La metamorfosi della pirateria. Un itinerario interdisciplinare

Dopo un prolungato oblio, il termine «pirateria» è tornato da qualche tempo a imporsi come una parola-chiave del dibatti

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La metamorfosi della pirateria. Un itinerario interdisciplinare

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Qiodlibet lus Ricerche

LA METAMORFOSI DELLA PIRATERIA Un itinerario interdisciplinare

A cura di Luca Scuccimarra

Indice

7

Premessa di Luca Scueeimarra

15

Il pirata e la dialettica terra-mare Gabriella Cotta

55

I filibustieri del Caucaso. Il Great Game e la pirateria Roberto Valle

121

«E io ero Sandokan». Immaginario piratico, sfondi coloniali e letterature di genere in Emilio Salgari Gianluca Basehcrini

1 43

Schmitt, la pirateria e l'ordine internazionale. Sulla costruzione di un topos Luca Scuccimarra

189

La figura del «pirata» nella giurisprudenza civile degli Stati Uniti relativa all'Alien Tort Statute: eccezione, paradigma o metafora dantesca? Raffaele Cadin

227

La pirateria come modello normativo: torsioni antiche e moderne nella definizione di pirata Maria Chiara Vitucci

2 47

Il pirata secondo il diritto internazionale contemporaneo: definizione e garanzie processuali Beatrice I. Bonafè

Premessa Luca Scuccimarra

È sufficiente ripercorrere l'alluvionale dibattito teorico innescato dal confronto con le tumultuose dinamiche economiche, politiche e giuridiche della cosiddetta «global age» per farsi un'idea della rinnovata centralità normativa e riflessiva assunta nel corso degli ultimi decenni dalla questione della «pirateria». A riportare al centro della scena un fenomeno a lungo considerato come l'espressione del tutto residuale di un'epoca definitivamente conclusa delle relazioni internazionali•, è stato in primo luogo l'improvviso ritorno di inquietanti fenomeni di predazione marittima per molti versi assimilabili a quelli resi celebri dalla letteratura europea dell'Ottocento, da Stevenson a Salgari: si pensi alle vicende che hanno interessato le coste della Somalia e il Golfo di Aden tra il 2009eil2011, quando lo straordinario incremento degli atti di criminalità marittima compiuti anche in acque territoriali ha spinto la comunità internazionale a identificare la pirateria «as a new dimension of the organized crime and as an international problem whose solution requires a pragmatic approach involving military and non-military options» 2 • Al momento, le imponenti misure di ripristino della legalità marittima adottate nell'area con il coinvolgimento di organizzazioni universali e regionali e di diversi Stati sembrano

' Esemplare, da questo punto di vista, resta il de profundis per le tradizionali forme di predazione in mare formulato da Philip Gossc al termine della sua classica History of Piracy, Longmans, Greco & Co., London 1932, p. 297; trad. it. Storia della pirateria, Odoya, Bologna 2008, p. 311. ' Adelina Tumbarska, Current Maritime Piracy Practices and Anti-Piracy Protection, cScicncc, Business, Socicty», Ili, 3, 2018, pp. 141-144, in part. p. 141.

8

PREMESSA

aver sortito i loro effetti, ponendo fine a quello che solo pochi anni fa si appalesava come un vero e proprio stato di emergenza. Ciò non significa però che la pirateria marittima sia tornata ad essere uno sbiadito ricordo del passato, né che siano stati risolti una volta per tutte i molti, rilevanti problemi giuridici legati alle modalità della sua repressione come conclamato crimine di diritto internazionale}. Al ritorno della «pirateria» come specifica categoria della teoria e della prassi giusinternazionalistica ha fatto, peraltro, da contrappunto la sua crescente fortuna come metamorfica parola-chiave del dibattito politico-sociale, utilizzabile in modo più o meno immaginifico per connotare nuove modalità di azione caratterizzate, almeno secondo i loro critici, dal sistematico "sfondamento" delle tradizionali cornici di inquadramento normativo delle relazioni sociali se non, addirittura, sullo sfruttamento parassitario degli interstizi e delle zone grigie prodotte dall'obsolescenza di quei modelli. È appunto in tale contesto di discorso che la figura del «pirata» ha potuto imporsi, nel bene e nel male, come parte integrante e sostanziale del nascente immaginario della globalizzazione, divenendo il paradossale punto di precipitazione simbolica di un ambivalente orizzonte di senso nel quale l'esperienza di un capitalismo ormai letteralmente privo di freni veniva incrociandosi con la rinascita di movimenti integralisti e nuove, ambivalenti modalità di relazione tra creatività e valore si intrecciavano con le istanze libertarie dei teorici di un «cyberspazio senza regole»•. Ridefinita in questa chiave, l' «accusa di pirateria» ha potuto divenire, perciò, come ha scritto il filosofo Daniel Innerarity, il «rimprovero» per eccellenza della nostra epoca, un richiamo sempre presente nelle interminabili discussioni sui dilemmi della globalizzazione, come dimostrano le innumerevoli e diversificate figure sulle

} Mazyar Ahmad, Maritime piracy operalions: Some legai issues, «Journal of lntcrnational Maritimc Safcty, Environmcntal Affairs, and Shipping», 4, 3, 2020, pp. 62-69. • Danicl lnncrarity, Un mundo de todos y de nadie. Piratas, riesgos y redes en el nuevo desorden globa4 Edicioncs Paid6s Ibérica, Buenos Aires 2013; trad. it. Un mondo di lulli e di nessuno. Pirati, rischi e reti nel nuovo disordine globale, lnschibbolcth, Roma 2016, pp. 33 sgg.

PREMESSA

9

quali è venuta proiettando la sua inquietante ombra nel dibattito mediatizzato degli ultimi anni: dirottatori aerei e marittimi, terroristi globali, predatori informatici e hackers, trafficanti di uomini e immigrati clandestini, speculatori finanziari e falsificatori serialis, per citare solo alcune esempi di un frammentato discorso piratico, a ben vedere ancora in attesa di un accurato lavoro di messa a punto terminologica e semantica. Secondo un'interpretazione tanto diffusa da rappresentare quasi un nuovo senso comune intellettuale, per comprendere a pieno il senso più profondo veicolato da queste disordinate dinamiche della contemporaneità occorrerebbe tenere conto della peculiare valenza semantica sviluppata dalla nozione di «pirateria» nel corso di una complessa vicenda terminologico-concettuale coincidente di fatto con l'intera storia dell'esperienza giuridica e politica occidentale: fare riferimento, cioè, al «carattere stigmatizzante e profondamente discriminatorio» 6 connaturato a questa parola almeno dal momento del suo ingresso nel vocabolario dello ius gentium, giacché proprio questo aspetto consentirebbe di dare conto, almeno parzialmente, della straordinaria forza di attrazione esercitata dalla "semantica della pirateria" anche in spazi di esperienza lontani anni-luce dai suoi originari contesti di riferimento. Da questo punto di vista, il ricorso, più o meno metaforico, all' «analogia piratica» avrebbe, infatti, oggi come molti secoli fa, la capacità di caricare i fenomeni di volta in volta ricadenti nella sua presa definitoria di una dimensione di assoluta anomicità, in grado, almeno in linea di principio, di sottrarli allo spazio di ordinaria normatività, anche repressiva, dell'ordine giuridico dominante. Un aspetto, questo, le cui dirompenti potenzialità politico-giuridiche sembrerebbero aver trovato in tempi recenti una plateale esemplificazione nei discussi sviluppi dell' «anti-terrorist discourse» innescato dalla sanguinosa sfida del radicalismo islamico, se è vero - come ha scritto Mikkel Thorup - che proprio attraverso il sistematico ricorso all' «analogia piratica» i terroristi contemporanei 1 lvi, p.33. 'Filippo Ruschi, Communis hostis omnium. 1A pirateria in Cari Schmitt, «Quaderni per la storia del pensiero giuridico», 38, 2009, T. Il, pp. 1215-1276, in part. pp. 1267 sgg.

IO

PREMESSA

hanno potuto essere descritti «as a non-state, non-conventional, enemy whose sole purpose in life is evil-doing and whose defeat legitimates ali actions», veri e propri nemici dell'umanità, in quanto tali ricadenti «outside the legai and moral boundaries that normally regulate our intercourse»7. Se le cose stanno così, non può sorprendere che nel corso degli ultimi anni studiosi di diversa provenienza e caratterizzazione disciplinare abbiano ritenuto opportuno cimentarsi da uno specifico punto di vista storico-ricostruttivo con lo stratificato contenuto di senso della semantica contemporanea della «pirateria», sforzandosi in particolare di portare allo scoperto le vicende genealogiche, più o meno sotterranee, che nel corso dei secoli hanno alimentato lo sviluppo e le trasformazioni del «discorso anti-piratico» occidentale, sino ai suoi ultimi, spiazzanti esiti nel contesto politico-giuridico dell' «epoca globale». Secondo la lettura impostasi in tale ambito di ricerca, solo indagando in profondità le fondamentali linee di costituzione storico-concettuale della fattispecie della «pirateria» come delictum juris gentium è possibile, infatti, far emergere con chiarezza l'articolato - e ambivalente - impianto costruttivo che oggi ancora sostiene l'utilizzo della «analogia piratica» come privilegiata modalità di relazione con alcuni degli aspetti più controversi e problematici della nostra contemporaneità. Una prospettiva, questa, che ha finito per imporre proprio il crimen pirateriae come una sorta di «figura matriciale» di quella diversificata fenomenologia dell'estremo che oggi annovera tra le sue figure-chiave, oltre al terrorismo internazionale, le pratiche genocidarie, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra, l' «aggressione» militare e gli atti di «tortura» - altrettanti crimini «universali», perseguibili in quanto tali da ciascuno Stato a prescindere dal luogo in cui siano stati commessi e dalla nazionalità del loro autore8. In queste brevi note introduttive non è certo possibile dare conto nel dettaglio di una direttrice di studi che, nel giro di 7 Mikkcl Thorup, An intelkctual History of Terror. War, Violence and the State, Routlcdgc, London-Ncw York 2010, pp. 155 sg. 1 Mare Chadwick, Pirac-y and the Origins of Universal Jurisdiction. On Stranger Tides?, Brill, Lcidcn 2018, p. 4.

PREMESSA

II

pochi anni, sembra aver letteralmente rivoluzionato il nostro modo di pensare la storia della lotta alla pirateria e la genesi della moderna concezione della «giurisdizione universale». Ai fini del nostro discorso, può però valere la pena di sottolineare la tendenza in essa dominante a sacrificare la irriducibile varietà dei contesti storici di volta in volta indagati in nome della persistente centralità di una figura fondativa- quella ciceroniana del pirata come «nemico comune di tutti» - apparentemente in grado di collegare tra loro, senza soluzione di continuità, ambiti di esperienza giuridico-politica letteralmente incommensurabili9• Una impostazione, questa, nella quale è difficile non cogliere la duratura influenza di una delle più polemiche prospettive ricostruttive emerse dall'ideologizzato confronto teorico novecentesco, la critica schmittiana all' «universalismo discriminatorio» occidentale, se è vero che uno dei principali tratti caratterizzanti di quella figura della pirateria pare essere proprio la capacità di esprimere «un antagonismo tale da non poter essere assimilato a quello di un individuo nei confronti di un altro, o a quello di una associazione politica nei confronti di un'altra» 10• Nella loro programmatica varietà di impostazione, i materiali di ricerca raccolti in questo volume si propongono, al contrario, di dare conto, almeno in parte, del complesso gioco di interpretazioni, traslazioni e variazioni che ha costituito la storia della «pirateria» per tutto il corso della sua bimillenaria vicenda intellettuale, avvalendosi a tal fine di una differenziata griglia di analisi in cui gli strumenti della riflessione filosofica e della storia concettuale e culturale interagiscono variamente con quelli dell'analisi giuridica, puntualmente declinata, a seconda dei casi, in chiave giuspu bblicistica o internazionalistica. Applicato ad alcuni passaggi-chiave della moderna storia della «pirateria» come cruciale figura del dibattito politico-cultu' Danicl Hcllcr-Roazcn, The Enemy of AIL Piracy and the Law of Nations, Zone Books, New York 2009; trad. it. Il nemico di tuui. Il pirata contro le nazioni, Quodlibct, Macerata 2010. Il riferimento è, ovviamente, a Marco Tullio Cicerone, De O/ficus, III, XXIX; trad. it. Dei doveri, in Id., Opere Politiche, Mondadori, Milano 2007, p. 619. •• Hcllcr-Roazcn, Il ne,mco di tuui cit., p. 11. Per una esplicita applicazione delle categorie schmittianc alla storia della pirateria si veda anche Ruschi, Communis hostis omnium cit., passim.

PREMESSA

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raie - il Great Game ottocentesco tra Gran Bretagna e Russia per il dominio dei territori asiatici (Valle), le prove tecniche di colonialismo nell'Italia di fine Ottocento (Bascherini), l'aspro confronto primo-novecentesco sulla nascente guerra sottomarina (Scuccimarra), il cruciale dibattito giurisprudenziale innescato negli Stati Uniti dal caso Filartiga (Cadin), ma anche l'intenso confronto geo-filosofico che sulla scia della celebre concezione schmittiana del N omos ha fatto da sfondo al dibattito sui lati oscuri della globalizzazione (Cotta) - questo tipo di approccio appare, così, in grado di mettere decisamente in discussione la nozione di «paradigma piratico» recentemente proposta da alcuni protagonisti del dibattito storiografico sul tema, nella misura in cui tale nozione sembra presupporre l'esistenza di una costellazione concettuale unitaria, stabilmente definita nei suoi stessi esiti costruttivi e normativi". Tutto nel percorso di lettura proposto in queste pagine, sembra, infatti, confermare la metamorfica fluidità di un discorso che, nelle sue infinite rifrazioni spazio-temporali, sfugge ad ogni essenzialistico tentativo di reductio ad unum. Di questo discorso sulla pirateria sono parte integrante e sostanziale anche le più o meno ardite costruzioni giuridiche che, dalla Roma tardo-repubblicana sino alla Convenzione di Montego Bay hanno tentato di mettere in forma, e per ciò stesso contenere, quei fenomeni estremi di predazione marittima che della nozione di «pirateria» rappresentano pur sempre il più risalente e persistente referente semantico: per questo motivo si è scelto di chiudere il composito itinerario di lettura proposto in questo volume con una duplice passaggio di carattere specificamente giusinternazionalistico, dedicato rispettivamente alle mutevoli modalità di categorizzazione della pirateria come crimine di diritto internazionale (Vitucci) e alle ricadute da quelle prodotte sul concreto piano dottrinario e giurisprudenziale (Bonafè). Come dimostra l'impianto fortemente stratificato di questi contributi, anche nelle sue declinazioni più tecniche la «pirateria» si conferma però una figura in grado di dirci molto

" Hdlcr-Roazcn, Il nemico di tutti cit., pp. 10 sg.

PREMESSA

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sul modo in cui una determinata società ha percepito se stessa e gli aspetti più problematici della sua forma di vita. Per questo motivo ci è sembrato utile tornare a riflettere collettivamente su questo tema, tentando di sottrarlo ad ogni forma, più o meno evidente, di essenzializzazione.

Il pirata e la dialettica terra-mare Gabriella Cotta

I.

Il problema della pirateria, oggi

La domanda che oggi si pone, affrontando il problema della pirateria, è prima di tutto sulle ragioni di una tale ricerca. Molto più significative e drammatiche sembrano essere le questioni- e le implicazioni politico-internazionali e geopolitiche che ne derivano - legate al moltiplicarsi di sanguinosi conflitti locali, con le drammatiche ricadute sul perdurare del fondamentalismo e degli episodi terroristici, e, ancor più, com'è ovvio, quelle di natura sanitaria e pandemica nella loro proiezione globale. È facile notare, infatti, che i sovvertimenti drastici prodotti dalla pandemia e prima ancora dalle trasformazioni indotte dal processo di globalizzazione che travolgono i tradizionali confini statali fino a farli sembrare tracciati inutili - o, all'opposto, a trasformarli in veri e propri muri- hanno come risultato il proliferare di azioni- private e pubbliche- di violenza sempre meno «messa in forma», che ci interrogano in modo urgente. Se di pirateria ci si occupa, perciò, l'interesse si volge immediatamente alle forme, traslate ma oggi molto più comuni, informatiche, che siano estorsive, finanziarie, di intento politico, diffamatorio o direttamente criminale, di fronte alle cui fenomenologie le capacità di controllo preventivo e contrasto appaiono - a tutti i livelli - ancora largamente insufficienti, rivelando le scarse capacità di reazione delle istituzioni dinnanzi ai loro imprevedibili e gravissimi effetti•. La velocità di propagazione ' In Italia si sono susseguiti, nel mese di agosto del 2021, due clamorosi attacchi informatici: uno alla Regione Lazio e uno contro l'azienda ospedaliera S. Giovanni di Roma, uno dei centri sanitari più imponanti della Capitale. Il danno reale delle due vicende è stato

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GABRIELLA COTrA

e la capacità destabilizzante di questi nuovi tipi di pirateria hanno così contribuito a concentrare su di sé l'attenzione, mentre quella tradizionale finisce per sembrare una forma predatoria obsoleta, caratteristica delle zone geografiche e politiche più depresse. La pirateria tradizionale suscita perciò pochi interessi, non occupando praticamente mai le prime pagine di giornali e notiziari, tanto che una delle questioni da porre è se, appunto, essa esista ancora in forma rilevante. In Italia, tuttavia, com'è noto, il tema è tornato in primo piano per la vicenda, ormai fortunatamente conclusa, dei due marò italiani imbarcati su di una nave mercantile allo scopo di contrastare eventuali azioni di questo tipo e finiti sotto giudizio per l'uccisione di due supposti pirati. Viceversa, l'accusa, poi comprovata, avanzata dall'autorità giudiziaria indiana è stata di aver ucciso due innocui pescatori2. Questo episodio ha fatto dunque tornare a galla sui media grande, quello potenziale com'è chiaro, enorme, ma il Presidente della regione Zingarctti ha dichiarato fermamente di non aver pagato alcun riscatto. Ma la storia della pirateria informatica è «ricchissima», sia per numero di episodi, sia per quanto frutta, in termini economici e/o politici, a coloro che la mettono in pratica. Basti qui ricordare la discussa questione delle influenze russe sulle elezioni presidenziali americane del 2016 e del 2020, così come l'uso del malwarc Stuxnct che fu in grado di rallentare il programma nucleare iraniano, oltre all'uso sempre più incontrollato delle tkep fake e degli hate speeches. • La vicenda è avvenuta il 15 febbraio del 2012, al largo delle coste dello Stato indiano del Kcrala e ha coinvolto due marò italiani, Massimiliano Latorrc e Salvatore Girone che, ritenendo che la nave mercantile Erica lexie, su cui erano imbarcati in missione antipiratcria, fosse sul punto di essere attaccata da pirati, spararono uccidendo due pescatori indiani. Per una sintetica ricostruzione dell'intera vicenda, si veda Paola Gaeta, Il caso dei marò italiani in India, in Il libro dell'anno tkl Diritto 2014, Istituto dell'Enciclopedia Trcccani, Roma 2014, Natalino Ronzini, La difesa contro i pirati e l'imbarco di personale militare armato sui mercantili: il caso della Enrica Le:xie e la contrO'Uersia Italia-India, «Rivista di Diritto Internazionale», 96. 4, 2013, pp. 1073-11 1 5 e Fabio Licata, Diritto internazionale,

immunità, gmrisdizione concorTente, diritti umani: le questioni aperte nel caso dei marò e la posizione tklla Corte Suprema indiana, «Diritto penale contemporaneo», 2, 2013, pp. 182-198. Il 2 luglio 2020 poi la complessa vicenda ha trovato la via per una soluzione definitiva davanti al T ribunalc arbitrale costituito presso il Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo, con la decisione di riconoscere ai marò il diritto all'immunità funzionale in relazione agli ani commessi durante l'incidente del 15 febbraio 2012, vietando, pertanto, all'India I'cscrci7.io della sua giurisdi7.ionc penale su di loro. Il tribunale ha anche deciso che, interferendo con la navigazione del peschereccio St. Antony, l'Italia ha agito in violazione dell'articolo 87, comma 1, lettera a) dcll'UNCLOS (libertà di navigazione ncll,alto mare) e che, pertanto, hlndia ha il diritto di ottenere un risarcimento per la perdita di vite umane e i danni fisici, materiali e morali subiti dall,armatorc e comandante del St. Antony e dagli altri membri dell,cquipaggio. L,importo dcll'indcnni7.zo, deciso

IL PIRATA E LA DIALETTICA TERRA-MARE

il problema della pirateria marittima, rivelandola da una parte come fenomeno, conflittuale e distruttivo, settoriale, se paragonato agli altri tipi di pirateria, ai problemi della pandemia, al dilagare di guerre endemiche e al terrorismo che ne conseguono, dall'altra, invece, capace di far emergere sia complesse problematiche impossibili da sottovalutare, sia di innescare una riflessione intorno al carattere paradigmatico delle azioni compiute. Effetti particolarmente intricati, per il coinvolgimento di una somma di questioni - economiche, internazionalistiche di diverso profilo, di diritto del mare, risvolti problematici di mantenimento, o di assenza, di equilibri politici, economici e sociali - emergono in quest'episodio apparentemente minore, a ricordare come la pirateria sia un fenomeno - peraltro frequente in certe aree del globo3 - di notevole interesse sia per le sue implicazioni, sia per il suo contenuto simbolico. Per enumerare alcuni dei problemi connessi a tale fenomeno, si va in primo luogo, ovviamente, dalla perdita di vite umane, per giungere fino ai costi del trasporto per mare moltiplicati in modo esponenziale, sia per tentare di garantire la sicurezza delle navi e dell'equipaggio\ sia per la perdita e/o il danneggiamento

dallo stesso tribunale arbitrale, di 1,1 milioni di curo è stato così versato dallo Stato italiano e accettato il 15 giugno 2021 da parte dell'Unione indiana, dello Stato del Kcrala, degli credi dei pescatori uccisi e del proprietario del battello danneggiato nell'incidente. Contestualmente l'alta Conc del Kcrala ha disposto l'annullamento di tutte le accuse a carico dei due marò italiani, estinguendo il procedimento penale a loro carico. Infine, nel mese di gennaio 2022 è stata anche archiviata l'inchiesta giudiziaria italiana sulle eventuali responsabilità di Latorrc e Girone, concludendo così definitivamente l'intera vicenda, durata dicci anni. , In Estremo Oriente, Asia sudorientale e Africa occidentale soprattutto lungo le coste della Nigeria, del Congo e in generale in tutto il Golfo di Guinea il fenomeno della pirateria è frequente, tanto che questi luoghi sono considerati i più pericolosi al mondo per la navigazione. • Per valutare appieno il fenomeno della pirateria si veda Michael J. Structt, Mark T. Nancc, Constructing Pirates, Piracy and GO'Uemance: an lntroduction, in Michael J. Structt, Jon D. Carlson and Mark '[ Nancc (cds), Maritime Piracy and the Constructron ofgk>bal GO'Uernance, Roudcdgc, New York 2013, alla p. 4, dove le cifre riponatc sono estremamente significative: dal 2006 al 2010 gli attacchi dei pirati sono passati da 239 a44 5. Per quanto riguarda gli equipaggi, il numero degli ostaggi nel 2010 èstato di 1200 persone, con conseguenti richieste di riscatto cd incremento esponenziale delle polizze assicurative. Negli anni tra il 2019 e oggi il numero degli attacchi è diminuito - nel 2020 sono stati riponati 195 atti di pirateria nel mondo, come da Piracy Reporting Centre dcli'lntematw-

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GABRIELLA COllA

di navi, attrezzature e merci. Per capire quanto questo incida sul commercio globale, occorre tenere presente che circa il ,90% del trasferimento mondiale delle merci cammina via mare5. Ma la pirateria contribuisce anche a mettere in luce un elemento politicamente ben più importante che segna la nostra epoca, mostrandone le problematiche trasformazioni: la continua perdita di sovranità degli stati, già palese di fronte ai grandi problemi e fenomeni globali- ambientali, sanitari, di finanza e di enormi concentrazioni economiche transnazionali- che mentre ne rivelano lo svuotamento, non mostrano con evidenza in capo a quale organismo sovranazionale essa possa essere trasferita. Nell'attuale situazione di perdita di sovranità nazionale, infatti, quando gli atti piratici avvengono in acque internazionali, l'azione di garanzia degli stati nei confronti di equipaggi e merci affronta situazioni particolarmente complesse, come dimostrato dalla lunghissima vicenda giudiziaria della Enrica Lexie6• La moltiplicazione dei contenziosi internazionali dovuto al processo di globalizzazione rivela così un groviglio giuridico praticamente inestricabile che accompagna le cause per pirateria, tale da procurare spesso la sostanziale impunità dei suoi attori anche nel caso della loro cattura7• In questi casi, inoltre, si produce non di rado quell'effetto speculare che accompagna l'indebolimento dei confini nazionali da parte della pressione esercitata dalla globalizzazione: la tendenza alla rivendicazione sovranista da parte di realtà politiche locali e il formarsi di nuovi confini nal Maritime Bureau -e tuttavia le richieste di riscatto per i rapimenti dei marittimi sono aumentate mentre si sta notando un nuovo incremento di azioni piratichc. 1 Cfr. su questo Structt, Nancc, Constructing Pirates cit., p. 4, e, per dati di maggiore dettaglio, Mark T. Nancc, Miehacl J. Struett, Conf/icting Constructions: Maritmre Piracy and Cooperation under Regime Complexes, inStructt, Carlson and Nancc(cds), Maritime Piracy and the Construction ofglobal GO'Uemance cit., pp. I27 sgg. • Nance, Struett, Conf/icting Constructions cit., p. I27. 7 Cfr. Yvonnc M. Dutton, Pirates and lmpunity: 1s the Threat of Asylum Claims a Reason to Allow Pirates to Escape to justice?, «Fordham Intcrnational Law Journal», 34, 20I I, cit. in Nancc, Structt, Conf/icting Constructions cit., p. 144, n. 4. Per quanto riguarda la complessità giuridica cui facevo cenno, Structt e Nancc sottolineano come sia difficile procedere in un caso di tutela giuridica di una nave che, ad esempio, è «managcd by a company in Cyprus, chartcrcd by thc Frcnch, skippcrcd by a Norwcgian, crcwed by lndians, and rcgistcrcd in Panama. Thc nationalities of thc piratcs also come into play• (Constructing Pirates cit., p. 5).

IL PIRATA E LA DIALETTICA TERRA-MARE

e/o aggregazioni transnazionali trasversali rispetto a precedenti realtà statuali consolidate, con la conseguenza, evidente nei casi di pirateria, del complicarsi esponenziale del quadro giuridico e politico8• Insomma, nonostante l'apparente marginalità della questione qui trattata, ciò che la rende particolarmente interessante è il fatto che - forse come nessun altro fenomeno in atto essa rivela l'estrema complessità - economica, politica, giuridica - indotta dalla globalizzazione9• Nelle molteplici ricadute che l'attività delittuosa della pirateria comporta, si rivelano con molta chiarezza problemi e drammatiche carenze di una insufficiente govemance condivisa circa la circolazione di persone e merci che il mondo globalizzato e sviluppato pure richiederebbe con urgenza. Processo che, al contrario, avanza faticosamente e con mille contraddizioni in modo del tutto inadeguato rispetto alla situazione complessa che vede coinvolti nei drammi e nelle contese marittime singole persone, compagnie commerciali, stati ed enti internazionali e che assume aspetti particolarmente tragici e di amplissima portata in quella nuova forma di pirateria rappresentata dall'attività di trasporto - solo apparentemente libero - di profughi e migranti da parte dei nuovi mercanti di schiavi: gli scafisti10• D'altra parte, le situazioni geopolitiche di drammatica arretratezza e di sostanziale dissoluzione delle strutture politiche degli stati di provenienza dei pirati, spesso a causa di guerre or1 Su questo tema. la cui bibliografia è ormai amplissima, cfr-. Sandro Mezzadra, Brctt Niclsen, Border as Method, or the Muhip&ation ofLabor, Duke Univcrsity Prcss, Durham 2013; trad. it. Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nell'etit globale, il Mulino, Bologna 2014, pp. 261 sgg. ' Non solo naturalmente nel caso della pirateria marittima: oggi è anche quella informatica a destare fortissime preoccupazioni, soprattutto per la difficoltà ancora maggiore di controllare le sue azioni a causa della sua enorme capacità di propala.7ionc. •• L'equiparazione tra le 3.7joni di trafficanti di vite umane e quelle ascrivibili alla pirateria è adombrata nell'accordo Eunavfor Mcd che i 28 hanno sottoscritto e la cui seconda fase operativa, la Eunavfor Mcd 2, che prevede un'azione navale congiunta di contrasto e arresto degli scafisti - dopo una prima sostanzialmente di intelligcncc - tra i paesi membri dell'Unione Europea, è stata varata il 14 settembre 2015. L'equiparazione sta proprio nella tipologia di azione prevista. Ma anche nella sostanza è possibile raffrontare pirati e scafisti: entrambi si impossessano di beni e persone in zone che sono fuori da qualsiasi giurisdizione, terre- o acque -di nessuno, speculando sulle situazioni personali di massima debolezza e fragilità.

GABRIELLA COTfA

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mai cronicizzate - la Somalia ne è stata l'esempio più lampante -, aggiungono interrogativi e ulteriore complessità al panorama, interrogando sui presupposti politici ed economici del fenomeno, sulla sorprendente capacità, da parte dei pirati, di acq uisizione degli strumenti più avanzati della tecnologia, bellica e non. Ma, soprattutto, ancora una volta, sulle difficoltà di un processo di globalizzazione ormai molto più avanzato di quanto non sia la governa.nce dei problemi da essa suscitati. Un fenomeno, dunque, quello della pirateria - così come quello degli scafisti -, che si rivela un importante tracciante in grado di far emergere molti tra i più drammatici problemi odierni, non ultimo, certamente, quello delle abissali sperequazioni che attraversano il pianeta e dello sciagurato mercato delle armi di cui il mondo sviluppato inonda quello che sviluppato non è. Al di là del contingente episodio italiano che ha riattivato l'attenzione sulla questione- pure meritevole di attenzione-il fenomeno piratico, al pari del terrorismo, richiede perciò di essere preso in considerazione per leggere con più precisione la variegata mappa della violenza e del disordine politico e delle possibili strategie di un loro contenimento in un contesto di evidente transizione, percorso sia da fortissimi squilibri politico-economici sia da inedite possibilità che una globalizzazione governata potrebbe aprire. Per far ciò occorre analizzare che cosa sia «pirata» prendendo atto del carattere emblematico di una figura, capace - per la propria eccezionalità - di gettare luce sulla violenza sempre meno «messa in forma» per usare la definizione di Schmitt, sempre più calzante al presente momento storico.

2.

Breve presentazione del pirata Il mare, quindi, in nessun modo può essere proprietà particolare di qualcuno, perché la natura non solo permette, ma ordina che esso sia comune. (U. Grozio, Mare liberum, Doncllus, IV, 2)

Se dunque il ruolo della pirateria è così particolare da diventare un paradigma capace di interrogare in profondità la riflessione politica, occorre chiedersi che cosa lo renda tale, comparandolo

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con altre forme di violenza e di illegalità. Dalla definizione di Cicerone in poi viene attribuita al pirata la qualità di nemico universale, dell'intero genere umano, del quale, non a caso, Schmitt sottolinea la peculiarità «teoreticamente interessante», legata alla contraddittorietà delle sue caratteristiche. Schmitt sottolinea come al pirata sia negato un ruolo rilevante nel diritto internazionale, dato il suo abituale operare in acque internazionali, e, dunque, «potendo rientrare solamente nell'ambito di potere di uno Stato ampliato sul piano internazionale»". Tuttavia - come detto fin dall'antichità- proprio per questo «l'intera umanità» riesce a unificarsi nella ripulsa nei confronti di questo soggetto, apparentemente inafferrabile nella sua collocazione extra-statuale. Ripulsa morale, ma talmente rilevante, da aver richiesto, come lo stesso Schmitt poi notava, una conferenza internazionale anti-pirateria, e, dunque, un impegno politico sovranazionale, a dimostrazione del fatto che gli stati ritenevano opportuno ampliare i loro spazi di azione per fare in modo che i pirati ricadessero sotto una giurisdizione concordata, e per poter loro attribuire, nonostante tutto, un profilo giuridico 12. La libertà illimitata che il pirata pretende di arrogarsi- e questo vale a maggior ragione anche per le odierne, diverse, forme di pirateria informatica - ritenendo di essere al di fuori di ogni giurisdizione per l'ambito in cui opera, non solo non può essere tollerata dagli stati per i gravi danni che arreca ai loro cittadini e ai loro commerci, ma finisce per dimostrare l'inesistenza di ambiti del tutto estranei ad ogni possibile azione giuridica, in quanto ricadente su esseri umani e sulle basiche regole di convivenza generalmente adottate, nelle cui maglie tutti, anche i pirati, alla fine si trovano a vivere. Posponendo per ora l'analisi sui caratteri fondamentali della pirateria, su cui torneremo successivamente, è interessante notare che ne sono state scritte storie'} che cercano di opera-

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11 Cari Schmitt, Der Begriffder Piraterie, in Id., Positionen Begriffe im Kampfgegen Weimar- Genf - Versailles 1923-1939, Viene, korrigicnc Auflagc, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 2014; trad it. Il concetto di pirateria, in C. Schmitt, Posizioni e conceui in lotta con Weimar-Ginewa-Versailles 1923-1939, Giuffré, Milano 2007, pp. 399-404, in part. p. 402. "Ibid. ' 1 Cfr., su questo, una rapida ma efficace disamina di Cari Schmitt, in Land Meer. Eine wehgeschicth/iche Betrachtung, Klctt-Cotta, Stuttgan 1942; trad. it. cit.,

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re al suo interno precise differenziazioni, quasi fosse possibile crearne una graduatoria di accettabilità. Le varianti individuate sono molte: i pirati tout-court, come semplicemente li definiva l'antichità, poi i bucanieri, i filibustieri e, più importanti di tutti, politicamente ed economicamente, i corsari. Il termine generale di «pirata» assume, insomma, diverse sfumature: dai Fratelli della costa prende forma la figura del bucaniere, che appartiene ad una vera e propria organizzazione'\ mentre i filibustieri- spesso reduci da fatti d' arme, soldati senza ingaggio, scampati alle guerre di religione - sono uomini d'arme cui si dà un «incarico in tempo di guerra»•s, e che poi riprendono la carriera di pirata esattamente come prima dell'ingaggio temporaneo. Si arriva finalmente al corsaro, a colui che possiede una «lettera di corsa» firmata da un armatore, che autorizza la sua attività o, addirittura, come per Francis Drake, che gode dell' appoggio più o meno manifesto della più alta autorità politica - la Regina Elisabetta I - fino ad essere nominato, in ricompensa dei servigi economici resi, fondamentali per il ripianamento delle dissestate finanze del regno, addirittura baronetto•6 • In ogni caso, tutte le categorizzazioni delle diverse «forme» di pirateria, con l'eccezione parziale dei corsari, concordano sul comune status di emarginazione dalla società dei pirati, divenuti tali per libera scelta, o in assenza di altre opzioni di vita, o infine, per sfuggire a quella forma di schiavitù militarmente organizzata che era la marineria pre-moderna. Come sostiene Rediker, infatti, se perfino i marinai «non vanno [...] considerati né vivi né morti [...] [perché] le loro vite sono continuamente in sospeso [...], [e] si muovono ai confini della morte e dell'eternità, in ogni momenTerra e mare, Adclphi, Milano 2003, al cap. Pirati e schiumatori dei mari Ancora, tra i moltissimi, vedi p. e., Giorgio Pietrostcfani, La guerra COTSara, forma estrema di libero commercio, Jaca Book, Milano 2002, che opera una esauriente definizione delle varie «categorie» piratichc, dedicandosi poi ai corsari; oppure Giorgio Giorgerini, Il mio spazio è il mondo. Storia della guerra corsara dalle origini al con/litro mondiale, Mondadori, Milano 2012 o Markus Rcdikcr, Between the Dt:'CJil and the Deep Blue Sea, Cambridge University Prcss, Cambridge 1987; trad. it. Sulle tracce dei pirati La storia affascinante della vita sui mari del '700, Piemme, Casale Monferrato 1996. •• Cfr., per queste definizioni, Pictrostcfani, La guerra COTSara cit., pp. 33 sgg. IJ

Ibid.

'' lvi, pp. 197 sgg.

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to»' 7, figuriamoci come potranno essere considerati i pirati! Il fatto che già il marinaio sia stato descritto - sia pure, evidentemente nel passato - come entità inafferrabile, collocata fuori da ogni situazione reale, ci fa capire che il pirata è, a maggior ragione, come già notava Schmitt, una figura estrema, contraddittoria, che pretende di collocarsi fuori da ogni legge e regola, proclamandosi legato unicamente alla dimensione - peraltro strutturalmente inafferrabile - che lo identifica: appunto, il mare. L'odierno uso traslato del termine pirata - dell'aria, informatico, di leader di movimenti politici antagonisti - trae le sue ragioni precisamente dal fatto di agire, o di ritenersi, come il pirata marittimo, in una situazione di extraterritorialità, - quella delle onde elettromagnetiche ancora più inafferrabile del mare e dunque di considerarsi al di fuori di ogni ordinamento giuridico per scelta o per radicale contestazione. Come notava Schmitt, dichiarare di avere la propria «dimora» in aree politicamente e giuridicamente «vuote», apparentemente legittima la falsa pretesa di poter porre in essere - sia nei casi di pirateria «traslata» che propria - azioni totalmente destabilizzanti sia incidendo nell'ambito privato, sia in quello pubblico, nazionale e, più spesso, internazionale. Proprio in questa pretesa, però, si manifesta il carattere contraddittorio del pirata, che, malgrado la posizione extraterritoriale ed extra legem in cui svolge la propria attività, ma che non lo rappresenta interamente, rimanendo egli pur sempre cittadino di qualche stato, in tutte le azioni che pone in essere in quanto pirata, - che siano di violazione degli spazi territoriali statuali, o di danno a enti e privati cittadini - finisce per assumere sempre, proprio in ragione di queste violazioni, una implicazione giuridica e politica, a dimostrazione dell'impossibilità per chiunque di vivere una condizione totalmente asociale e/o anti-sociale. Paradossalmente è la stessa forma, più o meno esplicita, di radicale anti-politicità che il pirata si arroga e che gli ha procurato lo stigma di «nemico universale», assolutamente ostile, a farne, suo malgrado, un soggetto politico18• ' 7 M. Rcdiker, così descrive i marinai del '700 in Sulle tracce dei pirati, cit. in Pictrostcfani, La guerra corsara cit., p. 41. •• t bene precisare però, che, nella pirateria «traslata» al contrario di quanto avviene in quella classica, non di rado esiste una chiara volontà antagonista nei confronti di

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Tuttavia, per comprendere meglio ciò che veramente è il pirata, occorre esaminare il legame che lo unisce al mare, che diviene, a causa sua, teatro di violenza anomica.

3. Il mare, che fa del pirata il pirata Sci mai giunto alle sorgenti del mare E nel fondo dcli'abisso hai mai passeggiato? (Libro di Giobbe, 38, 16)

Poiché dunque il legame tra il mare e il pirata, «nemico di tutti», è inscindibile, occorre riflettere su quanto gli spazi liquidi - mari, oceani- abbiano significato, e ancora parzialmente significhino per l'uomo. Narrazioni, simbologie, riflessioni di varia natura anche cronologicamente distanti tra loro - introiettate fino a far parte dei livelli più profondi della psiche o stabilmente acquisite nel sentire comune, od oggetto di analisi speculative - emblematiche nei loro significati -, aiuteranno a gettare luce sul tema del «mare» e della natura del rapporto che l'uomo instaura con esso. Mitologie e racconti delle origini'' insistono sul tema dell'acqua- nell'immagine di mare/oceano-, così come le prime riflessioni dei filosofi naturalistici si confrontano anch'esse sul medesimo argomento Esso è visto alternativamente come origine della 20 •

modelli politici o statuali in cui i «pirati» non si riconoscono facendo così assumere, alle proprie azioni, una posizione dichiaratamente politica. Julian Assangc è certamente il caso più clamoroso di pirateria informatica, la cui azione nei confronti della politica statunitense è apertamente antagonistica. '' Cfr. Omero, Iliade, e Esiodo, Teogonia. Aristotele in Metafisica, A 3, 983b, dice «Ci sono poi alcuni i quali credono che gli antichissimi che per primi hanno trattato degli dèi, [.•.] abbiano avuto questa stessa concezione della realtà naturale [ rispetto ai filosofi naturalistici, N.d.A.]. Infatti, posero Oceano e Teti come autori della generazione delle cose, e dissero che ciò su cui gli dèi giurano è l'acqua, la quale da essi viene chiamata Stige. Infatti, ciò che è più antico è anche ciò che è più degno di rispetto. Ma che questa concezione della realtà sia stata così originaria e così antica, non risulta affatto in modo così chiaro; al contrario, si afferma che Talete per primo abbia professato questa dottrina intorno alla causa prima». Già Aristotele, dunque, sottolineava l'ambivalenza ermeneutica esercitata sul tema delle acque. .. Aristotele, nel medesimo brano di MetafisicA, analizzando il passaggio dalla mitologia al formarsi della riflessione filosofica, si sofferma ancora su Talete, dicendo: «Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che principio è l'acqua[ ..•] desumendo indubbia-

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vita21 , sostegno e confine della terra22, divinità terribile a cui devono essere offerti sacrifici, luogo che congiunge terra e cielo 3, fonte di drammatica insicurezza o di fecondità, simbolo di morte o di ricchezza e libertà. Elemento, dunque, profondo e insondabile, sconfinato, dai caratteri estremi e definitivamente ambigui. Innumerevoli sono i riferimenti letterari che rinviano al mare visto di volta in volta come grembo materno e persino come elemento paterno24, come luogo di felice naufragio o, pars pro toto, come manifestazione del mistero della natura e dell'essere, come luogo di réverie, di vitale, misteriosa e ambigua primordialità s. 2

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mente questa sua convinzione dalla constatazione che nutrimento di tutte le cose è umido».

Cfr., su questo, Giovanni Reale, Saggio introas,ttl'llo alla Metafisica di Aristotele, in Metafisica di Aristotele, Introduzione, traduzione e commentario di G. Reale, Bompiani, Milano 2004, p. CLXXI. R. B. Onians, nel suo monumentale testo The Origins ofEuropean Thought, about the Body, the Mina, the Soui the Wor/à, Tane ami Fate, Cambridge Univcrsity Prcss, Cambridge 195 1; trad. it., Le origini del pensiero europeo, intorno al corpo, la mente, l'anima, il momlo, il tempo e il destino, Adelphi, Milano 1998, pp. 301 sg., ricorda che anche Anassimandro e Anassimenc, oltre a Talete, ritenevano che nel «liquido» fossero stati generati i primi esseri viventi e che il «liquido» tenesse insieme tutti gli esseri viventi. Onians ricorda anche come Aristotele nel De anima, sottolinei l'importanza dcll'dcmcnto fluido e del «vapore,. perfino nel pensiero di Eraclito, nonostante l'accentuata imponan7.a data indubbiamente da questi al fuoco. Eraclito infatti individua, secondo Aristotele, come principio primo il fluido e il vapore dai quali prende vita ogni cosa. Quest'ultimo sarebbe poi la 'i'UX4 appunto il «fluido» generativo per la prima filosofia greca. ., Onians, Le origini cit., p. 297, non solo sottolinea come la vita si trovi nel «fluido» e dal fluido tragga origine, ma riporta l'affermazione di Omero secondo cui la generazione di tutte le cose è il «fiume» Oceano, associato alla «madre» T cri. ., Onians ricorda come Esiodo ritenesse che 'Qxsavòç avvolgesse la terra nove volte, mentre Porfirio spiega che Oceano, nel XX canto dell'Iliade non si fosse potuto presentare alla riunione di tutti gli dèi sull'Olimpo, dovendo «tenere insieme tutte le cose». Sempre Onians ricorda che tale concezione è riponata anche da Seneca (le origini thl pensiero europeo cit., p. 391). •1 Calipso, colei che nasconde, che è al confine tra vita e morte, regna a Ogigia, e la sua passione era il «celare [ ..•] Ma nulla le era dato da celare, se non il perenne mescolarsi delle acque celesti e terrestri sono la sua caverna con un rombo sordo che ben sapeva distinguere da quello delle acque del mare sotto di lei,.: Cfr. Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Annonia, Adelphi, Milano 2003, p. 385 (il corsivo è mio). ~ Così interpreta Elio Gioanola la lettura del mare di Montale in Psicoanalisi e in-

terpretazione letteraria: leopardi, Pasco/i, D'Annunzio, Saba, Montale, Penna, Quasimodo, Caproni, Sanguineti, Mussapi, Viviani, Morante, Primo levi, Soldati, Biamonti, Jaca book, Milano 2005, pp. 227 sgg. •• Nella mitologia greca la prima cosa a comparire da Chaos, da Voragine, è Gaia, la Terra, superficie del mondo, nelle cui profondità più abissali permane un collegamento indistinto a Chaos; la seconda figura da lei generata, dopo Ouranos, è Pontos, il flutto,

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La filosofia poi, ben oltre i filosofi naturalisti, ha continuato a riflettere sul tema del mare, dell'acqua, dell'elemento liquido: da Kant a Hegel26, e, oggi, da Bachelard a Foucault, in molti si sono misurati con il suo enigma in permanente mutazione, fluido e contraddittorio come nessun altro 1. La psicoanalisi, da parte sua, si misura da sempre con questo elemento, da Freud e dal suo rilievo ne Il disagio della civiltà, circa il nostro «desiderio oceanico» di «far tutt'uno con il mondo e con le cose» -ispiratogli peraltro da Romain Rolland e dal tema della religiosità come «sentimento oceanico» -, di perderci cioè nell'indifferenziato di cui l'oceano è simbolo perfetto nella sua capacità di abbracciare e inghiottire, per giungere fino a Ferenczi. Questi, nel suo studio Thalassa, immagina che il trauma della nascita riproduca, nell'abbandono della vita intrauterina, la nostalgia primordiale dell'elemento acquatico, cui tutti gli organismi viventi in origine appartenevano, prima di passare, in una tappa fondamentale del processo evolutivo, alla vita terrestre2 8• L'analisi della patologia narcisistica, da parte sua, affronta ciò a cui, da sempre, allude l'acqua: lo specchiarsi, il guardare dentro di sé, in modo nichilistico fino a essere mortale; ma lo stesso gesto può assumere la valenza costruttiva e di riconduzione ad unità del corpo in frammenti, che gli attribuisce Lacan, simboleggiando, ancora una volta, la radicale ambivalenza dell'acqua-specchio. 2

anzi: «Flutto marino, il figlio [che] la completa insinuandosi nel suo interno e la delimita sotto forma di vaste distese liquide. Flutto, come Urano, rappresenta il contrario della Terra. Se la Terra è solida e compatta, e gli clementi non possono mescolarsi in lei, Flutto è, invece, liquidità, fluidità informe e inafferrabile: le sue acque si mescolano, indistinte e confuse. In superficie Ponto è luminoso, ma in profondità è il buio completo, aspetto oscuro che lo ricollega, come la Terra, a una sua parte caotica».Cfr. Jcan Picrrc Vcmant, l'universe, /es dieux, /es hommes: Récits grecr des origines, Scuil, Paris 1999; trad. it., l'universo,gli dè~ gli uomini. Il racconto del mito, Einaudi, Torino 1999, p.11. "Hcgcl, nei lineamenli di filosofia de/diritto,§ 247, sottolinea l'importanza del mare per l'industria, gli scambi e i commerci, tanto da dividere le nazioni in «ammuffite entro di sé e affondate nella superstizione» - quelle che non si proiettano sul mare e sulla navigazione - e «nazioni grandi, entro di sé animose», quelle che csi affollino verso il mare». ' 7 Gaston Bachclard, L 'eau et le reves. Essais sur l'imagination de la matière, Librairie J. Corti, Paris 198 3. 11 Sandor Fcrcnczi, Thalassa. Psicoanalisi delle origini della vita sessuale. Maschio e femmina, Astrolabio Ubaldini, Roma 1978.

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In un contesto molto differente, quando Gesù, camminando sulle acque, va incontro ai discepoli la cui barca sta affrontando una tempesta sul «mare» di Tiberiade29, il suo camminare è da leggersi come dominio sul male che il mare in questo caso rappresenta, essendo ciò che è oscuro, insidioso e causa possibile di perdita della vita. Al contrario, invece, la Divina Provvidenza che parla a Caterina da Siena per il tramite dell'esperienza mistica, descrive se stessa come «mare pacifico» ai quali flutti si giunge, dopo prove e ascesi, per stare «come il pesce sta nel mare e il mare sta nel pesce» e riempire il vaso dell'anima dell'amore divino, nella medesima fusionalità che Rolland prospettava a Freud, pur qui nel segno di una perfetta compiutezzaJ Gli storici, da parte loro, hanno vagliato da più punti di vista l'enorme influenza del mare sulla formazione delle più diverse realtà politiche ed economiche e Braudel ha sottolineato come il Mediterraneo abbia permesso la creazione di un formidabile insieme di vie d'acqua, capace di collegare i popoli che ne abitavano le sponde, attivando così cospicui e duraturi flussi economici e scambi culturali di estrema importanza}', tanto da gettare le basi della koiné e dello sviluppo europei. L'importanza della Via Maris, fin dall'età del Bronzo, ha testimoniato il ruolo fondamentale del mare nella diffusione di ricchezze e di cultura per paesi v1c1ru e meno v1clfl1J Come si può osservare, al termine di questa rapida panoramica, il «mare» è rivestito di un caleidoscopio di significati, caratteri e simbologie che lo raccontano di volta in volta come luogo o simbolo di origine, vita, male, mistero, sessualità, specchio, ricchezza, abbraccio che colma o dà morte, confine ed 0•

2•

'' Mt, 14, 22-33. da Siena, Il Dialogo della Divina Provuulenza, Cantagalli, Siena 2011, pp. 230 e 378. i• Fcrnand Braudcl (dir.), La Médite"anée, 2 Voll., Arts et méticrs graphiqucs, Paris 1977-78; trad. it., Il Mediterraneo: fu spazio e la sloria, gli uomini e la tradizione, Bompiani, Milano 1995, p. 52. l'Autore sottolinea, tra l'altro, come già intorno al XX scc. a.C. il Mediterraneo avesse favorito uno straordinario interscambio tra popoli affacciati sulle sue sponde, processo misteriosamente intcrrottosi poi intorno al XII secolo a.C. 1' La Via Maris collegava l'Egitto ali' Anatolia e, in un altro segmento che si dipartiva dall'antica Dor, a Damasco passando per il lago di Tibcriadc. 10 Caterina

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espansione, conoscitiva ed economica. Sono perciò la ricchezza e la contraddittorietà stesse che lo significano a farci intuire che colui che si fa signore del mare - il pirata fa infatti del mare la dimora che definisce la propria stessa natura, ratificando contemporaneamente l'assoluto dominio su quello - si attribuisce un potere che eccede largamente ogni reale possibilità umana. Figura dell'eccezione e dell'eccesso, richiede di essere interpretata per il ruolo straordinario che, con evidente uf3gi,ç, si attribuisce. 4. Mare e Terra I pirati inglesi [.•.] aprirono la strada alla nuova libertà dei mari, che era una libertà essenzialmente non statale[...] in loro si cancellarono i netti confini tra Stati e individuo, tra csistcn7.a pubblica e privata, come pure quelli tra guerra e pace e tra guerra e pirateria. (Cari Schmin, Il Nomos della teTTa) Da dove vengono le montagne più alte? chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare[ •••] Dall'abisso più fondo, la vena più alta deve giungere alla sua altezza. (Friedrieh Nict7.sche, Così parl.ò 'Zarathustra)

Prima di arrivare a misurarci con la figura del pirata, sono, ancora una volta, le riflessioni di Cari Schmitt a consentirci di procedere più in profondità nell'analisi della natura del mare, a partire dal raffronto da lui tracciato tra il mare e la terra nelle loro opposte e fondamentali caratteristiche, tenendo conto anche del ruolo che la modernità ha conferito al mare in un certo suo specifico "uso". In questa linea, è interessante osservare l'organico e sintetico nucleo di analisi che Schmitt offre in Terra e mare - efficace operetta dedicata alla figlia Anima - che muove dalla riproposizione delle due classiche figure hobbesiane più simbolicamente paradigmatiche, dotate di una densa proiezione geopolitica: Leviathan e Behemoth, il mostro marino e quello terrestre, eternamente in lotta tra loro nel tentativo del reciproco annientamentoH. Il titolo stesso del piccolo

n Schmin, Terra e mare eit., pp. 18 sgg.

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testo indica la volontà di Schmitt di elaborare una riflessione organica sui due elementi - cui in seguito egli aggiungerà anche l'aria-, imprescindibili per la vita dell'umanità e contemporaneamente esemplari per le loro nature, ordinativa l'una e ano mica l'altra. La riflessione che prende corpo in Terra e mare è tanto più interessante se si tiene presente che, com'è noto, la ricostruzione schmittiana aveva già tratteggiato la modernità come un' epoca caratterizzata da una ormai non più sanabile «sconnessione» tra ordine e disordine. Sconnessione causata dalla perdita irrimediabile dell'universale ermeneutico teologico-simbolico rappresentato dal cristianesimo, fondamento di una politica che da questo prendeva forma 34, e, in seguito, all'indomani della prima guerra mondiale, dalla dissoluzione dell'altro poderoso strumento giuridico-ordinativo dello I us publicum Europaeum. Secondo Schmitt, perciò, il disordine è ormai la condizione inevitabile con cui misurarsi, tanto che il politico - «luogo» della conflittualità originaria destinato a non essere mai superato - è però quanto costringe a mettere in atto le fondamentali decisioni circa l'esclusione del nemico e l'inclusione dell'amico, spingendo alla formazione di un potere costituente da cui prenderà forma lo Stato con le sue dinamiche politiche e giuridiche:u. Tuttavia questa visione sfocia, negli anni del dopoguerra, in unarimodulazione del precedente radicale decisionismo nichilistico, proprio a partire da quell'amplissimo e affascinante quadro che è Il nomos della Terra, in cui Schmitt riprende e approfondisce i temi già schizzati in Terra e mare, esaminando le caratteristiche strutturali dei due elementi posti in reciproco confronto36 • Nella ricostruzione presentata da Schmitt nel Nomos della Terra, l'intento di cogliere un possibile fondamento -precedentemente segnalato come irrimediabilmente dissolto - cui ancorare la nascita del diritto e della politica, emerge infatti proprio dall'in-

u Cari Schmitt, Der Nomos der Erde, im Volkerrecht des Jus Publicum europaeum, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1974, trad. it. Il nomos della Terra, Addphi, Milano 1991, pp. 38sgg. 11 Cfr. Carlo Galli, Lo sguardo di Giano, il Mulino, Bologna 2oo8, pp. 20 sgg. l' Terra e mare è composta da Schmitt nel 1942, mentre il Nomos della Terra data 1950.

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treccio di riflessioni su terra e mare3 7• La prima è subito definita «madre del diritto»38, divenendo, in questa fase del suo pensiero, elemento centrale, fonte potenziale del nomos, in quanto custode «dentro di sé ... [di] una misura interna» di proporzionalità retributiva39. Ciò ne segnala la caratteristica potenzialmente ordinativa, al punto che si potrebbe leggere questa sua proprietà- insieme alla sua suscettibilità ad essere conquistata, alla sua divisibilità e alla capacità di produzion~ - come quanto la rende propizia-

17 Che poi la presa di distan;,.a di Schmitt riesca a configurare nel Nomos e negli altri scritti di questo periodo un quadro di riferimento non nichilistico a fondamento del diritto e della politica è, secondo C. Galli, discutibile. Egli sottolinea infatti come Schmitt costruisca ancora una volta la sua nuova opera intorno al tema della contrapposizione ordine/disordine. La differenza rispetto alla precedente fase della riflessione schmittiana, risiederebbe, secondo Galli, nel fatto che il dato insuperabilmente nichilistico - il Nulla-di-ordine sempre incombente - verrebbe ora a riprodursi, secondo Schmitt. a causa dcli'enorme ampliamento di spazi geo-politici esterni alla cornice europea e non sottoposti alla potenza ordinativa dello Jus publicum europaem. Spazi, dunque, dove violcn;,.a e disordine non erano messi in alcun modo in forma. T unavia, come vedremo, il fatto che la meditazione schmittiana, pur nell'abituale logica contrappositiva, qui tra terra e mare, rappresenti il primo elemento come il luogo concreto del formarsi dell'ordinamento giuridico in quanto suscettibile di misurazione e suddivisione, e il mare, al contrario, come ciò che, non essendo divisibile, è, necessariamente, anomico, mentre anomia e violenza vengono aggravate dalla conquista dcli'aria, non mi sembra configuri, nel quadro proposto nel Nomos della Terra, l'orizzonte nichilistico descritto da Galli. Piuttosto, qui l'Autore apre alla considerazione della misura e della normatività come appartenenti in modo inaggirabilc al rapporto tra l'uomo e la Terra, indicazione questa che può essere sviluppata in direzione di un ripensamento delle immense problematiche ambientali che oggi ci interrogano sempre più urgentemente. Cfr. Galli, Lo sguardo di Giano cit., pp. 137 sgg. e Schmitt. Nomos della Terra cit., pp. 54 sgg. 11 Schmitt dice testualmente, a proposito del rapporto terra/misura: «Alla occupazione di terra e alla fondazione di città è infatti sempre legata una prima misurazione e ripartizione del suolo. [...] Nasce così un primo criurio di misura che contiene in sé tutti i criteri successi'Oi. [.•.] Ogni successiva relazione giuridica, [... ] ogni istituzione di una città [...] sono determinati da questo criterio originario di misura e ogni giudizio ontonomo, ontologicamente giusto, procede dal suolo» (Nomos della Terra cit., p. 23, i corsivi sono miei). 1• Schmitt sottolinea come nomos derivi dal verbo greco nemein, «dividere», «pascolare», poiché, a suo avviso, la regola giuridica prende forma appunto dalle prime, stabili e regolamentate divisioni della terra (Nomos della Terra cit., pp. 59 sgg.). 40 Sulla questione della successione dei tre momenti di appropriazione, divisione e distribuzione (e/o elaborazione o produzione) che caratterizzano il rapporto tra l'uomo e la terra e che sono fonte del Nomos, dr. Cari Schmitt, Nehmen, Teilen, Weiden, «Gcmcinschaft und Politik», I, 3, 1953; trad. it. Appropriazione, di'Oisione,produzione, in Id., Le categorie del politico, a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera, il Mulino, Bologna 1972, soprattutto pp. 297 sgg. Di questi tre momenti, Schmitt sottolinea

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trice del costituirsi della regola che, nello stabilizzarsi, diviene rromos. Questa serie di caratteristiche individuate da Schmitt nella terra, rendono possibile l'attribuzione e la distribuzione ordinata degli spazi e il loro sfruttamento produttivo4', e, mentre indicano una torsione del pensiero di Schmitt verso l'individuazione di una sempre presente, perché originaria, tendenza alla formulazione di regole ordinative, si oppongono, nella loro inestirpabile concretezza, alla pur dichiarata ubiqua condizione di dis-ordin&. Se infatti nel testo già citato Appropriazione/divisione/produzione, l'appropriazione della terra è il radical title per il possesso e fonte di ogni successiva regolamentazione giuridica, come ricorda Schmitt rifacendosi a LockeH, nel Nomos della Terra l'enfasi è posta sull'analisi della configurazione ontica della terra, che la rende suscettibile, a causa delle sue stesse caratteristiche di misurabilità, divisibilità, produttività, di far emergere, come detto, la possibilità stessa della normatività, ancor prima dell'emanazione delle successive norme positive. Si potrebbe dire perciò che la terra e l'uomo siano in rapporto reciprocamente sintonico rispetto a quanto è la «capacità» dell'una di generare normatività e la ricerca dell'altro di costituire regolarità. Data l'irriducibile opposizione di Schmitt al giuspositivismo, al normativismo kelseniano, al liberalismo, ma anche la dichiara-

che, all'uomo, «la divisione resta nella memoria più saldamente dell'appropriazione: [... ) tutti gli ordinamenti e rapporti giuridici concreti all'interno della terra in tal modo acquisita sorgono solo dalla divisione, per mezzo della quale è stato attribuito il mio e il tuo alle singole stirpi, tribù o gruppi o anche ai singoli individui. È anche comprensibile che, in base a questo modo di considerare, si pensi quasi sempre solo al risultato finale della divisione della terra conquistata, cioè al pezzo di terra concretamente ottenuto (il kleros), alla quota concretamente ottenuta, e non invece al processo e alla procedura di divisione come tale» (ivi, p. 301, i corsivi sono miei). •• Sulla questione filologica che rivela l'ultima caratteristica del nomos, che Schmitt descrive con il verbo WeiJen, e sulla sua difficoltà ad essere tradotto in italiano, v. nota a p. 295, dove P. Schiera accetta entrambe le traduzioni di «produrre» e «pascolare». Nel Nomos della Terra, invece, E. Castrucci traduce scn7.a esitazioni la parola con «pascolare». f-' Cfr. Galli, Lo sguart:fu di Giano cit., pp. 132 e sgg. e, anche, Nietzsche e Schmitt, due nichilismi a confronto, «Filosofia politica», XXVIII, 1, 2014, p. 105. tl Schmitt, Appropriazione, dwisiane, produzione cit., p. 300. Schmitt insiste qui sulla sequenza delle azioni che il verbo nemein racchiude, sottolineando l'importanza che l'appropriazione rimanga al primo posto -cronologicamente-costituendo appunto il radical title sopra ricordato.

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ta ripulsa di ogni giusnaturalismo, conseguente al suo rifiuto di ogni fondamento ontologico - che pure sarebbe possibile aspettarsi da un pensatore cattolico..,.- è interessante notare come egli individui ora nella terra il punto archimedeo45 che gli consente di ridimensionare il precedente tema del disordine sempre riemergente, a cui era strettamente legato il suo decisionismo. Rimanendo fermo nella convinzione della dissoluzione irrecuperabile di un fondamento trascendente cui la politica possa fare riferiment04'!., Schmitt sente tuttavia il bisogno, in questa fase, di trovare un ancoraggio alla propria riflessione giuridica nella originarietà, non genealogicamente ricostruita, ma ricavata appunto dalle caratteristiche ontiche della divisibilità e proporzionalità della terra. Così, pur muovendo dalla concreta materialità di questa e dalla considerazione delle storiche azioni di divisione e appropriazione compiute su di essa, Schmitt finisce per adombrare, -ponendosi in contrasto con i presupposti stessi del proprio pensiero - una embrionale «ontologia» del giuridico. Nella misurabilità intrinsecamente proporzionale e retributiva della terra, infatti, emerge il suo essere causa di una regolamentazione che, nel rispecchiare la terrestre misura originaria, viene descritta dallo stesso Schmitt come «ontologicamente giusta», giungendo così a una descrizione di caratteristiche strutturali proprie del fenomeno giuridico. Se Schmitt, nello scritto del '53, sposta poi l'accento sulle azioni di appropriazione-divisione-produzione scaturite dal rapporto degli uomini con la terra 47, neppure qui abbandona del tutto l'ipostatizzazione fattane nel Nomos della Terra, continuando, sia pure in forma più sfumata, a legare alla sua divisibilità la possibilità di un fondamento per il fenomeno giuridico. Va ricordato, inoltre, che, in tutto il Nomos di soli tre anni antecedente, è presente l'eco del ruolo sacro di kat-echon svolto .. Circa l'assenza di un'ontologia nel pensiero di Schmitt, cfr. Galli, Nietzsche e 103. Su questo tema, tuttavia, si veda nelle righe e pagine successive. • 1 Come si è visto, non è solo nel Nomos della Terra che Schmitt utilizza la terra come momento «originario•, ma in quest'opera è ccnamcntc illuminante la contrapposizione con il mare. f6 Cfr. Galli, lo sguardo di Giano cit., p. 19. 9 Schmitt, Appropriazione, di'Oisione, produzione cit., pp. 2.99 sgg.

Schmilt cit., p.

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dalla terra d'Europa e svuotato con l'avvento della modernità di ogni reale e piena funzione ordinatrice. Queste brevi osservazioni intorno alle caratteristiche ontiche della terra possono essere pienamente apprezzate come un punto essenziale nel pensiero dell'ultimo Schmitt..s, anche e soprattutto se considerate in rapporto alla sua riflessione sul mare. La netta contrapposizione tra i due elementi, tra ciò che «reca nel grembo» la misura e ciò che esprime solo il continuum inafferrabile e mutevole, di «onda su onda» - come egli definisce il mare riprendendo Kant - è certamente funzionale al chiarimento della natura del nomos, ma anche, e per noi ora più interessante, ad introdurci alla pessimistica considerazione che Schmitt ha del mare. Qui si manifestano appieno non solo le caratteristiche negative di quello, ma anche la continua rarefazione di stabilità e possibilità di ordine cui il mondo va incontro nel suo allontanarsi progressivo e irreversibile dalla terra, per giungere fino al dominio dell'aria; alle ricordate e originarie caratteristiche della terra, Schmitt contrappone, infatti, per meglio sottolinearne il rovesciamento, quelle del mare. La liquidità marina, infatti, ondivaga e illimitata, non offre, per Schmitt, alcuna stabilità, «non conosce un'unità così evidente di spazio e di diritto, di ordinamento e localizzazione» paragonabile a quella della terra, e i frutti che dal mare si raccolgono «con duro lavoro», non rivelano «un'intima proporzione di semina e raccolto»49. Alla terra, secondo il suo usuale schema di opposizioni non dialetticamente componibili, Schmitt contrappone quindi l'intrinseca anomia del mare, non recintabile, liquidamente informe,

.. Che la politica sia «immanenza conflittuale energetica, [... ] conflitto amico/nemico come •possibilità reale" sempre presente; e la mediazione, la forma,[ ...] l'altro volto, da quella possibilità reso necessario, e affidato alla decisione per la rappresentazione del trascendente assente• come sostiene Galli nel citato Due nichilismi a confronto, non impedisce, a mio parere, che il paradigma «terra• sia, appunto, tale, e che - pur nulla togliendo all'evidente anti-metafisicità di Schmitt - le caratteristiche ontiche che le pertcngono, descrivendone I' «ontologica giustizia•, rappresentano un indubbio rinvio alla struttura giuridica che da essa scaturisce, così come il mare e le sue caratteristiche altrettanto paradigmatiche e «fondativc• fanno, ncll' ottica schmittiana, per la conflittualità anomica. Certo, il fondamento rappresentato da terra e mare è poi affidato, come dice Galli, alle azioni pratiche, contingenti, e, tuttavia, non c'è dubbio che «terra• rinvii all'idea di una possibile stabilità, pcrmanen:r.a, affidabilità: justissima tellus. ., Schmitt, Nomos della Terra cit., p. 20.

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suscettibile, proprio per questo, di incentivare le brame di ricchezza dei «pirati», di coloro che provano, tentano, osano, in un luogo dove tutto è lecito perché lì niente può dar vita alla stabilità della normas Il luogo, insomma, per eccellenza, dell'esercizio della libertà dis-ordinata e predatoria che caratterizza anche l'irrisolto nucleo negativo del Modernosi. Tempo, questo, secondo Schmitt, non a caso contrassegnato epocalmente dalla svolta per il mare delle politiche inglesi, che diventano modello e stimolo per la dissoluzione dell'ultimo grande tentativo ordinativo rappresentato dallo ]us publicum Europaeum. Il mare, in modo del tutto contrario alla terra, viene descritto da Schmitt come l'indivisibile, l'inappropriabile, non fonte di produzione stabile, né di possibili regolamentazioni, spazio anomico senza «recinzioni né confini, né luoghi consacrati né localizzazione sacrale, né diritto né proprietà» al punto da svolgere, nel suo pensiero, il ruolo di vero e proprio opponente, esercitante la funzione di «nemico». Che il mare sia contemplato da Schmitt in modo categorialmente opposto alla normatività ordinatrice della terra emerge anche dalle profezie da lui ricordate: di Virgilio circa la sua scomparsa, e di S. Giovanni che, nell'Apocalisse, sostiene che, nella nuova terra purificata dal peccato, non vi sarà più mareP. Nella logica oppositiva di Schmitt, il mare diventa così anch'esso paradigma, rovesciato rispetto alla terra, luogo che incarna il dis-ordine, frutto inevitabile della sua strutturale anomia. In esso, ciascuno opera per sé, appropriandosi di quanto può, senza regola. Coerentemente, in questa visione diviene chiaro il giudizio di Schmitt circa la decisione, da parte dell'Inghilterra elisabet0•

•• Anche qui Schmitt si affida all'etimologia di pirata, «dal greco peiran, che significa provare, tentare, osare in un luogo apcno, [dove] non vi erano infatti né recinzioni né confini, né luoghi consacrati, né localizzazione sacrale» (Nomos della Terra cit., p. 21). Cfr. anche come ulteriore argomento sull'anomia intrinseca del mare, le diverse concezioni che Schmitt pone a confronto del mare come res nu!EMs o res omnium, e la conclusione che alla fine tira intorno al «carattere originario, elementare, della libcnà dei mari» (ivi, p. 21 3). '' Cfr. Galli, Lo sguardo di Giano cit., pp. 132 sgg. •• Cfr. Schmitt, Nomos della Terra cit., p. 21, dove ripona come nella IV Egloga, Virgilio sostenga che arriverà l'età felice in cui la navigazione non sarebbe più esistita.

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tiana, di trasformarsi in potenza marittima, in pesce, in Leviathann, con una decisione che, ai suoi occhi, è qualche cosa di ben più significativo ed epocale di un'opzione politico-commerciale: confinando, piuttosto, con un atto «piratico»H, nichilistico, le cui durature conseguenze saranno planetarie e dirompenti. Nell'opzione per il mare, secondo Schmitt, l'Inghilterra apre un orizzonte del tutto diverso, il cui frutto immediato è certamente quello di esportare fuori dall'Europa una quota di violenza indiscriminata, del cui potenziale distruttivo le guerre di religione avevano dato tragica dimostrazione, ma anche di porre le basi - con la progressiva mondializzazione della politica - del suo inesorabile processo di marginalizzazione. Che dunque la scelta dell'Inghilterra sia stata dettata da una visione genialmente anticipatrice, capace di assicurare il futuro prestigio del paese al di là degli oceani, nella ricchezza e potenza, non impedisce che la profonda torsione impressa alla sua e all'intera politica europea sia stata foriera, nell'ottica schmittiana, di esiti irrimediabilmente distruttivi. Essa infatti ha finito per produrre, secondo Schmitt, l'allontanamento irreversibile da uno spazio geopolitico delimitato, la cui unità - già fatta esplodere dalla crisi della Riforma - aveva riformulato nello ]us publicum Europaeum i criteri del reciproco riconoscimento degli spazi sovrani e fatto emergere la comune volontà di limitare la violenza di quello che si accingeva a diventare il Vecchio Mondo. Tali spazi venivano così riconosciuti in un radicamento territoriale, che restituiva non solo complesse e sanguinose vicende di appropriazioni e divisioni, ma anche la storia di una sedimentata tradizione culturale con11 Di estrema efficacia, anche se funzionale alla sua lettura evidentemente anti-inglcsc, sono le pagine dedicate da Schmitt in Terra e mare alla trasformazione dell'Inghilterra da paese terricolo in paese che guarda a sé dal punto di vista del mare, trasformandosi in «nave che può levare l'ancora e gettarla di fronte ad un altro continente. Il grande pesce, il Leviatano, poteva muovere alla ricerca di altri continenti» (Terra e mare cit., p. 98, ma v. l'intcro capitoletto Mutamento della natura di isola). lf Per quanto riguarda il forte legame con la pirateria, Schmitt sottolinea i risvolti piratici della conversione al mare dell'Inghilterra elisabettiana, evidenziandone il rapido arricchimento - da paese impoverito e dedito ali'allevamento e al commercio della lana - grazie alle operazioni in mare di personaggi come Francis Drakc e Walter Relcigh. Ma ricorda anche come «centinaia e migliaia di uomini e donne inglesi divennero in quel tempo corsairs-capitalist». Cfr. Schmitt, Terra e mare cit., pp. 47 sgg.

