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Italian Pages 233 Year 2021
Giulio Go1ia
La filosofia e l'i1n111agine
del 111etodo
A Silvia
9
Sigle e abbreviazioni
Kant Cito Kant con le seguenti abbreviazioni: AA
=
Akademie-Ausgabe (Gesammelte Schriften, hrsg. v.: Bd. 1-22, Preussische Akademieder Wissenschaften, Bd. 23, Deutsche Akademie der Wissenschaften ZII Berlin, Bd. 24, Akademie der Wissenschaften ZII G(jttingen, Reimer, poi de Gruyter, Berlin 1900 ss.), seguita dal numero del voi. e della pagina
Opere singole:
Br
=
BrieJwechsel (1747-1803), AA 10-13; tr. it. (parziale), Epistolariofilosofico. 1761-1800, a cura di O. Meo, Il melangolo, Genova
1990. Deutlichkeit
=
Untersuchung uber die Deutlichkeit der Grondsatze der naturlichen Theologie und der Moral (1764), AA 2(1905), pp. 275-301; tr. it., Indagine sulla distinzione dei princìpi della teologia naturale e della morale,
10
in Scritti precritici, nuova ed. ampi. da A. Pupi, intr. di R. Assunto, Laterza, RomaBari 1982, pp. 215-248.
EE
=
Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft (1790), AA 20, pp. 195-251; tr. it. e note di P. Manganaro, Prima introduzione alla Critica del Giudizio, intr. di L. Anceschi, Laterza, Roma-Bari 1979.
KrV
=
Kritikderreinen Vemunft (A: 1781/B: 1787), AA 3-4 (19112); tr. it. di P. Chiodi, Critica della ragion pura, UTET, Torino 1967 (ove è riportata l'indicazione della paginazione originale).
KpV
=
Kritikderpraktischen Vemunft (1788), AA 5 (19132), pp. 3-163; tr. it., con testo ted. a fronte, Critica della ragione pratica, a cura di A.M. Marietti, Rizzoli, Milano 1992.
KU
=
Kritikder Urtheilskraft (1790), AA 5(19132), pp. 167-485; tr. it., con testo ted. a fronte, di A. Gargiulo, riv. da V. Verra, Critica del giudizio, intr. di P. D'Angelo, Laten.a, RomaBari 1997 (19791).
Log
=
Logik (1800), hrsg v. G.B. Jasche, AA 9 (2011), pp. 1-150; tr. it. di L. Amoroso, Logica, Laterza, Roma-Bari 20045 •
Prol
=
Prolegomena zu einerjeden ki.lnftigen Meta,. physik, die als Wissenschaft wird auftreten konnen (1783), AA 4 (1980), pp. 253-383; tr. it., con testo ted. a fronte, di P. Carabellese, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che potrà presentarsi come scienza, intr. di H . Hoenegger, Laterza, Roma-Bari 1996.
11
OE
=
Ober eine Entdeckung, nach der alle neue Kritik der reinen Vemunft durch eine liltere entbehrlich genuwht werden soll (1790), AA 8 (1923), pp. 187-251; tr. it. di C. La Rocca, Su una scoperta secondo la quale ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa supeeflua da una più antica, in Contro Eber-
hard. uz polemica sulla Critica della ragion puro, Giardini, Pisa 1994, pp. 57-138.
VLo!Blomherg=
Logik Blomherg, AA 24.1 ( 1966), pp. 7-302.
VLo!Busolt
Logik Busolt, AA24.2 (1966), pp. 603-686,.
=
VLo/Philippi = Logik Philippi, AA 24.1, pp. 303-496.
