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Italian Pages 305 [313] Year 1975
MICHELE RAK
LA MASCHERA DELLA FORTUNA lellura del Basile «toscano»
LIGUORI EDITORE
Michele Rak (nato a Napoli nel 1940) si è laureato presso l'Istituto di Filolo gia Moderna dell'Università di Napoli dove ora insegna Sociologia della lette ratura. Filologo e ricercatore nel settore della storia della cultura e della teoria della critica e della letteratura ha lavo rato, presso il Centro di ricerca del C.N.R. per il Lessico Intellettuale Euro peo, ad una ricerca sul codice del " gu sto " nella cultura franco-italiana dei secoli XVI-XVIII. Ha pubblicato studi sui generi letterari e sulla genesi dello storicismo (La parte istorica. Storia della filosofia e liberlinismo erudito, Napoli 1971), sulla teoria della critica e della letteratura nel tardo sec. XVII (La fine dei rrammalici. Teoria e critica della letteratura nel lardo Seicenlo na poletano, Roma 1974), sulla tradizione letteraria popolare (La tradizione lette raria popolare-dialettale napoletana Ira la conquista sparnola e la rivoluzione del 1647-48 in AA.VV., Storia di Na poli vol. IV, Napoli 1974-75). Nell'am bito della ricerca filologica ha studiato il problema dell'edizione dei testi filo sofici e curato l'edizione delle Opere fi losofiche di G. Valletta (Firenze 1974) per l'Accademia della Colombaria di Firenze. Collaboratore del « Bollettino del Centro di studi vichiani •, del « Gior nale critico della filosofia italiana », de « La rassegna della letteratura italiana ,. , della « Enciclopedia dantesca », dirige una ricerca del C.N.R. sulla storia del la stratificazione delle culture e sulla let teratura dialettale del meridione d'Italia.
COLLANA DJ TESTI E DJ CRITICA
l. S. Battaglia, Occasioni critiche 2. S. Battaglia, La coscienza lette raria del Medioel'O
3. S. Battaglia, Esemplarità
e
an
tagonismo nel pensiero di Dante,
2 voli. 4. V. Russo, Sussidi di esegesi dan tesca 5. M. Pomilio, Dal Naturalismo al
Verismo
6. G. Macera , Francesco De Sanc tis. Restauro critico
7. M. Santoro, Fortuna, ragione e prudenza nella civiltà letteraria del
Cinquecento,
esaurito
8. S. Battaglia, Mitografia del per
sonaggio
9. A. Palermo,
Carlo Tenca.
Un
decennio di attività critica
IO. A. Cento, Il realismo documen tario nella « Education sentimen tale» Il. S. D'Elia, Il Basso Impero nella cultura
moderna
dal
Quattro
cento ad oggi
12. G. Mazzacurati, Misure del clas sicismo rintUcimentale
13. A. Palermo, Corrado Alvaro. I miti della società
14. G. Weise, Il rinascimento e la sua eredità 15. F. Bruni, Sistemi CTittct e strut
ture narrative (ricerche sulla cul tura fiorentina del rinascimento)
16. G. Pagliano Ungari, L'immagine del Partito nel romanzo francese ' '
fra 800 e 900 '
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17. M. Rak, La maschera della for '
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Letture
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Basile
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Questa è
Collana di testi e di cnt.J.ca » (*) diretta da Giorgio Petrocchi
«
Volume 17"
(*) Fondata e già diretta da Salvatore Battaglia.
MICHELE RAK
LA
MASCHERA
DELLA
FORTUNA
LETTURE DEL BASILE " TOSCANO "
LIGUORI
-
EDITORE
Pubblicato da Liguori Editore Via Mezzocannone 19, 80134 Napoli
@ Liguori Editore, S.r.l.
1975
I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le riproduzioni fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi
Prima edizione italiana Dicembre 1975
Printed in Italy - Tipo-lito Sagra{ - Napoli Grafico di Vittorio Bongiorno
a Salvatore Battaglia
Personam. coactus fero; licet in Italia nem.o sine ea esse possit, P. Sarpi. Let tera a J. Gillot del 12 maggio 16og.
LE NORME DI UNA LETTERATURA : TRA EMARGINAZIONE E CONVENZIONE
Molte delle soluzioni adottate da Basile nelle sue prove letterarie in lingua appartengono a quella che può essere ritenuta una nor male media della produzione letteraria italiana tra gli ultimi due decenni del sec. XVI ed il primo trentennio del sec. XVII, tra la protrazione delle linee manieriste e la sperimentazione barocca e marinista. Ma a parte il fatto che questa ideale media del linguaggio letterario attende ancora d'essere descritta come attendono d'essere descritti i termini del sistema culturale attraverso i quali essa si realizzava (committenze, istituzioni culturali, storia della condizione di letterato, luogo della letteratura nel sistema della comunicazione, sua differenziazione per livelli d'uso, etc.) per l'analisi delle opere ad essa riconducibili risulta poco utile il ricorso ad una ricerca per linee interne nella tradizione « letteraria » e cioè ad una ricostru zione di uno stemma delle loro fonti. Nei decenni indicati, in par ticolare nel regno meridionale, la forma privilegiata del lavoro lette· rario fu costituita da un articolato riciclaggio dei materiali delle tra dizioni locali in rapporto ad una situazione socioeconomica dalle difficoltà non nuove ma alimentate dal 161 8-1619 dalla guerra dei trent'anni, senza fratture evidenti nell'universo della comunicazione e nel sistema dei rapporti tra i gruppi sociali che la controllavano ma con sue modifiche striscianti attraverso le quali si ponevano in evidenza presenze di gruppi sociali « diversi » in concomitanza con una gradualissima e politicamente difficile ridisposizione della con flittualità politica. La diffusa percezione di un turbamento dell'equi librio sociale e nello stesso tempo di una sua staticità sostanzial mente priva di alternative costituirono i dissonanti contenuti di -
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tante operazioni letterarie napoletane nei decenni indicati, in parte - il caso di Basile - non sollecitate direttamente e soltanto dalle linee del processo culturale locale piuttosto alimentate dalla già umanistica mobilità del letterato - da tempo avvertita anche e spesso piuttosto come mobilità sociale - che favoriva la circolazione delle suggestioni di tutti i luoghi rivelati dall'età dei viaggi ora aperta ad un nuovo genere di percorsi : all'interno delle singole società e dei loro meccanismi di accettazione e di ripulsa e quindi delle loro ideologie. La separazione dalla linea manierista si realiz zava soprattutto a livello degli effetti del graduale ma in ogni caso avvertibile mutamento dell'intero sistema della comunicazione let teraria. La moltiplicazione di piccole tipografie adatte ad allestire stampe a basso costo ed a circolazione relativamente sempre meno limitata consentiva un sempre più differenziato accesso alla dimen sione della scrittura. Nella storia del singolo letterato questo defi nirsi di nuove dimensioni comunicative era difficilmente avvertibile e raramente avvertita. Tuttavia proprio l'esperienza letteraria di questo autore permette, ma è. il caso di molti altri legati alle stesse coordinate culturali, di ricostruire certe tappe della difficile « epo pea » attraverso la quale il « letterato » identificava la sua funzione sociale e quindi il tipo di opere adatto al pubblico dal quale ambiva essere approvato, e - nello stesso tempo - scopriva i congestionati e distorti volti di un'alternativa impossibile e tuttavia esistente quella del suo gruppo sociale - priva sino ad allora di parola e messa allora in condizione - a certi patti - di «raccontarsi». Il senso dell'accurata strategia sociale predisposta dal letterato Basile andava quindi cercato non nel suo oscillante repechage di materiali già consueti e desueti ma nella destinazione di questo, volenterosa ade sione ad una norma immaginaria costituita per il chiunque inten zionato a sottrarsi al suo anonimato letterario che era innanzitutto una emarginazione sociale. Altrove si sono già lette nelle favole della prima giornata de Lo cunto le tracce di un'idea di necessaria ascesa sociale come tema essenziale della loro struttura. Per questo la ricerca di Basile si svolse nella storicamente non contraddittoria - 6 -
LE NORME DI
UNA
LETTERATURA
accettazione e pratica delle due dimensioni possibili; quella delle opere in lingua attraverso le quali entrare a far parte- con la gra dualità e la continuità del proveniente da un gruppo socialmente subalterno - di una comunità e quella delle opere in dialetto alcune lettere adespote, le Muse napolitane e Lo cunto postumi attraverso le quali si identificava e si attivava la taciuta essenza della materia popolare. Una doppia operazione la cui seconda parte rimase- naturalmente- separata e non entrò che episodicamente a far parte dei «meriti» del letterato Basile ma che in ogni caso non si realizzò senza una sopita ma dialettica conflittualità con la prima, in partenza ed in effetti messa a tacere. Un doppio registro nel quale vennero segnate pressoché continuamente ed in contem poranea ambedue le linee di ricerca, magari soltanto attraverso una cifratura apparentemente gratuita ed una ripetizione apparente mente casuale. Questa lettura si esercita per il momento sul primo di questi registri, quello della letteratura in lingua e dell'ufficialità, alla ricerca del suo graduale definirsi come adeguamento alla norma vincente, del suo raggiungere attraverso di essa vertici di funzionalità sia dal punto di vista della «fortuna» personale del letterato che da quello di una non difficilmente verificabile efficacia ideologica, sia pure nella specie parziale dell'esperienza estetica. Questa ricerca di adeguamento e di efficacia si realizzò anche attraverso l'ideazione di meccanismi adeguati alle varie destinazioni comunitarie, di «disegni» esemplari per la compilazione della lirica celebrativa, genere supremo di una letteratura come strumento di relazione sociale. Questi mecca nismi costituivano uno dei segni dell'iniziata ricerca barocca e com pletavano il dissesto del sistema aristotelico ed umanistico dei generi, in gran parte già dissolto dalla pratica manierista dell'iterazione. Sul punto delle retoriche - anch'esse mezzi privilegiati di un qualsiasi rapporto politico - questa ricerca avrebbe insistito sino all'ideazione di una trattatistica competitiva con quella «antica». Ma in una fase iniziale, negli ultimi due decenni del sec. XVI e relativamente al regno meridionale, questa ricerca fu svolta in corpore vili e cioè attra verso il testo senza un fondo teoretico sufficiente o almeno senza una
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dialettica evidente ed efficace tra questo e la produzione letteraria. Da questo mancato raccordo, segno di una teoresi taciuta non di una sua assenza, derivarono le apparentemente « aperte » sperimen tazioni della lirica celebrativa e del romanzo, per scegliere due generi eminentemente comunitari. Queste sperimentazioni erano in parte preparate da una teoria di carattere filosofico e socioeconomico non retorico-letterario, da un non pronunciato universo contenutistico, quello dei fatti sociali. A significarlo erano chiamati i materiali più disponibili, quelli più e già standardizzati. Nell'insieme di testi qui esaminato le domande riguardavano la scoperta, in e attraverso questi testi, della norma, l'articolazione dei suoi momenti in fun zione di una « carriera » di letterato, le caratteristiche del « bello » così prodotto o, meglio, l'esteticità della funzione comunicativa adottata. Il tutto alla presenza di alcuni notabili risultati come Le muse napolitane e Lo cunto ai quali questa lettura intende sempli cemente introdurre alla ricerca del loro codice di lettura nell'altra, aliena eppure dialetticamente intrecciata, dimensione della scrittura, la sola in grado di rendere possibile in primo luogo l'esistenza del letterato e poi anche la sua scrittura « diversa », con qualche rara eccezione 1•
1 Sull'argomento il referente essenziale è la monografia di B. CROCE, Giambattista Basile e il « Cunto de li cunti », in Saggi sulla letteratura ita lzana del Seicento, Bari 1962 [19 1 1 1], 3-1 22 poi integrata dal saggio Giam battista Basile e l'elaborazione artistica delle fiabe popolari prima premesso alla traduzione italiana de Lo cunto (Bari 1925) ed in seguito riprodotto con lo stesso titolo in Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1967 [1929 1 ]. La saggistica si è di solito riferita alla produzione dialettale di Basile per un'introduzione alla quale cfr. n. 3. Le indicazioni relative ai luoghi di conservazione degli scritti citati sono state fornite non solo allo scopo di segnalare l'ubicazione di testi di difficile reperimento ma anche allo scopo di indicare gli esemplari utilizzati per la mancanza di dati definitivi su queste stampe. Le sigle indicano : BAV Biblioteca Apostolica Vaticana, BUB Biblioteca Universitaria di Bologna, BCBV Biblioteca Civica Berto liana di Vicenza, BCR Biblioteca Casanatense di Roma, BIISSN Biblioteca dell'Istituto italiano di Studi storici di Napoli, BMV Biblioteca Marciana di Venezia, BNF Biblioteca Nazionale di Firenze, BNN Biblioteca Nazionale di Napoli. L'indicazione cor. segna corsivi non presenti nel testo originale.
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LE NOR ME DI UNA LETTERATURA
In questo caso la ricostruzione degli schemi comportamentali di un letterato itinerante e quindi della serie di sollecitazioni attraverso la quale si era andato costituendo il suo repertorio di forme e della quale si erano di volta in volta materiate le sue scelte era almeno altrettanto significativo del registrare l'eterogenea non letterarietà di queste sollecitazioni e dello smontare le macchine, letterarie, ideate per soddisfarle, del rilevare quindi il nesso tra richiesta comunitaria, più o meno esplicitata, e modalità della produzione artistica. Un rapporto ampiamente verificabile nei testi qui presi in esame a riprova della loro funzione rituale e del graduale raffinamento di tecniche semiotiche intese a registrare sul piano di un discorso - e di una rappresentazione - ritualizzato le strutture di un immagi nario collettivo e cioè di un'ideologia e persino di una politica. L'esteticità di questa letteratura era nella sua funzionalità non solo in rapporto ad un destino individuale, quello del letterato, ma anche e soprattutto ad un destino della comunità definito attraverso la complessa cinesica dell'artificiosa scena di tutti i destini pubblici. Una letteratura la cui godibilità era nella progressivamente ampliata percezione della complessità del sociale continuamente regolata dalla ottusa rigidità della sua contemplazione attraverso la specola del potere. La bellezza era in un uso che si poneva « generosamente » come partecipazione a patto che fosse continuamente ribadito, rifi nito e completato dal segno, centrale, di un dato rapporto di forze « necessariamente » statico, supporto ideale per tutti gli idilli baroc chi. L'accentuato simbolismo delle forme d'arte era in questo senso funzionale all'occultamento/esplicitazione pubblica dell'implicito e dell'esplicito, alla regolarizzazione nel rituale di tutte le contraddi zioni come di tutte le violenze. Il fatto che questo immaginario con traffatto - o non contraffatto -nell'arte non assorbisse interamente le sue difficoltà, che evidenziasse al contrario a tratti umori nera mente contrastanti era dovuto all'attrito tra l'idea - tutta di ver tice e tutta politica - che intendeva sovraintendere al suo « disegno » e le contraddizioni - di vertice, di base e tutte politiche - che alternavano continuamente la sua desiderata come stagnante essenza - 9 -
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di « specchio ». Una inquieta considerazione della visione speculare che avrebbe percorso interamente l'età barocca. Nella lettura di questo immaginario il codice dell'immagine riflessa - quella del l'ufficialità - può comprendere tutte le categorie del giocoso, del l'idillico, dell'assolutamente normalizzato. Il codice del corpo che si riflette deve ammettere una scrittura segreta, una trepida perce zione dell'alternativa unita ad una dichiarata, disperata idea della staticità totale del mondo, così frequente negli scritti « popolari » dei primi decenni del sec. XVII da non poter essere trascurata come fatto storicamente episodico, naturale risultante di un lavoro, quello artistico, affidato anche ad individui, come Basile, legati a gruppi proprio in quei decenni capaci di definire almeno alcuni elementari tratti di una loro forse non alternativa ma certamente conflittuale visione del mondo. Questa letteratura non occupava un posto « importante » nella gerarchia dei fatti sociali relativi alla cultura considerata, tuttavia era utilizzata per compiti primari nella sempre complessa operazione di iterazione e stabilizzazione di questa gerarchia. Il madrigale e l'apparato costituivano solo momenti più o meno elementari di uno stesso accadiment.o rigorosamente, intenzionalmente pubblico. Le ragioni storiche del suo costituirsi vanno cercate altrove che non nel cerchio della soluzione formale e dell'occasione della sua ideazione e « pubblicazione ». Se il singolo fatto letterario appartiene in ogni caso ad un processo di stratificazione dei segni culturali e non sol. tanto di quelli letterari questa letteratura, letta nella tradizione e nelle vicende del singolo letterato, deve essere letta anche e soprat tutto nel suo realizzarsi come momento costitutivo di un immaginario comunitario. In seguito verticalmente trasmesso a tutti i gruppi so cialmente subaltemi esordienti - sul piano estetico - nella loro competizione proprio attraverso l'adozione parodistica e furbesca dei suoi più elementari insiemi di segni. A cominciare dall'abito e dalla lingua - di qui l'insistenza su di essi di tanta letteratura barocca. Se il fatto letterario era soprattutto - nelle particolari circostanze qui prese in esame - uno dei mezzi di appropriazione di una realtà -
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LE NORME DI UNA LETTERATURA
non qualunque ma di una realtà assolutamente individuata anche se obbligatoriamente cifrata una prospettiva culturologica ne de scrive sufficientemente almeno parte dei tratti che ne definiscono l'esteticità. Per essa non era necessario privilegiare l'epopea personale dell'autore né considerare esemplare il suo caso, muoversi piuttosto nei margini della dialettica tra una ricezione predisposta ed una sperimentazione adattata, alla ricerca delle incrinature generate in essa dalla contraddizione insanabile di due condizioni - quella del letterato e quella del gruppo dirigente - forse non ancora di due estetiche e dall'adattamento imperfetto dell'estetica dominante a sollecitazioni sempre più differenziate ed in certa misura incompa tibili con le gerarchie, pur già tutte postumanistiche e
moderne,
di
essa. Le opere d'arte, quelle letterarie, costituivano messaggi desti nati a procurare soltanto guadagni indiretti:
ancora affatto o in
misura irrilevante legati alle richieste di un mercato. Per questo in ogni loro tratto esse non potevano che essere segnate da questa destinazione: usuali quanto si voglia, scopertamente derivate da altri testi quanto si voglia, composte attingendo a tradizioni diverse ma definite da un solo rapporto quello della loro committenza o, il che è lo stesso, della loro destinazione. Per questo la cifra essenziale di questa letteratura era costituita dal
pubblica
teatro
e cioè dalla dimensione
del suo realizzarsi. Tutti i segni erano riadattati ad un di
segno rituale già predisposto che trovava nel suo storicizzarsi insieme le ragioni della sua iterazione e del suo, gradualissimo, superamento. Il senso del testo e quindi anche la sua funzione estetica si realizzava nella dialettica tra le macchine già così lungamente sperimentate della drammaturgia cortigiana e gli inserti formali e di idee (il
caso,
la
fortuna,
etc.) di un'altra drammaturgia, quella storica e
popolare, in ogni caso regolarmente esorcizzata da opportuni
avvisi
negli esordi del testo. In questa letteratura sembrerebbero a questo punto cercabili soltanto le linee di fuga di una coscienza storica ed estetica subalterna: non è possibile negarlo ma è necessario rivelare anch� il significato della loro funzionalità culturale e, a tratti, il margine segreto di un non detto. Questa opposizione tra le sfaccetta-
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ture dell'arte, costituiVa uno dei pochi spazi politici ed estetici a disposizione dei gruppi del « popolo » medio-alto. Il che costituisce il limite ma anche la caratteristica dei letterati ad esso legati. La gradualità del processo di trasformazione sociale non consentiva certo ad una ricerca estetica così regolarmente compromessa con l'istituzionalità salti troppo bruschi ma non impediva che essa risen tisse e formalizzasse gli scarni risultati di una verifica della filosofia corrente e quindi delle ideologie che essa contribuiva a sostenere. La drammaturgia dei testi basiliani non costituiva che la sovrastrut tura ridicolmente - talvolta beffardamente? - idillica di una trage dia storica malamente rivestita. A tutti i livelli del testo era perce pibile una quasi volontaria episodicità ed effemerità - destino legato ad un'occasione e ad un pubblico - grossolanamente superate sol tanto nel momento nel quale esso passava, riunito con altri, a costi tuire le « glorie » dell'autore e, nello stesso tempo, un ennesimo tas sello di una lingua letteraria. La mancanza di notazioni musicali e di cronache particolareg giate sulla loro rappresentazione impedisce una completa valutazione drammaturgica di questi testi basiliani. La scomparsa di questi dati va attribuita anche all'elevato costo della loro riproduzione in una produzione libraria orientata verso libri di basso prezzo ma va anche attribuita ai condizionamenti di una tradizione testuale fondata sul privilegio della parola. Questi testi appartenevano interamente ad una nuova dimensione comunicativa le cui pressioni sul sistema della comunicazione interessavano i modi di produzione e di vendita del libro - attraverso l'aggancio di gruppi di utenti sempre più nume rosi e socialmente differenziati - e nello stesso tempo le stesse moda lità d'uso della lingua - attraverso la diffusione degli scritti in dialetto, l'iniziato tramonto della saggistica in latino, il moltiplicarsi delle traduzioni. Questi testi prevedevano tuttavia, in forme diverse, integrazioni musicali, cinesiche o scenografiche per il loro momento di « pubblicazione ». Una gerarchia estetica di solito disposta a tutte le posizioni preparava questo messaggio multiplo attraverso due diversi privilegi tecnici e formali : il lavoro dell'ideatore della « mac- 12 -
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china » della rappresentazione e la divisione del lavoro per tutte le « parti » di essa. In questo senso, sia pure con infinite eccezioni, il lavoro « letterario » tendeva a definire i margini della sua autonomia e nello stesso tempo la violava continuamente aprendosi ad un rapporto estremamente differenziato con altri fatti estetici. Se queste vicende possono essere identificate come linee di tendenza è d'altra parte estremamente difficile decifrarle nei testi qui presi in conside razione anche quando si siano identificate tracce congrue di questa dialettica semiotica : è il caso delle modifiche apportate all'edizione 1 6 1 3 de Le avventurose probabilmente in parte motivate dal tipo di musicalità disponibile per questo tipo di favola maritima alla corte mantovana visto il tipo di esperienza artistica dei « virtuosi » a sua disposizione. In certa misura si trattava di testi che prevedevano almeno in parte di assumere la loro identità estetica in un momento diverso da quello della lettura e precisamente nel momento della loro unificazione drarnrnaturgica nell'ambito di un rito che solo ne avrebbe definito i significati estetici ed ideologici. Se queste con dizioni autorizzano una lettura « letteraria » di questi testi indicano anche in essi una pluralità di livelli semiotici della quale quella lettura deve tenere conto segnalando continuamente la possibilità di individuare nella serie dei significanti linguistici sia i significati convenzionali - i referenti ad una serie simbolica avvertita, ritra scritta e goduta come istituzione - sia i significati ulteriori, « la tenti » nel testo. Una lettura perfettamente omologa alla scrittura di cui si occupa : mossa tra i due poli dell'istituzione e della rivela zione, tra una norma doverosamente, accuratamente, « corretta mente » rivisitata ed una violazione raramente, difficoltosamente, in modo gregario rivelata. Degli altri fatti artistici sui quali si aprivano questi testi i più importanti, nell'ottica di questa analisi, rimangono i fatti dramma turgici, la coreografia e la gestualità raccordate in moduli dall'« al to » - cioè molto significativo per la comunità utente - valore semantico, segni privilegiati del sistema di norme della comunità e quindi luoghi inevitabilmente prediletti del suo identificarsi e tran- 13 -
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quillizzarsi in questa identificazione come naturalmente del suo pro vocarsi, superarsi, compiacersi. Un diverso procedimento avrebbe potuto forse definire in misura maggiore l'importanza di questi fatti ed avvalorare l'ipotesi della funzione dichiaratamente sociale ed ideologica di questi prodotti estetici. Tuttavia questo partire dalla letteratura non impedisce in nessun modo l'accesso all'opera d'arte come comunicazione e quindi come fatto sociale. Qualche ramma rico resta tra l'altro per l'impossibile ricostruzione delle sequenze musicali corrispondenti a queste sequenze testuali per una certa diffusione dell'esperienza musicale nelle comunità nelle quali esse furono elaborate. Nel caso specifico l'assenza della valutazione inter seriale di questi due sistemi di segni può essere ritenuta non di molto peso nella ricostruzione dei significati, in senso lato, dei testi esami nati soprattutto ave si consideri il fatto che si trattava di una pro duzione in gran parte costituita in assenza di una definita grammatica musicale o, meglio, in previsione di essa come successiva fase del lavoro di non esclusiva competenza del « letterato » ed in certo modo sottratta al suo controllo. Una distinzione che vale come si è detto nel caso particolare di Basile e sino ad un certo punto ma che non vale assolutamente in generale : la stessa Adriana Basile anch'essa probabile autrice di testi per musica era molto più in grado del fratello Giambattista di adattare musiche ai suoi o altrui testi o di ideare testi adatti a basi musicali predisposte. Molte delle trasfor mazioni che interessarono in quei decenni il processo di riprodu zione e di trasmissione della letteratura scritta vanno motivate con questo suo accesso - previsto e quindi « organico » ad una di mensione immediatamente sociale. La necessità di moltiplicare i tratti emblematici del testo per favorire una comunicazione sempre più differenziata, quella di individuare un codice e quindi una retorica il più possibile articolabili per il letterato itinerante, l'avver tita e spesso misurata parzialità della sezione letteraria in un prodotto estetico - l'apparato, la mascherata, la lettura in corte, etc. estremamente composito non potevano che recuperare in sede di testo scritto i moduli più comuni della tradizione letteraria. Di qui tanti -
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LE NOR ME DI UNA LETTERATURA
restauri petrarcheschi e tasseschi, adattati alle esigenze di una « dram matica » minima e tuttavia sensibilmente coinvolta nel gioco delle ideologie e delle politiche locali. Il che non escludeva l'illusione chia ramente sovrastrutturale di un lavoro sul testo e per il testo secondo le tranquillizzanti ma ormai largamente disarticolate ideologie let terarie umanistiche. L'adesione ad una linea di ricerca non intera mente disponibile al consumo totale dell'opera nell'occasione non andrebbe cercata nella tranquillizzante essenza delle raccolte di versi ma seguita nella rarefatta e ad ogni istante compromessa valenza delle singole composizioni poi riunite a formare quella raccolta. Operazione questa di una teoria semiculta della letteratura che pre vedeva una prassi letteraria della quale dovevano entrare a far parte anche l'aspirazione - e la pseudodescrizione - di una simmetria storica del proprio lavoro e del proprio ruolo sociale. Di questa aspirazione esistono, come si vedrà, molte tracce nell'insieme di scritti qui di seguito esaminato, la prima di esse è nel se si vuole contraddittorio in ogni caso tragico aggancio della propria vicenda personale a macchine testuali narratrici di vicende assolutamente prive di spazio per simili inserimenti. Vna contraddizione inesauri bile tra codice dell'individuale come sociale e codice del comu nitario come tale attraversa tutto il barocco italiano. L'esercizio di essa precisa le modalità della graduale costituzione di nuovi for mulari ideologici ed estetici almeno in parte connessi con i muta menti, già ricordati, nel sistema della comunicazione letteraria in gran parte sollecitati da trasformazioni sociali, di misure minime soprattutto nel meridione italiano, interessanti alcuni dei settori delle «parti » popolari e documentati tra l'altro proprio dal tipo di produzione letteraria qui esaminato. Questa produzione sembrava in ogni caso regolata da e volente rosamente ricondotta ad una ideale media linguistica e ad una topo logia normativizzata. Si trattava di un caso del caratteristico « scam bio » tra centri viciniori di produzione letteraria o estetica in genere in una fase di comunicazione aperta. A spiegare questa adesione è forse sufficiente la considerazione del « valore » acquistato dopo una - 15 -
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relativamente breve fase di scambio da macchine testuali collaudate in diverse occasioni. Una scelta che riguardava tanto i loro produt tori quanto il loro pubblico. Queste macchine costituivano il terreno di un effettivo contatto culturale tra i diversi centri italiani. I loro adattamenti reciproci segnavano il delinearsi di una visione « na zionale » dei problemi della produzione letteraria, in particolare per quello che riguardava la poesia. La più elementare di queste macchine, il madrigale, veniva ad es. prodotto sulla base di un sistema di attese pressoché automatico, ma, come dimostra l'analisi di macchine più complesse, questo era un fenomeno che interessava molti e più articolati livelli di comu nicazione. Una stessa codificazione a basso livello di probabilità doveva quindi unire anche i due sistemi linguistico e musicale. L'im probabilità poteva aumentare soltanto nel passaggio da un'area cul turale ad un'altra ma sempre alla presenza della ricordata tendenza ad unificare e « normalizzare » i modi formali. In questo tipo di pro duzione l'automatismo costituiva il luogo privilegiato della ricerca. Molte testimonianze databili proprio ai primissimi anni del sec. XVII, d'obbligo il riferimento a Le nuove musiche di Giulio Caccini del 1602, indicavano come di minimo valore semantico il passaggio da una struttura linguistico-letteraria ad una struttura linguistico-let terario-musicale e cioè realizzabile attraverso minime modifiche rit miche del testo letterario. Questo tipo di minimum era previsto anche dalla produzione basiliana, il che può anche contribuire a spiegare come le sue composizioni potessero rimanere prive di nota zioni musicali : doveva essere relativamente semplice musicare un testo già preparato a questa operazione da una consuetudine che interessava tanto i significanti musicali quanto quelli linguistici. Inoltre se la struttura non-musicale poteva ben essere assente nel caso di sequenze musicali già denotate con precisione dall'esperienza pre cedente dell'ascoltatore nulla esclude sia ipotizzabile anche il con trario che cioè strutture linguistiche fortemente convenzionalizzate potessero richiamare in modo pressoché automatico certe sequenze musicali. Fenomeno probabilmente accentuato nel caso di sequenze - 16 -
LE NOR ME DI UNA LETTERATURA
musicali o linguistiche collegate ad esperienze comunitarie ad alto livello di ritualizzazione. Il passaggio dall'una all'altra seriel quella musicale e quella verbale, era autorizzata in genere ampiamente dalla teoria musicologica barocca che tendeva ad accentuare il valore « descrittivo » della musica, privandola di una sua autonomia este tica e collegandola a sequenze concettuali definite. Queste sequenze tendevano ad essere istituzionalizzate in modo da costituire codici di semplicissimo uso. A provare le varie modalità di interdipendenza tra le due serie potrebbe essere scelto il topos di Eco, frequentissimo negli scritti di Basile e da ricondurre sul piano musicale all'uso dei contrasti piano/ forte che definiscono la nozione di « eco » nella musica barocca documentati sin dall'anno 1600 2 • Dato rilevante ad autorizzare una lettura « letteraria » dell'insieme di fatti comunicativi qui esaminati. Infine qualche dubbio potrebbe riguardare queste opere troppo attese, troppo scontate, troppo « normali » per costituire motivo di interesse per un pubblico assuefatto. Un certo rischio in questa dire zione si può dire sussistesse realmente, di qui l'infittirsi di variazioni microstrutturali delle singole « macchine », ma, trattandosi per lo più di una drammaturgia comunitaria nella quale l'accento era da
2 Cfr. M. PAGNINI, Lingua e musica, Bologna 1974, 50 sgg. : questo tipo di contrasti viene documentato almeno dalla Rappresentatione di anima et di corpo di EMILIO DE' CAVALIERI ( 1600) e dall'attività del fiammingo jAN PIETERS SWEELINCK. Anche in questa produzione era evidente quel meccanismo di concettualizzazione delle sequenze sonore che già iniziato nella musica rinascimentale fu pienamente teorizzato dalla teoria barocca degli « affetti » costituendo sul modello delle retoriche letterarie analoga retorica musicale. Le unità di un sistema dei sentimenti così come si era andato organizzando nella lirica petrarchista e poi manierista e barocca acquistarono gradualmente corrispondenti unità di un sistema di sequenze musicali di cui rappresentavano appunto i valori semantici. A questo pro cesso va legato il precisarsi della monodia come progressivamente avvertibile frattura della coralità umanistica e medioevale ed esordio di una teoria dell'individualità e dei suoi « umori ». Si comprende cioè come ci si potesse limitare al lavoro sul gerarchicamente più « importante » testo letterario alle cui unità « sentimentali » erano già associate nella consuetudine arti stica movimenti e tonalità ben definite (lvi, 82-84). Ma per un testo basi liano con notazioni musicali cfr. n . 43.
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porre sulla loro funzione ideologica e politica, era da cercare soprat tutto nella loro ridondanza il « compenso » della comunità interve nuta allo spettacolo piuttosto che nella quantità d'informazione da esso ricavabile. In ogni caso si trattava di una letteratura ad alto livello di comunicatività, che faceva cioè appello ad un codice dai significati molto evidenti caratterizzato però da una costante equi vocabilità che non solo faceva di queste opere dei prodotti estetici ma che costituiva proprio attraverso l'equivoco un altro codice dalle imprevedibili aperture. Una delle risposte al quesito sul perché leggere e così diffusa mente queste opere in lingua di Basile è, forse teleologicamente, dif fusa per tutto lo scritto : si trattava di cercare in questo lavoro pre liminare le ragioni storiche - anche a livello di storia della ricerca letteraria « individuale » - de Lo cunto. Ricostruirne le chiavi di lettura volte a evidenziare la pretestuosa sagacità del sottotitolo (« trattenimiento pe li peccerille »). Probabilmente un lavoro di ricostruzione della retorica ideata ed utilizzata da Basile nel corso di questa produzione avrebbe procurato altri dati, come avrebbe po tuto procurarne qualche ulteriore ispezione negli archivi Gonzaga, sulla vicenda personale di questo scrittore. Si è inteso muoversi su di un piano diverso, solo sul piano nel quale più immediatamente questa selezione di « figure » si raccordava alle « idee », ai « fatti », alle norme di una comunità o meglio alle norme di più strati di una comunità in posizione conflittuale. In questo modo si è ten tata anche un'altra risposta : questa letteratura degradata e seriale non può essere liquidata in sede di ricostruzione storiografica come produttrice di un'estetica reificata : la lettura di questo tratto della tradizione letteraria nazionale non è attuabile senza la classifica zione di anche questi prodotti estetici dotati, naturalmente, di una qualche ritrovabile funzione. In questa, nelle sue contraddizioni, nel suo essere contemporaneamente istituzione e violazione sono da cercarsi le costanti di questo tratto di una storia della letteratura e di una storia delle idee.
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LE NORME DI UNA LETTERATURA
Le due lettere in dialetto in seguito edizione de La vaiasseide di Cortese e del secolo 3 costituiscono probabilmente porto letterario interamente percorso dai rifiuto.
stampate in fine alla prima risalenti ai primissimi anni il segno di un primo rap temi della separatezza e del
3 Le quattro lettere adespote stampate in fine all'edizione 1 6 1 2 de La vaiasseide (La vaiasseide. Poema napoletano di Giulio Cesare Cortese il Pastor Sebeto. A compiuta perfettione ridotta. Con gli argomenti et alcune prose di Gian Alesio Abbactutis. Dedicata al potentiss. Re de' venti. In Napoli, per Tarquinio Longo, 1 6 1 2 [BNF]) di Cortese (poi cinque a partire dall'edizione 16 1 5) da cui sono tratte le citazioni sgg. - sono state variamente attribuite ora a CoRTESE (cfr. F. GALIANI, Del dialetto napole tano a cura di E. MALATO, Roma 1970, 1 34- 1 35, 163-165 ; P. MARTORANA, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Napoli 1 874, 1 5 1 - 1 56) ora a BASILE (V. IMBRIANI, Il gran Basile, in « Gior nale napoletano », I, 38-40; B. CRocE, Giambattista Basile, cit. 3 7-39). Premettendo che questa distinzione potrebbe benissimo esulare dai fini di questa lettura poiché queste lettere, chiunque ne sia l'autore, segna rono in ogni caso la prima fase dell'esperienza di Basile se non altro per il lavoro comune svolto con l'amico Cortese si sono qui scelte le lettere seconda e terza della citata edizione sia per considerazioni risalenti al testo de La vaiasseide (sul cui frontespizio era l'indicazione degli « argomenti » di « alcune prose » di Basile) ed a quello delle Muse napolitane (il cui avviso iniziale segnalava la continuazione della raccolta di fraseologia dialet tale già iniziata da Basile in « chelle lettere che fecero cammarata co la Vaiasseide, dalle quale, come robba propria, se n'ha pigliato l'accoppatura ») oltre che a certe evidenti corrispondenze di soluzioni (l'alba della seconda lettera e le congeries della terza ad es.) poi ritrovabili ed anzi elette a moduli assolutamente costanti ne Lo cunto (cfr. V. IMBRIANI, Il gran Basile, cit., I, 38-40). La quantità d'informazione in proposito non consente più di una oscillante divisione delle lettere tra i due autori senza dubbi rilevanti sul l'attribuzione della seconda e terza a Basile (F. Russo, Il gran Cortese e la Tiorba a taccone di Filippo Sgruttendio, Napoli s.d. [192 1 ], I 75-102 ; E. MALATO in F. GALIANI, Del dialetto napoletano ci t., 1 35-136 n. 297 ; S . NIGRO, Ritratto di G. C. Cortese. Problematica bibliografica i n « Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Bari », XVI 1973 ; P. FA sANo, Gli incunaboli della letteratura dialettale napole tana in AA.VV., Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma 1 975, II). La prima di queste due lettere, anepigrafa, iniziava con le parole « Comme vuoi frate mio ch'io te scriva » era datata marzo 1604, la seconda intitolata All'uneco schiammeggiante che po rompere no becchiero co le Muse era datata 20 maggio 1604 e firmata con lo pseudonimo Lo Smorfia che contrassegnava anche due composizioni pseudocelebrative pre messe alla prima edizione de La vaiasseide (per alcune fonti di questa pra tica cfr. R. MACCHIONI ]oDI, Poesia, cultura e tradizione, Urbino 1 967, 6 1 -67). Come altre esperienze anche questa delle lettere era stata preparata da un'analoga esperienza capacciana, in questo caso quella deii'Epistolarum -
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Le soluzioni formali adottate - la colloquialità e quindi anche l'andamento « drammatico » della lettera come genere, la materia popolate e soprattutto l'uso del dialetto - prendevano posizione in una dimensione letteraria occulta non « detta » o, almeno, « scritta » solo in parte - quella dei testi « poveri » dell'uso estetico della parola nei gruppi sociali subalterni - ed al limite equivoco tra i codici, mescolando l'aulico ed il triviale in una oscillante sollecita zione dell'uno e dell'altro. Questa dimensione e questo limite erano scelti nell'occasione litigiosamente letteraria del racconto delle prime difficoltà della carriera di letterato : in questo caso si trattava per lo
liber primus (Napoli 1615). Per qualche indicazione sulla stratificazione culturale napoletana di primo sec. XVII dr. R. VILLARI, La rivolta anti spagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1 96 7 ; per testimonianze sulla diffusione del dialetto nello stesso periodo cfr. G. B. DEL TuFo, Ritratto o modello delle grandezze, delitie e meraviglie della nobilissima città di Napoli a cura di C. TAGLIARENI, Napoli 1 959 e per una riconduzione del suo uso ad una pratica linguistica e letteraria propria di alcuni dei gruppi « popolari » dr. M. PETRINI La musa napoletana di G. B. Basile in « Belfa gor » XVII (1962), 405-43 1 ; ID., Questioni di letteratura dialettale del Seicento in AA.VV., Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, Padova 1970, I 501-514; M. R..ut, La tradizione letteraria popolare-dialettale napoletana tra la conquista spagnola e le rivoluzioni del 1647-48 in « Storia di Napoli », IV (1975), 573-747. Per alcune distinzioni, sia pure riferite ad altri ambienti, sul ruolo delle parlate dialettali cfr. D. MERLINI, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino 1894; J. E. GILLET, Notes on the language o/ the rustic in the drama o/ the sixteenth-century in Home naje o/recido a Menéndez Pidal, Madrid 1925 ; C. S'EGRE, Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, Milano 1963, 383-41 2 ; L. STEGAGNO PiccHIO, Sulle parlate rustiche nel teatro del Cinquecento: Saiaghese, lingua rustica portoghese, povano in AA.VV., Studi sul teatro veneto tra rinascimento e età barocca, Firenze 197 1 ; A. STUssr, Lingua, dialetto e letteratura in AA.VV., Storia d'Italia, Torino 1972, 703-7 10. S. S. NIGRO, Dalla lingua al dialetto. La letteratura popolaresca in AA.VV., Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco, Bari 1 974, vol. V t. II 190 433-528. Cfr. inoltre B. CROCE, Il tipo del Napoletano nella commedia in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1 962, 259-293 ; ID., La letteratura dialettale riflessa, la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico in Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1927, 222-232. Per l'espe rienza veneziana e candiana - peraltro scarsamente documentata ma collo cabile tra il 1605 ed il 1607 (data della spedizione navale comandata da Giovanni Bembo con la quale Basile tornò in Italia) - di Basile, soldato al servizio della Repubblica veneziana e membro dell'Accademia degli Strava ganti, cfr. B. CROCE, Saggi cit., 6 sgg. ,
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più di oscure allusioni ad un fuori di Napoli:
«
destino » ingrato che lo aveva portato
io non faccio antro che regnoliare, pioliare e gualiare penzanno a chella benedetta bora ch'io me ne pozza venire allà ncorrenno con ogne zumpo che sia quatto goveta a la vota de Napole mio? E fa cunto aggio abbannonato ogne gusto. E si primma me pigliava quacche sfatione co lo stromiento nuovo c'haveva accacciato . .. mo haggio sfonnolato la votte e iettato lo mafaro, che se l'ha pigliato chillo che puozze sguagliare, sulo pe n'bavere accasione de stare contento a· sti n..arditte paise dove me nce ashio alleggeruto de sane tate e tanto acceputo e allucignato che so'tornato ietteco, che si me vedesse mammama . . . (I 68).
Un'esperienza calabrese ed m particolare cosentina - ove s1 voglia prestar fede all'indicazione della quarta lettera, cartesiana questa volta.., stampata con La vaiasseide - raccontata con un mala nimo non spia di disagi ambientali (« sti cantravune e scarrupe dove perisco e arresenisco », I 68) e fisici ma di un avvertito disagio intellettuale: sti miedece n'hanno canosciuto da prenz1p10 la primma causa de la nfermetà mia e devevano ire a stoiare meglio lo sesto libro de locis affectis e lo Manoale de li Spetiale ca haveriano trovato tutto lo male mio nascere da lo poco cellevriello e con tante medecine m'hanno fatto peo ca bave fatto chiù operatione la capo che lo cuorpo con avere devacato quanto ne'era dinto de ioditio (l 6g) .
la cui risoluzione era in uno sperato ma non immediatamente realiz zabile ritorno a Napoli: perrò me scusarite V.S. si non te dongo sfattione a scrivere quacche cosa coriosa tanto chiù che pe le tanta medecine pigliate la Musa mia se n'è iuta a fieto e a vregogna e besognarrà comm'arrivo a Napole dare otto o nove caalle a quacche peccerillo che la vaa cercanno co no campaniello ntuorno lo shummo Sebbeto . . . pe te dicere lo vero n'haggio auto spassatiempo da nchire li schiaccole de la carta de fi lastocche (l 69-70).
