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Italian Pages 260 [130] Year 2013
Pierre Macherey La parola universitaria
a cura di Antonio Stefano Caridi
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PRESENTAZIONE
LE CONDIZIONI
DELL'UNIVERSUÀ
ORDINE DEL DISCORSO E RAPPORTI Dl POTERE DI UN'ISTITUZIONE DA REINVENTARE
on vuol avere nulla di accademico la rìRessione sull'università condotta da Pierre Macherey ne La pa,-ole universitarie, priva com'è di quello sguardo distaccato) oggetrivo e aspirante ad una neutralità che .si ammanta di universalità che il discorso universitario - così come ne parla Jacques Lacan ha sempre preteso avere. È plutrosro in linea con quella «filosofia in senso ampio>) 1 che è ormai divenrara la cifra fondamentale dell'impegno intellertuale dello studioso francese, una delle voci più autorevoli della cultura filosofica d'oltralpe, che ha saputo valorizzare e rinnovare la lezione dei suoi maestri Althusser e Canguilhem rimanendo fedele ad una prospettiva polemica che non abbandona mai il rigore concettuale, ma d1e è la conseguenza naturale del fare filosofia rimanendo situati in un contesro storico-sodale dererminaro. Senza rassegnarsi ad una rigida ed astratta divisione disciplinare che prerend.a regolare il discorso filosofico secondo linee di confine stabilite a priori, Macherey ha voluto prendere sul serio la celebre affermazione di Canguilhem, secondo cui «la filosofia è una riRessìone per la quale ogni materia estranea è bnona, anzi potremmo dire: per la quale ogni buona materia deve essete estranea,, aprendo la riflessione filosofica al confronto con le scienze urnane e non disdegnando mai di immergersi nella fouca.ultiana «ontologia dcli' attualità,,,
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Tutti i diritti riservati Titolo originale: La parole universitaire Copyright© 201 l La Fabrique édìtions, Paris Copyright© 2013 Orrhotes, Napoli-Salerno Traduzione di Antonio Stefano Caridi JSBè'! 978-88-97806-25-7 Orthotes Editrice Via Palermo 22/B 800 l O Napoli \\.rvvw.orthotes.com
Philosophù.: au it:rlS large è il nome del gruppo di studio ddl'Université LiHe - III animaro da Pierre ?:vfacherey, nel quadro detr'Cnité Mìxte de Rechcrche (UMR) del CNRS dal tirolo Savoir lixtts Langagt. Tutti i lavori daboraci da qu~,o gruppo di s.mdio sono accessibili al due indiriui web: htcp://philolarge.hypmheses.org/progran1me-2009~ 20'1 O e http:/ /philolarge,hyporheses.or'l}annce-2010-2011, particolarmeme utili anche perché contengono una bibliografia. completi dei lavori di Pierre Macherey e un dossier .mll'Università con i lavori seminariali che sono all'origine di questo libro.
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Le condizioni dell'università
Antonio Stefano Caridi
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Allievo rra i più metti dl Althusser, col quale collabora nel!' elaborazione di Li>-e /e Capitai,' che ha segnato una svo~ra ndla n~ez10ne di Marx nel Novecento, spingendo il maoosmo a lare 1 conti c_on le acquisizioni più innovative delle scienze u~ane e dello stru~~rahs1:10: Macherey ha legato sicuramente il suo pm ~ro~cu? e on_gmale rmpegno teoretico ed ermeneutico agli smdt spmozI.~1, che m Francia: a partire dalle opere di Martìal Gueroulr e Gilles Deleuze entrambi usciti sìonificativan1ente nel 1968/ sono stan sopranucto un banco di prova"della stagione dello strutturalismo e del!' ami-umanesimo che intendeva portare a fondo la critica alle filosofie deHa cosaenza e del soggetto: di questa stagione filosofica, con le sue teconde ap~rture e le sue rigidità teoriche, Macherey è staro un protagornsta, delmeando campi di ricerca. che hanno caratterizzato una stagione filosofico .. po4 litica, con rilevanri conseguenze anche sul dibattito italiano. Accanto 2 È questo uno dei pochi cesti di Macherey rradorm in italiano, P, ~HER~, A propwito del processo di esposizione del ;!_Capitale», in L Alrhusscr, Uggere il Cap,tttle,
u. it. Mimesis, Milano 2006. lilla fine degli anni sessanra era stato rradorto Per una u:oria della produzione letteraria, La:rerza, Baci 1969, con un'inn:odu:z,ione di .E.~:ronL Su questo tesro cfL la postfazione di E DtNU!'..LlO, Cultura di mtma, 1deowg;.a e classe oggi, a P. Machcrey, jules Verne o il racconto in difett0, Mìmesis, Milano 20 l 1, che è la trnduzione dd cap. UI, Juks Vcrne ou k réci.t en défaut di P. MAcHElffX, Pow une théorie de 14 production littémire, Parls, Maspero 1966, ttalasdato, per ragioni che Denunzio acmamenre dcosrruisce, nella traduzione italiana, L'altro libro di Macherey tradorro in italiano è P. MACHEREY, De Canguilhem à Foucautt, la farce des normes, 1.a fabrique édirions, Paris 2009, tr. ir Da Canguilhem a Fouc1111lt. La fòrZP delle norme,
Edizioni ETS, Pisa 2011. 3 M. GuEROUL'l\ Spino:::a, r. J, Dieu, Aubier-!vionraigne, Paris 1968;. G, DELTIUZE, SpinoZP et le pmblème de l'expression, Édirions de ~1inuìt, Paris 1968. Sull'imporran;,a degli studi di Gueroult nd ciaprite anche jn Francla il dibardro storiografico su Spinoza, Ddeure ritorna ndh nota Spinoza et la méthode générale de Ai Gueroult, in «Revue de- Métaphysique et de morale», lXXN, n. 4, octobre-décembre 1969, p. 426.-437, raccolto in G. DELEUZE, L'ile déserte et autres teste, èdirions de Minuit, Paris 2002, tt ir., Tiso/.a deserta e altri ,aggi, Einaudi, Torino 2010, p. 207-212. Sull'imporranza di queste due opere per la thpertura di una Spiwm-renais:.ance in Francia a partire dagli anni sessanra, cfr. P. MAcREREY, Spino~ 13&}: Gueroul:t ~u!et Deku7:e, in P. ::Vfanigller (sous la dìrectkm de), Le mo-,nent phtlosophtque dt:s annes 1960, PUF, Pari.s2011,pp.221-248, . , , . 4 Le opere di Machetey dedicare a ~pinoza coprono quasi ,un vemenmo ~t ,ncer" che, a cominciare da Hegel 011 Spinoza, E..iitions Ma.spero, ParJ.S 1979; Avee SpmoM, · PUF Parìs 1992 e, infine, il commentario ai cinque libri dell'Etica usciro sempre per dal 1994 al 1998, Tale ìnretpreraz.ione spinoziana è stata una delle fonri più significative del lavoro critico condorro da Toni Negt~ sul :fi.i~s?fo o~d~se a pa_rrire ~a L'anomalia selvaggia, Feluinelli, Milano 1979, In cui la posr1.1onc di Spinoza si staglia
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a questo filone interpretativo, ricco di suggestioni teoriche e filosofico-politiche, che faceva entrare in risonanza in 1naniera_ feconda le implicazioni del marxismo alchusseriano e le aperture teoriche dello mutruralismo francese, Macherey, nel corso della sua più che quaranrennale produzione filosofica, ha però saputo cenere vive altre linee di ricerca, con saggi e monografie capirali su classici della filosofia come Pascal, Hegel e Comte, interessandosi inoltre dello scatuto della filosofia in Francia durante il periodo pose-rivoluzionario,' della teoria del!a produzione lerreraria, 6 di alcuni concecri e temi del dibattiro sul marxismo,' di epistemologia storica, del problema della norma in Canguilhem e in Foucault, delle valenze filosofiche e sociologiche della quotidianità,' dell'utopia' e, da ultimo, su che cos'è diventata oggi l'istituzione universitaria e che cos'è rimasto del progetro filosofico intorno al quale è srara costruita nella modernità. Ali' origine de La parole universitarie vi è però, innanziturro, il disagìo, diventato progressìvamence insofferenza;, per la condizione attuale dell'università, dominata da una rerorica dell'eccellenza che ha finiro per permeare ogni aspetto della sna organizzazione, snaturandone le finalità originarie o, quantomeno, sovvertendone le priorità. Encrato ad insegnare all'Universirà nel 1966, Macherey ha vissuro la stagione come ca.posripite di quella linea cricica del Moderno alremarìva al pensJero dialertJco e ìn grado di pensare adeguatamente la potenza cosriruri'va della moltltudìne: del rapporto lnrellenuale con Negd, con tutre le convergenze e i punti di arrrito, !vfa~ cherey parla ndl'inrroduzione che scrisse nd 1982 all'edizione francese de ranoma/Ja selvaggia per PlJF nel 1982 (rr. ìr. in A. NEGW., Spinoza, Derive Approdi, Roma 1998, pp, 9-12). Per una valmazione critica di questo dibauiro scoriografico e filosoficopolidco, si può vedere adesso B. DE Gmv~>\._'iNI, Hcgel e Spinoza.. Dut.lego sul moderno, Guida, Napoli 2011, che smoma la pretesa di chi, come M:acherey e Negri, in rendano porre una semplice ahemadva ua il monismo spinoziaoo e la dialecrica hegeliana, per leggerli piuttosto enrrambi come una risposca che il Moderno b.a cercaro di dare al problema di fondare ìl finito. A tal proposito, è udie consultare il numero che la rivisra ((Il Pensiero», n. 2; 2011, ha dedicato a Spinoza. La politica e il moderno, con comrìburi di De Giovanni, M. Adinolfi, F. Pellecchia, C. Ramond e C Sini. s MAçHEREY, Comte. La philosophie et /es sciences, PUF, Pafls 1989. 6 ID., Pour une théorie de la production littéraire, op, dr., ln,, A qoui pente I.a letterature?, PUF, Pads 1990. 7 In,, 1vfarx 1845. Lés "Thèus" sur Feuerhach. Traduction et commentaire, Édltions Amsterdam, Parfa 2008. H In,, Petits riens. Omièro et dhivei du quotidien, Édirions Le bord de l'ean,
e
F'aris 2009. 1 lo,, De l'Utopie!, De Llncidence Édireur, Paris 2011.
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Anmnio Stefano Caridi
ricca di promesse e di speranze della contestazione del 68, iu un momento storico in cui l'università rtadizionale si apprestava a diventar/ efferrivamenre università di massa; sotto la spinta apparentemente irresistibile dei movimento studentesco che reclamava) e a volte orceneva anche, riforme incisive sul modo di insegnare e sul controllo partecipato della politica uuiversirarìa. Una stagione con tante aperture importanti, anche al netto delle ingenuità utopiche e dei velleitarismi rivoluzionari che non possono certo far rimpiangere il vecchio e definitivamente tramontato mito dell'Alm,E mater, dell'uuhrersltà riservata solo al le élites, Ma rifacendo il bila udo di quella stagione, Macherey non può esimersi dal consratare che la condizione attuale dell'università in Francia ma il discorso si può estendere al resto d'Europa, con rlnte ancora più fosche se pensiamo al nostro paese non solo non ha mantenuto nulla delle promesse che hanno animato quella stagione di rìvolgirnenri, ma si è tramutata, sorto la spinta deff ondata neoliberale che dalla fine degli anni Onama ha imposto una strutturazione e una governance dell'istruzione tutta all'insegna della riduzione dei costi e della subordinazione alle logiche di efficienza aziendalistica, in unisti, tuzione pìù preoccupata a sdezionare che a formare, privilegiando programmi e piani di studio più consoni ad una visione della società e del mercato del lavoro che non riesce ad allungare la prospettiva al di là di una contabilizzazione tutta giocata sul breve periodo.