Hegel Per le opere di Hegel è stata maggiormente utili.z:7.ata l'edizione Suhrkamp (Werke in zwanzig Banden, hrsg. v. E. Moldenhauer u. K.M. Miche!, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1969-1971) = W Opere singole: EA
=
Enzykloptidie der philosophischen Wissenschaften im Grondrisse (1817),in Siimtliche Werke, Bd. 6, hrsg. V. H. Glokcner, Frommann, Stuttgart 1927, seguito da § (per il numero della sezione);tr. it.di A. Tassi,En-
ciclopema delle scienze.fi/,osofiche in ~ pendio. Heidelberg 1817, Morcelliana, Brescia 2017.
ENZ
=
Enzykloptidie der philosophischen Wissenschaften im Grondrisse, W 8-10 (1970); tr.
12
it. a cura di V. Verra, UTET, Torino 1981 (voi. I), 2002 (voi. II), e di A. Bosi, UTET, Torino2000 (voi. III).
Diff
=
Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosaphie, W 2 (1970), pp. 7-138; tr. it., Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e di Schelling, in Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Mursia, Milano 1990, pp. 1-114.
F
=
Pharwmenologie des Geistes, W 3 (1970); tr. it. di De Negri, Fenomenologia delle spirito, intr. di G. Cantillo, 2 voll., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008.
SL
=
Wissenschaft der Logik, W 5-6 (1969); tr. it. di A. Moni, riv. da C. Cesa, Scienza della logica, 2 voll., intr. di L. Lugarini, Laterza, Roma-Bari 1981.
Heidegger Per le opere di Heidegger è stata utilizzata la Gesamtausgabe (Klostermann, Frankfurt a.M.) = GA. Opere singole:
BP
=
ZurBestimmungder Philosaphie, GA56/57 (hrsg. v. V.B. Heimbtichel, 1987); tr. it., Per la determinazione della filosofia, a cura di G. Cantillo, Guida, Napoli 1987.
BZ
=
Der Begriff der Zeit, GA 64 (hrsg. v. F.-W. von Hermann, 2004; ed. or. Niemeyer, TU-
13 bingen 1989); tr. it., Il concetto di tempo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2006.
GAP
=
Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie, GA 18 (hrsg. v. M. Michalski, 2002).
GBM
=
Die Grondbegriffe der Metaphysik. Welt, Endlichkeit, Einsamkeit, GA 29/30 (hrsg. v. W.-F. von Hennann, 1983); tr. it., Concetti
fondamentali della metafisica. Mondo,finitezza, solitudine, a cura di C. Angelino, Il melangolo, Genova 1990.
GP
=
Grundprobleme der Phlinmnenologie (19191920), GA 58 (hrsg. v. H.-H. Gander, 1993); tr. it. di A. Spinelli e J. Pfefferkon, Probi.emi f ondomentali dellaf erwnumologia, a cura di F. Menga, Quodlibet, Macerata 2017.
K
MA
=
=
Kant und das Probl.em der Metaphysik, GA 3 (hrsg. v. F.-W. von Hennann, 1991; ed. or. Klostennann, Frankfurt a.M.1973); tr. it. di M.E. Reina, Kant e ilproblema della metafisica, intr. di V. Verra, Laterza, Roma-Bari 2006.
Metaphysische Anfangsgrilnde der Logik, GA 26 (hrsg. v. K. Held, 1978); tr. it., Principi metafisici della logica, a cura di G. Moretto, Il melangolo, Genova 2000.
N
=
Nietzsche, GA 6.1 (hrsg. v. B. Schillbach, 1996); tr. it., Nietzsche, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2005.
o
=
Ontologie. Hermeneutik der Faktizitiit, GA 63 (hrsg. v. K. Brocker-Oltmanns, 1988); tr. it., Ontologia. Ermeneutica della effettività, a cura di E. Mazzarella, Guida, Napoli 2008.
14
PIK
=
Phiinomenologische Interpretatum oon Kants K.ritik der reinen Vernunft, GA 25 (hrsg. v. I. Grland, 1977); tr. it. di A. Marini e R. Cristin, lnterpretazwne fenomenologica della Critica della ragion pura di Kant, Mursia, Milano 2002.