Questo sperato ripnstmo della propria scrittura attraverso il rinnovato contatto con certi qui sottolineati settori dell'ambiente - 21 -
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d'origine era legato ad una non chiara vicenda che se aveva prova. cato l'allontanamento da Napoli con speranze deluse di guadagno («Era partuto da Napule co li cuofane pe nchirele de tornise da cca fare e po, pe no havere manco d'accattare na sarcenella, m'ha besognato metterelle a lo fuoco», I 70) era stata motivata da un rifiuto non si sa quanto motivato da ragioni letterarie ma in ogni caso segno di una chiusura totale alle ambizioni in questo campo come furbescamente specificato nella seconda di queste lettere a par tire dalla consueta «ragione» d'amore: Non saccio s'baie leiuto li Soniette compueste contra chillo scirpio, smeuzillo, sautam'adduosso, piuzillo, regnola, spipitato, zangrillo, pi deto
mbraca e
scazzamauriello
d' Ammore
che
m'haveva
pigliato
a
frusciare e nce mancaie schitto no tantillo che non m'havesse fatto mbrognolare la catarozzola (II 74).
Proprio questo e soprattutto l'immediatamente successivo scher zo sugli incerti del mestiere di letterato - emblematicamente indi cato come lo scrittore di lirica d'amore - indicava le difficoltà iniziali di una «carriera» vedremo poi quanto volenterosamente perseguita ma per il momento ancora non praticabile a meno di non scegliere la via con queste lettere appunto scelta, quella di un universo rovesciato con tutto il dispetto, l'autonomia e la beffa possibili all'oggetto di un rifiuto. Queste lettere, come la dedica
A. lo re de li viente premessa alla stessa prima edizione de La vaias seide, segnalavano l'esistenza di una- parziale - risposta a questo rifiuto realizzata con le stesse tecniche di quell'universo - culturale e quindi anche linguistico - rovesciato: si beffava e rifiutava la
dedica ed il sonetto in lode con altre dediche e sonetti in lode questa volta però assolutamente gratuiti, sganciati dal circuito dell'utile e dell'osservanza. Soltanto attraverso l'ideologia della vanità totale del l'essere- affidato ai capricci dei «venti»- si definiva «realistica mente» la propria condizione e posizione: proprio negli scritti in dialetto emergeva e veniva «scritta» la percezione della posizione subalterna che obbligava a tutte le rinunce. Di qui le ire tanto più
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terribili quanto più vane dell'emarginato : « mo scrivo st'autra [lettera] e pocca non pozzo veniremenne n'arma e ncuorpo allo manco screvenno sbafo, spaporo, sbotto e sfoco la crepantiglia e la schiattiglia... non ne'è autro che pigliaremello mpacientia o crepo o schiatto » (II 74). È in quest'ira il discorso in certo modo alterna tivo in ogni caso « diverso » - socialmente e culturalmente - che rendeva lecite tutte le scelte di queste lettere, dal calco beffardo del modulo aulico all'uso di un'altra lingua e di un'altra materia. Sembra difficile ascriverle interamente ad una condizione privile giata ed allegramente intenta a rifarsi il verso con estemporanei repechages nel parlato dei gruppi sociali subalterni. Qualche prova delle ragioni di questa perplessità può essere cercata ancora nel testo di questa seconda lettera molto più estesa della prima e disposta secondo uno schema fortemente analogo a quello che sarebbe poi stato lo schema delle favole de Lo cunto (certe soluzioni come quelle delle microfavole del giorno e della notte erano già nella prima let tera: « fi' da che l'Aurora se n'esce da lo !ietto de Titone chiagnenno ped'haverele chillo viecchio freddegliuso negato le ragioni soie... », I 68). L'uso particolarmente frequente della congeries è difficil mente classificabile come divertissement o semplice calco dialettale di una figura già consueta alla fine della linea manierista. La sua composizione avveniva attraverso una regolata giustapposizione di termini appartenenti ad una lingua «realmente » parlata di cui essa finiva per costituire una sorta di catalogo che, nello stesso tempo, ne scopriva e ne esemplificava lo spessore storico. Per questo proprio la congeries costituiva il termine eletto di tutte le beffe, il termine di comparazione sufficiente a sovvertire -con quantità eguali e beffar damente squilibrate - il topico ammasso dei moduli della scrittura ufficiale. Per questo, questo confronto aveva inizio con un ritratto di «sninfia », luogo prediletto dell'eros petrarchista e manierista : E l'auto iuomo a punto ashiannome dinto no vosco sarvateco a lo spontare de lo Sole verzo le 22 hora ncirca scontraie na sninfia, isce che bellezze cose, o schiecco de lo core, o mossillo moscoliato, o spe ranza de lo tatarozzolo suio, o mamma mia e che cesella de mporto-
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lantia, fa cunto V.S. ca era na cosa chiù de lo chiù, che propio te facea cannaola . . . subbeto che la vediette nce appizzaie l'uocchie e, restanno . . . tutto de no piezzo camme no pepierno o preta marmora co no parma de canna apierto, camme le fuie vecino cacciannome la coppola co na bellissima leverentia me lassaie scappare no sospiruzzolo utriusque iuris e co na vocella piatosa c'haveria spertosato no core de fierro le decette : O musso mio, spiritillo de st'arma, cacciacore de la vrachetta . . . (II 74-75) . -
Mentre i primi due fatti di questo evento esemplare - la rive renza e l'intonazione manierata della voce- apparivano beffati solo perché narrati in dialetto un terzo elemento almeno - le lodi della fanciulla - sfuggivano per la tangente a qualsiasi modello nel loro catastrofico sovrapporsi e segnalavano come la stessa fuga fosse stata attuata anche per gli altri momenti e come a contrassegnarla fosse stato chiamato in quel caso soltanto il dialetto: l'uso sic et simpliciter del dialetto era la chiave di scrittura e di lettura di questa contrap posizione. Il semplice cambio di significanti comportava di per sé una posizione diversa perché il suo uso discendeva direttamente da posizioni - anche letterarie- diverse. Richiamare antecedenti illu stri come quelli berneschi ha in questo caso un senso assai limitato serve a cercare un raccordo sul piano ideale di una storia letteraria appiattita su testi privi di relazioni con una mondanità al contrario in quel frangente sempre più urgente e decisa a prendere la parola. Questa percepita differenza si esercitava in primo luogo nel tipico gioco degli strati culturali subalterni: nel rifare il verso ai topoi degli strati dominanti. Cupido («Copiddo, subbeto che t'allommaie co na coda d'uocchie de sicco nzicco e de vrocca ca me vide e ca no me vide me chiavai no revierzo de ponta sotta le tetelleca », II 76), Narciso («me songo mirato dintro na scafareia d'acqua e poco nce mancaie che non me nnammorasse de me stisso », II 82), i conviti («no banchetto che nce porria magnare no Mparatore e mprimma ed antemonia no campanaro de puorco fatto ngrattinato, no ciento puglione idest na caionza co lo vruodo conciato.. . », II 78) e le loro musiche («tratanto spararà na museca de teorbia a taccone co lo tammorriello e dopo avere fatto no vestivicolle co lo terreche -24 -
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tentera co lo cute cute e lo tronche tronche senterraie na manciata de canzuohe toscane nove nove che cierto non se cantano lloco», II 78-79) erano i termini risibili di un costume anche letterario in quel momento avvertito come difficilmente avvicinabile e quindi rifiutato con l'ironia di questo rovesciamento o meglio ostentato spo stamento nella zona, non usuale e quindi non lecita e per questo politica, del dialetto. Ma ove si fosse limitata a questo questa ope razione letteraria non sarebbe che un altro documento di questo tipico momento del processo culturale della società italiana dell'inizio del secolo XVII. In questa beffa dell'ufficialità letteraria si uti lizzava, punto essenziale, una lingua munita di uno spessore storico - era appunto la figura della congeries ad illustrarlo - ed una tradizione culturale munita di riferimenti definiti: le canzoni, forma elementare ed «aperta» di trasmissione dell'ideologia e del suo linguaggio e cioè della letteratura: La prima vota ch'io, Donna poi che me !asse tu stare nvita non voglio chiù, Dimme amore e quanno maie, Raggio saputo ca si ma latella, Compà Vasile che faie lloco suso salutame no poco la commare pema riale, Quanno penso a lo tiempo passato, O Dio che fosse ciaola che volasse a la fenestra a direte na parola ma non che me mettisse a la gaiola, Tu si' de Trocchia ed io de Pascarola e reviettolo mio re viene e lo passatincolo e lo bellò, Parzonarella mia parzonarella, E le brache de lo mio amore se vonne ve vennere e boliteve l'accattare o belle fe femmene, E tanto me diste co sso naso nculo pensì che me faciste stemutare, Auza maruza e da la mano a Cola Cola se ngricca e sona la viola (II 79) . e po siente li piccerille cantare mille cose : !esce iesce sole sca glienta mparatore, Non chiovere non chiovere truone e lampe fatte arrasso, Nuie si.mmo li povere pellegrine e cient'autre sdrusciole da faretenne ire mbruodo (II 81).
Per definire la prima di queste due serie di sequenze popolari Basile utilizzava una frase - «Ma lassamo mo ire sti cunte del l'huorco» - inspiegabile senza la precedente allucinata conclu sione della Farza de li massare attribuita a Velardiniello: «Le pene d'autre so cunto de l'orco». Le «pene» dei diversi avevano cioè -
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trovato e trovavano la loro parola in questa produzione letteraria «povera » quanto si vuole e tuttavia solo strumento disponibile agli strati sociali che ne facevano uso. Da questa constatazione di questa presenza così come forse di questa violenza - storica derivava la possibilità di parlare in questo non nuovo linguaggio : �
aiutate lengua mia, se no te taglio (II 83).
Nel prosieguo di questa lettura si avvertirà il funzionalismo del l'estetica basiliana, queste lettere permettono di valutarne la misurata parzialità. Le scelte successive (e probabilmente anche quelle prece denti e contemporanee a queste lettere) di Basile non sarebbero state in favore di questo dialetto e di questa materia ma in favore dei moduli della letteratura culta e di altre dichiarate congeries : quelle di una mescolanza petrarco-tassesca. Si sarebbe trattato di scelte nelle quali è necessario leggere in ogni caso i tratti di una lacerazione tra due universi e, naturalmente, un occulto, occultato e trasparente loro inevitabile compenetrarsi. Non a caso il dialetto e la materia popolare si collocavano all'inizio ed alla fine dell'attività di questo letterato : esso poteva essere utilizzato prima di imparare a «parlare » - beninteso la lingua della comunità e dei ceti dominanti - e poteva essere fatto circolare alla fine di ogni discorso. Queste lettere documentavano in ogni caso uno dei primi tratti della produzione letteraria almeno in parte ascrivibile ad un fronte antifeudale precisatosi nel meridione d' Italia negli ultimi due decenni del sec. XVI in concomitanza con le rivolte contadine ed un accen tuato inurbamento. Le ultime prove di questa produzione sarebbero state in occasione della rivolta del 1647-48 ed ancora nel decennio successivo prima che la peste del 1656 alterasse definitivamente l'as setto societario della città facilitando su altri piani e con altri stru menti conoscitivi l'ascesa del «popolo civile ». Un lungo periodo quindi nel quale questa linea «popolare » non solo ritagliò un pro prio spazio culturale connotandolo spesso come alternativo a quelli dell'ufficialità dominante ma andò anche in cerca degli sparsi fram- 26 -
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menti di una sua tradizione e quindi di una storicità della sua condizione. Per questa operazione furono utilizzati i materiali del plurilin guismo già elaborati nel regno meridionale in concomitanza con l'affermazione del toscano come lingua letteraria alternativa al la tino . come lingua interregionale e sui modelli delle parlate rustiche toscane e non toscane. Operazione scopertamente collegata con un accentuarsi dell'antagonismo sociale non solo tra fonte feudale ed antifeudale all'interno della capitale in un momento di stasi del l'attività economica e quindi di chiusura baronale agli investimenti ma anche nel processo di differenziazione tra plebi urbane e plebi rurali (di qui la frequenza dell'uso di moduli già tipici della « satira contro il villano »). Una posizione sempre più articolata a partire proprio dalle tendenze classicistiche e quindi fortemente normative della teoria bembesca della lingua che avevano già favorito in altre regioni il moltiplicarsi dell'uso letterario del dialetto visto come lin gua locale e popolare polemicamente ed empiricamente - e perciò politicamente - contrapposta al toscano come lingua aliena e di casta. Se queste non potevano che essere posizioni di letterati semi culti e cioè legati al circuito letterato o aspiranti ad entrare in esso non è da trascurare come l'attività del letterato non si esaurisse nella scrittura e nella pubblicazione di un libro che pochi erano in grado di comprare e di leggere ma cominciasse proprio con una diversa forma di pubblicazione : quella della recitazione pubblica nel corso di riunioni, accademiche e no e di feste popolari. Queste erano le occasioni nelle quali questa letteratura in apparenza riser vata entrava in un circuito più ampio - quello che qui si indica come semiculto - sia pure pressoché totalmente contrassegnata dalla sua appartenenza a gruppi ristretti di produttori e di utenti ma proprio da essi necessariamente comunicata ai gruppi sociali dei quali si postulava l'adesione. Lo stesso uso della parodia era segno di una graduata mediazione tra le formalità della casta dei colti legata al potere politico e le formalità dei gruppi sociali subalterni e nello stesso tempo di una riappropriazione di uno degli aspetti più -
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vistosi del cerimoniale di questo potere, appunto la letteratura. In questo senso si intende come a spiegare questa produzione dialettale sia richiamabile proprio l'analoga esperienza teatrale, il primo luogo nel quale fu individuata assai per tempo la significatività del pluri linguismo. La rivelazione della corrispondenza tra costumi regionali e lingua si realizzò assai per tempo nel sec. XVI e facilitò in seguito il moltiplicarsi delle iniziative dialettali a cominciare dalla stessa Toscana con il precisarsi di linee alternative al fiorentino. Qualche indicazione diretta in questo senso poté venire a Basile proprio dalle notevoli differenze tra le parlate veneziane stabilite attraverso una articolata ricerca anche di forme periferiche ed arcaiche con molte tracce di ipercaratterizzazione linguistica e tematica regolarmente osservabili in materiali del tipo di queste lettere collocabili tra tratti iniziali della letteratura in dialetto del regno meridionale.
Le ragioni della prima prova letteraria in « toscano » di Basile 4 vanno cercate oltre la semplice motivazione d'una imitazione del 4 Il pianto della Vergine di Gio. Battista Basile il Pigro Acade. Stra vagante. In Napoli, per Tarquinio Longo, 1608 . . . [BIISSN], evidentemente un lavoro preparato a Candia per Nicolò Sagredo « provveditor generale et inquisitor nel Regno di Candia », al quale era dedicato (la lettera di dedica era datata Candia, 25 ottobre 1606), come provano le indicazioni di questa dedica : > br, Dedica, datata Napoli l maggio 1 5 9 1 . Per la linea di ricerca spagnola da vedere come una delle matrici di questo testo cfr. G. LEDDA, Contributo allo studio della letteratura emblematica in Spagna ( 1549-1613), Pisa 1970. 1 0 « I miei Concetti Scritturali, acciò che quei che furono in due volumi di Prediche mandati alle stampe, con questi accompagnandosi, mostrino due stili del dire in questo genere; et habbiano modo quei che si dilettano di for marne infiniti intorno a questi che destramente accennando daran campo larghissimo d'inventione )) , Della selva cit., Dedica.
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essi appreso per l'incremento di quella linea di naturalismo per così dire letterario di cui il monumento maggiore può essere considerata ancora una volta La Mergellina 11 dello stesso Capaccio. Questo naturalismo si distingueva e probabilmente intendeva distinguersi dal naturalismo « scientifico » praticato da Imperato o Della Porta tac ciandolo di un congenito antistoricismo, del quale certo il lavoro capacciano non poteva essere accusato. Nel far questo naturalmente questo naturalismo si poneva su una posizione culturalmente arre trata rispetto alla sorgente ricerca sperimentalista alla quale proprio il gruppo degli Oziosi che faceva capo a Della Porta, Stelliola ed Imperato, stava dando un decisivo contributo per non parlare del lavoro a latere del giovane Campanella. Ma si trattava di un arre tramento solo parziale dal momento che si fondava sui due tratti denotanti dell'ermeneutica e di una certa sorta di storicismo inte grale : si può dire che questo conflitto fosse il prodotto del processo di divisione in atto, sin dai primi momenti del loro differenziarsi, dei diversi rami delle scienze umane e di quelli delle scienze della natura. Di quanto questa posizione finisse per appoggiare una linea politica cittadina fondamentalmente conservatrice è materia di cui si parlerà più avanti. Altri passi del Delle imprese possono essere scelti come co-fonti de Il pianto (Come nell'elemento dell'Aria, dell'Acqua e della Terra possano l'imprese accomodarsi I 1 00 31 sgg. ; In che modo possa la materia elementare servir all'uso dell'imprese I 8° 25 sgg. ; Il cono scere la proprietà delle cose naturali è necessario alla bellezza delle imprese I 1 2° 40 sgg., etc.) ma è necessario non accentuare troppo questa dipendenza al fine di non snaturare l'operazione basiliana 11 Mergellina. Egloghe piscatorie di Giulio Cesare Capaccio napolitano nuovamente poste in luce con le tavole degli argomenti delle cose notabili In Venetia, appresso gli eredi di Melchior Sessan 1 598 [BNF]. Una ricerca sulle acque era nei libri VI e VII Dell'istoria naturale di Ferrante Imperato napolitano libri XXVIII nella quale ordinatamente si tratta della diversa condition di miniere e pietre con alcune istorie di piante et animali fin'ora non date in luce . In Napoli, nella Stamparia a Porta Reale, 1 599, per Costantino Vitale. ...
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che, si è detto, si poneva su altra linea con altri, forse più elementari ma artisticamente più meditati, fini. Ove infatti si sopravvaluti la funzione dell' exivit evangelico ed in genere l'iconologia delle imprese l'opera di Basile si pone su di un versante simbolista ed ermetico che costituisce soltanto una delle sue chiavi di lettura restando le altre sia nel naturalismo anzidetto sia nel congegno estremamente ritualizzato dell'opera destinata alla lettura di gruppo in un programmaticamente definito come limitato orizzonte di corte. Altre conferme dirette del rapporto con Capaccio possono ve nire da qualche passo de Il Forestiero 12, un dialogo in dieci giornate (come poi Lo cunto basiliano) del 1634 tra un Forestiero ed un Cit tadino sulle vicende passate e presenti della cultura e della politica napoletane. Subito prima di un breve cenno agli Oziosi (I 8 sgg.) il forestiero accennava alla gloria di Tasso, come già assorbita dalla tradizione e, per il presente, ammoniva a non tralasciare - nel l'ideale storia letteraria di Napoli - i nomi di Marino e di Basile (« non vorrei però che lasciaste Giovan Battista Basile e Giovan Battista Marino vostro Napolitano, la fama di cui ha ripiena l'Europa », I 4). La risposta del cittadino riguardava però esclu sivamente il mutamento di gusto sopravvenuto con la fortuna della maniera marinista con un certo fastidio per non ponibili, ad una ipotesi di lavoro storicista, problemi di confronto : questo ragionar sì che mi piace e non quello che sento importuno et insipido anzi d'ignorante per dir il vero quando si fa parallelo di poeti e si dimanda : chi
è
più gran poeta? (I 4) .
Che non si trattasse, nel caso di Basile e Marino, di un casuale accostamento lo provava il ritorno dello stesso in occasione di un
12 Il Forestiero. Dialogi di Giulio Cesare Capaccio Accademico otioso ... In Napoli, per Gio. Domenico Roncagliolo, 1634 [BCR]. Per l'attribuzione a Capaccio del sonetto Tornatenne Cortese e scaca priesto stampato in uno con la quinta iornata de Lo cunto (1636) cfr. B. CROCE, Saggi cit., 1 2 1-1 22.
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argomento molto importante per Capaccio, quello del cambio di ceto, ancora una volta i termini di paragone di un cavalierato acquisito per merito e non per discendenza erano Marino e Basile : con altro stile quel Cavaliera che riceve la degnità per l' eminenza della Virtù che cosi. in Napoli havemo havuto Gio. Battista Marino, che sia in gloria, honorato dal Duca di Savoia et havemo Giovan Bat tista Basile dal Duca di Mantova, che ambidue giunsero al colmo della Poesia (VIII 693).
Altri indizi, sparsi per l'opera, contribuiscono a sottolineare il sodalizio tra i due scrittori : in quest'opera tarda, terminata eviden temente pochi mesi prima della morte di Basile, Capaccio mostrava di conoscere bene tutte le coordinate della letteratura popolare in lingua (un accenno alla morte di Marzia Basile è in VI 5 1 1 13 ed in dialetto (una spiegazione del termine Chiafeo pseudonimo di Cortese nelle lettere premesse alla Vaiasseide era in I 1 9) oltre che alla produzione popolare e culta di canzoni (un accenno a Giovan Leonardo dell'Arpa era in I 7) ed in genere alla conoscenza del problema della locuzione dialettale 14 e di quella della religione po polare (tutto l'esordio della giornata seconda 61 sgg.). Nella tarda ottica de Il Forestiero, del 1634, non è probabil mente possibile cogliere l'ottica politica del gruppo degli Oziosi al quale erano stati legati sia Basile che Capaccio senza qualche defor mazione dovuta al notevole peggioramento dell'equilibro socio-eco nomico della città verificatosi appunto intorno al quarto decennio
13 Per questa tematica cfr. M. RAK, La tradizione letteraria popolare dialettale cit., 601-603. 14 Il cittadino sosteneva che un conoscitore del greco poteva cogliere nel napoletano più che un generico parlar « goffo >> un parlar « grecissano », il forestiero ringraziava del chiarimento « così per curiosità come per difen dere i napolitani che sono in Italia biasmati per la favella, ancor che questo par che tocchi alla plebe già che i gentil'omini sono lodati di un ghiotto parlare che si communica dolcemente e senza affettatione perché almeno non han goffa pronuntia come i fiorentini che ragionan con la gorga o savonesi che parlan mozzo » (lvi, 19). Seguivano due pagine di esempi di parole napo letane derivate dal greco. - 39 -
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del secolo. Tuttavia Il Forestiero resta un documento importante di questo gruppo e da esso si trarranno qui, con una breve digres sione, alcune indicazioni atte a definire la trama dei riferimenti che sarà poi possibile trovare nelle altre opere di Basile. Il primo riferimento non può che essere quello alla circospe zione con la quale veniva affrontata una tematica politicamente tutt'altro che esaurita e riproponente giorno dopo giorno i suoi sempre più drammatici interrogativi politici ed ideologici. Ad essi il praticante di emblemi rispondeva commisurando faticosamente una serie di idee assunte attraverso lo studio della storia con una realtà continuamente pronta a violare qualsiasi regola di comportamento. In questo senso l'esplicito rifiuto di Machiavelli appariva un gesto assolutamente di maniera in una narrazione che comprendeva, e spesso giustificava, tutta una gamma di efferratezze della mano pub blica e di quella privata. Ma probabilmente vi era nei confronti di Machiavelli anche un rifiuto motivato dalla secolare - e costan temente ripresa da tutti gli scrittori napoletani di materie storiche difesa dei diritti della città nei confronti dei principi (allora viceré) succedutisi al suo governo. Di qui l'ideale di un'autonomia repub blicana (I 24) ed il distacco verso i primi moti delle campagne degli anni intorno al 1 580 con il quale veniva più che altro osser vata l'incapacità dei viceré a dominare la situazione ed a ricorrere a continui patteggiamenti se non addirittura a trucchi - come la « machina » che fece saltare in aria il convento abituale rifugio del bandito Ascanio di Fusco - o a plateali inganni - come la strage del castello di Sessa dove era stato riunito, con la promessa del per dono, un folto gruppo di banditi. Il giudizio su questo fatto era prudente ma reciso : « ogni cosa mi piace ma il far morire quelli di Sessa non so se ridondi contra la fede regia » (VI 492-93). Cam panella non era mai nominato esplicitamente nel racconto della rivolta da lui ideata (VI 503-05) ma rimaneva molto evidente l'allu sione al coraggio ed all'intelligenza dimostrata nello sfuggire prima al Santo Officio poi ai rigori di una prigionìa spietata Ma era soprat tutto il convenzionale elenco dei viceré a mostrare, tra i riconosci- 40 -
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menti delle buone inclinazioni di ognuno di loro, la precarietà di un equilibrio socioeconomico i cui primi segni di cedimento furono avvertibili sin dalle frettolose iniziative di Pietro di Castro conte di Lemos viceré dal 1 6 1 0 (VI 5 1 9). Nel 1616 le opere attivate da questi, compresa la ricostruzione dell'università, erano in gran parte dismesse ed i successori si trovarono alle prese con un crescendo di difficoltà dal processo contro l'Eletto del Popolo Giulio Genoino intentato dal cardinale Borgia successore di Pietro Giron junior duca di Ossuna al problema del calmiere e della fuga delle merci, dovuto alla perdita di valore della moneta locale sul mercato internazionale, lasciato irrisolto dal cardinale Zapata. Il risultato fu un aumento della tensione sociale e l'incremento della repressione nei confronti della « malnata plebe » (VI 539). Con le sfilate militari organizzate nel 1621 dal nuovo viceré Antonio di Toledo duca d'Alba a scopo intimidatorio e con le prime difficoltà del viceré Ferdinando Afan de Ribera duca di Alcalà, nominato nel 1629, si chiudeva la pro spettiva di Capaccio su un panorama interno assai poco tranquilliz zante dal punto di vista dell'equilibrio sociale. Di questa inquietu dine del ceto popolare al quale sia Capaccio che Basile erano legati per nascita e che si vedeva costretto tra la pressione nobiliare e quella della « plebe » era prova sia la discussione sul sistema dei ceti napoletani esposto da Capaccio alla fittizia e provocatoria do manda del forestiero sulla possibilità di aggiungere altre piazze a quelle già esistenti in città.
Cittadino : - Me se volessimo bora esigere un novo seggio non solo sarebbe difficile ma impossibile. Forestiero : - Adunque non può il Re di Spagna far quel c'han fatto i Re predecessori? Non è padrone che potrebbe comandarlo? Cittadino : - Voi toccate un ponto fastidioso; e vi rispondo che non parliamo di volontà Regia, che questa sempre è superiore e sempre può fare e comandare quel che gli piace, ma non farebbe mai cosa che riuscisse in danno dell'autorità sua e dei suoi vassalli. [ . ] .
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Essendo già tanti anni sono stabilito il governo, con tanti ordini e privilegii in questa forma in che si ritrova adesso et in che si vive pacificamente, volendosi alterare si alterarebbe lo splendore dell'antica nobiltà che sta in possessione di cinque Piazze e sarebbe un porre l'arma in mano al Popolo, il quale non potrebbe soffrire che, come siede hoggi nel quarto loco a man sinistra, dovesse scender giù a tempo che se potesse salire un altro scalino 'l farebbe volentieri. Se miriamo all'interesse del Re in quest'ordine di sette Eletti, sei nobili et uno popolare, quando in alcuna differenza sono di pare voto tre e tre (già che Montagna è un sol voto) l'homo Regio inchina dove gli pare e resta padrone; che se giungete un'altra voce sarà sempre escluso. Havetemi inteso? Vi ragiono di convenienza (VIII 697-98) .
La « convenienza » della parte « migliore » del ceto popolare 15 derivava innanzitutto dalla coscienza storica della precarietà degli equilibri politici affidati alla strutturazione storica del tessuto sociale e politico della città e non ad un'astratta concezione della superiorità nobiliare 16• Se la città era ormai conformata in modo tale da avere « tutto un Cielo e tutte Stelle » nei gruppi nobiliari ogni modifica zione di struttura poteva anche essere ritenuta neppure teorizzabile. Né le pressioni della parte popolare potevano migliorarla, fre quenti erano gli ammonimenti contrari all'idea - evidentemente discussa in città - di una restaurazione dell'antica democrazia napoletana 17• 1 5 Una prima definizione del sistema cittadino dei ceti era in lvi, VII 636 : « i primi [i nobili si dividono in] di Piazza e fuor di Piazza. I secondi [i popolarz] in megliori e mezzana conditione, i terzi [i plebez1 in gente bassa ». 1 6 lvi, VIII 739 sgg. In quanto alla nobiltà italiana « molti han voluto collocar[la] ... nell'ultimo loco, perché sempre schiava e quasi estinta nelle continue invasioni », lvi, VIII 740. 1 7 « ... chiamerò ben confusione quel che all'ora parve ben fatto, cioè che ogni qualità di persone entrasse nel governo, cosa che toglie il decoro e l'autorità di governare perciò che si viene a quella bassissima oclocratia nella quale ha parte l'infima plebe », lvi, VII 636. Il governo napoletano era definito « aritocratico » dando al termine il significato « greco » : « po tendo esser del governo i megliori del popolo », lvi, VIII 777. « Nelle divi sioni delle repubbliche fu grande il nome popolare, nel dominio democratico essendo il popolo padrone assoluto. Ma l'ebbero per dominio insolente e che fusse quasi un ponere la spada in mano del furioso, essendo che questa rau nanza popolare suoi vivere a caso, massime quando cala giù all'olocratia che ordinariamente è scarsissima di sapere », lvi, 777-778.
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Non si trattava, nonostante alcune feiVenti dichiarazioni filono biliari, di una rinuncia totale ai diritti della parte di popolo ma di un rifiuto della pressione progressivamente intollerabile su una parte d'esso - i cosiddetti « migliori » - esercitata dalle altre parti della stessa classe. Che si potesse parlare di una classe di popolo oltre che dei suoi diversi ceti lo provava una lunga argomentazione nella quale venivano distinte le componenti delle due forze sociali attive a Napoli ed i principii storici della loro divisione 18• Si noti come anche in questo caso Capaccio utilizzasse per la sua storia l'immagine della Sirena già connotata simbolicamente nel Delle imprese, riprova del legame tra la ricerca storicista e la formazione di un pensiero poli tico in grado di alimentare una embrionale coscienza di classe. La soluzione delle difficoltà presenti veniva intuita, non affermata reci samente, in una evidentemente impossibile ripresa della parte popo-
18 « Forastiero : È possibile che dove una Sirena fa sentire la sua armonica lira possa ritrovarsi dissonanza ? Cittadino : Facilmente si gua stano le corde quando pigliano umidità e nella lira discordano l'alto e 'l basso quando ingrossano gli umori. Forastiero : Non intendo il concetto. Cit tadino : Ve 'l dichiaro. I nobili che nascono e si allevano nobili vogliono maggioranza et non ragione perché si deve loro e così la vicissitudine del mondo richiede e così conviene al costume civile et alla creanza politica. Ma perché spesso gli ottimati che sanno e ponno più non vorebbero che 'l popolo fronteggiasse et andassero del pari, cosa che abborisce la natura di quelli che conoscono di caminar con vantaggio, si risolvono di starsene ritirati dentro i cancelli della !or nobiltà e la ritiratezza genera disparità e dalla disparità nasce quella discordia civile che consiste in varii pareri, perché ne i negotii che si trattano ogniuno affetta superiorità, onde la lira comincia a far dissonanza. Il popolo all'incontro perché è nato in città libera, perché numeroso e vive con le sue commodità, non può patire maggioranza e si fa cervicoso e quando in certo modo pensa di esser suppeditato ritrova il terren duro a conseguire quel che desidera o che stima degno di esser posto in esecutione e spesso accade che ancorché conosca di aver torto non cura che la zucca contrasti col pino e così il basso discorda all'alto e si fanno ostinati l'uno ad esser vero patricio e l'altro vero popolare », lvi, VIII 78 1 . « La lira significò la concordia che per quel celeste simolacro se la defini scono propria i napolitani in braccio d'una sirena e di sei corde per l'unione di cinque piazze di nobili et una popolare. Ma non parve a me buona l'im presa di sirena, mai di cosa buona significatrice, sempre fraudolenta e che inganna e direi che più tosto è impresa per significar le delitie e i gusti della città alludendo alla dolce e delitiosa Partenope », Delle imprese cit., I 23. -
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lare delle sue antiche autonomie locali - impresa per la quale man cava la forza politica (e militare viste le sfilate del duca d'Alba e le sconfitte nelle campagne) sufficiente - ed in un calo della conflit tualità sociale esercitata, in una situazione di stallo di questo con flitto di classe, soltanto nelle « minuzzerie ». Capaccio intendeva il sistema dei ceti della parte popolare e le divisioni che, purtroppo (« L'unione è l'anima della città », VIII 782), lo attraversavano : « Napoli ha un Popolo di nome ma più Popoli d'effetto », VIII 783). Il Popolo si divideva in almeno tre-quattro ceti i gentil-homini, i dottori e magistrati, i mercanti, gli artisti ( « stampatori, orefici, della Seta, Pittori, Architetti, etc. ») ed infine la plebe, in quest'ultima era poi possibile distinguere altre divisioni sino alla sua parte dal comportamento sociale più imprevedibile e quindi pericoloso per l'ottica di questo popolare che tendeva a stabilire una contrattualità il più possibile stabile con l'altra classe dei nobili 19• Questo pro spetto e questa struttura sociale possono essere utili, nel prosieguo del discorso, ad intendere l'andamento della funzionalizzazione della letteratura di Basile agli interessi di certi ceti - la parte nobile del ceto popolare e le piccole corti dei fuori-seggio - ed ai loro bisogni di una letteratura d'intrattenimento simbolicamente non povera. Antecedenti sufficienti infine per intendere come l'ultima ragione dell'esordio basiliano in lingua non sia da cercare genericamente in un Tansillo rivisitato ma piuttosto nella edizione delle Lagrime di san Pietro preparata e fornita di argomenti proprio da Capaccio 20•
19 « .. diremo che sia la feccia della Republica e per questo cosl proclive a seditioni, a rivolutioni, a porre in fracasso leggi, costumi, obedienza a' superiori, quasi membri tronchi et umori infetti che con ogni picciol moto tutte le cose riducono a disordine; infelicità di artisti, bottegari, barcaroli, mulattieri e simil gente ... tre gradi di plebe, ove alcuni con !or arti vivono più civilmente, alcuni van declinando assai dalla civiltà et alcuni con gli infimi eserciti si riducono a tanta bassezza che non ponno ergersi a nessuna maniera di vero stato popolare », Il forastiero cit., VIII 785. 20 Le lagrime di san Pietro del sig. Luigi Tausillo con gli A rgomenti del sig. Giulio Cesare Capaccio, aggiuntovi le Lagrime della Maddalena del sig. Erasmo Valvasone con un capitolo al Crocifisso nel Venerdì Santo del rev. p.d. Angelo Grillo. Consecrate al [ ... ] sig. d. Fabrizio signore della .
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A partire da questa edizione è sufficientemente misurabile lo scarto tra le due operazioni letterarie, anzi della seconda rispetto alla prima ed, ancora una volta, la presenza del magistero di Capaccio. Gli argomenti di questi a Le lagrime tansilliane - ottave narrative ABABABCC come quelle dello stesso Tansillo e quelle di Basile costituiscono gli antecedenti più scoperti del successivo lavoro di ideatore d'argomenti di Basile a partire da quelli de La vaiasseide. Il confronto de Il pianto con Le lagrime dimostra un rapporto non basato su un saccheggio ma su una scelta intesa come differenziazione sia dell'apparato figurale che della dimensione filosofica. Su questi due piani si coglie immediatamente lo stacco tra le due prove lette rarie ma si coglie altrettanto immediatamente il progetto, ne Il pianto, di una forzatura tesa a trasformare le tonalità della narra zione epica di Tansillo in una rappresentazione elementare che prevedeva la ridisposizione di alcune delle componenti dell'archetipo in una struttura attivata da un meccanismo combinatorio definito in tutte le sue virtualità. I prelievi effettuati da Le lagrime sono infatti in più parti evidenti : in I 1 3 è la sequenza neve � acqua =
casa Carafa [ ... ]r, In Napoli 1697, nella nov1sstma stampa di Domenico Antonio Parrino, al Cantone di santa Chiara, incontro al Giesù Nuovo [ . . ] a spese del medesimo [BNN]. Per spiegare il prelievo del tema dell'acqua presente anche in quest'opera andrebbe ricontrollata la tesi di Vittorio Im briani (Della Siracusa di Paolo Regio. Memoria presentata alla Reale Acca demia di scienze morali e politiche, Napoli 1885, 4-5) della continuità del tentativo di fornire una versione piscatoria dell'Arcadia di Sannazaro di cui potrebbero essere termini appunto La Siracusa di Paolo Regio (1 569), la Mergellina di Capaccio (1598) ed in seguito, già in condizioni culturali molto diverse, L'Amatunta di Giovanni Canale (pseud. Tirinto) (1681) e la Mergellina di Emanuele Campolongo (pseud. Fidermo) ( 1 761). Una tesi integrativa potrebbe vedere almeno nelle opere napoletane di tardo secolo XVII dei tentativi di sostituire allo scenario « boschereccio » di derivazione toscana un impianto « marinaro » di derivazione napoletana. Questo naturalmente considerando l'importanza dei topoi lagrime come fiumi etc. già frequentissimi nella lirica devozionale manierista, cfr. i Pietosi affetti del reverendiss. P.d. A ngelo Grillo abba te cassinense cioè : Christo penoso, Christo in cuna, Christo circonciso, Christo flagellato, Essequie di Christo, Lagrime del penitente. In questa ultima impressione accresciute et megliorate dal medesimo autore .. In Venetia, appresso Evangelista Deu chino, 1613 [ma 1 594 1] ed in particolare nelle Lagrime. .
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tema [di Pietro] -+ pianto e nella ottava seguente si trovano tutte le componenti dell'insieme tematico poi raccolto da Basile, in I 1 7 s i parla della « pioggia di quel sangue innocente », l'acqua è tema centrale nelle ottave di I 21-23, a I 24 è « la lunga pioggia del suo pianto », a I 26 le « stille di sangue » e la sequenza dei luoghi comuni della tradizione cristiana interessanti l'immagine dell'acqua dal fango primigenio alla verga di Mosé (cfr. VI 13-94). Indicative le sequenze dell'ultima ottava del Pianto V (85) : « Deh dimmi Sole ove'l tuo carro corse l quando lasciasti il mondo d'ombra involto? l Tornasti tu sotterra a pianger forse l il tuo morto fattor qua giù sepolto? l O ne l'oceano onde (poco ha) risorse l tuffasti il mesto e lagrimoso volto l per poter meglio ivi entro lagrimare l usando al pianto tuo l'acque del mare? » e della sesta ottava del Pianto IX : « Torna a l'usato stile e 'l terren bagna l d'amare stille e che non versi l'onde; l che 'l fonte è scemo duolsi Piero e lagna l che 'l pianto al suo desir non corrisponde l perché la lena il duol non accompagna l poi che piacer (dicea) non spero altronde l che da l'umor che da questi occhi piove l manda dolente cor lagrime nove ». Ma il nodo del ripensamento di Basile su questi materiali è probabil mente da cercare nel pianto di Maria del Pianto XIII 288 sgg., nella individuazione del nesso sangue l pianto nell'argomento capacciano al Pianto II ed al nesso secondario sole l pietà nell'argomento al Pianto V. Basile cioè si collocava intenzionalmente come continuatore del lavoro tansilliano e capacciano ma secondo modalità ben diverse : quella che ne Le lagrime era una serie secondaria di immagini dive niva ne Il pianto un organismo figuralmente e concettualmente compatto a partire dal quale era possibile orchestrare una parola let teraria ed una rappresentazione fornite di coerenza - ideologica ed estetica - assolute. Allo scenario ideato da Tansillo ed adattissimo alle richieste dell'umanesimo arcadico Basile sostituiva una prospet tiva geometrica dell'essere, del fatto e della sua parola. Le frequenze del tema dell'acqua - che risulterebbero accen tuate in misura ancora maggiore ove si valutassero le sue posizioni -
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sempre centrali nel verso e quindi decisive per la sua significazione vanno ascritte alla dimensione naturalistica del paesaggismo di tipo capacciano, portatore di tutti i motivi dell'arcadismo umanistico me ridionale intrecciati con la scoperta tutta contemporanea di uno scenario topologico e quindi di una storia e di una tradizione let teraria locale. Non trascurabile doveva essere inoltre la matrice socio-ideologica - un contatto più o meno diretto con le vicende del « popolo » dei piccoli mercanti e dei pescatori era documentato sin dalle Lettere e quella filosofica, le percezioni almeno pro babili della ricerca dellaportiana vanno scoperte proprio nella idea dell'acqua e nel principio della metafora ambedue segni di una trasmutazione e di una riscopribilità del tutto nel tutto, l'idea cioè che era alla base delle indagini fisionomiche dellaportiane. In questo senso ne Il pianto era uno dei tratti della teoria della simmetria tra principia o res e verba che fondava una definita di mensione del realismo barocco. Filosofia e retorica trovavano cioè un nuovo, precario equilibrio fondandosi su due mutamenti essen ziali della loro funzione, l'una ormai aperta sulle scienze della natura, l'altra su nuovi circuiti sociali e linguistici. In questo senso l'artificiosità della lingua letteraria di Basile non andava più interamente ascritta alla tautologia manierista napoletana an cora viva ed operante negli ultimi due decenni del secolo XVI. Il pianto realizzava quindi a livello di microstruttura la stessa organizzazione che regolava la sua macrostruttura e cioè la sua es senza di opera. Era l'opera stessa a costituire una megametafora, tutti i suoi tratti non erano che metafore assolutamente congruenti e, nel loro piccolo, perfettamente analoghe a quella. L'opera cele brava la sua unità attraverso l'iterazione e la moltiplicazione dei suoi principi - tematici e quindi formali. Per questo il poemetto si col locava già sulla linea barocca per il suo tentativo di sviluppare, sia pure con tecniche in via di affinamento, quell'aggancio con il concreto - la nuova illusione delle scienze della natura - tanto più esasperato quanto più esasperante ed estenuato era il retaggio della ripetizione manierista. Anche attraverso minima come questi -
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esso contrapponeva ad un'immagine statica del reale una sua im magine ingegnosa forse non sovvertitrice ma certamente artificiosa nel senso di inventrice e realizzatrice. Questo procedimento a cerchio dal semplicissimo (l'acqua) al complesso (la rete dei segni acquei che può coprire - nuovo « diluvio » - l'universo delle cose) segnava un altro dei punti caratterizzanti degli esordi barocchi : l'interruzione dell'esercizio dei modelli toscano-umanistici e classici in favore di neostrutture spesso estremamente diversificate. Questa neostruttura aveva anche, almeno nell'edizione qui con siderata, una sua funzione individuata : era preparata per una rap presentazione. Molte componenti di questo poemetto fanno pensare ad un testo teatrale. La sua destinazione non era al lettore isolato ma piuttosto ad una lettura pubblica, del tipo di quella de La uaias seide alla corte granducale fiorentina degli stessi anni 21• Questa con siderazione permette di valutare ulteriormente il repertorio di figure utilizzato da Basile e di accertare come la sequenza ad incastro del l'immagine dell'acqua costituisse un'invenzione scenica di notevole effetto. Nell'esposizione orale la continuità dell'immagine dell'acqua conferiva al poemetto una unità fatta insieme, ancora una volta, di sapiente virtuosismo e di progetto teoretico e sociale. In questo par ticolare tipo di rappresentazione la sequenza metaforica prescelta riusciva anche a ridurre il repertorio gestuale ad essa necessario e forse non del tutto apprezzato visto il tema spirituale. Le due parti di questa rappresentazione - il lamento e la narrazione dell'occa sione del pianto e cioè la crocifissione - erano in questo senso più o meno equivalenti, le due voci caratteristiche di molte farse popolari. Queste combinazioni tra liquidi (acqua, pianto, sangue), i loro luoghi (occhi, piaghe, fonti, torrenti, fiumi) e i loro simboli (Muse, Cigni, Sirene, etc.) non erano quindi soltanto un esercizio metaforico
21 Per la lettura, musicata?, de La Vaiasseide alla corte di Urbino cfr. B. CROCE, Saggi cit., 122. Per la tradizione locale di queste rappresentazioni dr. L. AMMIRATI, Una serata di gala a Nola nel '500. La prima rappresen tazione del ' Pastor fido ' con il prologo di G. B. Marino, Nola 1962.
