La mente nel cervello. Un'introduzione storica alla neuropsicologia cognitiva 8842074721, 9788842074724

Il rapporto fra mente e cervello dall’antichità a oggi: le tappe principali di un’idea che, come un filo rosso, ha guida

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Italian Pages 188 [189] Year 2008

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La mente nel cervello. Un'introduzione storica alla neuropsicologia cognitiva
 8842074721, 9788842074724

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© 2004, Gius. Laterza & Figli

Prima edizione 2004 Terza edizione 2006

Carmela Morabito

La mente nel cervello Un'introduzione storica alla neuropsicologia cognitiva Prefazione di Luigi Pizzamiglio

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Proprietà letteraria riservata Gius. Laten:a & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nell'aprile 2006 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto de Ila Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 88-420-7472-1

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché 1J011 danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'atqui;w di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

a Vittorio Somenzi, che ha suscitato in me la passione di cercare la mente nel cervello

Prefazione

Questo libro offre una chiara ricostruzione storica e concettuale del percorso compiuto nei secoli da coloro che hanno cercato di comprendere i legami tra mente e cervello, un percorso che solo in epoca relativamente recente ha portato le nostre conoscenze in proposito a superare il dualismo mente/cervello. La prima parte del libro illustra le conoscenze in epoca egizia e greca, le prime concettualizzazioni circa il ruolo del cervello nella guida e nel controllo dell'organismo. La ricostruzione storica si sviluppa poi fino alla pietra miliare rappresentata dalla formulazione dei rapporti mente-cervello nel pensiero di Cartesio e negli indirizzi filosofici successivi. Segue l'analisi dei contributi più propriamente scientifici che hanno percorso, a partire dalla fine del XVIII secolo, tutto il XIX e parte del XX, culminando nei modelli associazionisti formulati prevalentem~nte a partire da sistematiche osservazioni di pazienti con lesioni cerebrali. La seconda parte propone le critiche mosse ai modelli localizzazionisti e associazionisti sia da neurologi come Pierre Marie che dal comportamentismo e dal gestaltismo nei primi decenni del Novecento. Dopo l'analisi dei modelli e delle teorie prodotte in questo periodo, che personalmente considero buio per la progressione delle conoscenze dei rapporti mente-cervello, l'autrice descrive la rinascita degli interessi più propriamente neuropsicologici che imporranno la necessità di far convergere la neurofisiologia con la psicologia nello studio della mente e del comportamento. Il momento focale viene fatto risalire al lavoro di Donald O. Hebb, che inizia prima della Seconda guerra mondiale. Gli sviluppi

Prefazione

VIII

successivi sono descritti con riferimento all'opera di alcuni studiosi che l'autrice considera particolarmente rappresentativi nel nuovo trend in questo campo (Henri Hécaen, Wilder Penfield, Roger W. Sperry e Aleksandr R. Lurija fra gli altri). Il percorso si arresta alle soglie della «neuropsicologia cognitiva» e si conclude con la descrizione delle nuove tecnologie per lo studio in vivo del contributo cerebrale allo svolgimento delle funzioni mentali. Il libro rappresenta una importante introduzione alle moderne neuroscienze cognitive per almeno due ragioni: la prima è che sono descritti e analizzati con precisione i passaggi concettuali verificatisi nel corso della storia. A differenza di alcuni altri libri di introduzione storica, esso infatti non si limita a illustrare una sequenza di personaggi e di idee, ma mostra la progressione effettiva con la quale il pensiero neuroscientifico si è articolato nel suo complesso. La seconda ragione consiste nella scelta felice di accompagnare il racconto con citazioni dai vari autori, ciò che conferisce al libro una particolare vivacità, consentendo al lettore di entrare nel clima storico e culturale all'interno del quale è nata la neuropsicologia. Questo ottimo libro attende un seguito che presenti con la stessa visione d'insieme gli sviluppi degli ultimi decenni: oggi, infatti, il pensiero neuroscientifico non si limita a integrare lo studio della mente all'interno dei sistemi neurali sempre più dettagliatamente proposti dalla psicologia e dalle neuroimmagini cognitive. La nuova sfida si estende alle conoscenze genetiche e di biologia molecolare che producono risultati di straordinario interesse in vertiginosa crescita. A titolo di esempio vorrei citare la identificazione del gene FOX P2, la cui espressione ha consentito di interpretare, in modo biologicamente preciso, il contributo genetico alla capacità di produrre un linguaggio articolato nell'uomo e che rappresenta un potente strumento per lo studio della evoluzione del linguaggio nella preistoria dell'uomo. Luigi Pizzamiglio Ottobre 2004