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divisa. Quanto poi, per Schmitt, l'archetipo rappresentato dal mare fosse diventato dominante, sconfiggendo quello terrestre, è stato reso manifesto sia dalla dissoluzione dell'ordine politico operata dalla prima guerra mondiale, sia dalle trasformazioni della guerra. Questa, infatti, è divenuta sempre meno «messa in forma» e sempre più anomica, nell'accrescersi della potenzialità distruttiva, imprevedibile nella sua estensione, degli interventi marittimi - e, in un progressivo «abbandono» della terra, di quelli aerein - capaci di coinvolgimenti prima impensabili delle popolazioni civili. Le riflessioni di Schmitt sulle strutture ontiche di terra e mare - così come sugli effetti della dissoluzione, dopo la prima guerra mondiale, di un orizzonte giuridico regolativo condiviso - evidenziano quanto abbiano pesato, nella storia europea e nell'assetto globale queste trasformazioni, ma anche come, pur nell'impossibilità di tornare indietro, sia sempre necessario misurarsi criticamente con il distruttivo riemergere del disordine, tenendo a mente, si potrebbe estrapolare, le potenzialità normative e ordinatrici della terras6 • È dunque all'interno della descrizione del carattere anomico e dis-ordinato del mare, che è possibile leggere pienamente, secondo Schmitt, il ruolo del pirata, simbolica figura della progressiva planetarizzazione dei conflitti e della proliferazione della violenza. Figura che raggiungerà, in Teoria del partigiano, u L'anomia distruttiva derivante dalle trasformazioni operate da una politica condizionata profondamente dall'abbandono della terra e dalla opzione per il mare rivelata in modo schiacciante dalla guerra marittima, sarà, secondo Schmitt, ulteriormente aggravata dalla conquista da parte dell'uomo anche della dimensione dell'aria. Questa, che sempre più allontana gli uomini dalla terra e dalle sue caratteristiche potenzialmente ispiratrici di giuridicità, faranno acquistare ai conflitti dimensioni drammatiche, trasformandoli da guerre di preda a guerre di annientamento. '' Galli sostiene che il concetto di nomos non abbia a che fare con un originario radicamento sottratto al nichilismo. Al contrario ritengo che, in Nomos della Terra, come si diceva più sopra, ci sia in Schmitt un vero e proprio tentativo - nostalgico - di proporre il tema del radicamento del giuridico in un fondamento stabile - la terra. È certamente vero che tale fondamento è destinato con tutta evidenza a misurarsi con le continue riemersioni del negativo, del disordine ormai arrivato allo stadio più pericoloso e rarefatto dell'aria. Tuttavia quello che Schmitt in quell'opera ci consegna è certamente una rappresentazione particolarmente evocativa del nascere e dello strutturarsi dell'ordine giuridico. Cfr. Galli, Lo sguardo di Giano cit., p. 140.

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i limiti estremi dell'inimicizia assoluta nell'estensione rivoluzionaria da «nemico reale» a «nemico assoluto»: «così terribile che forse non sarà più lecito nemmeno parlare di nemico e inimicizia» per giungere piuttosto al reciproco annientamento assolutos7. La lettura che Schm.itt ci consegna, nel suo drammatico pessimismo, ha il merito di richiamare, nell'approfondita analisi sulle caratteristiche ontiche degli elementi primi - terra, mare, aria - alla questione imprescindibile di un concreto fondamento giuridico del diritto e, di conseguenza, della politica. Quando quest'ultima, infatt~ proiettando le proprie azioni nella rarefa-

17 Cari Schmitt, Theorie des Partisanen, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1963; trad. it. Teoria del partigiano, il Saggiatore, Milano 1981, pp. 72 sgg. In questo testo ancora una volta Schmitt ribadisce l'importanza delle caratteristiche telluriche. Questa volta di chi combatte, sia pure da irregolare, per la propria terra, distinguendolo drasticamente rispetto a chi combatte secondo i dettami di un «partito assolutizzato», divenendo «portatore di una inimicizia assoluta». In questo caso, non si combatte più per il suolo natio, ma per «l'ineluttabilità di un obbligo morale». In questa prospettiva, il terrorismo rivela una profonda affinità con la pirateria, non a livello motivazionale, ma per quanto riguarda la propria capacità di interpretare l'inimicizia assoluta di cui parla Schmitt. Ampliando il suo ragionamento possiamo notare che nel terrorismo, al contrario di quanto accade nella pirateria, viene esercitato un «sapiente» e «pedagogico» uso della violcn7..a, illustrato chiaramente da alcuni episodi del recente passato, dove, in assenza di una potenza politico-militare istituzionali1.zata capace azioni ad ampio raggio, si compensa con un alto tasso di esemplarità. L'impiego, in Nigeria, da parte di Boko Haram, di bambine come kamikaze e il reclutamento da parte di Daesh di bambini come boia ne sono stati esempi patenti e indimenticabili. Qui i destinatari della pedagogia del terrore non sono solo i bambini trasformati in boia, in una sanguinosa éducation meurtrière, ma anche tutti gli •spettatori" interessati, resi sgomenti dal potenziale mortifero-nichilistico racchiuso in quei gesti. Per quanto riguarda l'uso delle bambine come kamikaze, l'elemento pedagogico è rivolto unicamente agli •spettatori", poiché nessuna pedagogia è prevista, in quei contesti culturali - secondo un modello che si ripropone oggi in Afghanistan - nei confronti di una bambina, essere inferiore valutato soltanto per il suo potenziale riproduttivo, da Boko Haram trasformato in distruuivo. La strategia del terrore messa in atto ha, perciò, la ben precisa mira di cancellare qualsiasi rapporto fiducialc dato per scontato nel darsi im-mcdiatamcntc leggibile di senso delle relazioni che in situazioni di normalità costituiscono il tessuto della società. La trasformazione in armi potenzialmente distruttive degli esseri più inermi provoca, infatti, la distruzione dei normali rapporti fiducial-affcttivi tra bambini e adulti, creando una situazione di sfiducia e terrore irrimediabili perché erga omnes e in voluto, completo contrasto con la normalità delle relazioni. Il nuovo aggregato umano - non più definibile come società - diviene così totalmente plasmabile dalla nuova élite al potere e suscettibile di essere risignificato nelle sue finalità e aspettative, secondo il collaudato codice di ogni rivoluzione. L'affinità del terrorismo con l'azione piratica rimane nel mettere le 'Dillime a propria totale disposizione, ponendosi in una situazione totalmente extra legem.

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zione di elementi sempre meno terrestri, aumenta esponenzialmente le proprie potenzialità offensive, si apre una spirale sempre più endemica ed incontrollabile di violenza. Se dunque il pessimismo di Schmitt si rivela compiutamente nell, evidenziare l'inevitabilità di questo processo, in contrappunto egli mantiene fermo il richiamo al legame indissolubile di popoli e stati con quel grembo di giuridicità e di capacità ordinatrice che è la terra. Certamente, questa suggestione di Schmitt è oggi da assumere entro i precisi limiti del progressivo ridimensionamento delle competenze giuridiche e politiche degli stati nazionali che il quadro geopolitico di crescenti aggregazioni sovranazionali mostra come tendenziale; tuttavia l'odierna strenua resistenza, che un paese relativamente piccolo oppone all'invasione ingiustificata del proprio territorio sovrano da parte dello Stato più grande del mondo, dimostra, ancora una volta, la forza potente del legame con la propria terra. Non bisogna però dimenticare che, di contro a questo ribadito richiamo schmittiano al potere della terra, il compiuto nichilismo della concezione di mare e terra di Nietzsche indica, invece, una significativa e simbolicamente potente linea ermeneutica di opposta polarità e di altrettanto peso rispetto al pensiero di Schmitt. Nel tragico scenario dell'illuminazione di ZaratustrasS, infatti, i due elementi si mescolano in una reciproca, speculare abissalità, che rende equivalenti il moto continuo e oscuro delle acque dell'uno, e la riveniente e disarticolata temporalità svelata dai sentieri che circolarmente si dipartono dalla e verso la porta carraia dell'attimos,. Mare e terra sono, in Nietzsche, i simboli della radicale novità dell'orizzonte senza più altezza né profondità, senza più confini davanti, dietro, di fianco, da tutti i lati60,

'' «Ma chi è della mia specie non sfugge a una tale ora: l'ora che gli dice: •Soltanto adesso ti incammini per il tuo sentiero di grandezza! Vetta e abisso- ora è saldato in unità". [ ..•] Da dove vengono le montagne più alte? chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare. [..•) Dall'abisso più fondo, la vetta più alta deve giungere alla sua altezza•. Cfr. Fricdrich Nicttschc, A/so sprach Ztralhustra. Ein Buch fiir Allen una Keinen, Schmcitttr, Chcmnitz 1883; trad. it. Così parlò Ztratustra, Adclphi, Milano 2012, pp. 177-179. " lvi, pp. 18 3 sgg. '° Fricdrich Nietzsche, Das froliche Wissenschaft, Schmcitzcr, Chcmnitz 1882; trad. it. La gaia scienza, Adclphi, Milano 1993, p. 163.

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che l'uomo folle profetizza e che è ormai il destino, ancora incompreso dai più, dell'umanità. Al pari dell'uomo folle, i filosofi, di cui Nietzsche si fa Precursore, si lanceranno verso le profondità oscure e dolorose del mare - così come verso l'ignoto dell'eterno ritorno dell'uguale, del continuo rivenire di ciò che è - appunto come i naviganti su di un mare infinito e misterioso6 Il pensiero di Nietzsche si svela tanto "marino"62 quanto quello di Schmitt è "terrestre", ma in entrambi i pensatori- tutti e due radicalmente a-dialettici63- non è ipotizzabile un rapporto di interazione tra le diversità di terra e mare in cui, conservando le proprie caratteristiche, i due elementi siano legati in un'azione di reciproca fecondazione. 1•

5. L'uomo e il mare Il mito ha per sé stesso .•. valore normativo ..• il mito, la leggenda eroica, è la riserva inesauribile di modelli che la nazione possiede e dalla quale il suo pensiero attinge ideali e norme per la vita propria. (W.Jacgcr, PaiJeia, voi. 1, pp. 94-55)

Se con Schmitt il destino del pianeta sembra essersi irreversibilmente avviato o alla dimensione anomica e dis-ordinata cui lo affidano le ultime pagine del N omos della Terra, e con Nietzsche l'indistinzione nichilistica dell'eterno ritorno dell'uguale apre uno scenario di continuo rimescolamento e riproposizione •• lvi, pp. 206-207. " Più ancora dei luoghi in cui Nietzsche parla esplicitamente del mare, in questo testo tratto dai frammenti postumi si capisce quanto egli fosse un pensatore •marino": «Volete sapere che cosa è •il mondo• per mc? ... un'immensità di forza. scn7.a principio, senza fine, senza grandezza fissa, ferrea di forza, che non diviene più grande e nemmeno più piccola, che non si consuma, ma solamente si trasforma[..•] un mare di forze in se stesse tempestose e fluttuanti, in eterna trasformazione, in eterno ricorso, con anni immani di ritorno, con flusso e riflusso delle sue forme, spingendole[ .••] dalla semplicità alla più varia molteplicità, dalla quiete e dalla fissità e dalla frcddc7.za massime all'incandescenza, alla sfrcnatcu.a più selvaggia». Fricdrich Nietzsche, frammento 38 [12), 1885, citato in Mazzino Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999. •1 Entrambi antimcta6sici, entrambi adottano il metodo genealogico. Per un confronto tra il metodo genealogico di Schmitt e quello di Nietzsche, benché il secondo muova da un radicale anticristianesimo e il primo faccia, comunque, riferimento alla koinè cristiano-cattolica, cfr. Galli, Nietzsche eSchmitt cit.

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fuori da ogni senso e direzione degli eventi, alcune altre riflessioni raccontano viceversa della possibilità di un altro rapporto tra terra e mare alla cui luce si dissolvono le dimensioni di violenza pervasiva e di nichilismo delle visioni sopra ricordate. È il racconto di un decennale viaggio sull'acqua-l'Odisseauna delle narrazioni di fondazione della cultura europea, che ci consente di elaborare un'altra interpretazione del mare e del suo rapporto con la terra. Se l'Iliade è il poema in cui ciascuno dei "caratteri" che agiscono nel dipanarsi della vicenda rappresenta per lo più l'ipostatizzazione schematica di alcune caratteristiche salienti dell'umano - il coraggio di Achille, la saggezza di Nestore, la forza di Aiace -, nell'Odissea'\ poema di navigazione materiale e simbolica, prende corpo, in tutta la sua complessità multifattoriale, il primo vero personaggio della narrativa europea, forgiato dagli eventi e incontri straordinari e drammatici cui va incontro. Tutto ciò può avvenire solo attraverso l'acqua, vero e proprio strumento che rende possibili le vicende - tutte emblematiche - del poema, in un decisivo mutamento di prospettiva rispetto all'Iliade, poema di terra e di guerra, dove 'Qxeav6i; riveste caratteristiche cosmogoniche molto diverse e ben più arcaiche. Grazie a questo medium Odisseo acquista a caro prezzo 6s conoscenza ed esperienza: nell'Odissea l'acqua, color di viola o color del vino, sciaborda e schiuma, fondamento vivente - di cui Poseidone è personificazione irosa e divina -, inafferrabile e ambiguo, da una parte a consentire il viaggio, e dall'altra a osteggiarlo violentemente, rovesciandosi sul protagonista e minacciandone continuamente la vita. La maggior parte della vicenda di Odisseo '+ Tra le infinite citazioni sull'importanza dell'Odissea per la tradizione europea, J.-L. Nancy, si esprime in termini che mi paiono particolarmente significativi anche in relazione al discorso che seguirà: «L'inizio della nostra storia è la partenza di Odissco e il sorgere della rivalità, del dissenso, del compiono nel suo palazzo. Intorno a Penelope che continua a rifare, scn7.a mai portarlo a termine, il tessuto dell'intimità, i pretendenti instaurano la scena sociale, guerriera e politica - la pura esteriorità». Cfr. Jcan-Luc Nancy, La communauté désauwée, Christian Bourgois Editcur, Paris 1986; trad. it. La comunità inoperosa, Cronopio, Napoli 1995, p. 34. '' Odissea, I, 1-4: «L'uomo ricco di astuzie raccontami o Musa che [ ...] molti dolori patì in cuore sul mare». Le citazioni dall'Odissea sono tutte tratte dalla splendida traduzione di Rosa Calzccchi Onesti.

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si svolge dentro o contornata da questo elemento ambivalente: mezzo grazie a cui è possibile il ritorno alla scarna immobilità della patria, il mare/Poseidone ne ostacola anche e ferocemente il ritorno, ponendo continuamente l'eroe di fronte a situazioni estreme che gli impongono reazioni fisiche ed emotive e decisioni razionali ultimative. Tuttavia, è proprio l'esposizione alla molteplicità di incontri, situazioni ed eventi - che il mare nella sua mobilità provoca, congiungendo e separando - a rendere il viaggio di Odisseo paradigma esemplare delle vicende umane66. Un primo rilievo che si può fare è intorno al mutamento di caratteristiche attribuite nell'antichità al mare. Onians sottolinea che nell'Iliade, 'Qxeav6s «circonda la terra», e evidenzia non soltanto l'importanza - già condivisa dagli antichi - attribuita all'acqua, al «fluido», da cui tutte le cose traggono origine, ma segnala soprattutto il suo passaggio, ben più significativo, da agente della generazione, a sostanza di essa67• Nell'Odissea mi pare evidente un ulteriore cambio di senso. La fecondità del mare, infatti, non è più organica e im-mediata, ma si presenta come segno ambivalente di apertura ad ogni possibile evento a cui l'uomo va incontro, svelando così il proprio denso ma poliforme simbolismo. Le peregrinazioni e le sfide a cui il mare obbliga Odisseo sono infatti evidente metafora del processo di autogenerazione che tutti gli esseri umani affrontano con maggiore o minore consapevolezza e in condizione di sostanziale solitudine, reale o decisionale. Il prodigioso e lo straordinario, il mostruoso e il terrificante, l'amicizia e l'inimicizia, la perdita e l'ospitalità, il nascondimento e la liberazione, l'oblio e la .. Cfr. Odissea, V, 282-380. Uscendo poi dalla letteratura - sia pure paradigmatica e esemplare per la cultura occidentale come l'Odissea - si veda, ad esempio, quanto sottolinea A. Brilli nel suo Dwe Jimscorro le mappe, a proposito dei sentimenti estremi che il mare in tempesta suscita nel bucaniere William Dampicr, tali da porre chi vi si trova esposto ad una sona di sospensione del tempo, luogo a metà fra la vita e la monc., dove si pongono «le questioni ultime». Cfr. Attilio Brilli, Dwe finiscono le mappe. Storie di esplorazione e di conquista, il Mulino, Bologna 2017, pp. 116 sgg. "'Onians, Le origini del pensiero europeo cit., sottolinea come questa osservazione di Omero sia presente nell'Iliade. La maggiore arcaicità dell'Iliade mi pare sia leggibile anche nella diretta attribu:r.ionc- che qui compare-a Oceano della sostanza generatrice, mentre, invece, nell'Odissea, la gcncratività deriva precisamente come dirò meglio in seguito, dalla dialettica che si instaura tra terra e mare e che vi emerge con particolare evidenza.

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memoria tenacemente custodita68 , l'amore - reciproco e non, sincero e ingannevole - e, sopra tutto, lo sconosciuto: tutto il possibile ventaglio di quanto interpella in modo fondamentale e ineludibile l'uomo è veicolato nell'Odissea attraverso e grazie alla mobilità e mutevolezza del mare. Questo, dunque, non è più solo origine o sostanza generativa, ma simbolicamente assurge alla potenza di una divinità, che senza sosta interpella con quesiti e scelte decisive in vista della propria autoformazione. Nell'Odissea, il mare tesse e disfa continuamente relazioni verso le più imprevedibili alterità: accoglienti e terribili, divine e umane, sono tutte generative perché imprevedibilmente scaturite dalla solitudine estrema prodotta da un elemento che libera e costringe, ma, sempre, interroga in modo radicale. Tutto ciò forgia in Odisseo il paradigma più alto - prima dell'avvento del modello cristiano - dell'uomo occidentale. Il viaggio per mare - che conduce Odisseo fino nell'Ade, fino alla domanda cruciale per ogni essere umano- lo arricchisce enormemente in termini di conoscenza ed esperienza, ma al prezzo di sopportare una spoliazione radicale: durante il viaggio egli perde tutto, nave, ricchezze, compagni, fino alla completa nudità del naufragio sull'isola dei Feaci. Cifra dominante del poema è l'imprevedibile capacità del mare - che qui si rivela, diversamente da Schmitt, come luogo non solo distruttivo, ma potentemente ambivalente - di mettere in congiunzione regno dei vivi e dei morti, domini umani e divini, luoghi cristallizzati dalla magia e paesi fantastici, fino alla cruda realtà della grotta della violenza brutale. Tuttavia questo viaggio di complessa e ambivalente autoformazione trova il proprio momento unificante solo nel contrappunto con la terraferma, nel suo essere diretto sempre, e nonostante tutto, a Itaca, al luogo scarno e roccioso dove tutto ciò che è stato appreso per mare, sedimentato, può sfociare nella costruzione di una vita piena e stabilé-1. Non si può evitare di ricono"Sul tema del ricordo come canto delle Sirene che legano al passato c. anche, come oblio del presente, cfr., ovviamente, M. Horkhcimer, W. Adorno, Dialektik der Aufklarung, Philosophische Fragmente, Qucrido Verlag, Amsterdam, 1947; trad. it. La dialeuica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1966, pp. 41 sgg. " Nella famosissima poesia/taca, K. Kavafis sottolinea l'importanza delle esperienze acquisite per mare, nel viaggio, che hanno senso solo se: «Itaca tieni sempre nella mente,.

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scere che Itaca è il motivo delle peregrinazioni di Odissea e che il caleidoscopio di eventi, straordinari e «quotidiani» - le Sirene e Polifemo, l'isola dei Feaci e Nausicaa - propiziato dal mare, che giustificano la cifra dantesca dell'eroe come il prototipo dell'uomo occidentale mosso dalla sete di conoscenza, acquista il suo pieno senso solo in rapporto all'isola natale;,o. Alla molteplicità di eventi suscitati dal mare - alcuni dei quali avrebbero offerto a Odissea condizioni di vita più pacifiche e prospere - si contrappone, perciò, l'essenzialità delle questioni che la terra solleva. Figure e relazioni che intessono la vita di ogni essere umano si susseguono, all'arrivo di Odissea a Itaca, in una sequenza icastica di profili ritagliati nelle loro specifiche condizioni e caratteristiche, che diviene via via sempre più interrogante e complessa. Il tema della fedeltà che si mantiene nel tempo ferma e uguale a sé stessa - in evidente contrappunto con la mobilità delle vicende suscitate dal mare - è declinato a partire da quella del cane Argo capace di riconoscimento im-mediato seppure elementare7', sviluppato nella cristallina linearità dei comportamenti di Eumeo, fedele alla memoria di Odissea, a suo figlio, ai suoi beni, compiuto in quella della nutrice Euriclea capace di riconoscere il figlio di latte senza altra rivelazione che quella di una carne conosciuta fin dalla nascita. Ma sono gli incontri più complessi per-

poiché «Itaca t'ha donato il bel viaggio. Senza di lei non ti mettevi in via». Tuttavia, per il poeta, Itaca è povera e «nulla ha darti di più» e la sua funzione è di essere l'approdo finale, che deve necessariamente esistere per poter partire, ma a cui è meglio arrivare il più tardi possibile, dopo aver fatto le più varie, dolci, arricchenti esperienze possibili. Nell'Itaca di Kavafis, tuttavia, Odissco non ritrova nessuno e niente, né nutrice, né Eumco, né figlio, né padre, né moglie e neppure la propria casa. Per Kavafis l'isola è la condizione imprescindibile dell'avventura esistenziale di un individuo solo e autoreferenziale, visione che, come cerco di dimostrare, è assai impoverita rispetto al contenuto reale dcli'opera. 70 A Odissco che non riconosce la propria patria, Atena così la descrive: «È aspra, e non adatta ai cavalli; / non è troppo magra, ma non è molto vasta. I Pure c'è grano infinito, c'è vino I e sempre la pioggia la bagna e guu.7.a abbondante. / È buona nutrice di capre e di bovi: e una selva /c'è d'ogni specie di piante: pozzi perenni vi sono. I Sì straniero, il nome d'Itaca fino a Troia è arrivato,/ ch'è ben lontana,- dicono- dalla terra d'Acaia». Cfr. Odissea, Xlii, 242-249. 71 Nella Dialettica de/l'Illuminismo cit., p. 75, si riconosce che i versi dedicati ad Argo e al riconoscimento di Odissco da parte dell'animale è «il passo più alto dell'Odissea». Si può discutere sulla radicalità di questo giudizio, ma è certamente vero che la narrazione di questa vicenda è straordinariamente affascinante.

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ché decisivi, con il figlio, la moglie, il padre, sempre in attesa del suo ritorno eppure, nell'ordine, sempre più increduli, a rivelarci il vero senso di un ritorno durato dieci anni. La difficoltà del riconoscimento cresce col crescere della centralità dei rapporti che vi sono implicati e che l'esposizione di Odisseo a innumerevoli incontri, dilemmi, pericoli mortali, in balìa dell'ignoto, dopo lutti, naufragi, dopo la tentazione della dimenticanza di amori spossessanti, dopo aver sperimentato la gratuità di aiuti imprevedibili ed essersi misurato con i volti ora amichevoli ora ostili del divino, rende ancor più complesso in ragione delle trasformazioni subite. Tuttavia è solo dopo tutto l'itinerario compiuto, paradigmatico della costruzione di ogni esperienza umana, che l'eroe si potrà riappropriare in modo definitivo del patrimonio essenziale di Itaca, luogo delle relazioni fondamentali che lì lo hanno riportano, in una comprensione finalmente piena dell'irresistibile potere di attrazione della sua terra. Tale senso sarà Odisseo stesso, irato, a rivendicarlo di fronte alla moglie, che pare averlo dimenticato: come Itaca, il loro letto nuziale ne è il simbolo, modellato da un ulivo radicato nella terra e da questa inamovibile. La liquida mobilità del mare, pericolosa e stimolante, che ha offerto a Odisseo amori divini e la possibilità di ricchezze e regni ben più fertili del suo, sembra rendere deludente la povertà essenziale e immobile di un'Itaca devastata dai Proci. Tuttavia, il viaggio, che ha impoverito Odisseo di compagni e beni, lo ha arricchito nella mente, nel cuore, nell'esperienza, riportandolo - ormai consapevole - all' essenzialità di relazioni insostituibili. Il poema omerico restituisce, nel contrappunto evidente tra mare e terra e tra quello che entrambi gli elementi suscitano o custodiscono, la dinamica di una vita ricca di senso - "regale" - che ha reso il suo protagonista a tal punto esemplare, da diventare prototipo potente sul quale si è modellato gran parte dell'immaginario narrativo e culturale dell'uomo «europeo». Per questo, come sottolinea Habermas, Odisseo non può essere ridotto alla lettura che ne fa la Dialettica dell'illuminismo: paradigma della tendenza dell'uomo a liberarsi dall'oppressione oscura e terrorizzante delle potenze dell'irrazionale e della natura attraverso una logica di dominio oggettificante e matematizzan-

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te7... Come abbiamo visto, le prove di Odisseo non sono finalizzate soltanto a godere in modo stabile - secondo una priorità autoconservativa - della proprietà che lo fa ren né la stratificata complessità del racconto può esaurirsi, come propone la Dialettica, «nel segno dell'astuzia» dell'uomo borghese, spinto dalla dinamica appropriativa a sottoporsi strumentalmente ad un'ascesi interiore, autosacrificale, per liberarsi definitivamente della coazione a ripetere propria dell'orizzonte mitico74. L'unilateralità di questa lettura circa ciò che Odisseo rappresenta, emerge dal dialogo decisivo con Penelope, vero snodo della narrazione su cui, del resto, gli stessi Autori della Dialettica si soffermano a lungo. Qui, infatti, il supposto eroe della mentalità illuministico borghese, interprete della «mentalità strumentale, dominante, razionalistica», cade in modo inopinatamente ingenuo nella facile trappola tesagli da Penelope, a riprova, al contrario, di quanto decisiva sia per lui la posta emotivo-esistenziale in gioco. Lo sdegno per l'inganno della moglie è, per una volta, ira-mediato e totalmente genuino e pone Odisseo - il migliore tra tutti i mortali I per consiglio e paro/a,1 - del tutto al di sotto dell'astuzia che anche la Dialettica gli attribuisce. Piuttosto che di logica di dominio - che pure spesso si può legittimamente individuare nella personalità di Odisseo -, si manifestano qui aspettative fondamentali, evidenti a guidarlo nel viaggio - ferreo nel conservare la memoria - a Itaca, al regno, alla moglie. Non sono qui al centro della scena i tentativi di razionalizzare una natura ostile e incomprensibile, né l'ossessione autoconservativa. Le rinunce autosacrificali a ricchezze e ad amori che avrebbero consentito a Odisseo di concludere il suo viaggio ben prima e ben più facilmente, non gettano luce sul processo di

'' Jiirgen Habcrmas, Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwolf Verlosungen, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1985: trad. it. Il discorso filosofico della modernità. Drr dici lezioni, Later7..a, Roma-Bari 1997, tutto il cap. s, e soprattutto pp. 116-117. Gli argomenti su cui si concentra la critica di Habcrmas sono rivolti contro l'unilateralità pessimistica della lettura di Horkheimer e Adorno, salvando giustamente clementi della modernità dotati di forza teoretica e a proiezione universalistica che spingono le scienze «oltre la produzione di sapere tecnicamente utili:r.:r.abile». 11 Horkhcimcr, Adorno, Dialettica de/1'llluminismo cit., p. ss. 1• lvi, pp. 6 s sgg. 11 Odissea, XIII, 297-298.

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costruzione del soggetto borghese illuminato, bensì, come qui è manifesto, sulla volontà di riattivare la struttura relazionale affettivo-generativo del rapporto coniugale - di cui l'altro polo è Telemaco -attraverso un riconquistato e reciproco riconoscimento. Che questa sia la vera traccia che scaturisce dall'intreccio dialettico tra mare e terra messo in scena nell'Odissea, del resto, lo riconosce implicitamente la stessa Dialettica, quando sottolinea che «il matrimonio non è solo l'ordine retributivo del vivente, ma anche tener testa in comune e solidamente alla morte», nel far ciò fronteggiando, come gli autori stessi segnalano, la logica triadica del tempo che emerge in tutta l'opera. La dura Itaca, cui Odisseo deve ritornare, non rappresenta perciò né il luogo dove si manifesta l'ordine genealogico delle generazioni cui è necessario tornare nella ripetitiva logica del mito e della tradizione]'6, né quello dell'affermazione dell'uomo borghese che vi realizza la propria aspirazione al possesso e al dominio della natura. Se la liberazione da Circe e Calipso può essere letta come il superamento della logica naturalistico-mitizzante di un tempo cristallizzato, l'abbandono di Nausicaa al contrario rappresenta il superamento di quella guidata dalla ragione strumentale borghese che, nello sposalizio con lei avrebbe ipotecato un futuro di sicura stabilità È solo il confronto con Penelope, l'esigenza di riannodare i fili con l'ordine della vita intrapreso con lei e materializzato nel figlio, che riesce a riassumere il senso di tanto peregrinare, esprimendo ciò che ha reso l'Odissea poema universale di cui Itaca è la scena sempre presente: o nel ricordo o materialmente. Se Odisseo ha sconfitto le oscure forze naturalistiche rappresentate - e scaturite - dal mare, dalla imprevedibilità che lo accompagna e dalla mutevolezza che ne è caratteristica, lo ha potuto fare perché saldamente radicato in legami stretti nel passato ma sempre presenti nella loro carica affettiva e simbolica - la moglie, il padre - e proiettati nel futuro - il figlio -in una scansione temporale che è l'unica che, accettata e compresa, rende l'essere umano tale. Rifiutando di arrendersi alle lusinghe di un passato

"Cfr. Habcrmas, Il discorso Jifusofico della Modernità cit., p.

111.

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onnivoro- le Sirene - alle promesse di un eterno presente -i Lotofagi - resistendo alle spinte dissolutive nella memoria, nel corpo, negli affetti continuamente sollecitati e saziati, dell'eternità impossibile perché inumana di Calipso e Circe, stimoli tutti suscitati dal mare, Odisseo, tornando a Itaca, riesce a riannodare il legame con l'insieme essenziale delle relazioni umane. Relazioni fondamentali perché, al di là della loro rilevanza affettiva radicata nella corporeità e, dunque in una temporalità fuggevole e «numerata», sono rivestite di una sapienza che è trascendimento della temporalità essendo, di quelle, totalizzazione riassuntivan. Una temporalità, perciò, resa finalmente leggibile - precisamente a partire dal ritorno a Itaca - senza che né sia spezzato il ritmo delle sue interne concatenazioni, né sia schiacciata su un unico segmento, nella propria pienezza di senso in continuo sviluppo. Gli stessi Horkheimer e Adorno, pur senza mettere pienamente a fuoco il senso decisivo del rapporto tra i due sposi- che indebolirebbe fortemente il paradigma borghese da loro costruito intorno a Odisseo - prendono a prestito le parole di Goethe sul matrimonio come «il pensiero garantito della durata» nel saper attendere il futuro consapevoli della complessità del passato, fronteggiando il presente, le sue ingiustizie e difficoltà e descrivendo il rapporto tra Odisseo e Penelope come un piccolo arcipelago che emerge dal mare infinito78• Terra ferma, perciò, aggiungiamo, di una relazione stabile e generativa la cui conquistata sapienza, nutrendosi anche della ricchezza e fluidità delle acque, si proietta, raccordandole, sopra le avvenute scansioni e interruzioni temporali, accogliendo, nello scorrere accettato del tempo, trasformazioni ed esperienze diverse in esso concretizzate. La trascendentalità di senso così conquistata conferisce continuità ad affetti e spessore al plesso di relazioni: sia alla dialettica coniugale, sia a quelle cui questa dà vita e che incrocia. La pazienza che Odisseo e Penelope tributano al loro rapporto ne è dimostrazione e si distacca profondamente dall'atteggiamento di dominio della rapacità borghese descritta dalla Dialettica. 77 Si veda, su questo, le importanti osservazioni di Carmelo Vigna, Etica del desiderio come etica del riconoscimento, Onhotcs, Napoli-Salerno 2015, voi. Il, pp. 31 sgg. 71 Horkheimer, Adorno, Dialettica dell'Illuminismo cit., p. 84.

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Che una dialettica feconda tra terra e mare sia poi l'orizzonte continuamente riproposto ad Odisseo - e a ogni essere umano lo dimostra l'ultimo viaggio, che, secondo l'annuncio di Tiresia, l'eroe dovrà ancora intraprendere. La recuperata compiutezza di affetti e di senso che l'approdo a Itaca e alle sue relazioni fondamentali ha retribuito a Odisseo, gli consentirà infatti di declinare in modo ancora più significativo tale dialettica: tra ciò che, nella sfida dell'intelligenza e dell'intraprendenza, spinge al largo, verso l' altrove, e il senso di appartenenza che Itaca ha restituito. Difficile conciliazione di opposti che attraversa ciascuno di noi. Il sacrificio a Poseidone, preconizzato da Tiresia come condizione di una definitiva pacificazione tra il dio e l'eroe, segnala come l'ignoto delle forze naturalistiche, rappresentato dal mare, possa essere addomesticato e reso amico. A questo esito finale l'eroe potrà giungere solo grazie alle esperienze acquisite, ma, anche e solo, dopo Itaca, nella riconquistata solidità delle proprie radici, culturali e affettive. La conciliazione tra Odisseo e Poseidone celebra dunque metaforicamente quella tra mare e terra in un orizzonte simbolico pregno di significato: il sacrificio, compiuto da chi ha percorso tutti i mari, avverrà infatti in una terra abitata da genti che non conoscono il mare, che non mangiano il sale, che confondono il remo con il ventilabro. La stessa Dialettica, a questo proposito ricorda, con Wilamowitz, che Poseidone, in origine, era «consorte della terra», divenuto solo più tardi dio del mare. Il sacrificio di Odisseo era destinato perciò a restaurarne la perduta natura ctonia, simboleggiando il passaggio dell'uomo dalla pirateria all'agricoltura, e il viaggio di Odisseo si compie definitivamente quando egli riesce a esportare, ai confini del mondo conosciuto, la sapienza pacificatrice di chi ha saputo vivere la ricchezza dinamica del mare e la stabilità della terra79. Il mare, dunque, si addomestica e si placa, non abbandonandosi alla sua fluida sregolatezza - come fanno i pirati-, ma, dopo essersi misurati con le sue immense potenzialità, sapendo ritornare al radicamento della terra e delle relazioni, private e " Su questo, si vedano le belle pagine della Dialettica dell'illuminismo cit., pp. 86 sgg. dove è anche citata la riflessione di Ulrich von Wilamowitz-Mocllcndorf, in Der Glaube der 1-/ellenen, Wcidmannschc Buchhandlung, Bcrlin 1931, voi. I, pp. 112 sgg.

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pubbliche, che in essa sola si formano e fioriscono. Per questo, la terra cui ognuno deve ritornare è isola circondata dall'acqua, luogo dove si fronteggiano stabilità e confini con ampiezza e suggestioni potenzialmente infinite. Chi impedisce questa dialettica, avendo come scopo di farsi padrone di un bene universale e di sfruttare la fragilità di chi vi stia navigando, non può essere perciò che il «nemico di tutti».

6. Conclusioni La domanda cruciale è dunque questa: qual è il nostro elemento? Siamo figli della terra o del mare? (Cari Schmitt, Terra e mare)

Al termine di questa serie di suggestioni, che cosa possiamo dire, perciò del pirata, che ancora non sia stato detto e che possa rendere ragione della drastica definizione ciceroniana di «nemico del genere umano» e di coloro che, nell'odierno uso traslato del termine, hanno una capacità di nuocere potenzialmente illimitata esercitando violenza a livello planetario? Ricordando ciò da cui siamo partiti, cioè il legame essenziale del pirata con il mare, possiamo ora notare che ciò che lo rende esemplarmente ostile, tanto da differenziarlo significativamente, nelle modalità della violenza dispiegata, da «tutto il genere umano» non è solo il fatto di agire approfittando delle condizioni di estrema fragilità e solitudine in cui potenzialmente si trovano coloro che navigano per mare - o nell' infosferaSo -, ma anche e soprattutto di farlo da un non-luogo - appositamente prescelto - in-umano perché privo di ogni radicamento e totalmente extra legem. Elemento - o, oggi, strumento- originariamente ricco di potenzialità capaci di arricchire in senso concreto o traslato, che le azioni piratiche distruggono, schiacciandolo sugli esiti negativi già indicati, in un processo di negazione identitaria - sia dei pirati, sia delle vittime - e di dispiegamento di azioni di impre-

"° Cfr. Luciano Floridi, la quarta rivoluzione. Come l'infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017.

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vedibile distruttività, emblematiche di una totale a-relazionalità a dar corpo alla rappresentazione a-dialettica e oppositiva tra terra e mare teorizzata da Schmitt. In questo orizzonte si colloca anche il paradigma nietzschiano, che, confondendo in un'unica dimensione di sostanziale indistinzione, fluida e senza confini, terra e mare, nega, tra i due elementi, ogni possibile dialetticità: rendendo così impossibile distinguere «il pirata» da qualsiasi altra figura. L'abolizione di ogni senso teorizzata da Nietzsche ha come unico esito l'affermazione della volontà di potenza - comunque questa si voglia manifestare e possa essere interpretata - di chi sia in grado di accettarne il dato con tragica forza d'animo. Della difficoltà di un'analisi equilibrata del rapporto tra terra e mare anche la Dialettica dell'Illuminismo è specchio: neppure da quest'opera emerge la lettura di una loro relazione feconda. La logica con la quale è presentata la figura di Odisseo, come si è visto, è, infatti, esclusivamente acquisitiva e strumentale, secondo il canone proposto dell'affermarsi dello spirito borghese. Il viaggio di Odisseo si risolve così sotto il segno del dominio - del resto leitmotiv dei primi francofortesi - frutto, ancora una volta, dell'incomprensione dello strutturale rapporto dialettico tra mare e terra, che si aggiunge alla fusionalità proposta da Nietzsche e alla oppositività teorizzata da Schmitt. Confronto che appare monco perfino in Hegel, quando sostiene che l'illimitatezza e infinità del mare siano utili solo come stimolo delle capacità dell'uomo, spingendolo a superare i propri limiti81 • Come si è visto, l'Odissea suggerisce un'altra prospettiva che, pur tanto più arcaica, appare, per la verità, ben più ricca di quelle precedentemente riportate. Solo nel rapporto reciproco tra terra e mare - con tutto ciò che questo significa, sia nella dimensione concretamente esperienziale, sia, e qui soprattutto, in quella simbolica e narrativa- si attiva in profondità l'appropriazione da parte dell'uomo di quanto di essenziale si gioca poi prevalentemente nello spazio terrestre, lo spazio umano per Cfr. Gcorg Wilhclm Fricdrieh Hcgcl, Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, in Id., Werke in zwanzig Banden, voi. 18, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1979; trad. it. lezioni sulla storia della filosofia, La Nuova Italia, Firenze 1981, voi. I, p. 217. 11

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eccellenza, lo spazio della temporalità dispiegata. Parliamo di quelle relazioni fondamentali la cui tipicità ontologica si manifesta nella strutturale capacità di unificare la molteplicità esperienziale nella sua sequenzialità temporale, avendo come ruolo proprio quello della costruzione e del mantenimento di un flusso comunicativo di ragione e di affetti. Flusso più o meno ricco e più o meno problematico, ma esprimente capacità generativa in quanto indirizzato a esprimere via via, sinteticamente, un orientamento dotato di unitarietà tra emozioni e razionalità, continuamente messo alla prova, ma anche nutrito e arricchito dall'esercizio dialogante delle differenti libertà e intelligenze in una proiezione distesa sulla scansione temporale di passato, presente e futuro. Precisamente tutto ciò il pirata - di qualsiasi tipo egli sia mette radicalmente in forse. Il «nemico di tutti» è tale non solo perché ruba e depreda, ammazza e rapina: è, in modo più decisivo, colui che, agendo in modo strutturalmente oppositivo o secondo un'indifferenziata fusionalità, impedisce ai suoi simili di compiere la loro strada per mare e di ritornare a Itaca. Ritorno al luogo dove, in un continuo processo di maturazione e sedimentazioni operato grazie al fascio di relazioni che qui nascono e si dispiegano - e a partire da cui, come anche la Dialettica ricorda, ciascun essere umano è plasmato - si elabora sia la propria autocomprensione e autoformazione, sia il riconoscimento e la capacità di scambio con l'altro, in una reciprocità dialettica, non sempre sincronica né necessariamente equa, ma contemporaneamente conoscitiva, affettiva, valutativa A chi non è concesso questo, non è concesso neppure di vivere una vita pienamente umana. È dunque chiaro il profondo simbolismo che il mare racchiude: condizione di ogni possibile ricchezza di esperienza e di maturazione, ma, anche, della assoluta fragilità umana: chiunque interrompa con la violenza questo viaggio, è veramente il nemico del genere umano. Oggi la categoria del «pirata» conosce un'immensa dilatazione, poiché il termine è applicato anche a coloro che minacciano la navigazione aerea, o che alterano e distruggono la rete delle comunicazioni - sia materialmente sia attraverso la propalazione di notizie false o la loro manipolazione - che dif-

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fondono discorsi di odio, ricattano per via informatica, o che si pongono in contrasto antagonistico puramente distruttivo con sistemi politici pur criticabili. Ciò replica, ampliandolo a dismisura, l'utilizzo predatorio e, dunque, esclusivamente oppositivo del «mare» - in qualsiasi senso lo si intenda - già esemplificato dal pirata, manipolando consensi, orientando arbitrariamente decisioni politiche, economiche, finanziarie, accrescendo la polarizzazione delle ricchezze, distruggendo la privacy e il buon nome di singoli ma anche di organismi e istituzioni, operando clamorose falsificazioni, e non per ultimo, schiacciando la scansione temporale di passato-presente-futuro in una fittizia presentificazione vertiginosamente accelerata verso un futuro mai raggiungibile nelle sue mete82 • Si piega così l'informatica, uno dei mezzi più potenti grazie a cui l'umanità è in grado oggi di ampliare esponenzialmente le proprie capacità di connessione, cooperazione, conoscenza e, dunque, di libertà, al proprio esclusivo tornaconto, trasformandolo in un'arma potentissima, versatile e invasiva83. Anche questo tipo di pirateria non ha patria né dimora stabile, non conosce nessuna regola se non quelle " Si veda, a questo proposito, Bruno Montanari, Reauività e riflessione: il «tempo del pensiero», in Gabriella Cotta (a cura di), Virtù umane. Virtù politiche, Mimesis, Milano-Udine 2020, soprattutto da p. 173. Sul tema dell'accelerazione non si può poi prescindere dal testo di Hartmut Rosa, Alienation and Acceleration. Towards a Criticai Theory of Late-Modem Temporality, NSU Prcss, Los Angeles 201o; trad. it., Accelerazione e alienazione, Einaudi, Torino 2010. 1 } :I?. opportuno ricordare tuttavia come queste estensioni e applicazioni dei termini «pirata• e «pirateria• richiedano chiarezza concettuale: Schmitt, per esempio, dedica alcune riflessioni di un Parere in difesa dcli 'industriale F. Flick per una possibile accusa di preparazione di una guerra d'aggressione, che ci invitano a distinguere i concetti per non cadere in deformazioni arbitrarie destinate a generare confusioni. Per Schmitt, che scrive in un momento storico del tutto particolare, per sé e per la Germania (agosto 1945), il pirata non agisce se non per animus furanài, e non spinto da motivazioni politiche. La posizione di Schmitt mira a distinguere nettamente tra pirateria e guerra, rcfutando le assimilazioni, che allora venivano formulate, tra lo spirito bellicoso di una nazione (la Germania, evidentemente) e la pirateria. Ciò che configura il tratto comune tra pirateria in senso proprio e le forme sopra ricordate di abusi e violenza, è, evidentemente, il fatto di essere al di là di ogni confine, la extra-territorialità dell'azione e/o il rifiuto delle regole politico-giuridiche vigenti, oltre e soprattutto al fatto di agire nel totale nascondimento della propria identità. Cfr. Cari Schmitt, Das internationalrecht-

/iche Verbrechen des Angriffs-krieges und der Grundsatz « N ullum crimen, nulla poena sine lege•, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 199,J; traci. it. Id., La guerra d'aggressùme come crimine internazionale, il Mulino, Bologna 2015, p. 9 e pp. 90 e sgg.

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interne della propria organizzazione o del proprio autoreferenziale interesse, collocandosi fuori da ogni contesto propriamente umano e incarnando il principio di un'ostilità potenzialmente universale ma di portata tale da minacciare seriamente la possibilità stessa di ogni vita democratica. Occorre ricordare che questo avviene perché ciò che guida l'azione piratica è l'interruzione della relazione di continuità produttiva e formativa tra i due spazi in cui si divide il globo, tra le due diversità, contigue e indispensabili l'una all'altra, di «terra» e «mare», arricchenti e stabilizzanti solo se poste in reciproco riconoscimento. Inoltre, e in modo non meno grave, in politica, colui che interrompe la dialettica interno/esterno, pregiudica, come osserva Bonanate, la possibilità di costruzione della democrazia. Questa dialettica, che è condizione di pace, non nasce se non a seguito di un moto di politica interna, quando la popolazione ne avverte la mancanza, ma affinché riesca a instaurars~ è indispensabile non solo una condizione interna, ma anche internazionale di pace 84• Ciò che il «pirata» oggi pregiudica, nelle declinazioni attuali che lo configurano e nella violenza imprevedibile, anonima, senza misura né proporzione che ne caratterizza l'azione, è la dinamica della pace che la terra, nella propria stabile regolarità richiede, e che il mare, nella inesauribile ricchezza delle sue possibilità offre.

lf Luigi

Bonanatc, Anarchia o democrazia. La teoria politica internazionale del XXI 101 sgg.

secolo, Carocci, Roma 2015, pp.

I filibustieri del Caucaso. Il Great Game e la pirateria Roberto Valle

A Luca And fair thc monumcnt thcy gavc his bride: For him thcy raisc not thc rccording stonc His dcath yct dubious, dccds too widely known; Hc Idi a Corsair's namc to othcr timcs, Link'd with onc virtuc, and a thousand crimcs (G.G. Byron, Thc Corsair) Ho ICaK cnacrucll 11aM or poKa! .si 3lleco 11amen, 3J1ec1, nory6HJI Ilo'ITI1 Bee TO, 'iTO li JI106HJ11

(M. Lcrmontov, Korsar)

Nel contesto del Great Game del XIX secolo, la pirateria sembrava subire una sorta di metamorfosi che la trasformava in un'impresa orientata dagli interessi politici dell'impero russo e dell'impero britannico. Il pirata non appariva più come un hostis generi humani, ma si presentava sulla scena pubblica come un mercante romantico che trafficava «sotto l'egida delle due prime potenze d'Europa». Nel corso del XIX secolo, infatti, si assisteva a una riconfigurazione e a una riabilitazione dell'immagine del pirata: il pirata non era più il terrore dei mari, ma una figura mainstream. Il pirata appariva come un personaggio affascinante non solo sul piano estetico- letterario, sulla scia di The Corsair ( 1814) di Byron2, ma anche su quello politico-economi' Pure, come salvarsi dal Destino! / lo qui ho trovato, qui perduto / Pressoché tutto ciò che ho amato (traduzione di Tommaso Landolfi). • Byron aveva creato il personaggio di Conrad ispirandosi ai corsari che imperversavano tra le isole greche e lungo le coste turche. Nel febbraio del 1814, la pubbli-

ROBERTO VALLE

co, diventando un protagonista del mercantilismo romantico3. Il pirata era l'emblema della rapace insoddisfazione romantica e si imponeva una similitudine tra le «grandi rivolte del mare» e quelle della terra: $ade, il Faust di Goethe, Fourier e Saint-Simon sembravano avere una ascendenza piratesca, mentre Maldoror, Bellamy e Bakunin apparivano come discendenti dei bucanieri. La tipologia della rivolta corsara era riprodotta nello «specchio di tutte le rivolte», come se la storia della pirateria fosse l'immagine rovesciata e demoniaca della storia del mond4. Tale metamorfosi era rilevata dal naturalista e diplomatico francese Victor Fontanier nei suoi viaggi attraverso le province dell'impero ottomano e sulle coste del Mar Nero: il trasporto dei grani verso il Mar Nero si era estinto con i mercanti italiani e la pirateria restava la principale risorsa dei marinai. Un concerto di lamentele si era levato dalle marine militari e mercantili e gli ammiragli dovevano prendere delle decisioni consigliate dalla prudenza, in mancanza di istruzioni da parte dei governis. L'impero russo intendeva mantenere uno stato di ostilità costante, perché la Porta non voleva riconoscere la sua preponderanza. A tal fine, Nicola I, con un manifesto imperiale, aveva sospeso l' e-

cazionc di The Corsair suscitò nella società inglese una sorta di incantamento cd ebbe un istantaneo successo editoriale. John Murray l'editore, scrivendo entusiasticamente a Byron, affermava che, in prcccdcn:r..a, nessuna opera aveva suscitato tanto clamore: «Ho venduto diecimila copie il giorno della pubblicazione [...] un evento senza precedenti; e credo che quasi una trentina di persone, acquirenti estranei, abbiano riferito al personale del negozio quanto siano rimasti deliziati e soddisfatti della lettura». In risposta alle «richieste sbraitate dai messi dei librai, calavano i libri direttamente dalle finestre della casa editrice». Sono l'abitazione di Byron, il traffico era bloccato dalle carrozze che portavano al poeta inviti alle serate mondane. Byron accolse il successo con la noncuranza del dandy che ha scelto di essere un genio o di recitare la parte del genio, perché egli era «insensatamente sensibile[...] e smisuratamente vanitoso» Il mese seguente furono stampate altre sene edizioni e il successo del poema di Byron assunse una dimensione europea e ad esso si ispirarono sia Verdi (Il Corsaro, 1848), sia Bcrlioz (l'O-uerture Le Corsaire, 1844). Cfr. David Cordingly, Storia della pirateria, Mondadori, Milano 2003, pp. 6-r, Ottavio Fatica, Un asterisco per destino, in Gcorgc G. Byron, Un vaso d'alabastro Jluminato da/l'interno. Diari, Adelphi, Milano 2018, p. 249. } Cfr. Pirates and Mutineers of the Nineteenth Century. Swashbucklers and Swindles, cd. by Gracc Moorc, Ashgatc, Farnham Surrcy 2011. • Gilles Lapougc, Les Pirates. Vers la mer promise, Balland, Paris 19~, p. 98. 1 Victor Fontanicr, Voyages en Orient entrepris par ordre du gO'Uemement français de l'année 1821 à l'année 18.29, Mongic Ainé, Paris 1829, pp. 198-199.

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secuzione della Convenzione di Akkerman del 1826 e aveva posto l'embargo sulle navi russe verso Costantinopoli, denunciando la tratta degli schiavi lungo la costa orientale del Mar Nero. L'impero ottomano era minacciato di guerra dall'impero russo, e senza una esplicita dichiarazione si incendiavano i suoi vascelli nei porti turchi. Dal canto loro, i russi denunciavano le offese alla loro bandiera, anche se, per Fontanier, nei mari del Levante non era attestata l'esistenza di nessuna nave mercantile costruita da loro e che imbarcasse marinai russi. Fontanier sosteneva che le presunte navi russe erano dei greci e dei ragusei che per cinquanta franchi acquistavano la bandiera russa nei porti del Mar Nero. Sebbene esibisse una «toccante filantropia», la Russia continuava a essere implicata nella tratta degli schiavi e metteva in vendita i prigionieri catturati nelle guerre contro i popoli del Caucaso, in primo luogo i circassi. La presunta preponderanza della Russia era definita da Fontanier ridicola, perché la compagine imperiale russa era un «insieme eterogeneo» di russi, di calmucchi e di tartari. Uno Stato poteva aspirare a essere preponderante solo se era abitato da una popolazione compatta, ricca, attiva e istruita unita da istituzioni forti e interessi comuni e che favoriva la fioritura delle arti e delle scienze. L'impero russo non poteva affermare la propria superiorità sull'impero ottomano che garantiva la libertà di culto, un migliore trattamento dei contadini e l'istruzione pubblica. La corte imperiale russa, invece, fagocitava tutte le ricchezze del popolo, che appariva più barbaro di quello turco. Di fronte alla illimitata e indebita espansione dell'impero russo, le potenze europee avrebbero avuto il diritto legale alla rappresaglia, ma apparivano irresolute. Sebbene fosse indotto a concepire delle paure chimeriche sui suoi possedimenti in India, l'impero britannico vedeva con dispiacere l'accrescimento di influenza che la Russia si arrogava in tutti gli affari dell'Asia. Malgrado la sua potenza marittima, l'impero britannico prestava a quello ottomano un debole soccorso, perché era tutt'altro che facile distruggere le flotte e gli insediamenti russi nel Mar Nero e far passare lo stretto dei Dardanelli ai vascelli inglesi. Qualora fosse entrata nel Man Nero, la flotta inglese non sarebbe riuscita a risalire i fiumi lungo i quali erano posti gli insediamenti marittimi russi e non sarebbe

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potuta entrare nel porto di Sebastopoli. Tutte le operazioni della flotta inglese si sarebbero ridotte a «sollevare inutilmente la Crimea e prendere a Odessa alcune navi mercantili», tra le quali neanche una era di proprietà russa6•

1. L'estetica della pirateria e la Circassia: il byronismo russo e la conquista del Caucaso

Nel descrivere la guerra russo-turca del 1828-1829 e i successi del feldmaresciallo Ivan Paskevic, che avevano trasformato in terrore l'odio dei turchi, Fontanier alludeva a un poeta russo che si era distinto per l' immaginazione e, quale testimone della campagna militare del 1829, aveva tratto da questa esperienza non il soggetto di un poema celebrativo, ma quello di una satira antipatriottica7. L'autore della satira sulla campagna di Arzrum sarebbe stato Puskin, che Fontanier citava en passant tra i nomi dei generali di un corpo speciale caucasico. Sebbene la citazione apparisse gratificante, Puskin la considerava ancora più fastidiosa degli attacchi delle riviste russe. Le vittorie militari e la rapida avanzata su Arzrum non solo non erano degne di scherno, ma Puskin avrebbe provato vergogna a scrivere una satira su Paskevic, un autentico condottiero che non solo aveva ospitato il poeta nella sua tenda, ma gli aveva rivolto una «attenzione lusinghiera». Al fine di replicare all'accusa di ingratitudine che gli era stata larvatamente rivolta da Fontanier, Puskin pubblicò nel 1836 su «Sovremennik» il diario del suo viaggio verso Arzrum durante la campagna militare del 1829. Nel corso del suo viaggio, Puskin aveva incontrato a Orel il generale Aleksej Ermolov che dal 1816 al 1827 era stato comandante in capo dell'esercito russo nel Caucaso e che indossava il cekmen, il lungo soprabito circasso. Ermolov definiva ironicamente Paskevic, che gli era succeduto nel comando delle truppe di stanza nel Caucaso, il «conte Gerico» di fronte al quale le mura cadevano allo squillare delle trombe. Ermolov si mostrava insoddisfatto della Storia dello 'lvi,pp. 313-322. 7 Victor Fontanicr, Voyages en Orient entrepris par ordre du gOflernement français de 183oà 1833, Dc Dumont, Paris 1834, pp. 2p-252.

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Stato russo di Karamzin, perché ci sarebbe voluta una penna in-

fuocata per descrivere la transizione del popolo russo dall'insignificanza alla gloria e alla potenza. Nel XIX secolo, lo storico russo Adol'f Berle, presidente della commissione archeologica del Caucaso, affermava che non si poteva abusare del termine conquista: l'annessione del Caucaso era avvenuta per caso ed era involontaria. L'impero russo mostrava di non avere un grande disegno politico per soggiogare le terre caucasiche la cui esecuzione avrebbe potuto essere affidata a un Alessandro Magno o a un Napoleone8. Le vette del Caucaso sembravano elevarsi ai confini del cielo, ma attraversando quelle terre Puskin constatava che i circassi nutrivano un odio implacabile per i russi, che li avevano banditi dai loro pascoli, avevano devastato i loro villaggi e distrutto intere tribù. I circassi pacificati erano infidi ed erano pronti a sostenere i loro compagni ribelli: l'etnonimo circasso era utilizzato dai russi per tutti i popoli del Caucaso a causa della supremazia numerica dei circassi nell'epoca della guerra russo-caucasica tra il 1763 e il 1864. Esso era attribuito a quei popoli predatori che sembravano riproporre l'immagine ancestrale del pirata che nel Caucaso era fissata nell'iconografia mitica dell'atroce malvagità inumana. Tuttavia, come rilevava Edouard Taitbout de Marigny console dei Paesi Bassi a Odessa, i pirati circassi, pur godendo della più alta considerazione, nel XIX secolo continuavano a possedere delle barche che non consentivano loro di allontanarsi dalla costa e che non potevano resistere all'effetto di un piccolo pezzo di artiglieria. Con due cannoni e qualche fucile, un bastimento avrebbe facilmente respinto l'attacco di un cospicuo numero delle loro barche. Per garantire la tranquillità di quelle navi che si avvicinavano alle coste della Circassia, sarebbe bastato attirare in mare le barche dei pirati con un bastimento che all'apparenza non avrebbe dovuto avere un aspetto guerriero e che le avrebbe colpite al primo segnale. L'immagine dei pirati circassi era rimasta inalterata fin dall'antichità e, a tal proposito, Taitbout de Marigny citava la descrizione di Strabone che risultava quanto mai attuale: • Adol'f P. Berze, Kavkaz, 'liflis 1874. Cfr. anche Susan Layton, Russian Literature aml Empire. Conquest ofthe Caucasus from Pushkin to Tolstoy, Cambridge U niversity Prcss, Cambridge 1994.

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Dopo la Sindice e la Gorgipiggia trovasi lungo il mare la spiaggia abitata dagli Achei, dai Zigi e dagli Eniochi, quasi tutta senza porti e montuosa, siccome quella che è una parte del Caucaso. Quelle popolazioni vivono dei ladronecci che esercitano sul mare con certe loro barchette sottili, anguste e leggiere, nelle quali possono capire venticinque uomini, o al più trenta; ma queste seconde però sono poche. Siffatte barche gli Elleni le dicono Camare. [... ] Questi popoli adunque apparecchiano talvolta numerose flotte di Camare, e discorrendo con quelle come padroni del mare, ora depredando le navi de' mercatanti, ora le spiagge e le città. A costoro prestano aiuto talvolta anche que' popoli che abitano il Bosforo, ricevendoli nei proprii porti e lasciando che nei loro mercati possano vendere il frutto delle commesse piraterie. Quando poi riconduconsi ai proprii paesi, non avendo ridotti di navi, si mettono sulle spalle le Camare, e le portano dentro le selve, dov'essi abitano coltivando una sterile terra, quindi le riportano al mare quando viene la stagione opportuna della navigazione. Questo medesimo fanno anche negli altrui paesi: perocchè cercando di conoscere dove siano delle selve, in quelle nascondono le loro Camare, ed essi mettonsi a scorrere a piedi di notte e di giorno il paese per farne schiavi gli abitanti: ma quando li hanno portati via, ne accordano facilmente il riscatto, a qual fine ne danno essi medesimi avviso a coloro a cui li hanno tolti. Nei luoghi poi dove coteste genti vivono nell'ubbidienza di un principe, chi fosse ingiuriato (come avviene talvolta che gli uomini di quelle tribù si tendano reciproche insidie, e portino via le Camare colle ciurme) potrebbe trovare un qualche soccorso ... 9.

Dal canto suo, Puskin sembrava confermare la descrizione di Strabone e di T aitbout de Marigny: i circassi si erano insediati nelle profondità delle montagne e nelle loro incursioni piratesche attaccavano solo drappelli russi deboli e indifesi; la selvaggia spietatezza della loro cavalleria si era infievolita, raramente attaccavano i cosacchi e fuggivano alla vista di un cannone. Tuttavia continuavano a propagarsi le dicerie sulla malvagità dei circassi, per i quali l'omicidio era un semplice gesto: la sciabola e il pugnale erano, per i circassi, parti del proprio corpo. Fino a ' 11d.ouard Taitbout dc Marigny, Voyages en Circassie, Micvillc, Odcssa-Simphcropol 1836, pp. 193-196; Geografia Ji Strabone. Libri XVII volgarizzati Ja Francesco Ambrosoli, Molina, Milano 1834, voi. IV, pp. 17-19.

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quando non fossero stati privati delle armi, i circassi apparivano a Puskin indomabili: mentre i tartari di Crimea erano stati disarmati e pacificati, i circassi erano più riottosi anche a causa del retaggio delle faide e delle vendette di sangue che imperava tra loro. I circassi, inoltre, continuavano a coltivare la non nobile arte del sequestro di persona: nella speranza di un riscatto, custodivano i prigionieri trattandoli con spietata disumanità, costringendoli a lavorare oltre le loro forze, malmenandoli a loro piacimento e mettendo loro di sentinella i propri infanti, che avevano il diritto di farli a pezzi con le loro sciabole. L'impero russo avrebbe dovuto conquistare la parte orientale del Mar Nero, al fine di impedire il commercio tra i circassi e l'impero ottomano, inducendoli ad accettare l'asservimento a una sorta di benevolente dominio russo che avrebbe dovuto diffondere tra loro il lusso, con il suo irresistibile ascendente, e il cristianesimo. Solo di recente, i circassi si erano convertiti all'islamismo ed erano stati irretiti dal fanatismo degli apostoli del Corano: a tal proposito, Puskin citava il caso di Shayk Mansur Ushurma (il Vittorioso) che, alla fine del XVIII secolo, aveva proclamato un jihad (in turco ghazavat) contro l'impero russo, tentando di istituire un proprio regno con capitale Anapa. Catturato dai russi nel 1791, Shayk Mansur Ushurma, nel 1794, era morto nel monastero di Soloveckij10• Dalle impressioni del viaggio ad Arzrum, Puskin trasse alcune considerazioni sulla politica colo•• La leggendaria figura di Shayk Mansur Ushurma è stata identificata anche con il monaco e missionario domenicano italiano Giovanni Battista Boctti (nato a Camino in Piemonte nel 1743), una sorta di filibustiere religioso che aveva viaggiato in Persia, in Georgia e in Siria e che era stato accusato dai turchi di essere una spia al soldo russo. Dopo un tentativo fallito di offrire i propri servigi al principe Potemkin, Boctti aveva ripreso le sue avventurose peregrinazioni da Mosca nel Kazachstan e in Persia. Ad 'Amadiyah ebbe una sorta di illuminazione mistica e cominciò a predicare un credo sincretico, quale mescolanza tra cristianesimo, islamismo, deismo e utopismo illuministico. L'esercito del profeta Mansur agì soprattutto nella regione tra il Mar Caspio e il Mar Nero e i russi cominciarono a sospettare che fosse una spia della Porta. Rifugiatosi tra i monti del Caucaso, l'esercito del profeta Mansur condusse una implacabile guerriglia contro l'esercito russo, sostenendo le operazioni dell'impero ottomano nella guerra contro l'impero russo. Dopo il 1991, la storiografia cecena ha negato l'esistenza di Boctti. Per Serena Vitale, invece, i Mansur leggendari erano tre e tra questi può essere annoverato anche Boctti. Cfr. Serena Vitale, L'imbroglio del turbante, Mondadori, Milano 2oo8.

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niale russa che vanno al di là della stereotipata visione orientalista. Da una parte, come ha rilevato Tynjanov, Puskin ironizzava sulla sincretica opera missionaria russa nel Caucaso, tra samovar e cristianesimo ortodosso, dall'altra, però, svelava il lato oscuro e crudele della prassi colonialista Puskin stigmatizzava l'ignavia russa che induceva a inviare tra i circassi lettere morte e libri muti: «Che fare con un popolo del genere?» La suspense interrogativa posta da Puskin può essere considerata la prima ipostasi del canone del «testo caucasico» (kavkazskij tekst) quale insieme di quelle opere che gli scrittori russi hanno dedicato al Caucaso tra il XVIII e il XIX secolo. Tale canone è fondamentale per comprendere il contesto storico della guerra del Caucaso: in tal senso, Puskin era il primo storico del conflitto caucasico, collocandolo in una prospettiva istoriosofica ed etnografica al fine di antivedere il complesso destino dell'impero russo nel Caucaso. Tra la fondazione di San Pietroburgo nel 1703 alla creazione di Vladivostok nel 1860 si assistette a una autentica orientalizzazione dell'impero russo. Il Caucaso era il primo degli orienti russi (gli altri due erano l'Asia centrale e l'Estremo oriente siberiano) il cui mito è stato forgiato da coloro che erano impegnati nel conflitto'}. La conquista del Caucaso, inoltre, imponeva un nuovo paradigma spaziale: la peculiare caratteristica del paesaggio caucasico era quella verticalità che si contrapponeva radicalmente ali'orizzontalità dello spazio russo. Gli abitanti del Caucaso, infatt~ erano definiti genericamente montanari ( Gorcy) e il termine montanaro era sinonimo di mosennik (truffatore) e di razbojnik (bandito rapinatore). Il Caucaso era l'immagine di un Oriente virile e marziale che era sia crudele e infido, sia ribelle e coraggioso. In questo contesto crudele e marziale, il soldato russo forgiava un 11.

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Il jurji N. Tynjanov, o Puteseswii V An:rum, in Puskin. Vremennik puskinskoj komissi, Idz. Akadcmija Nauk SSSR, Moskva-Lcningrad 1936, t. 2, pp. 57-73. A tal proposito dr. anche Paola Ferretti, Il viaggiatore irriverente. Puskin sulla strada per Arzrum, «Slavia», aprile-giugno 2015, pp. 3-29. " Alcksandr S. Puskin, Puteseswie v An:rum vo wemja pochoda 1829 goda, in Id., Sobranie Soanenij v desjati tomach, Chudozcstvcnnoj Litcratury, Moskva 1960, t. 5, pp.420-421. ') Lorrainc dc Mcaux, La Russie et la tentation de l'Orient, Fayard, Paris 2010, p. 16.

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proprio modello di esistenza fondato sulla libertà e il coraggio, qualità attribuite ai ribelli montanari. Nel gergo militare, i russi trasformati dall'esperienza delle campagne militari nel Caucaso erano definiti caucasici. I caucasici, secondo la testimonianza del conte Benkendorff eroe della guerra del Caucaso, credevano di essersi liberati della dipendenza diretta di Pietroburgo che creava una situazione non in armonia con il loro spirito di fronda, con le loro idee di libertà e di emancipazione. Lo spirito di fronda era molto pronunciato nel Caucaso e sembrava discendere dalle montagne e si respirava «con l'aria, in seno a una natura libera e grandiosa»' 4• L'eroe eponimo di quel tempo era il caucasico, una sorta di corsaro byroniano, descritto da Michail Lermontov, il poeta guerriero esiliato, nel 1840, nel Caucaso dopo un duello con Ernest de Barante, figlio dell'ambasciatore francese a Pietroburgo. Dalla descrizione di Lermontov emergeva l'immagine semi-russa e semi-asiatica del caucasico, un uomo straordinario che aveva letto Il prigioniero del Caucaso di Puskin, quale rielaborazione dell'intreccio di The Corsair di Byron. Come aveva sottolineato Byron nei suoi diari, The Corsair era stato scritto con «amore (in italiano nel testo) e molto è tratto dall'esistenza» 1 1. Il corsaro di Byron aveva ambizioni politiche, quale paradossale principe in rivolta, il cui motto araldico era: aut Caesar aut nihil. Come dimostrava la vicenda corsara dell'impero di Napoleone, il «sommo gioco delle corone e degli scettri» si riduceva a un ingannevole jeu degli dèi che sconvolgeva la visione fatalista della storia. Byron pensava che Napoleone sarebbe caduto quando fractus il/,abitur orbis: il Cesare corsaro, invece, si era ridotto all'insignificanza e la sua caduta non era stata il preludio di più vasti mutamenti e di avvenimenti ancora più sconvolgenti. La storia dimostrava che gli uomini non avanzavano oltre un certo stadio e che potevano «retrocedere ali' ottuso, stupido vecchio sistema», qual era l'equilibrio d'Europa che si stava afferman-

•• Constantin dc Bcnckcndorff, Sou'Oenir intime d'une campagne au Caucase pendantl'été de l'année 1845, Didot, Paris 1858, p. 5. '' The Works of Lord Byron with His Letters and foumals, and His Life, by Th. Moorc, Murray, London 1833, voi. III, p. 2.

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do con la Restaurazione. Al governo misto, Byron preferiva la radicale alternativa tra la repubblica e il dispotismo. Gli asiatici non apparivano adatti a essere repubblicani, ma avevano la libertà di abbattere i tiranni: tale libertà era l'equivalente della repubblica. Byron aspirava ad essere il «primo uomo» (come Aristide o Washington), non un dittatore come Silla: essere un capo per «dote innata e verità» era pressoché divino. Nel suo orgoglioso disprezzo del mondo, l'eroe byroniano era concentrato su se stesso, si distingueva dal branco sociale e coniugava tra loro rivolta e malinconia16• Il caucasico, secondo Lermontov, assimilava le tradizioni guerriere dei pirati circassi e sognava terribili battaglie e fiumi di sangue. Non era sedotto dalla fama dei cosacchi, ma restava irretito dai costumi e dalle usanze degli abitanti degli altopiani e sognava l'amore di una donna circassa. Nella realtà, però, la guerra caucasica era debilitante e monotona e al posto dello slancio eroico subentrava la noia e, dopo questa desolante esperienza, il caucasico diventava indifferente e ironico 17 • Il caucasico non era solo la versione ironica di Un eroe del nostro tempo, ma consentiva a Lermontov di codificare l'assiologia e l'estetica del byronismo russo. Nella prima metà del XIX secolo, come rileva Lotman, il dandismo, quale fenomeno proteiforme, ha avuto due orientamenti antitetici: da una parte la raffinatezza individualista di lord Brummel, dall'altra il dandismo di Byron contrassegnato dalla «rivolta romantica» (romanticeskoe buntarstvo). La figura del dandy, inoltre, ha assunto delle peculiarità nazionali: il dandismo inglese era orientato verso la teatralizzazione e lo scandalo, mentre quello francese verso il solipsismo malinconico, quale coscienza infelice consapevole della propria scomparsa. Mentre Londra e Parigi furono i centri di irradiazione e di codificazione del dandismo, Pietroburgo era la capitale del fantasmagorico dandismo russo, quale eterotopia di quello europeo 18 • Il dandy russo era un apostata del '' Cfr. Viktor M. 2irmunskij, Bajron i Puskin. Puikin i zapadnye literalury, Nauka, Lcningrad. 1978, pp. 28-53. 17 Michail Ju. Lcrmontov, Kavkazec, in Id.. Solinenija v sesti tomach, Id.z. Akad.cmija NaukSSSR, Moskva-Lcningrad. 1957, t. 6 Proza,pis'sma, pp. 348-351. 11 Jurij M. Lotman, Russkij dendizm, in Id.., Besedy o russkoj kul'ture. Byt i tradicii russkogodvcnjanstva (XVIIJ-nai'au, XIX veka), Sankt-Pctcrburg 1994, pp. 123-135.