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dal limitato - in ogni caso esistente - retroterra teoretico ma piut tosto i moduli di una letteratura che si muoveva tra la rappresenta zione cortigiana e il neosapere magico-naturale. Evidente il rapporto con la combinabilità dellaportiana del naturale che poteva addi rittura essere visto, allo scopo di scongiurarne certi aspetti mate rialistici, anche come momento filosofico della tecnica poetica manierista dell'assemblage, dove questa operazione non era - e sono le due linee manieriste - una semplice ripetizione, tauto logia ininterrotta del già detto e quindi tranquillamente ridicibile, ma principio di una disintegrazione dell'insieme « classico » delle forme poetiche. Ma dei motivi dellaportiani il più avvertibile era quello teorizzato nei diversi libri di teoria fisionomica e cioè quello della corrispondenza o simmetria delle cose della natura tra di loro, ne Il pianto l'acqua si faceva pianto e poi sangue e viceversa in una combinazione infinita che rivelava l'occulta essenza polimorfa degli eventi, essenza che segnava la loro fondamentale identità. Una visione del mondo se si vuole statica e solo a tratti alterata dalle tracce del nascente storicismo. La sfuggevolezza dell'essere era rap presentata da animali liquidi come le serpi (I 1 5°-16°) e i polipi (II 1 6° 8) oltre che dalla già ricordata simbologia dell acqua/ pianto j sangue. Perfettamente congruente con questa instabilità dell'essere era la casistica morale ad esso sottintesa, il tema ricorrente era quello di un'etica attonita di fronte a quanto pure era stato possibile e cioè il supplizio del Creatore, la violenza esercitata sul Pacificatore, la costrizione esercitata sul Liberatore. La sfuggevolezza dell'essere signi ficata dall'insieme dei temi scelti era quindi anche la sfuggevolezza di un'etica non più perfettamente sicura dei propri confini. Non a caso a significare l'imbarazzo di fronte a questi dubbi venivano chiamate frequentemente le chiuse delle ottave (cfr. II 1 3° 7-8 ; II 28° 8 ; II 32° 8 ; II 33° 6-8 ; III 20° 8 ; etc.) e cioè i momenti di più sensibile variazione formale. Come la distruzione dell'intreccio si realizzava attraverso la scoperta della sua possibile assurdità che costituiva il nuovo intreccio così questo estenuante dubbio sull'etica '
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suggeriva nuovi, certo non compiutamente espressi in sede letteraria, interrogativi sulla sua essenza. Giuda, il traditore per eccellenza, poteva a questo punto essere anche l'emblema di un rapporto sociale avvertito come difficile (cfr. II 20°-22°). Il blocco iniziale di ottave (I l 0- 1 1 °) e quello finale (III 26°-28°) segnalavano il circuito tematico predisposto ed esercitato per tutta l'opera ed imperniato sul tema dell' acqua : Le lagrime canto io ch'a mille a mille sparse Maria de l'aspra croce al lembo a l'hor ch'empio dolor l'alma ferille veggendo essangue il parto del suo grembo . Pioggia non versò mai di tante stille ne la stagion più fredda humido nembo né fur si gonfi mai torrenti o fiumi com'i fonti ch'uscir da' suoi bei lumi. [cor.] (I 1° 1-8)
L'invocazione alle Muse - anche dee delle acque - compren deva l'allusione ad altri abitatori di queste (Cigni e Sirene in I 2° 1), la dichiarazione iniziale dell'autore ( « aprendo al petto le più interne vene » [cor.] (I � 5), la sua richiesta d'aiuto (« date piangendo aita al flebil canto » [cor.] I 2° 8), l'aiuto stesso della Musa-Vergine (« potrà inalzar il mio intelletto frale l sì ch'assaggiar possa io l'acque del rio » [cor.] I 3° 4-5) ed i suoi attributi (ad es. in I 5°), la stessa motivazione « spirituale » della scrittura poetica (« Quel sacro fonte d'acqua pura e viva l ch'a cui gustollo ogn'altra linfa spiacque, l tu sola puoi condurmi a quella riva l ond'io m'attuffi e bea dentro quell'acque. l Tu sol esser mi puoi Vergine bella l per l'ocean del pianto amica stella » [cor.] I 40 3-8) venivano rea lizzate con una regolare orchestrazione di questo tema. La funzio nalità di questa scelta era rivelata dalla varietà di esercizi tonali resi da essa possibili : il pianto della partecipazione dell'autore ( « se ben per la pietà piangessi tanto l che 'l cor per gli occhi in stille uscisse fuore » [cor.] I 6° 3-4) si faceva pianto richiesto ai lettori (« alternate piangendo il pianger mio » [cor.] I 6° 8), alla terra ed - 50 -
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alle sue profondità (I 7°), poi al sole, alla luna e le stelle (l 8°-9°) infine al tempo ed alla fama (I 10°) sino all'iperbole d'un nuovo diluvio di lagrime : e giaccia l'universo per tante acque un'altra volta come un tempo giacque [ cor. ] (I 10° 7-8)
L'estremità di questa gradatio ascendens non era tuttavia in questa iperbole ma nella più sottile iperbole del pianto senza fine dell'eco : Pianga la terra, l'aria, il foco, il mare e i venti per pietà spirino lassi, in tanto ch'udiransi lagrimare Huomin, Pesci, Angui, Augei, fere, erbe e sassi. pianga natura e l'opre sue sì rare ed Echo ancor, che muta sola stassi, al flebil mormorar di tanti e tanti risuoni mesta a' fier sospiri, a' pianti [ cor.] (l I I0 1-8)
Questo tipo di esercizio interessava tutta la struttura dell'opera, d'altronde molto semplice se prevedeva, oltre i due blocchi iniziale e finale, una sezione narrativa (I 1 4°, II l 0, III l 0-2° 1-4, III 8°-14°, III 18°-25°) ed una sezione dedicata al lamento della Ver gine (I 15°-36°, II 2°-44°, III 2° 5-8, III 7°, III 1 5°-1 7°), due ottave dell'edizione 1613 (I 1 2°- 1 3°) erano dedicate alle lodi per Felicita Guerriera Gonzaga, alla quale era dedicata questa edizione. La funzione di chiave tematica dell'esordio (I 1 °-1 1°) era compro vata dalla continuità del tema dell'acqua in tutte le altre sezioni del l'opera: nella celebrazione della Gonzaga (« ornamento del Min cio » I 1 2° l) chiamata a « mirar il pianto onde mie carte aspergo » (I 1 2° 6), nell'attacco della lamentazione della Vergine (l 14° 8) ed in molti dei suoi momenti (ad es. I 15° 8, I 16° 3-4, I 1 7° 6, I 20° 4, I 26° 4-6, I 27° 6-8, I 30° 8, I 3 1 ° 2, I 3 1 ° 7, I 33° 4, I 34° 1 -6). Ne risultava un effetto di risonanza tematica su un gran nu- 51 -
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mero di termini più o meno evidentemente connessi con l'idea del l' acqua. Era il caso ad es., della ferita del Cristo (I 1 5° 6) vista natu ralmente come fonte (I 1 5° 7-8) e quindi in genere delle sue piaghe (« E che piaghe son queste ond'ampio fonte / versan le membra tue sacre e divine? » I 1 6° 3-4) e del suo sangue (ad es. I 23° 6, I 26° 4-6). Questi esercizi, che saranno illustrati ampiamente più avanti, sottolineavano l'intento di non fuggire il tema spirituale sulla tan gente di un'operazione manierista ma di realizzare un meccanismo testuale da una parte raccordato con uno dei più collaudati modelli dell'umanesimo meridionale e dall'altra aperto ad una provoca zione - più o meno scoperta e polemica - nei confronti delle convenzioni letterarie manieriste dell'area napoletana. Una posi zione adatta a rivitalizzare il rituale della lettura pubblica, al quale l'opera appariva destinata soprattutto nell'edizione 1613, senza pro vocare scosse notevoli nelle abitudini degli spettatori/ascoltatori e nello stesso tempo ad appoggiare la formazione delle prime linee di un'operazione di gruppo sulla letteratura popolare-dialettale. I temi del paesaggio, i termini della corporalità, certa forma di sperimen talismo aperto a molte prove ma accortamente collegato ai rituali della convenzione letteraria in via di formazione - di qui la ric chezza di inserti dalla struttura tipicamente teatrale - la tendenza a rivedere - magari esasperandone certe virtualità figurali - il problema della lingua letteraria e del suo uso e soprattutto a lavorare sui suoi apparati figurali costituivano i segni di un già iniziato processo di revisione delle norme del dire e l'esordio di una sua nuova sistematica in parte anticlassica e quindi antirinascimentale. Questa letteratura da rappresentazione per piccole corti veniva incontro alle necessità della parte « alta » dei gruppi popolari, an che se segnalava di volta in volta soltanto una sfaccettatura di scarsa rilevanza storica nel processo di trasformazione in atto nell'intero sistema degli strati letterari molti dei quali emergevano proprio in quei decenni dal silenzio della tradizione orale e preparavano una loro, naturalmente ancora precaria all'estremo, istituzionalizzazione. Tracce di queste linee di tendenza erano ritrovabili anche in - 52 -
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questo esordio di Basile. In esso venivano lavorati pochi insiemi di temi con un procedimento elementare che rivelava un'accurata pre parazione dei materiali tematici e lessicali ed un progetto di scrittura eminentemente letterario. Il procedimento consisteva nella catalo gazione dei diversi componenti di questi insiemi e nella loro conca tenazione - immediata, totale e circolare sin dal primo verso attraverso una serie di moduli cerniera ed un sapiente uso dell'ambi guità terminologica. Il risultato, come si vedrà, per il tipo di temi e di moduli scelti sarebbe stato quello di una « spiritualità » recitata e vissuta in una sua materialità 22• L'idea dell'acqua - l'eletta tra le idee degli elementi per il ricchissimo repertorio di riferimenti accumulati dalla tradizione e recuperati da operazioni del tipo appunto del Delle imprese di Ca paccio - va considerata come l'idea-chiave de Il pianto. La prova di questa affermazione va ricercata nella ricostruzione degli insiemi tematici approntati da Basile. Il primo di questi comprendeva le lagrime (ad es. I l 0 l, I S0 6, I 9° 2, II 26° 5, II 35° 8, III l 0 6, III 28° 5), il pianto (ad es. I 4° 8, I S0 2, I 6° l, I 1 0° 6, I 1 2° 6, I 31 o 7, II l o 8, II 10° 3, II 2S0 l, II 26° 2, II 26° 8, II 34° 4, 22 La produzione spirituale di Basile era completata in questa prima fase da alcune composizioni aggiunte alla fine de Il pianto, già presenti nell'edizione 1608 e ritoccate nell'edizione 161 2 : l. [Canzone dell'autore alla beatissima Vergine] Miser non so che farmi (lvi, 41-43), 2. un sonetto [Alla gloriosissima Vergine] Beata aurora che di eterni fiori, 3. « alcuni ma driali spirituali del medesimo » : [Nell'lncarnation del Verbo] Hor che l'eterno Sole, 4. [Pensier infangatt1 Da l'Arca d'esto Mondo, 5. [Sicut Mirra electa etc.] O voi profani e rei, 6. [Nella circoncisione del Signore] Sparge l'eterno Verbo, 7. [Beltà caduca] Non vagheggiar cotanto, 8. [Per il Santis simo Sacramento] Per saper il rio mostro, 9. [Gioia de' Santi Padri] Al morir di colui, 1 0. [Ad imitation del Disticon del signor Stefano Ganguzo] Si benda gli occhi il Sole, 1 1 . [Assedio di Gierusalem] Vibra il Roman Signore, 1 2. [In morte del Signore] Scolorissi 'l bel Sole (lvi, 43-48), materiali di riporto del lavoro su Il pianto evidentemente, come provano certi accenni della Canzone (cfr. lvi, 43) preparati a Creta e percorsi già dalla tematica del disagio per la pericolosa vita militare che rappresentò una delle ragioni della scelta della più tranquilla ma non meno incerta vita di corte : « ... in questo mar crudele / onde non fu mai vista onda tranquilla l mentre in sdrucito legno al vento porgo l del celeste desìo le debil vele l non temo che m'assorbi ingorda Scilla » (lvi, 44).
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Il 37° 3, II 42° 6, Il 43° 5, Il 44° l , III 3° 5, III 6° S, III so S, III 1 1 o 6, III }go 2, III 26° 3, III 27° 4, III 27° S, III 2S0 l), il piangere (ad es. I 2° S, I 5° 3, I 6° 3, I 6° S, I 7° l , I 7° 5, I 7° 7, I S0 6, I 10° l, I 10° 3, I 1 1 ° l, I 1 1° 5, I 14° S, I 15° S, Il 1° l , I I 26° 7, I I 27° 2, I I 27° 3, I I 27° 5, I I 27° 72, I I 33° 4, I I 33° 5, Il 4(}>. La dedica era datata di Napoli, l gennaio 1627 . Seguiva un sonetto dedicato Al medesimo (« Scopre l'Alba il maggior de' lumi erranti ») e due anagranuni (lvi, 8-9) più un crittogramma celebrativo per Basile. Dati sui rapporti di Basile con la corte vicereale e con i letterati spagnoli di passaggio per Napoli o partecipanti all'attività dell'Accademia degli Oziosi dovrebbero essere ricavabili da una sistematica esplorazione del ms. BNN XVII 30. L'unica lettura sinora tentata (cfr. B. CROCE, Illustrazione di un canzoniere ms. itala-spagnolo del secolo X VII presentata all'Accademia Pon taniana nella tornata del 4 novembre 1900, Napoli 1900) ha stabilito la datazione delle composizioni in esso contenute tra il 1625 ed il 1635 e la loro disposizione originaria in almeno due nuclei di cui uno di poesie spa gnole forse raccolte per uso della corte di Antonio Alvarez di Toledo duca d'Alba, viceré di Napoli negli anni 1 622-1 629 ed un secondo nucleo di poesie spagnole e italiane fatte aggiungere da Adriana Basile, probabile committente del codice. La protezione accordata da questo viceré ai Basile - tra l'altro nominò Giambattista governatore di Aversa e ne ebbe in ringraziamento la dedica della raccolta di Odi del 1627 giustifica ampiamente questo collage cominciato dopo il trasferimento di Adriana e di sua figlia Leonora a Roma (1633) e quindi anche dopo la partenza del duca d'Alba (1629) forse solo allo scopo di mettere insieme almeno parte del repertorio spagnolo-italiano di Adriana e di esibirlo come documento del livello sociale raggiunto dal l'« arte >> dei Basile-Barone. Di Giambattista questa raccolta comprende le composizioni Desdichada alma mia dime que aras (l); Si mi vida si si si (2) ; Sefior quien Alba te /lama (3) ; Sighe el sol a Celia mia (4) ; Callo en balde mis enojos (5) ; No supo ya conocerte (6-7); Acaben ya tus rigores (8) ; Con vomero di foco allo stupore (160 a) ; Mentre d'ampia voragine tonante (lv1) ; Vergine al mi bel sen casto e fecondo (160 b) ; Bella Donna real ch'al vivo --
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odi delle quali molte già pubblicate nelle due raccolte precedenti ed in questa occasione in parte adattate ad una diversa struttura dell'ode. Composta di due sezioni - una sezione narrativa nella quale veniva diffusamente esposta l'occasione per la quale l'ode stessa era stata composta ed una sezione lirica - questa struttura può es sere considerata come uno dei luoghi esemplari dell'ideologia lette raria dello specchio. La sezione lirica mostrava quello che in altri casi aveva nascosto o lasciato scivolare negli anfratti dell'implicito : i riferimenti a circostanze apparentemente occultate da un coerente immaginario arcadico o mitologico o piscatorio o eroico ed in realtà volenterosamente esplicitate sia nei rapporti delle forme di questo immaginario sia con una serie di avvertimenti in certa misura esterni al testo dalla dedica, all'anagramma, all'acrostico sino alla spiegazione del tipo di quella adottata per questa come per altre raccolte. Non si trattava di una soluzione ideata da Basile ma diffusa in molti cen tri italiani 5 7 • Inoltre non è da prendere in tutti i casi come implicito
porte (lvi) (sullo stesso tema dell'eruzione vesuviana J. DE QuiNoNEs , El monte Vesuvio ahora la montana de Soma, Madrid 1632); Grido talor mercede (189 a) ; In questo duro scoglio (203 a). Le poesie in spagnolo di Basile sono state riprodotte da Croce (Illustrazione cit., Appendice, 2 1-24). Sono esse a segnalare un rapporto di Basile con i letterati spagnoli spinto probabil mente oltre questi versi per musica o per lode. A Juan de Tasis conte di Villamediana fu ad es. dedicato il madrigale Se verga illustri carte (Delli madriali .. II cit., 18), a Bartolomeo Leonardo de Argensola ed a Gabriele Leonardo dedicò gli anagrammi (Immagini cit., 2 5 ; agli stessi erano dirette, una segnalazione di Croce, due delle lettere deli'Epistolarum liber primus, Napoli , apud Ioannem Iacobum Carlinum, 1615, di Capaccio, 28-30). Ma que sto rapporto andrebbe definito sulla base di una sino ad ora mancante storia dello scambio culturale tra Spagna e regno meridionale, ed in questo settore particolare, dell'analisi comparata di questo con altri codici di rime italo spagnole conservati anche in BNN (come il BNN ms XIII D 13 ed il BNN Brancacc. VA 1 6 ; cfr . A. MIDLA, Un cancionero manoJCritto brancacciano in AA.VV., Homenaje a Marcelino Menendez y Pelayo, Madrid, 1899, 683692). In F. S. QuADRIO, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Milano 1 741, II 289, 375 notizia della partecipazione di Basile ad un volumetto di Rime d'illustri ingegni napoletani (In Venezia, Ciera, 1633), altre notizie in I 213, II 243, 583. 5 7 L'ode XXVII per l'amicizia di Nicolò Barbariga e Marco Trivisano (lvi, 1 06- 1 1 2) sarebbe stata ristampata ne I preludii delle glorie degl'illustris.
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nelle prime tre raccolte quanto esplicitato nella quarta munita dei contrassegni adatti ad identificare le occasioni per le quali le odi
simi signori Nicolò Barbariga et Marco Trivisano patritii venetiani Jmmf, veri et unici fondatori dell'Amicitia Eroica, consecrati all'illustriJS. sig. Gio vanni Tiepolo, fu dell'illustrissimo signor Francesco, da Francesco Pona . . . In Venetia, 1 630, appresso Francesco Baba [BCV]. Anche in questo caso l'idea della costruzione di un « tempio » (dedica di Francesco Pona da Ve rona, 10 dicembre 1629) presiedeva alla realizzazione di questo collage di materiali letterari sul « fatto >> dell'esemplarità dell'amicizia che aveva legato i due patrizi. Lo stesso procedimento adottato per questa raccolta richiamava la struttura delle odi basiliane : ai documenti legali attestanti le donazioni e le fiducie concesse tra i due amici seguiva la serie degli « encomii » (ma drigali, canzoni, sonetti, egloghe, iscrizioni, poemetti in latino ed in volgare, elegie, epigrammi, panegirici, lettere di ragguaglio, giudicii, etc.) che per il tema dell' amicizia eroica riutilizzava tutti i luoghi classici dell'amicizia ed usava come termini di confronto gli eroi assoluti dell'antichità come della modernità (Muzio Scevola, Bruto, Archimede, Scipione, Cesare, Alessandro Magno, Gutenberg, Flavio d'Amalfi, Colombo, Vespucci, Magellano, Cortés). Una struttura ideata con una ragione teorica (« non ha dubbio che se gli uomini ordinariamente prendono gusto della narratione finta de' casi umani con molto maggior ragione lo prenderanno dal racconto di caso vero, seguito e nel suo genere incomparabile, affinché chiarissimamente si vegga il fonda mento reale della verità di questo fatto singolare e maraviglioso sopra il quale sono stati fabbricati gli encomii che si leggono nelle seguenti compo sitioni ci è parso di dover qui metter distintamente e quasi in ristretto l'argo mento istorico di questa amicitia », lvi, sgg.). La poesia era in questo caso il versante obbligato della storia intesa come cronaca esemplare di un terri torio (cfr. un'altra teorizzazione dell' auto r della scelta in lvi, 142-1 44). Il « fatto » consisteva nell'aiuto dato da Nicolò Barbariga a Marco Trivisano nel momento della rovina di questi per sperperi e debiti di gioco, aiuto e fiducia poi pienamente contraccambiati dopo la nomina ad amministratore dei beni della famiglia Barbariga e ad esecutore testamentario delle volontà dell'amico. Il tipo di composizione inviato da Basile non solo era analogo alla struttura generale della raccolta ma anche ad altri tipi di odi in essa presenti (di Guido Casoni in lvi, 81-84, di Guidubaldo Benamati lvi, 75-80, di Baldassarre Griffi lvi, 1 1 9-124). Da notare in questa raccolta anche altri tipi di strutture letterarie visive a partire dalle poesie visive di Fortunio Liceto sui temi alae, ara, securis (lvi, 345-347) ad altre più complesse forme letterarie ai limiti del crittogramma (lvi, 350, 354-355). Gli altri autori della raccolta erano Claudio Achillini (1 56), Michiele Agapito (336), Antonio Alvise Aldrighetto (413), Gio. Battista Alicco (1 26), Domenico Baffo (1 73), Antonio Balcianelli (27 1) e Marc'Antonio Balcianelli (1 28), Andrea Barbazza (145), Gio. Battista Basile (62), Alessandro Becello (32, 1 2 7), Camillo Be celio (132), Francesco Belli (46), Guid'Ubaldo Benamati (76, 80, 1 18, 269), Mare'Antonio Benamati ( 1 1 7), Alessandro Berardelli (25, 26), Alessandro Bernardo (92), Francesco Bersabita (39), Antonio Bertolotto (1 56), Cristoforo Bianchino ( 1 28), Giulio Bienna ( 1 26), Lorenzo Biffi (342), Domitio Bombarda
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erano state composte : in qualche caso si trattava di un accorto rici claggio della sezione lirica adattata alla sezione narrativa con modi fiche di poco conto. Questa operazione non escludeva che anche nel caso della prima stesura si trattasse d'un'ode su commissione ed in ogni caso collegata ad una qualche situazione, escludeva soltanto la fissità dei riferimenti sociali dei quali essa doveva tenere conto. L'idea di mutamento non poteva che essere centrale in un gruppo sociale, quello comprendente tra gli altri anche i letterati come Basile, le cui fortune erano affidate a processi sociali assolutamente incontrol labili da parte di esso. La specularità sanciva la diversità di due di scorsi la cui assoluta identità doveva poter essere attentamente con trollata. Nello specchio non si vedeva che l'assoluta simmetria di quanto collocato dinanzi ad esso, idea tranquillizzante dell'impossi-
(38 , 1 16), Bombaci Gasparo (145), Baldassar Bonifacio (3 1 8), Francesco Bu senello ( 1 16), Giovanni Cacichi (326), Guido Casoni (81), Giacomo Castel lani (52, 261), Domenico Cesario (1 60), Antonino Collurassi ( 1 14, 233, 240, 329, 340), Stefano Contarini (32 7 , 408), Francesco Cortesi (40, 401), Toldo Costantini ( 1 1 2), Camillo Cuccio (3 1 8, 397, 399), Francesco Maria Dal Monaco (348), Alvise Da Mosto (32, 337), Ercole Doglioni (358), lacop'An tonio Federozzi (93), Francesco Ferranti (7 1, 72, 73), Cristoforo Ferrari (38, 1 1 5, 341), Giovanni Garzoni (70), Alessandro Gatti (354), Scipione Grandi monte (325), Gratia Maria Gratii (324, 352), Baldassar Griffi (1 21), Incerto (80, 1 18, 1 70, 357), Camillo Lenzoni (37), Fortunio Liceto (345, 346, 347), Gio . Francesco Loredano (5 1), Gian Francesco Maia ( 1 1 3), Higinio Maniaco (35 1), Carlo Antonio Manzini (16 1), Gio. Battista Manzini (146), Luigi Manzini ( 1 27 , 152, 1 55, 1 59, 1 72, 1 85, 337), Lucretia Marinella (74), Pietro Michiele (97 fino al 105), Faustin Moiseffo (320), Ovidio Montalbano (169), Floriano Nani (148), Hippolito Nannio (1 74), Fortunato Olmo (324), Aurelio Palaz zolo (393), Antonio Pandimo ( 1 1 4), Pier Francesco Paoli (92), Oratio Per siani (85), Giacomo Pighetti (359, 360) Francesco Paoli (265), Carlo Pona (6 1), Francesco Pona (45, 1 25, 1 29, 1 7 7), Gio. Prandino (56), Gio. Alberto Quarto (350), Raffaele Rabbia (148), Giulio Cesare Raggiolio (7 1), Francesco Ram baldo ( 1 3 1), Danielle Ranghellino (3 19, 356, 410), Francesco Remena ( 1 25), Alessandro Roia (1 28), Sebastian Romagni (328), Marc'Antonio Romito (333), Andrea Rota (149), Andrea Rovetti (61), Michiel Sacramoso (1 27), Gioseppe Salomoni (65, 70), Andrea Santa Maria (34), Giorgio Forret scoto (130), Henrico Southwelo ( 1 1 7), Alessandro Terzo (355), Tobia Tobioli ( 1 28), Lu nardo Todeschi (132), Girolamo Torsi (216), Matteo Vaijra (330), Gio. Valacrio (353, 406), Andrea Valier (361), Pietro Vandini ( 1 1 1), Simone Vandini (344), Polo Vendramin ( 1 1 2), Pietro Villa (272), Camillo Zaccagni (37), Gabriel Zinano (39). -
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bilità d'una diversità, conferma raffinata che qualsiasi rappresenta zione non poteva che protrarre l'essenza del soggetto specchiato. E tuttavia questo specchiarsi suggeriva continuamente una allucinata, beffarda presenza di un altro che pur essendo - certamente - un se stesso suggeriva tuttavia continuamente una presenza aliena. Una vertigine percettiva materiabile di qualsiasi contenuto. L'adozione di questo modulo speculare costituiva una soluzione alla possibile ambiguità della sezione lirica presa isolatamente, volentoroso comple tamento, talvolta maldestro 58, di un lavoro su significanti i cui signi ficati, ulteriormente definiti, non potevano che accentuarne la fun zione di segni adatti a stabilire ed a ribadire una certa rete di rap porti interpersonali e quindi una certa posizione sociale. La disposizione delle sezioni di questa raccolta richiamava - ne era una fonte o una derivante - la disposizione delle favole de Lo cunto, in quegli anni in via di rifinitura: un altro caso di 50 com posizioni, ognuna delle quali divisa in due sezioni - la favola e il microracconto gnomico finale - e legate da un cunto nel quale esse erano raccontate. In ambedue i casi un racconto come struttura presiedeva all'articolazione delle singole sezioni narrative, ne Lo cunto esso era costituito dal cinquantunesimo racconto - che era anche il primo - all'interno del quale tutto era raccontato, nel caso delle Odi esso era costituito da una narrazione - in prosa - della vicenda personale e sociale che aveva portato alla poesia. Se questa vicenda appariva frammentata e dispersa nelle Odi - i cui momenti lirici erano decisi da scansioni irregolari, imprevedibili ed autoritarie : le nozze, le morti, le vittorie, etc. - ne Lo cunto questa frammenta zione e dispersione sarebbe stata assunta a livello teoretico infran-
58 Cfr, ad es. le lodi per il cardinale Ferdinando Gonzaga : « egli è di tutte quelle più ricche doti d'ingegno fecondo che vagliono a far un uomo immortale. E chi presumerà giammai nello 'ntendimento della divina essenza di pareggiarlo? Chi nel conoscimento delle più occulte maraviglie della na tura? Chi nel prevedere i futuri influssi delle celesti ruote ? . » (Ode cit., 25-26), una evidente attribuzione delle « virtù » stimabili in certo ambiente ozioso ad un politico per il quale la definizione di esperto teologo o di astrologo avrebbe potuto anche riuscire dannosa. ..
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gendo con vendicativa empietà le regole univoche della logica dei tempi, dei luoghi e persino quella delle essenze storpiate e continua mente contraffatte in metamorfosi assunte come principio fondamen tale dell'essere. La sezione narrativa di queste Odi costituiva quindi il cercato contrassegno di un discorso che non avrebbe potuto assumere una logica autonoma - come poi sarebbe accaduto per le favole de Lo cunto - neanche in una prospettiva strettamente simbolica per ché definito da motivazioni letterarie specifiche e perché esplicita mente destinato a definire una condizione 59• Il discorso lirico era caratterizzato da un'autonomia relativa. Ove vi fossero dubbi su questa relatività soccorreva la sezione narrativa a dissiparne le om bre, le inutili ombre di una libertà non desiderata . Nello stesso tem po il discorso lirico perfezionava un appaxato formale dispostissimo ad inglobare tutti i tipi di segni - il caso degli anagrammi restava il più scoperto di tutti - ma nello stesso tempo a conservare almeno in parte lo straniamento tipico della fittizia sopramondanità di matri ce umanistica. A ridurre questo straniamento era chiamata appunto la sezione narrativa delle singole odi. Questo contatto facilitava un certo passaggio di forme tra le due sezioni che spesso finivano per contenere lo stesso tipo di soluzioni 80 ma anche per diversificarsi radicalmente nell'assumere le loro diverse funzioni. In particolare la funzione della sezione narrativa può essere esaminata osservando le odi già presenti nelle raccolte precedenti ed in questa quarta raccolta munite di queste giunte, era il caso della brevissima presentazione dell' ode Preme Esperia pugnace (VII
59 Indicativo il riferimento alla condizione parallela di Cortese « il p1u caro, il più onorato amico dell'autore che le sacre e sante leggi intatte serbar sapesse >> al quale era dedicata l'ode Nel sen d'Esperia Amore (XII 57-59). 6° Cfr. ad es. le lodi a Francesco Gonzaga (« Precorse [ ...] col valor il Tempo, calcò la Invidia colla Fama e si sottrasse all'ingiurie della Morte colla immortalità della Gloria ))) dalla tonalità equivalente a quella della sezione lirica : « Chi può ritrar in carte l serenissimo Duce l di te l'immensa luce? l Chi dir tuoi pregi in parte ? l Chi può appressar? Chi può mirar tuo lume l senza abbagliar la vista, arder le piume ? l ... >> . - 149 -
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4 1 -43) ricondotta ad un momento dell'esperienza di soldato 61 e di quella, più estesa, della celebrazione di un « arrivo » 62, ambedue casi nei quali la nuova sezione chiariva un implicito altrimenti troppo !abilmente segnalato. Proprio in questo rifiuto della !abilità era probabilmente il senso della riedizione di queste odi : ricercata storicizzazione di una condizione imperfetta continuamente necessa riamente aperta sull'occasione e consumata insieme ad essa. Pres soché tutte queste odi si limitavano a fissare quell'occasione ed a duplicare il messaggio già esplicitato con l'ode stessa 63• Anche il fittizio universo di megaessenze - gli dei il sole le stelle il mare il fuoco l'acqua - messo insieme con l'apparente scopo di fissare le lodi dei potenti nella società con le immagini delle forze nella na tura 64 non serviva che a raccontare un'epopea puntigliosamente 61 « Era sozzopra l'Italia né d'altro che d'ira e di morte si ragionava mentre l'intrepido Leone empiea di tremendi ruggiti l'Adria e 'l Tirreno quando l'autore, che dentro alle tempeste dell'armi dall'impetuosa Fortuna sospinto si ritrovava, premendoli nel vivo del cuore che tante armate schiere la tranquillità dell'Europa rendessero torbida ed inquieta, l'una e l'altra parte a sospender l'ire con l'Oda seguente pietosamente egli persuade >> (VII 41-43). 62 L'occasionalità stessa della composizione risultava ridimensionata da alcune precisazioni relative alle circostanze della sua stesura : « Alta ventura ebbe l'autore allor ch'egli trasportato dal desiderio di veder le pellegrine vestigia della Magna Grecia come le maravigliose ruine dell'altra veduto avea, vide et ammirò nello stato di Cariati l'eccellentiss. sign. Carlo Spinello principe di quello, sola reliquie dell'antico Valore, nella cui dottrina et elo quenza si ravvivava il lume del già spento Pittagora nel cui affabil seno si raccoglieva l'unico avanzo della perduta bontà de' passati tempi, onde et da' lampi della sua ardente virtù e da' fiumi della singolar benignità (di cui degnò più volte farli spettacolo) e essempio acceso e ebro mostrò nella comune letitia de' suoi soggetti per la primiera entrata che con la sua degnissima consorte egli fece al possedimento di quello, ne' versi che siegueno particolar segno della molta devotione che verso un animo così grande concetto avea » (X 49-5 1). 63 Cfr. ad es. : XIV 65-67 ; XXV gg._102; XXVI 1 03-105 ; XXIX 1 181 2 1 ; etc. 64 Cfr. ad es. : « Fra mille eminenti virtù che all'eccellentissimo sig. Tomaso Francesco Spinelli marchese di Fuscaldo fan riguardevole ornamento, virtù guida dell'anime erranti, stelle per l'umane tempeste, scale da poggiar al sommo bene, domatrici de' ribellanti sensi, ancore della vita et mezzi di unirei a Dio, la Pietà e la Religione son quelle che non men gradito il rendono al Cielo che famoso alla Terra . >> (XXXXIII 181-185). . .
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ricondotta alla propria persona ed al proprio ruolo 85 • In questo itinerario - perfettamente omologo agli itinerari degli apparati con le sue tappe obbligate ed i suoi indispensabili atti d'omaggio - non mancavano i momenti di una individualità quasi sempre percepita come momento di una relazione, più raramente come momento di una meditazione sulle regole che ne permettevano l'esercizio. Ad illustrare queste caratteristiche possono essere scelte due odi (XXII 91-93, XXIII 94-95) con le quali si alludeva ad un ballo organiz zato da Basile : la sezione narrativa ne definiva accuratamente la circostanza ed il ruolo : Passando l ' ecc. sig. principe d'Avellino in dilettevoli trattenimenti le notti del verno tra in liete giostre e in sontuosi tornei et in vaghe mascherate et in gioconde comedie et in piacevoli veglie et in festosi balli, una sera fra l'altre che in quella nobilissima corte delle più illu stri dell'Italia sovrana emolatrice s'erano gran numero de' cavalieri e di dame ragunate, mentre la più gratiosa di quelle secondo un proposto giuoco era al Tempio dell'Eternità (qui drizzato) dall'autor condotta con si peregrine maniere e con sì artificiosi modi, formò l'imposto ballo che dopo averla a scorno del Tempo in quella i.mmortal Magione collocata, quasi votiva tabella i versi che siegueno devotamente vi sospese . . .
La sezione lirica svolgeva in contrarium un discorso assoluta mente privo di riferimenti reali e tuttavia - come provava la sezione narrativa - pienamente realistico : Con gratiosi errori move Madonna il piede e dolcemente i cori
8" Cfr. ad es. le odi per morte XXXIII 1 35-1 3 9 ; XXXIV 1 40- 146 ; la già ricordata ode per la città di Paola XXXXIV 186-1 9 3 ; l'illustrazione delle carriere di uomini pubblici XXIV 96-98; le odi per ringraziamento XXXI 1 27- 1 3 1 e quelle per amicizie personali (per Della Porta XXXII 1 3 2-1 34, per Marino XXXV 147-1 50, per Mutio Barone XXXXV 194-198), per pittori e scultori come Gioseffo d'Acunto (XXXV I 1 5 1-153), Gio. Berardino Azzolino (XXXVII 1 54-156), Giulio Gratia (XXXVIII 157-158), Gio. Battista Carac ciolo (XXXIX 160-163) e Massimo Stantione (XXX:X 164- 1 7 2 e XXXX I 1 72-1 73), etc. - 151 -
M ICHELE RAK punge d'intorno e fiede e ben si mostra a più d'un vago amante non a piagar solo a girarsi errante. Non bastan le quadrella ch'avventa a l'alme ognora la man candida e bella ma 'l pié trafigge ancora ch'i giri son da lui formati in terra archi onde l'alme Amor saetta in guerra.
A riprova dell'adesione di Basile all'ideologia dello specchio può essere invece scelto un altro luogo esemplare di questa raccolta permeato di riferimenti reali anche nel momento della descrizione del più topico dei luoghi barocchi, il giardino : Picciolo sì ma dilettevol giardino , delizie della primavera, regia de' fiori, diporto dell'aure vide l'autore nel Piancerreto, feudo del Mon ferrato della sig. Adriana sua sorella, in cui tra le fresche ombre e le tenere erbette sorgeva di limpid'acqua marmoreo fonte che faceva lucido specchio ad un vaghissimo simolacro dell'ingannato Narciso , vestigio del raro ingegno dell'immortal Buonaroti et memoria della singolar liberalità del serenissimo signor duca di Mantova verso di lei dimostrata, la cui spiritosa imagine ch'uscendo dall'esser della pietra parea che partecipasse dell'anima fu eziandìo possente ad inanimar il suo morto stile, sì ch'egli toccando una superficie sola delle compiute eccellenze di sì peregrino marmo esclamando dicesse : Questi ch'al puro fonte doloroso garzon mira se stesso scoprendo ne la fronte tra vive gratie orror di Morte impresso opra è 'n cui di natura il pregio vinto l'arte si finse il ver ch'or vero è 'l finto . Sta così intento e fiso a vagheggiar la sua medesma imago l'ingannato Narciso che d'altrui schivo e di se stesso vago immoto è nel mirar l'aspetto vano e pur moto gli diè l'esperta mano. (XXVII I IJ-I I7)
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La sezione narrativa spiegava in questo caso - l'ode era stata già pubblicata nella terza raccolta - il vertiginoso aprirsi dell'illu sione in questo Narciso vero per arte dotato d'anima in uno specchio che era il luogo di tutte le illusioni e quindi anche di tutte le spe ranze pur nella sua apparentemente rigida essenza di produttore di meri riflessi. Una conferma a queste chiavi di lettura delle odi basiliane può essere cercata nelle Opere di un altro degli Stravaganti di Creta dedicate a Ferdinando Gonzaga 6 6 e cioè nelle Odi in quat tro parti di Guido Casoni, scoperto modello di tante operazioni basiliane. Alcune delle componenti strutturali del genere ode - e cioè della produzione lirica non musicale, esclusi quindi tra le altre forme anche i madrigali - e della funzione che avrebbe assunto nella temperie mediobarocca possono essere lette nella produzione di Basile ma questa indicava più che altro una linea di tendenza già da tempo assurta ad organismo letterario. Nelle odi di Casoni era la trasposizione lirica - in certo modo il perfezionamento di un repertorio di situazioni sociali ben definite e, a scanso di equivoci, annunciate dall'artista con una breve introduzione in prosa ai singoli componimenti che aveva la funzione di ribadire il nesso tra componimento e situazione e quindi di permettere la ricerca del suo rapporto comunicativo solo all'interno di questo nesso. Queste situazioni costituivano i topoi delle occasioni letterarie in particolare in territorio fiorentino e veneziano. La conversazione nel giardino 8 \ nella camera di riunione 68, nel corso di un ballo 69 66 L'opere del sig. cavalier Guido Casoni. Duod-ecima impressione, ... In Venetia, presso Tommaso Baglioni, 1626 [BMV]. 6 7 « Si ridussero in Murano alcuni gentiluomini illustrissimi non meno per la nobiltà de' loro maggiori che per la virtù propria in un giardino che con mille vaghezze della natura et con bellissimi scherzi dell'arte rappresenta le delitie d'Alcinoo, tra' quali il signor Carlo Belegno che per la profonda cognitione delle belle lettere e per l'amorose maniere de' suoi nobili costumi e non meno amato ch'ammirato da ciascuno, presa nelle mani una rosa pregò l'autore che le sue lodi cantare dovesse : ond'egli scrisse di poi l'oda che segue », lvi, I l .
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o di un gioco di società 7 0 offriva al letterato il motivo ed il luogo di « pubblicazione » dell'ode manifestandosi come celebrazione d'una località (lvi, I 2 1 ), di un'opinione letteraria o artistica (lvi, I 26), di una difficoltà sentimentale (lvi, I 31) e simili ma sempre sotto forma di richiesta o di invito o di suggerimento o, più esplicitamente, di ordine da parte di uno dei convenuti alle « nobili ragunanze ». La dimensione semiotica della singola composizione ed in genere dell'azione del comporre non era definita però da questa occasio nalità né dal richiamo alla situazione che l'aveva provocata ma piuttosto dall'insistenza sul rapporto tra letterato e committente più o meno casuale. Era in questo rapporto che si giocava l'essenza della composizione stessa. Questa intendeva limitarsi rigorosamente ad esserne soltanto il segno ed il discorso lirico intendeva appartenere non all'autore né forse neanche al suo committente quanto al rap porto tra essi stabilito che era appunto il « bel » rapporto di una
68 « . pigliò casa in Venetia ove riducendosi nobilissimi ingegni della città, spendevano qualche ora del giorno in dotti et fruttuosi discorsi, tra' quali il signor Teodoro Angelucci un giorno trattò con tanta eccellenza della natura dell'orbe lunare che come col moto della lingua rese quasi immobili le menti di quelli che l'udivano, così fu cagione producitrice dell'oda che segue », ll1i, I 6; « Discorreva il signor Zaccaria Sagredo, gentiluomo di nobile ingegno, di costumi soavi et di maniere veramente reali, come Platone non seppe altronde prendere l'origine de gli occhi che dal sole et per ciò Francesco Petrarca più intorno la laude di questi che d'altra parte di Laura con particolari compositioni si compiacque versare et così con la vivacità de' suoi concetti et con l'imperio che tiene sopra l'autore l'invitò a scrivere d'intorno allo stesso soggetto l'oda che segue », lvi, I 9. 89 « Con onesto trattenimento di piacevoli danze passavano gratiosa mente l'ore alcune belle et avvenevoli donne in casa del signor Guidotto Raccola, onoratissimo gentiluomo, et con nodi di sangue et di cara et vera amicitia congiunto con l'autore, quando modesta et avventurosa coppia d'amanti, leggiadramente danzando, diede occasione che fosse lodata la mano con l'oda seguente : Questa candida mano », lvi, I 19. 7 0 « II signor Giovanni Lioni, gentiluomo di vivace ingegno, in un gioco sanese che in casa del signor Carlo Ruzini da molti nobili spiriti fu ordinato, dovendo mostrare come talora l'ingannatore rimane a pié del l'ingannato rappresentò l'insidie di Vulcano tese alla bella Venere mentre ella amatrice et amata godeva i suoi furtivi amori poi che nelle stesse insidie si pubblicò la vergogna dell'insidiatore, il che viene espresso in questi versi : Poich'il Fabro geloso », lvi, I 24. .