Introduzione

La neuropsicologia

La neuropsicologia contemporanea è una scienza fondamentalmente interdisciplinare cni concorrono la psicologia cognitiYista, la linguistica, la neurologia, la neurofisiologia, la neuroanatomia, la filosofia e l'intelligenza artificiale, e che da queste discipline trae nozioni, concetti, metodi e strumenti d'analisi con l'obiettivo di esplorare i rapporti tra funzioni cognitive e strutture nervose, owero di comprendere il rapporto tra cervello e mente. Essa dunque integra studi clinici e ricerca nel tentativo di individuare le basi neurali dei processi cognitivi, producendo una complessa combinazione dei dati anatomici e fisiologici relativi al sistema nervoso con lo studio degli aspetti più specificamente cognitivi del comportamento, così come appaiono lesi e/o disturbati in molte patologie. Assumendo quindi che i processi cognitivi siano correlati al funzionamento di specifiche strutture cerebrali, tramite lo studio delle patologie la neuropsicologia elabora modelli del rapporto tra comportamento e sistema nervoso, tra mente e cervello. Come disciplina autonoma essa nasce nel primo Novecento, per comprenderne appieno lo statuto epistemologico attuale occorre tuttavia risalire lungo i percorsi teorici e metodologici che nel secondo Ottocento hanno prodotto i primi modelli di un collegamento ben definito fra specifiche funzioni cognitive e luoghi cerebrali altrettanto specifici. E ricordare che il secondo Ottocento è stato nel complesso un momento storico e culturale di importanza decisi\'a per lo studio tanto della mente quanto del sistema nervoso, un momento nel quale - a compimento di un articolato e problematico processo di 'incubazione' epistemologica - si verifica la cosiddetta 'nascita' della psicologia come scienza autonoma da un lato, e la produzione delle prime 'cartografie' del cervello dall'altro.

Introduzione

X

neurologia psicologia cognitiva

neurofisiologia

NEUROPSICOLOGIA

intelligenza artificiale

filosofia

linguistica

neuroanatomia

Ripercorrendo lo sviluppo storico della neuropsicologia, tradizionalmente si attribuisce valore fondante sul piano epistemologico a due momenti ben definiti: l'opera di Broca, che nel 1861 individua la sede del linguaggio articolato nel piede della terza circonvoluzione frontale sinistra, e i modelli che in apertura del XX secolo vengono prodotti in grande quantità per la spiegazione del nesso tra mente e cervello, tanto nei suoi aspetti 'normali' quanto in quelli 'patologici'. Modelli-più esattamente 'diagrammi' - che hanno loscopo non solo di spiegare i disordini osservati nel comportamento dei singoli pazienti, ma anche di consentire previsioni su una scala più vasta, rispetto a classi generali di disturbi possibili. Questi diagrammi, prodotti a partire dalla fine dell'Ottocento e soprattutto nel primo Novecento, sono modelli essenzialmente basati sul presupposto teorico e metodologico della validità delle correlazioni anatomo-cliniche; essi dunque sostengono la localizzazione delle diverse funzioni cognitive supponendo la connessione puntuale e regolare tra i disturbi comportamentali osservati nei pazienti cerebrolesi e le lesioni e/o le disfunzioni di aree cerebrali specifiche che si presume abbiano prodotto questi disturbi. L'assunto di carattere riduzionistico che è alla base dell'intera in1palcatura teorica della neuropsicologia, o meglio che è stato alla base della nascita della neuropsicologia come disciplina scientifica, ma che nel tempo, come si vedrà, è andato modificandosi in direzione di una sempre maggiore complessità e articolazione problematica, è dunque che sia possibile inferire la struttura dei processi cognitivi a partire dalle correlazioni anatomo-cliniche.

Introduzione

XI

Obiettivo, procedura e fonti della neuropsicologia Obiettivo: comprendere le basi neurali dei processi cognitivi esplorando i rapporti tra funzioni mentali e strutture nervose •

Procedura: combinazione dello studio degli aspetti cognitivi del comportamento lesi e/o disturbati in molte patologie con dati anatomici e fisiologici sul sistema nervoso



Fonti: indagine clinica; ricerca sperimentale

Nel corso del Novecento, però, in primo luogo si è resa evidente l'inadeguatezza di un'impostazione strettamente anatomo-clinica per lo studio e la modellizzazione dei processi cognitivi: spesso, infatti, uno specifico disturbo osservato in ambito clinico non è direttamente ed esclusivamente riconducibile a una lesione specifica e circoscritta; occorre dunque riconoscere l'aspetto dinamico e integrato del funzionamento del sistema nervoso e spostare il piano dell'analisi da presunte 'facoltà' o 'funzioni' a più complessi 'sistemi funzionali'. E ormai chiaro che la correlazione tra sede anatomica del danno e funzione deficitaria non è semplice e intuitiva, né sempre diretta. In secondo luogo, ma certo non è cosa di secondaria importanza, è ormai generalmente riconosciuta la necessità di guardare alle varie situazioni cliniche alla luce di un quadro teorico di riferimento costituito da concetti e modelli psicologici adeguati e sperimentalmente fondati che possano fornire la giusta chiave di lettura dei vari disordini osservati e, a monte, fungere da guida interpretativa nel momento stesso dell'osservazione clinica. Oggi dunque si può parlare di una neuropsicologia 'classica', in riferimento a questa impostazione di carattere riduzionistico e relativamente poco problematico che ha caratterizzato gli esordi della disciplina, e di una neuropsicologia contemporanea: quest'ultima si articola in neuropsicologia clinica (che studia, come si è detto, i deficit comportamentali prodotti da danni cerebrali nell'uomo) e neuropsicologia sperimentale (che studia nei soggetti normali, mediante tecniche comportamentali ed elettrofisiologiche, gli stessi processi studiati dalla neuropsicologia clinica), e confluisce in qualche modo nello spazio teorico più vasto che in anni recenti si è iniziato a chiamare