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piacere che disprezzava la mondanità pur frequentandola ed era posseduto dalla russkaja chandra (la malinconia russa) che lo rendeva cupo e del tutto freddo nei confronti della vita. Nella sua dimensione esistenziale, il dandismo coniugava l'orgoglio e l'egotismo disperato dell'eroe byroniano con il disprezzo. Colui che ha vissuto e pensato, secondo Puskin, non può che in scrinio pectoris disprezzare gli uomini; colui che ha provato sentimenti profondi e passioni anela a quella malinconica libertà segreta turbata dallo spettro dei «giorni irripetibili». La russkaja chandra è straniamento dell'esistenza che nega l'essere presente ed è rimembranza angosciata di un tempo superfluo e fervido di azioni inutili. La russkaja chandra era errante e sconfinata come la geografia russa e induceva alla riflessione istoriosofica sul destino storico della Russia. Puskin definiva Onegin un «secondo Caadaev», primo paradossale filosofo occidentalista e prototipo del dandy russo. Il dandismo tragico di Caadaev era la prima scaturigine della filosofia della storia russa; tale dandismo si fondava sull'idea dell'atto eroico quale estrinsecazione sociale e politica della libertà segreta. In Un eroe del nostro tempo, Lermontov delineava il ritratto di quella generazione di corsari demoniaci, tragici e romantici, che era rimasta prigioniera del Caucaso e che, pur essendo costretta ad ucciderli, ammirava esteticamente i ribelli e i pirati circassi e li imitava. Come il giaurro di Byron, Lermontov da una parte era ammaliato dall'incedere elegante di una bella fanciulla circassa, the loveliest bird ofFranguestan'9, dall'altra ammirava le genti selvagge del Caucaso canuto che avevano come dio la libertà e come legge la guerra e l'immensità dell'odio vendicativo verso il nemico si confondeva con l'amore immenso per l'orgoglio nativo e per la propria terra custodita come un talisman()20.

'' Cfr. George G. Byron, The Giaour. A Fragment ofa Turkish Taie, Davison-Murray, London 1813. Lermotov pose a esergo del poema lzmail-Beji versi di Byron sulla amabile figlia della Circassia: So moved on earth Circassia's dautghter I The lwelwst bird of Franguestan! '° Miehail Ju. Lermontov, lzmail-Bej. Vostocnaja pwest', in Id. Socinenija v sesti tomach, Idz. Akademija Nauk SSSR, Moskva-Leningrad 1955, t. 3 Poemy 1828-1834, PP· 1 53-22 5·

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2. Il corsaro come pensatore politico: Charles Frederick Henningsen nella Siberia calda

Un estimatore del byronismo caucasico era Charles Frederick Henningsen (1815-1877), un filibustiere e scrittore di origine scandinava ma cittadino britannico, un soldato di ventura emulo del corsaro di Byron che nel 1834 aveva combattuto come volontario in Spagna nella prima guerra carlista, diventando capitano della guardia del corpo del generale carlista Tomàs de Zumalacàrregui, che egli definiva il «moderno Scanderbeg», indentificandolo anche con il Mazepa di Byron, l'atamano ucraino che nel corso della seconda guerra del Nord si era ribellato contro Pietro il Grande. Nel 1835, dopo la morte del generale, Henningsen lasciò la Spagna; tuttavia, nelle memorie sulle prime campagne di Navarra, ritraeva Zumalacàrregui come un sorta di corsaro di terra, legittimista e controrivoluzionario, un condottiero che aveva assunto il comando di un esiguo gruppo di uomini «senz'ordine, senza disciplina, e quasi senz'armi, che formavano allora tutta l'armata del Re [...] abbandonandosi in tal modo alla terribile alternativa o di assistere alla distruzione di questo partito appena formato, e di vederlo perire nelle sue mani, o di sollevarlo con isforzi inauditi ed incessanti di coraggio e di perseveranza, assumendosi una responsabilità enorme e, si può dirlo al di sopra delle forze umane» 21 • Con un debole drappello composto da ottocento uomini, Zumalacàrregui aveva osato combattere le divisioni nemiche che erano guidate da generali di fama, ben equipaggiate e armate. Il generale carlista era riuscito a vincere, perché sostenuto dai montanari, dai volontari e dai disertori, «anime di ferro» che, seguendo un abile condottiero paziente e intrepido, avevano mostrato di formare un popolo nobile che non esitava a morire sul teatro della gloria. In Navarra, considerata la Vandea della Spagna, il popolo si era annidato nei boschi e nelle montagne, rimanendo, secondo Henningsen, incorrotto e fedele al re e alla religione.

11 Charlcs F. Hcnningscn, Memorie intorno a Zumalacarregui ed alle prime campagne di Navarra, Pirotta, Milano 1838, t. Il, p. 312.

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Diversamente da quanto afferma Cari Schmitt, non solo il partigiano non è nettamente distinto dal pirata e dal corsaro, in quanto tra terra e mare non esiste un limes invalicabile, ma, nel corso del XIX secolo è stato una figura tutt'altro che marginale. Nella storia russa, come afferma Schmitt, il partigiano è raffigurato da Tolstoj in Guerra e pace con «forza mitopoietica» come emblema delle energie primordiali della terra. Tuttavia, Schmitt formula un'altra definizione del partigiano come «corsaro di terra», perché, diversamente dal pirata, il corsaro, fino alla pace di Parigi del 1856 che pose fine alla guerra di Crimea, non era il communis hostis omnium, ma aveva una licentia marcandi (patente o licenza di marchio) da parte di un governo statuale ed era una figura riconosciuta dal diritto internazionale europeo. Il corsaro della guerra marittima e il partigiano di quella terrestre mostrano una «forte somiglianza» dimostrata anche dal fatto che l'espressione «contro i partigiani si combatte alla partigiana» non è dissimile dalla sentenza à corsaire, corsaire et demf Tale somiglianza emblematica emerse, come rileva lo stesso Schmitt, nel corso del XIX secolo quando l'esercito russo dovette condurre «numerose guerre contro popoli di montagna asiatici» e come era testimoniato dallo stesso Henningsen che, all'inizio degli anni Quaranta del XIX secolo, combatté in Circassia al tempo della rivolta islamica guidata da Samil (1834-1859). Un nodo irrisolto della biografia del filibustiere britannico riguarda il fronte sul quale egli ha combattuto la guerra nel Caucaso: per la pubblicistica coeva Henningsen era arruolato nell'esercito russo, stilando anche un rapporto sulle terre caucasiche pubblicato dal governo imperiale. Per alcuni biografi, invece, l'ineludibile destino di un «cavaliere errante» come Hennningsen era quello di combattere dalla parte dei ribelli caucasici: Samil, il Profeta, aveva dispiegato la sua sacra bandiera, acceso il fuoco della rivoluzione nel Caucaso e aveva dichiarato guerra al potente zar. La guerra santa di Samil appariva giusta al cavaliere errante inglese che si era impegnato 2•

u Cari Schmitt, Theorie des Partisanen, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1jl63; trad. it., Teoria del partigiano, Adclphi, Milano 2005, pp. 98-99.

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a combattere dalla parte dei «selvaggi montanari nelle nevi del Caucaso» completando il suo romanzo di formazione iniziato nelle «colline ricoperte di vigne» della Spagna1 3. In seguito, Henningsen fu coinvolto nella rivoluzione ungherese del 18481849, diventando un sodale di Lajos Kossuth e offrendo la sua spada per difendere le residue illusioni di vittoria della causa ungherese. L'impero russo era, per Henningen, il paradosso terminale del dispotismo orientale e l'antemurale del legittimismo, per questo il filibustiere byroniano descriveva Lajos Kossuth come un leader che, al pari di Napoleone in Occidente e di Maometto in Oriente, aveva vividamente impressionato l' «immaginazione delle masse». Tuttavia la popolarità di Kossuth differiva da quella di altri condottieri storici, perché egli viveva universalmente nell'affetto e nella memoria del popolo ungherese'4. Stigmatizzato come un fuorilegge e un bandito dagli imperi vincitori, nel 18 51 Henningsen, al seguito di Kossuth, traversò l'Atlantico. Giunto negli Stati Uniti, il cavaliere errante fu ingaggiato come mercenario da William Walker per combattere in Nicaragua una guerra all'insegna del filibustering. Secondo la definizione di Herbert Spencer, il filibustering era un processo di equilibrio di energie: un popolo energico e superiore entrava in contatto con un popolo considerato inferiore e lo poteva o annichilire o assimilare; in tal senso, i Padri Pellegrini e i Puritani che avevano colonizzato l'America potevano essere considerati dei filibustieri. Il filibustering era espressione di una cultura priva di ideali sociali e basata su un individualismo aggressivo e rapace e il termine filibustiere era una variante di freebooter (pirata, bucaniere, derivante anche dall'olandese vrijbuiter). I filibustieri erano avventurieri che si

' 1 James J. Roche, The Story of the Pilihusters, Fishcr-Macmillan, London-Ncw York 1891 pp. 126-127. M. R. Bakcr, in One Man Cannot an «Eastern Europe» Make, but He Can Certainly Try. Charles Frederick Henningsen and the Ideologica/ Construction of Eastern Europe, «Ab Imperio•, Aprii 2003, p. 530, erroneamente sostiene che Roche considera Hcnningscn un soldato di ventura al servizio dell'impero russo. '+ Charles E Hcnningscn, Kossuth and «The Times,., Gilpin, London 1851, p. 21. Hcnningscn tentò anche di farsi mediatore tra i rivoluzionari ungheresi e il governo inglese, consigliando a Kossuth di scrivere una lettera a Palmcrston. Cfr. R.W. Emcrson, Kossuth in New England,Jcwctt, Boston 1852, pp. 20-21.

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associavano tra loro per compiere delle imprese audaci, illegali e contrarie al diritto delle genti. Nel decennio precedente alla guerra civile, degli avventurieri, una sorta di pirati-patrioti, erano ingaggiati per condurre, sotto le spoglie dell'iniziativa privata, delle spedizioni armate contro altre nazioni con le quali gli Stati Uniti intrattenevano all'apparenza relazioni pacifiche. Diversamente dai pirati, i filibustieri non saccheggiavano e rapinavano, ma invadevano e occupavano con un atto di guerra che, secondo il diritto delle genti, era rubricato come un crimine contro i paesi invasi2 s. Considerato nella prospettiva della storia naturale della pirateria, il filibustering appariva non solo legale, ma onorevole, in quanto paradosso terminale dei processi di colonizzazione. Facendosi ingaggiare dall'esercito filibustiere, finanziato dal capitalista e magnate George Law, Henningsen, di concerto con W alker, voleva creare nell'America centrale una federazione di cinque repubbliche governate da un rigido sistema militare e, in seguito, conquistare Cuba. Tale federazione tropicale, quale applicazione del filibustering alla dottrina Monroe, si doveva basare sulla dittatura di Walker26• Nel 1857 Henningsen si arrese, insieme a Walker, al comandante Charles Henry Davis della marina degli Stati Uniti, inviata in seguito alle pressioni del Costa Rica e degli eserciti centro-americani, e fu rimpatriato. Divenuto cittadino americano, Henningsen continuò ad essere un filibustiere sia combattendo a fianco dei confederati nella guerra civile americana, sia aderendo a un movimento orientato a liberare Cuba dal dominio spagnolo. Sebbene Walker fosse il più grande filibustiere della storia americana, Henningsen si caratterizzava come un «leader nella guerra irregolare» e come il genio militare della campagna in Nicaragua. Il colonnello John T. Pickett, (una sorta di filosofo che era stato un adepto, nella sua età dell'oro, della

•J Roche, The Story of the FilibHSters cit., pp. I-2 • .. William O. Scroggs, FilibHSters arul Financiers. The Story of William Walker and H is Associates, Macmillan, New York l9 I 6, pp. 228-232. Nel poema Con Walker en Nicaragua, Ernesto Cardenal descrive Henningsen come un inglese che aveva combattuto in Spagna, contro lo zar e per l'indipendenza dell'Ungheria. Cfr. Ernesto Cardenal, Con Walker en Nicaragua, «Rcvista Conservadora», Scptiembre-Oetubre I967, pp. 87-95.

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sfortunata bandiera del filibustering) aveva fatto incidere sulla tomba di Henningsen un epitaffio tratto da Storia di Gi/, Blas di Santi/lana di Alain-René Lesage: lnveni portum. Spes et Fortuna

valete! Sat me lusistis... Ludite nunc ali.os/ 7. 2

Nel corso della vita avventurosa del filibustiere britannico, la guerra in Circassia rappresentò un passaggio decisivo sia perché condusse alla pubblicazione di Revelations of Russia, che ebbe un ruolo rilevante nella genealogia della russofobia, sia perché fece emergere la figura del corsaro come pensatore politico. Henningsen, infatti, era un sorta di antesignano nella costruzione ideologica dell'Europa orientale nell'ambito della pubblicistica britannica, contribuendo in maniera determinante alla ridefinizione della partizione geopolitica e geoculturale dell'Europa secondo l'asse ovest-est e non secondo l'asse nord-sud 28 • Diversamente da quanto ha sostenuto Larry Wolff29, il concetto di Europa orientale non solo non era stato formulato nell'epoca dell'Illuminismo, ma si era affermato gradualmente verso la metà del XIX secolo. Avventurandosi nei meandri della costruzione ideologica dell'Europa orientale, Henningsen respingeva l' accusa di russofobia rivoltagli da coloro che non disperavano dell'eventuale progresso e miglioramento dell'Impero russo. Henningsen affermava di aver attribuito connotati negativi al governo e alle istituzioni imperial~ ma non al popolo russo. Da una parte il «colossale dispotismo» ( colossal despotism) russo aveva imposto la più spaventevole ed estesa schiavitù del mondo, dall'altra tempestosi muramenti politici minacciavano di sconvolgere l'intera Europa orientale. Non diversamente da Astolphe de Custine in La Russie en 1839, Henningsen tracciava un limes invalicabile tra le due Europe: mentre la metà occidentale del vecchio continen-

' 7 Roche, TheStory of the Filibusters cit, pp. 184-185. •• A tal proposito cfr. Mark Bakcr, One Man Cannot an «Eastem Europe,. Make, but He Can Certainly Try. Charles Frederick Henningsen and the Ideologica/ ConstTuction of Eastem Europe, «Ab Imperio», Aprii 2003, pp. 523-552; M.M. Sirotinskaja, Nacwnal'nye dfliienija serediny XIX " " Evrope " flosprijati «Molodoj Amerikii,,, «Vcstnik RGGU. Scrija Politologija, lstorija, Mc:zdunaroànyc Otnoscnija», 2015, pp.

124-136.

'' Cfr. I.arry Wolff, bwenting Eastem Europe. The Map of Ciflilisation on the Mind of Enlightenment, Stanford Univcrsity Prcss, Stanford 1994.

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te comprendeva Stati governati da regimi costituzionali (impero britannico, Francia, Belgio, Olanda, Svezia), la metà orientale era stata spartita tra quattro regimi dispotici (Russia, Turchia, Austria e Prussia) caratterizzati dall'eterogeneità etnica. Tuttavia le fondamenta del dispotismo sembravano vacillare a causa del risveglio degli slavi: circa cento milioni di slavi erano sudditi dei quattro regimi dispotici. La questione slava era insorta anche nell'ambito dell'impero russo sia a causa della rivoluzione polacca del 18 30- 18 3 1, sia perché si assisteva alla resurrezione del sentimento nazionale ucraino. La distinzione tra Europa orientale ed Europa occidentale inaugurava quella geopolitica della catastrofe basata sull'idea di minaccia russa: il dispotismo ottomano, infatti, era un'eccezione perché era al servizio degli interessi della civiltà, essendo una barriera contro l'illimitata espansione dell'impero russo. Liberata dal giogo dei dispotismi, l'Europa orientale, con il suo suolo vergine e le sue magnificenti risorse, appariva a Henningsen la nuova terra promessa dell' espansione del capitalismo mercantile e industriale, non diversamente dall'America ma senza l'inconveniente della traversata atlantica. I governi dispotici tentavano invano di perpetuare un anacronistico regime di schiavitù, ma la Polonia mutilata e i popoli slavi oppressi sarebbero stati protagonisti di una tempesta politica che avrebbe travolto il sistema stabilito dal concerto europeo. All'apparenza, l'impero russo, infatti, era un corpo compatto e una unità gigantesca e lo zar sembrava un soldato che sacrificava il benessere del popolo a un sistema di espansione e di conquista. Tuttavia l'impero russo era riuscito ad assimilare solo i popoli più deboli, mentre sullo sfondo si stagliavano le turbolenze di tribù e nazioni che volevano affrancarsi attraverso la violenza e rivendicavano la loro anarchica indipendenza. Il colossale dispotismo russo era, in realtà, vulnerabile: paralizzato dalla mancanza di futuro e minato da una venalità pervasiva, l'impero russo appariva come una potente nave da guerra pirata, con abbondanti armamenti e scorte, ma con lo scafo completamente avariato3°.

1°Charlcs F. Hcnningscn, Eastem Europeanà the Emperor Nicholas, Ncwby, London I 846, voi. I, p. I 8.

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Nel 1844, Henningsen aveva pubblicato Revelations of Russia e duecento copie del libro erano state introdotte di contrabbando nell'impero russo da Tiflis e dai porti del Mar Nero. Attraverso questa azione pirata, il filibustiere britannico aveva voluto mettere a disposizione dei lettori russi una considerevole massa di informazioni, al fine di modificare la loro visione del mondo russo. L'impero russo era l'antagonista per antonomasia dei free countries ed era il nemico implacabile del commercio inglese, dello spirito di impresa e della prosperità dei popoli. L'istintiva avversione inglese nei confronti della Russia era giustificata ed era ali'origine di una idea-passione, la russofobia, elevata a ideologia, quale negazione atterrita dell'identità e del destino della Russia. Sebbene comprendesse nel suo ambito le province baltiche, polacche e caucasiche e avesse due grandi sbocchi al mare, l'impero russo non poteva vantare la stessa prosperità degli Stati Uniti, perché il suo sistema socio-politico era demoralizzante. Henningsen aveva potuto verificare quanto era stato descritto da Astolphe de Custine, che, in La Russie en 1839, aveva stilato le sue osservazioni veritiere con un linguaggio audace ed eloquente: i giudizi severi del marchese potevano essere condivisi perché espressione di un'esperienza che poteva essere verificata3'. Tuttavia Henningsen respingeva le accuse rivoltegli sulla stampa da coloro che credevano nel progresso della Russia: l'opera di Custine appariva inficiata da un radicato pregiudizio contro il popolo russo; il filibustiere britannico, invece, non riteneva di essere un russofobo, in quanto sosteneva che lo spaventoso dispotismo russo era originato dalle istituzioni e non da una peculiare e inveterata predisposizione del popolo russoP. I.:oriental despotism russo era una sintesi tra la centralizzazione estrema dell'epoca della rivoluzione francese e lo spirito di propaganda dei primi discepoli del Corano. Sebbene indossasse la maschera dell'assolutismo riformatore che adottava misure

}' Charlcs F. Henningsen, Revelatwns of Russia or the Emperor Nicholas and His Empire in 1844, Colburn, London 1844, voi. I, p. XI. Su Costine e la genesi della russofobia cfr. Roberto Valle, Genealogia della russofobia. Cusline, Donoso Cortés e il dispotismo russo, Lithos, Roma 2012. }> Henningsen, Easlern Europe and the Emperor Nicholas cit., voi. I, pp. 121-122.

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draconiane per condurre un popolo barbaro nel recinto edenico della civiltà, il dispotismo russo era il più acerrimo nemico della civiltà anche se travestito da suo apostolo. L'impero russo era par excellence il «paese dell'inganno» e lo zar credeva di essere il rappresentante di Dio sulla terra e l'incarnazione della Provvidenza. Nicola I era un tiranno completo che pensava di essere Jupiter Tonans e aveva recluso i suoi schiavi nell'isolamento, apparendo con le sembianze di un despota cinese. L'impero russo compiva una sistematica opera di asservimento dei popoli allogeni: al suo confine occidentale, voleva distruggere la nazionalità e la fede polacche trasferendo forzatamente la popolazione in Siberia e in Asia; al suo confine orientale, invece, esercitava una estrema violenza politica e una efferata crudeltà soprattutto contro i popoli del Caucaso. Gli ufficiali russi, secondo Henningsen, consideravano il Caucaso una punizione severa, paragonabile alla degradazione e alla deportazione in Siberia, e pochi di loro erano volontari. L'esercito russo del Caucaso, inoltre, era composto da uomini che il dispotismo autocratico considerava pericolose escrescenze e che, per le loro idee depravate e per le loro aspirazioni spirituali, avrebbero potuto mettere in pericolo l'ordine e la sicurezza dell'impero. Le colpe commesse da questi ufficiali e soldat~ trattati come reietti, in ogni altro paese sarebbero state degne al massimo di una reprimenda. Nel Caucaso, infatt~ erano considerati banditi e corsari quegli esponenti dell'aristocrazia intellettuale che avrebbero dovuto pentirsi di una qualche pasquinata politica ed espiare il delitto di poesia, per aver fatto balenare nei propri versi imprudenti offensive allusioni alla libertà. Henningsen descriveva il Caucaso come una Siberia calda nella quale erano stati esiliati i più illustri favoriti della musa russa: Puskin, il Byron russo e Monarca del Parnaso, Lermontov e Bestuzev-Marlinskij, un poeta ed eroe byroniano che aveva partecipato alla rivolta decabrista del 182 5 e che era stato privato del suo status nobiliare ed esiliato prima in Siberia e poi nel Caucaso. Il Parnaso russo era stato espugnato dal dispotismo autocratico e i migliori letterati russi erano passati dal Gradus ad Parnassum ad essere prigionieri del Caucaso ed erano entrati a far parte di una sorta eteroclita ciurma corsara che comprendeva sia coloro che soste-

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nevano pericolose visioni politiche liberali, sia i superstiti della rivoluzione polacca che erano condannati a combattere contro la «libertà di un popolo nobile», quale espiazione per avere fedelmente difeso la propria libertà. Il dispotismo russo intendeva, in tal modo, soffocare lo spirito inquieto della nazione polacca, che avrebbe dovuto estinguersi nella guerra del CaucasoH. Non diversamente dalla pubblicistica russofoba britannica, Henningsen stabiliva un parallelo tra la Polonia e la Circassia. La guerriglia dei montanari era sconnessa, anche perché i circassi erano tagliati fuori dalla comunicazione marittima e difendevano con difficoltà il territorio. Affinché la Russia non li potesse assoggettare, i circassi avrebbero dovuto essere sostenuti e organizzati: l'impero britannico avrebbe potuto fornire ai montanari quelle forze necessarie ad espellere i russi dal Caucaso. La Russia attribuiva una enorme importanza al possesso del Caucaso che era la grande porta per l'accesso all'Asia e impiegava molte risorse per realizzare la sua politica di dominio assoluto e incontrastato. Tuttavia le iniziative militari a est e a ovest dell'istmo erano fallite e le montagne restavano inaccessibili ai russi. Sembrava inverarsi la profezia del Corano: nel Caucaso si stava erigendo un muro di ferro saldato con ottone fuso per sbarrare il passaggio ai discendenti di Gog e Magog. Elevando la figura del filibustiere al rango di pensatore politico, Henningsen stabiliva un parallelo tra i circassi ribelli e i decabristi e si avventurava nel labirinto di una analisi comparata tra due sistemi politici, quello dell'impero russo e quello dell'impero britannico. Alcuni fortificazioni russe sulla costa della Circassia erano state prese d'assalto dai montanari, come usualmente accadeva dalla parte delle roccaforti russe quando le tempeste invernali del Mar Nero interrompevano la comunicazione marittima. In uno di questi porti, il magazzino delle polveri era stato fatto saltare in aria e i sopravvissuti all'esplosione erano stati fatti prigionieri dai montanari. Le operazioni offensive iniziavano in primavera, ma non avevano un carattere incisivo. Sebbene Nicola I miras-

n Charlcs F. Hcnningscn, Rwelatrons of Russia or the Emperor Nicholas and His Empire in 1844, Colbum, London 1845, voi. II, pp. 326-327.

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se alla repressione definitiva delle popolazioni montanare e allo sterminio dei ribelli, Paskevié aveva sconfitto con difficoltà l'imam Ghazi Muhammad, guida spirituale del muridismo (ma murid, colui che cerca, una confraternita mistica islamica sufi), che aveva dichiarato il jihad contro i russi. Ghazi Muhammad fu ucciso nel 1832 dalle truppe russe al comando del barone Rosen durante l'assedio dell'aul (villaggio fortiticato) di Gimry, dove l'imam si era asserragliato insieme ai suoi più fidati seguaci, tra i quali Samil che instaurò nel Daghestan un imamato indipendente diventando, fino al 1859, il nemico principale dell'impero russo nel CaucasoH. Sebbene fosse stato sottovalutato dal governo russo, il muridismo aveva acquisito una forza formidabile ed era diventato un'arma potente nelle mani dei montanari caucasici: la dichiarazione del jihad favorì, infatti, l'unità delle diverse tribù del Caucaso. Le tribù circasse erano strutturate secondo un sistema feudale-cavalleresco e cianico che non era dissimile da quello dell'Europa medievale. Il principe era il capo militare e le armi, i cavalli e un gran numero di schiavi erano gli status symbols della vita lussuosa dei nobili. Gli schiavi dei nobili circassi erano prevalentemente prigionieri russi, ma anche le donne circasse, famose per la loro avvenente bellezza, erano vendute, in base a un contratto stilato tra il mercante di schiavi e il capofamiglia, e instradate verso gli harem di Istanbul e della Turchia occidentale. Tuttavia il blocco del litorale del Mar Nero, severamente esercitato dai russi, impediva questa pratica piratesca. Essendo in maggior numero degli uomini, le belle circasse rimpiangevano i tempi in cui potevano liberarsi della schiavitù e diventare le favorite di un sultano o di un vizir, elevandosi allo splendore di un regno. Henningsen affermava che queste avventure matrimoniali orientali erano simili a quelle delle donne inglesi che ogni anno si recavano in India a caccia di un marito: tuttavia le belle circasse non erano munite di Bibbia e di sermoni e non dovevano seguire i consigli di una qualsiasi donna più espertaH.

Hlvi,p. 327• lvi,pp. 319-320.

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La rivolta contro l'impero russo si andava sempre più caratterizzando come un movimento religioso guidato dal clero musulmanc>36. Tuttavia in Circassia sembrava prevalere una sorta di sincretismo religioso, nel quale confluivano le tradizioni cristiane mutuate da Costantinopoli e l'influsso del Corano che, in mancanza di leggi scritte, era nel contempo un codice religioso, morale e civile. Il culto era celebrato all'aria aperta, sotto gli alberi, perché non c'erano templi e altari, né esisteva una gerarchia sacerdotale: il popolo seguiva i precetti indicati dai mullah che erano di estrazione nobiliare. La guerra contro i circassi comportava un dispiegamento di forze lungo la linea militare che si estendeva dalla foce del Kuban' alla foce del Terek: sulle rive di questi due fiumi, i russi difendevano i loro territori Cis-Caucasici contro le incursioni guerrigliere dei montanari. La linea militare era sotto il controllo dei cosacchi del Mar Nero (cernomorskie kazaki), dai cosacchi del Terek e da un contingente composto da kirghisi e tartari. Il kazacestvo (l'identità cosacca) era raffigurato come una casta guerriera che aveva la missione di difendere e di estendere i confini della Russia. Sulle coste del Mar Nero, l'importante centro di Anapa e i forti di Sujuk, Gelenzik, Picunda, Bampor e Sukhumi formavano la linea occidentale sulla quale era attestata permanentemente una guarnigione di quindici mila uomini. Nella parte orientale, erano disseminati settemila soldati russi tra le fortezze e i porti del Mar Caspio, da Kizlar a Baku, inclusa la città di Derbent. La linea meridionale, invece, poteva essere più agevolmente difesa. All'affaccio del Mar Nero, i mingreli, che volevano essere annoverati tra le popolazioni georgiane sottomesse alla Russia, erano impegnati a impedire le scorrerie dei circassi e degli abasi. Trentamila soldati irregolari e quarantatremila regolari inquadrati nelle truppe russe formavano sulla frontiera una linea di difesa delle province circasse e ne tutelavano il centro. I circassi avevano organizzato spedizioni (con drappelli da cinque a diecimila uomini) per attraversare le linee militari dei russi, osando penetrare in profondità nel territorio russo. Tuttavia queste incursioni apparivano come azioni piratesche, perché i circassi si appropriavano

}' A tal proposito dr. Shapi Kazicv, Imam .~ami/, Molodaja Gvardija, Moskva 2010.

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banditescamente di mandrie di buoi e di armenti di pecore e facevano prigionieri che riscattavano in cambio di cospicue somme di denaro. L'esercito russo, perciò, subiva delle perdite gravissime non per combattere formidabili nemici, ma a causa delle malattie prodotte dal clima e dalle gravi fatiche. Il caldo e le febbri mietevano molte vittime, sia perché i russi erano abituati a un clima più rigido, sia perché non erano esperti della guerra di montagna. I morti in guerra non erano ricordati in quanto individui, ma erano celebrati come eroi che si erano immolati per lo zar. Henningsen, perciò, paragonava la rivolta dei decabristi a quelle dei montanari del Caucaso e definiva l'insurrezione militare del 14 dicembre del 182 5 come un episodio fondamentale della storia d'Europa, quale massima espressione della generale cospirazione dell'aristocrazia contro il potere illimitato dello zar. Henningsen aveva letto il manoscritto delle memorie di un protagonista dell'insurrezione e affermava che il liberalismo occidentale non aveva compreso appieno l'eroismo tragico dei decabristi, considerandolo una anomalia cospirativa. Nel resoconto che aveva stilato, Custine dimostrava di non conoscere appieno la storia dell'insurrezione e delle circostanze che l'avevano causata. Il racconto di Custine era tratto dalle conversazioni avute con Nicola I, che appariva come l'autentico eroe dell'insurrezione decabrista: tale insurrezione, infatti, sembrava aver fornito allo zar l'occasione per mostrare all'Europa la risoluta fermezza con la quale aveva salvato la sua vita e quella dell'autocrazia37• In Russia e in Polonia, l'aristocrazia aveva compreso i vantaggi della libertà e delle virtù patriottiche. In Polonia, l'aristocrazia attendeva la propria resurrezione politica, mentre in Russia solo la nobiltà avrebbe potuto redimere il popolo dal dispotismo paralizzante. Tra i decabristi, l'autentico corsaro byroniano era Pestel', un uomo di talento antitetico al teorico sognatore, che aveva forgiato un codice, Russkaja Pravda ( 18 24), prospettando un progetto di radicale trasformazione della Russia. L'impero russo, per

l7 Hcnningscn, Rwelatwns ofRussia or the Emperor Nicholas and His Empire in 1844 cit., voi. I, pp.243-251.

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Pestel', doveva trasfigurarsi in una repubblica con una rigida divisione dei poteri e il popolo contadino doveva essere liberato dal fardello della servitù della gleba. La rivoluzione era fallita sul nascere non solo a causa della ferma ostilità di Nicola I, ma anche perché, nell'ambito del composito movimento decabrista, avevano prevalso gli infidi e i codardi e non i più puri e i più risoluti come Pestel'. I decabristi, inoltre, non avevano avuto una chiara visione sia dello spirito del tempo in un'Europa dominata dai Mefistofele dell'assolutismo come Metternich, sia della desolante realtà dell'indifferenza e del servilismo delle masse. Transitato dal carlismo legittimista a una peculiare forma di radicalismo insurrezionale neoconservatore, Henningsen aderiva a quella pirateria sociale (social piracy) che si riconosceva nella politica rapace e predatoria della Young England, il movimento che aveva come leader Benjamin Disraeli. Da una parte, la Young England era un'espressione del revival gotico, quale utopia retrospettiva e nostalgica che esaltava l'etica aristocratica e cavalleresca del medioevo contro l'avvento della società industriale, dall'altra era impegnata nella ricreazione di una società organica attraverso la restaurazione di un' aristocrazia paternalista. Al fine di contrastare gli effetti negativi dell'industrializzazione, era necessario potenziare il welfare state per combattere la povertà, anche attraverso la promozione dei lavori pubblici, e provvedere a una riforma dell'istruzione per sradicare l'ignoranza delle masse. Tra i fondatori della Young England si distingueva lo scrittore Robert Southey che si era scagliato contro la Satanic School di Shelley e di Byron. Pur considerando Southey l'uomo più eminente della sua epoca, Disraeli ammirava Byron e aveva modellato la sua immagine pubblica sulla figura dell'eroe byroniano. Plantaneget Cadurcis, protagonista del romanzo di Disraeli Venetia, appare come un degno epigono della Satanic School. Ma il manifesto della Y oung England era Coningsby, il romanzo nel quale Disraeli affidava alla nuova generazione la missione di rifondare il conservatorismo sulla base dei principi del nazionalismo romantico, scagliandosi contro il tradizionale orientamento conservatore incarnato da Lord Liverpool, una arcimediocrità che era alla

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guida di un governo di mediocri38 • Henningsen definiva Coningsby la rivelazione della nuova generazione, perché era un atto d'accusa contro quell'utilitarismo e pragmatismo politico che, con la sua visione basata sull'interesse, collocava l'impero russo nella prospettiva della Realpolitik. Henningsen, infatti, dedicava Revelations of Russia alla New Generation e alla Young England, perché il tradizionale conservatorismo appariva impotente e gli Whigs erano venerabilmente decrepiti. Con la cessazione della tempesta politica e sociale suscitata dalla rivoluzione francese, i partiti non avevano più un afflato ideale ma erano degenerati e la loro attività si riduceva all'avidità nell'acquisire un qualsiasi incarico. Nell'introduzione a Revelations of Russia, Henningsen aveva incluso una sorta di fenomenologia della crisi del sistema inglese considerata sia dal punto di vista della politica interna, sia nella prospettiva delle relazioni internazionali. L'idolo polemico del filibustiere romantico era la dottrina materialista della scuola utilitarista, che vedeva l'umanità con gli occhi di un industriale e la vita come una speculazione commerciale e non prendeva in considerazioni le speranze e le passioni umane39. Gli utilitaristi avevano imposto l'idolatria dell'economia politica, quale aritmetica della ragione, mentre il contratto sociale era stato siglato per il mutuo vantaggio e per il benessere di ogni membro della società. Il popolo inglese, invece, versava nella miseria, perché il diritto alla vita senza proprietà era negato e per coloro che non possedevano nulla c'erano solo le workhouses o le prigioni. Il povero era una sorta di reietto ridotto a trascinare una vita selvaggia e, perciò, costretto a violare le leggi. L'utilitarismo stava indebolendo l'impero britannico anche per quanto atteneva la politica estera e il confronto con il suo J■ A tal proposito cfr. A. Stcck, Robert Southey, Benjamin Disraeli and Young England, «History,., 95, 2, Aprii 2010, pp. 194-2o6). Sul concetto di social piracy cfr. Mary S. Millar, Disraeli's Disciple. The Scandalous Life of George Smythe, Univcrsity of Toronto Prcss, Toronto-Buffalo-London 2oo6, p. 176. Nel racconto Socia/ Piracy, Smythc, anticipando Vanity Fair di Thackcray, dimostrava come si potesse vivere bene

come un predatore. J? Hcnningscn, Rl!'Velations of Russia or the Emperor Nicholas and His Empire in 1844 cit., voi. I, pp. XXV-XXVI.

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nemico principale: l'impero russo. Mentre l'impero britannico sembrava ripiegato nella sua splendida decrepitezza, la Polonia aveva dovuto soccombere e il Mar Nero era diventato ormai un lago russo. Sebbene apparissero più che promettenti dal punto di vista dei traffici marittimi, le coste della Circassia erano chiuse al commercio inglese e ai popoli delle montagne era impedito di usufruire delle risorse del mare. La politica dell'impero britannico, invece, avrebbe dovuto essere animata da una radicale rivalità nei confronti dell'impero russo, al fine di difendere i propri interessi commercia&o. Nella lotta per la conquista dell'empire of the watery world, l'Inghilterra manifestava una evidente superiorità rispetto ad altre mari.time powers come la Francia e gli Stati U nit~ che, pur non avendo marinai nati~ erano le antagoniste più formidabili dell'impero britannico. Sebbene esibisse una grande flotta, l'impero russo, per Henningsen, versava in una deplorevole debolezza4'. La Russia apprezzava i servigi degli avventurieri stranieri in ogni branca della sua amministrazione civile e militare; tuttavia la carriera nell'ambito della marina militare era interdetta agli inglesi. Il naval power della Russia era stato accresciuto da Pietro il Grande: il genio dello zar riformatore era essenzialmente nautico e aveva favorito la costruzione di una flotta eccellente. La flotta del Mar Nero era più efficiente di quella del Mar Baltico, anche perché il Caucaso, quale «più grande fortezza del mondo», poteva essere considerata la tete de pont dalla quale l'impero russo avrebbe potuto invadere la Turchia, la Persia e l'India. Tuttavia fin dai tempi di Grigorj Potemkin, governatore di Novorossijsk e creatore negli anni Ottanta del XVIII secolo della flotta del Mar Nero, tutti gli sforzi per conquistare i circassi e le tribù caucasiche erano falliti. Con l'ascesa al trono di Nicola I, era stato instaurato un sistema che coniugava l'intimidazione con il tentativo di convincere pacificamente le tribù più deboli ad accettare il dominio russo. Sebbene fossero divise tra di loro, le tribù circasse si erano unite contro il comune nemico e l'odio contro i russi .- (vi, pp. XXX-XXXI.

•• Hcnningscn, Rwelations of Russia or the Emperor Nicholas and His Empire in 1844 cit., voi. Il, pp. 169-170.

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cresceva a dismisura. Le rive del nord-est del Mar Nero, vicine ai porti russi, erano alla portata delle incursioni predatorie dei circassi volte a distruggere le fortificazioni nemiche. L'occupazione russa della costa, infatti, impediva ai circassi di intrecciare i loro traffici con l'impero ottomano. Henningsen descriveva i circassi come degli eroici guerrieri che conoscevano l'arte della navigazione. Andava respinta, perciò, come una invereconda calunnia, la propaganda del governo russo e dei suoi viaggiatori mercenari che raffigurava i circassi come selvaggi, come infedeli e come indomabili pirati42 •

3. La Circassia rapita e l'affaire della Vixen. Urquhart, Bel~

Longworth, Marx e la pirateria russofoba L'ineludibile destino di combattere a fianco dei ribelli circassi era condiviso da Henningsen con un altro «cavaliere errante vittoriano della giustizia e della libertà»43: David Urquhart un ex diplomatico ultraconservatore, filoturco e russofobo, calvinista presbiteriano e filocattolico (tra l'altro ispiratore del Nacertanije, quel progetto di Serboslavia che avrebbe dovuto arginare la penetrazione del panslavismo russo nei Balcani)44• Negli anni Trenta del XIX secolo, Urquhart aveva dato vita ad una iniziativa editoriale, «Portfolio», che pubblicava documenti diplomatici riservati al fine di svelare i piani di dominio della Russia, traendo la Public Opini.on dall'apatia e dall'ignoranza4s. Nel 1855, Urquhart aveva fondato «Free Press», l'organo della russofobia europea che annoverava tra i suoi collaboratori illustri Karl Marx. Sulla rivista urqhuartista, Marx pubblicò a puntate Revelati.ons of the Diplomatic History of the 18th Cen-

.., lvi, p. 294. f) Cfr. Gertrude Robinson, David Urquhart. Some Chapters in the Life ofa Victorian Knight-errant ofJustù:e and Liberty, Basi! Blaekwdl, Oxford 1920. ff Cfr. Roberto Valle, «Despotismo bosnese» e «anarchia perfetta». Le m,o/te in Ber snia e in ErzegO'llina nelle corrispondenze alla Propaganda Firk ( 18]1-I 878), Unieopli, Milano 2003, p. 25. 41 Le Portfolio ou colleàion de documents politiques relati/ a /'histoire contemprr raine, Paris 18 36, t. I, pp. 7-23.

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tury, un pamphlet che svelava l'intrigo politico-diplomatico che, a partire dal XVIII secolo, aveva consentito alla Russia di incrementare la propria potenza e influenza in Europa: tale accrescimento di potenza era un pericolo per la civiltà europea. Esule a Londra, il rivoluzionario russo Aleksandr Herzen definiva l'Inghilterra la «patria degli squilibrati»: tra i bislacchi di Londra, si distingueva per originalità David Urquhart, un conservatore radicale eccentrico che aveva smarrito la ragione per una idée fixe: la diplomazia russa aveva imposto la propria egemonia sia sugli uomini di Stato, sia sui rivoluzionari europei. Trascinato da questa idée fixe, Urquhart si era lanciato in imprese politiche ed editoriali (avendo anche una certa influenza sul «Morning Advertiser», il giornale delle bettole), che suscitavano il «riso generale». Sebbene si fosse coperto di ridicolo, Urquhart, secondo Herzen, si era rivelato una «pacchia per la cricca di oscuri uomini politici tedeschi» che circondava Marx, un «misconosciuto genio di prima grandezza». Animata da uno «sfrenato patriottismo», la cricca tedesco-marxiana accampava terribili pretese ed era una Hochschule della «calunnia e del sospetto»46. L'alleanza tra il partito urquhartista e la Hochschule marxista esule a Londra non era occasionale, come dimostra un lungo articolo di Engels sulla politica estera della Russia zarista pubblicato da «Time» nel 1890. Engels considerava Urquhart un lavoratore infaticabile, che aveva avuto il merito di far conoscere gli obiettivi e i metodi della diplomazia russa. Urquhart si autorappresentava come un profeta orientale depositario di una segreta dottrina esoterica, che egli esprimeva in un «misterioso linguaggio iperdiplomatico» carico di allusioni a fatti sconosciuti. Dopo la rivolta polacca del 1830-1831, «Portfolio» aveva pubblicato le carte diplomatiche custodite nell'archivio di Varsavia e cadute nelle mani degli insorti. «Portfolio» era, perciò, una delle principali fonti per ricostruire la storia degli intrighi orditi dall'autocrazia russa per seminare discordia tra le nazioni europee, al fine di dominarle. Il filisteo comune, per

-' Alcxsandr I. Hcrzcn, Il passato e i pensieri, Einaudi, Torino 1996, voi. II, pp. 297-309.

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Engels, preferiva non essere informato su questioni sgradevoli; Urquhart odiava il filisteo senza, però, comprenderne la natura e l'ineluttabilità storica. Egli era un Tory della vecchia scuola ed era destinato a fallire, perché accomunava nella medesima condanna tutti i movimenti politici europei (conservatori, liberali, rivoluzionari) che non solo non erano in grado di contrapporre un'effettiva resistenza all'espansione della Russia, ma erano strumenti della sua politica estera. D'altro canto, Urquhart riponeva una fiducia esagerata nella potenza dell'impero ottomano e, a partire dalla rivoluzione francese, riduceva la storia a un gioco di scacchi diplomatico tra la Russia e la Turchia, nel quale gli Stati europei erano pedine della politica estera zarista. Come infallibili panacee contro la supremazia della Russia sull'Inghilterra, U rq uhart proponeva reiteratamente la messa in stato d'accusa per alto tradimento dell'intero governo inglese che andava sostituito con un consiglio privato del re. Nonostante l'anacronismo del suo pensiero politico, Urquhart, per Engels, era un uomo di grande valore, un raffinato gentleman inglese; i diplomatici russi avrebbero potuto affermare: si M. Urquhart n'existait pas, il faudrait l'inventer47• Secondo la testimonianza di suo figlio Francis, Urquhart spingeva la russofobia a un «eccesso furioso», forgiando una sorta di mistica antirussa stereotipata, e, nel contempo, conduceva una guerra contro le tradizioni inglesi (civiltà, sistema parlamentare e buone maniere)•8• Tuttavia, volendo essere un protagonista della history in action, Urquhart rivelava «notevoli doti di propagandista» e di uomo d'azione. Al termine del conflitto tra l' impero russo e l'impero ottomano era stato siglato, il 14 settembre 1829, il trattato di Adrianopoli, che i russi interpretavano come un implicito riconoscimento dell'annessione della Circassia. Con il trattato di Unkiar Skelessi, sottoscritto 1'8 luglio

., Fricdrich Engcls, Foreign Policy of Russian Tsardom, in Karl Marx-Fricdrieh Engcls, The Russian Menace to Europe. A Collectwn of Articles, Speechs, letters and News Dispatches, Sclcetcd and Editcd by Paul W. Blaekstoek and Bert F. Hosclitz, The Free Prcss,Glcneoc 1952,pp. 25-55. i' A tal proposito Cfr. Franeis Fortcseue Urquhart, Da'Uid Urquhart il diritto delle genti e il Concilio Vaticano, Roma 1919, p. 10.

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del 18 33, l'impero ottomano sembrava ridotto a un protettorato dell'impero russo. Una clausola segreta del trattato, infatti, impegnava il sultano a chiudere i Dardanelli, su richiesta dello zar, a tutte le navi da guerra straniere ad eccezione di quelle russe. Nell'eventualità di un conflitto, la potente flotta russa del Mar Nero avrebbe potuto rivendicare il diritto di avere un passaggio esclusivo attraverso gli Stretti. Il ministro degli esteri britannico, Lord Palmerston, aveva inviato a Pietroburgo una nota di protesta, ma aveva ottenuto una risposta che aveva definito «frivola insolenza»: i russi affermavano di avere acquisito in anticipo un diritto al quale ambiva lo stesso impero britannico. L'impero russo, inoltre, aveva varato progetti colossali al fine ampliare la propria flotta, costringendo il governo britannico a incrementare la Royal Navy. Nell'intricato contesto della questione d'Oriente e del Great Game, Urquhart si fece promotore di una serie di iniziative che sfociarono nell'affaire della goletta Vixen. Nel 1836, la goletta Vixen fu inviata da Urquhart (allora segretario d'ambasciata a Costantinopoli) per forzare il blocco navale imposto dalla Russia alla Circassia. La Vixen fu intercettata dalla marina russa, provocando un incidente diplomatico: in realtà, Urquhart e i cospiratori suoi sodali volevano che l'incidente sfociasse in un aperto conflitto nel corso del quale l'impero britannico avrebbe dovuto porre un argine definitivo ali'espansionismo russo in Europa e in Asia4ll. Urquhart considerava la questione circassa come speculare alla questione polacca: l'impero russo aveva utilizzato le potenze europee per distruggere la Polonia, perché tale distruzione era necessaria al fine di eliminare un antemurale cattolico che impediva il dilagare della Russia in Europa. Il caso della Circassia era diverso e più enigmatico: apparentemente non emergevano né un intreccio di interessi, né un conflitto di religione, né confini incerti. La linea di demarcazione era quella tra la terra e il mare: la Russia voleva soggiogare la Circassia per ulteriori ., Sull'affaire della goletta Vixen cfr.John H. Glcason, The Genesis of Russophobia in Great Britain. A Study of the lnteraclion of Po/icy and Opinùm, Harvard Univcrsity Press, Cambridge 1950, pp. 165-20,4; Peter Hopkirk, Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale, Addphi, Milano 2004, pp. 185-197.

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obiettivi, quali la conquista dell'impero ottomano, della Persia e dell'India. Gli strenui sacrifici fatti dai russi in Circassia rivelavano gli orientamenti geopolitici dell'espansione russa e i propositi di dominio universale. Tuttavia il potere navale nel Mar Nero dipendeva dall'impero ottomano che continuava a possedere la chiave per aprire gli Stretti, mentre nel Mar Caspio la potenza navale della Russia era nulla. Le fortificazioni russe sul Mar Nero erano spesso delle rovine e la più importante, Gelenzik, era in mano ai circassi. La Circassia, secondo Urquhart, rivelava il segreto della debolezza dell'impero russo, che era risultata evidente con l'invio della goletta Vixen: per contrastare la Russia non erano necessarie grandi operazioni belliche, bastava far cessare ogni forma di sottomissione. La Vixen, infatti, non era stata inviata per confliggere, ma per esercitare l'indefettibile diritto dell'Inghilterra a commerciare con un popolo indipendentes0. Nel 1834, durante il suo soggiorno a Costantinopoli, Urquhart si era recato segretamente in Circassia, al fine di stabilire un primo contatto tra il governo britannico e il popolo delle montagne. I montanari circassi, rimasti impressionati dalla inaspettata visita di un emissario dell'impero britannico, offrirono a Urquhart il comando della guerriglia contro i russi, ribattezzandolo Daud Bey e dedicandogli una canzone, per rendere indelebile il ricordo dell'approdo alle loro rive di una moralità leggendarias 1 • L'impero russo aveva interrotto i traffici con le coste circasse: Anapa era la chiave commerciale e militare della Circassia e anche il suo centro amministrativo. Il commercio dei circassi era ormai estinto, perché con il trattato di Adrianopoli l'impero britannico aveva sacrificato alla Russia il Mar Nero, il Mar Caspio e il Caucaso. Mentre fino dall'epoca di Potemkin l'impero russo aveva compreso l'importanza geopolitica e geostrategica del Caucaso, imponendo un «sistema aggressivo», la politica delle potenze europee sembrava abbandonare al loro infausto destino i popoli caucasici. 10 David Urquhart, The Secret of Russia in the Caspian and Euxine. The Circassian War as Affecting the lnsurredion in Poland, Hardwickc, London 1863, p. 43. '' « Thc Portfolio». A Collection of State Papers and Other Documents and Correspondance, 1837, voi. V, p. 40.

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Anche se non potevano vantare titoli legittimi, i russi avevano instaurato il blocco navale in base al predominio della loro potenza e, per questo, evitavano di stipulare trattati con i circassi. Tuttavia, per Urquhart, anche se il dominio dell'impero russo fosse stato legittimo, l'impero britannico aveva il diritto di intrattenere relazioni commerciali con i circassi1 Nel 1836, «Portfolio» pubblicò la dichiarazione di indipendenza della Circassia indirizzata alle corti d'Europan: i circassi non si riconoscevano sudditi dell'impero russo e avevano ingaggiato con esso una guerra permanente e solitaria, perché non avevano ricevuto nessun incoraggiamento e nessun aiuto dalle potenze europee. Finché la Porta aveva mantenuto la supremazia su queste province caucasiche aveva provveduto alla loro difesa. Dopo il trattato di Adrianopoli, invece, la Turchia aveva tradito la Circassia e l'aveva abbandonata, aprendo le porte di Anapa ai russi. Tuttavia i circassi ricoprivano importanti cariche nell'ambito dell'impero ottomano e condividevano con esso la medesima fede, riconoscendo nel sultano il loro califfo. L'impero ottomano doveva cessare di intrattenere rapporti di amicizia con la Russia che non era l'unica potenza del mondo: le grandi potenze del globo erano l'Inghilterra e la Francia. Per giustificare il proprio dominio eslege, l'impero russo proiettava in Occidente una immagine falsa e distorta dei circassi, raffigurandoli come banditi selvaggi e pirati. L'impero russo avrebbe conquistato la Circassia non con le armi, ma escludendola da qualsiasi via di comunicazione. Al fine di raggiungere questo scopo, l'impero russo avrebbe reso impraticabile la navigazione marittima, avrebbe bloccato le coste, distruggendo non solo i vascelli circassi ma anche quelli altre nazioni. I russi, inoltre, negavano ai circassi di scambiare i loro prodotti sul mercato internazionale, al fine di ottenere sale e polvere da sparo. Respingendo ogni trattativa con l'impero russo sulla cessazione del conflitto e sullo scambio dei prigionieri, i circassi dichiaravano solennemente di fronte all'Europa la loro indipendenza. 2•

1' «Thc Ponfolio». A Col/ection of State Papers and Other Documents ami Correspondance, 1836, voi. I, pp. 370-394. I) lvi, pp. 187-195.

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In questo periodo Urquhart, primo segretario presso l'ambasciata britannica a Costantinopoli, aveva amici potenti come l'ambasciatore presso la Porta Lord Ponsoby e lo stesso re Guglielmo N. L'impero russo, esercitando una forma di sovranità pirata sulla Circassia, aveva imposto un rigoroso blocco navale sulle coste del Mar Nero, adducendo motivazioni che riguardavano la sanità pubblica e imponendo una quarantena a causa della pestilenza. Il blocco navale, tra l'altro, danneggiava il commercio britannico nel Caucaso, e Urquhart avversava la politica di Palmerston, perché troppo prona ai desiderata dell'impero russo. Al fine di costringere il governo britannico a intervenire, Urquhart si accordò con i suoi amici George e James Bell, di Glasgow e di Londra, per la spedizione della goletta Vixen. La George Bell and Company era conosciuta presso il ministero degli esteri, perché, nel corso degli anni, aveva insistentemente protestato contro gli ostacoli posti dai regolamenti russi sulla quarantena al commercio del Danubio. Prima della partenza della Vixen, George Bell cercò di ottenere dal ministero degli esteri una dichiarazione che attestasse l'illegalità del blocco delle coste circasse. Palmerston si rifiutò di avallare la spedizione e negò a Beli il diritto di ottenere una dichiarazione formale. Nel novembre del 1836, la goletta Vixen salpò, con un carico di sale, da Costantinopoli per attraccare al porto di Sudjuk Kale, all'estremo nord della costa circassa. Il 26 novembre del 18 36, il capitano di un brigantino russo bloccò la Vixen nel porto di Sudjuk Kale e il governo russo giustificò il sequestro della nave mercantile inglese, denunciando la presenza di agenti britannici che, oltre al sale, trasportavano anche un carico di armi destinato ai ribelli circassi: la Vixen non solo non praticava il libero commercio, ma era una nave pirata al servizio dell'Inghilterra. Il «Journal de Saint-Pétersbourg», dal 1825 organo semi-ufficiale del ministero degli esteri russo, giustificava le misure prese dalle autorità russe, perché la Vixen aveva commesso una grave infrazione contro i regolamenti sanitari e commerciali della Russia. Il «Joumal» aveva pubblicato un manifesto del governo imperialeH, nel quale si af14 « Thc Ponfolio». A Collection of State Papers and Other Documents arui Correspondance, 1837, voi. V, pp. 397-402.

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fermava che la confisca della Vixen era avvenuta ad opera del brigantino Ajaks, al comando del capitano Nikolaj Vul'fu, perché la goletta inglese era attraccata nel porto di Sudjuk Kale dove non esisteva né dogana, né quarantena. Dopo la cattura, il capitano della Vixen, Thomas Childs, e George Bell, proprietario del cargo, avevano dichiarato che lo scopo del loro viaggio era quello di commerciare con gli abitanti della costa e che trasportavano solo sale, la cui importazione era proibita espressamente dal dazio russo nei porti del Mar Nero e del Mar d'Azov. Tale confessione era la prova evidente che l'equipaggio della Vixen non solo aveva violato le regole sanitarie russe, ma si era anche macchiato del reato di contrabbando. La Vixen era stata immediatamente trasferita a Gelenzik, dove era arrivata il 28 novembre. Il contrammiraglio Esmant aveva istituito una commissione d'inchiesta, dalla cui indagine emergeva che la goletta inglese non trasportava solo sale, ma anche polvere da sparo, intrattenendo una sorta di comunicazione clandestina con gli abitanti della costa. La Vixen era stata, perciò, confiscata e inviata a Sebastopoli dove era giunta il 29 novembre. La goletta inglese era stata ribattezzata con il nome di Sudjuk Kale e inclusa nella flotta russa del Mar Nero: in un primo tempo fu usata come mezzo di trasporto, in seguito fu armata con dieci cannoni e fu utilizzata come nave da guerra. L'impero russo intendeva dare la più ampia pubblicità a questi giusti e severi provvedimenti, affinché fosse evidente anche all' opinione pubblica che l'impresa della Vixen era stata architettata da una visione criminale dei traffici marittimi. In base all'articolo IV del trattato di Adrianopoli, la costa del Mar Nero, dalla bocca del Kuban' al porto di San Nicola, era sotto il dominio dell'impero russo che aveva creato delle dogane e aveva imposto la quarantena nei porti di Anapa e di Redoubt Kali. Questi porti era aperti al regolare traffico mercantile di tutte le nazioni, che, invece, era espressamente escluso in quei porti o baie dove non c'erano dogane e dove non era stata imposta la quarantena. 11 Nel 1886, il figlio del comandante dcll'Ajaks, Pavel Vul'f pubblicò su «Morskoij Sbornik,. un articolo sull'affaire Vixcn. Sull'affaire Vixen considerato dal punto di vista russo cfr. N.V. Skrickij, Korsary Rossii, Ccntrpoligraf, Moskva 2007, pp. 207-215.

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Per gli inglesi, invece, il sequestro della Vixen era un oltraggio alla «bandiera commerciale» dell'impero britannicos6• «Portfolio» definiva mostruoso il documento con il quale il governo russo accusava la Vixen di pirateria. Il gesuitismo della politica estera russa evadeva la questione del riconoscimento dei diritti di belligeranza dei circassi: l'impero russo aveva assunto de facto il possesso della Circassia e non aveva il diritto di imporre quarantene e dogane. D'altro canto, con il Protocollo di Pietroburgo del 4 aprile del r 835, l'impero russo e l'impero britannico si erano solennemente impegnati a non incrementare le loro conquiste in Oriente, a non imporre sfere di influenza esclusive e a rispettare l'uguaglianza dei diritti di tutte nazioni, non favorendo solo il commercio dei loro sudditi. Tuttavia la Russia aveva continuato a espandersi e a imporre le proprie tariffe doganali in quei territori che appartenevano alla Turchia, delineando una sfera di influenza e ottenendo dei vantaggi nel commercio per i suoi sudditi, per cui l'Inghilterra e tutte altre nazioni si ritrovavano escluse. La Convenzione di Akkerman, sottoscritta il 7 ottobre del r 826 tra l'impero russo e l'impero ottomano, non riconosceva alla Russia il diritto di estendere i propri confini oltre il Kuban' e non poteva accampare nessun diritto sulla Circassia. Anche il trattato del 7 luglio 1827, siglato dall'Inghilterra, dalla Francia e dalla Russia, obbligava l'impero russo, in nome dei «sentimenti di umanità» e nell'interesse della «tranquillità dell'Europa», a non espandere il proprio territorio e a non imporre una influenza esclusiva, al fine di favorire i traffici commerciali dei propri sudditi a danno di quelli delle altre nazioni. Il sequestro della Vixen era, perciò, una flagrante e aggressiva violazione del diritto delle genti (law of nations) che andava considerata come «un atto di guerra aperta, o di pirateria» (an act of open war, or piracy ). Urquhart, che non solo aveva contribuito alla stesura della dichiarazione di indipendenza della Circassia ma aveva anche disegnato la bandiera circassas 7, voleva provocare, d'accordo

Ivi, pp. 403-435. Le dodici stelle disegnate sulla bandiera circassa simboleggiano le antiche comunità (le nove ad arco quelle aristocratiche, le altre tre quelle popolari), mentre il colore verde mare è il simbolo della libcnà. Con qualche variante, la bandiera disegnata da 1•

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con Ponsoby, una crisi in Oriente e accolse la confisca della Vixen come il prologo di un conflitto tra l'impero russo e l'impero britannico. L'affaire Vixen era diventato una cause célèbre e aveva mobilitato l'opinione pubblica e provocato un dibattito alla Camera dei Comuni, per cui Palmerston fu costretto a inviare una flotta nel Mar Nero. Inaugurando una sorta di diplomazia privata, Urquhart intensificò la sua controversia con Palmerston, che aveva anche mostrato una idiosincrasia per le rivelazioni sulla politica estera europea pubblicate da «Portfolio». La morte di Guglielmo N, nel 1837, impediva a Urquhart di continuare a essere un protetto della corona e le sue arrembanti campagne giornalistiche provocarono anche una frattura con Ponsoby, che lo definì un folle58• Il governo inglese non voleva trasformare l' affaire Vixen in un casus belli: sebbene non riconoscesse il dominio della Russia sulla Circassia, Palmerston accettò la tesi dell'appartenenza del porto di Sudjuk Kale al territorio russo. Tornato a Londra nel luglio del 1837, Urquhart, che aveva sperato in un tacito assenso del governo, si convinse che Palmerston era un traditore, probabilmente un agente al servizio del governo russo. James Stanilaus Bell, uno dei protagonisti dell'impresa della Vixen, definiva la politica inglese nel Caucaso un suicidio politico, una sorta immolazione sull'altare del servilismo, mentre il fato dell'impero britannico consisteva nel contrastare quello russo. Quando la Vixen aveva attraccato, Sudjuk Kale era in rovina e abbandonata già da un quarantennio e i russi non potevano rivendicare quella sovranità che le era stata riconosciuta dal governo britannico: il porto di Sudjuk Kale era de facto, ma non di diritto, in possesso dei russi che continuavano a sequestrare le navi inglesi. Bell giustificava la spedizione della Vixen come Urquhart è stata adottata nel 1992 dalla Repubblica di Adygcja che fa parte della Federazione Russa. 11 Sui complessi e intricati rapporti tra Urquhart, Ponsoby e Palrncston dr. Gcorgc H. Bolsovcr, David Urquhart and the Eastem Questùm 1833-183 7. A Study in Publicity and Dipfumacy, «Thc Joumal of Modem History•, 8, 4, Dcccrnbcr 1936, pp. 444-467; Charlcs Wcbstcr, Urquhart, Ponsobyand Palmerston, «Thc English Historical Rcvicw•, 62, 44,July 1947, pp. 327-351; P. Brock, The Fall of Circassia. A Study in Private Diplomacy, «Thc English Historical Rcvicw,., 71,280, July 1956, pp. 401-427.

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un atto di giustizia che avrebbe potuto impedire il procedere di una guerra crudele e barbara scatenata dalla Russia contro la Circassia. Sebbene i russi avessero tentato di aprire una colonia agricola vicino Anapa, nel tentativo di instaurare rapporti più pacifici con i nativi, la Circassia era stata rapita dall'impero russo che non solo non riusciva a conquistare il paese, ma suscitava l'odio e la valorosa resistenza dei montanari. Come aveva potuto constatare lo stesso Bell, la devozione del popolo circasso era rivolta a Urquhart, conosciuto con il suo nom de guerre Daud-Bey, che aveva tentato di unire le forze delle riverse tribù sotto l'egida di un governos9. Sebbene fosse diventato il capro espiatorio dell'affaire Vixen, Bell decise di tornare di nuovo in Circassia nella primavera del 1837 con una spedizione organizzata insieme a James Longworth, un inviato speciale del «Times», giornale che sosteneva la causa dei circassi e che raccontò, in tutti i suoi dettagli, la storia delle mirabili avventure di Bell, di Longworth e degli eroici sforzi dei circassi per resistere alla illegittima dominazione russa. Longworth attribuiva a Urquhart-Daud Bey il merito di avere suscitato tra i circassi una sorta di rivoluzione delle idee, inaugurando un'era nella quale la Circassia poteva essere inclusa nei destini dell'intero Oriente. L'avventura della Vixen avrebbe dovuto indurre il governo inglese a innalzare un blocco navale contro la flotta dell'impero russo e al riconoscimento dell'indipendenza della Circassia6o. Il comandante dell'esercito russo nel Caucaso, il generale Aleksej Vel'jaminov, il 28 maggio del 1837 aveva inviato una missiva ai circassi, affermando che essi non possedevano la sovranità del territorio che andava dal Mar Caspio ad Anapa, per questo erano considerati dei pirati invasori delle terre russe. Al fine di trovare una soluzione pacifica, i circassi avrebbero dovuto riconoscere l'autorità di un principe nominato dai russi. Gli inglesi, che fomentavano la rivolta, erano definiti da Vel'jaminov dei filibustieri impostori che volevano impossessarsi della "Jamcs S. Bcll,Joumalof a Residence in Circassia during the Years 1837, 1838 and 1839, Moxon, London 1840, voi. I, p. 199•

.. J.

A. Longworth, A Year among the Circassians, Colbum, London 1840, voi. I,

PP· I 17-118.

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Circassia. I circassi avrebbero dovuto interrompere qualsiasi comunicazione con l'impero britannico e la Francia e accettare supinamente di diventare sudditi dello zar. Gli inglesi potevano essere dei bravi tecnici e artigiani, ma gli arcana imperii dimoravano solo nell'impero russo che nessuna potenza aveva sconfitto; esistevano solo due poteri: Dio in cielo e lo Zar sulla terra. I circassi avevano risposto, nel medesimo giorno, alla missiva di Vel'jaminov, affermando che essi avevano combattuto per dieci anni contro i russi senza avere alleati. Il governo britannico era stato il primo ad offrire loro un sostegno, dimostrando che, tra tutte le nazioni della terra, l'Inghilterra era la più potente. L'impero britannico, fedele amico dei musulmani, non avrebbe tradito la causa circassa e in, consonanza con i desiderata dell'Inghilterra, i circassi chiedevano che i porti del Mar Nero fossero riaperti al traffico internazionale e che le fortificazioni e le dogane russe fossero rimossé'. L'Islam, per Longworth, era fondamentale dal punto di vista politico, perché, da mare a mare, costituiva un bastione contro le usurpazioni della Russia. Longworth valutava positivamente l'influsso dell'Islam e non condivideva l'idea di Bell di formare una legione di disertori polacchi, perché tra i polacchi e i circassi esistevano delle differenze radicali, soprattutto per quanto atteneva alla religione. Inoltre, se i polacchi fossero stati dotati di armi, si sarebbero ribellati ai circassi che li avevano tenuti in cattività. L'affaire Vixen dimostrava che attraverso la guerra corsara, in consonanza con la guerra partigiana dei montanari, si poteva infliggere un duro colpo al domino russo in Oriente. Al fine di impedire queste incursioni corsare, la Russia manteneva da anni un blocco navale che si estendeva a tutte le coste del Mar Nero e aveva profuso sangue e denaro per erigere delle fortificazioni. Tuttavia tali misure sembravano votate al fallimento, perché i mercanti turchi eludevano le navi russe e riuscivano a trascinarsi a riva nonostante fosse stato elevato un sistema di fortificazioni. Sebbene la Russia intendesse impedire qualsiasi comunicazione marittima, prevaleva l'alleanza tra i musulmani

'' lvi, pp. 161-163.

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turchi e circassi, definiti da Longworth gli «uomini più liberi di tutto il mondo»62 • Tuttavia, come constatava con amarezza James Bell, nel Caucaso la Russia aveva instaurato una ferrea tirannia e i circassi, nel loro letto di Procuste, dovevano subire le angherie inflitte loro da un'Idra gigantesca63. Nella sua guerra santa e giusta contro l'impero russo e Palmerston, Urquhart ebbe un alleato d'eccezione: Karl Marx. Secondo il socialista inglese Henry Mayer Hyndman, la smodata russofobia di Marx era accresciuta dall'odio per la persecuzione degli ebrei in Russia: quest'odio esagerato spingeva Marx ad accettare le idee di Urquhart sulla Russia, con una mancanza di verifica diretta che stupiva in un «uomo dall'intelletto tanto critico»64• In un articolo pubblicato il 19 dicembre 1853 su «Die Reform», Marx affermava che nella maniacale russofobia del cavaliere errante vittoriano c'era del metodo, perché rivelava un «acume monomaniaco»65 • Tuttavia Marx ironizzava sull'ossessione preferita di Urquhart: per il romantico Highlander66, la Russia era il demiurgo segreto della rivoluzione europea del 1848; l'unico katechon, l'unica forza frenante capace di arrestare la simultanea avanzata dell'impero russo e della rivoluzione in Europa era un sistema conservatore, nell'ambito del quale la controforza era l'impero asburgico. Per Marx, invece, la Russia era capace di approfittare degli eventi volgendoli a proprio favore, ma non aveva il potere di crearli. Urquhart, fondatore dei comitati per la politica estera67 (quale tentativo di coinvolgere le masse proletarie nella restaurazione del diritto delle genti violato dalla politica di usurpazione della Russia e dei suoi complici e primo esperimento di nazionalizzazione delle masse), era considerato da Marx una potenza temuta dalla Russia, l'unico per-

•• Longworth, A Year among the Circassians cit., voi. Il, p. 91. •i Bcll,Joumal ofa Residence in Circassia during the Yean 1837, 1838 and 1839 cit., voi. Il, p. 211. '+ Cfr. Hcnry M. Hyndman, The Records of an Adventurous Life, Garland, New

York 1984. 61 Karl Marx,David Urquhart, in Karl Marx-Fricdrich Engds Gesamtausgabe. Werke Artikel Entwurfejanuar bis dezember 1853. Text, Dictz, Bcrlin 1984, B. 12, pp. 632-6:n. 66 Karl Marx, The Eastem Question, Kclly, New York 1969, p.24. 67 Robinson, David Urquhart cit., pp. 105-140.

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sonaggio ufficiale in Inghilterra che aveva il coraggio di organizzare una battuta di caccia contro il phantom-idol della Public Opinion. Il partito urquhartista, nonostante il suo romanticismo gotico e il suo odio fanatico per la rivoluzione francese, era, per Marx, estremamente liberale, anche se mascherava il proprio ideale individualista con costumi antiquati. Gli urquhartisti avevano il pregio di essere ben informati in politica estera (avendo accesso ai documenti diplomatici) e perseguivano un fine ben determinato: la lotta contro la Russia, combattendo a morte anche contro il governo inglese, che era il «pilastro principale» della diplomazia russa. Per giustificare la relazione pericolosa con il reazionario Urquhart, il rivoluzionario Marx adduceva due motivi: la collaborazione con i giornali del cavaliere errante turcofilo era vantaggiosa dal «punto di vista pecuniario»; il partito urquhartista era il principale alleato nella guerra che la Hochschule marxista esule a Londra conduceva contro la Russia, Palmerston e Napoleone III e alla quale partecipavano «tutti i partiti e ceti in tutte le capitali d'Europa, fino a Costantinopoli»68 • Questa internazionale russofoba, che aveva forgiato un'esoterica geopolitica della catastrofe basata sull'idea di minaccia russa, poteva essere un' utile arma nella guerra imagologica combattuta nell'ambito dell'Internazionale dei Lavoratori (fondata il 28 settembre 1864), che, al di là della retorica sulla fratellanza e sull'unione delle forze proletarie europee, fu il terreno di scontro tra etnocentrismi rivoluzionari concorrenti. Marx condivideva con Urquhart l'esecrazione della politica di Lord Palmerston, considerata troppo acquiescente nei confronti della Russia. Marx partecipò attivamente alla controversia sulla figura e sulla politica di Palmerston, che tentava di affascinare l'opinione pubblica inglese autoglorificandosi per i servizi resi alla causa della libertà costituzionale in tutta Europa. Palmerston aveva inventato i regni costituzionali del Portogallo, della Spagna e della Grecia, che, in realtà, erano dei «fantasmi politici» comparabili solo con l'homunculus di Wagner nel

"Or. Lettera di Marx a Lassalle, 2 giugno 186o, in Karl Marx, Fricdrich Engcls, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1973, pp. 596-598.

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Faust di Goethe. La questione d'Oriente dimostrava, invece, che Palmerston era una sorta di paggio d'onore della politica estera dell'impero russo. A tal proposito, Marx citava il sostegno profuso da Palmerston al trattato di U nkiar Skelessi: di fronte alla Camera dei Comuni, il ministro degli esteri aveva affermato che il trattato si basava sul principio di reciprocità; nell'eventualità di un conflitto, la chiusura dei Dardanelli sarebbe valsa non solo per impero britannico, ma anche per l'impero russo. Tuttavia la parola «onore» non era inclusa nel vocabolario russo: i russi, infatti, consideravano l'onore una chimera francese. Dal canto suo, invece, U rquhart aveva tentato di salvare l'onore dell'impero britannico e di quello ottomano, proponendo che si siglasse tra loro un trattato commerciale che sarebbe stato molto vantaggioso per gli inglesi e avrebbe consentito alla Turchia di sviluppare adeguatamente le sue risorse produttive. Tuttavia Palmerston aveva falsificato il trattato e aveva fissato dei daz~ mentre nella sua stesura originaria il trattato estendeva il beneficio del libero commercio ai prodotti e alle navi turche. Tale falsificazione aveva indotto alcuni mercanti inglesi a chiedere la protezione delle aziende russe. L'affaire della Vixen era, perciò, emblematico, perché, secondo Marx, il sequestro della goletta inglese sembrava offrire a Lord Palmerston la grande occasione per dimostrare che la sua politica estera era decisamente orientata verso la protezione dell'onore della bandiera britannica e degli interessi del commercio inglese. Il sequestro della Vixen poneva, inoltre, in evidenza la questione dell'indipendenza della Circassia. La crisi provocata dall'affaire Vixen rivelava l'ambivalenza della politica di potenza russa: da una parte, proclamando il blocco navale, la Russia mostrava di considerare la Circassia un paese straniero ostile; d'altro canto, però, stabilendo dei regolamenti doganali, trattava il territorio circasso come una colonia russa. Marx affermava che la questione dell'indipendenza della Circassia e la questione della libera navigazione nel Mar Nero, quale protezione del commercio britannico, erano coinciden~ per cui la Russia aveva commesso contro una nave mercantile inglese, la Vixen, an insolent act ofpiracf'. ., Karl Marx, Secret Diplomatic H istory ofthe Eighteenth Century and The Story of the Life of lord Palmerston, Lawrcncc and Wishan, London 1969, pp. 225-227.