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nobilissima corona di pellegrini ingegni » (Ivi, II 96). È difficile in questo caso parlare di poesia d'occasione dal momento che le « ragunanze » erano tutt'altro che occasionali ed il loro senso era proprio nella loro periodicità. Il letterato si assumeva il compito - ed esso gli veniva conferito -- di letterarizzare, nel senso di isti tuzionalizzare, questa continuità del rito comunitario e le sue for malità. La letteratura, in questo caso la lirica e l'ode, rendevano corrente e costante la parola altrimenti dispersa della comunità. Per eseguire questo compito era necessario disporre di un repertorio di immagini e di un sistema di produzione del discorso - e cioè di una retorica - fissi ed omogenei poiché omogenea quindi stabile doveva essere l'immagine della circostanza narrata e quindi l'im magine globale del discorso comunitario. Questo a limitare qual siasi variante che assumesse la forma d'una dissonanza che poteva essere la forma di un dissenso. Di qui la ricerca di più o meno estesi sistemi di figure che permettessero un regolare svolgimento del di scorso. La ricerca dello straordinario si configurava spesso come rintracciamento di una tecnica sorvegliatissima del dire, spesso di una tecnica del più accorto dei silenzi. Accorto al punto da tradirsi e da ostentare in questo caso la sua beffarda appartenenza ad un mondo alieno, quello della letteratura, nel quale era anche possi bile parlare di caso e di fortuna come regole dell'essere sociale senza altre precauzioni che quelle trascrivibili in un avviso a' lettori sem pre eguale e nella sua continuità anch'esso beffardo all'estremo e proprio per questo collocato spesso nella zona senza ritorno del silenzio. Si pensi a dimostrazione di questa regolata regìa del dici bile alle censure preventive dei testi alla corte mantovana ed alla loro empiricamente sapiente destinazione ora all'uno ora all'altro degli strati sociali ammessi alla rappresentazione. Una situazione che favorì la straordinaria moltiplicazione della ricerca di nuovi assetti dei repertori figurali, già dissolti quelli petrarchisti dall'ite razione e dalla contaminazione manieriste. Questo tipo di segnala zione del rapporto si manteneva più o meno esplicito anche in odi nelle quali era soprattutto un tema teorico a dover essere messo «
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in luce 71 e si dissimulava in fase di prefazione per porsi totalmente in evidenza in fase di dedica e di dizione nelle odi per morte (cfr. lvi, I 47, 48, 5 1 , 53, 55, 57, 61), per malattia (lvi, I 63), per nozze (lvi, I 67, 70), per lodi a sovrani (lvi, I 74, 76, 82), a città (lvi, I 88, 92, 94), ad accademie (in questo caso appunto gli Stra vaganti di Creta lvi, I 86). I casi riportati appartengono tutti alla prima parte di queste Odi che costituivano anche la più coerente delle quattro pubblicate da Casoni e proprio per la presenza di questa ottica comunitaria individuata ed esposta come il versante esteticamente più apprez zabile della seri ttura. Anche la seconda parte segnalava un mo mento sociale di indubbia importanza, quello religioso (« spirituale »), con una gamma tematica molto varia che segnalava la differenza ancora appariscente tra questa tematica e quella non-spirituale in via di formazione 72 • Al difuori di queste due sezioni, ritagliate pe raltro con tutta la difficoltà insita nel tentativo di differenziare due
71 « Li signori Sebastiano Veniero e Giovanni Francesco Sagredo, che rispondono alla grandezza de' loro maggiori con la grandezza delle loro virtù, fissero l'occhio in certa tela nella quale da mano eccellente era dipinto Narciso che fuori di sé medesimo vagheggiava se stesso e passarono dalla lode della pittura alla bellezza della favola e poi alla consideratione di quelli che quasi novelli Narcisi s'innamorano di se stessi e così, contra la proposi tione celebre nelle scole d'Amore, amano una cosa incognita perché non conoscono se medesimi e pure tanto in se stessi vivono innamorati. E quindi ritorcendo di nuovo il ragionamento alla finezza di quella pittura mostrarono desiderio che l'autore lo stesso amore di Narciso con la sua penna emulatrice del pennello del pittore rappresentasse : ond'egli, che vive avidis simo della loro gratia, scrisse l'oda seguente : Vagheggiatore e vago », lui, I 34; e cfr. lvi, I 38, 43. 72 Cfr. nella seconda parte delle odi una lode alla Vergine (lui, II 99), un'ode richiesta da Andrea Cornaro per un naufragio (lui, II 104), la cele brazione di una Trasfigurazione conservata nel palazzo di Minuzio Minucci arcivescovo di Zara e su un'impresa fatta dipingere dallo stesso « in alcune sue ville » (lui, II 124), un'ode per un'indemoniata (lui, II 109), per una profanazione (lui, II 1 20), per una conversione (lui, II 1 1 3), sull'inno Saluete flores martyrum (lui, II 1 1 1), per il beato Luigi Gonzaga (lvi, II 1 16). Non mancavano dei temi collaterali alla motivazione « spirituale », come quello filosofico della « miseria dell'uomo » (lui, II 1 22) o delle composizioni extra vaganti del tipo del tassiano Tancredi piangente sopra Clorinda estinta (lvi, II 130), etc.
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momenti sociali così connessi nel loro momento di organizzazione comunitaria, restavano molti materiali dispersi che costituivano nella loro apparentemente incoerente congerie i nuovi campi della lirica barocca, la rivelazione di un altro mondo del raccontabile non più posto in posizione subalterna nei confronti della lirica d'amore. Il declino di questa dall'orizzonte tematico di questi autori rimane uno dei caratteri distintivi di due età della poesia ed in genere della letteratura italiana ormai in tensione per un distacco progres sivamente più accentuato dal retaggio classico ed umanistico. Le coordinate di cui si è detto liberavano l'ode su tutti i « soggetti » senza che fosse possibile segnare il loro luogo in una qualunque gerarchia essendo lo spazio da essi occupato uno spazio non ancora percorso o meglio non percorso con traiettorie così continuamente diversificate. Niente quindi effetto di patchwork suggerito dalla di versità dei « soggetti » ma un'invenzione mobilitata su tutte le piste : « si dimostra come la bellezza di Dio diffusa nelle cose create ri splende più vivamente nell'anima virtuosa » (lvi, III 132), si illu minano i volti della morte, i « teneri anni » stroncati (lvi, III 144), si tessono « doni » per amanti proprie od altrui (lvi, III 142 ; IV 159, 16 1), si ripercorrono paesaggi familiari (lvi, IV 152, 155), si descrivono, vicini, gli Aspetti di dissonanti presenze : la Sindone (lvi, IV 1 48) e la lucciola (lvi, IV 163). Non si trattava, come è chiaro, di sfrenata ricerca di contenuti e di variazioni successive : il significato nell'ode non era nel tema che esponeva ma nel suo dare parola ad un pensiero che non apparteneva all'« autore » ma alla più o meno nobile « ragunanza » nella quale questi intendeva identificarsi. Nessun contenuto era cioè sciolto da un suo definito referente comunitario. Lo stesso tipo di tecnica adottato da Basile con la sola, importante, differenza della sua condizione di letterato, per così dire, errante che gli rendeva difficile l'identificazione imme diata - e quindi la conservazione - di un sempre identico termine di riferimento. È proprio in questo tipo di letterato e nella sua im plicita ed esplicita comparazione dei « cieli » di volta in volta per corsi che va cercata almeno una ragione della scoperta di un'iden- 157 -
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tità comune e dell'appartenenza ad una insospettata « repubblica » - non « regno » - fuori, malaccortamente ed accortamente, dei confini politici e sociali. La tecnica della traduzione del pensiero della comunità era messa in opera in modo ancora più esplicito da Casoni ne Il teatro poetico costituito da una sequenza di brevi scritti seccamente ripartiti, uno per uno, per lo più secondo uno schema che prevedeva un « sog getto » predicabile (« Amorosi avvenimenti », « Del fine infelice de' tiranni », « Altobello di Lodi », « Dello amore maritale », etc.) una narrazione ed una lirica sul tema, una triplice versione che risentiva fortemente delle tecniche espositive comunemente adottate nelle dicerìe sacre. Un'adesione provabile tra l'altro con l'analisi dei temi dei Ragionamenti interni (la « grandezza di Dio », la « solitudine », la « verginità », la « bellezza umana », etc.) in gran parte desunti da tratti correnti del discorso religioso « comune ». Momenti di una ricerca di un ambito di discorso diverso che non poteva che sof fermarsi lungamente proprio sul consueto per ritrovarvi le sue con traddizioni ed i suoi interrogativi. Un'ultima considerazione va fatta per la Passione di Cristo ad integrazione del discorso sugli « appa rati » preparati da Basile e sulla loro funzione. In questo breve scritto Casoni adottava la tecnica già della poesia visiva di Simmia giustificandola come una vittoria della poesia chiamata a « rappre sentare » « l'amore e ... la clemenza del nostro Salvatore » laddove evidentemente era piuttosto la tesi dell'umanistico ut pictura poesis trasformata nell'ossessione e nella vertigine ma anche nell'accortezza barocca dello specchio ad essere dimostrata da questa sequenza di figure come composizioni e, naturalmente, viceversa. Gli strumenti della passione erano allineati con la lucida sensibilità di una dimo strazione non con quella di un trasporto : la colonna della fustiga zione e le sferze :
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Fig.1
la croce:
Fio.
4
一159 一
Fio.
2
Fig.
3
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il martello ed i chiodi:
Fig.
Fig.
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Fig.
la, canna con la spugna, la lancia
°9
Fig.
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infine la scala ed i dadi:
£
Fio.11
Fig.12
二
=,也拙ゴ・『
Questa « rappresentazione》non era il semplice restauro anti quario di una tecnica desueta né la riscoperta d*una tecnica accor tamente competitiva ma rientrava perfettamente nella logica degli « apparati » e delle loro sequenze simboliche di motti, di dipinti, di cornici e di archi chiamati a significare le istanze e le norme dei gruppi sociali in grado di accedere alla parola ed allo spettacolo e cioè dotati di un sia pure limitato potere politico.
Le odi comprese nella raccolta del 1617 segnavano Faccesso anche a livello di composizioni d'occasione ad organismi tematici più articolati di quanto non sino ad allora possibile nel breve giro del madrigale 〇 delFode in lode. Le ragioni di questa svolta vanno cer cate nell'inizio (1612-1613) del lavoro filologico sulle edizioni di Bembo e di Della Casa (cfr. n. 88) ad ampliare e raffinare la pro pria « isperienza》letteraria, nelle sempre più intense sollecitazioni del sodalizio ozioso e nel tentato ingresso nel giro dei preparatori di macchine cerimoniali oltre che di una già percepita via realistica già segnalata ma assolutamente limitata dal « povero》ambito dei —161—
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madrigali. Alcune delle odi e l'egloga comprese m questa raccolta - di pessima qualità tipografica a prova di un'operazione edito riale probabilmente destinata ad un pubblico interessato ad un'in formazione letteraria a basso costo e di rapido consumo - svilup pavano temi naturalmente non nuovi ma da una parte materiati da segni della vicenda personale e dall'altra da una concettualità più diffusa, a segnalare un lavoro compiuto nel rispetto della norma dei generi scelti ma nel tentativo di una riconduzione graduale ad essa - o fuori di essa - di tutte le sollecitazioni rispetto ad essa più o meno extravaganti. Alcuni esempi di queste integrazioni e sollecitazioni possono essere ricavati dalla prima di queste odi, L'es siglio : si trattava di un esilio altrui, quello di un duca di Nocera, raccontato con il consueto apparato delle lamentazioni connesse al tema : la lontananza da Napoli è dolorosa ma è spesso senza colpa (« Non è l'essiglio indegno l da la nobil Sirena l (questo scemi 'l tuo mal) dovuta pena » ) il dolore che essa provoca pu essere alle viato da un equilibrato presentimento dell'avvenire (« ingiusto fia s' adune l pena dentro al suo cor, poca né molta l ch' al ver la mente volta l fa ch' adegui sovente l la futura speranza il mal presente »), prescrizioni a sollevamento di pena già della tradizione classica : ,
Non già tu 'l primo sei cui convenne lasciar l'amato nido: mille pur semidei qual te spinse anca il fato altra il suo nido, vedi quai d 'alto grido Giason Cadmo e Tideo hai per conforti al tuo destin sì reo Lasciar l' albergo 'u pria s'aperse i lumi a questo amico giorno vien che cordoglio sia a chi men di virtù si miri adorno. Non ha 'l valor soggiorno unqua a lui circoscritto ch'è patria il mondo tutto a l'uomo invitto .
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Una sentenziosità che ristabiliva in apparenza topoi non signi ficativi se non nel compiacimento derivato dall'iterazione di un con senso già stabilito, ma l'ode era iniziata con un cenno allo specchio (« ... o d'Eroi l vero specchio ... ») che si ripeteva dopo il tratto riportato (« ... in te prudente e saggio l quasi in specchio rimira altri che in sorte l possa a non degno oltraggio l di contraria a virtude invida sorte l ... ») e dopo un accenno, anch'esso come si vede assolutamente « normale », alle difficoltà per l'autore dell'ode di raccontare fatti così complessi (« Ma che recar presume l stelle al ciel, acqua al mar, frond'a le piante l privo in tutto di lume l a tanta luce lo mio 'ngegno errante? »). Se a questi segni occulti si aggiunge l'equivalenza Napoli nido di v. 16 e di v. 1 8 (anch'essi sopra riportati) e si ricorda la frequenza nei testi basiliani del ter mine cigno con il quale si indicava tanto l'autore stesso quanto in genere i letterati appare chiaro come questo esilio non fosse pro priamente o almeno non soltanto l'esilio del duca di Nocera piut tosto quello di Basile stesso e come questa sentenziosità collaborasse in apparenza perfettamente all'integrazione della consuetudine ideo logica sul tema ma come vi inserisse le lievi incrinature di una vicenda altrui, quella non raccontabile perché non appartenente alle gesta dell'ordine dei « semidei » . Lo prova tra l'altro la fuga nell'antichità alla ricerca di altri eroici esili e di un eroismo nel presente non tanto impossibile quanto difficilmente raccontabile - quanto durano gli eroi del presente? E cosa si può dire di essi senza pericolo? - e, soprattutto, difficilmente estensibile alla cate goria, inesistente sul piano dell'ideologia ufficiale, dei semieroi, come appunto Basile, la. cui presenza era rivelabile soltanto nella fugace apparenza della specularità. Lo stesso tema, la descrizione di un sé attraverso un altro, era anche nella seconda ode Per lo signor Massimo Stantione massimo pittore e poi in altre odi per pittori o scultori. In questo caso si rac contavano soprattutto gli strumenti del proprio lavoro evidenziando gradualmente l'impossibile operazione di una rappresentazione subli me: « Onde torrò i colori l per ritrarti in mie carte l emulo di =
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natura, onor de l'arte? l Onde lumi e splendori l per farti al vivo espresso?». Il racconto dell'esperienza di scrittore attraverso quella di pittore era evidenziato in particolare nelle chiuse delle singole stanze : Saran famose e tu famosa in esse se sian tue glorie entro sue glorie espresse (vv. 15-16) Quelle accogliendo sol che per sé fanno stupor a l'intelletto a l'occhio inganno (vv. 23-24) avrebbe ella [ la natura] sovente ogni opra di sua man già posta a fondo se rifar non potessi un più bel mondo (vv . 30- 32) et sì 'l finto da te s'acquista fede che l'orecchio s 'inganna e l'occhio crede
Lo stesso ordine di ragioni aveva riguardato sin dal 1612- 1613 anche macchine testuali più complesse a partire dalla favola tragica da rappresentarsi in musica intitolata La Venere addolorata 73 tipico prodotto funzionale all'attività della sorella Adriana soprattutto nel lungo recitativo finale della V enere piangente sul cadavere di Adone (lvi, 24 sgg.) secondo moduli che pur risentendo dell'esperienza ma riniana - e forse a prescindere da un riferimento diretto al poema allora in via di stesura ma cominciato già nel primo tempo del soggiorno napoletano durante il servizio prestato da Marino presso Matteo di Capua principe di Conca - erano riciclati a fornire
73 La Venere addolorata. Favola tragica da rappresentarsi in musica et l'Egloghe amorose e lugubri di Cio. Battista Basile il Pigro. In questa seconda impressione aggiuntovi un'altra ecloga dello stesso. In Mantova, presso i fratelli Osanni, Stamp. Ducali, 1613 in Opere poetiche cit.
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un prodotto estetico indifferente consistendo la sua esteticità nel riporto felice di alcuni dei più consueti e quindi rassicuranti mo duli della lirica moderna e cioè di quella del versante marinista : Adone: - Oh di questa mia vita l parte miglior, non mai da te sllunge l muovo talor il piede l ch'a te ratto non torni, l com'augellin che vole l sempre a suo cibo, anzi in sl dolce nodo l Amor teco m ' unlo 1 che parte il corpo sl, resta il cor mio l . . . l Venere: - Ohimé com'io ti veggio l pallidetto mio sole? l Come le fresche rose l cangiate hai del bel volto l in colti gigli e pallide viole? (lvi, 8, 12) .
L'indifferenza tematica di questa favola tragica va spiegata con il ruolo assolutamente subalterno della produzione basiliana di quegli anni legata alla ricerca di uno spazio ottenibile più che attraverso una gara d'ingegni letterati attraverso la confezione di prodotti di facile consumo nelle occasioni pubbliche. Il massimo dell'informa zione era ottenuto proprio in questa riproposizione a gruppi nume ricamente rilevanti di persone di esperienze letterarie altrimenti culte e riservate. La musica giocava un ruolo importantissimo a questo riguardo, efficace mezzo di comunicazione comunitaria. Come poi la raccolta di madrigali ed odi del 1 6 17 anche La Venere e le Egloghe amorose e lugubri del 1 61 3 recavano residui evidenti dell'esperienza veneziana e cretese. Le due egloghe amorose e le quattro lugubri erano contrassegnate dallo stesso topos della fuga, quella fatua di Clori nelle prime due, quella più definitiva della morte nelle rimanenti. Forse proprio certi cenni de La lonta nanza (« . .. A Dio di Creta l selve, ch'io moro ... l .. . l . . . A Dio d'Oaxe l puri cristalli, a Dio ...») sono la spia di materiali già approntati e riproposti anche con la loro protrazione nell'egloga Glori fuggitiva. La loro usualità assoluta soprattutto nel lessico basi liano ma non soltanto in esso può fornire qualche esempio di certi risultati di questo esercizio del dejà dit legato ad un definito pro getto di comunicazione : tutte le consuete o in via di diventare tali figure del sole, delle acque, dei pianti e delle selve avrebbero potuto essere ripetute - ed in effetti in molti casi lo furono - all'infinito - 1 65-
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senza sostanziali variazioni e perfettamente allineate sul margine di un messaggio volontariamente coatto ma sino al punto nel quale esse avrebbero trapassato il loro senso di protrazione e di iterazione per raggiungere nel deserto concettuale raggiunto un complesso va lore simbolico. Di questi simboli è piena quella che si è chiamata la scrittura segreta dei libertini ma degli stessi simboli sarebbe stata piena anche l'opera terminale di questo lavoro basiliano, ancora una volta Lo cunto. Le fittizie albe e gli stereotipati paesaggi di un'Arcadia inesistente costituivano cioè le premesse per un'assunzione del nulla come essenza dell'essere, ne Lo cunto sarebbero state le epopee assurde del giorno e della notte. Lo stesso valga per il ricor dato topos della fuga e della morte - e del sottinteso topos del viaggio - per i quali ancora una volta l'acqua costituiva il tropo privilegiato oscillante tra metonimia e metafora e continuamente ri proposto anche come allegoria, termine di un discorso simbolico assolutamente discontinuo. Queste composizioni descrivono sufficien temente questo tipo di discorso letterario disposto ad utilizzare un criptoracconto dell'« isperienza » individuale - dei viaggi sull'acqua innanzitutto - come racconto di una condizione immaginaria quella delle lodi per ed in morte di e del rapporto sociale e comuni cativo privilegiato augurabilmente stabilito attraverso di esse. Ma questi due racconti paralleli erano segnati di tutte le disillusioni e di tutti gli inganni della differenza tra il vissuto e l'ideato per vivere. Di qui le incrinature e le oscillazioni di un discorso programmatica mente mosso tra tranquillizzanti assoluti e sommossa continuamente tra inquietanti relativi. Questa duplicità del discorso era rilevabile anche a livello di figure : l'acqua come simbolo della fuggevolezza dell'essere e dell'instabilità sociale era anche il complesso delle me tafore dell'acqua così come la Sirena era nello stesso tempo Napoli, il luogo dove si era nati ed era meglio vivere (ne Le avventurose e ne Lo cunto) e l'essere del mito-personag�io della favola. La teoria dello specchio non solo innestava questa duplicità come moltiplica bilità delle essenze ma sanciva l'ambigua possibilità di uno scambio senza limiti tra i diversi livelli della cifrabilità del discorso. Non - 1 66 -
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si trattava quindi, soprattutto in questo tipo di produzione, di allu dere a, di allegorizzare o di insinuare nel tessuto testuale simboli più o meno indicativi di modalità dell'essere avvertite come impor tanti per lo scrivente od il suo gruppo o il gruppo destinatario del l'opera piuttosto di rilevare un disordine assoluto e quindi un possi bilismo totale nell'organizzazione del testo. Incrinature ideologiche da non leggersi naturalmente nel limitato ambito di questi testi ma nel complesso totale della produzione letteraria di questo tipo. Anche qui si ripresenta la necessità, tipica dell'età moderna, di esaminare questi fenomeni sul piano di una media del loro realizzarsi e di trarre. da essa le indicazioni sulla loro funzione storica. In questo senso soltanto può essere valutato il ritorno puntuale anche nell'egloga Glori fuggitiva del ritorno dell'immagine del l' acqua (anche qui unita alla tonalità sentimentale del dolore) e della sequenza metaforica innestabile a partire da essa (« Là dove del Tirren Sebeto corre l con vaghi errori a inargentar le sponde l Tirsi doleasi ... l ... l già comincia a provar piaga amorosa l ma per formar querele e sparger pianti ... », lui, 27), rafforzata dalla consueta moltiplicazione innestata dalla presenza dell'Eco - in apertura in lui, 27 ed in chiusura in lui, 53 -. Questa egloga era cioè costruita con gli stessi materiali de Le avventurose : l'esempio sopra riportato costituisce soltanto uno dei tanti tratti analoghi, se non perfettamente coincidenti, dei due testi : si pensi al susseguente tema della fuga -di Glori come tigre, come freccia ed infine natu ralmente come « rapido fiume» - alla descrizione del dono (lvi, 3 1) fatto per ingraziarsi la ninfa, alla ossessiva presenza degli spec chi - qui trucchi del cacciatore che ha rapito i cuccioli della tigre (« ... se 'n corre dietro l'orme l di chi spogliato ha de' suoi cari parti l il dolce nido e pur ne' chiari specchi l ch' ad arte il cac ciator fra via le pone l mirando di se stessa il van sembiante l arresta il piede anzi il suo moto oblia», lvi, 28-29) - sino alla chiu sura nelle lagrime e nella morte (lui, 33). Un dispositivo testuale collaudato e riutilizzato anche per la seconda egloga amorosa, La lontananza, dove ancora la realtà dell'esilio era narrata attraverso - 167 -
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l'irrealtà del consueto amore scorto nella consueta vertigine degli specchi : « Io la scorgo ne' prati ove più vaghi sorgon i fiori e di veder mi sembra l i bei ridenti fior del suo bel volto. l Io la miro ne' fonti ave più chiara l si mostra l'onda e di veder mi sembra l de la sua pura fronte il bel tranquillo. l Io la veggio nel sol quando è più ardente l e parmi di veder l'amica luce l de' suoi begl'occhi ond'ebbi il primo dardo » (lvi, 38). Non è possibile, nonostante tutte queste ripetizioni e forzature, ascrivere interamente al fittizio queste egloghe contrassegnate da una volontaria tragicità nel caso delle amorose e da una tragicità in re nel caso delle lugubri. La loro incerta datazione non permette che di collocarle almeno negli stessi anni de Le avventurose nelle quali però vi era almeno l'accenno ad una qualche soluzione positiva delle vicende narrate di solito assente nel resto della produzione basiliana. Questo tragico non può essere interamente ascritto ad una maniera lugubre priva di alter native, esso costituisce uno di quegli impliciti da cogliere, come si è detto, nel racconto non raccontato : non a caso esso costituirà la beffarda cifra de Lo cunto percorso da tutte le fortune perché per corso da tutti i delitti. Anche questo caso dimostrava come l'idea dell'acqua e la se quenza figurale•ad essa connessa fosse eminentemente una delle com ponenti della significanza latente del testo, se si vuole una prova della sua essenza di prodotto estetico. A valutarne in misura mag giore il grado di normatività, di significanza palese, avremmo do vuto seguire altre idee prima tra tutte le numerose la frequente rivelazione della gerarchia narrata prevalentemente con le figure della metafora di iperbole (ancora secondo la definizione tesauriana). Le odi lugubri illustrano sufficientemente questo doppio registro di scrittura, l'ostentazione del compianto e l'uso per esso del notato repertorio dei fatti d'acqua, l'enumerazione delle virtù dello scom parso e l'uso di una sequenza narrativa assolutamente priva di par tecipazione nella sua normatività, linea di fuga di una letteratura come strumento linguistico sarcasticamente circospetto :
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LA SCELTA
DELLA
FORTUNA
Le dorate bilancie ond' egualmente l si comparle qua giù l'ombra e la luce 1 Febo lasciato avea per far maggiori l traboccar l' ombre de l' oscura notte l e 'nfocato e ceruleo in grembo al mare l erasi accolto innanzi a l 'usat'ora,. 1 segni di quanto il ciel versar dovea l pioggia e venti di pianto e di sospiri l . . . l Versate occhi dolenti amaro fonte l per adeguar col pianto il gran martire l . . . l dunque occhi miei versate amaro fonte l . . . oh bella nave l che poco anzi solcavi a piene vele l di gratie un mare, or come in duri scogli l sei rotta? . . . l . . . l .. . 'l Danubio e ' l Reno l le cui sponde illustrò tua bella aurora l portan più alteri al mar l'ampio tributo , l nullo han potuto far schermo o riparo l . . . l . . . fur per ogni riva l men folti i fiori, men tranquille l ' acque, l men dolci l ' aure, men sereno il cielo, l stillar tosco le piante . . . l . . . l . . . si turbar repente il mare, i venti, il cielo . . . l . . . l Pianser di Guadarama in nera veste l le sconsolate ninfe e mille offese l fero a' cerulei crini e le dolc' acque l del rio qual de l 'ispano Esitio avvenne l si fer torbide e amare. Il vago Minio l non si più lieto color produsse al lido l ma negra in tutto e velenosa terra. 1 Né più del Tago fur d'oro l'arene l ma di cenere sparse, onde pur mesti l versate occhi dolenti amaro fonte. l E tu picciol Sebeto . . . , (In morte della serenis
sima reina delle Spagne Margherita d'Austria, lvi, 39-42).
Alta bontade a cui non piacque orgoglio l cui solo a vendicar non degne offese l bastò scorger in lui valor bastante l da sfogar l'ire e maggior gloria ottenne l in perdonar ch'in vendicar l'offese. l Alta umiltà che non per copia immensa l di pretiose gemme e lucid'oro l non per sovrano onor, non per si degno l popolo aver soggetto , né per tante l gloriose virtù ch'al petto accolse l unqua si vide gir fastoso e altero l ma dolce ogn'or mostrò placido il ciglio . 1 Figlio il servo chiamò, frate il soggetto , l questi l'anima sua quegli il suo core . . .
(In morte del serenissimo d. Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, lvi, 46.)
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IL PERCORSO DEL CASO : LA DRAMMATURGIA IDEOLOGICA DEGLI APPARATI
Frequenti i tratti, m queste opere, ricchi di allusioni ad una loro rappresentabilità e non leggibili sotto l'unico profilo del testo scritto e destinato ad una lettura privata, tracce elementari del ri tuale connesso alla loro « pubblicazione ». Pur trattandosi di opere appartenenti a diversi generi e quindi apparentemente definite anche da diverse destinazioni, la loro pubblicazione avveniva sempre in occasioni nelle quali lo scritto faceva parte di una cerimonia comu nitaria più ampia di quanto i suoi contenuti lascino intendere, parte di una rappresentazione dal complesso significato ideologico e poli tico, momento spesso non privilegiato di un'esperienza estetica di gruppo .comprendente, in una scala di valori di luogo in luogo e di occasione in occasione in via di differenziazione, i percorsi e le geometrie delle gerarchie sociali e delle loro dimostrazioni di forza politica. Queste opere trovavano il loro pubblico tra gli spettatori della cerimonia della quale facevano parte ed in seguito tra i rac coglitori di testimonianze e di modelli adatti per. altre cerimonie. Questa destinazione richiedeva una struttura testuale non immedia tamente disponibile nella tradizione dei generi. Di qui certi faticosi - e altrimenti incomprensibili - riattamenti delle formalità tipiche di certi generi, prima tra tutte l'oda e poi la favola pastorale e l'idillio, e l'adozione per il testo scritto di una tecnica di ripetizione nella pagina di almeno alcuni degli elementi della rappresentazione della quale il testo era chiamato a far parte, con in più il tentativo di adeguare la semiosi della pagina scritta alla diversa semiosi del le altre componenti della stessa rappresentazione o cerimonia. Que sta tecnica comprendeva come certe elementari allusioni al tea- 171 -
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tro e l'uso di un discorso di tipo drammatico così la disposizione « teatrale » della pagina con l'incremento di elementi visivi che andavano dalla scelta accurata di una criptonarrazione compresa nelle illustrazioni delle lettere capitali a veri e propri restauri di poesia visiva, agli anagrammi - segno esemplare dell'ideologia let teraria dello specchio -ed a varie specie di strutture testuali carat terizzate dalla frequenza di segni non verbali, riproducenti le dispo sizioni dei segni verbali nelle iscrizioni e nei cartigli in uso per le feste, per gli apparati funebri e per nozze e per molti altri tipi di cerimonie. Il testo scritto tendeva cioè a conservare le tracce della sua destinazione visiva o meglio come componente e co-significante di una rappresentazione che lo trascendeva costantemente. In que sta operazione può anche essere letto il tentativo di restituire al testo scritto un'autonomia che esso tendeva a perdere continuamente sotto la spinta delle richieste di prodotti estetici d'intrattenimento e - ove questo intrattenersi fosse esteso a più o meno ampi gruppi delle singole comunità - di definito significato ideologico e poi politico se l'essere politico di un testo è nella sua capacità di dupli care e ristabilire continuamente un'ideologia non solo letteraria. La partecipazione di Basile a questo tipo di produzione co minciò assai per tempo, con Il pianto come si è visto, e con un sonetto ad introduzione, con altri, del Tempio eremitano di Am brogio Staibano 74, che utilizzava l'illusionismo di un tempio imma ginario nel quale erano dipinte ( scritte) le vite degli agostiniani. Altre tracce sono facilmente ritrovabili nèlle tre raccolte di madri gali e di odi (si ricordi l'ode per la rappresentazione de Il Georgio di Della Porta) come nelle Egloghe e nella Venere addolorata del 1 6 1 2 e nella tecnica illustrativa utilizzata per gli argomenti in ottave premessi tanto a La Vaiasseide di Cortese ( 1 6 1 2) quanto a L'Eracleide di Gabriele Zenani 75• Gli anagrammi delle Imagini =
7� Cfr. n. 4. 75 L'Eracleide di Gabriele Zinano all'invittissimo e gloriosissimo sig. il Cattolico don Filippo III d'Austria, Re di Spagna e del Mondo Nuovo uni-
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IL PERCORSO DEL CASO
delle più belle donne napoletane del 1 624 76 e quelli compresi nella raccolta di Ode del 1627, con i quali Basile dimostrava di avere versale Monarca. Per il Deuchino ... In Venetia, 1623 [BNF], con l'indicazione « con gli argomenti del sig. cavalier Gio. Battista Basile a ciascun canto » (lvi, 1 ), le ottave premesse ad ognuno dei 24 canti formavano un insieme di 192 versi. Dello stesso Gabriele Zinano cfr. in BAV l'introduzione a L'America. Tragedia di Gabriele Zinano Signor di Bellai ..., in Venetia, 1627, presso Evangelista Deuchino dedicato a Marino Caracciolo principe di Avellino, duca della Tripalda, marchese di San Severino etc.; cfr. inoltre dello stesso una !storia in versi non finita della nobilissima Casa Caracciola . . ., in Ve netia, 1 627, presso Evangelista Deuchino, anch'essa dedicata a Marino Caracciolo. Uno dei modelli veneti de L'America era da cercare in una omonima commedia in prosa (L'America. Commedia del sig. Henrico Altano conte di Salvarolo, dedicata al sig Giulio Canussio canonico di A quileia .. ., in Venetia, 1621, appresso Ghirardo lmberti. Per gli « argomenti)) de La Vaiasseide cfr. n. 3 . I l compendio della vita, della morte e de' miracoli di santo Andrea Corsini da Firenze, vescovo di Fiesole, dell'Ordine Carmelitano, dal R.P.M. Filocalo Cap uto napolitano dell'Ordine stesso tratto da gravissimi autori e in specieltà da gli autentici processi e dalla relatione della Rota e dalla Congregatione de' Riti per la canonizazione di esso fatta. Con gli argomenti a ciascun capo del signor cavalier Cio. Battista Basile, conte di Torone e capitan di fanti nel Regno di Napoli. In Napoli, appresso Lazaro Scoriggio, 1629. La dedica di Caputo a Gregorio Canale generale dei Carmelitani era datata 12 febbraio 1 629 ed era imperniata sulla decrittazione celebrativa dello stemma (« ieroglifico ») di questi . Seguiva un doppio anagramma di Basile sulle parole Andrea Corsino de' padri dell'abito carmelitano già vescovo in Fiesole: l) Beato l riedi sacrand' a Dio sincero il core l di fiero lupo mansuet'agnello, 2) Felice te spirto beato e bello l che, 'l petto acceso di celeste amore, l riedi sacrand'a Dio sincero il core l di fiero lupo man suet'agnello. Gli « argomenti)) di Basile, sequenze di quattro versi, prece devano i 2 7 capitoli per un complesso di 108 versi. La loro funzione, come sottolineato dalla posizione tipografica, era quella di riassumere il contenuto del canto e nello stesso tempo quello di « ridurlo )) alla forma elementare della formula emblematica, cfr. ad es. : « Segno del foco entro al suo petto accolto l che 'l divo amor mirabilmente accende j mentre l'Abito sacro il Santo prende l mostra qual Serafin di foco il volto)) [III. Della mirabile conversione ... , 1 0); « Perde Fabro meschin del sol la vista l cieco a' raggi di Febo, Argo a la Fede l ma doppia luce in un sol punto ei vede l Andrea, che l'apre il lume, e 'l Sol ch'acquista)) [Del gran miracolo del cieco da s. Andrea, mentre fu mandato aUi studi di Parigi, in A vignone operato, 30]; etc. Anagrammi dello stesso tipo in una Predica, per la stessa canonizzazione, di Andrea de Torres « regente del Carmine maggiore di Napoli e per ordine del ... Gregorio Canali )) (In Roma, nella stamperia della Rev. Camera Apo stolica, 1 629). Per la tecnica degli argomenti cfr. il modello de La strage degli innocenti del cavalier Marino s.n.t. [BAV]. 78 Imagini delle più belle dame napoletane ritratte da' lor propi nomi in tanti anagrammi dal cavaliera Cio. Battista Basile conte di Torone, Acad.
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appreso perfettamente la tecnica di questa scrittura vlSlva come strumento guida di una posizione sociale necessariamente oculata sancivano a livello della scrittura il suo accesso definitivo all'orga nizzazione dei riti comunitari locali. Non a caso le prime prove in questo settore datavano dal riconoscimento del ruolo di « letterato » con la ristampa dei primi scritti e con l'appoggio delle amicizie stabilite dai Barone-Basile presso la corte mantovana : la defini zione del ruolo coincideva con l'accesso alle macchine estetiche co munitarie dalle strutture per più versi analoghe a quelle delle singole composizioni e delle loro raccolte. Queste tecniche di poesia visiva o meglio di interpolazioni di segni appartenenti a semiosi non frequenti nella parola scritta co stituiscono un insieme in fatti estetici e letterari ancora bisognosi di classificazione. In ogni caso un approccio alla dinamica culturale alla quale questi materiali appaiono legati fa escludere una loro definizione di ingegnosi restauri di tecniche poetiche già della tarda classicità e segnala il superamento dell'elementare assemblage ma nierista in direzione di nuove strutture adattate ad un universo semiotico nella cui gerarchia i segni ideologici e politici occupavano
Otioso. In Mantova, 1 624 ... [BNN]. La dedica a Tomaso Francesco Spinello marchese di Fuscaldo, sig. della città di Paola, di s. Marco e della Guar dia, etc. » era datata Napoli, l maggio 1624 ed era seguito da un ana gramma totale al medesimo. Un'avvertenza sottolineava la destinazione mirata dell'operetta: « Perché niuna delle Dame nelle lmagini contenute possa chiamarsi nella precedenza offesa si san per ordine di alfabeto collocate. Molte dame non men belle che le comprese nelle Imagini si sono tralasciate non per invidia di quella gloria ch'a !or si dee ma per arricchirne la seconda parte . Le lettere o mutate o tralasciate o accresciute a gli anagrammi saranno di differente carattere talche a prima veduta si potrà conoscere in che alcuni di essi differiscano e quali allo 'ncontro siena puri e senza alcun privilegio )) . Un « anagramma purissimo del s. cavalier Gio. Battista Basile conte di Torone )) era premesso al Delle rime di Gianfrancesco Maia Materdona. Parte prima. Al serenissimo et invittissimo Carlo Emanuele il Grande duca di Savoia, s . I . s.d., s.e. [ma la lettera di dedica era datata Venezia, l luglio 1629] : « Giovanfrancesco Maia Materdona academico humorista Tua chiara fama non teme giammai d'irne ad oscuro occaso )) . Cfr. inoltre G. C. CAPACCIO, Illustrium mulierum et illustrium virorum elogia, Napoli, lo. Iaea bus Carlinus et Constantinus Vitale, 1608. «
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il vertice 77• Il genere dell'anagramma appare per più versi legato a questi materiali soprattutto nella sua dimensione di lirica cele brativa. Una verifica di questa ipotesi può essere costituita proprio dagli anagrammi basiliani, numerosi nelle raccolte di madrigali e odi e nel Teatro delle glorie di Adriana Basile 78 e cioè anche in un testo che disponeva « teatralmente » le lodi in versi attraverso le quali si storicizzava una condizione - quella di Adriana - ope razione perfettamente analoga a quella di tanti apparati per feste attraverso i quali si storicizzava, se ne vedrà qualche esempio più avanti, una condizione comunitaria. Gli anagrammi che costituivano le Imagini delle più belle dame napoletane ritratte da' lor propi nomi- un anagramma d'apertura e per dedica, 88 anagrammi quasi tutti in lode di dame napoletane e 44 anagrammi « fatti a diversi » - non costituivano la pietra di paragone di un virtuosismo esercitato con l'unico, minimo fine di definirsi come tale nell'ambito chiuso di una letteratura ma il viag gio attraverso il reale Parnaso delle deità sociali. Se il referente ideologico e sociale era scopertamente definito come componente essenziale di questa operazione altrettanto definito risultava il mec canismo letterario messo in opera a riprova dell'esistenza di un pro getto non esaurito nel semplice affastellamento delle lodi. Questo progetto si realizzava su di una panoplia sociale - e cioè su di un reticolo di rapporti che potrebbe anche essere ricostruito a par-
77 Se l'accentuata conflittualità sociale ed interculturale (plurilinguismo, antispagnolismo, etc.) costituiscono le chiavi di lettura di questi scritti basi liani altri dati, ma prendendo questa volta in esame anche gli scritti in dialetto, dovrebbero essere ritrovabili nell'analisi di alcuni tratti della tra dizione culturale con speciale riguardo alla tradizione delle feste popolari e dei loro particolari tipi di comunicazione . Un aspetto regolarmente rifiutato dalla teoria della cultura umanistica e tridentina ma riaffiorante proprio nelle cerimonie comunitarie ed in parte della materia « popolare >> utilizzata anche da Basile. Per certi aspetti del canone burlesco legato a questa materia ed alle feste, in particolare il carnevale, cfr. M. BAXHTINE, L'oeuure de François Rabelais et la culture populaire au Moyen Age et sous la Renais sance, Paris-Mesnil-lv:ry, 1970, 1 0-1 1, 44 sgg., 3 1 9 sgg. 78 Cfr. n. 85.
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tire dai nomi anagrammati - come gioco di società e quindi adatto a rivelare mascherato da scherzo e da prova d'ingegno i rapporti reali che presiedevano al suo esercizio. L'esteticità di una simile operazione era in una apparente liberazione della parola - adatta a tutte le combinazioni - e nella contemporanea rivelazione della sua assoluta regolarità secondo i principi della celebrazione di certi e non altri gruppi sociali. Di qui il fondo teoretico di questa opera zione : ancora una volta la rivelazione dell'occulto - l'imprevedibile metamorfosi delle lettere di un nome in qualcosa di assolutamente diverso eppure non del tutto assolutamente - come specularità dell'evidente e, alla lunga, come conferma della sostanziale identità ed immobilità dell'essere nonostante tutte le sue virtualità e tutti gli inquietanti avvisi di una presenza aliena. Il raffronto del nome e del suo contrario - l'anagramma ma in ogni caso un anagramma in lode si svolgeva a sua volta, il gioco di specchi era protratto ad libitum, in un confronto delle sue soluzioni linguistiche con quelle di un'ideale media del linguaggio comune dotato così di tutte le ambiguità possibili, per allora, si ripete, incanalate ordinatamente nelle misure della lode. Anche per questo tipo di struttura può essere richiamata la struttura a quadri di molte composizioni di derivazione popolare ed a questo punto dovrebbe essere approfondito il rapporto che legava in quei decenni la produzione di apparati con le prove della lette ratura popolare nella quale venivano sempre più frequentemente adottate le tecniche della composizione che qui sommariamente si definisce a quadro. In questo settore della ricerca letteraria dell'età barocca il rimescolamento dei moduli provenienti da forme d'arte utilizzate a diversi livelli culturali tendevano a perfezionare ulterior mente il dissesto dell'organismo già umanistico dei generi. Ad esempio un caso di rito figurale tenuto da una comunità « ospite » in altra comunità può essere quello della Descritione del l'esequie fatte in Roma dalla natione fiorentina al serenissimo F er dinando III gran duca di Toscana il dì 22 di giugno 1609 (in Roma, appresso Giacomo Mascardi, 1609 [BAV]), una « funeral pompa » -
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preparata da un accorto lavorìo diplomatico, il cui « disegno » fu ideato da un pittore-architetto fiorentino e la cui messa in opera fu affidata, prima ancora che alle maestranze artigiane locali, a due pre lati della curia « a voler con la venustà de gli scritti e con l'energia della propria voce rendere espressivamente facondo il muto linguag gio di quella vivace inventione ». Un apparato semiotico « partito » secondo uno schema che comprendeva in primo luogo il « bel dis segno » e cioè un progetto figurale relativo alla semiosi architetto nica e plastica, in secondo luogo un « arricchire et illustrare l'appa rato con imprese, motti, inscrittioni, elogii » e quindi un progetto figurale « visivo » le cui « tavole » comprendevano sia rappresenta zioni verbali (motti, sentenze, composizioni in lode, epigrafi, etc.) sia rappresentazioni non verbali (imprese, dipinti, quadri in sequenze narrative, etc.), in terzo luogo un « celebrare ... publicamente orando l'eroiche attioni del defunto principe » e cioè un progetto figurale relativo alla comunicazione verbale orale. « E così concertatamente e partitamente faticando ... esposero nella ... chiesa di san Giovanni a gli occhi di tutta Roma unitamente concorsa la pompa dell'ina spettate esequie ». L'analisi del percorso del visitatore di questo apparato chiarisce la natura teatrale (d'altronde esplicitamente ri chiamata in Ivi, 6) della cerimonia : un confronto con certa tipologia drammatica potrebbe consentire il ritrovamento di indicative coin cidenze strutturali. Qui interessa solo il particolare che questo per corso costituiva nel suo insieme una complessa esperienza estetica e culturale ed anche un'esperienza letteraria regolata da sequenze serniotiche assolutamente definite ed obbligatorie come quelle di tutti gli itinerari. La coerenza figurale assoluta dell'apparato era comprovata dal fatto che la stessa struttura architettonica della chiesa ospitante la cerimonia - in questo caso l'allora incompleta chiesa di san Giovanni de' Fiorentini - veniva pressoché radicalmente modificata dalla neostruttura dèll' apparato : Primieramente delle tre navate di essa, le quali sono divise in cin que archi , aveva i pilastri di quella di mezzo . . . coperti da ogni banda di rascia nera et ornati ognuno di essi nella parte da basso verso l 'impo-
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statura dell' arco con una gran Morte la quale, posando sopra una proportionata cartella a guisa di basamento , mostrava con capriccioso scorcio un motto della scrittura et altre quattro simili mettevano in mezzo con la medesima distanza l'altar maggiore e la porta grande nelle due faccie interiori della chiesa, sicché in tutto venivano ad essere dodici morti . . . sopra ogn'una di dette morti era (alludente all' ordine di s. Stefano) una croce rossa da cavaliere che vagamente riempiva il voto del pilastro fino all'impostura dell'arco dove sopra un cavaliere adornato di grandi svolazzi appariva con bizzarro immascheramento di teste di lioni e di gigli un'impresa di casa Medici che terminava il susa di detto pilastro fino al collarino (lvi, 8- 11).
