual è il tipo di spiritualità che lo sostanzia e perché sembra tanto ricco di un tipo di valori religiosi non certo usuali nei poeti dell'età augustea. Non va poi trascurato il significato della presenza nell'egloga di Orfeo e di Lino, i due cantori apollinei della perfezione dei pri­ mordi, la cui apparizione va ad introdurre la men­ zione dell'Arcadia, la mistica regione che qui sem­ bra essere il simbolo di una condizione spirituale precisa, forse legata persino ad una intera categoria di poeti pastorali e di cantori contemporanei e amici di Virgilio, fra i quali un ruolo primario ha senz'al­ tro avuto il console Pollione cui sono dedicate le egloghe III, IV e VIII . C'è tutto un mondo spirituale e culturale molto vario e complesso che sembra es­ sere confluito in Virgilio e che bisognava lumeggiare per spiegare la straordinaria sintesi di dottrine d 'O­ riente e d'Occidente che la IV egloga suppone. È in questa prospettiva che abbiamo studiato la figura del Puer e la sua identità che, come si sa, è una delle questioni più discusse e controverse fra quante ne pone l 'opera di Virgilio. Diventava perciò necessa­ rio soppesare le tante ipotesi fin qui proposte e indi­ care una possibile soluzione. Nell'ultimo capitolo si analizzano alcune dot­ trine spirituali connesse alle tradizioni della Sibilla Cumana perché il rilievo che nel carme assume que­ sta celebre Sibilla italica obbliga inevitabilmente a cercare di entrare nel mondo spirituale nel quale Virgilio colloca il suo annuncio. Quello che è par­ ticolarmente indicativo è il fatto che i cenni alla realtà oracolare e agli antichi Vates contenuti nel poemetto, riprendono numerosi simboli che per­ corrono anche le altre egloghe ed insieme illustrano

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alcuni aspetti del vasto mondo dei Veggenti , degli Oracoli e delle Sibille italiche i cui rituali è possibile ritrovare in tutte le dieci bucoliche e che di per sè danno significato alla struttura "profetica " della IV egloga , all'annuncio parusiaco dell'aetas nova e al rinnovamento del mondo. Ci siamo soffermati poi su alcuni aspetti della re­ galità sacra che da un lato paiono confermare quan­ to studiato prima e, dall'altro, ci indicano alcuni ele­ menti dottrinali insospettati per il loro legame con il culto apollineo, con la mistica del Fanciullo solare e con certi simboli presenti nell'egloga che mostrano un Virgilio attentissimo alle più varie tradizioni spi­ rituali della sua epoca inquieta. Né si può dimentica­ re che la forma religiosa che affiora nella IV egloga rappresenta un capitolo del complesso mondo spi­ rituale rappresentato dalla religione romana del 1 o secolo a . C . , ed è essa stessa parte del particolare tipo di ambientazione rituale ed oracolare che affiora in tutte le dieci bucoliche. In realtà, in questo straordinario poemetto il dato effimero ed in sé transeunte costituito dal consolato di Pollione a poco a poco viene superato dall'aureum saeculum che sopraggiunge e dall'ap­ parizione del Puer dalle connotazioni " divine " , due realtà che danno concretezza alle più vetuste tradizioni latine sulle rivelazioni oracolari e sugli annunci profetici' . Abbiamo davanti un Virgilio che sembra indirizzarci a studiare la costruzione politica che cominciava a delinearsi nel crogiuolo senza fine del 1 o secolo, all'interno di attese mes­ sianiche generalizzate destinate a diventare realtà in quell'Imperium che rispetto alla storia romana repubblicana fu percepito come una vera e propria cesura del tempo, un cardo anni dal quale nasce un tempo nuovo, si genera un'èra di prosperità mate-

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riale e di rinnovata ricchezza spirituale, un aspetto di quella che i più antichi Romani consideravano essere la pax deorum1 •

l

Per poter giungere ai risultati che qui si presentano, a bbiamo tenuto conto non solo dei libri dedicati a questo specifico pro­ blema dai vari specialisti, ma anche dei tanti articoli e saggi che gli esperti di letteratura latina e gli storici della religione roma­ na hanno dedicato alla IV egloga, ai problemi che essa pone anche dal solo punto di vista letterario e all'ambiente culturale e spirituale nel quale essa deve essere collocata. Crediamo di aver toccato quasi tutto il vastissimo materiale che può interes­ sare uno studio attento del poemetto virgiliano e tuttavia non si può leggere tutto ciò che esiste, qualcosa sfugge sempre. Il presente approccio tiene conto dei risultati dei nostri studi sul tempo, i cicli cosmici e il Grande Anno nel mondo antico quali si trovano enunciati in N.D'Anna, Il Gioco Cosmico. Tempo ed Eternità nell'antica Grecia, Mediterranee, Roma 2006. Nel corso della trattazione seguiamo di preferenza l'edizione criti­ ca delle opere di Virgilio preparata da R.Sabbadini e rivista da L.Castiglioni per il Corpus Scriptorum Latinorum Paravianum del 1 945. Cfr. anche la più recente edizione critica curata da M. Geymonat, P. Vergilii Maronis Opera. Roma 2008.

PARTE PRIMA: CLIMATERIUM

CAPITOLO PRIMO GENS JULIA E TROIAE LUSUS

Fra le tante scoperte dei recenti studi sul mondo proto-storico indoeuropeo, non possono essere non rilevate per la loro importanza quelle concernenti i rapporti fra le confraternite guerriere e l'istituto della regalità arcaica. La straordinaria opera di Stig Wikander su questo tipo di consorterie che percor­ revano il mondo indo-iranico ha aperto la strada ad una serie di studi che hanno comprovato non solo l'esistenza di confraternite guerriere organizzate su una struttura iniziatica, ma anche il loro ruolo fondamentale nell 'esercizio della sovranità. Come è possibile dedurre dai pochi frammenti rimastici , a Roma il rituale dei Luperci pare abbia conserva­ to un ricordo di queste arcaiche consuetudini, ma forse è possibile considerare anche un altro parti­ colare mitologhema legato alla storia della famiglia ]ulia che proprio per le modalità con le quali viene spiegato, sembra aver conservato tracce non solo di rituali iniziatici, ma persino aspetti consistenti re­ lativi ad una dottrina della regalità . È evidente che non può trattarsi di una definizione di tipo filosofi­ co-speculativa, ma le connessioni che possono esse­ re stabilite fra la rappresentazione mitica che ne dà Virgilio, a lcuni rituali storicamente vivi dell 'antica Roma e certe fortunate scoperte archeologiche nel territorio italico interessato dalla prima espansione romana, ci conducono verso conclusioni che getta-

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no un po' di l uce su quelle che il Dumézil definiva " strutture ideologiche " fortemente orientate verso un particolare tipo di sovranità sacra . Al culmine della sua descrizione dei funerali re­ gali del padre di Enea Anchise, Virgilio (Aen., V, 545602) introduce la rappresentazione di uno strano ri­ tuale guerriero che, così come viene prospettato, dà l'impressione di essere ben compreso dal pubblico aristocratico romano cui verosimilmente era indiriz­ zato il racconto. È il Troiae lusus, una specie di gioco equestre nel quale tre gruppi di 1 2 giovanetti armati si schieravano in battaglia, si incrociavano, si fron­ teggiavano "alternosque orbibus orbes impediunt ", come dice Virgilio (V, 5 8 4 ) , un'espressione che sem­ bra volerei indicare una serie di cerchi concentrici formati alternativamente dalle schiere dei giovani partecipanti al lusus, nel quale era anche prevista per tutto il tempo nel quale si protraeva, una sospen­ sione delle abituali azioni militari e il ristabilimento della pace che trova il proprio momento archetipa­ le nel riequilibrio delle schiere dei duellanti, "(acta pariter nunc feruntur" (v. 8 7 ) . Così come viene rap­ presentata da Virgilio, l'istituzione del Troiae lusus sembra potersi connettere a due aspetti particolari della figura di Anchise: 1 ) l'apoteosi divina propiziata e in certo qual modo " favorita " dai funerali regali; 2) il suo essere il capostipite di quel particolare ramo della stirpe troiana che pel tramite di Enea ha dato vita alla città di Roma . Tutto il rituale che sta raffigurando Virgilio sem­ bra teso a stabilire una speciale connessione fra una particolare figurazione della regalità, la nascita di una gens che ha in proprio un destino " fatidico " , e la susseguente fondazione di una città che rappre­ senta la proiezione nello spazio e nella storia della

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"vitalità " e delle specificità mitico-spirituali di quella stessa gens. A più riprese Virgilio mette in rilievo la presenza preminente e quasi esclusiva dei Troiani nel lusus. Al v.555 ci dice che "Trinacriae mirat fremit Troiaeque iuventus" , dove per "gioventù della Trinacria " biso­ gna forse intendere quei Troiani che non avevano proseguito l'itinerario migratorio al seguito di Enea e avevano preferito rimanere negli insediamenti che avevano creato nella Trinacria . Fra costoro bisogna includere anche quel "popolo di Aceste" di cui è que­ stione in I, 550; V, 30, 71 1 , 75 7, anch'esso ricondu­ cibile ad una ascendenza troiana, dato che in V, 3 0 s i parla esplicitamente di "Dardanium Acestem " . Il panorama che ci dà Virgilio sembra essere chiaro. Mentre il nucleo principale della direttrice migratoria costituito dai giovani guerrieri che seguivano le indi­ cazioni dello stesso Giove continuava a mantenere come proprio fine il raggiungimento del Lazio, alcuni rami secondari potevano staccarsi da tale direttrice ed essere "abbandonati" per creare insediamenti propri ed autonomi, come fu il caso per es. dei vecchi e delle donne lasciati ad Erice, che d'altronde ripeteva un co­ stume preistorico che può essere ritrovato anche nella civiltà artica e, ancora, in alcune testimonianze rela­ tive alle popolazioni indoeuropee. Sotto un rivesti­ mento mitico qual è presupposto da un poema come l'Eneide, quello che sta rappresentando Virgilio è lo schema-base che hanno ripetuto le grandi migrazio­ ni indoeuropee e che l'istituto italico del ver sacrum sembra aver perpetuato ancora ben oltre il tempo del­ la fondazione di Roma. Come ci documenta Pompeo Festo, il ver sacrum consisteva essenzialmente nell'of� ferta sacrificale di tutti "gli esseri animati" (anima­ lia) che eventualmente fossero nati nella primavera successiva, cosa che comportava la consacrazione ad

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una determinata divinità di un'intera "classe di età " , un'intera generazione d i giovani che con il capo vela­ to venivano accompagnati oltre il territorio d'origine. Si trasformavano in guerrieri " senza radici" i cui unici legami erano quelli rituali che li avevano " assimila­ ti" a questo particolare tipo di consorteria di giovani guerrieri e alla divinità cui si erano consacrati. Il forte rilievo accordato alla città di Troia e ai Troiani quali antenati dei Romani, deve essere ricon­ dotto alla definizione conclusiva che proprio nell'E­ neide Virgilio stava facendo rispetto alle tante versio­ ni esistenti della leggenda troiana posta alle origini di Roma. Il suo accoglimento quale momento essenziale per dare alla gens Julia un retroterra dalle origini di­ vine, comportava l'abbandono delle arcaiche rappre­ sentazioni mitiche sulle origini della Città. Per capire l'importanza di questo cambiamento di prospettiva che condusse a considerare il " mito troiano " quello più consono alle attese dei Romani di quel tempo, si pensi alla volontà di cancellare le tante tradizioni sulle origini collegate con la dominazione etrusca; al ruolo decisivo che ebbe la perdita dei racconti sui primi re appartenenti al sostrato "latino" del periodo prato­ storico di Roma; alla lenta, ma inesorabile margina­ lizzazione che stavano subendo le tante " memorie " delle radici familiari (carmina convivalia e laudatio­ nes funebres) che le gentes patrizie avevano conser­ vato nel corso della storia, quelle che nei tempi anda­ ti venivano usualmente recitate durante i funerali di un parente. Era un complesso di tradizioni gentilizie la cui vastità spingeva il Niebuhr a ritenere che esse costituivano il "cuore " dei più antichi racconti sulle origini eroiche di Roma . Un patrimonio spirituale importante, che tuttavia andava spegnendosi e che pochissimi ormai riuscivano a comprendere nel suo reale significato dopo le grandi crisi susseguenti prima

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alla lotta contro Cartagine, poi alle guerre civili che avevano falcidiato le potenti famiglie patrizie (che ri­ vendicavano le loro ascendénze nobiliari direttamente dai patres fondatori di Roma) , infine alla profonda trasformazione dei costumi e dei rituali inerenti ad una civiltà ormai pienamente urbanizzata. La rivendicazione delle "radici troiane " non co­ stituiva di per sé una novità . Come ci documenta Ste­ sicoro, la leggenda delle origini troiane dell'Urbe era ben conosciuta già a partire dal sesto secolo. Essa poi viene ripresa anche da Ellanico di Mitilene (V sec . ) , da Timeo di Tauromenio (III sec . ) , da Catone il Censore e da altri, fino a diventare uno degli elementi fondanti del primato cesarèo e del principato di Augusto. Il rin­ venimento a Veio di statuine di Enea che regge sulle spalle il padre Anchise mentre con la mano conduce il figlioletto Ascanio, documenta l'autenticità, la profon­ dità e l'importanza di questo tipo di leggende diffuse in tutta l'area latina. Nel suo poema teso a cantare il significato spirituale delle radici dell'lmperium, Virgi­ lio aggiunge un particolare dal significato simbolico rilevantissimo che evidenzia con forza indubitabile il legame della famiglia Julia con questo tipo di tradizio­ ni: Ascanio si chiamerà Julus in quanto discendente da Ilus, l'antico re della città di Troia quando questa si chiamava ancora Ilia (1, 267-268 ) . Ed è interessante ricordare che dal II secolo in poi era usuale attribuire un'ascendenza celeste alla gens Julia che veniva fatta risalire sino alla dèa Venere, ritenuta la sposa di An­ chise, madre di Enea e nonna di Ascanio/]ulus. Nella sua epiclesi di Venus Genetrix la dèa progenitrice del­ la gens Iulia poteva vantare un collegio sacerdotale costituito esclusivamente dai membri di questa fami­ glia, la quale arrivò persino a fregiare alcune monete con l'immagine della dèa loro protettrice. Continuando poi la sua descrizione, Virgilio

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( vv. 5 85-5 9 5 ) intreccia in modo apparentemente enigmatico il Troiae lusus con le tradizioni sacre di Creta, con il labirinto e con le arcaiche danze che se­ condo la leggenda vi si svolgevano, precisando anzi che tali danze rituali erano simili alle evoluzioni che i delfini tracciano per gioco nel mare. È importante questo riferimento alla danza labirintica, a Creta e ai Teucri quale designazione patronimica assunta dai Troiani in virtù della vantata loro discendenza dal matrimonio dell'antenato Dardano con Badeia , la figlia del re cretese Teucro. È come se Virgilio non solo volesse ricondurre il Troiae lusus ad un arche­ tipo cretese e all'iter tipico dei misteri labirintici, ma tale gioco rituale viene addirittura riferito ad un ar­ chetipo che ha le proprie radici nella stirpe reale di Teucro. Regalità, labirinto, danza, gioco: sono tutti elementi che cominciano a delineare aspetti di un rituale che riporta ad un contesto guerriero di tipo molto arcaico, connesso a particolari simboli della sovranità che la menzione di Teucro sembra volere evidenziare. È quanto ci portano a pensare le stesse paro­ le di Virgilio allorché descrive le schiere dei giovani che intrecciano assalti e fughe, corse e movimenti di guerrieri in armi: ...ipse omnem longo decedere circo infusum populum et campos iubet esse patentes. Incedunt pueri pariterque ante ora parentum Frenatis lucent in equis, quos omnis euntis Trinacriae mirata fremit Troiaeque iuventus. Omnibus in morem tonsa coma pressa corona Cornea bina ferunt praefixa hastilia ferro, pars levis umero pharetras; it pectore summo flexilis obtorti per collum circulus auri. Tres equitum numero turmae ternique vagantur Ductores; pueri bis seni quemque secuti Agmine partito fulgent paribusque magitris (vv.551-562).

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I giovani sfilano davanti a i loro genitori, anzi più precisamente davanti ai soli padri, ante ora paren­ tum (v. 5 5 3 ) , mentre le donne vengono allontanate dalla scena del rituale e si ritrovano sulla riva, presso le navi (v. 6 1 3 ). I giovani vengono accompagnati da ductores ( v. 5 6 1 ) , un'usanza che i commentatori di Virgilio Servio (ad Aen., V, 546) e Donato ( interpr. Verg. , V, 546) fanno risalire al tempo del re Tullo Ostilio come una tradizione propria a quei milites ancora al loro primo anno di servizio militare. Le schiere dei danzatori sono tre, ognuna dispo­ sta su due linee di sei giovani guidati da tre ductores, "tres equitum numero turmae" , che Servio (ad Aen., V, 560) non esita ad interpretare come l'archetipo delle tribù nelle quali si componeva l'antica società romana, i Ramnes, i Luceres e i Titienses. Il raggruppamento di complessivi 12 x 3 = 36 giovani può indicarci un'at­ tenzione per i ritmi cosmici, essendo questa cifra chia­ ramente in rapporto ai 360 gradi del cerchio celeste e perciò con quelle "potenze" cosmico-spirituali che il rituale dell'ingresso nel labirinto tendeva ad evocare fa­ cendone partecipe il giovane iniziato. È probabile che la stessa danza armata con le sue molteplici circonvolu­ zioni tendesse ad "imitare" un simbolismo cosmico nel quale avrà avuto una sua importanza il cerchio celeste. La stessa espressione virgiliana " tonsa coma pressa corona " viene da Servio interpretata come tipica della condizione dei pueri che si avvicinano all'età adulta, prima della loro immissione nelle strutture iniziatiche e guerriere: " Tonsa composita:

nam proprie comae sunt con caesi capilli; pressa co­ rona id est galea . . . ,(V, 5 5 6 ) . Come si vede, il quadro che ne risulta è quello di una danza sacra ( "Trai­ ci lusus sacrum , lo chiama ancora Seneca, Troad. , ,

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te la base su cui poi si organizzerà la società romana che qui visibilmente viene interpretata come la con­ seguenza di una specie di strutturazione urbana di arcaiche confraternite iniziatiche. Il cenno di Servio è importante. Ci dice che ancora presso le élites col­ te del periodo imperiale era diffusa la convinzione che le arcaiche gentes si consideravano la base dello stato e che, anzi, questo particolare tipo di stato non era altro che una trasformazione e una riadattazione delle strutture rituali che avevano reso vitali le gran­ di famiglie romane. Il cenno ai capelli lunghi fatto da Servio è inte­ ressante. In tutte le società arcaiche contrassegnano una precisa condizione, quella che precede la ma­ turità guerriera e " sociale " , perciò i giovani anco­ ra non iniziati vengono in qualche modo assimilati alle donne anche attraverso questo apparentemente insignificante particolare . È noto il caso di Achille riferitoci da Igino ( Fab., 9 6 ) , allevato come una fan­ ciulla nella casa del suo iniziatore Licomede ( '' dalla mente di lupo " , un epiteto che rimanda alle arcai­ che confraternite di guerrieri-lupi) , che a causa dei suoi lunghi capelli rossi veniva chiamato Pyrrha, la " rossa " . Ma ai nostri fini è più interessante il caso di Teseo. Già a sedici anni in un pellegrinaggio a Del­ fi aveva sacrificato i suoi lunghi capelli ad Apollo, il dio della giovinezza perenne col quale Teseo deve aver avuto un particolare rapporto . Un'altra ver­ sione del mito, infatti , ci racconta che in occasione della costruzione di un tempio ad Apollo Delfinio, gli artigiani scambiarono Teseo che girovagava in quei luoghi per una fanciulla a causa della sua ve­ ste femminea e, soprattutto, dei suoi lunghi capel­ li intrecciati sui quali aveva posto un copricapo in tutto simile a quello che usavano portare gli Spar­ tani. Come si vede, i lunghi capelli dei giovani del

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Troiae lusus non facevano altro che riprendere l'ar­ caico uso dei rituali di passaggio già documentato nella leggenda di Teseo, nella quale si trovano altri elementi fondamentali della descrizione virgiliana, come la corona che copre i lunghi capelli dei giovani e l'enigmatica presenza del simbolo del delfino, qui rapportato allo stesso dio " solare " Apollo col qual e , d'altronde, veniva da sempre associato e di cui co­ stituiva il più importante veicolo di manifestazione. Le circonvoluzioni dei giovani del testo di Virgilio che riprendono quelle tracciate in mare dai delfini per "gioco " , trovano così un loro preciso riferimento simbolico all 'interno della spiritualità apollinea così profondamente connessa con la giovinezza. Secondo la leggenda, dopo l'uccisione del Minotauro Teseo si recò a Delo per sacrificare ad Apollo e qui guidò la prima " danza delle gru " che intendeva imitare gli intrecci labirintici. Poi, come riferisce Pausania 40, eresse uno xoanon alla dea Afrodite ( qui assimilabile alla Venus Victrix che spesso assistette Cesare nelle sue tormentate vicende militari) sotto la cui guida potrà realizzare l'impresa dell'uccisione del mostro del la birinto ( Plut. , Thes., 1 8 , 2 ) . Tutto il rituale prospettato, i simboli e gli ac­ costamenti finora fatti, ci portano ad evidenziare il ruolo assolutamente primario che riveste la gio­ ventù. Anzi, dal tipo di rappresentazione virgiliana si deduce la precisa volontà di mettere in evidenza l'esistenza di "classi d'età " che stavano alla base dell'organizzazione di tutti i popoli latini, che il suc­ cessivo istituto romano della juventus riprenderà perpetuandone gli arcaici costumi che la tradizione faceva addirittura risalire fino al re Servio Tullio . Come ha fatto rilevare G. Dumézil, la stessa dèa Ju­ ventas, che a Roma coprirà sempre un ruolo impor­ tante dall'età regia fino al tempo dell'impero, non è

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solo una generica protettrice dei giovani, ma è la dèa della gioventù in quanto " classe d'età " , ossia il ner­ bo di una società che affonda le proprie radici nella dimensione guerriera che ne caratterizza il modo di essere. Roma, in realtà, possedeva delle associazioni giovanili organizzate in "corpi" dalla rilevante im­ portanza sociale, con capi e rituali che perpetuavano in piena età storica l'arcaica verehia operante in tut­ ta l 'area coperta dai popoli italici. Sotto il principato di Augusto, nel quadro della ripresa di tutti i culti patrii di Roma, tale istituzione riprese vitalità e fu costituito un princeps juventutis che doveva essere significativamente lo stesso erede al trono. L'arche­ tip o celeste di tali "corpi" giovanili e delle stesse Curie, che storicamente possono essere considerate un loro sviluppo ed adattamento, è Juventas, la dea che protegge per eccellenza "coloro che sono dotati di forza vitale " , gli iuvenes che stanno per diventare viri. La dea ]uventas custodisce la iuventus in quanto "corpo sociale" e perciò il " luogo " rituale più ap­ propriato per la preservazione e la conservazione del nucleo più essenziale della società romana. Le tre schiere dei giovani della narrazione di Virgilio sono guidate rispettivamente da Priamus, Atys e ]ulus. Tutti e tre presentano delle particolarità assimilabili, anche se Virgilio li ordina secondo una successione che tende a culminare in J ulus, il quale sembrerebbe così sintetizzare e "comprendere " nella propria persona tutte le attribuzioni comprese negli altri due duces. Priamus è il nipote del leggendario ultimo re di Troia Priamo, e una solida tradizione gli attribuiva il ruolo di fondatore della città di Politorium. Virgilio aggiunge che Priamus appartiene ad una stirpe che di per sé è auctura Italos (v. 5 6 5 ) , che " moltiplicherà gli ltali " , ossia viene esemplificato come colui che

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sarà il capostipite degli Itali. La seconda schiera dei giovani è guidata da Atys, il capostipite dei Latini Atyi e della stessa gens Atia, cui apparteneva la zia di Cesare Atia, la madre di Ottaviano Augusto che nel testamento del dictator verrà indicata come l'esecu­ trice dei funerali di Cesare, che è come dire che Atia dovrà essere la custode dell'apoteosi divina del nipo­ te. Secondo Livio (I, 3, 8 ) a questa gens apparteneva anche quel re Aty che aveva regnato ad Alba Longa dopo Ascanio, Silvio, Enea Silvio, Latino Silvio ed Alba . In tal modo viene ad essere stabilita proprio da Virgilio e da Tito Livio, significativamente i du� can­ tori del mito imperiale, una precisa connessione fra Atys, l'origine remota del popolo dei Latini, le vicen­ de primordiali e pre-romane legate ad Alba Longa e la stessa storia della famiglia di Cesare. La guida della terza schiera è ]ulus, il fondato­ re di Alba Longa e il capostipite della gens ]ulia, il primo re di Alba e perciò stesso l'iniziatore di quella catena regale che si concluderà in Augusto . I tre duc­ tores del testo virgiliano hanno dunque una precisa valenza simbolica. Sono i capostipiti rispettivamente degli Itali, dei Latini e dei Romani; tutti e tre sono stati i fondatori di città importanti per la storia di Roma; tutti e tre appartengono ad una stirpe di re che a sua volta ha dato vita ad altre stirpi regali. Inoltre, attraverso la discendenza di Priamus dall'ul­ timo re dei Troiani, si viene a confermare ancora una linea regale che da Ilio porta ad Alba Longa e a Roma, che è poi la stessa tradizione che Virgilio considererà come l' unica in grado di dare significato alle radici divine e alla funzione sovrana della gens ]ulia che sul proprio piano non fa che " riflettere " una continuità dinastica che si snoda a partire dalla dèa Venere, poi dalla coppia divina Marte-Rea Silvia per concludersi con il re-augure Romolo. Attraverso

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la menzione di questi tre giovani ductores Virgilio riassume così i primordi mitico-sacrali della storia di Roma, "riprende " la leggenda troiana sulla regalità arcaica riconducibile alla storia mitica di Enea e dei suoi eredi ormai diventata patrimonio dell'aristocra­ zia romana, e ne fa culminare il significato simbolico nelle stesse vicende della famiglia ]ulia e, dunque, in Cesare e Augusto. Non solo, ma la connessione che viene stabilita fra il rituale iniziatico e la fonda­ zione delle città , permette addirittura di prospettare una trasformazione del giovane guerriero in un eroe civilizzatore capace di procedere ad una specie di " riqualificazione del territorio " concepito come un nuovo cosmo, di riadattare le strutture iniziatiche della propria consorteria in una Città nella quale si dovrà instaurare la pax deorum. Ma c'è di più. Nel corso della narrazione, ]ulus sembra " assumere " anche la storia mitica prospetta­ ta nei capostipiti degli Itali e dei Latini, come se Vir­ gilio volesse indicare in Roma colei che ha ereditato il destino storico di quei popoli e l'avesse portato a compimento nel suo momento più significativo, l'edificazione dell'Imperium ad opera dell'ultimo rampollo della famiglia ]ulia. La cosa è tanto più importante in quanto Virgilio conclude la sua raf­ figurazione del Troiae lusus ricordando che Ascanio ripeterà questo rituale al momento della costruzione delle mura di Alba Longa (vv. 5 96-606 ) , con l'eviden­ te intenzione di prospettare la città di Roma quale effettiva erede del destino divino di Alba, nella quale si sono concluse tutte le vicissitudini che hanno con­ dotto i Troiani nel Lazio. Un'arcaica "classe d 'età " , una gens che ivi affonda l e proprie radici, l a fonda­ zione di Alba Longa fatta dal dux di quella "classe d'età " , una potestà civilizzatrice connessa al rappor­ to iniziazione-fondazione della città, il legame con

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i popoli italici e latini, una concezione primordiale delle origini della sovranità : è il quadro di una vicen­ da legata al ruolo di arcaici mannerbunde e al loro successivo riadattamento in una struttura sociale e cittadina la quale, tuttavia, conserva i propri rituali per via delle radici guerriere e regali da cui è scaturi­ ta la sua storia . Che il quadro descritto da Virgilio non sia ri­ masto sul piano di una rappresentazione mitica, ma abbia avuto delle precise basi storiche, è conferma­ to dal fatto che a Roma esistevano rituali incentrati proprio sullo scenario del Troiae lusus. Dione Cas­ sio (43, 2 3 , 6) ci parla di " un'arcaica usanza " (Ka:ra -r6 apxawv) , ma la nostra documentazione, basata soprattutto su Plutarco ( Cat. Min., 3, 1 ) e Galeno (de ther. ad Pis., I, ed.Kuhn ; XIV, 2 1 2 ) , non ci por­ ta oltre l'età di Silla. Nel calendario romano è nota l'esistenza di una festa chiamata equorum probatio, una "parata di cavalieri" celebrata il 1 4 settembre di ogni anno con un carosello e, appunto, con una specie di parata di cavalieri armati. Molto probabil­ mente questo rituale, sulle cui origini piuttosto anti­ che non pare ci siano dubbi, comprendeva anche una rappresentazione del Troiae lusus, cosa che sostan­ zialmente ne confermerebbe l'arcaicità. Tuttavia, pur essendo stato celebrato il Troiae lusus ogni anno, come ci attesta Donato ( interpr. Verg., V, 597: . . . quotannis ludus ipse replicatur " ) , non è rimasta al­ cuna documentazione di una eventuale data fissa del rituale ed anzi dalle poche notizie giunteci si hanno momenti calendariali irregolari, comunque con una particolarità interessante ai nostri fini: Dione Cas­ sio, quando ne parla, quasi sempre riferisce il rituale a Cesare o a feste a lui legate. Nel 46 a. C. c'è un Troiae lusus in occasione della dedica del tempio di Venus Genetrix e del relativo trionfo di Cesare (43, "

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23) che verosimilmente ripete !"' archetipo trionfa­ le" celebrato nei funerali di Anchise; nel 40 si ha un rapporto con i Ludi Apollinares (40, 2 0 ) ; nel 29 se ne parla in occasione dell'inaugurazione del tempio di Cesare nel foro ( 5 1 , 2 6 ) . Solamente in un caso di fa cenno ad un Troiae lusus celebrato per i funerali di Druzilla ( 5 4 , 1 1 ) . Come si vede, si tratta di rife­ rimenti vaghi, che in sè non sembrano darci la reale portata calendariale di questo straordinario rituale, ma che documentano un momento " trionfale" lega­ to a funerali, inaugurazioni, trionfi, etc. Il nucleo fondamentale ed essenziale era costi­ tuito da giovani di famiglie patrizie, cosa che docu­ menta ancora l'arcaicità del lusus per la persistenza dell'antico rapporto patrizi-guerrieri, anche se qui ormai appare essersi ridotta ad una partecipazione limitata ad alcune occasioni rituali. Ad esso in età imperiale partecipavano abbastanza spesso i ram­ polli della stessa famiglia imperiale (Tac. , Ann., II, 1 1 ; Svet., Tib. , 6 ; Ner. , 7) e quasi sicuramente anche i giovani appartenenti a ricche famiglie non patrizie ( Svet. , Aug. , 4 3 ) , segno di una progressiva " libera­ lizzazione " degli usi e dei costumi arcaici un tempo riservati invece solo alle più vetuste gentes patrizie. La persistenza nel rituale di fanciulli nobili, anche se con eccezioni significative, ne attesta comunque non solo l'arcaicità, ma anche quel suo carattere di particolare sacralità sul quale hanno insistito le fonti antiche, Seneca ( Troad. , 77 1 -782) , Donato (de inter­ pr. Verg. , V, 5 6 5 ) e Plutarco ( Cat. Min., 3 , 1 ) . Come documenta Svetonio (lui., 39: Troiam lu­

sit turma duplex maiorum minorumque puerorum ) , i giovani venivano divisi i n due gruppi secondo uno scenario che è attestato anche presso altri popoli in­ doeuropei. Da un lato si schieravano i giovani più grandi, quelli che forse non superavano i 1 7 anni,

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perchè c i è detto che non avevano ancora ricevuto la toga virilis ( Svet., Tib. , 6); dall'altro, posti di fronte, c'erano i minores, quelli che giungevano fino a 1 1 anni circa, secondo un uso che tuttavia non esclude­ va la partecipazione di fanciulli persino di 6 o di 9 anni, se è permesso generalizzare i casi conosciuti di Britannico e Nerone ( Svet. , Tib., 6 ; Aug. , 7) . Le due schiere così divise per "classi d'età " si scontravano in un combattimento che, secondo il commentatore di Virgilio Donato, simulava uno scontro reale, una rappresentazione che la testimo­ nianza di Seneca ( Troad. , 777 e sgg. ) ci dice che si faceva sotto forma di una specie di danza armata. Questi aspetti del lusus, combattimento simulato e danza armata, non vanno contrapposti. Anzi, nel racconto di Virgilio sembrerebbe persino che le va­ rie circonvoluzioni, secondo una particolare danza equestre effettuata dalle due schiere dei giovani, non facciano altro che simulare lo scontro di due gruppi di guerrieri in armi. Nel periodo imperiale il com­ battimento fra le due schiere di giovani dovette as­ sumere i caratteri di uno scontro reale, nel quale era usuale procedere a combattimenti aspri, dato che ci vengono attestati alcuni incidenti la cui gravità spin­ se l'imperatore Augusto, che aveva voluto riprendere e rivitalizzare questo rituale appartenente all'arcaica religione romana e alle "radici" della propria gens, a sospenderne momentaneamente l'esecuzione ( Svet. , Aug. , 43 ) . Servio aggiunge, infine, che il premio spettante ai giovani combattenti era un elmo e due lance: " . . . a Caesare Augusto pueris qui luserant Tro­

iam, donatus esse galeas et bina hastilia " (ad Aen., 336). Fin qui abbiamo cercato d i capire il significato del Troiae lusus attraverso la rappresentazione mitica che ha dettagliatamente descritto Virgilio e la realtà

v,

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rituale i cui dati possiamo avere da ima serie non ele­ vata di fatti vari e di importanti testimonianze. Ad in­ tegrazione di quanto finora detto ci soccorre la famo­ sa oinochoe di Tragliatella, un reperto archeologico conservato ai Musei Capitolini (fig. 1 e l bis ) .