Le missioni dell'università he cosa significa infatti la tematica dell'eccellenza, che ormai si è impadronita del mondo universitario, irnponendosi come un'evidenza che non ha bisogno di giustificazioni, se non che le attività universitarie sono orn1ai sottop~ste ad un regime di comperizione e di concorrenza accanita che puntano rutto sulla selezione? Nei fatti, e come se fosse sconrato 1 senza che si sìa aperta una discussione al proposito, afferma Macherey, l'università è diventata un meccanismo di selezione, di fabbricazione della disuguaglianza, un'evoluzione nella quale è stata trascinata insieme a tutto l'apparato scolastico, che sembra aver smarrito altra funzione che non sia selezionare i più bravi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di rutti: frammenrazìone degli studi, condannati a distribuire degli spicchi di competenze senza le basi che potrebbe fornire solo una formazione generale progressiva impòStata
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Le c1Judizioni delltmiver.sitit
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sulla conrinuitt marginalizzazione dei percorsi di studio considerari meno redditizi, valorizzazione della speciali:xazione a discapito della formazione complessiva e dello srudente, E come se, nel ventaglio di missioni che storicamente l'università ha sempre cercato di a$solvere, avesse deciso di privilegiarne una a discapito di rune le altre. È Macherey stesso ad usare il plurale in riferimento alle missioni dell'università, perché una delle difficoltà, la principale forse, è che, fin dal!' origine medievale, l'università si è incaricata di assolvere contemporaneamente più funzioni rispondenti a degli obiettivi non sempre tra loro compatibili, dovendo fare i conti con esigeme provenienti da diverse, se non opposte, direzioni: da una parte, la richiesta dì un luogo di ricerca pura e disinteressata, in cui solo le esigenze incondizionate del sapere dovrebbero essere prese in conto e, dal!'altra parre, una soderà concre~ ìn cui gli studenti formati netl'università aspirano a uova.re una collocazione lavorativa. in linea con le competenze che sono loro riconosciute. Le prime università medlevalì avevano risolto il problema posto da questa dualità dotandosi di un'organizzazione gerarchica che stabiliva una netta separazione tra) da una parte, una facoltà iuferiore, la Facoltà delle arti, alla quale spettava dispensare, sotto l'autorità della ragione, una formazione generale ordinata attorno a due grandi divisioni disciplinari del trivium (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivium (aritmetica> musica, astronomia, geometria) e, dall'altra, le tre Facoltà superiori della Teologia, del Diritto e della Medicina che avevano il compito di preparare, qualificare e impiegare degli specialisti - il prete, il magistrato e il medico - con un ruolo preciso da svolgere nella società, per il quale si giustificava il fatto che le attività di queste tre Facoltà superiori fossero poste sotto il controllo dell'autorità politico-religiosa. Seguendo il lavoro fondamentale di Dutkheim su L'évolution pédagogique e,i France,'° il vero ispiratore de!la riforma universitaria del sistema moderno francese, Macherey riporta al!' organizzazione delle Facoltà del!' epoca medievale la fonte, o perlomeno una delle fonti, della divisione presente 10 E. DuRKHEIM, L'E11olutù1n _ptfd4gogiq11,e en France, Paris, PUF 1938, cr. ii:. Dmoluzume pedagogica in Francia. Storia def/Jnsegrldmento secondario, Bo!}onia University Press, Bologna 2006. Sulla storia dell'insegnamento universitario francese cfr. anche R Fox, G. Wmsz (eds.), lhe organization ofrcience and tecfmolbgy in France, 1808-1914, Cambridge Universicy Press - Èditions de la M:tison des Sciences de l'Homme, Cambridge-Paris 1980; G, \'\'Exsz, 1hr: EmergenceofModertl Universities in
France, 1863-1914, Princeron Universìty Pm1,, Princeton 1983,
Le condizioni dell'università
Amonio Stefano Caridi
in Francia rra ie due filiere deffinsegnamen~o .,.5~perì?:e rise~ato
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srudenti usciti dal liceo, cioè da una parte l Urnvemta ptopnamente detta, rifugiata nella fortezza della sua autonomia, e dall'altra le grandi scuole [ Grandes Ecoles] che partecipano direttamente al gioco sociale nel quale sollo in n1rto implicare in quanto assicurano l:3, formazione di quella che Pierre Bourdieu chiamava una «nobùsse d'Etat». Divisione che si regge su logiche d'insegnamento, di selezione e valutazione completamente differenti, con le prime, le Università, che hanno nell'esame, cioè nella verifica ex post, il loro momento saliente, con una valutazione che si concentra sulle capacità maturare durante il corso d'apprendimento, mentre nelle grandi scuole è lo spirito del concorso · a prevalere:, con turro il carico di competizione e di selezione compa~ rata su quello che è staro il percorso di vira precedente degli srudenri, in primis le diverse estrazioni sociali e famìHarL Owiamente, la distinzione tra Università e grandi scuole è peculiare del sistema francese, ma quello che si può registrare, a livello europeo, è un progressivo avvicinamento di tutti i sistemi unìversirarl ad una logica del concorso che, basandosi sulla remarica dell'eccellenza, rende sempre meno universale il diritto allo studio, condizionandolo a criteri di riuscita che rispondono più a logiche aziendali che ad esigenze qualitative di ricerca e dì crescita culturale e scientifica. Ma non è solo su questa gen le fa prendere coscienza dei conflitti da cui è atttaversata, sollecitandola ad aprirsi a nuove forme di equìlibrio. L:autonomia dell'università quella che altrove Derrida chiama «Luniversità senza condizione)) 17 - non vuol dire quindi un'università separata, 17 J, DERRlDA, L'universiti saru conditkm, Galilée, Paris 2001, rr. iL Jn J. Derrida, ~/~, Rov3:1l, L'unlw:_rsità senz:.t. condizione, RaffaclJo Cortina, Milano 2002, riprende 11 molo dt una conferenza renuta all'Cniversità di Stanford in Califomia nei I 988, il cui titolo completo era L'avenir de la prefession (JU L'universiti sam condition (gràu aux: «Humanitls'; ce qui pourrait a:voir lieu demain, Sull'in8uenz.a di Derrida, e della ge-
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Antonio Stefano Caridi
protetta come una fortezza dille sue mura da cui rifiuta di allontanarsi, collocandosi unicamenre sotto la protezione dei suoi regolam~nti e dei suoi statuti, ma è un1 università che acconsente a prendere per dentro il suo fuori, che si espone cioè al rischio di rendere conro delle divisioni che si producono all'interno della società. I.:università di cui parla Derrida è quindi una «cosa» attraversata da conHitri che non sono soltanto dei conflitti dominali o delle rivalità personali, poiché hanno la loro origine nell'insieme del campo sociale di cui e.ssa riflette le conrraddizioni iu una maniera che può essere anche esplosi.va, perché si tratta di un luogo di ricerca e di discussione che non può sorrrarsi alia necessità dì rivolgere su sé stesso il proprio sguardo critico: «Per conservarsi, pet sopravvivere, l'Università non può insediarsi srabilmente e confortevolmente nella regione immaginaria del ,;,come se» ( ... ]È necessario che l'Università sc~nda dal cielo in terra e che, uscendo dal suo bozzolo, raggiunga il mondo reale, le sue condizioni e i suoi rischi, Occorre che lo faccia non soltanto perché costrena, sotto minaccia) dunque in una posizione tendenzialmente di asservimento, ma per quanro possibile in uno spirito di responsabilirà, prendendo la giusra misura di queste condizioni e risd1i, impossibili da esorcizzare e fare scomparire con un colpo dì bacchetta magica, rifugiandosi nel suo buon diritto. E vi può arrivare solo prendendo lucidamente coscienza delle proprie mancanze, che sono anche aperture tramite le quali comunica con il fuori, un fuori che, lo voglia o meno, lo sappia o meno, è anche dentro)), 18
PIERRE MACHEREY
LA PAROLA UNIVERSITARIA
Antonio Stefano Caridi R.oma, febbraio 2013
nerazione deglì ìnrellecruali francesi dd posr~struttural.ismo, s11Ua vie-a çulturale delle nnlversità nord-americane., dr. F. CussnT, French 1heor;: Foucault, Derrida, Deleuze & Cie et !es mutations dr: la 1.Jie intellecroelle aux États~Unis, Édirions La découverre, Pads 2003, tr. it., French 1hr:ory: FfJuc@lt, Derrida, De!euu & Co. all'asMlro dell'Ame-
rica, IJ Saggi:itùre, Milano 2012. " Cfr. infaa, p. 85.
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IxTRODUZIONR LUNNERSITÀ
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QUESTIONI 1
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un dato di fatto che lo statuto della res universitaria è oggi in questioni [en questions], al plurale per mettere in evidenza che, oltte ad e-ssere di fatto minacciata la sua esistenza su tutti i fronti, è la sua stessa realtà che fa problema, neHa misura in cui natura e funzioni sembrano rimesse ìn causa in quanto ralL A che cosa serve l'università? Che cosa vi si fa in concreto? Che tipo di discorso, peculiare per forma e contenuto> vi si clene? Che tipo di relazioni si intrecciano tra coloro che, a titolo diverso, vi appartengono? A che condizioni può funzionare correttamente, cioè adempiere le missioni di cui è investita, che legittimano il fatto che si cerchi di perpemarla o eventualmente adattarla a nuovi bisogni da definire? Queste domande si impongono oggi con urìindiscutìbile urgenza, in uu contesto di diffidenza e disperazione, sulla base del sospetto o della paura che l'idea stessa di università possa davvero aver fatto il suo ternpo e dover lasciare il posto ad altro, senza che si possa intravedere che cosa questo «altro» passa essere e che prezzo bisognerebbe pagare per esso. Tuttavia, le dìffic.oltà segnalate da tali questioni non sono nuove: è da quando esiste, cioè da più di otto secoli, che si sono manifestate;, con periodi di calma, cioè di assopimentç,, scanditi da momenti di grande ìnquietudine e agitazione che rivelano come la. cosa w1iversitatia non abbia cessato di essere oggetto di preoccupazìone., senza .. .poter rimanete cranquìlla nel suo angolo, librata sulle sue franchigie, al riparo dallo sguardo della collettivltà con la quale deve pur imrat, ,cenere delle relazioni di scambio cheJ in ceree cìrcostanze, possono . ·:rivestite un andamenro tumultuoso e mettere in pericolo i dispositivi · ordinari da cui dipende il suo funzionamento normale, o considerato
comincia ad avere un minimo di credibilità. Un centinaio d'anni dopo Nietzsche, Bourdieu e Passeron, in uno srndio su Linguaggio e situazione pedagogica realizzato nel 1965 sulla scia del loro libro su Les Héritiers- Les étudiants et la culture,' hanno proposto una descrizione del rapporto tra astudeun e astudù destinata a mettere in evidenza la «logica della messa a distanza» che ne è alla base:
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Il professore crova nella parricolarìtà dello spazio che gli prepara l'isciruzione (fa pedana, la carredca e la sua posizione al cenno di convergenza degli sguardi) le condizioni materiali d1e gli permertono di mantenere glì srudenci a distanza rispettosa e che ve lo obbligherebbero anche se lui vi si sottraesse. Innalzarn e chiuso nello spazio che lo consacra oratore, sepaca:o dall'udirorio per quanro I1affiuenza lo permetca ~ da alcune file deserte che segnano marerialmeme la distanza che il profano conserva timorosamente davanti al mana dd verbo e che sono sempre occupate, in ogni caso, dai più impeccabili zdarori, devoti vicari della parola magistrale, 11 professore, lontano e inarrivabile, MW absconditus circondato da dkerie vaghe e recrìbHi che sono come mitologie, è di fatti condannato da una sìruazione molto più coercitiva della più cogenre regolamentazione al monologo reatrale e all'esibizione vircuosistica. 5 ,
Come faceva già Nietzsche, Bourdìeu e Passeron insistono sul carattere oggettivo del condizionamento di e attraverso la parola, che previene le intenzioni di coloro che entrano in questa relazione, quale che sia il posto che vi occupano in quanto emittenti o riceventi della comunicazione effettuata. Il prof=ore crede di essere lui a parlare a " Éd.. de Minuit, 1964. 5 Teseo pubblicato in Les Temps ModerneJ, n. 232, sertembre 1965, p. 447; lo stesso studio serve da incrodutlone al n. 2 dei Cahiers du Centre dc Sociologie européenne, ), dispositivo considerato attualmente obsoleto -e di fatti sempre più difficile da far funzionare- arrivando a preferirgli altre procedure che permettono di diluire gli effetti alienànti della parola calata dall'alto e come proveniente da un altro mondo - da parte di un maestro inaccessibile, insieme facondo e muto, inesauribile sulle macerie artinenti la lezione e del tutto discreto sulle motivazioni e i presuppasti che sono alla base del suo modo di trattarle e su cui mantiene il riserbo. Analogamente alla dignità simbolica attribuita alla «cattedra»> si è fatto scomparire anche ciò che la rappresentava nella sua plasticità materìale, la pedana, con l'intenzione di collocare tutto su uno stesso piano_; e ad un ìnsegnamenro didatticamente impartito in maniera unilaterale_, sì sono sostituite pratiche desrinate ad incoraggiare soprattutto gli scambi, come quelli dei lavori coordinati_, del lavori pratici o di seminario. i cui partecipanti sono sollecitati, nell'ambito di gruppi ristretti, ad intervenire democraticamente come formalmente uguali. Il maestro si è trasformato ìn conslgl.iere, in tutor, in fratello grande che si rassegna a lasciar fare per meglìo orientare~ dunque si accontenta di dirigere sottobanco, quando non sì tiene completamente in disparte rispetto allo svolgimento delle operazioni, la situazione per lui più riposante: intervallate da lunghe pause) sistemate con flessibilità, le ore concesse all'insegnamento e registrate nei servizi passano veloci. E quando il professore è in congedo per malattia o in missione alf estero, la sua assenza passerebbe quasi inosservata, poiché i suoi interventi erano diventati così discreti che rutto avviene come se non ci fosse mai stato, anche durante i periodi di presenza effettiva, in cui la sua posizione si era inavverritamente avvicinata a quella del!' uomo invisibile come descritto nei racconci dì fantascienza. Ma non bisogna illudersi: queste innovazioni pedagogiche, per quanto seducenti possano essere a prima vista> non pongono fine al carattere alienante della relazione «acroamadca» e della «logica della messa a distanza» che la sostiene, e sono come il miele che si
L'Università in questioni
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spalma sui bordi della razza per far meglio ingerire la pozione amara. Il Joro effetto più tangibile è di svuotare le sale dei corsi. in cui sono proposti solo degli sc.,arnbi incerti, privi dì contenuto reale~ sotto tutti gli aspetti inefficaci. Prendere coscienza del carattere: illusorio di queste innovazioni non deve portare ad un ripiegamento sul passato. Dopo otto secoli di esistenza, la forma universitaria_, se continua ad avere un senso, resta ancora in gran parte da inventare: è per questo che - se ne è già fatra allusione - la parola d'ordine «difesa dell'università», che sì iscrive implicitamente in una prospettiva di conservazione, che dà per scontato che questa forma sia essenzialmente acquisita e che basterebbe trovare i mezzi per perpetuarla identica a sé stessa, l'.'. insoddisfacente, Ovviamente, mantenere funiversità cosl com'è è diventato impossibile, in una co,ngiuntura in cui, più che mai, il ,,così com'è>, risulra problematico, ésposto alla contestazione, Ma allora, quale università vogliamo? O piuttosto, di quale università abbiamo bisogno oggi? Per rispondere a questo genere di domanda, dobbiamo in primo luogo indagare in maniera più lucida le condizioni, al plurale perché non sono rune dello stesso ordine, da cui dipende resistenza di questa forma universitaria che sta per esplodere sono i nosrri occhi) e che sarebbe vano pretendere di conservare intatta, quando purtroppo è già diventata solo l'ornbra di sé stessa. Se l1universirà ha, come si può tuttavia sperare, un futuro, esso si colloca in regioni dello spazio sociale che sono ancora in gran patte da esplorare, essendo esse stesse in via di costituzione, sottoposte pertanto alla legge del provvisorio, dell'incompiuro e dell'incerto. Tre approccii inevitabilmente parziali, della cosa universiraria saranno qui proposti; si esaminerà l'università come sì presenta allo sguardo dei filosofi nel linguaggio e coi concetti che sono loro propri; in seguito, si indagherà 11 discorso universitario sulla sua idenrità e sulla pertìnenza delle sue pratiche, servendosi degli strumenti per definizione obiettivi fomiti dalle scienze umane come la psicanalisi e la sociologia; infine, ci si sforzerà di portare alla luce alcuni paradossi della forma-università con l'aiuto della letteratuta. Queste tre prospettive non esauriscono certamente i problemi dell'università e non permettono di programmarne la soluzione, ma, tutt"al più, possono permettere di avere una visione un po' più chiara suì loro presupposti e di sottollnearne l1urgenza> in mancanza di rimedi.