XII

Introduzione

'neuroscienze cognitive' e che comprende anche fisica, biologia molecolare, matematica, psichiatria e naturalmente filosofia. Questa versione più recente e complessa della neuropsicologia, che è andata definendosi nel corso degli ultimi cinquant'anni e che può essere chiamata 'neuropsicologia cognitiva', ha in qualche modo sviluppato e codificato sul piano epistemologico tanto il metodo quanto l'oggetto dell'indagine. Rispetto al primo, il cambiamento metodologico più significativo si è verificato in relazione al passaggio da un'impostazione essenzialmente basata sullo studio del caso singolo all'analisi di gruppi di pazienti, dunque al trattamento statistico dei dati che consente di eliminare o ridurre la variabilità casuale legata alle caratteristiche individuali (sia precedenti che successive alla lesione). Ma la metodologia dell'indagine neuropsicologica è stata profondamente affinata anche dalla standardizzazione delle tecniche d'analisi, soprattutto le moderne batterie di test che vengono somministrate secondo regole e protocolli ben precisi e condivisi da tutti gli studiosi del settore; e infine dalla introduzione di una dimensione comparata che sistematicamente mette a confronto leprestazioni di gruppi patologici con quelle di gruppi di soggetti 'sani'. Per quanto riguarda invece la definizione contemporanea dell' oggetto e delle assunzioni della neuropsicologia cognitiva, occorre rilevare che i modelli di riferimento degli ultimi cinquant'anni sono stati essenzialmente legati al paradigma della 'elaborazione dell'informazione', che considera il sistema cognitivo come un complesso dispositivo organizzato in componenti diverse e strettamente interconnesse (postulate in base agli sviluppi della psicologia sperimentale e dell'intelligenza artificiale). L'assunto di base è che queste diverse unità funzionali- o, come si dirà in seguito, 'moduli', veri e propri 'nuclei'

La neuropsicologia 'classica': primi modelli del rapporto tra cervello e mente fra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento 1861, Broca: afasia motoria 1870, Fritsch e Hitzig: localizzazione area corticale motoria 1874, Wernicke: afasia sensoriale 1879, Wundt: nascita della psicologia scientifica Fine Ottocento: primi modelli connessionistici

Introduzione

XIII

La neuropsicologia 'cognitiva' della seconda metà del Novecento Paradigma: 'elaborazione dell'informazione' Modello: sistema cognitivo come complesso dispositivo organizzato in unità funzionali diverse ('moduli')

di attività cognitiva più o meno indipendenti l'uno dall'altro nelle varie fasi del loro funzionamento all'interno del sistema complessivo possano essere selettivamente disturbate o distrutte da lesioni circoscritte del sistema nervoso, dando luogo ai disturbi altamente specifici che normalmente si presentano nell'ambito clinico. In questa prospettiva, l'interazione tra psicologia sperimentale e neuropsicologia cognitiva prevede un fertile scambio bidirezionale tra i modelli psicologici, che forniscono le 'lenti' attraverso le quali guardare ai disordini comportamentali dei pazienti, e i dati della neuropsicologia, che retroagiscono sui modelli psicologici di base contribuendo alla individuazione delle diverse sottocomponenti del sistema cognitivo e rendendo necessarie continue revisioni concettuali e aggiustamenti teorici. Partendo dallo studio di un danno cerebrale oggi è dunque possibile contribuire in modo importante alla comprensione della natura dei processi cognitivi e alla elaborazione delle teorie sulla organizzazione delle funzioni psichiche nelle loro correlazioni con le rispettive basi neurofunzionali. Sul piano teorico ed epistemologico, tuttavia, le difficoltà legate allo sviluppo di inferenze teoriche sul funzionamento del cervello e della mente a partire dallo studio di pazienti cerebrolesi, sia che si tratti di studio di casi singoli sia che invece si riferisca a gruppi di soggetti, sono ancora molte. Si assume, come si è detto, che i disturbi cognitivi dei pazienti neurologici risultino dal funzionamento di sistemi normali di elaborazione dell'informazione all'interno dei quali siano stati alterati alcuni sottosistemi isolabili o alcune vie di trasmissione: assumendo che M-1: sia il sistema cognitivo danneggiato, M il sistema cognitivo normale e Li la lesione funzionale, la relazione fra prestazioni e sistemi può essere formalizzata nei termini di M-:, = M + Li (Caramazza 1992). Occorre però riconoscere che è inadeguato descrivere il comportamento effettivo di un paziente in termini di alterazioni specifiche di un sistema modulare che si assume