Fig. l

Fig.

lbis

L'interesse della decorazione dell'oinochoe risie­ de anche nel fatto che il vaso può essere collocato in area etrusco-latina, ossia ci documenta la presenza del Troiae lusus anche fuori del mondo romano stricto sensu, forse quale patrimonio rituale di tutti i popoli Latini, come lascia intendere lo stesso racconto virgi­ liano col suo insistere sugli archegeti dei vari popoli italici. La stessa esistenza dell'oinochoe, d'altronde, ci dice come il Troiae lusus doveva essere tanto rilevante nella cultura di quei popoli da diventare persino ma­ teria di decorazione di un vaso e perciò patrimonio acquisito e quasi ovvio della tradizione spirituale e rituale cui l'artista-artigiano si riferiva. In base agli studi del Giglioli confermati nella

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loro essenzialità dalla Martelli, s i può datare l'oino­ choe attorno all'ultima parte del VII secolo oppure ai primi del VI, poiché l'insieme della decorazione può essere rapportato allo stile della cosiddetta "ce­ ramica orientalizzante " che richiama tutto il gruppo dei Vasi Policromi. Il fregio principale del vaso comprende una sce­ na complicata divisibile in due parti. Nella parte si­ nistra troviamo sette giovani guerrieri armati, con lo scudo rotondo sul quale è raffigurato un cinghiale. Sembrano essere stati " fermati" dall'artista mentre danzano, con un piede sollevato in una specie di movimento ritmato. La processione è chiusa da un personaggio armato solamente di un tipo particolare di bastone che si è concordi nell'identificare con il geranulkos, la "guida " della danza sacra che ripete­ va quanto sul piano mitico si riteneva avesse fatto Teseo. Sul lato destro della pittografia, da un labirin­ to a sette cerchi escono due cavalieri con scudo ro­ tondo sul quale è raffigurato un volatile, ormai con­ cordemente interpretato come una gru. Il cavaliere di destra, il più vicino al labirinto, ha in mano una lancia, mentre dietro la schiena di quello di sinistra, seduto sul cavallo, appare uno strano essere che qua­ si sicuramente può essere identificato con una scim­ mia . Sull' ultimo cerchio del labirinto, il più esterno, si trova una scritta traslitterata come truia, che pare appartenere ad una terminologia di origine indoeu­ ropea. In effetti, sviluppando l'esegesi del termine trua/trulla che già Varrone (De lingua latina, V, 1 1 8 ) aveva connesso allo " scolatoio " dell'acqua, Her­ mann Diels ne deduceva che il diminuitivo trulla può significare " m ulinello " , per cui l 'iscrizione dell 'oino­ choe alluderebbe ad una " danza del mulinello " , os­ sia agli intrecci e alle circonvoluzioni che usualmente

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sembrano disegnare i delfini nei loro giochi, che poi è proprio quello che Virgilio ha descritto esattamente nell'Eneide. Non trova fondamento filologico la tesi, diffusa soprattutto presso gli studiosi e gli archeo­ logi della civiltà etrusco-laziale, che farebbe del ter­ mine truia una sorta di traduzione e/o di trascrizio­ ne adattata del nome della città di Troia. Smentisce questa ipotesi lo stesso uso speciale dei termini latini amptruare, " saltellare in cerchio " , e soprattutto re­ damptruare, che appartiene al vocabolario tecnico della danza sacra dell'antichissimo Collegio dei Salii, la cui caratterizzazione iniziatica è nota, così come il fatto che il loro rituale era incentrato su una forma di danza guerriera che spesso veniva addirittura assi­ milata a quella dei Cur.eti, i danzatori sacri dell'isola di Creta . In realtà, amptruare e redamptruare pos­ sono essere ritenuti un adattamento e uno sviluppo della f>arola truia, proprio con il significato volto " a descrivere " una speciale danza circolare ritmata . In un particolare quadro di estensione semantica, essi ci documentano che truia ha conservato il suo valo­ re rituale fondamentale e che non può affatto esse­ re considerato una semplice trasposizione del nome della città di Troia . Che ci si trovi di fronte alla rappresentazione di una parte importante della leggenda di Teseo non ci sono dubbi dopo le analisi convincenti di Mauro Menichetti che ha sviluppato, dandone una prospet­ tiva particolare, l'esegesi del mito di Teseo condotta magistralmente da C. Calame. I sette guerrieri armati di lancia e scudo, che nell'oinochoe sono accompa­ gnati da un personaggio che brandisce un bastone posto dietro la schiena mentre dirige la danza dei giovani (o che almeno è intento a ritmarla ) , sembra­ no corrispondere fin nei dettagli ai sette giovani sal­ vati da Teseo quando questi a colpi di bastone aveva

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ucciso i l Minotauro. Sono questi stessi giovani che a Delo ballano la " danza delle gru " che intendeva imi­ tare i cerchi e gli anelli del labirinto con una serie di saltelli ritmati, una speciale danza sacra cui doveva seguire poi l'offerta sacrificale fatta da Teseo al dio Apollo a Delo, l'isola sacra a questo dio, per festeg­ giare la vittoria sul mostro e la partenza da Creta . Nell'oinochoe gli anelli del labirinto sono sette, con­ gegnati in modo da ripetere un " tipo " iconografico e formale che riproduce le identiche fattezze del labi­ rinto di alcune monete cretesi, secondo un archetipo che assimila simbolicamente i sette giovani, i sette anelli e i sette ritmi della danza, come d'altronde la­ scia intendere anche il fatto che per accompagnare la danza dei giovani Teseo usa l'apollinea lira, le cui corde sono sette e le cui vibrazioni ritmiche si rite­ neva avessero un rapporto musicale basato, ancora, sul numero sette. Nell'oinochoe appare fondamentale l'immagine del labirinto cui, non casualmente, allude anche Vir­ gilio nella ricostruzione del rituale del Troiae lusus, così come nella sua descrizione della porta dell'antro della Sibilla Cumana fatta nel libro VI dell'Eneide. Si tratta di un simbolo antichissimo che con varie modalità si ritrova in tutte le civiltà superiori, dal Paleolitico fino al nostro Medioevo, con l'intento specifico di illustrare le varie difficoltà che incontra l'eroe per arrivare al "centro " della realtà s p irituale che quell 'immagine intende rappresentare. È perciò il simbolo degli ostacoli interiori che egli deve su­ perare per scoprire il tesoro che porta in se stesso, tutti i legami che bisogna recidere, il " mostro" che si deve " uccidere " , il caos che bisogna ordinare prima di scoprirsi sovrano della propria dimensione divi­ na . Nel nostro caso queste difficoltà si arricchiscono con la figura del mostro che Teseo deve uccidere per

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poter " uscire " dal labirinto, scandire trionfalmente i ritmi del cosmo che la danza rituale delle gru sem­ bra riprendere e, finalmente, rinascere ad una nuova vita che nel suo caso coincide anche con l'accesso alla regalità. È quanto ci dice ancora questa straor­ dinaria oinochoe quando rappresenta i due cavalie­ ri che fuoriescono dal labirinto. Il primo cavaliere, il più lontano dalla figura labirintica, ha dietro di sé una scimmia accoccolata sul cavallo, un simbolo funerario ben conosciuto che si ritrova abbastanza diffusamente nell'area etrusco-latina anche in' alcune fibule della tomba di Bocchoris, e che già Paolo San­ tarcangeli associava al " mangiatore del cadavere " della tradizione funeraria egizia . È la raffigurazione della dimensione " oscura " di questa straordinaria pittografia . Il secondo cavaliere, armato di lancia, è la controparte " positiva " del primo, esprime il mo­ mento trionfale della vittoria sul mostro del labirin­ to, la " vita " dopo la " morte " , il " rinascere " a nuova vita dell'eroe che ha saputo superare le insidie dei meandri labirintici. I due cavalieri rappresentano perciò i momenti essenziali della danza labirinti­ ca, !"'entrata " e !"' uscita " , la dimensione notturna e quella luminosa, personificano i due a spetti del simbolismo della spirale, il cui schema-base è stato sostanzialmente ripreso nelle circonvoluzioni della " danza delle gru " . Per usare le parole di P.Borgeaud, ci troviamo alla presenza di un rituale che permette la simbolica "entrata nel palazzo chiuso del re " . È uno scenario iniziatico che viene rappresen­ tato, là dove il cavaliere armato di lancia è colui che avendo superato le difficoltà simbolizzate dalla tortuosità del labirinto, è finalmente entrato nella pienezza della propria funzione guerriera . Il simbo­ lo della lancia qui presente non è casuale. Come ci conferma la formula della exterminatio delle Tabu-

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lae Eugubinae VI b , 5 9 , quando s i riferisce a tutto un gruppo di "giovani con o senza lancia" , si tratta dello stesso simbolo che presso i popoli italici con­ trassegnava i maggiorenti nella pienezza delle loro funzioni giuridico-sacrali e che accompagna signifi­ cativamente anche molte figure divine delle incisioni rupestri della Valcamonica e del Bohiislan svedese con lo stesso significato simbolico e rituale. Proprio per questo insieme di ragioni che scaturiscono tutte dalla sfera del sacro, nel mondo romano il possesso della lancia non è legato solamente all'acquisizione della virilità guerriera, ma anche all'esercizio dell'au­ torità pubblica e alla potestà giuridica di alcune ma­ gistrature. Contrassegna l'equilibrio e lo status di un'autorità sovrana . L'emblema della gru portato sullo scudo dei guerrieri della raffigurazione dell' oinochoe ci parla dell'avvenuto cambiamento interiore del giovane, della trasformazione iniziatica che lo rende adatto alla sua nuova vita di guerriero maturo, perché la gru, in un suo aspetto, è il simbolo delle trasfor­ mazioni cicliche che la " danza delle gru " effettuata dopo la vittoria di Teseo sul mostro del labirinto, indica nel modo migliore. D 'altronde, i personaggi dell'oinochoe sono stati raffigurati proprio mentre effettuano una danza guerriera, un tipo di danza che in Grecia coniuga spesso un simbolismo cosmico con uno iniziatico e che qui, in questo rituale, ap­ paiono strettamente connessi. Ripetendo l'archetipo celeste delle "gru danzanti " , i guerrieri dell'oinochoe concorrono ad ordinare il cosmo e partecipano del valore spirituale dei ritmi celesti ravvivati. Anche il cinghiale raffigurato sugli scudi dei guerrieri danzanti ci riporta ad un simbolismo lega­ to alle iniziazioni guerriere e perciò ancora al ciclo della morte e della rinascita . In Grecia, in molte leg-

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gende il cinghiale spesso si ritrova associato ai guer­ rieri, agli Eroi e alle loro imprese di caccia . Possono essere considerate "esemplari" a questo proposito quella di Meleagro che viene aiutato da Atalanta ad uccidere il cinghiale di Calidonia, oppure quella di Herakles che cattura il cinghiale di Erimanto. Sono miti nei quali si sono conservate rappresentazioni che alle origini " illustravano" quei rituali guerrieri nei quali la caccia assumeva i contorni di una vera e propria forma di iniziazione. Particolare di notevole rilevanza, questi mitologhemi spesso connettono gli Eroi alla figura di Chirone, il centauro famoso per la sua sapienza che veniva considerato, fra l'altro, l'archegeta della danza sacra, l'educatore e il mae­ stro d'armi di un gran numero di Eroi. Ci troviamo di fronte a sopravviventi scenari iniziatici di un tipo molto arcaico, rapportabile al mondo dello sciama­ nesimo che proprio a causa della loro primordialità, nella Grecia storica hanno assunto caratteri accen­ tuati di "cultura crepuscolare " che spesso solamente il mito ha potuto conservare. L'ultima scena dell'oinochoe si trova posta ac­ canto al lato destro del labirinto e raffigura dei gio­ vani distesi mentre si accoppiano. Mauro Menichetti, che qui segue e adatta ad hoc le spiegazioni di C. Ca­ lame, interpreta questa strana raffigurazione erotica come una forma di hieros gamos che l'artigiano ha volutamente posto in relazione con l'uscita del guer­ riero dal labirinto e con la conclusione positiva delle prove ihiziatiche. Non si tratta di un particolare se­ condario, ma di un simbolo che va letto in rapporto alle altre raffigurazioni e che dà consistenza all'intera scena dell'oinochoe. Il rituale dello hieros gamos, in­ fatti, intende effettuare una rigenerazione universale e comporta un rinnovamento cosmico che contras­ segna prerogative appartenenti alla funzione sovra-

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na. L'iniziazione labirintica che questo straordinario artigiano italico ha posto davanti ai nostri occhi, si conclude così in una figura regale dalla quale anche la stessa natura riceve energia fecondante in virtù del­ la centralità cosmica che appartiene al nuovo Re. La scena dei giovani che si accoppiano è raffi­ gurata in corrispettivo di uno strano graffito posto all'estremità sinistra dell'oinochoe. È la pittografia di due troni cori alta spalliera che chiariscono e com­ pletano il rapporto della rigenerazione universale con la regalità cui tende l'intera rappresentazione e che, d'altronde, è comune ad un gran numero di civiltà. Si tratta della dottrina della fecondità universale connes­ sa all'intronizzazione di ogni nuovo sovrano che per es. le monarchie del Vicino Oriente hanno conservato fin in epoca storica, che arrivava in certi casi ·a pre­ tendere la perfezione fisica del sovrano la cui persona veniva considerata il "riflesso" umano della perfezio­ ne celeste e perciò in grado di congiungere il Cielo e la Terra, assimilabile per molti aspetti allo stesso axis mundi. Tutto ciò può dare ragione di un'inter­ pretazione di Mauro Menichetti fatta propria anche da Mario Torelli. La raffigurazione dell'oinochoe non fa che ordinarsi attorno ad un rito di passaggio che tocca prima i pedites, poi gli equites ed infine i reges, come a dire che l'intera struttura sociale culmina nel­ la persona del re il quale, come in moltissime società arcaiche, sintetizza nella propria funzione sovrana le varie articolazioni del corpo sociale. Il commento di Servio che identificava le tre schiere del lusus virgilia­ no alle tre tribù primitive di Roma, viene così confer­ mato da questo straordinario reperto che addirittura ci conduce nell'ambito di un organismo iniziatico la cui strutturazione sembra ordinarsi attorno a quella che il Dumézil ha definito una "teologia trifunziona­ le" , la stessa che si trova quale specifico patrimonio in

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tutto il mondo indoeuropeo. Lo scenario che il racconto virgiliano, il rituale romano e l'oinochoe di Tragliatella ci hanno messo sotto gli occhi è complesso. Il Troiae lusus appare come un rituale di iniziazione guerriera che trasfor­ ma il giovane candidato e lo assimila ad un Re. Dalla iniziale appartenenza al gruppo delle donne, conside­ rato uno stato informe che come in tutte le società arcaiche viene evidenziato dai capelli lunghi femminei e dal fatto che poi il rito si svolgerà in presenza di soli maschi, dopo la simbolica entrata nel labirinto che veniva assimilata ad una vera e propria " morte " , at­ traverso !"'ingresso " in una dimensione caotica dalla quale deve uscire con il combattimento che con ogni probabilità simula quello archetipico contro il mostro del disordine e del caos, il guerriero riappare final­ mente con le insegne del suo nuovo status e come vin­ citore della morte. Adesso è un Re che rigenera la vita cosmica : adorno della Corona di luce, ci dice la leg­ genda di Teseo; oppure con il torques del rituale ro­ mano di cui parla Svetonio (Aug., 43 ) ; oppure con la corona descrittaci dal testo di Virgilio, che Servio or­ mai interpreta poveramente come un semplice elmo. Il fatto che il Troiae lusus sia un rituale di inizia­ zione guerriera e regale getta un po' di luce sul per­ ché Virgilio fa culminare la propria rappresentazio­ ne nel personaggio di ]ulus. Nel giovane guerriero, infatti, vengono a realizzarsi i vari aspetti del rituale che man mano abbiamo studiato, i quali per Virgilio non sono puramente indicativi, ma concorrono tutti insieme a delineare l'immagine di colui che sarà : 1 ) re e fondatore di Alba Longa; 2) capostipite di quella gens ]ulia destinata ad essere la fondatrice e la depositaria della funzione imperiale; 3) colui nel quale le virtutes di Cesare e di Au-

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gusto s i trovano già presenti nel loro momento ar­ chetipico. È un percorso simbolico che si snoda a partire dalla dèa Venere e che attraverso la persona di Julus giunge fino ad Ottaviano, la stessa "successione" che si riflette nella trafila che da Troia porta ad Alba Longa e poi a Roma: ci troviamo di fronte alla delineazione di un destino sovrano che tocca contemporaneamente ed in modo indissolubile la gens Julia e la città di Roma. Che Virgilio presenti questo rituale nell'ambito dei tanti mitologhemi arcaici che arricchiscono la narrazione dell'Eneide è nella natura delle cose. La costruzione dell'impero ad opera di colui che era ri­ tenuto il legittimo erede di ]ulus assume gli stessi ca­ ratteri "creativi " della fondazione di una città sacra, quella trasformazione del caos indistinto in un uni­ verso ordinato che intende imitare l'atto cosmogoni­ co originario, per di più ad opera di quell'Augustus che in questa sua stessa attribuzione sovrana sembra far riemergere la memoria delle più vetuste inizia­ zione guerriere che avevano dato corpo alla città di Roma . Queste tradizioni potrebbero persino dare significato profondo a quelle leggende che descrive­ vano i primi giovani raccoltisi al seguito di Romolo come dei poco raccomandabili masnadieri dediti più alla rapina e al brigantaggio che all'agricoltura tanto decantata invece dagli scrittori latini di ogni tempo . Il Troiae lusus documenta come i n piena età sto­ rica quella che può essere definita una sorta di pri­ mordiale concezione della sovranità, ha costituito una delle basi rituali sulle quali è stato edificato l'Impero1 • l

Per lo stato della questione, cfr. Mehl, s. v. , Real Encycl. , suppl. VIII , 1 956, pp. 8 8 8 e sgg. Sui rituali guerrieri del mondo indo­ iranico resta fondamentale S. Wikander, Der Arische Miinner­ bund, Lund 1 93 8 . Più in generale vd. G. Dumézil, Rituels in­ do-européennes à Rome, Paris 1 954; Id., Heur et malheur du

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guerrier, Paris 1 969. Le iniziazioni guerriere in Grecia sono state studiate da A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma 1 969, e, prima, da H.Jeanmaire, Couroi et Courètes, Lille 1 93 9 (cfr. la lunga recensione di L. Gernet, Structures sociales et rites d'adolescence dans la Grèce antique, in " Revue cles Ètudes Grecques " , 57, 1 944, pp.242-248 ) . Si possono aggiungere L. Gernet, Le gènie grec dans la religion, Paris 1 970, pp. 6 8 9 6 ; F.Vian, L a guerre des Géants. L e mythe avant l'èpoque hellènistique, Paris 1 952 ; Vidal-Naquet, Le Chasseur noire.

Formes de pensèe et formes de sociètès dans le monde grec, Paris 1 9 8 1 ; N.D' Anna, Il Divino nell'El/ade, ECIG, Genova 2004, c.IV. Per quanto riguarda Roma, cfr. M Torelli, Riti di passaggio maschili di Roma arcaica, in "Mélanges de l'Ècole Française de Rome" (MEFR) , t. 1 02, fase. 12, Roma 1 990, pp. 9 3 - 1 0 6 (part. pp.96-9 8 ) ; L. Gerschel, Corio/an, "Hommages à Lucien Fèvre", II, 1 953, pp. 33-40 ; R.Schilling, ]anus. Le dieu intro­ ducteur, le dieu des passages, in "Mélanges de l'École Française de R ome ", 72, 1 969, pp. 123 e sgg. ; N.D'Anna, Il Dio Giano, Sear Edizioni, Scandiano (R.E.), 1 992, pp. 6 1 e sgg. Sul ver sacrum, J.Heurgon, Trois études sur le "ver sacrum ", Bruxelles 1 957; A.Eisenhut, s.v., "Real.Encycl.", coli. 9 1 1 923 ; R.Del Ponte, Dèi e miti italici, Genova 1 9 8 8 , pp. 1 25 e sgg. Il significato delle migrazioni giovanili nel mondo indo­ europeo fu indicato nel vecchio libro di G. Dumézil, Mythes et dieux des Germains, Paris 1 939, c.III. Il "mito troiano" posto alle origini della fondazione di Roma si trova studiato nella monumentale opera di J. Gagè, Apollon R omain, Paris 1 955, pp.445-478. Cfr. J.Perret, Les origines de la lègende troyenne de Rome, Paris 1 942 ; F. Boemer, Rom und Troia. Untersuchungen zur Fruhgeschichte Roms, Ba­ den-Baden 1 95 1 ; A. Alfoldi, Die Trojanischen Urahnen der Romer, Basel 1 957; M Sordi, Il mito troiano e l'eredità etrus­ ca di Roma, Milano 1 989; H.Hubeaux, Rome et Veies, Paris 1 95 8 ; F.Zevi, Note sulla leggenda di Enea in Italia, in Aa.Vv. , Etruschi e Roma, 1 98 1 , pp. 1 3 9 e sgg.; G.Dury-Moyaers, Enée

et Lavinium. A propos des découvertes archéologiques ré­ centes, (coli. Latomus, vol. 1 74 ) , Bruxelles 1 9 8 1 . L a leggenda d i Teseo è stata analizzata con ampiezza da C.Calame, Thésèe et l'imaginaire athènien. Legènde et culte en Grèce antique, Lausanne 1 990. Cfr. pure J.Neils, The Youthful Deeds of Theseus, Roma 1 987. Per la caccia sacra e la sua equivalenza con la guerra, Brelich, Gli Eroi Greci, Un problema storico-religioso, Roma 1 978, pp.204 e sgg.; Durand-Schnapp, Uccisione sacrifica/e e Cacce

GENS J U L I A E TROI A E LUSUS

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iniziatiche, i n A.Pontrandolfo (a cura ) , L a città delle immagini, Modena 1 9 8 6 , pp.45 e sgg. Sulla ceramica italica dell'VIII-VI secolo, cfr. M. Martelli, La ceramica orientalizzante, " Ceramica " , 1 9 8 7, pp. 1 6 e sgg.; pp.225 e sgg. ; Id., Per il pittore delle Gru, " Prospettive " , 48, 1 987, pp.2 e sgg.; j.G. Szilagyi, Ceramica etrusco-corinzia figu­ rata. Parte I : 630-580 a. C., Firenze 1 992, pp. 82 e sgg. Sull'oinochoe di Tragliatella, oltre il vecchio, buon G. Q. Giglioli, L'oinochoe di Tragliatella, " Studi Etruschi " , VIII, 1 929, pp. 1 1 1 e sgg., abbiamo soprattutto tenuto conto degli studi di M.Menichetti, Archeologia del potere, Milano 1 994, pp.57-65 ; Id., L'oinochoe di Tragliatella : mito e rito tra Grecia e Etruria, " Ostrak a " , l, 1 , 1 992, pp.? e sgg. Cfr. pure Detienne, La grue et le labyrinte, MEFR, 95, 1 98 3 , pp.541 e sgg. Intenti diversi si trovano in Van der Meer, Le jeu de Truia,

Le programme iconographique de l'oinochoè de Tragliatella, " Ktema " , Xl, 1 986, pp. 1 6 9 e sgg. Gli studi classici sul labirinto sono quelli di K.Kerényi, Saggio sul Labirinto, Torino 1 983 ; M. Cagiano de Azevedo, Saggio sul Labirinto, Milano 1 9 5 8 (part. pp. 3 7-3 8 ) ; P. Santarcangeli, l/ libro dei Labirinti, Firenze 1967; Hooke (cur. ) , The Laby­

rinth. Further Studies in the relation between Myth and Ritual in the Ancient World, London 1 93 5 . Cfr. pure P.Borgeaud, The Open Entrance to the Closed Palace of the King. The Greek Labyrinth in Context, "History of Religions " , XN, 1 974, pp. 1 e sgg ; P. R. Doob, The Idea of the Labyrinth from classica/ antiquity trough the middle ages, lthaka 1 990 ; H. Diels, Das Labyrinth, in Aa.Vv., Festgabe von Fachgenossen und Freun­ den A.von Harnack, Tiibingen 1 92 1 , pp. 6 1 -72.

CAPITOLO SECONDO CESARE E LA SOVRANITÀ ARCAICA

La storia straordinaria della gens Julia esce dalle nebbie della leggenda e acquista uno spessore e un rilievo storico di portata incalcolabile quando appa­ re la personalità di Caio Giulio Cesare. Non sono le straordinarie vicende politiche e le strepitose vitto­ rie militari che qui interessano, ma alcuni elemen­ ti essenziali di tipo sacrale che mostrano come la costruzione politica di Cesare possa considerarsi, e tale indubbiamente fu per il Protagonista, la culmi­ nazione di un retroterra spirituale dalle più diverse connotazioni, persino con aspetti escatologici legati alle attese messianiche proprie ai misteri del tardo dionisismo, se si deve dar credito a Servio quando accenna al ruolo del grande conquistatore nell'intro­ duzione del dionisismo a Roma (ad Egl. V, 20: Hoc

aperte ad Caesarem pertinet, quem constat primum sacra Liberi Patris transtulisse Romamj l . Né si può ritenere che tale fatto possa essere ricondotto ad un 1

Cfr. F.Cumont, Les religions orienta/es dans le paganisme ro­ main, Paris 1 929, p.303; P.Maury, Le secret de Virgile et l'ar­ chitecture des Bucoliques, " Lettres d'Humanité " , III, 1 944, pp. 1 3 7 e sgg., e n. l. Nè i cenni al dionisismo in Virgilio sono episodici ed anzi sembrano "toccare " aspetti importanti di ri­ tuali molto vicini alle forme sacre della più antica religione latina. Cfr. E. De Saint-Dénis, A' propos du eu/te de Bacchus (Virgile, "Georg.", Il, 3 85-3 96), " Revue beige de philologie et d'histoire " , 1 949, pp. 702-7 1 2 ; Id., Le chant de Silène à la lumière d'une découverte récente, " Revue de Philologie " ,

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atteggiamento occasionate e secondario dell'attività di Cesare. Nell'azione e nel ruolo complessivo del dictator, infatti, la dimensione sacrale pare sempre prendere consistenza non in una generica religiosità, ma in una particolare prospettiva tesa a dare ad ogni sua costruzione politica e ad ogni vittoria militare un retroterra rituale dal respiro universale. I rapporti di Cesare con la religione arcaica ro­ mana sono complessi. Si pensi alla nota, orgogliosa affermazione sulle origini divine della gens ]ulia fat­ te risalire alla dèa Venere e dunque direttamente allo stesso ]upiter, il re degli dèi, in un tempo nel quale, come nel 1 o secolo a . C . , l'importanza della dèa Ve­ nere era cresciuta a tal punto da diventare centra­ le non solo nei culti gentilizi, ma anche nelle stes­ se istituzioni romane2. F. Ribezzo nel 1 93 03 in una brevissima notazione rilevava che secondo lo stesso Cesare, seguito probabilmente persino da Virgilio, vi sarebbe una " continuità etimologica dell'eponi­

mo ]ulus, già da Cesare indicato come origine della

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1 963, pp.23-40; P.Scazzoso, Riflessi misterici nelle Georgiche di Virgilio, " Paideia " , 1 956, pp. S-2 8 . Cfr. soprattutto R.Schilling, La religion romaine de Venus de­ puis /es origines jusq 'au temps d'Auguste, Paris 1 982, pp.272 e sgg.; S.Weinstock, Divus Iulius, Oxford 1 971 , pp. 1 5 - 1 8 ; pp. 80-9 1 . F.Ribezzo, L'etimologia di Iulus da lu-piter in Cesare e Virgilio, " Rivista Indo-Greca-Italica " , XVI, 1 930, p. 74, dove viene sviluppato un punto di un suo precedente studio su Mil­

lennio Cumana e Mecenatismo Cesareo nella IV egloga di Vir­ gilio. Il Ribezzo nella sua breve nota ricorda che il "magnum ]avis incrementum" di Egl. IV, 49, trova in questo rapporto ]ulus-]upiter la sua spiegazione più ovvia. Cfr. pure I.Paladino, Cesare e Iuppiter, in Aa.Vv. , Aya6i( eì.7tiç. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi, a cura di G.Sfameni Gasparro, Roma 1 994, pp. 1 8 7- 1 95 , che ne sviluppa i punti più importanti e perfeziona con nuovi argomomenti la tesi di fondo anticipata da F. Ribezzo.

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gens Julia, con la base del nome Ju-piter "4, l a qual cosa permetteva di concludere in una specie di gioco etimologico non lontano dalle speculazioni sull'eti­ mo dei nomi sviluppate da Nigidio Figulo, per cui Ascanio -]ulus era un Jove ortus e in definitiva Ju­ lus era "lo stesso nome di Giove per diminutionem declinatum paululum "S, che è poi quanto ci indica lo stesso Virgilio ( Georg., III, 3 5 ) , là dove elenca i nomina degli Julii ( qui considerati come "quae de­ missae ab ]ove gentis nomine " ) a partire da Jupiter fino ad Apollo Cynthius, ossia fino a quel dio che la teologia contemporanea a Virgilio riterrà " incarna­ to " in Ottaviano Augusto, l'ultimo Julus6• La desi­ gnazione nel 63 a C. alla carica di Pontifex Maxi­ mus, da Cesare voluta con tutti i mezzi nonostante l'opposizione fortissima e continua dei suoi nemicF, che egli invece considerava una carica appartenent� di diritto fin dalle origini alla propria gens perché ereditata direttamente da ]ulus, il figlio di Enea, ac­ quista così i connotati non di un espediente politico, ma di una precisa " elezione " religiosa nel cui am­ bito egli potrà apparire come il " prolungamento " 4

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Bisogna poi ricordare che secondo alcuni Cesare era anche l'autore di un'opera perduta, De analogia, in cui sosteneva l'uniformità sintattica della grafia, della pronuncia e della fles­ sione, cosa che farebbe pensare alle dottrine etimologiche svi­ luppate da Publio Nigidio Figulo e da Varrone. Ibid., p. 74. Cfr. Anche Dione Cassio, XLIV, 6, 4, secondo cui il rapporto Jupiter-Julus era cosa ovvia. Servio Dan. (VA, l, 259) collega addirittura questo rapporto " familiare" ad un culto gentilizio risalente allo stesso figlio di Enea : Ascanius . . . ei

templum condidit et Iovem Indigitem appellavit. 6 7

Suet., Aug., 94, 4; Dione Cassio, XLV, l , 2. Plut. , 7, l ; Suet. , Caes., 1 3 . Sul significato di questa figura sa­ cerdotale cfr. R. Del Ponte, La Religione dei Romani, Milano 1 992, pp. l 07 e sgg. Sulle implicazioni etimologiche restano fondamentali E.Evangelisti, Per l'etimologia di Pontifex, Bre­ scia 1 978, e H.Fugier, Recherches sur l'expression du sacré dans la langue latine, Paris 1 963, pp. l 6 1 - 1 72.

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umano di uno status spirituale incentrato nella fi­ gura di ]upiter, quasi una sua speciale epiclesi alla quale egli sembrava ricondurre la dimensione sovra­ na della propria attività politico-sacrale8• La tradizione riportata dagli antichi che voleva Cesare il naturale candidato alla carica di Flamen Dialis dopo anni di " vacanza " , candidatura osteg­ giata con durezza inflessibile da Silla, trova qui, in questo straordinario ruolo sacrale della gens ]ulia9 la propria spiegazione, anche se i risvolti politici che l'intervento di Silla presuppongono, sembrerebbero mettere in ombra le radici spirituali della candidatu­ ra di Cesare, ma parimenti danno rilievo all'eccezio­ nale personalità di quel giovane che il potente Silla si trovava di fronte. La carica di flamen dialis era vacante dal tempo dell 'uccisione di L. Cornelio Merula nell ' 8 7 a . C . , e potè finalmente essere nominato un nuovo flamen dialis solamente nell' l l , sotto l'impero di Augusto. Considerata l'essenza spirituale di questa carica sa­ cerdotale che faceva di questo sacerdote l'immagine terrena di ]upiter, il fatto che il giovane Cesare fosse designato a ricoprirla quasi come qualcosa di natu­ ralmente appartenente alla propria gens, non può es­ sere interpretato in modo superficialmente politico. Qui abbiamo di fronte un ulteriore segno del fatto che i discendenti della gens ]ulia non solo avevano

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Sull'unicità del tentativo spirituale di Cesare cfr. F.Altheim, La religion romaine antique, Paris 1 955, pp. 2 1 2-2 1 8; vd. pure j.Carcopino, Points de vue sur l'imperialisme roman. La royau­ té de César et l'empir universel, Paris 1 949, pp. 8 9 e sgg. Da parte sua S.Weinstock, Divus Julius, Oxford 1 9 7 1 , valorizza gli elementi sacrali di tutta l'attività politico-militare di Cesare. Già C.Koch ( G iove romano, Roma 1 9 86, pp. 1 2 7 e sgg. ), ap­ poggiandosi agli studi di E.Norden, F. Miinzer e W.Hoffmann, aveva messo in risalto gli aspetti "sacerdotali" della funzione storica della gens fulia.

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uno speciale rapporto con il dio Jupiter, m a copri­ vano all'interno della società romana una funzione sacra le centrale che D ione Cassio ( 44, 6, 4) ha cura di precisare segnalando il decreto del Senato che sanzionò un culto straordinario ad uno Zeus Julios come egli dice, ossia ad uno Jupiter Julius che in sé parrebbe non avere alcun significato all'interno della struttura religiosa romana, ove si prescindesse dalle radici " divine " rivendicate dalla gens Julia e da quel­ le dello stesso Cesare poste nella spiritualità propria al sommo dio del pantheon romano. In tale contesto può essere inquadrato anche lo strano culto gentilizio che la gens Julia era tenuta ad officiare nei confronti dell'enigmatico ed arcaico dio Vediove, che Ovidio (Fast. III, 4 3 7 ) assimila a Jupi­ ter iuvenis. L'iscrizione su un sacrarium gentis Juliae scoperto a Boville ( " Vediovei patri l gentileis ]uliei ,, , C.I.L., I , 8 0 7) documenta l'esistenza di questo culto gentilizio fin dai tempi di Alba Longa, uno Jupiter straordinariamente diverso daWOptimus Maximus ufficiale, le cui attribuzioni Aulo Gellio non teme di rapportare a quelle dell'Apollo ellenico quale dio della peste che scaglia frecce mortifere (cfr. l "' id est ( =Giove ) sagittandi peritus" di Serv. , ad Aen., I, 267), venerato nell'isola Tiberina e su l Campidoglio. Dice Aulo Gellio ( Noct. Att. , V, 1 2, 1 1 9 ) : "La statua di

Vediove che si trova nel tempio di cui ho parlato, ha in mano delle frecce destinate evidentemente a nuo­ cere. Ecco perché spesso si è identificata tale divinità ad Apollo, le si immola secondo il rito "umano , una capra e di questo animale si trova una effigie accanto alla statua ,. Non potrà sfuggire ai nostri fini l'im­ portanza di questa apparentemente strana assimila­ zione ]upiter Vediovis/Apollo, così come il fatto che la gens Julia aveva il privilegio del suo culto da tempi immemorabili, riconosciutole formalmente da una

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/ex Albana. Secondo la testimonianza di Dione Cas­ sio ( 44, 6 , 4) sembra persino che lo stesso Cesare una volta divinizzato venisse identificato a Vediovis10• Come si vede, la vicinanza della gens ]ulia ad Apollo e ad alcune particolari epiclesi di questo dio può far­ si risalire a molto prima che Ottaviano trasformasse il culto apollineo in un elemento fondamentale della sua costruzione politica. La riforma cesarèa del calendario deve esse­ re collocata nell'ambito delle competenze sacrali e rituali proprie al Pontificato Massimo. Secondo un'antica consuetudine, quando nel corso del tem­ po si venivano a creare delle sfa,sature nel computo calendariale, il Pontifex Maximus interveniva e per rettificare il calcolo arrivava persino ad introdurre un tredicesimo mese che doveva riequilibrare il tem­ po reale con i punti di riferimento celesti. Per risol­ vere i vari inconvenienti Cesare incaricò l'astronomo Sosigene di Alessandria di calcolare la durata esatta dell'anno e questi ne pose al P gennaio l'inizio ar­ monizzando così il calendario liturgico con le scan­ sioni astronomiche, cosa che per le sue implicazioni inevitabilmente introdusse alla successiva " teologia solare " e al cosiddetto " misticismo astrale " 1 1 • La riforma non fu solo un fatto tecnico-pratico. Essa si pone come una vera e propria azione pontificale

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Cfr. L.R.Taylor, The Divinity of the Roman Emperors, Middle­ town 1 95 1 , pp. 6 8 e sgg., che però pare stupirsi della cosa e sorvola troppo sul legame di Vediovis con la gens ]ulia. Ma vd. C.Koch, Giove romano, cit. , pp. 1 3 1 e sgg. , che fra l'altro interpreta il termine Ve-Diovis come un "piccolo Jupiter" , un " discendente di Jupiter " ; cfr. pure M.Longhi, Vejovo ed Apol­ lo, " Capitolium " , XV, 1 940, pp. 789 e sgg.; S.Weinstock, Di­ vus Iulius, cit., pp. S-12; A.Alfoldi, Redeunt Saturnia regna. III. ]upiter-Apollo und Veiovis, " Chiron " , 2, 1 972, pp.2 1 5 -230. Cfr. M.P. Nilsson, Sonnenkalender und Sonnenreligion, in Id., Opuscula Selecta, II, Lund 1 952, pp.495 e sgg.