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L:U::,uvERSITÀ DEI FILOSOFI
I.
Kant e Il Conflitto delle Facoltà
-P Conflitto delle Ftfcoltà1 è proprio
l'ultimo testo pubblicato da nel 1798. E degno di interesse il farto che Kant abbia dedicato il momento finale della sua immensa opera Jìlosolica ad una riflessione sul carattere istituzionale della filosofia, che stabilisce quali sono i rapporti che qu_esra inrrattiene di diritto con le altre discipline insegnate nelle facoltà, nel contesto storico proprio di una certa congiuntura universitaria. Il Conflitto delle Facoltà si situa direttamenre sulla scia de La Religione nei limiti della semplice ragione, opera apparsa cinque anni prima, nel 1793, che si era attirata la diffidenza della censura prnssiana ed ern valsa al suo aurore una reprimenda indirizzatagli personalmenre dal re Federico Guglielmo II, figlio e successore del grande Federico II di cui non aveva né la cultura né l'altezza di visione politica. Indipendentemente dalla relazione con La Religione nei limiti d,lla semplice ragione e con il resto dell'opera teorica di Kant, questo scritto attira l'attenzione anche per il fatto di collocarsi in un momem:o chiave della storia della forma universitaria su cui fornisce una tesrimonìanza insostituibile: il momento è quello in cui !1 organizzazione delrunìversirà fu ripensata in fun1Jone di un certo ideale filosofico della scienza e della rappresentazione del ruolo fondamengiocato dalla cultura, basata sull'ideale nello sviluppo nazionale di ciò che si chiamò allora in Prussia Kulturnation, cioè la nazione che trova nella cultura la condizione della propria unità organica. La riflessione proposta da Kanr in questo contesto 1 in cui la questione dell'università rinviava a questioni che riguardavano la società intera, mira alla sistematicità architettonica che costituisce il marchio di
1 Kant,
1 t KANT, Der Streit der Fakultiiten, in Kams Werke, Akademie Textausgabe, Berlin !968, VII, pp. 1-116, tr. it., Il eanjlitto de& Facoltà, a cura dì D. Venturelll, Morcelliam1, Brescia 1994.
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Uno
L'UniverJità dei filosofi
fabbrica dell'insieme della sua opera e tende a fissarne le articolazioni, contrassegnandole con un cerro immobilismo sub specie aeternittttfr. ( E, allo sresso tempo, attraverso proprio le irregolarità e le lacune di quest'opera rardiva, in cui sono raccolti degli scritti disparati e in cui 1
abbondano le digressioni, cosa che non le impedisce di essere attraversato da Hluminazioni acute, tale riflessione lascia emergere lo slancio proprio di una dinamica dì trasformazione, dinamica storica che traduc·e la presa di coscienza di una mutazione in via di effenuarsì insie-
me sul piano reorico delle idee e sul piano pratico delle istituzioni. l;n aspetto del pensiero dì Kant troppo raramenre messo in evidenza è lo straordinario senso storico da cui è animato, che testin1onia di una sensibilità acuta ai cambiamenti che riguardano_, oltre alla maniera di ragionareJ il modo in cui la soderà si organizza dispiegando dei dispositivi su tutti i piani di cui ha la responsabilità, compreso quello in cui si pongono concretamente i problemì dell'insegnamento, con
le forme collettive di soluzione da essi richieste. Kant a/fì-onra rali problemi con i mcrzì della filosofia, avendo cosl l'occasione di delineare una certa idea dell'università colta in qualche modo nel suo momento
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. Fu fdice_l.'idea di chi per primo co.ncepl e propose dì attuare pubblicam.ente d progetto d'organi:z.zare l'intero complesso _del sapere (proprt1rnente le menti che vi sl dedicano) medfante !a div!Sion; deì l~v?rì, press'a poco sul mode!UJ di una fabbrica dove fossero :niplegat1, m base al numero delle discipline scienrifiche, un numero ·ezuale di insegnanti pubblici, di profijsori, nel ruolo di deoosìtari delle sd_em:e, eh;, .rìun~t~, cosrituìssero una specie di comunÌtà del sapere chiamata_Umver~ta (o anche scuola superiore) dotata di una propria autonooua perchc solo dei doni sono capaci dì giudicare altri dotti). Questa, per mezzo del]e sue facoltà (piccole società) distinte in base alla ,d~v7rst~ principali rami del sapere, in cui si dividono i dotti d':ll Cmvers1:ta; doveva dunque essere autorizzata sia ad ammettere gli studenti eh~ ~pira.no ad a:~dervi daJle scuole ìnferiorì, sia, dopo un esame preltmmare, a conferire mon.;: proorìo :ti liberi ìnseanantl . • d, ·{ 1 0 eh . ramat~ otton \c~e non sono membri dell'Univetsità) una dignirà nconoscmtada tutn (ad accordare loro un grado), insomma a crearne
~;i
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Ia figura. 3
comincia a definire la configurazione che gU è propria nelle condizioni che gli sono offerte dall'antico.
In quanto uscita direttamente dal cervello di un creatore inventivo e patt.i°:larmenre ben ispirato, l'Università presenta dunque delle catattért'it!Che che tendono a confermarne rappartenenza ad una ce ., . l na moderruta:. m app ìcazione del principio della divisione ra:Lionale del lavoro nelhndustria) principio che era cominciato ad essere teorizzato
Nell'introduzione alla prima ddle tre sezioni che compongOno Kant propone una constatazione lucida della maniera in cuj l'università è costìtuìta nella sua epoca. Egli la rappresenta in manie-
del] ~con:1n11a pol1t1ca, essa si presenta sotto 1a forma di un vero ma come il risultato di una scelta razionale
rnzza~1?ne uue~~tuale eh~ racc.oglie ciò che Kant chiama un po' oltre "dotti ~orporanv1 1); essa si dedica, con un massimo di efficacia~ a.Ha produz10ne e alla trasrniss.ione dei saperi ed il suo funzionamento cen~e ad una completa autonomia, realizzata in particoJare attraverso il libero conseguimento di gradi, di cui FUniversità si riserva l'esclusiva rivendicando il ~iritto di definire il profilo di tali gradi, cioè crearli. ' I_l problema e che questa organizzazione razionale, alla quale l'Universna deveJo scaruco di corpo relativamente auronomo, non copre rotalmenre il campo della creazione intellettuale, in cui le idee circolano e h~nno un ruolo da giocare nella società. Il monopolio che essa nvendrca su queste operaz.ìonfi in particolare attraverso la pratica
iniziale, quando comincia a prendere forme e si effettua il capovolgimento dell>anrico nel nuovo, dunque nel momento in cui il nuovo
qu~che anno pri°:: dai filosofi scozzesi creatori della nuova disciplina
1' opera,
che dipende da un'iniziativa individuale, trasversale in rapporto alla successione temporale, essere fondanre:2
il cui valòre sarebbe stato e
continuerebbe ad
7 Questo modo dì presenrare le cose è in risonanza con 1o schema espo~to nel passo famoso della prefazione alla seconda edizione della Cririca della ragion pura dedìcaro all'origine deHa raùonalità scientìfic-a in cui Kant spiega che da rrasformazione in scienxa. vada atrribnìta ad nna tivoluz.ione, ac-ruara daJla felù:;e idea di nn singolo uomo ~ ... ] coluì che per primo ... ecc». (p. 29), formule che pos....çono essere consìden.re come rappresenrarive di un topos di analisi ripìcamemc ka.m:iano che hanno il valore di una fìm.u.
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della raccolta di gradi, che permette di cenificare e di registrare le comperenze riconosciute, si trova così contestata dall'esistenza di altfe istanze e di alui attori, cosa che, inevitabilmente, è fonte di tensioni e di conflini più o meno larvati. Innanzhuno, vi è la massa eteroclita di persone che, senza piegarsi ali' obbligo di osservare una regola comune che unifichi a priori le loro atdvirà facendole rienuare tutte in un unico modello, si dedicano ad una libera ricerca della verità, facendo a meno di un riconoscimento isrituzionale del tipo di quello che rilascia e garantisce, per esempio, il conseguimento dei gradi: Oltre ai dotti membri della corporazione [i professori universirari, caregoria professionale alla quale Kant sresso apparteneva], possono essercene anche di indipendenti, che non fanno parte dell'Università, ma, elaborando solo una parte del grande complesso del sapere, o cosrituiscono certe libere associazioni (chiamate Accademie, o anche Società delle scienze) cpe sono quasi altrenanti laboratori, o vivono per così dire nello stato di natura del sapere, e si occupano da dilettanti
del suo ampliamento e della sua diffusione, ciascuno per conto proprio, senza ubbidire a norme e regole pubbliche. 4 Gli universitari che, in virtù del principio della divisione del lavoro, base della loro otganizzazi~ne, rivendicano il diritto di occupare tutto il terreno della conoscenza, sul doppio piano della sua produzione e della sua diffusione, si vengono a trovare dunque in competizione con alue isranze che effenuano quelle stesse operazioni secondo modalità differenti, seguendo altre vie, sia che si presendno sotto forma di corporazioni indipendenti che si danno regole proprie, sia che facciano a meno di ogni forma, pubblica o privata, di raggruppamento istirnzionale, arrivando a fare una ricerca della verità in maniera selvaggia, senza regole, in assenza di ogni possibilità di controllo. Repertoriando quesre figure dell'intellettualirà che rivendicano a livelli diversi la propria indipendenza, Kanr lascia intendere che l'universitario quale egli è non può evitare di sentirsi abusivamenre insidiato dall'esistenza di persone che, in qualche maniera, vanno a caccia nelle sue terre facendo a meno degli obblighi e delle sanzioni che condizionano l'appartenenza allo Stato scienrifico costituito di diritto dall'Università. La li berrà che essi rivendicano non è indebita? Soprattutto, l'esistenza di «dilettanti)), per quanto illustri essi siano, che si attribuiscono di pro" lbid, p. 68.