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Introduzione

'normale' prima della lesione. Il comportamento patologico risulta infatti da una complessa combinazione di fattori che vanno molto al di là dei sistemi danneggiati: nel corso della remissione si verifica inevitabilmente una riorganizzazione neurologica legata alla possibilità che diverse aree corticali sostituiscano quelle danneggiate, e inoltre il paziente sviluppa le più diverse strategie di compensazione. La neuropsicologia [. ..] si è dimostrata molto efficace nel documentare la dissociazione dei deficit e nel fornire una metodologia convergente per valutare schemi e modelli di funzione sulla base di studi su soggetti normali. Nello sviluppare le strutture teoriche per l'analisi delle capacità cognitive si è soliti assumere che i pazienti abbiano 'perso' una sottocomponente specifica (o 'legami' tra sottocomponenti) e che il loro deficit rifletta il funzionamento di un normale sistema 'meno' uno o più elementi critici. Anche se questa premessa sottrattiva è un'utile ipotesi di lavoro, non è che non ponga problemi (Kolb, Whishaw 1985; Shallice 1988). Una delle sue difficoltà, non la minore, è la propensione preoccupante che hanno le persone nello sviluppare le strategie e nel coprire i propri deficit. [. ..] I problemi per un'analisi a livello teorico sorgono quando la strategia compensatoria viene considerata come una proprietà intrinseca della capacità cognitiva compromessa (McCarthy, Warrington 1990, trad. it. 1992, pp. 379-380). Ma se lo studio dei casi singoli - che pure ha caratterizzato lanascita stessa della neuropsicologia - comporta evidenti difficoltà e 'fragilità' sul piano epistemologico legate in primo luogo alla possibilità di sviluppare speculazioni teoriche a partire da osservazioni cliniche isolate, è altrettanto evidente che anche la possibilità di studiare le prestazioni di gruppi di pazienti - una tendenza sviluppatasi a partire dagli anni intorno alla Seconda guerra mondiale e, come si vedrà, rimasta di fatto l'approccio più seguito fino alla fine degli anni sessanta - è fortemente penalizzata dalla oggettiva difficoltà di definire i gruppi stessi e i criteri di una loro appartenenza nonché dalla possibilità di 'mascherare' in qualche modo i comportamenti individuali: Se i gruppi non vengono selezionati in modo strettamente definito dal punto di vista funzionale, i pazienti appartenenti a uno stesso gruppo possono avere dei danni che interessano sottosistemi differenti. Quindi la valutazione complessiva delle prestazioni all'interno di un gruppo può produrre un comportamento medio che è qualitativamente differente da

Introduzione

xv

quello di ogni paziente considerato individualmente -il cosiddetto 'artefatto di media' - o, più prosaicamente, può portare alla scomparsa di effetti, interessanti dal punto di vista teorico, legati alla variabilità intersoggettiva (Shallice 1988, trad. it. 1990, pp. 43-44). Ed è questo probabilmente il più 'forte' fra gli argomenti che in anni recenti hanno indotto un recupero dell'approccio al caso singolo come «l'unico modo di condurre delle ricerche neuropsicologiche rilevanti per la comprensione delle funzioni normali» (ivi, p. 11). A partire dalle prime scoperte relative alla 'dualità' del cervello e alla asimmetria funzionale dei due emisferi, nel corso del tempo si sono susseguite moltissime ipotesi interpretative, di volta in volta centrate su aspetti, diversi della struttura e dell'organizzazione funzionale del sistema nervoso: sull'aspetto unitario o dualistico della coscienza, sulla chiara preminenza funzionale dell'emisfero sinistro così come essa si esprime tanto nella dominanza della mano destra quanto nella localizzazione a sinistra del linguaggio, sulla 'mappa' corticale delle diverse funzioni comportamentali e cognitive, sulla contrapposizione o la complementarità dei sistemi funzionali dei due emisferi, sulla integrazione o la sovrapposizione di sistemi corticali e sottocorticali e così via. È opportuno sottolineare come queste immagini del cervello, e del suo rapporto con la mente, siano sempre strettamente legate al contesto storico, culturale e sociale nel quale vengono definendosi. Studiare il cervello per capire la mente presuppone un chiaro modello dell'uomo e dei suoi rapporti col resto del mondo. Presuppone valori e ideologie, inevitabilmente connessi all'immagine che l'uomo ha di se stesso. Presuppone infine delicate intersezioni con la religione e col potere. È per questo che - come si vedrà - uno studio scientifico del sistema nervoso ha avuto bisogno, alla metà del Seicento, della legittimazione del paradigma meccanicistico che consentisse di guardare agli animali, compreso l'uomo, in termini di macchine e congegni meccanici perfettamente ed esaustivamente indagabili col metodo sperimentale; esaustivamente, per quanto riguarda l'uomo, solo a condizione di postulare una alterità ontologica del mentale rispetto al fisico. Ed è per questo che la psicologia come scienza è nata solo alla fine dell'Ottocento, quando il pregiudizio di questa presunta alterità venne superato dall'evoluzionismo darwiniano e dagli svilup-

XVI

Introduzione

pi delle conoscenze neurofisiologiche, e si rese possibile guardare alla mente in termini di sensazioni, movimenti e semplici meccanismi di associazione. Allo stato attuale delle conoscenze, è possibile da un lato delineare una qualche 'architettura funzionale' dei processi mentali, dall'altro individuarne i meccanismi di correlazione anatomo-fisiologica col cervello. Senza approfondire la presentazione e l'analisi di dati e modelli generalmente oggetto di studio della neurofisiologia e della psicologia fisiologica, da un punto di vista più strettamente neuropsicologico si possono tuttavia delineare le coordinate generali della correlazione tra processi psichici e circuiti funzionali all'interno del cervello, e soprattutto ricondurre disturbi di funzioni cognitive specifiche a danni di strutture cerebrali diverse, nell'ambito di un'ipotesi di carattere generale sull'organizzazione neuropsicologica della mente umana.