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L'ambivalenza della politica estera russa si rifletteva anche in quella di Lord Palmeston: mentre nelle lettere indirizzate a Bell, il ministro degli esteri negava il diritto della Russia di bloccare le coste circasse, nei suoi discorsi pubblici mostrava il desiderio di indurre la Camera dei Comuni a desumere che l'impero russo aveva il possesso della Circassia. Finché Guglielmo IV era in vita, Lord Palmerston non aveva impartito nessun contrordine riguardo alla spedizione della Vixen: la riprova era anche la pubblicazione della dichiarazione di indipendenza della Circassia su «Porfolio». Con l'ascesa al trono della regina Vittoria, Palmerston dichiarava che, per quanto riguardava l' affaire Vixen, la Russia aveva fornito delle spiegazioni sulla sua condotta che il governo britannico riteneva soddisfacenti: la goletta non era stata sequestrata a causa del blocco, ma perché aveva contravvenuto ai regolamenti municipali e doganali russi. Tuttavia l' opposizione parlamentare in Inghilterra, espressione della storia a voce aperta, il silenzio ostile dei montanari e il conflitto armato dimostravano che il Caucaso non apparteneva all'impero russo, come aveva affermato il conte Nessel'rode, ministro degli esteri russo, e come aveva echeggiato il suo paggio d'onore Lord Palmerston70• In consonanza con Marx, Urquhart sosteneva che la cattura della Vixen era un evento che i russi avevano pianificato per scoraggiare ulteriori imprese mercantili nel Mar Nero. Accogliendo le istanze della Russia riguardo ai regolamenti doganali poste non da un tribunale legale ma da una commissione di inchiesta della marina russa, il governo britannico aveva accettato de f acto l'occupazione russa della Circassia. La Russia aveva, perciò, esercitato un atto di pirateria con la connivenza del governo britannico. L'impero russo appariva a Urquhart come un grande Stato europeo sleale, spietato e piratesco che impiegava truppe di mercenari, abietti e codardi, per combattere contro quei popoli che, come quello circasso, rivolgevano coraggiosamente le loro armi contro la tirannia russa per affermare la loro libertà7 '.

"'lvi, p. 233. 7 ' Urquhan, The Secret of Russia in the Caspian and Euxme cit. p. 26.

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4. Splendori e miserie del Sea Power russo. Lo jus inter potestates e la pirateria

La Russia era la sola potenza sovversiva ed eslege in Europa, che utilizzava ai propri fini il «potere tremendo» della Diplomazia. Urquhart trasformava una questione politico-diplomatica in una questione teologica, mentre per Marx era necessario trasformare le «questioni teologiche in questioni politiche». Quale disvelatore dei segreti della history in action, Marx inaugurò una battuta di caccia contro gli idoli-fantasma forgiati dalla diplomazia e dall'opinione pubblica utilizzando come arma la dottrina esoterica di Urquhart. In Revelations of the Diplomatic History of the 18th Century, autentico feuilleton gotico, Marx affermava che l'Europa si era sottomessa, come ad una fatalità, al fantasma di potenza della Russia: lo «spettro del nord» era comparso nel periodo gotico della storia russa. Diversamente da quanto affermavano gli storici russi e Fallmerayer, lo Stato russo non aveva avuto origine dalla conquista normanna. La culla della Moscovia non era la rude gloria dell'epoca normanna, ma il «pantano insanguinato» della schiavitù mongola: l'impero russo era, perciò, una metamorfosi della Moscovia che si era formata alla «terribile e abietta scuola» dell'orda mongola. Ribellandosi contro il giogo mongolo, Ivan III non aveva inventato nulla, ma si era limitato a imitare l'orda tartara: l'orda tartaro-moscovita aveva usurpato il retaggio di Bisanzio, occultando lo stigma della schiavitù mongola sotto il «mantello dei Porfirogeniti». Pietro il Grande, secondo Marx, non aveva europeizzato la Russia, ma aveva elevato a dottrina teologico-politica il «vecchio metodo moscovita di usurpazione» che era diventato un «sistema universale di aggressione». L'unica metamorfosi della Russia era di carattere geopolitico: Pietro il Grande era stato costretto a civilizzare il suo impero per trasformarlo da una potenza continentale a una potenza marittima. La conquista del Mar d'Azov nella prima guerra con la Turchia, la conquista del Mar Baltico nella guerra contro la Svezia, la conquista del Mar Nero nella seconda guerra contro la Porta e la conquista del Mar Caspio con il «fraudolento intervento» in Persia potevano essere considerate gli stadi progressivi di questa metamorfosi. Per un sistema di invasione locale, la

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terra era sufficiente; per un sistema di «aggressione universale», il mare diventava indispensabile. La volontà sovrana di Pietro il Grande aveva decretato la conversione della Moscovia da paese integralmente terragno in sea-bordering empire. Il risveglio della diplomazia russa nel XVIII secolo era stato suscitato dall'audace sintesi tra il metodo di invasione degli schiavi dei mongoli e la spiccata propensione dei padroni mongoli a conquistare il mondo. Quale eccentric centre, Pietroburgo era l'incarnazione di questa metamorfosi: diversamente da Algarotti, Marx non considerava la nuova capitale dell'impero russo una finestra sull'Europa, ma una sfida lanciata all'Europa e un incentivo per ulteriori conquiste. Nel XIX secolo, le fortificazioni russe in Polonia testimoniavano l'esecuzione di questa idea: tali fortificazioni, infatti, non erano solo delle cittadelle per tenere sotto controllo un paese ribelle, ma, come Pietroburgo, costituivano una minaccia per l'Occidente. Tali fortificazioni avevano trasformato la Russia in Panslavonia, così come le province baltiche avevano trasformato la Moscovia nell'impero russo. Pietroburgo, centro eccentrico, era solo la sede del governo imperiale e non era l'emblema dell'identità russa, perché non era stata edificata dalla lenta opera di un popolo, ma dalla «istantanea creazione» di un despota. Collocata nell'estremità marittima, Pietroburgo non era il nucleo del tradizionale sviluppo nazionale russo, ma era stata scelta deliberatamente come dimora di un «intrigo cosmopolita». Ponendo la capitale nell'estremo limes marittimo, Pietro il Grande, secondo Marx, aveva lanciato una sfida agli «istinti anti-marittimi» dei russ~ degradandoli a mero fardello nel suo complesso meccanismo politico. Gli zar moscoviti, al fine di compiere le loro invasioni terragne, avevano tartarizzato la Moscovia; Pietro il Grande, invece, era stato obbligato a civilizzare la Russia, al fine di creare un impero illimitato e universale mosso da un impulso dinamico che gli consentiva di espandersi sia in Occidente, sia in Oriente. La nuova capitale dell'impero attestava che la Russia non era più un entroterra continentale semi-asiatico, ma una grande potenza marittima che aveva instaurato un'alleanza con l'Inghilterra in nome degli interessi coincidenti. A partire dal XVIII secolo, l'Inghilterra era stata uno strumento del politica estera russa, combinando tra loro, in una

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eteroclita sintesi, il «machiavellismo mercantile» e il Russianism72. Nel XIX secolo il Russianism era diventato una patologica Philo-Russian mania: Lord Palmerston, l'artista delle crisi internazionali, era a capo di un dissennato Circolo Pickwick al servizio dell'usurpazione russan. Sebbene la pubblicistica militare inglese considerasse l'impero russo un inland power e non un naval power74, la metamodosi della Russia come impero marittimo poneva il Great Game al di là della tradizione contrapposizione elementare tra terra e mare, tra l'orso e la balena, tra Behemoth e Leviathan7s: la questione d'Oriente e il Great Game, infatti, dovevano essere considerati nella prospettiva del confronto tra due potenze marittime. Dal trattato di Passarowitz del 1718 alla guerra di Crimea, il sea power russo era emerso nel Mar Nero, stabilendo un equilibrio con le forze navali ottomane. L'equilibrio di potenza marittimo tra l'impero russo e l'impero ottomano era il crucial pivot della politica estera russa nell'ambito della questione d'Oriente76. Collocando il Great Game nella prospettiva della riflessione sul sea power, Mahan sosteneva che al centro del confronto tra l'impero russo e l'impero britannico si ponevano sia la questione della potenza militare e navale, sia la questione degli scambi commerciali. Il mare diventava un centro di influenza politica e base per operazioni militari; lo stesso land power si modificava in prossimità del mare. La Russia, secondo Mahan, si trovava in una posizione svantaggiosa che non favoriva l'accumulazione delle ricchezze dell'impero ed era carente nel garantire il benessere del popolo. L'insoddisfazione assumeva la forma dell'aggressione: la politica estera russa, infatti, rifletteva la realtà degli evidenti bisogni dell'impero, che era alla base dell'irrequietezza nella penetra-

Marx, Secret Diplomatic History of the Eighteenth Century cit., pp. 122-127. lvi, pp. 167-232. 7• Cfr. Gcorgc Dc Lacy Evans, On the Designs ofRussia, Murray, London 1828, p. 5411 Nel XIX secolo, come rileva Cari Schmin, era consuetudine raffigurare la contrapposizione tra la Russia e l'Inghilterra come una lotta tra un orso e una balena. La balena raffigura il grande pesce mitico, il Leviatano, e l'orso inteso come una delle metamorfosi di Bchcmotn. C. Schmitt, Terra e mare, Adclphi, Milano 2002, pp. 18-19. ""Cfr.JohnC. K. Daly,RussianSea Powerand the Eastem Question 1827-41, Macmillan, London 1991, p. VIII. 7'

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zione dell'Asia. Solo una piccola e influente parte del territorio dell'impero russo godeva dei benefici del commercio marittimo. L'interesse primario della Russia era quello di acquisire il possesso e il controllo o l'usufrutto di altre ed estese regioni marittime, dalle quali dipendeva la prosperità dell'impero. Per questo la Russia era indotta ad escludere gli altri Stati e commetteva il deplorevole errore di considerare gli interessi in conflitto come base per la contrapposizione e per l'ostilità nei confronti di un'altra potenza. L'interesse della Russia era condensato nella ricerca di un accesso al mare più esteso e libero possibile e tale spasmodica ricerca aveva i seguenti orientamenti: a Oriente la costa della Cina, a Occidente il Golfo Persico e il Mediterraneo: il Mar Nero era un accesso all'Asia Minore. Dal canto suo, l'impero britannico poteva imporre il proprio predominio sul Levante solo acquisendo il bacino del Mar Nero che avrebbe dovuto trasformarsi in una fortezza marittima inespugnabile. Al fine di contrastare il predominio russo, quale land power, era necessario, per Mahan, stabilire una sorta di balance ofpower, anche perché la preponderanza russa era determinata da condizioni materiali e da alleanze che corrispondevano all'interesse nazionale. Il Great Game confermava la crucialità del sea power e del commercio marittimo: l'impero del mare era sinonimo di impero del mondon. Mahan18 traeva l'idea di sea power, quale scaturigine di una contesa tra potenze che non riguarda solo quelle rivalità che possono sfociare in una guerra ma anche il commercio marittimo e la strategia dell'annichilimento, dalla codificazione dell' arte della guerra di Antoine-Henry Jomini, tra l'altro precettore e consigliere militare di Nicola I. Jomini affermava che il Great Game era un confronto tra due potenze marittime che volevano circoscrivere le calamità della guerra, scegliendo come teatro di una lotta di puro prestigio l'Asia centrale e tentando di garantire

11 Alfrcd T. Mahan, The Problem of Asiaand Its Effect upon lntemational Policies, Littlc-Brown, Boston 1900, pp. 52-53. 71 Alfrcd T. Mahan, The Influence of Sea Power upon History 166 di pirateria, in C. Schmitt, Posizioni e concetti in letta con Weimar-Ginewa-Versailles 1923-1939, Giuffré, Milano 2007,pp. 399 sg. ,, Cari Schmitt,Der Nomosder Erde im Volkerrecht desjus Publicum Europaeum, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1950; trad. it. Il Nomos della terra nel diritw internazionale dello «Jus Publicum Europaeum», Adclphi, Milano 2oo6, pp. 210 sgg. nonché Id., Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung, Rcclam, Lcipzig 1942; trad. it. Terra e mare. Una riflessione sulla storia clel mondo, Adclphi, Milano 2002, pp. 42 sgg. ') Policantc, The Pyrate Mith cit., p. XX. '+ Bollati, L'italiano cit., p. 120.

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tilità e moralità, missione civilizzatrice e puro spirito di conquista, fratellanza dei popoli e dominio razzista sono difficilmente districabili (talvolta nella stessa persona) nelle motivazioni addotte a sostegno dei primi esperimenti di colonizzazione»6s. La grezza e ridondante trama dell'esotismo piratico salgariano riflette la consapevolezza del rilievo epocale della colonizzazione italiana e, insieme, le contraddizioni e le ambiguità che segnarono quella esperienza. Salgari non fu un cantore della colonizzazione al pari di Kipling, né, come Conrad, un esploratore del suo "cuore di tenebra"66• Nel suo «piccolo grande stile»67 e stipulando con il suo uditorio una sorta di «patto di semplificazione»68, Salgari allestisce per un'Italia sempre più "Grande Proletaria" un intrattenimento funzionale a creare consenso attorno alle conquiste coloniali, offrendo di quei mondi un'immagine addomesticata, al contempo naif e coerente. Le sue malinconie passatiste e il suo timoroso antimodernismo riflettono i limiti e le debolezze dell'identità civica del giovane Stato unitario, le carenze e le ambiguità delle sue dirigenze, l'inconsistenza dei princìpi di riferimento di quelle élites e del loro moderatismo, assunto a «modalità di governo a fronte di una condizione di ritardo»½ in modo da compensare una strutturale fragilità con una mescola di espedienti compromissori e tentazioni di scorciatoie autoritarie.

4. Il Salgari letto da giovani. Il felice anacronismo di una repubblica di pirati

Nelle pagine che precedono, si è guardato alla narrativa salgariana per la sua capacità di mostrare talune debolezze del liberalismo italiano e del suo progetto coloniale. Tuttavia, i pirati

•J

Ibid.

Cfr. Said, Cuhura e imperialismo cit., pp. 44 sgg. e pp. 1 57 sgg. Claudio Magris, Salgari: il piccolo grande stile, in Id., Scri-oere l'a'O'Oentura cit., PP· i41 sgg. 61 Travcrsctti, Introduzione cit., pp. 37 sg. ., David Bidussa, Ricordando, in Bollati, L 'ualiano cit., p. Xli. 66

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e i corsari di Salgari hanno riscosso un largo e duraturo successo tra le successive generazioni di giovani lettori, e ancora oggi circolano riedizioni, riduzioni e adattamenti televisivi delle sue opere destinate al pubblico più giovane. Questa perdurante fortuna suggerisce, forse, una differente chiave di lettura di quei romanzi, ancora una volta attraverso il prisma di una letteratura di genere, che ne rivela un più felice anacronismo. Il segno delle giovanili letture salgariane si ritrova, ad esempio in Cesare Pavese, che in una sua poesia dedicata all'emigrazione(/ mari del sud, 1931) ricorda: «Oh da quando ho giocato ai pirati malesi, / quanto tempo è trascorso». Un anno dopo, Gramsci- che, come accennato, aveva tenuto fuori quei pirati e corsari dalle sue riflessioni sulla letteratura popolare e i suoi superuomini - torna a soffermarsi su quel giovanile immaginario piratico in una lettera alla madre del 12 settembr&", in cui scrive: Ricordo benissimo il cortile, dove giocavo con Luciano e la vasca dove facevo manovrare le mie grandi flotte di carta, di canna, di ferula e di sughero, distruggendole poi a colpi di schizzaloru. Ricordi quanta fosse la mia abilità nel riprodurre dalle illustrazioni i grandi vascelli a vela e come conoscessi tutto il linguaggio marinaresco? Parlavo sempre di brigantini, sciabecchi, tre alberi, schooners, di bastingaggi e di vele di pappafico, conoscevo tutte le fasi delle battaglie navali del Corsaro Rosso e dei Tigrotti di Mompraccm, ccc. Mi dispiaceva solo che Luciano possedesse una semplice robusta barchetta di latta pesante che in quattro movimenti affondava e speronava i miei più elaborati galeoni con tutta la complicata attrezzatura di ponti e di vele. Tuttavia ero molto orgoglioso della mia capacità costruttiva, e quando il tolaio che aveva la bottega nell'angolo dove incominciavano le case basse verso la chiesa, mi pregò di fargli un modello di grande veliero da riprodurre in latta in serie, fui proprio orgoglioso di collaborare come ingegnere a tanta industria.

Oltre a Pavese, a Gramsci e al tema musicale di C'eravamo tanto amati (1974) richiamato nel titolo di questo lavoro, tra i più recenti tributi al Salgari letto da giovani si può ricordare il

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Antonio Gramsci., Leuere dal carcere, Einaudi, Torino 1974, p. 241.

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pastiche di Paco Ignacio Taibo II, Ritornano le tigri della Malesia, nato dalla «passione infantile per il maestro della narrativa d'azione», al quale l'autore imputa il suo «antimperialismo [...] che ha un sapore salgariano e non leninista» 7'. La Tigre della Malesia appare, come detto, nel 1883; nello stesso anno viene pubblicato in volume Pinocchio e, tre anni dopo, Cuore. Assieme a De Amicis - il più coerente sviluppatore del programma di pedagogia nazionale avviato in età crispina72 - e a Collodi- che pur dissacrando e rovesciando in parodia i valori che quella letteratura intendeva promuovere, non mancava certo della «petulanza pedagogica» tipica della coeva narrativa per l'infanzia73 - Salgari, che pure non si percepiva come uno scrittore per giovani 74, ha giocato un ruolo di primo piano nella letteratura italiana per ragazzi, offrendo con le sue storie di pirati un'alternativa al conformismo perbenista che permeava la letteratura giovanile del tardo liberalismo, della stagione fascista e del primo trentennio di vita repubblicana. Merita un richiamo a questo riguardo un passaggio di un Manuale di letteratura infantile del 19471s che, pur sconsigliando la lettura delle opere salgariane per la forma trasandata e scorretta, non mancava di riconoscere che [m]entre altri scrittori per la fanciullezza si proponevano esclusivamente di educarci, egli mirava soltanto a divertirci: la ruggine della pedagogia non gli aveva corrosa la penna e invece di costringerci, come facevano i suoi colleghi, a respirare l'aria viziata della scuola, apriva alla nostra sete di avventure la via libera degli oceani abbaglianti e delle foreste sterminate.

7 ' Paco lgnacio Taibo II, Ritornano le tigri della Malesia, Marco Tropea, Milano 2011,p. 7 cp. IO. 7 ' Cfr. ad es. Albcno Maria Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Latcrza, Roma-Bari 2011, pp. 56 sgg. e Marcello Fois, l'in'llenzione degli italiani. DO'lle ci porta Cuore, Einaudi, Torino 2021. 71 Pino Boero e Carmine. Dc Luca, La letteratura per l'infanzia, Latcl7.a, Roma-Bari 2009, pp. 53 sgg., anche per ulteriori indicazioni bibliografiche sull'opera collodiana. 7• Si v. Sergio Campailla, l'a'U'Uentura di Salgari, «Il caso Salgari» cit., pp. 23 sgg. Su Salgari scrittore per ragazzi, si veda inoltre Boero e Dc Luca, La letteratura per l'infanzia cit., pp. 65 sgg. "Olindo Giacobbe, Manuale di letteratura infantile. In appendice Bibliotechina tipo per le scuole elementari e per gli adolescenti, Angelo Signorelli, Roma 1947, p. 128.

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Si ritrovano in Salgari alcuni dei temi - la mistica del sacrificio, ad es. - caratterizzanti l'immaginario nazional-patriottico che animò il canone della letteratura per l'infanzia di età umbertina. Tuttavia, le sue opere finiscono per esprimere, forse anche al di là delle intenzioni dell'autore, una pedagogia assai diversa da quella di Edmondo De Amicis e Carlo Collodi, che con i loro rinsaviti enrichi e pinocchi egemonizzavano un progetto editoriale che si veniva sviluppando in quegli anni e che mirava a intrattenere ed educare i figli, in particolare maschi, di quelle emergenti piccole e medie borghesie, per le quali si allestivano dispositivi di integrazione nuovi: l'allargamento dell'istruzione, innanzitutto, ma anche una nuova editoria, fatta di collane e periodici destinata alle «giovani generazioni» e chiamata anch'essa a contribuire alla costruzione di una identità nazionale e di un consenso che consolidassero la base sociale e politica del giovane Stato. Salgari si sottrae, forse involontariamente, a quella mescola di conservatorismo, moralismo e arrivismo che caratterizzava quel progetto culturale e, più in generale, i meccanismi di costruzione dell'idea d'italiano del liberalismo italiano di fine Ottocento. La ricordata sfiducia nei confronti del progresso pone i suoi pirati al riparo dal positivismo ingenuo delle retoriche che permeavano la letteratura popolare dell'epoca, in cui la valorizzazione della tecnica e del progresso era funzionale alla legittimazione dei rapporti di produzione in atto e delle differenze di classe esistenti, indorandole con un po' di caritatevole benevolenza cristiana:>6. A differenza delle narrazioni programmaticamente orientate all'infanzia, le sue storie esotiche sono distanti da una serie di topoi - la patria, la chiesa, la casa come nido, il lavoro come fatto etico - funzionali a quella politica culturale posta a difesa del compromesso tra vecchi privilegi e nuovi interessi, «di quella storica alleanza tra piccola borghesia e forze dominanti parassitarie»77 cui lavorarono le classi dirigenti nazionali a cavallo tra Otto e Novecento. " Sulla presenza di queste retoriche di classe nella letteratura per l'infanzia di età umbertina, v. ad es. Boero e Dc Luca, La leueratura per l'infanzia cit., pp. 43 sgg. "Asor Rosa, La cultura cit., p. 838.

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Almeno fino agli anni Settanta del Novecento, Salgari è stato «divorato dai ragazzi e tollerato dai maestri» 78 e dagli studiosi di letteratura per l'infanzia, che non v'intravedevano alcuna «vibrazione formativa accettabile» 79, ma solo azione, «l'ardimento per l'ardimento»80, unita a una grande capacità di «esaltare la fantasia» 81 , e avvertivano che «[d]a certi ragazzi di psiche un po' torbida e di natura un po' turbolenta, quindi, è meglio tener lontani certi libri capaci di esaltarli pericolosamente. Agli altri, i più normali e sereni, consigliarli non è pedagogico: ma se essi ci si divertono e nulla più, si può chiuder un occhio, ogni tanto, e lasciarli in compagnia del loro beniamino»82 • A lungo, dunque, le avventure salgariane sono state oggetto di una sorta di scomunica pedagogica, vedendo un difetto in quello che, invece, appare un pregio di quelle storie, che continuano a invitare chi vi si accosta allo scatenamento puro, e niente affatto antipedagogico, dell'immaginazione. Come già Alice, Pollicino, Jim Hawkins, Tom Sawyer e Huckleberry Finn, così Sandokan, Yanez e Tremai Naik sono tra i pochi personaggi che continuano ad entrare in risonanza con quella sorta di moto perpetuo che anima i più giovani. A occhi giovanili, le storie salgariane di pirati ritrovano quella funzione sovversiva della letteratura, che sfida i pregiudizi e invita all'incontro e al rapporto con una alterità che oggi è qui e non in un esotico altrove83. Sandokan torna ad essere un ribelle e non un selvaggio addomesticato, Yanez è «il portavoce scanzonato e sorridente dell'Occidente non allineato»S. e non il «regolatore» di quel sei-

,. Ugo Zannoni, La letteratura per l'infanzia e per Li giuvinezza, L. Cappelli, Bologna 1931, p. 158. "Giovanni Bitelli, Scriuori e libri per i nostri ragazzi, Paravia, Torino 1968, p. 117. '° Piero Bargellini, Canto alle rondini, Vallccchi, Firenze 1954, p. 76. 11 Zannoni, La letteratura per l'infanzia cit., p. 15 8. "Maria Tibaldi Chiesa, Letteratura infantile, Garzanti, Milano 1945, p. 88. Su queste letture di Salgari, Antonio Faeti, La 'Valk de/Li Lma, in Bcseghi (a cura di), La 'Valle della Luna eit., pp. 2. sgg. 1l Su questa funzione della letteratura per ragazzi insiste ad es. Aidan Chambcrs, Siamo quello che leggiamo. Crescere tra leuura e letteratura, Equilibri, Modena 2.011, PP· 67sg. .. Paola Irene Galli Mastrodonato, 1883. La tigre della Malesia, in Andrea Giardina (a cura di), Storia mondiale dell'Italia, Laterza, Roma-Bari 2.017, p. 548.

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vaggio, i tigrotti sono una ciurma di tante provenienze sempre pronti a difendere quella repubblica di pirati che è Mompracem, «l'isola degli uomini liberi in un oceano di padroni e di schiavi» 85.

•• Taibo Il, Ritornano le tigri della Malesia cit., p. 348. Sulle comunità di pirati che tra il XVI e il XVII secolo sorsero nel Mediterraneo ncll' Atlantico come esperienze di democrazia radicale, cfr. ad es. Pctcr Lambom Wilson (Hakim Bcy), Pirate Utopias. Moorish Corsairs & Europcan Rcncgadcs, Autonomcdia, New York 1995; trad. it. Le repubbliche dei pirati. Corsari mori e rinnegati europei nel mediterraneo, ShaKc, Milano 2008; Pctcr Lincbaugh, Marcus Rcdikcr, The many-Headed Hydra. Sailors, Slaves, Commoners and the hidden History of the revob,tionary Atlantic, Bcacon Prcss, Boston 2ooo; trad. it. / ribelli de/l'Atlantico. La storia perduta di una utopia libertaria, Fcltrinclli, Milano, 2018; David Gracbcr, Les Pi:rates des Lumières ou la véritable histoire de Libertalia, tditions Libcrtalia, Montrcuil 2020; trad. it. L'utopia pirata di Libertalia, Elèuthcra, Milano 2021.

Schmitt, la pirateria e l'ordine internazionale. Sulla costruzione di un topos Luca Scuccimarra

I.

Il ritorno della «pirateria»

È difficile dare conto compiutamente della complessa vicenda novecentesca del discorso sulla «pirateria» senza approfondire lo specifico contributo ad essa offerto dalla produzione teorica di Carl Schmitt, in un arco temporale che dalla metà degli anni Trenta giunge sino alle sue più tarde integrazioni al «concetto del politico». È a questo discusso protagonista della storia intellettuale del XX secolo che si deve, infatti, la prima penetrante tematizzazione dell'inedito ruolo normativo - e del potenziato plusvalore ideologico - assunto da questa figura estrema del diritto del mare nel mutato contesto di relazioni giuridico-politiche prodotto a partire dai primi decenni del Novecento dalla trasformazione - tecnologica, ma non solo - delle tradizionali forme di belligeranza inter- e infra-statuali. Ed è proprio attraverso la sua personalissima elaborazione del tema che diviene possibile cogliere nel modo più chiaro l'indistricabile intreccio tra istanze critico-riflessive e immediate prese di posizione polemiche, raffinate linee di decostruzione concettuale e unilaterali strategie di auto-affermazione politica di cui in ultima istanza vive questa polarizzata linea del dibattito novecentesco - una dimensione, questa, non priva ancor oggi di perturbanti elementi di interesse, tenuto conto della penetrante influenza che il pensiero internazionalistico di Carl Schmitt - così come la sua specifica concezione della «pirateria» - continua ad esercitare nel pur variegato confronto teorico sugli assetti politici e giuridici della società globale.

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Come dimostra l'impianto stesso del saggio Der Begri,ff der Piraterie (1937)-il primo e per molti versi il più esplicito contributo schmittiano sul tema' - all'origine del suo interesse per quella che in seguito sarebbe stata definita la «piracy analogy» si ponevano eventi e processi rientranti nella più scottante attualità: nello specifico, la stipula del cosiddetto Accordo di Nyon in materia di guerra sottomarina}, un atto sottoscritto dai rappresentanti di nove Paesi europei- in primis Francia e Regno Unito - in risposta ai ripetuti attacchi nei confronti di navi mercantili in transito nel Mediterraneo da parte di sommergibili di «dubbia identit໕ che oggi sappiamo al servizio dell'Italia fascista e della Germania nazionalsocialista, le potenze più impegnate nel sostegno alle forze franchiste nell'ambito della guerra civile spagnola giunta al suo acmes. Nel preambolo di tale documento, i casi di affondamento di «navi mercantili non appartenenti a nessuna delle parti in lotta in Spagna» erano, infatti, esplicitamente 2

' Cari Schmitt, Der Begriff der Piraterie, «Volkcrbund und Volkcrrccht», 4. Jahrgang, Hcft 6-7,scptcmbcr-oktobcr 1937, pp. 351-354, poi in Id., Posilionen und Begriffe im Kampf gegen Weimar-Genf-Versailles. 1923-1939, Hanscat. Vcrl.-Anstalt, Hamburg-Handsbck 194o; ristampato senza modifiche Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1988. Il testo uscì in italiano, con il titolo Il concetto di •pirateria», «La vita italiana», XXVI, 1937, pp. 189-193, per essere poi ripubblicato nella raccolta L'unil4 del mondo e altri saggi, Pellicani, Roma 1994, pp. 181-186 e nella traduzione di Posilionen una Begriffe (Posizionieconceui inu,ua con Weimar-Ginevra-Versailles. 1923-1939,Giuffrè, Milano 2007, pp. 399-404), alla quale si farà per lo più riferimento in questa sede. • Per una recente messa a punto sul tema si veda Eugcnc Kontorovich, The Piracy Analogy: Modem Unwersal Jurisdiction's Hollow Foundatùm, «Harvard Intcmational Law Joumal», 45, 1, 2004, pp. 184-237. Per una sintetica ricostruzione delle radici del fenomeno, in riferimento anche ali' Accordo di Nyon, si veda il classico Alfred P. Rubin, The Law of Piracy, Naval WarCollcgc Press, Ncwpon 1988, in pan. pp. 292-298. J The Nyon Arrangement, 14 scptcmbcr 1937, in Dictrich Schindlcr, Jiri Toman, The Laws of Armed Conjlicts. A Collection of Conventions, Resolutions and Other Documents, Maninus Nijhoff Publishcr, Lcidcn-Boston 2004, pp. u49-u 52. Per una ricostruzione dei principali contenuti dcli' Accordo e delle circostanze della sua stipula si veda, sinteticamente, Philip Kunig, Johanncs van Aggclcn, Nyon Agreement (1937), in F. Lauchcnmann, R. Wolfrum (eds), The Law of Armed Conflict and the Use ofForce, The Max Planck Encyclopedia of Public lntemational Law, Oxford Univcrsity Prcss, Oxford-New York 2017, pp. 854 sgg. • Gcorgc A. Finch, Piracy in the M editerranean, «Thc Amcrican Joumal of Intcrnational Law», 31, 4, 1937, pp. 659-665, in pan. pp. 659 sg. 1 Willard C. Frank Jr, Polilico-Mililary deception at Sea in the Spanish cwil 'UJaT, 1936-39, «Intclligcncc and Narional Sccurity:-, 5, 3, 1990, pp. 84-1 u.

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stigmatizzati come «atti contrari ai più elementari principi di umanità (dictates of humanity)» e per ciò stesso assimilati a veri e propri «atti di pirateria»6, con le drastiche conseguenze da ciò derivanti quanto alle concrete modalità della loro repressione: «any submarine which attacks such a ship in a manner contrary to the rules of international law» - recitava, al proposito, l'art. 2 del testo - «shall be counter-attacked and, if possible, destroyed»; una forma immediata e indiscriminata di azione punitiva, che ai sensi del successivo articolo 3 avrebbe potuto essere legittimamente estesa «to any su bmarine encountered in the vicinity of a position where a ship not belonging to either of the conflicting Spanish parties has recently been attacked in violation of the rules referred to in the preceding paragraph in circumstances which give valid grounds for the belief that the submarine was guilty of the attack»7• L'Accordo di Nyon, oggetto principale della discussione schmittiana nel testo del 1937, non rappresentava, in verità, il primo caso di applicazione dell'analogia piratica al nascente, problematico, contesto della guerra sottomarina8• Al contrario, questo tipo di approccio era già stato variamente utilizzato dai governi occidentali nel corso della Prima Guerra mondiale per stigmatizzare il sistematico ricorso del Reich guglielmino alla nuova arma degli U-Boot come strumento di belligeranza ad ampio raggio, diretto a contrastare la supremazia della Gran Bretagna sulle rotte marittime internazionali,. Assolutamente • The Nyon Arrangement, Preamble, in Schindlcr, Toman, The Laws of Amied Conflicts cit., p. 1149: «[ ...] Thcsc attacks are violations of thc rulcs of intcmational law rcfcrrcd to in Part IV of tbc Trcaty of London of 22 Aprii 1930, witb rcgard to tbc sinking of mcrcbant sbips and consJitutc acts contrary to tbc most elcmcntary dictatcs of bumanity, wbicb sbould be junly trcatcd as acts of piracy». Il riferimento normativo è al Trattato per L, limitazione e L, rùluzione degli armamenti navali stipulato a Londra il 22 aprile 1930 e confermato nel Protocollo di Londra del 6 novembre 1936, su cui si veda, infra, p. 1 50. 1 The Nyon Arrangement, An. 3, in Scbindlcr, Toman, The Laws ofAmied Confticts cit., p. 11 50. 1 Scbmitt, Il concetto di pirateria, in Id., Posizioni e concetti cit., pp. 402 sgg. ' Lawrcncc Sondbaus, The Great War at Sea. A Naval History of the First World War, Cambridge U nivcrsity Prcss Cambridge 2014. Ma sul rappono esistente tra guerra sottomarina e la politica del «blocco navale» ampiamente praticata dalla Gran Bretagna per indebolire il tessuto produttivo del Reich si veda Lance E. Davis, Stanlcy L. Engcr-

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esemplificativo delle tonalità estreme raggiunte già nei primi mesi di guerra dalle esternazioni ufficiali sul tema può essere considerato il discorso tenuto il 15 febbraio 1915 da Winston Churchill, all'epoca First Lord of the Admiralty britannico: Wc are, it now appcars to be, thc objcct of a kind of warfarc which has ncvcr bcforc bccn practiscd by a civiliscd State. Thc scuttling and sinking at sight, without scarch or parlcy, of mcrchant ships by submarinc agcncy is a wholly novcl and unprcccdcntcd dcparturc. It is a state of things which no onc had cvcr contcmplatcd bcforc this War, and which would havc bccn univcrsally rcprobatcd and rcpudiatcd bcforc thc War. But it must not be supposcd bccausc thc attack is cxtraordinary that a good defcnce and a good rcply cannot be made.[ ...] Gcrmany cannot be allowed to adopt a systcm of open piracy and murdcr, or what has always hithcrto bccn callcd open piracy and murdcr on thc high scas, whilc rcmaining hcrsclf protcctcd by thc bulwark of intcmational instrumcnts which she has uttcrly rcpudiatcd and dcfied, and which wc, much to our detriment, have respectcd• 0•

Sulla scia delle drammatiche contingenze prodotte dalla spregiudicata condotta di guerra della marina del Reich - e si pensi solo all'affondamento del transatlantico britannico Lusitania, con il suo enorme costo in termini di vite umane - l' assimilazione di questo tipo di belligeranza ad una nuova e più barbarica forma di pirateria si sarebbe progressivamente diffusa anche dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, trovando un'eco

man, N,wal Blockades in Peace and War. An economie Hisrory since 1750, Cambridge Univcrsity Prcss, Cambridge 2006, pp. 159 sgg. •• Speech delivered by the Rt. Hon. Winston Churchill, First Lord ofthe Admiralty, on the 15th febmary, 1915, in Id., The Conduct of the War by Sea, Darling & Son, London 1915, pp. 11 sg. Ma sul punto si veda anche Speech deli'Vered by the Rt. Hon. H. H. Asquith, British Prime Minister, in the House of Commons on the 1st march 1915, ivi,pp. 16sgg.: «Thc War has bccn carricd on on thcir part [Gcrmany] with a systcmatic - not an impulsive or a casual - but a systcmatic violation of ali thc convcntions and practiccs by which intcmational agrccmcnt had sought to mitigate and rcgularisc thc clash of arms. Shc has now - I will not say rcachcd thc climax, for wc do not know what may yct be to come- but shc has takcn a furthcr stcp, without any prcccdcnt in history, by mobilising and organising, not on thc surfacc, but undcr thc surfacc of thc sca, a campaign of piracy and pillagc».

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indiretta negli stessi documenti ufficiali del Governo statunitense, a dispetto della sua ribadita neutralità". Essa avrebbe finito anzi per giocare un ruolo non irrilevante anche nella sofferta decisione americana di entrare in guerra a fianco delle potenze alleate12, come dimostra il celebre messaggio rivolto al Congresso dal Presidente Wilson il 2 aprile 1917, con il suo ripetuto, seppur implicito, riferimento alla assoluta illegittimità di una forma di belligeranza che, come un tempo la pirateria, rappresentava una dichiarazione di guerra all'umanità intera: Thc present Gcrman warfarc against commcrcc is a warfarc against mankind. lt is a war against ali nations. Amcrican sbips bave bccn sunk, Amcrican livcs takcn, in ways wbicb itbasstirrcd us vcrydccplyto lcam of, but tbc sbips and pcoplc of otbcr ncutral and fricndly nations bave bccn sunk and ovcrwbclmcd in tbc watcrs in tbc samc way. Thcrc bas bccn no discrimination. Thc cballcngc is to ali mankind. Eacb nation must decide for itsclf bow it will mcct it. [ ...] Wbcn I addrcsscd tbc Congrcss on tbc 26tb ofFcbruary last I tbougbt tbat itwould suffìcc to asscrt our neutra! rigbts witb arms, our rigbt to use tbc scas against unlawful intcrfcrcncc, our rigbt to kccp our pcoplc safc against unlawful violcncc. But armcd ncutrality, it

now appcars, is impracticablc. Bccausc submarincs are in cffcct outlaws

'' t il caso, questo della nota di protesta ufficiale per le vittime americane di quegli attacchi, presentata dall'Ambasciatore statunitcsc in Germania il 13 maggio 191 5, se è vero che nel dispaccio inviato dal Governo statunitense la scelta tedesca «of cmploying submarines in thc dcstruction of commcrcc» era stigmatiZ7.ata come «disrcgarding thosc rulcs of fairness, rcason, justicc, and humanity which ali modem opinion rcgards as imperative». Cfr. The Secretary of State u, the Ambassador in Germany (Cerarti), Washington, May 13, 1915, in Papers relating to the foreign relations of the United States, 1915, Supplcmcnt. Thc World War, pp. 393 sg. Nel dibattito pubblico non mancarono però prese di posizione ben più esplicite come quella dell'ex Presidente Thcodorc Roosevelt, per il quale l'affondamento del Lusitania rappresentava «not mcrely piracy but piracy on a vastcr scale of murdcr than any old-timc pirate cvcr practiccd». Cfr. Pctcr Buitcnhuis, The Great Warof Words. British, American and Canadian Propaganda and Fiction, 1914-1933, University of British Columbia Press, Vancouver 1987, p. 58. Per una ricognizione in tempo reale delle modalità di discussione del terna da pane dei giusinterna:r.ionalisti si veda, comunque, James Wilford Garner, lntematumal Law and the World War, Longmans, Greco& Co., London 1920, pp. 355-383. "M. Ryan Floyd, Abandoning American Neutrality. Woodrow Wilson and the Beginning of the Great War. August 1914 - December 1915, Palgrave MacMillan, New York 2013, in pan. pp. u 1 sgg.; Fabian Vicrbachcr, Der uneingeschriinkte U-bootkrieg und der Kriegseintritt der USA, Grin, Norderstcdt 2004.

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whcn uscd as thc Gcrman submarincs havc bccn uscd against mcrchant shipping, it is impossiblc to dcfcnd ships against thcir attacks as thc law of nations has assumcd that mcrchantmcn would dcfcnd thcmsclvcs against privatccrs or cruiscrs, visiblc craft giving chasc upon thc open sca•J.

Come è stato sottolineato, dietro il dibattito sulla «guerra sottomarina indiscriminata» si poneva in realtà una antica tradizione di diritto del mare che aveva trovato la sua più aggiornata espressione nelle disposizioni sullo status delle navi mercantili in tempo di guerra approvate dalla Conferenza dell' Aja del 1907 14• Rimasta sostanzialmente al di fuori delle complesse trattative politico-diplomatiche di Versailles'5, questa costellazione problematica avrebbe conosciuto una prima, formale, regolamentazione giusinternazionalistica già nel febbraio del 1922 con la stipula del Treaty relating to the Use of Submarines and Noxious Gases in Warfare, sottoscritto a Washington dalle potenze vincitrici del conflitto nell'ambito della omonima Conference on the Limitation ofArmament'6 • In quella occasio' 3 Woodrow Wilson, We must accept War. Message u, the Congress, Apri! 2, r9q, in Why We are at War. Messages u, tbe Congress January u, Apri[. r9q by Woodrow Wilson, President of the United States, with tbe President's proclamatùm of war Apri! 6, r9q and his message to the American people Aprii r5, r9q, Harper & Brothcrs Publishers, New York-London 1917. t interessante peraltro notare che nel discorso di Wilson il termine «pirati» è esplicitamente utilizzato solo una volta, in riferimento al rifiuto del governo del Rcich di considerare legittimo l'imbarco sulle navi mercantili americane di contingenti militari dotati di armamenti idonei a respingere eventuali attacchi in mare: «The Gcrman Govcrnmcnt denics thc right of ncutrals to use arms at all within the arcas of thc sca which it has proscribcd, cvcn in thc dcfensc of rights which no modem publicist has cvcr bcforc qucstioncd thcir right to dcfcnd. Thc intimation is convcycd that thc armcd guards which wc havc placcd on our mcrchant-ships will be trcatcd as bcyond thc pale of law and subjcct to be dcalt with as pirates would be». •• Cfr. Convention (VI) relating u, the Status of Enemy Merchant Ships al the Outbreak of Hostilities. Signed al The Hague, r8 October r907, in Schindlcr, Toman, The Laws of Armed Con/Jicts cit., pp. 1059-64. Per una sintetica ricognizione di questo aspetto del dibattito sulla bclligcran7.a sottomarina si veda Howard S. Lcvic, Submarine Warfare: with Emphasis on the r936 london Prorocol, «lntcmational Law Studics», 65, 1993; Richardj. Grunawalt (Ed.), Targeting Enemy Merchant Shipping, Naval War lntcrnational Law Studics, Voi. 65, Ncwport 1993, pp. 22-71, in part. pp. 36 sgg. '' Lcvic, Submarine Warfare cit., p. 41. •• Sulla Conferenza di Washington e i suoi controversi esiti si veda almeno Stcphcn Roskill, Naval Policy between Wars ( 1968), Vol I: The Period ofAnglo-American Antagonism, Scaforth Publishing, Barnslcy 2016, Capp. VIII e IX.

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ne, accogliendo le proposte avanzate dal delegato statunitense Elihu Root, ex Segretario di Stato e Premio Nobel per la pace 191217, i firmatari dell'accordo riconobbero, infatt~ come parte integrante del diritto marittimo di guerra il divieto per i sottomarini di attaccare senza preavviso le navi mercantili in transito e affondarle prima che passeggeri ed equipaggio fossero stati messi in salvo 18, dichiarando applicabili a ogni violazione di tali fondamentali regole di umanità le stesse estese modalità di repressione e punizione tradizionalmente utilizzate nei confronti dei crimini di pirateria: The Signatory Powers, desiring to ensure the enforcement of the humane rules of cxisting law dcclared by them with respect to attacks upon and the seizure and destruction of merchant ships, further declare that any person in the service of any Power who shall violate any of those rulcs, whether or not such person is under orders of a governmental superior, shall be deemed to bave violatcd the laws of war and shall be liable to tria I and punishment as iff or an act ofpiracy and may be brought to tria) before the civil or military authoritics of any Power within the jurisdiction of which he may be found' 9 •

' 7 Sulle Root Resolutions e le reazioni da esse sollevate tra i delegati dei diversi Paesi si veda W. Hays Parks, Making Law of War Treaties. Lessons /rom Submarine Warfare Regulation, in Michael N. Schmin (cd.), lntemational Law Across the SpectrHm of Conjlict. Essays in Honour of Professor Le. Green On the Occasion of His Eightieth Birthday, Naval War College, Ncwpon-Rhodc Island 2000, pp. 339-385. •• Treaty relating to the Use of Submarines and Noxious Gases in Warfare, Washington, 6 Fcbruary 1922, An. 1, in Schindlcr, Toman, The Laws of Anned Conjlicts cit., pp. 1139 sg.: «Thc Signatory Powcrs dcclarc that among tbc rules adoptcd by civili7.cd nations for tbc protcction of tbc lives of ncutrals and noncombatants at sca in time of war, tbc following are to be decmcd an cstablishcd pan of intcmational law: (1) A mcrchant vessel must be ordcrcd to submit to visit and scarch to dctcrmine its charactcr bcforc it can be scizcd. A mcrchant vessel must not be anackcd unlcss it rcfuses to submit to visit and scarch aftcr waming, or to procccd as directcd aftcr scizurc. A mcrchant vessel must not be destroycd unlcss tbc crcw and passcngcrs bave bccn first placcd in safcty. (2) Belligcrcnt submarincs are not undcr any circumstanccs cxcmpt from tbc univcrsal rulcs abovc statcd; and if a submarinc cannot capturc a mcrchant vessel in conformity with thcsc rulcs tbc cxisring law of nations rcquires it to desist from anack and from scizurc and to pcrmit tbc mcrchant vessel to procccd unmolcstcd,.. '' Treaty relating to the Use ofSubmarines and Noxious Gases in Warfare, an. 3, in Schindlcr, Toman, The Laws of Armed Conflicts cit., p.110 (corsivo mio).

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A dispetto delle aspettative suscitate al momento della sua sottoscrizione, l'accordo del 1922 non sarebbe in realtà mai divenuto operativo a causa della mancata ratifica da parte dello Stato francese, i cui delegati già a Washington avevano mostrato forti perplessità su alcuni passaggi del test02°. La maggior parte delle disposizioni da esso dettate per ridurre l'impatto della guerra sottomarina sui soggetti non belligeranti sarebbero state comunque riprese di lì a poco nella Conventwn on Maritime Neutrality, stipulata a L'Avana il 20 febbraio 1928'-' e soprattutto nel già citato Treaty f or the Limitati-On and Reduction of NavalArmaments, firmato a Londra il 22 aprile 1930 e diretto a definire il complessivo quadro giusinternazionalistico di regolamentazione della guerra per mare Dell'impianto normativo di questi testi non faceva più parte, però, in alcun modo il potenziato apparato sanzionatorio - per alcuni versi assimilabile 22



"' Hays Parks, Making Law of War Treaties. lessons from Submarine Warfare Regulation cit., p. 349. Ma sul punto si veda anche Lcvic, Submarine Warfare cit., pp. 41 sg. u Com1ention on Maritime Neutrality, Havana, 20 fcbruary 1928, in Schindlcr, Toman, The Laws of Armed Conflictscit., pp. 1417-1423. " Treaty for the Limitation and Reduction of Naval Armaments, London, 22 Aprii 1930,pt. IV, art. 22, in Schindlcr, Toman, The Laws of Armed Conjlicts cit.,pp. 1143 sg.: « Thc following are acccptcd as cstablishcd rules of lntcmational Law: ( 1) In thcir action with rcgard to mcrchant ships, submarincs must conform to thc rulcs of lntcmational Law to which surfacc vcssels are subjcct. (2) In particular, cxccpt in thc case of pcrsistcnt rcfusal to stop on bcing duly summoncd, or of activc resistancc to visit or scarch, a warship, whcthcr surfacc vessel or submarinc, may not sink or render incapablc of navigation a mcrchant vessel without having first placcd passcngcrs, crcw and ship's papcrs in a piace of safcty. For this purposc thc ship's boats are not rcgardcd as a piace of safcty unless thc safcty of thc passcngcrs and crcw is assurcd, in thc cxisting sca and wcathcr conditions, by thc proximity of land, or thc presence of anothcr vessel which is in a position to takc thcm on board,.. Secondo il testo dcli'art. 23 del Trattato, queste disposizioni avrebbero dovuto rimanere in vigore senza limiti di tempo. Quando, nel 1936, il Trattato di Londra esaurì la sua efficacia, l'art. 22 mantenne perciò la sua efficacia. In occasione della seconda Confcrcn7.a di Londra sugli armamenti navali, convocata proprio per mettere a punto un nuovo trattato prima della scadcn7.a di quello del 1930, le parti firmatarie invitarono le altre potenze ad aderire ai contenuti dell'art. 22, che divennero oggetto di un apposito Procès-Verbal, sottoscritto da numerosi Stati, tra i quali l'Italia fascista. Come ricorda lo stesso Schmitt nel saggio sulla pirateria, la Germania nazista aderì alla disciplina dell'art. 22 con una nota firmata il 23 novembre 1936. Cfr. Procès-verbal relating to the Rules of Submarine Warfare set forth in Part IV ofthe Treaty of London of 22 Aprii 1930, London, 6 Novcmbcr 1936, in Schindlcr, Toman, The Laws ofArmed Conjlicts cit., pp. 114 5-47. Per una sintetica ricostru7ionc di questo duplice passaggio si veda Lcvic, Submarine Warfare cit., pp. 46 sg.

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ad una embrionale forma di giurisdizione universale, sottratta agli ordinari criteri di competenza territoriale vigente in questo campo- delineato dal citato art. 3 del trattato di Washington e tantomeno il determinante riferimento alla fattispecie piratica posto alla sua base: un richiamo, questo, reso evidentemente di scarsa attualità dal progressivo scolorarsi dei ricordi più inquietanti legati alla «U-Boot Campaign» tedesca del 1914-1918. Da tale punto di vista, sarebbe stato necessario attendere i siluramenti dell'estate del 1937 e la crescente tensione da essi prodotta nello spazio euro-mediterraneo per vedere riemergere gli spettri di quella stagione di «guerra alla navigazione mercantile»2J e con essi la disputa - secondo Schmitt sempre «pendente» - sulle regole internazionali circa l'uso dell'arma sottomarina24. Per effetto della radicalizzazione politico-ideologica in atto nell'Europa degli anni Trenta, i toni del confronto, anche giuridico, sul tema apparivano però ora decisamente più aspri, come dimostra il superamento della logica del «come se» ancora propria del trattato di Washington25 e le misure decisamente più radicali di contrasto e repressione che questo tipo di approccio ora contribuiva a legittimare: a differenza che nel trattato del 1922, nell'Accordo di Nyon l'assimilazione al tradizionale crimine di pirateria degli atti di belligeranza sottomarina contrari al diritto internazionale non rappresentava più, infatti, la premessa per l'attribuzione di formali competenze giudiziarie in materia alle autorità civili e militari di «qualsivoglia potenza» nella cui giurisdizione il responsabile di tali atti si fosse venuto a trovare26; essa si poneva piuttosto come il presupposto per la applica•) Finch, Piracy in the Mediterranean cit., p. 659. >< Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 402. • 1 La formula «as if for an act of piracy» utiliz7..ata nell'art. 3 del Trattato di Washington diveniva, infatti, ora semplicemente «as acts of piracy», raffor7..ando la pretesa di immediata applicabilità dell'analogia piratica. Per un veloce richiamo su questo aspetto del Nyon Agreement si veda Emst Lautcrpacht, lnsurrection et piraterie, «Rcvuc généralc dc droit intcrnational public», 46, 1939, pp. 513-549, in pan. p. 528. "' Rubin, The Law of Piracy cit., p. 296: e Thcrc is no provision for criminal trials of thcir officcrs of crcw. Nor is thcrc any assertion of uni versai jurisdiction, although special rights of opcration are asscrtcd by thc British and Frcnch flccts on thc high scas within thc Mcditcrrancan, and acccss to thc Mcditcrrancan ports of othcr statcs partics to thc Agrccmcnt is providcd». In questa sede non possiamo affrontare la controversa genealogia della

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zione di «un metodo di punizione puro e semplice, immediato, rigoroso e indiscriminato», che rimandava alle forme di giustizia sommaria caratteristiche degli inizi della storia della pirateria e forse addirittura le superava «in severità» 27, come dimostra la possibilità di colpire qualsiasi sottomarino presente vicino al luogo dell'affondamento che si potesse presumere colpevole dell'attacco28 • Un'impostazione, questa, che secondo Schmitt segnalava l'emergere di un contesto problematico di nuovo tipo, ormai decisamente distante sia dalle «vecchie formule, divenute romantiche, dei predoni del mare» che dalle «note dispute connesse alla guerra 1914-18»29•

2.

Analogia piratica e guerra totale

Come altri momenti del vivace dibattito giuridico innescato, pressoché in tempo reale, dall'Arrangement di Nyon3°, anche il saggio schmittiano del 1937 appariva animato, sin dalle «giurisdizione universale», su cui si rimanda alle annotazioni critiche di Kontorovich, The PiracyAnalogy: Modem Unioersal]urisdictwn's HollowFoundation cit. "Questa almeno è l'opinione espressa da Emst Lautcrpacht in lnsurrection et piraterie cit., p. 525. "Secondo Lautcrpacht, a seguito di «accordi supplementari intervenuti nel febbraio del 1938 tra Gran Bretagna, Francia e Italia, furono adottate misure di repressione ancora più stringenti. Mentre, secondo l'accordo di Nyon, i sottomarini sospettati non dovevano essere attaccati se non nel caso in cui una nave fosse stata recentemente oggetto di aggressione e si avesse ragione di pensare che il sottomarino ne fosse responsabile, da questo momento in poi la sola presenza nella zona proibita era considerata rivelatrice di un'intenzione e di un'azione criminale» (ihid.). •• C. Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 403. J" Per una chiara esemplificazione di questa linea di discussione del testo dell'accordo si veda la nota anonima pubblicata con il titolo The Nyon Arrangements. Piracy by Treatydal «British Ycarbook of lntcmational Law», 19, 1938, pp. 198-208 e soprattutto i polemici interventi del giurista francese Raoul Gcnct, La qualification des «pirates• et le di/emme de la guerre civile, «Rcvuc intcmationalc françaisc du droit dcs gcns», 1937, pp. 13-25 e The Chargeof Piracy in Spanish CioilWar, «Thc AmcricanJoumal oflntcrnational Law», 32. 2, 1938, pp. 253-263, in pan. pp. 262 sg. Su questo dibattito si veda, in sintesi, Danicl Hcllcr-Roazcn, The Enemy of AIL Piracy and the Law of Nations, Zone Books, New York 2009; trad. it. Il nemico di tutti. Il pirata contro le nazi.oni, Quodlibct, Macerata 2010, pp. 148 sgg. e, in una prospettiva più specificamente giusintcmazionalistica, Chiara Vitucci, La pirateria come modello normativo: torsi.oni antiche e moderne nella definizi.one di pirata, in questo volume, pp. 227 sgg.

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prime battute, dall'esigenza di dare conto delle rilevanti novità introdotte dal testo dell'accordo rispetto alla tradizionale concezione giusinternazionalistica della pirateria. Definire tout court come «acts of piracy» quelle che a suo giudizio non erano che forme di belligeranza marittima di nuovo tipo significava, infatti, per Schmitt, mettere decisamente in questione tutta una «serie di caratteristiche concettuali negative acute e conseguenziali» a cui in passato, nella teoria come nella prassi giurisdizionale, era stato ancorato l'utilizzo di tale nozione come formale categoria del diritto internazionale: nello specifico, non solo il fatto che teatro dell'azione fosse il «mare aperto», «in quanto spazio privo di Stato e non sottoposto a nessuna sovranità territoriale», ma anche la circostanza che «come conseguenza e premessa della sua azione» il reo potesse essere considerato «"denazionalizzato", cioè se non proprio privo di Stato, tuttavia non sostenuto né autorizzato da nessuno Stato» 3'. Per poter rientrare nella classica categoria della «pirateria» egli doveva, inoltre, risultare mosso nella sua azione da un generalizzato intento predatorio, il cosiddetto animus f urand~ indirizzantesi «indifferentemente nei confronti di tutti gli Stati» e tale dunque da attribuire a ciascuno di essi il diritto di «renderlo inoffensivo»P. Altrettanti elementi che, in ossequio ad una consolidata «equiparazione di politico e statuale»n, avevano consentito alla teoria giusinternazionalistica classica, peculiarmente rappresentata per Schmitt dalle posizioni del giuspositivista tedesco Paul StielH, di vedere nella «pirateria» una «azione tipicamente

>• Schmitt, Il conceuo di pirateria cit., p. 400. >• lvi, pp. 399 sg. Come ha scritto Hcllcr-Roazcn, The Enemy of All cit., p. 151, si

trattava di un'impostazione sin qui «largamente convenzionale», come dimostrano le convergenze del testo schmittiano con i citati interventi di Gcnct. Occorre non sottovalutare, tuttavia, l'elemento di apertura storico-concettuale che percorre l'analisi di Schmitt, differenziandola già a questo livello dall'approccio «sistemico» dominante nella dogmatica giusintcrnazionalistica dcli'epoca. n Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 400. Ma sul punto del tutto scontato è il rinvio a Id., Der Begriff des Politischen, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1932; trad. it. Il conceUo di «politico,., in C. Schmitt, Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972, pp. 89-186, in part. pp. 102 sgg. w Cfr. Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 400. Schmitt si serve del saggio di Paul Stiel, Der Tatbestand der Piraterie, Dunckcr & Humblot, Lcipzig 1905, pp. 80 sgg.,

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non politica», escludendo perciò dall'orizzonte di applicazione della categoria qualunque forma di «violenza in alto mare» in cui fosse chiaramente riconoscibile uno «scopo politico dell'iniziativa», come nel caso di azioni di arrembaggio o affondamento commesse da soggetti «rivoluzionari», anche se dirette contro navi di Stati terzi dichiaratisi neutrafus. In tale contesto sistematico, anche le iniziative di contrasto alla pirateria erano destinate a ricadere, però, secondo Schmitt, in ambiti di azione statuale di carattere «egualmente non politico»: non la guerra, dunque, che nel diritto delle genti «classico» presupponeva il confronto armato tra due o più entità egualmente sovrane}6, ma la «giustizia penale» o addirittura misure di «polizia marittima internazionale», secondo le due diverse varianti che - sulla scia della elaborazione dottrinaria di Paul Stiel - egli vedeva sviluppate rispettivamente nella dogmatica giuridica anglosassone e in quella continentale}7• definito come «la migliore trattazione tedesca monografica sul tema», come punto di collegamento alle tradizionali modalità di concettualizzazione giuridica della fattispecie piratica. Anche in questo caso non si trattava di una scelta originale, se è vero che Stiel rappresentava alt'epoca un generale punto di riferimento del dibattito, citato e commentato anche da autori assolutamente distanti dalle posizioni del giurista tedesco, come i membri del Gruppo di ricerca sulla pirateria istituito dalla Law School dell'Università di Harvard. Sul punto si veda Rubin, The Law of Pirac:y cit., p. 311. >J Schmitt, Il conceuo di pirateria cit., p. 400. Cfr. Stiel, Der Tatbest,and der Piraterie cit., pp. 80 sg.: «Un'impresa che persegue scopi politici non è pirateria» e «politico» è lo scopo di ogni impresa che «si presenta come un'azione statuale o si rivolge in modo immediato e riconoscibile contro la posizione di potere esterno, la costituzione o l'amministrazione di uno Stato. Perciò un'impresa autoriu.ata da uno Stato riconosciuto non è pirateria. E non lo è nemmeno un'impresa politica di privati, anche quando essi rivendicano (nei confronti di tutte le nazioni) i diritti dei belligeranti, senza essere riconosciuti come parte belligerante». >' Ancora una volta scontato il rinvio a C. Schmitt, Il concetto di «politico» cit., in part. p. 129: «Allo Stato, in quanto unità sostanzialmente politica, consegue lo jus belli, cioè la possibilità reale di determinare, in dati casi e in forza di una decisione propria, il nemico e di combatterlo. ~ poi indifferente con quali mezzi tecnici la guerra viene condotta, quale organizzazione militare esista, quante probabilità vi siano di vincere la guerra, purché il popolo politicamente uno sia pronto a combattere per la sua esistenza cd indipendenza: nel che esso determina, in forza di decisione propria, in che cosa consiste la sua indipendenza e libertà». v Schmitt, Il conceuo di pirateria cit., p. 400. Sul punto si veda Stiel, Der Tatbestand der Piraterie cit., p. 80: «Dalla pirateria autorizzata dallo Stato, una antica forma della vita dei popoli, è stata da sempre distinta la pirateria come impresa di un gruppo di persone che agiscono da sole scn7.a alcun rapporto con una unità statuale. La reazione

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A differenza di altri protagonisti del coevo dibattito sul tema, come il giurista francese Raoul Genet, autore negli stessi mesi di una polemica messa a punto categoriale sull' «accusa di pirateria nella Guerra civile spagnola», in queste pagine Schmitt restava peraltro decisamente distante da qualsiasi strategia di ripulitura linguistica del discorso giusinternazionalistico che si ponesse come obiettivo finale il recupero di una presunta originaria purezza giuridica del concetto di «pirateria»38• Nella sua visione delle cose, più che negli elementi di confusione terminologica - se non di vero e proprio «abuso del linguaggio»3? - introdotti dai giuristi di Nyon nella cornice del diritto internazionale, il nodo del problema si poneva infatti nella loro scelta di continuare ad avvalersi, sia pur strumentalmente40, di uno schema di contro la prima forma è la guerra; il contrasto della seconda è compito della polizia o cura del dirino penale». Da Stiel Schmin riprende anche la distinzione tra tradizione continentale e tradizione anglosassone di lona alla pirateria. Al proposito, si veda ivi, pp. 17 sg.: «Uno dei fenomeni più appariscenti della letteratura sulla pirateria è la diversità della posizione sistematica che quella dottrina ha trovato nelle presentazioni dei giusintcmazionalisti continentali e anglo-americani. Il sistema continentale la mene in relazione con la trattazione dei rapponi giuridici in alto mare; per tale sistema la pirateria è una fanispccic di polizia marittima. Il sistema inglese la pone invece sono la rubrica •right of jurisdiction". [... ] Per quest'ultimo la pirateria è una fanispccic del dirino penale internazionale come pane del dirino delle genti. La contrapposizione delle concezioni cui si è fatto riferimento attraverso la diversità della sistematica non è però così grande come potrebbe apparire; perché gli Inglesi non negano che la pirateria legittima anche il potere di intervento poliziesco in mare, altrimenti ingiustificato; e d'altro canto non di rado si trova affermato anche sul continente come conseguenza giuridica della pirateria la competenza di ogni Stato alla sua punizione». i• Gcnct, The Charge of Piracy in Spanish Civil War cit., pp. 2 54 sg.: «Hcrc, within thc domain of intcrnational law, it appcars an cspccially scrious mattcr to misconstruct, cvcn involuntarily or by rcpcating a growing and mischicvous tradition, a tcrm so imponant as that which dcsignatcs thc criminal action of thc pirate. lt has sccmcd to us that in protcsting against a vcritablc abusc of languagc, our voicc, howcvcr modcst, might be hcard, and that an cffon might be made in thc future to rcscrvc thc tcrm of •pirate" to qualify and to stigmatizc thosc criminal acts alone which national and intcrnational morality, both public and private, havc condcmncd sincc thc most remote timcs, and which havc an cstablishc dc6nition pcrmining of no crror or confusion». J>lvi,p. 255. 40 Schmitt, Il concetto di pirateria cit., pp. 402 sgg. Ma sugli esiti controproducenti di tale scelta si veda anche Gcnct, The Charge of Piracy in Spanish Civil War cit., p. 263: «Onc can contcnd with thc bcst show of rcason that thc Nyon accords would havc lost nothing had thcy omincd thc quali6cation of piracy in stigmatizing thc rare cxploits attributcd to ccnain mystcrious submarincs. Thc Powcrs, rightfully dcsirous of maintaining in thc Mcditcrrancan thc ordcr and sccurity without which maritimc lifc

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classificazione degli eventi -quello della tradizionale «dottrina della pirateria» - troppo carico di ambigue sopravvivenze del passato per non correre il rischio di nascondere l'esplosiva «realtà» del presente sotto uno strato di «formule ingannevoli» e contraddittori «residui concettuali»•'· Per tagliare tale nodo occorreva, dunque, tornare a riflettere su quello che per Schmitt era l'autentico presupposto storico-concettuale di costituzione di quel modello e della sua visione «impolitica» della pirateria, il riferimento, cioè, al «mare aperto» come «spazio libero», «privo di Stato» e di «sovranità territoriale» 42, verificandone al contempo la rispondenza alle concrete condizioni di esperienza prodotte nel mondo contemporaneo dalla genesi di nuove forme di organizzazione statuale, dotate di possibilità di azione senza precedenti grazie al fecondo intreccio con i più recenti sviluppi della moderna tecnologia. Un'esigenza, questa, che nel saggio del 1937 veniva soddisfatta-invero un po' frettolosamente-attraverso una nuova, spiazzante, variazione sul cruciale tema della «svolta verso lo Stato totale» 4J, già utilizzato in precedenza da Schmitt come indicatore delle più rilevanti dinamiche trasformative in atto nel contesto politico-istituzionale dell'epoca44 e

and intcrcontincntal communication are impossiblc, could bave attaincd tbc samc rcsult in cmploying an othcr tcrminology. This would bave lcft to thc ancicnt crimc of piracy thc distinguishing charactcristics which it bas posscsscd for many ccnturics, and would havc clarificd both juridical languagc and idcas. lt would in no way havc prcvcntcd thc application of tbc most severe sanctions against thc disturbcrs of thc pcacc of tbc Mcditcrrancan». •• Schmin, Il conceuo di pirateria cit., p. 400. •• lvi, pp. 400 sg. tl Cfr. C. Schmin, Die Wendung zum totalen Staat (1931), in Id., Positwnen und Begriffe cit., pp. 146 sgg.; trad. it. La svolta verso lo Stato totale, in Schmitt, Posizioni e conceui cit., pp. 237-255. ff Per i principali passaggi di questo processo si veda, oltre al saggio citato nella nota precedente, C. Schmitt, Der Hiiter der Verfassung, J.C.B. Mohr, Tiibingcn 1931; trad. it. Il custode della costituzione, Giuffrè, Milano 1981, in part. pp. 123 sgg.; Id., Legaliuit und legilimiuit (1932), in C. Schmitt, Verfassungsrechtliche Aufsiitze, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1958, pp. 263-55o; trad. it. Legalità e legiltimilà, il Mulino, Bologna 2018; Id., Konstruktwe Verfassungsprobleme (1932), in C. Schmitt, Staat, Grossraum, Nomos. Arbeilen aus den Jahren 1916-1969, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1995, pp. 55-69; Id., Weilerentwicklungen des totalen Staats in Deutschland (1933), in Schmitt, Posilionen und Begriffe cit., pp. 185-189; trad, it. Sviluppo ulteriore dello Stato totale in Germania, in Posizioni e concetti cit., pp. 303-312. Su questo aspetto della riflessione

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ora per la prima volta apertamente declinato in senso internazionalistico come un processo di progressiva espansione dalla terra al mare della presa statuale sullo spazio: La tecnica moderna dei mezzi di trasporto e delle armi da guerra marittime ha veramente creato nuove possibilità all'esercizio della violenza in alto mare, ma al tempo stesso in luogo delle formazioni difficilmente spostabili di tipo fcudal-corporativo ha anche posto le organizzazioni fortemente centralizzate di uno Stato moderno e ha accresciuto le sue possibilità di controllo. Basta solo confrontare gli strumenti tecnici di potere di una polizia moderna con quelli del XVIII secolo e persino del XIX per comprendere cosa si intende dire qui. Già con questi mezzi tecnici lo Stato moderno diviene sempre più chiuso, in questo senso sempre più «totale» e lo spazio vuoto della non statualità, che è richiesto dal vecchio concetto di pirateria, diventa sempre più piccolo e insignificante. La con-

tropartita di questa totalità dello Stato è notoriamente una responsabilità corrispondentemente totale per tutto ciò che si svolge nel suo ambito di potere e personale. Ma un individuo audace o una banda di predoni come potrebbero procurarsi oggi navi da guerra moderne e mezzi per il loro funzionamento evitando ogni contatto con un qualunque Stato? E come potrebbero limitarsi ad «azioni non politiche» quando in questione non è una banda di predoni, ma un oggetto di scrio interesse dell'azione internazionale delle grandi potenze ?41.

Si trattava, in effett~ di domande puramente retoriche, formulate solo per ribadire l'assunto di base - a dire il vero più enunciato che argomentato4'i - dell'intervento schmittiano: la convinzione, cioè, che «davanti all'effettiva organizzazione del mondo odierno in Stati», l'originario «carattere non statale» e dunque «non politico» della pirateria divenisse immediatamente «problematico»; e che ciò valesse in particolare per la «situaschmittiana si veda, almeno, William E. Schcucrman, Cari Schmiu: The End of Law, Rowman & Littlcficld, Lanham-Bouldcr-Ncw York-Oxford 1999, pp. 61-83; Sandrinc Baumc, Cari Schmilt penseur de l'État. Genèse d'une doctrine, Scicnccs Po, Paris 2oo8, PP· 69-95. •• Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 401 {traduzione lievemente modificata). t< Sulla discutibilità dell'assunto si soffcr-ma anche Hcllcr-Roazcn, Il nemico di tutti CÌt., p. I 52•

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zione statuale-politica dell'odierno Mediterraneo», dove «spazi giuridicamente vuoti e privi di statualità» non ce n'erano più almeno dalla scomparsa dei cosiddetti «Stati "corsari" e "barbareschi"» con la «conquista di Algeri», vale a dire da più di cento annl47.

In questa fase di sviluppo del suo itinerario intellettuale, per Schmitt, pensare la svolta verso la «totalità» dello Stato novecentesco significava, tuttavia, anche e soprattutto confrontarsi con le nuove modalità di esercizio della belligeranza variamente sperimentate dalle potenze europee nel corso della Prima guerra mondiale e a partire da quel momento entrate stabilmente nel contesto di esperienza e riflessione della politica novecentesca. Questo specifico aspetto della transizione alla contemporaneità era stato al centro delle riflessioni schmittiane anche in alcuni suoi precedenti contributi sul tema, come dimostra il ruolo rilevante, seppur non decisivo, attribuito alle dinamiche belliche nel seminale saggio Die Wendung zur totalen Staat, risalente agli inizi degli anni Trenta~. Esso assumeva, però, ora, anche dal punto di vista terminologico-concettuale, una centralità e una nitidezza prima sconosciute, di cui reca esplicita testimonianza l'impianto teorico del saggio Totaler Feind, Totaler Krieg, Totaler Staat, che del testo sulla pirateria rappresenta, e non solo per contiguità cronologica, un indispensabile complemento•"· In queste pagine, infatti, la chiave di lettura ultima per la comprensione dei tumultuosi cambiamenti politico-istituzionali verificatisi a partire dal primo Novecento veniva individuata proprio nel progressivo imporsi di una nuova, espansiva forma di guerra, «totale» non solo nel senso estensivo del coinvolgimento di tutti gli ambiti della società nella costruzione e nella alimentazione di una inarre47 Schmitt, Il conceuo di pirateria cit., pp. 400 sg. •• Schmitt, La wolta 'Verso lo Stato totale cit., pp. 246 sg. ♦, Per un esplicito rinvio «interno,. da parte dell'autore si veda Schmitt, Il conceuo di pirateriacit., p. 404, n. 1. Trascrizione di una lezione tenuta il s febbraio 1937, il testo Totaler Feind, totaler Krieg, totaler Staat fu pubblicato anch'esso sulla rivista «Volkcrbund und Volkcrrccht», 4. Jahrgang, Hcft 3, Juni 1937, pp. 139-14s. e poi ristampato nella raccolta Positionen und Begriffe cit., pp. 23S-239; trad. it. Nemico totale, guerra totale, Stato totale, in Posizioni e concetti cit., pp. 389-398.