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adempiuta nell'ambito di quelle funzioni che posso­ no essere ricondotte ad una vera e propria " signoria del tempo " , simile per es. a quella espletata dai so­ vrani ellenistici che nel nostro caso può essere riferi­ ta solamente ad una delle competenze legate proprio alla carica di Pontifex Maximus12• Dario Sabbatucci, inoltre, ha potuto riferire le perfette conoscenze giu­ ridiche di Cesare ancora alla sua funzione pontifica­ le, sulla stessa linea di quella riforma che aveva per­ messo il passaggio dallo jus gentium allo jus civile e che si era concretizzata nella formulazione di un di­ ritto scritto ad opera del pontefice Q. Mucio Scevo­ la 13• La stessa compilazione dei famosi Commentari i può essere vista come un ulteriore prolungamento dell'azione pontificate di Cesare. La loro formulazio­ ne in terza persona, in uno stile atono e impersonale, induce a pensare che Cesare nella loro formulazione adempisse ad una funzione sacra vicina a quella dei magistrati che dovevano compilare gli Anna/es, che espletasse un ufficio che non faceva altro che ripren­ dere l'antica tradizione secondo cui era compito dei Pontefici registrare i trattati, le guerre, le magistratu­ re e formulare dunque i relativi Commentari14• Attorno al 46 a . C . può essere fatta risalire la co­ stituzione dei Luperci ]ulii che assieme a molti altri dati cultuali costituivano il segno dell ' " elezione " di­ vina della persona di Cesare15, i quali poterono af­ fiancarsi ad una delle più antiche e strane istituzioni dell'antica Roma, esistente già fin dalle stesse sue origini . I Luperci erano costituiti da due confrater-

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Ha attirato l'attenzione su tale questione D. Sabbatucci, Lo Stato come conquista culturale, Roma 1 9 84, p . l l O . Sabbatucci, op. cit., pp.64 e sgg. Ibid., pp. 1 06 e sgg. Cfr. Svet. Caes., 76; Dione Cassio, 44, 6, 2; 45, 30, 2; Cic., Phil., 1 3 , 3 1 .

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nite che facevano risalire la loro origine addirittura a Romolo e Remo, i Gemelli archegeti fondatori di Roma 1 6• Nel periodo storico questi sodalizi portava­ no i nomi delle due gentes Quinctiales e Fabiani. Si tratta di una tipica forma di struttura sociale duali­ stica che si ritrova presso un gran numero di popoli di cultura arcaica. La rivalità dei due gruppi attesta­ ta in vari modi, sembra potersi ricondurre all'antica lotta con valore archetipico dell'eroe bianco contro quello nero presente nei rituali dei popoli indoeuro­ pei, la cui vittoria contribuisce all'ordinato scorrere dei ritmi cosmici e alla "ricomposizione " dell'ordi­ ne sociale. A Roma il tipo particolare di " società di uomini" che si invera nei Luperci rivela accentuati caratteri iniziatici che trasformano i giovani appar­ tenenti a tali confraternite in guerrieri selvaggi e bru­ tali, in " lupi" che il calendario liturgico con la sua rigidità e con le sue inevitabili costrizioni, ha voluto stabilizzare ai margini dell'ordinata società civile or­ mai urbanizzata . È possibile che i rituali di tali so­ dalizi tendessero, fra l'altro, ad assicurare al giovane lupercale una potenza spirituale e magica quale in epoca proto-storica si riteneva possibile acquisire normalmente, come era d'altronde usuale nelle si­ milari " società di giovani uomini" presenti in tutta l 'area coperta dai vari popoli indoeuropei. Se si fa derivare il termine lupercus da lupus (come nel caso di luperca da lupa; noverca da nova; Mamercus da Mars oppure da Mamertus) , si ottiene una facile connessione ricca di implicazioni religio­ se con la leggenda della lupa che allatta i Gemelli, che riporta ancora alle tante similari confraternite 16

Cfr. Plut., Rom., 2 1 ; Dionigi d'Aiicarnasso 1 1 , 2 6 7 e sgg. È interessante la tesi dell' Alfoldi (Die Tro;anischen Urahnen der Romer, Base) 1 957) che ritiene i Luperci un residuo dei miin­ nerbunde della protostoria indoeuropea .

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di guerrieri-lupi presenti in tutto il mondo indoeuro­ peo. Non pare ormai accettabile invece la tesi, dife­ sa stranamente anche da Martin Nilsson, che da un lupum arcere derivava un'interpretazione storico­ primitivistica un po' cervellotica e fortemente limita­ tiva, per cui i Lupercalia avrebbero avuto la funzione di allontanare i lupi che insidiavano i greggi di capre attorno al Palatino. Una versione della leggenda racconta significa­ tivamente che fu Faunus a fondare i Lupercalia in onore del dio Pan Lykaios, mentre Dionigi d'Alicar­ nasso (1, 8 0 ) precisa che erano stati i due Gemelli assieme ai rispettivi sodalizi ad istituire il sacrificio al dio Pan ( dove è notevole l'assimilazione Pan/Faunus per lo spessore che questo dio assumerà nella poesia pastorale e nelle Egloghe virgiliane per il suo rappor­ to con l'Arcadia ) , dando così inizio a questo rituale tanto strano ed inusuale. Durante la loro festa i Lu­ perci indossavano sul corpo nudo le pelli delle capre precedentemente sacrificate e, dopo aver mangiato allegramente e bevuto abbondantemente ( si è ipo­ tizzato che nel rituale un ruolo fondamentale avesse il sycites, un liquore ottenuto con la fermentazione dei fichi sacri, con tutta probabilità ricavati dal fi­ cus ruminalis che, si dice, provocava in tale bevuta una specie di lucida ebbrezza ) , effettuavano di corsa la circumambulazione del Palatino (il colle che se­ condo le tradizioni più vetuste è il luogo sul quale sarebbe stata fondata originariamente Roma, il ca­ put mundi) , e colpivano con strisce di pelli di capra quelle donne che intendevano in tal modo curare la loro sterilità e ottenere così la fecondità tanto ago­ gnata. Plutarco conferma che il loro rituale inusuale e ancora selvaggio conservava tracce di un periodo nel quale la funzione guerriera era connessa a tratti iniziatici che egli così delinea rapidamente: . . . ven"

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gono condotti loro due giovani nobili, a cui gli uni toccano la fronte col coltello ancora sanguinante e gli altri asciugano con un fiocco di lana intriso di lat­ te; bisogna poi che i due giovani ridano dopo essere stati asciugati "17• È straordinario come un cenno ad un tale rituale dai contorni molto arcaici si ritrovi in Virgilio. Nel­ la VI egloga che contiene importanti cenni all'amico Cornelio Gallo, infatti, accingendosi a fare raccon­ tare al Vecchio Sileno una particolare cosmogonia che dovrà dare il significato della storia del mondo, ci pone dinanzi una scena dal sapore iniziatico. Due giovani trovano il vecchio Sileno ubriaco ed addor­ mentato in un antro, con accanto i resti di paramenti sacri appartenenti al patrimonio rituale del dionisi­ smo: le corone (serta) e la sacra tazza ( cantharusj18• All'improvviso, i due giovani gli saltano addosso e lo legano con le stesse sacre ghirlande ("iniciunt ipsis ex vincula sertis " ) , mentre sopraggiunge Egle, la più bella delle Nereidi che simbolizza la luce aurorale e primigenia, che comincia a dipingere la fronte e le tempie di Sileno con more sanguigne. Allora il Vec­ chio ride e chiede di essere sciolto dai legami: 17

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Plut., R om., 2 1 , 1 0 (tr in R. Del Ponte, Dèi e miti ita/ici, Ge­ nova 1 9 85, p . 1 4 0 ) . Vd. pure G. Piccaluga, L'aspetto agoni­ stico dei Lupercalia, "Studi e Materiali di Storia delle Re­ ligioni " , 33, 1 962, pp.54 e sgg. Cfr. anche A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Roma 1 976, pp. 72 e sgg.; pp. 1 1 9 e sgg.; pp. 1 3 8 e sgg.; Dumézil, La Religion ro­ maine archaique, Paris 1 966, pp. 3 4 1 e sgg.; Id., Le probléme des Centaures, Paris 1 929, pp. 2 1 9 e sgg.; W. Otto, Faunus, in "Rea/. Encycl." , cl.2057. Questa rappresentazione deve essere stata molto popolare, come documenta lo straordinario mosaico di Thysdrus in Tunisia scoperto da L.Foucher. E.de Saint-Denis (Le chant de Silène à la lumière d'une découverte récente, " Revue de Phi­ lologie " , 1 963, pp.23-40), ha studiato le pittografìe di questo mosaico con molta attenzione comparandole efficacemente con quanto dice Virgilio nella VI egloga .

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Sanguineis frontem moris et tempora pingit. Ille dolum ridens: quo vincula nectitis ? Inquit : Solvite me, pueri: satis est potuisse videri. (VI, vv.22-24)

Alcuni dei particolari del rituale descrittoci d a Plu­ tarco e quelli della scena dell'egloga sono diversi (e tuttavia Virgilio sembra riprendere un tale simboli­ smo ancora in Egl. X, 2 6 : Pan deus Arcadiae venit,

quem vidimus ipsi l sanguineis ebuli bacis minio­ que rubentem, che sembra essere una precisa atte­ stazione dell'esistenza di un'intera comunità di bu­ koloi qui tipizzata nel suo archetipo celeste, il dio Pan " rosseggiante " 1 9 ) , ma certamente non può non colpire la loro straordinaria somiglianza che atte­ sta la persistenza fino all'età imperiale di alcuni ele­ menti rituali appartenenti al passato proto-storico di Roma, che Virgilio traspone in una prospettiva di narrazione sul significato del mondo e di cosmo­ gonia, mentre nell'arcaico scenario plutarchesco dei Lupercalia essi sembrano essere rimasti allo stato puro di iniziazione guerriera, là dove gli aspetti di trasfigurazione interiore del giovane iniziato si lega­ no con il preistorico potere magico-sacrale evocato nel rituale che tende a rendere l 'universo ordinato, fertile e " ricco " " Giovani lupi" che sacrificano animali ctonii come la capra (che ritroviamo anche nel culto dello ]upiter Vediovis specificatamente legato alla gens fu-

19

C'è d a rilevare che Servio (ad Egl., VI, 2 1 -22) ricorda che an­ che il generale romano vittorioso durante il suo trionfo si di­ pingeva il volto di rosso per personificare un aspetto di Jupiter Capitolinus. Cfr. H.S.Versnel ( Triumphus. An Inquary into the

Origin. The Development and Meaning of the Roman Trium­ ph, Leiden 1 970, p.79) che collega il mascheramento rituale dell'antico culto di Dionysos thriambos con gli usi "trionfali " legati a Jupiter Capitolinus.

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lia ) , nudità, ubriachezza rituale, fertilità, circumam­ bulazione attorno al "centro " sacro del Palatino, l 'a­ xis mundi di questa specifica civiltà : ci troviamo alle radici di una tipica " società di uomini" , gli arcaici mannerbunde che in tutta l'area coperta dai popo­ li indoeuropei mostrano aspetti similari di scatena­ mento rituale di una ebbrezza magica che procura contemporaneamente protezione divina al territorio, fertilità ed abbondanza. Questo strano e primordiale rapporto luperci/ giovani/donne/fertilità si ritrova nella struttura-ba­ se delle similari confraternite guerriere dell'arcaico mondo proto-iranico i cui membri, i mairya ( scr. ma­ rya; cfr. lat. Mar-ius) , i "giovani uomini" , erano detti anche "lupi " , vehrka. Costoro vivevano in uno stato di licenza durante il quale si univano alla jahika, la " prostituta " , al fine di favorire la fecondità univer­ sale, una specie di primitivo e particolare hieros ga­ mos che a Roma sembra essere stato regolarizzato giuridicamente, incorporato nel calendario liturgico e permesso in una sua formulazione particolare so­ lamente una volta l'anno nell 'ambito della struttura rituale che soggiaceva al sodalizio dei Luperci. Durante la festa dei Lupercalia del 44, il console Antonio che era il magister dei Luperci ]ulii, offrì a Cesare che assisteva al rituale, una corona rega­ le. Cesare che in questa occasione appariva in pub­ blico ornatus Iovis e portava la corona d'alloro e la toga picta che ne facevano un triumphator e lo assimilavano allo stesso ]upiter Capitolinus20, rifiu­ tò ripetutamente ed anzi dichiarò che sarebbe stato più opportuno deporre la corona regale nel tempio del re degli dèi, ]upiter1 , gesto che equivaleva alla 20 21

Cfr. S.Weinstock, Divus Iulius, cit. , pp.35 e sgg.; pp.64 e sgg. Plut. , Caes., 60; A nt., 12; Svet. , 79; Dione 44, 1 1 . Cfr. U. Bianchi, Cesare e i Lupercali de/ 44 a. C., " Studi Romani " ,

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restituzione della dignità regale al proprio eponimo divino che qui appare veramente la " fonte " e la "ra­ dice" del potere cesarèo. Si è ritenuto che vi fosse un accordo fra i due, ma a noi interessa notare il valore che i Romani davano al fatto, simbolo probabilmen­ te di una designazione regale cui sembrava tendere la costruzione politica cesarèa. Il gesto di Antonio, tendente ad investire il dictator di una dignità rega­ le accostabile al tipo di sacralità che faceva da sub­ strato all'arcaico titolo di novus Romulus che ormai caratterizzava Cesare in qualche modo come avente lo stesso numen divino e regale del primo fondatore dell'Urbe22, copre valenze dottrinali molto comples­ se. Sembra, anzi, che qui venga a concretizzarsi quel­ la "teoria di legittimità regale " su cui hanno portato l'attenzione prima Ugo Bianchi e poi K.W.Welwei e A.Alfoldi23, che i Luperci custodivano ritualmen­ te dalle origini stesse di Roma e che nel caso parti­ colare veniva indirizzata verso la persona di Cesare dalla confraternita che portava il suo stesso nome gentilizio. Non deve stupire tale connessione di una VI, 1 95 8 , pp.253 e sgg.; A.Fraschetti, Cesare e Antonio ai Lu­ percalia, in Aa.Vv., Soprannaturale e potere nel mondo antico e nelle società tradizionali, a cura di Fales-Grottanelli, Milano 22

23

1 985, pp. 1 65 - 1 8 6 . E. Marmi, Romulus e parens patriae nell'ideologia politica e religiosa romana, "Mondo Classico " , IV, 1 934, pp. 1 26-127; Id., La leggenda dell'età dell'oro nella politica dei Cesari, "Ate­ ne e Roma " , 1 93 8 , pp. 1 1 4 e sgg. Così U. Bianchi, Cesare e i Lupercali, cit. , p.254. Cfr. K.W.Welwei, Das Angebot des Diadem an Caesar und das Lu­ percalienproblem, " Historia " , 1 967, pp.44-69; A.Alfoldi, Der neue Romulus, "Museum Helveticum " , 1 9 5 1 , pp. 1 90-2 1 5 ; Id., Die struktur des voretruskischen Romerstaates, Berlin 1 974, pp. 86 e sgg.; pp. 1 07- 150; W. Burkert, Caesar und Romulus­ Quirinus, " Historia " , 1 962, pp.356-376, che annota (pp.360 e sgg.) alcuni tratti di tipo indoeuropeo. Vd. pure G.Dumézil, Feste romane, Genova 1 9 89, pp. 1 6 7- 1 70; Id., Le probléme des Centaures, cit., pp.22 1 -22.

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arcaica confraternita dalle forti caratterizzazione guerriere con la regalità . In quasi tutto il mondo in­ doeuropeo, infatti, come hanno mostrato le ricerche di G. Widengren, di G . Dumézil, di H.Jeanmaire, e di O.Hofler nei diversi ambiti delle loro indagini, le antiche confraternite guerriere sono quasi sempre le custodi di rituali che non solo assicurano la vitalità guerriera dell'organismo sociale, ma spesso selezio­ nano al loro interno gentes e personaggi dalle forti caratterizzazione sovrane e regali. Inoltre, se si ten­ gono presenti i legami dei Lupercalia con la fertilità e con l'abbondanza, si otterrà una connessione so­ vranità/fertilità che è tipica delle dottrine regali in quasi tutto il mondo ed in particolare in quelle del Vicino-Oriente quando, nel punto dell'intronizza­ zione del nuovo sovrano, si riteneva che il mondo dovesse rinascere a nuova vita in un rinnovato equi­ librio cosmico che si esprimeva sul piano naturale come fertilità, ricchezza e fecondità universal e. Un ultimo particolare sfuggito ai più, su cui in­ vece ha portato l'attenzione ancora Ugo Bianchi2\ può aiutarci a capire meglio queste considerazioni . Nel noto passo di Svetonio ( Caes., 6 ) , rivendicando la propria ascendenza ad un tempo divina e regale, Cesare dice che "ab Anco Marcio sunt Marcii Reges, quo nomine fuit mater" . Ora, tornando a cavallo dal territorio albano, là dove si trovavano le radici sto­ rico-mitologiche della gens ]ulia e della sua speciale funzione di guida all'interno del popolo romano, il 1 6 gennaio del 44 Cesare si sente acclamare dalla folla come Rex, cosa che respinge subito dicendo che egli era Caesar, non Rex (Plut. , Caes. , 60). L'episodio è interessante. L'accostamento dei testi di Plutarco e Svetonio ci permette non solo di vedere che il titolo

24

U.Bianchi, Cesare e i Lupercali,cit., p.255.

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e la funzione regale costituivano parte importante del retroterra spirituale cesarèo, ma che persino la coscienza popolare era permeata profondamente dei simboli sovrani appartenenti alla famiglia ]u­ lia, tanto da riconoscere nell' ultimo rappresentante di essa un'incarnazione della funzione regale, cosa che la tradizione ci ha dato sotto una forma ormai razionalizzata, che tuttavia non riesce a mascherare l'importanza di una simile convinzione così diffusa in tutti gli ambiti della società romana. È in tale prospettiva che va collocata la compo­ sizione della V egloga di Virgilio . Con ogni proba­ bilità è stata composta alla fine del 42, quando era lecito sperare che gli eredi di Cesare potessero con­ tinuare la sua opera di pacificazione interna dello stato romano, di ristrutturazione politica dell'Ur­ be e di definitiva distruzione di quelle " potenze del cao s " che avevano portato Roma sull 'orlo della fine25 • L'egloga si pone dunque proprio nel periodo in cui i duumviri Antonio ed Ottaviano instaurano il culto cesarèo, che è come dire che essi danno al loro potere e alla loro azione politica un preciso riferimento sacrale incentrato su colui che ormai veniva considerato correntemente come un Divus ]ulius, al punto che lo stesso Antonio potè assumere la carica, certo inusuale nell'austera religione ro­ mana del buon tempo antico, di Flamen Divi ]ulii (Plut . , Ant. , 3 3 ; Cic . , Phil. , II, 1 1 0 ) . Secondo la ricostruzione che P.Maury h a fatto del complesso delle 1 O Bucoliche e del significato

25

Per la datazione del 42 a.C. ci basiamo sulle classiche analisi di E.A.Hahn, The Characters in the Eclogues, "Trans. Am. Phil. Ass." , 75, 1 944, pp. 1 96 e sgg.; e di F.Bomer, Ueber die Him­ me/serscheinung nach dem Tode Caesar, in " Bonner jahrbuch­ er" 1 52, 1 952, pp.27 e sgg. Anche Pierre Grimal ritiene molto probabile il 42.

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assunto dalla loro strutturazione definitiva26, la V egloga si pone come la culminazione di un percorso spirituale che dalla I e dalla II, le "prove della terra e dell'amore " , attraverso la III che è il canto della pu­ rificazione e dell'armonia musicale, si perviene alla " rivelazione divina " della IV, per poi culminare que­ sto progressivo spogliamento dal divenire e dal mon­ do delle forme, nella V egloga, l"' abside " di una " ba­ silica" pitagorica che pare " riprendere " il tracciato spirituale che J. Carcopino ha scoperto nell'edificio di Porta Maggiore a Roma. Considerando la strut­ tura dell'intera raccolta " sistematizzata " da Virgilio nel biennio 3 9 -3 8 , l'impianto della V egloga sembra trovarsi in piena sintonia con le attese messianiche che Virgilio esprimerà nella IV egloga, secondo uno schema che può essere riferito contemporaneamen­ te ad una via iniziatica tesa a trasformare l'adepto nell'equivalente spirituale di un Sovrano detentore di una mistica potentia, e ad una prospettiva escato­ logica incentrata su una forma particolare di regalità sacra dalle forti caratterizzazioni messianiche. Anche la V egloga si basa su una scansione nume­ rica che riprende le concezioni aritmosofiche di tipo pitagorico27• Menalca e Mopso, i due protagonisti del canto, intervengono 7 volte ciascuno ( 7 + 7); prima dell'epicedio di Dafni i versi sono congegnati secondo un modulo narrativo che prevede sempre il numero 3 oppure il 4 (i due costitutivi essenziali del 7) con 26

27

P.Maury, Le secret de Virgile et l'architecture des Bucoliques, " Lettres d'Humanité" , III, 1 944 (pp. ? l - 1 47), pp. 75-98. Lo schema architettonico scoperto dal Maury nelle Bucoliche " ri­ prende " quello studiato dal Carcopino, La basilique pythago­ ricienne de la Porte Majeure, Paris 1 926. Anche attenti studiosi della letteratura latina come B.Luiselli e F.Cupaiuolo ritengo­ no che il centro della costruzione simbolica delle Bucoliche sia costituito dal trittico IV-V-VI. Seguiamo il Maury, Le secret de Virgile, cit., pp. 1 09 e sgg.

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l'intermezzo d i 1 verso ciascuno all'8 e a l 9, sicché restano poi i 1 O vv. prima del canto di Mopso, che fanno da corrispettivo ai 10 versi finali posti dopo l'a­ poteosi di Dafni, mentre i canti principali, l'epicedio e l'apoteosi, comprendono ognuno 25 versi. L'intera egloga è strutturata sul rapporto can­ to/musica (Menalca/Mopso) che intende riflettere l'equilibrio spirituale di un tempo parusiaco, con le stesse modalità che è possibile ritrovare nelle confra­ ternite pitagoriche, in quelle orfiche o in quelle dio­ nisiache. Tale armonia ci introduce in un ambiente di tipo profetico evidenziato dal "successimus antro " , il luogo di tanti rituali misterici ricco di una comples­ sa simbologia, che qui equivale ad un "ritorno alle origini " dell'ispirazione oracolare, all'immacolata pienezza dei tempi primordiali senza la quale sareb­ be impossibile ogni rivelazione divina. L'egloga poi sta sotto la protezione di Apollo, il dio della manti­ ca e della profezia, che viene evocato tre volte come nei rituali oracolari, mentre è interessante l'accenno al dio Pan e alla natura pacificata che tale divinità sempre propizia, soprattutto se si tengono presenti gli stretti rapporti di Pan con Lupercus evidenziati da alcuni mitologhemi, e perciò çon il particolare re­ troterra spirituale legato, ancora, ai Lupercalia28• Ma è tutta l'ambientazione presentata da Virgilio ad es­ sere fortemente caratterizzata da simboli importanti appartenenti al mondo delle rivelazioni profetiche: l'entrata nell'antro delle consultazioni profetiche che "riprende" quella dei rituali oracolari, dei Veggenti e delle Sibille degli antichi popoli italici; la presenza di Apollo, il dio della perfezione aurea e dell' aetas nova; l'evocazione di Pan, il dio della natura originaria ed

28

Cfr. Brelich, Tre variazioni . . , cit., p. 74 e n.39; pp. 6 7 Bianchi, Cesare e i Lupercali, cit., p.259. .

e

sgg.;

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immacolata . Virgilio ha voluto predisporre la condi­ zione rituale e cosmica perché l'annuncio della tra­ sfigurazione di Dafni assuma i caratteri di una vera e propria epifania celeste che si svela in una natura che a sua volta riflette questa perfezione originaria . L'epicedio e l 'apo.teosi di Dafni si contrappon­ gono solo apparentemente. Il dolore per la morte dell'eroe e la desolazione della natura che ne deriva, corrispondono simmetricamente alla resurrezione e al gaudio cosmico che accompagna la trasfigurazio­ ne di Dafni, in un rapporto morte/resurrezione che riprende i tratti classici di ogni rituale iniziatico, an­ che se qui il protagonista si trova ad essere " assorbi­ to " nella figura universale di un Salvatore cosmico. È lo schema-base studiato dal Carcopino negli stucchi dell'edificio di Porta Maggiore a Roma, là dove il neofita ammesso ai sacri riti doveva contemplare ed assumere ritualmente un percorso spirituale che gli permetteva di ascendere dall"' inferno terrestre " al " paradiso celeste " 29• Ma chi è dunque il Dafni dell'egloga, il Morto e Risorto nel quale sembrano culminare le Bucoliche virgiliane ? Nel suo commento all'egloga (ad Egl., V, 20) Servio riespone le antiche supposizioni che interpretavano il personaggio di Dafni via via come un semplice pastorello, come Quintilio Varo, oppure come lo stesso fratello del poeta, ma parimenti ri­ ferisce una preziosa testimonianza secondo la quale

"alii dicunt signifìcari per allegoriam C. Iulium Ca­ esarem ". Nel 1 922 D. L.Drew, in un articolo che ha fatto epoca, riprese tale questione cercando tutti gli elementi che potessero dare forza alla tesi dell'identi­ ficazione del Dafni dell'egloga con Cesare prospetta-

29

Rimandiamo a J.Carcopino, La basilique, cit., pp.264 pp.292 e sgg.

e

sgg . ;

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t a dalle fonti d i Servio30• Egli analizzò tutti i versi più significativi comparandoli con i tanti avvenimenti storici che avevano contrassegnato certi episo4i del­ la vita di Cesare e del suo culto, mettendone in luce i parallelismi e le straordinarie somiglianze. In par­ ticolare, fra i tanti elementi, tre sono quelli più im­ portanti che sembrerebbero concludere decisamente nell'identificazione Cesare/Dafni: l ) l'introduzione a Roma dei Tiasi dionisiaci (vv.29-3 0 ) , che può essere confermata da Filargirio, da Plinio e da Svetonio, e che rimanda al ruolo pon­ tificale di Cesare; 2) il lamento della natura dei vv. 3 6- 3 9 , le cui condizioni di aridità possono essere ritrovate nell'I­ talia del 44 alla morte di Cesare, quando vi furono straordinari prodigi quali l'indebolimento della luce solare, l'aridità della terra e l'apparizione di una co­ meta che fece pensare alla fine di un'epoca storica di tribolazione e persino alla conclusione del saeculum; 3) il tumulo del v. 42 che trova riscontro in un passo di Svetonio ( Caes., 8 5 ) , quando riferisce dell'e­ rezione di una solidam columnam dedicata a Cesare con l'iscrizione parenti patriae, ossia con uno dei ti­ toli che Cesare aveva assunto quale novus Romulus.

30

D.L.Drew, Vergil's fìfth eclogue: a defence of the Julius Cae­ sar-Daphnis theory, " Classica! Quarterly " , XVI, n.2, 1 922, pp.57-64, che presuppone un"' architettura " delle Bucoliche simile a quella poi scoperta dal Maury. J.Hubaux (Les grands mythes de Rome, Paris 1 945, pp. 97 e sgg . ) ricorda che il qua­ dro descritto da Virgilio in Egl., V, 22-23 ( "Abbracciando il

misero corpo di suo figlio /sua Madre malediceva gli dèi e gli astri ") raffigura una madre di Dafni che l'a bituale leggenda siciliana cantata dai poeti pastorali alessandrini non conosce, ma che diventa subito intellegibile se ci si riporta alla Ve­ nus Genetrix del culto instaurato da Cesare che considerava la dea Venere la Madre Celeste della gens Julia. Sul legame profondo della gens Iulia con la dèa Venere, cfr. S .Weinstock, Divus Iulius, cit. , pp. 1 5 e sgg.

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Tutto ciò non fa altro che dare significato allo strano rituale che racconta Dione Cassio (43, 45 ) , secondo cui i n questo stupefacente periodo d i tra­ passo, era diventato usuale portare la statua dell'or­ mai divus Iulius nelle sacre processioni assieme a quelle degli altri dèi del pantheon romano. Svetonio ( Caes., 8 4 ) aggiunge che la statua di Cesare veniva deposta in una cappella posta ai piedi dei Rostri, su un letto d'avorio rivestito di porpora e d'oro. Nella seconda parte dell'egloga Virgilio inse­ risce nell'apoteosi di Dafni una serie di rituali che tracciano un vero e proprio ciclo liturgico incentrato attorno alla figura di quello che era stato fin qui un semplice pastore della mitologia " siciliana " cantata dai poeti alessandrini, un ciclo liturgico che trasfi­ gura l'immagine del pastorello nel simbolo stesso del " Polo " spirituale della sua epoca . Dafni somiglia così ai " sovrano del tempo " di tipo orientale, ai co­ smokratores che nel momento della loro consacra­ zione sovrana regolano ritualmente l'andamento e il corso degli eventi temporali, in un contesto di equili­ brio universale che ne specifica la natura di Salvatore dai tratti messianici . È quanto porta a concludere uno studio di P. Grimal del 1 949, che riprendendo la tesi dell'identificazione Dafni/Cesare ha dato tutti gli elementi rituali presenti nella V egloga che possono dare significato a questa trasformazione di un sem­ plice pastorello " bucolico" in una figura messianica dai tratti apollinei 3 1 • Innanzitutto il Grimal nota che 31

P. Grimal, La " V églogue " e t le eu/te de César, in " Mélanges Ch. Pieard ", Paris 1 949, l, pp.406-4 1 9 , che faceva seguito al precedente Id., La V églogue et /es origines du eu/te im­ périal, " Revue des Ètudes Latines " , 26, 1 94 8 , pp.S0-53 . Il Grimal prudentemente non usa mai i termini "escatologico " , "messianico" , " salvatore" o " signore del tempo" , ma l a sua indagine porta a queste conclusioni se si tengono presenti tutte le Bucoliche ed in particolare il rapporto fra la V e la poste-

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i rituali citati da Virgilio sono situati ai "cardini " di ogni anno liturgico, in concomitanza delle quattro stagioni e ad un dipresso degli equinozi e dei solstizi. Le feste di primavera e di autunno (haec tibi sempre

erunt, et cum solemnia vota l reddemus Nymphis, et cum lustrabimus agros, vv. 74-75 ) , segnano un mo­ mento particolare: le prime con ogni verosimiglian­ za non sono altro che le Cerialia festeggiate poco dopo l'equinozio, alla fine di aprile, mentre le altre corrispondono alle Fontinalia del 1 3 ottobre, l' uni­ co giorno in cui si celebrava un culto delle fonti . Le altre feste indicate ("sub focum, si frigus erit, si mes­ sis, in umbra ", v. 70 ) possono essere collegate poco dopo i due solstizi. Quella d'estate segna l 'inizio del mese di luglio consacrato allo stesso Cesare, mentre la seconda è quella della festa del suo Natalis divino, celebrato dopo che Ottaviano ed Antonio proclama­ rono la divinità di Cesare nel giorno delle kalende del 42. Non solo, ma queste date coincidono con la celebrazione di particolari Ludi: a luglio, il mese de­ dicato a Cesare, i Ludi Caesaris che completano i Ludi Apollinares; a gennaio, i Ludi Comptalici; ad aprile i Ludi Ceriales, mentre ad ottobre troviamo i Ludi Capitolini. Questi ultimi poi coincidono con un rituale particolarmente importante ai nostri fini, il sacrificio dell equus october che non è altro che un residuale rito di sovranità cosmica sopravvissuto dai '

riore IV egloga. Verso l'identificazione Dafni=Cesare propende anche lo studio della V egloga fatto da A. Salvatore in Aa.Vv. , Lecturae Vergilianae, I . L e Bucoliche, (a cura d i M. Gigante) , Napoli 1 9 8 1 , pp.2 1 5 e sgg. Vd. pure V. Buchheit, Der Dichter als Mystagoge (Vergil, ecl. 5), in " Atti del Convegno virgiliano sul bimillenario delle Georgiche", Napoli 1 977, pp. 2 1 5 e sgg. , che però s i sofferma troppo su . una spiritualità dionisiaca, in verità assente nell'egloga .

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tempi delle ondate migratorie indoeuropee32, il quale ci riporta al tema della regalità universale presente in molti aspetti dell'azione politica di Cesare e nelle sue stesse prospettive politico-sacrali. La quantità e la precisione dei rituali indicati nell'egloga virgiliana è impressionante, e non posso­ no essere considerati riduttivamente un puro omaggio bucolico all'apoteosi di Dafni. Situati ad un dipresso dei quattro punti cardini dell'anno, essi stanno ad in­ dicare la centralità di Cesare/Dafni, il polo spirituale di questo particolare ciclo liturgico, nella cui vicenda sembrò culminare tutta intera la storia romana, dai tempi primordiali fino al 44, prima che la morte im­ provvisa e tragica del dictator obbligasse a guardare verso il suo giovane erede ed ultimo rampollo della gens ]ulia, quell 'Ottaviano nel quale i contemporanei vollero riconoscere un'epifania del dio della luce so­ lare, il dio dell'ordine cosmico, Apollo. Già nel periodo della lotta contro Antonio il giovane erede di Cesare manifestò questo suo par­ ticolare legame spirituale33 • Alcune testimonianze dell'Italia meridionale databili a partire dal 40 ci informano dell'esistenza di un vero e proprio culto 32

33

Cfr. Dumézil, La Religion, cit. , pp. 2 1 7 e sgg,; si vd. n. 1 p.266 per i paralleli con le altre forme tradizionali derivate dal tempo indoeuropeo; Id, Feste romane, cit. , pp. 1 5 3 - 1 6 6 . Cfr, K. Scott, Octavian 's Propaganda and Anthony 's "de sua ebrietate" , "Classica! Philology" , XXIV, 1 929, pp. 1 3 3 e sgg.; Id., Notes on Augustus' Religious Policy, "Archiv fiir Reli­ gionwissenschah " , 1 93 8 , pp. 1 2 1 e sgg; Lambrechts, La po­ litique "apollinéenne " d'Auguste et le culte impérial, " La No­ velle Clio " , V, 1 95 3 , pp.76 e sgg.; Id., Auguste et la religion romain, " Latomus " , VI, 1 947, pp. 1 77- 1 9 1 ; J. Gagè, Apollon

romain. Essai sur le eu/te d'Apollon et le déve/opment du "ri­ tus graecus " à Rome des origines à Auguste, Paris 1 956 (parte terza, capp.3-4-5 ) , pp.479-6 3 8 ; W.H. Buckler, Augustus, Zeus Patroos, " Revue de Philologie" , 1 935, pp. 1 77 e sgg.; Taylor, The Divinity, cit., pp.270 e sgg. che parla di " Divine Honours of Augustus and his House ".