SD
=
Zur SacM des Denkens, GA 14 (hrsg. v. F.-W. von Hennann, 2007); tr. it., Tempo e essere, a cura di C . Badocco, Longanesi, Milan o 2007.
SG
sz
=
=
DerSatz vom Gmnd, GA 10 (hrsg. v. P. Jaeger, 1997; ed. or. Neske, Pfullingen 1957); tr. it., Il principio di ragwne, a cura di F. Voipi, Adelphi, Milano 1991.
Sein und Zeit, GA 2 (hrsg. v. F.-W. von Hermann, 1977); tr. it. di P. Chiodi, Essere e tempo, nuova ed. a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2005.
WF
=
Vom WesendermenschlicMn FreiMit. Einl,eitung in die Philosophie, GA 31 (hrsg. v. H . Tietjen, 1982).
WM
=
Wegmarken, GA 9 (hrsg. v. F.-W. von Hermann, 1976); tr. it. di F. Volpi, Segnavia, Adelphi, Milano 2004.
15
Introduzione
Metodo e lìlosofia costituiscono un binomio costante nella storia del pensiero occidentale; tanto che è difficile, se non impossibile, trovare uno snodo o un'epoca in cui la lìlosofia non abbia messo al centro delle sue riflessioni il problema del metodo. Per questo, sarebbe stato un obiettivo del tutto sproporzionato rispetto alle capacità ali'origine di questo libro offrire un'esposizione completa non solo di questa intera vicenda, ma anche, eventualmente, di un limitato segmento di essa. A ispirarlo, invece, è stata una particolare condizione che colpisce la filosofia ogniqualvolta essa si accinge a occuparsi del proprio statuto di sapere, preservandone allo stesso tempo un peso caratteristico, in grado di offrirle una direzione di senso e una destinazione. Questa condizione, che comporta una tanto evidente quanto poco accidentale scomodità della filosofia stessa, deriva dal fatto che sempre essa, laddove sia comparsa, ha alimentato la necessità di un sapere ben definito nei modi di accesso e di trasmissione, irriducibile a quello delle scienze, della sapienza poetica e della religione; altrimenti, come sarebbe possibile scongiurare l'eventualità che essa si confonda con la molteplicità di fatto dei diversi saperi, più o meno specialistici che siano? Allo stesso tempo, però, nel momento in cui un sapere di questo genere, dotato cioè di una
16 precipua forma di scientifìcità, assume un carattere disciplinare, rischiando di trasformarsi in questione esclusivamente teorematica e limitata aUa trasmissione di una dottrina, ecco che questa forma appare inadatta a raccogliere ed esprimere compiutamente il senso performativo e di postura etica che la fìlosofìa si attribuisce, con la conseguenza che esso andrà ritrovato oltre e al di là di qualsivoglia limitazione disciplinare. Non c'è dubbio poi che le critiche più forti, e talvolta sprezzanti, nei confronti di un approccio metodologico al sapere siano venute daUa fìlosofìa. In fondo, l'esordio di Hegel su una cattedra universitaria, come Privatdozent a Jena, è rivolto a scardinare ogni pretesa, introduttiva o preliminare che sia, da parte della filosofia rivolta ad assicurarsi un oggetto o un campo di indagine già in qualche maniera preconfezionato, prima che la sua stessa riRessione cominci. Così come, secondo termini simili, accompagna l'intero itinerario di Heidegger, a partire daUa giovanile elaborazione deU' eredità fenomenologica, il rifiuto di una riduzione della fìlosofia a sapere metodico e strumentale. Eppure, proprio questi due esempi