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stabile macchina della mortes ma anche in quello intensivo dello «sforzo estremo» e dell' «estremo impegno» richiesto a tutti i cittadini dello Stato, fino alle «ultime riserve», nonché dell' «impatto» devastante da essa prodotto sugli avversari grazie ali' «impiego senza scrupoli di mezzi bellici di annientamento»si. Una dimensione, quest'ultima, che nella riflessione schmittiana chiamava in causa a ben vedere, oltre all'accresciuto potenziale distruttivo messo a disposizione degli Stati dagli straordinari avanzamenti della tecnologia moderna, anche la radicalizzata relazione di inimicizia politica tra belligeranti venutasi a creare nel polarizzato contesto ideologico-dottrinario che aveva fatto da preparazione e alimento alla «guerra totale» del 1914-18s2 • Portando alle estreme conseguenze l'approccio polemologico posto alla base della sua personalissima «elaborazione del "concetto del politico"» 53 , Schmitt si dichiarava, 0,

,. Schmitt, La svolta verso lo Stato totak cit., pp. 246 sg.: «Nello Stato divenuto autoorganizzazionc della società non c'è più nulla che non sia almeno potenzialmente statale e politico. Come il concetto dcli'armamento potenziale di uno Stato, scoperto dai militari e dai giuristi francesi, abbraccia tutto, non soltanto il fattore militare in senso strettamente tecnico, ma anche la preparazione industriale cd economica della guerra, perfino la preparazione e formazione intellettuale e morale dei cittadini, allo stesso modo questo nuovo Stato abbraccia tutti gli ambiti, Un eminente rappresentante dei soldati tedeschi al fronte, Emst Jiingcr, ha introdotto per questo evento straordinario una formula molto espressiva, la mobilitazione totale. Senza riguardo al contenuto e ali' esattezza che spetta nei dettagli a queste formule [...], si dovrà osservare e valutare l'assai significativo riconoscimento in esse contenuto». Ma sul ruolo seminale dijiingcr in questa direttrice della riflessione post-bellica si veda anche Schmitt, Nemico totale, gueTTa totale, Stato totale cit., p. 390. ,, lbid. '' Cfr. Claudio Minca, Rory Rowan, On Schmiu and Space, Routlcdgc, London-Ncw York 2015, p. 161, in una prospettiva limitata, però, alla sola dimensione riflessivo-dottrinaria che non esaurisce, a mio avviso, la portata del tema del «nemico totale» nella teorizzazione schmittiana degli anni Trenta. 11 Schmitt, Nemico totale, guerra totale, Stato totale cit., p. 390. Rievocando la fortuna della «formula della guerra totale» nella pubblicistica del primo dopoguerra, Schmitt richiamava apertamente come proprio personale contributo al dibattito l'aver messo a punto a partire dal 1927 nell'ambito della propria «elaborazione del •concetto del politico"» la «serie nemico totale, guerra totale, Stato totale». Come ricorda Hcinrich Mcicr nel volume Cari Schmiu and Leo Strauss. The Hidden Dialague, Univcrsity of Chicago Prcss, Chicago 20o6, p. 24, nota 2 5, nella prima edizione del saggio Der Begriff des Politischen, pubblicata giustappunto nel 1927, non compare, però, «nessuno dei tre concetti indicati», che caratterizzano piuttosto la riflessione schmittiana della seconda metà degli anni T rcnta. Sulla profonda continuità teorica che lega la dottrina schmittiana

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anzi, convinto qui che proprio l'imporsi di contrapposte ma speculari concezioni totalizzanti del «nemico» avesse condotto i popoli europei a quel decisivo salto di qualità nell'esperienza della guerra in cui poteva essere identificata la chiave esplicativa ultima degli straordinari processi di riorganizzazione sociale ed istituzionale in atto nella statualità novecentesca, secondo la scandita sequenza genealogica Stato/guerra/nemico enunciata in uno dei più importanti passaggi del saggio: Nella guerra c'è il nocciolo delle cose. Dalla specie di guerra totale si determinano specie e forma della totalità dello Stato, dalla particolare specie delle armi decisive si determina la particolare specie e forma della totalità della guerra. Ma la guerra totale riceve il suo significato dal nemico totaleu.

È appunto a questa complessa costellazione di concetti e relazioni fondative che occorre fare riferimento per comprendere a pieno gli allusivi riferimenti ad un nascente «nuovo» ordine «autenticamente europeo-interstatuale» con cui si chiude la densa ma sin troppo rapida riflessione di Schmitt sul «concetto di pirateria». Nella sua analisi, il riproporsi della tradizionale fattispecie piratica all'interno di un rinnovato ordinamento dello spazio che di fatto ne dissolveva i presupposti stessi di applicabilità rappresentava, infatti, una contraddizione in termini riconducibile proprio all'inedito campo di tensioni - anche concettuali- prodotto dall'avvento di una nuova forma di statualità tendente alla totalità anche sul cruciale fronte dell'armamento e dell'impegno bellico. Un fondamentale nodo costruttivo, questo, che il lettore del saggio sulla pirateria trovava esplicitato per così dire «in negativo», attraverso un ben criptico riferimento a quei «metodi particolari» di dilazione e contenimento della incombente dinamica della guerra totale su cui il giurista tedesco aveva richiamato l'attenzione già nel saggio Totaler Feind, Totaler Krieg, Totaler Staat. Schmitt si confermava, infatti, convinto dello «Stato totale» alle sue precedenti riflessioni sul «concetto del politico» ha richiamato convincentemente l'attenzione Emmanucl Tuschcrcr, Le décisionnisme de Cari Schmitt: théorie et rhétorique de la guerre, «Mots», 73, 2003, pp. 25-41. 1+ Schmitt, Il conceuo di pirateria cit., p. 392.

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qui che, lungi dal rappresentare una dinamica priva di controllo e irrevocabilmente diretta alla catastrofe finale, la svolta verso lo Stato totale come belligerante totale fosse un processo complesso e articolato a cui si accompagnava la sperimentazione di «metodi particolari di conflitto non totale e di misurazione delle forze», diretti proprio ad evitare - o quanto meno a procrastinare - lo scoppio di una «guerra totale» tra le potenze europee e il «rischio totale» ad essa inevitabilmente connesson. Di tali peculiari forme di intervento sospese a metà «tra la guerra aperta e la pace effettiva» potevano essere considerate espressione, secondo la tipologia proposta nel saggio sul «nemico totale», sia le «cosiddette rappresaglie militari» innescate da momenti di forte tensione internazionale come la Crisi di Corfù, che le «sanzioni economiche non militari», comminate dalla Società delle Nazioni ai sensi dell'art. 16 del proprio Statutos6; di esse facevano parte, però, anche le ripetute «prove di forza» compiute da potenze straniere nella Spagna della guerra civile, una ibrida tipologia di azione militare di cui gli indiscriminati attacchi sottomarini dell'estate del 1937 rappresentavano lo sviluppo più estremo e giuridicamente problematicos 7• Forzando non poco la mano, Schmitt riteneva, dunque, di poter associare la nuova, ambigua, categoria di «pirateria» posta alla base dell'Accordo di Nyon alla genesi di una nuova forma di diritto internazionale, dominata proprio dall'esigenza di dare conto anche a livello concettuale di un nuovo spazio di esperienza politica nel quale, " lvi, p. 404. '' Cfr. Schmitt, Nemico totale, guerra totale, Stato totale cit., pp. 391. Si trattava, secondo Schmitt, di «forme intermedie e di transizione tra guerra aperta e pace reale» che trovavano «il loro significato nella circostanza che la guerra totale come possibilità resta sullo sfondo e una intenzione comprensibile consiglia di delimitare alcuni spa7.i intermedi. Solo da questo punto di vista essi possono essere compresi anche dal punto di vista del diritto internazionale». 17 Cfr. ivi, pp. 391 sg., in cui gli sviluppi sottomarini di tale contesto di azione non sono però ancora nominati. Secondo Filippo Ruschi, Schmiu e la pirateria, «Quaderni giuridici perla storia del pensiero giuridico», voi. XXXVIII, 2009, pp. 1215-1276, in part. p. 1227, l'inserimento di questa specifica fattispecie tra i metodi particolari di neutralizzazione di un'incombente guerra totale rappresenta, forse, il punto di maggiore debolezza della analisi schmittiana, se è vero che gli interventi •parziali" delle potenze europee nella Guerra civile spagnola, «lungi dal rappresentare procrastinazioni dcli' Apocalisse, ne erano in realtà i prodromi».

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per effetto di quella stessa svolta verso la totalità della guerra, i confini tra belligeranza e non belligeranza erano divenuti oltremodo fluidi e la distinzione tra «guerra» e «guerra civile» del tutto irrilevantes 8• Nel suo percorso argomentativo proprio la concezione della pirateria sottomarina elaborata dai giuristi di Nyon finiva, anzi, per proporsi come la più efficace esemplificazione dei profondi esiti rifondativi prodotti, anche a livello categoriale, dalle tumultuose dinamiche politiche innescate dalle «esperienze dell'ultima grande guerra». Se tale prospettiva si fosse imposta a livello generale - questa la convinzione ultima di Schmitt - il concetto di pirateria avrebbe infatti definitamente cambiato la sua collocazione nel sistema del diritto internazionale, spostandosi dallo «spazio vuoto di un'impolitica non-statualità in quello spazio, tipico del diritto internazionale del dopoguerra, fatto di concetti intermedi fra guerra e pace», ibride «formazioni di transizione (Zwischenbildungen)» nelle quali, al di là di tutti i filtri categoriali, continuava a risuonare la «possibilità», sempre incombente, di una «guerra totale» tra «nemici totali»sll.

3. Figure dell'inimicizia e ordinamenti dello spazio

Il richiamo all'ambiguo spazio di esperienza e categorizzazione giuridica prodotto dalla minaccia di una guerra totale per intensità ed estensiontfo rappresenta, peraltro, solo un aspetto della complessa, e un po' obliqua, strategia di decostruzione storico-concettuale messa in campo da Schmitt per portare alla luce - e con ciò stesso contrastare - la «problematica» politicità della svolta di Nyon. Altrettanto rilevante in tale contesto di discussione appare, infatti, la sua pur veloce disamina dei distorsivi effetti di sistema prodotti dall'inserimento della tradizionale semantica della «pirateria» in un ambito di discorso giuridico specificamente concernente la regolamentazione delle nuove •• Ruschi, Schmiu e la pirateria cit., p. 1227. "Schmitt, li conceuo di pirateria cit., p. 404. "'Schmitt, Nemico totale, guerra totale, Stato totale cit., pp. 403 sg.

SCHMI1T, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

forme di guerra emerse dalla cesura del '14/'18. Nella lettura schmittiana, estrapolato dal suo originario contesto di utilizzo e applicato ad azioni rientranti a pieno titolo nella sfera di operatività statuale, come la belligeranza sottomarina nel Mediterraneo, il paradigma piratico assumeva una valenza normativa in precedenza sconosciuta, trasformandosi in un insidioso strumento di riqualificazione giuridico-morale del complessivo contesto delle relazioni internazionali, in grado di condizionare profondamente le ordinarie modalità di esercizio delle fondamentali prerogative sovrane degli Stati61 • Come dimostrava lo stesso tenore letterale dell'Accordo di Nyon, assimilare esplicitamente alla «pirateria» una infrazione, sia pur grave, alle «regole del diritto bellico marittimo» significava, infatti, per Schmitt, traslare su soggetti regolarmente operanti sotto l'autorità di uno Stato sovrano lo stigma di «nemici del genere umano» tradizionalmente riservato ai «predoni del mare»62, aprendo per ciò stesso la strada a forme di «resistenza collettiva» palesemente contrastanti con le regole ordinariamente vigenti in questo campo63; un passaggio, questo, che trovava una pedetta esemplificazione

61 Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 400: «Nei manuali e nei trattati sistematici la figura del pirata si affaccia per lo più nella questione del soggetto del diritto internazionale. Qui il pirata ha ancora un posticino teoreticamente assai interessante, ma per il resto modesto. Infatti, per lo più gli è contestato il rango di un soggetto del diritto internazionale. La sua azione non è un delitto di diritto internazionale, dal momento che solo gli Stati in quanto soggetti di diritto internazionale possono compiere simili • delitti di diritto internazionale", mentre il pirata proprio per la sua piena non statualità può entrare solamente nell'ambito di potere di uno Stato ampliato sul piano internazionale. Pertanto esso in quanto tale non sarebbe per nulla un vero e proprio problema di diritto internazionale. [...] Ma nel frattempo il problema della pirateria definito dalla conferenza anti-pirata, è divenuto appunto un vero e proprio problema internazionale, del quale nessuno può sostenere che esso si muove in uno spazio privo di statualità politica,.. 6' lvi, p. 399. Ma sulle vicende del topos si veda l'ampia retrospettiva storica offerta da Heller-Roazen, Il nemico di tutti cit., passim. •i Cfr. Amedeo Policante, The Retum of the Pirate: Post-colonia/ Trajectories in the History of lntemational law, «Polftica comun,., 5, 2014, disponibile in rete all'indirizzo https://quod.lib.umich.edu/p/pc/ 12 322227. 0005 .005 ?vicw=tcxt;rgn=main: «Thc Conferencc not only reiteratcd thc elassical eonccption of piracy, but added something radically ncw. For the first time, Universal Jurisdiction was cnforccd not against statelcss individuals but against people aeting undcr the authority of a sovereign Europcan state. In this way, the absolute authority of a European state over its citizens was radically put into question,..

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nelle modalità estreme di contrasto degli atti contrari alle regole della guerra marittima previste dall'Accordo, nella misura in cui da esse derivava per ciascuno Stato l'obbligo di «consegnare o abbandonare agli altri Stati» i propri cittadini o organi statuali resisi colpevoli di simili misfatti, «spingendoli» di fatto in quello «spazio privo di statualità» che in passato era stato il vero e proprio «presupposto giuridico della pirateria»6•. Nella lettura offertane da Schmitt in queste pagine, non appariva, peraltro, possibile comprendere fino in fondo l'ambivalente sostanza politica dei cambiamenti in atto senza ricollegarli, seppur fugacemente, a quell'unilaterale processo di «moralizzazione» e «giuridificazione» del contesto delle relazioni internazionali da lui già in precedenza individuato come la fondamentale direttrice di costituzione del nuovo ordine politico e giuridico dell'Europa post-Versailles61 • Come altri elementi-chiave del discorso giusinternazionalistico dell'epoca, anche il cruciale riferimento alla «pirateria» presente nell' Accordo di Nyon tradiva, infatti, per il giurista tedesco la volontà di consolidare - e già a livello terminologic66 - il monopolio «imperialistico» della decisione sul legittimo utilizzo della forza militare, perseguito dalle potenze vincitrici della Prima Guerra mondiale anche attraverso una sistematica sostituzione della «guerra» con «misure collettive» basate sulla criminalizzazio-

'+ Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 403. Come annota Policantc, The Return of the Pirate eit., «thus the concept of the pirate, whieh in the past presupposeà a piace subtractcd from thc law, now seemcd to be capable of recreating that space, at lcast insofar as states were askcd to withdraw thcir protection from citizens identi6cd as hostes humani generis. Thus, the outside of the international state order no longer was •bcyond the line" but was within a global order that seemed to have no more stable, identi6able outside». Ì! appunto questa dinamica ad essere al centro di molti recenti recuperi, più o meno immaginifici, della critica schmittiana alla «svolta di Nyon». '' Benno Tcschkc, Cari Schmilt's Concepts ofWar, injens Meierhenrich and Oliver Simons {cds), Oxford Handbook of Cari Schmitt, Oxford University Prcss, OxfordNew York 2016, pp. 367-399, in part. p. 373. " C. Schmitt, Volkerrechtliche Formen des moàernen lmperialismus (1932), in Idem, Posilionen unà Begriffe cit.; trad. it. /-"orme dell'imperialismo moderno, in C. Schmitt, Posizioni e concetti cit., p. 291: «Ì! in assoluto uno dei più importanti fenomeni nella vita giuridica e spirituale dell'umanità, quello che ha il vero potere, che può anche stabilire da sé concetti e parole. Caesar àominus et supra grammaticam: l'imperatore è signore anche della grammatica».

SCHMITT, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

ne degli avversari del momento67• Esso confermava, inoltre, il «significato politico particolarmente intenso» assunto in tale contesto discorsivo dalle istanze universalistico-umanitarie tipiche dell'ideologia «ginevrina», se è vero che proprio per questa strada diveniva possibile alle nuove potenze egemoni europee rivendicare la legittimità di forme decisamente radicali di punizione collettiva, capaci di far apparire improvvisamente attiva, e schierata «in un fronte unitario», l' «intera umanità altrimenti così scompigliata»68 • Attraverso questi pur frammentari riferimenti, il saggio del 1937 si rivelava dunque sostenuto da una fortissima tensione politico-ideologica decisamente eccedente l'immediato obiettivo polemico della difesa dell' «onore dell'arma U-Boot» contro i tentativi di criminalizzazione da parte degli «anglosassoni», esplicitamente dichiarato da Schmitt nel suo carteggio con l'amico Jiingef9. Come è stato sottolineato, ad essere chiamate in causa qui, attraverso un veloce excursus sulla storia del concetto di «pirateria» e il suo attuale, ambiguo, status giuridico, erano infatti trasformazioni profonde nel modo stesso di pensare e praticare la guerra, nelle quali sembrava delinearsi la crisi finale di una distinzione fondamentale per la nascita del «moderno diritto internazionale: quella fra i principi delle relazioni internazionali e i principi della giurisdizione interna, fra categorie belliche e categorie criminali; in breve fra "politica e "polizia"»10. Contro questa pericolosa confusione di piani Schmitt invitava i suoi lettori a tenere alta la guardia, insinuando tra le pieghe del discorso che operazioni militari condotte a fini punitivi contro presunti fuorilegge non potevano più essere definite belliche

Schmitt, Il concetto del politico cit., p. 165. Schmitt, Il concetto di pirateria cit., p. 400. ., C. Schmin, Brief an Emst ]unger, 14 novcmbcr 1937, in E. Jiingcr, C. Schmitt, Brrefwechsel, hrsg. von Hclmuth Kicscl, Klcn-Cona, Stuttgart 1999, pp. 69-70, citato in Hcllcr-Roazcn, Il nemico di tutti cit., p. 151: «L'articolo •sul concetto di pirateria• è nato dalle emozioni che si sono destate in mc nel constatare con quanto sangue freddo gli anglosassoni stiano perseguendo la guerra mondiale, e come a Nyon siano riusciti ad ottenere proprio quello che tramite la guerra, cercavamo di evitare, ovvero la rinuncia all'onore dell'arma U-Boot [Der Verzichtauf die Ehre der U-Boot WaffeJ ... "'Cfr. Hcller-Roazcn, Il nemico di tutti cit., p. 15 3. 67 61

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nella tradizionale accezione del termine, e che un' «umanità» dipendente per la sua esistenza dalla lotta contro «questi out-laws non politici» era condannata, a dispetto di ogni dichiarazione di principio, a restare essa stessa nella sostanza una «grandezza non politica»7'. È proprio in considerazione di questi originali spunti dianalisi, che alcuni interpreti hanno voluto vedere nel breve contributo sul «concetto di pirateria» un momento-chiave di quel processo di sempre più radicale messa in discussione dell' «imperialistico» ordine internazionale post-bellico portato avanti da Schmitt a partire dalle primissime prese di posizione polemiche contro la Diktatfriede di Versailles e la nascita della Società delle Nazioni72 . Sarebbe, peraltro, inutile cercare nel testo del 1937 una compiuta elaborazione teorica di questi decisivi aspetti della critica schmittiana al «nuovo ordine interstatuale» ginevrino. In queste pagine, dopo aver esplicitamente assimilato la misure anti-piratiche dell'Accordo di Nyon alle «procedure collettive di vario genere (polizia internazionale, punizione dei violatori del diritto, prescrizioni e sanzioni)», messe a punto nell'ambito della Società delle Nazioni dal momento della sua costituzione, il giurista tedesco si limitava, infatt~ a richiamare lo stretto legame esistente tra quelle disposizioni e i più generali tentativi di «creare soggetti capaci di agire operanti "in nome dell'umanità"»n, senza ritenere necessario dare una più adeguata evidenza ai molti inquietanti segnali di pericolo disseminati nello sviluppo del suo sincopato percorso argomentativo. Per comprendere appieno il senso più profondo di questi allusivi riferimenti occorre impegnarsi allora in una paziente opera di ritessitura testuale che ricolleghi il saggio sulla «pirateria» ad alcuni dei principali momenti di messa a punto teorica che, a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento, 7 ' Schmitt, Il concetto di piraleria cit., p. 402. Ma sul punto si vedano le interessanti annotazioni di Walter Rcch, Rightless Enemies. Schmitt and Lauterpacht on Political Piracy, «Oxford Journal of Legai Studics», 32, 2, 2012, pp. 235-263, p. 248. ,. C. Schmitt, Der Status quo und der friede, «Hochland», Oktobcr 1925, poi ripubblicato in Id., Positionen und Begriffe eit., pp. 33-42; trad. it. lo status quo e la pace, in Schmitt, Posizioni e concetti cit., pp. 49-63. n Schmitt, Il concetto di piraleria cit., pp. 403 sg. (trad. parz. modificata)

SCHMIIT, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

scandiscono l'evoluzione della riflessione schmittiana verso una sempre più compiuto quadro interpretativo - e una sempre più corrosiva critica - delle trasformazioni in atto nella politica internazionale del suo tempo; e ciò a partire dai penetranti contributi di discussione dottrinaria redatti nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione di quel testo: la densissima nota Ober das Verhaltnis der Begriffe Krieg und Feind, scritta tra il 1937 e il 1938 come base di lavoro per le esercitazioni seminariali tenute in quel periodo74 e soprattutto il saggio Die Wendung zum diskriminierenden Kriegsbegriff, pubblicato nel 1938 come un tentativo di inquadramento della «nuova fase di sviluppo» in corso nel diritto internazionale dell'epoca e oggi considerato come un vero e proprio «momento di svolta» nella aml?issima produzione schmittiana sul teman. E in questi interventi apparentemente d'occasione, infatti, che Schmitt tira le fila della sua precoce critica dell'ordine internazionale scaturito dalla Prima Guerra mondiale, tematizzando con una nettezza in precedenza sconosciuta la svolta «criminalistico-penalistica» del diritto internazionale prodotta dal «sistema di patti della politica ginevrina del dopoguerra»76. Ed è

74 Id., Ober das Verhallnis der Begriffe Krieg und Feind, in Positionen und Begriffe cit.; trad. it. Sui concetti di guerra e di nemico, in Schmitt, Posizioni e concetti cit., pp. 405417, concepito dallo stesso autore come un «tentativo di prosecuzione» dei ragionamenti iniziati, molti anni prima, nelle pagine di Der Begriff des Polilischen e in seguito incorporata come Corollarium .z nella sesta e dc6nitiva edizione di qucst'opera. La testimonianza schmittiana compare nei riferimenti bibliogra6ci posti in appendice al volume. " Pier Paolo Poninaro, La crisi dello jus publicum europeum. Saggio su Cari Schmitt, Edizioni di Comunità, Milano 1982, p. 202. Cfr. C. Schmitt, Die Wendung zum diskriminierenden Kriegsbegriff, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1938; trad. it. Il conceuo discriminatorio di gue"a., Latcrza, Roma-Bari 2008. 76 Schmitt, Sui concetti di gue"a e di nemico cit., pp. 4o6 sgg. Secondo Udi E. Grccnbcrg, Criminalization: Cari Schmitt and Waher Benjamin' concept of criminal politics, «Journal of Europcan Studies», 39, 2009, pp. 305-319, l'idea della «natura •criminalizzante"» dell'internazionalismo liberale compare per la prima volta nel già menzionato saggio Der Status quo und die Friede, uscito sulla rivista «Hochland» nell'autunno del 1925 e poi ristampato nella raccolta Posilionen und Begriffe. Cfr. Schmitt, Lo status quo e la gue"a cit. pp. 59 sgg.: «La garanzia che le potenze della Santa Alleanza si davano reciprocamente era una cosa modesta e ragionevole in confronto alla fantastica giuridificazionc che oggi deve legittimare il vincitore. Se veramente si riesce in questo modo ad abolire ogni guerra, allora il più fonc non solo ha dalla sua la forza e il possesso, ma anche la ragione, e ci sarà qualcosa di peggio delle guerre: l'abolizione

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proprio attraverso questa specifica direttrice di messa a fuoco analitico-critica che egli viene elaborando una sempre più estremizzata interpretazione dell'esperienza contemporanea della «guerra» e delle sue forme di limitazione giuridica77, in grado di aprire spazi di più profonda intellegibilità anche sulle peculiari dinamiche del diritto bellico del mare prese in esame nel saggio sulla pirateria. Al centro della teorizzazione schmittiana si poneva, infatti, ora il durissimo attacco ad una «formazione concettuale di diritto internazionale» che in nome di una malintesa ideologia pacifistica aveva fatto del ricorso stesso alla guerra un crimine internazionale e della nuova figura dell' «aggressore» - «oggettivamente» identificato non solo in «chi dichiara la guerra» o «valica un confine», ma anche in «chi non rispetta un determinato procedimento e determinati termini» -1'equivalente di ciò che nel diritto penale è «il delinquente, "il reo"», se non addirittura il «malfattore»7B. Ad essere problematizzato per il tramite di questa variante estrema del discorso giusinternazionalistico primo-novecentesco - incarnata al massimo livello simbolico in alcuni celebri articoli del Trattato di Versaill~, ma non estranea, secondo Schmitt, alla stessa logica di funzionamento della Società delle Nazioni - era però, più in

giudiziaria dcli'avversario politico o economico che non viene vinto in una guerra, ma è giustiziato e condannato a monc in un processo... 77 Poninaro, La crisi dello jus publicum europeum cit., pp. 202 sg. 71 Schmitt, Sui concetti di guerra e di nemico cit., p. 407: l'aggressore- annota Schmitt -dovrebbe, anzi, più propriamente chiamarsi «non un •reo" (Tiiter), ma un •malfattore" (Untiiter), perché il suo preteso reato (Tat) è in verità un •misfatto" (Untat)». Alla base di questo passaggio c'è per Schmitt I' «inimicizia totale.. prodotta dalle modalità di combattimento della guerra '14-' 18, al termine della quale non c'è stato necessariamente «nessun "trattato" e nessuna "pace" e meno che mai un •trattato di pace" nel senso del diritto internazionale, ma un giudizio di condanna dei vincitori sopra i vinti. Questo era tanto più inflitto successivamente al nemico, quanto più esso era il vinto... ~ Si tratta come è noto, degli artt. 227-230 contenuti nella pane VII del Trattato, sintomaticamcntc titolata Penahies. Come ricorda Stefano Pictropaoli in Defining fa,il. The War of Aggression and lntemational Law, «Jura Gcntium. Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale•, IV, 2007, pp. p-63, in pan. p. 53, tali articoli non contenevano peraltro alcun riferimento al concetto di «aggressione» come base giuridica dell'imputazione, che invece compare nell'ottava parte del Trattato, dedicata alle riparazioni e alle sanzioni collettive. Anche se ancora privo di una esplicita tematizzazione, questo processo di criminalizzazione del nemico (e della guerra) è già evocato nelle ultime pagine dc Il concetto di «politico,., attraverso l'esplicito richiamo al carattere punitivo del Trattato di Vcrsailles (trad. it. cit., p. 139).

SCHMITI, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

generale, il passaggio da una classica concezione formalistica della guerra, che vedeva nel il ricorso alle armi una ordinaria prerogativa statuale della cui giustizia ciascuno Stato doveva «decidere da solo in virtù della sua sovranità»ao, ad una nuova visione «universalistica» ed «ecumenica» dell'ordine internazionale in cui uno o più Stati si riservavano «la decisione sul piano internazionale relativa alla giustizia o ingiustizia della guerra», pretendendo di derivarne effetti giuridici vincolanti per tutti. È proprio a questo livello, infatti, che, secondo Schmitt, entravano in gioco elementi di qualificazione giuridica sostanziale destinati ad alterare irreversibilmente la originaria logica costruttiva del moderno sistema delle relazioni interstatuali81 , introducendo nello spazio di esperienza della politica contemporanea quell'intollerabile elemento di «disordine», anche concettuale, perfettamente esemplificato dal polarizzato vocabolario del diritto internazionale «ginevrino»: Non appena un ordinamento internazionale distingue veramente con validità sovrastatale, in altre parole rilevante anche per i terzi, tra guerre legittime e guerre illegittime (tra due Stati), l'uso legittimo della forza è semplicemente attuazione del diritto, esecuzione, sanzione, giustizia o polizia internazionale; mentre l'intervento illegittimo è soltanto resistenza contro un atto legittimo, ribellione oppure crimine, e in ogni caso qualcosa di diverso dalla istituzione giuridica che è stata tramandata con il nome di «guerra». [... ] Se oggi uno Stato o un gruppo di Stati [ ...] ricorre alla guerra in modo tale da distinguere una parte belligerante rispetto alle altre in una maniera rilevante dal punto di vista giuridico anche per i terzi, allora essi avanzano la pretesa di fare qualcosa di ben diverso da ciò che finora ha significato condurre una guerra, e cioè qualcosa che nel modo più assoluto non può più essere definito «guerra» nel senso attribuitogli finora dal diritto internazionale'•. 1o Il riferimento è evidentemente alla concezione della guerra come confronto paritario tra justi aeqHaliter hostes sulla quale Schmitt si sarebbe soffermato diffusamente nella sua più celebre opera di taglio internazionalistico, il volume Der N=s der Erde im Volkerrecht des Jus Publicum Europaeum, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1950; trad. it. Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello •Jus Publicum Europaeum», Adclphi, Milano 2oo6, pp. 161 sgg. •• Cfr. Portinaro, La crisi dello jus publicum europeum cit., pp. 2o6 sgg. 11 Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra cit., pp. 63 sg. Ma sulle profonde trasformazioni prodotte da questo processo sulla tradizionale categoria giusintcmazio-

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Se le cose stanno così, non può sorprendere che nel seminale saggio del 1938 sulla «guerra discriminatoria» proprio la conferenza di Nyon, con la sua peculiare «applicazione del concetto inglese di pirateria» 83, tornasse ad essere a più riprese evocata come un passaggio fondamentale per la approfondita comprensione dei cruciali cambiamenti in discussione, giungendo addirittura a proporsi come il vero e proprio «punto di irruzione di un diritto internazionale completamente nuovo», capace di mandare in frantumi la tradizionale concezione dello Stato come «detentore della decisione ultima sul suo ius belli» 84 e, insieme ad esso, la complessiva costellazione concettuale sulla quale si era fondata la moderna esperienza della guerra come paritario confronto armato tra Stati85 • In queste pagine, il riferimento alla «pirateria» come nuova figura-chiave dell'ordine internazionale travalicava, però, decisamente lo specifico contesto del dibattito sulla regolamentazione della belligeranza sottomarina, per chiamare in causa in modo più o meno diretto il più generale processo di trasformazione categoriale che nei primi decenni del secolo aveva accompagnato e sostenuto i radicali cambiamenti in atto nel modo di concepire (e praticare) la guerra. E ciò sulla base di uno schema di analisi che individuava proprio nelle ambigue allusioni all'universo del bellum piraticum disseminate nella dichiarazione con la quale il Presidente Wilson aveva annunciato l'ingresso degli Stati Uniti nel Primo conflitto mondiale il decisivo punto di emergenza concettuale di un nuovo modello di guerra «discriminatoria» destinato a modificare profondamente «l'intera struttura dell'ordine internazionale»: nalistica di «neutralità• si veda Id., Sui conceui di guerra e di nemico cit., pp. 415 sg. e, più ampiamente, C. Schmitt, Das neue « Vae Neutris!"• «Volkerbund und Volkcrrccht», Jahrgang IV, pp. 633-638, poi ristampato in Positionen und Begriffe cit., pp. 251-255; trad. it. Il nuOfJo •Vae Neutris/,., in Schmitt, Posizioni e concetticit., pp. 420-425. '} Schmitt, Il conceuo discriminaurrio di guerra cit., p. 65. '+ lvi, p. 81. '' Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra cit., p. 13: «Non si dovrebbe dimenticare che il concetto di •pirateria", diventato improvvisamente di nuovo attuale, è da tempo un problema piuttosto singolare, che da un lato appare come una bagatella ancora interessante solo dal punto di vista teorico, ma dall'altro si rivela come il punto di irruzione di un diritto internazionale completamente nuovo, che manda in frantumi il concetto di Stato ...... E ancora, ivi, p. 81.

SCHMITI, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

Nel suo discorso del

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aprile 1917 Wilson non ha utilizzato l'espressione

«pirateria», ma ha comunque definito la guerra navale tedesca d'oltreoceano come una guerra condotta «contro l'umanità», che sarebbe «una guerra contro tutte le nazioni». Così la Germania fu dichiarata hostis generis humani con le espressioni solitamente utilizzate per la pirateria. La logica conseguenza giuridica è che la guerra cessa di essere guerra, infatti, contro i pirati non si fa guerra, poiché essi possono esclusivamente essere oggetto di azioni o misure coercitive anticriminali o di polizia marittima".

Svincolata da un puntuale raccordo con il sostrato terminologico-concettuale della politica «ginevrina» e declinata per la prima volta in senso radicalmente ideologico-critico, l' «analogia piratica» poteva proporsi perciò qui come una generale chiave cli lettura delle dinamiche giuridico-politiche del momento, utilizzata in maniera mirata per dare ulteriore risalto quelle che secondo Schmitt erano le conseguenze più distruttive prodotte dall'imporsi di una visione «universalistico-ecumenica» dell'ordine internazionale sul contesto formalizzato dei rapporti tra Stati: in primo luogo, l'emergere di una nuova concezione della «guerra "giusta" condotta con pretese sovrastatali e sovranazionali»87, che attraverso «processi cli "positivizzazione" giuridica o morale» spogliava lo Stato del «carattere ordinatore» che aveva avuto fino a quel momento «in quanto ordinamento nazionale e territoriale chiuso», «trasformando la guerra condotta dalla parte "legittima" in un'esecuzione o in una misura di epurazione» e la «guerra della parte illegittima» in una «resistenza illecita e immorale cli parassiti, sobillatori e gangster» 88 . Ma anche la radicale «dissociazione tra Stato e popolo» prodotta da questo processo cli «denazionalizzazione» della guerra, nella misura in cui esso sfociava nella pretesa che i «responsabili di una guerra "ingiusta"» fossero chiamati a rispondere penalmente del loro operato 16 lvi, p. 80, nota 23. Su questo punto, Schmitt dichiara maliziosamente il suo debito nei confronti del celebre intcma7Jonalista americano Gcorgc A. Finch, che nel suo già citato intervento dell'ottobre 1937 sulla guerra sottomarina nel Mediterraneo aveva evidenziato le assonanze tra il discorso di Wilson e la tradizionale concezione giuridica dei pirati come «hostcs humani generis». Cfr. Finch, Piracy in the Mediterraneancit., p. 665. 17 Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra cit., p. 5. 11 lvi, p. 68, n. I 2.

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«in quanto criminali di guerra» davanti ad una corte di giustizia internazionale, secondo il modello delineato, sia pur senza esiti pratici, dal famoso e discusso art. 227 del Trattato di Versailles89. A ben vedere, anzi, è proprio l' «incrinatura» nella «compatta unità interna di un popolo organizzato in forma statale» prodotta dall'apertura post-bellica a nuove forme di giustizia penale internazionale ad imporre qui la tradizionale concezione della pirateria come un decisivo punto di riferimento per la generale comprensione delle distruttive dinamiche intellettuali e materiali innescate dalla svolta «universalistico-ecumenica» della cultura giuridica e politica novecentesca, come dimostra l'intenso corpo a corpo teorico con alcuni dei principali esponenti di quella svolta - il francese George Scelle, all'epoca punto di riferimento del milieu di giuristi che ruotava attorno alla Società delle Nazioni, ma anche il tedesco Hans W ehberg, animatore della rivista pacifista Die Friedenswarte - svolto in un passo del saggio Die Wendung zur diskriminierenden Kriegsbegriff che per la sua rilevanza merita di essere citato con una certa ampiezza: Hans W ehberg, nelle sue lezioni sulla condanna della guerra ( 1930), arriva senza mezzi termini a conclusioni estreme, e sostiene che i rcponsabili di una guerra «ingiusta•, in quanto criminali di guerra, dovrebbero ovviamente essere consegnati a una corte di giustizia internazionale, e oltre a ciò

~ Si tratta, come è noto, dcll'anicolo con il quale il Kaiser veniva posto in stato di accusa per «offesa suprema contro la moralità internazionale e la santità dei trattati• e chiamato a risponderne penalmente davanti ad un T ribunalc internazionale, composto da cinque giudici nominati dalle potenze vincitrici. Nel saggio del 1938 sulla «guerra discriminatoria•, Schmitt liquidava questo e gli altri anicoli della VII pane del Trattato di Vcrsailles come il tentativo di ponarc alle estreme conseguenze, in tutta la sua portata, il duplice processo di «denazionalizzazione• della guerra avviato dalle potenze alleate sin dall'inizio del conflitto: «Nella stessa misura in cui la guerra mondiale fu presentata dai nostri avversari come un'azione internazionale contro uno Stato che aveva infranto il diritto internazionale, la guerra fu fatta passare anche come un'azione punitiva diretta non contro il popolo tedesco, ma soltanto contro il suo governo. Le due cose sono inscindibilmente connesse. Ciò ha trovato definitiva conferma nel fatto che la dichiarazione del presidente Wilson del 2 aprile 1917, che aveva rotto col tradizionale concetto non discriminatorio di guerra, ha innescato simultaneamente la spaccatura dell'unità statale tedesca, proclamando, con riferimento diretto all'eliminazione del concetto non discriminatorio di neutralità: •Noi non abbiamo alcun contrasto col popolo tedesco"• (Schmitt, Il conceuo discriminatorio di guerra cit.,~ 72 sg.).

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sarebbe necessario applicare loro anche una pena nazionale.[...] Quando vengono adottate sanzioni o misure punitive con una pretesa di validità sovrastatale, allora la «denazionalizzazione• della guerra hadi solito come conseguenza anche la dissociazione tra Stato e popolo. Nella compatta unità di Stato e popolo viene introdotta dall'esterno una scissione discriminatoria, in modo che le sanzioni internazionali, almeno secondo quanto viene affermato, siano dirette non contro il popolo, ma solo contro i governanti e il loro seguito, i quali cessano così di rappresentare il loro Stato o il loro popolo. I governanti diventano, in altre parole, «criminali di guerra•, «pirati•, oppure - per evocare la versione moderno-metropolitana dei pirati- «gangster>. Queste non sono solo le frasi fatte di una propaganda sfcrzantc; sono la logica conseguenza giuridica della denazionalizzazione della guerra, che è già contenuta nel suo carattere discriminatorio. Il concetto di pirateria sposta la questione sul piano universalistico cd ecumenico. Come è noto, è implicito nel concetto di pirata il fatto che egli sia «denazionalizzato• e che venga abbandonato anche dallo Stato a cui appartiene. In tal modo si crea un punto di irruzione, importante sul piano pratico e suscettibile di notevoli estensioni, di costruzioni concettuali sovrastatali e universalistiche, che consentono di trattare interi Stati e interi popoli come pirati, e quindi di recuperare ad un livello di maggiore intensità il concetto, diventato desueto ormai da un secolo, di «Stato predone• [Riiuberstaat]. Questa serie di incrinature e scissioni dello Stato in un governo (criminale) e in un popolo (innocente) - intendendo i non-governanti come non-colpevoli - è in realtà solamente l'altra faccia della dissoluzione e del tramonto del concetto di guerra cd è legata all'introduzione nel diritto internazionale del concetto discriminatorio di guerra"'.

4. Dialettica della pirateria

Secondo alcuni interpreti, nell'offensiva di Schmitt contro la nuova semantica della pirateria e i suoi destabilizzanti effetti di sistema si troverebbero sostanzialmente anticipate- seppure in filigrana- alcune delle fondamentali istanze di filosofia dello spazw destinate in seguito a caratterizzare, con un andamento carsico,

'° Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra cit., p. 72.

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gran parte della sua produzione internazionalistica: il riferimento al mare come «superficie liscia, liquida, in perenne movimento», sottratta in quanto tale a qualsiasi stabile ordinamento politico dello spazio e perciò condannata alla «più assoluta e radicale anomia»; ma anche l'apertura antropologica ad una peculiare forma di «esistenza marittima (maritime Existenz )», di cui proprio la tradizionale figura del pirata, «per la sua ancestrale aggressività e per la sua radicale eccentricità», rappresenterebbe in qualche modo l'archetipo9'. In questa sede non è possibile, evidentemente, entrare nel merito di complesse questioni interpretative che chiamano in causa, e nel modo più ampio, la genesi di quella essenzialistica «dottrina degli elementi» che avrebbe rappresentato la dimensione più suggestiva ed iniziatica della matura riflessione schmittiana sul tema dello spazio92. Nell'avviarmi alla conclusione di queste note di lettura, ritengo però opportuno richiamare almeno le cruciali determinanti geopolitiche che, nel periodo a cavallo tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta, intervengono con sempre maggiore evidenza a riorientare il serrato confronto polemico di Schmitt con il «discriminatorio» ordine internazionale ginevrino, imponendo progressivamente come privilegiata chiave di lettura di un tumultuoso presente quella reintepretazione della «storia dei popoli europei» come storia dello scontro tra «potenze terrestri» e «potenze marittime» già delineata, sia pure in forma ancora del tutto embrionale, nel saggio Totaler Feind, totaler Krieg, totaler StaatJ}. È proprio in questo quadro interpretativo, ,, Cfr. Ruschi, Schmiu e la pirateria cit., pp. 1228 sgg., in specifico riferimento al testo Zum Begriff der Piraterie. Ncll' articolo Cari Schmitt on lana ana sea, «History of Europcan Idcas», 37, 2ou, pp. 181-189, in part. p. 185, Joshua Dcrman coglie, invece, la prima testimonianza del nascente interesse schmitriano per il dualismo terra-mare nel «suo lavoro sul concetto discriminatorio di guerra». '' Cfr. Minca, Rowan, On Schmilt ana Space cit., pp. 187 sgg. Ma su questo aspetto della riflessione schmittiana si veda Gabriella Cotta, Il pirata e la dialettica te"a-mare, in questo volume, pp. 28 sgg. " Schmitt, Nemico totale, guerra totale, Stato totale eit., pp. 394 sgg. Inevitabile su questo punto il riferimento a Lana urul Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung, Rcclam, Lcipzig 1942; trad. it. Terra e mare. Una considerazione sulla storia del morulo racamlata a mia figlia Anima, Giuffrè, Milano 1986, p. 37= «La storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare». Ma per una prima, interessante, elaborazione di questo contesto tematico si veda anche il lungo

contributoStaatliches SoU'UeranÌtiit urul freies Meer. Ober den Gegensatz'CIOn Land urul See

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centrato, come è noto, su una lettura weltgeschichtlich di dinamiche materiali e intellettuali coincidenti con le origini stesse della «modernità-mondo»94, che il fenomeno della «pirateria», assunto nella sua accezione più ampia91, viene, infatti, sperimentando una significativa transvalutazione filosofico-storica, proponendosi per la prima volta nella riflessione schmittiana come la manifestazione prototipica di quella via tipicamente oceanica alla modernizzazione politica e sociale inaugurata dall'Inghilterra nel momento della sua trasformazione in potenza imperiale: nei suoi saggi di questi anni, Schmitt guarda con crescente attenzione agli «arditi uomini di mare» che tra Cinque e Seicento si impegnarono in prima persona nel saccheggio e nella distruzione delle ricche navi e colonie spagnole, considerandoli come i veri artefici del trionfo dell'Inghilterra in un'epoca di transizione segnata dalla «lotta mondiale tra il cattolicesimo e il protestantesimo»; egli li vede, anzi, come gli autentici protagonisti della «svolta verso il mare»"6 dell'isola britannica, quella vera e propria «conversione "elementare" (elementare Wendung)»9 7 che ne avrebbe cambiato i destini, proiettandola materialmente e spiritualmente al di fuori del continente europeo e del suo segmentato spazio di relazioni

im Volkerrecht der Neuzeil, frutto di una conferenza tenuta a Norimberga nd 1941 e pubblicato per la prima volta nel volume collcttanco Das Reich unJ Europa, Kochlcr und Amclung, Lcip7.ig 1941, pp. 91 sgg., ora in C. Schmitt,Staat, Grossraum, N011Ws. Arbeiten aHS den Jahren 1916-1969, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1995, pp. 401-43o; trad. it. Suuranità delk, Stato e libertà dei mari, in C. Schmitt, L'unità del mondo e ahri saggi cit., pp. 217-2 5z. ,. Angelo Bolaffi, Giacomo Marramao, Frammento e sistema. Il «conflitto-mondo, da Sarajevo a Manhattan, Donzelli, Roma 2001, cap. III. " Nelle sue variazioni storico-genealogiche sul tema Schmitt chiama in causa, infatti, tutte le diverse varianti di questa «temeraria specie di •figli del mare"» - «pirati», «corsari», «avventurieri dediti a traffici marittimi» e così via - ponendo decisamente in secondo piano la questione, per altri interpreti decisiva-, dd fondamento giuridico della loro attività. in alcuni casi legittimata formalmente dal governo del Paese di appartcnza. Cfr. Schmitt, Terra e mare cit., pp. 48 sgg. ,. Schmitt, SO'Oranità dello Stato e libertà dei mari cit., p. 229 (trad. modificata). "Cari Schmitt, La mer contre la terre, «Cahicrs franco-allcmands», VIII, 1941, pp. 343-349; trad it. Il mare contro la terra, in Id., L'unità del mondo e altri saggi cit., pp. 253-259, in part. p. 254. Pur rappresentando un'evidente forzatura dell'originale tedesco, la traduzione italiana consente di cogliere la radicalità di un mutamento di prospettiva che, secondo Schmitt, rappresenta al tempo stesso una «trasformazione dcli'essenza e del significato dell'isola britannica».

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interstatuali98: «gli Spagnoli» - annota al proposito - «certamente consideravano e trattavano questi uomini come pirati», ma si trattava di una definizione «troppo sommaria», visto che nel XVI e nel XVII secolo la partecipazione dei privati alla guerra era «ancora una cosa molto naturale»"- Per questo motivo, dei diversi vocaboli utilizzati per classificare «le tante e pittoresche figure di quello strano tempo», egli ritiene senz,altro preferibile fare riferimento al «nome che essi stessi si davano», quello di «privateers», tanto più significativo in quanto dimostra che gli odierni concetti ed ideali della guerra, sorti in un'epoca di accentuata statualità, non possono essere trasferiti ad un'epoca che non ha ancora statualizzato la guerra, ma che, mediante una lettera patente del re, autorizza la condotta di operazioni belliche da parte di un privato come istituto giuridico e consente perfino a tale concessionario privato rappresaglie di diritto delle genti. Tenendo presenti questi «privateers», si comprende chiaramente la concezione inglese. Soltanto così è chiaramente comprensibile la concreta decisione storica, allora verificatasi, sia nel suo carattere storico come anche nell'influenza esercitata nei secoli dalla sua azione. Non già una organizzazione statale, bensì il «privateer» fu il fattore storico della decisione per il mare e contro la terra. È a lui che si deve una decisione di carattere cosmico-storico per l'elemento oceanico, con dimensioni senza precedenti, poiché nella storia dell'umanità, svoltasi fino allora, non esisteva la concezione dell'oceano mondiale né quella della terra come pianeta. Contro questa decisione per il mare, elemento di esistenza umana e politica, i fronti e le questioni religiose e confessionali sono del tutto secondari. Solo ora il mondo europeo e il suo ordinamento dal punto di vista del diritto delle genti si scindono in due parti, orientate rispettivamente verso il mare e la terra 100•

,. Ivi, p. 257. Secondo Schmitt, infatti, «per via del suo decidersi a favore dell'elemento oceanico», l'Inghilterra «non fu propriamente uno Stato. L'idea di Stato si è realizzata sul continente europeo, mentre il mare è stato considerato •libero", libero nei riguardi della sovranità nazionale, zona, insomma, insusccttibilc a valere interamente come parte di uno Stato. Il mare e la terra ci si presentano ora come due mondi separati e quasi privi di relazioni». ,. Schmitt, Sovranità dello Stato e libertà dei mari eit., p. 2 34. 100 lvi, p. 237 (trad. parz. modificata). Sul punto si veda anche Schmitt, Il mare contro la terra cit., p. 2 56. Decisamente più sfumata, invece, l'opzione terminologica proposta in Id., Tl!TTa e mare, pp. 45 sgg.

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Sono considerazioni di questo tipo che spingono Schmitt a identificare nella «pirateria marittima dei secoli XVI e XVII» un fenomeno storicamente unico, letteralmente inassimilabile alle forme di predazione marittima caratteristiche di altre epoche della storia dell'umanità e destinato ben presto a scomparire, a causa della sua manifesta incompatibilità con i principi del nuovo ordine europeo sancito dai trattati di pace di Ryswick (1697) e di Utrecht (1713). Secondo la sua lettura, con questo duplice passaggio il diritto delle genti europeo, assieme al suo concetto di «guerra», era entrato, infatti, a tutti gli effetti «nell'epoca dell'affermantesi interstatualità», grazie in particolare alla scelta dell'Inghilterra di abbandonare il «sistema dei corsari privati» al quale aveva affidato fino a quel momento il suo espansionismo transoceanico' Un mutamento di scenario, questo, che avrebbe privato la moderna figura del «pirata» della ambivalente carica di politicità da essa assunta nel contesto della «grande lotta mondiale» tra la potenza cattolica della Spagna e il nascente fronte protestante 1°2, spingendola in quella dimensione di assoluta antigiuridicità che il successivo diritto delle genti, forzando non poco la mano, avrebbe efficacemente espresso attraverso l'utilizzo della formula, di derivazione classica, di «nemico del genere umano»• 0 J: 0

'.

'°' C. Schmitt, Sovranità dello Stato e liberti: dei mari cit., pp. 234 sg. '°' lvi, pp. 235 sg. In un celebre passo del Nomos della Terra, Schmitt definisce addirittura «partigiani del mare in un'epoca di transizione nella lotta tra potenze cattoliche e protestanti•, gli arditi avventurieri che tra XVI e XVII secolo, «a proprio rischio e pericolo•, salvarono l'Inghilterra «dal suo stato di necessità•, la aiutarono a schiacciare la potenza spagnola, «il suo peggior nemico• e fecero dell'isola la «superba signora dei mari•. Una affcrma7.ionc dalla quale in seguito avrebbe preso esplicitamente le distanze in nome del carattere a suo giudizio indiscutibilmente «tellurico• della figura del «partigiano•. Al proposito si veda C. Schmitt, Theone des Partisanen, Dunckcr & Humblot, Bcrlin 1963; trad. it. Teana del partigiano, Adclphi, Milano 2012, pp. 46 sgg. 'O) A partire da Rubin, la più recente letteratura sul tema è apparsa abbastanza concorde nell'individuare negli lnstilutes of the Laws of England di Sir Edward Cokc la prima applicazione al pirata di questa formula, tradizionalmente utilizzata dalla letteratura latina di epoca imperiale per stigmatizzare forme estreme di tirannia e poi transitata nella riflessione teologica cristiana come attributo dello stesso Satana. Ne esiste però almeno una occorrenza più antica nelle opere di Bartolo da Sassoferrato, come ricorda Emily Sohmcr Tai nel papcr Marking Water. Piracy and Property in the Pre-Modem West (2003) accessibile on-linc all'indirizzo hnp://www.history coopcrativc.orgl procccdings/scascapcs/tai.html. Nel suo classico volume The Law of Piracy cit., p. 55, n.

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Dopo quelle due paci i corsari si trasformano in migliaia di affamati e cadono fino al rango di malfattori. Eccezion fatta di alcuni rari esempi, [ ... ] il pirata diventa ora un criminale ed un miserabile, nel quale si può trovare solo una specie di romantica poesia. I cosiddetti stati pirateschi dcli'Algeria, di Tunisi e di Tripoli vivono ancora grazie alle rivalità delle potenze marine europee, quantunque la polizia marittima e la giustizia di queste si sforzino di farla finita con i pirati, e sembra di fare molto onore a questi poveri diavoli se li si considera come nemici del genere umano («hostcs generis humani» ). [ ...] Il predone del mare, che secondo la definizione comune dei trattati di diritto delle genti non ha nemici politici, piomba indifferentemente sulle navi di tutte le nazionalità, poiché non lo spinge nessun altro motivo che quello, basso, del guadagno. Egli ha dunque il sentimento di un ladro comune, I'«animus furandi» •ot.

Nella lettura schmittiana, la rinuncia all'utilizzo della pirateria come strumento, sia pur sui generis, di espansione transoceanica e la sua riclassificazione come vero e proprio crimine jure gentium - di portata universale e dunque universalmente perseguibile- non segnava affatto, peraltro, una cesura netta rispetto alla illimitata concezione della guerra che proprio nelle scorribande a tutto campo dei «privateers» britannici aveva trovato la sua più peculiare espressione, anche simbolica. Al contrario, nei secoli successivi il Seekrieg, la guerra sul mare all'inglese sarebbe rimasta in qualche modo caratterizzata dalla persistenza di ciò che si può chiamare la «legge della pirateria»• s, se è vero che in una guerra di questo tipo nemico «non è solo l'avversario 0

61, Rubin tende a spiegare un po' sbrigativamente il ricorso alla formula «hostis generis

humani» da parte della moderna letteratura giuridica sulla pirateria come una errata citazione di un celebre passo del De Officiis di Cicerone (III, 29: «[ ...] Nam pirata non est cx pcrducllum numero dc6nitus, scd communis hostis omnium: cum hoc ncc 6dcs ncc jus jurandum esse communc» ). Che dietro la diffusione sci-scttcccntcsca della formula ci siano però anche più profonde questioni dottrinarie emerge con una certa evidenza in Walter Rcch, Enemies of Mankind. Vattel's Theory of Collectifle Security, Nijhoff, Lcidcn-Boston 2013, pp. 3 5 sgg. Sul punto si veda anche Christophcr Harding,

«Hostis Humani Generis» - The Pirate as Outlaw in the Early Modem Law ofthe Sea, in Claire Jowitt (cd.), Pirates? The Poutics of PIHnder. r55er1650, Palgravc MacMillan, Houndmills 2007, pp. 20-37. '"' Schmitt, SO'UTanità dellc Stato e lihertà dei mari cit., p. 2 3 5. ' 01 Angelo Bolaffi, Presentazione, in Schmitt, Terra e mare cit., p. 2 5.

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che combatte, ma ogni cittadino dello Stato nemico e persino anche quello neutrale che commercia col nemico e ha con lui relazioni economiche» 1o6. Secondo Schmitt, la definitiva ascesa dell'Inghilterra al rango di potenza imperiale mondiale aveva trovato, anzi, il suo decisivo sigillo proprio nella capacità di trasformare i «metodi tipicamente inglesi della guerra marittima in regole generalmente riconosciute dal diritto delle genti», mettendo a sistema anche dal punto di vista giuridico quell'alterità insulare che nel saggio Staatliche Souveranitat und freies Meer egli tratteggiava efficacemente attraverso il richiamo alle tesi del «militare filosofo» ottocentesco Gustav Ratzenhofer: Il grande maestro austriaco della scienza della guerra dimostra che la guerra terrestre ha per oggetto specialmente lo spazio, il terreno, le località mentre la guerra marittima ha come obiettivo invece non lo «spazio» ma i mezzi di trasporto, che per lo più sono mobili. La guerra marittima degli Stati continentali mira perciò prevalentemente o agli approdi o alla protezione delle coste. La guerra marittima portata avanti dall'Inghilterra ha invece come obiettivo uno spazio di dominio economico e cerca di costringere la potenza marittima più debole a interrompere i propri traffici' 07 •

È appunto su questa baseche, portando alle estreme conseguenze una prospettiva di analisi già abbozzata nel saggio Totaler- Feind, totaler Krieg, totaler Staat•oS, Schmitt giungeva a definire «falsa e

'°' Schmitt, Terra e mare cit., p. 72. E ancora: «La guerra di terra tende ad un aperto, decisivo, scontro campale. Nella guerra di mare si può naturalmente arrivare anche alla battaglia navale ma i suoi metodi e mezzi tipici sono il bombardamento e il blocco navale delle coste nemiche e la confisca, secondo il diritto di preda, del naviglio commerciale nemico e neutrale. Nell'essenza di questi tipici strumenti della guerra di mare c'è la spiegazione del fatto che essi sono rivolti tanto contro i combattenti quanto contro i non-combattenti. Un blocco degli approvvigionamenti, in particolare, copliscc indifferentemente gli abitanti di tutto il territorio sottoposto al blocco, soldati e popolazione civile, uomini e donne, vecchi e bambini•. '"' Schmitt, Sovranità dello Stato e libertà dei mari eit., p. 244. Schmitt non esplicita il suo riferimento bibliografico che per motivi cronologici dovrebbe comunque essere G. Rat:r..cnhofcr, Die Staatswehr. Wissemchaftliche Untersuchungen der offentlichen Wehrangelegenheiten, Cotta'schc Buchhandlung, Stuttgart 1881. ,.. Schmitt, Nemico totale, gut!TTa totale, Stato totale cit., p. 395: «La guerra marittima inglese [ ...] ha sviluppato e attuato un sistema di diritto internazionale completo, in

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ingannevole» la generica nozione di «diritto internazionale (Vol-

kerrecht)» in uso nel dibattito otto-novecentesco, nella misura in cui in essa si trovavano ingiustificamente assemblati due differenti «ordinamenti giusinternazionalistici», un «diritto internazionale del mare» e un «diritto internazionale della terra», che in realtà non avevano proprio nulla in comune Puno con Paltro•o,. Da questo punto di vista, era sufficiente considerare i più tipici «metodi e mezzi» di belligeranza tradizionalmente riconosciuti dal diritto internazionale del mare - «il bombardamento e il blocco navale delle coste nemiche» e «la confisca, secondo il diritto di preda, del naviglio commerciale nemico e neutrale» 110 - per toccare con mano la abissale distanza che lo separava dall'omologo continentale, con la sua visione «limitata» della guerra come conflitto esclusivamente interstatuale, «condotto da eserciti organizzati statualmente e mirante a risparmiare la popolazione civile e la proprietà privata» L'interpretazione britannica del diritto di guerra impostasi in parallelo al consolidamento del suo dominio sui mari consentiva, infatti, secondo Schmitt, alle potenze belligeranti di esercitare il proprio diritto di preda anche sui beni appartenenti a privati cittadini degli Stati «nemici», estendendo, anz~ in alcuni casi questo diritto anche al carico, regolare o irregolare, trasportato da imbarcazioni di Paesi neutrali 112. Attraverso pratiche sempre più capillari di blocco delle vie commerciali, come quelle esercitate nei confronti del Reich guglielmino nel corso della Prima Guerra mondiale, essa consentiva inoltre agli Stati in lotta di colpire duramente l'intera popolazione dei territori nemici, senza fare alcuna distinzione tra «militari e civ~ uomini e donne, vecchi e bambini» 3. Aspetti che gli consentivano di retrodatare di almeno un secolo quella «svolta verso la guerra 111



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sé concluso, con propri concetti, che si sono affermati rispetto ai concetti corrispondenti del diritto internazionale continentale per tutto il secolo XIX ... ,.. ,., Schmitt, Sowanità dello Slalo e libertiz dei mari cit., pp. 22 5 sg. 110 Schmitt, Terra e mare cit., p. 72. "' Schmitt, Sowanità dello Slalo e libertiz dei mari cit., p. 226. m lvi, pp. 226 sg. "J lvi, p. 227; Id., Terra e mare cit., p. 72. Su questo aspetto della riflessione schmittiana degli anni '4osi vcdajoshua Derman, Cari Schmitt on Land and Sea, «History of Europcan Idcas,., 37, 2, 2011, pp. 181-189, in part. pp. 183 sg.

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totale», espressione di un' «inimicizia assoluta» tra i belligeranti, in precedenza identificata come l'eredità più velenosa della Prima Guerra mondiale 11 4, attribuendone una volta per tutte la responsabilità storica proprio all'Inghilterra, la potenza europea che più di ogni altra si era impegnata per la messa al bando internazionale dei metodi «piratici» di belligeranza praticati in mare dagli U-Boot tedeschi111. Nello sviluppo della sua analisi, Schmitt riteneva però necessario oltrepassare l'immediato livello di una critica del moderno diritto internazionale e del suo ambivalente ordinamento della forza, per mettere direttamente in discussione il ruolo in ultima istanza tutto politico giocato da questo tipo di infrastuttura normativa in un ordine imperiale caratterizzato strutturalmente dal ricorso «ai mezzi e ai metodi di un potere indiretto», un' «"indirect rule" nel più ampio senso della parola», «così difficilmente afferrabili, ma appunto per questo tanto più efficaci» 116• Attraverso un velocissimo excursus sulla storia plurisecolare dell'Impero britannico, Schmitt poteva ricollegarsi così ancora una volta alle sintomatiche vicende del «sistema Ginevra», identificando nel processo di giuridificazione delle relazioni interstatuali portato avanti dalla Società delle Nazioni tra il 1919 e il 1933 nient'altro che un più avanzato tentativo di «organizzazione» dei «metodi indiretti di dominio inglese nel mondo», la peculiare variante novecentesca, cioè, di un progetto Schmitt. Nemico rotale, Guerra totale, Stato totale cit., passim. "' Id., Sovranitii dello State e libertà dei mari cit., pp. 226 sg.: «La guerra marittima secondo questo ordinamento di diritto delle genti [...] non è affatto una semplice guerra di combattenti, ma si basa su un concetto totale di nemico, che considera tale non soltanto ogni cittadino appartenente allo stato avversario, ma anche chiunque abbia rapporti commerciali con il nemico e ne favorisca l'economia». Il punto era stato anticipato in C. Schmitt, Der L=ialhan in der Staatslehre des Thomas Hobbes. Sinn unà f"ehlschlag eines politischen Symbols, Hanscatische Verlag, Hamburg 1938; trad. it. Il Lt!'Uiatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes. Senso e fallimento di un simbolo politico, in Cari Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, Giuffrè, Milano 1986, pp. 97 sgg. "' Schmitt, Sowanità dello Stato e libertà dei mari cit., pp. 246 sg. (traduzione lievemente modificata): •L'esercizio del potere mediante l'influcn7..a indiretta è tipico di una potenza che agisce dal mare sulla terra. In tutti gli stadi della sua poten7..a marittima l'Inghilterra ha fatto valere questi strumenti indiretti di potere [••.] non soltanto contro popoli d'oltremare incivili o scmicivili7.zati, ma anche contro le nazioni del continente europeo. Ciò può essere evidenziato in ognuno dei tre secoli del dominio mondiale inglese... 11 •

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imperiale fondato sull'economia e perseguito, velatamente ma con fredda determinazione, anche attraverso l'imposizione di un asimmetrico sistema di «prescrizioni» giuridiche e morali A dispetto della rilevanza assunta in tale contesto dalla storia, anche semantica, della «pirateria» come ambigua figura costruttiva del moderno «diritto internazionale del mare», manca peraltro negli scritti schmittiani dei primi anni Quaranta un' esplicita ripresa del confronto con i più recenti sviluppi internazionali di quella vicenda, secondo le generali linee di critica del concetto tracciate in precedenza in specifico riferimento alla «svolta di Nyon». Né si può dire che in queste pagine giochi più alcun ruolo quel processo di criminalizzazione della guerra e del nemico che nei testi del periodo '37-38 - e segnatamente nell'affilato contributo polemico Die Wendung zur diskriminierenden Kriegsbegriff- si era imposto come l'autentica posta in gioco - reale o metaforica- del ritorno dell'analogia piratica nel dibattito giusinternazionalistico novecentesco. Nel momento stesso in cui veniva ponendo le basi di una seminale genealogia della pirateria destinata a riproporsi a più riprese anche nei suoi scritti internazionalistici del secondo Dopoguerra, Schmitt rinunciava, cioè, sorprendentemente a servirsene per portare a compimento quella critica politico-ideologica della «concezione inglese della pirateria sottomarina» che nei testi del decennio precedente aveva rappresentato un momento rilevante, seppure appena abbozzato, della sua polemica nei confronti dell'asimmetrico impianto universalistico del «sistema Ginevra» 118• Un cambio di strategia, questo, che, retrospettivamente, risulta legato a doppio filo al mutato «orientamento polemico-politico» sviluppato dalla teorizzazione schmittiana in coincidenza con la tragica escalation bellica dei primi anni Quaranta, se è vero che in questo cruciale momento della storia politica del Nove1 17•

117 Nelle ultime pagine del saggio Staatliches Soufleranitiit und freies Meer, trad. it. cit., p. 247, Schmin definisce il sistema-Ginevra come un «gioco clastico» di «sanzioni economiche, boicottaggio economico e finanziario, "economie pressore'", proscrizione morale e privazione della pace», «nella cui rete avrebbe dovuto essere soffocata ogni resistenza, se il Reich tedesco, l'Italia e il Giappone», le poten7..c dcli' Asse, «all'ultimo momento non le si fossero sottratti». "' Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra cit., p. 81.

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cento tutte le sue energie intellettuali apparivano catalizzate dal sostegno a quel progetto di «grande spazio» europeo a guida tedesca, ovverosia nazionalsocialista'',, nel quale egli vedeva la sola possibile risposta di tipo «continentale» alla sfida dell' «universalismo despazializzato», e dunque propriamente «imperialistico», caratteristico della Gran Bretagna e dei suoi alleati americani Non è un caso, perciò, che nei saggi di questo 120



11• C. Schmitt, Volkerrechtliche Groflraumordnung und lnteruentwns'Verbot fur raumfremde Machte. Ein Beitrag zum Reichsbegriff im Volkerrecht, Deutscher Rechtsvcrlag, Berlin-Leip:zig-Wien 1939; 4a edizione ampliata, Deutscher Rechtsverlag, Berlin-Leip:zig-Wien 1941, poi ristampata in Id., Staat, Groflraum, Nomos. Arbeiten aus den Jahren 1916-1969, Duncker & Humblot, Berlin 1995, pp. 269-37o; trad. it. L'ordinamento dei grandi spazi nel diritto internazionale con di'Oieto di intervento per potenze estranee. Un contributo sul concetto di impero nel diritto internazionale, in C. Schmin. Stato, Grande spazio, Nomos, Adelphi, Milano 2015, pp. 101-198, in pan. pp. 164 sg.: «In passato il pensiero di un Reich tedesco contemplato dai fautori e artefici di un nuovo diritto internazionale sarebbe stato un sogno utopico, così come un diritto internazionale edificato in base ad esso sarebbe stato solo un vuoto desideratum giuridico. Ma oggi è nato un potente Reich tedesco. Un tempo debole e impotente, il centro d'Europa è diventato oggi forte e inattacabile, un centro in grado di far sì che la sua grande idea politica - il rispetto di ogni popolo in quanto realtà vivente determinata dalla sua specie e dalla sua origine, dal suo sangue e dal suo suolo - irradi nello spazio dell'Europa Centrale e Orientale, respingendo ogni ingerenza da parte di potenze estranee e non etnicamente caratterizzate. All'idea del nostro "impero" l'azione del Fuhrer ha dato realtà politica, verità storica e un grande futuro nel diritto internazionale•. Sui nuovi compiti spettanti in questo quadro ad una autentica «scienza del diritto internazionale tedesca• si veda ivi, pp. 155 sgg. Per un inquadramento generale di questa svolta nell'itinerario intellettuale schmittiano e i suoi più duratori esiti teorici rimando a C. Galli, Genealogia della politica. Cari Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, il Mulino, Bologna 19~, pp. 866 sgg. Nello sviluppo della sua teorizzazione sul tema, Schmitt lascia emergere a più riprese la dimensione più aggressiva e intollerante di questa visione, come dimostra il finale del saggio Staatliche Sou'Oeriiniuit und freies Meer, scritto nei primi mesi del 1941, con la ripresa di un'affermazione di Ratzcnhofer, «il cui pieno significato diviene chiaro solo oggi, dopo scssant'anni. Egli dice, infatti, che una potenza marittima che non rispetta sul mare la proprietà degli altri stati, non può nemmeno pretendere che in seguito ad un eventuale sbarco sul suo territorio sia rispettata dal nemico la proprietà sua e dei suoi cittadini•. ''° Cfr. Schmitt, L'ordinamento dei grandi spazi nel diritto internazionale cit., pp. 148 sg.: «Reich, lmperium, Empire non sono la stessa cosa, e visti dall'interno non sono paragonabili tra loro. Mentre infatti l'lmperium ha spesso[.•.] il significato di formazione politica universalistica che abbraccia il mondo e l'umanità intera, cd è dunque sovranazionale, il nostro Rcich tedesco è determinato essenzialmente in senso nazional-popolare, e costituisce un ordinamento giuridico essenzialmente non universalistico basato sul rispetto di ciascuna nazionalità. Mentre quindi la parola "imperialismo" a partire dalla fine del XIX sccoloè diventata una designazione, spesso abusata come mero

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periodo il confronto con l'ordine internazionale ginevrino e la sua discriminatoria intelaiatura prescrittiva venisse per la prima volta declinato al passato, lasciando il campo alla giustificazione storica e geografica di quel rinnovato scontro tra potenze di terra e potenze di mare, dai cui esiti dipendeva, per Schmitt, la nascita di un «ordine mondiale» di nuovo tipo: La storia universale conosce guerre dei generi più diversi, guerre di aggressione e guerre di difesa, guerre parziali e guerre totali, lotte di liberazione e lotte di conquista, guerre commerciali e guerre di religione. Ma tutte queste classificazioni e caratterizzazioni sbiadiscono di fronte allo schiacciante dato di fatto che l'attuale guerra mondiale è una guerra per l'ordinamento dello spazio in grande stile, la prima guerra per l'ordinamento dello spazio di proporzioni planetarie. In ciò risiede l'elemento nuovo, unico e incomparabile di questa lotta tra popoli che abbraccia sia il mare che la terra. E in ciò risiede anche il superamento del contrasto fra terra e mare nella sua forma d'impronta angloamericana durata fino ad oggi. Ogni altra questione può essere riportata a questo senso ultimo della storia universale, e trovare risposta in esso..,.

Appartiene evidentemente ai (piccoli) paradossi della storia del Novecento che quel modello «universalistico-ecumenico» di ordine internazionale da Schmitt frettolosamente rubricato tra le vestigia di un'epoca ormai conclusa fosse destinato di lì a poco a giocare un ruolo non irrilevante anche nella sua esistenza individuale, e proprio nella veste da lui più deprecata: quella di una giustizia «imperiale» impegnata a fare i conti con il passato in nome della stessa umanità. Ragionando in tempo reale sulle slogan, dei metodi economico-capitalistici di colonizzazione e di espansione, la parola Rcich ha conservato, in questo senso, la sua purezza .•. ». Per una più netta cplicitazionc di questa contrapposizione tra la concezione imperiale tedesca e l'imperialismo anglo-americano si veda Idem, Beschleuniger wiaer Willen, oder: dre Problematile der westlichen Hemispare, «Das Rcich», 19-4-1942, pp. 1-5; ristampato in Schmitt, Staat, Groflraum, Nomos cit., pp.431-44o; trad. it. Acceleratori involontari, ovvero: la problematica dell'emisfero occidentale, in Schmitt, Stato, Grande spazio, Nomos cit., pp. 199213), a cui si rimanda anche per una chiara esemplificazione del ruolo giocato dall'ingresso in guerra degli Stati Uniti nel contesto della nascente riflessione schmittiana sul nuovo Nomos della Terra. '" Schmitt, Acceleratori involontari cit., pp. 204 sg.