La mente nel cervello Un'introduzione storica alla neuropsicologia cognitiva

Parte prima

Dalle origini alla fine dell'Ottocento

I.

Le origini

L'idea che le diverse funzioni psichiche e comportamentali possano essere localizzate in - o comunque ricon111 mlii lai Kiarlo: la superiore intelligenza umana deriva dunqll(' dnlln cnpacit~ cerebrale di tenere il cuore freddo al punto giusto p~r WllS('IHLI'(.! un 'attività mentale ottimale. Esso è quindi un org:1110 di imporlnnza essenziale, sebbene subordinata a quella dcl CUOI\': 1wl 'nitH('nlll cLtorecervello' è la chiave dell'intelligenza (PtJrli tl1•1\lt ; l 111/n1t!i, 11, 648, 650b-51, 652b, 653b, 656a, 666a).

I. Le origini

9

Aristotele argomenta la sua presa di posizione con prove di carattere anatomico, fisiologico ed embriologico; manca tuttavia del tutto quell'approccio clinico che è alla base della posizione dei cosiddetti 'encefalocentristi' (Alcmeone e Ippocrate in primo luogo). Nesso cervello-comportamento nel pensiero greco (V-IV sec. a.C.) Tensione tra cardiocentrismo ed encefalocentrismo

Alcmeone di Crotone (tutte le sensazioni sono collegate al cervello} •

Democrito (ccii cervello è come una sentinella») Ippocrate (cervello, «interprete dell'intelligenza,,)



Platone (cervello e anima razionale) Aristotele: argomenti pro e contro l'individuazione nel cervello o nel cuore del centro di sensazione e movimento:

Cuore 1. Implicato nell'emozione (PA669a) 2. Tutti gli animali hanno un cuore o un organo simile (GA771a, PA665b) 3. Fonte del sangue, necessario per la sensibilità (PA667b) 4. Caldo, caratteristica delle forme di vita superiori (SS439a) 5. Connesso a tutti gli organi di senso e ai muscoli, tramite i vasi sanguigni (GA744a, HA492a, 469a, GA781a) 6. Essenziale per la vita (Y0469a, PA647a) 7. È il primo organo a formarsi e l'ultimo a fermarsi (GA741 b) 8. Sensibile (SS439a, PA669a)

9. In posizione centrale, appropriata al suo ruolo centrale (PA670a)

Cervello 1. Non implicato (PA652b, 656a) 2. Solo vertebrati e cefalopodi ce l'hanno, e tuttavia anche altri animali hanno sensazioni (PA652b) 3. Privo di sangue e dunque di sensibilità (HA494a, 514a, PA765a) 4. Freddo (PA652, HA495a5) 5. Non connesso agli organi di senso (o la connessione non è rilevante) (PA652b, HA503b) 6. Non essenziale (HA532a, GA 741b) 7. Si forma successivamente (GA 674b) 8. Insensibile: può essere tagliato senza che l'animale provi dolore (PA652b, 656a) 9. Posizione periferica (PA652)

IO

Parte prima Dalle origini alla fine dell'Ottocento

Su quale fosse la sede dell'anima o della mente nel corpo si avevano dunque opinioni diverse: se Omero le legava al diaframma, per via del suo essere il «luogo del respiro», ed Empedocle al sangue (per cui riteneva che, essendo il sangue il 'medium' del pensiero, dalla particolare composizione del sangue dipendesse il grado di intelligenza individuale: Freeman 1954), Alcmeone di Crotone invece, sulla base delle dissezioni da lui effettuate, rileva il collegamento dei sensi col cervello e ne desume che la sede delle sensazioni e dei pensieri, in una parola della 'mente', sia l'organo cerebrale. Egli, nel 450 a.C. circa, sembra essere stato il primo medico greco a utilizzare la dissezione come strumento conoscitivo, e proprio da un'approfondita indagine anatomica dei sistemi sensoriali (in particolare quello visivo), deduce la sua teoria sulla sede cerebrale della mente (Lloyd 1975; Longrigg 1993; Grusser, Hagner 1990). Attorno al 435 Democrito sostiene, nella sua opera Sulla natura dell'uomo, che il cervello «come una sentinella» guida e controlla l'organismo; ed è della stessa opinione Diogene di Apollonia che nello stesso periodo - vede nel cervello il luogo centrale d'arrivo e di controllo di tutti i dati sensoriali. Nel Timeo Platone (427-347 a.C.) collega all'encefalo solo una delle tre anime (concupiscibile, irascibile, razionale), quella più «elevata», la razionale o intellettiva, riconducendo le altre due rispettivamente al cuore e al fegato. Stratone di Lampsaco tenta invece di porre una correlazione più precisa e individua il luogo dell'anima nella porzione di cervello situata fra le sopracciglia (catà tò mesò/ron). Anche Ippocrate (V-IV sec. a.C.) aderisce alla linea del cosiddetto 'encefalocentrismo' in contrapposizione al 'cardiocentrismo', e attorno al 425 a.C. afferma che il cervello è la sede della ragione e delle emozioni, di tutta la nostra vita psichica, sana e patologica (Penfield 1958). Gli uomini devono sapere - afferma Ippocrate nel De morbo sacro che il piacere, la letizia, il riso e gli scherzi e così pure il dolore, la pena, lafflizione e il pianto da nessun'altra parte provengono se non dal cervello. Per opera sua noi soprattutto pensiamo e guardiamo e udiamo ericonosciamo ciò che è vergognoso e bello e brutto e buono e piacevole e spiacevole, distinguendo alcune di queste qualità in base alle usanze, avvertendone altre in base all'utilità e talvolta giudicando quello che è gradevole e ciò che è sgradevole in base alle circostanze, visto che non sem -

