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Italian Pages 157 Year 2004
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Il volume raccoglie i testi delle lezioni tenute al dottorato di ricerca in "Scienza, tecnologia e società", che fa capo al Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica dell'Università della Calabria, e che è cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo. Il testo è stato visto dal1' autore.
Maurizio Lazzarato, filosofo e sociologo, vive e lavora a Parigi. Collabora con il laboratorio Matisse-Isys de l'Université de Paris I. Ha svolto ricerche sul modo di produzione postfordista e il lavoro immateriale. Collabora a varie riviste di filosofia politica tra cui "Futur antérieur", "Multitudes" e "DeriveApprodi". Tra i suoi saggi pubblicati in Italia: Videofilosofia, per la Manifestolibri (1996).
Collana diretta da Giordano Sivini, coordinatore del dottorato di ricerca in "Scienza, tecnologia e società", Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica, Università della Calabria (e-mail [email protected]).
© 2004 Dottorato di Ricerca in "Scienza, Tecnologia e Società" . Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica - Università della Calabria www.sociologia.unical.it
© 2004 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 -Tel. (0968) 662034 www.rubbettino.it
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L'evento e il politico
"Le interferenze tra l'immagine e il linguaggio sono sempre più numerose. Al limite, si potrebbe dire che vivere in società oggi, è quasi come vivere in un enorme fumetto. E tuttavia il linguaggio in quanto tale non è sufficiente a determinare l'immagine con precisione[.. .]. Per esempio come rendere conto degli eventi? Come mostrare o dire che questo pomeriggio, verso le 16 e 10 Juliette e Marianne sono andate in un garage della Porte de Terne, dove lavora il marito di Juliette? Senso e non senso [... ]. Si, come dire ciò che è accaduto?[ ... ] Perché tutti questi segni che finiscono per farmi dubitare del linguaggio e che mi sommergono di significati annegando il reale invece di liberarlo dall'immaginario? [... ] Sono le 16 e 45. Bisogna parlare di Juliette o delle foglie poiché, in ogni modo, è impossibile fare le due cose contemporaneamente. Diciamo che tutti e due tremano dolcemente in quest'inizio di fine pomeriggio d'ottobre". J.-L. Godard
Le giornate di Seattle sono state un vero e proprio evento politico che, come tutti gli eventi, ha prodotto, innanzitutto, una mutazione della soggettività e della sua maniera di sentire: non si accetta più quello che si accettava prima, la "distribuzione dei desideri è cambiatau. La parola d'ordine 'un altro mondo è possibile', è sintomatica di questa metamorfosi. La differenza, se la paragoniamo ad altri eventi politià del secolo che si è concluso, è radicale. 'Un altro mondo è possibile' non rinvia più, per esempio, alla lotta di classe e alla necessaria presa del potere; non nomina il soggetto della storia, la classe operaia, il suo nemico, il capitale, e la loro lotta mortale; si limita a annunàare che del possibile è stato creato, che delle nuove possibilità di vita si sono espresse, e che si tratta ora di compierle; un nuovo orizzonte è stato aperto, ma bisogna effettuarlo. Siamo cosl entrati, mi sembra, in un' altra abnosfera intellettuale, in un'altra costellazione concettuale. 5
Non credo che coloro che hanno inventato questo slogan si riferissero direttamente alla filosofia di Leibniz, dove i termini "mondo" e "possibile" sono due concetti fondamentali. Ma questo enunciato, vagamente Leibniziano, 'insiste', circola in ogni manifestazione, in ogni volantino, in ogni assemblea. Con le giornate di Seattle, dei ,nuovi possibili sono stati creati (non esistevano prima dell'evento, sono arrivati con esso). Nell'evento si vede, nello stesso tempo, ciò che un'epoca ha di intollerabile e le nuove possibilità di vita che può esprimere. Questa nuova distribuzione e dei desideri e del possibile apre a sua volta a un processo di creazione e di sperimentazione. Sperimentare ciò che la mutazione della soggettività implica e creare dei dispositivi, delle istituzioni, dei concatenamenti che siano capaci di sviluppare, che siano in grado di compiere la riconversione dei valori che una generazione (cresciuta dopo la caduta del muro, e dentro l'espansione americana e la new economy) ha saputo creare: un nuovo modo di rapportarsi all'economia e alla politica-mondo, una diversa maniera di vivere il tempo, il corpo, il lavoro, la comunicazione ecc., la possibilità di costruire delle forme inedite dell" essere insieme' e dell" essere contro'. Deleuze e Guattari, a proposito del maggio '68, che ha completamente dispiegato questa nuova dinamica dell'evento politico, dicevano: "Bisogna che la società sia capace di formare dei concatenamenti collettivi corrispondenti alla nuova soggettività, in modo tale che voglia la mutazione" (Deleuze, 2003). Il maggio francese, smentendo un secolo di analisi marxiste e del1' economia politica, "non fu la conseguenza di una crisi né la reazione a una crisi", ma piuttosto il contrario. La crisi derivò dal "cambiamento nell'ordine del senso che tocca in primo luogo le anime". L'effettuazione di ciò che l'evento del '68 ha espresso è dunque un nuovo inizio, l'apertura di un altro processo imprevedibile e rischioso perché deve operare "una riconversione soggettiva a livello collettivo" (Deleuze, 2003). Considerando l'azione politica alla luce dell'evento, possiamo affermare che siamo in presenza di una doppia creazione, di una doppia individuazione, di un doppio divenire (la creazione di un possibile e la sua effettuazione), che si confronta con i valori dominanti. Ed è qui che emerge il conflitto. L'effettuazione delle nuove possibilità di vita che l'evento implica si scontra con i valori 'in corso' e con l'effettuazione che i dispositivi di potere, a loro volta, operano su questa apertura costituente. Il modo dell'evento è il problematico. L'evento non è una risoluzione di un problema, ma una apertura di possibilità che sollecitano 6
delle domande e invitan~ a inventare delle risposte. Per Michail Bachtin, da chi prendiamo a prestito questa definizione, l'evento rivela la natura dell'essere come problema, in maniera che la sfera del1' essere è quella delle "domande e delle risposte". Differentemente da ciò che pensava Marx, per il quale l'umanità si pone unicamente domande a cui può dare risposta, partire dall'evento significa aprire un nuovo campo problematico in cui le soluzioni non sono date implicitamente ma devono essere invece create. L'enunciato, 'un altro mondo è possibile' quindi, non designa tanto una affermazione, quanto un'apertura problematica, la costruzione di un problema e l'invenzione di risposte possibili. Nel presente lavoro cercheremo di portare un contributo alla definizione la "natura dell'essere". come evento, seguendo il motivo vagamente leibniziano che ci sembra risuonare in questo enunciato e cercando di rispondere agli int~rrogativi che esso suscita. Si è spesso sottolineata l'importanza dell'approccio di Leibniz per la filosofia dell'evento e della differenza. Già dal 1870, tale filone di pensiero comincia a fare i primi passi seguendo le tracce della monadologia del filosofo tedesco. Il sociologo Gabriel Tarde, ispirandosi ai lavori di Maine de Biran e di Cournot su Leibniz, redige i suoi primi articoli con dei titoli che rinviano immediatamente alla filosofia dell'autore tedesco: La differenza universale (1870), I possibili (1874), Le monadi e la scienza sociale (1893). A partire da Tarde, tutte le riletture della filosofia di Leibniz cercheranno nei suoi concetti le modalità per uscire dalla filosofia del soggetto. Da Kant a Husserl, passando per Hegel e Marx, è attraverso l'ontologia della relazione soggetto-oggetto, o attraverso la sua variazione intersoggettiva, che è spiegata la costituzione del mondo e del 'sé'. Peter Sloterdijk ha ricostruito il ruolo maggiore che queste filosofie del soggetto hanno avuto nella modernità, e mostrato come, al loro livello più alto, conducano a delle teorie del lavoro. Sono soprattutto Marx ed Hegel che imprimono questa piega alla filosofia del soggetto, leggendola alla luce della lezione dell'economia politica inglese. Per Hegel è attraverso il lavoro e lo scambio, che l'uomo supera la sua animalità, e che l'universalità si afferma; nel sistema dei bisogni, l'essere singolare mira alla sua soddisfazione soggettiva tramite il lavoro, che è, nello stesso tempo, rapporto con la natura e rapporto con il bisogno dell'altro. Il lavoro è sia azione di differenziazione del mondo che attività di mediazione, attraverso cui l'egoismo soggettivo si trasforma in contributo alla soddisfazione dei bisogni degli altri. Per Hegel., la dialettica del singolare e dell'universale si realizza nella divisione del lavoro. Ma è Marx che fa del lavoro l'attività co7
stitutiva del mondo: il lavoro non è semplicemente attività economica determinata, ma praxis, produzione del mondo e del sé, attività generica, non solo dell'operaio ma dell'uomo in generale. In effetti, quando si tratta di definire il capitalismo, Marx evoca una soggettività globale e generica, che capitalizza tutti i processi di soggettivazione, "tutte le attività senza distinzione", "l'attività produttrice in generale". Questo soggetto unico si esprime, adesso, in un oggetto qualunque. All'universalità astratta del soggetto si oppone l'universalità, anch'essa astratta, dell'oggetto. Le varianti soggettiviste, strutturaliste o sistemiche del marxismo si fondano sempre in una ontologia del soggetto/ oggetto. La costituzione del mondo è pensata come produzione, come fare, come esteriorizzazione del soggetto nell'oggetto, come trasformazione e dominazione della natura e dell'altro attraverso l' oggettivazione delle relazioni soggettive. C'è una strana convergenza del capitalismo e del marxismo attorno al concetto di lavoro. Da una parte, il capjtale si definisce come la potenza di subordinazione di tutte le attività alla sua valorizzazione, attraverso il lavoro; dall'altra parte, la praxis, l'azione del soggetto che si esprime nell'oggetto, si definisce come forma generica dell'attività, che le contiene tutte. Sia nella forma capitalistica (lavoro subordinato e sfruttamento), sia nella forma socialista o comunista (il lavoro come manifestazione di sé e dell'altro), c'è un'espansione senza limiti della categoria di lavoro. Un concetto che non esisteva nemmeno all'inizio della modernità diventa, sotto la spinta dello sviluppo capitalista, una categoria totalizzante e universale. La sociologia, che voleva superare i limiti dell'economia politica è, in realtà, dipendente a sua volta dalla teoria del soggetto. La sociologia di Max Weber, e più ancora quella di Durkheim, pensa il sociale e la società come il risultato dell'azione soggettiva individuale, che si cristallizza in una 'oggettività' collettiva, che agisce come obbligo sugli individui che l'hanno prodotta. Nel modo di considerare il sociale come una cosa si può facilmente vedere all'opera il rovesciamento tra soggetto e oggetto, la reificazione delle relazioni soggettive nel mondo, che Marx aveva descritto nel Feticismo della merce. Le sociologie contemporanee, (e penso in particolare alle sociologie costruttiviste), devono anch'esse molto a qu_esta filosofia del soggetto, ripresa attraverso la deduzione fenomenologica dell'intersoggettività husserliana, che pensa la costitùzione del mondo attraverso il rapporto io-altro.
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Anche il tentativo di Annah Harendt di sottrarre la varietà e la molteplicità delle attività alla categoria teorico-politica del lavoro risulta, a mio avviso, molto limitato, perché sovrappone le differenze tra lavoro, opera e azione, che risalgono alla democrazia ateniese, alla situazione contemporanea, dove queste distinzioni perdono di senso. La filosofia della differenza, invece, implica degli sviluppi completamente diversi, definendo un processo di costituzione che non parte dal soggetto o dal lavoro, ma dall'evento. Cominciamo dalla costruzione più completa della filosofia del1' evento, quella di Deleuze, per risalire, poi, a Tarde, che inaugura, da diversi punti di vista, la lettura di Leibniz nel XX secolo. Deleuze riprende la grande equazione a due livelli o a due piani di Leibniz, secondo il quale il mondo è un possibile che si attualizza nelle anime (piano superiore) e si incarna nei corpi (piano inferiore). Modificandola radicalmente ne fa una delle chiavi di volta della sua filosofia. Per Deleuze il mondo è un virtuale, una molteplicità di relazioni, di eventi, che si esprimono nei concatenamenti collettivi di enunciazione (nei segni, nel linguaggio, nei gesti), creando il possibile. Il possibile non è già dato come nella filosofia di Leibniz, ma deve essere creato. Queste nuove possibilità, una volta create, sono ben reali, ma non esistendo al di fuori dei segni, dei linguaggi, dei gesti che le esprimono, devono ora compiersi o effettuarsi in dispositivi, in istituzioni, in concatenamenti corporali. Effettuare o compiere significa sviluppare, ciò che il possibile implica. Deleuze introduce qui un nuovo regime del possibile che oppone la coppia concettuale "creazione dei possibili/ effettuazione", alla coppia "possibile/ realizzazione". In questo ultimo caso, la distribuzione dei possibili è già data nella forma di alternative binarie (uomo/ donna, capitalisti/ operai, natura/ società, lavoro/ tempo libero, adulti /bambini, intellettuale/ manuale, etc.), in modo che le nostre percezioni, gusti, affetti, desideri, ruoli, funzioni, sono già contenuti nei limiti di opposizioni dicotomiche attualizzate. Invece, il concatenamento "creazione del possibile/ effettuazione" non limita il pensiero e l'azione orientandoli verso delle alternative prestabilite (Q... o; capitalisti/ operai, uomo/ donna, ecc.), ma crea del possibile, aprendo a una nuova distribuzione delle potenzialità che spiazza le opposizioni binarie, esprimendo delle nuove possibilità. · Allora ciò che è possibile è produrre del nuovo, è creare delle nuove possibilità di vita; ciò che è possibile è accogliere, come 9
quando ci si innamora, l'emergere di una disc~ntinuità nella 1:o~~r~ esperienza, e costruire, a partire dalla mutazione della sens1b1hta che l'incontro con l'altro ha creato, una nuova relazione, un nuovo concatenamento. Ci si innamora meno della persona che del mondo possibile che esprime; cogliamo nell'altro le nuove possibilità di vita che l'incontro ha fatto nascere, piuttosto che la sua esistenza attualizzata. Nell'innamorarsi ritroviamo la doppia creazione, la doppia individuazione che il concatenamento creazione del possibile/ effettuazione porta con sé. Effettuare o compiere le possibilità che vediamo esprimersi come potenzialità nell'incontro con l'altro, significa sviluppare ciò che i mondi possibili, le nuove possibilità di vita, implicano. Ci sono degli incontri senza seguito, che non si effettuano, che non si dispiegano in una "nuova vita". Siamo più vicini della politica di quello che si potrebbe pensare. In ogni conflitto, infatti, troviamo questi due concetti del possibile, strettamente intricati: il conflitto come alternativa all'interno delle possibilità date (capitalisti/ operai, uomo/ donna, lavoro/ tempo libero, ecc.) e il conflitto come messa in discussione di questa definizione dei ruoli, delle funzioni, delle percezioni, degli affetti. La messa in discussione non è un'operazione di negazione (come per Hegel e Marx), né di distruzione, ma piuttosto un' operazione a partire dalla quale si può "contestare il fondamento di ciò che è", in modo tale che "ciò che è" sia toccato "da una sorta di sospensione, di neutralizzazione capace di aprirci, al di là di ciò che è dato, un nuovo orizzonte non ancora presente". Il movimento operaio e la tradizione marxista hanno sempre organizzato il conflitto neutralizzando questo secondo concetto di possibile, subordinandolo alla politica come realizzazione di un progetto, illuminato dalla teoria rivoluzionaria e il cui operatore principale è la presa di coscienza1 . Le strategie dei movimenti politici post-socialisti rovesciano questo schema, e senza perdere di vista le al1 "Il comunismo, in realtà, non è qualcosa che deve avvenire, poiché è già ora all'opera come tendenza, iscritta nelle contraddizioni della situazione attuale. Ciò che lo autorizza a parlare dell'avvenire, senza cadere, in principio, nell'arbitrario, è dunque la possibilità di decifrarlo nel presente stesso in divenire: ~a, attraverso la tendenza, la struttura della realizzazione non appare suff1~1entemente combattuta: abbiamo già sempre un'immagine dell'avvenire, grazie allo strumento dialettico; il realizzabile è soltanto elevato al necessario, mentre il virtuale conserva la forma anticipatoria di uno scopo (questa è la maniera con cui l'avvenire continua a anticiparsi nel presente)". F. Zourabichvili, G. Deleuze, Une vie Philosophique, Deleuze et le possible (De l'involontarisme en politique, Les empécheurs de penser en rand, 1998, p. 346).
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ternative attualizzate (capitalisti/ operai, uomo/ donna, ecc.) che sono spesso all'origine del conflitto, subordinano l'azione alla creazione di una biforcazione, di una deviazione, di uno stato instabile che, investendo le opposizioni binarie di una sospensione, di una neutralizzazione, aprono a nuovi possibili. L'azione politica è una doppia creazione che, dicendo "no", accoglie la nuova distribuzione dei possibili e apre alla loro effettuazione nelle "istituzioni", nei concatenamenti collettivi, "corrispondenti alla nuova soggettività, di modo che essa voglia la mutazione" che si è espressa nell'evento. L' effettuazione dei possibili è a sua volta un processo imprevedibile, aperto e rischioso. Come vedremo, il compiere o l'effettuare, implica delle modalità dell'agire e del 'patire' che sono molto differenti dall'azione di un soggetto su un oggetto. Effettuare e compiere non sono attività di trasformazione (della natura e dell'altro), ma di effettuazione di mondi; essi non rinviano alla "produzione", all'esteriorizzazione di un soggetto nell'oggetto, ma ad un processo di doppia creazione, di doppia invenzione, che, implicando il dire e il fare distribuiti dall' evento, spiazza radicalmente la categoria di "lavoro". Riprendiamo il nostro esempio di Seattle alla luce di queste prime considerazioni sul nuovo regime del possibile introdotte da Deleuze. Innanzitutto, mi sembra che le giornate di Seattle abbiano incarnato ciò che Foucault desiderava alla fine della sua vita: "i movimenti politici non devono soltanto resistere e difendersi, ma affermarsi come forze creatrici". Questo giudizio di Foucault costituisce un cambiamento radicale rispetto alla tradizione del movimento operaio, poiché l'evento politico definisce una asimmetria nella dialettica con cui, sulle tracce del marxismo, sono stati definiti il confii tto e la lotta. Il "no" non apre solo ad una dialettica con il potere, ma a un "divenire" che concerne la soggettività. Dire 'no' costituisce, come voleva Foucault, la forma minima di resistenza, il punto da cui partire per aprire un processo di creazione, di trasformazione della società, di partecipazione attiva al processo costituente: questo significa, secondo Foucault, 'resistere'. Nelle giornate ~di Seattle abbiamo, da una parte, un concatenamento corporale, un miscuglio di corpi (con le loro azioni e le loro passioni), composto da singolarità individuali e collettive (molteplicità di individui, di organizzazioni - marxiste, ecologiste, trotskiste i mediattivisti, le streghe, i black blocks, ecc.), che praticano delle relazioni dico-funzionamento corporali specifiche (diverse forme di 11
stare insieme, e di essere militanti - i sindacati non funzionano come le comunità dei mediattivisti o delle streghe). E d'altra parte abbiamo, nello stesso tempo, un regime di espressione costituito da una molteplicità di regimi di enunciazione (gli enunciati dei marxisti non sono gli stessi di quelli dei mediattivisti, degli ecologisti, delle streghe, e così via). I concatenamenti corporali e di espressione sono costruiti in rapporto a relazioni di potere e di desiderio attuali. Sono queste le condizioni storiche a cui l'evento si sottrae, da cui si stacca, per creare qualche cosa di nuovo, per creare del possibile: un nuovo rapporto tra corpi (un nuovo rapporto possibile dell'essere insieme che si esprime in nuove modalità nella presa delle decisioni, nella definizione degli obiettivi, ecc.); e nuove forme di espressione, di cui l'enunciato 'un altro mondo è possibile' è uno dei risultati. Questo ultimo è l'effetto di un miscuglio tra corpi che però non li descrive, non li rappresenta, ma manifesta al contrario un nuovo possibile, una nuova esistenza, la cui efficacia si misura tramite il divenire a cui apre e rende attuale. 'Un altro mondo è possibile' esiste perfettamente, ma non esiste ancora al di fuori di ciò che lo esprime: gli slogan, le immagini girate da decine di telecamere, i giornali, il net, i telefonini che fanno circolare ciò che è successo come un contagio virale sul pianeta intero. L'evento si è effettivamente espresso nelle anime, nel senso che ha prodotto un cambiamento della sensibilità (trasformazione incorporale), creando una nuova valutazione: la distribuzione dei desideri è cambiata. Si vede allora ciò che la nostra vita ha d'intollerabile, e, allo stesso tempo, nuovi orizzonti si aprono (i due sensi della mondializzazione che la lotta fa emergere). Parlando, comunicando, i militanti delle giornate di Seattle hanno già dato una certa realtà al mondo possibile, ma questa realtà adesso bisogna effettuarla, compierla, diffondendo e strutturando nuovi concatenamenti nella società, costruendo delle nuove istituzioni fedeli a ciò che l'evento ha espresso. E l'effettuazione è una nuova invenzione, un nuovo processo imprevedibile e rischioso che si scontra con le effettuazioni dello stesso evento che i dispositivi del potere perseguono. L'evento di Seattle era stato preparato da una miriade di piccole e di grandi invenzioni di nuovi dispositivi di fare e di dire politica, praticate da una molteplicità di soggetti, più o meno anonimi, in mutazione. I militanti di "Direct Action Network" (DAN) sono riusciti a coinvolgere i sindacalisti dell' AFLCIO, diversi gruppi ecologisti, le delegazioni terzomondiste, i black blocks, ecc.
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Il DAN, nato dai movimenti antinucleari, aveva fatto un bilancio delle lotte degli anni '70, abbandonando il discorso normativo del marxismo. I mediattivisti rivendicando l'eredità del "free speech" del movimento di Berkeley, hanno partecipato attivamente alla cultura cyber sviluppatasi intorno al Net, inventando delle forme inedite d'azione politica attraverso l'integrazione di diversi media. Anche la AFL-CIO, con la nuova direzione, aveva sperimentato forme di lotta inedite (come ad esempio lo sciopero dell'UPS agenzia planetaria di distribuzione). Contemporaneamente i terzo-mondisti stavano terminando la loro trasformazione cominciata con l' organizzazione delle reti di solidarietà ai Zapatisti. Ma è solo l'evento che, 'trasfigurando' le esperienze che lo avevano preparato, le fa assurgere ad una nuova evidenza. È solo l' evento che crea la possibilità di un nuovo "oggetto" (il mondo come spazio dell'azione politica, un nuovo rapporto tra globale e locale) e di un nuovo "soggetto" (che non è già più la classe operaia, ma non è ancora che una molteplicità possibile). Tutti erano arrivati a Seattle con le loro macchine corporali e le loro macchine di espressione, e tornano a casa con la necessità di ridefinirle in rapporto all'evento, in rapporto a ciò che è stato fatto e a ciò che è stato detto. Le forme di organizzazione politica (il co-funzionamento dei corpi), e le forme di enunciazione (le teorie e gli enunciati sul capitalismo, i soggetti politici, le forme di sfruttamento, ecc.), devono adesso essere misurate e rapportate all'evento. Gli stessi trotskisti sono costretti a porsi il problema ("Cosa è accaduto? Cosa sta accadendo? Cosa accadrà?"), e mettere in relazione ciò che fanno (I' organizzazione) e ciò che dicono (il discorso sul capitalismo) con l'evento. Ed è qui che l'evento mostra la sua natura 'problematica'. Tutti sono obbligati ad aprirsi all'evento, cioè alla sfera delle domande e delle risposte. Quelli che hanno le risposte già pronte, e sono molti, mancano l'evento. È il dramma politico che abbiamo vissuto dopo il '68. Mancare l'evento vuol dire dare delle vecchie risposte (maoismo, trotskismo, leninismo) a nuovi problemi. Ma l'evento insiste, continua ad agire, a produrre i suoi effetti. Le discussioni su che cos'è il capitalismo, e sui soggetti rivoluzionari, sulle pratiche militanti oggi, alla luce dell'evento, continuano ad attraversare il mondo. Le teorie della differenza, o dell'evento, definiscono e distribuiscono in maniera diversa la relazione soggetto-oggetto, sensibile-intellegibile, natura-spirito, al punto da renderla irriconoscibile per le
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teorie del soggetto. Abbiamo, in effetti, al posto dei dualismi classici, due formalizzazioni non parallele: una formalizzazione di espressione, di enunciato o di segni e una formalizzazione di contenuto, o di oggetti; un concatenamento semantico di espressione, e un concatenamento macchinico, o corporale, di effettuazione. Il concatenamento di espressione, il polo 'viso-linguaggio', o la 'lezione dei segni', non è riducibile al soggetto, né alle parole o ai significati, ma rinvia a un insieme di enunciati e a differenti regimi di segni. Il concatenamento di enunciazione è una macchina di espressione che eccede il soggetto. Il concatenamento macchinico, il polo 'mano-utensile', o la 'lezione delle cose', non rinvia a un oggetto o a una produzione di beni, come in Marx, ma a "un miscuglio preciso dei corpi in una società, e comprende le attrazioni e le repulsioni, le simpatie e le antipatie, le alterazioni, le alleanze e le espansioni, le affezioni dei corpi di ogni genere (dando alla parola corpo la più grande estensione), gli uni in rapporto agli altri" (Deleuze, Guattari, 1980). Il concatenamento corporale è una macchina sociale che eccede l'oggetto. I due concatenamenti sono delle molteplicità, che comportano molti termini eterogenei e non possono essere attribuiti né ad un soggetto, né ad un oggetto e non possono quindi dipendere da questi. C'è, al contrario, un primato dei concatenamenti collettivi di enunciazione sul soggetto, e della macchina sociale sull'oggetto. Il concatenamento corporale e quello espressivo non si rapportano tra loro secondo la relazione struttura-sovrastruttura, poiché gli enunciati (segni) sono degli elementi o dei meccanismi del concatenamento, allo stesso titolo dei corpi (oggetti). L'unità, e il rapporto tra questi due concatenamenti, è dato dall'evento, che si esprime nei concatenamenti di enunciazione, e si effettua nei concatenamenti corporali. L'evento crea un mondo possibile che si esprime nei concatenamenti di enunciazione (nei segni, nell'espressione di un viso, in un enunciato). Qui, il possibile non è una categoria astratta che designa qualche cosa che non esiste; il possibile esiste perfettamente, ma esiste soltanto nel linguaggio, nei segni, nei gesti che lo esprimono. Si può già dare una certa realtà al possibile, parlandolo, perché il linguaggio è la realtà del possibile in quanto tale. Questo mondo possibile agisce già a livello dell'anima, a livello della soggettività, come trasformazione incorporale, modificando la sua maniera di sentire, le sue modalità di percepire il mondo. Dunque l'evento ha due dimensioni, una spirituale e un'altra materiale, ma non è né materia, né spirito, né soggetto, né oggetto. Contiene in
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sé le due dimensioni, nella stessa maniera in cui è la contemporaneità dei tempi (passato, presente e futuro). L'evento insiste negli enunciati e si dice e non si dice che dei corpi, ma non è contenuto negli enunciati e non si effettua mai completamente nei corpi (eternità dell'evento). È l'evento che distribuisce, ogni volta, il soggetto e l'oggetto, il materiale e lo spirituale. Il mondo include il virtuale, le trasformazioni incorporali, i possibili, che sono la fonte della creatività. Il limite del marxismo, che rappresenta, dal mio punto di vista, la realizzazione della teoria del soggetto-lavoro, è di ridurre il concatenamento corporale alla 'produzione' (fondamentalmente la divisione del lavoro) e di rinviare l'espressione, le trasformazioni incorporali, gli eventi, all'ideologia. Il marxismo è costretto a ricorrere a un "miracolo dialettico costante" per trasformare la materia in senso, il contenuto in espressione, il processo sociale in sistema significante. Durante tutto il ventesimo secolo questo miracolo si è chiamato partito. Il rinvio dell'espressione all'ideologia non soltanto rende praticamente impossibile l'integrazione del linguaggio, del regime dei segni, degli enunciati, nel processo di costituzione, ma riduce la creazione, l'evento, la differenza, alla contraddizione, al lavoro del 'negativo'. La teoria del soggetto-lavoro, e in maniera specifica la prassi, definiscono sempre l'attività come un fare, mentre la filosofia della differenza concatena sempre ciò che si dice e ciò che si fa, sulla base dell'evento, del virtuale, che non è né un fare, né un dire.
N eo-monadologia/nomadologie "Ciò che Leibniz non vuole è l'idea di un solo mondo". Gilles Deleuze
In che modo Gabriel Tarde utilizza la monadologia di Leibniz? Tarde è il primo ad aver concepito "il potere costituente del socius" (Alliez, 1999) sulla base della dinamica della creazione dei possibili e della loro propagazione-effettuazione. Né la produziqne della ricchezza, né la produzione del sociale possono essere concepite senza l'apertura differenziante nelle anime e senza la loro incarnazione nei corpi. Tarde chiamerà le modalità generali d'azione del processo costitutivo 'differenza' e 'ripetizione', mentre definirà le modalità d'azione specifiche del "socius", come concatenamento dell"invenzione' e dell"imitazione'. 15
Questo approccio al processo costitutivo è una critica esplicita alle teorie del soggetto, e in modo particolare alla teoria del 'lavoro dello spirito' di Hegel. Tarde ha letto contemporaneamente, nel mezzo degli anni '60 dell'800, Hegel e Leibniz. A differenza di Marx, che eredita il concetto filosofico di praxis dall'idealismo di Hegel, Tarde è profondamente deluso del modo in cui quest'ultimo ha concepito il processo di costituzione del sé e del mondo. Partendo da Tarde, svilupperò la lettura del processo costituente del "socius", secondo un punto di vista particolare: la doppia critica dell'individualismo e dell'olismo e il nuovo concetto di cooperazione che ne risulta. Quest'ultimo si distingue radicalmente dallo stesso concetto all'opera in Adam Smith e Karl Marx: cooperazione delle monadi (il soggetto nel linguaggio di Leibniz) secondo le modalità della creazione e dell'effettuazione di mondi possibili versus cooperazione come "divisione del lavoro", secondo le modalità della "produzione" o della praxis. Questa critica è ancora attuale perché dobbiamo confrontarci non soltanto con la crisi del concetto di classe, cioè con il modo in cui il pensiero socialista ha pensato il collettivo e la cooperazione ma anche con la crisi del concetto di individuo delle teorie liberali. In queste ultime, gli individui sono presupposti come già costituiti, liberi e autonomi, mentre le teorie socialiste concepiscono il collettivo come un essere che ha un'esistenza autonoma dalle singolarità che lo hanno prodotto (il feticismo della merce in Marx). Noi, invece, ci troviamo davanti ad una situazione inedita: le individualità e i collettivi si costituiscono, si inventano insieme tramite un processo aperto, imprevedibile, rischioso, che non ha l'individuo come punto di partenza e nel quale il collettivo non assurge mai a entità indipendente dalle singolarità che lo compongono. A partire dalla critica dell'individualismo e dell'olismo, dalla critica del concetto di cooperazione e dall'affermazione della creazione del possibile potremo porci il problema di pensare il politico come sperimentazione, come messa alla prova, come spazio dell'invenzione delle domande e delle risposte. Tarde utilizza la filosofia di Leibniz per criticare l'"abisso" che separa, a partire da Descartes, l'oggetto dal soggetto, la natura dalla società, il sensibile dall'intelligibile, l'anima dal corpo. Scopre nelle monadi (la dimensione soggettiva) una molteplicità di relazioni che non dipendono né dal soggetto, né dall'oggetto, ma che, al contrario, li costituiscono, li generano, li fanno emergere.
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Le monadi tardiane hanno due caratteristiche principali. Permettono di pensare il rapporto fra singolarità e molteplicità come alternativa all'opposizione dell'individualismo e dell'olismo e permettono di concepire l'attività non come un fare, un produrre, ma come effettuazione di mondi secondo le modalità dell'evento. La monade è nello stesso tempo singolarità e molteplicità. È molteplicità perché contiene tutte le relazioni che costituiscono il mondo nel quale è inclusa. È una singolarità, perché non esprime chiaramente che una parte di questo insieme di relazioni, di questo mondo (il resto costituisce il fondo oscuro, ma attivo, del suo processo di individuazione). Per dirlo con il linguaggio della sociologia, il sociale è incluso, virtualmente, nell'individuo, ma è espresso da un punto di vista particolare (la singolarità). La monade è già dunque, per Tarde, uno spazio pubblico in sé. Il modo di esistenza delle monadi è la singolarità. Le monadi sono delle singolarità irriducibili, dei nomi propri (Adamo, Cesare, io, voi), delle sostanze individuali. Vi sono tante sostanze individuali, irriducibilmente differenti, quante sono le monadi. Solo con Tarde possiamo definire, attraverso il concetto di monade, la 'soggettività qualunque' che Marx evoca. Quest'ultimo, in effetti, la limita, piegandola, come l'economia politica, sul soggetto economico (operaio) e sul lavoro. L'attività della monade non rinvia a un produrre, ma a una creazione, alla capacità di cominciare qualcosa di nuovo e alla sua effettuazione o al prolungamento di questo nuovo inizio che apre, a sua volta, ad una catena di azioni imprevedibili. L'agire della monade riguarda in primo luogo il sentire. Agire è sentire insieme (secondo delle modalità di affezione unilaterale o reciproca). Creare e effettuare dei mondi significa dapprima agire sulle credenze e sui desideri, sulle volontà e sulle intelligenze delle altre monadi. Nella creazione e nell'effettuazione dei mondi, la distinzione gerarchica tra fare e dire, tra produzione materiale e ideologia, tra soggetto e oggetto, tra cosa e segno, è inoperante. Il mondo è una molteplicità di rapporti, di relazioni che non dipendono da un'essenza (lavoro), ma dalla creazione del possibile. Le relazioni presuppongono l'evento che, çome abbiamo visto agisce trasformando, in primo luogo, il sentire, cioè i desideri, le credenze, gli affetti delle monadi. La forza di agire della monade è una potenza che ha una causalità e una modalità di azione specifica: l'azione a distanza, di uno spirito su un altro spirito. Le modalità d'azione della monade non
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possono essere descritte se non a partire dal rapporto tra il virtu~le e l'attuale. La monade contiene in se stessa un elemento genetico ideale, una forza interna di creazione, che è la fonte delle sue modificazioni, creazione delle proprie maniere di essere, dei suoi mondi. Ogni monade è, in effetti, una molteplicità virtuale, e costituisce quindi una unità speciale. Sarebbe vn pò, dice Tarde, come "mettere le idee di Platone negli atomi di Epicuro"; dunque ogni monade, non è solo un mondo attuale, ma è anche un mondo possibile, un mondo virtuale. Nella neo-monadologia tardiana, il virtuale esprime l'inclusione dello spirito nel mondo, in maniera radicalmente diversa da come l'aveva pensato l'idealismo hegeliano (e a partire da Hegel, Marx). Lo spirito (il virtuale) è immanente al mondo, pur distinguendosi realmente dall'attuale. Il virtuale è la parte incorporale della nostra attualità. Dunque, per Tarde, il reale non è intelligibile che come un caso del possibile. Per spiegare l'esistenza delle "possibilità reali", bisogna formulare l'ipotesi di qualche cosa concepita come la "possibilità di altre possibilità, puramente virtuali". Prendendo a prestito il linguaggio di Simondon, si potrebbe dire che il virtuale determina un "equilibrio metastabile", un differenziale di potenziale che impedisce all'essere di essere uguale a se stesso. E, ancora con Simondon, si potrebbe parlare di relazioni transindividuali, poiché il fondo oscuro della monade è l'insieme delle relazioni che precedono e sono all'origine dell'individuazione. Ma per Tarde, a differenza di Simondon, questo differenziale rinvia sempre alla forza affettiva, al sentire. La monade è singolarità, differenza, e la differenza è, come in Nietzsche 'sentire', 'pathos'. In Tarde, l'espressione e la costituzione del sentire, invece di dipendere dal modo di produzione, precedono o sono profondamente implicate nel funzionamento dell'economia. Le monadi sono degli elementi infinitesimali, tutti dotati di volontà, di credenze e di modi di sentire che agiscono non solo come forze di espressione (Leibniz), ma anche di costituzione. Espressione = costituzione.
Dalla chiusura all'avere, alla cattura Abbiamo visto, molto rapidamente, qualche concetto che Tarde prende a prestito alla filosofia di Leibniz. Ma la sua neo-monadologia si distingue radicalmente dalla monadologia leibniziana nella maniera di descrivere il processo di costituzione del mondo e I
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quindi, nella descrizione dell'essere insieme, della cooperazione e della coordinazione della molteplicità delle singolarità. La neo-monadologia si distingue anche dall'economia politica e dal marxismo, perché la cooperazione delle soggettività qualsiasi precede la cooperazione degli operai e dei capitalisti. La creazione e l'effettuazione dei mondi precede ed eccede la divisione del lavoro: è con questa precauzione che bisogna leggere le linee che seguono, poiché partendo da questo concetto di cooperazione si può pensare, con Tarde, un'economia degli affetti e del sensibile: una "psicologia economica". Nella filosofia di Leibniz, le monadi sono sottomesse ad una doppia condizione: di chiusura e di selezione. Nella monadologia ogni fenomeno non è che una nebulosa risolubile in azioni che emanano da una moltitudine infinita di agenti. Le monadi non hanno né porte, né finestre, e non comunicano direttamente tra di loro. Questo politeismo implica un accordo universale della molteplicità di esseri tutti indipendenti e autonomi, tutti irriducibilmente singolari e chiusi su se stessi. Nella monadologia di Leibniz, l'accordo, la comunicazione, sono garantiti da Dio; il mondo, la sua oggettività e la sua realtà, si confondono strettamente col rapporto che le monadi intrattengono tra di loro, poiché il mondo non esiste al di fuori delle monadi che lo esprimono. Le monadi sono per il mondo, e il mondo è incluso in ogni monade, in modo che ognuna ne esprime solo una parte. Dio programma, come si dice di un programmatore informatico, nello stesso tempo la monade e il mondo, scegliendo tra una infinità di mondi possibili. Come i materialisti sono obbligati ad immaginare delle leggi universali per spiegare la combinazione degli atomi, una "sorta di comando mistico a cui tutti gli esseri obbedirebbero, senza che emani da alcuno di essi", così Leibniz è costretto a presupporre delle armonie prestabilite, per rendere conto dell'accordo tra monadi. Nella neo-monadologia, questa corrispondenza, questo accordo tra il mondo e le monadi, non è più garantito dalla provvidenza divina. Diversamente dalle monadi di Leibniz, le monadi tardiane non sono "una camera oscura dove il mondo si dipinge sotto un' angolazione speciale e in riduzione" (Tarde, 1999), ma un universo in sé (un mondo), o, qualcosa che, aspirando a diventarlo, produce la propria temporalità e il proprio spazio, invece di esistere in un tempo e in uno spazio universali. Le monadi sono aperte, hanno delle porte e delle finestre, e agiscono le une sulle altre.