mostrano che, nonostante le critiche più dure, il rapporto tra fìlosofìa e metodo non è in alcun modo aggirabile nel suo nucleo aporetico essenziale prima indicato, pena la rinuncia a mantenere uno spazio definito, un compito e un futuro per lo stesso sapere fìlosofico. Ecco perché, in un certo senso, la consapevolezza della scomodità radicata nella fìlosofia ha dato luogo a immagini del metodo, che hanno veicolato il modo in cui essa ha affrontato la questione del proprio carattere scientifìco e, quindi, del proprio statuto d 'essere. Attraversarne alcune è il primo obiettivo di questo libro. Esso si compone di tre coppie di capitoli, ciascuna sorta con l'intenzione di articolare un nodo specifìco: 1) il rapporto tra metodo della fìlosofìa e carattere proposizionale del sapere in Kant e Hegel; 2) lo statuto e lo spazio della riflessione aU'intemo del metodo trascendentale e del metodo dialettico-speculativo; 3) la circolarità tra
17 metodo e decisione nella costruzione fenomenologico-ermeneutica di Heidegger. Queste brevi indicazioni iniziali palesano come larga parte dei contenuti del libro siano riportabili al problema del metodo in Kant, all'influenza che questa tematica ha avuto per la filosofia immediatamente successiva, a cominciare dalla filosofia classica tedesca, e ai modi in cui questo intreccio ha predisposto in generale una sorta di trasformazione metodologica che è stata al centro di molteplici indirizzi successivi, tra cui senz'altro si situano fenomenologia ed ermeneutica, oltre a neokantismo, filosofia analitica e pragmatismo anglosassone. Su questi temi, peraltro, con un interesse ricostruttivo e teoretico, negli anni più recenti si è sviluppata una vasta attenzione, dei cui risultati anche i nostri studi, naturalmente, si giovano•. Piuttosto, rispetto ad essi, da un lato, la nostra prospettiva appare limitata a ben specifiche questioni poste dalla svolta trascendentale kantiana e al modo in cui esse riaffiorano nel contesto del pensiero hegeliano e heideggeriano. Dall'altro lato, però, essa si propone, attraversando le tre tappe sopra citate, di portare in evidenza e discutere una specifica circolarità tra immagine 1. In particolare, meritano di essere ricordate alcune raccolte dedicate a Kant che dimostrano di tenere in conto, seppur con approcci differenti, la diffusione dei temi più decisivi del suo pensiero nelle prospettive lìlosollche successive. Tra queste cfr. G. Bird (ed.), A Companlon to Kant, Blackwell, Malden-Oxford 2006; P. Guyer (ed.), The Cambridge Companion to Kant, Cambridge Unlversity Press, Cambridge 1992; S. Besoli - C. La Rocca - A. Martinelli (a cura di), L'univer.so kantiano. Filcsofia, scienze, sapere, Quodlibet, Macerata2010; S. Gardner- M. Grist (eds.),The Transcendental Tum, Oxford University Press, Oxford 2015, e ancora il fascicolo del •British Joumal for the Hlstoryof Phtlosophy», voi. 27, n. 2, 2019, dedicato a Kant's Philcsaphical Method: Receptions and Transformations, a cura di G. Gava. Inoltre, su questi temi, si vedano anche E. F0rster, The Twenty-Five Yearsof Philcsaphy, Harvard UntversityPress, Cambridge-London2012, e H. Klm S. Hoelt7.el (eds.), Kant, Fichte, andthe Legacy ofTranscendental Idealism, Lexington Books, Lanham 2015.