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d i Ottaviano ancora vivente, non certamente usuale nella liturgia romana, spesso già messo in relazione con il dio Apollo34• La concezione spirituale che sta alla base di queste testimonianze può aver determi­ nato alcune espressioni particolari che si rinvengo­ no nella 1 o egloga virgiliana composta all'incirca nel periodo che va dalla fine del 4 1 all'inizio del 40, come ha dimostrato con buone ragioni P. Grimal, e posta non casualmente ad " aprire " l'intera raccol­ ta quando Virgilio ne strutturò l'ordine definitivo. Essa appare come l'egloga dedicata per eccellenza ad Ottaviano il quale, pur non nominato espressa­ mente, è ovunque presente nel componimento ed è presentato come un deus al quale non solo devono essere dedicati altari e sacrifici, ma appare ricco di una inusuale vita liturgica. I vv. 42-43 ci parlano di quel Giovane "per il quale i nostri altari fumano una volta al mese ", che ci documenta un culto di Otta­ viano piuttosto diffuso, che anche il v. 6 ( " deus nobis haec fecit ") riprende e conferma35, e che qui proba34

35

F.Ribezzo, Il primissimo culto di Cesare Augusto, " Rivista Indo-greca-italica " , XXI, 1 937, pp. 1 -22; cfr. pure le riflessioni di D.M.Pippidi, Le "numen Augusti ". Observations sur une forme occidentale de eu/te imperiale, " Revue des Ètudes La­ tines " , 1 9 3 1 , pp. 92 e sgg. Cfr. in generale le osservazioni di T.Frank, Vergil and the Au­ gustian Elogia, "American journal of Philology" , LIX, 1 93 8 , pp. 91 e sgg. A.Fredricksmeyer, Octavian and the Unity o f Vir­ gil's fìrst Eclogue, " Hermes" , 1 966, pp.208-2 1 8 ; C.G.Hardie, Octavian and the Eclogue I, in Aa.Vv. , The ancient historian and his materia/s, Farnborough 1 975, pp. 1 09-122. E. Norden, Die Geburt des Kindes, Leipzig 1 924, p . 1 6 1 aveva pensato di ricondurre molti aspetti della divinizzazione di Ottaviano ai rituali similari dell'Egitto tolemaico, ma non si è accorto che in tal modo il culto di Ottaviano diventava estraneo alla tradizione romana e ad essa " sovrapposto " , cosa che non è affatto proponibile. Anche G.Pasquali, Orazio lirico, Firenze 1 920, pp. 1 82 e sgg., ritiene che gli inizi della divinizzazione di Augusto sono da ritrovarsi in Egitto: "in Egitto, a Denderah,

Augusto fu identificato con un 'altra divinità, a dir così, mer-

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L A PROFEZIA D I V I R G I L I O

bilmente è da inquadrare nell'ambito dell'istituzione del culto del Divus ]ulius e della quasi contempo­ ranea trasfigurazione divina di Cesare che Virgilio celebra nella sua V egloga. Non è certamente un caso che nella prima sezione della raccolta definitiva delle Bucoliche, quella che inizia con la I e si conclude con la IV, la prima egloga apre questa parte del liber con l 'esaltazione di Ottaviano considerato un dio viven­ te, mentre la quarta chiude il ciclo con l'annuncio del regno di Apollo, il dio con il quale Ottaviano veniva correntemente identificato. L'atmosfera di sacrali­ tà che aleggiava attorno al giovane rampollo della gens ]ulia (quella che è stata efficacemente definita

"la tendenza di Ottaviano a muoversi in una sfera mistica "36) , comportò inevitabilmente un importante risvolto: Ottaviano si trovò ad essere non solo un autorevole triumviro, ma soprattutto l'erede diretto di quel Cesare la cui apoteosi ne faceva una parti­ colare figurazione divina dalla quale traeva ragion d'essere l'azione politica del futuro Augusto, un iu­ venis ormai diventato a tutti gli effetti rituali il Divi filius per eccellenza, perciò distinto e diverso da An­ tonio che nonostante i suoi indubbi meriti militari e politici come successore di Cesare e capo dei suoi se­ guaci, rimaneva necessariamente estraneo alla gens ]ulia e perciò al tipo di rivolgimento spirituale che si andava coagulando sempre più attorno alla persona del suo giovane avversario37•

36

37

curiale, con Helmis, allo stesso modo di Tolomeo V Epifane, chiamato nella celebre iscrizione di R osdetta del 1 96 a. C., Er­ mete grande e grande ". Così M.L.Paladini, L'aspetto dell'imperatore-dio presso i Ro­ mani, in " Contributi dell'Istituto di Filologia classica dell'Uni­ versità del S. Cuore " , l, 1 963, (pp. l -6 5) , p.S. È questo uno degli elementi che p u ò spiegare l'assenza di Anto­ nio nelle egloghe, dove non c'è assolutamente nulla che possa richiamare positivamente la sua funzione politica e il comples-

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Fondamentale, comunque, appare l a sua iden­ tificazione con il dio Apollo su cui insistono tutte le fonti ( Svet . , Aug., 70) , compresa anche l'iscrizio­ ne del tempio di Apollo a Lucera38• La monetazio­ ne di quel tempo arrivò persino a fare coincidere i profili di Apollo ed Ottaviano, cosa facilitata anche dal fatto che la iuventus del princeps romano dal­ la coscienza popolare veniva percepita come un'e­ pifania apollinea e che numerose leggende da parte loro contribuivano a rendere viva, addirittura come una forma di messianismo apollineo, un cenno del quale ritroveremo anche in alcuni simboli conserva­ ti nell'Eneide39• Non va sottovalutata questa mistica

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so "mitologico " cui egli si richiamava. Secondo Servio, le cri­ tiche mosse da Virgilio nella X egloga a Cornelio Gallo per il suo amore verso Citeride (che invece preferì seguire Antonio in partenza per le Gallie) , celano una critica ad Antonio e ai suoi costumi universalmente giudicati dissoluti. Questi fatti tolgo­ no consistenza alla tesi di fondo del libro di Henri jeanmaire, Le messianisme de Virgile, Paris 1 930, cap. IV, che ha pensato ad un fondo dottrinale dionisiaco alla base della composizio­ ne della IV egloga. Nonostante la ricca ed articolata esegesi, il libro di jeanmaire ha il difetto non piccolo di supporre un improbabile giovane Virgilio seguace di Antonio che non trova giustificazione nei documenti del tempo e che neanche la sua amicizia con Pollione rende plausibile. Sui rapporti fra Cesare e Antonio e sul retroterra che li sostanziava, può essere utile Liberanome, Alcune riflessioni su Cesare e Antonio, " Rivista di Filologia " , 1 9 6 8 , pp.407-4 1 8 . L a dedica del tempio d i Apollo a Lucera (CIL, IX, 7 8 3 ) che recita Apollini divo Aug[usto]/ Q. Lutatius Q. R Cat[ulus]Q. Lutatius P. R Cla. Cat[ulus), è stata studiata dal Ribezzo (Il primissimo culto di Cesare Augusto, cit. , pp. 1 8 e sgg. ) che la considera un'attestazione importante dell'identità rituale di Apollo con Augusto. Per la monetazione Lambrechts, La politique apollinéen­ ne, cit. , p.67. Cfr. j. Gagé, Apollon romain. Essai sur le eu/te

d'Apollon et le dévelopment du "ritus graecus " à Rome des origines à Auguste, Paris 1 956, parte terza, capp.III, IV, V; F.Aitheim, La Religion romaine antique, cit. , p.256; Norberg, La divinité d'Auguste dans la poésie d'Horace, "Eranos " , 44, 1 946, p. 1 83 . Sulle relazioni fra quella che è stata chiamata

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della iuventus che aleggiava attorno ad Ottaviano. Essa perpetua l'aura mistica che si era sviluppata attorno al giovane Alessandro Magno (il cui viso mummificato si diceva che Ottaviano aveva voluto contemplare e persino toccare ad Alessandria ) che si era continuata fino al tempo dei sovrani ellenistici, come documenta la monetazione di quel tempo, e che lo stesso Cesare sembra aver inseguito come una condizione specifica dell'intera sua azione politico­ sacrale. Né va sottaciuto per le sue implicazioni sim­ boliche, che una delle divinità cui Ottaviano veniva naturalmente associato, lo ]upiter- Vediovis, era rap­ presentata come perennemente giovane. Nell'ambito di queste tradizioni di varia prove­ nienza, ma decisive per cogliere il senso del rivolgi­ mento spirituale che toccava l'antica religione roma­ na e il ruolo storico di una gens come quella ]ulia, va poi ricordato che era usuale a Roma rappresentare nel teatro le egloghe, tanto che Tacito racconta di quel giorno nel quale gli spettatori avendo ricono­ sciuto Virgilio fra di loro, si alzarono in piedi e lo acclamarono alla maniera solita con la quale veniva esaltato lo stesso Augusto40• Ci si può immaginare l'effetto sul pubblico romano delle varie recite della V, della IV e della VI egloga, la forza persuasiva di queste egloghe "centrali" nella costruzione virgilia-

impropriamente la " religione " di Ottaviano e alcuni elementi simbolici dell E neide , cfr. R.Heinze, Vergils epische Technik, Leipzig 1 92 8 , pp.296 e sgg. Interessante a questo proposito è anche lo studio di G. Gatti, Augusto e le individualità divine, " La Parola del Passato " , XVI, 1 9 6 1 , pp.25 6-266. Tacito, Dia[. de Orat., 13. Su questo punto restano valide le ana­ lisi di A. Grisart, Notes sur la biographie de Virgile, " Le Musée Beige " , 34, 1 930, pp.254-260, dove nel § 3 si studia non solo il problema delle "Bucoliques au théatre", ma anche il ruolo della famosa attrice di mimi Citeride, ben conosciuta anche dal console Antonio e dall'amico di Virgilio, Cornelio Gallo. '

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na, l a loro capacità d i attualizzare u n tema messiani­ co che non attraversava solamente le élites colte, ma in tal modo diventava patrimonio di tutti i cittadini romani. La iuventus del nuovo princeps veniva così associata con estrema naturalezza a tutto un vasto retroterra mitico-escatologico che aleggiava attorno al Divi filius e sembrava destinato a liberare Roma da tutti i terrori, le paure e le insicurezze legate alle guerre civili e le dava un ruolo storico che, coerente­ mente con la concezione romana della pax deorum, doveva essere in piena armonia con i ritmi cosmici che Apollo garantiva, e con il volere degli dèi che la ripresa di tutti i culti patrii assicurava . D 'altronde, è proprio per queste sue speciali connotazioni che nel­ la l o egloga virgiliana, quella che nell'ordinamento definitivo aprirà l'intera raccolta, pur non nominan­ dolo espressamente, si celebra Ottaviano come un giovane già divinizzato, in una funzione sacra ritma­ ta da un ciclo liturgico che sostanzialmente non solo gli era molto congeniale, ma che lo caratterizzerà sino alla fine. Lo stesso attributo storico più famo­ so di Ottaviano, quella "pacificità " che si espresse nella chiusura delle " porte della guerra " del tempio di Giano, non è proprio quello di un " reggitore " cosmico che col suo stare al centro dell'organismo statale si determinò come un pacator orbis, che è l'esatta versione latina dell 'attributo più caratteri­ stico di ogni sovrano universale del Vicino-Oriente, quel titolo di EipTJV07tot6ç ( " pacificatore" , " datore di pace " ) risalente già al tempo di Alessandro Ma­ gno, poi trasmesso ai Diadochi e infine introdotto a Roma da Gneo Pompeo ? È forse in tale ambito che va collocata l'assun­ zione da parte di Ottaviano della carica di Fetialis, un collegio formato da venti membri la cui presenza presso le altre popolazioni italiche (Albani, Equicoli,

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Sanniti, Laurentini, Falicani, Ardeatici ) fa pensare ad una eredità molto antica, a forme di sodalizi risa­ lenti ad un tempo prato-storico, persino indoeuro­ peo, come d'altronde documentano i simboli stessi del potere dei Fetiales: le sagmina ( le verbene, le " erbe sacre " degli arcaici rituali) , la pietra di selce, lo sceptrum ( il " simulacro " di ]upiter, secondo quan­ to dice Servio) , l'hasta sanguinea praeusta (il giavel­ lotto di legno di corniolo con la punta indurita dal fuoco e bagnata di sangue )41 • Accanto alla pax deorum riservata all 'ager ro­ manus, il diritto sacro prevedeva una diversa mo­ dalità di instaurare la pace nell'ager peregrinus, cui dovevano provvedere i Fetiales con rituali che ne facevano dei sacerdoti specialmente legati a ]upiter nella sua qualità di garante divino dei " giuramenti " e dei " patti " nei quali era impegnato lo stesso diritto sacro. Non si tratta di una astratta nozione di diritto pubblico, ma di un vero e proprio "potere " , di una " forza " ad un tempo magica e spirituale che, coeren­ temente con la mentalità primordiale che questo ri­ tuale presuppone, poteva essere diretta a mantenere la pace oppure a soddisfare eventuali torti subiti da Roma e, dunque, a rompere l'equilibrio precedente sancito dai " patti " sacri. La sanzione dei patti effet­ tuata da questi speciali rappresentanti di ]upiter può spiegare perché Ottaviano si fece ammettere in un sodalizio così esclusivo al quale si accedeva solamen­ te per cooptazione. Ancora una volta, la pace che egli intendeva instaurare appare come il riflesso terreno di una condizione di equilibrio cosmico che procede dallo stesso ]upiter, un equilibrio che sul piano sto­ rico e nella realtà della vita dell'Urbe si invera come

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Seguimo R. Del Ponte, La Religione dei Romani, Milano 1 992, pp. 157-159, ed ivi n.2 1 9.

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garanzia dei confini e come fas, ossia una particolare forma di " giustizia " e di " diritto " che non è altro che l'attuazione di un aspetto della sovranità di ]upiter. Un diritto sacro, " patti " garantiti dal re degli dèi che comportano una pace equilibrata e armonica, una giustizia divina che si fa comportamento e norma dello stato: sono tutti aspetti di un modo di essere nel quale la persona di Ottaviano viene assorbita in una funzione sovrana che procede dallo stesso ]upi­ ter, e del quale egli si presentò come il " prolunga­ mento " umano al centro e al vertice del nuovo stato romano, un impero dalle fondamenta sacrali.

CAPITOLO TERZO NIGIDIO FIGULO E LE DOTTRINE ASTRALI

La grande fioritura del più antico pitagorismo costi­ tuì un fatto straordinario nella spiritualità ellenica per quel suo sapere conciliare un'attitudine mistico­ contemplativa a forti basi misteriosofiche, con l'esi­ genza " sociale " di un ordinamento politico che da quelle basi di tipo soteriologico traevano consistenza e ragion d'essere. La distruzione del centro di Cro­ tone non mise fine alla tradizione pitagorica. Essa si continuò in vario modo all'interno della spiritualità antica, costituendone una delle costanti più caratte­ ristiche . In Italia le scuole di medicina perpetuaro­ no l'insegnamento di Pitagora, mentre nella stessa Roma quella sapienza costituì parte cospicua del pa­ trimonio spirituale delle élites più avvedute e aperte al restante mondo spirituale che arricchiva le civiltà vicine alla grande Roma . Tracce di presenze pitagoriche possono essere ritrovate a Roma già da una remota antichità, ma il contatto con Taranto impresse a quest'influenza un carattere decisivo' . Alla fine delle guerre sanniti-

l

Sull'importanza del pitagorismo della Taranto di Archita nel panorama politico-spirituale dell'Italia del IV e del III secolo, ha scritto L.Ferrero, Storia del Pitagorismo nel mondo romano, Torino 1 955, pp. 1 08 e sgg. Sul significato del movimento pita­ gorico, N.D' Anna, Il Divino nell'El/ade, ECIG, Genova 2004, pp. 1 1 4 e sgg.; Id., La Disciplina del Silenzio, Il Cerchio, Rimini 1 995, cap.II. Sul fondatore del pitagorismo a Roma vd ora Nuc­ cio D'Anna, Publio Nigidio Figulo, Arché, Milano 2007.

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che viene innalzata una statua a Pitagora nel Foro2, mentre persino nell'aruspicina si fanno sentire in­ flussi tarantinP, fino al formarsi della leggenda di un Numa Pompilio pitagorico che si perpetuerà sino all'età imperiale4• Alcuni personaggi hanno costitu­ ito il tramite di questa presenza pitagorica a Roma . Ennio nel proemio degli Annales usa una simbolo­ gia dalle forti accentuazioni misteriosofiche che è rapportabile a quella presente in Empedocle e nello stesso Virgilio5, mentre per tanti versi enigmatica appare la presenza e il ruolo dottrinale di Posidonio, il discepolo di Panezio di origine siriaca. In questo personaggio cui hanno guardato molti esegeti per capire le dottrine astrali presenti nella IV egloga, sembrano fondersi dottrine astronomiche di origine caldea con elementi di mantica, in un curioso mi­ sticismo " astrale " che può essere accostato da un lato all'Epinomide platonico e, dall'altro, alle dot­ trine del sodalizio pitagorico di Nigidio Figulo . Può considerarsi appartenente a quest'ambito anche Var­ rone, il bibliotecario di Cesare al quale egli dedicò quando questi era Pontifex Maximus il suo Antiqui­ tates rerum divinarum, che si fece seppellire secondo un arcaico rituale orfico-pitagorico in un sarcofago d'argilla, in mezzo a foglie di mirto, ulivo e pioppo nero6• Il Perrero ha fatto notare l'importanza che in

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6

Plinio, Nat. Hist., 34, 26. Plinio, Nat.Hist., 9, 1 86 . Diodoro Siculo, VIII, 14. Cfr. Bignone, Ennio ed Empedocle, " Rivista di Filologia Clas­ sica " , 1 929, pp. 1 0 e sgg.; J.Waszink, The Poem of the Annals of Ennius, " Mnemosyne" , 1 950, pp.225 e sgg. Plinio, Nat. Hist., 35, 1 60. L'importanza della personalità di Varrone per l'insieme della cultura romana del primo secolo a. C. è stata colta da P.Boyancé, Sur la théologie de Varron, " Revue des È tudes Anciennes" , 57, 1 955, pp. 57 e sgg. Per il rapporto Varrone l Virgilio cfr. A. Salvatore, Varrone, in Enc.

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alcune sue opere assume l'aritmosofia e i l simboli­ smo insito negli accordi musicali, secondo una delle più caratteristiche dottrine pitagoriche7, mentre la stessa sua ermeneutica dei nomi di cui sarà uno de­ gli esponenti più significativi nel mondo antico, può essere ricondotta ad un complesso culturale che pos­ siamo definire genericamente platonico. A diversi personaggi del 1 o secolo fu dato l'e­ piteto di " pitagorico " . Tale per es. il poeta Valerio Sorano e quell'Anassillao di Larissa qualificato come " pitagorico e mago " che fu esiliato attorno al 26 per ordine di Augusto8• Si ha notizia di un sodalizio fon­ dato da Quinto Sestio che al tempo di Cesare aveva rifiutato un importante seggio nella Curia offertogli dal dictator9• L'impressione che si riceve dai pochi frammenti e dalle testimonianze rimaste è che qui si tratta di un circolo nel quale possiamo riscontra­ re un indizio di sopravvivenza pitagorica, espressasi attraverso un aristocratico rifiuto di partecipare alla vita politica attiva, in un solitario autoconfinamen­ to nella pura ricerca speculativa che tuttavia si ap­ poggiava a tecniche meditative quali erano praticate nel più antico pitagorismo, e che si erano espresse nelle azioni giornaliere 10• Fu il figlio a trasformare tale sodalizio in una vera scuola, cui aderirono So-

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Virg., V, pp.444-447, che qui riassume sostanzialmente il suo Scienza e poesia in Roma. Varrone e Virgilio, Napoli 1 978. Ferrero, Storia del pitagorismo, cit., pp. 324 e sgg. Cosa curiosa, diversi "pitagorici" furono esiliati. Si pensi a Ni­ gidio Figulo, ad Anassillao e allo stesso Ovidio, ove si accetti la tesi di J.Carcopino, Rencontre de l'histoire et de la letteratu­ re romaine, Paris 1 963, (cap. "L'exile d'Ovide " ) , soprattutto pp. 79 e sgg., che ritiene il poeta in contrasto col politeismo di Augusto proprio per il suo preteso pitagorismo. Seneca, Epist., 98, 1 3 . Cfr. I . Lana, Sextiorum nova et Romani roboris secta, " Rivista di Filologia Classica " , 1 95 3 , pp. 7 e sgg. Seneca, De Ira, III, 36, 1 . Sulle tecniche d i meditazione pitago­ riche, N.D' Anna, La Disciplina del Silenzio, cit., cap.III.

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zione di Alessandria, Crassicio e Fabiano Papirio1 1 • M a sempre i n u n distacco dal mondo improntato ad un rigido moralismo e ad una intransigenza che av­ vicinava questi ultimi testimoni di un antico mistero iniziatico agli Stoici e al loro ideale di vita che tanto esaltò Seneca, che poi è la fonte massima sui Sestii. Tuttavia, questa massiccia presenza pitagorica presso tanti aspetti della cultura e della vita politi­ ca romana nel periodo della fine della repubblica e dell'inizio dell'impero deve essere presa come una proiezione esterna di una presenza forse meno evi­ dente, ma non per questo meno significativa . Il pita­ gorismo, infatti, deve aver conosciuto un forte svi­ luppo a carattere semi-segreto con uria dimensione rituale ai limiti dell'esoterismo che è attestato in pie­ no 1 o secolo d. C. dalla cosiddetta " basilica " di Porta Maggiore a Roma . La fortunata scoperta di un edifi­ cio dedicato ai rituali pitagorici in quella località ha mostrato con chiarezza lo straordinario sviluppo che il pitagorismo dovette avere nel periodo di trapasso dalla repubblica all'impero12• L'esistenza di una tale " basilica " , anche se aperta a pochi iniziati, presup­ pone un ambiente umano sufficientemente vasto e una " presa" culturale risalente a molto prima che l'edificio fosse edificato, tale che al momento oppor­ tuno le dottrine e i riti iniziatici che vi si svolgevano non avrebbero potuto suscitare allarmate reazioni da parte dello stato13• Il numero degli iniziati che convenivano nell'e­ dificio era di 2 8 , che secondo Euclide era uno dei 11 12

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Qualche notizia in Seneca, Epist., l 08, 1 7 e sgg. Normalmente s i fa risalire a l l • sec. d. C. il massimo splendore rituale della " basilica " . Cfr. J.Carcopino, La basilique pytha­ �oricienne de Porte Majeure à Rome, Paris 1 930, pp. l 7 e sgg. E al tempo di Nerone che il Carcopino (La basilique, cit. , p. l 95 ) riporta il tracollo del movimento pitagorico romano e l'abbandono della " basilica " di Porta Maggiore.

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numeri perfetti nell'aritmosofia pitagorica. Stando a quanto ha scoperto J. Carcopino, essi si radunavano a gruppi di 7 in 4 diversi ambienti, in corrispettivo di immagini che riproducevano delle divinità, simboli della dimensione trascendente di ogni iniziato che si era "liberato dalle catene della materia" 14. VAntholo­ gia Palatina (XIV, l ) ci riferisce che la cifra di 2 8 cor­ rispondeva al numero dei primi discepoli di Pitagora, mentre Atheneo (1, 9 , 1 5 - 1 6 ) ricorda i 2 8 convenuti del Simposio platonico che continuavano la tradizio­ ne relativa a questo numero mistico che si diceva ri­ producesse anche la durata dei giorni del mese luna­ re15. Tale cifra è costituita da due numeri "cardinali " il cui prodotto dà, appunto, 2 8 = 7 x 4, esprimenti ri­ spettivamente numero " virginale " o " senza madre " 16, e quello della manifestazione corporea, la "conclu­ sione " della prima serie numerica l , 2, 3, 4, che è come dire che il 4 rappresenta quella "prigione del corpo " di cui è questione nei testi orfico-pitagorici. Il 7 è detto virginale perché è ritenuto un numero non generante, indivisibile e ingenerato. È il numero delle note musicali, dell'euritmia, delle corde dell'apollinea lira, delle stelle della costellazione del Gran Carro, dei pianeti del sistema "classico " nella cui armonia e logica è racchiuso l'ordine di ogni cosa. Studiando gli stucchi della " basilica", J. Carcopi­ no ne ha rapportato i motivi principali ad una com­ plessa raffigurazione con caratteristiche iniziatiche 14

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Carcopino, La basilique, cit., pp.250-257; cfr. J. Bousquet, Les confréres de la Porte Majeure et l'arithmologie pythagori­ cienne, " Revue Ètudes Grecques " , 1 9 5 1 , pp. 466-471 . I testi s i trovano i n Carcopino, La basilique, cit., p.255; cfr. P. Boyancé, Le culte des Muses chez les philosophes grecs, Paris 1 937, p. 267. Sono espressioni di Filolao in Pitagorici. Testimonianze e Frammenti, a cura di M.Timpanaro Cardini, Firenze 1 962, fasc.II, pp.23 8 e sgg.

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poggiante su due momenti fondamentali che chiama !"'inferno terrestre " e il "paradiso celeste " 17• Le stesse scene di vita quotidiana, scuola, palestra, nozze, un pigmeo che torna dalla caccia, ecc . , possono essere tutte ricondotte a metafore di una condizione spiri­ tuale o, più esattamente, a simboli di una realtà che il miste doveva percorrere per liberarsi dai legami del corporeo e dal mondo delle forme illusorie. L' " inferno terrestre " può prefigurare una specie di descensus ad inferos espresso per mezzo di alcuni miti "tragici " che erano correnti in quel tempo nella tradizione ellenica : l'empietà di una baccanale; Aga­ ve e Penteo che non riconoscono la potenza divina; Marsia che si ribella ad Apollo e perciò diventa il simbolo stesso delle catene che legano al mondo del­ le illusioni e del divenire; le Danaidi che riprendendo un mito orfico, raffigurano i non-iniziati (i " profa­ ni" ) destinati a rimanere legati all'incessante ciclo della generazione. I miti che stanno alla base del " paradiso celeste " sono molto vari e complessi . Si potrebbe pensare che venga tracciato un " percorso " iniziatico che il miste doveva interiorizzare durante i vari rituali . Partico­ larmente interessanti i riferimenti a quei segni dello zodiaco, come Aquarius, Gemini, Taurus, ecc . , che sembrano raffigurare pittograficamente i frammenti rimastici di Nigidio Figulo sulle costellazioni zodia-

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Carcopino, La basilique, cit., pp.264 e sgg.; pp.292 e sgg.; Vd. pure le raffìgurazioni e le tavole in G. Bendinelli, Il Monumento sotterraneo di Porta Maggiore in Roma, in Monumenti antichi, vol. XXXI, a cura della R. Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1 927, pp. 6 0 1 -859. Sono utili sia la traccia esplicativa degli stucchi della " basilica " contenuta in S.Aurigemma, La

Basilica sotterranea neopitagorica di Porta Maggiore in Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1 974, pp. 1 9-27, sia il re­ cente libro di Domizia Lanzetti, La basilica pitagorica di Porta Maggiore, Simmetria, Roma 2007.

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calil8• L'abside, infine, conclude la " via" percorsa . Saffo che si butta nel mare simbolizza l'anima che si libera definitivamente non solo dalle passioni, ma anche dai legami alle forme transeunti e all'apparen­ za, e che si ritrova infine in contatto col divino. E se il mito ci dava Saffo ( =anima) innamorata di Faone, il simbolo della perfezione celeste, l'esegesi pitago­ rica ritrovava in quest'ultimo nient'altro che il dio Apollo, la forma divina che simbolizza l'armonia co­ smica, la conoscenza spirituale e la luce intelligibile che il miste intendeva perseguire nel corso dei rituali di tipo misteriosofico praticati nella " basilica.

Publio Nigidio Figulo è colui che più di tutti operò per una affermazione anche politica degli ideali pi­ tagorici, in una curiosa simbiosi di dottrine a forti caratterizzazioni ascetiche con teorie astrali e divi­ natorie fra le più complesse19• Ebbe significativi ruoli politici nell'ambito della parte conservatrice. Ricoprì la carica di senatore e fu amico di Cicerone2°, mentre nel periodo della lotta fra Cesare e Pompeo si schierò con quest'ultimo per una estrema difesa degli ideali aristocratici e repubblicani, fino a che fu esiliato dal vincitore. Morì in esilio attorno al 452 1 •

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Carcopino, La basilique, cit. , pp.35 8-371 . Gli studi più importanti sono quelli d i Gianola, Publio Nigidio Figulo. Astrologo e mago, Roma 1 905; Legrand, P. Nigidius Figulus philosophe néopythagoricien orphique, Paris 1 9 3 1 ; A. Della Casa, Nigidio Figulo, Roma 1 962; N. D'Anna, Publio Nigidio Figulo, Arché, Milano 2017. I frr. furono raccolti da K. Swoboda, P.Nigidi Figuli operum reliquiae, Wien 1 8 89. Cicerone, ad fam., IV, 1 3 , 2. È quanto può desumersi da S. Girolamo, Chron., 01. . 1 83, 4 ( =45 a.C. ): "Nigidius Figulus Pythagoricus et magus in exilio

moritur".

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Una notizia particolarmente indicativa è quella relativa alla sua legazione in Asia nel 5222• Il fatto è interessante. Le province asiatiche visitate da Nigidio Figulo sono proprio quelle presso cui si erano dif­ fuse le dottrine mithraiche dei Magi ellenizzati spe­ cie dopo la sconfitta di Mithridate e la sottomissio­ ne definitiva dei " pirati cilici " ad opera di Pompeo, dottrine che erano caratterizzate da una interessante sintesi di concezioni astrali caldee e di misteriosofie iraniche23• Da qui Nigidio si era recato in Grecia per completare la propria formazione spirituale e dottri­ nale, un cenno della quale rimase nel suo sopranno­ me "figulus ": Nigidium Figulum dicit, qui ideo hoc

nomen accepit, quia regressus a Graecia dixit se di­ dicisse orbem ad celeritatem rotae figuli torqueri24• È in tale ambito di studi astronomici che molto probabilmente va collocato il significato del suo par­ ticolare soprannome. Sant'Agostino (De Civ. Dei, V, 3 ) ricorda che Nigidio fu chiamato così perché utilizzava il simbolo della rota figuli ( " la ruota del vasaio " ) per le dimostrazioni delle sue teorie astro­ nomiche che secondo lo schol. ad Luc. I, 6 3 9 erano quelle da lui apprese in Oriente e in Grecia . L'espres­ sione rota figuli si ritrova nel più tardo Apuleio25 con una valenza mistico-magica non estranea agli inte­ ressi nigidiani, mentre Lucano (1, 639 e sgg . ) parlerà di "conoscenza dei ritmi che regolano i moti degli astri" , dove viene utilizzata una terminologia che è rapportabile alla nigidiana rota figuli. Considerando la perizia astronomica di Nigidio attestata da tutte 22 23

24 25

Cicerone, Tim., I, 1 -2. Seguiamo essenzialmente F.Cumont, La fin du m onde selon les Mages occidentaux, " Revue d'Histoire des Religions " , 1 9 3 1 , pp.29 e sgg. ; Bidez-Cumont, Les Mages Hellénisés, 2 voli. , Pa­ ris 1 9 3 6 . Schol. a d Luc., l, 6 3 9 . Apuleio, De Mag., XLVI.

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l e fonti a noi giunte, e i l suo viaggio nelle regioni asiatiche a forte cultura " magusea " durante il quale Nigidio non rimase certo a guardare dall'esterno i vari rituali cui verosimilmente dovette assistere, non è difficile pensare che i pochi frammenti che ci par­ lano della rota figuli non facciano altro che alludere alle sue profonde conoscenze del movimento degli astri e alla simbologia astronomica relativa a quella che i pitagorici chiamavano " armonia delle sfere " , l a cui importanza nel pitagorismo è ben nota, e alla quale non doveva essere estranea una prospettiva escatologica 26• Tracce del suo interesse per la spiritualità Vici­ no-Orientale possono trovarsi nel fr. 74 ( Swoboda ) , l à dove sembrerebbe essere attestato u n suo inte­ resse per la dèa Cibele. Tuttavia, più sorprendente appare l'analisi degli attributi a lui dati da vari au­ tori antichi, a cominciare da quel "magus" che lo schol. di S. Girolamo accosta a "pythagoricus ". Si sa del significato negativo che il termine "magus" ebbe nell'antichità classica27, ma qui pensiamo si tratti di cosa diversa e ben più importante. Nel fr. 67 ripor­ tato nella sua raccolta dallo Swoboda, infatti, viene delineata una specie di storia spirituale del mondo contrassegnata da varie ère, ognuna delle quali era presieduta da una particolare divinità che in ordine decrescente indicava le varie fasi del decadimento

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Pensa diversamente, restringendo il simbolo al mestiere di un improbabile " vasaio " , Della Casa, Nigidio Figulo, cit. , pp. 12-14. Sugli aspetti mistico-ascetici del pitagorismo cfr. N.D'Anna, La Disciplina del Silenzio, cit., pp. 8 3 - 1 02. Cfr. Della Casa, Nigidio Figulo, cit., c. IV. Vd pure Brugnoli, Magus e Figulus, " Maia " , 1 967, pp. 3 8 7 e sgg. Sull'etimologia del termine latino magus ritenuto dagli specialisti una deri­ vazione dal sostantivo iranico magu-, si rimanda al classico M. Mayrhofer, Kunzgefalptes etymologisches Worterbuch des Altindischen, Heidelberg 1 963, p.544.

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del mondo. Dice Nigidio: "Quidam deos et eorum

genera temporibus et aetatibus (dispescunt}: inter quos et Orpheus primum regnum Saturni, deinde ]ovis, tum Neptuni, inde Plutonis. Nonnulli etiam, ut Magi aiunt Apollinis (ore regnum: in quo viden­ dum est, ne ar,dorem, sive ecpyrosis appellando est, dicant ", ponendo in tal modo sotto il regno di Apol­ lo la risoluzione finale del mondo e la conflagrazione cosmica, l'ekpyrosis. Ai fini del nostro assunto per adesso interessa rilevare quell'accento ai Magi ira­ nici e alle loro dottrine escatologiche28, che non può non riportarci alla legazione di Nigidio del 52 nelle province asiatiche che più erano permeate di teorie astrali caldee e di misticismo mithraico. Esso sug­ gerisce l'ipotesi che con l'attribuzione di "magus" data a Nigidio non si intendeva affatto l 'equivalente di superstizioso, stregone, ecc . , ma si voleva ricono­ scere un preciso interesse dottrinale e designare una specie di status spirituale. Uomo di vasti interessi, Nigidio aveva riunito attorno a sé un gruppo di fedeli in una specie di con­ fraternita, quel sodalicium nigidiani dalle forti ac­ centuazioni misteriosofiche di cui spesso parlano le fonti antiche29• Non si trattò del solito cenacolo di tipo filosofico, ma si volle dare a degli iniziati una dottrina che verosimilmente assumeva caratteri si­ mili ad un oracolo30, capace di utilizzare tutto lo sci­ bile allora conosciuto, ma sempre in una prospettiva mistico-ascetica che ricordava la struttura iniziatica

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La tesi che i Magi del fr.67 di Nigidio siano le élites spirituali mithraiche è data per scontata da F. Cumont, La fin du monde, cit. , pp.44-45 e note relative. L'espressione "sodaliciium sacrilegi nigidiani " si trova nello ps-Cicerone, in Sal. Resp.,V, 1 4 . Cfr. Carcopino, La basilique, cit. , pp. 1 9 8 - 1 99. Carcopino, op. cit., p. 1 99; Ferrero, op. cit., p.292.

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dell 'antico pitagorismo3 1 • L a confraternita aveva un carattere molto chiuso, tanto che malevolmente le furono riferiti non solo i soliti , convenzionali aspetti sacrileghi ed empi spesso motivati dall'uso dei fan­ ciulli nelle pratiche divinatorie che colpivano nega­ tivamente la fantasia popolare32, ma anche oscure trame politiche che i consensi attorno alla persona di Nigidio (che la testimonianza di Cicerone ci dice essere stati vasti e ben radicati nel mondo politico romano) facevano ritenere potessero costituire un pericolo per il nuovo organismo statale che si stava costituendo a Roma attorno alla persona di Cesare. Gli iniziati usavano riunirsi nella casa di Nigi­ dio dove venivano letti i testi attribuiti a Pitagora e ad Orfeo. Lo stesso Nigidio provvedeva a spiegarne il significato spirituale tendendo non ad una esegesi filosofico-culturale, ma ad esporre contenuti di tipo dogmatico dati non per essere discussi, ma interioriz­ zati come una rivelazione divina33• Ed è interessante notare che J. Carcopino ha scoperto un uso similare presso i pitagorici che si riunivano nella basilica di Porta Maggiore. Negli stucchi di quell'edificio, in­ fatti, vi sono raffigurate scene di letture sacre34 che esplicitano pittograficamente la notizia di Giambico CV. Pyth. , 9 9 ) , secondo la quale era usuale presso i pitagorici durante i simposi, che il più giovane leg­ gesse dei testi scelti dal più anziano il quale aveva

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32

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Cicerone ( Tim., 1, 1 ) accenna alle dottrine pitagoriche estinte in Italia, ma che Nigidio avrebbe restaurato; cfr. Della Casa, op. cit., p.SO. Apuleio, De Mag., XLIII. Cfr. Ferrero, op. cit., p.294, il quale poi ricorda (p.295, n . 1 549) che anche negli stucchi della basi­ lica di Porta Maggiore sono raffigurati procedimenti simili (vd, Carcopino, La basilique, cit. , pp.26 1 e sgg. ) . H a colto questo punto L.Ferrero, op. cit., pp.293-294; cfr. Car­ copino, La basilique, cit., pp. 1 9 8 - 1 99. Carcopino, La basi/ique, cit. , pp. l 24-125; pp.257 e sgg.