Il camino verbale nel quale il VISitatore veniva guidato (con qualche ricompensa : « furono dispensate meglio di duemila libre di cera, tutta con buon ordine e senza disturbo o tumulto») era costituito per lo più da brani d'autore (di Tucidide, Omero, Aristo tele, Gregorio Nazianzeno, Plutarco, Cicerone, Marziale, Isocrate, etc.) ritagliati a narrare con un assemblage non privo di continuità vita ed opere del defunto. All'interno di una sequenza semiotica della quale erano cosignificanti anche le « tavole» rappresentanti le « at tioni» del granduca così come ogni aspetto della macchina della « pompa» ivi compreso il cromatismo dei cerchi concentrici dei trenta cardinali « con le cappe paonazze», dei cento prelati « tutti vestiti a bruno», dei dodici cavalieri di s. Stefano « con l'abito», dell'ultimo anello ferrigno « de' tedeschi della guardia del papa». In altri casi questi percorsi assumevano una dimensione emi nentemente letteraria e, naturalmente, musicale per lo sviluppo note vole delle sezioni che comprendevano la recitazione di testi e per lo stesso apparato figurale plastico-architettonico che utilizzava i simboli correnti della letterarietà. Si veda ad esempio la fase ini ziale del corteo letterario e musicale della Guerra di bellezza. Fe sta a cavallo fatta in Firenze per la venuta del serenissimo prin cipe d'Urbino l'ottobre del 1616 (In Firenze, nella stamperia .di Zanobi Pignoni, 1 6 1 6) : Primieramente si vide comparire nel teatro meraviglioso di bel lezza e disegno e pieno di infinita moltitudine di popolo una macchina superbissima la quale figurava il Monte Pamaso . Era diviso questo
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monte in due gioghi cinti l'un e l'altro di balze, circondati per tutto di lauri e pieni di quelle spelonche e di quei sacri orrori celebrati tanto da' greci . Verdeggiava sul più rilevato giogo un' altissima rovere, arme della serenissima casa d'Urbino, le sue ghiande erano d'oro e a' suoi rami stavano sospesi vari trofei e militari ornamenti, all' ombra sede vano le Muse, coronate delle fronde dell'istesso albero , sonando diversi strumenti . Era vicino a loro Pallade appoggiata all'asta, tenendo sol levato lo scudo con la testa di Medusa. Dietro alla pianta il cavai Pegaseo perquotendo la terra facevane scaturire acqua cristallina. Veni vano sparsi per le falde del monte quei famosi letterati de i quali fu sempre piena la corte d'Urbino, principalmente i nominati nel Corti giano, inghirlandati dell'istessa rovere . Era sul minor giogo la Fama vestita come si dipinge comunemente e a' piedi aveva la Verità, donzella ornata di bianchi veli, la quale teneva in una mano uno specchio nell' altra una sferza. Camminavano a' piedi del monte 170 persone le quali figuravano esser le Bugie seguaci della Fama alludendo al verso di Vergilio tam ficti pravique tenax quam nuntia veri. Ave vano ali nere, doppia faccia, vestito e capellatura di diversi colori. Erano tutti questi musici e subito che entrarono nel teatro si senti da loro unitamente cantare la presente allegra canzonetta: Della fama
alate ancelle (lvi, 13-14).
Tutto l'apparato figurale di un'ideologia letteraria dai nessi organicamente istituzionalizzati veniva qui messa in opera a riba dire la sua struttura e la struttura simbolica regolante i rapporti comunitari del luogo relativamente a questo settore dell'esperienza collettiva. Vari ordini di figure facevano parte di questo apparato : lo scenario arcadico (Parnaso, Muse, spelonche, orrori, etc.), la sim belogia nobiliare delle imprese (rovere, arme, pianta, trofei e militari armamenti, etc.), quella umanistica (Pallade, Fama, etc.) e la sua versione cattolica (la Verità, le Bugie, etc.), uno squarcio di mito logia letteraria o di storia letteraria tout court se si vuole (i letterati urbinati) come una varia tipologia formale era chiamata a segnarle : la macchina trasportava il suo Parnaso di legno e tela ed insieme ad esso dipinti, motti, imprese, ritratti, maschere. Due moti quello dell'itinerario del carro e quello della musica a sottolineare un'im mobilità, quella della gerarchia dei segni in questo modo ancora una volta proposta. Forse solo nella verità munita di specchio e di sferza era possibile leggere l'aprirsi di un loro altro orizzonte di lettura, - 179
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naturalmente in quella circostanza, come spesso forse, beffarda mente ostentato 79• Il cronista dell Apparato della festa di s. Giovanni del 1626, ancora una volta Capaccio 80, sottolineava nella dedica al viceré Antonio Alvarez di Toledo duca d'Alva il rapporto privilegiato sta bilito già da tre anni con l'occasione di questa festa dal « popolo napoletano» e dal suo eletto, nel 1 625 e nel 1626 era G. B. Api cella, un rapporto a definire il quale veniva usato un paragone carico di intenzioni : « l'ardente brama che all'or ebbe esso popolo di mostrarsi riverentemente ossequioso e grato verso l'infinito merito di un tanto principe, a guisa di cavo metallo che, non potendo tenere il fuoco rinchiuso nel suo seno, il manda fuori con gran '
79 Per una festa articolata in sequenze di composizioni letterarie di diverso tipo cfr. Il successo de la festa fatta dalli signori Cauallieri della Viola detti i Desti nelle nozze del sig. conte Gio . Paolo de Castello. In Bologna, per Pellegrino Bonardo, s.d. [BAV]. Di diverso tipo ed imperniate sulla recitazione di un testo erano le feste del tipo di cui nella Descrizione del magnificentiss. apparato e de' maraui gliosi intermedi fatti per la commedia rappresentata in Firenze nelle felicis sime nozze degl'illustrissimi ed eccellentissimi signori signor don Cesare d'Este e la signora donna Virginia Medici, in Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1 585 ... ; una struttura normalmente collaterale a « spettacoli » letterari del tipo di quello descritto nella Poesia rappresentada inanzi la sublimità del P. Aluise Mocenigo et la Serenissima Signoria di Venetia a' 26 decembrio 1574 di Bartolomeo Malombra, s.s.t. 80 Apparato della festiuità del glorioso s. Gio. Battista fatto dal fede lissimo Popolo Napolitano a' XXIII di giugno M.DC.XXVI. All'Eccellenza del signor d. Antonio A luarez di Toledo, duca d'Alua, uiceré del Regno di Napoli. In Napoli, per Domenico Maccarano, s.d.; Apparato della festiuità del glorioso s. Gio . Battista fatto dal fedelissimo Popolo Napolitano a' XXIII di giugno M.DC.XXVII. All'Eccellenza del signor d. Antonio Aluarez di Toledo, duca d'Alua, uiceré nel Regno. In Napoli, appresso Egidio Longo, 1627 [BNN] (altro apparato analogo è segnalato da B. CROCE, Saggi cit., 1 1 2 e cfr. G. C. CAPACCIO, Il forestiero cit., V passim, VI 520). Per l'inter pretazione di questi apparati come messaggio politico cfr. Principe aduertido y declaracion de las epigramas de Napoles por la uispera de s. Iuan. Por el maestro Gray Pedro Martinez de Herrera doctor en Theologia y Procurador Generai de toda la Religion de nuestra seiiora del Carmen en las Prouincias de Hespaiia en la Curia Philipica. A la illustrisima y excelentisima seiiora d. Leonor Maria de Guzman, condesa de Monte Rey y Fuentes, Vi Reyna de Napoles. En Napoles, por Lazaro Scoriggio, 1 6 3 1 [BAV].
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rimbombo per l'aria». Si trattava anche in questo caso di un itine rario obbligato per il viceré ed il seguito che partendo insieme al l'Eletto dal « solito luogo della Guardiola» percorreva le vie ed i quartieri « popolari» attraverso tutte le stratificazioni di questo gruppo sociale. I diversi gruppi che lo costituivano segnalavano infatti in modo diverso il loro mestiere, il loro potere economico, i loro messaggi attraverso un sistema di segni che comprendeva l'espo sizione delle masserizie e delle mercanzie più preziose e nello stesso tempo tutta una serie figurale che comprendeva i ritratti del viceré, le imprese, i motti, le iscrizioni il tutto all'interno di un percorso dai momenti attentamente previsti. Questo percorso cominciava da una gran porta in mezo di altre due picciole che, con la bellezza de' molti e variamente coloriti festoni che a maraviglia l' adornavano e con la vaga mostra che rendevano otto ben intese e dorate colonne su le quali si sosteneva la bellissima machina dell' arco sotto di cui stavano le tre porte sudette non potevano gli occhi altrui satiarsi di mirarla (lvi, 2).
e cioè da una delle consuete macchine architettoniche replete di fregi dai simboli assoluti (« la statua dell'Immortalità col serpe in mano con questo distico Fama tuum . della Letitia, con un distico parimente ... pendea nel mezo una gran tabella leggiadramente lavo rata attorno in cui da una parte si leggeva la seguente iscrittione ...», seguiva una doppia iscrizione celebrativa del viceré) e relativi (la porta da cui iniziava il percorso era quella che introduceva al diverso territorio del « popolo» ?). A parte l'attitudine specifica del cronista a descrittare questo insieme semiotico si leggeva in questa descrizione una partecipazione non secondaria alla sua ideazione. I quattro tempi obbligati di questa cerimonia - il Percorso, la Macchina, le Immagini, la Scrittura - erano concertati in modo da non la sciare spazio a decodificazioni aberranti, sin dall'inizio una « bel lissima impalizzata di mortelle» conduceva alla ..
rua Catalana, la quale tanto più si rese vistosa quanto che comparve assai ricca di banderuole e d'arme, cosi di sua Eccellenza come del popolo, d'imprese e di motti in lode del signor Viceré, tra le quali
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imprese v'erano queste: un temone all'antica tenuto dalla Fama e dall'Abbondanza col motto:
Posse et velle beare tuum est, una catena in circolo con la lettera P in mezzo col motto
Divellet unquam. per dinotar che 'l Popolo Napolitano sarebbe sempre incatenato da i beneficii ricevuti da questo principe, un cane corso sedente col motto
Tutela Regni presens, raggi che uscivano dal margine del mare significanti l 'Aurora col motto
Surgimus albente coelo. E tra i motti assoluti in tanti bellissimi cartocci vi si leggevano seguenti
Nil maius generatur ipso . Sanctis comes concordia votis Ceu placido moderante Numa. Priscam sumunt canitiem leges. Meritos novamus onores. Onerate canistris dona laboratae Cereris. Pallade clares utraque. Si vidde in oltre il luogo apparato per tutto di bellissimi panni di seta e di varii nobilissimi quadri di pittura, tra ' quali si vidde sotto dossello di broccato in alto posto collocato il natura! ritratto di S . E., il quale avea di sotto il seguente sonetto dell'elevato ingegno del dottor Andrea Santamaria:
Signor, già la tua prode accorta mano (lvi, 4-6)
In questo rapporto non sembravano entrare gli altri ceti e nep pure i gruppi ecclesiastici a conferma di un dialogo politico tenden zialmente « laicizzato » ed in ogni caso stabilito attraverso l'identi ficazione dei diversi ruoli sociali e del fermo attestarsi sui loro « pri vilegi » dei gruppi popolari. Il « popolo » non era quindi una inde terminata entità subpolitica ma una definita anche se incoerente - ma sino ad un certo punto - congerie di gruppi sociali dagli interessi forse di volta in volta differenziati ma capaci di trovare mo- 182 -
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menti di unificazione. Dovrebbe essere poi la cronaca di quegli anni a confermare come questi momenti di unità e di diversità definis sero di volta in volta la prassi di questa identità e di questa co scienza. Ai letterati come Capaccio non restava che preparare la complessa simbologia degli apparati ed evitare qualsiasi anomalìa del messaggio, come prova tra l'altro la spiegazione dell'ambiguo emblema della catena nel passo sopra riportato. Feste che vanno quindi viste come momenti di controllo - da più parti - di un certo equilibrio politico locale, occasione per una Verità uno degli emblemi più frequenti - ufficiale perché pubblica, al contrario delle verità carnevalesce, momento dell'abo lizione, circostanziatamente temporanea, di tutte le gerarchie. Le componenti letterarie di queste feste (sonetti, epitaffi, epigrammi, motti, madrigali, banderuole, ritratti, imprese, cartoni, etc.) venivano usate sottolineando il loro carattere di tratti di un codice e quindi di un messaggio complessivo (« in simbolo di», « denotante », « alludendo», « per dimostrar», « significar», etc.), iscritte non sol tanto in un definito itinerario semiotico ma preparate ad una cosi gnificazione con altri insiemi di segni. Parte delle composizioni « let terarie» costituivano unità semiotiche complesse - ad es. negli epitaffi o nelle imprese il testo era costituito attraverso l'unione di una scrittura con un'immagine - a parte il fatto che esse « dove vano» essere lette - ed erano quindi state scritte in funzione di nell'ambito del rito sociale. Questo era reso così idoneo a veicolare i messaggi anche agli strati della popolazione analfabeti ma non privi di un diverso alfabeto quello appunto dei segni della mac china rituale appresi attraverso la socializzazione. Questo codice era in apparenza gestito dai gruppi sociali dotati di maggiore potere economico ed in primo luogo dai gruppi nobiliari ma esso non aveva come destinatario dei suoi messaggi gli stessi gruppi emittenti bensì gruppi non nominati se non incidentalmente, in apparenza privi di codici propri ma visibili proprio attraverso questa destina zione indefinita : poteva essere il caso del richiamo alle « Tavole delle leggi con una spada nuda in mezo e 'l motto Non solum armis» -
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di Ivi, 11. Oltre a questi segni si disponevano lungo il percorso altri segni, i segni « naturali», gli oggetti : Entratosi pescia dentro fu tanta la varietà delle cose ch' ebbero a mirarvisi che le genti col godimento che ne prendevano ne rimanevano etiandio stupite . Quivi si viddero mura tutte coverte de i più fini e ricchi drappi che si possano i.maginare, quÌvi si mirò un cielo di triplicati veli bizarramente formato per tutta quella strada, quivi si udirono concenti d 'angeliche voci e suoni de' più sonori istromenti c'habbia l'arte umana sin hora saputo ritrovare, quivi si sentirono i più nobili e profumati odori che produca l 'Arabia, quivi si fece mostra delle più nobili pitture c'habbia la città nostra e quivi si lessero le più belle compositioni che da i più dotti ingegni s'habbiano potuto inventare et in somma quivi non mancò niuna di quelle cose che possono render superbo qualsivoglia nobile apparato (lvi, 22).
Di questo definito catalogo dei tratti che, modificando lo stesso aspetto delle strade, costituiva l'immagine di un luogo esistente solo perché politico e cioè lo stesso apparato - di qui tanti « palagi degl'incanti» - faceva parte anche la letteratura : Vi si ammirò lo stupendo artificio col quale il fertilissimo e mo struoso ingegno del cavalier Gio. Battista Basile cavò 'l seguente ana gramma da queste parole :
Antonio Alvares di Toleto e Beaumonte, duca d'Alba e d' Huesca, conte di Lerin e Salvaterra, marchese di Coria, cavaliere dell' ordine del Toson d'oro, del Consiglio di Stato, Viceré, Luogotenente e Capitan Generale per la Cattolica Maestà nel Regno di Napoli .
Ne l'opre sagge et dive alma diletta al Ciel cara a gli Dei ch' adorn' Esperia et la Sirena bei addit' in modo altero intelletto veloce, occhio cervero, saldo valor vivace, bontad' unica al mondo e star si vede in te con degn' onore Astrea nel seno e la Pietà nel core.
Il quale anagramma fu da tutti sommamente commendato et am mirato non solo perché conteneva le proprie lettere di quelle parole, etiandio in numero, et avea un verso intiero del Petrarca ch'è quello Intelletto veloce, occhio cervero, ma perché si chiudea così nobilmente con que' bellissimi due ultimi versi de' quali non so s'altri havesse saputo trovar migliori e più applicabili all'esser di questo Signor,
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ancor quando non fosse stato dalla necessità astretto di starsene in quelle proprie lettere (lvi, 23-25) .
Nel sistema dell'apparato ogni componente era, come si vede, ad un diverso livello comunicativo alla preparazione del quale erano chiamati specialisti diversi, Basile interveniva ancora in almeno una altra occasione : Né cessò il buon Marco Antonio Ranuccio capitano dell 'Ottina di san Giovanni a Mare di farvi fare un bellissimo palco su'l quale si viddero diversi fanciulli assai vaga e riccamente vestiti non pure di quando in quando al suono di varii sonori instrumenti con godimento indicibile di tutti far varii balli ma cantar suavissimamente diverse brevi canzoni in lode di sua Eccellenza tra le quali una fu la seguente in lingua spagnola del sopramentovato signor cavalier Basile :
Sefior, quien Alva te llama, mengua ya tus resplandores pues en efecto mayores son las obras de tu fama. El Alva cifie sus sienes de flores, pompa del prado, tu de valor coronado embidiosa la tienes. El Alva a labrar el suelo recuerda el hombre adormido tu despiertas el sentido a levantarse en el Cielo. El Alva a penas parece como una flor de mariana mas tu virtud soberana nunca en su lumbre escurece. A ljiofar derrama el Alva tu gracias y mil favores. Al Alva los Ruysefiores a ti la Gloria haze salva. Si el Alva y el Sol pinta y dora quanto hay de baxo del Cielo, ella es Aurora de Apolo y A polo es de ti el Aurora (lvi , 38-39)
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In ogni caso non si trattava soltanto di momenti comunicativi di diversa complessità ma di momenti di un'esperienza comunicativa complessiva quella appunto del percorso : tutti i tratti della mac china erano preparati in vista di questo spostamento, molti lo pre vedevano nella loro struttura, era il caso ad es. di « un bel quadro, fregiato attorno di grandissimi lavori di varii colori, in lettere così grosse che ben di lunge potevano esser vedute e lette ... in latino il nome e cognome del signor Viceré et appresso a ciascuna di esse alcun'altre lettere picciolissirne le quali accompagnate con le grosse palesavano concettuosamente cioché significar volessero le lettere di tal nome e cognome ...» (lvi, 31) e cioè dal messaggio cangiante nel corso dello spostamento della folla itinerante. La descrizione di Capaccio segnava naturalmente tutti gli ele menti del complesso codice simbolico che aveva sovrainteso all'orga nizzazione del percorso. I singoli quartieri o strade costituendo questi messaggi per il viceré dovevano in gran parte far ricorso al lavoro di « esperti» del tipo appunto di Capaccio, di qui l'abbondanza di simboli elementari ma dalla complessa tradizione semiculta, la Partenope con la lira di lvi, 33, le Sirene di lvi, 42, le divinità marine di lvi, 44-45, da non cercarsi soltanto nella tradizione lette raria ma anche in quella delle tecnologie locali : « erano parimente in questa fontana diversi uccelli manufatti che con la forza et ingegno dell'acqua s'udivano dolcemente cantare come se fussero vivi» (lvi 42), anche se gli avvisi più urgenti, quelli eminentemente politici, erano codificati in una simbologia culta-semiculta, quella delle im prese (cfr. ad es. lvi, 48-50). La risposta a questa dimostrazione di forza socioeconomica era naturalmente di carattere militare : una « mostra generale >> delle truppe « e fu così maraviglioso questo spet tacolo che destando il diletto in mezo l'orror dell'armi et accompa gnando con la maraviglia del Teatro il decoro di quei che l'empi vano, fe' chiaramente conoscere la militia del nostro Regno esser bastante non solo alla di lui difesa ma a porre etiandio spavento ne gli animi de' nemici atterrandoli prima con la vista che con gli
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assalti», una mostra prontamente celebrata, naturalmente, nella clas sica ottava « eroica». Tra le diverse funzioni di questi apparati andava infine privi legiata quella politica dal momento che essi erano elaborati da gruppi diversi ed in occasione di un loro confronto. I loro percorsi erano presidiati oltre che dai segni di questi gruppi anche dai « let terati» da essi retribuiti allo scopo di definire senza scarti il valore di questi segni. Basile appariva tuttavia slegato da questi raccordi politici precisi e addetto soprattutto alle diverse necessità delle corti m grado di retribuirne sufficientemente l'attività. Del 1 630 era l'organizzazione, sotto l'esclusiva responsabilità di Basile, di una « mascherata» per l'« arrivo» di Maria Anna di Asburgo regina d'Ungheria 8\ una « pompa» destinata a « nobil trattenimento e testimonio di singolar devotione ». Lo scritto ade spoto - ma probabilmente composto dallo stesso Basile come po trebbero provare certe giustificazioni iniziali (« superata egli la scar sezza del tempo coll'ampiezza del desiderio di servire i primi lumi della sua patria, per quanto dalla debolezza dell'ingegno fu a lui conceduto, adempì la forza del ricevuto commandamento») - de scriveva appunto quella parte della « pompa» destinata a celebra zione delle doti personali dell'ospite (« disposero... di rappresen-
81 Monte Parnaso. Mascarata da Cavalieri Napoletani alla M. Sereniss. d. Maria d'Austria reina d'Ungaria rappresentata in Napoli, 1630 [BNN]. Per la rappresentazione cfr. Diurnali di Scipione Guerra [BNN ms. X B 66, 12 ottobre, 4 novembre 1630) (« Finito il ballo con le torce e quelle deposte ballarono con l'istesso ordine con le dame e dopo seguivano a ballare con gli altri cavalieri fino a nove o dieci ore della notte e poi si diede fine alla festa. Non scrivo i propri versi ma l'ho accennati sì per non esserne molto degni di memoria come anche per esserne stampati da G. B. Basile compo sitore della poesia e da lacinto Lombardo posti in musica »); G. C. CAPACCio, Il Forestiero ci t., 959 ; B. CROCE, I Teatri ci t., 87; per il tema del Parnaso cfr. B. CROC E, Due illustrazioni al « Viaje del Parnaso » del Cervantes, in Saggi cit., 1 23-159; M. RAK, La tradizione cit., 645-654. Per la tradizione delle mascarate alla quale si rifaceva Basile cfr. Maschere de' cavalieri ven turieri che giostrarono al Saracino, s.n.t. [BAV). - 1 87 -
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tarle dilettevole ballo che, d'alcun ingegnoso trovato prodotto, in torno alle peregrine doti di sì gran reina unicamente si rivolgesse»). Le scene disponevano simmetricamente le loro componenti (scena grafiche, musicali, letterarie, coreografiche, drammatiche) replicando in sequenza la stessa struttura (ad es. « Al tacer della Musa tripli cato Coro di musici i seguenti versi a tutta l'opera intercalati con alternate fughe cantarono»). Lo spettacolo consisteva quindi in una ripetizione in sei tempi dello stesso modulo teatrale, un simplicissi mum del tipo degli intermedi : una scena, le maschere, il loro dialogo musicato, una danza e la chiusa del coro. La scena com prendeva di seguito tutti i topoi di questo tipo di « pompe» : I « uno spazioso Teatro che boschereccia scena rappresentava ... ergeasi in mezzo al Teatro soblime Tempio, le cui alte porte e di lucide colonne e di vivaci statue che l'Onore e la Gloria figuravano erano mirabil mente ornate», II « il monte Parnaso nella cui cima coronata d'al lori volando a posar venne il destriero alato che, co'l pié zappando la terra, un limpido fiume formossi», III « un dilettoso giardino in cui l'arte formatovi varie prospettive di fiori e di frutti ardiva d'emular la natura», IV « da lontana perspettiva carichi d'uve dorate e vermiglie bellissimi pergoleti ... lieta vendemmia», V « entro una cavernosa spelonca una sotterranea fucina apparve», VI « i C ampi Elisi». Altrettanto consueta la sequenza delle maschere, I la Notte, la Fama, sei bianchi Cigni, II Apollo, le Muse (Polinnia, Tersicore, Erato), III Apollo, le Muse (Euterpe, Melpomene, Talìa), otto leg giadre Ninfe, IV Apollo, le Muse (Calliope, Urania, Clìo), quattro Ninfe Baccanti e quattro Satiri, V tre Ciclopi, tre ... nani, VI qua ranta otto cavalieri. Iniziato con simboli assoluti lo spettacolo era chiuso da simboli relativi, i cavalieri il cui elenco era a chiusura dello scritto con l'annotazione, importante, che la loro « precedenza» era stata stabilita « a sorte». Le altre sequenze di fatti musicali, coreografici, vestimentari, letterari si disponevano sinunetricamente secondo lo stesso modulo. A parte l'importanza rivestita dalla musica, diversificata omologa- 188 -
IL PERCORSO DEL CASO
mente ai segmenti della rappresentazione, le canzoni, i dialoghi ed i cori non costituivano cardini privilegiati dell'azione scenica. Alla simbologia delle maschere ed all'iterazione di una iconografia ideo logizzata erano affidate le parti di maggiore rilevanza semiotica: di qui la chiusura sempre affidata a coreografie nelle quali veniva subli mata la doppia allegoria delle maschere e del loro abbigliamento : Notte
la
da un fosco velo coverta ma intessuto in
guisa
ch' altrui vista lo sfavillar dell' abito d ' oro quasi tante minutissime stelle non contendeva
Fama
la
Apollo
con veste di tela d ' argento . . . Avea su gli omeri l'ali, ne' piedi i coturni, nella destra la tromba cinta di raggi la fronte, armato di faretra il fianco, colla sinistra mano appoggiato al petto tenea la lira e trattava colla destra il plettro dell' oro, il vestire a si fatta deità conveniente dallo splendor dell' oro saettava lucidi lampi
le
Muse
con gli abiti ch'alla proprietà di ciascuna di esse si conveniva, altra musici strumenti, altra geome trici o matematici ordigni, secondo dagli antichi mitologici lor vengono attribuiti in mano aveano
8
Ninfe
avevano coronata di fiori la testa e i capelli di color d'oro l'ondeggiavano per le spalle. Era il loro vestire di tela d ' argento e verde, stringevale argenteo co turno il piede
4
Ninfe Baccanti
di tela d'argento e chermesi e di mischiate pelli di tigri e di pantere leggiadramente vestite, con verdi grillande d ' edera su le scompigliate chiome e con aurei coturni adornate
4
Satiri [vestiti]
della maniera istessa che in pastorali apparati veder si sogliano
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cavalieri
ventiquattro de' quali in abito eroico di raso di color di carnagione con ricchi fregi e ricambi d ' ar gento e con alte piume del color istesso riccamente comparvero et altri ventiquattro di raso nero co' medesimi ricami e fregi d'argento e con folte e nere piume fecero pomposa mostra, i quali colori per singolar gratia de' cavalieri da Sua Maestà eletti furono.
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Questo tipo di operazioni richiedeva evidentemente un'artico lata progettazione estetica assolutamente omologa alla disponibilità finanziaria e politica che la rendeva possibile. Non certo al singolo letterato né ad un gruppo di letterati soprattutto se sprovvisti di mezzi finanziari sarebbe stato possibile l'organizzazione di una scena nella quale la partecipazione assumeva il senso del privilegio. Evi dentemente una delle tante opere su commissione vicereale la cui preparazione come la cui esecuzione rispondevano ad un codice ideologico ed estetico assolutamente regolato. Anche in questa ma scherata, come sia pure in misura e modi diversi negli apparati già esaminati, l'insieme dei fatti estetici costituiva un insieme di segnali sociali e politici accentuati dalla partecipazione diretta di rappresen tanti di alcuni dei gruppi sociali interessati a quel rapporto politico o semplicemente richiamati ancora una volta a ribadire le loro reciproche differenze e cioè, daccapo, la loro posizione gerarchica. Anche in questo caso il testo letterario non era altro che una delle componenti, neppure privilegiata, di organismi estetici com plessi necessari alla polivalente macchina semiotica degli apparati e delle mascherate. Questa occasione rappresentò una circostanza eccezionale per il letterato Basile chiamato, su commissione vicereale?, a verbalizzare questo ennesimo momento dei festeggiamenti in onore dell'ospite anche con un epitalamio la cui analisi consente di accertare la stabilità del modulo ideato ed utilizzato non certo soltanto per que st'occasione. Esso comprendeva in primo luogo un'accurata scelta lessicale regolata dall'esigenza di compendiare le iperboli indispen sabili in così importante occasione con una disposizione figurale elementare, il più possibile pubblica e forse modificata ulteriormente dall'intenzione di comunicare direttamente con la destinataria della composizione. Di qui l'uso di stereotipi assoluti (« Bellissimo Por tento l di Bontà, di Valore. l Sostegno ed ornamento l di Virtute e d'Onore. l In questa Età felice l di Gratie Mostro e di Beltà Fenice », lvi, I) e la frequente adozione del formulario già consueto - 1 90 -
IL PERCORSO DEL CASO
per la lirica spirituale (« Di Natura e del Mondo l che Vita altra non tiene l Miracolo giocondo, l d'ogni Alma unica spene, l che, rapta al tuo sembiante, l t'adora seiVa e ti vagheggia Amante», I I ; « Mille vedrai da quelle l Genti di Lethe a scempio l gloriose Tabelle l de le tue Glorie al Tempio, l più che voti non tiene l Iside in Menfi e Pallade in Atene», XX; « ... l il tuo Real Con sorte l ... l dirà : - Qui sceso è 'l Cielo o in Ciel son io », XXI, etc.). A partire dalla sestina VI iniziava una delle giustificazioni d'autore molto frequenti nella poesia celebrativa e qui notevolmente pro tratta (« sì a lodarti non vole l comune stil né basso ingegno e frale. l Quante son lodi sparte l da che 'l sol corre e gira l non son la minor parte l di quel che 'n te s'ammira», lvi, VI (6)-VII ( 1-4)) indice sia pure minimo della fase di esaurimento e di ristrut turazione di questo linguaggio ad uso comunitario e dell'imminente ripiegamento su un linguaggio lirico più artificioso e più letterato lavorato da gruppi di letterati in misura sempre maggiore alla ricerca di una identità di gruppo e quindi di un'autonomia - relativa della propria parola. L'adozione, dopo queste premesse, della con suete metafore dell'acqua costituiva la prova della identificazione di un formulario ideologico ed estetico ricco di articolazioni, poten zialmente aperto su tutte le occasioni : Diva che 'n mortal velo f dal MAR [ /Maria] hai 'l nome e la Beltà dal Cielo, lvi, VII, 5-6; Ma chi può mai tentare / più erto Giogo o più profondo Mare? IX, 5-6; Di Virtù Giogo altero , / di Beltà Mar immenso, X , 1-2 ; L'aurea pioggia si mira f di te su l'ampia fronte, Xl , 1-2; Oh felice l' Ibero f che dié tal lume al giorno f e Sebeto ch' altero va del tuo lume adorno, f felicissimo poi l' Istro ch'attende il sol de gli occhi tuoi, lvi, XVIII.
Lo stesso momento del congiungimento regale era reso con le consuete immagini d'acqua : « Vedrassi allor del fiume l farsi d'ar gento l'onda l e d'ambo al chiaro lume l di gemme ornar la sponda» (lvi, XXVIII 1-4).
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LA FILOLOGIA COME VERIFICA DEL « TESORO» DELLA TRADIZIONE
L'insieme di varianti de Le avventurose segnalava nello stesso tempo e una fase - quella dell'allestimento dei materiali del di scorso « poetico» - della sperimentazione praticata e una indivi duazione, sufficientemente storicizzata, dei compiti del letterato iti nerante e del tipo di oggetto estetico ideabile viste le caratteristiche di un certo pubblico e quindi anche una certa normativa, non scritta, dell'intrattenimento cortigiano. Di questo ruolo era compo nente non secondaria il lavoro letterario e, soprattutto, di pubbliche relazioni dedicato alla sorella Adriana ed in genere ai Barone-Basile in viaggio tra Napoli, Roma, Firenze e Mantova. Con l'arrivo di Margherita Basile, sorella di Adriana, a Mantova alla fine dell'aprile 1615 - Giambattista era già a Napoli 82 si intesseva daccapo una tortuosa e torbida rete di complicità, anche estetiche, attraverso le quali si tesseva la condizione di una famiglia di « virtuose», di letterati e di amministratori. Con regolarità le occasioni teatrali e musicali di Adriana Basile recavano il contributo del fratello, occa sione da non perdere per apparire nelle corone di rimatori in lode e stabilire così rapporti mai limitati ad elementari ragioni di gusto. L'inserimento in una qualunque catena di rime costituiva un mo mento non trascurabile dell'avvicinamento alle comunità letterarie e quindi ai gruppi sociali privilegiati. A questo avvicinamento ed alle tecniche ideate per renderlo più agevole e più fruttuoso vanno -
82 Cfr. in A. ADEMOLLo, La bell'Adriana cit., 2 1 0 una lettera del l maggio 1 61 5 di Ferdinando Gonzaga destinata a Giambattista Basile perché favorisse la venuta della sorella.
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ascritte tante normalizzazioni ed usualizzazioni di questo settore della scrittura letteraria. La ricerca del diverso non si poneva qui come dichiarazione di concorrenza, al contrario la scelta dei moduli per le composizioni di una corona dipendeva, almeno per i letterati più accorti e cioè per i lavoratori nel settore e non per i rimatori occa sionali, da un sapiente adeguamento della novità ad una norma esemplificata dalle raccolte più diffuse ed « importanti» - natu ralmente per la loro destinazione e quindi il loro « contenuto» in termini di relazione sociale. Una norma estetica ed una letteratura definibili quindi soltanto con il contributo di una ricerca sulla distri buzione geografica e sociologica, e quindi anche politica, delle rac colte in lode, come di quelle in morte o per nozze e simili, sulle pro porzioni, nelle singole raccolte, tra i letterati di mestiere e quelli d'oc casione legati ai diversi gruppi delle comunità locali come natural mente sulla identificazione della norma ossia del repertorio formale utilizzato e di volta in volta scelto come termine di confronto e fondamento di ogni adesione. L'adesione di Basile a questo tipo di rapporto letterario era am piamente esemplificata dalla sua produzione madrigalesca, altri dati a dimostrazione d'essa non mancarono né nelle odi né nelle opere teatrali. Si trattava tuttavia d'un'adesione nella quale entravano sempre a far parte i connotati di un registro « realistico» e « napo letano». Per questo certa frequenza di materia storica - indivi duale, del gruppo popolare-medio, della « città» - raggiungeva, epi sodicamente ma costantemente, livelli in altre, pressocché identiche, opere non facilmente rintracciabili. Spia questa di una contamina zione dell'ideologia letteraria culta con materiali provenienti da altre sfere dell'esperienza, segni questi non solo della presenza dell'altro - e cioè di una diversità della letteratura in genere dalla letteratura culta nei suoi simplicissima cortigiani - ma di una percezione d'esso, spesso forse solo marginalmente, ma in ogni caso meditata. A se gnare tuttavia molti dei controlli della norma vanno seguite le occa sioni letterarie provocate da Adriana partita da Mantova negli ultimi
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LA
FILOLOGIA COME VERIFICA DEL « TESORO »
DELLA
TRADIZIONE
mesi del 1 6 1 6 83 e stabilitasi per un breve lasso di tempo a Roma dove i contatti con le alte sfere del clero romano ed in particolare con la famiglia Borghese le favorirono le lodi, corali, degli Acca demici Umoristi, non è escluso fosse a Roma nella stessa circostanza anche il fratello Giambattista autore di un madrigale Per la colonna drizzata nel colle Esquilino per la santità di papa Paolo V (Camillo Borghese). Questa cronaca familiare in rime proseguiva nelle suc cessive tappe della carriera di Adriana, anch'essa per conto suo forse preparatrice dei suoi testi cantabili 8\ nel 1 6 19-20 a Napoli a rac cogliere le lodi degli Accademici Oziosi e nella primavera 1620 di nuovo a Mantova dopo le consuete tappe di Roma e di Firenze. Le feste mantovane del 1621 per l'elezione di papa Gregorio XV e per l'incoronazione di Filippo IV di Spagna videro uno degli ultimi momenti di partecipazione di Adriana : nell'egloga Licori overo l'incanto d'amore di un Alessandro figlio di Giambattista Guarini e segretario ducale e probabilmente musicata da Monteverdi reci tarono insieme ad Adriana le sorelle del duca, Margherita ed Eleo-
83 Per le feste allestite per le nozze tra Ferdinando Gonzaga e Caterina dei Medici (7 febbraio 1 6 1 7) cfr. GxosEFFO CAsoTTO, Viaggio et nozze del duca di Mantova Ferdinando etc. pubblicato a Mantova nel 1 882 con il titolo Il matrimonio di Ferdinando Gonzaga con Caterina de' Medici. Per la diffusione dei topoi acquatici anche fuori di Napoli cfr. FRANCEsco RAsi, Madrigali di diversi autori esposti in musica, Firenze 1 6 1 0 ; Io., Vaghezze di musica, Venezia 1608 e la Relazione di una festa acquatica torinese del 1 608 (A. ADEM OLLo, La bell'Adriana cit., 2 1 7). La differenza di questa tematica con quella proveniente dal territorio napoletano era nel suo scontato aulicismo nei confronti di un aulicismo altrettanto sorvegliato e scontato ma pronto all'occasione a nominare anche altre cose e parole legate alle cono scenze dei pescatori. Per gli stessi topoi cfr. una lettera del 9 dicembre 1 6 1 6 d i Monteverdi relativa a d una favola marittima probabilmente intitolata Le nozze di Tetide nella quale venivano posti problemi di adattamento della parte ai teatranti disponibili, altra prova dell'estrema !abilità della nozione di testo letterario ed anche musicale nei confronti di una fissità predeter minata e predeterminante che era quella della struttura cortigiana (A. ADE MOLLO, La bell'Adriana cit., 232-235). 8 4 Sia tra qualche composizione degli Oziosi che nella Biblioteca napo letana di Nicolò Toppi (ad v.) si trova l'accenno ad un'attività di Adriana come autrice di testi letterari (e cfr. A. ADE MOLLO, La beU'Adriana ci t., 265). Per le commissioni di versi da parte della stessa cfr. lvi, 268. - 195 -
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nora Gonzaga, questa di là a poco sposata, con altre feste, con l'im peratore Ferdinando II. Anche nel caso di questa partecipazione è difficile parlare di un semplice gusto musicale e teatrale disposto ad affinarsi e a sacrificare più o meno ingenti somme per esso. Duchi e duchesse in maschera conferivano allo spettacolo una componente teatrale ulteriore. Esplicitamente lo spettacolo era insieme un obbligo estetico perché era un obbligo sociale e politico. La sua estetica come il consenso che essa richiedeva era proprio nella sua dichiarata socialità spinta alle sue estreme ostentazioni : il potere politico rap presentava se stesso come potere estetico. Un teatro nel teatro nel quale era altrettanto pericolosa l'assenza almeno quanto avrebbe potuto esserlo un qualsiasi dissenso. Non c'è dubbio che assistendo a questo tipo di spettacoli, non esclusivi della corte mantovana, i dubbi sull'essenza mascherata del mondo che circolavano ne Le avventurose trovassero insieme le loro ragioni genetiche e gli im pulsi adatti a suggerire la sapientemente stravolta immagine del mondo che avrebbe circolato ne Lo cunto. Nel pellegrinaggio ducale a Venezia - dal 28 aprile 1623 - Adriana trovò l'occasione per la summa degli omaggi dedicatile - un Teatro delle glorie di Adriana Basile pubblicato proprio a Venezia nello stesso anno 85 e per le sue ultime fortune extraregnicole. A Roma, nel vaggio di ritorno, incontrò Marino - al quale l'aveva paragonata una diffusa composizione di Maia Materdona 86 preludio ad un nuovo, anche esso celebrato incontro tra i due « cigni», a Napoli, al ritorno defi nitivo di Marino nella sua città 87 • -
8" Il teatro delle glorie della signora Adriana Basile .. . , Venezia, per Evangelista Deuchino, 1623 (F. S. Q uADRIO, Della storia cit., II 5 1 7 e cfr. n. 101). 8 0 Per una composizione di Gianfrancesco Maia Materdona in lode di Adriana cfr . A. ADEMOLLO, La bell'Adriana cit., 242; per il suo parallelo tra la stessa e Marino cfr. lvi, 295-296 . Evidentemente collegate con queste lodi sono quelle di Basile a Marino ne Del Teagene, V 66a.-676• 87 Una lettera di Marino probabilmente posteriore al maggio 1624 de scriveva quella che era probabilmente stata circa vent'anni prima e era tuttora lo scenario della musica di Adriana, Posillipo : « Qui l'acque del mare sono sempre tranquille perché come quelle che vivono sicure da' venti sotto il
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L'esperienza filologica di Basile, portata avanti negli anni 1 6 1 216 1 8 con almeno quattro scritti fondamentali per un riorienta mento dei suoi studi e della sua scrittura letteraria, va ascritta ad una linea conoscitiva che rivelava immediatamente il suo versante di erudizione finalizzata ad una verifica dell'assetto istituzionale della strumentazione - topoi archetipi tradizione autorità eufonìe della letteratura e che, meno immediatamente, lasciava trasparire anche un versante occulto, la verifica delle tecniche di allesti mento negli insiemi di materiali poi rifluiti ne Lo cunto. Quest'opera avrebbe infatti avuto tutte le caratteristiche di un'articolata genesi filologica, a partire dalla quale la raccolta e la strutturazione dei materiali popolari-dialettali avrebbe trovato la via del superamento di certe scomposte prove destinate ai circuiti semiculti o « popolari » del tipo delle farse cavaiole e di un accertamento dello spessore delle tradizioni letterarie, come in genere artistiche, rintracciabili in questi altri campi del sistema culturale. Un accertamento certo progettato ed eseguito con gli strumenti già allestiti, tra essi la filologia, dall'ideologia letteraria culta ma resi indispensabili dal necessario - per ogni gruppo - raccordo con le nuove linee di organizzazione del processo culturale fondate, tra l'altro, sulla dif fusione del libro e sulla sua lettura di gruppo. Per questo nella scelta di questi mezzi eminentemente culti i letterati « popolari » non potevano prescindere da quella che era insieme una scelta politica e di politica culturale ed approdare, con procedure molto graduate, patroc1mo de' monti che fanno loro gratiOSissrma corona, non temono di tempesta. Qui l'ombre degli alberi anche nel fitto meriggio difendono dal caldo il nocchiero. Qui le fontane sempre dolcissime e purissime porgono diletto e refrigerio ai marinai ; ed insomma questo spatio di mare è un teatro gloriosissimo dove ogni sera viene la nobiltà napolitana dentro le gondole a goder un'aria di paradiso », G. B. MARINO, Epistolario, Torino 1966, n. 214 e cfr. sullo stesso argomento, Pusilipo ratos de conuersacion en los que dura el passeo. Al ilustrissimo y excelentissimo sefior el sefior Duque de Alcala, marques de Tarisa etc., Virrey y Capitan Generai del Reyno de Napoles. Autor don Christoual Suarez de Figueroa. En Napoles, por Lazaro Scoriggio, 1629 [BAV]. F. S. QuADRIO, Della storia cit., II, 289, 375 dava notizia di sonetti basiliani uniti a quelli di G. D. AGRESTA nelle Rime d'illustri ingegni napoletani, Venezia, Ciera, 1633.