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Le monadi "si interpenetrano reciprocamente, invece di essere esteriori le une alle altre" (Tarde, 1999a). Non si potrebbe neanche più parlare di monadi, poiché se niente viene a limitarle, se non altre monadi, esse "diventano una sfera di azione che si espande all'infinito[ ... ] e tutte queste sfere qui si interpenetrano sono tanti domini propri a ciascun elemento". Laddove il materialismo non còglie che una successione di punti (atomi), Tarde concepisce delle sfere d'azione che si compenetrano, cioè dei flussi, delle correnti di desiderio e di credenze. Come il "flusso di coscienza" di William James, le vibrazioni di Whitehead, o le agitazioni (ébranlements) pure di Bergson, le "correnti" di Tarde sono degli eventi o delle relazioni (ciò che esiste tra le monadi). E, esattamente come negli autori citati, i flussi di coscienza non sono attribuiti e non dipendono da un soggetto. Nella filosofia dell'evento, ogni monade è dunque un universo virtuale, un mondo possibile, e i mondi possibili comunicano tra di loro. In questo modo passiamo dall'armonia divina prestabilita alla composizione polifonica (secondo un'altra metafora musicale adottata da Bachtin), passiamo cioè a un processo di costituzione immanente. Rielaborando il concetto leibniziano di monade, Tarde sviluppa una filosofia in cui l'avere, l'appropriazione e il possesso sono concepiti come proprietà costitutive delle singolarità (concetti che ritroviamo sia in Whitehead che in Deleuze). La differenza, l'eterogeneità delle monadi dipende dalla diversità che si esprime nella potenza di appropriazione, di altre monadi. Ogni monade, per quanto sia infinitesimale, è animata dalla potenza dell'avere, ed è questa forza di appropriazione che definisce l' azione di una forza su un'altra forza. "Che cos'è la società?" si domanda Tarde, che cos'è l'essere insieme di queste differenze irriducibili? La società, l'essere insieme, è il 'possesso' reciproco, in forme estremamente varie, di ognuno da parte di ciascun altro. La società si definisce attraverso il modo in cui "essa possiede i suoi concittadini, ed è, a sua volta, posseduta da questi ultimi". Attraverso la persuasione, attraverso l'amore, attraverso l'odio, attraverso la comunità delle credenze e dei desideri attraverso la produzione delle ricchezze, gli "elementi sociali si ten~ gono e si tirano in mille maniere differenti". "Mentre - dice Tarde - si sono sempre catalogati i diversi gradi dell"'essere", non si è mai pensato di classificare i diversi gradi del possesso". La filosofia ha imposto il verbo 'essere' come vera e pro20
pria pietra filosofale, perché ha una concezione sostanzialista del1' essere. Ma se il mondo è relazione, evento, possibilità, allora solo l'appropriazione e il possesso (il verbo 'avere') possono spiegare la sua costituzione. · La sociologia di Tarde non separa mai le competenze, i saperi o le pratiche, dalla doppia natura, guerriera o simpatetica, delle monadi. Sia nel caso in cui le forze (monadi) si oppongono sia nel caso in cui si adattano tra loro, è sempre la volontà di appropriazione, unilaterale o reciproca, che spiega la loro dinamica. Così, in ogni interazione, in ogni interpretazione, in ogni situazione, le monadi esprimono delle azioni di assoggettamento di altre monadi. In ogni interazione, comunicativa o pratica, che concerni la dimensione molare o molecolare, le monadi sono delle forze che guidano, o che sono guidate, da altre monadi. Le relazioni sociali sono innanzitutto definite da strategie che consistono nel dirigere i comportamenti degli altri. "In definitiva, ciò che bisogna considerare è la direzione del comportamento, sia individuale sia collettivo (Tarde, 2003 )". L'appropriazione è anche qui, come nell'individualismo possessivo e nel marxismo, la relazione costitutiva. Ma in Tarde l'appropriazione non riguarda i proprietari o i soggetti implicati nella relazione capitale-lavoro, ma la soggettività qualunque. La distinzione tra cattura unilaterale e reciproca, tra possesso unilaterale e potenza di possedersi reciprocamente, definiranno i gradi di libertà e di subordinazione con le quali le monadi agiscono.
La selezione dei mondi possibili In Leibniz la provvidenza divina opera la costituzione del mondo, attraverso una selezione. Nell'intelletto di Dio ci sono una infinità di mondi possibili, già idealmente determinati, e tra questa infinità ne fa passare all'esistenza soltanto uno, il migliore. Gli altri mondi, che pur esistono nell'intelletto divino, non sono impossibili, ma 'incompossibili' con il mondo attualizzato. Secondo Leibniz, il mondo dove Adamo ha peccato (il nostro mondo) è 'incompossibile' con il mondo dove Adamo non ha peccato (che configura un mondo assolutamente diverso), ma non impossibile. 'Adamo peccatore e Adamo non peccatore' sono contraddittori soltanto se si includono nello stesso mondo. Ma se, come vuole Leibniz, i mondi sono infiniti, allora' Adamo peccatore -Adamo non peccatore' esistono in mondi differenti, che sono incompossibili l'uno col l'altro.
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La situazione che Tarde descrive è assolutamente differente, e rinvia alla nostra attualità. Quello che era escluso dalla filosofia di Leibniz si realizza. L'infinità di mondi incompossibili possono passare all'esistenza nello stesso tempo. I mondi divergenti, i mondi che biforcano, non sono più soltanto nell'intelletto di Dio. E Deleuze fa notare che sarebbe globalmente possibile, poiché l'incompossibilità è una relazione òriginaria e distinta dall'impossibilità o dalla contraddizione. La filosofia di Tarde è radicalmente differente dalla filosofia del soggetto. Per quest'ultima non c'è che un mondo possibile, costruito dal soggetto. Le filosofie del soggetto (o del lavoro) sono delle teorie dell'identità, poiché implicano un solo mondo possibile. Le scienze sociali costruite su questo modello non potranno che essere delle teorie dell'equilibrio o della contraddizione che, in modo differente, ma complementare, rinviano all'identità. La neo-monadologia, invece, ci descrive un mondo bizzarro, popolato da una molteplicità di singolarità ma anche da una molteplicità di mondi possibili. La nostra attualità è caratterizzata da differenti mondi che vogliono compiersi nello stesso tempo, e ciò implica, come vedremo, un'altra idea di politica, di economia, di vita e di conflitto. Per la filosofia dell'evento, la definizione di post-moderno non significa gran che. In effetti la periodizzazione, che fa cominciare l'attualizzazione della molteplicità di mondi possibili a partire dalla seconda metà del XX secolo, dovrebbe essere completamente rivista. Ma torniamo alle monadi, e alle opportunità e all'imbarazzo in cui le ha lasciate la morte di Dio. Le monadi si trovano in una situazione doppiamente imbarazzante, perché sono, nello stesso tempo, libere e impotenti. Dopo la morte di Dio, infatti, non possono agire senza la collaborazione di un grande numero di altre monadi. "Lasciata a se stessa, una monade non può niente" - dice Tarde - "è questo il fatto fondamentale, e serve a spiegarne immediatamente un altro, la tendenza delle monadi a mettersi assieme" (Tarde, 1999a), a coordinarsi, a organizzarsi. La forza di una monade deve comporsi con altre monadi per aumentare la sua potenza attraverso dei rapporti di appropriazione, di cattura. Ma la monade è imbarazzata anche perché, senza Dio e le sue armonie, si trova a cavallo di un'infinità di mondi possibili e può partecipare a differenti mondi contemporaneamente. Questa doppia impotenza, 'essere lasciata a se stessa' e 'essere a cavallo di differenti mondi', è ciò che la monade tardiana ha ereditato dal Dio leibniziano. In realtà non si tratta di un handicap, ma di
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una doppia opportunità. La potenza di selezione, cioè la possibilità di ordinare le serie di monadi, di armonizzare le loro relazioni, e la possibilità di creare una infinità di mondi, non è più solo un attributo di Dio, ma anche della monade. La provvidenza (la potenza di concatenamento, di coordinazione o di convergenza) è immanente, adesso, alla monade. Costituisce la sua singolarità. "Il principio e l'origine di ogni combinazione sociale non risiedono più in qualche fatto generale" (Tarde, 1999b ), come il mercato, la legge del valore, lo Stato, la dialettica; ma nell' azione costitutiva e immanente di ogni monade. Per quanto piccola essa sia, ogni forza possiede un principio di coordinazione, di modo che non è necessario presupporre, come nella monadologia di Leibniz, la provvidenza divina per spiegare l'armonia del reale, perché "ogni organismo, e in ogni organismo ogni cellula, ed in ogni cellula, forse, ogni elemento cellulare, ha la sua piccola provvidenza" (Tarde, 1999b ). Adesso abbiamo tutti gli elementi per descrivere il processo di costituzione, per pensare l'essere insieme delle singolarità, delle differenze irriducibili.
I "tutti distributivi" e i "tutti collettivi" Per Tarde, il funzionamento della società è assimilabile al funzionamento del cervello, di un cervello sociale. La gerarchia delle funzioni corporali e delle funzioni intellettuali (del lavoro immateriale e del lavoro riproduttivo, del cognitariato e del lavoro materiale, per dirlo con delle categorie contemporanee), non spiega la dinamica delle società moderne, perché è nel loro insieme che diventano "un grande cervello collettivo di cui i piccoli cervelli individuali sono le cellule" (Tarde, 1999b). L'uguaglianza e l'uniformità degli elementi che costituiscono il cervello, la loro relativa indifferenza funzionale, rimandano all' omogeneizzazione degli individui nelle società contemporanee. Le società, mano a mano che si civilizzano, dice Tarde, si disorganizzano perché perdono sia la loro solidarietà "meccanica", sia la loro solidarietà "organica". Le codificazioni religiose, morali e politiche si sgretolano é gli individui perdono le vecchie differenze, ma acquistano la possibilità di crearne di più profonde, di più sottili di quelle distrutte dai processi di omogeneizzazione. L'uguaglianza e l'uniformità degli individui è in effetti l'altra faccia di una loro differenziazione, mobilità e plasticità che è condi-
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zione di una singolarizzazione più ricca e più varia degli eventi che affettano il cervello sociale e dei pensieri e delle azioni che produce. Allora non è né a un organismo, né a "un organo eccezionale" (il cervello) che conviene paragonare la società, ma a una sorta di "meccanismo psicologico superiore" (Tarde, 1999b). Dunque nel mondo sociale, Tarde pensa la coordinazione delle singolarità (monadi) come cooperàzione tra cervelli, come cervello o come un meccanismo psicologico superiore, costituito da una molteplicità di singolarità che agiscono le une sulle altre attraverso l'azione a distanza dei desideri e delle credenze. Le modalità di azione della cooperazione tra cervelli non sono le stesse che troviamo nella "cooperazione produttiva" della fabbrica. Rinviano piuttosto alla potenza di congiunzione e alla potenza di disgiunzione, alla forza di decomposizione e di composizione delle relazioni affettive (flussi d~ desideri e di credenze sub-rappresentative) che circolano tra cervelli. Questi ultimi funzionano come delle interfacce o dei relais, in una rete di forze cerebrali o psichiche, facendo passare le correnti (imitazione), o facendole biforcare (invenzione). Ma i flussi di desiderio e di credenza eccedono i cervelli. Questi ultimi non sono all'origine dei flussi, ma dipendono invece dalla circolazione, dalla congiunzione e dalla disgiunzione delle "correnti" molecolari, sub-rappresentative. Nella sociologia di Tarde, i termini 'collettivo' e 'società' non rimandano alla totalizzazione dei cervelli che li costituiscono, ma al suo contrario: l'impossibilità di far fondere, astrarre, e sussumere le singolarità e le molteplicità dei cervelli, in un essere reale che li supererebbe. La società costituisce sì un tutto, ma particolare, dove il rapporto con le sue parti è specifico. Questa specificità è cancellata dai sociologi e dagli economisti, che pensano alla realtà della società come a qualcosa che possa essere considerato separatamente dagli individui che la compongono. Ma, si chiede, Tarde: come si è costituito l"' edificio prodigioso di una religione, di una lingua, di una tradizione"? E in che modo queste differenti costruzioni sociali si riproducono quotidianamente? . Il tutto, egli afferma, è prodotto attraverso il concorso di una molteplicità di singolarità, che agiscono le une sulle altre, e che, progressivamente, propagano la loro azione, qualche volta lentamente, altre volte con la velocità di diffusione di un contagio virale, attraverso le reti di azione a distanza che le monadi costituiscono. Il tutto si riproduce nel medesimo modo: basta che le monadi sottraggano i loro desideri e le loro credenze alla sua riproduzione, perché la 24
società o un'istituzione si sfaldino. Ancora una volta, il tutto non è una realtà indipendente dalle singolarità che lo costituiscono, come ogni crisi sociale e politica ci mostra immediatamente. Cerchiamo di vedere più da vicino come Tarde fa funzionare questo processo di costituzione ispirato alla teoria di Leibniz, nel mondo sociale e nella formazione del valore (sociale o economico). La costituzione del valore non si spiega come nell'economia politica o in Marx attraverso il lavoro o l'utilità e la loro circolazione nel mercato, ma tramite il concatenamento dell'invenzione e dell'imitazione (ripetizione), la creazione del possibile e la sua effettuazione (propagazione tra le monadi). Le invenzioni (sia le più piccole, infinitesimali, che le più grandi) sono degli eventi, delle singolarità, che in sé non hanno alcun valore, ma, creando dei nuovi possibili, sono la condizione di ogni valore. L'invenzione è una disgiunzione e una congiunzione tra flussi di credenze e di desideri che si concatenano in un modo nuovo. L'invenzione è una forza costitutiva, perché combinando, concatenando, fa incontrare delle forze che esprimeranno una nuova composizione, una nuova potenza, e fa emergere, rendendole attuali, delle forze che erano soltanto virtuali. L'invenzione è sempre una co-creazione, che implica una molteplicità di relazioni e una molteplicità di monadi e la co-creaziorie è una cattura unilaterale o reciproca tra monadi: cattura dei cervelli, dei desideri e delle credenze che circolano nelle reti. L'invenzione nasce dalla "collaborazione naturale o accidentale" di molte coscienze in movimento, è cioè l'opera, secondo Tarde, di una "multi-coscienza". Tutto funziona, all'inizio, tramite la multi-coscienza, e soltanto in seguito l'invenzione può manifestarsi attraverso una "uni-coscienza". L'invenzione del telefono, per esempio, è, all'origine, una molteplicità disparata di invenzioni più o meno piccole, a cui hanno contribuito una molteplicità di inventori, più o meno anonimi. Poi, "arriva spesso un momento dove tutto questo lavoro comincia e finisce in uno stesso spirito, dove l'invenzione perfetta, nasce, un giorno, ex abrupto" (Tarde, 1999b ). L'invenzione è sempre un incontro, una ibridazione, una collaborazione tra una molteplicità di flussi imitativi (idee, abitudini, comportamenti, pércezioni, sensazioni), anche quando si sviluppa in un cervello individuale. Bisogna dunque distinguere l'atto di creazione di una singolarità, di una differenza, di un possibile, dall'atto della sua effettua-
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zione (diffusione e propagazione tramite l'imitazione), che fa di questa differenza, di questo possibile, una quantità sociale. Se la creazione delle molte coscienze in movimento costituisce la dimensione spirituale dell'evento, l'effettuazione dell'invenzione tramite la propagazione esprime la sua dimensione corporale, il suo compiersi in concatenamenti spazio-temporali concreti. Ogni nuovo inizio, ogni nuova'invenzione, ricade in un tessuto di relazioni già costituite. L'integrazione di questo nuovo inizio alle reti di relazioni della cooperazione è, a sua volta, l'apertura di altri processi di creazione, di altri eventi imprevedibili (a questo proposito Deleuze definisce la propagazione come "evento-propagazione"). La formazione del valore dipende dunque dall'invenzione e dalla diffusione, dall'attualizzazione di una virtualità e dalla sua effettuazione sociale. Le due dimensioni del processo costitutivo del1' evento, quella spirituale - (invenzione) e quella materiale - (effettuazione), si rilanciano l'una con l'altra. Se la ripetizione è subordinata alla variazione, ne è anche una delle condizioni. L'imitazione è il canovaccio da cui sorge una nuova invenzione. I due momenti del processo costitutivo del valore sono imprevedibili e rischiosi, perché, come dice Tarde, non si può comandare né l'invenzione, né la sua diffusione (o effettuazione sociale). Dunque il processo costitutivo è differenza e ripetizione, è metamorfosi, divenire. Costituzione= divenire. In questo quadro teorico, in cui la creazione è concepita come incontro, evento, interferenza, ibridazione, bisogna sottolineare che l'invenzione implica una dimensione supplementare all'azione collettiva o sociale. Se l'invenzione è sempre una collaborazione, una cooperazione, un co-funzionamento, è anche, nello stesso tempo, un'azione che sospende, nell'individuo e nella società, ciò che esiste di costituito, di individuato, di abitudinario. L'invenzione è un processo di creazione della differenza che mette in gioco, ogni volta, l'essere e la sua individuazione. Ogni invenzione è rottura delle norme, delle regole, delle abitudini che definiscono l'individuo e la società. L'invenzione è un atto che mette colui che lo attualizza fuori dal tempo storico e lo fa entrare nella temporalità dell'evento. La creazione richiede lo staccarsi parziale dell'individuo dalla società, la "rottura momentanea del tessuto delle illusioni sociali, del velo delle influenze intermentali". L'invenzione si produce in una dimensione a-storica, come direbbe Nietzsche, sottraendosi, momentaneamente, alle catene dell'imitazione, e mettendo l'inventore di fronte al "fuori universale". 26
L'invenzione è dunque un doppio processo di desoggettivazione che apre a una nuova produzione di soggettività: delle singolarità che creano qualche cosa di nuovo, ma anche delle monadi che accolgono la creazione e la prolungano. Bisogna anche sottolineare che l'azione dell'inventare, a differenza del lavoro, è infinita. Può effettuarsi nei corpi, compiersi in istituzioni e dispositivi spazio-temporali, ma la sua effettuazione non l'esaurisce mai completamente. Insiste per l'eternità, perché può sempre entrare in altre combinazioni, in altri concatenamenti adesso e per sempre. Se questa azione è infinita nel tempo, lo è anche nello spazio. Si diffonde il più lontano possibile, seguendo la distribuzione delle soggettività qualsiasi. Questa azione, a differenza del lavoro, è immediatamente pubblica, poiché si fa davanti agli occhi, agli affetti e alle intelligenze di tutti. Pubblicità che apre all'incontro dei possibili (evento) e non al riconoscimento intersoggettivo. Analizziamo più da vicino l'effettuazione dell'invenzione, cioè la messa in comune della differenza, perché è qui che la critica del concetto di collettivo si dispiega. Come si costruisce la dimensione materiale o corporale dell' evento? Come descrivere il processo costitutivo del socius, la coordinazione delle singolarità irriducibili al tutto? L'effettuazione sociale dei possibili creati dall'invenzione, si fa progressivamente, attraverso la cattura e l'appropriazione delle altre monadi, degli altri cervelli. Effettuare un'invenzione, compiere un possibile creato, vuol dire prolungare la singolarità nei pressi di un'altra singolarità, mettere insieme, tracciare una linea di forza tra le monadi, renderle momentaneamente somiglianti, farle cooperare, per un momento, in vista di uno scopo comune, senza pertanto negare la loro individualità, senza totalizzarle. Non si passa dall'invenzione alla sua costituzione in valore, dal micro al macro, dal locale al globale tramite astrazione o totalizzazione, ma attraverso la capacità çli tenere insieme, di concatenare, gradualmente (ma questo 'gradualmente' può esprimersi tramite velocità diverse) dei networks e dei pacthworks, per utilizzare il linguaggio di William James, o ancora dei flussi di credenze e di desideri e degli aggregati per utilizzare il vocabolario di Tarde. La maniera più facile di capire questo processo di costituzione è quella di pensare al Net. Il Net, infatti, è un tessuto di flussi e di reti. Di flussi e di reti attuali, di flussi e di reti virtuali. L'attualizzazione di una rete dipende dalla potenza di concatenamento, di connessio27
ne. Navigare significa operare continuamente delle congiunzioni e delle disgiunzioni di flussi. Navigando si entra in una rete e se ne cambia immediatamente la configurazione. Entrando in una rete, noi entriamo in un rapporto di possesso, in un rapporto di co-produzione, di cooperazione simpatetica o di opposizione con altre monadi. Il Net, da questo punto di vista, è una cattura di catture, è una macchina di cattura per gli altri cervelli. Per spiegare queste dinamiche dal punto di vista concettuale, possiamo riferirci a due altri concetti leibniziani, rimessi in gioco da Deleuze: la differenza tra i "tutti distributivi" o "distintivi" e i "tutti collettivi". I "tutti distributivi" sono delle forme di coordinazione delle singolarità che costituiscono delle somme che non totalizzano i propri elementi. La distribuzione si esprime attraverso la congiunzione "e", non attraverso il verbo 'essere': "Questo e quello; delle alternanze e dei rapporti; delle differenze e delle somiglianze; delle attrazioni e delle repulsioni" (Deleuze, 1993). La coordinazione distributiva esprime una potenza nella quale le monadi, le singolarità, esistono una a una, ciascuna per proprio conto. Invece, i "tutti collettivi", che possono essere identificati con il concetto marxista di classe e quello durkheimiano di società, formano delle coordinazioni che totalizzano i loro elementi, sacrificando la loro singolarità e neutralizzando la loro virtualità. I 'tutti' collettivi funzionano secondo i criteri dell'identità e della contraddizione, mentre i 'tutti' distributivi secondo quelli della composizione e della decomposizione differenziale. Delle coordinazioni e delle disgiunzioni (I"' o" delle disgiunzioni inclusive che si concatena con la "e" della coordinazione); questa è la natura della cose, dice Deleuze ed è l'affermazione di un modo di costituzione "in processo, o in arcipelago". Pensare il processo costitutivo tramite il concatenamento di flussi e di reti, di invenzione e ripetizione, di singolarità e di molteplicità, era stata l'innovazione teorica fondamentale del pragmatismo americano e della sociologia di Tarde già alla fine del XIX secolo. L'opera di William James rinvia, ripetutamente, al punto di vista di Tarde. Quest'ultimo è molto vicino alla critica del collettivo operata dal pragmatismo americano, come lo stesso filosofo americano riconosce2. 2 David Lapoujade nel suo libro su William James, sottolinea i ·numerosi rimandi possibili del pragmatismo americano con l'opera di Tarde, sollecitato anche dai termini elogi osi con i quali il filosofo americano apprezza l'opera del
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Gli assi costitutivi dell'effettuazione sociale dell'invenzione sono le correnti (flussi) e le reti (o aggregati), i networks e i patchworks. I flussi circolano tra i cervelli (monadi) e gli aggregati invece sono delle molteplicità di monadi che si posseggono, che si catturano reciprocamente o in maniera unilaterale. Un aggregato è un modo di tenere insieme delle singolarità, tramite l'appropriazione, la cattura. Ogni individuo (umano, vitale, fisico) è un aggregato e un "aggregato qualunque è composto di esseri adattati insieme gli uni con gli altri, o adattati insieme in vista di una funzione comune. Aggregato significa adattato"(Tarde, 1999a). Tutto ciò che esiste è un aggregato di forze che si tengono insieme e si compongono, secondo l'intuizione leibniziana, all'infinito. Aggiungiamo che un aggregato non è una somma, ma una coordinazione sistematica di singolarità, di monadi. E ogni aggregazione è una individuazione, una co-produzione, un co-funzionamento, un evento, una invenzione. Un aggregato è un concatenamento di concatenamenti, una cattura di catture. E questo aggregato può entrare nella costituzione di un altro aggregato che esprime una più grande potenza di possesso o di concatenamento. In ogni aggregato, ciascuna monade conserva la sua singolarità relativa, e ogni aggregato la sua individualità. Gli aggregati non sono unificati in un sistema e non obbediscono a delle leggi generali, ma si tengono insieme, si posseggono tra loro. La costituzione di una quantità sociale, la trasformazione di un possibile in valore, si fa tramite l'integrazione delle singolarità, in un aggregato. Le lingue, come le scienze, come ogni quantità sociale, non si costruiscono tramite astrazione, totalizzazione, ma attraverso un costruttivismo molecolare. Ma bisogna avere la precauzione di dire che il costruttivismo, senza l'invenzione, senza la creazione dei possibili, senza l'espressione, è, come nella teoria di Bourdieu e nella maggior parte delle sociologie costruttiviste, una semplice riproduzione dominata dalla logica della regolazione. Tarde non rifiuta di concepire la società come un "tutto" (coordinamento di cervelli). Ciò che rifiuta categoricamente è la descrizione della sua costituzione attraverso l'abolizione della singolarità nelle relazioni tra monadi, in esseri superiori e distinti, "condizionati ma non costituiti dai cervelli di cui non sarebbero soltanto la compenesociologo francese: "un lavoro geniale"; "si può dire che basta sentire formulare la tesi di Tarde per sentirne la suprema verità". William James, Empirisme et pragmatisme, PUF, Paris 1997.
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trazione mentale e morale, ma la sublimazione e la trasfigurazione reali, esistente al di fuori dell'azione di ciascuno" (Tarde, 1902). Proponendo una dinamica costitutiva fondata sulle azioni individuali (singolari) e una coordinazione che resta loro immanente, Tarde restituisce libertà e autonomia agli individui e apre il processo del loro coordinamento all'indeterminazione e all'imprevedibile dell'azione. .. Evita così le spiegazioni mistiche che le teorie dei "tutti collettivi" implicano. In effetti, come si può passare dall'individuale al collettivo, se non presupponendo un collettivo sempre già dato? Come passare dalla natura psicologica delle forze dell'individuo alla natura sociale del collettivo (impasse di Durkheim)? Tarde trae una conclusione più generale dalla sua concezione della costituzione: non ci sono leggi sociali, non ci sono leggi economiche che si impongono in maniera impersonale, senza che alcuna monade non le abbia volute e concepite. Non ci sono che relazioni di comando e di obbedienza, non ci sono che catture tra monadi. Il mercato, la borsa, il capitale, la società, sono delle catture di catture. Se parliamo di leggi della natura è soltanto perché non possiamo seguire, mano a mano, i suoi processi di costituzione. Al contrario, quando si tratta della società e dell'economia questa ricostruzione è sempre possibile. Un'altra considerazione importante lega il punto di vista di Tarde a quello di James: i tutti così definiti, non sono oggetto diconoscenza, ma di sperimentazione. Questo concetto di messa alla prova, di costruzione delle sfera delle domande e delle riposte, implica un nuovo concetto di politica, che svilupperemo nell'ultimo capitolo.
Natura e società Esiste un'altra differenza importante fra la neomonadologia e la filosofia del soggetto. Il punto di vista neomonadologico o infinitesimale conduce Tarde a pensare un processo di costituzione non antropomorfico, ma cosmologico. Ed è questa una delle ragioni per cui penso sia difficile paragonare la sociologia monadologica con le microsociologie contemporanee. Queste ultime sono delle sociologie della relazione intersoggettiva, mentre la microsociologia di Tarde è una sociologia degli atomi, dei batteri, delle cellule e del sociale. Ogni individuazione è resa possibile dalle individuazioni che l'hanno preceduta. L'indivi-
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duazione sociale non cancella, ma integra, le altre (la vitale e la fisica). L'uomo non è solo l'insieme dei rapporti sociali, come dice Marx, ma la coordinazione di differenti rapporti, sociali, vitali e fisici, e il tutto è circondato da una "nuvola di possibili", che costituisce la sua riserva d'essere, la sua forza di differenziazione. In Marx i rapporti rinviano ancora a una essenza (il lavoro, il valore), mentre in Tarde, praticamente alla stessa epoca, il valore e il lavoro dipendono dall'evento, dall'invenzione, dalla capacità dicominciare qualcosa di nuovo. I rapporti rimandano alla creazione del possibile e non più a delle essenze. Il malinteso veicolato da Durkheim sulla psicologia di Tarde cade immediatamente, se si pensa che per Tarde il concetto di psicologia deve funzionare anche per pensare la psicologia delle cellule. L'infinitesimale, il molecolare, ridiventa, come per Leibniz, la chiave dell'universo: "Tutto viene dall'infinitesimale, e, aggiungiamo, è probabile che tutto vi ritorni" (Tarde, 1999a). Cogliere l'infinito nel finito, cogliere in un oggetto che sembra finito l'infinità degli elementi che lo compongono diventa l'obiettivo della scienza e della sociologia. Contro la filosofia della storia, che non vede agire che dei grandi soggetti (lo spirito dei popoli, il sapere assoluto, la classe operaia o il capitale); contro la sociologia che non concepisce che i grandi attori collettivi (la società, lo Stato), si tratta di dare di nuovo la potenza di creazione, l'autonomia e l'indipendenza ad ogni essere, senza alcuna distinzione tra natura e società, tra umano e non umano. Tarde critica la concezione ancora troppo antropomorfica con cui Leibniz pensa la monade. Deplora il fatto che non abbia spinto più lontano ancora la sua differenziazione. "Perché - dice Tarde invece di considerarle tutte come simili all'io", non ha ammesso che molte monadi "hanno una interiorità radicalmente differente dalla nostra, che chiamiamo io?". Tarde fa propria l'affermazione della biologia molecolare della sua epoca, secondo la quale anche l'atomo ha un'anima. Tutte le monadi, senza distinzione tra umano e non umano, costituiscono degli insiemi che sono delle orgaitizzazioni politiche: società molecolari, società cellulari, società di atomi. "Ogni cosa è una società, ogni fenomeno è un fenomeno sociale", afferma Tarde (1999a) contro la volontà di Durkheim di ridurre il sociale ad un fatto. Per quanto strana possa sembrare questa concezione della natura ai partigiani della filosofia del soggetto, essa costituisce una costante della filosofia dell'evento. Whitehead, a sua volta, parlerà, per esempio, di società elettromagnetiche, di società corpuscolari, e
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affermerà, in piena sintonia col sociologo francese, che la molecola è una società. La natura non è esteriore al soggetto, non agisce solo fuori dell'uomo, ma già al suo interno. Che cos'è un uomo, se non la lotta e la cooperazione di questa infinità di esseri, di questa infinità di monadi organiche e inorganiche, tutte dotate di volontà, di credenze e di pensiero? "' L'individuo è una individuazione, ma, bisogna aggiungere immediatamente, una individuazione di individuazioni: individuazione di atomi, di cellule, di organi. Il soggetto non si appoggia su se stesso, come vuole la filosofia del soggetto, ma su altre individuazioni: chimiche, biologiche, organiche, e così via. Come Nietzsche, Tarde utilizza abbondantemente la biologia, la fisiologia e la fisica dell'epoca per destrutturare la filosofia del soggetto, l'unità dell'individuo, del corpo vivente, della cellula e dell'atomo, e fare emergere ogni volta la molteplicità che lo costituisce. È questo processo di costituzione, di creazione cosmologica di cui oggi il capitalismo contemporaneo si sta appropriando. La creazione, l'invenzione, la coordinazione e la cooperazione, non sono soltanto delle proprietà umane. Le biotecnologie, per esempio, mettono a profitto il processo di costituzione non antropomorfico descritto dalla neo-monadologia: "quali prodigiosi conquistatori sono questi germi infinitesimali, che riescono a sottomettere al loro impero una massa di milioni di altri esseri della stessa specie. Che tesoro di ammirabili invenzioni, di ricette ingegnose per sfruttare e obbligare gli altri alla propria volontà, emana da queste microscopiche cellule, il cui genio e la piccolezza dovrebbero confonderci nello stesso modo" (Tarde, 1999a).
Il mostro
Un'ultima differenza con il paradigma del soggetto-lavoro riguarda il processo di soggettivazione. Nella neo-monadologia, il modello di soggettivazione è il 'mostro'. Il processo costitutivo cosmologico non può implicare che delle produzioni di soggettività disumane. Gli individui non costituiscono solo il punto di incrocio dei differenti flussi che circolano e che costituiscono il cervello collettivo. Al punto di incontro delle relazioni intercerebrali, si stacca un 'ritornello', un'azione di soggettivazione, che imprime la propria marca, il proprio segno differenziale ad un nuovo rapporto tra le forze. Il
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processo di soggettivazione si costituisce all'interno di questa rete cerebrale, e si può paragonare a una piega, ad una cattura, ad un avvolgimento dei flussi su se stessi. La costituzione della forza che si avvolge in un ritornello vitale o sociale è, a sua volta, animata dalla ripetizione/ moltiplicazione e dall'appropriazione. La forza si oppone, si raggruppa, si riflette non soltanto perché incontra la resistenza delle forze esterne e nemiche, ma anche e soprattutto per aumentare la propria potenza. In effetti, i ritornelli sono degli strumenti di rinnovamento e di conquista. Sono allo stesso tempo degli strumenti per accrescere e dispiegare la potenza degli individui e attualizzare in maniera più ricca e fine le virtualità, le indeterminazioni che costituiscono il fondo di ogni essere. La ripetizione del tipo o individuo (umano, vitale, fisico) ha per funzione di mostrare questo fondo in tutta la sua fantasmagoria, e di fare sbocciare la differenza universale degli elementi che esso contiene virtualmente. Di modo che ogni individuo non è che un equilibrio mobile, attraversato da variazioni individuali che si combattono reciprocamente e si mantengono grazie a questa lotta. Tarde costituisce così una concezione 'disumana' del processo di soggettivazione. Il tipo, o individuo, non è che una stabilizzazione, una chiusura momentanea, dell'infinita mostruosità che ogni forza contiene in sé e nelle relazioni con le altre forze. La mostruosità, così definita, non è l'eccezione del tipo, ma la sua stessa natura. Per questo il modello della soggettivazione è il mostro. A partire da queste condizioni, la monadologia può cominciare a diventare nomadologia. Ormai, per neo-monadologia intendiamo nomadologia.
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Il concetto di vita e di vivente nelle società del controllo
Deleuze ha descritto in maniera concisa, ma efficace il passaggio dalle 'società disciplinari' alle 'società di controllo' e ci ha lasciato una ricostruzione storica a partire dalla dinamica della differenza che apre a nuove interpretazioni della nascita e dello sviluppo del capitalismo. La più importante innovazione teorica introdotta per spiegare questo passaggio è sicuramente il concetto di molteplicità. Gli individui, le classi, e i loro conflitti, non sono che la cattura, l'integrazione e la differenziazione della molteplicità. Ciò che mi interessa fornire in questo capitolo non è solo la descrizione fenomenologia dell'evoluzione dalla società disciplinare alla società di controllo, ma anche la metodologia impiegata. I marxisti accettano la definizione foucaultiana della società disciplinare, a condizione di considerarla come un complemento ali' analisi marxiana del modo di produzione capitalista. Ora, sebbene Foucault stesso riconosca il suo debito verso Marx (la sua teoria delle discipline è stata sicuramente ispirata dalla descrizione marxiana dell'organizzazione dello spazio e del tempo nella fabbrica), egli fa funzionare l'internamento degli operai in una logica differente. La fabbrica, in Foucault, non è che un modo tra gli altri di attualizzazione della logica dell'internamento. La relazione capitale-lavoro non è il rapporto sociale fondamentale su cui si allineano tutti gli altri tipi di rapporti. La fabbrica, da una parte, la scuola, la prigione e l'ospedale (ma anche il diritto, il linguaggio: tutto ciò che Foucault definisce come l'enunciabile) dall'altra, non si rapportano tra loro secondo le modalità dell'azione della struttura sulla sovrastruttura. La teoria marxista si concentra esclusivamente sul concetto di sfruttamento. Le altre relazioni di potere (uomo-donna, medico-ma35
lato, professore-allievo, padre-figlio, ecc.) e le altre modalità di esercizio del potere (dominazione, assoggettamento, asservimento) sono trascurate, per delle ragioni che rimandano all'ontologia stessa della categoria di lavoro. Quest'ultima ha un potere di totalizzazione dialettica, sia sul piano teorico che su quello politico, contro cui si applica perfettamente la critica che Tarde rivolge ad Hegel: bisogna "depolarizzare la dialettica" attraverso l'affermazione della molteplicità. Il capitalismo non si definisce sulla base di "un dramma unico" - quello del rapporto capitale/ lavoro - ma di una molteplicità di "drammi sociali". Non è più alle forze immense, esteriori, superiori della dialettica (capitale-lavoro) che bisogna riferirsi per cogliere la sua dinamica, ma alle forze "infinitamente moltiplicate, infinitesimali e interne" (Tarde, 1999b ). La logica della contraddizione, motore del "dramma unico" capitale/lavoro, è povera e riduttrice. Quest'ultima affermazione di Foucault è diretta contro la concezione marxista del potere, che lo fa sempre dipendere da una struttura economica più profonda. A ciò che c'è di piramidale nella concettualizzazione marxista, la microfisica del potere foucaultiana sostituisce una immanenza in cui le differenti forme dell'internamento (la scuola, l'ospedale, la fabbrica, ecc.) si articolano le une sulle altre. A questo proposito, Deleuze fa notare che sono l'economia e la fabbrica che presuppongono i meccanismi disciplinari, piuttosto che il contrario. In questo modo, altre forze e altre dinamiche, che eccedono il rapporto capitale-lavoro, possono essere messe in gioco per descrivere lo sviluppo capitalistico. Qui non si tratta di negare la pertinenza dell'analisi marxista o marxiana del rapporto capitalistico, ma la sua pretesa a voler ricondurre la società e la molteplicità delle relazioni di potere che la costituiscono, alla relazione di comando e di obbedienza che si esercita nella fabbrica, e più in generale nell' azione economica. Quest'ultima, al contrario, deve essere integrata in un quadro più largo: le discipline e il bio-potere. Nello stesso modo l'imposizione dei comportamenti e dell'assoggettamento dei corpi non sono spiegabili soltanto attraverso gli imperativi economici. Il regime dei segni, le macchine di espressione, i concatenamenti collettivi di enunciazione (il diritto, i saperi, i linguaggi, l'opinione pubblica), agiscono come elementi di costitituzione del socius, allo stesso titolo dei concatenamenti macchinici (la coopérazione di fabbrica, ad esempio). Il marxismo, concentrandosi su una sola dimensione del potere, lo sfruttamento, rinvia i concatenamenti di espressione all'ideologia.