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sue penose vicende personali, Schmitt non avrebbe avuto il coraggio di spingere la sublimazione letteraria di questa sorta di nemesi elementale fino al punto da mettersi in scena nei panni dell' «hostis generis humani» di piratesca memoriam; i richiami a questa ambivalente figura della modernità politica avrebbero scandito, però, la sua successiva riflessione geostorica sino ai suoi più estremi esiti teorici J, con un'insistenza palesemente espressiva di un interesse più che dottrinario per la sua polarizzata dialettica storica. Da questo punto di vista non può sorprendere, dunque, che le pagine riflessivamente più articolate da lui dedicate alla critica della fattispecie della pirateria «come "exemple-type" di un crimine internazionale» appartengano ad un testo ibrido, a metà tra il contributo scientifico e la presa di posizione polemica nei confronti di un nuovo ordine internazionale di cui ancora una volta si discutevano i fondamenti ultimi di legittimità: vale a dire la dotta expertise scritta nella desolata Berlino del 194 5 per il grande industriale Friedrick Flick in odore di incriminazione da parte degli Alleati per il ruolo esercitato nella preparazione della guerra di aggressione tedesca. È in queste pagine, rese disponibili al pubblico solo molti decenni più tardi, che Schmitt porta infatti alle estreme conseguenze il corpo a corpo concettuale con la «concezione britannica della pirateria» iniziato molti anni prima, denunciando le esiziali conseguenze di un'applicazione analogica di questo modello ad altri ambiti del diritto internazionale, come quello della repressione dei crimini di guerra (e dello stesso aimin.e della guerra), con una nettezza che non lascia spazio a dubbi di sorta: 12

La differenza fra le mentalità giuridica anglosassone e quella europeo-continentale diventa particolarmente evidente nell'interpretazione della pirateria come crimine internazionale. Il pensiero europeo conti-

"' Mi riferisco, evidentemente, alla identificazione con il Benito Ccrcno di Melvillc proposta da Schmitt nel saggio omonimo del volumetto Ex Captivitate Salss. ErfahrHngen der Zeit r945/47, Grcvcn Vcrlag, Koln 1 95o; trad. it. Ex Captivitate SalHs. Esperienze degli anni r945l47, Adelphi, Milano 1987, pp. 57-80. "l Si veda, al proposito, Schmitt, Il Nomos della Terra cit., in part., pp. 21 sgg., pp. 209 sgg.; Id., Teoria del partigiano cit., passim.

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nentale tende a fare del diritto la legge positiva dello Stato. Nel diritto penale questa positivizzazione, che è nello stesso tempo una statalizzazione, conduce alla conclusione che solo una legge statale possa essere alla base di una criminalizzazione. [... ] Nel corso di questa positivizzazione il giurista del diritto penale europeo-continentale tratta la pirateria come un caso di rapina, punito nei codici penali di numerosi Stati insieme con altri casi di rapina. [...] L'interpretazione inglese conosce anche una pirateria secondo il diritto anglosassone, nella misura in cui si tratta di fattispecie che cadono sotto statutes inglesi. Ciononostante, ci si attiene anche alla tradizionale pirateria jure gentium, che come crimine internazionale si distingue essenzialmente dalla pirateria statale. Il pirata jure gentium è un nemico dell'intera umanità. Secondo l'antica formula egli è hostis generis humani. Le sue intenzioni predatorie sono dirette indistintamente contro tutti gli Stati. Ogni Stato, perciò, può renderlo inoffensivo. Nessuno Stato, nemmeno quello di cui è cittadino, può sostenerlo. Come conseguenza della sua pirateria, il pirata è denazionalizzato. Egli non può appellarsi alla protezione del suo Stato né lo Stato cui appartiene ha il diritto di proteggerlo. Questa è davvero una straordinaria particolarità di questo delitto, almeno per la coscienza giuridica di un giurista europeo-continentale ... ' 11 •

Grazie al lavoro di scavo analitico-ricostruttivo svolto nel corso degli ultimi decenni da alcuni dei principali studiosi del pensiero di Cari Schmitt, oggi siamo sufficientemente consa''1 C. Schmitt, Der intemationalrechtliche Verbrechen des Angriffskriegs und der Grundsatz «Nullum crimen., nulla poena sine lege» (1945), Duncker & Humblot, Berlin 1994; trad it. La guerra di aggressione come crimine internazionale, il Mulino, Bologna

2015, pp. 91 sg. Per Schmitt, alla luce delle formule citate di nemico del genere umano e di •denazionalizzazione"», era del tutto comprensibile che gli sforzi di bandire la guerra e di dichiararla crimine internazionale si connettessero «proprio alla pirateria jure gentium. La guerra, almeno la guerra ingiusta e la guerra di aggressione, deve essere trattata come un crimine internazionale secondo l'esempio della pirateria. Il reo del nuovo crimine internazionale •guerra" è egli stesso un pirata e come tale è outlaw. Si tratta di un parallelo assolutamente evidente per molti oppositori della guerra. La pirateria diventa così un esempio e addirittura il tipo di un crimine internazionale» (ivi, p. 92). Sulle circostanze della redazione del testo e la sua successiva vicenda si veda, oltre alla Presentazione di Carlo Galli, ivi, pp. 7 sgg., anche Oona A. Hathaway, Scott J. Shapiro, The lnternationalists. HO'l/J a radical pian to outlaw war remade the World, Simon & Schustcr, New York 2017; trad. it. Gli internazionalisti. Come il progeuo di bandire la guerra ha cambiato il mondo, Neri Poir.za, Viccnir.a 2017, pp. 32 5 sgg.

SCHMI17, LA PIRATERIA E L'ORDINE INTERNAZIONALE

pevoli delle molte assunzioni non dimostrate e delle rilevanti forzature storiche di cui vive anche questa direttrice della sua teorizzazione giuridico-politica s. Ciò non ha impedito, tuttavia, alla concezione schmittiana dell'analogia piratica come strumento per eccellenza di discriminazione del nemico di allignare tra le pieghe del dibattito teorico-politico, riproponendosi, con tutte le varianti del caso, come la naturale cornice di orientamento per la critica delle nuove forme di «inimicizia assoluta» prodotte, secondo alcuni interpreti, dalle tumultuose dinamiche dell'epoca globale Alcuni dei più fedeli adepti del verbo schmittiano hanno addirittura fatto propria la prospettiva essenzialistica caratteristica dell'ultima fase del suo pensiero, spingendosi anche oltre le intenzioni del Maestro: sforzandosi cioè di ricostruire le vicende di un presunto «paradigma piratico» posto alla base dell'arsenale intellettuale di tutte le potenze imperiali occidentali, in un arco temporale che dalla Roma ciceroniana giungerebbe fino alla recentissima stagione della War on Terror' 27• Molto ci sarebbe da dire, evidentemente, sulla conciliabilità di una tale ricostruzione con gli assunti di una prospettiva di ricerca minimamente attenta alla specificità storica delle peculiari costellazioni teorico-pratiche che scandiscono il divenire del discorso politico e giuridico occidentale. In questa sede mi limiterò a ricordare la fondamentale opzione di metodo enunciata dallo stesso Schmitt in una celebre pagina del suo più noto contributo teorico, il saggio Ober den Begriff des Politischen: «Tutti i concetti, le espressioni e i termini politici 12

126•

"' Panicolarmcnte rilevanti in questa prospettiva appaiono le osservazioni generali svolte da Ben no T cschke nel saggio Cari Schmitt's Concepts of War. A Categorica/ Failure, in Jcns Meicrheinrich, Oliver Simons (hrsg.), The Oxford Handbook of Cari Schmiu, Oxford Univcrsity Prcss, Oxford-New York 2017, pp. 367-400, in pan. pp. 391 sgg. Al proposito, molto interessante è anche la lettura proposta da Walter Rcch, secondo il quale la critica schmittiana alla nuova semantica della pirateria rifletterebbe l'approccio «anomico• posto alla base della sua teoria politica, incapace di pensare la fondazione di un «ordine pubblico mondiale• senza il riferimento alla costruzione performativa di una forma di inimicizia universale. Cfr. Rcch, Rightless Enemies cit., pp. 248 sgg. ,.. Per una prima, sintetica, ricognizione di questa specifica direttrice della Schmiu Renaissance contemporanea si vcdaJ. Derman, Cari Schmitt on Land and Sea cit., pp. 181 sg. "'Cfr. Heller-Roazen, Il nemico di tutti cit., pp. 9 sgg.

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hanno un senso polemico; essi hanno presente una conflittualità concreta, sono legati a una situazione concreta[...] e diventano astrazioni vuote e spente se questa situazione viene meno» 128• Al di là di ogni altra considerazione, non si comprende perché questo approccio - adeguamente deontologizzato - non dovrebbe valere anche per la personalissima, e polemicissima, declinazione schmittiana del concetto di «pirateria».

" 1

Schmitt, Il concetto di «politico» cit., p.

113.

La figura del «pirata» nella giurisprudenza civile degli Stati Uniti relativa all'Alien Tort Statute: eccezione, paradigma o metafora dantesca? Raffaele Cadin

I.Premessa La storia che ci apprestiamo a narrare non è forse destinata ad avere un epilogo soddisfacente sotto il profilo giuridico, ma vale la pena di essere raccontata. Apparentemente perché è piena di elementi misteriosi, evocativi e sorprendenti che di solito vengono accuratamente evitati dai cultori della scuola «positiva» del diritto internazionale. In realtà, questi elementi esotici e anacronistici (ben rappresentati dalla figura classica del «pirata»), che pure arricchiscono la narrativa giuridica, sono il frutto dell'applicazione del metodo logico-storico nello studio del diritto internazionale e delle sue linee di sviluppo che inevitabilmente si perdono nella storia e che alle volte trovano origine (ahimè! ... esclamerebbe qualcuno) anche nel diritto naturale per tornare poi inaspettatamente d'attualità in chiave prospettica nel dibattito giuridico. La «linea rossa» al centro delle dinamiche oggetto del presente scritto è l'ambiguo contenuto normativo dell'Alien Tort Statute (d'ora in avanti, ATS), una legge emanata nel 1789 dal primo Congresso degli Stati Uniti che così recita: «The district Court shall have originai jurisdiction of any civil actions by an alien for a tort only, committed in violations of the law of nations or a treaty of the United States». Il mistero sui suoi scopi (non sono giunti a noi i lavori parlamentari - secondo il giudice Friendly la legge è «a kind of legai Lohengrin; althought it has been with us since the first Judiciary Act [...] no one seems to

RAFFAELE CADIN

.knowfrom whence it carne»')-, il clamore suscitato dal caso Filartiga del 1980 e dal celebre dictum della Corte di Appello di New York - «the torturer has become - like the pirate and slave trader before him - hostis humani generis, an enemy of all mankind»2 - , nonché il tentativo ultimo, sia pure per il momento abortito, di utilizzare l'ATS per affermare la responsabilità civile delle multinazionali nelle corti statunitensi per i crimini commessi nell'ambito della globalizzazione predatoria; hanno fatto di questa legge interna un caso giuridico senza precedenti in cui il diritto internazionale ricerca, non senza contraddizioni, nelle proprie radici storiche lo spirito normativo per affrontare le principali sfide della contemporaneità.

2. Il caso Filartiga risveglia da un torpore secolare l'Alien Tort Statute (ATS) nel contesto della internazionalizzazione dei

diritti umani L'impatto che ha avuto la sentenza del 1980 della Corte distrettuale di New York sul caso Filartiga nel dibattito sulla protezione internazionale dei diritti umani è stato senza precedenti, tanto che si può parlare di un «prima» e di un «dopo»3. Ba-

'IIT v. Vem:ap Ltd., 519 F2d (2d Cir. 1975), pp. 1001 sgg, p. 1015. • Filartiga v. Peiia-Irala, 630 F.zd (2d Cir. 1980), pp. 876 sgg., p. 890 (d'ora in poi Filartiga). Sul caso Filartiga, cfr. 1ra gli altri: Jcffrcy M. Blum, Ralph G. Stcinhardt, Federai ]urisdiction over Intemational Human Rights Claims. The Alien Tort Claim Act after Filartiga v. Peiia-Irala, «Harvard lntcmational Law Joumal», 22, 1, 1981, pp. 53 sgg.; Louis B. Sohn, Tortureas Violation ofthe Law of Nations, «GcorgiaJoumal of lntcmational and Comparative Law», 1981, pp. 37 sgg.; Jcffrcy Hadlcy Loudcn, The Domestic Application of International Human Rights Law: Evolving the Species, «Hastings lntcrnational and Comparative Law Rcvicw», V, 1982, 161 sgg., pp. 177 sgg.; Antonio Casscsc, Violenza e diritto nell'era nucleare, Latcl7.a, Roma-Bari 1986, pp. 162 sgg. Critici, ma con diverse sfumature: WiUiam T. D'Zurilla, Individuai Responsibility for Torture under International Law, «Tulanc Law Rcvicw», 1981, pp. 186 sgg.; M. Danahcr, Torture as a Tort in Violation of International Law: Filartiga v. Peiia-Irala, «Stanford Law Rcvicw», 1980-81, pp. 353 sgg. La più preziosa fonte di documentazione sul caso Filartiga e sulla giurispruden7.a successiva si trova in William J. Ac,:;vcs, The Anatomy of Torture. A Documentary History ofFilartiga v. Pena-Ira/a, Brill-Nijhoff, Lcidcn-Boston 2007. 1 Questo non vale per la dottrina italiana del tempo che, con l'imponantc cccczionc di Casscsc, Violenza e diriuo nell'era nucleare eit. (ma cfr. anche Flavia Lananzi, Garanzie dei diritti dell'uomo nel diritto internazionale generale, Giuffrè, Milano 198 3, pp. 351-361 ), ha scopeno con qualche decennio di ritardo questa giurisprudenza innovativa.

LA FIGURA DEL «PIRATA»

sti pensare che in quella fase storica, segnata dai rigurgiti della Guerra Fredda e dal tentativo dell'amministrazione Carter di porre seriamente la questione del rispetto dei diritti umani anche con riferimento alle allora fiorenti dittature latino-americane, la dottrina internazionalista ancora si divideva sulla possibilità di configurare la tortura ufficiale come una violazione del diritto internazionale generale e considerava il precedente di Norimberga alla stregua di un evento giuridico eccezionale e non ripetibile. In quell'epoca, in cui i cultori dei diritti umani apparivano più come predicatori che come giuristi, il fatto che un tribunale degli Stati Uniti, sia pure in ambito civile, affermasse la propria giurisdizione su un caso di tortura perpetrato all'estero, in cui sia il torturatore che la vittima erano stranieri, è sembrato aprire una nuova era in cui il principio della giurisdizione universale poteva diventare uno strumento idoneo a forzare il tradizionale concetto di sovranità territoriale e a garantire se non la repressione delle violazioni dei diritti fondamentali ovunque consumate, almeno il diritto delle vittime ad ottenere un risarcimento da parte dei loro perpetratori... I fatti che hanno originato il caso ebbero luogo in Paraguay alla fine degli anni settanta nel classico contesto delle dittature latino-americane dell'epoca: una economia basata in gran parte sul contrabbando si intrecciava con il regime del Presidente Stroessner che si è retto per decenni sullo stato di assedio proclamato ogni tre mesi dalla presa del potere nel 1954 al fine di sospendere i diritti individuali garantiti dalla Costituzione del 1967. Tale situazione fece emergere un codice non scritto di norme, chiamato in lingua guarani «mbareté», superiore a quello del sistema legale, che garantiva l'immunità alle forze di polizia per qualsiasi violazione dei diritti umani della popolazione

• Ad esempio, Accvcs, The Anatomy of Torture cit., p. 77, osserva: •Because of its prominencc, thc Filartiga case is uscd in cvery major international law and human rights law textbook as an cxample of the domcstic application of international law». Secondo M. W. Janis, J. E Noycs, Teacher's Manual. Cases ami Commentary on lnternational Law, West Academic, St. Paul (MN) 2oo6, p. 3: • When it first appcarcd FiLirtiga seemed the answer to every international law tcacher's drcam of the first week case, and so it has remaincd».

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civiles. In questo quadro, non stupisce che l'attività medica del Dr. Joel Fil.irriga in favore della dimenticata popolazione rurale venisse considerata come «politica» e sospetta. Nel marzo del 1978 l'offensiva della guerriglia paraguaiana fece crescere la tensione e nella notte del 29 marzo il figlio del del Dr. Filartiga, Joelito, fu rapito dalla propria abitazione in Asunciòn e portato nel commissariato locale dall'ispettore di polizia Peiia-Irala e da tre ufficiali suoi complici. Pur non essendo stato dimostrato che l'azione poliziesca fosse stata ordinata da una precisa direttiva governativa, quello che è certo è che, al fine di avere notizie sulle attività del padre,Joelito fu torturato per ore fino alla morte per arresto cardiaco a causa delle scariche elettriche ad alto voltaggio praticategli6• Anche il tentativo di Peiia-Irala di camuffare l'omicidio come delitto passionale fu vanificato da una autopsia indipendente che stabilì in maniera irrefutabile la realtà dei fatti. Un aspetto di grande rilevanza è se i Fil.irriga ebbero la possibilità di un rimedio legale in Paraguay perché da questo dipendeva, inter alia, l'applicazione della dottrina del forum non conveniens da parte di un tribunale statunitense. A tal riguardo, si può concludere nel senso di un palese diniego di giustizia: quando l'avvocato dei Filartiga richiese che gli ufficiali di polizia fossero citati in giudizio, egli venne arrestato e minacciato per essere poi radiato dall'albo degli avvocati. Stessa sorte di soprusi e minacce toccò alla famiglia Filartiga, finché una corte paraguaiana si oppose alla richiesta di presentare la causa 7• La storia giudiziaria del caso ebbe un inaspettato e clamoroso seguito: l'ispettore Peiia-Irala, radiato dalla polizia paraguaiana sotto la pressione dell'opinione pubblica internazionale

' Non c'è una stima sicura delle vittime del sistema del «mbarcté,.: cas unknown numbers of victims of political repression have dicd under torture or by extra-judicial cxccution in Paraguay,., Amnesty International, Paraguay, Briefing Paper n. 4, London, 1

978, PP· 7-9.

6 I fatti sono esposti in lnter-American Commission on H11man Rights, Report on the Situation of H11man Rights in Paraguay, Organization of American States, Washington (D.C.) 1978, p. 26. 7 La legge paraguaiana permetteva ad una parte privata, su autorizzazione del tribunale, di iniziare una azione penale congiuntamente allo Stato, ma con propri avvocati e testimoni.

LA FIGURA DEL «PIRATA»

e dell'ambasciatore americano8, entrò negli Stati Uniti con un visto turistico andando, invece, a vivere a Brooklyn: qui fuscovato da un gruppo di esiliati paraguaiani e quindi arrestato dal servizio immigrazione per essere rimasto negli Stati Uniti più dei tre mesi previsti dal visto. Il Dr. Filartiga e la figlia Dolly, che in quel tempo viveva negli Stati Uniti e aveva chiesto asilo politico, presentarono una causa civile da dieci milioni di dollari contro Peiia-lrala a norma dell' ATS per il tort di omicidio colposo reclamando che l'atto di tortura era stato commesso in violazione della law of nations. La Corte distrettuale di New York sospese l'ordine di espulsione del convenuto che presentò una istanza di rigetto dell'azione dei Filartiga sia per mancanza di «subjet matter of jurisdiction» (la tortura non è un tort in violazione della law ofnations) sia per la dottrina del f orun non conveniens. Il giudice distrettuale, pur concedendo che «officiai torture violates an emerging norm of customary international law»1, ritenne che i precedenti del secondo circuito lo costringessero ad interpretare la frase law of nations in modo restrittivo nel senso di escludere il trattamento dei propri cittadini da parte di un Paese straniero In 10•

1 Gli Stati Uniti sospesero i prestiti internazionali al Paraguay. Il caso di Joclito Filartiga colpì l'opinione pubblica in Paraguay e all'estero anche grazie all'cdcttica personalità dd padre, il Dr. Filartiga: la sua clinica per i poveri, la «Esperanza,., era finanziata attraverso la sua produzione artistica che rappresentava la povertà e il dolore delle classi contadine. 'Filartiga v. Pena-Ira/a, 79UJ17 Memorandum and Ordcr (E.D.N.Y. May 15, 1979), PP· 4 sgg. Ibidem. La decisione si basava su due casi allora piuttosto recenti, in particolare su Dreyfus v. Finck, 534 F.2d (2d Cir. 1976), pp. 26 sgg., in cui il presunto tort era la confisca della proprietà di un cittadino ebreo della Germania da parte della regime nazista e il seguente rifiuto del pagamento di un indennizzo. La «subjct mattcr of jurisdiction» a norma dcli' ATS fu negata perché secondo la Corte il rifiuto dell'indcnni7.zo non violava la law ofnations, confermando così la ratio decidendi seguita nel celebre caso Sabbatino (Banco Nacional de Cuba v. Sabbatino, 376 U.S. 398 [1964]), in cui la Corte suprema decise che la confisca statale della proprietà dei propri cittadini non violava il diritto internazionale. Alcuni did4 (opinioni della Corte scn7.a forza legale di precedenti) del caso Dreyfus suggerivano comunque che la law of nations non può essere violata quando la parte lesa è un cittadino dello Stato convenuto e che gli individui non possono commettere illeciti internazionali nei confronti di altri individui. Pur non essendo chiaro a quale di questi did4 fece riferimento la Corte distrettuale nel caso Filartiga, entrambi sono discutibili e verranno rigettati nel giudizio d'appello. '

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effetti, i frequenti dinieghi di giurisdizione" (l'ATS aveva fino ad allora sostenuto la giurisdizione solo in due casi) mettevano in dubbio che uno Stato potesse violare la law of nations nei confronti di un proprio cittadino, ma, d'altra parte, «none of the recent attempts to sustain jurisdiction had had as firm as basis in international law as did the Filartiga claim alleging death by torture» 12 • Davanti alla Corte d'appello la causa Filartiga fu sostenuta da numerosi scritti di prestigiose associazioni per la tutela dei diritti umani e dalle dichiarazioni di illustri studiosi che davano autorità alla tesi che il diritto internazionale proibisse la tortura ufficiale13. Di particolare importanza fu poi il memorandum nelle vesti di amicus curiae presentato dal Dipartimento di Stato e di Giustizia statunitense che sosteneva l'esercizio della giurisdizione'-+. La decisione nel merito arrivò il 30 giugno 1980: dopo aver preso in considerazione la Carta delle Nazioni Unite

11 Per l'elenco dei casi in cui fu invocato l'ATSprimadcl caso Fil:irtiga (21 casi in 190 anni) e nei cinque anni seguenti (16 casi), cfr. la ricerca di Kcnncth C. Randall, Federai Jurisdiction over Intemational Law Claims: Inquiries into the Alien Tort St,ztute, «New York U nivcrsity Journal of lntcrnational Law and Politics», 198 5-86, pp. 1 sgg., pp. 4-8. " Blum, Stcinhardt, Federai Jurisdiction over lnternatronal Human Rights Claims cit., p. 55. ' 1 Richard Falk: «it is now bcyond rcasonablc doubt that torture of a person hcld in dctcction that rcsults in severe harm or dcath is a violation of thc law of nations»; Thomas Franck offrì l'argomento che la tortura è stata rigettata da tutte le nazioni sebbene fosse una volta usata per estorcere confessioni; Richard Lillich enumerò le fonti autoritative che dimostrano che la tortura ufficiale è una «violation of intcrnational law»; Myres McDougal affermò che è da lungo tempo riconosciuto che alcuni illeciti riconosciuti internazionalmente, come la tortura, «virtually affcct rdations bctwccn states», vedi Filartiga cit., p. 879. '+ Il memorandum è riprodotto in lntemational legai Materials, 1980, pp. 585 sgg. Cassesc, Violenza e diritto nell'era nucleare cit., pp. 170-171, considera la proficua collaborazione tra magistratura cd esecutivo realizzatasi nel caso Fil:irtiga unica e decisiva per arrivare ad una svolta nella tutela internazionale dei diritti umani calpestati da governi autoritari. Tuttavia, bisogna tenere in considerazione che, in linea generale, l'intervento dcli'esecutivo sul potere giudiziario, oltre ad essere animato da considerazioni politiche contingenti, può essere pericoloso per la causa del diritto internazionale. Non a caso, nel 1987 l'amministrazione Reagan, meno incline di quella Cartcr a ... considerazioni umanitarie, formulò un memorandum nel caso Trajano v. Marcos (n. 86-0207 (D. Hawaii, July 18, 1986), appeal dockctcd, n. 86-244818 (9th Cir., Aug. 20, 1986), p. 15), in cui invocava una interpretazione restrittiva dcli' ATS, rigettando in pratica i principi giuridici emersi nel caso Fil:irtiga.

LA FIGURA DEL «PIRATA»

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(che, in particolare negli artt. 55-5 6 offre sostegno alla tesi che il trattamento statale dei propri cittadini è di interesse internazionale), le dichiarazioni adottate dall'Assemblea generale e le convenzioni internazionali in materia di diritti umani (che proibiscono la tortura in modo assoluto e specificano il contenuto dei relativi obblighi statali), la rinuncia da parte di tutti gli Stati alla pratica ufficiale della tortura come pure la sua proibizione negli ordinamenti interni (come espressione della pratica degli Stati e dei principi generali di diritto), la Corte d'appello concluse all'unanimità che la tortura ufficiale è una violazione del diritto internazionale generale, che la sua proibizione non ammette distinzioni tra il trattamento di stranieri e di cittadini e che, quindi, l'ATS fornisce la base per l'esercizio della giurisdizione federale. Lasciò, invece alla considerazione della Corte distrettuale, a cui rinviava la decisione nel merito della causa, la scelta della legge applicabile al caso, la valutazione dell'astensione per forum non conveniens e la concessione di un risarcimento•s.

3. Cosa si intende oggi pervio/azione della law of nations e

quale era l'intento originario dei costituenti americani che emanarono l'ATS?

Prima di esaminare il problema centrale dell'affermazione della giurisdizione universale in ambito civile per atti di tortura ufficiale, conviene considerare come la Corte d'appello ha interpretato il requisito della «violation of the law of nations» contenuto nell'ATS in merito alla rilevazione delle norme di diritto internazionale vigenti in epoca contemporanea. È utile notare da subito che tale indagine non ha soltanto finalità speculative a carattere storico-giuridico che di per sé la giustificherebbero ampiamente, ma ha delle implicazioni pratiche ed attuali della massima rilevanza. Infatti, l'attacco politico alla giurisprudenza Filartiga iniziato già negli anni ottanta del XX secolo e la '' Filartiga Q. Pena-Ira/a, 577 F. Supp. (E.D.N.Y 1984), pp. 860 sgg. (non applicazione della dottrina del forum non conQeniens e concessione di un risarcimento di 10 milioni di dollari per violazione della norma internazionale sulla proibizione della tortura).

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sua sconfessione nel caso Kyobel• 6 del 2013 da parte della Corte suprema sono proprio basati sulla ricostruzione dell'intento «originario» dei costituenti statunitensi che adottarono l'ATS nel 1789. In primo luogo, la Corte ha sostenuto che la law of nations forma parte integrante della common law e come tale diventò parte della common law degli Stati Uniti con l'adozione della Costituzione. Questa tesi, affermatasi in via giurisprudenziale, implica la competenza dei tribunali federali ad interpretare direttamente il diritto internazionale, anche quando il Congresso non ha provveduto ad incorporare nel diritto federale statunitense specifiche norme internazionali in virtù del suo potere costituzionale «to define and punish [ ...] offences against the law of nations»' 7• A sostegno di questo principio i giudici d'appello riportano come precedente il caso Nereide, in cui si sostenne che, in assenza di un atto del Congresso, i tribunali degli Stati Uniti sono «bound by the law of nations, which is part of the law of the land» 18 e il celebre dictum della Corte suprema nel caso The Paquete Habana: «international law is part of our law, and must be ascertained and administered by the courts of justice of appropriate jurisdiction, as often as question of right depending upon it are duly presented for their determination»'?. In secondo luogo, la Corte d'appello ha ritenuto di dover procedere alla rilevazione del diritto internazionale non com'era nel 1789, ma come si è evoluto ed esiste oggi tra le nazioni del mondo: in questo modo ha implicitamente sostenuto che l'emanazione dell' ATS era espressione dell'intento del primo congresso di fornire un mandato generale per l'applicazione del

•• Kiobel -u. Royal Dutch Petroleum Co., 133 S.Ct. 1659 (2013) (d'ora in poi Kiobe/). Giova evidenziare che la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre punizioni o trattamenti inumani, crudeli o degradanti è stata adottata il 10 dicembre 1984 (in vigore a livello internazionale dal 26 giugno 1987) cd è stata ratificata dagli Stati Uniti solo nel 1994. 11 The Nereide, 13 U.S. 388 (1815), p. 422. '' The Paquele Habana, 175 U.S. 677 (1900), p. 700. La diretta applicabilità del diritto internazionale consuetudinario nell'ordinamento interno statunitense è sostenuta, tra gli altri, da E. D. Dickinson, The law of Nalions as Part of the National law of the UnitedStates, in University of Pennsyi'Vania law Re-uiew, 1952, pp. 26 sgg. '7

LA FIGURA DEL «PIRATA»

diritto internazionale, comunque dovesse svilupparsi. Dovendo, infatti, nell'interpretazione di una legge federale mantenersi fedele allo scopo legislativo, la Corte si trovava nella difficoltà di dover giustificare l'esercizio della propria giurisdizione su una fattispecie che sicuramente non rientrava tra quelle a cui potevano aver pensato i costituenti del 1789. Anche in ordine a questo secondo problema, i giudici del secondo circuito hanno basato la loro decisione sul fatto che il carattere evolutivo della law of nations era stato ampiamente riconosciuto dai tribunali statunitensi nel diciannovesimo secolo. Ad esempio, sempre nel caso The Paquete Habana, si affermò che la tradizionale proibizione di catturare pescherecci costieri durante una guerra era venuta trasformandosi nel corso del secolo precedente da una regola di mera cortesia internazionale (rientrante nel concetto di «comity») in a «settled rule of international law» attraverso «the generai assent of civilized nations» Ancora più significativa, per la vicinanza temporale con l'adozione della Costituzione, è una decisione della Corte suprema del 1796 in cui la «law of nations» veniva distinta tra «ancient» e «modern» 21 • Del resto, la giustezza della posizione della Corte d'appello è confermata dall'attenzione posta dalla giurisprudenza statunitense in materia di commercio degli schiavi: prima tutelato dai tribunali degli Stati Uniti e poi, finalmente, considerato un illecito. Così, in uno dei primi tentativi di dichiarare il commercio degli schiavi illegale, nel caso La Jeune Eugenie, il giudice $tory riconosceva l'evoluzione della law of nations: 20



lt docs not follow [... ] tbat bccausc a principlc cannot be found scttlcd by tbc conscnt or practicc of nations at onc time, it is to be concludcd, tbat at no subscqucnt pcriod tbc principlc can be considcrcd as incorporatcd into tbc public code of nations. Nor it is to be submittcd tbat no principlc bclongs to tbc law of nations, wbich is not univcrsally rccognizcd, as such, by ali civilizcd communitics, or cvcn by thosc constituing what may be callcd, tbc Christian Statcs of Europc. Some doctrinc,

"'The Paquete Habana cit., p. 694. "Ware -v. Hilton, 3 U.S. 199 (1796), p. 198.

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which us, as well as Great Britain, admit to belong to the law of nations, are of but recent origin and application, and bave not, as yet, received any public or generai sanction in other nations".

Questi casi dimostrano come gli operatori giuridici statunitensi siano stati da sempre consapevoli dei mutamenti che si verificano senza soluzione di continuità nell'ordinamento internazionale, come sicuramente lo erano i costituenti che promulgarono l'ATS: quest'ultimi ebbero l'intuizione di non limitare

"La]eune Eugenie, 26 F. Cas. 832 (D. Mass. 1821), p. 846. Un resoconto dettagliato del caso, incluse le sintesi delle posizioni assunte dai rappresentanti delle parti processuali e un repertorio della giurisprudenza dcli' epoca in materia di commercio degli schiavi, è offerto da William Powcll Mason, A Report of the Case of The ]eune Eugenie, determined in the Circuit Court ofthe United States, for the First Circuit, at Boston, December 1821. Wilh an Appendix, Boston, 1822, disponibile on linc al seguente indirizzo: http://hydrastg.library.corncll.cdu/fcdora/objccts/sat:4304/datastrcams/pdf/contcnt. Nella parte introduttiva di tale pubblicazione si ricorda che «[b]y an act passcd by tbc Congrcss of tbc Uniled States on tbc 2d of March, 1807, tbc importation of slaves into any port of tbc United States was prohibitcd aftcr tbc ISt of Junc 1808; tbc time limitcd by tbc Constitution of tbc United States, bcyond which slaves coul not be importcd. By this act thc Presidcnt was also authorizcd to cmploy armcd vcsscls to cruisc on any pan of tbc coast, whcrc hc may judgc attcmps wuold be made to violate tbc act, and to instruct tbc commandcrs of armcd vcsscls to scizc, and to bring in, vcsscls found on tbc high scas contravcning tbc provisions of tbc law» (p. 1). Ai nostri fini, è interessante notare che il 15 maggio del 1820 fu emanata una ulteriore legge secondo la quale qualsiasi cittadino o persona implicata nel commercio di schiavi, salvo il caso [ ... sic] di «any negro or mulatto, not hcld to scrvicc or labour, by tbc laws of cithcr of tbc States or Tcrritories of thc United States», «shall be adjudgcd a pirate, and of conviction shall suffcr dcath» (pp. 2-3). Il paradigma normativo della pirateria ebbe dunque un ruolo centrale nella qualificazione del mercante di schiavi come nemico del genere umano con tutte le implicazioni di diritto internazionale che questo comporta. Del resto, anche nel caso la ]eune Eugenie, in cui peraltro non si arriva a considerare il trafficante di schiavi quale hostis humani generis, il legale dei proprietari della nave schiavista catturata si era retoricamente chiesto: «But by what law can an Amcrican Court, in time ofpeace, condcmn, or withhold rcstitution of, a vessel of a forcign nation, which is found cngagcd in tbc African slave tradc? Tbc gentleman who conduct this litigation for tbc libcllants, answcr, By tbc Law ofNations• (p. 12). Nella rilevazione dei principi applicabili del diritto internazionale, il legale fece riferimento alle autorità dottrinarie dcli'epoca secondo cui: «•No nation has any jurisdiction at sca, but ovcr its own citizcns, or vesscls, or offcnccs against itsclf" [ ...] •Tbc right to any nation to punish, is limitcd, in its nature, to offcnccs against tbc nation inflicting tbc punishmcnt; this principlc is bclicvcd to be univcrsally truc" [ ...] Piracy •undcr law of nations, which alone is punishablc by ali tbc nations, can only consist in an offcncc against ali. No particular nation can incrcasc, or diminish, tbc list of offcnccs, thus punshablc"• (p. 22).

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l'applicabilità dell' ATS agli illeciti che costituivano dinieghi di giustizia al momento della sua emanazione'}, ma scelsero un linguaggio che, assecondando l'evoluzione del diritto internazio•J La maggior pane dei commentatori ha cercato di collegare l'ATS con l'obiettivo dei Padri Fondatori, incaricati di redigere la nuova Costituzione, di garantire la sicurezza na7.ionalc (cfr. Randall, Federai ]urisdiction over lntemational Law Claims cit.; Wtlliam R. Casto, The Federai Courts' Protectwe Jurisdiction wer Torts CommiUed in Violation of the Law of Nations, «Connecticut Law Rcvic:w», 1986, pp. 467 sgg.; Anthony A. D'Amato, The A/ien Tort Statute and the Founding of the Constitulion, «Amcrican J ournal of lntcmational Law», 82, 1, 1988, pp. 62 sgg. Per una così giovane nazione ciò equivaleva a mantenere una rigorosa neutralità nei confronti delle potenze e battagliere nazioni europee e, soprattutto, ad evitare dinieghi di giustizia che erano allora dei pretesti usuali per iniziare le ostilità (così D'Amato, The Alien Tort Statute cit. pp. 63-64). Diverse norme della Costituzione esprimono questa esigenza: così la scz. 8 dell'art. 1 attribuisce al Congresso il potere di «dcfinc and punish Piracies and Felonies commined on thc high Scas, and Offcnccs against thc Law of Nations• (il tcrininc «dcfinc• è utilizzato nell'antico significato di «riconoscere•) e l'art. 3, nella «Divcrsity Clausc•, estende i poteri giudiziari a casi e controversie «bctwecn a State, or a Citizcns thcrcof, and forcign Statcs, Citizcns or Subjccts• e nella «Arising Under Clausc• a tutti i casi «arising undcr (thc) Constitution, thc Law ofUnited Statcs, and Trcaties made[ •.•] undcr thcir Authority». Per essere sicuri che le azioni per illeciti basate su una violazione del diritto internazionale fossero conoscibili dalle corti federali senza tenere conto del requisito dcll'impono (che era di 500 $ per i casi sono la «Divcrsity Clausc») e che anche uno straniero potesse iniziare una azione civile nei confronti di un altro straniero (nel senso della «Arising Undcr Clausc-), l'ATS fu introdotto nel Fmt Judiciary Act dai negoziatori alla Convenzione Costituzionale. Alla luce di quanto precede, mentre i «crimes against thc law of nations» furono inseriti nella Costituzione per assicurare la prevalenza sulla legislazione statale, i «tons against thc law of nations• trovarono posto nella lcgisla7.ionc «organica• del 1789 in un quadro di giurisdizione federale concorrente con quella statale (così prevedeva originariamente l'ATS). L'evenienza che le corti statali potessero avere giurisdizione esclusiva su alcune classi di azioni civili che coinvolgevano stranieri per violazioni della «law of nations• avrebbe componato rischi di dinieghi di giustizia, data la prevenzione di queste coni verso gli stranieri: fu quindi stabilita la giurisdizione concorrente dei giudici federali che erano più attenti al mantenimento della neutralità e meno condizionati dalle passioni statali. Il fatto che l'applicazione dcli' ATS fu ristretta ai «torts• (illeciti extracontrattuali) e non incluse le «commerciai actions• (nel diciottesimo secolo la «lawof nations• era intesa comprendere il diritto internazionale pubblico, il diritto commerciale e il diritto marittimo), come il resto deljudiciary Act, lascia comunque intendere che il contenuto della legge fu dctcrininato da un compromesso tra federalisti e anti-fedcralisti alla Convenzione costituzionale originato dall'intento di escludere la giurisdizione federale sulle cause commerciali dei creditori britannici contro i debitori americani, ipotesi assai frequente dopo la fine della Guerra d'indipendenza (così Randall, FederaiJurisdiction wer lnternational Law Claims cit, pp. 28-31 ). Anne-Marie Burlcy, The Alien Tort Statute and the judiciary Act of 1789: A Pledge of Honor, «American Journal of lntcrnational Law», 83, 3, 1989, pp. 461 sgg., pp. 467-468, nel quadro della sua critica alla teoria del diniego di giustizia (sulla quale vedi infra), si chiede perché proprio queste cause, potenziali minacce alla sicurezza nazionale, furono escluse dall'ambito di applicazione dcli'ATS.

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nale avrebbe contribuito a garantire meglio, allora, la sicurezza nazionale, e due secoli dopo, in una prospettiva, solo superficialmente differente, i valori giuridici fondamentali della comunità internazionale24• Come emergerà meglio più avanti, tale linea argomentativa fondata su un duplice assunto - la teoria del «diniego di giustizia» quale intento originario dei costituenti americani e quella che possiamo chiamare della «consapevolezza della natura evolutiva della law of nations» che implicava fin dall'inizio, tramite il riferimento alla violazione della law of nations, una espansione dell'ambito di applicazione dell'ATS ben oltre le fattispecie di fine Settecento pur essendo sostenuta dalla dottrina più autorevole, non ha infine resistito al vaglio della Corte suprema che, almeno nella sua composizione attuale, segue la discutibile teoria dei cosiddetti «originalisti». Nella sua versione più sofisticata, detta tecnica interpretativa non limita rigidamente l'applicazione statutaria alle fattispecie originariamente contemplate, ma sottopone il loro progressivo ampliamento al rispetto del significato originario. Se, dunque, nel caso dell' ATS, quest'ultimo era quello di evitare dinieghi di giustizia agli stranieri per ragioni di sicurezza nazionale, ne discende che la violazione extraterritoriale dei diritti umani di cittadini stranieri da parte dei loro governanti o di altre entità non rientra per definizione nella «subjet matter of jurisdiction» dell'ATS s. Lo scenario descritto nei suoi tratti essenziali era stato a suo tempo immaginato da una delle più brillanti commentatrici del2

,. Burlcy, The Alien Tort Statute and the Judiciary Act of 1789 cit, pp. 477 sgg., riporta una risoluzione del 1781 del Congresso Continentale, considerata dall'autrice l'atto che precorre I'ATS, in cui si enumerano una serie di delitti «against thc law of nations,. (violazione dci salvacondotti, delle immunità degli ambasciatori e dci trattati dei quali gli Stati Uniti erano parti) per i quali si raccomandava agli Stati membri dcli'allora Confederazione sia di provvedere alla punizione dci responsabili, sia di autoriZ7..arc azioni civili per il risarcimento dci danni subiti dalle parte lese. Questi delitti, comunque, erano «only thosc ..• which are most obvious,. e si esortavano gli Stati ad istituire tribunali con il potere di decidere su ulteriori «offenccs .•• not containcd in the forcgoing enumerations,. (21 J. Cont. Cong. (1781) pp. 1137-7). Ad esempio, laBurley osserva: «Piracy, while non ineludcd in enumeration of potcntial crimes or torts in the 1781 rcsolution, was ccrtainly not cscluded by thc languagc of thc Tort Alicn Statutc» (p. 488, nota 120). • 1 Su questo canone interpretativo, dr. Antonio Scalia, A Matter of lnterpretation. Federai Courts and the Law, Princcton U niversity Press, Princcton 1997.

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la giurisprudenza Filartiga, il cui contributo, già apprezzato per la sua capacità di rappresentare culturalmente un'epoca, deve essere oggi rivalutato sotto il profilo eminentemente giuridico. Stiamo parlando della suggestiva tesi di Anne-Marie Burley secondo cui lo scopo primo dell'ATS non fu quello di evitare dinieghi di giustizia, ma quello più nobile di rispondere al dovere nazionale di propagare ed applicare le norme di diritto internazionale che regolano la condotta degli individui· Questa ipotesi si basa sullo spirito che animava i Padri fondatori: nella loro concezione il dovere nazionale non era sinonimo soltanto di obbligo giuridico internazionale, ma era anche espressione di un dovere morale. Di conseguenza, applicare il diritto internazionale non era tanto un imperativo pratico che nasceva dalla necessità di assicurare la sicurezza di una giovane nazione, quanto un imperativo morale, una questione d' onore16• È bene evidenziare che l'autrice non nega che alcuni incidenti diplomatici dell'epoca abbiano avuto un ruolo significativo nel-

"Burlcy, The Alien Tort Statute ami the Judiciary Act of 1789 cit., in particolare pp. 481 sgg. Il seguente passaggio è molto istruttivo: «In thc 6nal analysis [...], thccontcmpo-

rary dichotomy bctwccn a dcontological valuc structurc and a conscqucntialist calculus did not hold in 1789. Virtuc was its own rcward; at a samc time, a systcm in which ali statcs wcrc virtouos would be a much bcncr piace for thc Unitcd Statcs. This is thc tcaching in Washington's Farcwcll Addrcss. Hc cnjoincd his countrymcn to •[o]bscrvc good faith and justice toward ali nations. Cultivatc pcacc and harmony with ali. Rcligion and morality cnjoin this conduct. And can it be that good policy docs not cqually cnjoin it? lt will be worthy of a free, cnlightcncd, and at no distant pcriod a grcat nation to givc to mankind thc magnanimous and too novcl cxamplc of a pcoplc always guidcd by an cxaltcd justicc and bencvolcncc. Who can doubt that in thc coursc of time and things thc fruits of such a pian would richly rcpay any tcmporary advantagcs which might be lost by a stcady adhcrcncc to it? Can it be that Providcncc has no conncctcd thc pcrmancnt fclicity of a nation with its virtuc?•,. (p. 486). Così conclude l'autrice: «Compliance with thc law of nations had a strong positive componcnt. Collcctivc compliance by ali thc nations would assurca world safc fortradc and trave!, rich in cxchangc of goods and idcas, conducivc to both national and human progrcss. Honor as a sharcd conccpt motivating such comoliancc, was a check on thc abusc of powcr. lt was thus a pillar of a beneficiai and lasting intcmational ordcr. Thc Alicn Ton Statutc is bcst sccn as an cxprcssion of this positive conccprion. Tue draftcrs of thc First Judiciary Act [...] authorizcd civil as wcll as criminal suits against offcndcrs. Individuals who floutcd intcmational law would 6nd no quartcr in thc Unitcd Statcs. Evcn if thcy cscapcd criminal prosccurion, thcy would be amcnablc to suit to conpcnsatc thcir victims for thc damagcs inflictcd. By cffcctivdy publishing this mcssagc in thc First Judiciary Act, thc Framcrs visibly dischargcd thc duty of a narion, and, in some small mcasurc, cnhanccd its rcputation,. (pp. 487-488).

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la redazione della Costituzione e del First Judiciary Act al fine di garantire una protezione efficace ai diritti degli ambasciatori stranieri27, ma afferma con autorevolezza che la formulazione aperta ed espansiva dell' ATS è frutto, al contrario, proprio della pulsione positiva, si potrebbe dire quasi moralizzatrice, a rendere le relazioni internazionali conformi ai precetti e agli standard giuridici universalmente riconosciuti. Al di là della stessa idoneità di questa lettura a depotenziare le critiche degli «originalisti» alla giurisprudenza Filartiga, è chiaro che essa conferisce una legittimazione più solida e profonda all'invocazione dell' ATS per promuovere nella contemporaneità il rispetto dei diritti umani a livello universale.

4. Il torturatore/pirata hostis humani generis: la potenza evocativa di una doppia meta[ora e i rischi giuridici di un suo abuso Bisogna premettere che la sentenza della Corte d'appello nel caso Filartiga è sicuramente un buon esempio di come un tribunale interno può interpretare il diritto internazionale, non ci sono né esemplificazioni né visioni nazionalistiche del diritto internazionale. Nonostante ciò, il ragionamento logico non è portato alle estreme conseguenze e questo porta ad alcune contraddizioni giuridiche che avrebbero potuto essere risolte attraverso una esatta impostazione teorica dei problemi. Al contrario, la forza simbolica della metafora utilizzata pare trascendere la sua dimensione di rappresentazione figurata e quindi fittizia della realtà ed incidere direttamente sul discorso giuridico attraverso l'individualizzazione e la demonizzazione della figura del «torturatore» in quanto, rispettivamente, «pirata» e «hostis humani generis».

' 7 Infatti, secondo l'autrice: «The dcsirc to protcct foreign ambassadors hclps cxplain various provisions of Artide III of Constitution, as well the scope of federai criminal and Supreme Court jurisdiction in the First Judiciary Act. But it does not explain the Alien Ton Statute» (ivi, p. 471). La teoria del cosiddetto «Ambassador Protcction Pian» è sostenuta, in particolare, da Casto, The FedeTal Courts' Protectwe Jurisdictron cit., pp. 489-498.

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La metafora è una figura centrale del linguaggio giuridico che svolge una funzione di non secondaria importanza, quella di sintetizzare in modo efficace un complesso ragionamento giuridico che diversamente richiederebbe una rappresentazione verbale assai laboriosa se non addirittura contorta. Il ricorso a tale figura linguistica è sicuramente indicato nell'ipotesi di un leading case giurisprudenziale come quello Filartiga che segna una svolta significativa sia nel diritto internazionale sia nel diritto interno di uno Stato, come anche nei loro rapporti reciproci. Tale tuming point ha bisogno di essere rappresentato giuridicamente in maniera semplice ed efficace per essere socializzato ed entrare nel dibattito pubblico. L'utilizzo della metafora nel caso Filartiga è stato poi esemplare anche sotto un altro profilo. L'immagine giuridica che «the torturer has become - like the pirate and slave before him - hostis humani generis, an enemy of all mankind» è infatti una doppia (per non dire tripla) metafora e ciò ne amplifica la potenza evocativa e simbolica nel solco della tradizione dantesca28 • Nello specifico, la similitudine tra il torturatore e il pirata genera un ponte giuridico intertemporale tra la law of nations di fine settecento e il diritto internazionale contemporaneo in quanto la pirateria ha rappresentato per antonomasia il paradigma normativo dell'eccezione al principio positivista che solo gli Stati e non gli individui possono violare il diritto internazionale. Inoltre, la metafora in esame ha un significato profondo anche per l'ordinamento giuridico degli Stati Uniti in quanto rappresenta sia un ritorno simbolico agli scopi originari dell'ATS sia un riconoscimento della loro natura espansiva attraverso il riferimento al mercante di schiavi, figura prima tutelata e poi messa al bando dal diritto e dalla giurisprudenza statunitense. La seconda similitudine, tra il torturatore e l'hostis humani generis, oltre a rinforzare la prima, offre una legittimazione me-

'" Una bella doppia similitudine dantesca ci viene offerta nel terzo Canto del Paradiso, quando Dante incontra le anime di coloro che mancarono ai voti fatti: «Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non sì profonde che i fondi sien persi, tornan d'i nostri visi le postille debili sì, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid'io più facce a parlar pronte»(versi 10-16).

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tagiuridica alla punizione del torturatore da parte di qualsiasi Stato a prescindere dall'esistenza di collegamenti significativi tra lo Stato del foro e il comportamento antigiuridico. La qualificazione negativa di essere «nemico di tutti» implica metaforicamente che il torturatore (alla stregua appunto ... del pirata) non ha alcun «porto» sicuro in cui rifugiarsi in quanto può essere catturato e processato da tutti. Fin qui nulla questio. Tuttavia, riprendendo il ragionamento centrale dell'importante contributo in materia di Galgano, se è possibile rappresentare la metafora (rectius ... l'allegoria) con Dante, come «veritade ascosa sotto bella menzogna» 29 , «il punto è che da questa "veritade ascosa", una volta individuata, sarà legittimo trarre conclusioni, non dalla "bella menzogna" che la riassume»3°. In altri termini, nel discorso giuridico non bisogna prendere troppo su serio la metafora fino al punto di trasformare una similitudine in una analogia o, addirittura, in una identità. Proprio in questa insidia è incorsa, in maniera non del tutto inconsapevole, la Corte d'appello nel caso Filartiga. Sotto questo profilo, il punto maggiormente critico è quello della individualizzazione della tortura che discende dalla metafora piratesca, ma che contraddice la natura giuridica della tortura «ufficiale» che nel diritto internazionale è un illecito statale come del resto riconosce la stessa sentenza Filartiga al fine di soddisfare il requisito posto dall' ATS della «violation of the law of nations». La «bella menzogna» nella metafora del torturatore/pirata è, infatti, riscontrabile nel fatto che i comportamenti del secondo, a differenza di quelli del primo, non sono attribuibili ad uno Stato che ne diventa internazionalmente responsabile. Nel diritto internazionale, il pirata è un privato, il torturatore è un «individuo/organo» di uno Stato. La pirateria è un crimine individuale, la tortura è un crimine contro l'umanità che •• Dante Alighieri, Com,ivio, Il, I. In realtà, nel passaggio citato Dante definisce l'allegoria che è una figura retorica differente dalla metafora. Tuttavia, tale definizione si presta ad essere utilizzata con riferimento ad una immagine, quella del «torturatore/ pirata», che è stata al centro di un filone giurisprudenziale, ovvero di una «metafora continuata» che diventa allegoria nel significato aristotelico del termine. }O Francesco Galgano, Le insidie del linguaggio giuridico. Saggio sulle metafore nel diritto, il Mulino, Bologna 2010, Prologo.

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ha natura statale (anche se non esclusivamente, come vedremo subito). Ebbene, la sentenza Filartiga non svela l'artificio, ma al contrario mantiene sul punto un atteggiamento ambiguo, anche al fine di evitare il rischio di doversi astenere dalla trattazione del caso in virtù dell'applicazione della dottrina interna dell'atto di Stato3'. Tale necessità porta la Corte a fare due osservazioni che, almeno nel diritto internazionale, sono in contraddizione: wc doubt wbctbcr tbc action by a state officiai in violation of tbc Constitution and laws of tbc Rcpublic of Paraguay, and wbolly unratificd by that's nations govcrmcnt, could propcrly be cbaracterizcd as an act of a state. [... ] Paraguay's rcnunciation of torture as a lcgitimatc instrumcnt of state policy, bowcvcr, docs not strip tbc tort of its cbaracter as an international law violation, if in fact occurrcd undcr color of govcrnmcnt autbority» 31• i• L'affermarsi dell'Act of State Doctrine nei paesi di common law è stata contrassegnata da una ricca e, da ultimo, contrastata giurisprudenza. L'attuale concc7ionc della dottrina è stata segnata dalla celebre sentenza della Corte suprema nel caso Banco Nacional de Cuba v. Sabbatino, 376 U.S. 398 (1964) in cui è stato abbandonato il tradizionale fondamento logico del rispetto dell'altrui sovranità territoriale per quello basato sulla problematica interna della separazione dei poteri. In questo contesto, la ratio decidendi della scntcn7.a fu che non c'era un consenso internazionale sufficiente sulle regole internazionali in materia di espropriazioni per evitare il coinvolgimento del potere giudiziario in questioni politiche, da sempre di competenza dell'esecutivo. Di conseguenza, sembra logico dedurne che nelle materie dove questo consenso esiste, come nel campo dei diritti fondamentali dell'uomo, il precedente Sabbatino legittimi un tribunale statunitense ad affermare la propria giurisdizione su atti di Stati stranieri in violazione di norme internazionali dal contenuto chiaro e che godono di un consenso universale. Per un esame critico della dottrina, cfr. M. J. Bazilcr, Abolishing the Act of State Doctrine, «Univcrsity of Pennsylvania Law Rcvicw», 1986, pp. 325 sgg. 1' FiLirtiga cit., pp. 889-890. Sul punto, bisogna osservare che la Commissione del diritto internazionale ha chiaramente riconosciuto il principio consuetudinario che la condotta di un organo dello Stato è attribuibile a detto Stato perfino se l'organo è andato oltre le sue competenze o ha trasgredito il proprio diritto nazionale. Si veda, in proposito, l'art. 7 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per fatti intcrna7ionalmcntc illeciti, adottato dalla Commissione del diritto internazionale in seconda e definitiva lettura nel 2001: «Artide 7. Exccss of authority or contravcntion of instructions: Thc conduct of an organ of a State or of a person or cntity cmpowcrcd to cxcrcisc elcmcnts of thc govcrnmcntal authority shall be considcrcd an act of thc State undcr intcrnational law if thc organ, person or cntity acts in that capacity, cvcn if it cxcceds its authority or contravcnes instructions» (Report of the lntemational Law Commission on the work of its f,fty-third session, 2001, New York, 2oo8, p. 45). Nel commentario

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Cassese acutamente chiosa: Queste due proposizioni, invero alquanto oscure, sembrano anche contraddittorie. Da una parte la Corte afferma che l'atto non era stato commesso da Peiia-Irala in qualità di organo statale, dall'altra essa invece asserisce che, in ogni caso, si trattava si una violazione del diritto internazionale (e quindi di un atto imputabile ad uno Stato). Probabilmente la Corte ha intuito - anche se ha maldestramente enunciato - la soluzione giusta, che consisteva nel ritenere che al pari del genocidio e di altri crimini contro l'umanità, la tortura, pur essendo stata commessa da un organo statale, non esime quest'ultimo da responsabilità individuale. In altri termini, la tortura andrebbe considerata alla stregua di tali crimini, con la conseguenza che il diritto internazionale non fornisce alcuno scudo protettivo a coloro che la praticanoJJ.

Mi pare che queste osservazioni colgano nel segno nello spiegare perché la tortura ufficiale, in quanto crimine contro l'umanità, generi nel diritto internazionale la responsabilità sia dello Stato al quale è attribuibile che dell'individuo-organo che l'ha perpetrata, che dunque non si escludono, ma si completano a vicenda. Tra l'altro, tale soluzione non avrebbe comportato l'applicazione automatica della dottrina dell'atto di Stato dato che la Corte aveva la possibilità di eludere in origine questo catch 22 rifacendosi al principio giurisprudenziale statunitense secondo cui quando un atto di uno Stato straniero è in violazione del diritto internazionale detta dottrina non viene in rilievoH. Ma c'è di più. L'esatto inquadramento giuridico nel diritto internazionale del caso Filartiga avrebbe consentito alla Corte

dell'anicolo in questione, la Commissione precisa che «[t]hc State cannot take rcfuge behind the notion that, according to the provisions of its internal law orto instructions which may have bccn given to its organs or agents, their actions or omissions ought not to have occurrcd or ought to have taken a different form. This isso cven where the organ or entity in qucstion has ovenly committcd unlawful acts under the cover of its officiai status or has manifcstly cxcccdcd its compctencc. lt isso even if other organs of the State have disowned the conduct in qucstion» (ihid.). n Cassese, Violenza e diritto nell'era nucleare cit., p. 168. u Si veda sul punto supra la nota 3 I.

LA FIGURA DEL «PIRA'I'A»

di risolvere correttamente anche il secondo problema principale emergente dalla sua ratio decidendi, quello dell'affermazione del principio della giurisdizione universale, sia pure in ambito civile, nei confronti di individui/organi di uno Stato straniero. Anche con riferimento a questo aspetto, il ricorso alla metafora dell'hostis humani generis, sicuramente efficace sotto il profilo emozionale, era giuridicamente debole. Infatt~ questa dottrina era diretta a rendere punibili da ogni nazione azioni prettamente individuali, universalmente stigmatizzate, che non implicavano la responsabilità internazionale di alcuno Stato e che, almeno nel caso dei pirati e dei mercanti di schiavi, venivano perpetrate al di fuori della giurisdizione territoriale di ogni sovranità)5. Al contrario, il caso Filartiga comporta l'affermazione della giurisdizione da parte di un tribunale statunitense sopra atti di uno Stato straniero compiuti sul territorio e nei confronti di cittadini di quest'ultimo che secondo il tradizionale principio della sovranità territoriale integrano una violazione del divieto di intervento negli affari interni di questo Stato. Consapevole di questa forzatura, la Corte distrettuale ha affrontato la questione giurisdizionale in modo innovativo senza però arrivare ad una conclusione chiara sotto il profilo del diritto internazionale. Infatti, i giudici d'appello partono dal >• La dottrina dcll'hostis humani generis ebbe un ruolo preminente nella law of nations tra la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento. La sua essenza era che «ccrtain

acts spccificd as univcrsally rcprchcnsiblc would makc thc pcrpctrator liablc to capturc and trial whcnevcr hc wcnt. Thc principal, though by no mcans thc only, applications of hostis humani generis was to pirates•, Uniled St4les v. Pirates, 18 U.S. (s Whcat) (1820), pp. 184 sgg. In quella occasione, la Corte suprema precisò che secondo questa dottrina «evcry individuai bccomcs punishablc whatevcr may be his national charactcr• (p. 193). L'inclusione della pirateria era determinata non soltanto dal fatto che di solito aveva luogo in alto mare, e quindi al di fuori della giurisdizione territoriale di ogni sovranità, ma anche perché era internazionalmente riconosciuta la sua natura di odiosa minaccia alla sicurezza della comunità internazionale. Come si è già considerato con riferimento al tentativo di estendere l'applicazione della dottrina ai mercanti di schiavi, il concetto non era peraltro limitato ai pirati (si veda supra la nota 22 e il testo corrispondente). In ogni caso, gli atti ufficiali di sovranità straniere non potevano essere giudicati nei tribunali degli Stati Uniti e, in particolare, ciò era vero per gli abusi compiuti nei confronti dei propri soggetti da parte di sovrani e principi stranieri. Con l'affermarsi, nella seconda metà dell'ottocento, della conce-Lione positivistica che il diritto internazionale regola soltanto la condotta delle nazioni, la pirateria e la tratta degli schiavi divennero cccczioni codificate di questa regola generale e si persero le tracce della dottrina che le aveva prodotte.

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presupposto che rientrano nell'ambito di applicazione dell' ATS solo quelle violazioni del diritto internazionale che sono di interesse reciproco di tutte le nazioni e come tali sono diventate oggetto di convenzioni internazionali. Il trattamento statale dei cittadini, in relazione ad alcuni diritti fondamentali dell'uomo, tra i quali quello di essere liberi dalla tortura, non è più, quindi, inquadrabile nel concetto di giurisdizione domestica, ma è rilevante per il «common good» della comunità internazionale. Così i giudici concludono: In the twentieth century the international community has come to recognize the common danger posed by the flagrant disregard of basic human rights and particularly the right to be free from torture. [ ...] In the modem age, humanitarian and practical considerations have combined to lead the nations of the world to recognize that respect for fundamental human rights is in their individuai and collective intercstJ'.

Queste per alcuni versi storiche considerazioni sull'esistenza di interessi fondamentali della comunità internazionale che consentono a ogni Stato di intervenire a tutela degli stessi, e che richiamano in qualche modo, pur senza esplicitarlo, il concetto di obblighi erga omnes, non portano peraltro all'inquadramento della tortura tra i crimini contro l'umanità con conseguente affermazione dei principi della responsabilità internazionale dell'individuo/organo e della giurisdizione universale, sia pure in ambito civile, quanto alla sua punizione sia pure limitata ad un risarcimento delle vittime, ma alla doppia metafora del «torturatore/pirata nemico del genere umano». Detta immagine spoglia il torturatore di qualsiasi legame con l'organizzazione statale di appartenenza dando una connotazione solo individuale all'accertamento della sua responsabilità internazionale sulla base del criterio demonizzante dell' essere «nemico di tutti». Ecco perché la sentenza Filartiga, pur avendo creato una strada nuova nella tutela extraterritoriale dei diritti umani da

>' FiLirtiga

cit., p. 890.

LA FIGURA DEL «PIRATA»

parte dei tribunali interni e un ponte tra law of nations e diritto internazionale contemporaneo in spregio dei capisaldi del positivismo giuridico, non ha dato vita a una giurisprudenza solida: le finzioni giuridiche, che in qualche modo l'hanno resa celebre, nel contempo l'hanno condannata a subire gli attacchi più o meno strumentali di coloro che si confrontano con l'ATS guardando al passato (gli «originalisti») e le critiche teoriche degli studiosi che considerano questa legge come uno strumento utile a promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale dei diritti umani.

5. Ascesa e (apparente) declino dell'Alien Tort Statute.- dalla giurisprudenza Filartigaal caso Kiobel del2013

Nonostante i profili critici evidenziati, è doveroso sottolineare che la sentenza Filartiga non ha soltanto dimostrato la vitalità dell'Alien Tort Statute nel tempo contemporaneo, ma ha determinato «the birth of transnational litigation in the United States»37• In altri termini, a partire da questo leading case i tribunali federali statunitensi hanno iniziato ad assumere un ruolo attivo nella protezione a livello globale dei diritti umani simile a quello storicamente esercitato dai giudici degli Stati Uniti nella promozione dei diritti civili. Non a caso, c'è chi ha osservato che «[i]n Filartiga, transnational public law litigants finally found their Brown v. Board of Education»38, ovvero la sentenza della Corte suprema che nel 1954 dichiarò l'incostituzionalità della segregazione razziale nelle scuole pubbliche degli Stati Uniti3,. La proliferazione delle cause transnazionali portate al cospetto dei tribunali statunitensi sulla base dell' ATS è stata determinata, sotto il profilo tecnico/giuridico, dal fatto che in numerose situazioni patologiche della prassi internazionale era piuttosto semplice soddisfare i tre requisiti richiesti per far nascere la comAccvcs, The Anatomy o[Torture cit., p. 77. Harold H. Koh, Transnatumal Public Law Litigation, «Yalc Law joumal», 1991, pp. 2 347 sgg., p. 2 366. 17

i•

1'

Brown v. Board of Education of Topeka, 347 U.S. 483 (1954).

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petenza delle corti federali: una istanza presentata da uno straniero per un illecito extracontrattuale in violazione del diritto internazionale. C'è anche da sottolineare che l'impatto senza precedenti della giurisprudenza Filartiga sull'applicazione del diritto internazionale da parte dei tribunali statunitensi è dimostrato da un altro fenomeno che si è manifestato a partire dell'inizio degli anni novanta del XX secolo e che ha visto come protagonista il Congresso degli Stati Uniti. Infatti, per superare i limiti a carattere giurisdizionale dell'ATS sia con riferimento alle parti attrici (solo gli stranieri e non i cittadini statunitensi) e convenute (esclusione degli Stati stranieri), il Congresso ha emanato una serie di normative (in particolare quelle sulla protezione delle vittime di tortura"", sul terrorismo e in materia di emendamenti al Foreign Sovereign Immunities Act) che hanno ampliato la possibilità per le vittime di gravi violazioni dei diritti umani di ricorrere ai tribunali statunitensi per ottenere un risarcimento4' •

.. In particolare, il 12 marzo 1992 il Congresso ha emanato il Tart11re Victim Protection Aa del 1991 (IVPA) che consente a cittadini statunitensi o stranieri di presentare una causa civile nei tribunali statunitensi contro individui/organi di un Paese straniero accusati di aver commesso tortura e/o omicidio extragiudiziale, sempre che la parte attrice abbia esaurito i rimedi locali cadcquatc and availablc». Di conseguenza, un caso come quello Filartiga sarebbe oggi portato a conoscenza dei tribunali statunitensi sulla base del 1VPA e non dcli'ATS, normative che peraltro mantengono un ambito di applicazione sotto alcuni aspetti non coincidente, a parte l'ovvia differenza che per il 1VPA la parte attrice può essere anche un cittadino statunitense. Ad esempio, nel 2012 la Corte suprema degli Stati Uniti, nel caso Mohamad 'O. Palestinian A11thority, 132 S Ct 1702 (USSC 2012), ha deciso all'unanimità che il 1VPA si applica esclusivamente alle persone fisiche e non a quelle giuridiche perché nella legge si utilizza il termine «individuai» e non «person». La Corte è giunta a questa conclusione alla luce dell'interpretazione della legge e dello studio dei lavori parlamentari. Si ricorda, invece, che, con riferimento ali' ATS, la possibilità di presentare cause contro persone giuridiche è ancora s11b j11dice. •• Su questa dinamica e sui dettagli delle normative adottate, cfr. Accvcs, The Anatomy of Torture cit., pp. 78 sgg. Si rammenta soltanto che nel 1989 la Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito nel caso Hercules [Argentine Rep11blic v. Amerada Hess Shipping Corporation et al, 488 U.S. 428 (1989}] che solamente il Foreign Suvereign lmmunities Act del 1976 (e non l'ATS) può fornire un titolo giurisdizionale nei confronti di uno Stato straniero. Questo sulla base dell'intento del Congresso nel momento dcli' emanazione dcli' atto e dell'interpretazione letterale e sistematica dello stesso, dunque senza affrontare le questioni di diritto internazionale che il caso sollevava. Su questa vicenda, cfr. Andrea Bianchi, Violazioni del diriuo internazwnale ed imm11nità: degli Stati dalla giurisdizione ci'Oile degli Stati Uniti: il caso H ercules, «Rivista di diritto internazionale», 1989, pp. 546 sgg.

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A partire dalla seconda metà degli anni novanta si è realizzato un altro passaggio importante nella storia giurisprudenziale dell'ATS post Filartiga, ovvero il cambiamento delle tipologie di cause. Se inizialmente il modello dominante era rappresentato dal ricorso ai tribunali statunitensi da parte di vittime di gravi abusi, sostenute da organizzazioni non governative impegnate nella promozione dei diritti umani, contro individui/organi di regimi stranieri che spesso erano riparati negli Stati Uniti, progressivamente il contenzioso è diventato più vario, includendo, ad esempio, anche azioni intese a riparare le conseguenze di crimini storici come l'Olocausto. In questo panorama frastagliato, hanno acquisito sempre maggiore rilevanza le tematiche della globalizzazione predatoria: «ATS litigation focused increasingly on corporate defendants such as Barclay National Bank, Chevron, Del Monte, Ford, IBM, Rio Tinto, T alisman Energy, and Unocal, all of whom allegedly aided and abetted foreign governments' human rights violations such as slave labor, extraordinary rendition, apartheid, war crimes, and torture»~. Il tentativo di fare delle multinazionali i moderni pirati del XXI secolo, che pure in alcuni casi ha portato a compensazioni extragiudiziali di considerevole importo e grande significato metagiuridico, non poteva non avere delle conseguenze radicali sul contenzioso in esame che ha assunto una dimensione finanziaria notevole (con i grandi studi legali americani chiamati a difendere le corporations) ed è diventato più complesso sotto il profilo giuridico e più sensibile sotto quello politico. In particolare, quest'ultimo aspetto ha comportato una precisa presa di posizione da parte delle amministrazioni repubblicane che hanno iniziato a richiedere alle corti di rigettare le cause sulla base di una serie di argomentazioni «politiche» legate alle relazioni internazionali e alla separazione dei poteri, le stesse che, come emergerà più avanti, saranno alla base della ratio decidendi seguita dalla Corte suprema nel caso Kiobefo del 2013 e nella giurisprudenza successiva. ., Ingrid B. Wucrth, !Gobel 'li. Royal Dutch Petroleum Co.: The Supreme Court antl the Alien Tort Stature, «Amcricanjoumal of lntcmational Law», 107,2013, pp. 6o1 sgg., p. 60.J. •1Kiobel v. Royal Dutch Pctrolcum Co., 133 S.Ct. 1659 (2013) (d'ora in poi Kiobel).

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Non rientra nei limiti e nelle finalità del presente contributo analizzare gli innumerevoli e complessi problemi giuridici sollevati da un filone giurisprudenziale che ormai ha una storia decennale e conta centinaia di casi. Come ricorda la Wuerth, (t]hese questions includeà not only the amenability of corporations to suit and the statutc's extraterritorial application, but also the potcntial immunity of individuai defcndants, the appropriate defcrence to afford the U.S. government as to the statutc's intcrpretation and case by-case application, the cxistcnce and scope of an cxhaustion requirement, the application of the forum non conveniens doctrinc, the viability of aiding and abetting claims, the source of applicable law, and the statute's purpose and substantive scope+1.

Si intende, invece, procedere ad una analisi approfondita delle due importanti sentenze sull'ATS in cui la Corte suprema, nell'arco appena di un decennio, ha prima (caso Sosa del 2004•1) apparentemente consolidato l'interpretazione dell' ATS seguita nel caso Filartiga per poi (caso Kiobel del 2013) sconfessarla. Tale esame sarà anche l'occasione per verificare quale peso hanno avuto i più volte evidenziati profili critici o irrisolti della sentenza Filartiga in questi sviluppi giurisprudenziali, con specifico riferimento alle tematiche della cosiddetta «universal civil jurisdiction»-46 e del ruolo della figura paradigmatica del pirata in tale contesto. Infatti, tale figura rimane saldamente (e ... curiosamente) il centro di gravità giuridica di questa giurispru-

.. Wuerth, Kwbel v. Royal Dutch Petroleum Co. cit., p. 602. •• Sosa v. Alvarez-Machain, 542 U.S. 692 (2004) (d'ora in poi Sosa). ~ Il concetto è diventato di interesse dottrinario in tempi abbastanza recenti con una prevalenza di analisi critiche. Cfr., tra gli altri, Nerina Boschiero, The Corporale

Responsibility to Protect Human Rights and the Question of Universal Ciflil Jurisdiction in TransnatÙJnal Human Rights Cases. The U.S. Supreme Court Decision in Kiobel v. Dutch Petroleum, in Bernardo Cortese (a cura di), Studi in onore di Laura Picchù, Forlati, Giappichelli, Torino 2014, pp. 3 sgg.; D. Wallach, The l"ationality of Unroersal Civiljurisdiction, «Georgetown Joumal of lntcmational Law,., 46, 2015, pp. 803 sgg.; Abhimanyu G. Jain, Uniflersal Ciflil Jurisdiction in lntematronal Law, «Indian Joumal of lntcmational Law,., 55, 2, 2015, pp. 209 sgg.; Paul D. Mora, The Alien Tort Statute After «Kiobel,: The Possibility for Unlawfu/J AssertÙJns of Uniflersal Ciflil Jurisdiction Stili Remains, «lntcmational and Comparative Law QuartcrJy,., 63, 3, 2014, pp. 699 sgg.