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pria iniziativa il. permesso di mettere il naso dappertutto e di perorare a volontà su tutto, costituisce un pericolo maggiore per l'Università, contestata nelle sue prerogative, esposta al rischio di essere usurpata dei suoi diritti e - perché no? - sottoposta ad un attacco virulento del tipo di quello lanciato da Voltaire nel!' articolo Lettere, gente di lettere o letterati del Dizionario filosofico, in cui scrive: I letterati che hanno reso la maggior parre dei servizi al piccolo numero di esseri pensanti diffusì nel mondo, sono i lerterati isolati, i veri dotti rinchiusi nel loro studio, che non hanno argomentato sui banchi dell'Università né detro le cose amerà nelle Accademie; ed essi sono srati quasi sempre perseguirati. Sullo sfondo della discussione che qui si-profila si trova una questione scottante: fino a che punto gli insegnanti dell'Università, sopratiutto quando sono diventati dei funzionari dello Stato, dunque dei professionisri stipendiati della conoscenza, dispongono di una reale autonomia, come da loro preteso? La condizione per godere effettivamenre di questa libertà non sarebbe di prendere un massimo di distanza dalle istituzioni le cui abitudini restrittive, e i vantaggi che esse procurano sono forma di onorificenze, salari o gratificazioni, significano l'assoggettamento ad un potere da esse rappresentato, in nome del quale esse parlano, senza disporre nei suoi confronti di alcuna padronanza? Un vero dotto non è, al contrario, colui che, rivendicando tutt'al più l'appartenenza ad una ideale Repubblica delle lettere dalle frontiere indefinite e in cui nessuno è in posizione di legifetare, ricerca la verità da sé stesso, sorro la sua sola autorità, al di fuori di una garanzia istituzionale nella quale intravede una limitazione della sua libertà di pensate? È con questo spirito che Spinoza, nella lettera del 16 febbraio 1673 al rettore Fabririus che, in nome del Principe Palatino, gli offriva di insegnare nella prestigiosa univershà di Heidelberg, aveva declinato l'offerta, giustificando il proprio rifiuto con il suo «amore della tranquillità», che spiega il fatto che «non sia mai stato tentato dall'insegnamento pubblico» e questo in particolare perché, scrive nella lettera, ignoro in che limiti la mia libertà dovrebbe essere contenuta affinché io non sembri voler metrere in pericolo la religione ufficialmente stabilita.
Kant si era da poco confrontato con questo rischio quando era incorso uelle ire della censura, proprio perché aveva preteso fìlosofue sui problemi della rdigione. A seguire il ragionamento sottosrante alle prese di posizione radicili di Spinoza e di Voltaire, solo la situazione - priva di legami di outsider garantirebbe l'apertura intellettuale che manca agli studi accademici per il furto di essere sottomessi, prima ancora di esserlo a quella ... esterna della polizia, ad una sorveglianza interna all'istituzione che assume quindi le sembianze di ud autocensura.
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ad ogni condizionamento, e in particolare rispetto alle pressioni che esercira su cli loro l'opinìone) attraverso i media dì cui sono diventati gli strumenri involontari O consenzientì. In un contesto in cui dei creatori ìnd ipendenti arrìvano a far sentire la propria voce, una voce
che può diventare altisonante, è inevitabile che coloro che fanno parte
del
storica ddle idee Frances YatesJ che solo ìn età avanzata occupò una posizione prestigiosa nell'Università inglese, spiega che ciò fu per lei un'occasione eccezionale, dovuta alla situazione familìare alquanto particolare che le aveva ìmpedito di seguire un corso regolare di studi,
campo accademico, che si sono guadagnati per questo un diritto d'ingresso spesso abbastanza alto, si sentano spogliati, o perlomeno sottoposti ad un'indebita concorrenza in un ambito di cui rivendica~ no, in virtù della selezione spietata che hanno dovuro subire, esclusiva. Tuttavia, Kant non affronta questo dibartìto, poìché ciò che lo interessa in primo luogo, nel quadro della riflessione che imposta sul .. conflino delle Facoltà,>, è l'esistenza di un alrro tipo di concorrenza, ben più preocqipance ancora ai suoi occhi, poiché, invece di prendete
di formatsi e di intraprendere le sue ricerche senza dover entrare in un
la forma di una contescazione dall'esterno dei privilegi e dei diritti del-
contesto «legale» che, fatalmente, ne avrebbe limitato la brillantezza e soprattutto avrebbe ostacolato la disponibilità ad interessarsi di questioni considerate marginali, come il molo giocato dal tema dell' eso-
a dei finì ehe non sono direttarneme quelli della ricerca ddla verità:
Nei suoi interessantissimi Frammenti autobiografici, la grande
terismo e delr ermetismo nel Rinascimento europeo, cui ha dedicato degli studi che le sono valsi tutta la sua grande tepurazione:
In nessun momento ho avuto una vita da normale smdemessa, né considerato il sigiHo dell'istituzione universitaria come importante per me, Umio ideale era una. vha dì ozio intellettuale che mi offrisse ia, possibilità dì dedicarmi alla ricerca, alla riflessione, alla medicazione e alla preghiera, e di incamminarmi verso un perfezionamento creativo indetìnito, forse poetico, .. 5 U rì esperienza come quella di Frances Yares è per definizione unica e sl possono solo ttarne lezioni negative~ come per esen1pio la messa in evidenza deì limiti dentro i quali si rinchiuder esercizio accaden1ko
del pensiero, e ciò il più delle volte a sua insaputa, con la conseguenza di avere serie difficoltà a controllare gli effetti di tale limitazione.
Molto più generalizzabile sarebbe il caso dei «saggisti», che occupano oggi una grande porzione del campo culturale senza essete sottomessi
alle costrizioni formali che regolano il funzionamento dell'ordine ac, cademico, cosa che non significa tuttavia che essi siano liberi rispetto
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F. Y: acL"Olgano certe determinate dotttine, e ne escludano quelle contrarie. Esso infatti non insegna, ma sì accontenra di comandare a que1lì che insegnano (a prescindere dal problema della verità), perché questi, all'atto dj enttarc in carica, vi hanno acconsentito pattuendo col governo un conttatto. Un governo che s'intromettesse nelle dottrine e quindi anche nell'ampliamento e nel perfezionamento delle scienze, che riservasse di conseguenza al sovrano Ja parte del dotto., per questa pedanteria finirebbe coi perdere il rispetto che gli è dovuto, ed è al di sotto della sua dignità accomunarsi al popolo (aUa sua classe dotta), che non intende scherzi e pettina tutti a un modo coloro che nelle scienze s'ìmmischiano. 9
I. KA.'lr, 11 Conf/ìtw de/i, Facoltà, cir., p. 69-70.
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Che non abbia trasgredito le supreme intenzioni del Sovrano, a me ben note, nemmeno come maestro del popolo, negli scrìrti, non in specie nel libro La religione entro i I.imiti della sola ragione, che non abbia insomma recato pregiudizio alla religione di. .Jtl1tò, r!sulta già chiaro dal fatto che quel libro non è adatto a questo scopo, essendo piuttosto per il pubblico un Hbro chìuso 1 inintellegìbHe, che prospetta so]o una discussione tra i dotti delle facoità, un dibattito di cui il popolo non si cura. fvia le facoltà sono libere di giudicarne pubblica.mente secondo la loro migliore scienza e coscienza, e solo ~ maestri incaricati dell'insegnamento popolare (nelle scuole e dal pulpito) sono vincolati a quel risultato delle discussioni scientifiche che ottiene la sanzione del Sovrano al fini dell'insegnamento pubblico ... "
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" Ibid., p. 60.
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lJno
Il dotto corporativo qual è Kant si ritiene ~n diritto di _essere trattato diversamente da un istitutore popolare, direttamente m confatto con il pubblico che inlluenza con le sue afrèrmazioni: derro altrimenri, per difendere la sua autonomia, rifiuta lo staruto di educatore del popolo la cui attività deve essere normaJmente seguita n10lto da vicino
e, eventualmente, sanzionata dall'autorh:à politica.
rirornando alle
difficolcà che accompagnarono la "pubblicazione de La Religione nei limiti de!/a, semplice ragione) avanza questo argomento sorprendente: dopo tutto, non si tratta che di un libro, di un semplice libro, che in quanto tale non interessa il pubblico, semplicemente perché il suo contenuto glj resta incomprensibile. Non si può che rimanere sorpresi dal vedere un dei ragionamenti che, visti dall'esterno, dal punro di vista delle loro conseguenze, possono sembrare contestabili. Nello spirito proprio di questa maregia difensiva, un dotto, membro della Facoltà inferiore in cui in principio conta solo la ricerca della verità, può egli stesso essere chiamato a tenere due tipi di discorso, che riguardano norme di valutazione nettamente distinte: un discorso propriamente esoterico, cioè volto verso l'interno, indirizzato ai pari e ad essi soli;'e un discorso essoterico, cioè volto verso l'esterno e che, con molte precauzioni e usando forme appropriate, comunica a chicchessia informazioni accuratamente filtrate sui risultati ottenuti dai ricercatori qualificati a1 termine di ricerche che> fondamentalmente, riguardano solo loro" cosa che giustifica il fu.ero di essere poste sotto la loro piena responsabilità, Secondo quesra logica divisa, i filosofi dell'Antichità, che associano strettamente la ricerca della verità alla missione d'insegnare, praticavano già due tipi d'insegnamento, quello destinato ai futuri colleghi del loro collegio, che trattavano già come colleghi, e quello rivolto al grande pubblico, su basi che non potevano essere esattamente le stesse, Quando Platone faceva incidere sul fron-
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tone dell'Accademia la formula «Entri solo chi è geometra», indicava che dovesse esserci una netta separazione tra) da una parte, ciò che avviene all'interno della Scuola) ed è riservato ad un'élite scelta con 1 cura e, dall alt.ra, ciò che è degno di essere conosciuto delle sue attività ~ffesterno, dalla massa di coloro che non sono per nascira «geOmetri». E successo, per una sorta di astuzia della smriaJ che degli insegnan1entì di Platone rimanga solo la parte essoterica; i Dìaloghi, che componeva per diffondere la buona parola nella forma che giudicava meglio comprensibile da _parte di persone che non avevano in quanto tali una natura filosofica, Mentre degli insegnamenri di Aristotele, di cui sì sa che anch'egli compose dei dialoghi destinati alla grande lettura pubblica, si è conservata essenzialmente solo la parte esorerica, il contenuto degli insegnamenti forniti nel!' ambito chiuso del Liceo, come si è potuto ricostituire diversi secoli più tardi, ovvia1nente sulla base degli appunti degli allievi, da parte di editori alessandrinL Borges avrebbe poruto scrivere uno dì quei racconti paradossali di cui conosceva il segn::toJ nel quale Platone e Aristotele satebbero stati, come la stella del mattino e della sera, due nomi diversi che designano in realtà uno stesso essere, uno stesso filosofo che avrebbe dispensato il suo pensiero in forma essoterica sotto l1appellarivo di Platone e in form.a. esorerka in quella di Aristotele: una tale finzione permetterebbe di spiegare ciò che) accomunandoli, separa questi due pensatori, secondo le due prospettive proprie di un insegnamento destinato ad influenzare il pubblico e dì un insegnamento rivolw a dei futuri filosofi, prospettive che n?n possono c~incìdere assolutamente, tratt.1ndosì allo stesso rempo d1 sapere se, e fino a che punto> la loro differenza possa trasformarsi in divergenza. Apriamo una parentesi. Dal suo primo senso, ,,rivolto ai n1embri di una scuola», la parola esoterico è passata ad un significato più ampio e ha voluto quindi dire «riservato a degli adepti o a degli iniziati», con un contenuto di conseguenza oscuro, e al limite incomprensibile, per coloro che non dispongono di chiavi indispensabili per la decodifica. Esoterico è allora diventato quasi sinonimo di ermetico, parola appartenente originariamente al vocabolario tecnico dell'alchimia, per destgnare 1I fatto che un recipiente sia stato ben chiuso, senso che si è conservato oggi nella lingua corrente, in cui si p~rla di una bottiglia «ermeticamente» tappata: di qui si è passati al senso di «chiuso", «dissimulato)>i , «misterioso>), «segreto». Seguendo queste dedve semantiche, si arriva a considerare che vi potrebbe essere
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nelta conoscenza scientifica qualcosa di fonda~ent~lmente rìse1aro3 che la trattiene dal perseguire le sue procedure m piena luce/ sotto lo sguardo di rutti. Si parlerà allora a questo proposito di impenetrabilità, nel senso proprio dell'inaccessibilità (sotto forma, per esempio, dd divieto di entrare rivolto a coloro che non sono { cioè dell'interesse deUa verità e dove la ragione deve avere il diritto di parlare pubblicamente: perché senza ques"Ca facoltà 1a verità non verrebbe aila luce (a danuo del governo stesso), dal rnomemo che la ragìone è libera per sua natura e non ac,e~n:a ordini di tenere per vero qualcosa (non un crede, ma solo un libero credo). --- Ma il mocivo per cui la facoltà di filosofia, pur avendo ques:o grande prìvHegio della liberrà, viene tuttavia chiamata infer!ore, deve trovarsi nella natura dell'uomo: H fu.no è che dli può comandare, sebbene sia a sua voka l\unile servitore di un altro, presume d'essere più sl.:,01.1ore di chi davveto è lìbero, ma non ha nessuno cui comandare. 12 [argomentazione cht: Kanr segue qui sembra eccessivamente ror~ tuosa; ma ciò si spiega con il fatto ehe si sforza, e la cosa è del tutto semplice, di far convergere i dati empirici del!' uso, che preoccupano essenzialmente il governo, e le esigenze della ragione, sulle quali si concentra l'interesse del filosofo. Il risultato al quale giunge tale tentativo di conciliazione si può cosl riassumere: dato che è impossibile che l'Università sia totalmente libera, dunque che il governo si disinteressi compleramence dei suoi affari 1 la sola pùSsibìlità di preservarvi almeno in parre una libertà di pensiero è che> in essa, si dia perlomeno un cerrirorìo particolare, riservato, che disponga totalmente di que-
sra libertà, nella forma di un'unica Facoltà dedicata alla ricerca della verità} ricerca chei per conservare la propria aurentidrt deve essere
:1 I. KANT, Il Conflitto delle Facoltà~ cit., p. 70-71, Credo, ,do credoµ, persona indicativa; 1..7Me, «credi!» è un imperativo rivolro ad alrri.