I. Le origini

11

pre ci piacciono le stesse cose. E, sempre per opera sua, noi diventiamo folli e usciamo di senno ed abbiamo incubi e terrori e soffriamo di sogni e di smarrimenti ingiustificati e di preoccupazioni infondate e siamo incapaci di riconoscere le cose solite che ci appaiono nuove e ci sentiamo sproweduti. Per Ippocrate il cervello è dunque il più potente organo umano e l'interprete dell'intelligenza (tòn ermenèuonta); nel Corpus ippocratico si pone una chiara relazione tra ferite craniche unilaterali e disturbi motori (convulsioni e paralisi controlaterali), e si rileva una connessione regolare fra emiplegia destra e disturbi del linguaggio. La posizione ippocratica in merito ai rapporti tra mente e corpo fu condivisa anche da due grandi medici alessandrini, Erasistrato (260 a.C. ca) ed Erofilo (270 a.C. ca), entrambi abili dissettori secondo quanto riporta lo storico romano Celso. Erasistrato di Chio ritenne infatti che la complessità delle circonvoluzioni cerebrali umane fosse strettamente legata alla maggiore intelligenza dell'uomo rispetto agli altri animali. Egli dunque collegava la superiorità intellettuale dell'uomo sugli animali al suo grande numero di pieghe cerebrali, e sottolineava come tutti i nervi dell'organismo derivino dal cervello. Anche Erofilo, sulla base di analisi sistematiche di animali e cadaveri umani, descrisse dettagliatamente il sistema nervoso e giudicò che il cervello ne fosse il centro funzionale; i ventricoli cerebrali erano da lui considerati la sede delle forze vitali e in particolar modo egli definì il quarto ventricolo «il centro di comando» del comportamento, dunque la sede dell'anima (Singer 1957; Longrigg 1988; Von Staden 1989). Col tempo, però, lentamente la prospettiva cambiò e - posta la connessione essenziale fra organismo e cervello in quanto suo punto centrale di controllo del comportamento - si indagò la possibilità che le diverse capacità dell'organismo, le «facoltà dell'anima» come venivano chiamate, fossero collegate a parti diverse dell'encefalo. Nel complesso, tuttavia, tutto il pensiero greco e anche, inevitabilmente, i suoi sviluppi medievali, in merito al rapporto tra mente e corpo, e più propriamente rispetto alla presunta 'sede' fisica del1' anima o delle diverse 'facoltà' mentali, oscillarono costantemente fra cardiocentrismo ed encefalocentrismo, e solo dopo molti secoli come si vedrà - con la nascita dell'anatomia e della fisiologia moderne e col pensiero di Cartesio nell'ambito della Rivoluzione Scientifica, si affermò l'idea della preminenza del cervello nell'attività psi-

12

Parte prima Dalle origini alla fine dell'Ottocento

chica; non senza dubbi e incertezze che perdurarono, comunque, fino alla fine del XVIII secolo. Nel I secolo d.C. Areteo di Cappadocia distingue due tipi di paralisi, una spinale (omolaterale) e l'altra cerebrale (controlaterale); sui rapporti tra corpo e mente, tuttavia, l' auctoritas medievale è Galeno (130-200), che descrive accuratamente il cervello e i nervi. La sensazione secondo Galeno è alla base di ogni forma di attività psichica, e nel De placitin Hippocratis et Platonis egli afferma: In verità se non vi fossero il piacere e il dolore o la sensazione negli elementi privi di passione, non esisterebbe né la memoria né il ricordo, né la percezione; perché la sensazione è la radice, la fonte stessa di tutte queste facoltà. Se non esiste né il piacere né il dolore e nemmeno la sensazione, allora non esistono nemmeno le funzioni psichiche e perciò si dovrebbe affermare che non esiste nemmeno l'anima.