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Uno degli obiettivi fondamentali dell'analisi foucaultiana delle società disciplinari è quello di uscire dall"'economicismo" del marxismo e dalla sua cultura dialettica dei dualismi. La molteplicità delle singolarità, la loro potenza di co-creazione e di coordinazione immanente, non è nata col postfordismo, ma attraversa tutta la storia della modernità. Il potere delle società disciplinari (che si tratti delle tecniche di internamento o delle tecniche biopolitiche) agisce sempre su una molteplicità. I dualismi dialettici non sono l'origine e il motore della società e della storia, ma devono, al contrario, essere pensati come cattura della molteplicità. Le tecniche disciplinari (in fabbrica, per esempio) impongono un compito o un comportamento qualsiasi per produrre degli effetti utili, a condizione che la molteplicità sia poco numerosa, e lo spazio ben definito e delimitato. Queste tecniche agiscono distribuendo e dividendo la molteplicità nello spazio (rinchiudere, mettere in serie, assegnare un posto e delle mansioni), ordinandola nel tempo (decomporre i gesti, suddividere i tempi, programmare l'atto), e la compongono, nello spazio e nel tempo, aumentando l'efficacia delle forze che la costituiscono. Anche le tecniche biopolitiche, che si esercitano come gestione della vita (nascita, morte, malattie, incidenti, ecc.), agiscono su una molteplicità qualunque. Ma qui, a differenza delle istituzioni disciplinari, la molteplicità è numerosa (la popolazione nel suo insieme), lo spazio è aperto e non chiuso (i limiti della popolazione sono definiti dai limiti dalla nazione). Mentre l'oggetto delle discipline è costituito da "categorie" di individui (i prigionieri, i malati mentali, gli scolari, i lavoratori), l'oggetto del biopotere è, invece, la popolazione nel suo complesso. L'interpretazione deleuziana di Foucault (al di là di ogni problema di fedeltà alla sua opera) ci può essere molto utile per vedere ali' opera la dinamica della differenza e della ripetizione. Foucault distingue le relazioni di potere dalle istituzioni. Il potere è una relazione virtuale tra fqrze, mentre le istituzioni sono degli agenti, o delle agenzie di integrazione, di stratificazione, di cristallizzazione delle relazioni tra forze. Le istituzioni fissano le forze e le loro relazioni possibili attraverso dei dispositivi, e hanno una funzione riproduttiva piuttosto che produttiva. Lo Stato, il capitale e le differenti istituzioni capitalistiche, derivano dalle relazioni di potere, piuttosto che esserne la fonte. Nel Foucault di Deleuze, i dispositivi del potere si sviluppano secondo la dinamica dell'attualizzazione delle relazioni virtuali tra 37
forze, e non secondo le modalità di azione del soggetto-lavoro. I rapporti di potere sono virtuali, instabili, non localizzabili, non s:r~tificati, molecolari, potenziali, e definiscono soltanto delle poss1b1lità di interazione. I rapporti di potere sono dei rapporti differenziali che determinano delle singolarità. L'espressione e l'attualizzazione di questi rapporti differenziali, organizzate dalle istituzioni (Stato; Capitale, ecc.) che le stabilizzano, che le stratificano, che le rendono non reversibili, sono, nello stesso tempo, un processo di integrazione/ cattura e un processo di differenziazione della molteplicità. Integrare significa mettere insieme le singolarità, omogeneizzarle, renderle momentaneamente rassomiglianti e farle convergere, sempre momentaneamente, verso uno scopo comune. L'integrazione non agisce per astrazione, per generalizzazione o per sussunzione (per utilizzare il linguaggio hegelo-marxista). L'attualizzazione delle relazioni di potere si fa per cattura progressiva, "pietra dopo pietra", dice Tarde; è un insieme di integrazioni dapprima locali e poi globali. Qui l'integrazione è descritta da Deleuze come un tenere insieme dei networks e dei patchworks, dei flussi e delle reti come abbiamo visto nel primo capitolo. Anche Tarde utilizza il termine integrazione per evitare di comprendere la costituzione delle quantità sociali, dei valori (economici e non), come una semplice generalizzazione o astrazione. Il tipo sociale, o l'istituzione, sono compresi, come integrazione di piccole differenze, di piccole variazioni sul modello del calcolo integrale. L'attualizzazione delle relazioni di potere non è soltanto integrazione, ma anche differenziazione. Nelle società disciplinari, la differenziazione, invece di essere differenziazione della molteplicità, è produzione di dualismi, di cui i più importanti sono i dùalismi di classe (capitale-lavoro) e il dualismo uomo-donna (la costituzione dicotomica dei generi e dei sessi). Gli insiemi binari dei sessi e delle classi, devono catturare, codificare e regolare le virtualità, le variazioni dei concatenamenti molecolari, le possibilità di interazione della cooperazione delle soggettività qualsiasi. Le classi operano la riduzione della molteplicità virtuale e attuale delle attività, al dualismo capitale /lavoro, e ad un 'tutto' che totalizza, omogeneizza e unifica le singolarità. Le classi sono dei "tutti collettivi" e non "distributivi". I dualismi dei sessi funzionano come un dispositivo di cattura e di codificazione delle molteplici combinazioni molecolari, che mettono in gioco non soltanto il maschile e il femminile, ma anche i "mille piccoli sessi", i mille piccoli divenire della sessualità. Sono
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questi mille piccoli sessi, che devono essere disciplinati, attraverso delle tecniche di integrazione e differenziazione, nella relazione uomo-donna. Le classi sono ritagliate nella molteplicità delle attività e cristallizzano le interazioni possibili, virtuali, nel dualismo capitale-lavoro, nello stesso modo in cui l'opposizione uomo/ donna è ritagliata nella molteplicità del divenire possibile dei sessi e cristallizzata nel dualismo della norma eterosessuale. La soggettivazione della molteplicità in classe, come la soggettivazione dei mille sessi in eterosessualità, funzionano contemporaneamente come costituzione dei tipi e come repressione della molteplicità; come costituzione e codificazione della norma e come neutralizzazione di altre possibili forme del divenire. Le due modalità di esercizio del potere, repressione e costituzione, non sono contraddittorie tra di loro. Per tracciare una possibilità di uscita dall'economicismo e dai dualismi del marxismo, Foucault afferma che una società non è definita dal suo modo di produzione, ma dagli enunciati che la esprimono e dal visibile che la effettuano. Deleuze e Guattari assimilano la relazione foucaltiana tra "l'enunciabile" e il "visibile" alle relazioni tra concatenamenti corporali e concatenamenti d'enunciazione da essi stessi stabilite. Questa relazione non rinvia né al rapporto struttura/ soprastruttura (marxismo), né al rapporto significante/ significato (linguistica e strutturalismo). La prigione è uno spazio di visibilità che fa vedere, che fa emergere un miscuglio dei corpi, un concatenamento corporale (i detenuti). Il diritto penale, come macchina d'espressione, definisce un campo di dicibilità (gli enunciati sulla delinquenza) che operano delle trasformazioni incorporali, di modo che il verdetto di una corte trasforma istantaneamente gli imputati in condannati. Il concatenamento corporale ha la sua forma (la prigione) e la sua sostanza (i prigionieri). Il concatenamento di espressione ha anche esso la sua forma (il diritto penale) e la sua sostanza (la delinquenza). Il rapporto tra l'enunciabile e il visibile non può essere pensato secondo la relazione struttura/ sovrastruttura, e neppure secondo la relazione del significato e del significante, perché è un rapporto che rinvia a un "fuori informale", al virtuale.
Ciò che è rinchiuso è il "fuori" Deleuze introduce un altro importante concetto per definire le società disciplinari. Noi sappiamo che la scuola, la fabbrica, l' ospe-
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dale, la caserma, sono dei dispositivi per internare la molteplicità. Ma, più profondamente ancora, dice Deleuze, ciò che è internato, ciò che è rinchiuso, è il "fuori". Ciò che è catturato è il virtuale, la potenza della co-creazione e della co-effettuazione, il divenire della molteplicità. Le società disciplinari esercitano il loro potere neutralizzando la potenza di creazione della differenza e la ripetizione, subordinandola alla riproduzione. L'addestramento dei corpi ha come funzione di impedire ogni biforcazione, di togliere all'atto, alla condotta, al comportamento ogni possibilità di variazione. In una magnifica lezione, Foucault parla delle discipline come di un potere che si esercita sulle "virtualità stesse del comportamento", che interviene "nel momento stesso in cui la virtualità sta diventando realtà" (Foucault, 2003). Le istituzioni disciplinari sono sicuramente istituzioni produttive, non si limitano a reprimere; sono delle istituzioni costitutive dei corpi, degli enunciati e dei sessi. Ma, nello stesso tempo, bisogna riconoscere, al di là di Foucault, che esse operano una repressione più profonda, non perché neghino una natura umana già data, ma perché le discipline e il biopotere separano le forze dal virtuale, separano le forze da ciò che possono. Le tecniche disciplinari, il biopotere, sono effettivamente dei modi di produzione della soggettività, ma soltanto dopo che il divenire 'mostro', che la soggettivazione differenziale, è sottomesso alla riproduzione dei dualismi (uomo-donna, operaio-capitale). 'Imprigionare il fuori', il virtuale, significa neutralizzare la potenza di invenzione e codificare la ripetizione per togliergli tutta la potenza di creazione del possibile, per renderla una semplice riproduzione standardizzata. Nelle società disciplinari, le istituzioni, che siano quelle del potere o quelle del movimento operaio, non conoscono il 'divenire': sono delle istituzioni che hanno un passato (delle tradizioni), un presente (gestione delle relazioni di potere) e un avvenire, (il progresso); ma mancano di 'divenire'. Le scienze sociali cha hanno legittimato la costituzione e l' azione di queste istituzioni, funzionano all'equilibrio (economia politica), all'integrazione (Durkheim), alla contraddizione (marxismo), alla concorrenza (liberalismo), alla lotta per la vita (darwinismo) o alla riproduzione (Bourdieu). Ma ignorano il 'divenire'. Le istituzioni e i saperi organizzano e impongono il tempo del1' orologio, il tempo cronologico, ma non conoscono il tempo dell' evento, il tempo della creazione del possibile, tranne quando si tratta di' eccezioni' da neutralizzare, di un pericolo da scongiurare, di una occasione sempre eccezionale da cogliere (la rivoluzione). 40
Il tempo dell'evento e il tempo della creazione del possibile devono essere strettamente codificati, e la loro azione contenuta in periodi ben limitati, tramite delle procedure rigorosamente stabilite. Antonio Negri ha dimostrato come per la filosofia politica il potere costituente è un'anomalia, un'eccezione che bisogna subordinare alle procedure del potere costituito. Tarde ha spiegato perché le scienze sociali escludono l'invenzione e la creazione e come si costituiscono in teorie della riproduzione, come è ancora il caso con la sociologia di Bourdieu. Riprendiamo la nostra ipotesi sulla proliferazione dei mondi possibili come dinamica della nostra attualità. Le società disciplinari operano come il Dio di Leibniz, fanno passare alla realtà un solo mondo possibile. Da questo punto di vista possono essere considerate produttive, perché costituiscono le monadi per il mondo delle società disciplinari, e questo mondo è incluso nelle monadi, attraverso le tecniche dell'internamento e attraverso il biopotere. Ma impediscono ferocemente l'effettuazione un'altra infinità di mondi possibili. Controllano e bloccano il divenire e la differenza. Le teorie dell'equilibrio, in economia politica e in sociologia, o le teorie che sono fondate sulla contraddizione, come l'hegelismo o il marxismo, hanno un orizzonte comune: un solo mondo possibile. Riproduzione del potere, o presa del potere, equilibrio o contraddizione, rispondono paradossalmente allo stesso problema: c'è un solo mondo possibile. Le pratiche socialiste e le pratiche del potere, che escludono in maniera differente il 'fuori', il 'divenire', convergono, nella metà del ventesimo secolo, verso le stesse politiche di pianificazione, cioè verso la neutralizzazione su scala sociale della logica dell'evento, della creazione, della produzione del nuovo. Si può parlare di trionfo, tanto nel capitalismo che nel socialismo, della riproduzione sulla differenza. Ma questo trionfo è di corta durata. Già alla fine dell'800, nella filosofia e nella sociologia di Tarde, si comincia a vedere come questa volontà di rinchiudere, di imprigionare la forza di creazione, la volontà di far passare all' esistenza un solo mondo possibile, debba far fronte a una molteplicità di comportamenti che si sottraggono alla logica della riproduzione. La gabbia di ferro di cui parla Max Weber è stata rotta, e le monadi fuggono dal regime disciplinare, inventando dei mondi incompossibili, che si attualizzano nello stesso mondo. Le serie che le monadi costituiscono non convergono più verso lo stesso mondo disciplinare, ma divergono 'qui e adesso'. Il mondo è diventato realmente differenza, biforcazione di biforcazioni, come nei racconti di Borges, dove tutti i possibili coesistono.
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Riprendendo gli esempi citati sopra si può affermare: le classi non riescono più a contenere la molteplicità, nello stesso modo in cui l'eterosessualità non norma più i mille piccoli sessi di cui parlano Deleuze e Guattari. Il 'mostro' come modalità di soggettivazione, si sviluppa qui ed ora. Ed è in questo momento che çomincia a prodursi un cambiamento radicale nelle forme di organizzazione del potere e delle sue modalità di esercizio. Per il potere il problema non è più di rinchiudere e disciplinare le soggettività qualsiasi, dopo averle separate dal virtuale. Ciò che bisogna controllare e 'modulare' è il fuori, la potenza di proliferazione della differenza. Non si tratta più di disciplinare le soggettività in uno spazio chiuso, ma di modularle in uno spazio aperto. Il tempo dell'evento, dell'invenzione, della creazione dei possibili, non può essere più considerato un'eccezione, ma una modalità d'azione che bisogna regolare e catturare quotidianamente. Il concatenamento della differenza e della ripetizione non può :più essere neutralizzato, ma deve essere controllato in quanto tale. E intorno al '68 che questa nuova realtà emerge con forza, sebbene sia esistita e si sia manifestata nelle maniere più diverse (arte, movimenti politici, movimenti culturali) per tutto il ventesimo secolo. Ma che cos'è la modulazione come modalità di esercizio del potere? Quali sono le forze che la modulazione deve controllare? Il concetto deleuziano di 'modulazione' sembra contenere notevoli possibilità euristiche che vorremmo interrogare. A differenza delle società disciplinari, dove si passa in modo lineare e progressivo da un internamento a un altro, (dalla famiglia, alla scuola, alla caserma, alla fabbrica), Deleuze mostra che nelle società di controllo si passa da un'istituzione a un'altra continuamente: dalla scuola al lavoro e dal lavoro si ritorna a scuola, ecc. Io vorrei prolungare questa riflessione sociologica sulla 'modulazione' come paradigma della flessibilità delle istituzioni, cogliendo il concetto di 'vita' e di 'vivente' che queste modalità di azione del potere implicano. Per definire questo concetto di 'vita', che è al centro delle relazioni di potere delle società di controllo, devo però prima passare per la definizione del potere che si esercita sulla vita (biopotere), attraverso cui Foucault definisce le società disciplinari.
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La società disciplinare: discipline e biopotere Le società disciplinari sono caratterizzate dall'esercizio del potere disciplinare e del biopotere. Su questo punto Foucault è assolutamente esplicito: le tecniche disciplinari nascono alla fine del XVII secolo, mentre le tecniche biopolitiche solo cinquant'anni più tardi, nella seconda metà del XVIII secolo. Cosa intende Foucault per biopotere? Si tratta di una modalità di azione del potere che, come le discipline, si indirizza a una molteplicità qualunque. Mentre le tecniche disciplinari trasformano i corpi, le tecniche biopolitiche si indirizzano a una molteplicità in quanto costituisce una massa globale, investita da processi d'insieme che sono specifici della vita, come la nascita, la morte, la produzione, la malattia. Le tecniche disciplinari conoscono soltanto il corpo e l'individuo, mentre la tecnica del biopotere mira alla popolazione, all'uomo 'specie', e, al limite, dice Foucault in uno dei suoi corsi, all'uomo 'spirito'. Quindi, le tecniche biopolitiche installano il corpo all'interno di "processi biologici d'insieme". Se seguiamo le descrizioni di Foucault, possiamo facilmente identificare queste tecnologie con le politiche del welfare. Il biopotere ha come oggetto la fecondità della specie (politica della famiglia, controllo delle nascite, ecc.), ma anche l'estensione, la durata e l'intensità delle malattie dominanti all'interno di una popolazione (politica della salute). Con lo sviluppo dell'industrializzazione, il biopotere si apre nuovi terreni di intervento: gli incidenti sul lavoro, i rischi legati alla perdita dell'impiego (disoccupazione), alla vecchiaia (pensione), e così via. Un ultimo terreno di intervento citato da Foucault è quello della gestione del territorio; secondo Foucault in questo campo sono presi in considerazione gli effetti geografici, climatici, la gestione dell'acqua, ecc. Per Foucault non si tratta di inventare delle nuove istituzioni di assistenza, ma di costruire dei dispositivi differenti, più efficaci di quelli garantiti, essenzialmente, dalla chiesa: dispositivi di assicurazione, di risparmio individuale e collettivo, di protezione sociale, di welfare. Il biopotere ha come obiettivo la gestione della vita, ma nel senso della riproduzione delle condizioni di esistenza di una popolazione. Le tecniche disciplinari e le tecniche del biopotere raggiungono il loro più grande sviluppo dopo la Seconda Guerra Mondiale: taylorismo, nella fabbrica, e welfare, nella società, per dirla in due parole. L'apogeo delle società disciplinari corrisponde, in realtà, a una ridefinizione dei dispositivi di internamento e di gestione della vita, 43
sotto l'incalzare di nuove forze, di nuove relazioni di potere. Dalla fine dell'800, sono in gestazione e si sviluppano dei nuovi dispositivi, delle nuove tecnologie di potere, che non assomigliano né alle discipline, né al biopotere. Come possiamo allora definire la singolarità di queste relazioni di potere che Deleuze definisce nei termini "della società del controllo"? Tarde, potrebbe metterci sulla buona pista. Alla fine del XIX secolo, nel momento in cui le società di controllo cominciano ad elaborare le loro proprie tecniche, i loro propri dispositivi, Tarde ipotizza che il gruppo sociale dell'avvenire non sarà né la folla, né la classe, né la popolazione, ma il pubblico. E per pubblico intende il pubblico dei media, il pubblico di un giornale: "il pubblico è una folla dispersa dove l'influenza degli spiriti, degli uni sugli altri, è diventata azione a distanza" (Tarde, 1902). Alla fine dell'800 entriamo, sempre secondo Tarde, nell'era del pubblico o dei pubblici, dove il problema fondamentale è come tenere insieme delle soggettività qualsiasi che agiscono le une sulle altre a distanza e in uno spazio aperto. Il pubblico si costituisce attraverso la sua presenza nel tempo, e non nello spazio. La subordinazione dello spazio al tempo definisce un blocco spazio-temporale che si incarna, secondo Tarde, nelle tecnologie della trasmissione, della velocità del contagio a distanza. Mentre le tecniche disciplinari si strutturavano fondamentalmente nello spazio, le tecniche di controllo e di gestione del pubblico mettono in primo piano il tempo e le sue virtualità. Tarde coglie, al momento della loro nascita, tre fenomeni che caratterizzeranno le società del controllo, e che vedremo svilupparsi tra le due guerre e, massicciamente, dopo la II Guerra Mondiale in maniera completa: - l'emergenza della cooperazione tra cervelli, e il suo funzionamento attraverso la rete e i flussi, networks et pachtworks; - lo sviluppo di dispositivi tecnologici che amplificano la potenza dell'azione a distanza "naturale" delle monadi: telegrafo, telefono, cinema, televisione, net; - i processi di soggettivazione e di assoggettamento che corrispondono a queste tecnologie della cooperazione tra cervelli: la formazione di pubblici e dell'opinione pubblica, della percezione collettiva e dell'intelligenza collettiva. La cooperazione tra cervelli sviluppa delle macchine tecnologiche e processi di soggettivazione sensibilmente differenti dalle tecnologie e dalle soggettivazioni delle società disciplinari. Non soltanto la macchina di espressione (sociale e tecnologica) non può es44
sere rinviata all'ideologia, come vorrebbero l'economia politica e il marxismo, ma diviene il luogo strategico di controllo del processo di costituzione del socius, perché è attraverso questi dispositivi (l'immagine, i segni, il linguaggio) che l'evento si esprime. L'integrazione e la differenziazione delle nuove forze, e delle loro relazioni di potere, si fanno attraverso delle nuove tecnologie e delle nuove istituzioni. Nelle società di controllo le relazioni di potere si esprimono attraverso l'azione a distanza di uno spirito su un altro spirito, attraverso la potenza dei cervelli in rete, mediate dalla tecnologia. "I mezzi meccanici che portano lontano e forte l'azione suggestiva di colui che conduce gli altri (parola, scrittura, stampa) non hanno smesso di progredire" (Tarde, 2003 ). Le società di controllo sono qualificate dalle tecnologie dell' azione a distanza, piuttosto che dalla tecnologie meccaniche (società di sovranità) o termodinamiche (società disciplinari).
Folle, classi e pubblici Se, in un primo momento, la cooperazione tra cervelli si esprime innanzitutto come opinione pubblica, cioè come messa in comune dei giudizi, si svilupperà in seguito come messa in comune della percezione e dei concetti (percezione collettiva, intelligenza collettiva), grazie alle tecnologie della televisione e del net. Ma consideriamo, in primo luogo i pubblici e le novità che questi introducono nell'azione e nell'essere insieme. Il pubblico è la forma di soggettivazione che esprime meglio la plasticità e l'indifferenza funzionale della soggettività qualunque. Gli individui e i pubblici non hanno più tra di loro un rapporto di appartenenza esclusiva e di identità, perché se un individuo non può appartenere a due classi differenti nello stesso tempo, al contrario, può far parte, contemporaneamente, di differenti pubblici (la multi-appartenenza in un linguaggio sociologico contemporaneo). L'individuo di Tarde si trova a cavallo e può partecipare a differenti mondi possibili, come le sue monadi. I pubblici sono l'espressione di nuove soggettività e di nuove forme di socializzazione che erano sconosciute alle società disciplinari. In effetti, "la formazione di un pubblico, presuppone una evoluzione mentale e sociale più avanzata di quella richiesta da una folla o da una classe" (Tarde, 1989). Con i pubblici, il funzionamento della società si avvicina ancora di più alla metafora di Tarde: i cervelli assemblati. Nel pubblico,
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l'invenzione e l'imitazione si diffondono in maniera "quasi istantanea, come la propagazione di un'onda in un ambiente perfettamente elastico" grazie alle tecnologie che rendono possibile l'azione a distanza di uno spirito su un altro spirito. Con il pubblico "corriamo verso questo strano ideale" di socialità, dove i cervelli si toccano in ogni istante attraverso comunicazioni multiple, come è il caso oggi con il Net. La divisione della società in pubblici non sostituisce, ma si sovrappone, alla divisione religiosa, economica, estetica e politica. Nello 'spazio liscio' della cooperazione tra cervelli, sul corpo senza organi delle relazioni intercerebrali, i pubblici disegnano delle fluttuazioni e delle biforcazioni, che destrutturano le segmentazioni rigide e univoche rappresentate dalle classi e dai gruppi sociali. "Sostituendosi o sovrapponendosi ai gruppi più vecchi, i nuovi gruppi sociali, sempre più estesi e massicci, che noi chiamiamo pubblici, non solo ci fanno passare dal regno del costume a quello della moda, dalla tradizione all'innovazione; ma anche sostituiscono alle divisioni nette e persistenti tra le molteplici varietà di associazioni umane con i loro conflitti senza fine, una segmentazione variabile, dai limiti indistinti, in perpetuo rinnovamento" (Tarde, 1989). Di modo che il processo di segmentazione sociale si deterritorializza, introducendo delle nuove dinamiche, più mobili, più flessibili. In una novella di fantascienza concepita nel 1879, terminata nel 1884 e pubblicata per la prima volta nel 1896, Tarde ci dà una sintesi incisiva del passaggio dalle società disciplinari alle società del controllo. "Al regime anarchico degli egoismi, ha fatto seguito il governo autocratico dell'opinione, diventata onnipotente" (Tarde, 2000 ). Le funzioni politiche e economiche dell'opinione non possono essere ricondotte ai meccanismi di sfruttamento e di assoggettamento propri alle società disciplinari e del mercato ("regime anarchico degli egoismi"). Il controllo dell'opinione, del linguaggio, dei regimi di segni, della circolazione dei saperi etc. convocano delle tecniche d' assoggettamento inedite che saranno adeguatamente descritte, dopo Tarde, dal lavoro di Bachtin all'inizio degli anni venti nella Russia sovietica e dalla filosofia della differenza di Deleuze e Guattari intorno al '68. Bachtin ci mostra come la molteplicità dei linguaggi, delle forme di enunciazione, delle semiotiche all'interno del mondo pre-capitalistico (plurilinguismo) sono repressi e subordinati a una lingua che, imponendosi come lingua maggioritaria, diventa la codificazione
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normativa dell'espressione (monolinguismo). Deleuze e Guattari parlano di tecniche di costituzione della molteplicità in "maggioranza" che producono un modello di misura il cui prototipo si può vedere all'opera nella costruzione e nella misura dell'audience televisiva o, attraverso i sondaggi, nella quantificazione delle opinioni. Il concetto di sfruttamento, costruito sulla centralità della relazione dialettica capitale-lavoro, è assolutamente inadeguato a cogliere queste tecniche di controllo dell'espressione della molteplicità che hanno accompagnato e spesso hanno preceduto l'avvento del capitalismo. Non si tratta di sostituire le tecniche di assoggettamento delle società di controllo (costituzione dell'opposizione asimmetrica tra maggioranza e minoranze) a quelle delle società disciplinari, ma di una superposizione, che diventa sempre più invadente e pervasiva, fino a costituire oggi, come vedremo nei prossimi capitoli, un presupposto indispensabile, una condizione assolutamente imprenscindibile, all'accumulazione "economica". Lo sfruttamento, l'accumulazione del capitale senza la trasformazione della molteplicità in modello semiotico maggioritario, senza l'imposizione di un regime d'espressione monolinguista, non è possibile.
La vita e il vivente: la memoria e l'attenzione Se le tecnologie dell'azione a distanza diventano dei meccanismi fondamentali di cattura e di controllo della molteplicità in uno spazio aperto, e se l'opinione pubblica è la sua prima e nuova istituzione, quali sono le forze che si manifestano in queste relazioni di potere? È soltanto dopo aver definito queste forze e le loro caratteristiche che potremo ritornare sul concetto di 'modulazione' di Deleuze. Per sviluppare le implicazioni contenute nel concetto di 'modulazione' dobbiamo interrogare il concetto di 'vita' e di 'vivente', perché sono questi ultimi gli oggetti della modulazione. Come sappiamo, il concetto di 'vita' contenuto nel biopotere si riferisce all'essere vivente come uomo 'specie'; rinvia alla 'vita' come malattia, comé disoccupazione, come vecchiaia, come morte ecc., ossia alla vita come riproduzione della popolazione. Mi sembra che le società di controllo mettano in gioco e cerchino di controllare un concetto di 'vita' e di 'vivente' che è sensibilmente differente da quello definito da Foucault.
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Per ricostruire questo concetto di 'vita', ci riferiamo a Nietzsche, che è il grande ispiratore della rivoluzionaria teoria del potere di Foucault, e a Tarde. Nietzsche e Tarde utilizzano, spesso a partire dalle stesse letture, i risultati della biologia molecolare e della fisiologia dell'epoca, per criticare le teorie del soggetto. La biologia permette, partendo, dal corpo vivente e dalla sua fisiologia, di mettere in discussione l'autonomia, l'indipendenza e l'unità dell'Io dei filosofi. Nietzsche, così come Tarde, scopre nella biologia molecolare un concetto di soggettività che si distingue nettamente dall'Io kantiano e dalle sue modalità di agire e di 'patire'. La soggettività va individuata in una molteplicità di esseri infinitesimali, che, "tutti dotati della facoltà di volere, di sentire e di pensare", costituiscono l'individuo. Ed è sempre a partire dalla biologia, che Nietzsche può affermare che il "vivente è l'essere", e che "non c'è altro essere che il vivente". Ma quale può essere la definizione più generale del vivente, la sua proprietà irriducibile, che possiamo trarre dagli studi della biologia molecolare della seconda metà dell'800? La memoria (e le sue potenze di creazione e di attualizzazione), è la proprietà che Nietzsche e Tarde, in maniera differente, mettono a fondamento della loro definizione di vivente. E sia Tarde che Nietzsche trovano questa definizione del vivente nella biologia dell'epoca, e entrambi citano e si riferiscono a un lavoro, Saggio sulla psicologia delle cellule, di Haeckel. Per il biologo tedesco, tutti gli elementi infinitesimali del corpo (monadi organiche), posseggono la memoria, attitudine che manca a tutte le altre molecole. Tarde interpreta la biologia alla luce della sua teoria della molteplicità. Secondo lui, Haeckel da "alla dottrina dell'evoluzione un'interpretazione monadologica, leibniziana, delle più brillanti" (Tarde, 2000). La definizione del vivente come memoria è una costante della biologia e della fisiologia. Il vivente della biologia molecolare contemporanea non si distingue praticamente in niente dalla definizione data da Haeckel: "L'essenza del vivente è la memoria, che permette di conservare il passato nel presente. Riproducendosi, le forme della vita legano il passato al presente, e registrano dei messaggi per l'avvenire" (Margulis e Sagan, 2002). Per Tarde, senza la memoria, senza questa forza - una durata -, senza questa successione feconda, che contrae il prima nel dopo, non è possibile pensare né il sensibile, né la vita, né il tempo, né l' accumulazione, né la crescita. Per Bergson, uno dei primi ammiratori 48
di Tarde, senza questa durata, senza questa capacità di contrarre il passato nel presente, il mondo sarebbe costretto a ricominciare di nuovo a ogni istante. Il mondo sarebbe un presente che si ripete indefinitivamente, sempre uguale a se stesso. Neanche la materia potrebbe esistere senza la memoria. La creazione e l'effettuazione del sensibile presuppongono l' attività della memoria e dell'attenzione e le loro potenze di attualizzazione del virtuale e di ripetizione/ propagazione di ciò che è attualizzato. Ogni sensazione, sviluppandosi nel tempo, domanda una forza che conservi ciò che non è più in ciò che è, una forza che non agisca secondo le modalità senso-motrici, ma una durata che conservi il 'morto' nel 'vivo', per dirlo con Tarde. Se non presupponiamo questa forza che contrae il passato nel presente, tutte le sensazioni si ridurrebbero a una semplice eccitazione. Dunque, le forze che sono mobilitate dalla cooperazione tra cervelli e catturate dalle nuove istituzioni (opinione pubblica), sono quelle della memoria e dell'attenzione. La filosofia della differenza è la prima che si confronta con le nuove scienze della biologia e con gli studi del cervello. Il lavoro di Bergson riguarda il vivente non soltanto quando si confronta direttamente con la biologia e con la teoria dell'evoluzione, ma anche e soprattutto attraverso i suoi lavori sulla memoria e sul tempo, e le loro modalità di azione: il virtuale e l'attuale. La memoria, secondo Bergson, è la coesistenza di tutti i ricordi virtuali, e ricordare non consiste nell'andare a cercare qualcosa nella memoria come se si trattasse di un cassetto. Ricordare è una attualizzazione del virtuale, che è, ogni volta, una creazione, una individuazione, e non una semplice riproduzione. Questo processo implica innanzitutto lo sforzo intellettuale (Bergson lo chiama anche lavoro intellettuale), cioè l'attenzione in quanto conatus del cervello, desiderio del cervello, come lo definisce Tarde. "Senza l'attenzione non c'è sensazione possibile. Che cos'è l'attenzione? Possiamo rispondere che è uno sforzo in vista di precisare una sensazione che sta nascendo; ma bisogna notare che lo sforzo, sotto il suo aspetto psicologico puro, estrazione fatta dall'azione muscolare concomitante, è un desiderio. L'attenzione è desiderio del cervello" (Tarde, 1895). La memoria e l'attenzione, e le relazioni attraverso le quali si attualizzano, diventano, dunque, le forze che bisogna catturare, controllare e sfruttare, perché produttrice del sensibile. È riferendosi a questa tradizione che bisogna capire la frase di Deleuze: "nella vita non ci sono che delle virtualità". 49
Possiamo adesso tornare al concetto di 'modulazione'. La cattura, il controllo e la regolazione dell'azione a distanza di uno spirito su un altro spirito si fanno tramite la modulazione dei flussi di desiderio, dei flussi di credenze, e delle forze (la memoria e l' attenzione) che operano e circolano nella cooperazione tra cervelli. La modulazione, come modalità di esercizio del potere, agisce sempre su dei corpi, ma qui è piuttosto la dimensione incorporale che è messa in gioco. Le società di controllo investono la memoria spirituale, e non principalmente la memoria corporale, come nelle società disciplinari. L'uomo spirito, che per Foucault non era oggetto del biopotere se non al limite, passa ora in primo piano. La società del controllo esercita il suo potere grazie alle tecnologie dell' azione a distanza delle immagini, del suono, delle parole. Tali tecnologie funzionano come macchine di modulazione, di cristallizzazione delle onde, delle vibrazioni, dei flussi elettromagnetici (radio, televisione), e dei pacchetti di bit (i computers e le reti numeriche). Queste onde e flussi inorganici si sovrappongono alle onde e ai flussi, mediante i quali le monadi agiscono "naturalmente" le une sulle altre. Troviamo delle indicazioni, in questo senso, già alla fine del XIX secolo. Per Tarde, in effetti, nell'azione a distanza, l'impressione di uno spirito su un altro si conserva in due modi. Nel primo, ogni impressione si conserva e si ripete nella memoria. Nel secondo, ogni impressione espressa, "ogni onda dell'anima, per così dire, si prolunga in ondulazioni infinite, che evolvono indefinitivamente". Queste ondulazioni si manifestano secondo certe regolarità e certe leggi. Le onde dei dispositivi tecnologici agiscono su queste regolarità e leggi. Se la memoria e l'attenzione sono dei motori viventi che funzionano all'energia a-organica, le tecnologie dell'azione a distanza sono dei motori artificiali, delle memorie artificiali che si concatenano con le memorie "naturali" e interferiscono con il loro funzionamento. Le macchine che servono a cristallizzare o a modulare il tempol sono dei dispositivi capaci di intervenire nell'evento della cooperazione tra cervelli attraverso la modulazione delle forze implicate e diventano così le condizioni del processo di costituzione delle soggettività. Bisognerebbe dunque distinguere la vita e il vivente in quanto potenza virtuale, in quanto memoria, dalla vita e il vivente in 1 Per questa definizione e per un'analisi più approfondita dei dispositivi tecnolog~ci dell'azione a distanza, mi permetto di rinviare al mio Videofilosofia. La percezzone del tempo nel postfordismo, Manifesto Libri, 1997.
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quanto caratteristica biologica della specie umana, cioè distinguere il bios contenuto nella categoria del biopotere dal bios della memoria. Per non nominare cose differenti con lo stesso concetto, si potrebbero definire le nuove relazioni di potere, che prendono come oggetto la memoria e il suo conatus (l'attenzione), come Noo-politica. La Noo-politica si esercita sul cervello, implicando innanzitutto l'attenzione, per controllare la memoria e le sue potenze virtuali. La modulazione della memoria è la funzione più importante della Noo-politica. Se le discipline modellano principalmente il corpo, costituendo delle abitudini che sono contratte soprattutto dalla memoria corporale, la Noo-politica modula principalmente i cervelli, costituendo delle abitudini contratte soprattutto attraverso la memoria spirituale. Avremo, allora, tre diversi tipi di relazioni di potere: 'modellamento' dei corpi (prigioni, scuola, fabbrica), organizzato dalle discipline; la gestione della vita, organizzata dal biopotere (welfare); e la modulazione della memoria, messa in opera dalla Noo-politica (reti herziane, telematica e costituzione dell'opinione pubblica, della percezione e dell'intelligenza collettiva). Sociologicamente, avremo questa sequenza: i corpi chiusi in fabbrica, in prigione ecc., la popolazione e i pubblici. L'insieme di questi dispositivi che, rispettivamente, modellano i corpi, regolano la popolazione e catturano i cervelli producendo l'opinione pubblica, la percezione e l'intelligenza collettiva, costituisce la società del controllo. Questi tre dispositivi del potere, nati in epoche differenti, e con delle finalità eterogenee, non si sostituiscono gli uni agli altri, ma si concatenano gli uni con gli altri. Gli Stati Uniti rappresentano oggi il modello più sviluppato di come le società di controllo integrino i diversi dispositivi del potere. I dispositivi di internamento disciplinare hanno conosciuto uno sviluppo straordinario specialmente per quanto riguarda le prigioni. Negli Stati Uniti ci sono due milioni di prigionieri, una percentuale della popolazione che nessuna società disciplinare è mai riuscita a raggiungere. Al più grande imprigionamento che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto si affiancano i dispositivi biopolitici di gestione della vita, che non spariscono, ma, al contrario, si sviluppano, trasformandosi profondamente: dal welfare al workfare, dall'assicurazione contro i rischi sociali (disoccupazione, pensione,-malattia) all'intervento nella vita degli individui per obbligarli all'impiego, al lavoro subordinato. I nuovi dispositivi della Noo-politica (i primi datano comunque della fine del XIX secolo) hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti, grazie all'informatica e alla telematica. La differenza tra
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questi dispositivi risiede nei gradi di deterritorializzazione che implicano. Possiamo affermare che la Noo-politica comanda e riorganizza le altre relazioni di potere, perché opera a un livello di deterritorializzazione più elevato (la virtualità dell'azione tra cervelli). Nonostante ciò, è comunque vero che a livello mondiale assistiamo a uno sviluppo delle istituzioni disciplinari. La fabbrica, per esempio, e il lavoro, come li definiscono Marx e gli economisti, non diminuiscono, ma aumentano. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro calcola che 246 milioni di bambini, tra i 5 e i 17 anni, lavorano. Nei paesi occidentali il lavoro salariato è in espansione in rapporto all'epoca fordista. Ma tutto ciò non toglie nulla al fatto che il paradigma in cui questi fenomeni si iscrivono è cambiato radicalmente. L'impotenza a coglierlo partendo dalle teorie soggetto-lavoro è ancora più evidente sul piano politico che sul piano teorico. Il lavoro industriale non è più il centro della valorizzazione, né un modello di soggettivazione politica e sociale valido per l'insieme delle forze sociali, né la forza esclusiva capace di produrre istituzioni e la politicizzazione della società. Nei paesi occidentali, il lavoro salariato resta la forma dominante tramite cui il capitalismo sfrutta la cooperazione e la forza-invenzione della soggettività qualunque, ma è esploso in una molteplìcità di attività e di statuti, che esprimono una molteplicità di soggettività e di attese che non possono essere ricondotte ai concetti tradizionali di lavoro e di classe. Ma il problema è ancora più radicale. Anche dopo aver recensito tutte le nuove forme di attività, anche dopo aver affermato che a diventare "produttivi" sono i linguaggi, gli affetti, le conoscenze e la vita nel suo insieme, che si concatenano con il lavoro riproduttivo, ci manca ancora la dinamica tramite cui si dà questa creazione e questo sfruttamento: la differenza e la ripetizione, la creazione dei possibili e la loro effettuazione. Il paradigma del soggetto-lavoro impedisce di vederla.