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denza della Corte suprema. Non a caso, così si esprime il giudice Breyer sul significato della sentenza Sosa nella sua opinione concorrente (condivisa da altri tre giudici e quindi ... quasi maggioritaria) alla sentenza Kwbel: Recognizingthat Congress enacted the ATS to permit recovery of damages from pirates and others who violated basic international law norms as understood in 1789, Sosa essentially leads today's judges to ask: Who are today's pirates? [ ...] Wc provided a framework for answering that question by setting down principles drawn from international norms and designed to limit ATS claims to those that are similar in character and specificity to piracy ,..1.

A questa domanda - «chi sono i pirati di oggi?» -1'opinione maggioritaria in Kwbel semplicemente non risponde - «we don't care» ... verrebbe da chiosare- perché l'approccio realista impone il ricorso alla presunzione di non applicazione extraterritoriale all'ATS, atto che dunque non può rappresentare per definizione la fonte di un sistema di «universal civil jurisdiction» diretto a garantire un risarcimento alle vittime dei pirati moderni. T aie presunzione, peraltro, non si applica, come afferma espressamente, sia pure in maniera un po' ambigua, la stessa opinione maggioritaria, proprio al pirata «classico» che da paradigma normativo di un contestato sistema in costruzione (Sosa) ritorna ad essere l'eccezione storica alla regola di diritto positivo (Kiobe[)!..S Ai nostri fini, ma forse anche in un'ottica più generale, questa risulta essere la narrativa giuridica essenziale della giurisprudenza in esame. Anche perché il commento più azzeccato di un internazionalista è stato sicuramente quello di Steinhardt: «what is law in Kiobel isn't clear and what is clear in Kiobel isn't law»49. Ciò deriva da diversi fattori che, sia pure in misura minore, hanno interessato anche la sentenza nel caso Sosa:

41

Kiobel cit., p. 167o(Brcyer, opinione concorrente).

lvi, p. 1667• ., Ralph G. Steinhardt, Kiobcl and the Weakening of Precedent: A Long Walk fora Short Drink, «American Joumal of lnternational Law,, (Agora: Rejlections on Kiobcl), 107, 4, .2013, pp. 841 sgg., p. 841. 41

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- la Corte suprema ha adottato all'unanimità le due decisioni nel merito, ma si è divisa sulle rispettive motivazioni e ciò ha dato vita a numerose opinioni concorrenti dalle quali emerge l'esistenza di maggioranze diverse e variabili sui passaggi decisivi delle stesse; - i due casi sono stati risolti quasi esclusivamente sulla base della rilevazione del diritto interno statunitense (peraltro assolutamente non pacifica come evidenziato nel punto precedente) e i riferimenti al diritto internazionale sono stati sempre mediati dall'accertamento della federa/, common law che in parte discende dalla law ofnations intesa peraltro secondo i parametri del ... 1789sa; - la deferenza verso il potere politico dimostrata dalla Corte suprema (massima nel caso Kiobe~ caso per caso in quello Sosa) rende difficile dare una valutazione delle due sentenze isolando gli aspetti giuridici da considerazioni di altro genere. Pur con queste avvertenze, è tuttavia utile proporre alcune sintetiche osservazioni sui punti più significativi delle sentenze in esame, partendo dal caso Sosa in cui la Corte suprema doveva decidere se l'arresto arbitrario in Messico e la deportazione negli Stati Uniti di un cittadino messicano (parte attrice) perpetrata da altri cittadini messicani (parte convenuta) assoldati dalla DEA (Drug Enforcement Administration) statunitense rientrava nell'ambito di applicazione dell'ATS. Non si trattava, dunque, di una vicenda che chiamava in causa il principio della giurisdizione universale dato che il collegamento con lo Stato del foro era, come minimo, assicurato dal criterio territoriale (i fatti contestati si erano in parte verificati negli Stati Uniti), ma ciò nonostante l'intervento della Corte suprema era atteso per fare chiarezza sulla natura giuridica dell' ATS nell'ordinamento interno e sulla tipologia di norme internazionali il cui mancato rispetto rientra nella «violations of the law of nations» richiesta dall'atto. La Corte suprema è sembrata non tradire le attese e ha dato, almeno appa-

10 Nel caso Sosa cit., p. 730, peraltro, la Corte suprema ammette che nella rilcva:zionc delle odierne «cnforccablc intcmational norms• deve tenere conto del fatto che la common law ha nel frattempo perso «some mctaphysical cachet on thc road to modero rcalism•.

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rentementesi, una risposta chiara ai due quesiti: a) l'ATS ha natura esclusivamente giurisdizionale (intesa come mera competenza a conoscere da parte di un tribunale) e dunque non offre una «cause of action» azionabile con riferimento alle violazioni della law of nations; b) le violazioni del diritto internazionale invocabili ai sensi dell'ATS devono essere previste da norme internazionale a carattere universale, obbligatorio e specifico. In realtà, dalla prima affermazione (che pone fine a un lungo e tormentato dibattito dottrinario originato proprio dal caso Filartiga1 avrebbe dovuto derivare la conseguenza dell'inapplicabilità dell'ATS dato che il Congresso non ha mai emanato una legge che rendesse azionabili davanti alle corti federali qualsiasi violazione del diritto internazionale. Davanti a tale ostacolo e dopo una lunga e dotta dissertazione storico/giuridica, il giudice Souter così conclude sul punto nella sua opinione maggioritaria: 2)

In sum, altbougb tbe ATS is a jurisdictional statute creating no new causes of action, tbe reasonable inference from tbc historical matcrials is that tbc statutc was intcndcd to bave practical cffcct tbc momcnt it bccamc law. Tbe jurisdictional grant is bcst rcad as baving bccn cnactcd on tbc undcrstanding that tbe common law would providc a cause of action for tbe modest numbcr of intcrnational law violations witb a potcntial for persona! liability at tbc timcn.

La spiegazione è tanto elegante quanto la contraddizione è evidente nell'ammettere quello che appena si è negato. Anche la seconda affermazione, sulla tipologia di norme internazionali la cui violazione rientra nell'ambito di applicazione

'' Secondo il giudice William A. Flctchcr, lntemational Human Rights in American Courts, «Virginia Law Rcvicw», 93, 3, 2007, pp. 1 sgg., p. 13, la sentenza della Corte suprema nel caso Sosa «has lcft us with more qucstions than answcrs,.. '' Ad esempio, D'Amato, The Alien Tort Swute cit., p. 62, nota 4, ricordava che «my basic disagrccmcnt with Professor Casto lics in bis charactcrizaction of tbc Alicn Ton Statutc as jurisdictional only and not providing a statutory cause of action,.. Su questo punto, cfr. Anthony D' Amato,Judge's Bork Conception of lntemational Law 1s Profoundly Mistaken, «Amcrican Joumal oflntcmational Law,., 79, 1, 1985, pp. 92 sgg., p. 1oo; Casto, The Federai Courts' Protecti'Ue jurisdiction cit. p. 479. "Sosacit.,p. 713.

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dell' ATS, è per la verità il frutto di un ragionamento oltremodo tortuoso che giunge a risultati insoddisfacenti. Senza entrare nei particolari, assumere ai fini indicati la pirateria come paradigma normativo è piuttosto discutibile: «we are persuaded that federai courts should not recognize private claims under federai common law for violations of any intemational law norm with less definite content and acceptance among civilized nations than the historical paradigms familiar when &1350 was enacted»H, ovvero «violation of safe conducts, infringement of the rights of ambassadors, and piracy»n. Inoltre, i tre parametri dell'universalità, obbligatorietà e specificità della norma internazionale violata non sono sufficienti ad aprire le porte dei tribunali federali perché «the determination whether a norm is sufficiently definite to support a cause of action should (and, indeed, inevitably must) involve an element of judgment about the practical consequences of making that cause available to litigants in the federai courts»1 6• Questo oscuro riferimento alle «conseguenze pratiche» viene spiegato in nota facendo riferimento alla possibilità di considerare applicabile, in un caso appropriato, il principio del previo esaurimento dei ricorsi interni, nonché «a policy of case-specific deference to the politica! branches»17• È veramente difficile comprendere come questi elementi possano attenere alla determinazione della tipologia di norme inquadrabili nell'ATS quando evidentemente dipendono e devono essere valutati in funzione delle specificità di un caso rientrante nella competenza di un tribunale federale. Quanto al merito del caso Sosa, derubricato su richiesta della parte attrice, che ha lasciato cadere l'accusa di trans-border abduction, alla fattispecie di arresto arbitrario, la Corte suprema, dopo aver ritenuto irrilevante la Dichiarazione universale dei

,. lvi, p. 732. " lvi, p. 724. Per una critica serrata, cfr. Eugene Kontorovich, The Piracy Analogy: Modem Unwersal Jurisdictwn's Hollow Foundation, «Harvard lnternational Law Journal», 45, 1, 2004, pp. 183 sgg. '' Sosa cit., pp. 732-733. " lvi, P· 733·

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diritti dell'uomo per la sua natura dichiarativa e il Patto sui diritti civili e politici per via della dichiarazione statunitense che esclude che sia self-executing, ha concluso che «a single illegal detention of less than a day, followed by the transfer of custody to lawful authorities and a prompt arraignment, violates no norm of customary international law so well defined as to support the creation of a federai remedy»s 8• A parte ogni altra considerazione critica, più che un problema di definizione o di specificità della norma consuetudinaria che vieta l'arresto arbitrario, la decisione solleva la questione se sia prevista una soglia minima di gravità della violazione al fine di soddisfare i requisiti normativi derivanti dall' ATS. Quello che è sicuro è che la Corte, pur non avendo incluso la gravità della violazione tra detti parametri, alla prima occasione utile vi ha fatto ... abusivamente ncorso. Il secondo caso (KiobeZS 9 ) deciso dalla Corte suprema nel 2013 era circondato da grande attesa per diversi e concomitanti motivi, in particolare perché: a) ascrivibile all'emergente filone della globalizzazione predatoria nella giurisprudenza post FiL:i.rtiga; b) inquadrabile nei cosiddetti «foreign cubed cases» (cause per fatti avvenuti all'estero tra parti straniere che non presentano alcun collegamento con lo Stato del foro) che sono particolarmente probanti ai fini dell'affermazione della «universal civil jurisdiction»; e) implicante la soluzione del problema se le persone giuridiche (leggi: corporations) possono essere chiamate a rispondere di una violazione della law of nations sia in linea di principio che ai sensi dell'ATS; d) avente ad oggetto una forma di responsabilità secondaria (le multinazionali del petrolio avrebbero aiutato e sostenuto - «aided and abetted» - il Governo nigeriano a commettere gli abusi lamentati a danno del popolo degli Ogoni) al centro del dibattito circa il suo riconoscimento in ambito civile; e) riguardante un caso di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani (in particolare, crimini contro l'umanità, tortura, arresti e detenzioni arbitrarie) del poeit., pp. 738. Per una dettagliata analisi delle questioni sollevate dalla sentenza Kiobcl, cfr. Boschicro, The Curporate Responsibility to Protect Human Rjghts cit., in particolare pp. 33 sgg. 11 Sosa

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polo degli Ogoni, già peraltro oggetto di accertamento da parte della Commissione africana dei diritti dell'uomo e dei popoli6o. Dato che nel 20 I I la Corte di appello del secondo circuito aveva rigettato il ricorso sostenendo che la law of nations non riconosce la responsabilità delle persone giuridiche6• e che la Corte suprema aveva acconsentito a considerare detta questione, è stata a dir poco sorprendente la decisione della stessa Corte, quando già si era tenuta la discussione orale della tematica originaria, di sottoporre alle parti un quesito addizionale: «Whether and under what circumstances the [ATS] allows courts to recognize a cause of action for violations of the law of nations occurring within the territory of a sovereign other than the United States». Com'è noto, la risposta negativa a tale questione e l'assenza di collegamenti tra il caso di specie e lo Stato del foro hanno comportato il suo rigetto senza che la Corte potesse esprimersi sul quesito originario e sulle questioni ad esso collegate. Oltre ad essere una occasione mancata, la sentenza Kiobel è anche e soprattutto la decisione che pone fine alla giurisprudenza Filartiga e all'applicazione, sulla base dell'ATS, del principio della giurisdizione universale in ambito civile nei tribunali federali degli Stati Uniti. Infatti, la presunzione affermata dalla Corte suprema sulla non applicabilità extraterritoriale dell'ATS rappresenta una condanna definitiva, sia pure decisa a stretta maggioranza e, come ora vedremo, assai contestabile, dei «foreign cubed cases». Ciò non significa, tuttavia, che l'ATS sarà destinato all'irrilevanza dato che potrà continuare ad essere invocato, come dimostra la giurisprudenza più recente, quando la violazione della law of nations a danno dello straniero è stata perpetrata sul territorio degli Stati Uniti e anche nei «foreign sq uared cases» che coinvolgono direttamente o indirettamente società multinazionali incorporate negli Stati Uniti per abusi perpetrati all'estero. Nel valutare l'affermazione della presunzione in esame, bisogna partire dalla constatazione che si è trattato di una decisione

.. Decisione della Commissione africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del 27 ottobre 2001 sulla Comunicazione 155/96, Socia/ and Economie Rights Act.ion Center (SERAC) and Center for Economie and Socia/ Rights (CESR) v. Nigerui. •• Kiabel v. Royal Dutch Petroleum Co., 621 F.3d (2d Cir. 2010), pp. 111 sgg.

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a carattere dichiaratamente politico finalizzata proprio ad impedire la continuazione della giurisprudenza Filartiga, considerata perniciosa per gli interessi degli Stati Uniti. Infatti, come ricorda l'opinione maggioritaria nel caso Kiobel, la ratio che giustifica il criterio interpretativo delle leggi secondo cui «[w]hen a statute gives no clear indication of an extraterritorial application, it has none» 62 riflette la «presumption that United States law governs domestically but does not rule the world» 63 ed è finalizzata «to protect against unintended clashes between our laws and those of other nations which could result in international discord»64• Qui avviene la prima forzatura perché il problema dell' applicazione extraterritoriale delle leggi è una questione di merito mentre la sentenza Sosa ha stabilito il carattere strettamente giurisdizionale dell' ATS. Ciononostante, l'opinione maggioritaria ritiene che detta presunzione si applichi a maggior ragione all'ATS: «Indeed, the danger of unwarranted judicial intederence in the conduct of foreign policy is magnified in the context of the ATS, because the question is not what Congress has clone but instead what courts may do» 6 s. Il punto dolens della sentenza Kiobel è però un altro. Come si è osservato, è pacifico che se una legge offre una chiara indicazione di applicazione extraterritoriale la presunzione contraria si intende superata. Questo è esattamente il caso dell' ATS che, come sostiene il giudice Breyes nella sua opinione concorrente, was cnactcd witb «forcign mattcrs,. in mind. Tbc statutc's tcxt rcfcrs cxplicitly to «alicn[s],., «trcat[ics]», and «tbc law of nations,.. [ ... ] Tbc statutc's purposc was to addrcss «violations of tbc law of nations, admitting of a judicial remedy and at tbc same time tbreatening serious conscquenccs in international affairs,.. And at !cast one of tbc tbrce kinds of activities tbat wc found to fall witbin tbc statutc's scope, namely piracy, [ ...] normally takes piace abroad".

•• Morrison v. Natwnal Australia Bank Ltd., 561 U. S. 255 (2010). •i Microsoft Corp. v. AT&TCorp., 550 U. S.437(2007), p. 454· 6f EEOC-v. Arabian American Oil Co., 499 U. S. 244 (1991)(Aramco), p. 248. '' Kwbel cit., p. 1664. 66 lvi, p. 1671 (Brcycr, opinione concorrente).

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Davanti a queste argomentazioni puntuali, che non dovrebbero ammettere replica, l'opinione maggioritaria è in palese difficoltà e si rifugia più volte nella difesa che gli elementi evidenziati non sarebbero sufficienti a confutare la presunzione. Tale linea difensiva non è però percorribile con riferimento alla pirateria che viene perpetrata non solo in alto mare (e dunque in uno spazio extraterritoriale che, tra l'altro, la giurisprudenza degli Stati Uniti parifica al territorio straniero67), ma anche sulle navi battenti bandiera straniera che dunque si trovano sotto l'altrui giurisdizione68 • Ecco dunque che il ChiefJustice Roberts è costretto a fare, nella sua opinione maggioritaria, una concessione importante: «We do not think that the existence of a cause of action against them is a sufficient basis for concluding that other causes of action under the ATS reach conduct that does occur within the territory of another sovereign; pirates may well be a category unto themselves» ½. Come già anticipato, la pirateria da violazione paradigmatica dell'ATS torna ad essere una eccezione storica ad un diritto internazionale che secondo la maggioranza dei giudici della Corte suprema è ancora basato sulla tradizionale sovranità territoriale: «Applying U.S. law to pirates, however, does not typically impose the sovereign will of the United States onto conduct occurring within the territorial jurisdiction of another sovereign, and therefore carries less direct foreign policy consequences. Pirates were fair game wherever found, by any nation, because they generally did not operate within any jurisdiction» 70• A tal proposito, è stato puntualmente osservato che [i]n doing so, hc [Chicf Justicc Robcrts] ignorcs thc more obvious rationalc that piracy was a clcar violation of thc law of nations and thcrcforc allowing a claim of piracy was not an imposition of «thc sovcrcign will

67 Come si riconosce nella stessa opinione maggioritaria: «Court has gcncrally trcatcd thc high scas thc samc as forcign soil for purposcs of thc prcsumption against cxtratcrritorial application• (Kiobel cit., p. 1667). 61 Kiobel cit., p. 1671 (Brcycr, opinione concorrente). "lvi, p. 1667.

,. IbiJ.

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of the U nited States• but merely enforcement of international law. This more natural rcading would of coursc raisc the question of why that is true of piracy but not of gcnocidc, torture, or crimes against humanity7'.

In realtà, la sentenza Kiobel contiene nel paragrafo conclusivo dell'opinione maggioritaria una eccezione all'applicazione solo territoriale dell'ATS ben più significativa di quella appena segnalata, anche perché rileva proprio nei casi che riguardano le multinazionali statunitensi accusate di aver commesso abusi ali'estero («foreign squared cases» ). In tale paragrafo «strategico», introdotto con tutta probabilità per assicurare l'adesione della maggioranza dei giudici all'opinione del ChiefJustice Roberts, si legge: «even where the claims touch and concern the territory of the United States, they must do so with sufficient force to dispiace the presumption against extraterritorial application». L'affermazione in esame è stata introdotta per spiegare perché la mera presenza di uffici negli Stati Uniti della multinazionale convenuta nel caso di specie (la Royal Dutch Petroleum) non è sufficiente a confutare la presunzione contro l'applicazione extraterritoriale dell'ATS. A conferma di ciò, il paragrafo citato continua specificando che «[c]orporations are often present in many countries, and it would reach too far to say that mere corporate presence suffices». Tuttavia, è chiaro che queste affermazioni hanno una portata e perseguono uno scopo che va ben oltre quello che le ha originate. Da una parte esse sembrano implicitamente presupporre che la responsabilità delle persone giuridiche può essere fatta valere davanti ai tribunali federali invocando l'ATS, dall'altra ci dicono che nel caso in cui un ricorso «touch and concern [ ...] with sufficient force» il territorio degli Stati Uniti la presunzione contro l'extraterritorialità sarebbe superata. Ed è ragionevole ipotizzare che la cittadinanza statunitense di una persona fisica o giuridica (incorporata nel diritto degli Stati Uniti) soddisfi questo parametro e che, di con7 ' O. Hathaway, Kiobel Commentary: The door remains open to «foreign squared• cases, in SCOTUSBLOG {18 aprile 2013), disponibile online all'indirizzo: http://www. seotusblog.com/2013/04/kiobcl-commentary-the-door-remains-open-to-foreignsquared-cascs/.

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seguenza, tale entità potrebbe essere chiamata a rispondere delle violazioni della law ofnations perpetrate all'estero nei confronti di stranieri sulla base dell'ATS7'-. Si può dunque concludere che la sentenza Kiobel della Corte suprema ha sancito il prematuro tramonto della giurisprudenza Filartiga, ma che paradossalmente l'ATS potrebbe sopravvivere alla sconfessione del caso che lo aveva rivitalizzato dopo un torpore secolare. In effetti, la giurisprudenza ultima della Corte suprema, alla quale in questa sede è possibile soltanto accennare, pur riaffermando il precedente Kiobel, non ha del tutto escluso la possibilità di invocare l'ATS per violazioni extraterritoriali del diritto internazionale perpetrate da multinazionali statunitensi. Nel caso Jesner73 del 2018, portato davanti ai tribunali statunitensi dalle vittime di attentati terroristici commessi in Israele, nella West Bank e a Gaza dal 1995 al 2005, la Corte suprema ha escluso a strettissima maggioranza (cinque giudici contro quattro) che le multinazionali straniere possano essere chiamate sulla base dell' ATS a rispondere civilmente negli Stati Uniti per violazioni del diritto internazionale. Come ha chiosato con acume Dodge: «After the Supreme Court's 2013 decision in Kiobe~ my colleague Anupam Chander observed that the impact of that decision would be to free foreign corporations, but not U.S. corporations, from the risk of being sued under the ATS. In a sense, ]esner simply makes this point explicit»7•. La ratio di questa decisione, criticabile quanto si vuole, ma dalla quale non si può prescindere, la ritroviamo in un passaggio decisivo dell'opinione concorrente del giudice Alito: «Creating causes "Sul punto, cfr. Wucnh, Kiobel 'U. Royal Dutch Petroleum Co. cit., p. 608: «To be surc, the Court did not decide that such cases could go forward; it mercly left the possibility open, perhaps bccause the Court could not agrcc or did not wish to rcsolve more than it had to in this case. The Court did not dircctly addrcss the question on which it originally granted ccrtiorari- corporatc liability under the ATS- but the opinions arguably assume the viability of ATS suits against corporations». n Jesner-u. Arab Bank, PLC, 138 S.Ct. 1386 (2018) (d'ora in poi]esner~ I ricorrenti sostenevano che ['Arab Bank, una società straniera di nazionalità giordana, aveva indirettamente finanziato attacchi terroristici in Israele tramite operazioni finanziarie gestite dalla sua filiale di New York. 74 Cfr. W. S. Dodge, Jesner -u. Arab Bank: The Supreme Court Preseroes the Possibility of Human Rights Suits Against U.S. Corporations, «Just Sccurity», 26 aprii 2018.

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of action under the Alien Tort Statute against foreign corporate defendants would precipitate exactly the sort of diplomatic strife that the law was enacted to prevent»n. Nel recentissimo caso N estlé.,r, (accorpato al caso Cargill), deciso il 17 giugno 2021, la Corte suprema ha ristretto ulteriormente l'ambito di applicazione dell'ATS alle multinazionali, sostenendo che i tribunali statunitensi non erano competenti a giudicare perché nessuna delle due società convenute aveva legami sufficienti con gli Stati Uniti oltre la «mere corporate presence». Il caso ha scosso l'opinione pubblica statunitense ed internazionale perché la Nestlé e la Cargill erano accusate di aver aiutato e favorito il lavoro forzato minorile in Costa d'Avorio in relazione alla raccolta del cacao. La Corte suprema è stata criticata anche perché, pur affermando che le decisioni generali a carattere operativo sono insufficienti a stabilire la giurisdizione ai sensi dell' ATS, non ha chiarito quali attività o legami societari avrebbero invece soddisfatto il test «touch and concern [...] with sufficient force» il territorio statunitense. In tale deprimente contesto, è stata considerata una vittoria il fatto che la Corte abbia escluso l'applicabilità dell'ATS ai soli abusi perpetrati sul suolo degli Stati Uniti e non abbia aderito alla posizione sostenuta dall'amministrazione Trump in un amicus curiae secondo cui una entità accusata di mero favoreggiamento non potrebbe essere convenuta sulla base della normativa in esame.

6. Conclusione: una « bella menzogna» rimane tale anche se chi la svela non ha a cuore «la veritade ascosa»

Quando si evoca la conclusione del filone giurisprudenziale iniziato nel 1980 con il caso Filartiga, il dato giuridico che si vuole evidenziare è il tramonto della prospettiva di creare negli Stati Uniti un sistema di responsabilità civile per gravi violazioni dei diritti umani basato sul principio della giurisdizione uni-

]emer cit., p. 1408 (Alito, opinione concorrente}. "Nestlé USA, lne. v. John Doc I, 593 U.S. _ (2021).

11

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versalen. È chiaro che l'esito negativo di tale tentativo in fondo idealista è dovuto principalmente a ragioni politiche che poco hanno a che vedere con il diritto, ma che pur tuttavia hanno delle significative conseguenze giuridiche. Certo è paradossale che a farsi carico del realismo oggi dominante sia la Corte suprema che nel momento in cui depotenzia l'ATS afferma trionfante che «there is no indication that the ATS was passed to make the United States a uniquely hospitable forum forthe enforcement of international norms»78• È anche doveroso riconoscere che non era obiettivamente facile affermare il principio della giurisdizione universale sulla base di una legge del 1789 dal contenuto criptico, peraltro destinata ad essere interpretata sulla base dell'approccio «originalista» diretto a limitare l'applicazione progressiva della statute law per via giurisprudenziale all'intento iniziale del legislatore o, comunque, al significato originario del testo. Approccio radicalmente conservatore del quale sono campioni gli stessi giudici della Corte suprema che hanno redatto e condiviso l'opinione maggioritaria nel caso KiobeL Tutto ciò premesso, il presente contributo ha cercato di far emergere come non fosse ragionevole immaginare la creazione di un sistema di «universal civil jurisdiction» sulla base del77 Su tale questione, dr. Julian G. Ku, Kiobel and the Surprising Death of Unroersal ]urisdiction Under the Alicn Tort StatHte, «Amcrican joumal of lntcmational Law,. (Agora: Re/Jections on Kiobcl), 107, 4, 2013, pp. 835 sgg. Il giudice Brcycr nella sua opinione concorrente affronta il problema di quali dovrebbero essere le «intcmatio-

nal jurisdictional norms,. che dovrebbero delimitare la competenza giurisdizionale dei tribunali federali ex ATS, anche al fine di evitare frizioni internazionali. In particolare, questi criteri includerebbero quello territoriale, quello della cittadinanza attiva e quello degli interessi nazionali, con l'avvcrtcn7.a che gli «Amcrican national intcrest[s],. ricomprendono la prevenzione a che torturatori o altri «common cncm[ies] of mankind,. possano trovare a csafc harbor,. negli Stati Uniti (Kiobel cit., p. 1671 (Brcycr, opinione concorrente). Tecnicamente e formalmente questo modello non può essere ricompreso tra quelli inquadrabili nella «civil univcrsal jurisdiction,. dato il riferimento agli interessi nazionali, ma nella sua applicazione pratica avrebbe degli effetti molto simili a quella che può essere definita una sorta di giurisdizione universale «condizionata» o «qualificata» dalla presenza del convenuto nello Stato del foro (e infatti il caso Fil:irtiga rientrerebbe in quest'ultima ipotesi). Questo approccio sarebbe stato un buon compromesso tra diverse esigenze cd interessi, ma con tutta probabilità è stato proposto fuori tempo massimo. 71 Kiobel cit., p. 1668.

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la doppia metafora del «torturatore/pirata nemico del genere umano». Se inizialmente, e pur con qualche ambiguità di troppo, con il caso Filartiga questa immagine evocativa ha svelato la «veritade ascosa» dell'imperativo giuridico di evitare che il torturatore, al pari del pirata, potesse rifugiarsi in un porto sicuro, successivamente tale metafora è stata presa troppo sul serio fino a fare del pirata il modello normativo paradigmatico delle violazioni della law of natiom nel caso Sosa. Il problema è che tale «individualizzazione/demonizzazione» normativa non corrisponde alla realtà delle relazioni internazionali in cui i perpetratori di crimini internazionali non sono i «nemici di tutti», ma spesso rappresentano la leadership politico/militare/economica di attori statali o non statali. Per non parlare del fatto che, nel diritto internazionale contemporaneo, proprio e soprattutto al «nemico di tutti» va assicurato il godimento e l'esercizio dei diritti fondamentali. In altri termini, un sistema contemporaneo di «universal civil jurisdiction» può trovare fonte di ispirazione, ma non può certo basarsi sulla dottrina dell'hostis humani generis79. Al contrario, il modello di riferimento normativo è costituito dal regime di responsabilità individuale per crimini contro l'umanità e dalle norme internazionali applicabili, per quanto imperfette esse siano, in materia di giurisdizione, immunità e rispetto dei diritti umani. Ecco perché la «veritade ascosa» si è progressivamente rivelata una «bella menzogna» e dispiace solo che a svelare la fictio " Pur non condividendo nel merito la gran parte delle premesse e delle conclusioni, è di sicuro interesse il contributo di Kontorovich, The Piracy Analogy cit., sia per l'approccio metodologico seguito che per l'approfondimento di alcune tematiche trattate nel presente studio. In particolare, riteniamo assai stimolante la seguente linea di ricerca proposta dall'autrice: e 1bis Artide challenges the gcnerally accepted vicw that piracy was universally cogni7.able bccausc of its heinousncss. "lbe Artide shows that thc rationale for piracy's unique jurisdictional status had nothing to do with the heinousncss or scverity of the offense. lndccd, piracy was not rcgardcd in carlier ccnturies as being an cgrcgiously hcinous crimc, at lcast not in thc way that most human rights offcnscs are hcinous. Thus piracy could not bave bccomc univcrsally cognizablc as a rcsult of its perceived heinousness. By showing that piracy cannot serve as a precedent for the ncw universal jurisdiction, this Artide calls into doubt the entirc line of cascs that bave used the piracy analogy to apply universal jurisdiction to a varicty of heinous offenses. lt suggcsts that courts and scholars bave accepted the piracy analogy uncritically, thereby allowing NUJ to be built on a hollow foundation,. (p. 186).

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iuris, relegando nuovamente il pirata alla sua essenza di innocua eccezione che conferma la regola sovranista, sia stato un organo, la Corte suprema degli Stati Uniti, che nella sua ultima giurisprudenza antepone gli interessi nazionali a qualsiasi altra considerazione.

La pirateria come modello normativo: torsioni antiche e moderne nella definizione di pirata Maria Chiara Vitucci

L'inizio del millennio ha visto una nuova fiammata della pirateria, che, dai luoghi tradizionali descritti da Salgari, si è spostata a ovest verso il Golfo di Aden e il Golfo di Guinea e a est verso il Mar cinese meridionale. Si sono così moltiplicati gli studi volti a capire se gli strumenti classici di repressione di una delle più antiche fattispecie criminose di interesse per il diritto internazionale dovessero essere aggiornati, in funzione di una possibile evoluzione normativa del fenomeno. L'analisi che segue cercherà di fare chiarezza su questo problema, muovendo da una definizione attuale della pirateria e dalla sua distinzione con altri illeciti, che, soprattutto in tempi recenti sono stati a essa accostati, spesso impropriamente. Si hanno in mente essenzialmente atti violenti in mare e atti di terrorismo, ma sarà chiarita anche la distinzione classica tra pirateria e guerra di corsa. Scopo della presente indagine è dunque delineare l'attuale modello normativo della pirateria e della sua repressione. Appare superfluo specificare che in questo contributo si parlerà della pirateria di diritto internazionale e non di analoghe o differenti figure criminose di rilievo per il diritto interno. La pretesa necessità di attualizzare la definizione della pirateria e i suoi strumenti di repressione deriva probabilmente da più cause. Da un lato, dal momento che la pirateria costituisce una fra le più antiche fattispecie di rilevanza internazionale, si potrebbe ritenere che con il passaggio del tempo le norme che si occupano della sua repressione siano invecchiate. Vì è poi la recente recrudescenza di attacchi pirateschi e, soprattutto, la tendenza a sovrapporre alla pirateria figure criminose e problematiche sostanzialmente differenti. I.

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Muoveremo quindi in primo luogo dalla definizione contenuta nella Convenzione di Montego Bay, che, come afferma la dottrina maggioritaria, rispecchia il diritto consuetudinario•. Lo affermano gli stessi Stati Uniti, che non hanno ratificato la Convenzione2. La Convenzione di Montego Bay, per la parte che qui interessa, riproduce integralmente le norme della Convenzione di Ginevra del 1958 sull'alto mare che, a loro volta, traggono il loro contenuto da un progetto di codificazione elaborato in seno all'Università di Harvard negli anni trenta del secolo scorso. Gli elementi costitutivi del reato di pirateria comprendono: un atto illecito di violenza, sequestro o rapina commesso a fini privati dall'equipaggio o dai passeggeri di una nave privata, che sia rivolto in alto mare o in un luogo non soggetto alla giurisdizione di alcuno Stato contro un'altra nave, un aeromobile, oppure contro persone e beni3• Si parla comunemente del requisito dei fini privati, delle due navi e della zona, che non deve essere sottoposta alla giurisdizione di nessuno Stato. Lo stesso reato, se compiuto nelle acque territoriali di uno Stato, non può essere qualificato come atto di pirateria, bensì sarà considerato un atto di rapina a mano armata in mare (armed robbery at sea ). L' attacco pirata può essere compito a danno di una nave o da un'altra nave o da un aeromobile. Fatti compiuti all'interno di una sola nave non rientrano invece nella definizione di pirateria e sono da considerarsi ammutinamento. In presenza di atti privati di pirateria, si verificano conseguenze di rilievo per il diritto internazionale, il diritto cioè che si occupa essenzialmente dei rapporti tra Stati. È interessante sottolineare che, dalla commissione di atti privati non attribuibili agli Stati, il diritto internazionale fa derivare la conseguenza che tutti gli Stati hanno la facoltà di abbordare e sequestrare la nave pirata e arrestare e punire i responsabili degli atti di pirateria4•

' Deve però menzionarsi la voce discordante di Alfrcd P. Rubin, The Law of Piracy, US Naval War College Prcss, Ncwport 1988. • Le corti statunitensi, infatti, utilizzano la definizione di pirateria contenuta nella Convenzione, anche se lo Stato non l'ha rati6cata. Cfr. la decisione citata alla nota 12. l Art. 101 della Convenzione di Montcgo Bay. • Cfr., rispettivamente, gli articoli 110 e 105 della Convenzione di Montcgo Bay.

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Ma l'elemento attorno al quale si sono scatenate le interpretazioni più diverse concerne i cosiddetti fini privati. Se si guarda ai lavori preparatori del testo della Convenzione di Ginevra, appare evidente che la Commissione di diritto internazionale ha escluso che la definizione di fini privati equivalesse all'antico scopo del pirata, cioè l'animus furandi, l'intento di rubare5. Si può quindi compiere un atto di pirateria per motivi di odio, vendetta e non solo per il desiderio di guadagno6• Se i fini privati sono più ampi del semplice desiderio di arricchimento, diviene incerto il limite superiore della nozione, anche perché le sentenze recenti che si occupano di questo problema sono poche7• In dottrina taluni affermano che l'unico limite sia dato dal fine pubblico, che si avrebbe quando l'illecito è compiuto da un organo dello Stato o se si tratta di un illecito che, comunque, può essere ricondotto a uno Stato8• Questo richiama da un lato la vecchia distinzione tra pirata e corsaro e, dall'altro lato, la questione se gli insorti possano essere considerati privati, questioni entrambe sulle quali si tornerà in seguito. Secondo tale nozione estensiva, quindi, le finalità politiche rientrerebbero tra i fini privati. Data la genericità della nozione e l'ambiguità di una certa giurisprudenza, sembrerebbe difficile prendere posizione su questo punto specifico. Riteniamo invece che sia da escludere che le finalità politiche possano essere assimilate ai fini privati di cui all'art. ror della Convenzione sul diritto del mare. Innanzi tutto solo in due occasioni i tribunali interni hanno ritenuto che azioni violente commesse in mare da gruppi ambientalisti potessero essere qualificate come atti di pirateria. Il primo caso risale al 1986, quando la Sirius, una nave 2.

, Report of the lnternational Law Commission on the Work of its Eighth Session, 23-4 July 1956, Officiai Rccords of the Generai Assembly, Elcventh Scssion, Supplement n. 9 (A/3159), p. 282. • Ibid. 1 Cfr. il contributo di Beatrice I. Bonafé, Il pirata secondo il diritto internazionale contemporaneo: definizione e garanzie processuali, in questo volume, pp. 247 sgg. 1 Robert Geiss e Anne Pctrig, Piracy and Armed Robbery at Sea, Oxford University Press, Oxford 2011, p. 62; Douglas Guilfoyle, The Laws of War and the Fight against Somali Piracy: Combatants or Criminals?, «Melbourne Journal of lnternational Law», 11, 30, 2010, pp. 141 sgg., p. 149, dove si afferma chiaramente: «statcs cannot committ piracy,-.

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battente bandiera olandese con degli attivisti di Greenpeace a bordo, compie azioni di disturbo contro due navi battenti bandiera belga che, secondo gli ecologisti, avevano sversato rifiuti tossici in alto mare. Con una sentenza molto contestata e altrettanto commentata, la Corte di cassazione belga, confermando la decisione di appello, ha affermato che le azioni di Greenpeace dovessero essere considerate atti di pirateria, secondo la definizione contenuta nell'art. 1 5 della Convenzione di Ginevra del 1958 sull'alto marel'. C'è poi il caso più recente dell'organizzazione ambientalista Sea Shepherd che si occupa della protezione dell'ambiente marino e della sua fauna' Nonostante gli attivisti si auto-qualifichino come eco-pirati e le navi battano, oltre alla bandiera nazionale, anche la bandiera nera con il teschio bianco (il Jolly Roger), le attività dell'organizzazione rientrano sicuramente nella definizione di fini politici. Ci sono molte campagne tese a salvare diverse specie marine minacciate da pericoli vari, tutti causati dall'uomo. La reazione degli Stati alle attività compiute dagli attivisti (quindi da privati) a tutela di interessi generali ha suscitato reazioni diverse: da un lato c'è un atteggiamento di tolleranza, in altri casi si arriva addirittura ad autorizzare tali attività attraverso accordi. Altri Stati assimilano invece gli atti di protesta violenta in mare ad atti di pirateria o terrorismo La Corte d'appello per il nono circuito degli Stati Uniti, riformando la decisione di primo grado, ha stabilito che le azioni di Sea 0•

11 •

• Belgio, Cour dc Cassation, Cast/e fohn, Nederlandse Stichling Sirius c. S. A. Mabeco S. A. Parfin, sentenza n. 246 del 19 dicembre 1986, disponibile online (www.fortuncs-dc-mcr.com/mcr/imagcs/Sca_Shcphcrd_Piratcs/Cour_Cassation_Belgiquc_19_ dcccmbrc_1986_Piratcs_Grccnpcacc.pdf). Per i commenti si rinvia alla dottrina citata in Eric David, Greenpeace: des pirates!, «Rcvuc beige dc droit intcrnational», 2, 1989, pp.297 sgg. '° Cfr. il sito dcli' organizzazione: www.scashcphcrd.org. " Maria Chiara Noto, Atti di protesta violenta in mare: pirateria, terrorismo o fattispecie autonoma?, «Rivista di diritto internazionale», 2015, pp. 1198 sgg., p. 1205. Molto interessante il dibattito parlamentare giapponese che ha preceduto l'adozione della nuova legge sulla repressione della pirateria, durante il quale è stato previsto espressamente di reintrodurre I'animus furandi quale dolo speciale nel reato di pirateria, proprio per escludere l'assimilazione degli atti degli attivisti ecologici ad atti di pirateria. Cfr. Jun Tsuruta, The]apanese Act on the Punishment ofand Measures againstPiracy, «Aegcan Rcvicw of tbc Law ofthc Sca and Maritimc Law», 1, 2, 2011, pp. 237 sgg.

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Shepherd contro i balenieri in alto mare sono qualificabili come atti di pirateria Le parole del giudice Kozinszi che aprono l'opinione della Corte sono assai chiare in proposito: 12•

You don't necd a peg lcg or an eye patch. When you ram ships; hurl glass containers of acid; drag metal-reinforced ropcs in the water to damage propellers and rudders; launch smoke bombs and flarcs with hooks; and point high-powered lascrs at other ships, you are, without a doubt, a pirate, no matter how high-minded you bclieve your purposc to be•J.

Quanto al capo di imputazione per il reato commesso dagli attivisti di Greenpeace, che nel corso dell'azione di protesta condotta dalla Artic Sunrise contro le trivellazioni dell'Artico erano stati arrestati con l'accusa di pirateria, esso è stato successivamente derubricato a atti di vandalismo. Rispetto alla fattispecie tipica della pirateria, faceva infatti difetto il requisito delle due navi••. Una sentenza arbitrale ha recentemente condannato la Russia a risarcire i Paesi Bassi, paese di nazionalità della nave, per i danni causati alla nave e all'equipaggio dell' Artic Sunrise per l'illecito abbordaggio e sequestro'5. Per affrontare il problema, piuttosto che ampliare la categoria della pirateria, appare più utile il tentativo, messo in opera da diverse organizzazioni internazionali, di redigere codici di condotta che regolino le proteste degli attivisti in mare 16• Che il problema degli atti di violenza in alto mare non possa essere

" USA, Court of Appcals for thc Ninth District, lnstitute of Cetacean Research -v. Sea Shepherd, sentenza del 25 febbraio 2013, emendata il 24 maggio 2013, disponibile online (http://cdn.ca9.uscourts.gov/datastorc/gcncral/ 2013/02'2 5/ 123 5266.pdf). Per un commento, cfr. Tullio Scova7.zi, La caccia ai cacciatori di balene, «Rivista giuridica dell'ambiente», 28, 3-4, 2013, pp. 457 sgg. 'J USA, Court of Appcals for thc Ninth District, lnstitute of Cetacean Research -v. Sea Shepherd cit., p. 2 del documento. •• Noto, Atti di protesta -violenta in mare cit., p. 1199. '' The Arctic Sunrise Arbitration (Netherlands -v. Russia), decisione del 14 agosto 2015, disponibile online (www.pcacases.com/wcb/vicw/21 ). •• Cfr. il codice di condotta proposto dal Giappone in seno al Comitato della sicurezza marittima dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO Doc. NAV 54/Jo/J del 25 aprile 2008); cfr. anche l'operato della Commissione baleniera internazionale e, in particolare, la risoluzione 2011-2, disponibile online (https://iwc.int/rcsolutions).

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coperto interamente dalle attuali norme internazionali in materia di pirateria era stato del resto riconosciuto dall'Istituto di diritto internazionale nella sessione di Napoli del 2009 17• Come si è visto, la prassi sulla cosiddetta ecopirateria è assai limitata. Solo in due occasioni le corti interne hanno qualificato come pirateschi gli atti di attivisti che con le loro azioni volevano richiamare l'attenzione pubblica sull'importanza di difendere l'ambiente e la natura. Solo in due casi, quindi, si è considerato che la finalità politica o sociale potesse rientrare nei fini privati di cui alla definizione tralatizia di pirateria. La prassi non è quindi sufficiente per sostanziare e quindi farci condividere le conclusioni rese nel secondo dei due casi: Wc conclude that «private cnds» include thosc pursucd on persona!, mora! or philosophical grounds, such as Sca Shcphcrd's profcsscd cnvironmental goals. That the pcrpctrators believc thcmselvcs to be scrving thc public good does not render thcir ends public' 1 •

3. La forzatura consistente nell'applicare la qualificazione di pirateschi agli atti di gruppi ambientalisti non ha rappresentato l'unico tentativo di ampliamento della nozione. Ben più risalente è il tentativo di considerare come pirateschi atti statali di guerra sottomarina. Qui il fine privato è addirittura stravolto. Si supera infatti il limite sopra descritto come superiore, quello oltre al quale non si sarebbe potuti andare nell'estensione del concetto di fini privati: sfuma l'unica distinzione rimasta, quella tra la nozione di fine privato e atto governativo, attribuibile allo Stato. Durante la prima guerra mondiale aveva causato grande scalpore l'uso dei sottomarini da parte della Germania per bombardare sia navi commerciali di potenze belligeranti sia, addirittura, navi battenti bandiera di potenze rimaste neutrali. Per esprimere lo sdegno verso tale violazione delle leggi della guerra si era fat-

17

Institut dc droit international, Declaration de Naples sur la piraterie, 10 settembre

2.009. 11 USA, Court of Appcals for the Ninth District, lnstilure of Cetacean Research v. Sea Shepherd cit., p. 5 del documento.

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to ampio ricorso, nella discussione pubblica, al concetto di pirateria•9, Allo scopo di impedire che simili atti si ripetessero, nel 1922 le cinque maggiori potenze navali sottoscrissero il trattato di Washington, il cui articolo 3 prevedeva che chi avesse violato le regole in esso prescritte «shall be deemed to have violated the laws of war and shall be liable to trial and punishment as if for an act of piracy and may be brought to trial before the civil or military authority of any power within the jurisdiction of which he may be found». Al lettore contemporaneo appare chiara la forzatura consistente, da un lato, nel considerare la guerra sottomarina come un atto piratesco e, dall'altro lato, nell' applicare il regime speciale della giurisdizione universale anche ad atti statali. Anche all'epoca però il trattato apparve come una esagerazione, tant'è che non fu mai ratificato. Qualche anno più tardi, nel 1930, le stesse potenze navali sottoscrissero il trattato di Londra, nel quale si stabilivano alcuni limiti per la guerra sottomarina, ma si abbandonava completamente l'idea di equipararla ad atti di pirateria. Allo scoppio della guerra civile spagnola, quindi, le potenze marine non avevano strumenti aggiuntivi per reprimere l' attacco a navi commerciali, condotto in alto mare sia dagli insorti che dal governo legittimo. Se l'attacco proveniva dal governo spagnolo, era chiaro che - pur essendo illecito - non poteva essere considerato un atto di pirateria. Qualora invece l'attacco provenisse dagli insorti, alcuni hanno provato a sostenere che si trattasse di un atto di pirateria, in quanto non proveniente da alcuna autorità legittimamente riconosciuta. La questione non era nuova: diversi precedenti nello stesso senso avevano riguardato attacchi compiuti contro le ex colonie nel continente americano da navi di insorti, allo stadio inziale dell'insurrezione, e per i quali non vi era stato alcun riconoscimento di belligeranza21 • È evidente che dietro tale problema si 20

'' Anonimo, The Nyon Arrangements. Piracy by Trealy?, «British Ycarbook of lntemational Law», 19, 1938, pp. 198 sgg. '°Stati Uniti d'America, Gran Bretagna, Giappone, Francia e Italia. ., USA, Distriet Court, S. D., New York, United States v. The Ambrose Light, sentenza del 30 settembre 1885.

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cela la questione della soggettività degli insorti. Delle due l'una: o i sudditi che si ribellano a un'autorità statale devono essere considerati già titolari di soggettività internazionale, e quindi non possono essere assimilati soggetti privati, o, in assenza di soggettività internazionale, devono essere considerati soggetti privati, al pari dei pirati. In questa situazione si inserisce la conclusione, nel 1937, dell'accordo di Nyon nel cui preambolo sono contenuti dapprima un riferimento al trattato di Londra e poi un'indicazione della necessità di individuare misure collettive contro gli attacchi pirateschi compiuti dai sottomarini ai danni di imbarcazioni di Stati neutrali. Questo non equivale a far rivivere la disposizione sulla giurisdizione universale dell'accordo di Washington del 1922 l'aggettivo «piratesco» riferito alla guerra operata dai sottomarini serve semplicemente a indicare il forte disvalore della stessa. O, se vogliamo applicare un altro paradigma normativo, la guerra sottomarina viene assimilata (e non già equiparata) ad atti di pirateria perché non si riconosce la belligeranza degli insorti nella guerra civile spagnola 3. È importante soffermarsi sul paradigma utilizzato perché spesso si fa grande confusione. La pirateria di diritto internazionale, quella sulla quale si concentra questo scritto, avviene in spazi sottratti alla giurisdizione di uno Stato, quindi in alto mare, e non investe la responsabilità interstatale. Non si tratta quindi di applicare le categorie dei conflitti armati bensì quelle del law enforcement. I pirati non sono dei combattenti ma dei criminali2-4. Con i trattati di Washington prima e di Nyon poi si intendeva sottrarre rispettivamente ai combattenti dei sottomarini tedeschi e ai nazionalisti spagnoli e ai loro alleati lo status 22

;

2

u Nello stesso senso Walter Rcch, Rightless Enemies: Schmiu ami lauterpacht on Politica/ Piracy, «Oxfordjoumal of Legai Studics», 32, 2, 2012, pp. 235 sgg. 1 ) Raoul Genet, La qualijication de «pirates» et le di/emme de la guerre civile, «Revue internationale du droit dcs gens», 1937, pp. 12 sgg.; per la traduzione in inglese, cfr. Id., The Charge of Piracy in the Spanish Ciflil War, «American Joumal of lntemational Law-, 32, 2, 1938, pp. 53 sgg. 1f

Nonostante il titolo provocatorio, è quanto sostiene Guilfoyle nel suo articolo

The Laws of War and the Fight against Somali Piracy: Combatants or Criminals? cit., pp. 141 sgg.

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2

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di combattenti. L'assimilazione, la cosiddetta «Piracy analogy», opera a questo scopo. Il risultato prodotto da questa operazione politica è tuttavia diverso. Per differenziare i veri pirati dai pirati «per analogia», si tende a ritenere che i primi non possano avere scopi politici (dr.§ 3). Del resto la guerra di corsa era stata abolita solo nel 18 56 mediante il trattato di Parigi, non ratificato da Stati Uniti, Spagna e Messico. Era ancora ben presente nella memoria quindi l'atto politico compiuto dal corsaro su autorizzazione di uno Stato. Ma, una volta abolita la guerra di corsa, doveva essere chiaro che le categorie del combattente e del pirata non potevano essere confuse. Tra i commenti critici al trattato di Nyon si deve includere quello di Cari Schmitt, che all'indomani del trattato scrive il polemicissimo Der Begriff der Piraterie25• Tradizionalmente il pirata non compiva azioni politiche (a differenza del partigiano) e la repressione degli atti pirateschi doveva quindi essere affidata alla giustizia degli Stati, che potevano esercitare l'azione penale pur non avendo la medesima nazionalità del pirata. Con Nyon invece si sarebbe compiuto quel passaggio che non era riuscito nell' epoca del pacifismo wilsoniano, cioè discriminare il nemico che avesse fatto uso illegittimo dei sommergibili, trattandolo alla stregua di un pirata26 • C'è chi ha visto in questo tentativo un'anticipazione quasi visionaria della responsabilità penale individualei7. In effetti, traendo le conseguenze dell'assimilazione, si punirebbero individui per atti che fino a quel momento (giustamente) erano considerati come atti dello Stato che li aveva ordinati. Il tentativo di forzare i paradigmi o di passare (indifferentemente) dall'uno all'altro non è una caratteristica appartenente •1 Cari Schmitt, Der Begriff der Piraterie, «Volkcrbund und Volkcrrccht», 4, 6-7, 1937, pp. 351 sgg. Sul contributo di Schmitt a tale dibattito si veda Luca Scuccimarra,

Schmitt, la pirateria e l'ordine internazionale. Sulla costruzione di un topos, in questo volume, pp. 143 sgg. "Filippo Ruschi, Communis hostis omnium. La pirateria in Cari Schmitt, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», XXXVIII, 2009, pp. 1216 sgg. "Hcrsch Lautcrpacht, lnsurrection at piraterie, «Rcvuc dc droit intcrnational public», 46, 1939, pp. 513 sgg. Vede una continuità nei lavori di Lauterpacht sulla pirateria e quelli sulla costruzione del crimine contro l'umanità, Marni A. Koskcnnicmi, H ersch lauterpacht and the Development of lntemational Criminal Law, «Journal of lntcrnational Criminal Justicc», 2, 3, 2004, pp. 810 sgg.

MARIA CHIARA VITUCCI

solo al passato. Anche nella lotta contro il terrorismo si è assistito all'operazione retorica di utilizzare il paradigma della guerra al terrore, invece di trattare i terroristi come meri criminali, seppur transnazionali28 • In particolare si è applicata ai terroristi la categoria dell' unlawful enemy combatant. Il terrorista sarebbe quindi un individuo che - essendo un combattente - può essere oggetto di violenza bellica, ma che- in quanto combattente illegittimo - non sarebbe destinatario delle norme che il diritto umanitario pone a vantaggio dei civili e dei combattenti che non partecipano più alle ostilità'-9 • Se può essere vero che il terrorismo oggi - come già la guerra sottomarina all'inizio del secolo scorso - sembra rompere gli schemi del diritto internazionale contemporaneo 30, occorre prestare grande attenzione a restare nel paradigma che più correttamente inquadra la vicenda. Per quanto riguarda il terrorismo marittimo, peraltro, la sua confusione con la pirateria è favorita da alcuni dati della prassi internazionale recente}'. La definizione di pirateria ai sensi del diritto internazionale che è stata data in apertura di questo scritto è indubbiamente restrittiva e richiede una serie precisa di requisiti quanto al luogo dove gli atti si verificano, al loro intento e al numero di imbarcazioni coinvolte. Proprio per ovviare alla ristrettezza della definizione, nel 1988 sull'onda emotiva dell'episodio dell'Achille Lauro, gli Stati hanno concluso la Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima (SUA). Ai sensi di questa Convenzione è possibile che alcuni atti, che tradizionalmente sarebbero ricaduti nella definizione della pirateria, integrino anche gli •• Cfr. Pietro Gargiulo e Maria Chiara Vitucci (a cura di), La tutela dei diritti umani nella lotta e nella guerra al terrorismo, Editoriale scientifica, Napoli 2009. ~ Per un'analisi critica delle questioni di diritto internazionale sollevate dallo spostamento di paradigma volto a privare di qualsiasi tipo di protezione internazionale i combattenti illegittimi, cfr. Marco Sassoli, Terrorism and War, «Journal of lntcrnational CriminalJusticc», 4, 5, 2006, pp. 959 sgg.;Jclcna Pcjic, Terrorist Acts and Groups: a Role for lntemational Law, «British Ycarbookof lntcrnational Law», 75, 1,2004, pp. 71 sgg. )O Antonio Casscsc, Terrorism is Also Disrupting Some Crucial Legai Categories of lnternational Law, «Europcan Journal of lntcrnarional Law-, 12, 5, 2001, pp. 993 sgg. J' Gian Maria Farnclli, Sono i pirati dei terroristi? Tenàenze nella prassi recente nel Golfo ài Aden e nell'Oceano indiano, «La Comunità internazionale», 68, 2, 2013, pp. 339sgg.

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estremi degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittimaJ Ciononostante c'è chi non vede l'utilità di fondere o anche solo avvicinare troppo le due nozioniJJ. Del resto, già a proposito del terrorismo di matrice anarchica degli anni venti del secolo scorso, Pella aveva affermato che sarebbe stato meglio concludere una convenzione specifica che si occupasse della repressione di quel crimine, piuttosto che forzare la definizione di pirateriaH. A differenza della definizione della pirateria, quella del terrorismo rappresenta una chimera che il diritto internazionale insegue senza successo sin dal lontano 1937, quando, all'interno del Patto della Società della Nazioni, si tentò di concludere una Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di terrorismo. Solo con grande approssimazione può dirsi che la fattispecie è integrata quando vi sia un atto di distruzione compiuto con lo specifico intento - detto terroristico - di intimidire la popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale e compiere o astenersi da una determinata azioneH. Sembrerebbe quindi che a differenziare atti pirateschi da atti di terrorismo marittimo sia soprattutto l'intento con cui tali atti vengono compiuti. Secondo l'interpretazione avanzata da un autore, la prassi indicherebbe una riduzione della distanza tra pirati e terroristiJ6• 2•

i• Il testo della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1846 (2008) accomuna per taluni aspetti i due reati. Ma li accomuna proprio nel presupposto della loro differenza. Sul punto dr. Helmut Tucrk, The Resurgence of Pirac-y: A Phenomenon of Modem Times, «Univcrsity of Miami lntcrnational and Comparative Law Rcvicw,., 17, 1, 2009, PP· i6 sgg., P· 31· 11 Douglas Guilfoylc, Pirac-y and Terrorism, in Panos Koutrakos, Achillcs Skordas (cds), The Law and Practice of Piracy at Sea. European and lnternational Perspectwes, Bloomsbury, Oxford-Portland 2014, pp. 33 sgg., p. 46 e p. 52. u Vcspasian V. Pella, La repression de la piraterie, «Rccucil dcs cours dc l' Académic dc La Hayc,., voi. 15, 1926-V, pp. 145 sgg., pp. 218-219. 11 Tale dizione è ripresa dall'art. 1 della Draft Comprehensive Com,ention on lntemational Terrorism, proposta da un comitato ad hoc creato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che però non è stato in grado di produrre un testo sufficientemente condiviso. La stessa nozione è stata fatta propria dalla Convenzione internazionale per la repressione del finan7iamento del terrorismo, adottata a New York il 9 novembre 1999 e ratificata da un numero assai consistente di Stati ( 189 alla data del 23 ottobre 202z; cfr. art. z, par. 1, lettera b). i• Farnclli, Sono i pirati dei terroristi? cit., pp. 347-348. Poi, più diffusamente, Gian Maria Farnclli, Contrasto e repressione della 'Oiolenxa mariuima nel diritto internazionale contemporaneo, Editoriale scientifica, Napoli 2015, pp. 313 sgg. e p. 354 sgg.

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In almeno due occasioni, gli atti di pirati somali contro imbarcazioni delle Seychelles nell'Oceano indiano sarebbero stati considerati al tempo stesso integranti sia la fattispecie di pirateria sia quella di terrorismo. In un caso, infatti, anche se la Corte avrebbe concluso per motivi fattuali che si trattasse solo di atti di pirateria, non avrebbe compiuto nessuna indagine sul dolo specifico delle due fattispecie; nel secondo caso, invece, si sarebbe operata una definizione di pirata molto simile a quella usata per gli atti di terrorismo}1. La ricostruzione tuttavia non convince. L'unico elemento in comune tra pirata e terrorista consiste nella circostanza che si tratta di soggetti privati. Solo per gli atti dei primi, tuttavia, è stato predisposto un meccanismo di repressione fondato sulla facoltà (e non l'obbligo) di tutti gli Stati di catturare e processare gli autori dei reat~ in deroga al criterio ordinario della giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera. 4. La caratteristica peculiare della pirateria consiste dunque nella circostanza che per la sua repressione si può far ricorso al criterio di giurisdizione universale. Il presidente della Corte internazionale di giustizia, nella sua opinione individuale nel caso del Mandato di arresto, ricorda che nel diritto internazionale classico l'unica ipotesi di competenza universale era prevista per la pirateriv8• Del resto già nel 1927 il giudice Moore, nella sua opinione individuale al caso Lotus, aveva messo in guardia contro eccessive estensioni della sfera di applicazione della pirateria},. Occorre chiarire che le conseguenze della pirateria si esplicano tutte nell'ambito dei rapporti interstatali e consistono nell'autorizzazione a esercitare la giurisdizione sui pirati in as-

17 Seychelles, Supreme Court, The Republic of Seychelles 'V. Mohamed Ahmed Dahir etal, sentenza del 26 luglio 2010, par. 43; Seychelles, Supreme Court, The Republic of Seychelles 'V. Abdukar Ahmed et al., sentenza del 14 luglio 2011, par. 21.

1• Arrcst Warrant of 11 Aprii 2000 (Dcmocratic Rcpublic of tbc Congo v. Belgium), Judgmcnt, I.C.J. Rcports 2002, p. 3, Separate Opinion of Prcsidcnt Guillaumc, p. 38. 1, Cfr. Beatrice I. Bonafé, La pirateria come categoria d'eccezione nel diriuo internazionale, in Massimo Mcccarclli, Paolo Palchetti, Carlo Sotis (a cura di), Le regole

dell'eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla qHestione del terrorismo, EUM, Macerata 2011, pp. 205 sgg., p.

230.

LA PIRATERIA COME MODELLO NORMATIVO

2 39

senza di un criterio di collegamento di tipo personale (nazionalità della bandiera) o spaziale (si è visto che i fatti di pirateria avvengono in alto mare). Ciononostante la punizione degli atti di pirateria è affidata alle giurisdizioni stata&o. La precisazione appare necessaria perché altre più recenti ipotesi di possibilità di reprimere gravi violazioni degli usi e costumi della guerra o crimini contro l'umanità con il meccanismo della giurisdizione universale o quasi universale affidano la repressione anche a organi internazionali. Nessun tribunale internazionale si è invece mai occupato di repressione della pirateria. È vero che nella risoluzione r918 (2oro) il Consiglio di sicurezza aveva chiesto al Segretario Generale delle Nazioni Unite di redigere un rapporto nel quale si esploravano le varie opzioni atte a assicurare alla giustizia i pirati che infestano le acque al largo della Somalia e che nella richiesta, tra le varie opzioni, veniva menzionato un tribunale internazionale. Tuttavia, l'inviato speciale del Segretario per la repressione della pirateria al largo delle coste somale, Jack Lang, nel proporre l'istituzione di sezioni specializzate in anti pirateria (specialized anti-piracy court), ha specificato che, lungi dal trattarsi di un organo internazionale, il termine deve essere inteso come riferentesi a un tribunale che opera secondo la legge statale, che gode di assistenza internazionale e che è specializzato nella persecuzione del reato di pirateria••. In un altro contributo di questo volume dedicato alla pirateria di diritto internazionale, ci si sofferma sul concetto di giurisdizione universale, analizzandolo alla luce della prassi più recente-42. Secondo tale ricostruzione, alcuni elementi della prassi interna sembrano mostrare talune esitazioni sull'esistenza della giurisdizione universale, a iniziare dal silenzio degli strumenti normativi

.. Rolando Quadri, Diritto inlemazionale pubblico, Liguori, Napoli 19'>8, pp. 4o8 sgg. ◄' Cfr. i seguenti documenti: Report of the Special Adviscr to the Sccretary-General on Legai Issucs Related to Piracy off thc Coast of Somalia, UN Doc. S'201 i/30 del 2 5 gennaio 2011; Rcport of thc Sccrctary-Gcncral on thc modalitics for thc cstablishmcnt of spccializcd Somali anti-piracy courts, UN Doc. S'2011/36o del 15 giugno 2011; Rcport of thc Sccrctary-Gcncral on spccializcd anti-piracy courts in Somalia and othcr Statcs in the rcgion, UN Doc. S'2012/ 50 del 20 gennaio 2012. ◄' Cfr. Bonafé, li pirata secondo il diritto internazionale contemporaneo cit., pp. 2 50

sgg.

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CHIARA vrruccI

adottati per prevenire e reprimere la pirateria, per proseguire con l'analogo silenzio di parte della giurisprudenza interna. A ben vedere, però, le conclusioni cui perviene l'autrice vanno nel senso di una affermazione del carattere consuetudinario del meccanismo di giurisdizione universale, con l'aggiunta che si tratta di un'acquisizione recente piuttosto che di una regola risalente. Infatti i più recenti codici di condotta-o, pur non possedendo carattere vincolante, indicano in maniera chiara che la cooperazione tra Stati si deve fondare sulla giurisdizione universale; del resto la reticenza di talune corti statali deriva probabilmente dalla preferenza dei giudici a fondare le proprie decisioni sulle disposizioni di diritto interno piuttosto che sulle pertinenti norme di diritto internazionale. Occorre inoltre considerare che le norme internazionali sulla pirateria non sono norme self-executing e hanno quindi bisogno di essere recepite e chiarite all'interno dei singoli ordinamenti statali. Anche questo contribuisce a spiegare il riferimento a norme interne rispetto a norme internazionali'". Per lungo tempo la pirateria è stato l'unico delictum iuris gentium per la cui repressione era stabilita in via consuetudinaria la possibilità di esercitare la giurisdizione universale da parte dei tribunali statali. Il percorso di affermazione di un analogo criterio giurisdizionale per crimini sicuramente più gravi, quali i crimini contro l'umanità, è stato invece ben più accidentat04s. La giustificazione della facoltà di far ricorso al criterio di giurisdizione universale non può quindi fondarsi sulla gravità del crimine46, nonostante questa sia una delle spiegazioni più ricorrenti in dottrina, fondata sulla definizione ciceroniana del pirata 41 Cfr. il codice di Gibuti, adottato dall'Organizzazione internazionale marittima (IMO) nel 2009 per la repressione della pirateria nell'Oceano indiano occidentale e nel Golfo di Aden e il codice di Yaoundé, adottato nel 2013 per la repressione della pirateria ncll' Africa occidentale e centrale. 44 Si veda, ad esempio, la decisione della Cassazione italiana nel caso Montecristo: Corte di cassazione, Seconda sezione penale, sentenza n. 26825 del 4 febbraio 2013 . ., Cfr. la ricostruzione di Flavia Lattanzi, Garanzie dei diritti dell'uomo nel diritto intemazwnale generale, Giuffrè, Milano 1983, pp. 351 sgg. 4' Tra i primi autori a criticare il collegamento fra universalità della giurisdizione e gravità del crimine di pirateria, Eugcnc Kontorovich, The Piracy Analogy: Modem Unwersaljurisdiction's Hollow Founàation, «Harvard lntcmational Law Joumal», 45, 1, 2004, pp. 18 3 sgg.

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come nemico dell'umanità•7• Una semplice conferma del fatto che la giurisdizione universale non dipenda dalla gravità dell'atto può desumersi dalla circostanza che fino al 1856 - anno in cui la guerra da corsa venne vietata - gli stessi atti violenti contro beni o persone commessi in mare non già da pirati ma da corsari, cioè individui in possesso di una lettera di corsa, che divengono quindi una sorta di organi statali, non erano soggetti al medesimo criterio giurisdizionale. A chi scrive non appare convincente neanche la tesi di chi fonda il criterio di giurisdizione universale sull'interesse giuridico protetto dalla norma che punisce la pirateria, la tesi cioè che si tratti di un interesse collettivo, della comunità internazionale nel suo complesso. Sembra piuttosto che l'interesse alla repressione della pirateria sia dei singoli Stati che - a causa delle azioni dei pirati - subiscono perdite economiche significative o che, per evitare di imbattersi nei pirati, percorrono rotte più lunghe, con conseguente maggior dispendio di carburante, o ancora che devono proteggere l'imbarcazione, prevedendo al suo interno una cittadella «blindata», o assumendo delle guardie private. Tutti questi costi, sulla cui stima economica non vi è uniformità di vedute ma che sono indubbiamente significativi, sono evidenziati dal generale rincaro dei premi delle polizze di assicurazione che si occupano di navigazione marittima. Riguardo alle polizze, occorre specificare che mentre la pirateria è un tipico rischio coperto dalle polizze marittime, la legislazione italiana vieta ai cittadini italiani di stipulare anche all'estero contratti di assicurazione aventi a oggetto la copertura del rischio derivante dal sequestro di persona•8• Ciò che in Italia, per motivi stretta-

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Cfr. il titolo del libro di Daniel Heller-Roazcn, The Enemy of Al/. Piracy and the

Law ofNations, Zone Books, New York 2009; trad. it. Il nemico di tHUi. Il pirata contro le nazùmi, Quodlibet, Macerata 2010. Tale attributo è stato riferito anche al torturatore:

«the torturer has become, like the pirate and the slave trader before him, hostis humani generis, an enemy of ali mankind»; USA, Court of Appcals for the Sccond District, Filartiga -v. Pena-Ira/a, sentenza del 30 giugno 1980• .. Cfr. l'art. 2 della legge 15 marzo 1991, n. 82 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, recante nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia).

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mente legati alla situazione interna della fine degli anni '80, è vietato è invece consentito agli assicuratori stranieri. Secondo i dati riportati in un articolo dell' Economist, nel 2010 il fatturato delle compagnie di assicurazione che prevedono il tipo di polizza kidnap and ransom (K&R) avrebbe generato un fatturato di 200 milioni di dollari di premi annuali solo con riguardo alla pirateria somala4?. Dicevamo quindi che- a causa dell'impatto economico causato dalle azioni dei pirati - è interesse dei singoli Stati provvedere alla repressione della pirateria. Le norme di diritto internazionale sulla sovranità sono sorte proprio per difendere gli interessi dello Stato sul territorio. La pirateria, tuttavia, si differenzia dagli altri reati che minacciano gli interessi statali a causa del luogo in cui viene commesso il crimine definito dal diritto internazionale. Si tratta, infatti, di un luogo che per definizione non è sottoposto alla giurisdizione di nessuno Stato. Le normali regole di competenza legate alla sovranità non sono quindi sufficienti ad assicurare la repressione del crimine. Da ciò deriva la possibilità attribuita a tutti gli Stati di perseguire e punire il pirata in modo da evitare che questi rimanga impunito. Anche se il principio della competenza universale non assicura l'efficace repressione della pirateria in tutte le circostanze, sicuramente la favorisce, permettendo allo Stato i cui interessi siano stati danneggiati dagli atti pirateschi di procedere alla punizione del colpevole, in deroga al principio di giurisdizione dello Stato di bandiera.

5. Da questo breve scritto, che si è limitato a definire il modello normativo della pirateria, senza alcuna pretesa di descrivere in modo esaustivo la nozione di pirateria internazionale e le modalità della sua repressione, possono nondimeno essere tratte alcune conclusioni. Innanzi tutto si è visto che il concetto di pirateria è stato oggetto di interpretazioni eccessivamente estensive, volte a far-

41 http://www.cconomist.com/blogs/schumpctcr/2013/o6/kidnap-and-ransom-insurancc.

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vi rientrare altri reati che con la pirateria ben poco hanno in comune. La causa dei tentativi di ampliamento della nozione e di ricorso all'analogia risiede nella possibilità di far ricorso al criterio di giurisdizione universale, peculiarità della pirateria. A nostro modo di vedere questa è la chiave che spiega la maggior parte delle assimilazioni con la pirateria fatte nel corso della storia. Si è voluto quindi fare chiarezza sulle motivazioni che hanno portato alla previsione di questo criterio di competenza, motivazioni che non sono legate alla gravità del crimine ma al luogo in cui esso avviene, in un luogo cioè sottratto alla giurisdizione degli Stati. Questa caratteristica mette in luce un aspetto fondamentale del diritto internazionale classico, ma anche di quello contemporaneo: la continua necessità di fare riferimento agli Stati10, attori principali di tale branca del diritto. La sovranità dello Stato sugli spazi sottoposti alla sua giurisdizione costituisce, infatti, il pendant delle norme sulla pirateria. Solo ove ci si trovi all'esterno di questi spazi, tutti gli Stati potranno esercitare un'azione coercitiva contro i pirati, in deroga al principio di nazionalità. Le norme sulla pirateria si rivolgono agli Stati e permettono a tutti gli Stati, eccezionalmente, di catturare e punire il responsabile del reato che è e resta un individuo privato. Qualora la cattura si riveli ingiustificata, la potenza marittima che la ha compiuta dovrà risarcire lo Stato di bandiera del presunto pirata. La delimitazione abbastanza restrittiva della nozione di pirateria iuris gentium ha portato la dottrina e la prassi a contrapporle la cosiddetta pirateria per analogia1•. In particolare si è analizzato il caso del Trattato di Nyon, con il quale si è considerato nave pirata il sottomarino che durante la guerra civile spagnola portava attacchi a navi mercantili non appartenenti alle parti in lotta. Le critiche a tale abuso del concetto sono state

,. Picrrc-Maric Dupuy, Cristina Hoss, La chasse aux pirates par la communauté intemationale. Le cas de la Somalie, in l'Afrique et le droit intemational: f!ariations sur l'Organisation intemationaL Mélanges en l'honneur de Raymond Ranjwa, Pedone, Paris 2013, pp. 135 sgg., p. 146. '' Mario Giuliano, Tullio Scovazzi, Tullio Trcvcs, Dirilto internazionale, voi. Il, Gli aspetti giurùlici della coesistenza degli Stati, Giuffré, Milano 198 3, p. 294.