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alla finitezza del libro, sia pure del libro m dialetto, ed alla valu tazione del già postumanistico e postarcadico rapporto cortigiano ed accademico raramente, ed in ogni caso faticosamente, rifiutabile, come fu il caso di gran parte dell'attività di Cortese. In questa operazione vanno individuate certe componenti di una forzata accul turazione, di una riduzione opportunistica delle « proprie » forma lità a quelle egemoniche ma questo non riduce il senso storico della costituzione di una letteratura dichiaratamente non disposta alla esclusione delle altre visioni del mondo - all'idillio manierista né alla sua strumentalizzazione ai fini di un docere alieno. Certe soluzioni di questa letteratura poi rifluite ne Lo cunto, sorvegliate da una cultissima percezione della loro organicità e della loro auten ticità, scoprivano la loro autonomia e quindi la loro predicabilità a latere di questa ricerca filologica che costituiva i registri ufficiali della letteratura e nello stesso tempo costituiva le tecniche della loro identificazione come differenziazione. Questa ricerca degli anni 1 6 1 2-1618 riguardava però tutt'altri materiali. L'edizione del 1 6 1 6 delle Rime di Bembo 88 non recava,
88 Rime di M. Pietro Bembo de gli errori di tutte l'altre impressioni purgate. Aggiuntovi l'osservationi, la varietà de' testi e la tavola di tutte le desinenze delle rime. Dal cavalier Gio. Battista Basile nell'Accademia degli Stravaganti di Greti e degli O tiosi di Napoli il Pigro. In Napoli, per Costan tino Vitale, 1 6 1 6. II lavoro filologico concluso in questi anni con queste edizioni era iniziato intorno al 1 61 2-1 6 1 3 come provava l'allusione della dedica A i lettori nell'edizione mantovana del 1 61 3 delle Opere poetiche con la quale si legava questa esperienza filologica al rifacimento del proprio repertorio letterario esemplificato questa volta meno casualmente proprio su questi « autori » : « Questi (s'egli è lecito dire) primi fiori de' più verdi anni del l'autore, quantunque con la poca dolcezza ch'essi traeano dal suo per all'ora immatura ingegno avessero talvolta gli occhi e le mani altrui a veder e a coglierli potuto allettare, nondimeno di tante spinte abbondevoli che troppo giovane agricoltore anzi che no loro avea sotto la falce lasciato, avrebbono forse intiepidito l'altrui vaghezza, laonde senza ch'eglino venissero colti e per avventura premuti da maligno piede se ne sarebbono giaciuti. Ha voluto egli adunque per non dimostrarsi con gli anni mancante di alcuna isperienza quanto gli è stato possibile toglier da quelli ciò che d'aspro e di pugnente esser vi potea non presumendo già d'averli a bastanza purgati percioché non lasciarà giamai di confessarsi cieco ne' propri mancamenti ancorché pren-
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almeno nell'esemplare esaminato [BA V], alcuno dei consueti riferi menti esterni del testo - dedica, avviso ai lettori, sonetti d'accom pagnamento, presentazione dell'editore, etc. - segnalando così una operazione editoriale realizzata apparentemente senza tener conto del la logistica consueta alla « pubblicazione » di questo tipo di scritti. In parte la spiegazione di questo fatto va forse ricercata, come si vedrà più innanzi, nell'intenzione di dedicare anche questo lavoro, insieme agli altri preparati nei due anni seguenti, a Marco Scitico Altemps, personaggio fuori dall'ambiente nel quale Basile operava, in ringra ziamento di un favore fatto al fratello. Ma forse nel 1 6 1 6 questa intenzione non era ancora stata definita, né era definita certamente nel 1612 data d'inizio di questi lavori di critica testuale, e la man canza di una destinazione poteva indicare una ristrettezza del cir cuito nel quale questo libro intendeva collocarsi. Considerazione da confermare soltanto con l'ispezione di altre copie, si dava frequente mente il caso di stampe parziali, di solito in volumetti di poche pagine, come è appunto il caso di questi scritti costituiti di più libretti unificati ma forse solo nell'intenzione dell'autore ed a discrezione dell'acquirente. Altre iniziative dello stesso genere, edizioni e soprattutto rimari stesi negli stessi anni 89 provano come questo lavoro si collocasse in un ambiente già ricettivo nei confronti di iniziative analoghe e
desse alcun tempo ardire (s'egli avverrà ch'escano in luce le sue ossexvationi intorno al Bembo e al Casa) di mostrarsi Argo ne' difetti altrui. Ma chi sarà mai cotanto avventuroso ch'i suoi componimenti siena a fatto non manche voli se oltre gli errori che per inavertenza vi può lasciare la frettolosa penna nello stamparsi poi benché vi si spenda fatica e diligenza che nulla più non può non errarsi ? ». 8 9 Cfr. ad es. il rimario dantesco aggiunto all'edizione padovana della Commedia del 1 727 appresso Giuseppe Comino la cui dedica era datata Napoli, 7 agosto 1 602 ed il cui testo riproduceva fedelmente la prima edi zione : Rimario di tutte le desinenze di versi della Divina Commedia di Dante Alighieri ordinato ne' suoi versi interi co' numeri segnati in ciascun terzetto ... Opera già pubblicata in Napoli l'anno 1602 da Carlo Noci presso Gian Jacopo Carlino ed ora notabilmente migliorata, arricchita d'un indice delle sole rime e in tutto corrispondente al testo de' Signori Accademici della Crusca. In Padova, 1 7 26, presso Giuseppe Comino.
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fortemente condizionato dai modelli toscani degli scritti sul problema della lingua. Tuttavia Basile realizzava le sue raccolte di rime in un momento nel quale i materiali scelti raggiungevano uno dei culmi ni della loro fatiscenza storica. All'interno della tradizione manierista petrarchista venivano effettuate soltanto delle sezioni - Bembo, Della Casa e Galeazw di Tarsia - rispondenti, soprattutto le ultime due, al delinearsi, sempre più efficacemente suggerito se non teoriz zato, di una storia della tradizione letteraria locale disponibile sol tanto ad alcuni insiemi formali : le tonalità alte di Della Casa adatte tra l'altro alla lirica celebrativa, le tonalità intimiste di Galeazzo di Tarsia adatte tra l'altro ad una narrazione degli « affetti» diversa da quella della casistica aulica e fortemente metafisicizzante e più adatta a certi nuovi bisogni di definizione dell'individualità del pe trarchismo. Ma a parte queste scelte nelle quali Basile sublimava le tendenze dei politicamente affioranti strati del popolo medio-alto la funzione dell'operazione era in un restauro di questi materiali in vista di una loro riutilizzazione, una volta accertata l'attendibilità delle loro variazioni. La scelta di Bembo va attribuita anche alla evidente inclinazione « veneziana» di Basile riscontrabile in molte delle sue ragioni di scrittura. Questa ipotesi giustifica la struttura elementare di questi scritti, nell'edizione delle Rime di Bembo queste venivano allineate in stretta successione, senza titoli o note (lui, 1 - 1 1 9), seguiva una « tavola» delle rime (lui, 1 20-1 29) e cioè un indice alfabetico dei capoversi, spesso accompagnate questa volta dall'indicazione dei titoli, delle dediche o delle destinazioni delle rime, infine 5 sonetti indirizzati a Bembo (di Benedetto Marasino, Veronica Gambara di Correggio, Giorgio Trissino, Vittoria Colonna, Francesco Maria Molza), cinque classici delle composizioni in lode con l'indicazione dei capoversi delle composizioni con le quali Bembo stesso aveva « risposto». Questa edizione doveva aggiungersi - ma anche distinguersi al momento della vendita (vista la numerazione continua delle pagine, la inserzione del titolo del secondo libretto nel titolo del primo, la coincidenza dell'anno di stampa) - uno studio sulle varianti delle - 200 -
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Rime 9 0 al quale era premesso un avvertimento a' lettori che era più che altro un siglario segnalante le edizioni delle Rime delle quali si era tenuto conto (A. Venezia, 1 548 ; Venezia, 1 561 ; Venezia, 1599 ; B. Venezia, 1530 ; C. Venezia, 1 535 ; D. Roma, 1 548 ; E. Venezia, 1 544 (per Gio. Andrea Vavasone detto Guadagnino e Florio fratelli); F. Venezia, 1544 (per Comin da Trino, ristampa delle edizioni Ve nezia, 1 548 e Venezia, 1554) ; G. Venezia, 1 569 (ristampa dell'edizione Venezia, 1 570 per Gabriele Giolito de' Ferrari) ; H. Venezia, 1 586 (per Melchior Sessa) ; l. Venezia, 1 567) un corpus testuale di notevoli proporzioni collazionato tenendo conto solo delle varianti più signi ficative ed in particolare dell'alternanza di lenuni. L'insieme di va rianti che ne risultava era certo quantitativamente esiguo ma non irrilevante come non irrilevante era la meta prefissa con questa ope razione : riscoprire una media accettabile delle variazioni imposte dal flusso, avvertito, della storicità su di un testo esemplare. Come ha provato la comparazione tra le edizioni de Le avventurose degli anni 1 6 1 2 e 1 6 1 3 l'idea di una variabilità ed adattabilità del testo, per più versi tipica della letteratura popolare ma non infrequente in certi tipi di letteratura celebrativa, si allineava gradualmente a quella della sua storicità che era nello stesso tempo un principio informatore dell'attività letteraria come della riflessione critica - e filologica su di essa. La Tavola pubblicata nel 1 6 1 7 91 evidenziava infatti l'altro versante di questa operazione, il già ricordato tentativo di rubricare tutti i materiali utilizzabili per la poesia - ma prelevati da una soltanto delle linee del petrarchismo - in una ipotesi di rici claggio già manierista ma esercitata dal manierismo a prescindere dall'ordine implicitamente suggerito da questo e da altri lavori di edizione. Se la massima aspirazione di tanta lirica sembrava essere,
90 Varietà de' testi nelle rime del Bembo osservate dal cavalier Cio. Battista Basile. In Napoli, per Costantino Vitale, 1 6 1 6 . 91 Tavola di tutte le desinenze delle rime di Pietro Bembo, Co' versi intieri sotto le letteTe vocali raccolte già da Tomaso Porcacchi. Or in miglior ordine disposte dal cavalier Cio. Battista Basile. In Napoli, per Costantino Vitale, 1 6 1 7 .
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a tratti, la celebrazione della variante come acme del processo crea tivo, le varianti venivano qui definite e definitivamente composte in uno schema rispetto al quale ogni variante successiva era un errore a meno di non considerare i materiali così allineati appunto come materiali di una diversa organizzazione del discorso lirico. Anche qualche fattore esterno, la già ricordata mancanza di dediche ad esempio, segnalava la loro difficile collocabilità nel riorientabile ma non riorientato ordine dei generi, stabiliva una loro collocazione eccentrica fondabile su un diverso discorso, letterario e non letterario. Questa percezione dell'altro e della sua differenza, queste precau zioni che erano distinzioni ed a tratti rifiuti costituivano una caratte ristica di questa ricerca letteraria. Resta comunque essenziale per la denotazione di queste operette il riferimento, esplicito nel testo, al modello ideale di questo tipo di edizioni, quello dell'edizione delle Rime di Bembo curata da Tom maso Porcacchi 92 ben altrimenti inserita nella valutazione più che nello studio della degradazione storica del testo bembesco. Le ragioni della scelta di questo modello - perché di modello si tratta viste le pressoché coincidenti caratteristiche tipografiche ed editoriali, esclusa naturalmente la sezione delle varianti - vanno forse cercate in un altro testo in parte curato dallo stesso Porcacchi e più aderente al principio implicitamente teorizzato da Basile : l'edizione del Della fabbrica del mondo di Francesco Alunno 93 • Questo testo ipotizzava una immobilizzazione definitiva del lessico e della tradizione lette9 2 Rime di M. Pietro Bembo tratte dal proprio origina[ di lui alle quali s'è aggiunta una tavola di tutte le desinenze sotto le lettere vocali insieme co' versi interi. Con ogni accuratezza corrette e rivedute da Thomaso Por cacchi. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1563. 93 Della fabrica del mondo di M. Francesco Alunno da Ferrara libri dieci. Ne' quali si contengono le voci di Dante, del Petrarca, del Boccaccio et d'altri buoni auttori, mediante le quali si possono scrivendo esprimere tutti i concetti dell'uomo di qualunque cosa creata. Di nuovo ristampati e ricorretti da M. Borgarutio Borgarucci. Con un nuovo vocabolario in fine di tutte quelle voci che mancavano nella Fabrica et si leggono in diversi altri autori antichi e moderni, aggiunto da M. Tomaso Porcacchi per intera sodisfatione di chi desidera aver piena cognitione della nostra lingua . In Venetia, appresso Gio. Battista Porta, 1 584. ..
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raria, dai buoni autori traeva i termini adatti ad una descrivibilità totale del mondo senza bisogno di modifiche o iotegrazioni. Inten zioni logometafisiche escluse dal sia pure non teorizzato storicismo basiliano ma contenenti il principio, questo invece almeno in parte accettabile, della definizione della materia linguistica migliore stori camente disponibile. Una definizione per la quale Basile sceglieva, come si è visto, certi autori e non certi altri, Bembo veneziano e non Petrarca aretino, Della Casa e Di Tarsia puntelli della tradizione meridionale. Se questi erano gli autori si intende come questo oriz zonte letterario fosse solo in parte angusto, piuttosto volontariamente ristretto alla ricerca di una identità della letteratura locale e della esperienza personale. La stessa struttura veniva adottata per l'edizione delle Rime di Della Casa e di Galeazzo di Tarsia del 1 6 1 7 9\ il testo era seguito da una serie di sonetti scambiati tra Della Casa e Ber nardo Cappello, Pietro Bembo, Iacomo Marmitta, Benedetto Varchi, Bernardino Rota (lvi, 45-50) con una tavola-indice (lvi, 51 -54) ed
04 Rime di M. Giovanni Della Casa riscontrate co' migliori originali e ricorrette dal cavalier Gio. Battista Basile. In Napoli, per Costantino Vitale, 1 6 1 7 [BAV] . Rime di Galeazzo di Tarsia nobile cosentino raccolte dal cavalier Basile nell'Accademia degli Otiosi il Pigro. In Napoli, 1 6 1 7 , per Gio. Dome nico Roncagliolo [BAV]. Dedicato a Cecco di Loffredo marchese di Trevico e « capitano di huomini d'arme per sua Maestà in Regno » con una dedica dalla « sua terra di Zuncoli » datata l gennaio 1 6 1 7, il libretto si presen tava come un lavoro di recupero e di restauro di un testo aulico : « queste poche rime ... escono oggi alla luce del mondo, alla luce che l'avidità del tempo e la rapacità di coloro che de l'altrui fadighe fanno a se medesimi onore l'ha sin ora invidiata; non essendo elle degne di starsene sepolte in più lungo oblìo per la eccellenza che in esse risplende ma di vivere eterna mente nelle stampe, il che mi son mosso io a fare pietoso altretanto del torto che !or si facea in tenerle nascoste quanto ammiratore delle peregrine bellezze ch'in !or si scorgono ». Seguiva una « breve contezza a chi legge dell'autore delle seguenti rime », una brevissima biografia nella quale si segnalava la scelta di Della Casa in favore di Tarsia rispetto a Petrarca e si ribadiva l'opportunità dell'edizione : « visse e poetò nel tempo del Bembo curando poco ch'i suoi scritti s'eternassero con le stampe, laonde ha dato a molti opportunità d'arricchirsi de' suoi più rari concetti. Sì che a pena queste poche reliquie de' suoi lodevoli istudi con non poca industria di chi le palesa al mondo s'han potuto trarre dal fosco di sì lungo oblìo per disco vrirle alla luce del giorno >> .
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una tavola delle desinenze95• I primi due scnttJ venivano poi uti lizzati nel 1 6 1 8 per le Osservationi intorno alle rime del Bembo e del Casa 96 la cui lettera di dedica era del l" novembre 1 6 1 7, data che fa risalire la stesura di queste Osservationi al periodo compreso tra essa ed il l" gennaio 1 6 1 7 data della dedica dell'edizione delle Rime di Galeazzo di Tarsia, una ulteriore conferma della tendenza di Basile ad usare indicazioni reali, al massimo con cifre lievemente arrotondate, per datare i suoi scritti. Nella dedica alle Osservationi Basile accennava a parte di questa sua esperienza filologica come divisa in due parti, la prima contenente i due o più libretti sulle rime di « due de' più chiari lumi dell'italiana favella », la seconda
95 Tavola di tutte le desinenze delle rime del Casa. Co' vers1 mtzerz sotto le lettere vocali. In Napoli, per Costantino Vitale, 1 6 1 7 . In genere su questa dimensione dell'attività di Basile cfr. A . QuoNDAM, Dal manie risma al barocco in « Storia di Napoli », VI 588-589. 96 Osservationi intorno alle rime del Bembo e del Casa. Con la tavola delle desinenze delle rime e con la varietà de' testi nelle rime del Bembo. Di Cio. Battista Basile cavaliera, conte palatino et gentiluomo dell'Altezza di Mantova. Nell'Accademia de gli Stravaganti di Greti et de gli Otiosi di Napoli Il Pigro. In Napoli, nella stamperia di Costantino Vitale, 1 6 18. Da notare che almeno in parte questa attività filologica coincise con un periodo di gravosi impegni pubblici : il governatorato di Montemarano in provincia di Avellino (come prova una lettera da questa località del 14 marzo 1 6 1 5 indirizzata al duca di Mantova cfr. B. CRocE, capitano d'armi nel 1 6 1 7 a Zuncoli al seguito di Cecco di Loffredo marchese di Trevico), al quale fu dedicata la terza parte dei Madriali edita appunto nel 1 6 1 7, nel 1618 era alla corte di Marino Caracciolo principe d'Avellino città della quale Basile fu nominato governatore nel 1 6 19. Nel 1 620 era di nuovo a Napoli, nel 1 6 2 1 partecipava alle riunioni dell'Accademia degli Incauti, nello stesso anno fu nominato governatore di Lagolibero (Lagonegro) in Basilicata. Intorno al 1 624 Basile acquistò probabilmente il feudo di Torone frazione di Morrone in provincia di Caserta dal momento che nell'edizione delle Immagini (1624) si definiva appunto « conte di Torone ». In altra lettera del 4 novembre 1626 compariva l'indicazione « conte di Castelrampa » in seguito non più ricomparsa. Nello stesso anno doveva essere già entrato al servizio del viceré Antonio Alvarez di Toledo duca d'Alba che Io nominava governatore di Aversa nello stesso anno (B. CROCE, Saggi cit., 22), da Galeazzo Pinelli, duca di Acerenza ed accademico Ozioso, fu nominato gover natore di Giugliano presso Napoli nel 163 1 . Di qui Basile celebrava in Del Teagene, V 49a il suo ultimo protettore e l'eruzione vesuviana alla quale seguì un'epidemia nella quale egli stesso trovò la morte (BNN ms Aggiunta ai giornali di scrittori di guerra ms. X B 66, febbraio 1 632).
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appunto le Osseruationi « che con tanto mio studio et fatica intorno ad esse ho fatto ». La dedica a Marco Scitico Altemps era in ringra ziamento ( « a lei solo era io debitore di così fatte mie fatiche come a Principe ch'io osservo infinitamente et a cui devo tutti i miei studi per li favori ch'ella s'è degnata di fare a casa mia nella persona di mio fratello »). Le Osseruationi consistevano nell'ordina mento alfabetico dei lemmi delle rime di Bembo e Della Casa accanto ai quali, spesso con un brevissimo cenno di spiegazione (cfr. ad es. « Come che (val quantunque, perché) », « Come (quasi) », etc.), venivano disposti i versi nei quali essi apparivano. Si otteneva così un registro della frequenza ed implicitamente degli usi dei singoli lemmi nei due canzonieri. Non era l'ordine - tematico di Alunno ma piuttosto un ordine lessicografico e di semantica applicata. Le brevi spiegazioni dei lemmi segnalavano lo scarto tra il loro uso contemporaneo ed un uso visto come ormai decaduto. Anche in esse si trovava confermato il fine di questi scritti interes sati alla descrizione e quindi al riordinamento di una tradizione letteraria in vista di una più organica - e cioè filologicamente fondata - riutilizzazione dei suoi materiali. Una indiretta cele brazione, in definitiva, della combinabilità come matrice storica della lingua e della letteratura.
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GLI IDILLI COME FRAMMENTI DI UN'IDEOLOGIA DELLA FUGA
Nessun riferimento esplicito del testo consente una datazione sicura dell'idillio amoroso L'A retusa 9 7 tranne l'indicazione « esterna » della lettera di dedica del l a febbraio 1 6 1 9. Qualche dubbio sulla collocazione cronologica dell'opera può essere avvalorata da certe sequenze tematiche che riconducono immediatamente all'esperienza de Il pianto e de Le avventurose e nello stesso tempo testimoniano una fase di sperimentazione più raffinata. Non è da escludere si tratti dell'utilizzazione di un ritaglio tematico di quest'ultima opera - il richiamo ad un altro mito siciliano - compiuto in altra epoca ed in diversa occasione, ambedue però non troppo lontane dalle prime opere in lingua vista la centralità anche in questa favola dell'immagine dell'acqua ed il perfezionamento e cioè l'esercizio unilaterale di altre delle sue combinazioni possibili. Proprio le modalità di questo esercizio inducono a confermare la data di composizione dell' Aretusa e ad ascriverne certe fissità alla so stanziale continuazione dei moduli scoperti negli anni 1 606-161 1 98 •
97 L'Aretusa. Idillio di Gio. Battista Basile, Cavaliera, Conte Palatino e Gentil'uomo dell'Altezza di Mantova. s.n.t. [BNN]. 98 Dell'attività di Basile alla corte avellinese di Marino Caracciolo rimane una testimonianza (già segnalata da B. CROCE, Storia cit., 455) ne L'Albergo. Favole tratte dal vero del conte Maiolino Bisaccioni. In questa nuova editione corretto e abbellito. A ll'illustrissimo signore il signor Gio. Fran cesco Loredana. In Venetia, 1640, per Gio. Pietro Pinelli stamp. ducale ... (per Bisaccioni cfr. Le glorie degli Incogniti cit., 321 sgg.) : « Una Accademia si aprì dove allo spesso di morali e politici discorsi trattavasi, materie che in estremo al Prencipe dilettavano e molto sodamente ne parlava, altra volta (poiché di musici ottimi era la Corte provista) brevi favolette in stile rap presentativo si recitavano co'l canto ma allungandosi le notti et il carnovale
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Certi dubbi sulla collocazione cronologica potrebbero interessare anche la collocazione culturale di quest'opera : le motivazioni del l'esperienza di Basile non sono facilmente riconducibili ad un solo ambiente né in particolare soltanto a quello napoletano. A livello di struttura testuale si riproponeva una indeterminatezza come adattabilità caratteristica di questo tipo di opere cortigiane così come del ruolo e quindi degli strumenti di un letterato di corte. Nella pratica dell'adeguamento tipica di questo ruolo la ricerca del consueto - del già ritualizzato ed in parte del tipico dell'ambiente nel quale il letterato si spostava ed al qua le doveva adattare, in misura più o meno rilevante e secondo modalità di volta in volta diverse, il suo testo ed il meccanismo della sua offerta al pubblico - si traduceva in un forzato realismo e cioè in una collocazione storicamente individuata della propria presenza. Le misure e le modalità di questi adattamenti, caratte-
fu bisogno di pensare a più lunghi trattenimenti; non mancavano ingegni grandi fra' quali il cavalJier Basile di venerabile memoria nelle buone lettere et ottimi costumi e sì pronto nelle prose e ne' versi il ritrovai che bene spesso mi rendea stupore il vedere che in poche ore grande e buona faragine di cose egli operasse, deliberai adunque fra' balJi, che ogni notte sei ore e talvolta otto duravano, intrecciar motti e giuochi alla Sanese; non furono i gentiluomini e le dame lenti ad apprenderne l'uso », 169- 1 70 (cor.), il disegno della rappresentazione poi organizzata era incentrato sul consueto Tempio. Molto indicativo l'avviso al lettore, uno dei pochi casi di teoriz zazione della letteratura semiculta : « Chi scrive imita la favella e chi parla deve conoscere chi l'ascolta. Il Popolo è un misto la cui parte maggiore vive nella communanza e non intende le forme sublimi o le materie abstruse. Questo libro non è scritto solo a' Satrapi del sapere né a' Geometri delle più fine voci e però non devi tu scandalizarti se allo spesso trovarai qui parole fuori della squadra di que' stringati che non ammettono una sillaba ed un accento non masticati e ruminati dalla schiera de' più approvati autori perché si parla al più e con ferma credenza che in essi consista l'applauso delle favole e benché talvolta si sia un tantino alzata la mira a cose non tanto triviali s'è però fatto con tale discrettione che anca gli ingegni mediocri non averanno da ragavignarsi per salirne alla intelJigenza. Chi scrive per diletto non vuole sudare e chi legge per gusto non vuole stroppiarsi. Non ogn'uno ha tempo di travagliare intorno a quel vocabulario che partisce il grosso dal minuto. Le parole che corrono per le piazze et albergano ancora in chiunque parla sono Fato, Sorte, Fortuna, Caso et Amore cose tutte passate dalla gentilità fra di noi ». ...
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ristici di uno strato letterario che si è indicato come semiculto, potrebbero essere studiati in altri materiali letterari costretti al passaggio dall'una all'altra regione italiana, ad es. nei testi delle villanelle tra i primi decenni del sec. XVI ed i primi decenni del sec. XVII. La ricerca del consueto locale coincideva quindi di fatto con la ricerca di una identità sociale, di uno spazio nel quale gli stessi moduli potessero essere offerti con più o meno marcati cambia menti di segno. Nelle villanelle il processo di adattamento riguar dava in primo luogo la lingua con la perdita o l'acquisto di carat teri dialettali. Nel genere dell'idillio - linguisticamente più stabile perché più convenzionalizzato - le modifiche riguardavano il rap porto tra apparato figurale-concettuale e rituale o circostanza d'uso. L'insufficienza dei dati relativi a questi ultimi rende sinora proble matico lo studio dei codici stabiliti nelle singole opere e delle loro possibili trasformazioni. I soli riferimenti possono quindi riguardare alcuni aspetti della costituzione dei microgruppi e subculture nelle quali queste opere venivano diffuse e certe loro probabili cifrature di particolari rapporti sociali ed ideologici. Anche per l'Aretusa dovrebbe valere la segnalazione di una appartenenza alla linea barocca, in misura ancora più determinata di quanto non valga per l'esperienza in parte semplicemente postmanieristica de Il pianto. Anche in questo idillio una struttura semplicissima costituiva il fon damento di un esercizio figurale che aveva nella metafora il suo perno tecnico e concettuale. La serie metaforica era per lo più carat terizzata dal fatto che ambedue i termini della singola metafora erano costituiti da oggetti a raddoppiare di fatto il territorio del reale trattato dall'opera. Nello stesso tempo essi innestavano in una qua lunque descrizione il principio della reversibilità ad infinitum di questo territorio, anzi frequentemente suggerivano l'opportunità di una svolta concettuale che vedesse al posto del Reale - storico, testuale, politico - l'Apparente. Non si trattava però del manife starsi del culto dell'illusione, si sa quanto protratta ed estenuata da alcune delle linee barocche sia in letteratura che nelle arti visive -
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(anche in L'Aretusa l'altro mondo poteva essere quello del colore : cfr. vv. 33-44), ma, in questo momento iniziale della rivelazione della polidimensionalità dell'essere segno anch'essa dell'affioramento, sempre più frequente, sul piano della letteratura di termini della cultura storicamente respinti od occultati. Il lavoro letterario, anche in questo idillio, era nella rivelazione del tradizionalmente e quindi pressoché obbligatoriamente insospettabile - di qui la connotazione come ingegnoso di questo tipo di attività - altro volto dell'essere. Anche in questo caso non meraviglia che il momento finale di questa composizione fosse una metamorfosi, essa, come vedremo, interes sava, tratto dopo tratto, l'intera struttura dell'opera. La tipica am biguità delle sue illustrazioni del mondo era soprattutto un avverti mento di un'ulteriore presenza non suggerita indirettamente e com plicemente ma dichiarata in una sua compiaciuta luminosità. Tutti gli eventi, qui tutti gli oggetti, apparivano fortemente illuminati e fortemente incombenti nella loro materialità. Scarsissimo lo spazio per il racconto del pensiero come scarsissime tutte le gradazioni : tutto infatti tendeva ad essere contemplato soltanto nel suo registro più alto - di qui l'iterazione d'una qualificazione « altissima » (si veda la tipologia dell'aggettivazione). Pressoché insussistente il mondo delle ombre, l'idillio barocco esponeva crudamente i suoi oggetti, si compiaceva di tutte le loro rilucenze che dovevano in ogni caso essere splendori. La rappresentazione dell'ombra consi steva nella sua circospetta concellazione (/vi, vv. 1 3-14) o nella ricerca di oscurità totali (lvi, v. 31) dalle quali gli oggetti potessero emergere - o sprofondare naturalmente - in tutta la loro fug gevole chiarezza. I due mondi convergenti che la metafora basiliana unificava erano ambedue mondi naturali e materici - il crine come oro il volto come ostro il piede come argento - spesso erano i due mondi contrapposti ma non divisi dell'animato e dell'inanimato. Questa volontariamente mancata divisione rendeva possibile contrassegnare i gesti più guizzanti dell'immobilità del monumento e della prezio sità delle sue materie. La orchestrazione dei rapporti tra questi due - 210 -
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mondi ed il flusso dello scambio delle loro proprietà rendeva la metafora una semplice rifinitura di un discorso già svolto : « Ovunque volga il piede l trae pien di maraviglia l e le cose animate e quelle ancora l che son prive di senso ad inchinarla. l Torce Clitia il suo sguardo l dal suo focoso amante e 'n lei lo gira. l Apre sue vaghe foglie l quasi lingue faconde l la Reina di fiori l e par che dica a lei con dolce riso : l Cedon queste mie porpore al tuo viso. l L'Aura ch'a lei s'appressa l tocca a pena il suo volto l ch'odorata si parte e tutta ardente. l D'ogni petra escon fuore, l qual da tem prato ferro l selce percossa, alte d'Amor faville. l Ogni cosa per lei l spira amor, da lei solo amor non spira, l di beltà e di fierezza altero mostro, 1 e, s'ode ove d'amor altri ragioni, l china a terra i begli occhi, l turba il sereno ciglio, l tinge d'ostra le guance l e move ratto il piede a fuggir pronta l qual timida fanciulla l che s'accorga tra' fior de l'angue ascoso » (lvi, vv 69-95). Questa bifidità dell'essere era tutt'altro che resa implicita, molto spesso sottolineata : « oltra l'usato vuole l da doppia Aurora esser precorso il Sole » (lvi, vv 55-56). Questo polimorfo contatto tra le forme dell'essere provocava - o insinuava argutamente il sospetto d'una provoca zione - sconvolgimenti cosmici già connotati come non temibili : .
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E Febo che rimira l quella fender le nubi e questa i campi l sospeso in suo viaggio l non sa di cui seguir l'orme leggiadre : l pur d' Aretusa il volto l sembiando a lui più bello e più gentile : l - Questa (dice ei)
chè in terra l sarà mia guida e se non lice averla l per le stellanti vie mia nunzia eterna l farò nuovo camin non fra le stelle l ma seguendo i suoi lucidi splendori l sarà 'l Zodiaco mio tra questi fiori. (lvi, vv. 57-68) .
Si trattava m realtà di un cosmo ridotto, privato di caratteri non immediatamente percepibili come terrestri. La sola problema tica formale adottata non si poneva in tensione per la descrizione dell'indescrivibile, si limitava ad utilizzare come termini essenziali della sua prospettiva elementi (l'oro, l'argento, l'ostro, lo smalto, etc.) assolutamente reali nella loro tangibilità, percezione della loro posi zione privilegiata nel mercato e nella società. Ogni metafora rac- 21 1 -
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contava il reale da due punti di vista conciliabili solo nella sua forma e cioè nella letteratura, altrimenti inconciliabili per la loro natura fortemente differenziata. Almeno questo effetto insieme di conver genza e divergenza, di combinabilità e di irriducibilità era tipico del linguaggio letterario, altri tipi di linguaggi d'arte - la fattura di certi monumenti funebri ottenuti attraverso la giustapposizione di materiali diversi (vari tipi di marmo, marmo ed ottone o bronzo, etc.) - avrebbero risolto nell'accostamento e nell'intarsio la stessa ipotesi formale. In questa letteratura un ridotto universo veniva fatto pendolare dall'uno all'altro termine della metafora, senza possibili risoluzioni, anche perché da una parte era la fragilità delle membra e la fuggevolezza dei gesti e la godibilità nei sensi delle une e degli altri e dall'altra la compattezza dei materiali e la loro godibilità come valore e quindi come gerarchia e come potere. L'accostamento di esseri paraumani a materiali costituiva il principio della loro valo rizzazione, del renderli oggetti di uno scambio possibile ( « O come altera spieghi l carca di tante merci l d'amorose bellezze l . . », lvi, vv 593-596) applicabile anche agli esseri umani ed a tutti i ruoli sociali. Ogni allusione diretta era però rifiutata anche perché non lecita : non si trattava di uomini ma di dei. L'ossessione della meta morfosi era ostentata come semplice predilezione, mera tecnica descrittiva, per la metafora. Il che poteva essere credibile nelle ripeti zioni delle sequenze metaforiche più usuali (« Sappi che del tuo volto l esce un foco gentil ch'ogni alma accende l et tua beltà più acuta l di veloce saetta i cor trafigge l . . . », I vi, vv 276-279 ; « c'hai ben tu forza ne' vivaci lumi l d'incenerir, benché di gelo, un'alma, l da penetrar, benché di sasso, un core. l Et tu sarai sì dura e sì gelata l che non vogli scaldarti a' suoi sospiri, / spetrarti a' suoi martiri? », lvi, vv 286-291 ; « Fu pur d'oro il mio crine, l laccio di mille cori, l uscian pur vivacissime faville l da questi occhi or languenti, l già calamite de l'altrui sospiri, l or fatto è il crin d'argento, 1 de gli occhi il lume è spento, l e dal rugoso volto l il bel purpureo foco, ahi lassa, è tolto l . . . », lvi, vv 35 1-359), non era credibile nelle metamorfosi continuate nelle quali si adottava la metafora come .
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metamorfosi come forma privilegiata di tutto l'idillio ( « [Aretusa] essempio di fierezza / a qual più cruda fiera in lor soggiorni », lvi, vv 283-286 � « di te mia bella tigre », lvi, v. 430). Anche in questo caso, come in quello de Il pianto, si trattava più di una composizione destinata ad una rappresentazione di secondo grado e cioè ad una recitazione o lettura di gruppo che di un testo teatrale. Scontato il topos dell'attacco paesaggistico (lvi, vv . 1 -23) - non naturalistico - ritrovabile non solo in Capaccio ma anche in esperienze letterarie parallele come quelle di Cortese : si trattava di episodi della costituzione di un immaginario « proprio » della cultura locale che si realizzava attraverso la riscoperta dei termini geografici, storici, legislativi, linguistici che segnavano un'autonomia raccontata, attraverso la letteratura, come finalmente rivelata e liberata ed in realtà in gran parte proprio in quel momento ideata ed assunta come discriminante anche ideologica e politica. Se Ca paccio ricostruiva i nuovi emblemi della napoletanità destinati alla nobiltà ed alla fascia socialmente più dotata di potere del « popolo », Basile effettuava lo stesso lavoro per le piccole corti di provincia e Cortese per la fascia medio-bassa dello stesso « popolo ». Nella sua ottica solo parzialmente locale Basile era il più disposto a sublimare queste tendenze in unità più vaste della Mergellina di Capaccio o dei quartieri di Cortese, anche qui va ricordato l'emblematico ab bandono di Napoli de Lo cunto, I 6, e nello stesso tempo ad utiliz zare insieme i topoi selezionati della tradizione umanistica e quelli aurorali delle tradizioni popolari cittadine e soprattutto contadine : di qui il continuo ritessersi nelle sue opere delle figure - essenziali del vento, dell'acqua, dei ritmi diurnali e stagionali. Una presenza tanto più incombente quanto più « adatta » alla materia trattata, sarebbe stato il caso, ancora una volta, soprattutto de Lo cunto. In questo tipo di composizione, in modo molto più accentuato che ne Il pianto per la non spiritualità della materia, erano frequenti le pause della narrazione nella quale questa assumeva le tonalità del cantabile (cfr. lvi, vv 257-362) e richiamava esplicitamente in molti punti i caratteristici ritmi del madrigale ( « Nuova dea de le selve / .
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non lasciar d'esser anco l novella dea d'amore l d'ambo seguir tu puoi l'orme gradite l a passi non erranti l Cintia a le fere, Venere a gli amanti », lvi, vv 300-305). I monologhi (ad es. lvi, vv 39741 2) costituivano le parti centrali della rappresentazione in misura forse minore di alcuni « quadri » e cioè delle strutture narrative di limitata estensione alcune delle quali costituivano i nuclei formali dell'opera, dimostrando anche per questo verso la tendenza di Basile all'uso semiculto di strutture letterarie « popolari ». Si veda ad esem pio la singolare - dal punto di vista di un'etica ormai chiaramente al di là del versante del controriformismo - scena della violenza di Aretusa su Filostrata colpevole di averle suggerito una maggiore cedevolezza in materia d'amore : .
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Qui tace e attende ch' ella risponda a sue parole. Ma d' Aretusa altrove la mente era trascorsa ché non si lungo spatio udito avrebbe de la favella sua stimolatrice il suon che tanto aborre, ma, tornata in se stessa e vedendo in qual guisa de l'acuto sermon costei col ferro cerca di penetrar suo saldo core, traendo parte al volto de l' incendio de l 'ira che ferve al sen, le pone entro a' capegli la man sdegnosa e glieli svelle a forza, quindi le graffia il volto e spingendola a terra col pié superbo la percote e preme sinché di spirto quasi ignuda e cassa la vede tramortita fra 'l nero sangue e la minuta polve, quindi riede festosa a l'aspre selve, essempio di fierezza a qual più cruda fera in lor soggiorni (Jvi,
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Sul versante dell'eros barocco più raffinato era invece la scena del bagno di Aretusa : Ma poi che lo stupor gelido parte e nel caldo primier lascia le membra del lungo errar già stanche invitata dal chiuso e fresco loco di spessi felci ond'è la riva adorna, ché 'n premio di lor' ombre eternamente Alfeo l' irriga il piede, qui arresta il passo e 'n mezzo a' fior s 'asside ch'apron a gara gli odorati sguardi per rimirar beltà sì nova e tanta. Ma per temprar più tosto la grave arsura immensa che 'n lei cagiona e la fatica e 'l sole entro quell'onde vive disponsi d ' attu.ffar l ' ardente seno, però depon gli strati e la faretra e l'arco aspro e mortale in su la riva, de la vermiglia veste indi si spoglia e, tolto il cinto onde coprla le mamme, quindi il candido sen ch'avaro asconde il bel tesor de le sue argentee membra tutta ignuda si scopre .
E poi che tolto il ricamato nastro che chiudea l'aureo crine il carcer disprigiona 'u tra legami d'or son prese l'alme entra ne le fresche onde e sul mobil cristallo il petto immerge, il petto cristallino, et agitando or l ' una or l ' altra palma or distesa or raccolta or s'incurva or si scuote e soffiando discaccia l' onda che di baciar tenta il suo volto . Sembra la chioma sciolta aurata vela, sembran le mani e i pié veloci remi, sembra tutto il suo corpo bella animata nave
tutta d'avorio e d'ebano contesta . (lvi, vv. 548-569, 577-593)
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A questo poi classico topos barocco seguiva, a continuazione della stessa scena, la evidente trasposizione in termini altri di un accoppiamento quello del fiume-dio-Aifeo e della nave-ninfa-Aretusa che vi si era immersa : la donna era già nell'uomo e questo in quella, una metafora che segnalava un accoppiamento descritto nel suo realizzarsi come metafora : e preparato da un'accortissima celebra ziOne dell'occhio, come soggetto e come oggetto : Il signor di quell'acque seriz'albergo godea lo strano albergo , [Amore lo] richiama a riveder beltà sì rara, ei sorge e, visto a pena scherzar con l'onde sue la bella ignuda da cui l'acque prendean virtù di foco a rimirarla intento oblìa di dar suo dritto al re de l'onde.
Amor doppiava in tanto strale a stra! , fiamma a fiamma al sen d 'Alfeo e ben uopo era a lui di spender tutto il suo cocente foco per riscaldar un fiume quando i bei d' Aretusa occhi vivaci non fosser già possenti a destar ardentissimo desìo nel sen de l'oceano non che d'un rio. Alfeo di parte in parte mira et ammira le bellezze estreme già venute a bear suo mobil lido e si sente rapir fuor di se stesso da non veduta man sopra le stelle . Loda la chioma aurata ch'ondeggia a l' aura errante e dice : - Unisci o cielo
per mio doppio tesoro
l'onde ch'ho in sen d'argento a quelle d ' oro. Stupisce del bel raggio che da' begli occhi spira e così tutto avvampa ne l'amoroso lume ch'è già sfera di foco il freddo fiume.