Il movimento operaio e le società disciplinari Per completare le ricerche di Foucault sulle società disciplinari, bisognerebbe studiare il rapporto tra le istituzioni del movimento operaio e le discipline. Nate e sviluppatesi a partire dal XIX secolo contro le discipline, nel XX secolo le istituzioni del movimento operaio sono diventate dei meccanismi fondamentali d'integrazione nelle società disciplinari. Il XX secolo è stato il teatro di una conver-
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genza del capitalismo e del socialismo, in particolare tramite le politiche di pianificazione, che rappresentano l'apogeo delle società disciplinari e della loro logica di riproduzione. L'imprevedibile, l'incertezza, la possibilità di variazione che il concatenamento della differenza con la ripetizione presuppone sono state rigidamente codificate e neutralizzate, sia a livello economico che sociale. L'"armonia prestabilita" si incarna, durante la guerra fredda, senza alcuna differenza fondamentale, nelle politiche socialiste e capitaliste della pianificazione. Inutile ricordare che quest'ultima è un'idea socialista e leninista, ripresa da Rathenau durante la Repubblica di Weimar e diventata la mania di tutti i grandi funzionari di Stato dopo la seconda guerra mondiale. Se la pianificazione ha una specificità in rapporto alle società disciplinari del XVII e XVIII secolo, questa è data dal ruolo e dalla funzione che vi gioca il lavoro: nello stesso tempo sostanza e misura della pianificazione. Il lavoro diventa il mezzo più efficace di regolazione dell'insieme della società. Nelle fabbriche, disciplina la nuova classe operaia (l'operaio massa), impedendole di manifestarsi come molteplicità e come critica del lavoro salariato. Le istituzioni sindacali e le politiche del movimento operaio hanno lottato fino al1' inizio degli anni Settanta, e in Francia fino agli anni Ottanta, contro l'emergenza dell'operaio massa (e il suo rifiuto del lavoro riproduttivo), come soggetto sindacale e politico. Nella società pianificata, l'accesso delle donne, dei bambini, dei vecchi ai nuovi diritti sociali (weifare) passa attraverso il salario operaio. La produzione e la riproduzione stessa della norma sessuale passa quindi per il lavoro. Le istituzioni della pianificazione sono completamente attraversate e riconfigurate dal lavoro che concatena discipline e biopotere, l'organizzazione della fabbrica e il weifare, e realizza così i contorni della società come "gabbia d'acciaio" (secondo la formula di Weber). Il lavoro diventa anche la potenza costituzionale delle repubbliche nate dalla sconfitta del fascismo (per esempio, la repubblica italiana è fondata, come dice il primo articolo della sua costituzione, sul lavoro). Foucault avrebbe torto e i marxisti ragione? Il lavoro sarebbe dunque il fondamento di tutti i rapporti sociali e di tutte le relazioni di potere? Per rispondere a questa domanda, bisogna notare una differenza fondamentale tra le società pianificate e le società disciplinari che hanno preceduto la prima guerra mondiale. Nella pianificazione, non si tratta più del lavoro come potenza ontologica 'spontanea' di costituzione del mondo di cui parla Marx. Nel fordismo la potenza del lavoro e la sua capacità di regolazione
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sono piuttosto legati alla logica politica che lo ha istituito come sostanza e misura della società. La sua istituzione come sostanza e misura risulta dal compromesso sociale e politico tra sindacati, padroni e Stato, e dalla divisione geopolitica del mondo fondata sulle dinamiche lavoriste, che mirano alla neutralizzazione di ogni concatenamento della differenza con la ripetizione, attraverso l'integrazione delle istituzioni del movimento operaio nella logica della riproduzione del potere (sia all'ovest che all'est). Riproduzione economica e riproduzione politica coincidono tramite il lavoro. Possiamo considerare il XX secolo come il teatro della crisi lunga e irreversibile del lavoro come potenza costitutiva "spontanea" del mondo e del socius. Se il paradigma del soggetto-lavoro ha funzionato come sostanza e misura della regolazione dopo la seconda guerra mondiale, lo ha fatto attraverso una surdeterminazione tutta politica. La comprensione del processo costitutivo attraverso il concetto di prassi ha giocato, nella seconda metà del XX secolo, un ruolo conservatore e regolatore delle relazioni di potere. Se la teoria di Marx aveva avuto degli effetti rivoluzionari a cavallo del secolo scorso, un secolo più tardi essa ha funzionato come un potente mezzo di integrazione. I movimenti che si sono sviluppati intorno al '68 non si sono sbagliati assumendo come avversari tutti i gestori (socialisti e capitalisti) della società pianificata, identificandoli come i guardiani della gabbia di acciaio e dell'imposizione dei dualismi. Il '68 è il punto di rottura e di fuga dalla logica dei dualismi di classe e dalla norma binaria dell'eterosessuale. Oggi molti hanno dimenticato questi episodi poco gloriosi della storia del movimento operaio ed esaltano, a posteriori, il fordismo e le sue "sicurezze", falsificando la storia. Le istituzioni del movimento operaio hanno continuato a vivere nella logica del compromesso politico in cui il lavoro costituisce una potenza regolatrice, molto tempo dopo che i capitalisti e lo Stato l'avevano abbandonato come mezzo per comandare la società. Il problema è che il movimento operaio non ha niente da offrire al posto della prassi. Non può immaginare un processo di costituzione del mondo e del socius che non sia centrato sul lavoro. La sola alternativa che il movimento operaio ha saputo immaginare è quella dell'impiego. Il passaggio dal lavoro all'impiego è un altro triste capitolo del suo declino. Se il lavoro era diventato il centro del comando delle società disciplinari all'epoca del loro esaurimento (fordismo), l'impiego è una delle forme principali della regolazione delle società del controllo.
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Impresa e beni comuni
"In ogni uomo esiste una facoltà creatrice virtuale. Questo non vuol dire che ogni uomo sia un pittore o uno scultore, ma che c'è della creatività latente in ogni campo del lavoro umano [... ] ogni lavoro ha una sorta di relazione all'arte; e l'arte non è più un tipo di attività isolata, con della gente capace di fare dell'arte, mentre gli altri devono fare un lavoro. Parlo della creatività in ogni attività e in tutti i lavori, non soltanto nell'arte, di una creatività che libera il lavoro e lo eleva al rango di atto libero e rivoluzionario". Joseph Beuys
"Quando arriviamo all'umanità, la natura sembra essersi sbarazzata di un altro dei suoi limiti. L'accoglienza concettuale dei possibili non realizzati diventa un fatto maggiore della mentalità umana. In modo che una novità esorbitante è introdotta, qualche volta santificata, altre maledetta, e qualche altra volta letteralmente brevettata e protetta dai diritti d'autore. La definizione dell'umanità è che, per gli animali che appartengono a questa specie, l'attività centrale si è sviluppata dal lato della relazione al nuovo". A.N. Whitehead "Dunque la cultura e l'economia sono una sola e stessa cosa e, nella nostra società, i più importanti mezzi di produzione, le più importanti fabbriche che creano il capitale, sono le scuole e le università. È per questo che sono nelle mani dello Stato ed è per questo che noi dobbiamo liberarle". Joseph Beuys
Continuiamo a seguire il nostro filo conduttore neo-monadologico o nomadologico. Per spiegare le dinamiche del capitalismo contemporaneo non bisognerebbe partire né dall'impresa, né dallo Stato, né dal concetto di Impero, poiché, come abbiamo visto con 55
Foucault, queste istituzioni non sono la fonte delle relazioni di potere, ma ne derivano. Ma queste abitudini di pensare sono talmente cristallizzate e radicate nella nostra testa che, se le si rifiuta, si rischia di dare l'impressione di essere un"' anima bella". Applichiamo dunque la nostra neo-monadologia all'impresa, trasformando alcuni suoi enunciati fondamentali: l'impresa non crea l'oggetto (la merce), ma il mondo in cui l'oggetto esiste; l'impresa non crea neanche il soggetto (il lavoratore e il consumatore), ma il mondo in cui il soggetto esiste. Nel capitalismo contemporaneo bisogna innanzitutto distinguere l'impresa dalla fabbrica. Due anni fa, una impresa multinazionale francese, Alcatel, ha annunciato che si sarebbe separata dalle sue tredici fabbriche. La divisione dell'impresa dalla fabbrica è un caso limite, ma sempre più frequente nel capitalismo contemporaneo. Nella maggioranza dei casi, queste due funzioni sono integrate l'una all'altra, ma noi assumiamo la loro separazione come emblematica di una profonda trasformazione dell'organizzazione del lavoro. Che cosa resta allora nell'impresa una volta estemalizzato il lavoro riproduttivo di fabbricazione? Tutte le funzioni, tutti i servizi, tutti gli impiegati che permettono di creare un mondo: i servizi del marketing, della concezione, della comunicazione, e così via. L'impresa, producendo un servizio o un prodotto, crea un mondo. Nella sua logica, il servizio o il prodotto, allo stesso modo del consumatore o del produttore, sono degli oggetti e dei soggetti che devono corrispondere al suo mondo. E quest'ultimo deve essere incluso nelle anime e nei corpi dei lavoratori e dei consumatori. L'inclusione si fa con delle tecniche di controllo e non più soltanto attraverso le discipline. Nel capitalismo contemporaneo, l'impresa non esiste al di fuori dei lavoratori e dei consumatori che la esprimono. Il suo mondo, la sua oggettività, la sua realtà, si confondono con i rapporti che le imprese, i lavoratori e i consumatori intrattengono tra di loro. L'impresa cerca di costruire la corrispondenza, il rapporto tra le monadi (consumatore e lavoratore) e il suo mondo, nella stessa maniera in cui lo programmava il Dio di Leibniz. L'effettuazione dei mondi e delle soggettività che vi sono incluse, la creazione e l'effettuazione del sensibile (desideri, credenze, intelligenze) precedono la produzione economica. La guerra economica che si manifesta a livello planetario è, da diversi punti di vista, una guerra "estetica". Nelle società di controllo, la finalità del potere non è più quella di 'prelevare' come nelle società di sovranità, e neppure quella di
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'combinare le forze' per aumentare la loro potenza come nelle società disciplinari. Nelle società contemporanee, il problema del potere è quello di controllare l" effettuazione' di mondi. La valorizzazione capitalistica avviene a questa condizione. Rovesciando la definizione marxiana si potrebbe dire: il capitalismo non è un modo di produzione, ma una produzione di modi; il capitalismo è costretto a diventare un manierismo.
La comunicazione/consumo Partiamo dal consumo, perché il rapporto tra offerta e domanda si è rovesciato: i clienti sono il centro della strategia dell'impresa. In realtà, questa definizione tratta dall'economia, non sfiora neanche il problema della potenza e del ruolo strategico giocato dalle macchine di espressione (opinione, comunicazione, marketing) nel consumo contemporaneo. Consumare non si riduce a comprare e distruggere un servizio o un prodotto come insegna l'economia politica o la sua critica, ma significa innanzi .tutto appartenere a un mondo, aderire a un universo. Di che mondo si tratta? Basta accendere la televisione o la radio; è sufficiente passeggiare in una città, comprare un settimanale o un quotidiano, per sapere che questo mondo è costituito dai concatenamenti di enunciazione, dal regime dei segni, la cui espressione si chiama pubblicità; e ciò che è espresso, il senso, costituisce una sollecitazione e un comando, che sono in sé una valutazione, un giudizio, una credenza che si porta sul mondo, sul sé e sugli altri. Il senso veicolato dalla pubblicità è una incitazione a sposare delle forme di vita, cioè a sposare una maniera di vestirsi, una maniera di avere un corpo, una maniera di mangiare, di parlare, di comunicare, di abitare, di avere un genere, ecc. La televisione è un flusso continuo di pubblicità in cui, di tanto in tanto, si inseriscono film, varietà e giornali televisivi. Anche la radio è un flusso ininterrotto di pubblicità e di trasmissioni, in cui è sempre più difficile sapere quando cominciano le prime e finiscono le seconde. Se voi togliete tutte le pagine che contengono della pubblicità, secondo la-performance di Jean-Luc Godard, il settimanale si riduce all'editoriale del capo di redazione. Bisogna riconoscere che forse Deleuze aveva ragione quando affermava che l'impresa ha un'anima, che il marketing è diventato il suo centro strategico e che i pubblicitari sono dei "creativi". 57
L'impresa sfrutta, snaturandoli e facendoli dipendere dalla logica della valorizzazione, la dinamica dell'evento e il processo di costituzione della differenza e della ripetizione. In realtà si tratta di una neutralizzazione dell'evento, della riduzione del concatenamento della creazione del possibile e del suo compiersi, alla relazione possibile/ realizzazione, dove le alternative sono già determinate nelle forma di opposizioni binarie. Le società del controllo si caratterizzano per la moltiplicazione delle offerte di "mondi" (di consumo, d'informazione, di lavoro, di tempo libero, ecc.,). Dei mondi banali, prefabbricati, convenzionali, poiché sono i mondi della maggioranza, privi cioè di ogni singolarità, mondi quindi di nessuno. Di fronte a questi mondi normalizzati la nostra "libertà" non si esprime che scegliendo tra possibili che altri hanno concepito e istituito. Non abbiamo il diritto di partecipare alla costruzione dei mondi, ali' elaborazione dei problemi e all'invenzione delle soluzioni, se non all'interno di alternative già stabilite. La definizione di queste alternative è il compito degli specialisti (della politica, dell'economia, dell'urbanistica, della scienza, ecc.) o degli autori (dell'arte, della letteratura, del cinema). È per questa ragione che abbiamo la sgradevole sensazione che quando tutto è possibile (all'interno di alternative prestabilite), niente non è più possibile (la creazione di qualche cosa di nuovo). L'impotenza e la noia che viviamo tutti nel capitalismo contemporaneo, sono creati attraverso la strumentalizzazione della dinamica stessa dell'evento. L'evento, per l'impresa, si chiama pubblicità, o comunicazione, o marketing. Le imprese investono anche il 40 per cento della loro cifra di affari in marketing, pubblicità, styling, design (nell'industria americana dell' entertainment il 50 per cento del budget di un film è investito nella promozione). E per qualche impresa l'investimento nelle macchine di espressione supera anche l'investimento in forza lavoro. Anche un'industria tradizionale come l'automobile produce soltanto le vetture che ha già venduto. La pubblicità, come ogni evento, distribuisce dapprima delle maniere di sentire, per poi sollecitare delle maniere di vivere. La pubblicità attualizza e distribuisce dei modi di sentire nelle anime, per poterli poi incarnare nei corpi. Con la pubblicità e il marketing, l'impresa opera delle trasformazioni incorporali (le parole d'ordine della pubblicità), che si dicono dei corpi. Le trasformazioni incorporali producono, o vorrebbero produrre, un cambiamento della sensibilità, del nostro modo di valutare il mondo, sé e gli altri. Le trasformazioni incorporali non hanno un referente nella realtà, poiché sono autoreferenziali. Non ci
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sono dei bisogni prestabiliti e predefiniti, non ci sono delle necessità naturali che la produzione dovrebbe soddisfare. Le trasformazioni incorporali pongono le valutazioni e gli oggetti, nello stesso momento in cui le mostrano. La pubblicità costituisce la dimensione spirituale dell'evento, che l'impresa e le agenzie pubblicitarie inventano, che deve incarnarsi nei corpi. La dimensione materiale dell'evento, la sua effettuazione, si fa quando le maniere di vivere, di mangiare, di parlare, di vestirsi, di abitare, ecc., si incarnano nei corpi, cioè quando si vive materialmente tra le merci e i servizi che abbiamo comprato; nelle case, tra i mobili, con gli oggetti che abbiamo colto come possibili nel flusso di informazioni e di comunicazioni nel quale siamo immersi. Noi andiamo a dormire, ci attiviamo, facciamo questo o quello, mentre queste parole d'ordine continuano a circolare, 'insistono' direbbe Deleuze, nei flussi hertziani, nelle reti telematiche, nei giornali. Si sovrappongono al mondo, e alla nostra esistenza come un possibile che è già, in realtà, un ordine, una parola autoritaria che si esprime attraverso la seduzione, la parola persuasiva. Si potrebbe spingere ancora più lontano l'utilizzazione degli utensili di Tarde per spiegare questo processo. In che forma il marketing produce il cambiamento della sensibilità nelle anime? Che tipo di soggettivazione è messa in atto attraverso la pubblicità? Il concatenamento e il ritmo delle immagini, dei segni, delle parole, della musica, sono tutti elementi finalizzati alla costruzione di un 'ritornello'. Ci sono delle pubblicità che risuonano in noi, come dei ritornelli, come quando, ad esempio, ci sorprendiamo a fischiettare qualche motivo pubblicitario. La distinzione leibniziana tra attualizzazione delle anime e incarnazione nei corpi è molto importante, poiché questi due processi non coincidono e possono produrre degli effetti assolutamente imprevedibili sulla soggettività. Le reti televisive, che operano la cattura dei cervelli mobilitando la memoria e l'attenzione, non conoscono le frontiere delle nazioni, delle classi, degli statuti, dei redditi. Le loro immagini sono ricevute lontano, nei paesi non occidentali, o nelle fasce più povere della popolazione occidentale, che hanno un potere di acquisto debole o nessun potere di acquisto. Le trasformazioni incorporali agiscono nell'anima dei telespettatori, creando delle nuove sensibilità: un possibile esiste di fatto, anche se non esiste che tramite la sua espressione (le immagini della televisione). Per avere una certa realtà, è sufficiente, dice Deleuze, che il possibile sia espresso attraverso un segno, un'immagine, delle parole.
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Ma l'incarnazione del possibile nei corpi, la dimensione materiale dell'evento, la possibilità di comprare, di vivere con il proprio corpo i servizi e le merci che i segni esprimono come mondi possibili, non si realizza sempre, e per la maggior parte della popolazione mondiale non si realizza mai, dando luogo ad attese, a frustrazioni, al rifiuto del senso veicolato dai segni, dalle immagini e dalle parole dell'industria dell' entertainment. " Suely Rolnick, osservando questo fenomeno in Brasile, il paese in cui le disuguaglianze sociali sono le più elevate del mondo, parla di due figure soggettive che costituiscono gli estremi, all'interno dei quali si articolano le variazioni dell'anima e dei corpi, prodotte dalla logica che abbiamo descritto: il glamour di una "soggettività di lusso", veicolata dai mondi dell'impresa, e la miseria di una "soggettività spazzatura" delle favelas. L'Occidente è impaurito dalle nuove soggettività islamiche, ma è esso stesso che ha creato il 'mostro', attraverso le sue tecniche più pacifiche e più seducenti. Non ci troviamo di fronte ai resti di società tradizionali che la modernizzazione prima o poi spazzerà via, ma a veri e propri cyborg che concatenano ciò che c'è di più antico con ciò che c'è di più moderno. I mondi della pubblicità sono mondi totalitari perché cancellano o escludono altri mondi possibili, che esistono già (modi di vita non occidentali) o che potrebbero esistere. Agiscono in primo luogo attraverso le trasformazioni incorporali, arrivando prima e più velocemente delle trasformazioni corporali; tre quarti dell'umanità sono esclusi da queste ultime, ma possono accedere più facilmente alle prime, attraverso, per esempio, la televisione. Il capitalismo contemporaneo non arriva con le fabbriche, queste seguono, quando seguono. Arriva prima con le parole, con i segni, con le immagini attraverso i quali gli eventi si esprimono; queste tecnologie soft, oggi, non precedono soltanto le fabbriche, ma anche la macchina da guerra. L'evento, abbiamo detto è un incontro, anzi, è un doppio incontro: una prima volta incontra l'anima, e una seconda volta il corpo. Questo doppio incontro può dar luogo a una doppia eterogenesi, poiché la pubblicità è soltanto un'apertura delle possibilità, secondo le modalità del 'problematico'. La pubblicità non è che un mondo possibile (anche se normalizzato, prefabbricato), una 'piega', direbbe Deleuze, che esprime delle possibilità. L'effettuazione di queste virtualità, lo sviluppo, il dispiegarsi del possibile, può produrre degli effetti eterogenei, poiché, come sappiamo, incontra delle monadi, cioè delle soggettività, 60
che sono tutte delle singolarità autonome, indipendenti e virtuali. La biforcazione delle serie divergenti minaccia il capitalismo contemporaneo: dei mondi incompossibili si possono sempre sviluppare nello stesso mondo. È per questa ragione che il processo capitalistico non è mai chiuso su se stesso, ma è sempre incerto, imprevedibile, aperto, rischioso. 'Esistere è produrre delle differenze', recita a modo suo il capitalismo, ma questa differenziazione è ogni volta incerta, imprevedibile e rischiosa. Il capitalismo cerca di controllare questa biforcazione, sempre virtualmente possibile, attraverso la variazione e la modulazione continua. In realtà, non produce né un soggetto, né un oggetto, ma dei soggetti e degli oggetti in variazione continua, gestiti attraverso delle tecnologie che sono esse stesse in modulazione continua. Nei paesi occidentali il controllo non si esprime soltanto attraverso la modulazione dei cervelli, ma anche attraverso il modellamento dei corpi (prigione, fabbrica, ospedale), e la gestione della vita (workfare). Pensare che il controllo si attualizzi esclusivamente attraverso la variazione continua dei soggetti e degli oggetti, attraverso la modulazione dei cervelli, attraverso l'implicazione della memoria e dell'attenzione, sarebbe assolutamente riduttivo e pericoloso. Le società di controllo, come sappiamo, integrano i vecchi dispositivi disciplinari. Nelle società non occidentali, dove le istituzioni disciplinari e il welfare sono più deboli e meno sviluppati, come in Brasile, per esempio, controllo significa direttamente logica di guerra, anche in tempo di pace. Il corpo paradigmatico delle società di controllo non è più rappresentato dal corpo internato dell'operaio, del pazzo, del malato, ma piuttosto dal corpo obeso (pieno dei mondi dell'impresa) e del corpo anoressico (rifiuto di questi stessi mondi), che guardano alla televisione i corpi segnati dalla fame, dalla sete e dalla violenza della maggior parte della popolazione mondiale. Il corpo paradigmatico non è più il corpo muto delle discipline, è piuttosto il corpo parlato dai segni, dalle parole, dalle immagini (i logo delle imprese) che sono impressi nel nostro corpo secondo le procedure con cui la condanna è iscritta sulle pelle del condannato dalla macchina della Colonia penitenziaria di Kafka. Negli anni '7CTPasolini aveva descritto molto precisamente come la televisione aveva cambiato l'anima e il corpo degli italiani. Pasolini utilizza praticamente gli stessi concetti di Tarde per esprimere le modalità di azione a distanza della televisione: agisce attraverso l'esempio, piuttosto che attraverso la disciplina, tramite l'imi-
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tazione piuttosto che l'obbligo. La televisione è azione su delle azioni possibili, condotta dei comportamenti possibili. Queste trasformazioni incorporali, che si ripetono nelle nostre teste come dei ritornelli, che circolano immediatamente a livello planetario, che entrano in ogni casa, che costituiscono una vera e propria arma di distruzione di ma~sa e di cattura, di conquista dei cervelli e dei corpi, sono incomprensibili alla teoria marxista e alle teorie economiche. Qui ci troviamo davanti un cambiamento di paradigma che non possiamo cogliere attraverso il concetto di praxis. AI contrario, quest'ultimo rischia di dare una falsa immagine di cos'è la produzione oggi, poiché il processo che abbiamo descritto, e nel quale siamo letteralmente immersi, è il presupposto dell'organizzazione del lavoro (e del non lavoro).
Il lavoro e la produzione dei possibili Il "possibile" (prodotto o servizio) che esprimerà il mondo normalizzato dell'impresa non è già dato, ma bisogna crearlo. Il mondo, le monadi (lavoratori o consumatori) e i servizi, non preesistono all'evento, ma, al contrario, emergono con l'evento. È a partire da questa affermazione della neo-monadologia che forse si potrebbe riformulare la teoria del lavoro. La produzione cambia profondamente rispetto alla fabbrica di spilli descritta da Adam Smith, e alle fabbriche manchesteriane di Marx, perché è un'effettuazione di mondi, prima di essere produzione. L'economia capitalistica contemporanea segue alla lettera il ciclo della valorizzazione che è stato descritto da Tarde: l'invenzione (la creazione dei possibili), e il suo processo di effettuazione, e prima tra tutti l'invenzione dei produttori e dei consumatori, è la vera produzione, mentre quella che Marx e gli economisti chiamano produzione è, in realtà, una riproduzione. Per descrivere il modo con cui la cooperazione delle soggettività qualsiasi, la creazione e l'effettuazione dei possibili sono appropriate e comandate nell'impresa contemporanea, utilizzerò le ricerche di Philippe Zarifian. Anche nelle imprese, che sono state le culle· della formazione delle tecniche disciplinari, l'organizzazione del lavoro è investita dalla logica dell'evento, dalla dinamica della differenza e della ripetizione. Il cambiamento è radicale. Secondo Zarifian la logica disciplinare si incarna in una tradizione di pensiero, in un insieme di
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pratiche che spingono a considerare "l'evento come qualcosa di negativo, qualcosa che non dovrebbe prodursi; tutto dovrebbe svolgersi conformemente a ciò che è stato previsto e pianificato, rispondere alla normalizzazione del lavoro" (Zarifian, 2003). La visione disciplinare dell'organizzazione del lavoro, è antievenemenziale, anti-inventiva, poiché deve subordinare l'evento e l'invenzione alla riproduzione. Ma l'attività dell'impresa, in presa diretta con i clienti, non è più esclusivamente comandata dalla previsione e dalla pianificazione. L'instabilità, l'incertezza, la necessità di far fronte ai cambiamenti in tempo reale della clientela, penetrano in profondità nell'organizzazione del lavoro. Il lavoro diventa un insieme di "eventi, di cose, che accadono in maniera non prevedibile, e in eccesso a una situazione considerata come normale". La risposta all'emergenza dell'imprevisto, dell'incertezza degli avvenimenti è data dalla mobilitazione dell'attenzione individuale e collettiva a ciò "che accade, a ciò che è accaduto, e a ciò che accadrà" e significa invenzione, capacità di concatenamento, di combinazione, di scelta. Evento e invenzioni si distribuiscono lungo tutto il ciclo di produzione (dalla concezione del prodotto alla sua fabbricazione) e si concatenano con le routines, le abitudini, le operazioni codificate. Anche l'organizzazione del lavoro è letteralmente differenza e ripetizione, ma comandata dall'invenzione. Marx, nei suoi scritti più visionari, parla del lavoro non più come attività diretta alla trasformazione della materia, ma come attività di controllo sulla produzione. Ma nel capitalismo contemporaneo, controllo significa 'attenzione' agli eventi che si producono nel mercato, nella clientela così come nell'impresa e nella fabbrica: capacità di agire, di anticipare, di essere all"' altezza dell'evento". Ciò implica imparare dall'incertezza e dalle mutazioni, dunque, divenire attivi di fronte a ciò che è instabile, precario, e far fronte, insieme, a ciò che non si conosce ancora. Riassumendo la posizione di Zarifian sull'organizzazione del lavoro nelle imprese si potrebbe dire: dall'operazione all'azione, dal.lavoro d' équipe al lavoro 'in rete'.
Il capitale-clientela Secondo Zarifian la concorrenza fra le imprese ha come obiettivo la costituzione e la cattura di un capitale-clientela. Il mercato, non esiste nei termini in cui è descritto dall'economia politica e funziona invece come dispositivo di costruzione e di cattura dei clienti. Due 63
elementi sono centrali in questa strategia: la fidelizzazione della clientela, e la capacità di rinnovare l'offerta attraverso l'innovazione. Lo spazio di costituzione di questa strategia è un territorio informativo e comunicativo che trasforma la cooperazione tra cervelli in pubblici/ clienti. Cattura e fidelizzazione della clientela significano, nel nostro linguaggio, cattura dell' a,ttenzione, della memoria, cattura dei desideri e delle credenze (il sensibile) per la costituzione delle reti (i pubblici). "Il mercato scompare, il pubblico si afferma". Secondo Zarifian, ogni produzione è produzione di servizio, cioè trasformazione delle "condizioni di attività e di capacità di azione futura dei clienti, degli utenti", del pubblico, che, in ultima analisi, mira a produrre dei "modi di vita". I servizi non soddisfano la domanda, mal' anticipano, la creano. L'anticipazione e la creazione si fanno interamente nel campo del virtuale, mobilitando le risorse linguistiche, gli enunciati, le immagini, ecc. L'anticipazione dei servizi, attraverso il virtuale e i segni, offre il vantaggio, da un lato, di utilizzare tutte le proprietà del linguaggio, aprendo così all'esplorazione dei possibili, e, dall'altro, di lavorare in maniera comunicativa sul senso.
L'autonomia, la responsabilità e l'indipendenza della monade-lavoratore Se questa concezione dell'attività come evento, fa intervenire dei concetti della filosofia di Spinoza e di Deleuze, Zarifian utilizza invece, attraverso la mediazione di Tarde, la monadologia di Leibniz per pensare la soggettività dei lavoratori e le loro forme di cooperazione nel capitalismo contemporaneo. Anche nell'impresa contemporanea, la modulazione dei cervelli (controllo della memoria spirituale) si concatena con il modellamento dei corpi (addestramento della memoria corporale, che ha costituito l'essenza del taylorismo). L'impresa, non deve soltanto creare un mondo per il consumatore, ma anche un mondo per il lavoratore. Lavorare in un'impresa contemporanea significa appartenere e aderire a questo mondo, ai suoi "desideri" e alle sue "credenze". La neomonadologia permette di articolare la tesi che Zarifian vuole dimostrare: l'attività diviene, allo stesso tempo, più profondamente individuale e più profondamente collettiva. Come Tarde aveva già intuito, con Leibniz si possono evitare le aporie dell'individualismo e dell'olismo, perché il 'sociale' è incluso nella singolarità della monade. "La relazione dell'individuo con la sua attività tende a divenire una monade, una totalità in sé[ ... ] questa relazion~ 64
non è più vista come una frazione, funzionalmente determinata, della divisione organica del lavoro, ma diventa globale di per sé" (Zarifian, 2003). Come in Tarde le monadi-lavoratori sono aperte: dall'interno verso l'esterno e viceversa. Zarifian ha lavorato ultimamente sull'organizzazione del lavoro delle Poste francesi e prende come esempio un consigliere finanziario. Nel suo rapporto con il cliente-pubblico, l'attività del lavoratore deve far prova di autonomia, di responsabilità, di spirito di iniziativa e di decisione (Zarifian definisce in questo modo anche l'attività di lavoratori meno "qualificati": gli agenti dei call-centers, per esempio) per far fronte all'incertezza e alla imprevedibilità della relazione. Nel post-fordismo, la capacità di far fronte a quello che è accaduto, accade e accadrà, non caratterizza soltanto il lavoratore indipendente o autonomo, ma anche il lavoratore dipendente o subordinato. Si tratta di competenze di un numero crescente di lavoratori, senza distinzione tra lavoro salariato, lavoro dipendente e disoccupati. La relazione della monade (il consigliere finanziario, o l'agente del call-center) con un cliente è una singolarità inclusa in un universo, quello dell'azione commerciale della Posta. La monade è una "apertura dall'interno", nel senso che condensa in essa "degli obiettivi che la inglobano". L'universo dell'impresa "penetra nella monade, senza annullarne la singolarità. È, al contrario, questa singolarità, e solo questa singolarità, che permette all'universo globale dell'impresa di prendere senso, e di avere un'efficacia". In effetti, gli obiettivi sono definiti dalla direzione ma "riassorbiti, condensati e riformulati da ogni monadelavoratore, in un modo ogni volta unico e singolare" (Zarifian, 2003). Si tratta evidentemente dell'ideologia e del comando dell'impresa contemporanea, ma che esprime un cambiamento delle strategie dell'impresa e un cambiamento della soggettività dei lavoratori. È una situazione doppiamente ambigua: da una parte, è affermazione dell'autonomia, dell'indipendenza e della singolarità del lavoratore, dall'altra, è, contemporaneamente, cattura e subordinazione al mondo dell'impresa, poiché questo mondo è "interno alla situazione, al comportamento del soggetto". Per spiegare il controllo nelle imprese, Zarifian utilizza la metafora dell'elastico. Il lavoratore non è più chiuso nella prigione del posto di lavoro, ma è unito all'impresa tramite un elastico. "Il lavoratore può tirare liberamente sull'elastico: non è rinchiuso, può muoversi, spostarsi secondo le esigenze delle sue iniziative e delle sue capacità, delle proprie facoltà di giudizio. Ma ecco che l'elastico si tende: una forza periodica di richiamo si esercita su di
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lui. Deve rendere conto del risultato delle sue performances [... ]. Il calcolo si sposta: non si misura più direttamente il tempo di ogni mansione. Si calcola il montante del risultato su un periodo. La pressione del risultato da raggiungere sostituisce il cronometraggio dell'operazione elementare da compiere. Ma sarebbe falso pensare che il controllo si esercita in manie_ra discontinua. In realtà, è onnipresente. Il lavoratore deve pensarci continuamente e finisce per ossessionarlo, notte e giorno. Sa che sarà valutato a quella data, ma per riuscire deve automobilizzarsi in permanenza" (Zarifian, 2003). La situazione non è né migliore né peggiore della divisione taylorista del lavoro, è soltanto diversa, ed è questa diversità che bisognerebbe problematizzare. La distinzione tra attualizzazione nelle anime e incarnazione nei corpi vale anche qui. Le pratiche manageriali devono affrontare l'imprevedibilità del doppio incontro, nell'anima e nel corpo, che è proprio dell'evento; ed è possibile che anche qui, come abbiamo visto per i consumatori, si producano delle attese, delle frustrazioni, dei rifiuti dell'universo dell'impresa da parte dei lavoratori. Queste tecniche del controllo dell'anima non si sostituiscono alle tecniche disciplinari del corpo, ma si sovrappongono. La percentuale di controllo e di disciplina nell'esercizio del potere dipende dal livello della gerarchia in cui i lavoratori sono inseriti, dalle loro competenze e dal tipo di "produzione" in cui sono impiegati. Nelle società del controllo agiscono differenti dispositivi di potere che si concatenano gli uni sugli altri. I lavoratori sono implicati in relazioni di sfruttamento (anche se, come abbiamo visto, queste relazioni si ibridano con altre tecniche, non disciplinari), mentre i consumatori sono assoggettati a delle relazioni di potere che mirano a costruire un modello maggioritario di comportamenti, di valori, di forme di vita, di senso. Ogni individuo, essendo nello stesso tempo, lavoratore e consumatore, è preso in relazioni di potere eterogenee.
La finanza e le macchine di espressione Le macchine di espressione e di costituzione dei pubblici non agiscono soltanto nell'impresa, ma anche nella finanza. Lo stesso processo che abbiamo visto all'opera nella pubblicità, agisce anche nella fissazione dei corsi di borsa. La moneta è una possibilità di scelta, una potenza di valutazione, di direzione degli investimenti. Ma, la valutazione finanziaria, come sostengono anche gli ultimi lavori della 'Scuola della regola-
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zione', è un prodotto della logica dell'opinione e non solo l'effetto dei meccanismi oggettivi e impersonali del mercato monetario. La valutazione, le scelte finanziarie, dipendono dalla capacità di far emergere delle credenze condivise, laddove non esistono che modi differenti ed eterogenei di considerare l'avvenire, perché evidentemente l'investimento in borsa si basa sulle previsioni e si gioca interamente sul futuro, sul "cosa accadrà". Per spiegare le modalità di funzionamento dell'opinione pubblica in borsa, non faremo riferimento alla teoria della Scuola della regolazione, ma al pensiero di Gabriel Tarde, che sulla base della sua neo-monadologia, aveva, già un secolo fa, definito le borse come 'laboratori di psicologia sociale'. La quotazione in borsa presuppone la trasformazione dei giudizi individuali in giudizi collettivi. Secondo Tarde, la determinazione di un valore e di una valutazione si fa attraverso l'opinione, i cui fattori di evoluzione più importanti sono la stampa 1 e la conversazione. L'opinione, come ogni 'quantità sociale', deve essere compresa come interazione e appropriazione dei cervelli (monadi) che si rapportano tra di loro secondo la relazione di "dirigenti a diretti" (de meneurs à menés). L'opinione non è mai una semplice procedura, un meccanismo impersonale, un gioco di specchi sistemici, come vorrebbero gli economisti della Scuola della regolazione. Si parla d'opinione, dice Tarde, ma in realtà si tratta sempre di due opinioni, cioè ci sono sempre delle forze, delle monadi, che si oppongono o si accordano fra di loro, tramite relazioni unilaterali o reciproche. Ma allora come si costituisce l'opinione? In che modo i giudizi individuali diventano giudizi collettivi? "Non avviene certamente in maniera spontanea - dice Tarde - vista la diversità della gente e la complessità dei problemi. È stata esercitata una suggestione da parte di qualche ispiratore che, in ogni epoca, fa l'opinione esprimendola; c'è stata un'imposizione, attraverso dei despoti militari o civili, che, facendo violenza all'opinione, l'hanno creata, l'hanno co1 "Ciò che Saint-Beuve dice del genio,-il 'genio è un re che crea il suo pubblico', è soprattutto vero del grande giornalista. Quanti giornalisti vediamo creare il loro pubblicq! A dire il vero, perché Édouard Drumont suscitasse l' antisemitismo, è stato necessario che il suo tentativo di agitazione rispondesse a un certo stato di spirito disseminato nella popolazione; ma, fino a quando una voce non si è levata, che prestasse una espressione comune a questo stato di spirito, restava puramente individuale, poco intenso, e ancora meno contagioSf>, inconsciente di lui stesso. Colui che l'ha espresso l'ha creato come forza collettiva, fittizia e tuttavia reale". G. Tarde, L'Opinion et la Joule, PUF, Paris 1989.
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stituita. Rettifichiamo dunque: il vero governo è l'opinione di un gruppo di conduttori, o di un gruppo di terroristi militari o civili" (Tarde, 1989). Gli economisti della Scuola della regolazione riconoscono l' azione dei rapporti intercerebrali nella determinazione dei valori, ma danno dell'opinione un'immagine, pacificata, regolatrice, mutilata della passione dell'avere. A guardare le cose dall'alto, dice Tarde, si potrebbe vedere, nella fissazione dei prezzi, l'azione di una autorità esterna, impersonale, spontanea, che si impone agli individui. "Ma in realtà, se si entra nella spiegazione dettagliata e precisa, si vede che non ci sono prezzi che non siano stati fissati da qualche volontà dominante, che si è impadronita del mercato[ ... ] alla borsa è sufficiente una piccola élite che giochi al rialzo o al ribasso, per decidere la sorte di un valore. Il prezzo del grano, quotato alla borsa di Londra o di New York, è il risultato di un conflitto tra due eserciti di speculatori che giocano al rialzo e al ribasso, comandati da capi conosciuti e influenti in misura diversa, che impongono la legge a tutti" (Tarde, 1902). Anche qui, il mercato borsistico non esiste, o s'identifica nella cattura/ costituzione della clientela/ pubblico. La potenza di agire sull'opinione aumenta man mano che la società si dota di nuove tecnologie relazionali, man mano che le macchine di espressione si sviluppano: "Sembra, al contrario, che aumenti con i mezzi d'azione, la stampa, il telegrafo, il telefono, che il progresso della civiltà mette a disposizione degli individui influenti" (Tarde, 2003 ). Ma perché la finanza ha oggi un potere di scelta, di valutazione, di decisione sull'economia, tale da rovesciare il rapporto tra industria e finanza, caratteristico delle società disciplinari? La moneta è, allo stesso modo del linguaggio, l'esistenza del "possibile in quanto tale". La moneta è, da un certo punto di vista, una virtualità, una possibilità, ed è attraverso il controllo su questa virtualità che la finanza può controllare e catturare, più facilmente rispetto all'economia reale, il concatenamento della creazione dei possibili e la loro effettuazione. Nelle società di controllo, la moneta, in quanto capitale, rappresenta la colonizzazione, l'appropriazione della virtualità della moneta da parte dei capitalisti. E qui Tarde potrebbe esserci ancora utile, perché afferma che la moneta è innanzitutto una forza, nel senso che è una possibilità, una virtualità infinita, che tende alla sua attualizzazione. Se l'economia politica assomiglia a una fisica sociale, dice Tarde, non è soltanto in ragione della possibilità di quantificare le sue attività e i suoi prodotti,
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ma soprattutto in ragione dello scambio tra virtuale e attuale, che la moneta rende possibile. Nello stesso modo in cui i fenomeni fisici sono una conversione continua di energia potenziale in energia attuale, i fenomeni economici sono, per Tarde, uno scambio perpetuo tra moneta (virtualità) e ricchezza concreta (realizzazione). Quando la ricchezza si esprime in moneta, la forza di agire si 'virtualizza' e si moltiplica. La differenza tra il potere di agire della ricchezza materiale e il potere di agire della moneta, dice Tarde, corrisponde a quella tra l'attuale e il virtuale, tra il 'finito' e 'l'infinito' (Tarde, 1902).