e la prima
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t:no
indipendente da un controllo che alla fine assuma la forma di un'interferenza o di una censura. Che questa Facoltà1 contro ognf buon senso, sia defìnira «inferiore:-ì è un male minore; se bisogna fare questa concessione alla vanità di coloro che, non appartenendo a questo corpo d'élite, non possono che esserne gelosi e svilirlo, le conseguenze non sono gravi e devono essere sopportate, essendo la natura umana quello che è. Dunque, è qui che si colloca la posta in gioco principale della discussione., dato che è impossibile proteggere globalmente gli affari universi rari. da ogni colpo pocr:aco dal governo, non resta che arrangiarsi per fur passate all'interno del suo ambito, non potendola respìngere sul limite esterno 1 una frontiera che garantisca da qùesri colpi alcune delle sue attività, se non la totalità. Quali sono queste attività, che tale frontiera interna difende contro intrusioni indesiderabili? Sono quelle che, dice Kant, riguardano esdus.ivamente la ricerca. della veritt in una maniera che non può che essete disinteressata, nel senso in mi i filosofi dell'Antichità definivano la forma pura della thtoria, epurata di ogni preoccupazione tecnica o pratica. Ora, perché tale forma pura sia preservata, è richiesta una condizione sussidìaria; che le artivirà in questione «non comandino alcuno», siano dispensare dal le une superiori e l'alrra inferiore, i cui com~ piri sono stati affrontati finora solo su un piano formale, quello della relazione che ipcrauengono dì diritto con la libertà e la verità. Ma, ovviamenre, non è possibile fermarsi qui. Lo sviluppo seguenre del saggio di Kant, intitolato Sul rapporto delle Facoltà, affronta questo aspetto dd problema, che non riguarda una deduzione a priori, ma fa inrervenire usi che vengono da molro lontano, dato che perpetuano tradizioni instaurate nel Medioevo. Le Facoltà superiori, come esistono ancora in Germania alla fine dd :>,.'V.[lJ secolo, sono la Facoltà dì Teologia, la Facoltà dì Diritto e la Facoltà di Medicina. Spetta ad esse formare e qualificare coloro che, in un passo analizzato precedentemente, Kanr aveva presentato come dei «tecnici della scienza», attribuendo loro l'appellativo, alquanto peggiorativo in bocca sua, di "uomini d'affari». Sono persone che si servono delle conoscenze acquisite all'Università per por:tare a rennine obiettivi pratici; si interessano di ~onseguenza solo ad aspetti del lavoro intellettuale che sembrano dìretramente sfrurtabili dal loro punto di vista, nel quadro del!' esercizio delle loro responsabilità professionali; ma la verità in quanto cale non costituisce la loro preoccupazione centrale. Essa li riguarda solo nelle sue forme applicare, con la conseguenza che la ricerca fondamentale sì trova respinra da loro stillo sfondo, dato che non sono interessad ai suoi temi propri, perlomeno è quanto credono trovandosi in difficoltà di fronte alla necessità nella quale si trova la ricerca, per essete «applìcara», di disporre dì un capitale teorico da applicare: ci si immagina di poter acquisire questo capitale volta per volta, immediatamente e su comando, cosa che finisce per svalorizzarne il contenuto. Il rapporto particolare che intrattengono con la verità il prete, ~l magisHato e il medico, che si
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sentono autorizzati a trattarla come un mezzo e non come un fine, si spiega con il fatto che 1e missioni di cui sono iuvestiti li condtlcono ad intervenire direttameure nello svolgimenro della vira sociale, dunque, per riprendere l'espressione che abbiamo già incontrato, ad esercitare un'influenza sul pubblico, cosa che non è il caso del dotto puro, che si tiene sistematicamente a distanza dalle conringenze proprie di questa vita, che disturberebbero il rapporto che intrattieue con la verità fissandolo su degli scopi particolari, con la conseguenza inevitabile di bloccare il tentativo di giungete ad una razionalità globale. Tali contingenze sono proprio oggetto privilegiaro del governo che, di conseguenza, intrattiene una relazione parricolarmente srretta Con le Facoltà superiori le cui occupazioni lo interessano in modo particolare, cosa che giustifica il fatto di sorvegliarle da vicino, dato che è consapevole dei rischi di disordini cui possono dar vita se vengono m~no al loro ruolo che è, al contrario) di prevenire ed eventualmenre sanzionare gli scatri in rapporto alla regola: non è dunque il caso che si dedichino lìbetameme a queste occupazioni, poiché ciò aprirebbe la porra ali' anarchia sociale. Il modo in cui sono regolate le quesrioni di reologia è un affare di Stato) nella misura in cui definisconoj dal punto di vista dello spirito pubblico, ciò che è desiderabile e conveniente, cioè ciò che ci si può aspertate dalla vita e le regole che bisogna osservare per ottenerlo. Il trattamento degli affari giuridici ha un impatto diretto sulla gestione temporale della vita collettiva, che sonomette a delle norme fisse, .la cul interpretazione è manrenuta entro stretti limiti. E infine l'esercizio della medicina implica una certa concezione della sanità pubblica che sia oggetto di un intervento politico calcolato, premeditaro ed ordinato. Sulla ba.se del rapporto diretto che esse intrattengono con quesre questioni pratiche, le Facoltà superiori sono dunque in qualche modo delle Facolrà «politid1e», che sviluppano con la conoscenza una relazione essa stessa «politica ii, inevitabilmente intaccata rispetto invece agli interessi propri della ragione considerata in sé sressa, che ha per scopo prioritario la ricerca della verità. Tale ricerca della veritlt, da cui l'Università non può prescindere del tutro se vuole mantenersi ad un certo livello intellettuale, è affidata alla responsahilirà della Facoltà inferiore che, nella misura in cui si occupa solo dì questa ricerca} ad esclusione di ogni altro scopo, uon riceve ordini dal governo, non più di quanto essa stessa non abbia ordini da date al pubblico riguardo alla maniera di vivere, sul piano spirituale, giuridico o su quello della salute del corpo. Mentre il prete,
r
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•J magisrrato e il medico sono dei tecnici, nel senso che applicano delle :euole a dei =si concreti, pregando, prendendo decisioni fondate sulla Je~slazìone in vigore o somminisu·ando dei rimedi, il membro della facoltà inferiore è un puro teorieo, che privilegia la considerazione dei principi a priori rispetto a quella dei fatti, derto altrimenti, nel linguaggio di Kanr, un ,(filosofo)), nozione che deve essere qui intesa in senso ampio: essa designa quindi colui che si occupa di questioni che riguardano non la vira pratica ma la ragion pura. La Facoltà riore è dunque per Kant la Facolrà di «filosofia», tutte le attività della quale sono rivolte verso la scienza pura, libera dalla considerazione di oggetti concred. Queste attività procedonu, sottu la cundotta della ragione, per concetti o costruzione di concetri;, al dì fuori di ogni altro elemento da cui fanno una volta pet tutte astrazione, cosa che giustifica il fartp di essere libere in rapporto ad una legislazione esterna e di non dover obbedire ad alcuno, neanche al governo. Kant precisa che questa Facoltà di filosofia comporta essa stessa due divisioni, l'una dedicata alle scienze storiche (stoda, geografia, linguistica, stndì umanistici), l'alrra alle scienze razionali pure (matematica pura, filosofia pura, merafi.sica del.la natura e dei costumit con una trasposizione nel linguaggio della sua epoca delle «arti» medievali del trivium e del quadrivium: i «filosofi» membri della Facolrà inferiore sono così gli eredi dei maestri d'arte delle università del Xlll secolo, i cui ambiti di competenza erano nettamente separati da quelli assunti dai professori delle Facoltà di teologia, di diritto e di medicina, i quali non erano semplici (, ma dei dottori patentati, che disponevano a questo titolo di un grado elevato di autorità di cui i primi erano privi. Notiamo anche che la divisione della Facoltà inferiore in due diparrimenti, l'uno dvolto alle discipline ,;, cioè adempiano al loro ruolo sociale.
porcata, l'una lccccrale o acura, ossia strettamente istituzìonale, l'alrra più fondamentale e sotcostance alla precedente. Ma si può tradurre l'una nell'altra, La critica organizzauice e interfacoltà prende di mira l'unila:craHcà dal punto di vista kanriano: è il punto di visra della finirudine che oppone filosofia e ceologia. Esso fa dunque della filosofia il campo del pensiero finito, In una volra, esso dà alla disdplina filosofica troppo e uoppo poco. Troppo poco: esso la limita ad nna disciplina fra le alrre. Troppo: esso le concede una Facoltà. Schc1ling, che preferisce tagliar corco, propone molto semplicemente che non vi siano più i;fipartimem:i dt filosofia, e non per cancdla.re fa filosofia dalla carta unìversìrada, ma al contrario per riconoscerle il suo vero luogo, che non è ogni luogo: ,~ciò che è turco non pnò per questa stessa ragione essere nienre di partlcolare,>. 13
Dato che la filosofia non può essere sìmulraneamenre dapperrnrto
E quando ha creduto che fosse possibile aggirare le conseguenze disegualirarie di queste gerarchie, nel corso di una sorta di norte del_4
e da qualche parte, cosa che sarebbe insieme una contraddizione in
che trasferirebbe in toto il potere universitario alla filosoha e ... alla ragione che conduce la sua ricerca della verità, Kant, secondo ScheHing, ha commesso non solo un errore politico, ma una pecca
niera di risolvere questo dilemma sarebbe che essa non sia da nessuna
agosto 13
rerrnini e qualcosa d'impossibile da realizzare nei furti, la miglior maparre, cioè che sia formalmente radiata dalla carta dell'Università; ciò
In effetti, delle due l'una: o la filosofia rivendica di avere nell'Univer-
implica che essa cessi di essc:rvi insegnata come disciplina o come materia specifica, condizione perché la sua influenza si diffonda in tutta l'Università, nel modo in cui lo spirito è presente nel mondo dove non è assegnato ad un territorio delimitato~ finito, nel quale la sua esistenza sarebbe una volta per tutte accantonata: non si tratta dunque per ii
sità un posto determinato.; e allora occorre che rinunci all'ambizione
filosofo di tenersi completamente fuori dall'Università, come Spinoza
di regolare tutte le altre attività, dunque che sì accontenti di disporre di un'indipendenza relativa per gestire in base alla Sllil ide-, ciò che
aveva scelto di fare, ma di esservi presence, e anche onnìpresentej in furme discrete, cioè mimetizzate, tanto piì:1 itlHuenlj quanto agisco-
iI progetto di occupare il
no col sigillo del segreto, senza di fatto apparire ufficialmeme nel1' organigramma dell'Università. Questa soluzione radicale, se sembra conforme alle esigenze della logica, sembra a!rrettanto difficilmenre applicabile, e si fa fatica a vedere i filosofi rinunciare di propria inizia-
logica: ha creduto che la filosofia potesse essere insieme il tutro e una parte 1 essere dentro l'Università il suo dentro, cosa che è razionalmente inconcepibile, perché «il tutto non può essere niente di particolare)).
spetta al suo ambito proprio; o mantiene
terreno nella sua globalità, di comandare tutto, perlomeno in maniera uffidosa1 e allora non le resta che rassegnarsi ad essere solo qualcosa in particolare, perché non vi è altro mezzo per diffondere la sua influenza all'insieme degli altri dipartimenti che compongono l'Università.
tiva ad occupare una posizione chiara all'interno deleUniversitt per
esercitarvi, nella più perfetta discrezione, solo delle funzioni ufficiose Testo di Schelling citato daJ. DEJUUDA, Du droit rÌ laphWJwphi.e, rr. ir. p, 214. Il riferimemo, noto a tutti i francesi, è al 4 agosro 1789, quando l'Assemblea Cosciruente decise di abolire i dìrhtJ feudali, :.-egnando di fatto la .fine dell'Ancien Rigime [N,d.T.]. · 11 12
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J.