Il cervello è la sede di sensazioni e movimenti, dunque dell'anima, ma - afferma Galeno recuperando la tripartizione classica - solamente dell'anima razionale, che ha funzioni legate ai cinque sensi, all'immaginazione, al giudizio, alla memoria, alla percezione e al movimento. L'anima irascibile ha invece sede nel cuore, e l'anima sensitiva nel fegato. L'anima che proviene dal fegato si combina con quella che ha sede nel cuore, e qui hanno dunque origine gli 'spiriti vitali', i quali raggiungendo il cervello vengono trasformati in 'spiriti animali' nella 'rete mirabile'. Il cervello è dunque il luogo dell'unione tra anima e corpo; dal cervello poi gli spiriti animali si diffondono lungo i nervi per tutto il corpo: «Ubi ncrvorum prindpium ibi etiam animae principatum» (ibid.). Il cervello è l'organo dell'anima e nei ventricoli rnntienc lo pneuma; Galeno sostiene di avere raggiunto qucsln c·ondm:io1w sulla base delle sue dissezioni animali e di aver wl'ifirntn dw In coscienza non scompare semplicemente sczio11a11do il n-1 wllo i11 1111.1 qualsiasi delle sue parti, ma solo quando si lcdl' il 1Ìl'l1•11111111•111rimlt1r.111 iiili On questo

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Modelli ventricolari nel corso dei secoli: Alberto Magno (Duecento), Johannes Ketham (Quattrocento), Johann Eichmann (Cinquecento) (da Clarke, Dewhurst 1972). senso esso è detto sensus communis), ed essendo le sensazioni collegate alle immagini, nel primo ventricolo si ritiene localizzata anche la fantasia o immaginazione. Il secondo ventricolo, o ventricolo mediano, è considerato il luogo dei processi cognitivi: il pensiero, il ragionamento e il giudizio. Nel terzo, o ventricolo posteriore, è localizzata invece la ihemoria. Anche la concezione elaborata nel VII secolo da Teofilo sarà solo una leggera variante di questo schema, che resterà valido per tutto il Medioevo pur con molte differenze fra i vari modelli, differenze relative però solo alle specifiche localizzazioni delle facoltà nei singoli ventricoli (Pagel 1958). Nel complesso, il modello ventricolare resta generalmente valido ancora per Leonardo da Vinci, Berengario da Carpi e Alessandro Achillini; solo nel Cinquecento Vesalio si rifiuterà di localizzare le funzioni psichiche nei ventricoli cerebrali, concepiti come semplici cavità, peraltro comuni all'uomo e agli animali. Nello stesso periodo, avversano la tesi ventricolare anche Varolio (al quale si deve la metafora della 'corteccia' cerebrale) e Fresnel, i quali ritengono che gli spiriti animali responsabili delle operazioni mentali superiori risiedano nella sostanza midollare del cervello. Andrea Vesalio (1514-1564), l'iniziatore dell'anatomia moderna col famoso De Humani Corporis Fabrica (1543 ), sulla base delle proprie dissezioni di cadaveri umani conclude che l'anatomia di Gale-

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I ventricoli e la corteccia cerebrale secondo Vesalio (da Clarke. Dewhurst 1972). no fosse basata esclusivamente su dissezioni animali e poi indebitamente estrapolata all'uomo, confuta la dottrina ventricolare e l'attribuisce ai pregiudizi dei teologi, e nello stesso tempo produce le più accurate immagini della struttura del cervello mai avute in passato. Abbandonati dunque i ventricoli e le varie virtutes medievali, si tratta, a partire dal Seicento, di individuare nella sostanza cerebrale l'origine degli spiriti animali, origine che Gassendi individua nel corpo calloso, sviluppando una tesi che nel secolo successivo verrà ripresa da La Peyronie. Ma il punto di massima espressione del nuovo orientamento della ricerca filosofica e neurologica rispetto alla relazione fra anima e sistema nervoso centrale è rappresentato dal pensiero di Cartesio (1596-1650), che distinguendo 'ontologicamente' il corpo dall'anima pone da un lato il collegamento fra comportamento e cervello e la legittimità di indagare con metodo rigorosamente scientifico il sistema nervoso nella sua morfologia e nelle modalità fisiologiche di funzionamento, dall'altro - rispetto all'anima - si interroga sul luogo di articolazione del nesso fra la suslanza estesa e quella pensante, e lo individua nella ghiandola pineale {conarzum). La ragione che mi persuade è il fatto che considero che le altre parti del nostro cervello sono tutte doppie, come abbiamo due occhi, due mani, due orecchie e come, infine, tutti gli organi dei nostri sensi esterni sono doppi; e che, dato che non abbiamo che un solo e semplice pensiero di una medesima cosa nel medesimo tempo, bisogna ncccssnriumcnte che