L'impresa e la cooperazione tra cervelli Nel capitalismo della cooperazione tra cervelli, dire che il lavoro diventa affettivo, linguistico o virtuoso non è sufficiente, perché è la configurazione stessa dell'accumulazione e dello sfruttamento che si modifica radicalmente. L'economia capitalista non si struttura più secondo le sequenze temporali della produzione, del mercato e del consumo, come insegnano gli economisti e i marxisti. Prendiamo come esempio la più grande quotazione borsistica del mondo, Microsoft (la stessa cosa vale, con differenti gradi d'intensità, sia per la 'produzione' culturale, artistica o mediatica, sia, come abbiamo visto con Zarifian, per la produzione industriale più classica). L'economia politica e il marxismo ci descrivono il processo seguente: Microsoft è un'impresa che assume dei "lavoratori" (ingegneri informatici) che forniscono un prodotto o un servizio (programmi) che, in seguito, è venduto ai clienti sul mercato. Entra così in concorrenza con altre imprese e questa concorrenza sfocia in un monopolio. Partendo dalla neo-monadologia noi possiamo costruire una sequenza differente. Microsoft non si rapporta innanzi tutto al mercato e ai lavoratori, ma, tramite questi, alla cooperazione tra cervelli. E da qui che bisogna cominciare. La cooperazione tra cervelli esprime una potenza di co-creazione e di co-effettuazione che si afferma, in questo campo speçifico, come capacità di creazione e di diffusione di softwares (liberi). Essa non ha bisogno, per esprimere la sua potenza, dell'impresa e del capitaHsta come nell'economia descritta da Marx e da Smith. Al contrario, dipende, in principio, dallo sviluppo e dalla diffusione dei beni comuni, ossia dalla scienza, dai dispositivi tecnologici e dalle reti di comunicazione, dallo stato dei sistemi
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di formazione, del sistema sanitario e da tutti gli altri servizi che riguardano la popolazione. L'attività si esprime secondo le modalità proprie alla cooperazione fra cervelli: l'invenzione è sempre un concatenamento di una molteplicità di intelligenze, di saperi, di affetti, che circolano in un network che non è un tessuto omogeneo, ma un insieme di singolarità, di flussi e di pachtworks (le comunità del free sotfware e i singoli individui). La creazione e l'effettuazione dei programmi è una potenza di disgiunzione e di coordinazione della molteplicità dei flussi e di "monadi", tanto nella creazione, quanto nella effettuazione (diffusione), poiché concatena una molteplicità (di informatici) per creare un programma, ma anche una molteplicità (di utilizzatori), per effettuarla. Le funzioni di produttore e consumatore, radicalmente separate nell'economia politica, sono qui reversibili. La cattura, tanto nella creazione quanto nella effettuazione, è sempre reciproca, aperta all'imprevedibile, e, in principio, infinita. La cattura reciproca presuppone che tutte le monadi siano dei "collaboratori", anche se non tutte le monadi esprimono la stessa potenza di creazione e di concatenamento. La forma della creazione e della effettuazione è pubblica, perché si fa sotto gli occhi, i desideri e le credenze di tutti (sotto gli occhi, i desideri e le credenze della soggettività qualunque). La dimensione pubblica della cooperazione è garantita e difesa da una licenza (copy-left) che protegge la libertà di copiare, di modificare e di diffondere; e riconosce, allo stesso tempo, l'iniziativa individuale, singolare (il diritto morale di ogni inventore) e la natura pubblica dell'attività e dei prodotti (tutte le invenzioni costituiscono un fondo comune, libero e disponibile a tutti). In maniera completamente differente agisce Microsoft. I suoi vertiginosi profitti non si producono soltanto sfruttando i "lavoratori", come insegnano Marx e l'economia politica, ma derivano dalla costituzione e dal monopolio esercitato su una clientela. Il "lavoro" dell'impresa e dei suoi impiegati consiste nella cattura unilaterale che mira a trasformare la molteplicità dei "collaboratori" (monadi) in una molteplicità di clienti. I suoi impiegati (non soltanto gli informatici, ma anche quelli che lavorano al marketing, nelle lobbies che garantiscono il suo monopolio, ecc.), costituiscono un'interfaccia con la cooperazione tra cervelli, la cui attività consiste nella neutralizzazione e nella disattivazione della co-creazione e della CO-effettuazione della molteplicità. La potenza di concatenamento, invece di essere distribuita in maniera eterogenea tra i corpicervelli, è concentrata nell'impresa. 70
La forma immediatamente pubblica della cooperazione è negata dal segreto che regge la cooperazione nell'impresa (il brevetto) e dal segreto che regge la diffusione dei programmi nella cooperazione tra cervelli (il copy-right). La neutralizzazione e la cattura della potenza di co-creazione e di co-effettuazione si fonda sulla proprietà intellettuale e non sulla proprietà dei mezzi di produzione come nella cooperazione di fabbrica. La new economy, di cui Microsoft rappresenta il simbolo, non è pensabile senza, da una parte, l'industria di riproduzione che fabbrica le macchine e le infrastrutture su cui le invenzioni funzionano, e, d'altra parte, senza la molteplicità dei servizi alla persona (formazione, salute ecc.). Si potrebbe allora descrivere l'insieme di queste attività secondo la logica della divisione internazionale del lavoro. "Le pulci e l'hard-ware sono i prodotti di un'industria mondializzata le cui fabbriche si trovano nelle maquiladoras e le zone industriali del Messico, dell'America centrale, della Cina del sud, della Malesia, delle Filippine, di Taiwan o della Corea". E si potrebbe anche affermare che "la creatività del lavoro immateriale concentrata nel Nord globale si appoggia su uno zoccolo di lavoro pauperizzato nel Sud planetario" (Nick Dyer-Whiteford, 2002). Preferisco invece ritornare a ciò che Tarde ci ha suggerito nel primo capitolo: la gerarchia delle "funzioni cmporali e delle "funzioni intellettuali", del lavoro immateriale e del lavoro riproduttivo, del cognitariato e del lavoro materiale, non rende conto della dinamica delle società del controllo, perché è nel suo insieme che diventa "un grande cervello collettivo, di cui i piccoli cervelli individuali sono le cellule". Di modo che i piccoli cervelli di cui è costituito il grande cervello collettivo, comprendono sia gli ingegneri di Microsoft che gli operai delle catene di montaggio dei prodotti numerici. Il problema dunque non consiste soltanto nel mettere in relazione, l'immateriale con il materiale, la cui distribuzione ormai, non coincide più rigidamente con la divisione Nord-Sud (zone sempre più vaste di cognitariato emergono in Paesi come la Cina e l'India), ma di cambiare il concetto di attività. La natura dell'attività dei piccoli cervelli all'interno del grande cervello sociale, non è tanto definita dall'immaterialità, dall'intellettualità, dalla cognizione, ma dalla capacità di cominciare qualcosa di nuovo, cioè dalla capacità di costruire dei problemi e d'inventare e mettere alla prova le risposte alle domande così suscitate. Questa attività non è necessariamente specializzata. Il movimento dei ricercatori francesi dell'inverno 2004 apre pochi spazi alla creazione del possibile, e rischia, al contrario, di legit71
timare una nuova organizzazione del sapere gerarchica, elitaria e selettiva, mentre gli indiani analfabeti del Chiapas, fanno sorgere la sfera delle domande e delle risposte, in cui intervengono una molteplicità di soggetti che portano ciascuno la propria capacità di invenzione e di ripetizione (specializzata come quella di Marcos e i suoi amici universitari e quella profana o tradizionale degli indigeni), mettendo in gioco saperi eterogenei. Ogni individuo, dice Tarde (1902), ha la sua "piccola invenzione cosciente o incosciente" che aggiunge alla memoria sociale e possiede anche un "suo raggio imitativo, più o meno esteso "che è sufficiente a prolungare la sua scoperta al di là della sua effimera esistenza". Solo una distorsione etico-teorica, più o meno legata al concetto di lavoro, può ridurre l'attività di creazione e di effettuazione dei mondi à una attività cognitiva. La forza della cooperazione che si esprime nel free-sofware, non risiede tanto nella natura cognitiva dell'attività che si esercita al suo interno, ma quanto nella capacità di aprire lo spazio-tempo dell'invenzione, in cui la costituzione dei problemi e la creazione delle soluzioni, si fanno di maniera indipendente dalla logica dell'impresa e dello Stato. L'invenzione di nuove regole di diritto (copyleft) è in primo luogo uno strumento di difesa della potenza di creazione del possibile e della sua effettuazione. Microsoft è, al contrario, l'impresa che si arroga il diritto di definire i problemi e di conservare il segreto delle soluzioni, per il "bene dei clienti". La proprietà intellettuale ha una funzione politica, poiché determina, contro questa implicazione della molteplicità nell'evento, chi ha il diritto e i titoli alla creazione e chi ha il dovere e i titoli alla riproduzione. L'impresa e la relazione capitale-lavoro impediscono di cogliere la dimensione sociale dell'evento che caratterizza la produzione di ricchezza contemporanea, e determinano così delle forme di sfruttamento e di assoggettamento inedite. La disoccupazione, la povertà, la precarietà risultano direttamente dall'azione dell'impresa (e dalla politiche dell'occupazione), perché la cattura della produttività sociale, impone, innanzitutto, una gerarchia del sociale stesso che disconosce la sua natura evenemenziale. L'impresa sfrutta la società gerarchizzandola e costituendola in pubblici e clientele, sfruttando il concatenamento della creazione del possibile e della sua effettuazione. La risposta a queste nuove forme di sfruttamento e di cattura dei cervelli richiede la mobilitazione dei pubblici-clienti, come le 72
lotte contro i brevetti delle industrie farmaceutiche hanno dimostrato. Le lotte salariali sono relativamente impotenti contro l' organizzazione delle multinazionali contemporanee, perché, o le relazioni salariali sono largamente minoritarie, come nel caso di Microsoft, o sono concentrate al loro esterno (nelle unità di fabbricazione), come nel caso delle multinazionali farmaceutiche. Quello che non possono i salariati da soli, possono, forse, i clienti-pubblici. Nei paesi occidentali, gli ammalati di HIV, rompendo il ruolo loro assegnatoli di semplici consumatori-clienti, hanno imposto il loro sapere contro il sapere dei medici, la loro presenza e la loro partecipazione attiva ai processi di definizione delle finalità della ricerca e dei protocolli delle prove cliniche, contro il monopolio delle imprese farmaceutiche. Nei paesi del Sud, la mobilitazione si è organizzata facendo valere, contro l'arroganza dei grandi laboratori farmaceutici, il diritto di questi paesi di produrre nelle loro fabbriche i medicinali generici e hanno imposto i loro diritti alle importazioni parallele2 e alle licenze obbligatorie. Questo conflitto non ancora chiuso, è anche l'espressione della nuova frattura Nord/Sud nell'economia globalizzata: mentre l'attività delle imprese si polarizza nella Triade (Usa, EU, Asia) e nelle nuove economie emergenti, il potere che esercita il capitale globalizzato nei paesi del Sud, non è più identificabile soltanto allo "scambio ineguale", ma è immediatamente potere di decretare chi ha accesso ai saperi, chi ha diritto alla salute, alla formazione, alla vita, tramite il controllo sulla proprietà intellettuale. Dunque nella cooperazione delle soggettività qualsiasi, non è tanto la natura immateriale, quanto la forma etico-politica dell' attività e delle sue modalità di organizzazione che ci interessa: nello stessa maniera dei movimenti post-socialisti, le esperienze che abbiamo citato, non si limitano a dire "no", ma aprono uno spazio d'invenzione (istituzionale, economico, comunicativo), che non è specifico del lavoro definito come "immateriale" o "cognitivo".
2 Il sistema delle importazioni parallele riposa sul principio giuridico dell'"esaurimento dei diritti", secondo il quale il detentore X di un brevetto in un paese non può opporsi al fatto che questo paese importi lo stesso medicinale da un paese terzo dove il medicinale è meno caro. Le licenze obbligatorie: gli accordi prevedono che i diritti di un detentore di brevetti possono essere limitati, specialmente nei casi di interesse generale (estrema urgenza, salute pubblica ... ) o di pratiche anti-concorrenza. Uno stato ptiò, in queste condizioni, autorizzare un'impresa locale a produrre una medicina protetta da brevetto, senza versare le royalties.
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La creazione e la realizzazione dei beni comuni La cooperazione tra cervelli, differentemente dalla cooperazione di fabbrica smithiana e marxiana, produce dei beni collettivi, pubblici o comuni: la conoscenza, i linguaggi, la scienza, la salute, la cultura, l'arte, l'informazione, le forme di vita, le esperienze, la relazione con sé e con il mondo, e così via. È forse necessario distinguere tra beni pubblici e collettivi dell'economia politica e beni comuni. Questi ultimi, in effetti, non sono soltanto come l'aria, l'acqua, lanatura, beni di tutti, ma sono creati e realizzati secondo le modalità che Marce! Duchamp utilizza per parlare della creazione artistica. Secondo Duchamp, l'opera d'arte è, in effetti, per metà il risultato dell'attività dell'artista e per l'altra metà il risultato dell'attività del pubblico (colui che guarda, legge, ascolta). È la dimensione evenemenziale della produzione dei beni comuni che ci interessa. È questa dinamica 'artistica' (creazione/ pubblico) e non quella del rapporto produttore/ consumatore che è all'opera nella creazione e nella realizzazione dei beni comuni. Questi beni, a differenza dei beni "tangibili, appropriabili, scambiabili, consumabili", prodotti dalla relazione capitale-lavoro, sono, in principio, "intangibili, non appropriabili, non scambiabili e non consumabili" (Tarde, 1902). I beni comuni risultano dalla cocreazione e dalla co-realizzazione della cooperazione delle soggettività qualsiasi e sono, in principio, "gratuiti e tanto indivisibili quanto infiniti". Inappropriabile è il bene comune (conoscenza, linguaggio, arte, scienza, ecc.) che, assimilato da colui che lo acquisisce, non diventa una sua "proprietà esclusiva", ma trova la sua legittimità nella condivisione con gli altri. Solo i beni prodotti dalla relazione capitalelavoro implicano necessariamente un'appropriazione individuale, perché il loro consumo li distrugge, e li rende quindi impossibili a qualcun altro. I beni comuni invece, non possono che essere o miei o tuoi e il tentativo di metterli in comune fallisce sistematicamente di fronte alla natura dell'oggetto (che è in realtà non un oggetto, ma una relazione). Che un bene comune sia non scambiabile, deriva del suo carattere indivisibile e inappropriabile. Come insegna l'economia politica, ciascun individuo trova nello scambio economico il proprio tornaconto, alienando ciò che possiede. Nello scambio dei beni comuni, (le conoscenze, per esempio) colui che li trasmette non le perde. Al contrario, il loro valore aumenta tramite la loro diffusione e la loro condivisione.
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I beni comuni non sono neanche consumabili secondo i criteri stabiliti dall'economia politica. Solo lo scambio dei beni prodotti nella fabbrica di Marx e Smith porta a soddisfare i desideri tramite il "consumo distruttivo" (Marx) dei prodotti scambiati. Ogni consumo di un bene comune può entrare immediatamente nella creazione di una nuova conoscenza o di un nuovo capolavoro. Il consumo non è distruttivo, ma creatore di altre conoscenze, di altri capolavori. La circolazione diventa il momento fondamentale del processo di produzione e di consumo. Le regole della produzione, della circolazione e del consumo dei beni comuni non corrispondono a quelle della cooperazione di fabbrica e della sua economia. Il marxismo e l'economia politica entrano in crisi perché la creazione e la realizzazione dei beni comuni, che hanno nel capitalismo contemporaneo la stessa importanza che la produzione materiale aveva nel capitalismo industriale, non sono più spiegabili dai loro concetti di cooperazione. La relazione capitale-lavoro (l'impresa), come abbiamo visto con Microsoft, è, al contrario, lo strumento fondamentale per ridurre i beni comuni a beni privati, per negare la natura sociale della "produzione", per trasformare i "collaboratori" (monadi) in clienti, per imporre alla cooperazione tra cervelli, la cui azione, in principio, è "indivisibile e infinita", la logica propria all'economia politica: la scarsità. Un'ultima osservazione. I beni comuni sono il risultato di una cooperazione pubblica, ma non statale. Stiamo in effetti assistendo all'emergenza di una sfera di produzione e di circolazione dei saperi che non dipende direttamente dallo Stato. La creazione, la socializzazione e la ripartizione di questi beni eccede l'intervento della "potenza pubblica". Si tratta di una novità radicale perché mette in crisi la classica opposizione tra privato e pubblico.
Free: libero o gratuito ?3 Il capitale globalizzato si presenta oggi come proprietario e gestore di portafogli di titoli di "proprietà intellettuale". Miche! Vivant fa notare che se la funzione del diritto è stata spesso quella di gestire la scarsità, _oggi, con le nuove leggi sulla proprietà intellettuale, sembra piuttosto produrla. Il capitale è oggi, il principale produttore della scarsità attraverso la "recinzione dei beni comuni". 3
Mi permetto di rinviare ancora a A. Corsani e M. Lazzarato, La fui te par la
libertè dans l'invention du logiciel libre, di prossima pubblicazione.
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Se l'economia è la scienza dell'allocazione ottimale delle risorse scarse, e se oggi la scarsità non è una condizione naturale, ma un prodotto del diritto, bisognerebbe allora cominciare a pensare la ricchezza a partire dalla logica dell'abbondanza propria dei beni comuni. L'ambiguità che porta con sé il termine inglese che distingue un programma libero da un programma proprietario - free software -, potrebbe essere un angolo d'attacco di questi problemi, che superano di gran lunga la questione dei programmi liberi. Il termine inglese free, rinvia a due concetti differenti: libero e gratuito. Le comunità del libero insistono sul fatto che un programma libero si definisce attraverso la libertà, piuttosto che attraverso la gratuità. L'accesso gratuito a un programma proprietario accresce la dipendenza dell'utilizzatore dalla gamma di programmi proposti dall'impresa produttrice, mentre l'accesso, anche pagante, a un servizio di programmi liberi, produce le condizioni della sua indipendenza. Un programma libero mette l'utilizzatore in una situazione potenziale - poiché domanda un impegno specifico dell'utilizzatore - di libertà e di indipendenza. Un programma proprie_tario, anche se gratuito, mette l'utilizzatore in uno stato di dipendenza e di passività. Non è dunque la gratuità che è importante, ma la possibilità che apre il free-software di accedere, di modificare e di diffondere il codice sorgente. Le modalità di cooperazione, di creazione e di diffusione delle comunità del free-software, portano con sé delle pratiche che mirano alla distruzione del cliente e alla creazione delle condizioni del suo diventare attivo (una etica della cooperazione tra cervelli!) e costituiscono una alternativa radicale alle strategie delle imprese che agiscono, al contrario, in vista di costruire il cliente e di determinare le condizioni della sua dipendenza e della sua passività. Se, dal punto di vista dell'attività e della passività, la distinzione tra libertà e gratuità è chiara, la loro separazione - libertà senza gratuità - può essere compatibile con un'economia dei beni comuni? La scienza economica ci insegna che ogni bene abbondante non ha prezzo, poiché il prezzo è la misura della scarsità. Noi abbiamo cercato di dimostrare che in assenza di un regime proprietario, la conoscenza non può essere assimilata a un bene raro, perché è un "bene" indivisibile, non scambiabile, non consumabile, incommensurabile. La conoscenza non è un bene rivale e dunque, in principio, sfugge alle regole dell'economia. Ci semb.ra allora legittimo domandarsi se la gratuità non sia il fondamento adeguato in un'economia dell'abbondanza. Che la rie76
chezza sia gratuita, non significa però che la sua creazione non costi niente. Gratuito significa soltanto che la sua misura e la sua distribuzione non possono essere fondati sulla scarsità, cioè sulle regole dell'economia. La discussione sul senso del termine inglese free, sfocia su due concezioni differenti delle ricchezza, quella che si esprime nei beni scarsi e quella che si esprime nei beni comuni. Questi due concetti di ricchezza rimandano a due principi eterogenei di misura e di ripartizione. Il principio del copyleft si limita a difendere la libera circolazione della conoscenza e afferma cha la questione della ricchezza non rientra nelle sue competenze. Se, come abbiamo visto, crea localmente le condizioni per un'economia dell'abbondanza, non dice niente sulla natura, la misura e la ripartizione della ricchezza dei beni comuni di cui organizza la libera circolazione. Ma la proprietà intellettuale è contemporaneamente, un dispositivo giuridico per controllare la creazione e la circolazione del sapere e un modo di ripartizione della ricchezza che la creazione e la diffusione di una invenzione o di un'opera, generano. Allora, il problema che le comunità del libero evitano di porsi, resta intatto, poiché, oggi, la creazione e la circolazione dei saperi e la creazione e la circolazione della ricchezza tendono a coincidere. Come qualificare allora la ricchezza prodotta dai beni comuni? Quale potrebbe essere la misura di un bene indivisibile e incommensurabile? Come calcolare i costi di un bene comune, se come abbiamo visto, le condizioni della produzione rimandano a altri beni comuni come la formazione, la salute, la scienza, etc.? Su che basi stabilire la distribuzione di una ricchezza la cui produzione dipende dalla cooperazione e dall'invenzione di una molteplicità di "produttori" e di "utilizzatori"? Interrogare la nuova natura della ricchezza è un atto politico perché, come dice Marx, significa "spogliarla della sua forma borghese", riconoscere che non è fondata unicamente sul lavoro produttivo (sul lavoro subordinato ·che produce capitale), ma anche sull'attività qualunque, sull'azione libera; che implica non soltanto l'attività, ma anche la capacità di sottrarvisi (il tempo vuoto, l'ozio di Paul Lafargue); çhe presuppone non soltanto la soggettivazione e la dimensione comune che la rende possibile, ma anche, l'atto di desoggettivazione e l'invenzione singolare.
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Le lotte sui beni comuni La riduzione della cooperazione delle soggettività qualsiasi a pubblici/ clienti, riguarda anche tutte le attività delle industrie culturali e della comunicazione (appropriazione delle forme di comunicazione verbale e non verbale, delle forme di vita, dei linguaggi, delle esperienze artistiche ecc.). Nello stesso modo in cui il capitalismo industriale si appropriava delle risorse naturali e della forza lavoro, sfruttandole per produrre delle merci, così il capitalismo contemporaneo cattura gratuitamente le risorse culturali e artistiche, asservendole alla logica del profitto. L'industria del turismo, prima industria mondiale per addetti e fatturato, è quella che, assieme con le industrie dello spettacolo e della comunicazione, è più avida di risorse culturali (tradizioni, forme di vita, rituali, visioni del mondo ecc.) ed artistiche (festival, teatro, opere di ogni genere ed epoca). Un immenso lavoro gratuito è attivato e sfruttato senza alcuna contropartita finanziaria. I beni comuni e pubblici (le opere d'arte, l'architettura, i paesaggi naturali, i centri storici delle città) sono colonizzati dall'industria del turismo che se li appropria gratuitamente, facendoli cambiare di statuto: da 'patrimonio dell'umanità' a suo proprio patrimonio privato. Basta attraversare un centro storico di una città europea per rendersi conto di come avviene la trasformazione dell'esperienza del tempo e dello spazio urbano in merce; o partire in vacanza (per Tarde, già alla fine del XX secolo, il paradigma del consumatore è il turista) per capire come il capitalismo opera la cattura dell' esperienza del rapporto con la natura, con le altre culture, con le altre tradizioni, con altre forme di vita. Durante il movimento degli intermittenti dello spettacolo in Francia si è prodotto un fenomeno curioso: gli albergatori e i commercianti di Aix-en-Provence hanno sporto denuncia contro X, perché la chiusura del festival di arte lirica, decretata dal suo direttore a causa dello sciopero dei lavoratori dello spettacolo, ha fatto perdere il 30 per cento del fatturato all'industria locale del turismo, che sfrutta a suo esclusivo profitto l'esperienza del rapporto all'arte. Ma è nella creazione e nella circolazione dei saperi e delle conoscenze che l'appropriazione, la privatizzazione, e lo sfruttamento, dei beni comuni si rivelano più efficaci e più redditizi. Riprendiamo l'esempio del free software. Se non si integrano i due significati della parola "free" (libero e gratuito) come abbiamo già proposto, rischiamo di assistere, impotenti, all'appropriazione dei beni comuni secondo la logica della distribuzione asimmetrica del potere che regge 78
l'economia capitalista. Più affidabili, più adattabili, più efficaci dei privati, i programmi free entrano gratuitamente nei dispositivi informatici delle imprese, e in quelli, sempre più numerosi, delle amministrazioni dello Stato, contribuendo ad aumentare la loro produttività (l'alleanza tra il Giappone, la Cina e la Corea per lo sviluppo di programmi liberi contro la politica Microsoft è l'ultima e più importante iniziativa di questo genere). Ora, i difensori dei programmi liberi affermano che si tratta del prezzo da pagare per garantire la libera circolazione dei saperi e delle conoscenze. Ma nelle condizioni dell'economia contemporanea, gli individui, da un lato, e le imprese e gli Stati, dall'altro, non hanno la stessa capacità d'appropriazione. L'impresa ha dei poteri di cattura - garantiti dalla sua potenza finanziaria, dalle legislazioni nazionali e internazionali, dalle sovvenzioni dello Stato, che puntano tutte a riprodurre la logica dell'impresa e del suo doppio: l'occupazione - che non sono paragonabili ai poteri di cattura degli individui e delle loro reti. La libera circolazione dei saperi determina, nelle condizioni del1'.economia della scarsità, una asimmetria nella capacità di cattura della ricchezza prodotta socialmente dalla cooperazione tra cervelli. Battersi contro questa cattura asimmetrica non significa soltanto denunciare la mondializzazione e la mercificazione, rivendicando che i beni comuni non siano inclusi negli accordi sul commercio mondiale. Non si tratta soltanto di salvaguardare i 'servizi' così come sono stati pensati e organizzati in funzione della produzione fordista, ma di reinventarli come espressione della cooperazione delle soggettività qualsiasi e delle sue modalità evenemenziali di costituzione. Battersi contro l'appropriazione dei beni comuni è far emergere le condizioni specifiche e singolari della co-creazione e della co-effettuazione della cooperazione tra cervelli. Significa produrre una nuova concezione della ricchezza e della sua distribuzione e rivendicare nuovi diritti, per rendere esplicito il fatto che le modalità, le regole, le soggettività, i dispositivi tecnologici della creazione e della realizzazione dei beni comuni, non sono gli stessi della 'produzione' e del' consumo' della produzione industriale. Le lotte conteIIJ.poranee fanno emergere ciò che esiste solo virtualmente nella cooperazione, attraverso degli atti di resistenza e di creazione. Ciò che era soltanto virtuale, diventa, attraverso la lotta, possibile; ma un possibile che bisogna, adesso, effettuare, riconcatenando ciò che esiste secondo modalità e finalità che nascono nelle pratiche di resistenza stesse. 79
I soggetti, i contenuti dell'azione, le forme dell" essere insieme' e dell"essere contro', si costituiscono nel processo di effettuazione di ciò che l'evento della lotta ha attualizzato come possibile. I soggetti non preesistono all'evento. L'azione politica di effettuazione (costituzione delle quantità sociali) è, a sua volta, una nuova invenzione, una nuova individuazione e non 4n semplice riconoscimento o svelamento della natura della cooperazione. La cooperazione tra cervelli è un "oggetto" che è già dato solo nelle forme dello sfruttamento, della dominazione e dell' assoggettamento, ma che bisogna costruire ed esprimere come nuova posta in gioco politica, facendo emergere delle nuove domande e dando delle nuove risposte. Quali diritti, quale ricchezza e quale distribuzione, quali forme di espressione dell" essere insieme', sono adeguate alla cooperazione delle soggettività qualunque? È quindi nel processo di costruzione e di espressione evenemenziale della cooperazione, e non nella semplice denuncia della mercificazione, che bisogna inventare i dispositivi concreti che permettano di opporsi all'appropriazione privata della ricchezza sociale. Le lotte dei professori della scuola e degli intermittenti dello spettacolo nella primavera e nell'estate del 2003 in Francia, e le lotte dei ricercatori nell'inverno 2004, non sono soltanto delle nuove lotte salariali. Non si sono costituite soltanto sul rapporto di subordinazione (salariale e giuridica) a un padrone privato o pubblico, ma interrogano la natura della creazione e della realizzazione dei beni comuni (la cultura, l'educazione, la ricerca) e la funzione di co-produzione esercitata dai pubblici (allievi, spettatori, pazienti ecc.). Pongono il problema dei dispositivi istituzionali e tecnologici necessari alla creazione e alla distribuzione della ricchezza comune; del loro finanziamento e del diritto d'accesso di tutti alla cooperazione tra cervelli e alle sue tecnologie. Queste lotte interrogano anche i "processi di produzione della soggettività", per dirlo con Guattari, che la scuola, la produzione culturale, mediatica e artistica, organizzano. L'ostacolo maggiore che le lotte contemporanee incontrano è la volontà di contenerle nella relazione capitale-lavoro, nelle forme d'organizzazione, di rivendicazione, di mobilitazione e di militanza già codificate secondo i principi della cooperazione di fabbrica, del suo concetto di lavoro e di ricchezza; secondo le divisioni tra economia e società, struttura e sovrastruttura, che questa relazione implica. Se si resta all'interno della relazione capitale-lavoro e delle sue possibilità già codificate non si ha la capacità di porre nuovi problemi, né di inventarsi delle nuove risposte, perché si conoscono già sia gli uni che le altre.
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I sindacati e le organizzazioni che si rifanno ai contenuti e alle modalità d'azione del movimento operaio, nel momento in cui denunciano la mercificazione, contribuiscono a riprodurre, in realtà, il potere dell'impresa sulla cooperazione sociale. Le lotte contemporanee sono un atto politico radicale, solo quando sfuggono alla codificazione della relazione capitale-lavoro, e quando affermano e sviluppano le possibilità della cooperazione tra cervelli, che attualizzano e inventano contemporaneamente. Il riferimento alla cooperazione della soggettività qualsiasi è anche la condizione per dare un nuovo senso e dei nuovi obiettivi alle lotte nell'impresa e nella fabbrica, poiché queste stesse sono bloccate dalla logica della relazione capitale-lavoro. I movimenti del dopo '68 hanno già fatto emergere dei nuovi possibili, che ogni nuova lotta interroga e arricchisce, moltiplicando i problemi e le risposte. Piuttosto che di parole d'ordine, si tratta di pratiche, di dispositivi, di learning collectifs, aperti all'imprevedibile della loro effettuazione: inventare nuove modalità dell'attività che si sottraggano al legame di subordinazione al lavoro (pubblico o privato) e che siano finalizzate alla creazione e alla realizzazione dei beni comuni e non allà valorizzazione dell'impresa; dissociare la remunerazione dall'impiego affinché sia garantito a tutti l'accesso a temporalità non assoggettate; dirottare la potenza di finanziamento del bio-potere (welfare), che mira a riprodurre la subordinazione al lavoro (workfare), verso il finanziamento degli individui (soggettività qualunque) e delle infrastrutture di creazione dei beni comuni; costruire le condizioni per neutralizzare la divisione tra invenzione e riproduzione, tra creatori e utenti, esperti e non esperti, imposta dalla gestione della proprietà intellettuale; integrare la molteplicità dei soggetti che partecipano allo sviluppo della cooperazione tra cervelli in un nuovo concetto di democrazia che li trasformi da clienti, utenti, disoccupati, precari ecc., in attori politici di una nuova sfera pubblica non statale.
Il capitalismo e i modi di vita ignobili Tiriamo qualch_e conclusione generale. Le differenze che abbiamo cercato di mettere in evidenza, con le teorie che adottano il paradigma del soggetto-lavoro, sono molto importanti. In generale, si potrebbe dire che qui non è solo il lavoro 'produttivo' (comandato, subordinato) che è sfruttato, ma il concatenamento della differenza e della ripetizione; è il concatenamento della creazione dei possibili
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e della loro effettuazione, di cui la fabbricazione è una delle modalità, che è oggetto dell'appropriazione capitalistica. Il lavoro produttivo, come lo intendono i marxisti e gli economisti, è integrato in questo concatenamento, e non ne costituisce che una parte. Alla 'produzione' partecipano una molteplicità di soggetti all'interno e all'esterno dell'impresa (lavoratm:i, consumatori, pubblici, ecc.) che sviluppano una molteplicità di attività eterogenee. Più profondamente, bisognerebbe ripensare la categoria di lavoro - singolarmente ristretta e mutilata dagli economisti e dai socialisti, che la considerano sempre come attività subordinata e mossa dall'imprenditore - e distinguere tra l'attività di invenzione e l'attività di riproduzione. Si tratta, in sostanza, di ripensare il lavoro, partendo dall'attività 'libera', indipendente, che precede la sua subordinazione, partendo dall'attività della soggettività qualunque. La cooperazione tra cervelli non è un coordinamento di attività specializzate; non rinvia, in primo luogo, al cognitariato o ai lavoratori immateriali. Essa esprime la potenza di ogni individuo, colto o analfabeta che sia, in quanto molteplicità: la mobilizzazione dell'intelligenza (credenze) e della volontà (desideri), attraverso l'attenzione. Nello stesso modo, nella cooperazione delle soggettività qualsiasi, l'invenzione non è l'opera di grandi uomini e non è rappresentata esclu53ivamente dalle grandi idee, ma è piuttosto il risultato di una collaborazione e di un coordinamento di una moltitudine di agenti allo stesso tempo sociali e infinitesimali, e delle loro idee "raramente gloriose, in generale anonime", spesso apparse in uomini modesti, e anche di piccole idee, innovazioni infinitesimali aggiunte da ciascuno all'opera comune" (Tarde, 1999a). Tarde ci mette a disposizione qualche categoria per definire questa 'attività libera', indipendente dalla mobilitazione dell'imprenditore. Essa può essere situata all'interno di uno spettro che va dall'attività dell'automa all'attività del genio. Possiamo passare per variazioni infinite e infinitesimali dall'automa al genio. Ciò che è implicato, messo all'opera, in un caso come nell'altro, è la memoria e il suo conatus: l'attenzione. Nell'attività dell'automa, l'attenzione è completamente assorbita nella realizzazione dell'azione finalizzata, e la memoria è piuttosto un'abitudine inscritta nel corpo. La soggettività è qui un automatismo, un centro di azione che riceve e trasmette dei movimenti poiché la memoria coincide con la memoria senso-motrice. Nell' attività del genio, al contrario, l'attenzione non è più catturata, subordinata all'azione finalizzata, e la memoria si interpone tra l'azione e
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la reazione, come indeterminazione e scelta, in vista di elaborare qualcosa di nuovo. La memoria qui non coincide più con la memoria senso-motrice, non è più un'abitudine, un automatismo, ma memoria intellettuale, capace di accogliere l'eterogeneità e di inventare. Secondo Tarde, dunque, bisogna separare radicalmente il lavoro e l'invenzione; soltanto una volta stabilita questa distinzione, si potrà vedere, all'interno del lavoro industriale, come in quello intellettuale o artistico, in quali proporzioni l'invenzione (produzione), e il lavoro (riproduzione), la creazione e l'imitazione, concorrono a definire le differenti attività. Il lavoro, così come è interpretato dagli economisti e dai marxisti, è la cattura di quest'azione 'libera', e deve essere compreso al1' interno di questa nuova griglia di lettura. Nel sintagma marxiano di 'lavoro vivo', ciò che bisogna criticare non è soltanto il concetto di 'lavoro', ma anche il concetto di 'vivo'. Quest'ultimo, infatti, rinvia alle facoltà del soggetto della filosofia classica tedesca, piuttosto che al concetto che abbiamo trovato nei biologi: la memoria che conserva e che crea. Differentemente dal lavoro industriale che agisce principalmente sulle forze fisiche (o chimiche), l'azione della memoria agisce sulle forze 'psicologiche' (il sensibile), grazie alla capacità di 'imprimere' e 'ricevere l'impronta' dei desideri e delle credenze degli altri cervelli. Nel paradigma della creazione del possibile, l'attività della memoria si distingue dal lavoro non soltanto perché crea il sensibile, ma anche perché concatena, in maniera inseparabile, l'attività di invenzione, di differenziazione, e l'attività ripetitiva, riproduttiva, in quanto potenze del tempo. La memoria possiede, nello stesso tempo, la facoltà di creare qualcosa di nuovo (un'immagine, una sensazione, un'idea) e la facoltà di riprodurla all'infinito: il "perpetuo potere di riprodurre delle immagini, delle sensazioni, delle idee" (Tarde, 1902). La memoria non si sviluppa e non si socializza secondo le modalità dell'oggettivazione del1' attività del soggetto, descritte dalle differenti teorie del lavoro. La memoria ha una particolarità che può esteriorizzarsi senza alienarsi. Una scoperta, un'in_venzione si incarna, contemporaneamente, dentro di noi, nella nostra memoria nervosa o muscolare, "sotto la forma di un cliché mentale, di un'abitudine acquisita, di una nozione o di un talento, e, fuori di noi, in un libro o in una macchina" (Tarde, 1902). La memoria può operare questa specie di doppia incarnazione, interna ed esterna. La possibilità di potersi socializzare senza alie-
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narsi è il fondamento della specificità dei beni comuni - "intangibili, inappropriabili, non scambiabili, non consumabili" - e della loro economia dell'abbondanza. Anche se, come vuole Marx, partiamo dall'elemento soggettivo, cioè dalla merce, arriviamo sempre all'esaurimento del paradigma del soggetto-lavoro, poiché la merce non è più una cristallizzazione del tempo di lavoro dell'operaio nel senso marxiano del termine, ma è, da una parte, cristallizzazione di eventi, di invenzioni, di conoscenze; e, dall'altra, cristallizzazione dell'attività che li riproduce, che deve essere anche considerata a sua volta, come una serie di invenzioni, di eventi, di conoscenze. Nelle società di controllo le alternative che si aprono sono ancora più radicali e drammatiche di quelle che offrivano le società disciplinari. In parte, perché i modi capitalistici, le forme di vita che ci offre la società capitalistica sono delle possibilità 'ignobili'. I differenti stili di vita, la proliferazione dei possibili, sono, in realtà, una variazione dell'identico. I modi di vita offerti dal capitalismo producono un'omogeneizzazione, e non una singolarizzazione dell'individualità. La creazione dei possibili non è aperta all'imprevedibile dell'evento, ma è codificata secondo le leggi dei modelli maggioritari e della valorizzazione capitalistica. I modi di soggettivazione non rinviano all'infinità di 'mostruosità' che sono al fondamento dell'animo umano, ma sono limitati alla soggettivazione del1' uomo bianco, della classe media, espressa in maniera caricaturale e criminale dai neo-conservatori dell'attuale amministrazione americana. Il canovaccio delle modulazioni e delle variazioni della società del controllo è l'uomo medio, la media dei desideri e delle credenze della molteplicità assoggettata, un concetto, cioè, 'maggioritario' di soggettività. D'altra parte, il modo di vita occidentale, il way of life americano, non può più essere generalizzato alle popolazioni del mondo, perché implicherebbe, fra l'altro, una distruzione ecologica del pianeta. Il capitalismo non può più presentarsi come universale; la sua potenza espansiva trova dei limiti che riguardano precisamente i suoi modi di vita. Gli occidentali non possono più imporre, come gli americani dopo la II Guerra Mondiale, un piano Marshall al mondo intero, che sia una riproduzione allargata del loro stile di vita; ogni generalizzazione presuppone una messa in discussione radicale di questi stessi stili di vita. Se, come vuole il sanguinario presidente degli Stati Uniti, il 'modo di vita americano' non si tocca, non resta 84
allora che preparare la guerra. I paragoni con l'imperialismo romano sono spesso fallaci, perché qui non si prepara la guerra per la pace, ma per conservare gli stili di vita occidentali a spese della maggior parte degli abitanti del pianeta.