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numerose. La maggioranza della Commissione di diritto internazionale ha ritenuto che non si dovesse superare il limite ai sensi del quale solo navi private e non già navi da guerra quali i sottomarini potessero compiere atti di piraterias Nelle varie dilatazioni del concetto si è accostato il pirata al terrorista. Anche in questo caso si tratta di individui privati ma le analogie, nonostante da più parti si tenda ad assimilare le figure, terminano qui. La Convenzione del 1988 per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima conferma che non possono essere applicate ai terroristi le norme sulla giurisdizione universale relative alla pirateria: in tale ambito il principio della giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera non ha subito alcuna deroga. Molto interessante appare anche il rapporto di assimilazione/distinzione, che - sin dall'epoca moderna - è stato istituito tra pirati e corsari. Si è visto che gli atti compiuti sono gli stessi, ma, a differenza dei pirati, i corsari hanno un'autorizzazione governativa. In realtà il concetto di corsaro appartiene al diritto dei conflitti armati e più precisamente al diritto della guerra marittima. Il corsaro non solo riceve la sua lettera di corsa da un governo (riconosciuto), ma si deve conformare alle norme consuetudinarie della guerra marittiman. In cambio può esercitare forme di saccheggio che sarebbero altrimenti vietate a un attore privato. In altre parole, si tratta di una forma di privatizzazione della guerra o guerra compiuta tramite agenti privati (che divengono però organi dello Stato), principio in contrasto con quello per cui nel diritto internazionale contemporaneo il monopolio della forza armata spetta allo Stato. Anche per questo dopo la guerra di Crimea, con la Dichiarazione di Parigi del 1956, le maggiori potenze dell'epoca si accordarono per porre fine a questa pratica. La dichiarazione di Parigi vincola tuttavia 2•

•• Si tratta del commento di quello che sarebbe diventato l'art. 15 della Convcn7.Ìonc sull'alto mare che corrisponde all'art. 101 della Convenzione di Montcgo Bay. Cfr. Rcport of thc lntcmational Law Commission on thc Work of its Eighth Scssion, 23-4 July 1956, Officiai Rccords of thc Generai Asscmbly, Elcvcnth Scssion, Supplcmcnt n. 9 (A/3159), p. 282. n David J. Bcdcrman, Prwateering, in Max Planck Encyclopedia of Public lntemational law, 2008 (on-linc cdition}.

LA PIRATERIA COME MODELLO NORMATIVO

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solo gli Stati firmatari, tra cui non figurano né gli Stati Uniti d'America né la Spagna, né diverse potenze dell'America centrale e meridionale. Ancora oggi la Costituzione degli Stati Uniti d'America attribuisce al Presidente il potere di «declare War, grant Letters of Marque and Reprisal, and make Rules concerning Captures on Land and Water»H. E non deve stupire sia stato ventilato l'uso di lettere di corsa nella lotta al terrorismou. In ogni caso, al giorno di oggi appaiono sempre più frequenti forme di privatizzazione dell'esercizio statale dell'uso della forza, quando non della stessa guerra, attraverso l'uso di milizie private (private contractors). L'approfondimento di questa questione meriterebbe un contributo specifico. In questa sede basti richiamare il problema dell'attribuzione allo Stato degli atti dei private contractorss6• Come si è già evidenziato, è infatti necessario che il comportamento di questi individui sia attribuibile a uno Stato. Piace concludere questo studio, dedicato alle torsioni nella definizione di pirata, ricordando l'annosa vicenda dei due Marò italiani che, almeno inizialmente, pare fossero stati accusati di pirateria. Agenti statali impiegati su una nave privata in compiti di difesa dalla pirateria, accusati di essere pirati essi stessi. La controversia che ne è derivata è, comunque, una controversia tra Stati.

14 Cfr. art. 1, sezione 8 della Costituzione statunitense, disponibile online (www. archivcs.gov/cxhibits/chartcrs/constitution_transcript.html), corsivo aggiunto. " Ì!. stato presentato in Congresso un disegno di legge (September 11 Marque ami Reprisal Act of 2001) volto ad autori7.7.arc il Presidente a concedere lettere di corsa da utilizzare contro Osama bin Ladcn. Il Congresso, tuttavia, non lo ha approvato. 16 Marina Spincdi, La responsabilità dello Stato per comportamenti di private contractors, in Marina Spincdi, Alessandra Gianclli, Maria Luisa Alaimo (a cura di), La codificazione della responsabilità internazionale degli Stati alla prO'Ua dei fatti, Giuffrè, Milano 2oo6, pp. 67 sgg.

Il pirata secondo il diritto internazionale contemporaneo: definizione e garanzie processuali Beatrice I. Bonafè

I.Premessa

All'inizio del ventunesimo secolo un fenomeno che sembrava ormai appartenere al passato come la pirateria ha attirato nuovamente l'attenzione della comunità internazionale. Da un lato, al fine di prevenire e reprimere simili fenomeni si sono moltiplicate le attività delle principali organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite', sono state create apposite forme di cooperazione internazionale e sono stati adottati specifici strumenti normativiJ. Dall'altro, gli Stati si sono individualmente mobilitati per contribuire a questi sforzi multilaterali volti alla sorveglianza dei mari nonché alla cattura e alla condanna dei responsabili di atti di pirateria. Questo consistente coinvolgimento degli attori internazionali si spiega principalmente con la recrudescenza degli ani di pirateria al largo delle coste somale tra il 2008 e il 2012, il cui 2

' Numerose risoluzioni sono state adottate dal Consiglio di sicurc7.za (infra nota 32) e dall'Organizzazione internazionale marittima (IMO) tra le quali va segnalata la risoluzione A-1002(25) del 2007. Ma anche organi7.7.azioni regionali, quali l'Unione europea o la NATO, sono state coinvolte nelle iniziative di cooperazione intcrna7.ionalc di lotta alla pirateria. ' In particolare, operazioni per la lotta alla pirateria al largo delle coste somale sono state create non solo in seno a organizza7.ioni internazionali come la NATO (per l'operazione Ocean Shield si veda www.nato.int/cps/en/nato1ive/topics_48815.htm) e l'Unione europea (per l'operazione Atalanta si veda eunavfor.cu/) ma anche attraverso forme di cooperazione multilaterale, come nel caso della Combined Task Force 1 J 1 {al riguardo si veda http://combinedmaritimeforccs.com/ctf-r 51-counter-piracy/}. l Si veda infra S2.

BEATRICE I. BONAFÈ

contrasto era particolarmente difficoltoso a causa della complessa situazione politica in cui versava e versa tuttora il paese. Secondo i dati statistici raccolti dall'Organizzazione internazionale marittima (IMO), dal 1984 in media si sono registrati annualmente circa 2 30 attacchi pirateschi, mentre la pirateria in Somalia ha determinato un aumento considerevole di tale fenomeno con un picco nel 201 r, anno nel quale i'IMO ha segnalato ben 544 attacchi4• Le vittime della pirateria al largo delle coste somale sono state private dei loro averi e delle loro imbarcazioni, sono state catturate e prese in ostaggio, sono persino state torturate e uccise, mentre i pirati sono spesso riusciti, almeno inizialmente, a trovare rifugio in acque territoriali di Stati diversi dalla Somalia e riscuotere riscatti multimilionari. Se la reazione della comunità internazionale e gli strumenti di prevenzione e repressione messi in campo hanno permesso una drastica riduzione del fenomeno della pirateria somala, numerose sono ancora le zone in cui simili violazioni avvengono in maniera persistente - si pensi alla pirateria nel mare cinese meridionale - così come quelle in cui esse sono in aumento - si pensi agli atti di pirateria sempre più frequenti nelle acque del golfo di Guinea. Uno dei principali problemi che si oppongono a una effettiva repressione del fenomeno è l'adeguatezza del quadro normativo. Questa preoccupazione emerge ad esempio dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza: se in un primo tempo si sono concentrate sulla mobilitazione degli Stati e delle organizzazioni internazionali nella lotta contro la pirateria al largo delle coste somale, ben presto esse hanno posto l'accento sulla necessità che gli Stati dispongano di un quadro normativo adeguato a tal fine. Occorre inoltre, per non nullificare il loro effetto deterrente e repressivo, che le norme internazionali siano applicate in maniera uniforme. Numerose sono, da un lato, le norme internazionali che possono essere applicate ad azioni violente in mare,.. Dall'altro, queste norme vengono applicate da giudici • I rapporti annuali ddl'IMO sono disponibili all'indirizzo: www.imo.orsfm/OurWork/ Sc:curity/PiracyAnncdRobbcry/Rcports/Pagc:s/Ddault.aspx. 1 Si veda infra § 4.

IL PIRATA SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE

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interni diversi, il cui ordinamento di riferimento può aver fatto proprie alcune norme internazionali e non altre, così come può aver modificato o integrato il loro contenuto e può persino contenere disposizioni puramente interne applicabili alle medesime fattispecie. La novità principale della cooperazione internazionale mobilitata per lottare contro la pirateria somala èstata il coinvolgimento di diversi paesi nella repressione di tali atti e, di conseguenza, lo sviluppo di un'ampia giurisprudenza nazionale in materia. Giudici di diversi paesi si sono pronunciati su atti di pirateria del tutto analoghi mettendo alla prova le norme internazionali e nazionali esistenti. Questa giurisprudenza ha evidenziato non solo alcune incertezze e limiti che ancora caratterizzano le norme internazionali applicabili ma anche la convergenza su alcuni elementi essenziali della definizione e del regime internazionale della pirateria. Nel passato, infatti, i giudici nazionali si erano occupati solo raramente della questione e, senza poter contare su una definizione generalmente accolta di pirateria, essi avevano solitamente applicato il proprio diritto interno. Sulla base di questa prassi episodica, ancora alla fine del secolo scorso la dottrina aveva potuto mettere in dubbio l'esistenza di un regime generale di diritto internazionale in materia di pirateria6• Oggetto della presente indagine sono pertanto le numerose pronunce adottate da una pluralità di giudici nazionali davanti ai quali sono stati tradotti i presunti autori di atti di pirateria commessi al largo delle coste somale. Conviene precisare che le varie decisioni riguardano atti di pirateria commessi secondo modalità operative analoghe7 e che tale giurisprudenza appare pertanto particolarmente adatta a mettere in luce i punti di convergenza e le differenze tra vari paesi nell'applicazione delle medesime norme internazionali in tema di pirateria. L'analisi che segue prenderà in considerazione gli aspetti principali che caratterizzano il regime internazionale in materia di pirateria. • Per tutti si veda Alfrcd P. Rubin, The Law of Piracy, Naval War College Prcss, Ncwpon R.I. 1988. 7 Tali modalità sono efficacemente descritte nella sentenza relativa al caso Montecristo, infra nota 21.

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250 2.

La giurisdizione universale sui pirati

La giurisdizione universale costituisce la caratteristica fondamentale e il contenuto essenziale del regime internazionale sulla pirateria. Le norme in materia hanno come scopo principale quello di evitare l'impunità di coloro i quali commettono atti di pirateria in luoghi nei quali per definizione nessuno Stato esercita la propria giurisdizione esclusiva. A tal fine, il diritto internazionale estende a qualsiasi Stato la facoltà di esercitare la propria capacità repressiva nei confronti delle persone che si rendano responsabili di pirateria. La possibilità di abbordare, catturare e sequestrare navi pirata così come quella di catturare e processare i pirati non sono che corollari della più generale previsione sulla giurisdizione universale. Una giurisdizione universale che, merita ricordarlo, può essere esercitata indipendentemente da qualsiasi collegamento con i pirati e che viene affermata in deroga alla regola generale secondo la quale la giurisdizione sulle navi è esercitata dallo Stato di bandiera. Il regime internazionale realizza pertanto un bilanciamento tra la competenza esclusiva dello Stato di bandiera, che subisce una limitazione solo in relazione a specifici atti, e l'interesse pubblico della comunità internazionale alla libertà e sicurezza della navigazione, che giustifica l'estensione della giurisdizione interna oltre i consueti confini. In dottrina, la giurisdizione universale per atti di pirateria costituisce un punto fermo del regime consuetudinario in materia. Si può discutere sulla natura della norma che la prevede, ma vi è un generale consenso sul suo contenuto ed essa viene spesso citata come la norma che avrebbe ispirato in tempi più recenti l'affermarsi di una giurisdizione universale nei confronti dei crimini internazionali8•

• Sulla precisa qualificazione della norma sulla giurisdizione universale nei confronti dei pirati e sulla distinzione che va in ogni caso mantenuta tra la pirateria e i crimini internazionali, si veda Beatrice I. Bonafc', La pirateria come categoria d'eccezione nel diritto intemazùmale, in Massimo Mcccarclli, Paolo Palchetti, Carlo Sotis (a cura di),

Le regole dell'eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, EUM, Macerata 2011, pp. 205-230.

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Può allora stupire che la prassi recente mostri alcune significative esitazioni sull'esistenza della giurisdizione universale per atti di pirateria. Non mancano infatti casi nei quali essa è stata negata oppure notevolmente circoscritta. A tal fine può essere utile soffermarsi prima sugli strumenti normativi adottati per prevenire e reprimere la pirateria ed esaminare in seguito la giurisprudenza interna degli Stati che hanno effettivamente esercitato la propria potestà punitiva nei confronti dei responsabili di atti di pirateria al largo delle coste somale. Gli strumenti recentemente adottati mirano principalmente all'istituzione di meccanismi regionali di cooperazione nella lotta contro la pirateria. Uno solo tra di essi ha carattere vincolante: l'accordo del 2006 di cooperazione regionale sulla lotta alla pirateria concluso tra diversi paesi dell' Asia9 (ReCAAP). Non hanno invece carattere vincolante né il codice di condotta promosso dall'IMO nel 2009 per la repressione della pirateria nell'oceano indiano occidentale e nel golfo di Aden (il cosiddetto codice di Gibuti) 10, né il codice di condotta adottato nel 2013 ai fini della repressione della pirateria nell'Africa occidentale e centrale (il cosiddetto codice di Yaoundé)". Se i due codici di condotta non vincolanti non solo richiamano espressamente il principio di giurisdizione universale ma istituiscono un meccanismo di cooperazione essenzialmente

• Il Regional Cooperation Agreement on Caombating Piracy and Armed Robbery against Ships in Asia (RcCAAP) è stato concluso nel 2004 cd è entrato in vigore nel 2oo6. Il testo è reperibile all'indirizzo www.rccaap.org!Portals/o/docs/About%20RcCAAP%20ISC/RcCAAP%20Agrccmcnt.pdf. 0 ' Il Code of Conduct concerning the Repressum of Piracy and Armed Robbery against Ships in the Western Indian Ocean and the Gulf ofAden è stato adottato dall'IMO nel 2009. Il testo è reperibile all'indirizzo www.imo.org/cn/OurWork/Sccurity/ PIU/Documcnts/DC0C%20English.pdf. 11 Il Code of Conduct concerning the Represswn of Piracy, Armed Robbery against Ships, and Illicit Maritime Activity in Wf!St and Centrai Africa è stato preparato dalla Comunità economica degli Stati dcli' Africa centrale (ECCAS), dalla Comunità economica degli Stati dcli'Africa occidentale (ECOWAS) e dalla Commissione per il Golfo di Guinea (GGC) sulla base del codice di condotta di Gibuti cd è stato adottato nel 2013 da una conferenza diplomatica che riuniva i capi di Stato e di governo di venticinque Stati dcli' Africa centrale e occidentale. Il testo è reperibile all'indirizzo www.imo. org/cn/OurWork/Sccurity/WcstAfrica/Documcnts/codc_of_conduct%20signcd%20 from%20ECOWAS%2ositc.pdf.

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fondato su di esso, l'unico accordo vincolante in materia tace al riguardo. Sebbene esso miri a instaurare una cooperazione regionale in relazione alla prevenzione e soppressione della pirateria, all'arresto dei pirati, al sequestro delle navi pirata e al salvataggio delle vittime di atti di pirateria 12, il ReCAAP tace sulle modalità di repressione della pirateria e sui titoli di competenza giurisdizionale degli Stati parte. Un'unica disposizione appare rilevante, l'articolo I 2, che incoraggia gli Stati sul cui territorio sono presenti i pirati a estradarli verso gli Stati che siano competenti a esercitare la propria giurisdizione nei loro confronti. La disposizione lascia intendere che alcuni Stati possano non essere competenti a esercitare la propria giurisdizione e che vi siano titoli di competenza prioritari rispetto a quello dello Stato in cui si trovano i pirati, verosimilmente quello di cattura. È vero che da questa disposizione, che fa riferimento sia ad atti di pirateria sia ad atti di rapina a mano armata in mare, non si può dedurre un chiaro accantonamento del principio di giurisdizione universale. Inoltre, gli Stati membri dell'accordo ReCAAP sono tutti, con l'eccezione della Cambogia, parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 che prevede esplicitamente la giurisdizione universale in relazione agli atti di pirateria '3. Se la facoltà - si badi bene, non un obbligo - di ogni Stato di reprimere gli atti di pirateria non sembra pertanto rimessa in questione, colpisce in ogni caso che l'accordo più recente concluso in materia non faccia neppure menzione della norma che caratterizza l'intero regime internazionale della pirateria. L'esame della giurisprudenza interna mostra alcune esitazioni analoghe. Il caso più noto è senz'altro il caso H ashi e altri nel quale la High Court di Mombasa si è dichiarata incompeten-

,. Articolo 3 dell'accordo RcCAAP. ') L'articolo 105 recita: «Nell'alto mare o in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque Stato, ogni Stato può sequestrare una nave o aeromobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati; può arrestare le persone a bordo e requisirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il potere di decidere la pena da infliggere nonché le misure da adottare nei confronti delle navi, aeromobili o beni, nel rispetto dei diritti dei terzi in buona fede».

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te a pronunciarsi su atti di pirateria commessi al di là del mare territoriale del Kenya••. La corte ha fatto esclusivo riferimento al diritto interno ed è giunta a tale conclusione affermando di non poter disporre di alcun titolo di giurisdizione, in particolare quello territoriale, malgrado il fatto che il codice penale del Kenya contenesse una disposizione, l'articolo 69, che criminalizza gli atti di pirateria commessi nel mare territoriale o in alto mare. La sentenza di appello resa a distanza di due anni ha tuttavia annullato questa decisione per riaffermare la competenza del giudice del Kenya•s. La maggioranza dei giudici ha considerato che l'articolo 69 del codice penale del Kenya relativo al reato di pirateria jure gentium (commessa in alto mare) andasse interpretato alla luce delle pertinenti norme di diritto internazionale e in particolare della norma consuetudinaria sulla giurisdizione universale. Il giudice interno doveva pertanto considerarsi competente a procedere penalmente nei confronti degli accusati somali. Alla medesima conclusione erano per la verità già giunti altri giudici del Kenya, sebbene attraverso argomentazioni diverse. Nel caso Hassan e altri, la Corte di Mombasa aveva ritenuto che pur in assenza di precise disposizioni nel codice penale del Kenya la giurisdizione nei confronti dei pirati sussistesse in base alla Convenzione sul diritto del mare debitamente ratificata dal Kenya 6• Nel 20n la decisione resa nel caso Mohamud e altri aveva ritenuto che all'articolo 69 del codice penale del Kenya andasse attribuita una duplice dimensione: «a territorial-waters dimension, regulated by the ordinary operation of locai law, as well as an international dimension, coinciding with the demand of the law of nations, demand that all States should protect the high seas against piracy»•7. In entrambi i casi era pertanto il di1

•• Kenya, High Coun at Mombasa, Hashi and others, ricorso n. 434"2009, sentenza del 9 novembre 2010. ' 1 Kenya, Nairobi Coun of Appeal, Hashi and others, appello n.113'2011, sentenza del 18 ottobre 2012. '' Si veda in particolare Kenya, High Coun at Mombasa, Hassan e altri, ricorsi da n. 198 a n. 207 del 2008, sentenza del 12 maggio 2009. 17 Kenya, High Coun at Mombasa, Mohamud e altri, ricorso n. 72'2011, senten:r.a del 31 maggio 2011.

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ritto internazionale a permettere al Kenya di esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti di atti di pirateria dal carattere extraterritoriale18• Nel casoAhmed e alt:ri., il giudice interno aveva invece ritenuto che: «it is not the matter of the court having universal jurisdiction to try pirates but the domestic law has conferred the jurisdiction to this court» 9. Al contrario, la sentenza resa nel caso Abdiaziz Abdul/ahi e altri si è limitata ad affermare l' esistenza di un principio di giurisdizione universale senza neppure menzionare specifiche disposizioni del diritto internoro. Una conferma del principio di giurisdizione universale si rinviene anche nelle numerose pronunce degli altri giudici dei diversi paesi che hanno esercitato la propria funzione punitiva nei confronti di presunti autori di atti di pirateria al largo delle coste somale. Nonostante questa prassi sempre più diffusa e uniforme, qualche incertezza permane. Un primo esempio è fornito dalla decisione resa dal giudice italiano nel caso M ontecristo In questa sentenza il Tribunale per i minorenni di Roma ha esercitato la propria giurisdizione esclusivamente in base al criterio territoriale, poiché la nave italiana vittima di atti di pirateria è stata considerata alla stregua del territorio italiano. Se il diritto italiano può essere interpretato nel senso di limitare la giurisdizione del giudice interno agli atti di pirateria commessi a danno dello Stato, di cittadini o di beni italiani22, la decisione rimane ambigua sul punto. Da una parte, il tribunale sembra partire dal presupposto che competente all'arresto dei pirati sia esclusiva1

21 •

11 Analogamente, nei casi Parah e ahri, ricorso n. 36o1/z009, sentenza del 1° febbraio 2.010, e Musa e altri, ricorso n. 1184'2009, scntcn;,.a del 6 settembre 2.010, decisi dalla Chicf Magistratc's Court at Mombasa, Kenya, la soluzione riposava su un'interpretazione del diritto interno alla luce del diritto internazionale. '' Kenya, Chicf Magistratc's Court at Mombasa, Ahmed e altri, ricorso n. 3486/2.o8, sentenza del 10 marzo 2.010. '° Kenya, Chicf Magistratc's Court at Mombasa, Abdiaziz Abdul/ahi e altri, ricorso n.2.006/2.011, scntcn;,.a del 24 giugno 2.011. 11 Italia, Tribunale per i minorenni di Roma, Montecristo, sentenza del 2.8 giugno 2.012., reperibile all'indirizzo www.foroitaliano.it/trib-min-roma-16-2.8-giugno-2.012.ii-176-in-tcma-di-piratcria-marinima/. "Articolo 1(i)(a) del decreto-legge n. 61 del 15 giugno 2.009 che modi6ca l'articolo 5(4) della legge n. 12. del 2.009.

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mente lo Stato di nazionalità delle vittime della pirateria J, ma dall'altra ricorda che in base alle recenti evoluzioni in materia vige il principio di giurisdizione universale24. Si può peraltro notare che anche in altri casi una certa preferenza è stata accordata ai giudici dello Stato di nazionalità della nave vittima degli atti di pirateria commessi al largo delle coste somale s. Il secondo esempio concerne la limitazione della portata della norma sulla giurisdizione universale affermata dal giudice di Mauritius nel caso Po/ice c. Abdeoulkader e altri16• Ai sensi dell'articolo 58(2) della Convenzione sul diritto del mare, il regime relativo alla pirateria si applica non solo in alto mare ma anche nella zona economica esclusiva. Senza rimettere in questione la possibilità di esercitare la propria giurisdizione sui pirati catturati in alto mare, la corte ha affermato tuttavia che le norme in materia si applicherebbero solo alla propria zona economica esclusiva e non anche a quella degli altri Stati, precludendo al giudice interno di esercitare la propria giurisdizione su imputati catturati nella zona economica esclusiva di altri Stati, come nel caso di specie1 1. La decisione è peraltro rimasta isolata e la giurisprudenza di altri paesi conferma l'applicazione di quanto previsto dalla Convenzione sul diritto del mare18• Nel complesso la prassi esaminata sembra supportare la natura consuetudinaria della regola sulla giurisdizione universale sebbene questa possa apparire più come un'acquisizione recente che 2

2

•i Nella sentenza si legge: «i pirati sono a conoscenza della circostanza che se vengono presi da equipaggi di navi di nazionalità diversa da quella della nave oggetto del tentativo di sequestro non possono essere arrestati e vengono di fatto rilasciati» (supra nota 21). Poco dopo il tribunale afferma che unica competente a effettuare l'arresto sarebbe stata la nave italiana Andrea Doria. ,. Stranamente il riferimento al principio di giurisdizione universale è contenuto nella parte della sentenza dedicata all'acccnamcnto della possibilità di considerare atti di pirateria alla stregua di attività terroristiche (ibid.). '' Si vedano ad esempio Germania, Ladgcricht Hamburg, Taipan, sentenza del 19 ottobre 2012; Giappone, Tokyo District Coun, Guanabara, sentenza del 12 aprile 2013; Corea del Sud, Busan District High Coun, Samho ](!'l.l)elry, sentenza del 27 maggio 2011. "Mauritius, lntermediate Coun, Po/ice c. Abdeoulkadere altri, ricorso n. 850'2013, sentenza del 6 novembre 2014. •1

Ibid., par. 91--93

e 100.

'"Si veda in particolare Seychelles, Supreme Coun, Dahir e altri, ricorso n. 7'2012, sentenza del 31 luglio 2012, par. 7.

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come una regola caratterizzata da una lunga tradizione di applicazione costante. I paesi che sulla base della giurisdizione universale hanno trattato il maggior numero di casi di pirateria somala sono il Kenya e le Seychelles, ma tra gli Stati che hanno fatto ricorso a tale facoltà offerta dal diritto internazionale si possono annoverare anche la Francia, Mauritius, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti.

3. La definizione consuetudinaria di pirateria

La prassi recente fornisce anche utili indicazioni sulla natura consuetudinaria della definizione di pirateria fornita dalla Convenzione sul diritto del mare. Ai sensi dell'articolo ror, costituisce pirateria: a) ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina, commesso a fini privati dall'equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, e rivolti: i) nell'alto mare, contro un'altra nave o aeromobile o contro persone o beni da essi trasportati; ii) contro una nave o un aeromobile, oppure contro persone e beni, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato; b) ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave o di un aeromobile, commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere i suddetti mezzi nave o aeromobile pirata; c) ogni azione che sia di incitamento o di facilitazione intenzionale a commettere gli atti descritti alle lettere a) o b).

La definizione non èesente da incertezze né da critiche, come vedremo più avanti, ma essa costituisce la base imprescindibile che accomuna le diverse manifestazioni della prassi nella lotta alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria. Si possono ricordare innanzitutto gli strumenti normativi recentemente adottati in materia. Sia l'accordo ReCAAP del 20062 , sia i codici di condotta di Gibuti del 200~0 e di Yaoundé

'' Supra nota 9, articolo 1( 1). }O Supra nota 10, articolo 1(1).

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2 57

del 20133' contengono disposizioni che riportano letteralmente la definizione di pirateria contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite. Anche le numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza che si sono occupate della materia fanno sistematicamente rinvio alle pertinenti norme della Convenzione considerate come espressione delle norme di diritto internazionale relative alla lotta contro la pirateriaP. Non da ultimo, la giurisprudenza di diversi Stati ha considerato in maniera costante che la definizione dell'articolo 105 corrispondesse al diritto consuetudinario. T aie definizione èstata applicata al caso di specie per il tramite delle norme interne oppure è stata usata per interpretare le norme interne in materia di pirateria che il giudice era chiamato ad applicare33 • Più in particolare, essa ha permesso di distinguere tra la «pirateria jure gentium» e la «pirateria di diritto interno». Persino nel caso in cui la condotta vietata sia definita in maniera identica dal diritto internazionale e dal diritto interno, le due fattispecie rimangono separate perché nel primo caso si applica il principio di giurisdizione universale e pertanto qualsiasi giudice è teoricamente competente a giudicare i presunti autori di atti di pirateria, mentre nel secondo caso occorre che l'ordinamento interno conferisca al giudice adito uno specifico titolo di competenza giurisdizionaleH. 1'

Supra nota 11, articolo 1(3).

1• Tra

le risoluzioni che si occupano della situazione somala, si possono menzionare le seguenti: 1816(2008), 1838(2008), 1846(2oo8), 1851(2008), 1897(2009), 1918(2010), 195o(2010), 1976(2on), 2015(20n), 202o(2on), 2077(2012), 2125(2013), 2184(2014). Un simile riferimento si rinviene anche nelle risoluzioni 2018(2011), 2039(2011) relative agli atti di pirateria commessi nel Golfo di Guinea. n Si vedano in particolare Kenya, High Coun at Mombasa, Hassan e altri, ricorsi da n. 198 a n. 207 del 2008, sentenza del 12 maggio 2009; Kenya, Chicf Magistratc's Coun,Jama e allri, ricorso n. 1695/2009, sentenza del 22 ottobre 2oio; Mauritius, Po/ice e AbdeoulkaJer e ahri, supra nota 26, par. 26; Scychdlcs, Supreme Coun, Sayid e altri, ricorso n. 19hoio, scntcll7.a del 15 dicembre 2oio, par. 3T, Seychelles, Supreme Coun, Aden e altri, ricorso n. 75hoio, scntcll7.a del 28 febbraio 2oi 1, par. LJ; USA, District Court for thc Eastcm District of Virginia, USA e Hasan e altri, scntell7.a del 29 ottobre 2oio, p. 76; USA, Coun of Appcals for the Fourth Circuit, USA c. Dire e altri, sentenza del 12 maggio 2oi2, p. 42. Più in generale per una disposizione che richiede l'applicazione della definizione della Convenzione del diritto dd mare a qualsiasi procedimento interno in materia di pirateria, si veda l'anicolo 26( 1) del Mercham Shipping and Marilime Security Act 1997 del Regno Unito. 14 Si veda in proposito USA, District Coun for the Eastcm District of Virginia, supra nota 33, pp. i3-i4.

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Gli elementi della definizione di pirateria oggi comunemente considerata di diritto consuetudinario riguardano: l'elemento materiale, la condotta che costituisce pirateria; la localizzazione di tale condotta in un luogo che non ricada sotto la giurisdizione esclusiva di uno Stato; la finalità privata degli atti di pirateria; il cosiddetto requisito delle due navi, ovvero che atti di pirateria siano commessi dalla nave pirata a danno di un'altra nave; e alcune modalità con le quali l'atto di pirateria deve essere commesso. Tra questi elementi, alcuni hanno un contenuto non sempre preciso e sul quale la dottrina ha espresso nel tempo posizioni diverse. Essi sono analizzati qui di seguito al fine di determinare il contributo che la prassi recente ha fornito nel precisarne la portata. Tale analisi terrà anche conto delle critiche mosse alla definizione di pirateria contenuta nella Convenzione UNCLOS e tese ad affermare un'interpretazione evolutiva di tale definizione poiché essa non sarebbe in grado di includere tutte le fattispecie riconducibili al fenomeno della pirateria contemporanea.

4. L'elemento materiale della pirateria e nozioni affini Il primo elemento della definizione di pirateria che solleva perplessità concerne il carattere «illecito» che gli atti di violenza, sequestro o rapina devono avere per poter essere qualificati come atti di pirateria secondo la norma codificata all'articolo 105 della Convenzione UNCLOS. Da tempo, la dottrina si è interrogata sull'identificazione dell'ordinamento giuridico in base al quale tale illiceità dovrebbe essere determinata e in sostanza sulla funzione che tale elemento dovrebbe ricoprire3j. La giurisprudenza che si è occupata degli atti di pirateria al largo delle coste somale si è invece ampiamente disinteressata della questione e sembra considerare tale elemento come puramente ridondante dal momento che l'atto di violenza, il sequestro o la rapina oggetto del giudizio sono considerati illeciti dalla norma

>J Per tutti Alfrcd Rubin, Revising the Law of «Piracy•, «California Western lntcrnational Law Joumal», 21, 1, 1990-1991, p. 136.

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stessa che recepisce il divieto di pirateriaJ6• Si può notare che in ogni caso gli atti commessi dai pirati somali - quali aggressioni, lesioni, l'uso di armi convenzionali, rapine, omicidi, torture, cattura di ostaggi, ecc. - sono solitamente vietati dagli ordinamenti interni. Peraltro, questi atti di violenza in mare sono suscettibili di multiple qualificazioni in base a diverse norme internazionali. I procedimenti recenti hanno mostrato infatti come l'accusa abbia spesso fatto ricorso a diverse qualificazioni giuridiche al fine di assicurare un'effettiva repressione delle condotte dei pirati somali. Oltre alla pirateria, sono state principalmente invocate violazioni della Convenzione del 1979 sulla cattura di ostaggi37 e della Convenzione del 1988 sulla sicurezza marittima 38• L'accordo del 1979, all'articolo 1, definisce la cattura di ostaggi mentre l'articolo 3 della Convenzione del 1988 vieta una serie di atti di violenza che posso essere commessi contro le navi. Entrambe le disposizioni sono suscettibili di applicazione ai casi di pirateria commessi al largo delle coste somale poiché questi hanno generalmente come obiettivo la cattura degli equipaggi a fini di estorsione e a tale scopo sono stati commessi svariati atti di violenza. Sebbene il tratto caratterizzante di tutte queste condotte sia il ricorso alla violenza in mare, merita osservare che i giudici interni sono stati generalmente molto cauti nel tenere distinte le diverse norme applicabili e nel qualificare alla loro luce le condotte commesse dai pirati somali. La principale preoccupazione è stata quella di non estendere oltremodo la giurisdizione universale che il diritto internazionale sancisce solo nei confronti degli atti di pirateriaJ9• i• Per una posizione analoga, Robin Geiss e Anne Petrig, Piracy and Armed Robbery at Sea, Oxford University Prcss, Oxford 2011, p. 60. 17 Si veda in particolare, USA, Court of Appcals for thc District of Columbia Circuit, US c. Ali, sentenza del II giugno 2013. i• Si veda in particolare, USA, District Court for thc Southcm District of New York, US e Muse, sentenza del 25 febbraio 2011. La violazione delle norme della Convenzione del 1988 è stata opposta, accanto ad accuse di pirateria, anche in processi che riguardavano episodi non occorsi al largo delle coste somale. Si vedano ad esempio Cina, Shantou lntcrmcdiatc Pcoplc's Courtin GuangdongProvincc, Prosecutore Naimeahri, sentenza del I sgennaio2003 e USA, Coun of Appcals for thc Ninth Circuit, US e Shi, sentenza del 24 aprile 2oo8. 1' Si veda in particolare il caso Ali, supra nota 37, in cui il giudice statunitense ha tenuto ben separate le ipotesi di pirateria - nei cui confronti la Convenzione sul diritto

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Lo stesso può dirsi della possibilità di qualificare gli atti di pirateria alla stregua di atti di terrorismo. Ad esempio, nel caso Montecristo il giudice italiano, chiamato ad accertare che atti di pirateria commessi al largo delle coste somale potessero anche dare luogo a un'incriminazione per terrorismo internazionale, ha ammesso che vi potesse essere una sovrapposizione tra l' elemento materiale della pirateria e quello del terrorismo, ma ha ritenuto che il reato di terrorismo internazionale richiedesse anche un elemento psicologico, un dolo speciale, che nel caso della pirateria non è presente40 • La medesima distinzione è stata affermata dal giudice delle Seychelles nel caso Dahir il quale ha messo in evidenza le diverse finalità delle due fattispecie criminose4'. Ma sul punto si avrà modo di tornare nel paragrafo successivo. La recente prassi giurisprudenziale mostra pertanto una tendenziale uniformità nell'applicazione dell'elemento materiale del crimine di pirateria in linea con la definizione fornita dalla Convenzione sul diritto del mare, che viene tenuta distinta da fattispecie, a volte analoghe, vietate da altre norme internazionali. Parte della dottrina ha poi messo in luce la limitatezza della definizione dell'articolo 105 della Convenzione sul diritto del mare rispetto all'ambito spaziale in cui trova applicazione. È vero che numerosi fenomeni di «pirateria» sono commessi nelle acque territoriali degli Stati senza che a essi possa applicarsi il regime consuetudinario e in particolare il principio della giurisdizione universale42. Tuttavia, anche in questo caso la prassi non sembra del mare prevede l'esercizio della giurisdizione universale - e quella della presa di ostaggi- nei cui confronti l'omonima convenzione stabilisce particolari titoli di competenza giurisdizionale. Al contrario, un riferimento congiunto alle norme sulla pirateria della Convenzione UNCLOS e alle norme sugli atti di violenza in mare della Convenzione del 1988 è contenuto in alcune decisioni olandesi nelle quali tale riferimento è finalizzato a confermare la competenza giurisdizionale del giudice adito. Così, Paesi Bassi, Rotterdam District Court, causa n. 10/6ooo12-09, sentenza del 17 giugno 2010 e Court of Appeal ofThc Haguc, causa n.2i/004017-11, scntcn7.a del 12 dicembre 2012 . .. Si veda supra nota 21. •• Seychelles, Supreme Court, Dahir e altri, ricorso n. s112009, sentenza del 26 luglio 2010. •• Si veda in particolare Lucas Bcnto, Toward An lntemationa/ Law of Piracy Sui Generis.- How the Dual Nature of Maritime Piracy Law Enables Piracy to Flourish, «Berkeley Journal of lntcrnational Law,., 29, 2, 2011, pp. 120-121 e 140. Un'analoga preoccupazione è espressa dall'Institut dc droit intcmational nella Dichiarazione di

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disposta ad allontanarsi dalla definizione di pirateria contenuta nella Convenzione sul diritto del mare. Si può far riferimento in proposito non solo alla giurisprudenza interna ma anche ad altri elementi della prassi che confermano un'applicazione delle norme sulla pirateria ai soli atti commessi in alto mare. È innanzitutto il caso delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che si premurano di precisare che l'autorizzazione data agli Stati e alle organizzazioni internazionali di prendere tutte le misure necessarie e appropriate alla lotta contro la pirateria anche sul territorio somalo si applica esclusivamente al caso di specie, deve essere ricondotta al consenso fornito dal Governo transitorio della Somalia e in ogni caso «ne peut etre regardée comme établissant un droit international coutumier»43. Si possono poi ricordare i codici di condotta di Gibuti e di Yaoundé i quali specificano che la giurisdizione universale si applica solo alla repressione della pirateria44, mentre nel caso di «armed robbery», la quale ha luogo nelle acque interne o territoriali, i due codici confermano la giurisdizione esclusiva dello Stato costiero-u. È interessante notare come l'unica «evoluzione» della definizione di pirateria che trovi un ampio riscontro nella giurisprudenza riguarda l'inclusione del tentativo tra le condotte che possono portare a una condanna per pirateria46• Infatti, i pirati somali non sono stati catturati solo dopo aver commesso atti di pirateria ma in alcuni casi, per fortuna sempre più frequenti, le forze che cooperano al largo delle coste somale

Napoli sulla pirateria, in «Annuairc dc l'Institut dc droit intcmational», 2009, p. 585, il cui preambolo riconosce che «le droit intcrnational actuel sur la piraterie, tel qu'il est énoncé par la Convention dcs Nations Unics sur le Droit dc la Mcr dc 1982, est limité aux actcs dc violcncc commis cn hautc mcr par un navirc à l'cncontrc d'un autrc et ne couvrc pas complètcmcnt tous Ics actcs dc violcncc mcttant cn dangcr la sécurité dc la navigation intcmationalc». 41 Così la risoluzione 1851(2008), par. 6 e 10. Si veda al riguardo Tullio Trcvcs, Piracy, Law of the Sea, and the Use of Force: Df!'Ve/opments off the Coast of Somalia, «Europcan Joumal oflntcrnational Law», 20, 2, 2009, pp. 399 sgg. ff Si vedano rispettivamente l'articolo 4 e l'articolo 6. •• Si vedano rispettivamente l'articolo 5 e l'articolo 7. 4" Un'analisi dettagliata di tale «evoluzione» si rinviene soprattutto nella decisione resa nel caso Hasan, supra nota 33. Per una conclusione analoga, si veda Seychelles, Supreme Court, Abdi e altri, causa n. 14'2010, scntcn7.a del 3 novembre 2010.

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hanno potuto catturarli prima che avessero commesso, e quindi riuscendo a prevenire, simili atti. Facendo riferimento a una pronuncia risalente che era giunta alla medesima soluzione 47, una giurisprudenza oramai costante ritiene che la definizione della Convenzione sul diritto del mare vada interpretata in maniera «evolutiva» ovvero tale da includere il tentativo di pirateria tra gli atti di violenza vietati dalla Convenzione e al quale va applicata di conseguenza la regola sulla giurisdizione universale48• Se tale interpretazione è da farsi risalire all'inizio del secolo scorso, la giurisprudenza recente dovrebbe essere letta più che in chiave evolutiva come la prova del consolidamento di una norma che ali' epoca della redazione della Convenzione sul diritto del mare era supportata da una prassi ancora alquanto esigua. Più in generale, si può osservare che uno degli ostacoli principali nei giudizi contro i pirati somali non è tanto la qualificazione giuridica dell'elemento materiale quanto la prova di fatti occorsi in circostanze difficili da documentare4'. Particolarmente problematica può rivelarsi non solo l'identificazione degli autori degli atti di piraterias ma anche, e spesso di conseguenza, la prova del loro personale contributo alla commissione del crimine. La prima difficoltà può anche riguardare la determinazione dell'età dell'accusato e quindi del giudice competente a svolgere il processo. La seconda può avere un impatto diretto sulla scelta 0

• 7 Regno Unito, PrivyCouncil, In Re Piracy]ure Gentium, [1934) A.C. 586. •• Si vedano oltre ai casi appena menzionati il caso Ahmed deciso dalle coni del Kcnya,supra nota 19; il caso Po/ice c. Abdeoulkader,supra nota 26; numerosi casi decisi dalla Conc suprema delle Seychelles tra i quali: il caso Ahmed eahri, causa n.21'2011, deciso il 14 luglio 2011; il caso Dahir, supra nota 41; il caso /se e ahri, causa n. 76'2010, deciso il 30 giugno 2011; il caso fama, supra nota 33; il caso Osman e ahri, causa n. 19'2011, deciso il 12 ottobre 2011; e il caso Sayid, supra nota 33; nonché il caso VS c. Dire deciso dal giudice americano, supra nota 33 . ., Si veda in proposito E. Kontorovich, Equipmenl Articles f or the Prosecution of Maritime Piracy, Onc Eanh Future, Discussion Papcr, 2010, reperibile all'indirizzo occansbcyondpiracy.org/sitcs/dcfault/61cs/attachmcnts/cquipmcnt_aniclcs_for_thc_ prosccution_of_maritimc_piracy.pdf. •• Si vedano in panicolarc il caso Ahmed deciso dalle coni del Kenya, supra nota 19; il caso /se deciso dalle coni delle Seychelles, supra nota 48; il caso n. 10/960227-12, deciso dalla Conc distrettuale di Rotterdam il 10 gennaio 201,J; il caso Po/ice c. Abdeoulkader, supra nota 26.

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dell'accusa in relazione alle forme di partecipazione al reato di pirateria1•.

5. La finalità privata degli atti di pirateria

Uno degli elementi della definizione di pirateria che più hanno fatto discutere è senz'altro quello legato alla finalità degli atti di pirateria che secondo la definizione della Convenzione sul diritto del mare devono essere commessi per «fini privati». Tale formula, che la Convenzione del 1982 riprende letteralmente dalla Convenzione di Ginevra del 1958 sull'alto mare, costituisce l'esito di un compromesso raggiunto in seno alla Commissione del diritto internazionale tra due posizioni divergenti: coloro che ritenevano che gli atti di pirateria dovessero essere necessariamente mossi da ragioni di profitto personale e coloro che invece ritenevano che gli atti di pirateria potessero rispondere a fini decisamente più ampi. Il requisito dell'animus furandi figurava nel testo della proposta di convenzione e trovava supporto in una celebre pronuncia del Privy CouncilP. Un'estensione dei fini cui può tendere un atto di pirateria era invece sostenuta alla luce di elementi della prassi quali in particolare il trattato di Nyon che includeva tra gli atti pirateschi anche condotte statalin. Fu per superare questa divisione che, nei lavori preparatori alla Convenzione del 195 8, la Commissione giunse alla formula dei «fini privati» specificando: «[t]he intention to rob (animus furandi) is not required. Acts of piracy may be prompted by feelings of hatred or revenge, and not merely by the desire for gain»H.

Si veda infra Paragrafo 5. Si veda il caso In Re Pirac:y ]ure Gentium, supra nota 47. H Al riguardo si veda Cari Schmitt, Der Begriff der Piraterie, in Idem, Positionen und Begriffe in Kampf gegen Weimar-Genf-Versailles. 1923-1939, Hanscat. Ved.-Anstalt, Hamburg-Handsbek 1940; trad. It. Il cancello di pirateria, in C. Schmitt, Posizioni e cancelli in k,ua con Weimar-Ginevra-Versailles 1923-1939, Giuffré, Milano, 2007, pp. 399sgg. H Commissione del diritto internazionale, «Rappono all'Assemblea generale» UN Doc.A/3159, Yearbook of the lntemational law Commission, 1956, voi. II, p. 282. J•

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Nonostante questo chiarimento la formula che oggi figura all'articolo 105 della Convenzione sul diritto del mare e negli altri strumenti in materia è lungi dall'indicare le precise finalità che essa può coprire. Il dibattito in dottrina rimane assai acceso al riguardo. Quando si esamina la prassi giurisprudenziale recente, non deve però sorprendere che il problema sia solitamente ignorato. Infatti, le condotte dei pirati somali erano tipicamente finalizzate al saccheggio, all'estorsione o più semplicemente all'arricchimento personale. Nei rari casi in cui la giurisprudenza si è soffermata sulla questione, essa ha considerato che la caratteristica principale degli atti di pirateria commessi al largo delle coste somale, più che la commissione di atti di violenza in mare, fosse proprio l'animus f urandiH. Ciò non esclude che la definizione di pirateria possa includere anche atti aventi altri «fini privati» e più in generale che il problema del preciso contenuto di tale requisito persista. In alcune decisioni, la questione è spesso ridotta all'accertamento della natura privata non tanto della condotta dei pirati ma dei pirati medesimi o più in generale della nave piratas6• Ad esempio, alcuni giudici interni hanno considerato che tale requisito richiedesse che gli atti di pirateria fossero commessi da «attori non statali» ovvero «senza l'autorizzazione di una pubblica autorità»s7. In dottrina, un'argomentazione simile ha portato alcuni autori a concludere che vadano considerati come commessi per fini privati tutti gli atti di violenza non attribuibili a uno Statos 8• In sostanza, la finalità privata dell'atto di pirateria non porrebbe altro che la condizione di attribuire la condotta rilevante a un privato. Evidentemente, il requisito dei fini privati svanirebbe all'ombra del requisito della natura privata della

11 Nel caso Dahir, supra nota 41, la Corte suprema delle Seychelles ha affermato che: «piracy is more of an offence to do with stcaling of propcrty (vessel and cargo) for the private ends at the high scas than assaulting or causing injuries to the crcw, which is incidental to the main criminal act». 16 Requisiti che invece erano considerati come separati ad esempio nel Rapporto della Commissione del diritto internazionale, supra nota 54, p. 288. 17 Così la decisione resa dalla Corte suprema delle Seychelles nel caso Ahmed, supra nota 48, par. 21. 11 Si vedano Geiss, Petrig, Piracy and Anned Robbery at Sea cit., p. 62.

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nave pirata e, in questo modo, l'elemento oggettivo (la condotta materiale) della responsabilità penale individuale finirebbe per confondersi con l'elemento soggettivo (l'attribuzione) della responsabilità dello Stato. Se generalmente si conviene che la finalità cui tende l'atto di pirateria non possa essere pubblica, è poi tutt'altro che agevole definire quali siano le finalità pubbliche che un privato sia (o non sia) in grado di porre in essere. Come accennato, nei confronti della pirateria somala, così come di altri recenti fenomeni pirateschi quali quelli occorsi nel Golfo di Guinea, il requisito dei fini privati non pone particolari ostacoli applicativi; la questione si è invece posta rispetto ad altre condotte violente commesse in mare la cui inclusione nella definizione di pirateria è dubbia. Oggi il problema concerne essenzialmente condotte aventi finalità politiche. Al riguardo, la giurisprudenza non ha assunto una chiara posizione. Da un lato, vi sono alcune pronunce che escludono che l'attività dei pirati somali possa essere motivata da fini politic~ essendo essenzialmente caratterizzata da un fine di arricchimento personales,. Tali decisioni confermerebbero quindi che i fini politici non sono richiesti dalla definizione di pirateria. Ciò non implica peraltro che i fini politici siano necessariamente esclusi da tale definizione. Dall'altro, vi sono due decisioni di giudici interni che hanno ritenuto che azioni violente in mare di gruppi ambientalisti possano essere qualificate come atti di pirateria60• Pertanto, i fini privati richiesti dalla definizione consuetudinaria sarebbero sufficientemente ampi da includere anche condotte aventi finalità politiche di attori privati. Certo, una soluzione non è agevole. In assenza di chiare risposte nella prassi, sembra opportuno interpretare le rilevanti disposizioni alla luce delle caratteristiche generali del regime in-

"Si tratta in panicolare delle decisioni resi nel caso Dahir, supra nota 41, e nel caso Montecristo, supra nota 21. '° Si vedano Belgio, Corte di cassazione, Castk fohn e Nedcrlandse Stichting SiriMs c. Mabeco e Parfin, causa n. 5146, sentenza del 19 dicembre 1986, e USA, Court of Appcals for the Ninth District, lmtitute of Cetacean Research v. Sea Shepherd, senten7.a del 24 maggio 2013.

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ternazionale in tema di pirateria. Tale interpretazione dovrebbe accordare un effetto utile a tutti gli elementi della definizione ma allo stesso tempo prendere in considerazione il bilanciamento che le norme sulla pirateria realizzano tra l'interesse individuale dello Stato di bandiera e quello collettivo alla repressione della pirateria. Pare pertanto ragionevole propendere per un'interpretazione che non estenda eccessivamente la giurisdizione universale. Tale regola rappresenta, infatti, un'eccezione rispetto alla giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera il quale potrebbe avere un interesse particolare alla repressione di attività aventi fini politici. D'altro canto, la definizione codificata dalla Convenzione sul diritto del mare appare in grado di inquadrare i principali fenomeni di pirateria. Pertanto, finché la prassi non fornirà indicazioni ulteriori sembra più appropriato non includere i fini politici nel requisito in esame6 1 • 6. Le forme di partecipazione nel reato di pirateria

Uno degli aspetti in cui la giurisprudenza mostra ancora consistenti differenze è quello delle forme che può assumere il concorso di diverse persone nella commissione di atti di pirateria. La Convenzione sul diritto del mare contiene alcune norme al riguardo ma esse sono alquanto generiche. Si comprende allora come il giudice interno tenda a integrare tali previsioni facendo riferimento al proprio ordinamento per definire le condizioni specifiche in base alle quali l'accusato può essere ritenuto responsabile di partecipazione in atti di pirateria. In primo luogo, la definizione dell'articolo 105 include qualsiasi azione di «facilitazione intenzionale» alla commissione di

" La posizione è ampiamente condivisa in dottrina. Si vedano tra gli altri Patrieia W. Birnic, Piracy: Past, Present, and Future, «Marine Policy», 1987, p. 171; Yoram Dinstcin,Piracy]ure Gentium,in H.P. Hcrstmcycr (cd.), Coexistence, Cooperationand Solidarity. Liher amicorum Riidiger Wolfrum, Martinus Nijhoff, Lcidcn 2012, pp. 11311133. Per un'analisi delle varie funzioni della pirateria al largo delle coste somale si veda Brittany Gilmcr, Compensation in the absence ofpunishmenL Rethinking Somali piracy as a fonn of maritime xccr, in Jamcs Arvanitakis, Martin Frcdriksson (cds), Property, Piace and Piracy, Routlcdgc, London-Ncw York 2018, pp. 93 sgg.

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atti di pirateria. La formula rinvia al contributo che un complice può fornire alla commissione di simili atti. In effetti, la disposizione si è rivelata importante in quei casi di pirateria somala in cui non era stato provato che l'accusato avesse materialmente preso parte all'attacco o agli altri atti di pirateria ma nei quali era nondimeno possibile accertare che egli avesse fornito un contribuito alla loro realizzazione. Se solitamente l'attacco ai mercantili avviene mediante piccole imbarcazioni molto veloci e armate con armi da guerra, ciò è possibile grazie al supporto di una cosiddetta «nave-madre», ovvero di un'unità che permette ai pirati un'elevata permanenza in mare in termini di autonomia in senso generale e anche di capacità di allontanarsi dalla costa, rispetto a quello che potrebbero fare i pirati con i loro mezzi che sono molto più piccoli. Pertanto, le persone catturate a bordo di c.d. «navi-madre», quando non sia possibile provare che abbiamo direttamente commesso attacchi pirateschi, sono spesso state accusate di complicità in atti di pirateria. È sulla base della disposizione dell'articolo 105(c) che i giudici interni hanno poi potuto applicare le rispettive norme interne in materia di complicità e condannare gli accusati di pirateria, qualora i requisiti della complicità sanciti nel diritto interno fossero stati verificati62 • Al riguardo, la giurisprudenza si è posta la questione della repressione di atti di complicità posti in essere non solo in alto mare ma anche in altri luoghi posti sotto la giurisdizione di qualche Stato. Il giudice statunitense ha fornito una risposta affermativa che appare condivisibile63. Quanto agli atti di complicità, infatti, la Convenzione sul diritto del mare non pone alcun limite spaziale: a differenza della lettera (a) dell'articolo 105, la lettera (c) non dispone che tali condotte avvengano in luoghi non sottoposti alla giurisdizione di alcuno Stato. Il che

•• Così la scntcn7.a resa dalla Corte suprema delle Seychelles nel caso Dahir, supra nota 41, par. 62-66; la sentenza resa dalla Court of Appeal ofThc Haguc, nella causa n. 22/004017-11, supra nota 39; la scntcn7.a resa dalla Court of Appcals for thc District of Columbia Circuir nel caso Ali, supra nota 37. ') USA, Court of Appcals for thc District of Columbia Circuir, US 'li. Ali, supra nota 37.

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non esime il giudice dall'accertare che atti di pirateria siano effettivamente stati commessi in alto mare. Inoltre, lo scopo della norma, che mira a permettere una repressione effettiva del fenomeno, sarebbe seriamente compromesso se la complicità fosse limitata ai soli atti posti in essere in alto mare. In secondo luogo, all'articolo 105(b) la Convenzione sul diritto del mare qualifica come atti di pirateria tutti gli atti di «partecipazione volontaria» alle attività della nave pirata. Il riferimento più immediato della disposizione sembra quello al concorso di persone in atti di pirateria. In altre parole essa permetterebbe di ritenere responsabili tutti coloro che consapevolmente concorrono alle attività di una nave pirata. Le decisioni sulla pirateria somala mostrano l'importanza di questa disposizione poiché non è sempre agevole determinare lo specifico ruolo che ogni singolo autore di atti di pirateria ha svolto. In diversi casi è stato, infatti, possibile provare che un gruppo di persone catturate aveva commesso specifici attacchi o tentativi di cattura di un'altra nave, senza però poter determinare con precisione il contributo di ogni singolo accusato. I giudici, che hanno invocato questa disposizione, hanno uniformemente considerato che essa permettesse loro di applicare le norme interne relative al concorso di persone alla commissione di atti di pirateria64_ Inoltre, parte della giurisprudenza sembra riconoscere anche un ruolo più ampio all'articolo 105(b) della Convenzione. In alcuni casi le forze multinazionali hanno catturato persone a bordo di navi che potevano essere considerate «navi pirata» alla stregua della Convenzione a causa dell'equipaggiamento rinvenuto a bordo. Tuttavia non è sempre stato possibile dimostrare che tali persone - pur disponendo di tutti gli strumenti per commettere gli atti pirateschi oggetto del giudizio - li avessero effettivamente posti in essere. Ciò nonostante, gli accusati sono

'+ Molto numerosi in materia sono i casi decisi dalla Corte suprema delle Seychelles, come ad esempio i casi Abdi, supra nota 46, Aden, supra nota 33, Ahmeà, supra nota 48, Dahir, supra nota 41, /se, supra nota 48,jama, supra nota 33, Osman, supra nota 48, e Sayià~ supra nota 33. Per un'applicazione della medesima disposizione in un caso che, per altre ragioni, ha prosciolto gli imputati, si veda il caso Abàeoulkaàer, supra nota 26.

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stati condannati per aver «volontariamente partecipato» alle attività di una nave pirata65. Allo stesso tempo, la giurisprudenza ha chiarito che altre fattispecie criminose, pur applicabili agli atti di pirateria, non possono essere represse in base al principio di giurisdizione universale quando esse non siano previste dalla Convenzione sul diritto del mare. È il caso, ad esempio, della «conspiracy». In particolare, il giudice statunitense ha sottolineato la differenza tra le forme di partecipazione al reato di pirateria e l'ipotesi della «conspiracy» che nel diritto interno è una «separate and distinct offense»66• Quest'ultima pertanto non può essere fatta rientrare nella previsione dell'articolo ro5(b). Si può infine notare come la giurisprudenza si sia ampiamente avvalsa delle varie opportunità che la definizione della Convenzione sul diritto del mare offre per assicurare una repressione effettiva della pirateria. Divergenze tuttavia persistono quando, come nel caso delle forme di partecipazione, il giudice interno è vincolato al rispetto dei requisiti posti dal proprio ordinamento. Non sono mancati peraltro tentativi di applicare alla pirateria le forme di concorso già sperimentate in altri ordinamenti, permettendo così una repressione uniforme nei vari Stati. Se formalmente i giudici interni non sembrano aver accolto con favore tale possibilità, essi si sono però avvalsi di soluzioni analoghe fornite dal proprio ordinamento interno67.

7. Le garanzie processuali nei confronti dei pirati La recente prassi relativa alla repressione della pirateria somala contiene elementi di rilievo anche rispetto a una questione che in passato aveva destato significative preoccupazioni, ovvero l'applicabilità ai pirati delle garanzie offerte dal diritto

61 Così le decisioni rese dalla Corte suprema delle Seychelles nei casi Osman, supra nota 48, par 28, e Dahir, supra nota 27, par. 37 e sgg. 66 USA, Court of Appcals for the District of Columbia Circuit, US fl. Ali, supra nota 37. 67 Si veda in particolare il caso Abdeoulkader, supra nota 26, par. 73.

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internazionale in materia di diritti umani e in particolare delle garanzie processuali connesse alla loro cattura, detenzione e sottoposizione a procedimento penale. Pur nel silenzio della Convenzione sul diritto del mare, oggi tale applicabilità è generalmente riconosciuta. Gli strumenti normativi adottati non forniscono elementi decisivi al riguardo se non per vaghe disposizioni incluse nei codici di condotta di Gibuti e di Yaoundé in base alle quali essi non intendono «alter the rights and privileges due to any individuai in any legal proceeding»68. Al contrario, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza in materia sottolineano sistematicamente come la repressione degli atti di pirateria debba avvenire «conformément au droit international applicable, y compris le droit international des droits de l'homme»½. La giurisprudenza recente conferma questa indicazione e appare alquanto scrupolosa nel garantire la tutela dei diritti umani anche nel contesto della lotta alla pirateria, sebbene alcune decisioni permettano di evidenziare situazioni particolarmente problematiche in tale contesto. Va osservato però che, se non mancano riferimenti a norme internazionali, il più delle volte regionali, la protezione di tali diritti avviene solitamente in base al diritto interno del giudice adito 70• Il rispetto del principio di legalità è una delle principali questioni sollevate davanti ai giudici interni che hanno esercitato la giurisdizione penale nei confronti degli accusati somali di pirateria. In sostanza, la questione concerne la conoscibilità del '"Si vedano rispettivamente l'articolo 15(h) del codice del 2009 e l'articolo 19(h) del codice del 2013. ~ Si vedano la risoluzione 1816(2008), par. u, la risoluzione 1846(2008), par. 14, la risoluzione 1851(2008), par. 6-7, la risoluzione 1897(2009), par. 11-12, la risoluzione 1918 (2010), par. 2, la risoluzione 195o(2010), par. 11-12, la risoluzione 1976(2011), par. 14, 16 e 20, la risoluzione 2015(2011), par. 5 e 9, la risoluzione 202o(2011), par. 13-14, la risoluzione 2077(2012), par. 16-17, la risoluzione 2125(2013), par. 7 e 17, e la risoluzione 2184(2014), par. 7, 17 e 18. La medesima formula è impiegata dal Consiglio di sicurezza anche in relazione alla lotta alla pirateria nel Golfo di Guinea. Si veda in proposito la risoluzione 2018(2011), par. 5. 70 Per un'applicazione delle garanzie interne veda ad esempio il caso Aden, supra nota 33, par. 20-22. Invece nel caso Abdeoulkader, supra nota 26, par. 126 sgg., i giudici di Mauritius - pur applicando i diritti umani così come garantiti dal diritto interno- non hanno esitato a far riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

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reato di pirateria e della responsabilità che consegue dalla commissione di simili atti da parte di persone non destinatarie delle norme incriminatrici dell'ordinamento del foro. Alcuni giudici hanno ritenuto che il divieto di pirateria derivasse dal diritto internazionale consuetudinario - nonché dalla Convenzione sul diritto del mare - e che ciò fosse sufficiente per ritenere che l'accusato fosse a conoscenza delle conseguenze che potevano derivare dalla commissione di simili atti7'. Si può ritenere infatti che nel momento di porre in essere un atto di violenza in mare il pirata fosse a conoscenza del fatto che in base al diritto internazionale egli poteva essere catturato e processato da qualsiasi Stato. Meno corretto sarebbe ritenere che nello stesso momento egli fosse a conoscenza della fonte internazionale della criminalizzazione della pirateria, ma in ogni caso molto dipende dalla particolare ricostruzione della norma internazionale sulla pirateria72. Altri giudici hanno fatto leva sulla gravità dei fatti per concludere che non è necessaria una particolare cultura e formazione per comprendere che non si possono portare cd usare delle armi contro le cose e le persone, che non si può assaltare un mercantile e cercare di prendere in ostaggio l'equipaggio, che non si può cercare di guadagnare chiedendo un riscatto per liberare gli ostaggi, che non si possono danneggiare e mettere fuori uso le attrezzature di una nave. Si tratta di reati di cui è facilmente comprensibile l'antigiuridicità, anche da parte di minori appartenenti ad una realtà quale quella somala e non risultano sussistere clementi per affermare che i minori abbiano agito senza la necessaria libertà di decisione 73 •

Peraltro, la questione non è stata considerata di ostacolo all'esercizio della giurisdizione interna. Le circostanze particolari nelle quali vengono spesso catturati i pirati sollevano due problemi specifici in merito al rispetto dei loro diritti fondamentali. Il primo riguarda la durata della custodia prima che i sospettati vengano tradotti davanti all'auSi veda il casoHasan,supra nota 33, p. 91. In proposito si veda Bonafc', La pirateria cit. 71 Sentenza resa nel caso Montecristo, supra nota 21.

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torità giudiziaria e formahnente portati a conoscenza delle accuse mosse nei loro confronti. Le circostanze della loro cattura da parte di forze operanti in missioni multilaterali, che solitamente non procedono direttamente a istruire il processo nei loro confronti ma decidono di consegnare i sospettati a paesi disposti a farlo, hanno comportato a volte un prolungamento notevole dei tempi di custodia preventiva. Al riguardo, la giurisprudenza mostra una certa uniformità nel riconoscere, innanzitutto, che tale durata deve essere comunque ragionevole e, in secondo luogo, che «circostanze eccezionali» possono comunque giustificare il prolungamento di tale custodia74• Pertanto, essa appare sostanzialmente conforme a quanto affermato dalla Corte europea sui diritti dell'uomo nella giurisprudenza relativa all' applicazione dell'articolo 5 a casi analoghi 7s. Nonostante questo, in alcuni casi le circostanze non sono state ritenute dal giudice interno «eccezionali» e quindi tali da giustificare la compressione dei diritti fondamentali dei sospettati71i. Il secondo aspetto problematico riguarda l'attribuzione della violazione dei diritti spettanti ai sospettati di pirateria quando alla loro cattura, detenzione, trasferimento e processo concorrono autorità di Stati diversi operanti nel quadro di missioni multilaterali, con il coinvolgimento a volte di organizzazioni internazionali, come avviene nel quadro della lotta alla pirateria al largo delle coste somale. Due decisioni appaiono particolarmente rilevanti. La prima riguarda pirati somali catturati dalle autorità danesi in alto mare e più tardi trasferiti alle autorità olandesi affinché comparissero davanti al giudice di Rotterdam. La decisione delle

74 Quanto alle decisioni adottate dai giudici del Kenya si possono ricordare i casi Musa. supra nota 18, e Ahmed, supra nota 19. Analoga soluzione è adottata dal giudice olandese nella causa n. 10/6ooo12-09, supra nota 39 e dalla corte di Mauritius nel caso Abdeoulkader, supra nota 26. 71 Si vedano in particolare le decisioni rese il 4 dicembre 2014 nel caso Ali Samalar e altri c. Francia,ricorsi n.17110/ioc 17301/io, e nel casoHassan e altri c. Francia, ricorsi n.46695/io e 54588/io. " A questa conclusione sono giunti ad esempio la Corte amministrativa di Colonia nel caso Courier deciso l'11 novembre 2011 e il giudice delle Mauritus nel caso Abdt!oulkader, supra nota 26.

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autorità olandesi di esercitare la propria giurisdizione nei confronti dei sospettati era stata resa nota circa due settimane dopo la loro cattura e altre tre settimane erano state necessarie per il loro trasferimento alla giustizia olandese. La Corte distrettuale di Rotterdam ha considerato che l'avvenuta violazione dell'articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo non fosse tale da inficiare il diritto dell'accusato a un equo processo ma ha deciso di prendere in considerazione il tempo passato in custodia delle autorità danesi includendolo nel computo della custodia preventiva. Infatti, per la Corte in this exceptional case in which the Danes and the Dutch havc workcd closely together it would not be corrcct to hold only the Dancs accountable for compliance with the stipulations of the ECHR as long as the suspccts had not bcen transferred. At the very least the Dutch Public Prosecutor could bave been expected to discuss with the Danes the neccssity of a prompt prcsentation bcforc a judge77.

In sostanza, il giudice ha ritenuto che entrambi i paesi fossero responsabili della durata eccessiva della custodia dei pirati e la soluzione ritenuta aveva lo scopo di tener conto della condotta delle autorità sia danesi sia olandesi. La seconda decisione, adottata dalla Corte amministrativa di Colonia, mostra come attività multilaterali di lotta alla pirateria somala possono sollevare la questione della doppia attribuzione, questa volta a uno Stato e a un'organizzazione internazionale, sebbene il giudice tedesco abbia evitato accuratamente di pronunciarsi al riguardo. La cattura dei pirati somali era stata effettuata dalla marina tedesca operante nel quadro dell'operazione Atalanta ovvero nel quadro di una missione dell'Unione europea78 • La Corte tedesca si è limitata a riconoscere che il trasferimento dei sospettati al Kenya, affinché fossero processati in tale paese, era da imputare alla Germania che ne aveva dato Corte distrettuale di Ronerdam, causa n. 10/6ooo12-09, supra nota 39. Si veda l'azione comune 2oo8/851/PESC, 10 novembre 2008, in GUUE del 12 novembre 2008, L 301, pp. 33 sgg. poi a numerose riprese prorogata, da ultimo fino al dicembre 2016. 77

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l'ordine79. La possibilità che la Corte non ha preso in considerazione è che la medesima condotta fosse anche attribuibile all'Unione europea alla luce della ripartizione di competenze esistente tra l'organizzazione e i suoi Stati membri nell'espletamento della missione Atalanta. Al riguardo, si può solo ricordare che la possibilità di una doppia imputazione non è stata esclusa, in un contesto diverso, da altri giudici nazionali80•

8. Conclusioni

La ricca prassi che ha avuto a oggetto gli atti di pirateria commessi al largo delle coste somale costituisce un primo banco di prova del regime giuridico internazionale sulla pirateria. Nel complesso il quadro normativo, così come codificato nella Convenzione sul diritto del mare, appare in grado di assicurare un'effettiva repressione del fenomeno e la giurisprudenza esaminata mostra una sostanziale uniformità nell'applicazione delle rilevanti norme internazionali. Quanto alle incertezze e interpretazioni divergenti, esse appaiono gradualmente superate per lo meno in relazione agli elementi principali della definizione di pirateria. Ad esempio, malgrado qualche pronuncia che ha destato perplessità, il principio della giurisdizione universale è stato sistematicamente confermato in un numero crescente di decisioni adottate da giudici appartenenti a ordinamenti diversi. Lo stesso può dirsi del suo ambito di applicazione: se esso vale per gli atti di pirateria commessi in alto mare o nella zona economica esclusiva, la prassi conferma il suo limite quando le condotte sono poste in essere in luoghi sottoposti alla giurisdizione esclusiva degli Stati, dove eventualmente altri regimi giuridici possono trovare applicazione.

~ Caso Courier,supra nota 76. La Conc ha pertanto ritenuto che l'estradizione violasse i diritti fondamentali degli accusati poiché essi avrebbero potuto subire trattamenti disumani e degradanti in Kenya. ro Conc suprema olandese, Netherlamls v. Nuhanovic, causa n. 12/03324, scntcn7.a del 6 settembre 2013.

IL PIRATA SECONDO IL DIRIITO INTERNAZIONALE

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D'altro canto, l'accumularsi della prassi mostra sostanziali convergenze sugli elementi principali della definizione di pirateria. L'ampia giurisprudenza in materia ha permesso di delineare meglio gli atti materiali che rientrano in tale definizione, così come il tentativo, ma anche di precisare alcune condotte che non vi sono incluse, come la «conspiracy». Più in generale, la giurisprudenza sulle condotte dei pirati somali ha chiarito la distinzione tra la pirateria e altre qualificazioni giuridiche che pure possono inquadrare tali condotte, come ad esempio la cattura di ostaggi. Ancora, tali decisioni mostrano come il requisito dei fini privati ben permetta di inquadrare le violazioni commesse al largo delle coste somale - e più in generale le moderne fattispecie di pirateria - senza che sia a tal fine necessario includervi i fini politici. Se le condotte dei pirati dimostrano ancora oggi di essere motivate essenzialmente da fini di arricchimento personale, dalla prassi appare difficile dedurre un'estensione ad attività che si distanziano sostanzialmente da tale finalità tipicamente privata. Il profilo che evidenzia maggiori difformità applicative riguarda la scelta della forma di partecipazione che permette di accertare la responsabilità degli autori di atti di pirateria. Se i giudici interni al riguardo sono solitamente tenuti all'applicazione delle norme interne e dei requisiti necessari a stabilire ad esempio la complicità o il concorso dell'accusato, essi mostrano anche la tendenza ad assicurare un'applicazione effettiva delle regole internazionali - per il vero assai ampie - che includono qualsiasi atto di facilitazione, partecipazione volontaria o incitamento alla commissione di atti di pirateria. Un'importante conferma viene poi dalla prassi giurisprudenziale relativa alla tutela dei diritti processuali dei pirati. Anche in questo caso è palese uno sforzo di uniformità nel parametro normativo applicabile, sebbene le operazioni multilaterali in cui alla lotta contro la pirateria - e quindi alla cattura, detenzione e processo dei pirati - concorrono diversi Stati sollevino particolari questioni sulle limitazioni che tali garanzie possono subire e sul regime di responsabilità applicabile ai soggetti che assieme possono comprimere tali garanzie. Nel complesso il regime della pirateria sembra trovare per la prima volta applicazione concreta davanti a diversi giudici di

BEATRICE I. BONAFÈ

svariati paesi e pertanto avviarsi verso un progressivo consolidamento in particolare per quanto riguarda la definizione di pirateria il cui carattere consuetudinario era in passato spesso affermato anche in assenza di una prassi consistente. Come ritenuto dalla Corte d'appello americana nel caso Dire: «That definition, spelled out in the UNCLOS, as well as the High Seas Convention before it, has only been reaffirmed in recent years as nations around the world have banded together to combat the escalating scourge of piracy» 81 •

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Si veda supra nota 33.