OERRmA,
Du droù à la philosopbie, dc.,
cr.
it. p. 171.
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dì consulente universale. All'inizio del XIX secolo sono le concezioni del tardo Rinascimento, e il gusto deciso per mrro ciò che d/occulto e nascosto le caratterizza. che ScheHing, grande 1errore e ammiratore dì Giordano Bruno, sembra voler} in maniera anacronistica) riattivare. Quale che sia la via scelra1 la via rivoluzionaria teorizzata da Kant o guella reazionaria suggerita da Schelling, resta lo stesso obiettivo, doè che la filosofia, che sia da qualche parte o che acconsenta a non essere da nessuna parce, si trovi in realtà dappercutto nell'Università sulla quale regna. per mezw della democrazia parrecipativa o tramite l'aristocrazia selettiva, e che il suo potete rivesta una forma spirìruale o temporale. È ciò che sottolinea il commento di Derrida: Schelting non dice solcaaco che non deve aversi dipartimento di filosofia. Egli dice che non se ne ha mai. Quando si crede di dlSri:iguer~ lo, ci si inganna: ciò che per usurpazione si chiama con questo nome non è aurenticamente filosofico. Questa ((affermazione» (Behauptung)
schellinghiana sembra frontalmente antìkantiana. Di facci, essa resta fedele ad un ceno proposlro kantiano. Apparentemente accantonata nel suo iuogo, assegnata alla :ma competenza specifica, la Facoltà di :filosofia è in verità dappertutto~ secondo Kant, e ìa sua opposizione alle altre resta secondaria ed esteriore. Cì sono Jnsomma due Kam [., .] C'è il Kant dd Conflitto, che vuol fare esistere un dipardmemo di filosofia e proteggerlo Cn parckolare dallo Stato). Per proteggerlo, bisogna delimitarlo. E poi c•è il Kant che accorda alla facolrà di Filosofia il diritro di sorveglianza critica e panoccica su tutti gli altri dipartimenti, per potervi intervenire in nome della verità. 20
Ciò significa che il discorso che Kam tiene in nome della semplice ragione è in realtà un discorso duplice: e l'obiezione dì Schdling non fa che incunearsi· per dissiparne l'unità fittizia. La loro discussione sullo starnto concesso alla filosofia all'interno dell'Universirà, in cui è messa a confronto con l'alternativa era essere da qualche parte ed essere da nessuna parte) essendo lo stesso l' obìettìvo perseguito nei due casi, cioè essere dappercutto, è rivelatore di un equivoco fondamentale. In effetti, se lo scopo è essere dappertutto, non si può evitare di domandarsi dappertutto dove? Poiché i! dappertutto dell'lJniversità, che il filosofo cerca in tutci i modi di investire, non sfugge neanclì esso alla necessità di essere da qualche parte, cosa che inficia il concetto sresso dì universitas1 e il riferimento all'univetsale che , con la garanzia di conservare uno statuto d'idealità, al di là di ogni rischio di corruzione o di fraintendimento? Quando segue minuziosamente i meandri del testo di Kant, per individuare le «pteoccupazionh> da cui questi è segnato, Derrida va a cadere del tutto naturalmente su un problema che gli è del testo familiare. Tale problema riguarda la fragilità della distinzione stabilita da Austin tra gli aspetti «constativi)) e gli aspetti (,, e non possono di conseguenza rivendicare l'innocuità delle loro ricerche per appoggiare la richiesta che esse siano condotte in maniera del tutto libera, nella misura in cui i loro risultati sono destinati fin dall'inizio ad essere diffusi, applicati, e sono di conseguenza configurati in conformità a tale destinazione, tendendo quiudi estremamente difficile distinguere la pura intenzione dal passaggio all'atto, il virtuale dall'effettivo: in questo caso, il constativo è già performativo. Si può vedete però che tale distinzione non è meno difficile da mantenete quando si tratta di procedure speculative della Facoltà inferiore, procedure che, per il fatto di aver avuto luogo )Università, anche se è a titolo del «dentto del dentro» che, a costo di ogni sotta di ambiguità, ne sancisce il carattere eccezionale, non possono rivendicare una perfetta invisibilità che le tenderebbe
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P.·.,-
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che sì esercita per mezzo delle sole idee, distinto in principio, ma solo in principio, da un porere del fuotì, che richiede delle forze n\ateriali per agire, Che cosa assicura, però, che l'una di queste forme non scivoli nell'altra, cosa che aV\1ene quando il potere del dentro diventa, a sua stessa insaputa, lo srrumento più o meno cieco o cosdenre del potere del fuori? Ritorniamo al punto di partenza di questa discussione. Quello che Kant rìd1icde è che, grazie alla posizione eccezionale di cui dispone all'interno dell'Università che giustifica il facto che essa controlli e sanzioni tutto il sistema degli studt in ragione dello sguardo critico che, in virtù del diritto d1e le conferisce la ragione, essa volge su dì esso senza limitazione, la filosofia, ancora di più, assolva la funzione di istanza di sorveglianza e dì regolazione della società nel suo insieme, per la sua capacità dì legalizzarne i conflitti; cioè di tracciare una netta linea di demarcazione tra conflitti legittimi e illegittimi. Tale esigenza è esorbitante, Rivendicando che la filosofia possa esercitare senza limiti, in ragione della posizione eccezionale che detiene nell'Università e nella sodecà, un dirìtro di esame su tutte !e questioni che sono di sua. competenza, o sedicenti tali, cioè le questioni di teoria pura) il filosofo, non può ignorarlo, va incontro ad attacchi, processi alle intenzioni) contestazioni in tutte le forme che inevitabilmente sorgono da questa rivendicazione di auronomia la cui porcata, benché mantenuta entro screcti Hrnìti, la reputazione di Hegel era dovuta a quattro grandi opere: la prima redatta a lena, la Fenomenologia dello Spirito (1807), la seconda a Norimberga, la Scienza della Logica (1812-1816), la terza a Heidelberg, !'Enciclopedia delle scienzefilosofiche (18,17) e la quarta a Berlino, i Lineamenti della filosofia del diritto (1821). E possibile dividere questi quattro libri in due grandi gruppi distinti formalmente in base al modo d'esposizione: la Fenomenol»gìa del!» Spirito e la Scienza della Logica sono testi a carattere speculativo e dogmatico, la cui esposizione procede per grandi blocchi, con lunghi sviluppi insieme complessi e compattì, in cui i1 ragionamento sembra svolgersi in maniera inesorabile, spinto da una sorra di necessità interna ìl cui flusso non può essere né trattenuto né spezzettato, rendendo la comprensione particolarmente ardua; l'Enciclopedia delle scienze filosofiche e i Lineamenti della filosofia del dùitto sono al contrario presentati ìn una forma didatdcaj come dei compendi o manuali composti da Hegel in vista dell'insegnamento all'università, con la divLsione in brevi paragrafi numerati, in grado di essere esaminati uno ad uno, ciascuno per sé, come si può fare nell'ambito del corso. È degno di nota che raie cambiamenrn di stile coincida con l'accesso definitivo di Hegel a delle funzioni universitarie, che lo portò a modificare il proprio sistema d'esposizione, dandogli la forma di ciò che si può definire «discorso universitarirnr, rìvolro non a dei puri lettori chiamati a padroneggiare per como proprio, sorto la propria responsabilità, i contenuti di pen-
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L'Università dei fikrsofi
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siero che sono loro offerti ma a d=lì sasrudiatir come dice Lacan I ' propriamente degli studenti che occorre guidare passo passo n~l loro sforzo progressivo di assimilazione di materie che sono loro sconosciute in partenza e sulle quali non dispongono personalmente di alcuna presa. Da quesro punto di vista, si può parlare di una vera svolra: se essa non riguarda direttamente e non modifica sostanzialmente il pensiero filosofico di Hegel, ne modifica nondimeno in maniera significativa il modo di comunicazione, che procede con uno spirito del tutto differenre. A distanza, è possibile leggere i discorsi inaugurali del 18 I 6 e del 18 I 9 ai quali adesso presreremo la nostra attenzione come dei renrativi di giustificazione di questo cambiamento di orientazione, che sancisce, sul piano stesso dell'esposizione, il passaggio dal dogmatico al didattico. Heidegger, a differenza di Hegel, svolse senza inrerruzionì, a Freìburg im Breisgau, fu.era eccezione per un passaggio a Marbourg rra il 1922 e il 1928 1 una carriera universitaria che aveva incominciato senza difficoltà, sotto l'egida di Hussed, nel 1916, ali' età di ventisette anni. Dato che non aveva fino ad allora esercitato alcuna responsabilità amministrativa o politka, prese la decisione, o si lasciò convincere ad accettare nel 1933, dunque al momemo in cui Hitler e la sua cticca ascesero al potere, la carica di Fuhrer-&ktor cieli' università dì Friburgo, carica che esercitò) con grande pena a suo dire, per quasi un anno. ln tale occasione, aderì al parrito nazionalsodalisca, arrivando a prendere un cerro numero di posizioni pubbliche che andavano senza riserve e sfumature nel senso della politica di quel partito, in particolare in dichiarazioni e articoli che sì concludevano con la formula di riro «Heil Hitlen> che, allora, non gli faceva accapponare la pelle. Il 27 maggio 1933, al momento della presa di servizio in quanro rettore, pronunciò il famoso Discorso dì retto,-ato, successivamente pubblicato in forma separata, un testo breve, di una densità sorptendente, che in seguiro avrebbe dato luogo a innumerevoli commenri: vi esponeva in tono serioso e con enfusi, nel linguaggio proprio del filosofo, le sue considerazioni generali sull'essenza delfUniversità, in un momento cruciale della storia tedesca ed europea in cui raie essenza si trovava, nei farti, rimessa fondamemalmente in quesdone. [esperienza del rettorato durò solo fino al 1934 e Heidegger, che non poté, dopo il 1945, sottrarsi all'obbligo di rendere spiegazioni, parlò lui stesso a questo proposiro di un errore e di un fallimento. Di sicuro non esercirò più in seguito responsabilità del genere e si limirò ali' attività di J
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•nsegnante-pensatore, eccetto il periodo 1945-1950 in cui fù sospeso :i,.ll'incarico: anche le sue ricerche nell'ambito del pensiero puro coobbero dopo l'espetienza fallimentare del rettorato una «svolta», la ~mosa Kehre, che le portarono a concentrarsi soprattutto sullo studio dei presocratici e di poeti come Holderlin o Trakl, o su speculazioni tiqUardanti l'opeta d'arte e la sua origine. Il discorso dì rettorato, in c;;; si proponeva una riflessione sull'essenza precisiamo: sul!' essenza dell'Università ,edesca, formula che sembta dal punto di vista di J-Ieidegger ridondante, daro che ritiene che l'Università sia tedesca nella sua essenza, o piuttosto che si avvjcini alla sua essenza solo nella forma tedesca - rappresenta un momento chiave di quesra evoluzione: ben al dì là dì un discorso di circostanza, esso costituisce, di fatto, l'espressione dì una posizione filosofica nitidamente affermata, con le difficoltà e gli equivoci sul quali getta uno sguardo disincantato, cosa che giustifica il farro che questo testo, che Hcidegger non rinnegò, e al quale avrebbe più volte fatto rifetimemo in seguito, sia stato anali:u.ato parola per parola da parte dei commentatori. Indubbiamente, esso riveste un considerevole interesse per quelli che si interessano) anche ìndipendenremente dagli orientamenti propri della filosofia heìdeggeriana, ai problemi dell'Università. Adesso più che mai ci sl divide sulla questione se Heidegger sia stato> controvoglia, un nazista occasionale, sforrunatamente fuorviato in un terreno in cui non aveva niente a che fare, come cercò lui stesso in seguito di far credere) o se il suo atteggiamento nel momento in cui Hitler salì al potere e cercò dì riformare da cima a fondo la vita politica, con le conseguenze che si sanno, rillerresse le tendenze proprie del suo pensiero lìlosolìco, in altre parole se sia staro il suo approccio di pensatore a portarlo al nazismo che, da parre sua, gli era ): Rullo di tamburi, come al circo, per annunciare