Le funzioni anti-produttive del capitalismo contemporaneo Il capitalismo, come produzione dei modi di vita, di mondi possibili, è in realtà una potenza di anti-produzione e di distruzione della cooperazione tra cervelli, e delle sue condizioni biologiche, sociali e intellettuali di esistenza, da diversi punti di vista. Innanzitutto è distruzione della potenza di creazione e di riproduzione delle singolarità individuali e collettive, poiché continua a misurare il processo di costituzione della differenza a partire dal lavoro. Disoccupazione, precarietà e povertà non possono essere qualificate come mancanza di lavoro. Disoccupazione, precarietà e povertà sono delle procedure di distruzione della potenza di invenzione e di ripetizione, sono, cioè, delle procedure di distruzione delle condizioni soggettive del processo costitutivo della differenza. Ciò che è in gioco non è l'impiego, il lavoro, ma la "potenza virtuale di creazione" O. Beuys) di ciascuno, dell'indiano delle comunità povere del Chapas, come delle comunità di ricercatori delle società ricche occidentali. "Eliminare il genio è la loro preoccupazione manifesta; potremmo disinteressarcene se fosse in causa soltanto il genio, ma non è solo il genio, è la nostra originalità individuale, la nostra genialità individuale, è la sua efficacia, la sua esistenza stessa che sono messi in discussione; poiché tutti, in una maniera o nell'altra, gli individui più oscuri, come i più celebri, inventiamo, perfezioniamo, produciamo delle variazioni, e nello stesso tempo imitiamo; e non c'è nessuno che non abbia lasciato un segno profondo o impercettibile, dopo aver vissuto, nella sua lingua, nella sua religione, nella sua scienza, nella sua arte" (Tarde, 1898). Il paradigma del 'lavoro-impiego', da una parte, legittima l'appropriazione, in maggior parte gratuita, della molteplicità delle relazioni costitutive dei mondi, senza alcuna distinzione tra lavoro e non lavoro, tra lavoro e vita, tra occidente e resto del mondo; dal1' altra parte, organizza e legittima la distribuzione dei redditi soltanto a partire dall'esercizio di un impiego, dalla subordinazione dell'attività a un padrone pubblico o privato. È in questa differenza tra la predazione della ricchezza prodotta da una eterogeneità di soggettività e di concatenamenti, e la sua di-
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stribuzione, regolata ancora dal lavoro, che c'è una produzione di surplus. Il problema non è affermare la fine del lavoro o, all'inverso, annunciare che tutti lavorano, ma di cambiare i principi di valutazione, cambiare la maniera di concepire il valore del valore, per usare la definizione di Nietzsche. Il capitalismo contemporaneQ è distruttore della cooperazione tra cervelli anche da un altro punto di vista, perché trasforma le sue attività di creazione in inquinamento dei cervelli (Felix Guattari). Le attività che attualizzano il pubblico sono delle funzioni anti-produttive perché, subordinando la costituzione dei desideri e delle credenze agli imperativi della valorizzazione e alle sue forme di soggettivazione maggioritarie, producono un impoverimento, un'omogeneizzazione della soggettività, che ci offre uno spettro di possibilità che va dalla' soggettività lusso' alla' soggettività spazzatura'. Le funzioni di anti-produzione manifestano tutta la loro potenza di inquinamento dei cervelli, perché implicano direttamente il sensibile, il senso e il vivente (la memoria).
La natura della cooperazione tra cervelli Né le teorie socialiste né le teorie liberali possono organizzare e rispettare le condizioni della cooperazione tra cervelli senza distruggerle, senza produrre degli effetti antiproduttivi. Né la praxis e i suoi 'tutti collettivi' (la classe, il valore, il lavoro), né il paradigma liberale, con il suo trittico libertà individuale-mercato-proprietà, possono cogliere le modalità di costituzione della cooperazione delle soggettività qualsiasi. Quali sono queste condizioni? La dinamica della cooperazione è data dall'evento che apre all'imprevedibile, sia quando crea qualcosa di nuovo, sia quando la molteplicità lo effettua. Queste modalità di azione sono rischiose, non pianificabili, aprono all'indeterminazione del loro risultato, e quindi sono fragili, delicate e domandano come loro presupposto la 'fiducia'. La co-creazione e la co-effettuazione implicano la simpatia e la possessione reciproca, anche perché le monadi sono tutte dei 'collaboratori', malgrado esprimano delle potenze di agire differenti. Nella teoria della molteplicità tardiana, le monadi, si rapportano le une alle altre secondo due modalità: la prima è definita dal rapporto di 'belligerante a belligerante', o di rivale a rivale; la seconda, dal rapporto di' collaboratore a collaboratore' (Tarde, 1884).
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I rapporti di rivalità e di collaborazione sono sempre più o meno contemporaneamente presenti nell'azione, ma è tramite la simpatia, l'assistenza reciproca e la collaborazione, tramite la fiducia, la philia, che la creazione avviene. L'essere insieme della cooperazione è un sentire insieme. L'amicizia, il sentimento di fraternità, di pietas sono l'espressione della relazione simpatetica che è necessario presupporre per spiegare la dinamica della creazione del possibile e della sua effettuazione (Tarde, 2001). II management delle imprese contemporanee, deve tener conto del fatto che l'invenzione non si comanda e che soltanto la fiducia, la simpatia e l'amore sono propizi alla co-creazione e alla co-relizzazione delle monadi.
Ibridazione, incontro, interferenza La simpatia, la fiducia, l'appropriazione reciproca sono i presupposti della costituzione del socius, perché il meccanismo che la fa evolvere non è la contraddizione, ma la differenza. La differenza sviluppa la sua potenza di creazione e di costituzione attraverso la co-creazione e la co-effettuazione simpatetica, e non attraverso la contraddizione e la coordinazione degli egoismi. Due termini contrari possono superare la loro contraddizione soltanto attraverso la vittoria definitiva di uno dei due, mentre due termini differenti possono combinare la loro eterogeneità attraverso l'ibridazione. La fecondità della logica di differenza risulta dalla capacità che possiede di far incontrare, di fare coprodurre o coadattare delle forze eterogenee, che non si oppongono secondo la logica dei contrari. Stabilendo una nuova modulazione delle loro relazioni, scoprono una "via non ancora tracciata" che permette loro di utilizzarsi reciprocamente.
La soggettività della monade La soggettività neo-monadologica, che si esprime nella cooperazione tra cervelli, si rapporta all'attività non secondo le categorie del lavoro, della praxis, ma secondo il processo di creazione dei possibili e della loro effettuazione. La soggettività qualunque distingue, da una parte, l'invenzione dalla ripetizione, e, dall'altra, la gioia dalla tristezza che si esprimo-
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no in queste modalità differenti dell'agire. Queste distinzioni mi sembrano importanti per comprendere i comportamenti soggettivi delle "monadi" contemporanee. In ogni attività, materiale o immateriale che sia, la soggettività distingue tra la gioia che si esprime nell'invenzione e nella cooperazione, e la tristezza che si esprime nel lavoro di ripetizione standard,.izzato, omogeneizzante. La dinamica del fenomeno economico non trova la sua esplicazione nella sete d'arricchimento, né nell'evitare il dolore e nel ricercare il piacere, ma piuttosto nello sforzo, continuamente rinnovato, di evitare la tristezza della riproduzione omogenizzante e di aumentare la gioia dell'invenzione, di ridurre la necessità del lavoro e di aumentare la libertà della cooperazione. È con la dinamica dell'invenzione e della ripetizione, della gioia e della tristezza che il capitalismo deve fare i conti. Mi sembra che il problema del capitalismo contemporaneo risieda nel fatto che è obbligato a piegarsi alle condizioni della co-creazione e della co-effettuazione, ma non può assumerle completamente, perché la sua logica non è quella dell'immanenza e della philia che la cooperazione tra cervelli implica.
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"L'espressione contro la comunicazione"
"L'enunciato è un anello nella catena dello scambio verbale. Ha delle frontiere nette, precise, ma all'interno dei limiti di queste frontiere, l'enunciato, simile alla monade di Leibnitz, riflette il processo verbale, gli altri enunciati e, soprattutto, gli anelli del discorso anteriore". Mikail Bachtin "Soggettivazione, evento o cervello, mi sembra siano un po' la stessa cosa". Gilles Deleuze "Se il popolo non ride sulla piazza pubblica, allora il popolo tace; se un pericolo minaccia la nazione, allora il popolo compie il suo dovere e la salva; ma non prende mai sul serio gli slogan di uno Stato di classe. Il suo eroismo conserva sempre un tono ironico, verso tutto il pathos della verità dello Stato. È per questa ragione che l'ideologia di classe non può mai penetrare, col suo pathos e la sua serietà, fino in fondo all'anima popolare: si scontra, a un certo momento, con la barriera, insopportabile per lei, dell'ironia e dell'allegoria degradante, con la scintilla carnevalesca dell'imprecazione gioiosa che distrugge ogni serietà". Mikail Bachtin
Le società di controllo si caratterizzano per la potenza delle macchine di espressione che sono-costitutive di ogni tipo di attività, comprese quelle relative al lavoro e alla finanza, come abbiamo visto nel capitolo precedente. La filosofia dell'evento ci permette di entrare nel cuore di questi terreni di lotta che vedono lo scontro tra le logiche e le pratiche del1' espressione, dell'evento e della creazione, e quelle della comunicazione e dell'informazione: espressione versus comunicazione. La comunicazione e l'informazione si inseriscono all'interno della creazione del possibile per ridurre a semplice scambio comunicati89
vo, a semplice "trasmissione d'informazione" la relazione evenemenziale e le sue biforcazioni imprevedibili, le sue aperture problematiche che si esprimono negli enunciati, nelle immagini e nei segni. Nelle teorie della comunicazione, e nelle teorie dell' informazione, "le cose sono già là, predefinite - l'oggetto, i mezzi linguistici della sua rappresentazione, l'artis_ta stesso (e il pubblico, aggiungiamo noi) - con la sua visione del mondo. A partire da ciò che è dato, con l'aiuto di mezzi predefiniti, alla luce di una visione tutta costituita, l'artista, riflette un oggetto che è lui stesso già fatto. In realtà, ciò che succede è che l'oggetto si crea nel corso del processo creatore, come del resto l'artista (e il pubblico n.d.r.), la sua visione del mondo e i suoi mezzi di espressione" (Bachtin, 1984). Il processo di creazione e di effettuazione dell'evento deve essere normalizzato e sottomesso alla logica riproduttiva dell'informazione e della comunicazione. Neutralizzare l'evento, ricondurre l'imprevedibile, l'ignoto della relazione evenemenziale (linguisticoespressiva), a qualcosa di prevedibile, di conosciuto e di abitudinario è il compito della comunicazione e dell'informazione. Sul terreno dei concatenamenti di espressione ritroviamo l' opposizione tra il processo costitutivo, pensato a partire dall'evento, e il processo costitutivo, pensato a partire dal paradigma del soggetto-lavoro; ritroviamo anche il problema della produzione del nuovo, del concatenamento dell'apertura differenziante in cui l'evento si esprime attraverso il linguaggio, i segni, le immagini e la sua effettuazione. "L'enunciato non è mai un semplice riflesso o un'espressione di qualcosa che preesiste, fuori di lui, già data e pronta. L'enunciato crea sempre qualcosa che, prima di lui, non era mai stata creata, qualcosa di nuovo, di non riproducibile, che è sempre legata a un valore: al vero, al bene, al bello. Tuttavia, ogni cosa si crea sempre a partire da qualcosa che è già dato" (Bachtin, 1984). Prendiamo a prestito questi concetti da Mikhail Bachtin che, a suo modo, fa della molteplicità e delle sue modalità di azione una posta in gioco politica fondamentale. Nel momento in cui costruisce una "scienza delle singolarità", ossia una teoria atta a "cogliere l'individualità assolutamente non riproducibile dell'enunciato", mostra come la cooperazione tra cervelli è attraversata da uno scontro tra forze sociali e politiche che hanno come oggetto le sue modalità di costituzione e di organizzazione. Secondo Bachtin la creazione differenziale dei concatenamenti di enunciazione è l'opera di forze sociali che mirano al plurilinguismo, cioè alla creazione di una molteplicità di espressioni linguistiche e semantiche, che sfuggono all'imposizione di una lingua maggioritaria e alla subordinazione a codici espressivi unificati e nor-
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mativi. Le teorie dell'informazione e della comunicazione sono invece create e costituite "da forze storiche reali del divenire verbale e ideologico", che puntano "all'unificazione e alla centralizzazione", all'omogeneizzazione e alla distruzione della molteplicità ed eterogeneità delle parole, delle lingue, delle semiotiche (monolinguismo). L'imposizione di lingue nazionali sulla molteplicità delle parlate e dei dialetti europei è, secondo Bachtin, l'esempio stesso del monolinguismo come si è costituito in occidente. Le norme linguistiche non sono un imperativo astratto, non sono soltanto repressive. Sono (come vuole Foucault) forze creatrici della vita del linguaggio, ma di un linguaggio unificato, che trascende il plurilinguismo. Creano, all'interno di una lingua nazionale multilingue, il nocciolo linguistico duro e resistente del linguaggio letterario ufficialmente riconosciuto e lo difendono dalla "spinta plurilinguista" messa in opera dalla molteplicità. Bachtin vede agire delle forze, che quasi tutta la cultura filosofica e linguistica ignora: "le correnti delle forze decentralizzatici e centrifughe" (Bachtin, 1978). Ed è solo collocandosi all'interno di questa corrente che si incontrano le forze della creazione del polilinguismo, del dialogismo; soltanto le forze centrifughe della decentralizzazione, sviluppano resistenza, fuga e creazione della molteplicità linguistica. Entrambe le correnti, monolonguismo e plurilinguismo, sono creative - dice Bachtin- ma mentre la prima non vede che l"unico e l'identico', imponendo soprattutto l'unità nella varietà, la seconda dispiega la varietà e la molteplicità. Il monolinguismo utilizza le macchine di espressione (attraverso la comunicazione e l'informazione), in una logica di riproduzione e di unificazione, il plurilinguismo utilizza le macchine di espressione per produrre quello che Bachtin chiama 'il dialogo incompiuto e che non si può chiudere', che con Tarde, abbiamo definito come processo della "differenza che va differenziandosi". Il monolinguismo è caratterizzato da un'eccezionale orientamento verso l'unità, mentre il plurilinguismo è orientato verso la molteplicità, la plurivocalità, la polifonia. A partire dalla fine del XX seéolo, la potenza delle macchine di espressione è moltiplicata dai dispositivi ternologici della riproduzione dell'azione a distanza (radio, telefono, televisione, net). Le reti, i flussi della cooperazione tra cervelli e le forze del vivente che li animano (la memoria e il suo conatus, l'attenzione) sono assistiti da reti, da flussi e da memorie artificiali. La co-creazione e la CO-effettuazione della cooperazione è attivata, strutturata e controllata da una potenza di concatenamento, di disgiunzione e di coordinazione, che implica, delle macchine sempre più potenti che agiscono a distanza sui cervelli.
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Il processo di creazione e di effettuazione dei mondi è d'ora in poi indissociabile da una politica delle reti, dei flussi e delle memorie artificiali. Nel funzionamento della televisione e nel net ritroveremo, riconfigurate, le lotte tra monolinguismo e plurilingusmo. La circolazione della parola (concatenamenti di enunciazione), delle immagini, dei suoni (perceJ:ione comune), delle conoscenze, delle informazioni e dei saperi (intelligenza comune), sono i luoghi di uno scontro, sia estetico che tecnologico, per la creazione e la distribuzione del sensibile e dei dispositivi tecnologici che li effettuano. Bachtin può darci delle indicazioni preziose per cogliere la battaglia, di grande importanza politica, tra plurilinguismo e monolinguismo, che ha attraversato dapprima l'Occidente e, adesso, il mondo intero. La mondializzazione non è il risultato esclusivo del mercato mondiale, come dicono gli economisti e i politologi, ma anche e soprattutto l'opera di una "spinta della molteplicità" verso la decentralizzazione delle macchine espressive e dei dispositivi tecnologici, per lo sviluppo del plurilinguismo, della pluri-percezione, della pluri-intelligenza. Questa politica della molteplicità non potrà farsi senza una forte partecipazione alle "culture e ai linguaggi degli altri, non essendo possibile l'una senza l'altra". Bachtin anticipa qui una politica delle lingue, una politica delle culture che va nel senso della creolizzazione, piuttosto che del multi-culturalismo. Il risultato di questa lotta è decisivo per il destino della molteplicità. Una battaglia che non è genericamente culturale, ma che ha come posta in gioco in realtà, le macchine di espressione, la creazione e l'effettuazione del sensibile.
La conversazione e l'opinione "C'è uno stretto legame tra il funzionamento della conversazio-
ne e il cambiamento dell'opinione da cui dipendono le vicissitudini del potere. Laddove l'Opinione cambia poco, lentamente, resta quasi immobile, le conversazioni sono rare, timide e circolano nel cerchio ristretto del pettegolezzo. Laddove l'opinione è mobile, agitata, e passa da un estremo all'altro, le conversazioni sono più frequenti, ardite, emancipate". Gabriel Tarde
Cercherò di descrivere il conflitto tra polilinguismo e monolinguismo da un punto di vista specifico: il rapporto tra opinione pubblica e conversazione.
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Abbiamo visto l'importanza dell'opinione pubblica nel processo di attualizzazione del virtuale e nel controllo della soggettività, in campi diversi come quelli del lavoro e della finanza. Nella maniera di comprendere la costituzione dei mondi possibili, attraverso il concatenamento della creazione di qualcosa di nuovo e della sua effettuazione, il linguaggio, le immagini e i segni, rappresentano la 'materia prima', attraverso cui l'evento si esprime, e il virtuale si attualizza. La produzione dei pubblici rappresenta una delle modalità di soggettivazione tra le più importanti delle società di controllo. Questi si costituiscono attraverso la comunicazione da individuo a individuo, grazie alla circolazione "dell'esempio, muto o verbale", veicolato dalla pubblicità, dall'informazione, dalla stampa e dai mezzi di comunicazione; è attraverso i segni, le immagini e i concatenamenti di enunciazione che l'attenzione e la memoria degli individui sono mobilitate, fissate e catturate. Gabriel Tarde, alla fine del XIX secolo, attira l'attenzione su un fenomeno sociale e linguistico largamente trascurato: la conversazione. "La conversazione: questa causa infinitesimale, che agisce, continuamente e universalmente, in tutte le trasformazioni e le formazioni sociali, non solo linguistiche, ma anche religiose, politiche, economiche, estetiche e morali; elaborazione originaria, in qualche modo, la cui importanza è stata profondamente ignorata" (Tarde, 1903). Secondo Tarde, la pubblicità, l'informazione, la stampa, l' opinione pubblica, le immagini, i segni e i linguaggi, resterebbero inefficaci senza un loro radicamento nella conversazione. Quest'ultima rappresenta l'ambiente vivente, il concatenamento collettivo nel quale si forgiano i desideri e le credenze, che costituiscono le condizioni espressive della formazione di ogni valore. Anche la teoria economica, se è vero ciò che abbiamo detto precedentemente, deve includere la lingua e la conversazione nelle sue analisi, perché l'impresa non si neghi al pubblico dei consumatori: "La conversazione è un soggetto che dovrebbe interessare l' economista; non c'è un rapporto economico tra gli uomini che non si accompagni con parole verbali o scritte, stampate, telegrafate, telefonate" (Tarde, 1902). Queste affermazioni, difficilmente comprensibili dal marxismo e dall'economia politica, sono divenute, oggi, un secolo più tardi, le strategie delle imprese contemporanee: 'markets are conversations', i mercati sono delle conversazioni. Per la filosofia della differenza, dunque, la conversazione non è la perdita dell'essere nella banalità del quotidiano, come sostiene Heidegger, ma una potenza costitutiva e differenziante che agisce nella vita quotidiana.
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Bachtin ci da una comprensione della conversazione complementare a quella della neomonadologia, analizzando la sua azione nella "trasmissione della parola altrui". Per capire l'importanza della conversazione bisogna in primo luogo cogliere la sua azione nel processo di costituzione della soggettività. La parola, nella teoria di Bachtin, in completa sintonia con la neomonadologia, è cattura di catture, possessione di possessioni. L'autore (il locutore) dell'enunciato, secondo Bachtin, non è un Adamo mitico, che parla per la prima volta. La parola, nella relazione dialogica, non è mai una parola neutra della lingua, vuota di intenzioni, non abitata dalle voci di altri. L'autore riceve la parola dagli altri (a cominciare da sua madre), riempita delle intenzioni, delle affermazioni volitivo-emozionali degli altri. La mia propria espressività trova ogni parola già abitata dall' espressività degli altri; parlare è dunque entrare in un rapporto dialogico di appropriazione con le parole altrui, e non solo con il significato, ma innanzitutto con le intonazioni, le voci, il senso. Parlare significa appropriarsi delle parole degli altri; parlare, è - come dice Bachtin "aprirsi un sentiero nella parola stessa", che è una molteplicità, piena delle voci, delle intonazioni, dei desideri altrui (Bachtin, 1978). A chi appartiene la parola, si domanda Bachtin? È mia, degli altri o di nessuno? Possiamo essere proprietari di un bene comune quale la parola, nello stesso modo in cui si è proprietari di una cosa? "La parola (e più generale il segno) è interindividuale. Tutto ciò che è detto, espresso, si situa fuori dall'anima, fuori dal locutore, non gli appartiene in maniera esclusiva. Non si può lasciare la parola al solo locutore. Egli ha i suoi diritti imprescrittibili sulla parola, ma anche l'ascoltatore ha i suoi, e tutti quelli le cui voci risuonano nella parola, hanno i loro diritti" (Bachtin, 1984). Bisogna dunque interpretare il verso del poeta, 'Io è un altro', innanzitutto, come qualcosa che è interiore alle parole. Nelle parole infatti risuonano tutte le enunciazioni che se le sono appropriate, ma anche tutte le voci future che parleranno. L'altro non è presente soltanto nella parola enunciata, ma è anche un momento costitutivo, immanente di ogni enunciazione che verrà. Nel dialogismo bachtiniano, l'altro, come le sue parole, rappresentano dei mondi possibili, e dunque il rapporto 'io-l'altro' è sempre un rapporto tra mondi possibili, un rapporto evenemenziale e non semplicemente uno scambio linguistico o un semplice riconoscimento intersoggettivo. L'ascoltatore partecipa dall'interno, alla creazione linguistica. Gli altri, quelli per cui il mio pensiero diviene, per la prima volta,
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un pensiero reale, non sono degli ascoltatori passivi, ma sono dei co-creatori e dei co-effettuatori della mia parola. Non sono dei ricettori passivi, perché tutti esprimono dei mondi possibili. È per questa ragione che lo scambio verbale non può essere compreso come una trasmissione d'informazione, o una comunicazione comandata da un codice. Le moderne teorie dell'informazione e della comunicazione non riescono a comprendere lo scambio verbale comunicativo come 'evento dialogico', come CO-creazione e co-effettuazione della cooperazione delle soggettività qualsiasi. La conversazione è uno dei più importanti dispositivi della creazione e della diffusione del discorso, in cui sono sempre presenti le parole altrui: "Ogni chiacchiera è carica di trasmissioni e interpretazioni delle parole degli altri" (Bachtin, 1978). La conversazione occupa un ruolo strategico nella cooperazione tra cervelli e la costituzione dell'opinione pubblica e del sensibile, si costituisce per suo tramite. È un dispositivo di costituzione e di cattura dei cervelli, di produzione della soggettività. "Nel parlare corrente di ogni uomo che vive in società - dice Bachtin - la metà almeno delle parole che pronuncia, sono parole degli 'altri': si riferiscono, si evocano, si soppesano, si discutono "le loro parole, le loro opinioni, affermazioni, informazioni; ci si indegna, ci si mette d'accordo, ci si rifà, ecc. ecc." (Bachtin, 1978). La maggior parte delle informazioni e delle opinioni sono trasmesse, in generale, sotto una forma indiretta, non come emananti da 'sé'. Ci si riferisce a una fonte generale, non precisata. Nella conversazione ci si può rendere conto, sempre secondo Bachtin, della frequenza con la quale ci si riferisce a ciò 'che ha detto', a 'ciò che si dice', a 'tutti hanno detto', al 'si pensa', al 'si considera'. La conversazione, secondo Bachtin, è una ermeneutica del quotidiano, ma per il filosofo russo, la comprensione e l'interpretazione sono degli eventi, delle aperture differenzianti, delle creazioni di possibilità. Nelle società del controllo l'opinione pubblica, gestita dai massmedia, si connette su questa potenza infinitesimale di formazione e di trasformazione dei desideri e delle credenze, per fame un mezzo d'imposizione del monolinguismo, di trasmissione di informazioni e di comunicazioni (delle parole d'ordine del potere) per neutralizzare la potenza di co-creazione e di co-effettuazione delle soggettività qualsiasi. Per Deleuze, in continuità con questa tradizione, non è nella discussione o nel dibattito, come sostiene Habermas, che si esprime la potenza di creazione di qualcosa di nuovo, ma nella conversazione e nelle sue 'biforcazioni folli'. Deleuze si riferisce direttamente alla concezione dialogica bachtiniana, come "coestistenza di composi-
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zioni polifoniche e plurivocali" che si inventano nella conversazione. "Il contrappunto non serve a riportare la conversazione reale o immaginata, ma a far emergere la follia di ogni conversazione, di ogni dialogo, anche interno" (Deleuze, Guattari, 1991 ). Nell'analisi di Bachtin, il rapporto tra conversazione e opinione pubblica è ancora fondamentalmente organizzato attraverso il media della stampa. Noi cercheremo di fare un passo avanti e anaJizzeremo il rapporto tra conversazione e opinione pubblica organizzato dalle tecnologie della memoria o tecnologie del tempo (la televisione, la radio, il telefono). I dispositivi della costituzione dell'opinione pubblica, la televisione, la radio, da una parte, e il net, dall'altra, costituiscono due maniere differenti di attualizzazione e di propagazione del 'si dice', 'si pensa', 'si considera', cioè due modalità differenti di far funzionare il discorso indiretto e quindi il processo di costituzione e di cattura delle soggettività. Fanno circolare la parola altrui secondo delle logiche che si oppongono da diversi punti di vista, favorendo o neutralizzando il plurilinguismo, neutralizzando o aumentando la potenza di agire delle monadi.
La televisione "Le ferrovie, i viaggi, e il trasporto, il commercio, la posta, il telegrafo e il telefono, i giornali, tutto ciò crea delle idee e dei sentimenti similari per mantenere insieme un tutto, poiché provocano interazione e interdipendenza[. .. ]. L'unità dello Stato moderno è una delle conseguenze della tecnologia a cui fa ricorso per facilitare la circolazione comoda e rapida delle opinioni e delle informazioni [... ]. Ma l'era della macchina ha talmente moltiplicato, intensificato e complicato la portata delle conseguenze indirette, ha provocato dei nessi, talmente lunghi e rigidi, nell'azione (e tutto ciò su una base impersonale e non comunitaria) che i pubblici che ne risultano, non riescono loro stessi a identificarsi e a riconoscersi". JohnDewey
Se dalla programmazione televisiva togliete la pubblicità, i film, i telefilm e le telenovele, non resta che un flusso continuo di parole, che, in realtà, è per la maggior parte costituito da conversazioni (talk shows ). Alla televisione si chiacchiera di tutto: dalle ricette di cucina alla scienza; dal calcio alla letteratura. Qui non ci sono delle imm~gi96
ni nel senso proprio del termine, ma solo del 'visuale'. Per sapere cos'è il 'visuale', basta togliere il suono a un telegiornale, o a una trasmissione di varietà. Il vettore di soggettivazione pre-verbale delle immagini è neutralizzato attraverso il flusso delle parole che l'accompagnano. La televisione, secondo Jan-Luc Godard, è in realtà una radio illustrata dal 'visuale'. Come avviene la trasmissione della parola altrui con la televisione? L'azione a distanza, la trasmissione della parola altrui, resa possibile dalla tecnologia del video, è investita dal potere di centralizzazione e unificazione del linguaggio televisivo, e dal potere di omogeneizzazione delle forme di espressione (in particolare della conversazione). A partire dalla nascita della televisione, il monopolio di Stato, in Europa, e il monopolio delle imprese commerciali, negli Stati Uniti, trasformano il dispositivo tecnologico del video, che in sé rappresenta una possibilità di espressione e di cattura reciproca ed evenemenziale delle monadi, in un dispositivo di centralizzazione, di cattura unilaterale e di neutralizzazione dell'evento. La co-creazione e la co-effettuazione della parola è così ridotta alla circolazione gerarchica della comunicazione e dell'informazione che generano il monolinguismo. La televisione, che ha la pretesa di diventare 'la' fonte indiretta della conversazione, funziona come trasmissione unilaterale di immagini, di informazioni, di parole, che si diramano da un centro verso una molteplicità di recettori anonimi e indifferenziati. Essa toglie alla molteplicità dei recettori ogni possibilità di risposta, ogni possibilità di reciprocità, ogni possibilità di creazione, e trasforma le monadi da collaboratori virtuali della cooperazione in pubblici/ clienti. L'attività di co-creazione e di co-effettuazione è così ridotta a una semplice azione unilaterale di un centro di emissione su una molteplicità di anime e di cervelli. Imponendo l'appropriazione unilaterale, si fa violenza al dispositivo di appropriazione reciproca, che, come ci dicono gli artisti, costituisce una delle consistenze ontologiche del video: da un punto di vista esistenziale-tecnologico, con la tecnica video, siamo vicini al telefono e allo schermo del radar che hanno bisogno che si risponda, altrimenti la comunicazione non soltanto è interrotta, ma non è neanche cominciata. La cattura, l'appropriazione degli altri cervelli, che, come sappiamo, è una potenza di concatenamento di ogni monade, di ogni soggettività, è espropriata e concentrata in un dispositivo che ha il potere di operare le giunzioni e le disgiunzioni dei flussi, gestito da
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una infima minoranza di individui. La storia dell'umanità non aveva mai conosciuto un potere linguistico e semantico tanto esteso e tanto concentrato. La televisione vorrebbe appropriarsi, formare e controllare "il vero e proprio ambiente dove l'enunciato vive e si forma'', che, per Bachtin, è quello del "polilinguismo dialogizzato, anonimo e sociale, come il linguaggio, ma concreto, saturo di contenuti e accentuato, come un enunciato individuale" (Bachtin, 1978). La televisione diventa così, tramite la centralizzazione e l' organizzazione di un nuovo monolinguismo, una macchina di costituzione del modello maggioritario, un dispositivo di creazione dell'uomo medio, della formazione di standard di soggettivazione che neutralizzano ogni divenire, che si oppongono al concatenamento delle singolarità e alla loro proliferazione minoritaria. L'auditel è la misura dell'uomo medio e della media dei desideri e delle credenze dalla maggioranza. La costituzione dell'uomo medio, dell'uomo maggioritario, non è più soltanto il risultato dello scambio economico (Adam Smith), ma anche e sopratutto dello scambio comunicativo.
Conversazione e nazionalismo La televisione riprende, esasperandole, le grandi tendenze monolinguistiche dell'Occidente europeo, descritte da Bachtin. Diventa uno strumento di potere economico e politico che si dispiega nel campo del discorso altrui per contrastare la spinta plurilinguistica, una delle condizioni, importante tanto quanto le condizioni economiche, per la costituzione della molteplicità. Il linguaggio televisivo funziona contro il processo linguistico che il romanzo attualizza e mostra nella modernità. Secondo Bachtin, nel romanzo, le intenzioni culturali, semantiche, espressive, sono "liberate dal giogo del linguaggio unico". La decentralizzazione del mondo "verbalmente dialogico", che si mostra nel romanzo, presuppone un gruppo sociale fortemente differenziato, "in rapporto di tensione reciproca con altri gruppi sociali". La molteplicità del linguaggio che il romanzo fa vivere, esprime, sul piano letterario, la costituzione differenziante della molteplicità, ed è contro questa costituzione che le reti televisive funzionano. Il dialogismo, il plurilinguismo, la polifonia, che si sviluppano sulla base delle forze centripete e decentralizzatici, sono combattute dalla costituzione di contenuti e di forme che rinviano a una logica monolinguistica: la parlata televisiva. La valutazione, gli ac-
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centi, il tono, la modulazione della parlata della televisione attraversano la molteplicità delle voci che si esprimono nella società, imprimendole il suo marchio omogeneizzatore. Evidentemente non si tratta più di un linguaggio unico ufficiale, aulico e aristocratico, ma di un linguaggio popolare, la cui efficacia si manifesta precisamente nella capacità di catturare la molteplicità delle voci, la molteplicità delle forme espressive, attraverso la mobilitazione della memoria e dell'attenzione per neutralizzare ogni possibilità di ''biforcazione folle". Questo potere di unificazione è, nello stesso tempo, in continuità e in rottura con la distruzione dell'eterogeneità dei dialetti, delle forme di espressione, messi in atto a partire dall'inizio della modernità e che ha conosciuto un'accelerazione formidabile con la rivoluzione francese. Se la repressione dei dialetti, delle parlate, delle forme di espressione tradizionali e popolari, è stata la condizione linguistica della costituzione della nazione (politiche di vera e propria colonizzazione interna), la televisione e le reti, che agiscono a distanza sui cervelli, operano una centralizzazione della lingua per un nazionalismo di secondo grado: quello del nazismo, per esempio, che ha utilizzato la radio e il cinema per organizzare i 'microfascismi' secondo "una segmentazione flessibile e molecolare", attraverso flussi di immagini e di suoni capaci di "raggiungere ogni cellula della società" (Deleuze, Guattari, 1980). Quando Pasolini, negli anni Settanta, definisce la televisione italiana come un dispositivo fascista, fa riferimento a questa centralizzazione e unificazione linguistica di secondo grado, che si è prodotta in Italia molto tardi, dopo la II Guerra Mondiale. Negli anni Sessanta si è sviluppato un accesso dibattito in Italia, tra Calvino e Pasolini, intorno al rapporto tra neocapitalismo e lingua. Se il primo vedeva nel neocapitalismo delle forze capaci di creare delle nuove espressioni, che potevano modernizzare le strutture linguistiche aristocratiche e burocratiche della lingua italiana, il secondo sottolineava i pericoli 'di questa nuova unificazione e centralizzazione della lingua, più totalizzanti e centralizzatori del1' unificazione fascista. Faccio notare che le correnti neoconservatrici si sono formate, dapprima in America (le chiese evangeliste), e dopo in Italia (Berlusconi), attraverso la televisione (e negli Stati Uniti, anche attraverso l'uso intensivo della radio). Ma sia Pasolini che Calvino trascurano due aspetti fondamentali di quella che possiamo definire una 'politica dell'espressione': la
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decentralizzazione linguistica e espressiva deve andare di pari passo con la decentralizzazione dei dispositivi tecnologici di espressione. La distruzione del modello maggioritario del telespettatore deve andare di pari passo con la distruzione del monopolio (pubblico o privato) dei dispositivi di comunicazione. Le forze centrifughe devono rompere il monopolio (pubblico o privato) dei mezzi di espressione e appropriarsi, decentralizzandole, delle tecnologie del tempo per poter sviluppare il proprio plurilinguismo. Solo nella rivoluzione russa troviamo una grande lucidità estetica, tecnologica e sociale sulla necessità di praticare, nelle società del controllo, una micro-politica della percezione, degli affetti, della conversazione e dei linguaggi, tramite le tecnologie del tempo. La repressione sovietica dell'esperienza sia dei Kinoks di Dziga Vertov, sia dei lavori del gruppo di Bachtin costituiscono una perdita incalcolabile per il movimento rivoluzionario (Lazzarato, 2002). Bachtin coglie un'altra trasformazione essenziale, che sfugge sia a Calvino che a Pasolini, e nella quale oggi siamo immersi: il plurilinguismo potrà svilupparsi soltanto all'interno di un processo di mondializzazione linguistica, grazie all'incontro con lingue e culture straniere. All'interno di una lingua nazionale, astrattamente unica, dice Bachtin, vivono una moltitudine di mondi concreti, che sono altrettante maniere diverse di valutare il mondo e gli altri, che stratificano e differenziano le intenzioni virtuali del linguaggio. Ma già nella prima metà del XX secolo, Bachtin dichiarava che l'epoca della coesistenza di lingue nazionali chiuse su se stesse è terminata. Le lingue si illuminano reciprocamente, poiché una lingua non può essere cosciente di se stessa che alla luce di un'altra lingua e che questo incontro non può farsi, ormai, che a livello planetario. "La coesistenza ingenua delle diverse parlate all'interno di una lingua nazionale, cioè dei dialetti, delle parlate professionali e sociali, del linguaggio letterario che li contiene, è finita". La decentralizzazione linguistica e semantica non può prodursi che nel superamento delle culture nazionali: "questa decentralizzazione verbale, ideologica, non si farà che quando la cultura nazionale avrà perduto il suo carattere chiuso, autonomo; quando avrà preso coscienza di se stessa tra le altre culture e tra le altre lingue" (Bachtin, 1978).
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Le tecnologie del tempo "Nel corso della nostra vita, passiamo 33.000 ore a scuola, 63.000 al lavoro e 96.000 davanti alla televisione. Ciò vuol dire che tutta la speranza di vita che abbiamo guadagnato da quando la televisione è nata, la consumiano davanti al teleschermo". Jean Viard
Nelle società di controllo, ogni dispositivo di azione a distanza di un cervello su un altro cervello può essere definito come tecnologia del tempo o della memoria. A partire dal cinema, ci misuriamo con lo sviluppo di dispositivi tecnologici che hanno la possibilità di creare e di conservare, di contrarre e di dilatare il tempo, la durata. Quest'ultimi, che costituiscono le forze della memoria, contraggono, come sappiamo, il morto nel vivo, il dopo nel prima e sono così la condizione di ogni sensazione, percezione, di ogni capacità intellettiva e, dunque, anche la condizione della capacità di agire. È attraverso il controllo e la riproduzione delle durate artificiali che questi dispositivi possono agire sulle durate 'naturali' della memoria e, attivando quest'ultima e l'attenzione, possono intervenire nella creazione del sensibile, nella capacità di sentire. Attivare l'attenzione e la memoria significa mobilitare il vivente, secondo la definizione che abbiamo ripreso dalla biologia molecolare. Questi dispositivi sono dei motori specifici della società di controllo e si differenziano dai motori meccanici (società di sovranità) e dai motori termodinamici (società disciplinari), perché agiscono a distanza sulle abitudini mentali e le forze che le compongono: i desideri e le credenze. Andrei Tarkovski definisce così la tecnologia cinematografica: "Per la prima volta nella storia delle arti e della cultura, l'uomo ha trovato il mezzo per fissare il tempo e per riprodurlo a piacimento. L'uomo è in possesso di una matrice reale del tempo. Una volta visto e fissato, il tempo può ormai essere conservato in scatole metalliche, teoricamente per sempre" (Tarkovski, 1989). Ma è soltanto con il video che questa "matrice reale del tempo" trova un dispositivo .tecnologico adeguato. Dal cinema al computer, passando per il video, assistiamo allo sviluppo di memorie artificiali, al potenziarsi della loro capacità di creare, di ripetere, di conservare, e dunque di intervenire sul tempo. Le memorie artificiali rappresentano la moltiplicazione della potenza di agire del vivente, ossia, della potenza della memoria umana che conserva e crea.