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pure il compito di indicare le modalità di lettura e perciò indirizzava verso una particolare ermeneuti­ ca del testo. Si trattò dunque di una vera e propria liturgia della parola nella quale il libro diventava il supporto rituale di una forma di realizzazione spiri­ tuale35. Il ruolo fondamentale assunto dal testo sacro in questo ambiente neopitagorico può spiegare l'at­ tenzione di Nigidio verso l'esegesi dei nomi. Ancora una volta non si trattava di un'analisi grammaticale od etimologica fine a se stessa come oggi è usuale, ma di un'ermeneutica simbolica dei nomi e delle pa­ role, che però è simile a quella fatta da Platone nel Crati/o e che si ritrova per es. anche nel Nirukta in­ diano. Come dice il fr. 41 ( Swoboda ) , si trattava di cogliere "quandam vi et naturae ractione (acta ", che può trovare significato solo nell'analisi di un testo sacro così come era usuale presso i Magi orientali, analisi fatta nella prospettiva che l'iniziato potesse interiorizzare i molteplici sensi delle scritture divina­ mente ispirate al fine della propria ascesi spirituale36. È all'interno di questo ambiente che trova col­ locazione l'elaborazione di una complessa dottrina cosmologica espressasi nell'opera De Sphaera, che sotto l'influsso di speculazioni caldee ed egizie, tese a collegare i corpi e i moti celesti alla mitologia e alla teologia classica . Secondo Franz Boli, dai pochi frammenti rimasti si può persino dedurre che l'ope­ ra nigidiana fosse divisa in due parti, Graecanica et Barbarica, che costituivano una specie di " tracciato " 35

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Le tecniche di realizzazione spirituale e gli esercizi di me­ moria praticati nei sodalizi pitagorici si trovano studiati in N.D' Anna, La Disciplina del Silenzio, cit., cap. III. Le etimologie "popolari " di Varrone si collocano nella stessa prospettiva. Sul significato di questo tipo di scienza sacra cfr. A.K. Coomaraswamy, Nirukta Hermeneia, " Rivista di Studi Tradizionali " , 1 0, 1 964, pp. 1 9-30, che ne dà la spiegazione migliore. =

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del percorso zodiacale e delle leggende che intende­ vano spiegarne il significato, forse anche con intenti calendariali e divinatori37• La parte più propriamente astrologica, quella che più ha colpito alcuni studio­ si moderni, non ne rappresentava l'elemento fonda­ mentale, ma era piuttosto una applicazione alle vi­ cende storiche di una lettura del cosmo che intendeva svelare con i ritmi celesti, i simboli che ne costituiva­ no il retroterra spirituale dal quale quei ritmi in real­ tà prendevano consistenza . Notevolmente sviluppata appare l'analisi delle costellazioni zodiacali e perciò dei cicli e dei ritmi temporali scanditi dal percorso del sole nel suo ciclo annuale, con speciale attenzione ai punti solstiziali e a quelli equinoziali, come testi­ monia Plinio (Nat. Hist. , VI, 34, 2 1 2 e sgg. ) . All'interno d i questo tracciato sidereo u n ruo­ lo importante sembra possa attribuirsi al solstizio estivo e dunque alla costellazione del Cancro. Nel suo ciclo annuale il sole passa per il solstizio estivo al momento della massima culminazione della sua corsa e solamente dopo comincerà il movimento discendente che si concluderà al solstizio invernale, per poi ricominciare da qui, sotto il segno del Ca­ pricorno, tutto il proprio percorso38• Per questa loro particolarità i solstizi erano considerati le due "porte dell'anno " , indicanti rispettivamente il movimento di manifestazione del creato e la "porta degli dèi " , la via che nel linguaggio orfico propiziava l'uscita dal mondo delle forme e della generazione. Già nel suo Calendario brontoscopico Nigidio riprende tale prospettiva, per la verità poco usuale 37 38

Cfr. F. Boli, Sphaera, Leipzig 1 903, p. 357; Della Casa, op. cit. , p. l21 . Cfr. l e indicazioni d i R. Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Paris 1 962, pp. 1 52 - 1 5 6 ; pp.2 3 7 e sgg.; pp.239-249.

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nei circoli colti di Roma a lui contemporanei. I pre­ sagi ivi contenuti , infatti, si basano su un computo annuale che iniziava dal Cancro per poi dispiegarsi attraverso i restanti mesi dell'anno. Servio, inoltre, evidenzierà il rapporto di questo segno zodiacale col Cane, che secondo Igino (Astr., 1 1 1 2 , 34 ), e i Ge­ oponica ( 1 , 8) si leva con il Cancro. La notazione è importante e particolarmente interessante ove si ricordi che l'anno cosmico egizio cominciava sotto il segno del Cancro, al sorgere della stella Sothis (a Canis Majoris = Sirio, il capo dei decani celesti ) , la quale poi non è altri che la stessa Canicola indicata in una notazione di Servio Dan. (ad Georg. , I, 2 8 ) :

"Nigidius commentario "Sphaera graecanicae " ori­ tur enim Canicola cum Cancro, in columen venit cum Geminis, occidit cum Tauro ".39 Sul corrispondente segno del Capricorno ab­ biamo qualche frammento. Lo schol. Germ. ( p . 8 7, 1 1 e sgg . , p. 1 5 6 , 3 e sgg. ) , sviluppando una rappre­ sentazione fortemente impregnata di elementi egizi e caldei, mette insieme alcuni dati di vario tipo e si­ gnificato: Pan che aveva aiutato gli dèi e che perciò verrà ricompensato con la sua assunzione celeste nella costellazione del Capricorno; il terribile gigan­ te Typhon, la personificazione del caos, che viveva in una caverna della montagna cosmica; il maschera­ mento degli dèi sotto le sembianze di animali fatto

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Sull'anno " canicolare" cfr. F.Cumont, Adonis e t Sirius, in " Mé­ langes Glotz", Paris 1 932, l, p. 59. Su Sirio, De Santillana-von Dechend, Siria, centro permanente dell'universo arcaico, in Aa.Vv., Eternità e Storia, Firenze 1 9 70, pp. 3 9 1 -4 1 2 ; Hel­ ck-Westendorf (a cura di) , Lexikon der Agyptologie, Wiesba­ den 1 984, s.v. Sothis e Sothisperiode. Molto importanti per le implicazioni generali e per la vasta dottrina, sono gli studi, editi a cura dall'IsiAO, di A.Panaino, Tistrya. I. The Avestan Hymn to Sirius, Roma 1 990 ; Id., Tistrya. II. The Iranian Myth of the star Sirius, Roma 1 99 5.

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coincidere proprio con i l breve periodo del vacuum temporale del solstizio invernale. Si tratta di quel "capodanno cosmico " ( =quando il sole "rinasce " e riprende la sua vita nel percorso sidereo), che in molti rituali celebrativi comportava il sacrificio del " re carnevale" e una ricca presenza di cortei di gio­ vinetti mascherati dei quali testimoniano i rituali del " nuovo anno " di quasi tutti i popoli e, per il nostro assunto, in particolare la festa dei Saturnalia romani, del Nauroz iranico, oppure ancora alcune importan­ ti feste dionisiache. È il medesimo schema mitologi­ co delle tante rappresentazioni iniziatiche celebrate quasi ovunque in coincidenza del Capodanno, nelle quali era usuale che un eroe-archegeta vincesse un mostro e in tal modo favoriva la vittoria sulle tene­ bre di una luce che secondo alcune tradizioni scatu­ riva dalla montagna cosmica. Un testo di Servio può aiutarci a capire e a svi­ luppare queste riflessioni. Commentando Georg., I, 1 9 , dove Virgilio afferma che "unci . . . puer mon­ strator aratri ", Servio accosta di nuovo miti egizi ed elementi greco-romani e dice : Triptolemum dicit

Nigidius "Sphaerae barbaricae ", sub Virginis signo aratorem, quem Horon Aegypti vocant, quod Horon Osiridis filium ab hoc educatum dicunt "(ad Georg., I, 1 9). L'identificazione di Trittolemo, popolarmente considerato }"' inventore " dell'aratro, con la costel­ lazione dell 'Aratore ( =Bootes ) sembra dunque essere stata corrente. Igino40 conosce già questo mito, men40

Sui rapporti lgino-Nigidio cfr. Le Boeuffle, Rechérches sur Hjgin, " Revue des Ètudes Latines" , 43, 1 965, pp.275-294. Per l'anno egizio, Bouchè-Leclercq, L'astrologie grecque, Pa­ ris 1 8 99, p . 1 29; Maspero, Histoire ancienne des peuples de l'Orient, Paris 1 9 12, pp. 86-87; Boli, Sphaera, cit., pp. 356 e sgg. Sul cambiamento di notazione dal Cancro all'Ariete, Bouchè-Leclercq, Histoire de la divination dans l'antiquité, 4 voli., Paris 1 879-82, vol. l, p . 1 2 9 . Per le implicazioni inerenti

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tre parimenti nota era una tradizione che attribuiva a Trittolemo il mestiere del " bovaro " 4 1 • Lo schol. ber. ad Georg., I, 1 74 , inoltre, ci spiega che "stiva guber­ naculum aratri, ut Nigidius ait", che come notava lo Swoboda, non può che riferirsi ad una notazione astronomica che allude alla costellazione dell'Ara­ tore e al suo " timone " Ma cos'è questo " timone " dell 'Aratore/Bootes che ne dirige il percorso cosmi­ co ? La tradizione romana conosce anche un altro termine per indicare il " timone " che ci interessa nel modo più diretto. Ennio, i cui legami col pitagori­ smo sono ben noti42, dirà che " . . . in altisono l Coeli

clipeo "temo " superat l Stellas sublime agens etiam l atque etiam noctis iter"43• Commentando questi versi e soffermandosi sulla parola temo, Varrone ritenne che quest'ultima potesse risalire ad un'alta antichità e che già in Omero ( Od., V, 2 72 e sgg. ) indicasse la costellazione del Grande Carro e ricorda che secondo i Latini il " timone " (=Gran Carro ) si trovava prossimo al Polo Nord: "nostri eas septem

stellas triones et temonem et prope eas axe "44• Ma il fr. di Servio ad Georg.l. 1 9, può dirci dell'altro. L'Aratore (= Trittolemo = Bootes) sta pros­ simo alla costellazione della Vergine, quella stessa che nello schol. Germ. (p.65, 20 e sg., p. 1 26, 1 sgg. ) Ni­ gidio, riportando il mitologhema della Vergine-Dike che fugge dal mondo alla fine dell'età aurea, aveva

41 42

43 44

alle dottrine caldee, cfr.Bidez, Bérose et la Grande Annèe, in "Mélanges Frédericq ", Bruxelles 1 904, pp. 9 e sgg. Igino, Fab., 147; Astr. , Il, 4. Per l'identificazione Aratore=Bootes, cfr. Swoboda, op.cit., p.56 e p.50. Ferrero. op. cit., pp. 1 9 8 e sgg.; D.Liuzzi, Ennio e il pitagori­ smo, "Annali della Facoltà di Magistero" , Lecce, vol. III, 1 97374, pp.28 1 -299. Ennio, Trag. Rom. Frag. , v. 1 77-1 80. Varrone, de lingua lat. , VII, 4, 74. Cfr. Freund, temo, "Rea/. Encycl.", s.v.

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detto che corrispondeva alla figlia di Icario: "Icarius autem pater Virginis nominatur stella Arcturus" La notazione è importante. Arcturus (che poggia sullo stesso etimo del gr. apnoç = l"' orsa " ) non è altro che la stessa a Bootes che "presiede " al tracciato stellare attorno al Polo (una notazione che conosce lo stesso più tardo Macrobio, Sat., V, 1 1 - 1 2 : ''Arcturus iuxta septemtrionem est" ; e "Booten et Arcton quae sunt in septemtrionali polo " ) , ossia là dove i septem triones, "i sette buoi " , indicheranno la costellazione posta a Nord, il punto che nel simbolismo annuale corrispon­ de al Capricorno, la sede del lontano e freddo Satur­ no45. Il nesso che Nigidio stabilisce fra la Vergine e Arturo può così suggerire condizioni cosmiche simili a quelle che hanno preceduto la fuga della Vergine dalla terra inorridita per l'empietà degli uomini: è un'allusione alla connessione della costellazione della Vergine con l'età aurea e con i relativi punti celesti di riferimento, Arturo e alcune costellazioni polari. Tuttavia Nigidio prospetta pure una conclusio­ ne del ciclo cosmico, una sua risoluzione finale che fu concepita in modo drammatico, attraverso il san­ gue e il fuoco purificatore, l'ekpyrosis46. La seconda parte del già citato fr. 67 parla di " . . . nonnulli etiam,

ut Magi, aiunt Apollinis (ore regnum: in quo viden­ dum est, ne ardorem, sive ecpyrosis appellando est, dicant" , che a parte la menzione del regnum Apollinis dalla forte accentuazione messianica, comporta la di­ struzione del mondo alla fine di un ciclo astronomico che Nigidio riteneva addirittura di poter prevedere. In

45 46

Cfr. Guénon, Symboles, cit., p. 1 82 ; pp.240-242, per il Capri­ corno-Nord e per il Cancro-Sud. Su tale dottrina cfr. Boyancè, Ètudes sur le Songe de Scipion, Limoges-Paris 1 936, pp. 160 e sgg.; Carcopino, La basilique, cit., p. 1 8 8 ; N.D'Anna, Il Gioco Cosmico. Tempo ed eternità nell'antica Grecia, Mediterranee, Roma 2006, c.V.

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un fr. di Lucano, infatti, studiando le rivoluzioni degli astri e le loro orbite, egli scopre nei ritmi celesti e nei percorsi delle stelle l'annuncio di uno straordinario disordine che prelude a vasti sconvolgimenti anche sulla terra, con lutti terribili per il genere umano: " . . .

aut hic errat, ait, ulla sine lege per aevum l mundus et incerto discurrunt siderea motu: l aut, si fata movent, orbi generique paratur l humano matura lues . . "47• .

A queste aspettative di tipo apocalittico è forse possibile riferire una famosa profezia a lui attribuita dalle fonti antiche in relazioni alle sue conoscenze astronomiche e alla sua perizia divinatoria . Sveto­ nio (Aug. 94) riferisce che il padre del futuro Au­ gusto, al momento della nascita del figlioletto, ebbe in sogno la visione di un sole che si levava dal seno della moglie. Nigidio predisse per questo figlioletto appena nato un destino di dominatore universale (adfirmasse dominum terrarum orbi natum), predi­ zione che a detta di Dione Cassio (44, 1 ) spaventò terribilmente il padre del bimbo a tal punto che ave­ va persino pensato di sopprimerlo, a ciò ovviamente sconsigliato dallo stesso Nigidio. Ma quello che può avere un rilievo importante è il fatto che Dione Cas­ sio collega tale predizione su un prossimo sovrano universale dai caratteri quasi messianici, al tipo di ordine celeste che era possibile contemplare nel mo­ vimento delle stelle, e poi alle particolari modalità di disporsi delle costellazioni nei loro percorsi siderei. Il lento movimento dei corpi celesti nella sfera cosmica sembrava indicare fatti e avvenimenti storici la cui portata non poteva essere limitata alla piccola con­ tingenza del quotidiano. Il legame stabilito nella cosmologia nigidiana

47

Lucan. , Phars., l, 642 pp.200-20 1 .

e

sgg . ; Carcopino,

La basilique, cit.,

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d a u n lato fra l e orbite delle costellazioni, i miti, il sommovimento degli astri e le stesse apparizioni di comete, e dall'altro con i turbamenti dell'ordine sociale, poté comportare il tentativo di precisare la reale incidenza sulle vicende umane di taluni eventi dalla forte caratterizzazione simbolica, una eco della quale è senz'altro da ritenersi il cosiddetto Calenda­

rio brontoscopico48• Il testo conservato da Giovanni Lydo inizia con un riferimento ai cosiddetti " Libri di Tagete " , che è come dire ai "Libri fulgurales " dell'etrusca discipli­ na che si occupavano della dottrina relativa all'in­ terpretazione simbolica dei fulmini49• Tale tipo di conoscenze presso gli Etruschi erano spesso riferite anche alle profezie della ninfa Vegoia50, ossia ad una rivelazione divina che poteva essere interpretata so­ lamente da appositi collegi sacerdotali come gli aru­ spici, cui apparteneva quell'Arrunte che assieme a Nigidio si trovava a Farsalo al seguito di Pompeo in un momento decisivo per il futuro di Roma . In una attenta analisi del Calendario brontosco­ pico A. Piganiol ha riferito le dottrine ivi contenute ad un retroterra "caldeo " che avrebbe costituito la base su cui poi si sarebbero sviluppati gli elemen­ ti più propriamente "etruschi " 5 1 , mentre Nigidio avrebbe adattato questo tipo di conoscenze ai destini 48 49

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51

L'ed. classica è quella di Wachsmuth, Leipzig 1 8 63, seguita an­ che dallo Swoboda. Cfr. S. Weinstock, C.Fonteius Capito and the libri Tageti­ ci, "Papers British School at Rome " , 1 8 , 1 950, pp.44 e sgg.; Bouchè-Leclercq , Histoire, cit. , IV, pp.32 e sgg. Cfr, J.Heurgon, The Date of Vegoia 's prophecy, "journal of Roman Studies " , 49, 1 959, pp. 4 1 e sgg,; Piccaluga, Vegoia, in Id. , Minuta/, Roma 1 974, pp. 1 35 e sgg. A . Piganiol, Sur le calendrier brontoscopique de Nigidius Figu­ lus, " Studies in Roman Economie and Social History of Allan Chester Johnson " , 1 95 1 , pp.79-87 ; vd. pure la sua breve nota in " Revue des Ètudes Latines " , 1 949, pp. 84-85; cfr. Weinstock,

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particolari di Roma, secondo quanto dice esplicita­ mente il nostro testo al rigo finale: "Questa bronco­

scopia Nigidio non la ritenne universale, ma della sola Roma ". Una particolare attenzione viene rivolta alle condizioni della comunità umana nella realtà stori­ ca, tanto da far pensare che in quest'opera Nigidio intendesse applicare al campo sociale e politico le proprie conoscenze d'ordine spirituale52• Ma in ge­ nerale quello che viene prospettato è un panorama negativo delle vicende umane. Le cattive raccolte, i mali fisici, lo scoraggiamento degli uomini in ogni mese dell'anno acquistano un rilievo di gran lunga più ampio che non i momenti ben più rari di fertili­ tà della terra, salute ed equilibrio sociale. In realtà, sembra che i "presagi ricavati dai fulmini" dipinga­ no un'èra di cattiveria generalizzata e una sterilità della natura contrassegnata anche dall'apparizione di topi, cavallette e rettili dannosi che, ancora, fanno da controparte al disordine generalizzato e al pano­ rama di una società in disfacimento, in cui addirit­ tura al 5 e al 1 9 agosto e poi al 6 settembre viene prospettato un abnorme potere femminile, in tutto identico a quello presente per es. nell'VIII Oracula Sibyllina53, la cui interpretazione di " segni" molto si­ mili portava alle stesse valenze negative prospettate da Nigidio. Un altro aspetto particolarmente rilevante è quello relativo alle guerre civili e alle rivolte popo­ lari. In ogni mese almeno un paio di volte vengono

Libri Fulgurales, " Papers British School at Rome " , 19, 1 95 1 52 53

(pp. 122- 1 5 3 ) , pp. 1 3 8 e sgg. Cfr. Della Casa, op. cit., p. 1 2 8 . Cfr. H.jeanmaire, La Sibylle et le retour de l'age d'or, Paris 1 939, pp. 1 1 9-129. La connessione col culto di Iside viene ana­ lizzata ivi, pp.55 e sgg.

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notati sommovimenti sociali di varia natura il cui sfondo è sempre la guerra sia esterna che interna, segno di un caos sociale che esprime sul piano pro­ prio quell"'annuncio che gli dèi sono adirati" cui il testo accenna il 20 aprile. Il tutto inquadrato all'in­ terno di un panorama di triste tramonto di giuste aspirazioni, di patrimoni che vanno in rovina, di " buoni " oppressi e, ancora, di guerre servili e stra­ gi (circa 1 5 volte ) che opprimono i liberi cittadini dopo aver invano suscitato speranze e del usioni , mentre spesso si parla genericamente di un "potere regio " , di un " re " o addirittura di un " re orientale " ( almeno in due occasioni) dall'indefinita funzione, quasi come un ulteriore elemento di oppressione. Il 27 maggio un fulmine annuncia un prodigio "e una cometa apparirà in cielo " che pare essere una eco di quel particolare tipo di conoscenze nigidiane che interpretavano l'apparizione di certe costellazioni e dei corpi celesti come trasposizioni simboliche di vicende legate agli eroi del mito e come signatu­ ra di avvenimenti dalle forti conseguenze storiche. Tale segno, però, acquista un rilievo decisivo ave si ricordi che un evento simile accadde alla morte di Cesare e che l'aruspice etrusco chiamato ad inter­ pretare il fenomeno ritenne che quel segno annun­ ciava la fine del nono saeculum, quello del caos e del disordine54• Il quadro sociale, politico e naturale raffigurato nel Calendario è veramente caotico. E se presenta straordinarie somiglianze con la situazione torbida dell'epoca ciceroniana, ha anche un aspetto non !imi­ tabile ai semplici fatti storici nel cui periodo verosi­ milmente Nigidio compose il suo trattato. Ci sembra

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Plutarco, Caes., 69; Plinio, Nat. Hist., II, 98; Dione Cassio, XLV, 1 7, 5 .

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piuttosto che traendo spunto dai singoli avvenimenti venga prospettata una situazione generale da età del ferro nella quale vengono a concludersi le vicende storiche romane. È una specie di "fine di un mondo " che qui appare raffigurata, nello stesso senso e con le stesse valenze già notate a proposito dell'ekpyrosis del fr. 67 e del disordine astrale e politico dei versi di Lucano. Coerentemente con la sua concezione cicli­ ca dei moti celesti, Nigidio in quest'opera ha voluto indicare i segni che nell'ordine sociale e naturale an­ nunciavano il rivolgimento cosmico che portava alla fine del vecchio mondo romano e alla sua conclusio­ ne drammatica. La presenza di un personaggio come Nigidio non poteva certo passare inosservata presso i circo­ li colti della Roma cesarèa. In questa straordinaria personalità sembrano fondersi precise conoscenze astronomiche sui cicli cosmici con indicazioni sul ruolo "assiale" del Gran Carro nella determinazione dei movimenti celesti; speculazioni sul significato dei miti, e attenzione al loro rapporto con le comete o con gli altri corpi celesti, il tutto unito ad un'attenta ermeneutica che ne riporta il significato a dottrine dalla forte incidenza messianica.

Studiando alcune particolarità della III egloga già i commentatori antichi rimanevano perplessi di fronte a quell'enigmatico "quis fuit alter ? " del v.40, ossia l'anonimo personaggio che Virgilio accosta all'astro­ nomo Conone di Samo, seguace del pitagorismo e scopritore della costellazione della Chioma di Bere­ nice . L.Hermann, sulla scorta dei commenti antichi, aveva ritenuto in un primo tempo che si trattasse di

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Arato55, soprattutto perché l'arator del v.42 sembra­ va suggerire un'assonanza linguistica che Hermann riteneva non casuale. In un secondo tempo lo stu­ dioso in una brevissima nota56, corresse la propria iniziale tesi e avanzò l'ipotesi che "accanto a Cono­

ne di Samo doveva trovarsi un Romano, discepolo come lui di Pitagora "57, ossia proprio Publio Nigidio Figulo. Ed anzi il fatto che Menalca l Virgilio non faceva esplicitamente il nome dell'astronomo pita­ gorico romano, sembrava potersi ricondurre all'esi­ lio forzato di Nigidio che avrebbe costretto Virgilio ad una prudenza che a L. Hermann non appariva affatto eccessiva. Nonostante la debolezza evidente di questa ar­ gomentazione, riteniamo che l'intuizione dello Her­ mann sia giusta e che essa possa essere appoggiata da altre considerazioni, più direttamente legate alla struttura dei versi in questione. Innanzitutto ritenia­ mo che i vv.40-42 vanno certamente studiati nel loro insieme cogliendone il significato complessivo, ma anche nei loro singoli particolari ove questi concor­ rano a spiegare il senso della rappresentazione virgi­ liana. Né si può separare l'astronomo da ciò che lo caratterizza . Dice Virgilio: Descripsit radio totum qui

gentibus orbem, l tempora quae Messor, quae curvus Arator haberet ?. Ora, a parte il fatto che " radio ", la bacchetta usata dai matematici per tracciare figu­ re sulla sabbia, si potrebbe rendere "col compasso " , u n altro simbolo d i quel dio Apollo che assicurava 55 56

57

Cfr. L.Hermann, Les Masques et les Visages dans les Buco­ liques de Virgile, Bruxelles 1 930, p . 1 49 e n.3. L.Hermann, Notules sur les Bucoliques virgiliennes, " Les

È tudes Classiques " , 1 94 8 , pp. 3 7 1 -3 73. Resta nel vago P. Boyancé, Le sens cosmique de Virgile, " Revue des Ètudes La­ tines " , 1 954, p.226. Hermann, Notules, cit., p. 3 7 1 . Preferisce stranamente non esprimere giudizi P. Grimal, Virgilio, Milano 1 9 86, p.35.

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l 'armonia e l'equilibrio cosmico, noi qui abbiamo la raffigurazione dell'orbe celeste che ruota attorno a due punti "cardini " riferiti al tempo del Mietitore e dell'Aratore. Si ha cioè, per usare un'espressione ni­ gidiana, una rota figuli, un'armonica rotazione della sfera cosmica " misurata " con lo strumento proprio a questa funzione che, considerato che i due perso­ naggi dell'egloga sono astronomi e non matematici, dovrebbe essere proprio l'apollineo compasso. Ma quali sono i tempora del messor e dell'arator ? I frr. di Nigidio ci invitano a guardare in cielo per trovare la soluzione di questo piccolo enigma virgiliano. L'A­ ratore non è altro che il Bootes, la costellazione che, come abbiamo visto, si trova prossima alla Grande Orsa, al Nord, ossia al punto cui viene riferito sim­ bolicamente il Capricorno58 • Il Mietitore allora, che nell'esposizione virgiliana si contrappone all'Arato­ re, dovrà corrispondere al Cancro cui viene riferito normalmente il periodo della mietitura, lo stesso at­ tributo dell'enigmatico personaggio che nelle figure zodiacali trovate nelle rovine di una casa dell'antica città ellenica di Argo viene rappresentato mentre con i suoi strumenti trebbia il grano. L'orbe celeste " mi­ surato " dall'enigmatico astronomo aveva due " por­ te " cui presiedevano il Mietitore e l'Aratore, che si trovano elencate nello stesso ordine "cardinale" che secondo i frr. di Nigidio indicava l ' " asse" del percor­ so sidereo del sole, dal Cancro al Capricorno59• 58

59

Sul problema qui affrontato cfr. A.Alfoldi, Redeunt Saturnia regna. VII. Frugifer-Triptolems im ptolemaisch-romischhen Herrscherkult, " Chiron" , 9, 1 986, pp. 553-606, che qui conti­ nua una serie di interessanti studi. L a soluzione di questo problema può aiutarci a svelare i l mi­ stero dell'indovinello dei vv. 1 04-1 05 della stessa egloga, là dove Dameta chiede: "Dic, quibus in terris, et eris mihi magnus Apollo l tris pateat ca eli spatium non amplius ulnas . Se infatti supponiamo che lo " spazio del cielo " sia la "caverna cosmica " "

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L'enigmatica presenza d i Nigidio nell'egloga tut­ tavia non è isolata . Accanto a lui appare, improvvi­ samente evocato da Dameta, Pollione, il cui nome è ripetuto tre volte come nelle invocazioni rituali, in connessione alle Musé0, ai Carmina, all'aureo miele e alla fioritura del misterioso amomum. Può essere considerata casuale questa compresenza di due per­ sonaggi così importanti per Virgilio ? Se infatti Ni­ gidio è il restauratore della confraternita pitagorica a Roma, Pollione è colui al quale Virgilio dedicherà proprio la IV egloga, quella in cui il messianismo di certe interpretazioni astrali di Nigidio sembra espri­ mersi nel modo più netto. Ma la stessa III egloga nella sua interezza ha caratteri pitagorici. Secondo la ricostruzione di P.Maury6 t , infatti, questa è l'egloga della " musica

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ossia una raffigurazione di tipo platonico della volta del cielo, il ristretto " spazio di tre cubiti " apparirà quello che si vede guar­ dando dal Nord e "misurando" dall'alto, esattamente come fa qui Apollo, il "dio geometra " delle dottrine pitagoriche. La prospettiva che ne deriva sembra essere quella di chi guarda dal polo nord celeste seguendo l'inclinazione dell'asse terrestre che è di 23 gradi e mezzo, il cui doppio, 4 7•, è quello dell'angolo del cono tracciato dall' ax is mundi nel " Grande Anno" platonico, la precessione degli equinozi. Riferendosi alla metà dell'angolo cosmico, Virgilio ha in vista la durata del semiperiodo della precessione degli equinozi ricordata come vedremo da Servio quando commentò i versi in questione ed utilizzata dai pita­ gorici di ogni tempo per designare il tempo occorrente per un " Grande Anno " . Anche Ch.P.Segal, Vergil's coelatum opus. An interpretation of the third Ecloghe, "American Journal Philo­ logy " , 1 967, pp.300 e sgg. ha sostenuto con argomenti interes­ santi che in quest'egloga ci sono significati nascosti. Le Muse hanno un importante ruolo mistico nelle raffìgura­ zioni degli stucchi della basilica di Porta Maggiore. Al con­ trario delle Sirene che " legano" l'anima al divenire e al ciclo della generazione, le Muse la guidano alla contemplazione dell' "armonia delle sfere" liberandola dalle forme condizio­ nate ( Carcopino, La basilique . . . , p.29 6 ) . Secondo l'analisi di P.Maury, la III egloga è quella della " musica purificatrice" . P.Maury, L e secret d e Virgile, cit., pp. 80-84.

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purificatrice " dopo il superamento delle "prove del­ la terra e dell'amore " in una specie di limbo incan­ tato che prelude alla rivelazione divina della Sibilla. Ma per i pitagorici la musica è anche qualcos'altro. Secondo una delle loro più caratteristiche dottrine, è anche il ritmo che sta dietro all'ordine cosmico, contrassegna l "' armonia delle sfere" percepibile solo in uno stato contemplativo. La contemporanea presenza di Nigidio Figulo caratterizzato dalla sua perizia astronomica e quella di Pollione cui viene riferito il canto rituale e la " fioritura aurea " , con temi ed espressioni tecniche che si ritrovano nella IV egloga, non può considerarsi certo un puro caso. I due personaggi esprimono qui un'unica realtà spiri­ tuale legata a quegli aspetti messianico-escatologici che Virgilio svilupperà nella IV egloga, nel canto dedicato a Pollione cui forse era accomunato da­ gli stessi presupposti dottrinali riconducibili ad un generico fondo pitagorico così diffuso nella Roma dei Cesari62• D'altronde è veramente difficile pen­ sare che questa massiccia presenza pitagorica possa essere sfuggita ad uno come Virgilio, così partico­ larmente attento alle correnti spirituali che in quel tempo percorrevano tutto il mondo antico. Le ope­ re di Nigidio, così come quelle di Varrone, "i più dotti fra i Romani"63, devono aver costituito parte importante del bagaglio culturale e spirituale non

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È forse opportuno pensare ad un pitagorismo " d'ambiente " , quale frutto esteriore di una presenza che appare massiccia, le cui dottrine sembrerebbero essere diventate una specie di " cultura condivisa " . Per il rapporto Virgilio-Pollione cfr. H. Bennet, Vergil and Poi/io, "Americai:l Journal of Philology " , 1 930, pp.325-342. Più in generale resta importante J. André, La vie et l'oeuvre d'Asinius Pollion, Paris 1 949. Per i loro lega­ mi all'interno di un contesto bucolico-rituale vd. oltre, 1112 . Cfr. Gellio, IV, 1 6, 1: " Varronem et P. Nigidium viros R omani

generis doctissimos ".

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solo d i Virgilio, m a d i tutta un'intera élite culturale e politica . Ed è significativo che anche nella IV eglo­ ga si trovino chiari indizi di temi e figure mitiche largamente presenti nel simbolismo della basilica pitagorica di Porta Maggiore: tali per es. l'accenno agli Argonauti, oppure quello ad Achillé\ o ancora quello ad Orfeo e Lino65 , che ci mostrano un legame non episodico fra l'egloga e i molti aspetti del sim­ bolismo pitagorico. In particolare, le raffigurazioni legate alla spedizione degli Argonauti appaiono de­ cisive nell'interpretazione pitagorica . Negli stucchi della basilica romana, infatti, Giasone inginocchiato diventa " l'anima pitagorica che sfugge alle temperie dell'Oceano e della Natura "66, con un'interpretazio­ ne anagogica del mito che sviluppa temi già presenti nelle raffigurazioni dell'arte sacra funeraria, ma con la specificità di un Giasone che rappresenta l'inizia­ to pitagorico che ha saputo rompere i vincoli che lo legavano al divenire e al mondo delle forme. Dietro tutta la speculazione cosmologica di Ni­ gidio e dietro le rappresentazioni di tipo misterioso­ fico della basilica, appare così il dio pitagorico per eccellenza, l'Apollo che con la sua lira canta l'equili­ brio e l'armonia cosmica, il dio che secondo il ripe­ tutamente cit. fr. 6 7 di Nigidio presiederà al tempo messianico. La menzione di Apollo e di alcuni dei suoi simboli più caratteristici inserisce l'intera opera pastorale di Virgilio su un piano spirituale partico­ lare, nel quale la dimensione cosmica spiega il signi­ ficato del trascorrere del tempo, della vita umana e delle sue aspettative, e dà un significato specifico al 64

Egl., IV, 34-36. Carcopino, , La basilique, cit. , p.297; pp.324-

65

Egl., IV, 55-57; Carcopino, La basilique, cit., p.23 8 per Lino;

66

pp. 1 79- 1 8 1 ; pp. 329-3 30 per Orfeo. Così Carcopino, La basilique, cit., p.325 e p.355.

327; pp.329-330; p.338; p.357.

1 02

LA PRO F E Z I A DI V I R G I L I O

simbolo di Apollo raffigurato come " Pastore " , l'epi­ clesi divina nella quale l 'elegia bucolica "affonda " le proprie radici.

CAPITOLO QUARTO TRA APOCALITTICA E MESSIANISMO

Un documento eccezionale sulle paure, i timori e le speranze dei Romani nel periodo compreso fra la fine della Repubblica e l'inizio dell'impero, può essere considerato il famoso XVI epodo di Orazio. Si tratta di una speciale composizione nella quale il poeta augustèo esterna in un numero relativamente piccolo di versi, aspetti fondamentali di forme psico­ logiche e di convinzioni che appaiono ben radicate in tutti gli strati sociali del popolo romano di quel particolare momento storico. Non interessa per adesso addentrarci in una di­ scussione esaustiva sulla vexata quaestio dell'anterio­ rità o meno dell'epodo rispetto alla IV egloga di Virgi­ lio. Autorevoli studiosi hanno scritto in abbondanza per oltre un secolo difendendo l'una o l'altra tesi, ma il problema continua a non trovare una composizio­ ne adeguata 1 • Tuttavia, ci sia permesso fare notare

l

Segnaliamo J.Kroll, Horazens XVI Epode und Vergils l • Eklo­ gue, " Hermes " , 1 9 14, pp.629 e sgg.; Id., Horazens XVI Epode und Vergils Bukolike, " Hermes " , 1 922, pp.600 e sgg; B.Snell, Die 1 6 epode von Horaz und Vergils 4 Ekloge, " Hermes " , 1 93 8 , pp.237-242; Wimmel, Vergils Eclogen und die Vorbilder der 1 6 Epode von Horaz, "Hermes " , 89. 1 96 1 , pp.208-226; P. Boyancè, L'inspiration de la seiziéme Epode, in "Mélanges L.S.Senghor", Dakar 1 9 72, pp.27-35 ; F. Della Corte, Virgilio e Orazio, "Cultura e Scuola " , 2 8 , 1 98 8 , pp.47-55; G.Funaioli, Ancora la IV egloga di Virgilio e il XVI epodo di Orazio, in Id., Studi di Letteratura antica, II, l , Bologna 1 947, pp. 1 1 9-124.