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Non sa torcer la vista dal vago eburneo petto , dal petto in cui fierezza mai sempre desta indomita custode ha in guardia i vaghi pomi che de l'Esperia oscura i degni pregi .
sì dicendo pian piano non veduto s' appressa e di rapina con l 'infiammate labbra bacia l'umide membra ma questo è doppiar fiamma al gran desìo . Non può picciola stilla scemar possente foco, anzi l'accresce, però, preso baldanza, mezzo de l'onde fuor sorge e si scopre a la guizzante ninfa che, sgomentata a l'improvvisa vista , sbalza fuor di quell'acque e, vinta dal timor, non le sovviene di riprender le vesti e cosi nuda, qual timidetta lepre che l'aquila paventi. il corso prende. (lvi, vv.
6o6-6I J , 644-673 . 6go- 705 )
Seguiva poi il consueto topos della fuga, prolungato sino a costituire in proporzione una notevole parte dell'idillio (Ivi, vv. 690844), e culminante nella metamorfosi di Aretusa in fonte. In tutto l'idillio i fatti attinenti la sfera dell'eros si realizzavano attraverso il simbolismo dell'acqua : il piacere di morte di Ismino, primo « amante » di Aretusa, si attuava dopo le sue lagrime ed attraverso un inabissarsi (lui, v. 425 sgg.), l'immersione di Aretusa nel fiume di v. 548 sgg. era anche una congiunzione ignota con il fiume stesso, acqueo era il primo contatto di questi con la ninfa un mo mento prima di apparire (lui, vv. 690-693), un contatto fuggevole - di acqua con l'acqua o di acqua con una fuggente dea delle acque? - era anche nel lungo inseguimento (lui, v. 754 sgg.), un attimo prima di iniziare la fuga Aretusa stessa si era « sciolta » in sudore (lui, v. 752) come in sudore era nel momento nel quale era - 217 -
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entrata nel fiume. Questo eros era quindi in un continuo mesco larsi, bagnarsi, bagnare ed essere bagnato. Tutti i suoi eventi avevano o meglio erano la sfuggevolezza dei liquidi. Così come acqueo era lo scenario di questi eventi, la Parca è « pescatrice » (lvi, vv 450-452), le selve « piangono » (lvi, v. 456), la morte è « umida » (lvi, v. 463) e nell'ammonimento alle ninfe dopo la morte di Ismino si dice : « Cruda ninfa il sospinse l a far de gli occhi un fonte, l a dar se stesso al fiume, l con voglie acerbe e rie l imparate, fanciulle, ad esser pie » (lvi, vv 475-479). Gli eventi dell'eros come il suo paesaggio riflettono e sono le infinite fluttuazioni dell'acqueo, di cui nulla è più istantaneo e mutevole né riconduce più immediatamente al principio della fuggevolezza assoluta dell'essere che è tuttavia soltanto una sua ininterrotta metamorfosi. La vicenda si realizza alla presenza di questa idea ed in una rappresentazione che vede nel fluire degli umori - lagrime, sudori, acque, membra-acque, etc. - la regi strazione puntuale di questo scorrere, una meraviglia eraclitea per la scoperta mutabilità del mondo che era insieme - nell'occasione appena fragile meditazione sulla possibilità del mutamento e sulla sua storicità. Quanto di questo tessuto figurale potesse essere utilizzato come simbolo di diverse situazioni non è ancora possibile sapere se non in due direzioni, in primo luogo certamente, viste le letture di Basile, queste vicende acquee potevano avere anche funzione di simboli - si è già notato il caso del segno Partenope - in secondo luogo in almeno un tratto testuale questo simbolismo era abbastanza scoperto da autorizzare la lettura simbolica anche di altri tratti testuali. Si sarà notato come questa metamorfosi - il tipo di adatta mento che le opere subivano di centro in centro nella itinerante vicenda del letterato semiculto? - di fatto implicasse anche la man cata realizzazione dei rapporti tentati : Aretusa non ode neppure le preghiere degli innamorati, non la tocca minimamente l'ammoni mento di Filostrata né il suicidio di lsmino né il desiderio di Alfeo. .
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Ogni forma di comunicazione è interrotta, non c'è che la fuga continua che difende la propria - si è visto quanto illusoria autonomia. Se la metafora unificava i due volti del mondo nello stesso tempo ne sanciva la divisione. La linea formale e quindi con cettuale dell'opera si realizzava nella certezza di una totale differenza dell'essere e nello stesso tempo di una sua totale indifferenza : tutti erano o potevano essere acqua ma tutti rimanevano sostanzialmente altro, isolati. È difficile valutare quanto la metamorfosi finale fosse vista come la soluzione di questa frattura della socialità e quanto in questa idea della metamorfosi sia riconducibile direttamente o indi rettamente alle profonde crisi sociali del quarantennio tra la rivolta contadina del 1 588 e la riorganizzazione dei ceti medio-popolari cittadini nel primo ventennio del secolo XVII ed alle utopie, prime tra tutte quella campanelliana, generate da questa crisi. Certo anche questo testo illustra chiaramente un momento sia pure secondario del processo di frammentazione della cultura locale, dovuto alle rivolte contadine, alla divisione tra i gruppi nobiliari ed i loro contrasti con l'amministrazione vicereale ed alla graduale afferma zione di nuovi gruppi sociali, estremamente competitivi con questi, in ispecie all'interno delle città, che andava preparando episodi di conflittualità prima limitati come quelli del brigantaggio extraurbano poi estremamente diffusi come quelli che portarono alla rivolta masa nelliana del 1 647-48. Questa conflittualità era originata in luoghi diversi da quelli della scrittura letteraria eppure premeva su di essa in modo molto scoperto come dimostravano i tratti di L'A retusa dove Ismino - finito suicida - tra i doni offerti alla ninfa aveva della letteratura : Mille doni l' offerse che ben placar poteano uomini e dei, mille carte in cui fece le sue lodi talor diffuse e sparse, a lei mandò ch' ella superba e schiva fe' indegno cibo a le voraci fiamme. (lvi, vv.
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Lo stesso Ismino, prima della disperazione finale e della morte, aveva fatto ricorso, dopo gli inutili doni, ad un trucco, a Filostrata che aveva preparato un velo istoriato e cioè una « pittura », una serie di exempla, daccapo una specie di scrittura (lvi, vv. 1 70-233) che avrebbe dovuto convincere Aretusa a cedere alle gioie d'amore. Ma, come dimostra la scena di violenza seguita a questo tentativo di per suasione, anche in questo caso Aretusa « non comprende » (lvi, v. 100). Questo velo non costituiva una delle innumerevoli imita zioni degli oggetti classici ma piuttosto il segno elementare della teoria barocca dello sguardo ribadito più avanti (lvi, vv. 1 84-1 88) con un altro topos umanistico : lo scambio tra il finto ed il vero, l'antico inganno della pittura greca, in questo caso Basile avvertiva che la figura d'un morto nel velo era tale perché era stata intenzione di Filostrata rappresentarla come figura d'un morto, sarebbe stata viva se vivo fosse stato l'oggetto, un pleonasmo teso ad avvertire della corrispondenza reale dei propri segni. Questo sguardo, principio del materialismo barocco, si esercitava proprio a partire dall'assurda - ma non troppo - società dell'idillio. Aretusa e gli altri personaggi erano coinvolti in una storia che nes suno era in grado di controllare. Gli Dei, Venere ed Amore, potevano confondere la trama degli eventi, provocame qualche lieve fluttua zione ma non prevedeme e regolarne la fine. Altrettanto vano era il tentativo di un contatto reale con essi come vano era l'appello di Aretusa a Diana : non era possibile sapere per quale « cagione » si realizzava la metamorfosi finale, se per grazia di questa o per un inserimento fortuito ed obbligatorio nel vortice della naturalità. Le vicende - se ne potrebbe dedurre - erano regolate dalle leggi non controllabili - neanche dall'Autorità - della natura. In questa società dell'idillio ognuno era qualche altra cosa rispetto a quello che appariva - Aretusa era fera e tigre, Venere era cerva, Alfeo era fiume - solo chi moriva, Ismino, poteva permettersi di essere uomo perché letterato, come tale non poteva che fare qualche tentativo e poi scomparire, il gioco veniva giocato altrove, apparentemente e vanamente dalle deità, tragicamente dalla natura. - 220 -
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Gli idilli L'Aretusa ed Il guerriero amante 99 vista la loro data zione - gli anni 1 6 1 9-1 620 - e destinazione - la piccola corte di Avellino - rappresentavano per la vicenda personale del letterato Basile un momento di ripiegamento : la rivelazione della dimensione ormai definitivamente locale del suo lavoro letterario nel quale portava certamente l'estetica degli ambienti frequentati ma con un sempre più definito senso del limite, il limite del territorio - geo graficamente e politicamente definito - all'interno del quale avrebbe dovuto essere esercitato il suo lavoro. Di qui l'infittirsi dei compiti dell'ideatore di apparati, della coltivazione dell'ode come l'eletto tra i generi cortigianeschi, della progettazione di macrostrutture testuali (il Del Teagene) ritenute il vertice delle prove letterarie. Queste erano anche le ragioni della scelta di quel genere, l'idillio, ormai un'istituzione barocca, e dell'adozione di un meccanismo letterario assolutamente definito, privo di sorprese, abilmente confezionato come un prodotto tipico della nuova maniera. I materiali utilizzati e le loro strutture combinatorie erano quelli già collaudati nelle diversa mente impegnative opere precedenti. L'esordio de Il guerriero amante era la celebrazione della continuità delle virtualità formali scoperte nelle immagini dell'acqua. La scena si apriva su un paesag gio invernale dove la « ... terra dolente l . . l . per l'umido ciglio l spargea rigando lagrimosi fiumi », il marinaio lasciava « l'instabil flutto », il contadino si godeva « ... i frutti accolti l nel miglior tem po che 'l terren produsse l più che dal ciel piovoso l rigato a pien dal suo sudante volto », il soldato riposava « e raccolto la Parca l avea le negre reti l in cui dal mar di sangue l traea l'alme di Lete di su la riva », il cavallo non era più imperlato di « sudor », i fiumi non più imporporati di « sangue » a cambiar colore alle « ce rulee pioggie », i soldati al lavoro sulle armi (« altri l'armi tergea cui nera pioggia l di sangue ostile aveva macchiate e tinte », lvi, .
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99 < Il guerriero amante > , s.n.t. [BNN]. La dedica di Basile a Domitio Caracciolo marchese della Bella era datata l maggio 1620. In lvi, 7 una composizione Al medesimo (De gli armati destrier che di Sirena).
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8-10). Al 78° verso appariva il guerriero amante, Polemio, natural mente invischiato in una « procella » amorosa. Se le immagini d'ac qua erano state utilizzate per descrivere la tranquillità dell'inverno incipiente così potevano essere utilizzate per descrivere il suo con trario. Questa accorta ridisposizione del già detto era evidente anche in un altro tratto : la descrizione delle prove di valore di Polemio in giovane età era la trascrizione in versi di quanto già detto, nella dedica, sulle prove di Domizio Caracciolo, al quale era dedicato l'idillio 1 00 • Anche in questo caso si trattava di un già tipico espe1 00 « Vostra Eccellenza la quale e per la militar disciplina e per lo studio delle muse è oltre modo riguardevole fra le genti. Sallo chiunque ritrovossi alla presa di Vercelli qual chiaro nome e di forte e di prudente abbia ella conseguito, laonde ancorché a diciassette anni non era ancora giunto .. », lvi, Dedica 4. Dopo il 1624 le vicende personali di Adriana Basile coinvolsero in misura sempre notevole il fratello Giambattista, i prolungati contatti con la corte mantovana per preparare un ritorno che apparve chiaramente non gradito nei primi mesi del 1626, certe difficoltà come la nascita del forse settimo figlio, l'accoglienza degli ammiratori napoletani, una nuova gravi danza, forse le pressioni del viceré duca d'Alba, una poi interrotta trattativa con Vladislao di Polonia resero più precario il rapporto con la corte manto vana dalla quale si evitò anche di avvisare Adriana dei contatti stabiliti con Francesco Basile ed altri non meglio specificati « parenti » richiamati a Mantova (A. ADEMOLLO, La bell'Adriana cit., 303). Anche con il successore di Ferdinando Gonzaga, morto il l ottobre 1626, e cioè con Vincenzo II Gonzaga il fitto carteggio se non facilitò un ritorno di Adriana a Mantova consentì la continuazione di un rapporto d'amicizia e di affari molto van taggioso per i Barone-Basile. In seguito il posto già occupato da Adriana fu occupato dalla sorella minore Margherita per la quale nel 1627 fu prepa rato da Giulio Strozzi il libretto La finta pazza Licori musicato da Monte verdi (A. ADE MOLLO, La bell'Adriana ci t., 309 sgg.) ed in seguito, dopo la morte del duca Vincenzo II il 25 dicembre 1627, da Leonora, nata a Man tova negli ultimi mesi del 1 6 1 1 . Del 18 luglio 1 628 era peraltro una lettera di Gio. Vincenzo Imperiale, accademico Ozioso, con la quale si inviava al fratello Giambattista un estremo sonetto in lode di Adriana con una lettera nella quale si faceva cenno alla sua figura di « madre di tanti musici quanti ella ha figliuoli >> ed alla sua attività allora forse limitata al canto con l'accompagnamento dell'« arpa doppia, istrumento da lei sola maravigliosa mente essercitato et per lei sola maraviglioso oggi creduto >> (lvi, 3 19). Nello stesso anno veniva ristampato, con larghe integrazioni, Il teatro delle glorie della signora Adriana Basile. Alla virtù di lei dalle cetre degli Anfioni di questo secolo fabricato. In Venetia et ristampato in Napoli, 1 628 (di qualche anno successivo erano le glorie di Leonora Baroni : Applausi poetici alle glorie della signora Leonora Baroni, in Bracciano, 1639 [BNN Brancacc. .
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GLI IDILLI COME
FRAM MENTI DI
' UN IDEOLOGIA DELLA FUGA
cliente barocco, il calco in versi : nel caso della Galeria mariniana il racconto di quanto contenuto appunto nella galeria, nel caso di questo idillio la vita addirittura già scritta di Caracciolo : ancora una volta la tecnica del rispecchiamento era la tecnica privilegiata della rappresentazione, lirica, del reale. Naturalmente anche per questo eroe completo, sin dal nome, queste prove non potevano che svolgersi nell'acqua (« Sgomentò più d'un core l né già sovente ove a inondar le piaggie l più veloce scendea rapido rio l o per desio di gloria l o per fuggir talor grave periglio l l'acque a nuoto a passar carco di ferro », lvi, 1 1- 1 2), come soltanto sull'acqua poteva innamorarsi finalmente (« Dove nel real trono l de l'Italia sublime l dà con l'umido scettro l leggi a mill'altri fiumi il fiume altero l ... ») e soffrire le sino ad allora non provate pene d'amore (« Ond'ei che mai tributo l dar ad Amor non volle l d'una sol lagrimetta o d'un sospiro l in due nodi avvinto l a l'amoroso carro l fe' maggior suoi trionfi e fu costretto l non volontari prieghi l non più versati pianti l per lui versar spargendo di sua speme », lvi, 1 3). L'assolutamente consueto era così per analogia la rappresentazione d'una vita se non eccezionale almeno lodevole. Tutti i momenti del lungo lamento di Polemio (lvi, 18-28), nucleo dell'idillio, costituivano una sequenza di luoghi comuni, un canzoniere in sedicesimo nel quale tutta la neo paccottiglia barocca era profusa con un lavoro di intarsio assolutamente privo di inibi zioni. L'autore doveva avere un'idea assai chiara della destinazione dell'opera e della sua limitata autonomia nell'ambito del gruppo al quale era destinata. Vi sono tuttavia dei tratti significativi di qualcosa di più di un semplice bricolage figurale. La giustapposizione dell'usuale era rea lizzata senza gravose cadute di tono, una giostra dalle figure fisse 104 G 63]). La notizia del ritrovamento dell'annotazione del seppellimento nella chiesa di s. Anna di Giugliano di Giambattista datata 23 febbraio 1632 nel libro dei morti della stessa chiesa è nel « Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare », III 3. Pochi mesi più tardi i Barone-Basile si trasfe rivano a Roma come sembra provare una notizia degli Avvisi romani del 19 novembre 1639 (lvi, 323).
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e dai sorrisi raggelati tuttavia una giostra perfettamente funzionante e quindi in certi, ora impercettibili, modi funzionale a qualche situa zione. In lvi, 14 un breve inserto descriveva sarcasticamente l'elo quenza improvvisa di Polemio ignorante ma innamorato, capace quindi di una schiettezza altrui negata. Negata in particolare proprio al supremo artista della schiettezza : lo « schietto » per « arte », il letterato : « Studi pur lunghi gli anni, l spenda le notti e gelide e serene l in volger carte un faticoso ingegno l avido di saper, ch'un punto solo l che 'n due begli occhi alteri l discepol novo a legger prenda un'alma l gli alti d'amor misteri l in un sol punto apprende l quanto in lunga stagion pien di sudore l far ne l'antiche scole altri non puote ». Specularmente a questa lode « schietta » corri spondeva una bellezza altrettanto « schietta » ( « bella senza artifici, l non per machine e frodi l altra fatta d'un'altra a lei difforme l né sotto vari aspetti una sol donna l ma bella di beltà semplice e schietta l che tanto agita più quanto è negletta », lvi, 14-15). Si accennava forse qui brevemente alla possibilità di un parlare non artistico nel senso di privo degli artifici di solito utilizzati per lodare bellezze estremamente artificiose? E quindi di solito le bellezze per le quali erano stese le rime in lode ? Un accenno ai luoghi delle lettere e de La vaiasseide nei quali erano stati descritti, anni ad dietro ed in dialetto, certe bellezze sarcasticamente sempliciotte. Un secondo tratto era nella soluzione atipica ed a malo fine di queste profferte di Polemio convinto, sia pure attraverso la protratta oratoria di cui si è detto, della mancanza di alternative ad un suicidio. L'importanza data a questa soluzione era misurabile dalla riapparizione, dopo qualche fugace epifania nel corpo centrale del l'idillio, delle metafore dell'acqua che connotavano subitamente que sta ferita e questa morte : « esce per la ferita l fervido e nero il sangue l che trae seco pur anco l il vermiglio del volto, l il vigor da le membra e a terra cade l la sua trafitta spoglia l e col suo sangue e con la polve mista » (lvi, 29). Le stesse metafore conno tavano i gesti della ninfa crudele (« squarcia con l'unghie le vermi glie gote l e sgorgando di pianto un ampio rio l sospirosa a lui -
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GLI
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dice l ...»), le sue parole: «Ferma il rapido corso l anima fuggiti va» e così di seguito i gesti del suo suicidio: «L d i nebbia e d' orrore fatt'albergo è 'l mio core, or che 'l mio sol adorno da me si par v'é men altro n'il giorno. Anzi dal suo partire son costretto a morire poiché privo di lei forz'é che ponga fin a i giorni rei. Dimmi tu che farai senza i suoi dolci rai tristo mio cor dolente? Piangerai nell'Occaso l'Oriente . Deh! Versate voi lumi di pianto amari fiumi poiché la sua partita a voi toglie la luce a me la vita .
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Nell'istesso soggetto Tu parti, oh mio desire , e l'alma ten porti al tuo partire ond'io languir vorrei per gran dispetto ma come languirà senz'alm'il petto? Già teco il cor sen viene e col fuggir mi lascia in doglie e pene pianger dunque io vorrei per gran dolore ma come piangerò privo del core? La vita or mi vien meno partendo 'l tuo bel raggio almo e sereno e vorrei sospirar la tua partita ma chi può sospirar senza la vita?
Ahi! Lasso io giungo a morte e 'l duol che mi tormenta acerbo e forte non può sfogar la mia dolente salma che tu l'hai tolt'il cor, la vita e l'alma.
RitOYno della sua D . Quando parti 'l mio sole seccar ne i campi i gigli e le viole, or al tornar del suo bel raggio amato fansi rubini i fiori smerald'il prato . S 'intorbidò repente di questo picciol rio l'acqua lucente, or al tornar del suo celeste lume tornan l'arene d'or, d'argento il fiume. Cinto d ' oscuro velo mostrassi al suo partir turbato il cielo, or al tornar del suo splender adorno divien più chiaro il sol, più lieto il giorno. Io pur in tanta gioia discacciarò dal cor l'interna noia sperando omai dar fine a'miei dolori poiché ritorna a me la bella Clori.
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Durezza ed ardore inremediabile di S ' è ver che l'acqua smorza il foca benché d ' estrema forza i rapidi torrenti che fan gli occhi dolenti estinguerian'i miei sospir'ardenti . S ' è ver che 'l caldo foca consuma il duro sasso a poco a poco il mio continuo ardore che dal cor mando fuore rendena molle il tuo 'ndurato core. Ma con qual ampio mare l'ardente fiamma mia potrò smorzare e con quai sospir miei spetrarti 'l cor potrei s'io via più ardo e tu più dura sei. Essali pur sospiri e versi pianto ovunque gli occhi giri ché pria vedrammi, ahi lasso, gionto a l' estremo passo che 'l foco estingui o che rimavi il sasso.
Disperatione amorosa Per dar fin al tormento morir fia 'l mio contento ma dimmi fiera tu senz 'il cor mio come spirar come morir poss'io? Per dar fin al dolore morir bramo a tutt'ore ma benché sia 'l martir pungente e forte non posso senza 'l cor giungere a morte. Per dar fin al martire cruda vorrei morire ma non è meco il cor, ché me l' hai tolto con la beltà del tuo leggiadro volto. Per dar fin al cordoglio morir, spietata, io voglio dunque a ciò presto io giung'a l'ultim'ora tornami 'l core ornai tanto ch'io mora.
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Accorgimento amoroso Il vostr'almo splendore occhi un tempo chiamai cielo d'amore or mentre che spietat'il cor m ' ardete dirò ch'Inferno sete. Vostra luce gradita sempre solea chiamar mia dolce vita or che fiera al morir m'apre le porte dirò che sia mia morte. Vostro bel raggio amato chiamai cibo del cor soave e grato , or che da lui nodrito il cor vien meno dirò che sia veleno.
Or ben veggio eh'errai occhi belli, alma luce, ardenti rai poiché pronti al mio mal già vi discerno velen, morte ed inferno .
Felice cangiar di stato di
L.B.
Un tempo avea dolore or che i tormenti tornar contenti e provo ne l ' amar vita migliore non più ti chiamarò . . . de l 'amore. Languiv'a tutte l ' ore or che 'l martire tornò in gioire ed è più dolce in me l ' usato ardore Non più etc. Avea rabbia e furore , or che le noie son fatte gioie e 'n me nasce 'l piacer, la doglia more non più etc. Pianse de gli anni il fiore or che 'l mio pianto converso è in canto e de l'amato ben possedo il core non più etc.
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Amoroso gioire Or che pietosa ver me rivolta miei priegh' ascolta Clori amorosa cresca 'l gioire scemi ' l martire e 'n mille modi cantinsi, Amor, tue [ degn < e > lodi . Or che 'l mio amore vuol dar aita a la ferita di questo core sorga 'l contento ceda 'l tormento e 'n mille etc. Or che 'l mio bene non più mi fugge non più mi strugge né mi dà pene nascan le gioie moran le noie e 'n mille etc. Or che 'l mio sole lieto m'accoglie e a le mie voglie dar fin ne vuole si prenda 'l canto si lasci 'l pianto e 'n mille etc.
Nell'istesso soggetto Non più dolore non più timore ne l ' alma sento né più tormento ché fatta umile non più mi spregia Clori gentile. Non più martiri non più sospiri nel petto accoglio né più cordoglio poiché amorosa non più mi fugge Clori vezzosa.
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Non più sospetto non più dispetto nel cor nodrisco né più languisco ché fatta pia non più mi sdegna la donna mia. Tutte le pene rivolt' in bene tutte le noie cangiat'ho in gioie e a mie querele non più si mostra Clori crudele. DI l GIO. BATTISTA BASILE l IL PIGRO. DELL'AUTORE l Alla istessa Eccell. di Stigliano.
l
FRATELLO
Ergersi al ciel senza partir da terra, anzi far de la terra un ciel sereno, virtù inalzar de l'auree stelle in seno virtù che senza te fora sotterra . Mover,sedendo in pace, al tempo guerra , impor legge a Fortuna, a Morte il freno son l 'alte meraviglie ond'hai tu pieno Luigi invitto ornai tutta la terra . Or qual contesto d ' or purpureo ammanto e qual ricca di gemme augusta sfera fia degno omarti e coronar la chioma? Ti doni dunque il mondo eterno il vanto e con le piume d'or la Fama altera scriva nel ciel di glorie il tuo gran nome. Seguono alcuni l DIALOGHI l A DUI SOPRANI, l Per cantar con !strumenti . l TENORE.
Tirsi felice Clori mia bella m ' è dolc ' e pia ond'a tutt'ore destiam il core al piacer al contento . Clori amorosa mi parla e ride
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ond'a tutt'ore destiamo il core a le feste al gioire. Clori fedele mia speme avviva ond'a tutt'ore destiamo il core a i desiri a le gioie. Sempre seguirti vò Clori amata poich'a tutt'ore destiamo il core a i diletti ed al canto.
Aminta infelice Dori aspr'e fella m'è cruda e ria ond'a tutt'ore destiam il core al dolor al tormento Dori orgogliosa mi fere e ancide ond'a tutt'ore destiamo il core a le pene, al martire. Dori crudele mi fugge e schiva ond'a tutt'ore destiamo il core al cordoglio, a le noie. Sempre fuggirti vo' Dori ingrata poich'a tutt'ore destiamo il core a i sospiri e al pianto.
Il ritorno Torna la bella Clori al cui dolce ritorno
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ecco torna 'l mio cor, torna il mio core. Dunque ridete fior frutti e fronde marine sponde la mia felice sorte. Chiaro il ciel veggio e puro e più vago risplende poiché torna il mio sol talché gioite campagne e monti ruscelli e fonti la mia felice sorte. Ride il bel lito adorno e gioisce anco il mar poiché torna il mio ben voi pur scherzate guizzanti schiere, augelli e fere la mia felice sorte. Or che la mia ventura di piacer m'empie il cor poiché torna il mi' ardor vo' gir festoso per bei cristalli, per poggi e valli cantando la mia sorte.
La partita Parte la vaga Clori a la partita parte la vita la vita parte la vita dunque piangete fior frutti fronde marine sponde la mia spietata morte. L'aere mi sembra oscuro e si scolora parte l'aurora talché languite
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campagne e monti ruscelli e fonti la mia spietata morte. Gemon le selve intorno sospira il vento parte il contento, voi sospirate guizzanti schiere, augelli e fere la mia spietata morte. Or che la mia sciagura m'empie d'orrore parte 'l mi' amore vò gir doglioso per bei cristalli, per poggi e valli piangendo la mia morte.
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APPENDICE II
Si riproducono qui due sonetti di Basile compresi in una rara SCELTA DI POESIE l Nell' incendio del Vesuvio l FATTA DAL SIG. URBANO GIORGI l Segretario l Dell'Ecc.mo S.r Conte di Conversano l All'Eminentiss.o e Reverendiss.o Prencipe l IL SIG. CARDINAL ANTONIO l BARBERINO [Romae, ex typographia Fran cisci Corbelletti, MDCXXXII, Superiorum permissu] [BAV]. La dedica di Giorgi era datata Roma, 20 agosto 1632. Gli scritti sul tema zione vesuviana erano di Antonio Bruni, Antonio Felice Andrea s. Maria (3), Bartolomeo Tortoletti, Battista Basile mente Tosi, Decio Mazzei (2), Diego Busca, Domenico Benigni
dell'eru Sassone, (2), Cle (3), Fla
minio Razzanti, Francesco Benetti (3), Giacomo Filippo Camola, Giro lamo Bittini, Giuseppe Trombetti, Giulio Gavazza, Giuseppe Civitano, Nicolò Strozzi, Ottavio Tronsarelli, Ottavio Sanbiasi, Francesco Paioli da Pesaro (2, con una «risposta»), Severo Piazzari (2), Simone Antici, Vincenzo Martinozzi, Urbano Giorgi (2), la raccolta era chiusa da una canzone d'incerto intitolata Il Sebeto che piange e da alcune compo sizioni latine.
SONETTO l NEL MEDESIMO SOGGETTO l DEL SIG. CAVALIER BATTISTA BASILE Mentre d'ampia voragine tonante fervido miri uscir parto mal nato, piover le pietre e grandinar le piante, spinte al furor d'impetuoso fiato e i verdi campi già si lieti avante coprir manto di cenere infocato e 'l volgo saettar mesto e tremante solfurea Parca, incendioso Fato, ahi con lingue di foca ei par che gridi arde il tutto e sei pur'alma di gelo, tu nel peccar t'avanzi e il mar s'arretra?
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APPENDICE II
Non tremi e crollar senti i colli e i lidi? Non cangi stato e cangia aspetto il cielo? Disfassi un monte e più il tuo cor s'impetra?
(lvi, 41) SONETTO / DEL MEDESIMO
Bella donna fuggita dall'incendio del Vesuvio Bella donna real che al viso porte le fiamme a incenerirne accese e pronte, fiamme che rinovar già di Fetonte mille volte ne' cor l'acerba morte, fiamme onde fassi e più possente e forte opre a mostrame amor, leggiadre e conte del vasto ardor che dal sen versa un monte, movi tremante il pié, le guance smorte. Ah dove? Ove ne vai? Ché tu non spiri foco maggior da l'amorose luci a far de l'alme altrui dolente gioco. Ogni parte è Vesuvio ove t'aggiri, temi tu le ruine e 'l rischio adduci, l'incendio fuggi e teco traggi il foco.
(lvi, 42)
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APPENDICE III
La cronaca della mascarata organizzata da Basile nel z6Jo è con servata presso la Biblioteca N azionale di Napoli (segn. II2 m zo) con il seguente titolo: Monte Parnaso l mascarata l da Caualieri Napole· tani l All M Sereniss. l di l D. Maria d'Austria l Reina d'Ungaria. l Rappresentata l In Napoli l 1630. Nella trascrizione si sono osservati i seguenti criteri (i) punteg giatura, si sono uniformate le differenze dovute ad evidenti errori tipografici, si è sostituito il punto fermo con i due punti nei tratt� finali ad apertura dei tratti in versi, si è abolito il punto fermo a seguire dei numeri non in fine di periodo; (ii) abbreviazioni, intera· mente scìolte, la sigla tironiana è stata risolta con e, la sigla &c. è stata risolta con etc. dal momento che etc. compare in luogo di essa ai vv. 14" e z8• del Ballo de' Cavalieri; (iii) accentatura, aboliti glt accenti in casi del tipo ha, và, sù, à, ò, fù, té, etc., accentati fà, sè, etc. secondo l'uso corrente. Se in ogni tempo e in ogni opportunità, che rappresentata si sia i Cavalieri della vaga Partenope han dato alto segno di nobiltà, e di grandezza d'animo, quanto maggiormente nel felice arrivo in questa avventurosa Città della Serenissima Reina d'Ungaria del Cattolico Re S. N. degnissima Sorella far doveano del valore e della magnanimità loro splendida Pompa, per dar in un tempo stesso a quella Real Maestà, e cagione di nobil trattenimento, e testimonio di singolar devotione. Disposero adunque, tra gli altri effetti di riverente servitù a quella dimostrati, di rappresentarle dilettevole Ballo, che d'alcun ingegnoso trovato prodotto, intorno alle peregrine doti di si gran Reina unica mente si rivolgesse. Preso dunque di ciò il carico il Cavalier Gio.Battista Basile Conte di Torone, e determinato il giorno della Maschera per li XVII d'Otto bre, memorabile per lo felicissimo Oriente del chiaro Sol delle Spagne FILIPPO dell'Ibero Monarca unico, e diletto Pegno. Superato egli la scarsezza del tempo coll'ampiezza del desiderio di servire i primi lumi della sua Patria, per quanto dalla debbolezza dell'ingegno fu a lui conceduto adempì la forza del ricevuto commandamento nella ma niera, che siegue.
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Si vide primieramente al cader d'un'ampia tela nella maggior Sala del Real Palaggio un spazioso Teatro, che Boscareccia Scena rappresentava, sopra di cui di smisurata grandezza erano l'armi Im periali della Casa d'Austria, in mezzo a due grandi Imprese della Co rona di Spagna, che sono i termini dal famoso Alcide già posti al Mare. Ergeasi in mezzo al Teatro soblime Tempio, le cui alte Porte, e di lucide colonne, e di vivaci Statue, che l'Honore, e la Gloria figura vano, erano mirabilmente ornate sovra il cui cornicione, che con ordine dorico le sovrastava erano di Sua Maestà l'armi parimente collocate. In questo concorde Choro d'armoniose voci al vario suono di musicali Strumenti, quasi per introduttione di quel, che rappresentar si doveva, cantò la seguente Canzone, dal Signor Iacinto Lambardo compositor di tutta la musica con singolar artificio, e con artificiosi numeri, oltre modo abbellita:
Spiegate Cigni Canori, Nuovi Pregi, e nuovi Onori, Al venir d'altera Diva, De l'Esperia unico lume, Corre Nettare il bel Fiume, Di Sirena in su la riva, April vago si ravviva, Cinto il Crin di nuovi Fiori, Spiegate Cigni Canori, Nuovi Pregi, e nuovi Onori. Serenissimo Oriente, Aureo Giorno a noi produce, Chiaro sì, che mai tal luce, Non aperse il Sol nascente, Di Beltà ricca, e possente, D'Amor pompa, ardor de' Cori, Spiegate Cigni Canori, Nuovi Pregi, e nuovi Onori, Finito il canto, e tornate l'anime altrui da una dolcissima sospen sione a nuove meraviglie dal sontuoso apparato prodotte, ecco un vaghissimo Cielo s'aperse a quello somigliante, che nella serenità della più chiara notte veder si suole, in cui su nobil Carro d'azzurro colore tetnpestato di Stelle, e da neri, e stellati Destrieri tirato, comparve la Notte da un fosco velo coverta, ma intessuto in guisa, ch'all'altrui vista lo sfavillar dell'abito d'oro, quasi tante minutissime Stelle non contendeva. Costei in atto di maraviglia per vedere la insolita luce di S.M. Se renissima, col dolce stral della voce ferl gli orecchi altrui cosi dicendo:
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APPENDICE III
Ove mi trasportate, Volanti miei Destrieri, Per sì diversi e 'nsolitì sentieri? Ove or voi mi guidate, Non fra lumi, e splendori, Ma in fra l'ombre, e gli orrori il corso io giro: Che vaga luce io miro? Non son queste di me l'usate vie, Quando uscì mai la Notte a mezzo il Die? Chiuso a pena havea queste note la Notte, quando il Tempio s-'aperse, da cui con veste di tela d'argento usci la Fama, che di mille bocche, e di mille orecchie l'habito sparso, la facondia del favellare, e la curiosità dell'udire al vivo esprimeva. Havea su gli omeri l'ali, ne' piedi i coturni nella destra la tromba. Or costei alla Notte rivolta cosi rispose:
Questa è l'ora prefissa, Che tu scopra a la terra il volto ombroso, O madre del silentio, e del riposo, Ma per alta Fortuna, Il Sol tu vedi in vece de la Luna, Il Sol, che da l'Ibero, Con luce ardente, e viva, Di Sebeto a bear giunge la riva. A cui soggiunse la Notte:
Se non son di Natura. Rotte l'antiche leggi, Perché fuor del costume, Veggo in mezzo de l'ombre un tanto lume? Sodisfece a tal richiesta armoniosamente la Fama :
Questo è ben tua ventura, Ch'a tue tenebre belle, N'andrà d'Invidia pieno, Quando arde Febo il più bel dì sereno, Replicò la Notte :
Dimmi pur chi è 'l bel Sole, Che queste Rive indora? -269-
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Segui la Fama :
Un Sol, cui brama il Sole esser l'Aurora, Un Portento di Gratie, e di Beltate, Stupor di questa Etate, Vero incendio d'Amore, Gioia de l'Alme, ed Alma d'ogni Core; Per esser qui felice, De' suoi Sovrani Onori, Spettacolo giocondo, e Spettatrice. Tu apprendi omai di ritardar tuo corso, Per ritardarlo ancora, Con lieti auspici allora, Ch'al grand' ERNESTO unita, Fia, che 'n questa per lei beata Mole, In mezzo a l'ombre tue n'apra altro Sole. Conchiuse la Notte :
Lieta qui fermo il passo, Lume a mirar, che l'orror mio disgombra, Fatta Clitia del Sol chi porta l'ombra: E prego in tanto a lei da' Fati amici, Tanti Giorni Felici, Quanti ha per me la terra, E fecondi, e fecondi a mille, a mille, Raggi di Stelle, e dì Rogiada stille. Qui celatosi la Notte, e 'l Cielo; la Fama dato il suono Tromba, in questi canori versi sciolse la lingua:
alla
Voi, che temprar l'arsura, Di Castaglia bramate al sacro Fonte, Ecco il sovrano Monte, Ecco l'eccelse Rive, Altero Albergo delle caste Dive: Sp(3gnete pur la sete, Per torvi al Tempo, ed Involarvi a Lethe, Ma di Favor Cotanto, A la Real MARIA dovuto è 'l vanto, Che per suo merto espresso, Sorge Ipocrene, e s'apre il bel Permesso. Ciò detto dal sinistro lato del Teatro apertosi un Antro di serpeg giante Edera circondato, dal seno di quello, in cui tra Salci, e Canne
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APPENDICE III
trasparente Fiume sorgea sei bianchi Cigni uscirono, i quali per due scale dall'apparato al piano della Sala scendendo, quivi al concerto di Cornamuse maraviglioso Ballo Formando, quasi per arte d'incanto vari atteggiamenti de' piedi additarono, o pure quasi dal limpido Meandro usciti, i diversi volgimenti di quello elegantemente imitarono Finito de' canori Augelli il piacevole Ballo si vide sparito il Tempio, e la Fama, e comparso in quel luogo di smisurata altezza il Monte Parnaso, nella cui cima coronata d'allori volando a posar venne il Destrier alato, che co 'l pie zappando la terra un limpido Fiume formossi. Sedeva in esso in mezzo alle nove Muse Apollo cinta di raggi la fronte, armato di Faretra il fianco, colla sinistra mano appog giato al petto tenea la Lira, e trattava colla destra il Plettro dell'oro, il vestire a si fatta Deità conveniente dallo splendor dell'oro saettava lucidi lampi. Le Muse con gli habiti, ch'alla proprietà di ciaschuna di esse si conveniva, altra musici Strumenti, altra geometrici, o mate matici ordigni, secondo da gli antichi Mithiologici !or vengono attri buiti, in mano havevano. In questo il Dio de' Poeti a Polinnia converso, il vivacissimo affetto delle parole, nella vivacità del canto esprimendo cosi formò gli accenti:
Quando haveste Sorelle, Materia unque più Illustre, D'aprir ne' vostri Canti, Eterni pregi, e gloriosi vanti, Di questa c'hor vi porge, Nuovo Sol di Beltà che 'n terra io vedo, Cui la Cetra consacro, e 'l Lauro io cedo, Su su mova altra il Plettro, Su l'avorio facondo, E al suon dolce, e giocondo, De gli argenti sonori, Spieghi di sì gran Donna altra gli onori. Polinnia, or tu comincia, Tu di facondo dir d'alta memoria, A celebrar di lei l'invitta gloria. Al commandamento d'Apollo così la Diva spiegò le musiche note:
Mille già serbo in mente De' suoi grandi Avi gloriosi Pregi, Le Città tributarie, e i vinti Regi, Ma tacerò di loro, L'alte Imprese degnissime d'Alloro. Dirò sol di Costei, - 27 1
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Simile a gli alti Dei, L'alte Vittorie, e più sublimi, ed alme, Quei palma ebber de l'Armi, ella de l'Alme. Al tacer de la Musa triplicato Choro di Musici, i seguenti versi a tutta l'opera intercalari con alternate fughe cantarono.
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve Stilla d'infiniti abissi, Fatto silentio il Choro, riprese Apollo il canoro ragionamento:
Tersicore, tu ancora, Con lieti Canti il suo bel nome onora. All'amiche leggi del biondo Dio la Diva rispose :
Tutto il piacer, tutto il gioir, ch'io soglio, Altrui destar nel petto, Tutto il gusto, e 'l diletto, Ch'altrui ministro, e nel mio sen accoglio, In te produce il Ciel, ministra Amore, Di Gratie Mostro, e di Beltà stupore. Fu il canto di Tersicore dal Choro seguito:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti abissi. Fatto posa il soave Choro seguì Apollo:
Segui Erato gentile, Con pari al suo valor possente stile. Ubidi la casta sorella i cenni del Dio, e temperò al sonoro delle corde la soavità della voce:
Non chiude il Ciel nel grembo, In sé Bellezza o Lume, Che non mostri al bel Volto, al bel Costume, Costei, che dal Ciel venne, Per dar del Tempo, e de l'Invidia a scempio, - 272-
APPENDICE ni
De' suoi chiusi Tesori aperto essempio, Ma poi, che ad onorar si bella Dea, Il desir nostro, è volto, Ninfe dagli occhi vaghi, e dal bel Volto, Pompe di Citerea, Accompagnate voi del vento erede, A gioconda armonia veloce il piede. Non sì tosto dalla bella Erato Musa, che spira amore uscì l'amo roso invito, che apertosi un dilettoso Giardino, in cui l'arte formatovi varie prospettive di fiori, e di frutti ardiva d'emular la natura, otto leggiadre Ninfe gaiamente comparvero. Havevan coronata di fiori la testa, e i capelli di color d'oro l'ondeggiavano per le spalle. Era il lor vestire di tela d'argento, e verde, stringevale argenteo Coturno il piede, e queste or facendosi vaghissima catena delle mani, or scio gliendo industremente i nodi con vari. e maestrevoli movimenti al canto de' versi, che sieguono, da Clavicordi, da Cetere, e d'Arpe ac compagnato, gratioso ballo menarono :
Ecco la Primavera, Madre de' Fiori, Di nuovi Amori, Novello affetto, Sente nel petto, Ogni Augello, ogni Fera Ecco la Primavera, Mavete, correte, Ninfe Amorose, Danzate, scherzate, Vezzose, gioiose, Ecco la Primavera, Tra dolci Canti, Scherzan gli Amanti, Lieto, e giocondo, Rinasce il Mondo, Come L'età primiera, Ecco la Primavera, Mavete, correte, Ninfe Amorose, Danzate, Scherzate, Vezzose, gioiose. Ecco la Primavera, Cantan gli Augelli, -273-
MICHELE RAK
Su gli arbuscelli, Zefiro torna, Glori s'adorna, Ogniun gioisce, e spera Ecco la Primavera. Movete, correte, Ninfe Amorose, Danzate, Scherzate, Vezzose, gioiose. Ecco la Primavera, Si scioglie il gelo, S'allegra il Cielo. Ma più gradita, Stagion fiorita, È 'n te grand'Alma altera. Ecco la Primavera. Movete, correte, Ninfe Amorose, Danzate, Scherzate, Vezzose, gioiose. Terminato il Ballo alternò il Choro :
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve Stilla d'infiniti abissi. Quindi Apollo, guisa la voce:
ad
un'altra
Musa
volgendosi,
sciolse
Loda tu Euterpe ancor quel lume altero, Di SEBETO S
lendor, gloria d'Ibero, E la vaga Vergine non fu al risponder lenta :
Chi Bellezza desìa, Chi d'alte gratie è vago, Miri di lei la peregrina Imago, Ove il Ciel pose, e Amore, Confine al bello, e termine al valore, Quindi dirsi beato, Può il grand'ERNESTO a cui, Questa il Fato destina, Pregio al suo Regno, ed al suo Cor Reina. -274-
in
questa
APPENDICE III
Dato fine Euterpe al dolcissimo Canto replicò il Choro:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti abissi, Dopo cui il Rettor delle Muse a Melpomene disse :
Tu Melpomene pur sciogli le note, Devote a celebrar sue Glorie note. Ed ella in brevi accenti dell'ampie lodi di cosi eccelsa Dea breve parte raccolse:
Unica meraviglia, Sei de le cose belle, di Re sorella, e Figlia, In cui versan le Stelle, Quanto di gratie piove, Nel più benigno aspetto il sommo Giove, Vivi sempre beata, Felice amante, e più felice amata. Fu la melodia del suo Canto dall'Armonia del Choro imitata:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti Abissi. Poscia a Talla, lo Splendor di Pindo rivolto si prese egli a dire:
E tu Talia, che dici? De' chiari lumi suoi Stelle felici? A cui ella così dicendo prontamente sodisfece :
Non basta Ingegno, e arte, Di tanta luce a dir la minor parte, O Ciel (sia con tua pace) Raggio non miro in te cosi vivace, Ond' è ragion s'al tuo sereno lume, Il tutto si rallegra, Il tutto d'alta gioia si riveste, Dal basso Mondo a la Magion celeste, E se 'l Padre del riso, - 275
MICHELE RAK
Se 'l dator del gioire, Secondar si compiace il mio desire, De le gioconde sue seguaci erranti, Farà, che segua il frié festosi i Canti. A si caro allettamento si vide in tm subito da lontana perspettiva carico d'uve dorate, e vermiglie, bellissimi Pergoleti da cui intenti a lieta vendemia quattro Ninfe Baccanti, e quattro Satiri uscirono, quelle di tela d'argento, e chermesl, e di mischiate pelli di Tigri, e di Pantere leggiadramente vestite, con Verdi Grillande d'Edera su le scompigliate chiome, e con aurei coturni adornate, e questi della ma niera istessa, che in Pastorali Apparati veder si sogliono, i quali al lieto canto della Canzone, che siegue. e al suon di Flauti, di Fagotti, e di Cornette unitamente giocondo Ballo intrecciarono, l'une alla misura del moto, e Timpani, e Ciembali, gratiosam ente toccando, gli altri i verdi Tirsi di Edere, e di Corimbi avvolti, in misurate accadenze vibrando, la maestria de' giri, la leggerezza de' falti, la vaghezza de' movimenti, quasi dal Dio trovator del vino concitati, in leggiadre lan guidezze, e in cascanti periodi terminando: Il
dolce Nettare, Che Bacco addita, Gioir ne fa: Per questo placida, Di noi la vita, Gioconda va, Su dunque di Bacco ad Onore, Ogni Spirto, ogni Petto, ogni Core, Canti, salti, si giri, si deste. A le gioie, a gli scherzi, a le danze,
Bianco, o porpureo, Fà d'ostro al viso, Vago il color, Solleva l'animo, Invita al riso, Risveglia Amor, Su dunque etc. Sgombra dal languido, Voglioso petto, L'aspro pensier, Scopre in un subito, Del chiuso affetto, -276
a
le feste.