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"Dopo la videocamera (con il suo magnetoscopio), che ci ha dato un occhio connesso con una forma elementare di memoria non selettiva, stiamo passando a una tappa successiva dell'evoluzione: l'era della percezione delle strutture di pensiero intelligenti, e artificiali" (Viola, 1982). Affermando che le tecnologie numeriche superano, man mano, "l'elementarità del lavoro della memoria", Bill Viola ci autorizza a pensare il passaggio dalle macchine cha assistono la percezione (i video), alle macchine che assistono l'intelligenza (i computer). Ma restiamo nel campo della televisione che nega e sopprime l'evento proprio a ogni relazione espressiva, non "facendo neanche cominciare la comunicazione", come dice Nam Jun Paik. La tecnologia video è un dispositivo che funziona sempre su una durata. Diversamente dal cinema, essa non esiste che in diretta, nell'evento. Nel cinema'., il tempo è per definizione un tempo differito (nel quale si possono rappresentare il tempo e le sue sintesi), mentre le reti elettroniche e numeriche sono interne alla creazione del tempo (al suo sorgere e al suo rinnovarsi continuo). Ciò di cui la televisione si appropria (e ciò che nega alla molteplicità delle monadi) è la possibilità di intervenire nel 'tempo reale'. La possibilità di conservare il tempo per intervenire nelle durate del mondo, la possibilità di utilizzare il tempo per agire sul presente che si sta compiendo. La televisione è il dispositivo di controllo del tempo che sta passando e si sta facendo. Il tempo, cioè, della creazione, della scelta, dell'evento; il tempo della costruzione dei problemi e dell'invenzione delle risposte. Quindi, ciò di cui il pubblico è espropriato non è soltanto la comunicazione, ma innanzitutto il tempo dell'evento che la fonda e la costituisce. Le macchine d'espressione intervengono nel tempo con due modalità differenti: creando esse stesse gli eventi, o cercando di controllare la loro attualizzazione, di padroneggiare la loro effettuazione. La creazione di eventi mediatici non fa biforcare il tempo, ma al contrario, lo fissa, all'interno di alternative prestabilite. Gli eventi mediatici non aprono alla costruzione di problemi, né sollecitano a inventarne le soluzioni. Nelle società del controllo, l'evento mediatico apre invece alla scelta tra diversità istituite e create dal marketing, dall' Auditel, dalla pubblicità, dal mercato. Se nel capitolo precedente abbiamo ricostruito la prima modalità di intervento delle macchine d'espressione nel tempo, con 1'11
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settembre abbiamo visto all'opera, in tutta la sua potenza, la seconda. Di fronte all'angoscia e all'emozione che il tempo vuoto, il tempo sospeso dell'evento provoca nelle anime, le macchine d' espressione parlano, mettono in scena, in immagine e in suono "ciò che è accaduto, ciò che accade e ciò che accadrà". Dopo un breve istante in cui anche nella diretta televisiva traspariva il tempo fluttuante di ciò che stava accadendo, l'incertezza e l'imprevedibile dell'evento sono stati canalizzati verso una delle più caricaturali alternative dicotomiche che i media ci abbiano mai imposto: o il bene o il male, o la guerra infinita o la collaborazione con il terrorismo, o la civiltà occidentale o la barbarie islamista. La scelta "infinita" del mercato ha il suo corrispettivo nella più povera delle alternative politiche (o il bene o il male). In realtà si tratta di due articolazioni della stessa strategia: la neutralizzazione della natura problematica di ciò che accade e l'imposizione di soluzioni preconcette. Questo lavoro di neutralizzazione e di imposizione, operato sull'esprimibile (immagini, suoni, segni, parole) dell'evento, è la funzione che svolgono giornalisti, militari, uomini politici, specialisti che sfilano alla televisione, alla radio e nei giornali, appena qualcosa rompe la monotona continuità della ripetizione mediatica. La guerra in Iraq è stata l'effettuazione dell'evento dell'll settembre costruita dai dispositivi del potere, mentre altre possibilità, un'altra problematizzazione di ciò che stava succedendo (la messa in discussione delle politiche neo-liberali, delle scelte economiche dettate dalle istituzioni mondiali, ecc.) sono state neutralizzate. Ma l'evento insiste e altre forze lo effettuano diversamente, costruendo i loro propri dispositivi e utilizzando altre macchine d'espressione (le manifestazioni del 15 febbraio contro la guerra in Iraq). L'evento creato o gestito dalla televisione e dai media non è un'apertura del possibile, ma la costruzione di un punto di partenza nella produzione di senso. Mira a costruire un soggetto di enunciazione da cui devono dipendere tutti gli enunciati; forma un punto di origine delle parole d'ordine (trasformazioni incorporali) per la costruzione di un pubblico consensuale e maggioritario. Questo punto di partenza o di origine del senso è performato sfruttando e neutralizzando le funzioni creatrici che, nel cinema, nella radio, nella televisione, nel Net, non passano più, almeno potenzialmente, attraverso un autore (e i suoi diritti). Queste funzioni creatrici sono ricodificate sul soggetto e le sue modalità di comunicazione, di espressione. "Nel momento stesso in cui la scrittura e il pensiero tendevano ad abbandonare la funzione-autore, nel momento in cui le creazioni 103
non passavano più attraverso la funzione-autore, quest'ultima è stata ripresa dalla radio, dalla televisione e dal giornalismo" (Deleuze, 2003).
Il potere di centralizzazione finanziaria e il monopolio tecnologico ai quali sono stati sottomessi i concatenamenti di espressione, ricreano la funzione-autore come punto di origine del marketing, della pubblicità, della formazione dell'opinione pubblica. Separare le soggettività dalla sfera delle interrogazioni e delle risposte che l'evento suscita, è il modo con il quale le società del controllo possono integrare e canalizzare la potenza di espressione e di costituzione della molteplicità.
Il Net
La decentralizzazione della circolazione linguistica e percettiva e delle conoscenze deve andare di pari passo con la decentralizzazione dei mezzi di espressione. È il solo modo per sottrarre il controllo sull'evento che il potere (le istituzioni) organizza attraverso la centralizzazione e l'omogeneizzazione delle macchine di espressione. Rompere il monopolio sulla creazione dei pubblici/ clienti, è il mezzo per destrutturare gli standard della soggettività maggioritaria e far proliferare le soggettività qualsiasi e le loro dinamiche minoritarie. Non si tratta di opporre un buon monopolio pubblico a un cattivo monopolio privato, ma di distruggere tutti i monopoli. Con il net, la potenza delle forze centrifughe, che sembravano imprigionate e catturate dalla forza di unificazione e di omogeneizzazione delle reti analogiche (televisione) si libera, si attiva, e inventa altre macchine di espressione, altri regimi di segni e altri concatenamenti espressivi. Così, la potenza di creazione e di effettuazione di altri mondi possibili è resa alla sua propria indeterminazione. Il modo di costituzione e di funzionamento del net è in rottura con il modo di costituzione e di funzionamento della televisione. La televisione opera come un 'tutto collettivo'; mentre le reti telematiche sono un buon esempio di come potrebbero funzionare i 'tutti distributivi', più favorevoli allo sviluppo del "plurilinguismo". Nel net, le modalità di costituzione dei tutti distributivi sono incorporate nei dispositivi tecnologici. Alla costruzione di questo sistema aperto hanno contribuito differenti forze sociali, portatrici di interessi divergenti, quali, per esempio, la libera associazione delle singolarità, l'apparato militare e le imprese commerciali. Queste ul104
time·pensavano di privatizzare facilmente questo bene comune, secondo la logica predatrice che le caratterizza. Mentre la televisione nasce immediatamente come monopolio, il net nasce come patchwork. Nel suo funzionamento stesso, il net è un patchwork di protocolli di comunicazione, di dispositivi hardware e software (liberi e proprietari), di diritti di proprietà intellettuale, (i brevetti, il copy-right così come il copy-left), che stanno insieme malgrado la loro eterogeneità. Ma è la cooperazione tra cervelli che ha costituito il suo modello di riferimento. Il tentativo di imporre, come ha fatto la new economy, una centralizzazione gerarchica attraverso i monopoli è, almeno per il momento, fallito; il tentativo di introdurre nuovi tipi di 'recinzioni' alla libera circolazione dei saperi, dei segni, degli standard di comunicazione, non è riuscito ancora a subordinare questa molteplicità all'impresa e alle sue modalità di appropriazione esclusiva. Tra l'altro perché, come sappiamo, la logica della "gratuità" non è compatibile con la logica della scarsità dell'economia politica. In termini più generali, l'utilizzazione di questa nuova macchina di espressione, che fin dal suo costituirsi è oggetto di strategie rivali miranti al monolinguismo o al plurilinguismo, potrebbe essere descritta, nel modo seguente. L'individuo, col suo computer, è una monade aperta, che comunica a distanza con altre monadi, tutte incluse in una rete non gerarchica e a-centrica. Jl net è una rete di reti; l'eterogeneità che lo costituisce è restia all'unificazione, alla totalizzazione, alla fusione delle differenze in un 'tutto collettivo'. Le monadi che operano nel net, a differenza di quanto succede nella televisione, esprimono, a differenti livelli, una propria e specifica capacità di concatenamento, di cattura delle altre monadi, ossia di costituzione delle reti. La potenza di concatenamento non è espropriata e centralizzata, ma distribuita, a differenti livelli, lungo tutta la rete. L'attualizzazione delle reti dipende dalla potenza di concatenamento, di connessione e si sviluppa progressivamente secondo la logica descritta dal pragmatismo americano e analizzata da Tarde, secondo le velocità proprie della telematica. La costituzione delle reti si organizza secondo i due assi che abbiamo già visto all'opera: i networks e i patchworks. La monade è inserita in un flusso di segni, di suoni, di immagini, di dati, di informazioni, che può far biforcare (l'invenzione) oriprodurre (la ripetizione). Navigare nel net significa operare continuamente congiunzioni e disgiunzioni di flussi. Entrando in una rete si stabilisce un rappor105
to d'appropriazione unilaterale o reciproca, di cooperazione simpatetica o di opposizione, con le altre monadi. Il net è una cattura di catture, una presa dei corpi-cervelli che può essere unilaterale o reciproca. La soggettivazione della monade si identifica con il ritornello. I flussi numerici si avvolgono intorno alle monadi, e dal loro incrocio si stacca un ritornello, un atto di soggettivazione, che riparte a incontrare altri ritornelli nella rete (composizione polifonica). Gli utilizzatori non sono una massa anonima indifferenziata come nel dispositivo della televisione, ma delle singolarità, dei nomi propri (ognuno ha la sua firma elettronica). L'azione collettiva è un 'tenere insieme' le singolarità, le individualità, i nomi propri. Le monadi possono contemporaneamente appartenere a dei pubblici differenti, poiché sono a cavallo di differenti mondi possibili. La molteplicità delle appartenenze, come l'abbiamo descritta a proposito del pubblico tardiano, trova nelle reti dei dispositivi tecnologici adeguati di espressione. Deleuze, fa notare, al contrario, che questi stessi dispositivi possono condurre a una standardizzazione, a una omogeneizzazione, a un impoverimento della soggettività. Nelle società di controllo non ci confrontiamo più con la coppia massa-individuo, risultato dell' esercizio del potere disciplinare sui corpi, che produce degli effetti, nello stesso tempo, massificanti e individualizzanti. Oggi, "Gli individui sono diventati dei 'dividuali', e le masse dei 'campioni', dei 'dati', dei mercati o delle banche" (Deleuze, 1996 ). Se la soggettività qualunque non costruisce e non esprime la sua cooperazione come cooperazione politica tra cervelli, se non inventa i suoi propri concatenamenti come problema e sfida, può essere, a sua volta, costruita ed espressa come 'dividuale', cioè come un campione di una clientela; i beni comuni che crea e diffonde possono essere ridotti a nuovi mercati per le imprese. Ciò che Deleuze anticipa qui è il programma della new economy, che contava di trovare nel net la possibilità di far funzionare il marketing, in modo da trasformare gli individui e le loro singolarità in banche dati. Il net avrebbe potuto essere lo strumento ideale di costituzione di nicchie specifiche e differenziate di consumatori-comunicatori. Per il momento questo programma è fallito. Il net è ancora aperto ad azioni che possono trasformare la virtualità della cooperazione neo-monadologica in problemi che richiedono delle risposte politiche. La cattura capitalistica della cooperazione suscita delle forti resistenze perché, le "forze centrifughe di decentralizzazione" non
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sono esterne, come nella televisione e nella stampa, ma interne a questi dispositivi. Esse costruiscono e inventano degli standard di comunicazione, dei protocolli di utilizzazione, dei dispositivi di software e hardware; giocano un ruolo decisivo nell'invenzione e nella diffusione di modalità di concatenamento e di funzionamento delle reti, rispettando e intensificando, allo stesso tempo, l'azione singolare e l'azione comune delle monadi. Al programma di trasformazione degli individui in banche dati e dei beni comuni in mercato fa fronte un processo di singolarizzazione e di creazione di mondi possibili. La strategia delle forze centrifughe è molto semplice: le monadi non sono dei clienti, ma dei collaboratori. L'ostacolo maggiore che incontra l'appropriazione capitalistica è la dinamica della cooperazione che non può essere regolata tramite l'equilibrio degli egoismi, perché funziona sulla base della simpatia, della philia, della pietas. Imporre la logica dell'impresa significa distruggere la cooperazione tra cervelli, perché, per la soggettività qualunque, agire è sentire insieme. Con il net non si tratta più soltanto di dispositivi di costituzione dell'opinione pubblica, della messa in comune dei giudizi, ma anche di costituzione della percezione comune, e dell' organizzazione dell'intelligenza comune. In relazione alla natura delle nuove macchine di espressione si potrebbe parlare di pluri-percezione o pluri-intelligenza, adottando il vocabolario di Bachtin, o anche, di multi-percezione e multi-intelligenza, adottando quello di Tarde. La lotta tra plurilinguismo e monolinguismo si è spiazzata su questo terreno, diventando così anche una lotta intorno alla percezione e all'intelligenza. La prescrizione del visibile e del dicibile, di ciò che si vede e di ciò che si dice, ha trovato un nuovo terreno di conflitto e delle nuove strategie. Che rapporto c'è tra Bachtin, la televisione e il net? Se sono partito da Bachtin per arrivare al net, passando per la televisione, è perché ho voluto tracciare una genealogia lunga delle forze sociali, delle invenzioni e delle lotte che spingono e aprono alla decentralizzazione delle macchine di espressione e all'eterogeneità della produzione semiotica. Le genealogie corte, invece, affascinate dalla tecnologia, tendono a fare della nuova tecnologia delle reti una sfera separata dalle altre dinamiche sociali ed espressive.
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La parola autoritaria e la parola persuasiva Le tecniche disciplinari, fondate sul comando e l'esecuzione di ordini, si rivelano inefficaci per controllare la cooperazione della soggettività qualunque, che agisce sulla base della simpatia, della fiducia, del sentire insieme. SonQ anzi anti-produttive. Durante la strana rivoluzione del Sessantotto, il modello autoritario, fondamento delle società disciplinari, è stato oggetto di critiche violente. I movimenti dell'epoca hanno anche praticato delle sperimentazioni anti-autoritarie tra le più ardite. L' antiautoritarismo non è stato una caratteristica generica e folkloristica della generazione del Sessantotto, ma una condizione fondamentale dello sviluppo delle dinamiche della differenza. Come sappiamo, lo sviluppo dei cervelli ricombinati esige delle relazioni di potere che non possono essere ricondotte a un modello di esecuzione fondato sul comando e l'obbedienza (l'invenzione e la sua effettuazione, non possono essere comandate, dice Tarde). Bachtin (1978) ci mostra le ragioni profonde della crisi del modello autoritario e dell'emergenza della simpatia, della fiducia, della philia, in quanto presupposti della creazione e della realizzazione dei beni comuni, distinguendo tra "parola autoritaria" e "parola persuasiva". Nel processo di costituzione della soggettività, la parola altrui non è più una "informazione, un'indicazione, una regola, un modello", come vorrebbero il paradigma dell'informazione o la filosofia del linguaggio di Wittgenstein. Al contrario, "essa cerca di definire le basi stesse del nostro comportamento e della nostra attitudine rispetto al mondo, e si presenta qui come parola autoritaria e come parola interiormente persuasiva", cioè come parola carica di senso, di valutazioni, di punti di vista. Perché la critica dell'autorità è un presupposto della filosofia dell'evento e delle pratiche della creazione del possibile? Perché la parola autoritaria non favorisce la creazione; anzi, la impedisce. La parola autoritaria ("la parola religiosa, politica, morale, degli adulti, dei professori ..., cioè, in qualche modo, dei padri") esige da noi di essere riconosciuta in maniera incondizionata e non è assimilata tramite le nostre parole: "Non autorizza alcun gioco con il contesto che la contiene o con le sue frontiere, alcun passaggio graduale e mobile, né delle variazioni libere, creatrici e stilizzatrici". La parola autoritaria penetra nella nostra coscienza verbale come una massa compatta e indivisibile. Bisogna accettarla o rigettarla in blocco, poiché è incollata all'autorità (potere politico, istituzione, personalità). Il gioco delle "distanze, delle convergenze e delle di108
vergenze, degli avvicinamenti e degli allontanamenti, è qui impossibile" (Bachtin, 1978). La parola altrui, interiormente persuasiva, ci rivela delle possibilità completamente differenti, precisamente perché è senza autorità, ma non senza responsabilità. Nel corso dell'assimilazione, si intreccia strettamente con la nostra parola, aprendo lo spazio della creazione del possibile: "La sua produttività creatrice consiste nel fatto che organizza dall'interno la massa delle nostre parole, invece di restare in uno stato di isolamento e di immobilità [... ] La struttura semantica della parola persuasiva interna non è chiusa, resta aperta, capace di rivelare sempre delle nuove possibilità semantiche in ognuno dei nuovi contesti dialogici" (Bachtin, 1978). La parola autoritaria è la parola del passato, stabilisce una distanza, risuona nelle 'alte sfere', mentre la parola persuasiva è la parola del libero contatto familiare tra eguali, tra contemporanei. Le procedure della parola persuasiva "danno spazio all'interazione massima della parola altrui con il contesto, alla loro influenza dialogizzante e reciproca, all'evoluzione libera e creatrice della parola 'straniera', a transizioni graduali, al gioco delle frontiere" (Bachtin, 1978). È con la parola persuasiva che la pubblicità, il marketing e il management delle risorse umane cercano di giocare, trasformandola in parola consensuale. Ma le pratiche di seduzione manifestano rapidamente i propri limiti, poiché non aprono alla creazione del possibile, ma propongono unicamente delle alternative dicotomiche e predeterminate all'interno dei dispositivi di comunicazione e di informazione dati. Oggi assistiamo a una volontà di rivincita della parola 'religiosa, politica, morale, degli adulti, dei professori, dei padri', sulla parola persuasiva; a una campagna denigrante delle pratiche anti-autoritarie. Ma l' anti-autoritarismo, come sono costretti a constatare i nuovi managers d'impresa, è una delle consistenze ontologiche della cooperazione tra cervelli. La parola autoritaria-persuasuva del potere può oggi funzionare solo come parola di guerra: ciò che sta diventando.
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La teoria della differenza di Bachtin "La vita si può capire solo come evento". Mikail Bachtin
"Così il marxismo ha creato una volta - nella buona epoca una possibilità d~ raccontare sistematicamente la storia delle oppressioni, che si chiamassero schiavitù come nell'antichità, servitù della gleba come nel medioevo (che è sopravvissuta in Russia fin al 1861) o condizione proletaria come oggi. Ma in quale linguaggio sarà raccontata un giorno la storia dell'oppressione esercitata nel nome dell'ideologia marxista?". Peter Sloderdijk
Negli anni più bui dello stalinismo, Bachtin scrive uno dei testi più belli della letteratura mondiale sul carnevale che è, in realtà, un testo politico poiché si tratta di un inno alla resistenza del "popolo" al potere sovietico. I suoi più stretti collaboratori, Medvedev e Volonisov, sono rispettivamente assassinati in un campo e in un carcere comunisti. Lui stesso, esiliato, è risparmiato soltanto perché affetto da una grave malattia. La sua resistenza si esprime magnificamente attraverso le armi della cultura carnevalesca del popolo, erede dei riti dionisiaci, le cui origini si perdono nell'alba dell'umanità: il riso, l'ironia, l'imprecazione gioiosa. Bachtin adotta la filosofia della differenza, la filosofia dell' evento, nella spiegazione della nascita del capitalismo. Sulla base di una monadologia personale, analizza il reale come molteplicità di mondi possibili, come molteplicità differenziale di piani assiologicamente affermati. Nelle società preindustriali questi mondi erano, come le monadi leibniziane, chiusi su se stessi, autosufficienti, consolidati nella loro separazione, con propri e specifici linguaggi, ideologie e forme di vita. Questi mondi si esprimevano anche all'interno di una stessa persona. Il contadino russo, nel corso della giornata, passava da una lingua a un'altra: pregava nel linguaggio della chiesa; utilizzava il linguaggio della gerarchia sociale quando parlava col proprietario terriero; quando chiacchierava con gli amici si esprimeva nella parola del "libero contatto familiare". Queste lingue però, dice Bachtin, erano chiuse in se stesse, non si riflettevano, non comunicavano tra di loro, non avevano la possibilità di illuminarsi reciprocamente nel processo di costituzione della soggettività.
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Il capitalismo ha distrutto l'isolamento di questi mondi, ha dissolto la loro chiusura e la loro autosufficienza, ha distrutto l"' autarchia ideologica di queste sfere sociali". Questi mondi pre-capitalistici, che non avevano ancora completamente perso la loro fisionomia individuale, elaborata durante i secoli, non possono più essere sufficienti a loro stessi. Il processo, nel quale ogni atomo vivente, alla maniera di una monade, riflette questa unità contraddittoria del mondo e della coscienza capitalistica, ha rivelato ("nel momento in cui le forme di vita e i principi morali si trasformano in corde marcie") la natura ambivalente, incompiuta e incompletabile dell'uomo e del pensiero umano. Non soltanto gli uomini e le loro azioni, ma anche le idee sono strappate a questi mondi chiusi e gerarchicamente organizzati e stabiliscono "un contatto familiare, un dialogo assoluto che niente può limitare". Bachtin non coglie soltanto la forza del capitalismo, che vuole ridurre questa molteplicità al dualismo capitale-lavoro, ma anche la formidabile energia differenziale e le virtualità che questo processo catastrofico libera nei differenti mondi che costituivano la vita precapitalistica in Russia. Questo punto di vista può essere utilmente portato dalla Russia della metà dell'Ottocento alla mondializzazione: qui sono i mondi non occidentali che sono attraversati dalla volontà di unificazione, di omogeneizzazione e centralizzazione monolinguitica portata dal capitalismo. Il discorso politico di Bachtin non si esprime mai come tale. Si può scovarlo nelle sue riflessioni più filosofiche o nelle sue monografie sui grandi romanzieri. È difficile dire se, il fatto di mascherare le sue opzioni più politiche nei testi filosofici o letterari, sia una scelta teorica o si tratti invece di una precauzione dettata dalla repressione sovietica. In ogni modo è in Dostoievskij che Bachtin trova una teoria antidialettica della molteplicità e della proliferazione dei mondi possibili. L'opera di Dostoievskij non si dispiega "nei limiti di una forma monologica sul fondo di un solo mondo oggettivo", ma in una realtà "a diversi mondi", con "diversi sistemi di referenza". Gli elementi della materia letteraria sono "ripartiti tra più mondi e tra più coscienze autonome; non rappresentano un punto di vista unico, ma più punti di vista, interi e autonomi [... ] differenti mondi, differenti coscienze, punti di vista, che si associano in una unità superiore, di secondo grado, se così si può dire, che è quella del romanzo polifonico" (Bachtin, 1968). L'unità superiore polifonica non è quella dei "tutti collettivi" hegelo-marxisti (Luckacs), ma quella dei "tutti distributivi". I differenti mondi, le differenti coscienze, i differenti punti di vista, non
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sono una tappa nel divenire dialettico di un solo spirito (lo Spirito assoluto o la classe). "Il mondo di Dostoievskij è profondamente pluralista". Se bisogna cercare un'immagine per rendere conto di questa unità superiore, "sarà quella della chiesa come comunione delle anime, che non si fondono in una sola unit)t", o l'immagine dantesca, dove, "la pluralità dei piani" non converge verso l'unità, ma si "trasferisce nell'eternità, dove esistono, contemporaneamente, i pentiti e i non pentiti, i dannati e i salvati" (Bachtin, 1968). Se gli artisti, durante tutto il XX secolo, e Dostoievskij primo fra tutti, hanno saputo dare una forma estetica a questo evento, traducendo la creazione e la composizione di mondi possibili in polifonia, il marxismo non è stato capace di fare altrettanto: pensare una politica della molteplicità. Il marxismo non crea le "possibilità oggettive della sostanziale polifonia dei mondi possibili". Alla tendenza "a livellare tutto", che "non lascia altre distinzioni che quella tra proletario e capitalista", il marxismo non ha saputo opporre una politica della differenza, della molteplicità, una politica del dialogismo carnevalesco, ma solo una tendenza altrettanto livellatrice. Ha limitato il 'dialogo assoluto' tra singolarità qualsiasi, che emergevano nella crisi, alla relazione capitalista operai/ capitale; ha ridotto le forme di soggettivazione alla classe; la creazione del possibile al lavoro produttivo e le relazioni di potere alla relazione di sfruttamento. La dialettica marxista, al contrario, accelera questo processo, spingendo letteralmente la società nella relazione capitale-lavoro, la molteplicità nei dualismi, le asimmetrie nella simmetria. In realtà spiana la strada al capitalismo. È l'esperienza che Bachtin ha vissuto sulla propria pelle. Il rapporto tra tradizione (molteplicità preindustriale) e rivoluzione (molteplicità in atto, creazione incompiuta di mondi possibili), che Benjamin aveva desiderato come politica, è qui costruito con tutta un'altra potenza. I soli marxisti che hanno preso in considerazione questo rapporto sono stati i marxisti inglesi, e ci hanno dato le opere più importanti del dopoguerra sulla classe operaia. Thompson, ad esempio, in The making of the working class, coglie il costituirsi della classe nel rapporto simbiotico con la sua 'tradizione', con il suo passato, con la sua cultura carnevalesca (descritta da Cristopher Hill ne Il mondo alla rovescia). Il piano del capitale è attraversato e combattuto da una molteplicità di altri piani, di mondi, dove si dispiega la vita attuale e vir-
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tuale del 'popolo'. La molteplicità non emerge per la prima volta con il postfordismo. Noi viviamo un infelice malinteso, a causa del fatto che il marxismo è stato una forza moderna, che ha partecipato alla logica della modernizzazione, della centralizzazione, dell'unificazione, dell'omogeneizzazione dei mondi nel solo mondo possibile del capitale o della classe. Bachtin ci invita a pensare, nel momento della formazione del capitalismo in Russia, le lotte della classe operaia come lotte della molteplicità e per la molteplicità. Ci incita a pensare il passaggio dd una molteplicità pre-capitalistica a una molteplicità post-industriale, di cui l'operatore poteva essere effettivamente la classe operaia, ma a condizione di giocare questa "apocalisse", questa catastrofe, come un divenire, una metamorfosi da "differenze superficiali e grossolane a differenze più sottili" (Tarde): "un plurilinguismo molto più multiforme e profondo" (Bachtin), e non come una politica della totalità, della sintesi, dell'identità, che di fatto ha ucciso l' eterogeneità 'popolare' (il socialismo reale o il socialismo tout court). Per giocare questo ruolo la classe avrebbe dovuto pensare se stessa come molteplicità (ciò che era in realtà), e non come soggetto unificante, inglobante, che fondeva in essa tutti i mondi possibili. Avrebbe dovuto dissolversi nella molteplicità, nella differenza, cercandola, costituendola. In ogni modo è quello che i proletari e gli operai hanno praticato contro i partiti e i sindacati marxisti, contro il socialismo e il comunismo. Se ne sono andati, creando altri mondi possibili, lasciando i partiti e i sindacati, e il marxismo, come li conosciamo oggi: vuoti. È questa molteplicità in fuga che siamo obbligati a pensare oggi nelle sue forme post-industriali.
Nota sulla filosofia di Bachtin: l'essere come evento Bachtin introduce, in piena rivoluzione russa, una concezione dell'essere e del mondo come evento e concepisce questa filosofia dell'essere-evento come una filosofia dell'espressione. Per comprendere la portata di questa teoria dell'evento, bisogna prendere in considerazione ciò che Bachtin chiama il principio architettonico del mondo reale dell'azione: la relazione tra 'io' e 'l'altro'. Quest'ultima non è riconducibile al rapporto soggetto-oggetto della teoria della conoscenza (Kant), né alla dialettica hegeliana. Il rapporto 'io e l'altro', non è neanche assimilabile alla deduzione fenomenologica dell'intersoggettività (Husserl), come molti interpreti di Bachtin lasciano intendere. La relazione 'io-altro' deve invece es113
sere compresa come una relazione evenemenziale tra mondi possibili, e come espressione nei segni, nel linguaggio, negli enunciati di questi possibili. Per Bachtin la parola è molto più adeguata ad esprimere la verità dell'evento, che il momento astratto della conoscenza, della psicologia o anche dell'estetica (che si avvicina all'evento con un'altra modalità che non è possibile sviluppare in questa sede). "L'espressione dell'azione e l'espressione dell'essere, come evento unico nel quale l'azione si compie, richiedono la pienezza intera della parola: tanto il suo aspetto di contenuto e di senso (parola-concetto), quanto il suo aspetto espressivo (parola-immagine), quanto il suo aspetto volitivo-emozionale (l'intonazione della parola), nella loro unità" (Bachtin, 1998). Nel mondo-evento nessun oggetto, nessuna relazione, sono "già dati totalmente presenti". Nel mondo dell'essere-evento, è sempre presente contemporaneamente sia il compito che è legato al presente, sia lo scopo che deve essere realizzato: 'si deve', nel senso che 'si desidera'. L'essere non è solo 'attualità', ma anche 'virtualità'. La specificità dell'azione della parola (dell'espressione) nell' evento consiste nel fatto che la parola partecipa pienamente alla sua attualizzazione, disgregando ciò che è presente come già costituito, come già individuato e, aprendo, tramite il desiderio, al divenire, alla creazione del nuovo. "Così la parola vivente, la parola piena, non conosce l'oggetto interamente dato; con il fatto che io comincio a parlare dell'oggetto, io sono entrato in un rapporto interessato e affettivo, non indifferente. La parola non denota soltanto un oggetto come qualcosa di presente ma, attraverso l'intonazione, la parola esprime una valutazione di fronte all'oggetto - ciò che in esso c'è di desiderabile o di non desiderabile - e lo porta, lo mette in movimento, verso ciò che di questo oggetto deve essere determinato; lo fa diventare un momento di un evento vivente" (Bachtin, 1998). Nell'architettonica bachtiniana, l'altro è l'espressione del possibile, l'espressione di mondi possibili che si attualizzano nel linguaggio, nei segni o nell'espressione di un viso. È l'emergenza del1' altro che definisce la struttura del mondo, della percezione, del1' affezione, del pensiero, dell'oggettività. "Solo l'altro - dice Bachtin rende possibile la gioia che avrò ad incontrarlo, il dolore che avrò quando lo lascerò, il dolore che avrò quando lo perderò [... ] tutti i valori volitivi e emozionali non sono possibili che in rapporto a un altro, e sono questi valori che danno alla vita un peso evenemenziale particolare, che la mia propria vita, in quanto tale, non ha. Que-
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sto evento significante non è accordato alla mia vita; la mia vita è ciò che ingloba nel tempo l'esistenza dell'altro" (Bachtin, 1984). L'io è lo sviluppo, il dispiegamento dei possibili che l'altro avvolge e contiene nella sua esistenza. Come abbiamo già fatto notare, ci si innamora perché si coglie nell'altro un mondo possibile, e la relazione amorosa è lo sviluppo delle possibilità che l'altro sembra implicare. C'è una differenza di principio tra 'io' e 'l'altro', ma questa differenza non è né di natura psicologica né di ordine logico, come nella dialettica hegeliana, ma è evenemenziale. La relazione io/ altro si stabilisce sul piano dei valori, affermali dal punto di vista volitivo-emozionale. Ma questa relazione è un evento ed è quest'ultimo che è produttivo, arricchente, eccedentario. "La vita conosce due centri di valore, per principio differenti ma correlati tra di loro: 'io e l'altro', e attorno a questi centri si distribuiscono tutti i movimenti concreti dell'essere. Con ciò non si distrugge l'unità del senso del mondo, ma la si eleva al livello della singolarità dell' evento" (Bachtin, 1998). Né l'io, né l'altro, ma la relazione, la relazione evenemenziale che precede e distribuisce i termini.
Il dialogismo come ontologia dell'essere Bachtin, sulla base della sua teoria dell; evento, stabilisce una differenza di natura tra la lingua (o la grammatica) e l'enunciazione, tra la significazione e il senso, tra la proposizione e l'enunciato. Scopre così una nuova sfera dell'essere, sconosciuta alla linguistica e alla filosofia del linguaggio, che chiama 'dialogica'. In questa sfera, i rapporti sono rapporti di senso (eventi), che si esprimono attraverso il linguaggio e i segni, ma non sono riducibili a questi ultimi. Il rapporto dialogico è un rapporto specifico, che non è comprensibile all'interno di un sistema logico o linguistico, o psicologico. Il rapporto dialogico presuppone una lingua, una semiotica, una psicologia che non esistono nel sistema della lingua, dei segni e della psicologia. ' La differenza con la filosofia del linguaggio di Wittgenstein non potrebbe essere più radicale. "I rapporti dialogici sono assolutamente impossibili senza i rapporti logici e semantici, ma non possono ridursi a questi e hanno una specificità propria. I rapporti logico-semantici, per divenire dialogici, devono incarnarsi, devono entrare in un'altra sfera dell'essere: diventare parola, cioè enunciazioni, e avere un autore, il creatore dell'enunciazione del quale esprime la posizione dei valori" (Bachtin, 1968).
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II linguaggio ordinario si crea e si attualizza soltanto in questa sfera, che è la sfera dell'enunciazione, della valutazione responsabile. "L'emozione, il giudizio di valore, l'espressione, sono delle cose estranee alle parole della lingua, e non nascono che attraverso il processo della sua utilizzazione vivente nell'enunciato concreto" (Bachtin, 1984). ~ La maggior parte dei commentatori di Bachtin, soprattutto i francesi, tra i quali Todorov e Kristeva, interpretano il dialogismo come un problema linguistico. Per Bachtin, invece, è un problema ontologico e politico. Qual è la natura delle relazioni di senso dialogico? Qual è la natura dell'incontro evenemenziale? "Chiamo 'senso' la formulazione di un problema, ciò che è una risposta a una domanda. La nuova sfera dell'essere è quella delle "risposte e delle domande", che "non rimandano a uno stesso rapporto logico, che non si possono mettere in una sola e stessa coscienza (unica e chiusa in se stessa); ogni risposta genera una nuova domanda" (Bachtin, 1984). Per capire la portata ontologica di questo punto di vista bisogna riferirsi ancora a Deleuze che, commentando la filosofia della differenza di Heidegger, considera come fondamentale "questa corrispondenza della differenza e della domanda, della differenza ontologica e dell'essere come domanda" (Deleuze, 1968). Il dialogismo svela l'essere come domanda o come problema. Come definire l'essere della differenza? Tramite questa strana categoria deleuziana dell'"? essere (l'essere come punto di domanda, come problema). In questo senso, l'infinito essere designa non tanto una proposizione, quanto la domanda a cui la proposizione deve rispondere" (Deleuze, 1968). Il senso, o evento, ha una relazione stretta con il segno e con il linguaggio, perché, come sappiamo, è attraverso il segno e il linguaggio che l'evento si esprime. Ma il linguaggio e il segno non lo contengono. Il 'senso' ha una esistenza che non è quella delle parole, ma non è neanche quella delle cose. "Il mondo nel quale viviamo, - si domanda Bachtin, spiazzando l'opposizione dell'idealismo e del materialismo - il mondo nel quale agiamo, nel quale creiamo, è composto di materia e di spirito", di parole e di cose?" (Bachtin, 1984). Con il senso e con l'evento siamo di fronte a un'altra sfera dell' essere, che è specifica, non riconducibile alla materia e allo spirito, alle parole e alla cose, che Bachtin chiama, 'super-esistenza', e che Deleuze chiama 'extra essere' (fuori dall'essere delle parole e delle cose). Con l'apparizione della coscienza (che non significa mai, in Bachtin 'coscienza di sé', ma significa sempre 'potenza di espressione'), e forse anche con l'emergenza della vita biologica, - "forse non
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solo l'animale, ma anche l'erba e l'albero si esprimono" - il mondo si modifica radicalmente e compare questa dimensione specifica della super-esistenza, dell'extra-essere. Ciò che rende possibile la trasformazione del mondo è la relazione espressiva. La sfera del dialogismo, la natura della super-esistenza, è quella delle trasformazioni incorporali. Bachtin ritesse così i legami con una vecchia tradizione filosofica, quella degli stoici, per cui il senso o l' evento è un 'incorporale', che agisce alla frontiera delle parole e delle cose, della materia e dello spirito. "Il senso non può (e non vuole) modificare i fenomeni fisici materiali. Il senso non può agire in quanto forza materiale, e tuttavia è più forte di qualsiasi altra forza materiale, perché modifica il senso globale dell'evento, della realtà, senza modificare di un millimetro i componenti reali. Tutto resta tale e quale, ma acquisisce un senso assolutamente 'altro"' (Bachtin, 1984). I limiti della svolta linguistica in filosofia sono tutti contenuti nell'impossibilità di far emergere questa sfera dialogica come sfera degli eventi, come sfera delle questioni e delle domande, come sfera dell'espressione e dell'evento. La filosofia del linguaggio cominciata da Wittgenstein riduce il dialogismo a grammatica. Ma la grammatica concerne la lingua e non il dialogismo. Tra i due c'è una differenza di natura che Wittgenstein non riesce a tematizzare. Non più "essenze" (neanche grammaticali come vorrebbe Wittgenstein) ma 'eventi'. Bisognerebbe quindi parlare di svolta evenemenziale della filosofia, piuttosto che di svolta linguistica. Par Bachtin la costituzione non può essere pensata come totalità (Luckacs), chiusura, sintesi operata dal buon soggetto. La creazione di qualche cosa di nuovo deve porsi il problema di come disfare il soggetto, come disfare la totalità che imprigiona la vita per raggiungere e confrontarsi con il "fuori", il virtuale. La creazione si fa al di fuori del soggetto. Per creare qualcosa di nuovo bisogna uscire dalle abitudini e da ciò che è costituito; uscire, cioè, da ciò che è gia fatto: è necessaria una posizione di "exotopia", di un fuori rispetto al sociale, alla comunicazione, all'informazione che non fanno che trasmettere dei dati precostituiti, tramite rapporti tra locutori già definiti. Per creare q__ualcosa di nuovo bisogna raggiungere e confrontarsi co~ il 'fuori'. E l'incontro con il "fuori universale" di cui parla Tarde. E anche lo stesso "fuori" che troviamo in Foucault e in Blanchot. Bachtin inventa un neologismo per esprimere questa realtà del "fuori": è necessario "ricorrere all'ossimoro e parlare di una posi117
zione interiormente fuori-di", per capire qualcosa di questa "exotopia", di questo essere fuori. "L'artista è precisamente colui che situa la sua attività fuori dalla vita, colui che non partecipa alla vita (pratica, sociale, politica, morale, religiosa) soltanto da dentro, ma che la ama anche dal di fuori - laddove non esiste per se stessa, laddove è diretta verso il fuori e sollecita un'attività situata fuori da essa e fuori dal senso. Trovare i mezzi per avvicinare la vita dal di fuori, questo è il compito dell'artista" (Bachtin, 1984). Questo è anche il compito di ogni atto di creazione.