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LA PRO F E Z I A DI V I R G I L I O

che almeno la prima parte del XVI epodo (vv. l - 1 4 ) parrebbe suggerire una anteriorità d i questo scritto di Orazio rispetto al poemetto virgiliano. Orazio raf­ figura un quadro quasi apocalittico: due generazioni di Romani sono state annientate dalle guerre civili e la stessa città di Roma è ormai ridotta alla rovina, dilaniata dalle lotte fratricide. Ciò che non è riuscito ai tanti nemici esterni, ai Marsi, agli Etruschi di Por­ senna, a Spartaco, all'Allobrogo alleato di Catilina e ad Annibale, sta per succedere per colpa del furore empio degli stessi figli di Roma. Un barbaro porterà i suoi cavalieri fra le rovine della città e profanerà le ossa di Romolo, padre e fondatore dell'Urbe, che fin qui erano state custodite dal Cippo del Foro e dal

Lapis Niger. Si tratta di un quadro preciso, che sembra inter­ pretare i disastri militari e le lotte civili degli anni 4240 come segni di una prossima distruzione del no­ men romano. In realtà, questi segni sembravano dire cose terribili se interpretati nella prospettiva degli innumerevoli oracoli antiromani che in quel tempo circolavano in tutto il territorio sottomesso a Roma, oracoli che poi Ottaviano farà distruggere in mas­ sima parte, salvandone solo un piccolissimo nucleo e ponendoli sotto il patrocinio di Apollo Palatinus2• Tali segni sviluppavano in senso apocalittico persino il significato delle vittorie del re parto Pacore I o che aiutato da Q. Labieno, un generale romano rinnega­ to, aveva tentato di cancellare la presenza romana in Oriente e si era presentato come il vendicatore di quei popoli contro i soprusi dei Romani. Riuscì così a conquistare vaste regioni come la Siria, la Cilicia, la Panfilia, la Fenicia e molta parte della Palestina,

2

Dione Cassio, 48, 2 8 ; Svet., Aug., 3 1 . Cfr. J. Gagè, Apollon Ro­

main, cit. , pp.523-582.

T R A A P O C A L I T TICA E M E S SI A N I S M O

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mentre l a stessa Armenia era tentata d i seguirlo, Roma perdeva tutti i suoi alleati e non riusciva a tro­ vare le legioni occorrenti per contrapporsi a questa specie di fiume in piena . Le guerre civili e le lotte fra­ tricide stavano conducendo alla distruzione dell'Ur­ be, sembrava che le più nere previsioni degli oracoli antiromani si stavano attuando. Dal punto di vista di un poeta di corte come Orazio che spesso amava assumere atteggiamenti di un Vate e di un "educato­ re " nazionale, tutto ciò poteva solo significare che il caos stava prendendo il sopravvento sull'ordine civi­ le, quello stesso ordine che avevano voluto gli dèi al momento della fondazione di Roma come il segno " fatidico " della sua missione storica. Che in tutte queste paure abbiano influito in modo determinante le varie apocalissi allora diffu­ se non è possibile dubitare. Nell'Xl Ode del l o li­ bro addirittura pare che Orazio ne riprenda qualche stralcio, specie là dove suggerisce di non andare a cercare i " termini " posti dagli dèi all'esistenza uma­ na e di non cimentarsi coi " calcoli caldei " , ossia con le speculazioni sui cicli cosmici e sulla durata della vita umana che la letteratura oracolare di ori­ gine orientale aveva ripreso in chiave antiromana3•

3

Sui cicli cosmici cfr. N.D' Anna, Il Gioco Cosmico. Tempo ed Eternità nell'antica Grecia, Mediterranee, Roma 2006, cap.V; sugli oracoli antiromani, A.Peretti, La Sibilla babilonese nella propaganda ellenistica, Firenze 1 943, pp. 303 e sgg. Coloro che sottovalutano l'apertura culturale degli scrittori latini del l • se­ colo a.C., dimenticano spesso la portata del Carm.III, 29 che Orazio aveva inviato a Mecenate: "Tu civitatem quis deceat

status l Curas, et Urbi sollicitus Times l Quid Seres et regnata Cyro l Bactra parent, Tanaisque discors " (vv.25-2 8 ) , cui fa eco il lamento di Arethusa per la lontananza dell'amato Lycotas che la III elegia del IV libro di Properzio ha immortalato: " Te modo

viderunt iteratos Bactra per ortus l Te modo munito Neuricus hostis equo l Hibernique Getae, pictoque Britannia curru l Ustus et eoa disco/or Indus aqua " (vv. ?- 1 0 ) . Mario Bussagli

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Alla base di tutte queste speculazioni che Orazio sembra riprendere come cosa ovvia e da tutti co­ nosciuta, c'è la dolorosa constatazione che l 'impia aetas che sta distruggendo generazioni di cittadini romani è la conseguenza di una "colpa originaria " , uno scelus posto alle origini stesse della fondazio­ ne di Roma, che ha comportato un'eredità tremen­ da, la maledizione del nomen romano. L'epodo VII, databile quasi sicuramente nel 41 a . C . , conferma queste convinzioni su un'origine remota della male­ dizione incombente sulla storia romana: l'uccisione di Remo da parte di Romolo è stata un'azione em­ pia che bisogna espiare. Le tremende lotte intestine e fratricide degli ultimi tempi della Repubblica non facevano altro che riprendere lo scelus originario, " riattualizzavano " quel vulnus in una forma terribi­ le che drammaticamente si legava a pericoli esterni allo stato, mentre una serie di calamità e di straor­ dinari prodigi naturali si susseguivano e sembrava­ no indicare un mutamento pauroso nel percorso del tempo4• Non solo Orazio, ma tutta l'élite dirigente romana sembra permeata da questa consapevolezza . Ovidio, Tito Livio e Plutarco pongono l'uccisione di Remo come conseguenza del suo gesto prevaricato­ re5 . La loro narrazione è mirata a fare di Romolo

4

5

(Profili dell'India antica e moderna, Torino 1 959, pp. 148-49, n. 8 ) , che per primo ha attirato l'attenzione sulla portata di que­ sti passi, li ha inquadrati nell'ambito delle complesse relazioni di Roma con regioni lontanissime come la Battriana, le terre dello Jassarte, quelle bagnate dall'lndo, ecc. È di tutta evidenza che Orazio, Properzio e con loro anche gli altri poeti ed erudi­ ti di corte, non potevano disinteressarsi del particolare tipo di cultura e di spiritualità che permeava quelle terre. Cfr. Wagenvoort, The Crime of Fratricide, in Id., Studies in Roman Literature, pp. 1 6 9 e sgg.; R. Schilling, Romulus l'élu et Remus le réprouvé, " Revue des Ètudes Latines " , 3 8 , 1 960, pp. 1 82- 1 9 9 . Ovid., Fast., Il, 363-80; Livio, l, 7; Plut., Rom., 1 0 , 1 -2 .

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i l fondatore legittimo della città, cosa che l a tradi­ zione conserverà come patrimonio di tutta la storia di Roma6• Ma Orazio ha interpretato diversamente questa tradizione nazionale: Romolo ha commesso un fratricidio che i Romani dovranno scontare nel modo più doloroso. L'attitudine empia di Remo e la sua volontà di alterare l'ordine voluto dagli dèi non è sufficiente per giustificare l'azione di Romolo; l'assassinio del fratello per mano del fratello è di tale enormità da non lasciare dubbi sul fatto che la città scaturita da un tale gesto empio dovrà in ogni caso scontare una tale "colpa originaria " 7• La fine delle guerre civili, il riordino dell 'impe­ ro, la ristrutturazione dei culti patrii, l'instaurazione di una rinnovata pace sociale, la concordia ordinum che sotto il principato augustèo fu percepita come elemento fondamentale dell'azione politico-sacrale del nuovo princeps, insieme, poterono essere senti­ te come aspetti dell'arrivo di un'èra nuova di ritro­ vato rapporto con gli dèi, una nuova pax deorum che poneva fine alle innumerevoli angosce e paure del tempo. Nelle sue sei Odi romane del IUO libro, Orazio sembra essere in piena sintonia con l'opera riorganizzatrice di Ottaviano. Esaltando la saggezza e l'esempio dei Padri, egli intende dare indicazioni perché si formi una nuova gioventù attenta alle virtù patrie che hanno reso Roma grande. È un cambia­ mento che non può non essere collegato alla vittoria 6 7

Cfr. A.Alfoldi, Die Geburt der kaiserlichen Bildsymbo/ik, " Museum Helveticum " , 1 1 , fase. 3, 1 954, pp. 1 34 e sgg. Gli evidenti aspetti di tipo " oracolare " presenti nelle Odi civili di Orazio hanno fatto pensare a A.Y.Campbell (Horace. A new interpretation, London 1 924, pp.22 e sgg.; pp.26 e sgg. pp.296 e sgg. ) che nell'ambito della renovatio augustea Orazio abbia assunto volutamente una funzione "profetica " e " sacerdotale " che sostanzia quei caratteri spiccatamente "didattici " che spes­ so affiorano nella sua poesia.

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e all'ascesa definitiva di Ottaviano. Non solo, ma in occasione dei Ludi Saeculares del 1 7 a . C . , su incarico del princeps Orazio compose un Carmen Saeculare destinato ad essere cantato l'ultimo giorno dei Ludi da due cori formati rispettivamente da 27 fanciulli e da 2 7 fanciulle nel tempio di Apollo Palatinus8• L'in­ carico può apparire quasi " mondano " , poco legato alla spiritualità viva del popolo romano, ma a Roma " la poesia serviva a parlare agli dèi " e il poeta "par­

tecipava intimamente della vita spirituale e religiosa della città "9• La creazione poetica si inseriva all'inter­ no di una tradizione antica, forse addirittura di ori­ gine pre-romana che si riteneva derivasse dai Vates, dagli indovini dell'Italia primitiva e dalla struttura fondamentalmente rituale ed incantatoria dell'arcai­ co Carmen10• Perciò la poesia era strettamente legata ai Ludi, in modo particolare quando le diverse com­ posizioni dovevano essere recitate durante la solen­ ne processione che accompagnava le statue degli dèi per deporle nel Circo. Per questo motivo la struttura del Carmen Saeculare ha poco dello slancio poetico quale usualmente si sottintende con tale espressio­ ne, quando viene riferita ad un tipo di ispirazione a base intimistica o sentimentale. Il suo ritmo e la sua tipologia recitativa sembrano piuttosto ricondurlo ad un " formulario rituale " (così Ettore Paratore ) che

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9 lO

Cfr. R. Del Ponte, La Religione dei Romani, cit., pp.229-230; J. Gagè, Apollon Romain, cit., p.635. Per i riflessi su Virgilio dei Ludi Saeculares, vd. P. Grimal, Le livre VI de l'Eneide et san ac­ tualité, " Revue des Ètudes Anciennes " , 56, 1 954, pp. 53 e sgg.; R.Merkelbach, Aeneas in Cumae, "Museum Helveticum " , 1 8 , 1 9 6 1 , pp.90 e sgg. Così P. Grimal, Poésie et "propagande " au temps d'Auguste, "Cahiers d'Histoire Mondiale", VIII, 1 964 (pp.54-75 ), pp.62-63 . Seguiamo le indicazioni di A.Ernout e A.Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris 1 959, s. v. carmen, che riconducevano il termine ad un contesto augurale.

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riprende temi classici della tradizione sacra roma­ na nella prospettiva di un'esecuzione rituale, non di un'esercitazione letteraria. E non può non rilevarsi a questo proposito, il fatto che in questo Carmen un ruolo particolarmente importante assumono Apollo e Diana, le due divinità che ritroveremo con le me­ desime funzioni nella IV egloga virgiliana, alle quali Orazio chiederà, come nel severo messaggio messia­ nico di Virgilio, "un nuovo saeculum di felicità anco­ ra più grande" (vv. 6 6-67) . Si tratta di una scelta pre­ cisa che esalta due delle divinità tutelari del princeps che ha edificato il nuovo impero, ne ha strutturato le basi sociali ed ha instaurato una concordia che non poteva essere percepita se non come la proiezione sociale e politica della ritrovata pax deorum, consi­ derata dai Romani la condizione essenziale di ogni ordinamento civile e della stessa prosperità materia­ le. Che tutto ciò non sia il frutto di un atteggiamento puramente letterario, ma di " qualcosa " che affonda le proprie radici nel modo di essere della spiritualità romana di quel tempo, può essere comprovato anche dal fatto che alla base di un monumento ritrovato a Sorrento (ora al Museo Correale) , accanto a vari rilievi che illustrano Ottaviano al centro di una vita rituale nella quale egli appare con i simboli di Ponti­ fex Maximus, in un lato dello stesso rilievo troviamo raffigurata la coppia Apollo-Diana assieme alla ma­ dre Latona, poi la Sibilla Cumana e il tabernacolo nel quale usualmente venivano deposti i Libri Sibil­ lini che, com'è evidente, sono proprio alcune delle divinità e parte dei riferimenti rituali che sostanziano la IV egloga di Virgilio. 1 1 • 11

È veramente difficile sostenere che ci troviamo di fronte ad una pura coincidenza di dati e di fatti, specie se si considerano i profondi legami che caratterizzavano alcuni personaggi che hanno contribuito a Roma al successo non solo di queste for-

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LA PROFEZIA DI V I R G I L I O

Le attestazioni sull'importanza della pace uni­ versale e sull'attesa di un prossimo equilibrio co­ smico, inducono a portare l'attenzione su un passo enigmatico della poesia di Orazio. Nella sua 1 o Ode dopo aver descritto alcuni prodigi particolarmen­ te significativi per la sensibilità religiosa romana, e dopo aver accennato alle paure e persino al terrore che tali eventi avevano provocato in tutti gli strati sociali della popolazione (vv. 1 - 1 2 ) , aggiunge: Sive mutata iuvenem figura Ales in terris imitaris, almae Filius Maiae, patiens vocari Caesaris Ultor. (vv.41-44)

Questa identificazione, pochissimo contestata, di Augusto con il dio Hermes/Mercurio "fìlius Maiae" , non è certo usuale all'interno della religiosità roma­ na, anche se una serie di iscrizioni epigrafiche, alcuni rilievi (l'altare di Bologna con la dèa Roma che pre­ cede il dio; il frammento degli stucchi della Farnesi­ na, ora al Museo delle Terme di Roma; etc . ) e alcune monete recanti l'effigie del giovane princeps insieme a quella del dio Hermes, confermano comunque che tale uso aveva una sua diffusione niente affatto limi­ tata nel territorio imperiale12•

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me divine, ma anche alla strutturazione del sostrato dottrinale e rituale che le alimentava: Nigidio, Orazio, Virgilio, Pollione e, ovviamente, Ottaviano. A.Maiuri, Nuova silloge epigrafica di Rodi e Cos, Roma 1 926, n.46 6 . Cfr. O. Brendell, Novus Mercurius, in Romische Mittei­ lungen, t.SO; Six, Octavien-Mercure, " Revue Archeologique " , I l , 1 9 1 6 , pp.25 7 e sgg. ; K. Scott, Merkur-Augustus u n d Horaz c. 1 ,2, " Hermes " , 1 928, pp. 1 5-33 ; Gagè, Apollon romain, cit., pp.576 e sgg. Per la monetazione, Mattingly, Roman Imperia/ Coniage, London 1 923, vol. l, p.62. Secondo A.La Penna, Ora­ zio e l'ideologia del principato, Torino 1 963, p . 8 3 , i simboli

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Non ci sono dubbi sugli intenti di Orazio. Egli elimina la possibilità che Apollo, Venus Ericina e Marte possano essere le divinità che dovranno ven­ dicare Cesare e vincere il nemico storico di Roma, quei Parti sentiti come una specie di potenza oscura e distruttrice. Sarà invece Hermes/Mercurio, incar­ natosi nel giovane Ottaviano, ad adempiere questa funzione vendicatrice che, riferita a questo dio, sem­ bra piuttosto enigmatica. Ma perché proprio il dio Hermes/Mercurio ha un ruolo così particolare, non chiaramente espresso nei suoi tipici attributi che lo avevano reso comun­ que un dio molto popolare ? Come hanno fatto no­ tare alcuni studiosi di questo problema 13, l'attributo più caratteristico di Hermes/Mercurio è quello che ne fa il dio del pensiero, della parola chiara e ben strutturata, dell'arte del persuadere, del linguaggio, persino della scrittura . Sotto tale veste Hermes/Mer­ curio è il conciliatore di coloro che si trovano in pie­ no disaccordo, è l'araldo del volere divino, il Logos che si rivela come ordine che distrugge il caos14• Ovi­ dio conferma tale attitudine del dio Hermes/Mercu­ rio, ed anzi aggiunge che egli è "pacis et armorum superis imisque deorum l arbiter "(Fast., V, 6 65 ) , che ripete e spiega l'attributo di pacifer datogli in Me­ tam., XIV, 290. È in tale veste di "pacifìcatore " che Hermes/Mercurio si incarna in Augusto, colui che ha posto fine alle guerre civili e all'empietà delle uc-

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14

del mondo spirituale di Mercurio sono stati riferiti ad Augusto per la consonanza di questo dio con la prosperità e la pace universale, attestati come attributi di Hermes almeno a partire dal V sec.a.C. Cfr, Zielinski, Le messianisme d'Horace, " L'Antiquité Classi­ que " , VIII, 1 939, pp. 1 7 1 - 1 79; E.j.Bickermann, Filius Maiae (Horace, Odes I, 2, 43), " La Parola del Passato" , XVI, 1 96 1 , pp.S- 1 9. Bickermann, Filius Maiae, cit.,p. 1 8 .

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cisioni fratricide, che ha dato " forma " all'equilibrio sociale atteso da tutti quei Romani che erano in pena per le lotte intestine, che ha riconciliato Roma con gli dèi ed ha ripristinato l'armonia cosmica. Che tutti questi aspetti legati alla figura del dio Hermes/Mercurio non siano un puro parto lette­ rario, ma affondino le proprie radici in un ambito spirituale esteso, può essere comprovato da alcune importanti riflessioni svolte dall'orientalista Mario Bussagli che hanno una speciale relazione con l'am­ bito di indagine che stiamo sviluppando15 • Innan­ zitutto è da rilevare che nell'area iranica, che come vedremo meglio in seguito ha una sua importanza per certi temi virgiliani, era corrente l'assimilazione Hermes/Mitra, ossia Mercurio ed una divinità dalle forti connotazioni soteriche e solari. In più, nelle mo­ nete dei sovrani Arsacidi il caduceo, che è l 'attributo fondamentale di Mercurio ( qui interpretato come il simbolo della raffigurazione della "potenza " magi­ ca ) , si trova accoppiato al simbolo del pharro, con una evidente e voluta intenzione tesa ad identificare il pharro ad Hermes/Mercurio . Ora, il termine phar­ ro non è altro che la trasposizione fonetica del farr o farrah medio-iranico, ossia l'ant.iran. xvarenah, la " forza-splendore " , la " luce " che si irradia dalla per­ sona di ogni sovrano degno della propria funzione, la " fortuna" che è inerente alla " potenza " implici­ ta nel suo ruolo, l"'aureola " di gloria che irraggia trionfalmente nel mondo attraverso la sua persona 16•

15 16

Bussagli-Chiappori, I Re Magi, Milano 1 985, pp.75-93 (part. pp. 8 9-92 ) . Cfr, J.Duchesne-Guillemin, L e xvarenah, "Annali dell'Istituto Orientale di Napoli " , sez. ling., 5, 1 963, pp. 1 9-3 1 ; Gh. Gnoli, Farra(h), in Encyclopoedia /ranica, IX, ed. by E.Yaeshater, New York 1 999, pp. 3 1 2-3 1 9 ; Id., Lichtsymbolik in Alt-Iran, "Antaios " , 8, 1 967, pp. 528-549; Id., Un particolare aspetto

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Mircea Eliade ha potuto sintetizzare così gli attributi dello xvarenah: " non è solo "sacro " (divino, sovra­

terrestre), "potente " (ha l'effettiva capacità di "fare " re ed eroi), "spirituale " (è generatore di intelligenza e donatore di saggezza), "solare " (e dunque "igneo ", incandescente), ma anche "creativo " "17• L'identifica­ zione Mercurio/pharro è, dunque, l'espressione di un aspetto di una precisa dottrina della regalità, ne chia­ risce alcune dimensioni e ne spiega quella più legata alla " potenza" della stessa persona del sovrano, quel­ la che ha fatto dire a Mario Bussagli che si tratta di

"una forza radiante che è all'interno dell'uomo che ne viene esaltato e condizionato, sicché si ristabili­ sce l'armonica corrispondenza fra il Macrocosmo e il Microcosmo che, grazie alla luce interiore può - limi­ tatamente - reagire sul corso degli eventi esteriori "18• L'identificazione Hermes/Augustus dataci da un poeta di corte come Orazio e attestata da iscri­ zioni e persino da monete, non è dunque una specie di bizzarria letteraria. Essa corrisponde persino nei dettagli ad enigmatiche dottrine diffuse in ambito vicino-orientale. Ci parla di un Augusto che assume aspetti " trionfali " , nella cui persona si riteneva esser­ si incarnata una sorta di "luce divina " , una speciale " potenza radiante " che avrebbe poi comportato per intrinseca capacità "creativa " , quella che fu chiama­ ta non senza significato mistico, la pax augustea. Il titolo più caratteristico di Ottaviano, Augu­ stus, può aiutarci a capire queste speciali prospet­ tive di un princeps che nella sua stessa giovinezza sembrò incarnare una condizione cosmica auroradel simbolismo della luce nel Mazdeismo e nel Manicheismo, 17 18

"Annali dell'1st. Orientale di Napoli " , 12, 1 962, pp. 95- 1 2 8 . Così M.Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Fi­ renze 1 982, p . 1 2 3 ; cfr. pure Duchesne-Guillemin, art. cit., p.25 Bussagli, op. cit., p.92.

1 14

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le, l ' alba di un'èra nuova che egli non solo si tro­ vò a governare, ma favorì e in certo qual modo contribuì a realizzare . Non pare ci siano proble­ mi di tipo etimologico . Augus-tus, formatosi come l 'aggettivo robus-tus ( da un robuslrobur) e, forse, come arbus-tus ( d a un arbuslarbor) 19, ha alla base la radice indoeur. aug- che si ritrova nel lat. augur, nel ved . òjas e nel gath. aojah. Come documenta il suffisso in -as20, nel vedi co a ssume il significato di " pienezza di forza " , con una accentuazione dell'a­ spetto "creativo " di questa " forza " , colta nel suo momento di " crescita " , tesa a d " aumentare " . Si tratta della speciale condizione " tipica " del guer­ riero vedico, della sua " energia trasbordante " che, per e s . , si rivela spesso in òjas quando questo ag­ gettivo è riferito al dio Indra che compie le sue im­ prese celesti . Il latino augur ( a l maschile ) designa perciò colui che non solo possiede questa " energia trasbordante " che la radice indoeuropea evidenzia nel modo più netto, ma è anche colui che ne svela la presenza nel tessuto del mondo e la comunica (cfr. il lat. augurare, che è anche un " trasferimento " di un " potere " ) 21 • Si tratta di uno status primor­ diale che la tradizione giuridico-sacrale romana percepirà come una speciale scelta divina, non ne­ cessitante di una qualche convalida perché efficace e " vera " in se stessa22; un potere divino che si fa realtà concreta e che irraggia nel mondo attraverso la stessa persona del sovrano. La relazione dell'aggettivo augustus con l'ordine 19

Seguiamo G.Dumézil, Augur, in Id., Idées Romaines, Paris 1 969, pp. 8 0- 8 1 . Cfr. il Dictionnaire di Ernout-Meillet s. v. Più in generale cfr. J. Gonda, Ancient-Indian ojas, latin augos and the Indo-European nouns in -es-1-os, Utrecht 1 952. Dumézil, Augur, cit. , p.94. Ibid., p.94. Così Del Ponte, La Religione dei Romani, cit., p.5 1 . .

20 21 22

TRA APOCA LITTICA E MESSIANISMO

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divino, con la vita rituale e con i ritmi cosmici e na­ turale è attestata da Ovidio: Hic socium summo cum love nomen habet: . Sancta vocant augusta patres, augusta vocantur Tempia sacerdotum rite dicata manu: Huius et augurium dependet origine verbi, Et quodcumque sua Iuppiter auget ope. Augeat imperium nostri duce, augeat annos, Protegat et vestra querna corona fores ! (Fast., 608 -615) .

Non è u n semplice tributo cortigiano al princeps che domina il mondo. Ovidio elenca via via la connes­ sione con il re degli dèi, con i rituali sacri, con la vita dei templi, con l'arte di interpretare il significato del mondo, con la potenza che permette all'Imperium di svilupparsi, di controllare i ritmi temporali e di custodire la sacralità dell'Urbe, la "città degli dèi " nella quale si inverano tutte le potenzialità di questa divina pienezza. L'uso da parte di Ovidio del verbo augeo con l'intento di determinare e sviluppare i significati com­ presi in augustus, non ci dà un semplice " aumentare " come supposto da molti esegeti dei passi ovidiani, ma ci riconduce al valore compreso nella radice indoeur. aug-, la cui forza determina, per usare le parole di E. Benveniste, «un cambiamento del mondo, crea qual­

che cosa l. ./, esprime il potere che fa nascere le pian­ te, che dà esistenza ad una legge "23• Augustus, pertan­ to, è l'attributo di colui che è il "pacifi.cator mundi", .

nel quale in virtù d i quell' "energia piena " ( o "trabor­ dante"), pare culminare una sovranità che si attua in una potenza che è simile a quella degli dèi e che si ritrova nel cosmo e nella natura. È lo status supre23

Così E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 1 967, vol I, p . 3 8 8 . .

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mo di un cosmokrator che favorisce l'avvento di un mondo nuovo, di un'èra pacificata e riconciliata con il volere degli dèi. Ed è interessante rilevare che tutti questi aspetti non restano su un piano puramente spe­ culativo o al più "politico " , ma si ritrovano in tutta una serie di atti rituali dalla fondamentale funzione storica nei quali un ruolo centrale ha il dio più roma­ no, quel Giano bifronte che, come abbiamo cercato di dimostrare altrove, copre valenze simboliche e rituali che ne fanno un dio dei primordi, l'archetipo della re­ galità divina, il dio degli initia, particolarmente legato al simbolismo dell'anno e ai punti solstiziali, infine il dio della pax triumphalis quale si ritenne realizzata sotto il principato di Augusto. È noto l'uso romano, reso celebre da Virgilio (Aen . , VII, 6 1 0-6 1 7; I, 2 9 3 ) , secondo il quale quan­ do le porte del tempio di Giano sull' Argileto veni­ vano aperte Roma entrava ritualmente in guerra, mentre la loro chiusura contrassegnava la fine delle ostilità e il ritorno alla pace . Il fatto era ritenuto tanto importante dal punto di vista sacrale che Li­ via, le cui fonti sono quelle annalistiche, non esita a dichiarare che il tempio del dio era "indice del­ la pace e della guerra " 2\ mentre secondo Ovidio

" Cum libuit Pacem placidis emettere tactis, libera perpetuas ambulat illa vias: sanguine legifero to­ tus miscebitur orbis, ni teneant rigidae condita bel­ la serae "25• Come si vede, l'élite culturale romana del primo periodo imperiale era profondamente cosciente di questa attribuzione di Giano. Tutta­ via, la "chiusura " delle porte del tempio non è sta­ ta solamente oggetto di speculazioni letterarie, e il 24 25

Livio, I, 19, 2; Plut., Num., 20, 1 . Ovid., Fast., I, 1 2 1 - 1 24; cfr. Plinio, Nat. Hist., XXXIV, 33:

... ]anus Geminus a Numa divatus, qui pacis bel/ique argumento colitur digitis ita fìguratis . . . . "

"

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richiamo degli scrittori non fa altro che riflettere una precisa funzione rituale che per es. nel periodo del principato di Augusto è attestata almeno in tre occasioni importanti . Un passo delle Res Gestae, infatti , ripreso probabilmente da Svetonio26, riferi­ sce questi eventi che addirittura possono essere da­ tati a partire dal gennaio del 29 a . C . , subito dopo che Ottaviano, con un gesto ricco di significati che avremo da studiare, proclamò la fine delle guerre ci vili nell'agosto del 2 8 27. La seconda "chi usura " , a giudicare da Dione Cassio ( LIII, 2 3 , 4-5 ) , va collo­ cata nel 25 a C . , mentre la terza sembra potersi da­ tare attorno al 1 3 , in occasione della celebrazione della Pax augusta del luglio di quell 'anno e in con­ nessione all'erezione dell'Ara Pacis. Anzi, secondo l. Scott Ryberg, un momento del sacrificio animale ivi raffigurato può essere riferito con una certa sicurez­ za al dio Giano, dato che fra i tre animali presenti pare esservi un ariete, ossia lo stesso animale che veniva sacrificato a Giano nell ' ago niu m del 9 gen­ naio28. Aggi ungeremo che queste speciali funzioni che le porte del tempio del dio Giano adempiono nella vita rituale romana in rapporto alla pace e alla guerra, si potrebbero ricollegare rispettivamen­ te la prima alla figura del sovrano pacifico per ec­ cellenza, al re legislatore Numa , che secondo quasi tutte le fonti è colui che ha instaurato il culto del dio, mentre la guerra potrebbe essere ricondotta a Romolo al quale, secondo una rara e non definitiva 26

27 28

Res Gestae, 13; Svet., Aug., XXII, l; I, 1 9, 3; Dione Cassio, 5 1 , 2 0 , 4. Sulla Res Gestae cfr. L.Braccesi, Un'ipotesi sulla elabo­ razione della "Res Gestae divi Augusti ", " Giornale Italiano di Filologia " , 1 973, pp.35 e sgg. Cfr. P. Grenade, Essai sur les origines du principat, Paris 1 96 1 , pp. 7 4 e sgg. Su tutto ciò, cfr. Scott Ryberg, The procession of the Ara Pacis, " Mem. American Academy Rome " , XIX, 1 949, pp.79- 1 0 1 .

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testimonianza di Sant'Agostino (De Civit. Dei, IV, 2 3 ) , si faceva parimenti risalire il culto di Giano. Per quanto riguarda il primo di questi due aspet­ ti, quello relativo alla pace, è interessante una testi­ monianza di Ovidio ( Fast., I, 247-254) per il suo ca­ rattere di completezza. Descrivendo l'età primordiale, quando si riteneva che egli avesse regnato felicemen­ te, Giano dice: Tunc ego regnabam, patiens cum terra

deorum esset, et humanis numina mixta locis. Non­ dum Iustitiam facinus mortale fugarat: ultima de su­ peris illa reliquit humum; proque metu populum sine vi Pudor ipse ergebat, nullus erat iustis reddere iura labor. Nil mihi cum bello: pacem postesque tuebar, et, clavem ostendens, haec, ait, arma gera. La convinzione che in quest'età primordiale si godesse una condizione di felicità perpetua fu tan­ to forte che si prolungò fino a Macrobio, al punto che l'erudito della tarda antichità non esitò a parlare di un'èra di "fervore religioso e virtuosa onestà ", di creatività e di ricchezza spirituale29, tutti elementi che avrebbero spinto Sant'Agostino persino a cercare di confutarne il significato simbolico e la stessa memo­ ria storica . Tuttavia, senza volere entrare nell'esegesi del passo di Ovidio, ci pare che il carattere dell'età nella quale regnava Giano si possa così riassumere: 1 ) dèi ed uomini vivevano insieme armonica­ mente; 2 ) la Giustizia e il Pudor davano significato all'equilibrio sociale; 3) la Pax regnava quale elemento caratterizzante sopra ogni cosa. Sono questi gli elementi importanti che si svilup­ pano attorno al simbolismo di ogni età felice. Non solo gli uomini convivono con gli dèi, ma la pace e la

29

Macrobio, Sat., I, 9, l.

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giustizia esprimono le condizioni cosmiche di equi­ librio che si inverano in quei valori politico-sociali, ma che in sé possono essere considerati simboli di realtà spirituali . La stessa monetazione del periodo della fine della Repubblica ha conservato tracce di questo rapporto pace/Giano/abbondanza . Mentre un as del periodo sillano riporta l'immagine della testa del dio adorna di alloro, ove appare significativo l'accoppiamento di Giano con la pianta " trionfale " che spesso assu­ me caratteri contemporaneamente di resurrezione e di rinnovamento, di gloria e di onore anche per il suo stretto rapporto con il simbolismo legato al dio Apollo, altre monete ci danno la raffiguarazione della pace accanto ad una cornucopia ricca di frutti, ossia ad uno dei simboli di quella ricchezza ed abbondan­ za primordiale che non è solo riferita alla natura, ma prima ancora alla dimensione spirituale30• Ricorde­ remo poi che ancora sotto il principato di Nerone, un as portava su un lato l'immagine dell'Ara Pacis e, sull'altro, quella del tempio di Giano con le due porte chiuse3 1, simboli che sembrano essere ancora presenti in Orazio quando nel suo Carm., IV, 1 5 , al v. 1 9 conclude dicendo: . . . janum Quirini clausit ". In tale contesto la renovatio augustea acquista il significato non di una semplice restaurazione po­ litica e sociale, ma quello più propriamente sacrale di un "ritorno " verso condizioni spirituali di tipo primordiale. In realtà, nel periodo di trapasso dalla repubblica all'Impero è possibile ritrovare un clima di aspettativa spirituale profondamente impregnato di temi escatologici e persino millenaristici, tesi a dare significato profondo alle nuove realtà spirituali "

30 31

Cfr. E.A.Sydenham, The coniage, cit. , f. 76 3; 767. H. Mattingly, Roman Imperia/ Coniage, cit., I, pp. 156-58, nn. 1 5 9-204.

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e politiche che si stavano delineando a Roma all'alba del principato di Augusto. A.Alfoldi ha fatto notare come la tensione verso l'instaurazione di una nuova età dell'oro era presente nella monetazione del 43 a . C . , là dove veniva esaltata una figura di sovrano dagli attributi solari in connessione a simboli della fertilità universale e di equilibrio cosmico32• In molte monete di quest'età appare tutta una serie di simboli di tipo "aureo " e " solare " , a cominciare dalla cornu­ copia ( =ricchezza) , dal caduceo ( =pace ) , dal caduceo fra due cornucopiae su un globo, persino dal segno del Capricorno in relazione al momento in cui il sole rinasce nella sua corsa cosmica dopo l'apparente " morte " nelle profondità degli abissi cosmici33• Colui che inverò questi valori dell'età aurea nel­ la storia concreta, facendo ritenere che nella propria opera politica si realizzassero le attese di tutto un ciclo cosmico, fu Ottaviano alla cui persona fu ri­ ferito significativamente il segno del Capricorno, come è documentato fra l'altro dal famoso cammeo di Vienna. Già quella che è stata chiamata da J. Gagè " la teologia della Vittoria imperiale " va oltre il nor­ male uso romano di celebrare i generali vittoriosi, e ci trasporta invece su un piano di " teologia mistica " che vede la compenetrazione della dimensione spiri­ tuale propria ad Augusto, in sé ancora individuale, con quella dello stato romano che assume in proprio un'attribuzione sacrale caratterizzante un potere spi32

33

A.Alfoldi, Der neue Weltherrscher der vierten Ekloge Vergi/s, " Hermes " , 1 930, pp. 369-3 84; W.W.Tarn, Alexander Helios and the Golden Age, "Journal of Roman Studies " , 22, 1 932, pp. 1 3 5 e sgg.; B.L.van der Waerden, Das Grosse ]ahr ind die ewige Wiederkehr, " Hermes" , 1 952, pp. 129 e sgg. An­ che se scritto da un punto di vista un po' diverso, resta utile K.Kerényi, Das persische Millenium im Mahiibhiirata, bei der Sybille und Vergil, " Klio " , 1 936, pp. 1-35. Su questi simboli cfr. E. Manni, La leggenda, cit. , p. 1 1 7.