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ci sia qualche luogo ove le due immagini che vengono attraverso i due occhi o le due altre impressioni che vengono da un solo oggetto, attraverso i doppi organi degli altri sensi, si possano radunare in una prima di pervenire all'anima, affinché non le rappresentino due oggetti in luogo di uno. [.. .]Ma non c'è alcun altro luogo del corpo ove possano essere così unite, se non in seguito al fatto che lo sono in questa ghiandola (Passioni dell'anima, I, 32, trad. it. Micheli 1966, pp. 273-274). Il dualismo cartesiano comporta un approccio nuovo al problema del rapporto tra anima e corpo nell'ambito della nuova prospettiva teorica meccanicistica. Il paradigma meccanicistico viene definito da Cartesio nel Discorso sul metodo del 1637 e viene da lui applicato all'uomo nel De Homine, pubblicato postumo nel 1662. L'interpretazione meccanicistica del funzionamento corporeo opera una profonda rottura epistemologica rispetto al modo tradizionale di considerare il vivente. Se infatti si assume che tutto il mondo fisico sia costituito essenzialmente da materia e movimento, allora tutti i corpi, sia naturali che artificiali, soggiacciono alle stesse leggi fisiche. Cade la distinzione tra meccanica e biologia e si sostiene una visione radicalmente nuova dell'organismo, i cui processi fisiologici sono ormai interpretati esclusivamente in chiave meccanica. Fra i viventi l'uomo si differenzia soltanto per la dimensione razionale, una vera e propria dimensione ontologica nella misura in cui Cartesio teorizza l'esistenza di due sostanze ontologicamente diverse, totalmente indipendenti, la res extensa e la res cogitans, il corpo inteso come materia organizzata, come macchina, e la mente, l'anima pensante, spirito inestesa, dunque unitario e indivisibile. Per l'interpretazione meccanicistica del funzionamento del corpo i modelli cartesiani sono le macchine idrauliche, le fontane e i complessi orologi del periodo: movimenti, posture, ogni comportamento, non sono altro che gli effetti della disposizione dei nervi che, come tubi, si innestano sui muscoli e agiscono come un sistema automatico di distribuzione simile a quello dell'acqua nelle fontane (Riese 195 8). Vediamo orologi, fontane artificiali, mulini e altre macchine siffatte che, pur essendo opera di uomini, hanno tuttavia la forza di muoversi da sé in più modi. [... ] Suppongo che il corpo altro non sia se non una statua o una macchina di terra che Dio forma [. .. ],non solo le dà esteriormente il colorito e la forma di tutte le nostre membra, ma colloca nel suo interno

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tutte le parti richieste perché possa camminare, mangiare, respirare, imitare, infine, tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e dipendano soltanto dalla disposizione degli organi (De Homine, trad. it. a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1969, pp. 135-136). In quest'ottica la fisiologia è solo un insieme di funzioni fisicochimiche; ogni processo fisiologico può essere interpretato meccanicamente, il corpo può e deve essere perfettamente conosciuto nella sua struttura e nel suo funzionamento. La forte valenza euristica del paradigma meccanicistico è evidente nelle parole usate da Stenone nel Discours sur !'anatomie du cerveau (1669): Non vi sono che due vie per giungere alla conoscenza di una macchina: luna, che il costruttore ce ne riveli lartificio, laltra, di smontare fino i più piccoli ingranaggi e di esaminarli tutti, separatamente e insieme. [. .. ] Ora, poiché il cervello è una macchina, non è il caso che noi speriamo di trovarne lartificio attraverso altre vie da quelle di cui ci si serve per trovare lartificio delle altre macchine. Non ci resta da fare altro da quello che si farebbe in altra macchina, cioè smontare pezzo per pezzo tutti i suoi ingranaggi e considerare quello che possono fare separatamente e insieme (cit. in Mazzolini 1989, p. 68). Nel pensiero cartesiano è presente anche una delle prime formulazioni del concetto di 'riflesso', laddove si afferma che la sensazione «si riflette come in uno specchio» nel movimento automatico tramite una sorta di 'arco' che collega uno stimolo a una risposta motoria. Questa terminologia, ovviamente, è contemporanea e dunque anacronistica rispetto all'opera di Cartesio: rende tuttavia in modo efficace la profondità delle intuizioni cartesiane e la dirompente valenza euristica dei presupposti teorici di tipo meccanicistico; il meccanicismo sarà infatti il paradigma di tutte le successive teorie del comportamento animale e umano come catena di riflessi. Per capire come [la macchina] può essere sollecitata dagli oggetti esterni che colpiscono i suoi organi di senso a muoyere in mille maniere le sue membra, pensate che i piccoli filamenti che provengono dalla parte più interna del cervello e compongono il midollo dei suoi nervi, sono disposti in tutte quelle parti che funzionano da organi di senso in modo da poter essere mossi con la massima facilità dagli oggetti sensibili; e, se appena sono mossi, istantaneamente tirano le parti del cervello da cui provengono,

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aprendo in pari tempo l'ingresso a certi pori collocati nella superficie interna del cervello stesso, e attraverso questi gli spiriti animali contenuti nelle cavità cerebrali prendono subito a fluire dirigendosi verso i nervi e i muscoli che nella macchina servono a determinare dei movimenti perfettamente simili a quelli naturalmente eccitati in noi quando i nostri sensi sono toccati allo stesso modo (De Homine, trad. it. cit., p. 157). Il meccanicismo dà dunque un enorme impulso alle ricerche anatomo-fisiologiche: l'ingranaggio dei diversi organi e il flusso degli spiriti animali nei nervi (cavi) spiegano la sensazione e il movimento; resta però preclusa all'indagir}e scientifica la mente, intesa come pensiero. Il cogito è funzione di una sostanza ontologicamente diversa e pertanto rispetto alla quale sono inadeguati gli strumenti conoscitivi Jell'in~~~~o p:11~:11n chi ~i