Si può ben dire che, da quando la filosofia ha incominciaço a mener piede in Germania, questa scienza non è mai apparsa in così cattivo stato come da quando una tale opinione, una tale rinuncia alla conoscenza razionale, è giunta a un'arroganza e a una diffusione cosl grandi, - un'opinioue che si è rrasdnata fino a noi dal periodo precedente e che si trova in assoluta contraddizione con il puto sentì• mento [mit dcr gediegenertt GefithleJ, con H nuovo spirìto sosi::anzìale della nostra epoca. Quest'aurora di uno spirito più puro io saluto e invoco, solo ron esso ho a che fate, quando affermo che la filosofia deve invece avere un contenuto e mentre mi accingo a sviluppare questo contenuto davanti a voL 37
E prosegue accompagnando a questo virile proclama un appello agli studenti, che, non senza una certa demagogia, associa nell'impresa di rinnovamento che fustiga Je posizioni acquisite, corwdrcuìrando così I suoi colleghi insegnanti~ scl?-iacdatì nell'ordine di un passato sepolto,, una tattica che sarà quella adottata nel 1933 da Heidegger a Friburgo:
il salto perico-
loso nel qll:"-le si lancia l'acrobata sotto lo sguardo meravigliato degli spenaton, E necessano un tale frasmono perché la voce del filosofo si faccia semire all'università? Nella perorazione dell'allocuzione dì Heidelberg, pronunciata in t1n ambito più confidenziale He,,el era star0 0 più sobrio: ' Noi ':e.chi, che_ diventammo uomini fra le tempeste dell'età nopossiar:io considerare ben felic~ voi che vivete in un tempo in cui porrete ded1care senza preoccupazioni la vosrra gioventù alla vedrà e _alla sden~. Alla scienza io ho consacrato la mia vita; e sono lieto d~, trovar~1 ormai i~ nna sede, nella qua.le più intensamente e con p1u ampio taggio dazione potrò cooperare ad estendere e ravviva~e _il supe:iore i_meresse sci_~ifi. 2. L'Università, attraverso cale realtà, è strirolata, e questo non solo perché sia p:-lva di forza·dj comrasro e di resisrenza, ma perché le di-
'
l
da parre della tecnica socro l'amorirà dd principio di ragione: è dunque un modo del rutro nnovo di concepfre la scienza, separata dal rifecimemo ~--iratrn all'universale, che egli cerca di promuovere ricreando l'Università su basi nuove, il cui modello gli è afferro da una mlrka.,
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verse volontà di potere vogliono "organizzarsC a partire da se sresse, qualcosa che corrisrwnda a!Ia loro essenza di poreni~~ ("accademie" di ogni sorta - meno di così, ormai, non si può!). Conremporaneamente, attacco contro le \.•ecchie,, accademìe, le qu:JI sono certame:me invecchiate, ma non cerro nella loro essenza.; al conrrario: nessuna di esse ha potuto ancora raggiungerla {quest'essenza). Cosl l'isriruzione universitaria offre w10 dei più rristi spettacoli - dall'interno e dal~ l'esterno, E tuttavia! Non voler salvare rrìenre in essa - solo cogliere l'occasione di ritracciare, fra coloro che verranno, quelli datari l.!-Il genuino vo\ere! 51
dì
Heidegger si guardò bene dal pubblicare il testo di questa confe-· renza inopportuna, i cui appunti furono pubblicati postumi nd 1991. Essi restimoniano della sua profonda, e alquanto tardiva, disillusione nei confronti della politica universìtarìa condotta dal regime nazional-socialista, politica della quale lui stesso aveva accerrato di farsi garante qualche anno prima) prendendo così il rischìo di farsi accusare di imtopìsmOl)} cosa che puntualmente avvenne, con suo gran disappunto. Egli constara che, nei fatti, questa politica non ha cambiato alcunché dl fondo, e anzi ha aggravato una situazione che era già inaccerrabile, come aveva segnalato fin dal 1929. Lo scopo principale
è quello che altrove chiama la «scienza politicizzata», asservita alle esigenze pragmatiche che le sono imposte a partire da una cerra "visione del mondo» (Weltanschauung), una manomissione che letteralmente la stritola. Poste dentro l'orizzonte chiuso di una visione del mondo, le attività universitarie, irrimediabilmente tecnicizzare e perfino militarizzate, sono allo stesso tempo addomesticate e private della loro Selbsbehauptung, cioè della loro capacità di condizionarsi da sé, al di fuori di un controllo esterno che pretenda sotroporle a criteri di efficienza. Da questa consratazìone, Heìdegger -crae al momento una conclusione di un pessimismo radicale: dell'Università, nella condizione ìn cui si trova attualmente, quattro anni dopo la salita al potere del nazionalsocialismo, non c'è niente da salvare; tutto ciò che sì p~ò ancora fare è, a dispetto dì tuno, sperare, aspettando la venuta, in un futuro incerto, dl «alcune individualità dotate dl un genuino volere», testando aperta la questione se «cali individualità» costituiranno il nucleo di un nuovo potere politico, o se agiranno ai margini del!' autorità politica, avendo per unica preoccupazione il sapere e la su.a essenza. Su quest'ultimo punto, Heidegger non si chifil:irà mai: scottato dal fallimento del
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L'Università dei.filosofi
1933, considererà la realtà politica solo con sgomento e perplessità, e se ne ter:à prudent~mente a distanza, rifugiandosi nell'atteggiamento m~rmano del saggio che dialoga con le potenze essenziali dell'essere, all alteua delle quali non sì lascia più importunare dalle contingenze del mondo di quaggiù. Sarà questa una delle principali conseguenze della famosa "Kehre», che allenterà, senza scioglierlo completamente, il legame stretto della filosofia col Dasein, cioè col mondo della nuda esistenza, p_er permerrerle di dedicarsi pienamente alla visione ingombrante deU·essere, secondo il modello dell'artista che si sostituisce al politico.
La conferenza dell'inverno del 1937, che meriterebbe essa sola uno studio più dettagliaro, evoca di passaggio il tema che costituisce il filo di;"tt~re del, djscorso di rettorato del 1933: quello che manca dì più -a.Il Un1vers1tai con ia conseguenza che ha cessato di essere conforme alla sua essenza, è, ancor prima di qualcosa che sarebbe dell'ordine della conoscenza razionale e dell'intelligenza, una volontà. Infatti. come aveva visto Nietzsche, dietro il sapere vi deve essere una volont~ dalla 'l,uale trar';' la forza per affermare i propri valori. I.:appello alla volonta ntorna m turre le pagme del discorso dd rerrorato, che, nella sua perorazione, formula> in nome della que_.;;t:ione fondarnem:ale l'interrogativo seguente: ·
Scritti politici, p. 212~213,
'
Voglia.mo o no l'esser.za dell\:niversirà tedesca? [Wellen wir das Wesen der deutschen UniversitJ.t, odeY wolkn wir es nichtT;52
. Lidea s;es~a _di Selbstbehauptu~g_comporca un riferimento primordiale al prmc1p10 del volere: se l lJniversità è in abbandono in de.. '
cornpos1z1one, come _un_o:'g~ismo_ la cui unità si disfaJ è perché si è separa~ da ~~es:o prmc1p10 ~1tale: m asse~za di una volontà di sapere autennca, c10e d1 una volontà volta verso 1 essenza della scienza e non vers~ tal~ o ;alaltto fìn_e p~rticolare, Ia conoscen7.a è solo un compito tecn1co, 1 cm risultan si misurano in termini di riuscita o di fallimento materiali. La volontà dalla quale il sapere trae la sua sostam.a deve essere .innanzìtutt~ un~ v?lontà spirituale: in mancanza della quale essa tradisce la propna nuss1one, e cade nell inessenziale:
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5:
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_ ~· 1:lEJD~R. Dic SelhJtbehauptung der deurrchen Univerritiìt, tr. it. L'autoafferm ,.. 4 zwmfdc/,lumverrita tedesca. Il rettorato 1933134, Il Mdangolo, Genova 1988 p. 45.
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Se vogliamo l'essenza della scienza nel senso dell'interrogante star saldi allo scoperto nd cuore dell' esttema problemaricità ddl'im:ero essente, allora questa volontà d'essenza è ìn condizione dì procurare al nosc;:o popolo il suo mondo, in cui domina il rischio più indmo ~ più estremo, cioè H suo mondo veramente spirlruale [seine wahrhaft geùtige ìwltJ. Infatti, "spidro"' non è né mero ingegno, né il disinvolto gioco ddnmdligenza, né l'arredi promEovere HHmìrai:amente distinzioni logiche, né la ragione che governa il mondo, ma spìrito è decisione originarkuneme e consapevolmenre dcrerminara verso l'essenza de!r es..,;;ere [Geist ìst ursprU-nglù:h gestimmte, wissende Entschiossenheit zum Wé.ren des Sdns], ;,s
(((sapere))) è 1. Paul ;i..1azon59 traduce questo stesso verso 514 del Prometeo nella maniera seguente: ,,L:abilità è mol,ro più debole rispetto alla necessità ("ananké'),. Questa rìsposta avviene nelr ambito di uno scambio tra Prometeo e il corlfoo, al quale ha precedenremenre dìchiararo: «Tutte le arti ("technai") vengono ai mortali da Prometeo» (v. 506). Il corifeo gli risponde, in sostanza: ma a te a che cosa è servita la tua arte, se non a metterti contro Zeus? E tuttavia 1 lo si può sperare, "un giorno~ liberato da quesri legami, porrai trattate con Zeus da pari a pari» {v. 510). È qui che Prometeo rìsponde: per questo r ora non è arrivata, e la sua venuta non dipende né da me né da Zeus, poiché è quesrione della l'arca che governa la necessità {anankeì, cioè dipende dal destino di cui né gli uomini né gli dei sono padroni, e che avvolge i suoi interventi in un segrero impenetrabile, La traduzione, in questo passo, di (, insegnanre e studentesco, che il Fùhrer-Rekwr si volge per aumenrarne lo slancio, condizione perché l'Unìvecsità si elevi all'alrezza della sua essenza e recuperi la potenza che le è comunicata a partire da essa. È arrivato il momento di serrare i ranghi, di prepararsi ad andare al fronte: e la metafora guerriera, presente in maniera larente fin dall'inizio del discorso di rettorato, non tarda ad intervenire in una fotma esplicita, come confermerà ulteriormente la terza citazione tratta da Clausewitz,69 !:autonomia, all'opposto del manrenimento delle posizioni acquisite trasformate in rendite di posìzionei la si vince, la si conquìsta) la si meritai la sì strappa: è un valore autenticamente prometeico, le cui poste in gioco non si misurano in termini di riuscita materiale perché rinviano ad una potenza spirituale la cui natura, propriamente, sfida ogni misura. Siamo giunti alla svolta del discorso di rettorato, nel momento in cui il giuramento rragico, pronunciato nel tono del!' alta poesia, si trasforma nell'enunciazione di ciò che assomiglia molro ad un programma _politicamente connotato> ordin:uo atror~o ad u_n~ no1J~ne di cui non si era mal fatto menzioue :fin qm, quella d1 «:erv1210» (Dtenst), che ttasporra il ragionamento su un nuovo terreno. E q~i che,_ pe: così dire, le cose precipitano e tutto vacilla, come se le cons1derazwn1 precedenti fosst;ro state solo un pretesto per preparare il momento in cui il Fuhrer-Rektor si decide infine a gettare la maschera e, per dirlo ".olgarmente, a spurare il rospo. !:argomentazione di Heidegger, un argomentazione che ha rivestito fin dall'inizio l'aspetto di un'interpellazione, facendo sì che non le possano essere attribuite i caratten della neutralità e delroggettivìtt segue apparentemente un corso continuo; l'università può trarre legittimità solo dall'essenza del Wisse,'.; raie es: senza, che non è teorica ma prass.ica, presuppone una volonta; non V1 è volontà senza decisione, che prende la forma del coraggio dì fronre
" Jbid., p. 40-4 L " Jhid., p. 44.