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Resistenza e creazione nei movimenti post-socialisti
"Considerare il Particolare come forma innovatrice". Gilles Deleuze "Il regno delle leggi è vizioso; è inferiore a quello dell'anarchia; la più grande prova di ciò che dico è l'obbligo per il governo di immergersi lui stesso nell'anarchia, quando vuole fare la sua costituzione". Le Marquis de Sade
"Il servitore non è affatto l'immagine rovesciata del padrone, né tanto meno la sua replica o la sua identità contraddittoria: si costituisce per pezzi, a brandelli, partendo dalla neutralizzazione del padrone: acquisisce autonomia propria dall'amputazione del padrone". Gilles Deleuze a proposito di Sade di Carmelo Bene
Come qualificare il conflitto nella nuova dinamica della molteplicità di cui abbiamo tracciato le linee generali? In che modo si dispiega la lotta in questa nuova situazione, dove differenti mondi coesistono all'interno dello stesso mondo? Che cosa significa resistere e creare quando l"incompossibile' è la condizione d'esistenza della molteplicità? · A partire dal '68 i movimenti politici e le singolarità operano, contemporaneamente, su due piani distinti: quello imposto dalle istituzioni, che funziona secondo la logica di 'un solo mondo è possibile' e quello scelto dai movimenti e dalle singolarità, che funziona secondo la logica della creazione e della realizzazione di una molteplicità di mondi possibili. Il potere non può riconoscere questa dinamica, altrimenti rischia l'implosione delle sue istituzioni, e i movimenti non possono
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ritirarsi nella creazione dei possibili, ignorando il mondo della politica, altrimenti si condannerebbero all'impotenza. I movimenti post-socialisti agiscono secondo la logica della differenza e non secondo la logica della contraddizione. La politica della differenza non significa assenza del conflitto, dell' opposizione e della lotta, ma una loro radicale modificazione, che si dispiega su due piani asimmetrici. Sul primo piano, i movimenti politici e le singolarità si costituiscono secondo la strategia del rifiuto, dell'essere contro, della divisione. A prima vista, sembrano riprodurre la separazione tra 'noi e loro', l'opposizione dell'amico e del nemico, che caratterizza la logica della politica e anche del movimento operaio. Ma questo 'no', quest'affermazione della divisione, si dice in due maniere differenti: da una parte, questo 'no' è diretto contro la politica, ed esprime una separazione radicale con le regole della rappresentazione o della messa in scena della divisione all'interno dello stesso mondo; dall'altra parte, dire 'no' è la condizione di un'apertura a un divenire, a una biforcazione di mondi, e alla loro composizione conflittuale, ma non totalizzante. Il rifiuto e la divisione, sono, su quest'ultimo piano, la condizione dell'invenzione, di un 'essere insieme', che si sviluppa secondo le modalità della cooperazione tra cervelli, che noi abbiamo cercato di descrivere. Anche in questo secondo piano in cui si organizza la composizione delle differenze, c'è conflitto, litigio, poiché le forze si esprimono sempre tramite la logica dell'avere, del possesso e della cattura, ma qui non ci sono nemici. Sul primo piano, la lotta si esprime come fuga dalle istituzioni e dalle regole della politica. Le istituzioni politiche e i sindacati sono svuotati della partecipazione: ci si sottrae, si parte, come sono partiti i 'popoli' dell'Est, fuggendo dal socialismo reale, attraversando le frontiere, o recitando sul posto la formula di Bartebly: "Preferirei di no". Nell'altro piano, le singolarità individuali e collettive che costituiscono il movimento (movimento dei movimenti, secondo un altro enunciato prodotto nelle giornate di Seattle) sviluppano una dinamica di soggettivazione che è, nello stesso tempo, affermazione della differenza e composizione di un comune che è impossibile da raggiungere. Nel primo piano, quello della politica, il popolo, o è presupposto, o è un obiettivo da raggiungere; nel secondo, il popolo manca e mancherà sempre, perché non può mai coincidere con se stesso: "il gioioso eccedente" con cui Bachtin caratterizza l'azione del "popolo". Soltanto sul secondo piano la comunità impossibile dei fratelli e degli uguali può essere stabilita, ma come un essere insieme che
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non si fonde mai in un tutto pacificato. Pratiche di fuga nel primo piano e costituzione (effettuazione di mondi) nel secondo; sottrazione alla politica nel primo, e strategie di empowerment dei mondi possibili, nel secondo. I movimenti e le singolarità passano con una certa facilità da un piano all'altro, mentre il potere è costretto a restare sul solo piano del 'tutto collettivo', della 'totalità'. La nostra ipotesi, dunque, è che i movimenti politici post-sessantotto rompono radicalmente con la tradizione socialista e comunista, poiché la logica di queste tradizioni è interna al pensiero totalizzante della politica occidentale. È questa dinamica che rende i comportamenti dei movimenti e delle singolarità del dopo '68 opache, incomprensibili ai politologi e ai sociologi, ai partiti politici e ai sindacati. Si è parlato spesso, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, di de-politicizzazione, di individualismo, di chiusura sul privato, constatazioni che sono regolarmente smentite dall' emergenza di lotte, di forme di resistenza e di creazione. Per cercare di cogliere le modalità di sviluppo delle strategie dei movimenti e delle singolarità post-socialiste, vorrei confrontarle con qualche analisi contemporanea del politico. Jacques Ranciere, ritornando alle origini della politica occidentale, vuole riabilitare la tradizione più autenticamente rivoluzionaria del movimento operaio. Questo ritorno ai principi del politico occidentale e del movimento rivoluzionario dell'Ottocento, permetterà, forse, di verificare la rottura radicale che anima le pratiche dei movimenti contemporanei. Ranciere propone una concezione della democrazia conflittuale, una democrazia del dissenso. "Al tumulto economico della differenza, che si chiama indifferentemente 'capitale' o 'democrazia"' oppone la divisione come pratica di h1tte le "categorie" che sono "vittime" della politica, che subiscon0 il "torto" dell'esclusione dall'uguaglianza. Che cos'è la politica, si domanda Jacques Ranciere? La politica è l'incontro litigioso di due processi eterogenei: il primo, che chiama 'polizia', consiste nell'"organizzare l'essere insieme degli uomini in comunità e il loro consenso attraverso una distribuzione gerarchica dei posti e delle funzioni". Il secondo è il processo della 'uguaglianza' o dell"emancipazione' e consiste nel gioco "delle pratiche guidate dal presupposto dell'uguaglianza di tutti con tutti, e dalla preoccupazione di verificarla" (Ranciere, 1998). L'incontro tra il processo egualitario e la polizia, si fa intorno al 'trattamento di un torto', poiché la polizia, distribuendo gerarchica-
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mente i posti e le funzioni, fa torto all'uguaglianza. Il processo di emancipazione è sempre messo in movimento nel nome di una categoria alla quale si rifiuta l'uguaglianza: "i lavoratori, le donne, i neri, o altri". La messa in opera dell'uguaglianza non è tuttavia una semplice manifestazione degli attributi G della specificità della categoria in questione. L'emancipazione è un processo di soggettivazione, che è, contemporaneamente, un processo di "dis-identificazione o di declassificazione", poiché la logica dei soggetti che portano il conflitto e vogliono dimostrare l'uguaglianza è doppia: da una parte domandano 'siamo o non siamo dei cittadini?', e dall'altra parte, affermano 'lo siamo e non lo siamo'. In fondo si tratta di una variazione fedele alla concezione del politico e del conflitto in Marx, come riconosce l'autore stesso: la classe operaia come dissoluzione di tutte le classi. La classe operaia, nello stesso momento in cui lavora alla sua costituzione contro la polizia che fa torto all'uguaglianza, lavora anche alla sua propria dissoluzione in quanto classe. Ma perché, nella tradizione del movimento operaio, la dis-identificazione e la de-soggettivazione non sono mai state portate a termine? Perché la classe, invece di essere un operatore di de-classificazione, ha sempre funzionato come forza di costituzione di sé come un 'tutto collettivo'? Perché ha sempre agito come un soggetto di 'identificazione'? Non penso che si possano attribuire questi risultati deludenti al tradimento dei dirigenti, ma credo debbano essere ricondotti a qualcosa di più profondo contenuto nel paradigma nel soggetto lavoro, e che Ranciere esprime a modo suo. Resistere non è creare, emanciparsi non è fuggire o far fuggire le istituzione del potere costituito, ma affermarsi, come condivisori, nel litigio, di un mondo comune. Emanciparsi è affermare l'appartenenza allo stesso mondo, "che non può dirsi se non nella polemica, un mettersi assieme che non può farsi se non nella lotta". La dimostrazione dell'uguaglianza è "provare all'altro che non c'è che un solo mondo" (Ranciere, 1998). La politica è la costituzione di un "luogo comune", anche se non si tratta di un luogo del dialogo o della ricerca del consenso, come vuole Habermas, ma del luogo della divisione. Mi sembra che i movimenti post-sessantotto esprimano un rifiuto di questa teoria che fonda il politico sull'appartenenza e la prova che "non c'è che un solo mondo". Trasformando una citazione di Deleuze, si potrebbe dire: "ciò che i movimenti e le singolarità non vogliono è l'idea di un solo mondo".
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I movimenti delle donne, una delle 'categorie' citate da Ranciere, sono quelli che sono andati più lontano, sia a livello pratico che teorico, nella strategia a doppio livello, che ho cercato di descrivere. Per certi aspetti sembrano seguire fedelmente il percorso tracciato dalla dimostrazione dell'uguaglianza: siamo o non siamo uguali agli uomini? Qui c'è divisione, rifiuto, conflitto, con la polizia che definisce i posti e le gerarchie dei sessi e dei generi all'interno della società. Questa affermazione è, nello stesso tempo, come vuole Ranciere, un'opera di de-classificazione della divisione in generi operata dalla polizia. Ma precisamente qui c'è una rottura radicale col modello proposto da Ranciere. La de-classificazione e la de-soggettivazione non può farsi nello spazio politico classico, anche se è definito dai concetti di divisione, di prova dell'uguaglianza ecc. La soggettivazione del movimento delle donne, è effettivamente una dis-identificazione dei generi, che può affermarsi soltanto come costituzione e proliferazione di mondi possibili che fuggono, che fanno secessione dal mondo comune e condiviso che è il fondamento del politico occidentale. Per i movimenti post-socialisti, la dimostrazione dell'uguaglianza non è che la condizione di un'apertura a un divenire, a un processo di soggettivazione eterogeneo. Nei movimenti delle donne, infatti, dopo la prima fase di affermazione dell'uguaglianza, secondo la doppia logica invocata da Ranciere, si è aperto un dibattito sui limiti del concetto di genere e di differenza sessuale definito tramite la dimostrazione dell'uguaglianza. E si sono sviluppate delle pratiche di moltiplicazione delle identità sessuali, che sono altrettanti processi di soggettivazione eterogenea; identità mutanti che sono un divenire molteplice, un divenire 'mostro', una attualizzazione dei "mille piccoli sessi" molecolari: le lesbiche, i gay, i transessuali, le donne di colore. La critica 'femminista del femminismo', incontrando il pensiero post-coloniale e quello delle donne di colore, si è concentrata sulla "distruzione" del soggetto "donna11 , uscendo così dalla trappola dei due mondi (maschile/ femminile) uniti in uno solo (eterosessualità). I "soggetti eccentrici" (Teresa de Lauretis), le "identità fratturate" (Donna Haraway), i "soggetti nomadi" (Rosi Braidotti), pensano e praticano il rapporto tra differenza e ripetizione a partire dal luogo dove Ranciere si ferma (attraverso questa strana e aporetica categoria delle "dentità post-identitarie"). I concetti di genere e di differenza sessuale, costruiti sulla logica della "dimostrazione dell'uguaglianza", non bastano più e ostaco-
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lano anzi la comprensione "delle relazioni di potere che si (ri)producevano e si (ri)producono anche all'interno del mondo delle donne; relazioni che generano oppressione tra le donne e tra categorie di donne, e relazioni che nascondono o reprimono le differenze interne a un gruppo di donne o anche all'interno di ciascuna di esse" (De Lauretis, 1999). " Le donne non sono una' classe' che fonde le differenze in un soggetto collettivo totalizzante, ma una molteplicità, un pacthwork, un tutto distributivo. "La nostra sopravvivenza esige di contribuire con tutte le nostre forze alla distruzione della classe - le donne - [... ] Siamo delle fuggitive della nostra classe, nella stessa maniera che gli schiavi 'marroni' americani fuggivano la schiavitù" (Wittig, 2003). Si rischia, altrimenti, di cadere nel "mito della donna", dice Wittig, nello stesso modo con cui il movimento operaio è caduto nel mito della classe. "I barbari migranti si trovano tra l'uno e gli altri: vanno e vengono, passano e ripassano le frontiere, razziano e saccheggiano, ma anche si integrano e si riterritorializzano. A volte s'infiltrano nell'impero di cui si appropriano un certo segmento; si fanno mercenari o federati, si fissano, occupano terre e formano essi stessi degli Stati (i saggi Wisigoti). Altre volte passano invece dalla parte dei nomadi, associandosi, confondendosi con loro (i brillanti Ostrogoti)" (Deleuze e Guattari, 1991). Quello che le femministe nominano in una logica e una pratica post-identitaria, è la costruzione di una appartenenza che non significa assegnare o essere assegnati a una identità, ma, al contrario, entrare in un divenire che è un empowerment, diventare cioè capaci di ciò che non si sarebbe capaci altrimenti. Secondo Isabelle Stengers, le scienze sperimentali contemporanee dicono: noi non sappiamo cos'è un elettrone, noi possiamo descriverlo soltanto dal punto di vista delle risposte che dà a dei dispositivi che lo interrogano. Le pratiche post-femministe dicono: noi non sappiamo cosa può un corpo, ma noi possiamo convocare le sue forze e le sue virtualità attraverso dei dispositivi, degli enunciati, delle tecniche che, costituendo dei concatenamenti, lo interrogano, lo fanno entrare nella sfera delle "domande e delle risposte". Da questo punto di vista, il politico è una messa alla prova, un esperimento, per riprendere il vocabolario del pragmatismo americano. Non consiste soltanto nell'impegno dell'urgenza dell'essere contro, non si riduce soltanto alla definizione delle costanti e delle invarianti dell'essere insieme. Tanto l'urgenza dell'essere contro,
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che l'azione per l'uguaglianza, devono subordinarsi a una politica che apra alla sfera dell'evento (delle domande e delle risposte), a una politica del divenire, dlla politica come esperimento ("salvati, perduti ... salvati, perduti"). Il divenire implica l'evento e il virtuale, ma ha bisogno anche di dispositivi, di tecniche, di enunciati; presuppone ancora la costituzione di ciò che possiamo definire con un termine generale, delle istituzioni, che non bisogna però comprendere come delle figure del potere costituito. In effetti, si tratta di istituzioni paradossali, perché devono essere tanto "eccentriche", "fratturate", "in movimento", "bucate", "nomadi" quanto i divenire che devono favorire. A partire dal '68, il salariato è notevolmente aumentato nelle società occidentali, ma i salariati non aderiscono più alle istituzioni di classe (sindacati e partiti), le rifuggono piuttosto. Nello stesso modo, le "nuove identità sessuali" fuggono i dualismi, le segmentazioni binarie, anche quelle democratiche e politicamente corrette che riconoscono e lavorano per l'uguaglianza della donna e dell'uomo. Il molecolare della molteplicità non passa più né nel molare della classe e delle sue forme di organizzazione, né nelle segmentazioni binarie dell'eterosessualità. I concatenamenti molecolari cercano e esperimentano dei dispositivi, delle istituzioni che siano più favorevoli allo loro dinamica di creazione e di attualizzazione di nuovi mondi possibili. Alla luce dei comportamenti politici del dopo '68, si possono distinguere due differenti tipi di istituzioni: quelle riconosciute dal potere costituito che sollecitano una semplice riproduzione di ciò che è già dato (i dualismi di classe, di sesso, ecc. e la riproduzione assoggettata delle minorità), e quelle emergenti nelle lotte che praticano la "riproduzione" come "ripetizione", come canovaccio della differenziazione, ossia come territorializzazione a partire dalla quale produrre qualche cosa di nuovo. Le prime separano i concatenamenti molecolari dal virtuale, dalla creazione del possibile e non considerano il reale che come pura attualità. La ripetizione, invece, non è una istituzione di riproduzione, ma di variazione, di biforcazione, di apertura di mondi possibili. Per la ripetizione, il reale è allo stesso tempo, virtuale e attuale. Per costruire i loro territori, i concatenamenti molecolari vogliono delle istituzioni che non li fissino in ruoli e funzioni predefiniti, come è il caso con i partiti, i sindacati, la norma sessuale ecc. È qui che possiamo cogliere la novità radicale dei comportamenti politici contemporanei che fanno emergere l'opposizione, l'antagonismo
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tra tue tipi di istituzioni: l'istituzione che crea e riproduce il mo?ello e la misura d'una maggioranza e le istituzioni che creano e npetono le condizioni della politica come esperimento, come empowerment, come divenire. Nelle società di controllo, siamo confrontati a una pluralità di modelli maggioritari ('l'uomo' bianco cristiano qualunque - maschio - adulto - abitante delle città - americane o europee di oggi", il telespettatore dell' Auditel, il regime salariale, lo statuto di cittadino, ecc.) che agiscono in differenti settori delle attività umane. Il cittadino, il telespettatore, il salariato, l'uomo bianco ecc., fanno tutti appello a un fatto maggioritario. La maggioranza in tutti questi casi non designa una quantità più grande, ma in primo luogo una misura in rapporto alla quale, le altre quantità saranno definite più piccole. "La casalinga di meno di cinquant'anni", non costituisce la parte più numerosa dei telespettatori, ma i suoi "desideri" e le sue credenze, creati attraverso le tecniche interattive del marketing, definiscono la misura su cui indicizzare la programmazione della televisione per tutti. Minoranza, invece, designa innanzitutto un desiderio, ossia un movimento di un gruppo che, quale che sia il suo numero, è escluso dalla maggioranza, (minoranza creatrice) o incluso, ma solo come frazione subordinata in rapporto a una misura che fa la legge e fissa la maggioranza (minoranza subordinata). Siamo in presenza di due processi di soggettivazione differenti: una soggettivazione maggioritaria che rinvia a un modello di potere costituito, storico o strutturale, e una soggettivazione minoritaria che continua a "travalicare, per eccesso o per difetto, la soglia rappresentativa della misura maggioritaria" (Deleuze, 1993 ). Nelle democrazie moderne, altrimenti che nelle democrazie antiche, i diritti sono per tutti. Ma il "per tutti" si dice in due maniere differenti, secondo che rinvia alla democrazia maggioritaria o alla democrazia del divenire. Nel primo caso "il per tutti" determina o l'integrazione delle minoranze nella misura maggioritaria, o la loro esclusione (sia per quanto riguarda la cittadinanza, la norma televisiva, la norma sessuale, la norma salariale, ecc.). Nel secondo caso il "per tutti" non significa ne integrazione, ne esclusione, poiché tutti divengono minoritari, potenzialmente minoritari, per tanto che nessun modello sia riconosciuto come maggioritario. In realtà è soltanto nel divenire che possiamo incontrare i "tutti" che sono al fondamento della democrazia, perché minoritario significa entrare in un divenire e sottrarsi così alle funzioni, ai ruoli assegnati dal potere. Anche le minoranze devono entrare in un di-
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venire, altrimenti non costituiscono che la parte della popolazione subordinata a una maggioranza: le donne diventano una minoranza quando entrano loro stesse nella molteplicità del divenire, e cessano di ridursi al "secondo sesso". Ciò che è universale è il divenire. È soltanto nella variazione infinita dei modi di sottrazione al modello dispotico maggioritario che possiamo incontrare la molteplicità in atto. L'alternativa dunque non è tra universalismo e comunitarismo, ma tra due maniere differenti di capire e di praticare il "per tutti". Lo Stato, i partiti, i sindacati, le industrie culturali e della comunicazione, le istituzioni statali ecc., pensano i diritti per tutti, l'accesso per tutti (alla formazione, al reddito, al lavoro, alla cultura, alla comunicazione ecc.) come dei dispositivi d'imposizione d'identità e dunque oggettivamente totalitari. Ed è in questo modo che riproducono sempre e sistematicamente la dialettica integrazione-esclusione. Nelle lotte contemporanee (delle donne, di certe componenti dei movimenti no-global, dei coordinamenti francesi), vediamo emergere dei dispositivi, delle pratiche, delle istituzioni che organizzano la trasversalità tra il molare e il molecolare. La trasformazione, il divenire, la mutazione si fa, installandosi tra i due livelli, passando e ripassando le loro frontiere, come i barbari durante la caduta dell'impero romano; tracciando una linea che impedisca al molare di rinchiudersi nei modelli maggioritari, e facendo del molecolare la fonte dei processi di creazione e di soggettivazione. Le lotte attraversano questi piani differenti, determinando una tensione tra la logica di un solo mondo possibile e la dinamica della creazione di una molteplicità di mondi, tra il macro e il micro, tra il molare e molecolare, mettendoli in discussione entrambi, costruendo la loro relazione come problema e creando le condizioni per la trasformazione delle relazioni di potere che li costituiscono. C'è forse qui da sottolineare un punto litigioso con le teorie della moltitudine (Negri, Virno). In effetti, se la condizione della moltitudine è la dismisura o l'incommensurabile (Negri), allora il solo "modello", la sola "misura" di questo "gioioso eccedente", di questo potenziale di creazione, non può che essere la molteplicità del divenire. L'esodo (Negri, Virno), tramite il quale si descrive il comportamento della moltitudine, non può essere concepito che nella forma del divenire, della trasformazione quotidiana di questa terra ("credere al mondo"). Tutt'altra concezione messianica dell'esodo ci riporta o all'impotenza di un altrove impossibile da raggiungere, o alla ricostruzione di un nuovo modello, di una nuova misura maggioritaria.
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Nello stesso modo, la sola maniera per distinguere una "buona moltitudine" da una "cattiva moltitudine" è ancora il divenire. Trasformazione di una minoranza in maggioranza o divenire minoritario, processualità delle minoranze stesse; ricostruzione dell'universale o il divenire "universale di tutti". Se la moltitudine è molteplicità irriduttibile di singolarità, non può essere che moltitudine delle minoranze, perché è soltanto il divenire che può assicurare, nello stesso tempo, la proliferazione dei mondi possibili non totalizzabile in nessuna unità e implicare tutti nel divenire. Siamo qui sul terreno della critica dell'identità proposto da Ranciere, ma con un'analisi e una prospettiva politica radicalmente differenti: quella della molteplicità e del suo processo costitutivo che si effettua tramite differenziazione, che fa proliferare i mondi possibili (il divenire) attraverso le minoranze, per sottrarsi alle assegnazione e ai modelli maggioritari del potere. Ranciere, al contrario, ci propone di ricadere nella trappola nella quale è caduto il movimento operaio, e che i movimenti post-femministi hanno saputo evitare. Secondo il filosofo francese, "l'essenza della politica è la manifestazione del dissenso, come presenza di due mondi in uno solo" (Ranciere, 1998). Secondo il movimento post-femminista, la politica è effettivamente la manifestazione del dissenso, ma come costruzione di una molteplicità di mondi in divenire in uno solo, come biforcazione di differenti mondi incompossibili nello stesso mondo. La differenza mi sembra notevole, e riassume da sola la distanza tra i movimenti attuali e la tradizione del movimento operaio. Nello spazio politico occidentale, non si possono affermare che l'uguaglianza e l'identità ('noi siamo delle donne e noi siamo uguali agli uomini'). Ma l'uguaglianza, senza la proliferazione dei mondi possibili, è un potente mezzo di integrazione nella politica, nell' identità e nell'unità. L'uguaglianza deve essere sottomessa a una politica della differenza, che è la creazione di una molteplicità di mondi, il divenire 'altro', conflittuale, della soggettività. Non si tratta di opporre i due terreni della lotta: quello dell'uguaglianza e quello della differenza. Ma di capire che il primo, la dimostrazione dell'uguaglianza, non è che una condizione, una specie di zoccolo ontologico che i movimenti vogliono irreversibile per sviluppare una politica della differenza. I movimenti post-socialisti si battono per l'uguaglianza, ma come premessa, come condizione per una politica della differenza. Secondo Ranciere la polizia, prima di essere una forza repressiva è una "forma di intervento che prescrive il visibile e l'invisibile,
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il dicibile e l'indicibile". È in rapporto a questa prescrizione che il politico si costituisce: "Si dichiara in rapporto alla polizia, come legge di ciò che appare e di ciò che si intende, di ciò che conta e di ciò che non conta" (Ranciere, 1998). Definendo il politico come la forza che costituisce il "sensibile", Ranciere fa proprie le categorie di Foucault: il concatenamento di ciò che si vPde e di ciò che si dice, il concatenamento delle macchine d'espressione e delle macchine corporali, secondo Deleuze e Guattari. Mi sembra di aver già dimostrato che il conflitto sul visibile e il dicibile non si sviluppa secondo una logica inclusiva di mettere un mondo in un altro, i due nell'uno: "per esempio, il mondo dove la fabbrica è un luogo pubblico in quello dove è un luogo privato, il mondo dove i lavoratori parlano, e parlano della comunità, in quello dove gridano per esprimere solo il loro dolore" (Ranciere, 1998). È piuttosto Bachtin che ci dice la natura e le forme della lotta che si sviluppa intorno al sensibile, al dicibile e al visibile. Le forze che "parlano" sono decentralizzatrici e centrifughe, ed è effettuando questa decentralizzazione che sfuggono al monolinguismo, sviluppando une molteplicità di lingue, di enunciati, di semiotiche che sono altrettanti mondi, comunità che non si contentano di rifiutare la prescrizione del visibile e del dicibile, imposta dalla polizia.
Il coordinamento come invenzione e sperimentazione In Francia, uno dei dispositivi più interessanti attraverso cui i movimenti post-socialisti tengono assieme i due piani di azione, contro il potere e per il dispiegamento della molteplicità, è il coordinamento. Quello "degli intermittenti e dei precari d'Ile de France" è l'ultimo e il più maturo dei coordinamenti che, a partire dagli anni Novanta (coordinamento delle infermiere, degli studenti, dei ferrovieri, dei disoccupati, degli insegnanti), organizzano tutte le lotte d'una certa importanza. . Ora, mi sembra impossibile che si possa pensare ed agire nei coordinamenti sulla base di una teoria dell"autonomia del politico', o di un approccio marxista più classico, o anche secondo le regole dei partiti e dei sindacati fondate sulla logica di 'un solo mondo possibile'. In effetti, nei coordinamenti, le dinamiche di creazione e di effettuazione, di azione e di organizzazione si dispiegano secondo le modalità della nomadologia: la proliferazione di mondi possibili che si sottraggono sia al consenso maggioritario, sia alla divisione di uno stesso mondo condiviso.
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Gli intermittenti non resistono e non agiscono allo stesso modo degli operai della catena di montaggio fordista. Mentre questi ultimi erano presi nelle reti della cooperazione di fabbrica e delle modalità di esercizio dei poteri disciplinari, gli intermittenti vivono e lavorano nel quadro della cooperazione tra cervelli e delle sue nuove modalità di esercizio del potère (controllo). La potenza dell'industria audiovisiva e dell'industria culturale è, come sappiamo, quella della cattura, e della trasformazione della cooperazione delle soggettività qualunque in pubblici/ clienti. Gli intermittenti costituiscono la parte più precaria, più flessibile e più povera dell'interfaccia mediante cui queste industrie impongono un'estetica che, per parlare come Ranciere, è contemporaneamente creazione e effettuazione del sensibile (dei desideri e delle credenze), e determinazione di chi ha il diritto e i titoli a creare e a riprodurre. Il rifiuto, il 'no' degli intermittenti, è ciò che fa precipitare la molteplicità della cooperazione della soggettività qualunque dal suo rapporto ambiguo con l'organizzazione del controllo dei cervelli (insieme cinico e partecipativo, o asservito e ribelle, ma sempre individuale), a ciò che abbiamo chiamato, sulle tracce della teoria dell'evento, un rapporto "problematico". Tutte le caratteristiche della cooperazione neo-monadologica, invece di essere appropriate e sfruttate dall'industria della comunicazione e dall'industria culturale, funzionano come motori della lotta. La potenza di concatenamento, di disgiunzione e combinazione dei flussi e delle reti; la mobilità; la capacità di cominciare qualcosa di nuovo; la capacità di comunicare, di "essere padroni di se stessi"; la creazione e l'effettuazione dei pubblici, eccetera, si rovesciano in modalità di espressione della resistenza. Ma questo rovesciamento dei dispositivi non è che l'inizio di un altro processo imprevedibile, rischioso, aperto: quello della costituzione della molteplicità. Ritorniamo alla teoria dell'evento. L'evento della lotta fa emergere, nello stesso tempo, ciò che un'epoca ha d'intollerabile e le nuove possibilità di vita che contiene. Ma, la destrutturazione dell'intollerabile e l'articolazione delle nuove possibilità di vita hanno ancora un'esistenza reale soltanto nelle anime. La destrutturazione dell'intollerabile, spostandosi lateralmente alla forme codificate e prevedibili della lotta sindacale (la ritualità del ciclo manifestazione, assemblea, manifestazione), si effettuerà e si esprimerà tramite l'invenzione di nuove forme di azione, la cui intensità e estensione si apriranno, man a mano, verso lo svelamento e il sabotaggio delle reti del comando della società-impresa. 130
Alla deregolamentazione dell'economia, dei diritti Jel lavoro e dei diritti sociali, fa fronte una deregolamentazione del conflitto, che segue l'organizzazione capitalistica del lavoro fino nelle reti comunicative, nella macchine di espressione (interruzione di trasmissioni televisive, detournement o copertura degli spazi pubblicitari, interventi nelle redazioni dei giornali ecc.), che le lotte sindacali hanno torto di ignorare. Alle mobilizzazioni monumentali dei sindacati, concentrate nel tempo e nello spazio (sciopero), il coordinamento ha aggiunto una diversificazione delle azioni (per numero di partecipanti, per la varietà degli obiettivi, ecc.) a flux tendus (per la rapidità e la frequenza della loro concezione e esecuzione), che lascia intravedere ciò che possono esser delle azioni efficaci contro una organizzazione della produzione capitalista mobile, flessibile e deregolamentata e nella quale le macchine di espressione sono costitutive della produzione". Se la destrutturazione dell'intollerabile deve inventare le sue modalità d'azione, la trasformazione dei modi di sentire della soggettività che l'evento implica non è che l'apertura a un altro processo problematico, di creazione e di effethrnzione che riguaràa la molteplicità e i suoi divenire eterogenei. Il 'problematico' è il modo che caratterizza la vita e l'organizzazione del 'coordinamento'. Le soggettività implicate nella lotta sono prese tra la vecchia divisione del sensibile che non è già più, e il nuovo che non è ancora, se non nei modi della mutazione della sensibilità. Il coordinamento non è un tutto collettivo, ma un tutto distributivo; è una cartografia, una architettonica di singolarità, composta di networks e di patchworks (una pluralità di commissioni, di iniziative, di luoghi di discussione e di elaborazione, di militanti politici e sindacali, di reti di affinità culturali e artistiche, di legami di amicizia, una molteplicità di mestieri e di professioni, di condizioni chomeurs, précaires, ecc.) che si fanno e si disfano, a diverse velocità e con finalità differenti. . Il processo di costituzione che comincia qui non è organico, ma polemico e conflittuale. In questo processo sono implicati sia individui e gruppi disperatamente aggrappati a identità, ruoli e funzioni che la "polizia" ha modulato per loro, sia individui e grnppi impegnati in un radicale processo di de-soggettivazione di queste stesse modulazioni. Nel fiorire e nella circolazione della parola ci sono sia le riproduzioni delle credenze e dei luoghi comuni veicolati dal1' opinione pubblica maggioritaria, sia delle innovazioni politiche folgoranti. Ci sono maniere di fare e di dire consevatrici, e altre, in11
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novatrici, che sono distribuite tra individui e gruppi diversi, o che attraversano uno stesso individuo o uno stesso gruppo. La parola precario aggiunta alla denominazione di "intermittenti" del coordinamento d'Ile de France, è quella che ha scatenato più passioni e polemiche. Ci sono quelli per chi precario è un dato di fatto, una constatazione (c'è 'un numero elevato di intermittenti che non hanno diritto al sussidio di disoccupazione; e il nuovo regime, in ogni modo, ne trasforma il 35 per cento in precari). Altri che l'assumono gioiosamente come rovesciamento delle classificazioni del potere (nello stesso modo che disoccupato, immigrato, ecc.). Altri, terrorizzati da questa classificazione dai contorni indefiniti, negativi, rivendicano l'identità rassicurante dell'" artista" o del "professionista dello spettacolo", che sono anch'esse delle classificazioni, ma nel loro spirito, positive. All'artista, al professionista ci si può identificare, mentre al "precario" no. Ci sono anche quelli per chi la parola precario è sufficientemente ambigua, polisemica per aprire a una moltiplicazione delle situazioni che travalicano lo "spettacolo" e lasciano aperti degli spazi per dei divenire che sfuggano alle gerarchie del potere. Altri ancora rivendicano la "precarietà esistenziale" e denunciano la "precarietà economica". Ci sono ancora quelli per chi precario designa il luogo dove le identità si confondono (contemporaneamente artista e precario, professionista e disoccupato, alternativamente dentro e fuori, ai bordi, al limite); il luogo in cui le relazioni non essendo ancora rigidamente codificate, sono, nello stesso tempo, e in maniera contraddittoria, fonte di assoggettamento politico, di sfruttamento economico e delle opportunità da cogliere. Precario è l'esempio stesso della denominazione "problematica", che pone delle nuove domande e sollecita delle nuove risposte. Senza svolgere la funzione universale dei nomi quali "proletario" o "operaio", gioca il ruolo di ciò che eccede (in negativo e in positivo), e di conseguenza non è nominabile dal potere che negativamente. Sul fatto di neutralizzare la precarietà come arma d'assoggettamento politico e di sfruttamento economico, tutti sono d'accordo. Le divisioni emergono intorno al come metterla in opera e al senso da dare a questa azione. Ricondurre i problemi che pone la parola precario a delle risposte già pronte, l'incognita delle situazioni che evoca a delle istituzioni costituite (il salariato, il diritto al lavoro, il diritto alla sicurezza sociale indicizzata sull'impiego) e alle loro forme di rappresentazione. O inventare e imporre dei nuovi diritti che favoriscano un nuovo rapporto all'attività, al tempo, alla ricchezza, 132
alla democrazia che esistono soltanto virtualmente, e spesso in maniera negativa, nelle situazioni di precarietà? I problemi economici, la scelta delle forme di rappresentazione e di assicurazione, sono immediatamente dei problemi di classificazione politica, che rinviano a dei processi di soggettivazione differenti: o entrare nelle procedure già esistenti della relazione capitalelavoro, vivendo l'arte e la cultura come le loro eccezioni; o interrogare la metamorfosi del concetto di lavoro e del concetto di arte (o di cultura), e aprirsi alle soluzioni che sollecitano, definendo altrimenti l"' artista" e il "professionista". O integrare ciò che è precario, ciò che non è ancora codificato, nel conflitto istituzionalizzato e già normato (di cui fa parte anche la rivoluzione di un buon numero di rivoluzionari!), o cogliere l'opportunità di costruire delle lotte delle identità in divenire. Qui, i problemi dell'identità e dell'inclusione/ esclusione, investono il terreno più classico del diritto, delle forme istituzionali che regolano.il sociale. Abbiamo visto che i movimenti post-femministi si sono già confrontati al rompicapo del divenire, al problema del rapporto tra differenza e ripetizione attraverso il concetto "aporetico" di "identità post-identitarie": identità in movimento, fratturate, eccentriche, nomadi, dove l'identità è contemporaneamente affermata e negata, dove la ripetizione è per la differenza, dove l'affermazione dei diritti non è una classificazione o una integrazione, ma una condizione del divenire. Inventare i diritti per l'eccentrico, il fratturato, il nomade è una azione paradossale dal punto di vista di un solo mondo possibile, poiché implica, nello stesso tempo il divenire e ia permanenza, la differenza e la ripetizione. Situazione che dovrebbe piuttosto affascinare gli artisti. A questo punto possiamo constatare che l'arte e la cultura non esistono, ma che esistono delle pratiche artistiche e culturali e che su queste ci si divide. Se le pratiche artistiche dividono, i diritti possono unire. I diritti sono la condizione materiale dell'uguaglianza, i diritti sono per tutti. Ma l'uguaglianza non è fine a se stessa, non è un obiettivo in sé. È per la differenza, per il divenire di tutti, altrimenti non è che collettivismo, livellamento della molteplicità, media delle soggettività e soggettività maggioritaria. L'uguaglianza e la differenza possono concatenarsi felicemente, soltanto se si dicono della soggettività qualsiasi, se si dicono delle identità in movimento, se si dicono del divenire di tutti.
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Nel coordinamento si esprimono modi di fare e modi di dire delle soggettività che si sviluppano nei termini di un 'imparare insieme' oppure come delle expertises collettive, (come dicono gli intermittenti della Cip-idf delle loro attività) che definiscono, ogni volta, gli oggetti e i soggetti politici da investire. 'Imparare insieme' ed expertise che, quando funzionano, fanno proliferare i problemi e le risposte. La produzione di un modello alternativo a quello proposto dal governo, è una di queste expertises che, partendo dalle pratiche specifiche dei mestieri dello spettacolo, interrogano l'organizzazione generale della società. L'attività degli intermittenti è un concatenamento di temporalità eterogenee: tempo di creazione, tempo di formazione/riproduzione non soltanto materiale, ma anche spirituale, e tempo dell'impiego: tempi "pieni", tempi "vuoti", tempo della relazione con il pubblico e tempo di lavoro. La contabilità nazionale, la contabilità delle imprese e la contabilità della previdenza sociale non considerano che il tempo di lavoro subordinato (secondo una logica adatta alla fabbrica di spilli di Adam Smith e alle fabbriche descritte da Marx). Calcolano l' attività secondo la misura del tempo messo a disposizione di un imprenditore, di modo che le altre temporalità, che sfuggono alla misura cronologica, restano trasparenti e appropriate gratuitamente. Gli intermittenti vogliono sperimentare i dispositivi che facciano vivere e rendano possibile il concatenamento di temporalità eterogenee, ma anche e soprattutto le modalità per svilupparle e difenderle dall'avidità'. delle imprese e dalla logica maggioritaria di costituzione dei pubblici (inquinamento dei cervelli). Gli interessi particolari, anche salariali (per i redditi più alti il modello prevede una loro diminuzione in vista di una mutualizzazione, di una redistribuzione più giusta), sono subordinati alla costituzione di diritti collettivi, che devono garantire la possibilità, per tutti, di perennizzare le pratiche di espressione, di renderle meno fragili, di aumentare la loro autonomia. Il progetto capitalistico mette in pericolo non soltanto l' esistenza sociale dei lavoratori, ma si attacca anche al senso, ai contenuti delle loro attività. La mutualizzazione è pensata non solo a partire dai rischi sociali (precarietà), ma anche in funzione dei contenuti ("rischi" legati al senso, se così si può dire). Il rapporto tra garanzie economiche e contenuti della produzione, che nel periodo fordista si era perso, in favore della sola rivendicazione salariale, è qui rimesso con forza al centro della elaborazione di dispositivi di protezione sociale.
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Dimensione economica e dimensione di senso suno strettamente legate nella concezione del modello, che deve difendere non soltanto la mobilità economica (discontinuità dell'impiego, della remunerazione e dei diritti), ma anche la mobilità legata alla creazione del possibile. La giustizia sociale deve garantire anche la capacità di creazione del possibile. La difesa del posto di lavoro si limita a intervenire in una produzione già definita, già codificata dall'organizzazione capitalistica del lavoro. Gli intermittenti, invece, introducono una eccedenza, un surplus, un "troppo" pieno di virtualità che mette in discussione il concetto stesso di "produzione" e di "lavoro". Nel modello della coordinazione vediamo agire quello che nel terzo capitolo avevamo definito come l'attività 'libera', indipendente, che precede la sua subordinazione a un imprenditore e che vuole imporre le sue necessità. Il conflitto verte direttamente anche sul "senso". Il concatenamento di tempi "pieni", "vuoti" e di tempi di lavoro, diventando la norma dell'attività, implica un altro concetto di ricchezza e di distribuzione che bisogna inventare e sperimentare per tutti. Le modalità di costruzione del nuovo modello, criticando la legittimità della divisione tra esperti e non esperti, mette anche alla prova la separazione tra rappresentanti e rappresentati. Il coordinamento è uno sperimentarsi dei dispositivi dell" essere insieme' e dell"essere contro' che, al contempo, ripetono delle procedure della politica, e ne inventano altre. La forma generale dell'organizzazione è quella della rete (é non quella verticale gerarchica dei partiti e dei sindacati) in cui agiscono delle procedure democratiche e di presa di decisione differenti che coesistono e si concatenano in maniera più o meno felice. L' assemblea generale è retta dal principio del voto maggioritario, senza tuttavia selezionare elites e strutture verticali, permanenti e direttive, mentre il funzionamento del coordinamento e delle commissioni si fa secondo il modello della rete che permette a un individuo o a un gruppo di lanciare delle iniziative e .delle nuove forme di azione in maniera più flessibile e responsabile. Questa forma di organizzazione, basata sulle affinità, la fiducia e il consenso, è più aperta ali' apprendimento e all'appropriazione dell'azione politica da parte di tutti. La rete è propizia allo sviluppo di una politica,