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rituale di tipo monarchico, anteriore alla stessa sua funzionalità guerriera e perciò presente sia in pace che in guerra�4• Le stesse cariche sacerdotali che Ottaviano ebbe sempre cura di assumere, quelle di Pontifex Maxi­

mus, Augur, Frater Arvalis, Fetialis, Quindecenvir sacris faciundis, Septemvir epulonum, sono da consi­ derarsi non un espediente politico per meglio gover­ nare, come hanno supposto alcuni studiosi digiuni del senso del sacro nel mondo antico, ma come il loro coagulo in una personalità che intendeva assu­ mere aspetti di tipo "principiale " 35 • Lo stesso titolo più caratteristico di Ottaviano, Augustus, può esse­ re ricondotto a questo contesto di rinnovamento di un'età primordiale ed anzi, secondo Svetonio (Aug., 7), ci sono elementi che possono fare pensare ad una sua vicinanza con l'attribuzione ad Ottaviano del ti­ tolo di novus Romulus36, il fondatore stesso di Roma, il rex-augur per eccellenza, colui che ha esplicitato alle origini stesse dell'Urbe quanto Ovidio farà dire al dio Giano a proposito dell'uso di " scambiare au­ guri" nelle Calende a lui dedicate: Omnia principiis,

inquit, inesse solent, ad primam vocem timidas ad­ vertitis aures, et visam primum consulit augur avem. Tempia patent auresque deum, nec lingua caducas 34

35

36

Cfr. J. Gagè, Un théme de l'art imperia/ romain. La Victoire d'Auguste, in "Mélanges de l'Ècole Française de Rome" , XLIX, 1 932, pp. 1 -32 ; Id., La théologie de la Victoire impériale, " Re­ vue Historique " , 1 7 1 , 1 93 3 , pp. 1 -43. Cfr. G. Giannelli, Augusto e la religione romana, " Conferenze augustee per il Bimillenario della Nascita " , Milano 1 939, pp.79 e sgg.; Gagè, Les sacerdoces d'Auguste et ses réformes religeuses, in " Mélanges de l'Ècole Française de Rome ", XL­ VIII, 1 9 3 1 , pp. 1 -34 ; Lambrechts, Auguste et la religion ro­ main, " Latomus " , VI, 1 947, pp. 1 77- 1 9 1 . Cfr. Gagè, Romulus-Augustus, i n "Mélanges de l'Ècole Fran­ çaise de Rome", XLVII, 1 930, pp. 1 -44 ; E. Manni, Romulus e parens patriae, cit., pp. 1 06 - 1 2 8 .

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concipit ulla preces, tictaque pundus habent (Fast. , I, 1 06-1 2 8 ) . L'assunzione d a parte d i Ottaviano del titolo di frater Arvalis può trovare una sua spiegazione all'in­ terno di questo ruolo di pacator orbis e di restaura­ tore dell 'integrità delle felici condizioni primordiali che la Roma del suo tempo intendeva riprodurre. Il sodalizio dei Fratelli Arvali era formato tradizio­ nalmente da 12 membri che erano ritenuti gli eredi dei 12 figli di Acca Larentia, la nutrice di Romolo e Remo. La leggenda narrava che alla morte di uno di loro era stato cooptato Romolo per ricostituire il nu­ mero originario dei Fratelli Arvali, sicchè Remo non potè farvi parte . Dopo le dure vicende delle guerre civili dell'ultimo periodo repubblicano, il sodalizio fu ricostituito da Augusto nell'ambito della sua poli­ tica di ripresa di tutti i culti ancestrali. Il loro rituale si sviluppava per tre giorni e sembra che un ruolo primario venisse coperto da un sacrificio in onore della dèa Diana, la cui presenza ne potrebbe atte­ stare sia l'arcaicità sia il legame con le più vetuste tradizioni dell'Urbe e, forse, persino le sue possibili origini proto-latine. Come suggerisce Dario Sabba­ tucci, questo rituale sembra chiudere il ciclo guer­ riero aperto dalle sacre feste dei Lucerci e dei Salii, e avviare verso un tipo di pace e di prosperità mate­ riale che non è altro che un aspetto della stessa pax augustea, nel cui ambito la ricchezza e l'opulenza dei campi agricoli propiziata dal rituale dei Fratelli Ar­ vali, si riteneva dovesse riprodurre la floridezza sup­ posta come l' "essenza " stessa della Saturnia Tellus, il riflesso terreno dello splendore della mistica terra delle origini, l'illud tempus del mito. In tale veste di restauratore della civiltà romana arcaica e dei valori sacrali che ne hanno reso felix il periodo primordiale, il novus Romulus nell'agosto

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del 2 8 a . C . proclamò l a fine delle guerre civili37. È, questo, un punto importante per capire il significato della nuova età aurea e, perciò, della prima "chiu­ sura " delle porte della guerra del tempio di Giano effettuata sotto il principato ottavianeo . Le guerre civili, infatti, con le stragi continue di cittadini roma­ ni che esse comportavano, venivano percepite, come abbiamo visto, come l'attuazione della maledizione presente alle origini stesse del nomen romano, quel­ la insita nell'uccisione di Remo da parte del fratello Romolo38 . Non solo Cicerone (Fa., V, 1 3 , 3) parle­ rà con dolore dei tempora nostra, ma anche Virgi­ lio ( Georg., I, 4 6 8 ; 4 9 8 -5 0 1 ) stigmatizzerà gli impia saecula che avevano reso terribile l'ultima parte del­ la storia repubblicana. Tuttavia sarà Orazio a dare voce consistente alle paure dei Romani. L'epodo XVI può essere anche considerato la raffigurazione della sua condanna delle guerre civili, mentre nel VII ad­ dirittura tali nefandezze vengono fatte risalire al fra­ tricidio di Romolo, e nell'Ode seconda del l o libro si invoca un dio che dovrà riscattare il crimen e lo scelus che le guerre civili hanno sanguinosamente ri­ attualizzato39. Non solo, ma l'ultima parte dell'Ode esplicita un momento di questa speciale escatologia: dopo la desolazione spirituale che fa temere un nuo­ vo diluvio, dopo l'orrore per le colpe dei padri che le guerre civili hanno evidenziato e delle quali la nova iuventus non è certo responsabile, Augusto sarà l'ar37 38

39

Cfr. Grenade, Essai sur l'origine du principat, cit. , pp. 74-78. Cfr. Jal, La gue"e civile à Rome. Ètude litteraire et morale,Paris 1 963, pp.233 e sgg.; Id., Les dieux et les gue"es civiles dans la Rome de la fin de la Republique, " Revue des Ètudes Latines " , XL, 1 962, pp. 1 70-260; J.Hubaux, Les grands mythes de Rome, Paris 1 945; R. Schilling, Romulus l'élu, cit. , pp. 1 82-1 99. Cfr. Gallavotti, Il secondo carme di Orazio, " La Parola del Passato " , IV, 1 949, pp. 2 1 7-229; L.P.Wilkinson, Horace and His lyric Poetry, Cambridge 1 96 8 , p. 3 1 .

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tefice di un rinnovato equilibrio e risiederà fra il po­ polo di Quirino finalmente concorde e pacificato. J.Hubaux ha fatto notare come tutte queste con­ cezioni di tipo apocalittico non facciano che svilup­ pare e riadattare alcuni temi collegati con la nascita di Roma e con il calcolo della durata della sua " vita " 40• Tali calcoli si basavano sull'interpretazione del significato dell'apparizione e del volo dei dodici av­ voltoi visti dal rex-augur Romolo al momento della fondazione della città, postulando che ad ogni avvol­ toio corrispondesse un ciclo temporale ben preciso e ipotizzando perciò la fine del nomen romano al concludersi del ciclo simbolizzato dai dodici avvol­ toi. Tale tradizione dovette perpetuarsi chiaramente almeno sino alla fondazione dell'Impero, se Svetonio (Aug., 9 5 ) potè raccontare che il 1 9 agosto del 43 a . C . Ottaviano entrò a Roma e si avviò a sacrificare agli dèi. In quel momento apparvero in cielo dodi­ ci avvoltoi, sicchè si ritenne che essi erano il segno dell'inizio della " nuova Roma " che si stava fondan­ do, l'alba di un'èra cosmica nuova incentrata sulla persona del filius Caesaris, il Divi filius che come novus Romulus apriva il cardo anni di una storia umana completamente rinnovata . L'avvento al potere di Ottaviano fu così visto come una " ripresa " del tempo primordiale, sicchè la proclamazione della fine delle guerre civili nell'ago­ sto del 28 e la successiva chiusura delle porte del tempio di Giano dell' Argileto, acquistano il signi­ ficato del riconoscimento della fine di un'epoca di tribolazione e la proclamazione dell'inizio di un'èra cosmica nuova che comincerà a svilupparsi, sembra, 40

Hubaux, Les grands mythes de Rome, cit., capp.I-11 ; Schilling, art. cit., pp. 1 82 e sgg. Nuova interpretazione del mito con at­ tenzione al retaggio indoeuropeo in j.Puhvel, Remus et Frater, " History of Religions " , Chicago, 1 6 , 1 975, pp. 146-157.

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a partire dal mese d i Giano, l o januarius del 29 a.C41 • Non solo, ma questa data, a giudicare da una notizia fornitaci da Diane Cassio ( LI , 20, 4 ) , è anche quella della ripresa della festa dell'augurium salutis che si sarebbe dovuta celebrare ogni anno, ma che era ca­ duta in disuso dal 63 in poi42• Questa coincidenza di rituali importanti non può essere considerata pura­ mente casuale, ed anzi sembra esprimere nel modo più opportuno la convinzione che in quel tempo Roma era arrivata ad un cardine del mondo, al rin­ novamento delle condizioni dell'età primordiale così come era stato già al tempo di Giano. Ovidio esprimerà questa condizione spirituale evidenziando il ruolo delle divinità che ne inverano i valori più rilevanti ordinandole attorno a Giano, dio dei primordi : "lanus adorandus cumque hac

Concordia mitis et Romana Salus Araque Pacis erit " (Fast.,III, 8 8 1 -8 82 ) , ove vengono riprese le stesse concezioni che stavano alla base del rituale che por­ tò Augusto, più o meno attorno al l O a . C . , a rendere culto alle tre divinità dell'elencazione ovidiana (cfr. Diane Cassio, LIV, 35, 2 ) . Sulla dea Concordia l a tradizione c i h a riferito almeno tre datazioni importanti che hanno costituito altrettanti momenti per la costruzione di templi a lei dedicati, in particolare sul Campidoglio e nel Foro. Nel 367, dopo tutta una serie di lotte e scontri fra pa­ trizi e plebei che secondo Livio (V, 1 2- 1 3 ) portarono lutti, pestilenze e sconfitte militari, l'intervento del dit­ tatore Camillo ridiede equilibrio alla struttura sociale 41 42

Pare che la composizione dell' Ode seconda del 1 libro di Ora­ zio debba sessere fatta risalire proprio al 29 a.C. Sul significato di questa cerimonia, così come del rituale, cfr. R. Cagna t, L'Augurium Salutis au debut de notre ére, " Comptes Rendus Accademie Inscriptions Belles Lettres" , 1 9 1 1 , pp.4953; F. Blumenthal, Auguria Salutis, " Hermes " , XLIX, 1 9 1 4 , pp.246-252. °

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romana ed edificò un tempio alla Concordia43• Nel 2 1 6 il pretore Manlio eresse un tempio alla dèa nel Campidoglio dopo aver sedato una rivolta di trup­ pe ( Liv. , 22, 3 3 , 7) . Nel 1 2 1 L. Opimio potè votare un tempio alla Concordia nel Foro dopo la fine dei sommovimenti sociali che culminarono con la morte di G. Gracco (Plut. , Cracc., 1 7, 6 ) . Come si vede, il culto della Concordia sembra aver avuto consistenza in relazione al riacquistato equilibrio sociale espresso come concordia ordinum, che non pare essere altro che il riflesso sociale e il prolungamento della pax deorum44• E il fatto che numerose monete dell'ultima età repubblicana e dell'inizio dell'impero portassero i simboli della Concordia associati a quelli dell'età aurea, spinge a pensare che la concordia ordinum ve­ nisse percepita come uno dei risultati più tangibili del principato augustèo, quasi che dopo le innumerevoli tribolazioni iniziasse una nuova età dell'oro45 • Si può aggiungere che la notizia di Livio, secondo la qua­ le un prodigio segnò la perpetua presenza della dèa Victoria nel tempio della Concordia, sancisce un rap­ porto Victoria/Concordia che non può non riportarci ad una dimensione "trionfale" e quasi escatologica di questo tipo di culto46• La seconda divinità del rituale riferitoci da Dio43

44

45 46

Ovid., Fast., l, 641 -644; Plut., Cam., 47, 3-4; Livio, VI, 42, 1 1 . Appare malposto lo scetticismo di A.Momigliano, Camil­ lus and Concord, " Classica! Quarterly" , 1 942, pp. l l - 1 20. Cfr. D.Sabbatucci, Lo stato come conquista culturale, Roma 1 975, cap.III, ( " Il ciclo della Concordia "), pp.4 1 -60. L'espressione " astrazione personificata" usata da molti studiosi non appare adeguata per questo tipo di forma divina. Cfr. Jal, Les dieux, cit., pp. 1 70-200; Id., Pax civilis-Concor­ dia, " Revue des Ètudes Latines" , XXXIX, 1 9 6 1 , pp. 2 1 0-2 3 1 ; H. Strassburger, Concordia ordinum, Amsterdam 1 95 6 ( rist. anast. ) , pp. 3 9 e sgg. Hubaux, op. cit., pp. 1 1 4 e sgg. Livio, XXVI, 23, 4; Cfr. Gagè, La théologie, cit., pp. 1 -4 3 .

T R A A P O C A L I T T I C A E M E S SI A N I S M O

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ne Cassio a proposito dei culti augustèi del l O a.C. è Salus, la cui festa del 5 agosto è forse da ricollegarsi a quella della stessa Victoria delle kalende dello stes­ so mese e appare riferita sempre alla comunità citta­ dina tutta, cosa che Ovidio esplicita in modo chiaro parlando di Salus Romana. Un aspetto particolar­ mente interessante è quello dell'augurium salutis che Dione Cassio chiama una " tecnica mantica" che ve­ niva effettuata ogni anno quando non si combatteva e non c'erano né guerre né combattimenti di tipo di­ fensivo47. Il rituale cioè, presupponeva uno status di equilibrio sociale (ci sono iscrizioni che riferiscono dell'esistenza di una Salus Publica Populi Romani) e di pace interna ed esterna che poggiava su una tecni­ ca augurale di tipo molto arcaico. La terza divinità che nell'elenco ovidiano attor­ nia Giano è Pax. A parte le monete del 1 o sec. a . C . c o n la raffigurazione del caduceo, che u n noto passo di Aulo Gallio (X, 27, 3) ci dice essere il simbolo del­ la pace, quello che sembra rilevante è il fatto che in questo periodo la Pax è solitamente posta in rappor­ to alla Victoria, ossia acquista aspetti " trionfali " ed "aurei "48. Ma il fatto che il passo di Ovidio accenni all'Ara Pacis può portarci a fare una considerazione ulteriore . Qui, infatti, il poeta latino non fa alto che riprendere quella nozione di pace cosmica che sul piano rituale venne " fermata " nell'edificio dell'Ara Pacis del Campo di Marte, lo stesso edificio sacro che secondo l'archeologo K. Hanell, nella giuntura 47

48

Dione Cassio, XXXVIII, 24, l e sgg.; cfr. Cagnat, art. cit., pp.49 e sgg.; F.Biumenthal, art. cit., pp.246 e sgg. Sulla dèa Salus vd. anche Wissowa, op. cit., p. 1 32; p.329. Cfr, J.-C. Richard, Pax, Concordia et la religion offìcielle de fa­ nus à la fin de la République, in "Mélanges de l' Ècole Française de Rome", 1 963, pp.30 1 -3 86 . Sulla nozione di pax deorum e sulle aspettative del l 0 sec.a.C., W. Kroll, Die Religiositiit in der Zeit Ciceros, "N.J.W." , 1 92 8 (pp.5 1 9-53 1 ) , pp. 520-525.

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dei pannelli 2 e 3 portava raffigurate proprio queste tre divinità : Concordia, Salus e Pax49• Sono i simbo­ li di un'unica condizione di equilibrio cosmico che non solo tutta una serie di poeti e scrittori esalta in modo specifico, ma che la liturgia sacra romana rap­ porta alla Victoria in quanto valore spirituale che si invera nella storia, anzi, più precisamente, quale " potenza " divina che favorisce il nuovo cardo anni apertosi con il principato di Augusto. Una Victoria che come spiegava Cicerone a proposito dell'arcaica divinità proto-latina della vittoria, Vica Pota50, è un vincere ed un potiri; una Victoria che di per sé, per la stessa "potenza " magico-spirituale evocata nel ri­ tuale, comporta un " entrare in possesso " , quasi che tale " potenza " evocata nei rituali dovesse essere un bene realmente percepibile, da conseguire e da con­ servare, una " potenza " viva, concreta, capace di in­ nestarsi all'interno dell'equilibrio sociale e politico che si instaurava a Roma e di renderlo spiritualmen­ te fecondo.

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50

K.Hanell, Das Opfer des A ugustus an der Ara Pacis, "Journal of Roman Studies " , L, 1 960, pp.4-5 8. Cfr. anche M.A.Levi, Il ciclo religioso augusteo e il superamento delle guerre civili, in Aa .Vv., l santuari e la guerra nel mondo antico, "Contributi all'Istituto di Storia Antica " , X, Milano 1 9 84 (pp. 1 8 1 -1 93 ) , pp. 1 90 e sgg. Più i n generale, vd. E. Simon, Ara Pacis Augustae, Tiibingen 1 967. G.Sannazzari, Vica Pota. Studio preliminare sul culto della Vit­ toria in Roma antica, "Arthos " , XV, 30, 1 9 86, pp.226-232, forse l'analisi più attenta sull'argomento.

PARTE SECONDA: RENOVATIO MUNDI

CAPITOLO PRIMO LA PACE DI BRINDISI E LA IV EGLOGA

La IV egloga è concepita come una rivelazione che viene fatta in occasione di un evento straordinario nel quale vengono a concludersi alcune particolari vicende cosmiche ed umane, trasfigurate dall'inter­ vento divino che il Vate annuncia 1 • Pur con qualche difficoltà di dettaglio dovuta a fonti frammentarie e non sempre chiaramente intellegibili, si è potuta ricostruire la speciale congiuntura che ha spinto Vir­ gilio a scrivere l'egloga . È la pace di Brindisi del 40 a . C . , quando sembrò che Antonio e d Ottaviano final­ mente potessero avviare un processo di riconciliazio­ ne e ridare consistenza ai progetti di Cesare relativi alla ristrutturazione dello stato con il riequilibrio

l

Nella nostra analisi di massima ci atterremo allo schema trac­ ciato da K.Biichner, Virgilio, Brescia 1 963, pp.226-235; cfr. E.Norden, Die Geburt des Kindes. Geschichte einer religiosen Idee, Liepzig 1 924, pp. 8 e sgg. Su alcuni termini ricorrenti nell'opera di Virgilio, ricchi di valenze dottrinali e sacrali, cfr. M.Desport, Carmen, Vates, Camena, Carmentis, Paris 1 950; Id., L'incantation virgilienne. Virgile et Orphée, Bordeaux 1 952; K.Newman, The Concept of Vates in Augustan Poetry, Bruxelles 1 967, pp. 1 3-24. Segnaliamo il tentativo di W.Kraus ( Vergils vierte Ekloge. Ein kritisches Hypomnema, in " Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt " , II, 3 1 , 1 980, pp.604645 ) di attenersi ad uno scolastico " commentario critico " ed evitare quello che chiama il " circolo ermeneutico " tentato da molti autori, ma non si avvede che in tal modo le sue spiegazio­ ni restano su un piano puramente esteriore e non riescono ad entrare nel cuore del disegno complessivo di Virgilio.

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LA PRO F E Z I A DI V I R G I L I O

delle diverse componenti politico-militari che erano emerse nel crogiuolo senza fine delle guerre çivili2• Dopo gli eventi tristi susseguenti alla guerra di Perugia che con le loro confische e proscrizioni sem­ bravano annunciare ulteriori sciagure non inferiori a quelle sopportate dal popolo romano ai tempi di Silla\ Appiano ( B . C., V, 235-2 3 7; cfr. Dione, 4 8 , 2 5 , 5 ) ha descritto la profonda paura suscitata dalla flot­ ta di Antonio composta da circa duecento navi (Ap­ piano, B . C., V, 5 5 , 2 3 0 ) che nell'estate del 40, dopo aver lasciato Sicione, si unì alle oltre settanta navi 2

Per un inquadramento degli avvenimenti che portarono alla pace di Brindisi e alla stesura dell'egloga, sono utili L.Berkovitz, Pollio and the Date of the Fourth Eclogue, " California Studies in Classical Antiquity" , V, 1 972, pp.2 1 -3 8 ; J. Carcopino, Virgile et le mystère de la IV eglogue, Paris 1 930, pp. 1 1 1 e sgg.; A.AifOidi,

Redeunt Saturnia regna. I. L'attendre d'un roi sauveur à Rome,

3

" Revue Numismatique" , XIII, 1 9 7 1 , pp.76 e sgg. ; F. Della Cor­ te, Brindisi e Virgilio, "Atti del Convegno virgiliano di Brindi­ si 1 5 - 1 8 ott. 1 9 8 1 ", Perugia 1 983, pp. 1 - 1 5; H.C. Gotoff, On the fourth Eclogue of Vergil, " Philologus " , 1 1 1 , 1 967, pp.6679; P. Grimal, Virgilio, Milano 1 986, pp.67 e sgg.; J.André, C. Asinius Pollion et la propagande pro-octavienne, " Revue des Ètudes Latines" , XXVI, 1 948, pp. 215 e sgg.; R.Syme, La rivolu­ zione romana, Torino 1 974, pp.2 1 8 e sgg. Eduard Norden (Die Geburt des Kindes, cit., cap. Il, "Helios und Aion ", pp. 1 4-50) ha pensato di spostare verso la fine del 4 1 , in coincidenza della festa egizio-tolemaica del sole celebrata fra il 25 dicembre e il 1 O gennaio, la probabile stesura del carme, evitando così la con­ nessione con la pace di Brindisi. Le argomentazioni addotte da J.Carcopino e da tutta una serie di autorevoli storici non lascia­ no alcun dubbio sul fatto che l'egloga ha un rapporto diretto con le aspettative suscitate da quella pace, poi risultata fugace, ma in quel momento ricca di speranze. Secondo W.Wimmel, ( Vergils Tityrus und der Perusinische konflikt: zum Verstandnis der 1 . Ekloge, " Rheinisches Mu­ seum " , 144, 1 9 8 8 , pp.348-3 6 1 ) la prima egloga contiene ele­ menti precisi che documentano le preoccupazioni e le paure dei Romani derivate dal bellum Perusinum. La presenza di Ottaviano divinizzato indica una precisa scelta dottrinale e politica di Virgilio, un'indicazione sul significato complessivo del liber che si apre proprio con la la egloga.

LA PAC E DI B R I N D ISI E LA IV E G L O G A

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della flotta d i Enobarbo ( nipote d i Catone ed impor­ tante esponente del " partito " anticesariano sul quale pendeva ancora la condanna ·a morte per aver par­ tecipato al complotto che condusse all'assassinio di Cesare) , e all'improvviso apparve davanti a Brindisi, per la sua importanza strategica allora considerata la " porta " d'Italia. La numerosa guarnigione della città fedele ad Ottaviano sbarrò subito le porte e im­ pedì lo sbarco. Ad Antonio non restò che assediare la città con le sette legioni di Pollione che nel frattempo era giunto a dargli man forte (Velleio Patercolo, II, 76 , 2), mentre Ottaviano rispose reclutando i vetera­ ni per ricostituire il suo esercito e liberare Brindisi . Erano i prodromi dell'ennesima, sanguinosa guerra civile che tuttavia nessun veterano di entrambi gli schieramenti era disposto a combattere. Il panorama politico-militare era fosco, persino i reparti sparsi, ma numerosi ed efficienti, dei pompeiani comincia­ vano ad accostarsi allo schieramento di Antonio aiu­ tandolo con le loro flotte in Adriatico e nel Tirreno, mentre tutta una serie di superstiti rappresentanti di antiche casate nobiliari e senatoriali tergiversava non sapendo con chi schierarsi . Quando sembrava che ormai si fosse arrivati al punto di non ritorno e i due eserciti si preparavano allo scontro, giunse la notizia della morte di Fulvia, moglie di Antonio. Ful­ via era stata la principale fomentatrice degli avve­ nimenti che avevano portato alla guerra perugina e allo scatenamento dell'odio fra i duumviri, colei che fino all'ultimo istante della propria vita aveva spe­ rato di indurre il marito a cercare il potere assoluto (che in verità Antonio in quel momento esitava ad inseguire ) , non smettendo mai di screditare in tutti i modi il suo giovane rivale, d'altronde ricambiata con insulti velenosi che non risparmiavano la sua perso­ nale integrità morale. La sua scomparsa permise a

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Giulia, sorella di Giulio Cesare e prozia di Ottavia­ no, di realizzare una efficace mediazione che mise fine ad una serie di interminabili ed inconcludenti tentativi di conciliazione e di arrivare al tanto sospi­ rato accordo . Appiano ( B . C., V, 64, 272 ) ci dice che con la mediazione dell'esperto diplomatico Lucio Cocceio Nerva ben accetto ad entrambi i contenden­ ti, Pollione per Antonio e Mecenate per Ottaviano, riuscirono finalmente a risolvere le gravi divergenze fra i duumviri e fu la pace di Brindisi4• Il patto rida­ va spessore politico al triumvirato ed imponeva non solo la cessazione di tutte le attività di guerra, ma anche l'obbligo di " dimenticare " ogni passato con­ trasto e l'impegno di rispettare una futura amicizia chiesta da tutte le parti a gran voce. L'impero venne diviso in modo equo. Ad Antonio toccò il governo delle ricche province asiatiche, considerate una spe­ cie di trampolino di lancio per la prossima guerra contro i Parti; a Lepido, figura di poco rilievo e tale da non preoccupare nessuno, fu lasciato il compito di pacificare l'Africa che era stata il teatro di una se­ rie interminabile di duri scontri fra generali romani di secondo piano; ad Ottaviano fu affidata l'ammi­ nistrazione dell' Occidente, dalla Spagna fino all'Illi­ rico. L'Italia venne considerata territorio comune per l'importanza strategica di Roma e per l'eventuale re­ clutamento di truppe esperte e fidate.

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La data dell'ottobre del 40 a.C. relativa a questo accordo fra i duumviri può essere stabilita con una certa sicurezza, come attesta l'erezione del signum Concordiae che porta la data del 12 ottobre del 40. Si tratta di una statua della dèa Concordia eretta per quell'evento dai magistrati della colonia di veterani romani di Cassino (dr. ILS, 3784, opportunamente interpreta­ to da E. Pais, Un 'epigrafe del trattato di Brindisi, in Id., Dalle guerre puniche a Cesare Augusto, Roma 1 9 1 8, l, pp. 3 69-373 ) . Dione ( 4 8 , 2 8 ) e Appiano ( B . C . , V, 6 4 ) attestano l a datazione del 40 a.C.

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Sul piano storico la pace di Brindisi, così fati­ cosamente raggiunta, risultò solamente un episodio di modesto rilievo in un contesto politico-militare molto complesso e diversificato che inevitabilmente condurrà allo scontro finale dei due potenti eredi di Cesare. Oggi sappiamo che ne derivò un equilibrio effimero, tale da comprimere troppo le ambizioni dei due rivali e sostanzialmente incapace di assicurare quell'equilibrio politico-militare da tutti cercato, ma tuttavia in quel momento sembrò ricco di importanti promesse di pace, di prosperità e di unione ritrova­ ta . Agli occhi del buon cittadino romano che vedeva svanire l'incubo delle efferatezze conseguenti all'en­ nesima guerra fratricida già annunciate dalla guerra di Perugia, sembrava finalmente che si fosse arrivati a quella Concordia ordinum tanto esaltata dal diritto sacro di ogni tempo. Concordia e Pax, insieme, sug­ gerivano un fausto futuro per una città dissanguata, impoverita e nella quale circolavano, profondamen­ te radicate, oscure paure. La " letizia collettiva "5 che scaturiva da quell'evento coinvolgeva tutti gli strati sociali della società romana, e Virgilio non poteva certo restare estraneo a simili aspettative che sem­ bravano esplicitare e rendere finalmente "concreto " il messaggio parusiaco degli annunci profetici ser­ peggianti in tutto il territorio conquistato da Roma nell'area del Mediterraneo, e certo non estranei ai rituali oracolari conosciuti nella più antica religio latina. E tuttavia l'impianto essenzialmente profetico dell'egloga e le sue particolari modalità di strutturare 5

L'espressione è di F. Della Corte, La quarta egloga di Virgilio, cit. , p.4, che si appoggia a M.C.Putnam, Virgil's Pastoral Art. Studies in the Eclogues, Princeton 1 970, pp. 143 e sgg.; e a V.Poeschl, Virgil und August. Dichtung in politischen Kampf, Hants Gregg lnt., 1 975, pp. 1 09-122.

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armonicamente un complesso dottrinale certamente non usuale negli scrittori e nei poeti latini, spingono a pensare che tale composizione, pur originatasi da quel preciso avvenimento storico che tante speranze generò negli spiriti più avveduti, contenga ben altri elementi che ne fanno non una specie di ode corti­ giana, ma il documento delle aspettative di un'intera generazione attenta alle varie correnti spirituali che percorrevano l'area di elezione di quello che stava per diventare l'impero romano. Certo, la figura di Pellio­ ne nell'egloga appare fondamentale e risulta non solo dall'attestazione esplicita di Donato c . 6 8 , secondo cui fu lo stesso Virgilio a volerla dedicare al console, ma anche dal triplice, insistente richiamo alle sue funzio­ ni di comandante e di console ( "consule dignae ", "te consule ", "te duce "), che se da un lato ripetono la tri­ plice menzione del suo nome nella III egloga, qui im­ mortalano l'importante ruolo coperto nel raggiungi­ mento del tanto sospirato accordo di pace. Il legame fra la figura di Pollione, il rinnovamento cosmico e le aspettative di pace universale che si trovano nell'eglo­ ga è evidenté, e tale da spingere il Norden a ritenere che le tre menzioni del console Pollione non potevano che richiamare l'inizio del suo consolato che sembra­ va inaugurare l'èra nuova. Ed è evidente che il giova­ ne Virgilio non poteva celebrare in modo migliore il ruolo storico e politico del suo potente protettore ed amico, un ruolo che nelle attese generali si caricava di promesse che davano concretezza alle aspettative di un'intera élite politica e culturale.

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Cfr.M.Desport, L'incantation virgilienne, cit., pp.238 e sgg., ha potuto rilevare in tutte le Bucoliche una costante compresenza di Pollione e dell' aurea aetas, come se nell'azione politica e nelle composizioni artistiche del potente console emergessero elementi spirituali che di per sé comportavano un'assimilazio­ ne della sua persona con l'aurea aetas.

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Tuttavia, quand'anche sia possibile risalire con una certa sicurezza ad alcuni precisi avvenimenti storici connessi al consolato di Pollione, il partico­ lare impianto del poemetto di Virgilio ha permesso che essi apparissero come una specie di congiuntu­ ra particolare che evidenziava simboli spirituali di portata universale sul rinnovamento cosmico ser­ peggianti da tempo all'interno della società roma­ na. Agli occhi di un Romano rispettoso della religio tradizionale e pius come Virgilio, il dato empirico della Concordia ordinum scaturito dall'accordo fra i duumviri evidenziava un intervento divino nella storia, una rinnovata pax deorum che di per sé com­ portava una trasposizione mitico-rituale del signifi­ cato delle vicende umane (o almeno di quelle che la loro importanza faceva ritenere "nodali" nella storia romana) e che proprio per la loro caratterizzazione "teofanica" potevano agevolmente essere assorbite in quella che P. Boyancè ha chiamato "la prospettiva

cosmica nella quale si situa il rinnovamento evocato nella Bucolica "7• Quest'ultimo punto può dare significato ad una ipotesi avanzata da molti studiosi e più recentemente riproposta con forza da Francesco Della Corte. Fra il 40, data della composizione dell 'egloga, e il biennio 3 9-3 8 che vide la definitiva strutturazione di tutte le dieci Bucoliche in un coerente liber, le speranze susci­ tate dalla pace di Brindisi si erano infrante nella dura realtà dello scontro senza quartiere fra Antonio ed Ottaviano. È di tutta evidenza che la prospettiva ini­ ziale della narrazione virgiliana, qualunque essa fos7

Così P. Boyancè, La Religion de Virgile, Paris 1 963, p. 1 24. Sul " respiro" celeste delle opere di Virgilio e sulle prospettive spi­ rituali sulle quali sono fondate, fra la sterminata letteratura, Id., Le sens cosmique de Virgi/e, " Revue des È tudes Latines " , 3 2 , 1 954, pp.220-249.

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se stata, si dovesse necessariamente riordinare da un lato attorno alla nuova situazione politica determi­ nata da quella che ormai andava delineandosi come l'irreversibile affermazione di Ottaviano a Roma e, dall 'altro, al "ritiro " dalla vita politica del potente amico e protettore Pollione, fino a comportare molto probabilmente persino una rielaborazione dei conte­ nuti dottrinali del primitivo piano dell'egloga. Si è trattato di un riordino importante, una nuova strutturazione delle Bucoliche fin qui molto probabilmente scritte senza un progetto predeter­ minato, che ora invece eliminava intere operette già compilate o molte parti di altre, aggiungeva testi prima non compresi nel liber e riadattava conclu­ sivamente il complesso compositivo nella prospetti­ va " universale " del novus ordo8• È opinione diffusa 8

L'ipotesi, che ha basi storiche, testuali e dottrinali innegabili, si trova esposta in F. Della Corte, La quarta egloga di Virgi­ lio, "Cultura e Scuola " , 80, 1 9 8 1 , p . 3 8 . Quest'ipotesi spiega bene anche i legami esistenti fra il poemetto e quei passi delle Georgiche che descrivono forme di sovranità di tipo univer­ sale. Su tale problema cfr. F.Castorina, L'ecloga IV e un passo delle Georgiche, "Annali della Facoltà di Magistero. Univer­ sità di Bari" , 1 966, pp. 3 1 -40. Il problema della " ristruttura­ zione " delle Bucoliche è molto importante e getta una luce nuova anche sulle modalità di composizione della IV egloga. Su questo problema sono utili F. Leo, Vergils erste und neun­ te Ecloge, " Hermes " , 3 8 , 1 903, pp. 1 e sgg.; J.Michelfeit, Das augusteiche Gedichtbuch, " Rheinisches Museum " , 1 1 2, 1 962, pp.347-370; B. Luiselli, Studi sulla poesia bucolica, Cagliari 1 967, p. 1 07, e, soprattutto, J.van Sickle, The Design of Virgil's Buco/ics, Roma 1 978, E.A. Schmidt, Poetische Reflexion. Ver­ gils Bukolik, Miinchen 1 972. Sulla sostanziale " unitarietà " ed armonia della raccolta definitiva de! libellus, cfr. C. Becker, Vir­ gils Eklogenbuch, " Hermes " , 8 3 , 1 955, pp. 3 1 4 -349. È utile ricordare fin d'ora che spesso gli studiosi che si sono occupati della IV egloga, anche i più autorevoli (Norden, Carcopino, Jeanmaire, Weber, Boli, Della Corte, Paratore, etc. ), hanno analizzato il poemeto virgiliano come se non facesse parte di un coerente liber e come se non esistessero le altre Bucoliche. Un'esegesi equilibrata non può prescindere dal riferire cor-

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presso gli studiosi delle Bucoliche, per es., che il rior­ dino definitivo della sua opera pastorale nel biennio 3 9 - 3 8 abbia indotto Virgilio ad includere testi che, come la X, originariamente non ne facevano parte e a " ritoccare " qua e là tutte le altre egloghe. Solo in questa prospettiva diventano perfettamente intelle­ gibili i vv.45-50 della IX egloga che così come sono strutturati aiutano persino a spiegare il significato "cesareo" della V. È questo, in fondo, che non consente di studia­ re la IV egloga prescindendo dall'insieme della rac­ colta, come se costituisse una creazione estempora­ nea ed accidentale di Virgilio. Al contrario, la sua complessiva strutturazione, la sua conservazione e la sua presenza nel liber definitivo, ordinato dopo la fine delle illusioni nate con la pace di Brindisi, deve trovare significato proprio nell'ambito del particolare mondo " bucolico" e nei simboli "pasto­ rali" che Virgilio intendeva prospettare nell 'insieme della sua raccolta .

rettamente la IV egloga all'insieme della raccolta, mostrando come essa sia coerente con il significato di tutte le Bucoliche e non abbia fondamento la tesi di quei latinisti convintisi che essa costituisca un unicum di Virgilio senza legami con le altre sue composizioni.