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al pericolo; tale. decisione deriva da un impegno, profuso nel confronco, avendo alle spalle un rapporto di forze; impegnarsi vuol dire procedere ad un'affermazione di potenza, che uon può accontentarsi delle condizioni restrittive, negative in ultima istanza; un'affermazione di potenza, inseparabile da un'assunzione dei rischi, porra ad assumere una serie di obbligazioni, che prendono la forma di doveri; taii doveri si rraducono concreramente in r:ermini di «servizi>;; coloro che partecipano alla comunità universitaria non possono sottrarsi a questi servizi) la cui enunciazione I-Ieidegger riserva del resto nel seguito al corpo studenresco, lasciando allo Stesso tempo in sospeso la questione di sapere fino a che punto riguardino anche il corpo insegnante e a che genere di servizi esso sia tenuto. Queste enunciazioni si legano l'un l'altra logicamente, procedendo da una riflessione sull'essenza ad un insjeme di prescrjzioni le cui motivazioni sono direttamente pragmatiche. Ma non si ha a che fare con un gioco di prestigio, effettuato con una ammaHanre virtuosità retorica? La questione merita per lo meno di essere sollevata. I servizi in questione sono tre: il , spiegandole che non vi è per essa alrra maniera di restaurare la suà essenza. Tra l'altro, la concezione sviluppata da Jiinger presenrava ai suoi occhi il vanraggio di relativizzare la distinzione rra i diversi rìpi di lavori> e in particolare tra lavoro manuale e lavoro inrellettuale~ ricondotti sotto l'insegna unica del volere, cioè della decisione di fronre alla totalità dell'essente come praticara osténraramenre da Prometeo sulla sua roccia. Nell'allocuzione del 25 novembre 1933, Heidegger, riferendosi espressamente aJilngcr evoca, ad esempio del nuovo modo d1 essere assegnato al Dasein, ·(da figura del Lavoratore per ecce1len11l.i~. 74 Celebrando e consacrando la coesione organica di questa figura, la filosofia suggella l'unione con lo Stato nazional-socìalìsta, come Heidegger aveva già spiegato qualche giorno prima, I' 11 novembre 1933, nel quadro di una manifestazione di universitari tenuta a Lìpsia che invocava il sostegno al nuovo regime: 75
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f.·.i
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5:rio, 11 lavoro delle- categorie sociali sortegge e rafforza la compagjne v1_vente ~ell~ Stato; rramlte il lavoro, il popolo riconquista 1-l capacità d1 st~nz1ars1 nella propria terra; rramlre il lavoro, lo Stato, in q uamo realta del popolo, vìene posto al di là di sé nel campo d'azione di tutte le porenze essenziali dell'essere umano. 77
È in questo contesto a dir poco confusionale> in cui un allineamento politico che non lascia alcun margine all)inrerpretazione si abbellisce col travestimenro di ,,porenze essenziali dell'essere umano)> che 1a nozione di (V. Kr.E..\1'.PERER, LTI. L4 lingua de! Terzo Reich, re ìr., Firem..e, Ginnrina 1998, p. 194). Ogni persona sl uova così ror-almente inserita nel sisrema della FUhrerschaft/Gefofgschaft, la cui rete la penerra nel più Ultimo, in quanto e!emeuro dd mec in tutre le menti e in tutti i cuori> con la conseguenza che tutte le forme dell'attivit:à sociale sono predestinate ad effettuarsi a suo non1e e sotto la sua aurorità. È leginimo chiedersi che cosa fa ìn questo caso la filosofia; se non apportare una garanzia intellettuale prestigiosa ad un'operazione i cui effetti deplorevoli non tarderanno a manifestarsi, su un piano quanto pìlÌ concreto possibile, e non soltanto per il popolo tedesco. lìma la difesa di Heidegger a questo riguardo si ba.sa sull'argomcnro secondo il quale la missione di guida assegnata all'Università in nome del popolo tedesco e della forma di Stato che prende attualmenre in mano il suo destino è in primo Irrogo una missione spirituale: 1
Il sapere che lavora per il popolo, il sapere che si riene pronto per il destìno dello stato in uno con il sapere che riguarda la missione
spìrìtuale, formano l'originaria, compiuta essenza della scienza, la cuJ
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realizzazione ci è assegnata a condizione che noi sianw disposti ad
accogliere e a
nostra la remota Jngiunzione dell'ìnizio .del nostro
esserci storico-spirituale. 95
La dicbiarazione di obbedienza al nuovo regime trarrebbe dungcre valore e senso daUa relazione che intrattiene con l~ingiunzlone lonrana dell'inizio, facendo ritornare di nuovo in primo piano la figura tragica dì Prometeo sulla roccia, eroe e martire delf operazione storica di guida. Nella bocca del filosofo professore all'Università che si è preso la responsabilità della gestione dell'istituto in cui iosegna conformemente alla destinazione immemoriale del popolo tedesco-· in questo affare, il destino ha verameme le spalle latghe -, questa decisione, rivelatrice di un atteggiamento di fronte alla totalità dell'essente - an .. che la totalità del!' essente ha spalle larghe-, non si riferisce a questioni materiali) puntuali, valutabili ìn termini dì risultato: è una decisione di principio, che riguarda innanzitutto lo spirito, 96 il solo ad avere accesso all'essenza originale e piena della scienza in quanto «Iasdenzai,. Il cerchio è così chiuso e Heidegger può riprendere la fotmula di cui 1 si era servito al1 inizio dd suo Discorso per definire fUniversìtà 97 raccordandola ad un'intenzione che risponde non ad un'esigen,À attuale contingente, come si pouebbe malignamente interpretare, ma alrìngiu.nzione venuta daff'origine, da cui trae la sua profonda necessità: A una scienza cosl lntesa:ni: d si riferisce quando l'eO passo: Le grandi imprese sono sempre an ne fece penosa esperienza. Affidata alla parola dei filosofi, l'Universicà espone un inquietante lato nascosro. Ndl'intctesse delrUniversità; come in quello della filosofia, è desiderabile che allentino un po' i loro legami e che, deponendo la rentazione di una illusoria connivenza, prendano una misura un po' più esatra di ciò che le separa senza opporle.
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' LIDIOMA UNIVERSITARIO
Il professore ha p0ruto abbandonare l'errnellìno e la toga, può anche voler discendere dalla pedana per mescofars( alla folla, non può però abdicare all'ultima prorezione, l'uso professorale di una linoua e a] , O p roresso r e. ·
'Universirà dei filosofi, dì cui si è cercato dì dare un'idea rileggendo dei resti firmati dai nomi prestigiosi dì Kant, Hegel e Heidegger, è l'lJniversità come la vedono persone che non soltanto ne offrono una rappres-enuzione idealmente ordinata in~orllo ad un cen~ rro, ma pretendono occupare effercivamente tale centro, cosa a cui li predestina, secondo loro, la vocazione essenziale della filosofia: il loro punto di vista, segnato dallo sforzo dì intrattenete un rapporto intimo con la cosa universitaria, è quello deH'interiori~,3-, da cui si sentono autorizzati a farsi garanti, in pratica, della confisca di questa cosa che eonsìderano loro, che apparriene loro così come loro appartengono ad essa. A ben riflettere~ questa posizione, prima ancora che abusiva, è di un'ingenuità imbarazzante: se l'Università è una cosa è proprio perché non è di nessuno, e del filosofo meno che di altri forse. E ciò che emerge se si rivolge a questa cosa uno sguatdo che abbia deposto i fantasmi del[' appartenenza e della familiarità: essa appare allora sotto tutt'altra luce, una luce cruda, forse anche crudele, che smonta le evidenze di cui si era accreditata in maniera surrettizia. Una cinquantina di anni fa questo atteggiamento fu adottato, in Francia, da pe!Sone come Lacan o Bourdieu e Passeron che perlomeno avevano questo in comune, di non aver progettato di riflettere sull'essenza eterna della res universitaria, ma di aver intrapreso altre vie per demistificarla rispetto a quelle della filosofia, dì cui, pet buone o cattive tagioni, diffidavano profondamente. Si sono così sollevati interrogativi ispirati, direbbe qualcuno come Ricoeur, dal sospetto: per esempio, sì è cominciato a chiedersi se il di.scorso tenuto alrUniversità è~ come prereso, un di-
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Boutwmu e PASSERON, Langage pédagfJgique et situatifJn. pidagogiqr..t:, (ffemps Modernes», n. 232, septembre 1965, p. 459.
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L'idioma universitario
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scorso di verìtà che dispieva i suoi signifìcatì su un unico pìano in ' comprensione " · 1e, o s~ con1porca deg1·1(swn, e d· cuì sì offre ad una integra 1 nascosti, alla luce dei quali si rivela essere ture altra cosa, per esempio un discorso di souomissione che ìncrattiene un rapporco cripraro con fautorità, un'autorità 11 cui punto di ancoraggio è da determinare. A che cosa serve raie discorso? A diffondere un sapere o ad esercitare un certo controllo delle idee? Tra queste due opzioni estreme, occorre del resto decidere? La questione non è piuttosto di sapere come, nel quadro offerto da una tale maniera di parlare, queste due finalità sì legano inestricabilmente tendendo verso la produzione di effetri che, invece dì escludersi, si confermano reciprocamente tra loro? Le atdvirà corrosive di una psicanalisi e di una sociologia delfUniversità, pur senza convergere, si sono così .incontrace, attirando attenzione su questo problema particolare delle forme di espressio~e in uso all'Cnìversità, di cui hanno valorizzaro l'imporcanza. Controncando i tlsultati ai quali sono pervenuti, su questo punto preciso, ricerche le cui aspettative erano molto lontane_, si ha forse una possibillrà di vederci un po' pili chiaramente riguardo alle difficoltà reali che l'lJniversìtà deve affrontare su un piano in cui le sue procedure non possono più pretendere all'univocità che rivendicano in principio.
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Lacan e il «discorso universitario» el corso della sua carriera movìmenrata, durante la quale intrattenne delle relazioni particolarmente difficili con le istiruzioni del tempo, quale che ne fosse il profilo, senza rinunciare però a far tienrrare la sua pradca nell'ambito di ìsti_tuzioni origina!~, «sociecà)>, ((scuole)), ecc., di cui, avendole create lui stesso, avesse il , controllo pieno e intero, LacanJ il cui lavoro non beneficiò di alcun riconosdn1ento ufficiale, che non aveva del resto sollecitato, non cessò di avvicinarsi e di allontanarsi dall'Universicà, avendo nei suoi confronti un'infatuazione abbastan7li perverSa in cui l'amore contrastaco sembrava prendere il sopravvenro sulle figure consensuali dell'intesa cordiale. Sì ha una buona restìmonianza di questi rapporti amb1valenri nelle sedure del seminario del 1954 dedicate ad una rilertuta del testo di Freud sulla Verneinung, lettura per la quale Lacan si era assicurato il conttibuto di Jean Hyppolìte, all'epoca grande specialista universitario di studi hegdiani, che era anche uno dei suoi udicod re~
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golari. In quell'occasJone Lac,an, sfruttando tune le sorrìgliezze di una drammaturgia sofisticata di cui lui drava le fila, aveva giocato al gatto e al topo con H suo inviratot che apparencernente non si era accorto dì nulla, nd corso di una cerimonia che associava rkonoscimenw e condanna, ritrosia e seduzione, riverenza e colpo di mano, in un ambiente pieno dì sottintesi che riassumeva bene lo spirito delle sue relazioni molro complicate con il mondo universitario. 2 In fondo, Lacan nutriva una grande diffidenza, perfino disprezzo verso tutto ciò che veniva da quel mondo, col quale non voleva in alcun modo comptomet,ersì: temeva in particolare di veder inglobato il suo messaggio a discapito della sua prima autenticicà, come dimostrava in maniera imbarazzante il rnodo in cui le sue idee gli ritornavano tramite i lavori universltarì che, normalizzandole per meglio accreditarle, si concedevano ìl lusso, per lui indifendibile, di sfigurarle e banalizzarle. Ma allo stesso tempa, non poteva fate completamente a meno dell'assistenza materiale che l'Università poteva fornirgli, non evidenrernenre sotto forma di contributi didatrici che potessero essere ripresi e assimilati alla lettera, cosa che non voleva in nessun modo, ma' perché poteva servirgli da paravento nel gioco sottile che conduceva tra r altro con i suoi colleghi della psicanalisi, che fussero avversari o discepoli, nei confronrì dei quali intratteneva delle relazioni ambivalenti dì cui doveva con~· rrollare scrupolosamente le conseguenze: rìguardo ai discepoli, aveva cura dì tenerli saldamente in mano, dispensando loro la buona parola attraverso l'insegnamento che dava alrinrerno di localì messi a disposìzione generosamente da isticuzioni come l'Eco/e normale supérkure o la facoltà di diritto> in cui officiava, in anfratti secondari