APPENDICE III
Svelato il ver Su dunque, etc. Dal licor fervido, Spesso vien tolto, L'Huom ebro a sé, Ma via più rapido, Il tuo bel volto, N'invola a sé. Su dunque, etc. Terminato il ballo cantò altresì il Choro:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti abissi. Quindi sciolse di nuovo Apollo i detti:
Calliope, e tu gli accenti, Sciolti dal petto amai concedi a' venti. Ed ella una immensità di pregi nell'angusto giro delle seguenti pa role compendiosamente ristrinse :
Chi può dir quanto desti, Pensier alti, e celesti, Voler santo, e soblime? Taccian pur quelle Rime, Ond'io penso ritrarla, Sua somma lode, e 'l non poter lodarla. Tacque Calliope, e reiterò il Choro:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve Stilla d'infiniti abissi, Quindi ad Urania Apollo disse:
Urania, ancor tu altera, Porta i suoi pregi a la più bella Sfera. Ed ella vesti d'estrema dolcezza i versi, che sieguono:
Che posso io dir di lei, Che non scemin sue glorie i versi miei? -277-
MICHELE RAK
Beltà del Ciel, Candor di bianca Luna, Porpore de l'Aurora, Raggi di Sole, alto folgòr di Stelle, Son picciol' ombra a' sue sembianze belle, Taccia ogni 'ngegno, e più spedito, e sciolto, Più, che la lingua mia parla il bel Volto. Replicò poscia il Choro :
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti abissi. Dopo il quale rinovò Apollo il suo canto:
Seconda il desir mio, Tu ancor diletta Clio. E la bella Diva con alto vaticino rispose :
Con più soblimi Canti, M'apparecchio a spiegar gli alteri vanti, Gli atti famosi, e degni, De' futuri di lei sovrani Pegni, Allhor tutto il valore, Porrò nel tesser Carmi, Al suon di Trombe al risonar de l'armi, Quando feliee havrà per lei la terra, Lampi di pace, e folgori di guerra, Ma se giunge il mio priego, Ove su forti Incudi, Sudan Ciclopi, e faticosi, e nudi, Fabri de l'armi, ch'apparecchia il Fato, A Germe sì beato, Lasciaran la profonda atra Fucina, Per onorar sì bella alma Reina, In questo entro una cavernosa Spelonca una sotterranea Fucina ap parve, da cui, lasciato su l'Incude i maltelli, tre Cicopli di Vulcano ministri sbalzarono fuori da tre picciolini, e sparuti Nani seguiti, che inferiori Ministri del Vecchio Fabro rappresentavano, da' quali al mi surato concento della Canzone, che siegue sovra sonoro concerto di Strumenti da fiato arteficioso ballo a gara formossi. varie figure geo metriche esprimendo, e con tanta velocità in aria librandosi, che tor-
-278-
APPENDICE III nando a toccar la terra si toglieva con dolce frode all'orecchio il cal pestrio delle piante :
Arde l'alto Monte, Nel lido almo Sicano, Ove ogni or la fronte, Sudiam forti ministri di Vulcano, Né vediamo in quel loco, Altro, che fiamma, e foco: Ardon più gli occhi suoi, O altera Prole di famosi Eroi. Più d'un forte, e fermo, Già per noi fassi scudo, Da far saldo schermo, Del fiero insano Marte al ferir crudo, Ove l'asta non vale, Si rintuzza ogni Strale, Forza han più gli occhi tuoi, O altera Prole di famosi Eroi. Le saette altere, San pur di noi fatica, Onde Giove fere, L'alma orgogliosa al suo voler nemica, Onde atterra cotanti, Fieri Mostri, e Giganti, Piagan più gli occhi tuoi, O altera Prole di famosi Eroi. Ceda Giove il vanto, E Marte a terra vada, Non han forza tanto Di questo, e quello il folgore, e la Spada, Quanto han possa, e valore, La beltà, lo splendore, De' leggiadri occhi tuoi, O altera Prole di famosi Eroi. Il cui Ballo con diletto fuor d'ogni termine terminato intonò di nuovo il Choro:
Quanto fin or de le sue lodi udissi, Fu breve stilla d'infiniti abissi. -
279
-
MICHELE RAK
Alla fine chiudendo Apollo il giro de' musicali concenti a nuovi Onori di sì celeste oggetto nuovo sentiero egli aperse:
Ben d'infiniti abissi è breve stilla. Quanto di lei spiegaste in dolci accenti; Ma poiché già non può forza de' versi Spiegar suoi tanti pregi, e sì diversi, Voi, che de gli alti onori, De' miei pregiati Allori Cinto havete le chiome Chiare di grido, e celebri di nome; Alme belle, e felici De' fortunati Elisi habitatrici, Onorate pur lei Beata Prole de' celesti Dei, Il pié movendo in tanto Con vaghi giri a l'alternar del canto. Sparve in questo il Monte, e le Muse, e apparvero i Campi Elisi :
Fortunato Giardin de' Semidei. Ove alla grata ombra di verdi Mirti erano in perspettiva quattro ordini di Scalini in forma d'orchesta situate, in cui maesto samente quaranta otto Cavalieri si scorgevano assisi ventiquattro de' quali in abito Eroico di raso di color di carnagione con ricchi fregi, e ricami d'argento, e con alte piume del color istesso riccamente com parvero, e altri ventiquattro di raso nero co' medesimi ricami, e fregi d'argento, e con folte, e nere piume fecero pomposa mostra, i quali colori per singolar gratia de' Cavalieri da Sua Maestà eletti furono. Or questi portando inargentati torchi nelle mani, nel piano della Sala in bellissimo ordine scesi, al canto de' versi, che seguiranno al soave concerto di Violini concorde, con leggiadra gravità, e con maestosa vaghezza ingegnoso Ballo formarono. Fu in vero eccellente la musica, raro l'arteficio de' Balli, curioso l'apparato, e le machine; pomposo il vestire, ragguardevole il numero de' Cavalieri, Divina la spettatrice. Fu oltre a ciò smisurato il lume, che sì gran Sala illustrava se non in quanto da' raggi di Sua Maestà Serenissima venia superato, la quale in un real Palco tutto d'oro splendente, con Augusta Maestà sedeva, facendole onorato cerchio le sue Dame di peregrina bellezza dotate. Versi cantati nel Ballo de' Cavalieri:
Se non
è
giamai né fu 280-
APPENDICE ni
Real Donna egual' a te, Che più bella il Ciel non fé Di beltade, e di virtù, Celebr or chi sa
rà Il tuo valor la tua beltà? In te Diva Alma immortal Fà ricetta il vero Onor Se' tu base del valor, In te affina Amor lo stral, Celebre, etc. Tanti lumi non ha il Ciel Quando è più chiaro, e seren Quante hai tu gratie nel sen Non mai viste in mortal vel, Celebre, etc. San le chiome luci d'or, Che non ha l'Indo più fin, Son le labra di rubin, D'ostra il volto hà 'l bel color, Celebre, etc. Per te Fama preso il vol. Ove nasce, e more il dì Ti divulga bella sì, Che d'invidia n'arde il Sol, Celebre, etc. Ma non basta humano stil Aspiegar tuo pregio intier, Troppo lunge ei và dal ver, Se ciò tenta ingegno humil Celebre, etc. Finito i Cavalieri il Ballo, e toltosi il peso delle superbe piume, con gli abiti stessi, secondo il Maestro del Ballo fece lor cenno, co 'l fior delle belle Dame Napoletane qui ragunate, per lungo spatio, fin che Sua M. lor diede congedo, lietamente danzarono.
Nomi de' Cavalieri entrati nella Mascherata con la precedenza de' luoghi, secondo a sorte si trassero. Il Sig. Marchese di Villa Nova del Rio. S. Marchese di Gioia. S. D. Geronimo Pignatello. S. Ambasciator d'Alemagna. Il S. D. Giovanni Vrrias.
Il Il Il
- 28 1-
MICHELE RAK
Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il Il
S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S. S.
D. Gio. Battista Pignatello di Marcello. Gio. Battista Caracciolo. Marchese di Arissa. Duca di Calabritto. D. Francesco Manriquez. Conte di Montuoro. D. Luigi Orefice. Gio. Battista Ravaschiero. Ascanio del Tufo. Gio. Batista Pignatello di Camillo. Duca di Perdifumo. Conte della Saponara. D. Fabritio Caracciolo. Duca di San Giorgio. D. Antonio Caracciolo. Evaristo Furietti. Principe di S. Martino. Titta Zunica. Duca d'Aquara. D. Francesco Barrile. D. Luigi Pignatello. Martio Mastrillo. Duca di Celenza Caracciolo. D. Carlo Guevara. Marchese de la Rina. D. Tomaso Filingiero. Duca della Celenza Pinello. D. Francesco del Tufo. D. Martio Strambone. D. Gio. Battista Spinello. D. Ferrante Perinetto. Principe di Nola. Marco Antonio Carafa. Carlo di Somma. Principe di Cariati. D. Rodrigo Tappia. Francesco Pappacoda. Conte di Geruola. Geronimo di Sangro. Principe di Colobrano. Principe di Botero. Corriera Maggiore. Ottavio Pignatello.
-282-
APPENDICE IV
Questa appendice raccoglie materiali iconici variamente connessi con la ricerca di Basile, dalle tavole dellaportiane sul quadro teoretico di cui faceva parte anche l'idea di metamorfost alle esperienze figura tive strettamente connesse con gli ultimi lavori dell'organizzatore di sezioni di apparati e di soltanto una sommaria
mascarate.
Il materiale qui raccolto costituisce esemplificazione, ad illustrazione di qualche
allusione del testo, del rapporto tra messaggio verbale e messaggio non verbale e della frequentemente rilevabile simmetria tra essi.
- 283-
MICHELE RAK
AIIIIF�IW'H Cornc n
ddm��&.t dl�tur
-
- 284-
Da Della fisonomia dì tutto il corpo umano del signor Gio. Battista della Porta ... In Roma, per Vitale Mascardi, 1637 il sistema delle scienze occulte (pp. 3-7), la definizione della fisonomia (pp. 60-61), la distinzione tra citta dino e selvaggio (pp. 5-7) e il principio della metamorfosi applicato alla socialità (pp 150-151).
MICHELE
-
286
RAK
-
APPENDICE IV
-287-
MICHELE RAK
Dal Tempio eremitano de' santi e beati dell'Ordine agostiniano ... In Napoli, per Tarquinia Longa, 1608 di Ambrosie Staibano le lettere capitali costi tuiscono tratti di linee narrative in senso iconico variamente articolate.
-
2 88
-
APPENDICE IV
-
28 9
-
"' t.O o
.
Macchine sceniche « rnaritime » dalla Festa fatta in Roma alli 25 di febraio MDCX XXIV e data in [u, da Vitale Mascardi .. Roma, Gio. Giacomo de' Rossi, s.d.
....
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APPENDICE IV
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—291—
INDICE DEI NOMI (Sono in corsivo i nomi dei personaggi di opere letterarie o di figure della mitologia classica. Non sono compresi in questo indice i nomi presenti nelle appendici)
Abbactutis Gian Alesio, pseudonimo di Giambattista Basile, Abigail,
19, 96
Alcalà, viceré di Napoli,
31
204 95
146
123
Accademia
degli
Oziosi
di Napoli,
Accademia degli Stravaganti di Cre-
20, 95, 142, 153, 156, 198, 204
Accademia dei Lincei,
94
Accademia Olimpica di Vicenza,
86,
130 Accademici della Crusca, Accademici Intronati,
199
94
Accademici Umoristi di Roma,
l95
Acerenza (duca di) vedi Pinelli Galeazzo Achillini Claudio,
146
35
Alessandro, 61, 91, 120, 122, 123, 124, 125, 126, 193, 195, 196, 222, 228 Adone, 98, 164, 165 Ademollo
Alciato Andrea,
34
Alcide, 63, 85
33, 34, 36, 37, 38, 39, 86, 91, 120, 144, 195, 198, 203, 204
Adamo,
197
Alba (duca d') vedj Toledo (di) Antonio duca d'Alba
Accademia degli lnnominati di Par
ta,
Agapito Michiele,
Agresta Gian Domenico,
Accademia degli Incogniti di Vene
ma,
41
Afronio, 69, 70, 87, 88
Accademia degli Incauti di Napoli,
zia,
Afan de Ribera Ferdinando duca di
Alcinoo, 85, 153
146 86, 130 Alessandro Magno, 146 Alfeo, 85, 88, 215, 216, 218, 220 Alicco Gian Battista, 146 Alighieri Dante, 199, 202 Altano Henrico, 173 Altemps Marco Scitico, 199, 205 Altobello di Lodi, 158 Altoviti Luigi, 64 Alunno Francesco, 202, 205 Amatunta, 45 Amazzoni, 98 America, 173 Aminta, 136 Ammirati Luigi, 48 Amore, 30, 68, 72, 75, 97, 98, 111, 113, 118, 131, 136, 149, 152, 156, 165, 216, 220 Aldrighetto Antonio Alvise,
Aleardi Ludovico,
293-
MICHELE RAK
227 29, 227 Angelucci Teodoro, 154 Apelle, 36 Apicella Giambattista, 180 Apollo, 188, 189, 236, 237, 238, 242 Arcadia, 78 Archimede, 146 Aretusa, 79, 85, 88, 207, 209, 210, 211, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221 Argo, 62 Arianna, 87 Aristotele, l 78 Arlichino, 125 Armida, 86, 130 Arsace, 242 Artemidoro, 97 Arturo, 62 Andreasi Alessandro,
Angelieri Giorgio, tip.,
Asburgo (d') Maria Anna regina di Ungheria,
187
Astrea, 184
cardinale,
227,
Barberino Francesco, cardinale, Barezzi Barezzo, tip.,
91
34
126 228 Barone Leonora, 126, 144, 222 Barone Muzio, 121, 122, 151 Barone - Basile, famiglia, 126, 144, 174, 193, 222, 223, 228 Basile Adriana, 14, 64, 91, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 129, 130, 132, 137, 138, 144, 152, 164, 175, 193, 194, 195, 196, 222, 228, 229 Basile Donato, 125 Basile Francesco, 122, 123, 222 Basile Margherita, 193, 222 Basile Marzia, 39 Becello Alessandro, 146 Becello Camillo, 146 Belegno Carlo, 153 Barone Camillo,
Barone Caterina,
lo Domizio
Augusto imperatore (C. Iulius Caesar Octavianus Augustus),
151 vedi Ca
racciolo Marino Azzolino Gio. Bernardino,
130, 142,
151 Baba Francesco, tip.,
146
Bacco, 66, 230, 232
146
95, 102, 153 175 Balcianelli Antonio, 146 Balcianelli Marcantonio, 146 Barbarigo Nicolò, 29, 145, 146 Barbazza Andrea, 123, 146 Baglioni Tomaso, tip. ,
146 20, 142, 161, 198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 205 Bembo Pietro, 203 Benamati Guidubaldo, 146 Benamati Marcantonio, 146 Berardelli Alessandro, 146 Bernardo Alessandro, 146 Bersabita Francesco, 146 Bertolotti Antonio, 120 Bèrtolotto Antonio, 146 Bianchino Cristoforo, 146 Bienna Giulio, 146 Biffi Lorenzo, 146 Bisaccioni Maiolino, 207 Belli Francesco,
Bembo Giovanni,
237
Aurora, 23 Avellino (principe di),
Bakhtine Mikkail,
Antonio,
228
Bella (marchese della), vedi Caraccio
Atlante, 62
Baffo Domenico,
Barberino
Bisignano (principe di), vedi Carafa Tiberio Boccaccio Giovanni,
294-
202
INDICE DEI NOMI
125 146 Bombaci Gasparo, 147 Bonagente Annibale, 86
Bolis Sebastiano,
Caracciolo Domizio, marchese della
Bombarda Domizio,
Bella,
221, 222, 223
Caracciolo Gio. Battista,
151
Caracciolo Marino, principe di Avel
180 147 Bonino Scipione, tip., 33 Borea, 125 Borgarucci M. Borgarutio, 202 Borghese, famiglia, 195
151, 173, 204, 207 Carafa, famiglia, 120, 122 Carafa Carlo, 228 Carafa Fabrizio, 44
Borghese Camillo, vedi Paolo V PP.
Carafa Luigi, principe di Stigliano,
Bonardo Pellegrino, tip.,
lino, duca della Tripalda (ma Atri
Bonifacio Baldassarre,
palda),
Borgia Gaspare, cardinale, Braccino Antonio,
41
di
Sanseverino,
61, 6� 63, 10� 10� 113, 11� 121, 142
139
Brancaccio Francesco,
marchese
86
Carafa Tiberio, principe di Bisigna
Briareo, 62
no,
146 Buonarroti Michelangelo, 152 Busenello Francesco, 147
Bruto (M. Junius Brutus),
138
Carafa Tommaso, so,
accademico Ozio
138
Caravaggio (Michelangelo Merisi da),
138 Caccini Giulio,
Carichia, vedi Cariclea
16, 121 147
CaricÌea, 230, 231, 233, 234, 235,
Cacichi Giovanni,
242
Cadmo, 162 Cagnano (barone di), vedi Nava Antonio
89
Carlino Gio. Giacomo, tip.,
Carpino (barone di), vedi Nave An
137, 141 37, 40 Campolongo Emanuele, 45 Canale Giovanni, 45 Canale Gregorio, 173 Canussio Giulio, 173 Camerata dei Bardi,
tonio
Campanella Tommaso,
94, 95, 96, 102, 146, 147, 153, 168 Casotto Gioseffo, 195 Castellani Giacomo, 147 Casoni Guido,
33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 41, 43, 44, 45, 53, 65, 66, 67, 82, 145, 174, 180, 183, 186, 187, 213, 237
Cataneo
Oratio,
accademico
nato, il Rincarato,
lntro
130
Celia, 144 Cerda (de la) Catalina, contessa di
142
Capitano Renoceronte, 125
Lemos,
Capitano Squarciaferro, 129
Cerere, 182
Capovano, 97
Cervantes (de) Miguel,
203 Caputo Filocalo, 173
142 Cesario Domenico, 147
Cappello Bernardo,
36, 125,
138, 145, 174, 199
Calliope, 188, 255
Capaccio Giulio Cesare,
Cariddi,
Cesari Gaetano,
295-
187, 227
MICHELE RAK Cetonia, 69, 73, 75, 115
120, 126, 237 Chiafeo, pseud. di G. C. Cortese, 39, 83 Chiara (santa}, 142 chiesa di s. Anna a Giugliano, 223 chiesa di s. Chiara a Napoli, 45 Chioccarelli Bartolomeo, 28
39, 61, 62, 63, 65, 82, 87, 96, 138, 149, 172, 198, 213, 227, 237; vedi
Chiabrera Gabriella,
Cicerone Marco Tullio (Marcus Tul lius Cicero),
178
Ciera Pietro, tip.,
94, 145, 197
Cimino Bartolomeo, accademico Ozioso,
138
Cintia, 214
anche: Chiafeo e Sonnacchioso (il)
147 147
Cortesi Francesco, Costantini Toldo,
33 142 Cristo, 31, 34, 35, 45, 52, 57, 138, 158, 159 Croce Benedetto, 8, 19, 20, 28, 33, 38, 48, 63, 86 , 94, 95, 121, 126, 144, 145, 180, 187, 204, 207, 227 Cuccio Camillo, 147 Cupido, 24, 97 Costo Tomaso,
Cristina
(santa),
Ciparisso, 98 Climenia, 69, 73, 84
151 28 Da Gagliano Marco, 121 D'Acunto Gioseffo,
Clio, 188
D'Afflitto Eustachio,
Clitia, 137, 211 Glori, 142, 165, 167
Dal Monaco Francesco Maria,
Clorinda, 131, 156
121, 123 147 Colombo Cristoforo, 146 Colonna Vittoria, 200 Combi Sebastiano, tip., 61, 62 Comino Giuseppe, tip., 199 Comite Orazio, 138 Comparato Vittor lvo, 34 Cocchi Bartolomeo, tip.,
Collurassi Antonino,
Da Mosto Alvise,
121 86 Da Trino Comin, tip., 201 D'Avalo Ferrante, 130 Davari Stefano, 121 David, 31 D'Ancona Alessandro, Da Schio Giovanni,
De Argensola Bartolomeo Leonardo,
145
Conca (principe di), vedi Di Capua
De Castello Gio. Paolo,
Matteo Contarini Stefano,
147
Conzatti Zaccaria, tip.,
De' Cavàlieri Emilio, Ozioso,
Cornaro Andrea, accademico Strava
138
De Cunto Gioseffo,
142
Delia, 131
85, 130, 156
Cornaro Vincenzo, accademico Stra vagante,
180
17
De Colellis Ascanio, accademico
228
Corebbo, 97 gante,
.147
147
Della Casa Giovanni,
130
161, 199, 200,
203, 204, 205
Corsini Andrea, vescovo di Fiesole,
Della Porta Gianbattista,
173
29, 37, 91,
102, 143, 151, 172
Cortés Hernan,
146
Cortese
Cesare,
Giulio
Della Rovere Federico II di Monte
19, 29, 38,
- 296
feltro, principe di Urbino,
34
INDICE DEI NOMI Della
Rovere
Francesco
Maria
II,
178
Febo, 62, 98, 130, 134, Hì9, 211 Federico II di Montefeltro della Ro
39 Del Tufo Gian Battista, 20 De Quinones Juan, 145
Federozzi Iacopo Antonio,
De
Ferdinando II, imperatore,
vere, principe di Urbino, vedi Del
Dell'Arpa Gio. Leonardo,
Tasis
di
Villame
Deuchino Evangelista, tip.,
45, 173,
diana,
Juan,
conte
la Rovere Federico II
138, 145
De Torres Andrea,
173
147 196 Ferdinando III di Toscana, 176 Fernandez de Castro Pedro, conte di
Diana, 220
Fernandez de Castro Fernando, conte
Di Capoa Giovanna,
142
di Scelves,
Di Capua Matteo, principe di Conca,
164
142
Fernandez lltfurga Felix, 33
147 147
Ferranti Francesco,
Di Fusco Ascanio,
40
Ferrari Cristoforo,
Di Giambattista Giuliano,
223
Fidermo,
Diligenza, 98, 101 vico,
pseudonimo
Campolongo,
Di Loffredo Cecco, marchese di Tre-
203, 204
di
Filippo III di Spagna, Filippo IV di Spagna,
142 34 Di Tarsia Galeazzo, 200, 203, 204 Doglioni Ercole, 147 Dorillo, 68, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 78, 86, 87, 88, 105, 113 Drimone, 69, 71, 73, 74, 82, 92 Di Mendoza Giorgio,
Filippo Sgruttendio, 19 Filomena, 131
Eco, 17, 51, 55, 68, 123, 131, 133 Egeo, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 78, 82,
89, 92, 112 Eliodoro, 95, 227, 228 Endimione, 98 Enrico IV di Francia,
Erato, 188
94 94, vedi Medici
Fiore1�tino Francesco, Firenze
(duca di),
(dei) Cosimo I
94, vedi Tele-
Firenze (duchessa di), do (de) Eleonora
Flora, 131 Florio (fratelli), tip.,
201 94
Follino Federico, monsig.,
123, 125
147 Fubini Mario, 20 Forret Giorgio,
34
Este (d') Cesare, Ester,
34, 99, 172 195
Filostrata, 214, 218, 220
Florimi Matteo, tip.,
92
Emanuele
45
Di Paolo Gio. Andrea,
Erode,
41, 138,
Lemos viceré di Napoli,
142
196
180
Gabrieli Giuseppe,
94
Galatea, 78
32
Gali
Euterpe, 188
Gaderico,
accademico
138 Facone Paolo, Fasano Pino,
121 19
Galiani Ferdinando, Gambara Veronica,
297-
19 200
Ozioso,
MICHELE RAK Ganimede, 98
Gonzaga Vincenzo I, duca di Man
Ganzugo Stefano,
tova,
53
Gargano Gianbattista, tip., Garzoni Giovanni,
61
138 , 144, 169, 222 147 Gratia Giulio, 142, 151 Gratiano, 124, 125 Gratii Gratia Maria, 147 Grazie (le), 30 Gregorio XV Papa, 195 Gregorio Nazianzeno, 178 Griffi Baldassarre, 146, 147 Grillo Angelo, 44, 45 tova,
147
Garzoni Tommaso, tip.,
Grandimonte Scipione,
29, 102
147 41 Gentile Ottavio, 122 Geronimo (santo), 138 Gatti Alessandro,
Genoino Giulio,
Gesù, vedi Cristo
Giacinto, 98 Giambelli Cipriano,
227
Giasone, 162 Gioia Flavio,
Grimani Luigi, arcivescovo di Can-
20
Gillet Joseph Eugene,
dia,
146
Giolito de' Ferrari Gabriele, tip.,
201,
202, 227 130, 177, 180 62, 66, 236 Giron Pietro, duca di Ossuna, 41 Giuda, 31, 50 Giunti (i), tip., 88 Giunti Benedetto, tip., 94 Giustiniani Vincenzo, 125 Glauco, 6 4, 66, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 79, 88, 89, 91, 110, 111 Glinci Leonardo, 227 Gonzaga (famiglia), 18, 63, 120 Gonzaga Cesare, 142 Gonzaga Eleonora, 195, 196 Gonzaga Felicita Guerriera, 51 Giovanni (santo), Giove,
121, 123, 124, 126, 142, 148, 153, 193, 195, 204, 222
Gonzaga Ferdinando,
Francesco,
88, 121, 123,
126, 142, 149
195 187 Guevara Carlo, 260 Gutenberg Johann, 146 Guzman (de) Leonor Maria,
180
Hortensio, 94
227 173, 227 Imbriani Vittorio, 19, 45, 227 Imperato Ferrante, 29, 37 Imperiale Gio. Vincenzo, 222 Iside, 191 Ismino, 217, 218, 219, 220 Isocrate, 178 lmberti Beppo, tip.,
Imberti Ghirardo, tip.,
Lane Frederic Chapin, Laura,
87
154
Lazzaro (santo),
126 36
Ledda Giuseppina,
Lemos (conte di), vedi Fernandez de
156 Gonzaga Margherita, 195 Gonzaga Silvio, 138 Gonzaga Luigi
142
Guarini Alessandro, Guerra Scipione,
Giorgio (santo), 143, 172
Gonzaga
91, 121, 122, 126, 138
Gonzaga Vincenzo II, duca di Man-
(santo),
Castro Pedro Lemos (contessa di), vedi Cerda (de la) Catalina
298-
INDICE DEI NOMI zaga Vincenzo I e Gonzaga Vin
147
Lenzoni Camillo,
138 Leonardo Gabriele, 138, 145 Leonardo Lupertio, 138 Leone X papa, 227 Leucadio, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 92, 112 Liceto Fortunio, 146, 147 Licori, 195, 222 Lidia, 69, 92 Lioni Giovanni, 154 Lombardo Iacinto, 187 Longo Egidio, tip., 180 Longa Tarquinia, tip., 19, 28, 29 Loredana Gian Francesco, 95, 147, 207 Lorenzo (santo), 130 Lucilla, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 86, 87, 89 Luigi, 118, vedi Carafa Luigi Luigi XIII, re di Francia, 129 Leonardo Bartolomeo,
Maccarano Domenico, tip., Macchioni Jodi Rodolfo,
40
Machiavelli Niccolò, Maddalena,
40 146
Magellano Ferdinando, Magno Giovanni, Maia
180
19
122
Materdona
Gian
Francesco,
147, 174, 196 Malato Enrico,
19
Malombra Bartolomeo,
180
94 Maniaco Higinio, 147 Mango Achille,
cenzo II zaga Francesco
Marescotti Giorgio, tip., gna,
34, 138, 169
29, 30, 46, 50, 51, 53, 57, 144, 156 Maria Maddalena d'Austria, 142 Marinella Lucretia, 147 Marino Giovan Battista, 38, 39, 48, 102, 121, 123, 164, 173, 196, 197, 237 Mannitta Iacomo, 203 Marte, 62, 85, 230, 236 Martinello Francesco, 138 Martinez de Herrera Pedro, 180 Martorana Pietro, 19 Marziale (M. Valerius Martialis), 178 Mascardi Giacomo, tip., 176 Mascardi Vitale, tip., 91 Maurizio (santo), 126 Maylender Michele, 33, 95 Mecenate (C. Maecenas), 237 Medici (famiglia), 178 Medici (dei) Caterina, 195 Medici (dei) Cosimo I, 94 Medici (dei) Cosimo II, 142 Medici (dei) Ferdinando, 125 Maria (la Vergine),
(dei) Leonora1
Mantova,
duchessa
34
Medici Virginia,
144, vedi Gon
Medusa, 137, 179
180
Meglietti Roberto, tip.,
29
204, vedi Gon
Melpomene, 188
138, vedi Gon-
Menéndex y Pidal Rarnon,
zaga Ferdinando
Menéndez y Pelayo Marcelino,
-
299
-
di
138
Manso Gio. Battista,
Mantova (duca di),
180
Margherita d'Austria, regina di Spa-
Medici
zaga Vincenzo II
147 147
Manzini Carlo Antonio, Manzini Gio. Battista, Manzini Luigi, 147
Mantova (Altezza di), Mantova (duca di),
88, vedi Gon-
Mantova (principe di),
20
145
MICHELE RAK Mercurio, 233
Omero,
Micco Passaro, 135
147
Michiele Pietro,
33, 86
Minieri Riccio Camillo,
Minucoi Minuzio, arcivescovo di Zara,
147 178 Orifilo, 98, 100, 101 Orimone, 73 Orlando, 102 Orsini Isabella, 142 Olmo Fortunato,
20
Merlini Domenico,
Osanni Aurelio e Ludovico, tip.,
156
Miola Alfonso,
28,
61, 62, 78, 123, 129, 138, 164
145
Miserini Nicolò, tip.,
Ossuna (duca di), vedi Giron Pietro
63
180 Moiseffo Faustin, 14'1 Moles Abraham, 142 Mocenigo Alvise,
Pace Antonio, tip.,
200 147 Monteverdi Claudio, 121, 125, 126, 131, 140, 141, 142, 195, 222 Morrnile Gioseffo, 33 Morosino Benedetto, 200 Mosè, 46 Martinez Motinno Francisco, 99 Muscettola Antonio, 228 Muse (le), 48, 50, 62, 63, 95, 96, 132, 138, 178, 188, 189 , 236 Molza Francesco Maria, Montalbano Ovidio,
Nani Floriano,
Nannio Hippolito,
Paolo V, papa
(Camillo Borghese),
29, 195 123
147
Partenopea, 70, 78
34
Peluso Gioseffo, tip.,
Antonio,
barone
di
Cagnano
35 120, 126 Nerimone, 69, 75, 76 Nettuno, 116, 118; vedi anche Posei e Carpino,
Neri Achille,
done
Peri Iacopo,
121 86 147
Perin (eredi), tip., Persiani Oratio,
Petrarca Francesco,
154, 184, 202,
203 Petrini Mario,
Nice, 136, 144
20, 228
94 44, 46, 125 Pighetti Giacomo, 147 Pignatelli Ercole, 227 Pignatello Ettore, 138 Pignoni Zanobi, tip., 178 Piccolomini Alessandro,
Nifeo, 69, 71, 72, 84, 87, 88, 89,
105, 112 Nigro Salvatore,
19, 20
199
Nucci Lorenzo, tip.,
61
45
Partenope, 43, 64, 78, 186, 218
153, 156
Noci Carlo,
21, 141 147 Pallade, 179, 182, 191 Palomba Anello, 138 Pandino Antonio, 147 Pandora, 62 Pantalone, 124, 125 Paoli Francesco, 147 Paoli Pier Francesco, 147 Pagnini Marcello,
Palazzolo Aurelio,
Parrino Domenico Antonio, tip.,
147
Narciso, 24, 56, 68, 79, 98, 143, 152, Nave
36
95
Parlasca Sirnone, tip.,
31
Nabel,
Pacini Iacobus,
Pietro
300 -
(santo),
INDICE DEI NOMI Pigro Olimpico (il), pseudonimo di
86
Annibale Bonagente,
Pigro (il), pseudonimo di G. B. Ba sile Pimentel
de
Herrera
Juan
Alonso
Pinelli Galeazzo, duca di Acerenza,
di Francia
Pisani Francesco,
138, vedi Mar-
gherita d'Austria Regio Paolo,
204 Pinelli Gio . Pietro, tip., Pitagora,
185 195 Re cristianissimo, 88, vedi Enrico IV Rasi Francesco,
Regina delle Spagne,
122
conte di Benavente,
147
Ranghellino Daniele,
Ranuccio Marco Antonio,
45
Remigio, 69 , 76
207
138
147 138 Rinuccini Ottavio, 88 Roia Alessandro, 147 Romagni Sebastiano, 147 Romito Marc'Antonio, 147 Remena Francesco,
150
Reschio Stanislao,
Piti, 125
140, 154 178 Polemio, 222, 223, 224 Polinnia, 188 Polluce, 63 Pona Carlo, 147 Pona Francesco, 146, 147 Porcacchi Tomaso, 201, 202 Porta Gio. Battista, tip., 202 Poseidone, 116; vedi anche Nettuno Prandino Giovanni, 147 Prometeo, 236 Proteo, 61 , 64, 79 Pullini Giorgio, 94 Platone,
Plutarco,
Roncagliolo Gio. Domenico, tip.,
38,
138, 144, 203 Rota Andrea, 147 203 147 Rovito Ferrante, 138 Russo Ferdinando, 19 Ruzini Carlo, 154
Rota Bernardino, Rovetti Andrea,
Sacramoso Gabriel,
147
Sagredo Giovanni Francesco,
156
28, 35 Sagredo Zaccaria, 154 Salomone, 30 Salomoni Giuseppe, 147 Salpio, 69, 74 Sanchez Luis, tip., 99 Sannazaro Iacopo, 45 Sagredo Nicolò,
Quadrio Francesco Saverio,
86, 145,
196, 197 Quarto Gio. Alberto, Quazza Guido,
147
88
Quevedo (de) Francisco, Quondam Amedeo,
227
204
Sanseverino (marchese di), vedi Caracciolo Marino
147 Rabelais François, 175 Raccola Guidotto, 154 Rabbia Raffaele,
147 20, 39, 187, 228 Rambaldo Francesco, 147 Raggiolio Giulio Cesare,
Rak Michele,
138, 142 182 Santa Maria Giuseppe, 147 Santo Officio, 40 Sapegno Natalino, 19 Sara, 32 Sanseverino Livia,
Santamaria Andrea,
301-
MICHELE RAK Saul,
33
Staibano Ambrogio,
Savoia (duca di),
39, vedi Savoia (di)
Carlo Emanuele I Savoia (infanta di),
Stanzione Massimo, Stefano (santo),
88, vedi Savoia
(di) Margherita
29, 172 151, 163
178
Stegagno Picchio Luciana,
20
37 Steiluti Francesco, 91 Stinca Giuseppe, 138 Stelliola Colantonio,
Savoia (duca di) Carlo Emanuele I,
39, 174 88, 121, 123,
Stigliano (principe di�, vedi Carafa
Scelves (conte di), vedi Castro (de)
Stordito (lo), accademico Intronato,
Savoia (di) Margherita,
126
Luigi vedi Piccolomini Alessandro
Fernando Scevola Muzio (C. Mucius Scaevola),
61, 131
222 Stussi Alfredo, 20
146 Scilla,
Striggio Alessandro, Strozzi Giulio,
53, 55, 89, 110
Scipione (P. Cornelius P.f.L.n. Sci pio Africanus), Scorriggio
146
Lazzaro,
Suarez de Figueroa Christoval, Sweelinck Jan Pieters,
tip.,
97
17
138, 173,
180, 197 Sebeto (il pastor), pseudonimo di G.
Tagliareni Calogero,
19 Segre Cesare, 20
Talassio, 69, 76
C. Cortese,
Sessa Melchiorre, tip., Simeone,
Talia, 188 Tancredi , 131, 156
37, 201
32
Smorfia (lo), pseudonimo di G. B. Ba sile,
19 137
Sonnacchioso (il) deii'Accademia Olimpica di Vicenza,
86
Sonnacchioso (il) deii'Accademia de gli Oziosi di Napoli,
86, vedi Bran
caccio Francesco Southwelo Henrico (Southwell Hen
ry), 147 Spineiii Carlo,
29, 44, 45, 46 38 Teagene, 95, 96, 196, 204, 221, 227, 228, 229, 231, 232, 233, 234, 235, 238, 239, 240, 241, 242 Tenenti Alberto, 88 Tersicore, 188 Terzo Alessandro, 147 Tesauro Emanuele, 80 Teseo, 85 Tetide, 195 Tiarno, 231 Tideo, 162 Tiepolo Francesco, 146 Tiepolo Giovanni, 146 Tansiiio Luigi,
158 Sirena (Napoli), 28, 43, 48, 50, 62, 78, 80, 103, 113, 131, 162, 166, 186, 221 Sirena (personaggio), 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 78, 89, 118 Simmia di Rodi,
Solerti Angelo,
20
Tasso Torquato,
Tirinto, pseudonimo di Giovanni Ca nale,
Spinelli Tomaso Francesco,
45
Tirrena, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 76,
142, 150 150, 174
-302
89, 108, 109, 115
INDICE DEI NOMI Tirsi, 140, 167
Vavasone
Titone, 23 Tobioli Tobia,
147
Velardiniello,
147
Todeschi Lunardo, Toledo
41, 44, 144, 180, 184, 185, 204, 222 Toledo (de) Eleonora, 94 Toppi Nicolò, 195 Torsi Girolamo, 147 d'Alba,
Tripalda (duca della}, vedi Caracciolo Marino Trissino Giorgio,
tip.,
detto
200
145, 146 178 Untogodi, 100, 101 Urania, 188
(de) e de' Aragona Lucrezia,
138 Vergine (la), vedi Maria (la Vergine) Vespucci Amerigo,
146
147 (conte
Villari Rosario,
Virgilio
di Montefeltro
178, vedi Della
Rovere Francesco Maria Il
di),
Vagoamoroso, 97, 98
(Publius
140
Vergilius
Maro},
179 37, 125, 138, 139, 174, 198, 201, 203, 204
Vitale Costantino, tip., Vladislao di Polonia,
Zaccagni Camillo,
147
Zenani Gabriele,
147
44 Vandini Pietro, 147 Vandini Simone, 147 Varchi Benedetto, 203
De
20
222
147
Zapata Antonio, cardinale,
147
Valvasense Francesco, tip.,
vedi
Vulcano, 154, 236
28
Valvasone Erasmo,
Vera
Vincenti Giacomo, tip.,
Urbino (duca di), vedi Federico Il
Valacrio Giovanni,
165, 172, 214, 220, 236 156
Tasis Juan
Tucidide,
Ursinus V., tip.,
147
Veniero Sebastiano,
Villamediana
Trivisano Marco,
Urbino (principe di),
25
Venere, 97, 98, 129, 141, 154, 164,
Villa Pietro,
Tritonio, 69, 76
Valier Andrea,
Andrea,
Vendramin Polo,
(de) Antonio Alvarez, duca
Vaijra Matteo,
Gio.
Guadagnino, 201
Zeusi,
95
41
172
36
86 147, 173 Zuccari Federico, 121, 123, 124
Ziggiotti Bartolomeo, Zinano Gabriele,
Zunica y Sandoval (de) Caterina, contessa di Lemos,
-303-
138, 142
INDICE GENERALE
Le norme di una letteratura: tra emarginazione e con venziOne
Pago
o
l
Lo specchio di Proteo: metamorfosi e sentenziosità ne »
61
»
129
»
171
La filologia come verifica del tesoro della tradizione
»
193
Gli idilli come frammenti di un'ideologia della fuga
»
207
La pseudoepopea gratulatoria di Teagene
»
227
Appendice I
»
245
Appendice II
»
265
Appendice III
»
267
Appendice IV
»
283
»
293
Le avventurose disavventure
o
La scelta della fortuna: la produzione lirica come stru mento di ascesa sociale
TI percorso del Caso: la drammaturgia ideologica degli apparati
Indice dei nomi e dei luoghi
o
-305-
Finito di stempera nella foto-tlpo-llto Sagra!- Napoli nel dicembre 1975