CAPITOLO SECONDO VEGGENTI, PASTORI E MUSE SICULE

L'invocazione iniziale della IV egloga non può essere confinata in una specie di preparatoria declamazione che esalta il ruolo delle Muse ispiratrici della poesia pastorale con i suoi caratteristici alterni dialoghi fra i protagonisti, le gare poetiche e l'intreccio amoro­ so. La stessa presenza del console Pollione non fa che trasferire il canto amebeo così come era usuale presso i poeti alessandrini, in una dimensione incom­ mensurabilmente diversa ed in sé più elevata rispetto a quella della poesia pastorale. La struttura recitativa dei primi tre versi intro­ duce in un'aura di trasfigurata realtà, propiziata dal particolare ritmo recitativo che deve portare l'ascol­ tatore ad incantamento: Sicelides Musae, paulo maiora canamus: non omnes arbusta iuvant humilesque myricae: si canimus silvas, silvae sint consule dignae.

In questi primi versi si trova l'unico cenno di autenti­ ca poesia pastorale contenuto nell'egloga e una loro eventuale correlazione con la parte finale del carme (là dove viene raffigurato il Puer che sorride alla ma­ dre in un contesto apparentemente arcadico che si era espresso anche con la duplice invocazione al dio Pan), fa emergere aspetti ermeneutici che permettono di valorizzare i vv. 60-63 secondo modalità rituali che

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li pongono al di fuori di ogni contesto elegiaco di tipo alessandrino. In ogni caso, si tratta di una quantità di versi e di forme espositive veramente insufficienti per dare al poemetto quel tono pastorale "classico" che la sua appartenenza ad un intero liber bucolico dovrebbe comportare. Questa realtà dell'egloga per­ mette di guardare le cose da una prospettiva diversa da quella che corre usualmente presso molti studiosi di letteratura latina . D'altronde, inquadrare quest'e­ gloga nell'usuale genere epitalamico appare poco op­ portuno perché la struttura generale di questo genere poetico è qui sostanzialmente assente. Per questo mo­ tivo alcuni, senza nessun fondamento testuale, han­ no ipotizzato addirittura che i tre primi versi siano un'aggiunta tarda fatta da Virgilio quando riordinò le Bucoliche nel biennio 3 9-3 8 . Nell'epitalamio le norme retoriche imponevano di parlare della genera­ zione dei figli alla fine del componimento, mentre nel discorso genetliaco era usuale augurare agli sposi un futuro migliore. Il fatto che nell'egloga questi aspetti si trovino trattati in un modo completamente diverso rispetto a quanto accadeva nella poesia elegiaca, uni­ to alla totale mancanza della parte espitalamica rela­ tiva alla menzione delle nozze ( il motivo occasionate di questo tipo di componimenti) , dovrebbe facilmen­ te indurre a concludere che Virgilio abbia composto questo poemetto con finalità completamente diverse da quelle del genere bucolico alessandrino. Tutto ciò dà ragione alle giudiziose parole di uno studioso del­ la perizia di Fabio Cupaiuolo, secondo il quale nella IV egloga (come anche nella VI e nella X) l'elemento bucolico "è ridotto solo a pochi particolari e soprat­

tutto a cornice esteriore"9• 9

Così F. Cupaiuolo, La decima egloga di Virgilio un problema sempre aperto, "Cultura e Scuola " , 80, 1 9 8 1 , p.50; cfr. anche Id., Trama poetica delle Bucoliche di Virgilio, Napoli 1 969,

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I n realtà, tutte le dieci egloghe mostrano un pae­ saggio che spesso supera i contorni propriamente " pastorali " della poesia alessandrina anche se, ov­ viamente, la campagna e la vita silvestre costituisco­ no lo sfondo sul quale nascono le particolari rap­ presentazioni virgiliane così ricche di un simbolismo arcaico. Accanto al mondo dei pastori Virgilio evoca foreste e selve inaccessibili, fiumi e fonti sacre, faggi, salici, pini " mormoranti " , apollinei lauri, olmi, gine­ pri, querce colpite dai fulmini che fanno predizioni, cipressi e pioppi della primitiva " religione oracola­ re " , monti selvaggi e boscosi che "innalzano la loro voce lieta alle stelle ,, teneri arbusta che annuncia­ no con gioia "Deus, deus ille, Mena/ca! ,, qualche tempietto (= sacellus) , rupi spinose che elevano sacri carmina, Camenae10 che intonano inni rituali ritmati alternativamente col canto e con la musica ( =alter­ na) , persino antri oscuri che introducono sia all'in­ vocazione di divinità onnipresenti come Pan deus Arcadiae, sia all'evocazione della mistica Arcadia, la patria delle confraternite dei bukoloi. Questa am­ bientazione percorre tutte le egloghe ed è una real­ tà molto più selvaggia ed arcana rispetto a quella di una semplice, placida e nostalgica vita pastorale cui solitamente pensano alcuni studiosi condizionati p. l 5 8 : " La quarta dedicata a Poi/ione non ha di bucolico niente altro se non lo sfondo ". In quest'opera, accanto a giudiziose

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riflessioni di ampia portata sulle egloghe dialogate a carattere drammatico (l, III, V, VII, IX), contrapposte a quelle nelle quali predomina il monologo o la parte cantata, si trovano anche tesi obsolete come quella che fa del Puer il solito figlio di Pollione. Antiche divinità italiche legate alla profezia, ritenute anche le ispira triei della poesia sacra, i Carmina. Un sacellus dedicato a loro si trovava presso la porta Capena, dove vi era una fonte sacra e dove era stato rinvenuto il sacro ancile di bronzo ca­ duto dal cielo. Secondo alcuni commentatori antichi Camenae deriva da carmen o da cantus (cfr. Servio, ad Egl., III, 59: Ca­

menae Musae, quibus a cantu nomen est inditum ).

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troppo dagli Idilli di Teocrito. C'è tutto un paesaggio che intona carmina ai monti e alle selve o che ele­ va canti sacri all'ombra di straordinari faggi, che ha poco dell'usuale genere pastorale1 1 • Gli alti lecci che " sussurrano " , le querce colpite dal fulmine che " fan­ no predizioni " , i pini che " mormorano " , i boschi che " stormiscono " intonando misteriosi carmina, le sil­ vae che rispondono alle domande e ripetono omnia, i venti che "parlano alle orecchie degli dèi " (divum ad auras) , non appartengono al bagaglio della solita, quasi romantica, immaginazione poetica. È, invece, la realtà che sottende ogni annuncio oracolare che Virgilio precisa indicandone addirittura anche alcuni rituali : Fauni e fiere che danzano secondo sconosciu­ ti ritmi musicali, cortecce di myricae che trasuda­ no pingue ambra, verbene ed incenso bruciati nelle offerte sacrificali, farro ed alloro che si consumano mentre accompagnano antiche ed ormai sconosciute 11

I vari alberi menzionati da Virgilio nelle Bucoliche rispondono tutti a delle fortissime necessità simboliche che hanno la propria ragion d'essere nei rituali oracolari e profetici dell'antico mondo italico. Si pensava che il cipresso avesse il potere di prevenire la corruzione dei corpi e perciò era un simbolo di immortalità caro a Zeus e ad Apollo; il pioppo si trova correntemente nelle raffi­ gurazioni dei Campi Elisi come simbolo di felicità eterna; l'olmo è il simbolo della parola divina e della profezia; il faggio si ritro­ va nelle predizioni oracolari ed era ritenuto uno degli alberi di Zeus; il salice, albero funerario, era sacro ad Artemide-Diana; il lauro, che simbolizza la vittoria celeste, era sacro ad Apollo e Diana. Ovidio (Metam., l) racconta il mito che correva presso i poeti alessandrini. Apollo si era innamorato della ninfa Dafne, ma quando stava per raggiungerla dopo un inseguimento lungo e faticoso, Dafne pregò gli dèi che la trasformassero in alloro. Apollo, disperato, disse: "Poiché tu non puoi essere mia sposa,

sarai il mio albero. Di te sempre saranno ornati i miei capelli, la mia cetra e la mia faretra ". Sull'ambientazione delle Bucoliche confrontata al paesaggio della pittura romana cfr. E.W.Learch, Vergil's Eclogues. Landscapes of Experience, Ithaca-London 1 974, pp. 83 e sgg., e, più in generale, R.Jenkins, Virgil's Experi­ ence. Nature and History: Times, Names, Oxford 1 98 8 .

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lodi, fiammelle di cenere sacrificale che improvvisa­ mente avvolgono gli altari, carmina incisi su cortecce di faggio simili alle profezie di un mondo arcaico. I simboli e i rituali elencati nelle egloghe corrispon­ dono fin nei dettagli a quella vera e propria religio secunda costituita dal mondo degli Oracoli, dei Veg­ genti e delle Sibille che rendeva la civiltà proto-latina così particolarmente ricca di spiritualità, prima che le guerre civili e le conseguenti stragi fratricide stra­ volgessero gli arcaici ritmi della religione italica. È il sostrato spirituale sul quale si è sviluppata molta parte dei rituali che ritmavano la vita della più anti­ ca civiltà romana . Il particolare simbolismo che caratterizza le ri­ velazioni oracolari e gli annunci profetici, così forte nell'insieme delle Bucoliche, si ritrova anche nella IV egloga . La sua strutturazione non fa che rimandare al mondo delle Sibille primordiali ed emerge anche dal particolare ruolo che Virgilio assegna non solo agli arbusta e alle silvae nelle quali operavano gli an­ tichi Veggenti, ma anche alle myricae, l'umile pian­ ticella sacra ad Apollo, il dio della profezia, dell'i­ spirazione e della perfezione cosmica . La tradizione sulle rivelazioni della Sibilla viene ricordata anche in Aen., III, 44 1 -446, là dove il poeta scrive: Huc ubi delatus Cymaeum acceseris urbem divinosque lacus et Averna sonantia silvis, insanam vatem aspicies, quae rupe sub ima fata canit foliisque notas et nomina mandat. Quaecumque in foliis descripsit carmina virgo, digerit in numerum atque antro seclusa relinquit.

Sono versi che conservano i caratteri dell'antica ambientazione rituale nella quale si situavano le ri­ velazioni della Sibilla di Cuma (la stessa che un ce­ lebre passo del poeta tragico alessandrino Licofro-

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ne, Alex., 1 2 77, caratterizza come " la montagna di

Febo, dove la vergine sacerdotessa, la Sibilla, ha la sua orrenda dimora, un antro spalancato sulla roc­ cia ") e, più in generale, degli oracoli italicil2• Le vir­ tù profetiche che Virgilio nei versi iniziali della sua IV egloga attribuisce ai boschi sacri (= silvae) , alle umili piante ( =arbusta) e ai ramoscelli delle myricae che servivano da supporto nei rituali oracolari delle Sibille, appartengono alla realtà rituale e al comples­ so simbolico che ha permeato intimamente la civiltà romana, ed è quello che sostanzia il senso vero dei primi versi dell'egloga, il loro predisporre l'ambiente sacro adatto all'annuncio profetico . D 'altronde, le dieci egloghe non sono mai sta­ te delle composizioni indirizzate esclusivamente a pochi eletti ascoltatori, ad una cerchia ristretta di amici cui si riteneva di comunicare una personale ispirazione che solamente essi potevano compren­ dere. Seguendo una tradizione di tipo alessandrino cui d'altronde non erano rimaste estranee neanche le opere di Teocrito, era invece usuale che accanto alla loro lettura a corte, esse venissero rappresentate a teatro, dove un cantor leggeva il testo che gli attori dovevano mimare, spesso accompagnandone con la danza la recita e l'eventuale rappresentazione dialo­ gata. Le egloghe non costituivano il diletto ingenuo e 12

Cfr. H. W.Parke, S ibilie, Genova 1 992, p . 1 0 2 : " Responsi scritti, segnati come sortes, erano d'uso comune nei santuari italici; a Preneste, nel santuario della dèa Fortuna, le sorti venivano scritte su tavolette di quercia. Si dice che anche le profezie dei Marcii venissero scritte su pezzi di corteccia caduta dagli al­ beri ". Molto utile lo studio di P.Poccetti, "Fata canit foliisque notas et nomina mandat". Scrittura e forme oracolari nell'Ita­ lia antica, in Sibille e Linguaggi oracolari, (I.Chirassi Colombo ed. ), Università degli Studi di Macerata, 1 9 9 8 , pp. 75-1 05 . Più in generale, per gli aspetti di tipo cosmologico presenti nei ri­ tuali oracolari, cfr. D.Sabbatucci, Divinazione e cosmologia, Milano 1 989.

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! ' " evasione " momentanea d i un'intera classe politica ed intellettuale, ma diventavano la rappresentazio­ ne rituale di simboli che traevano la propria ragion d'essere dai valori spirituali sui quali si fondava la nascente costruzione politica romana . D 'altronde, quella che noi chiamiamo " poesia " per i Romani aveva i caratteri di un vero e proprio carmen, era perfettamente integrata nella vita politica e sacrale di Roma da tempi molto remoti, si inseriva nello stesso " spazio sacro " degli antichi Veggenti, inten­ deva perpetuare il tipo particolare di sapienza ora­ colare che aveva caratterizzato la storia sacra italica e pre-romana 1 3 • È in tale contesto rituale che deve essere collocata l'incerta tradizione che riferiva a Virgilio l'intento di scrivere un'opera epica su Giulio Cesare che avrebbe dovuto indicare le " radici sacre " delle nuove istituzioni romane, ma che invece il po­ tente Pollione, interpellato, riterrà non opportuna e convincerà il giovane amico a desistere dal proprio proposito e a non compilarla . L'invocazione iniziale alle Sicelides Musae trova la sua giustificazione più vera in tale ambientazione rituale. Essa presenta caratteri simbolici apparente­ mente poco attinenti alla solennità del canto, tutta­ via non riconducibili all'epitalamio oppure al genere genetliaco, e solo se venisse studiata esclusivamente nella prospettiva dell 'elegia alessandrina potrebbe dare l'impressione di essere sostanzialmente staccata 13

Seguiamo P. Grimal, Poésie e t "propagande " a u temps d'Au­ guste, " Cahiers d'Histoire mondiale " , VIII, 1 964, pp.62 e sgg., che fa anche notare il legame strettissimo della recitazione dei sacri Carmina con i rituali dei Ludi, tanto importanti nella religione romana repubblicana ed imperiale. Più in generale cfr. Newman, The Concept of the Vates, cit. , pp. 1 3 e sgg., e, con attenzione agli aspetti letterari e compositivi del poemetto virgiliano, F. Della Corte, La "proanafonesi " della IV egloga di Virgilio, " Maia " , 34, 1 9 82, pp. 1 e sgg.

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dal corpus centrale del poemetto virgiliano. L'espres­ sione si trova già in Platone {l:tKEÀai. . . Mouom, Soph., 242 d ) con riferimento alle tradizioni spirituali sulle quali si basava la dottrina del filosofo siciliano Em­ pedocle di Agrigento e Virgilio pare averla avuta pre­ sente anche in Egl. , VI, 1 , là dove accenna al Syraco­ sio . . . versu che prelude al racconto cosmogonico di questo poemetto. In Egl., X, 1 addirittura le parole di Virgilio (extremum hunc, Arethusa, mihi conce­ de laborem) non fanno che riprendere l'ambienta­ zione mitologica della poesia pastorale di tradizione siracusana che arricchisce tutte le composizioni dei poeti alessandrini e spesso ne costituisce il sostrato essenziale . L'esegesi letteraria ha sempre collegato le enigmatiche Sicelides Musae di Virgilio al " Daphnim amarunt l Sicelides Musae " di Silio Italico (Punic., XI, 466-467), alle poesie di Mosco (che nel suo IUO Idillio ricorda ancora le l:tKSÀ.tKai. . . Mouaat), all'E­ pitafio di Bione (v. 8 ) , ma anche a Teocrito e ai suoi componimenti bucolici, all'Idillio XXIV soprattutto, che con la sua insistenza sulla vita dell'eroe-salva­ tore sembrerebbe trovarsi alla base di molti simboli caratteristici delle egloghe virgiliane. Si è ingenua­ mente ipotizzato che negli Idilli di Teocrito predo­ mini una nostalgia per la vita silvestre e pastorale che la rapida urbanizzazione del periodo alessandri­ no avrebbe inevitabilmente rafforzato conducendo verso vagheggiamenti di un mondo ormai perduto . In realtà qui si tratta di ben altro . Per misurare la distanza delle egloghe di Virgilio dalle poesie di tipo alessandrino (dove era usuale collocare i temi d'amo­ re all'interno di una cornice pastorale che sviluppava particolari rappresentazioni mitologiche il cui sotto­ fondo rituale, però, spesso sfugge ai cicli sacri che conosciamo) , sarebbe forse utile analizzare quanto scrive Parthenios di Nicea nell'unica sua operetta

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giuntaci sui Patimenti d'amore, a proposito delle 3 6 storie infelici d i altrettanti poeti a noi, i n verità, qua­ si sconosciuti, specie là dove accenna (cap.XIX) "alle storie di Timeo di Sicilia " . E tuttavia Parthenios non può essere considerato un poeta "esotico" fra i tanti che affollavano le case dei nobili romani. Era giun­ to a Roma nel 73 a . C . condotto prigioniero da un importante amico di Virgilio, Elvio Cinna, il quale a sua volta ha coperto un ruolo ben conosciuto e cer­ to non secondario nell'ambito della poesia pastora­ le latina . Macrobio (V, 1 7, 1 8 ) ricorda che lo stesso Virgilio era stato allievo di Parthenios quasi sicura­ mente durante la sua residenza a Napoli. Si diceva che almeno un paio di suoi scritti giovanili, il Mo­ retum e la Cyris, fossero stati composti sotto la sua influenza e sembra che persino la famosa leggenda di Orfeo ed Euridice resa immortale da Virgilio nelle Georgiche, sia stata elaborata su una primitiva ver­ sione di Parthenios 14• È anche probabile che le tracce più cospicue di questi stimoli poetici alessandrini si

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Cfr. von Blumenthal, Parthenios, in "Rea/ Encycl.", XVIII (IV, cl. 1 8 95 e sg. ) ; J.Hubaux, Les thémes bucoliques dans la poésie latine, Bruxelles 1 930, pp. 96 e sgg. ; P.E. Legrand, Bucoliques grecs, Paris 1 925, vol. l, pp. 30 e sgg. Sull'importanza di Par­ thenios per la cultura romana, vd. A. Rostagni, Partenio di Ni­ cea, Elvio Cinna e i poetae novi, in ''Atti R.Accademia Scienze Torino ", 6 8 , 1 932-33, pp.497 e sgg. Sul mito di Orfeo ed Eu­ ridice prima di Virgilio ed in Virgilio, cfr. J.Heurgon, Orphée et Eurydice avant Virgile, in " Mélanges d'Archeologie et d'Histoire ", 49, 1 932, pp.6 e sgg.; C.M.Bowra, Orpheus and Eurydice, " Classica! Quarterly" , 1 952, pp. 1 1 3 -1 26; Ch. Segal, Orpheus and the fourth Georgic, "American Journal of Phi­ lology " , 1 966, pp. 3 07 e sgg. Sul problema delle laudes Galli presenti nella 1 " edizione delle Georgiche, e sul rapporto fra il simbolismo di Aristeo e di Orfeo da un lato, e Gallo e Virgilio dall'altro, cfr. H.Jacobson, Aristeus, Orpheus and the "laudes Galli ", "American Journal of Philology" , 1 05, 1 984, pp.2 7 1 3 00; B.-G.Conte, Aristeo, Orfeo e l e Georgiche: una seconda volta, " Studi Classici e Orientali " , 46, 1 966, pp. 1 03-1 36.

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possono ritrovare nella VII egloga, là dove Coridone e Tyrsis assumono aspetti rapportabili sia ai "pastori siculi " cantati da Teocrito, sia ai vari personaggi che popolavano i tanti miti connessi all'Arcadia . Tuttavia v a ricordato che dietro e prima di Mo­ sca di Siracusa, di Bione originario di Smirne, ma che visse a Siracusa la parte più importante della sua vita, del siracusano Teocrito e degli altri poeti pa­ storali minori l5, è esistito tutto un vasto insieme di canti bucolici diffusi presso le popolazioni doriche stanziate in Sicilia che hanno costituito il vero re­ troterra mitologico e sacrale cui attingevano i poeti pastorali e che molto probabilmente giustifica anche lo stesso uso, certamente inusuale per un poeta bu­ colico, del dialetto dorico negli Idilli di Teocrito16 • Si tratta di una tradizione molto forte radicata nei canti rituali delle arcaiche confraternite giovanili le-

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I testi dei poeti bucolici si trovano nell'edizione in 2 voli. cu­ rata da P.E.Legrand, Paris 1953. Mosco è stato presentato in W.Biihler, Die Europa von Moschos, " Hermes " , XIII, 1 960; allo stesso Mosco era stato attribuito falsamente anche l' Epitafio di Bione, modesta compilazione di un ignoto poeta " italiota " . L'o­ pera di Bione di Smirne, L'Epitafio di Adone, è stata edita da M.Fantuzzi, Roma 1 987. Gli scritti di Teocrito si trovano nei 2 voli. di Theocritus, a cura di A.S.F. Gow, Cambridge 1 950. L o stesso famoso passo d i Egl., Il, 2 1 -24 ( ''Mille meae Siculis

errant in montibus agnae;/ Lac mihi non aestate novum, non (rigore defit.l Canto, quae solitus, si quando armenta vocabat, l Amphion Dircaeus in Actaeo Aracyntho ") invita a guardare ad una realtà spirituale non !imitabile ad un preteso calco di qual­ che verso del solito "ignoto" poeta ellenistico. La menzione di Amfione Dirceo, il mitico fondatore di Tebe in Beozia, dovrebbe invitare a studiare il sottofondo mitico-rituale del canto virgilia­ no e non solamente la sua eccezionale " capacità di assorbire" i contenuti culturali di tipo teocritèo che, d'altronde, ha messo già in luce con l'usuale competenza A.La Penna, La II egloga e la poesia bucolica di Virgilio, "Maia " , 1 963, pp.484-492. Nel v.2 1 i l canto d i Amfione Dirceo viene accostato a i " Monti Siculi " secondo una modalità espressiva che riprende l'ambientazione rituale delle "Muse sicule " della IV egloga.

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gate i n modo speciale a i culti dell'Artemide dorica e di Apollo, che si è continuata sino ad un'epoca rela­ tivamente recente soprattutto nelle colonie doriche siciliane. Epicarmo, che visse per molti anni alla cor­ te di Gerone, in alcuni dei suoi drammi ricorda che a Siracusa esisteva da tempi antichi un'importante tradizione pastorale comprendente canti sacri che si accompagnavano al suono della siringa e menziona persino alcuni bukoloi famosi, Tityrus e Tyrsis17• Lo Scoliaste di Teocrito (schol. ad Theocr., praef. , pp.23 Wendel ) , Probo (pp.324 sgg. Hagen ) , Servio (ad Egl., praef. ) e Filargirio ( 1 0, 3 Hagen) attestano l'esi­ stenza di canti bucolici siciliani legati alle tradizioni doriche, tradizioni che non è affatto escluso che Vir­ gilio abbia potuto conoscere direttamente durante i suoi frequenti ritiri in Sicilia attestati, fra altri, da Donato ( Vita, 1 3 ) . S i è sottovalutato o marginalizato i l valore di questi canti rituali pensando che fossero troppo pri­ mitivi per arrivare ad influenzare poeti raffinati come Mosca, Bione o Teocrito e si è preferito pensare che essi esprimessero i valori di un mondo ingenuo, semplice, capace di affascinare chi, come Virgilio, avrebbe amato una vita pastorale rozza, ma autenti­ ca e lontana dalle turbolenze della politica romana. Qualcuno si è anche fatto prendere la mano diffe17

Tityrus nel dialetto dorico significa " montone" e perciò po­ trebbe alludere all'Archegeta di qualche confraternita pastora­ le. Thyrsis è invece il "portatore del tirso" , il bastone sacro sul quale troneggiava una pigna, sacra ad Artemide-Diana. Anche in Georg.,Il, 3 85-389 ( "Nec non Ausonii, Troia gens missa, co­ loni, l versibus incomptis ludunt risuque saluto, l oraque corti­ bus sumunt o"enda cavatisi et te, Bacche, vocant per carmina laeta tibiquel oscilla ex alta suspendunt mollia pinu ") Virgilio ha insistito sull'arcaico uso dei contadini italici di travestirsi con maschere di animali e di recitare canti sacri molto antichi in occasione di rituali appartenenti all'arcaica religiosità italica ( "carminibus patriis ", v. 3 94 ) .

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renziando i pretesi rozzi canti del pastore solitario che si sarebbero accompagnati al suono di strumen­ ti primitivi, da quelli più dotti, una forma poetica pastorale "riflessa " o "d'arte " fiorita essenzialmente in Arcadia 1 8 • Si dimentica però che in ogni società arcaica gli inrti sacri hanno sempre avuto un valore essenziale che andava a toccare ogni pur piccolo ed apparentemente insignificante aspetto dell'esistenza, e il loro canto serviva spesso sia a perpetuare la me­ moria di importanti mitologhemi che nascondeva­ no una sapienza ancestrale, sia ad accompagnare i vari rituali. È una realtà che non può essere ignorata e che radica gli antichi canti pastorali di cui parla la tradizione, non in una astratta vita silvestre, ma in una vissuta ed intensamente partecipata liturgia sacra . Mentre poi di queste pretese "rozze canzoni " non abbiamo nulla 19, la tradizione al contrario ricor­ da i canti sacri delle processioni dei bukoloi siciliani, le confraternite di giovani mascherati da animali e armati di bastoni che, con i loro simbolici dolci a

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Cfr. B.Luiselli, Studi sulla poesia bucolica, cit., p.25 (il r • cap. contiene un'analisi di alcuni importanti frr. delle tradizioni dei bukoloi); F.Cupaiuolo, Trama poetica delle Bucoliche di Virgilio, cit., pp.55 e sgg .. (la IV egloga è studiata alle pp. 1 5 8 1 7 1 ) . Più attento agli elementi religiosi J. Bayet, Les origines de l'Arcadisme romain, in " Mélanges d'Archéologie et d'Histoire de l'Ècole Française de Rome", 3 8 , 1 920, pp. 6 3 - 1 4 3 . Con ra­ gione, invece, J.-P.Brisson ( Virgile. Son temps et le notre, Paris 1 966, p.2 1 6 ) aveva notato che i pastori delle Bucoliche "so­ cialmente parlando " non sono autentici pastori. Anche A.La Penna (L'impossibile giustificazione della storia. Un 'interpre­ tazione di Virgilio, Roma-Bari 2005 ) ritiene che " i pastori di

Virgilio hanno talora un pathos lirico nuovo, ma conservano ben poco di pastorale "(p.25 ) ; e subito dopo precisa: " i pasto­ ri non entrano in scena semplicemente come pastori, ma come pastori-cantori, pastori-poeti " (p.26 ) . L e ricostruzioni tentate d a V. Poschl, Die Hirtendichtung Virgils, Heidelberg 1 964, pp.93 e sgg., furono smontate da H.Dahlmann in " Hermes" , 94, 1 966, pp.2 1 8-232.

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forma d i animali, andavano d i casa i n casa a porta­ re le sementi per iniziare l "' anno nuovo " cantando inni ad Artemide ed invocando una prole numerosa, greggi ricchi, raccolti abbondanti. Queste confrater­ nite profondamente radicate nella spiritualità apolli­ nea non costituivano un fatto eccezionale nel mondo antico. I raggruppamenti di bukoloi si accompagna­ vano a tutta una serie di consorterie religiose di vario tipo e " radicamento " spirituale che comprendevano anche confraternite guerriere, corporazioni di vasai, fabbri-sciamani, tessitori, medici, cantori, danzatori, asceti solitari e una varietà non piccola di tiasi dioni­ siaci. In questo complesso sistema di organismi ini­ ziatici primeggiavano per la loro importanza anche culturale e para-filosofica quelli che si richiamavano all'insegnamento di Orfeo, correntemente considera­ to un'epiclesi del dio Apollo20• Il tema centrale dei canti rituali che i bukoloi so­ levano indirizzare ad Artemide o ad Apollo era quel­ lo dell'amore sfortunato di una dèa (Artemide, ma a volte anche Afrodite ) per un pastorello: Acteone, Paride, Peleo e, più importante di tutti, l'apollineo Dafni, " il portatore d'alloro " Si diceva che l'origi­ ne di questi canti sacri risaliva all'illud tempus nel quale i bukoloi avevano invocato Artemide e la dèa Liea ( "colei che allontana dai mali " ) perché pones­ sero fine ad una terribile pestilenza che affliggeva la Sicilia. Al culmine di quel rito di invocazione la confraternita dei bukoloi entrò improvvisamente nel teatro elevando canti ad Artemide. Da quel momen­ to, perpetuando e riattualizzando le condizioni spiri­ tuali narrate dal mito, il teatro continuerà ad essere 20

Il sottofondo spirituale di queste arcaiche confraternite è stato studiato da N.D' Anna, La Disciplina del Silenzio. Mito, miste­ ro ed estasi nell'antica Grecia, Il Cerchio, Rimini 1 995, pp. 1 3 e sgg.; per Orfeo e gli Orfici, ivi, pp.27-35.

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considerato il " luogo sacro " , lo " spazio liturgico " nel quale venivano rappresentate l e composizioni pastorali fin nel periodo alessandrino e poi nella stessa Roma . È a questo retroterra mitico-rituale che bisogna guardare per capire le motivazioni che spin­ gevano i Romani a rappresentare a teatro le Bucoli­ che di Virgilio2 1 • Secondo Stesicoro ed Ermesianatte, che attingono ad una tradizione conosciuta anche da Eliano ( Var. Hist., X, 1 8 ) e da Diodoro Siculo (IV, 84 ) , il primo ad intonare i canti sacri, i bukolismoi, fu proprio Dafni che fondò così la tradizione seguita poi da tutti gli altri bukoloi22• È la stessa tradizione raccontata da Parthenios, poi ripresa da Servio Dan. (ad Virg. Egl. V, 20; VIII, 6 8) e dallo schol. Bern. (ad Egl. V, 2 9 ) : Dafni è contemporaneamente un Can­ tore dall'insuperabile talento e un innamorato sfor­ tunato o infedele, un cacciatore il cui canto ritmato sul suono della siringa incantava la stessa Artemide . Nelle Bucoliche i pastori sono sempre raffigurati come pueri. Lo stesso Servio Dan. (ad VI, 1 4 ) ricorda un'antica tradizione che a ssimilava i pueri ai Satiri e ai Sileni : " nonnulli pueri non absurde putant dictum,

quia Sileni priusquam senescant, Satyri sunt. Utrum ergo aetate pueros, an ut ministros et familiares so­ lemus communiter pueros vocare ? ". In Egl., VI, 1 3 - 1 4 , i due pueri che improvvisamente appaiono e rendono viva la narrazione dell'egloga, Chromis e Mnasyllus, sono normalmente considerati Sileni che 21

Cfr. Donato, Vita, 26: "Bucolica eo successu edidit, ut in scae­ na quoque per cantores crebro pronuntiaretur". V d. pure Ta­ cito, Dia[. de Orat., 1 3 .

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Stesicoro era originario di Imera in Sicilia e soggiornò anche a Sparta. Ermesianatte è forse il primo a raccontare il mito dell'amore del cacciatore Dafni per Menalca, un personaggio che ritroveremo in Virgilio. Sulla leggenda di Dafni e sulla sua presenza nell'opera virgiliana resta utile M. Desport, L'incanta­ tion virgilienne, cit. , pp.92 - 1 3 6 .

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si avvicinano al loro Vecchio Archegeta con l'intento di indurlo a cantare il significato del mondo, ad in­ tonare una cosmogonia. È straordinario come un cenno ad arcaici rituali il cui protagonista è sempre un puer possa rinvenirsi nelle Bucoliche. In Egl., VII, 29-32 Virgilio scrive: Saetosi caput hoc apri tibi, Delia, parvus Et ramosa Micon vivacis cornua cervi . Si proprium hoc fuerit, levi de marmore tota Pumiceo stabis suras evincta cothurno.

L'invocazione è particolare, i quattro versi che la co­ stituiscono sono inseriti all'interno di un contesto molto ricco di divinità legate al mondo pastorale: le Nimphae Libethrides (vv. 2 1 -2 4 ) , le custodi dell'an­ tro Libetrio che sul monte Elicona era famoso per la sua sacra fonte; i pastores Arcades ( vv.25-2 8 ) colti nel momento culminante di una gara di poesia; Pria­ po (vv. 3 3 -3 6 ) , custode degli orti e dei greggi; Gala­ tea (vv. 3 7-4 0 ) , la Nereide siciliana protagonista di molte poesie elegiache resa celeberrima dai drammi di Epicarmo. Infine (vv.29-32) appare Delia, la dèa " nata nell'isola di Delo " , un'attribuzione che con ogni evidenza assimila questa divinità dell'egloga all'Artemide dorica . Il parvus Micon non può esse­ re altro che un giovane pastore devoto alla dèa alla quale promette una statua marmorea ornata di una veste purpurea . Poi, improvvisamente e quasi come cosa conosciuta da ogni ascoltatore dell'egloga, il quadro narrativo si arricchisce e appaiono gli stru­ menti rituali essenziali dei paramenti sacri cui erano usi le arcaiche confraternite dei bukoloi: la testa del cinghiale con le corna ramose di un cervo, gli anima­ li sacri ad Artemide. Come si vede, la rappresenta­ zione necessariamente veloce di Virgilio non fa che riprendere tutto il retroterra rituale che secondo una

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solida tradizione ricordata ancora da Polibio ( IV, 2 0 ) caratterizzava le feste dei pastori arcadi con le loro gare di giovani che danzavano mascherati e con i loro insuperati canti sacri ritmati dal suono della siringa-flauto. L'ambientazione essenzialmente rituale di questi antichissimi canti obbliga a concludere che essi erano molto simili alle invocazioni e alle lodi elevate duran­ te le feste ateniesi nelle quali corteggi di giovinetti ma­ scherati accompagnavano la processione che si sno­ dava attorno a quello che veniva considerato uno dei più caratteristici "veicoli di manifestazione " del dio Apollo: un ramo d'ulivo rivestito di striscette di lana che con i suoi simboli di rinnovamento e di "ricchez­ za " universale, evidenziava questo aspetto particolare del culto apollineo23, un simbolismo universalmente diffuso che, nell'ambito della particolare rappresenta­ zione nella quale è centrale la figura di Dafni, Virgilio sembra riprendere in Egl., VIII, 72- 75 : Ducite ab urbe domum, mea Carmina, ducite Daphnim. Terna tibi haec primum triplici diversa colore Licia circumdo, terque haec altaria circum Effigiem duco; numero deus impare gaudet.

Si tratta di un insieme molto vario ed esteso di rituali sacri che probabilmente giungeva fino in Beozia e in Eubea, là dove ancora al tempo della poesia alessan­ drina erano vive le tradizioni conservate nelle feste delle Daphnephorie i cui canti esaltavano la figura di un �aq>VT)q>OptK6v, un Dafni-Fanciullo i cui carat23

Come già notava il Maass (in " Rheinisches Museum fur Philo­ logie", 1 925, pp.235 e sgg.), il 1 2 del mese di Anthesterion ad Atene si celebrava anche uno hiéros gamos nel Bukolion fra la moglie del re e il dio Dioniso. Gli sposi divini venivano accom­ pagnati da un corteggio di giovani mascherati che cantavano inni sacri e chiedevano ricchezza e floridezza.

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teri fondamentali sembrano essere convogliati nelle vicende concernenti ta i\a