18
e prassi del sapere, tra contenuto della riflessione e abito riflessivo, o, ancora, tra il fondamento della verità e la sua fondazione trascendentale, che almeno per una certa tradizione fìlosofica si è rivelata decisiva per definire il tratto peculiare del saperefìlosofico. Ai nostri occhi, tematizzare questo aspetto significa certo rinnovare un'immagine classica, se si vuole, della fìlosofia, o comunque debitrice della sua tradizione, ma, meglio e di più, rivolgersi a una paradossalità che appartiene oggi al luogo comune che la fìlosofia abita. Questa posizione attuale è fornita dalla consapevolezza diffusa che se la nostra continua a essere un'epoca della critica, come scriveva Kant nella Critica della ragion pura, a definirne l'ambito di applicazione non bastano più la religione nella sua santità né la legge nella sua maestosa sovranità, ma si richiede che la stessa pratica critica venga posta criticamente ad oggetto. In altre parole, se si raddoppia la critica, svelando così la ricerca della verità come volontà di verità rispetto a cui assumere la dovuta distanza, non viene però meno l'esigenza della fìlosofia di negare ogni presupposto, compreso il proprio, e quindi la facoltà e la potenza del dubbio come macchina metafisica che tutto pone a partire da sé. D'altra parte, è un'idea precisa quella con cui nel capitolo finale della Scienza della logica Hegel pone al centro la natura del metodo fìlosofico; a prendere la scena è quella sorta di capovolgimento virtuoso per cui il ritmo che fino a quel punto ha cadenzato lo sviluppo della scienza logica (e della logica come scienza) ora si trasforma nella sua tematizzazione completa e definitiva. È questo atto, quello che assume il metodo come il sigillo decisivo della scienza, che offre alla stessa scietl7.a la statura sistematica che le compete. Infatti, secondo Hegel, la logica può avere una conclusione soltanto nel momento in cui il metodo implicito, che ha portato avanti l'articolazione dei contenuti della scienza, porta quest'ultima ad avere una forma sistematica. Scriverà infatti nell'Enciclopedia delle scienze
19
jìt.osofiche in compendio del 1817: «Un filosofare senza sistema non può essere mente di scientifico,>2. Ciò che Hegel ba in mente può essere efficacemente colto seguendo il tratto principale del sapere 61osofìco. Esso fa la sua comparsa nei primi tre paragrafi di quell'opera e viene descritto come una particolare - e uruca - esperienza di spaesamento e vuoto dovuta all'impossibilità, da parte della 61osofìa, di iniziare semplicemente con qualcosa di già dato nella rappresentazione, qualcosa che non richieda giustificazioni e messe in dubbio precedenti, come invece fanno tutte le altre scienze, nonostante ancb'esse siano legate a esigenze sistematiche. Se dunque la 61osofìa assume il grado di scienza è soprattutto perché non c'è nullaai suoi occhi che sia uruvocamentenaturale, dato e immediato; e di conseguenza non c'è nulla che possa essere trattato come un presupposto punto e basta. Una disamina del significato begeliano del metodo della 61osofìa deve inevitabilmente partire daqui3. Una conferma, tra le tante che si potrebbero portare, proviene dalla prefazione alla seconda edizione della Scienza della t.ogica; n, infatti, viene in questione l'attitudine della logica a diventare sapere nella stessa accezione radicale e scientifica già attribuita alla 61osofìa. A questo proposito, Hegel, volendo abbandonare il retaggio "formalistico" della logica relativo ai modi del giudizio e alle categorie, scrive che «tanto è naturale all'uomo la logica>>4 che tutto quanto entri nel linguaggio umano contiene, più o meno inviluppata e rozzamente presentata, una categoria. Chiaro è che qui la 2. EA, ~ 1 An.; tr. lt., p. 64.
3. Su questo si veda A. N111.7.o, Transcendental Philosc,phy. Metlwd, and System in Kant, Fichte, and Hegel, In T. Rockmore - D. Brea:r.eale (eds.), Fichte and Transcendental Philosc,phy, Palgrave Macmtllan, HoundmlllsNew York 2014, pp. 58-68. Sul rapporto tra prima triade e metodo della Lo(!jca, e&. ti classico D. Henrich, Anfang und Methode der Lo(!}k, In Id., Hegel im Kontext, Suhrkamp, Berlin 2010, pp. 73-94. 4. SL, W 5, p. 20; tr. it., p. 10.
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logica stia abbandonando i panni del semplice organon, per assumere quelli del movimento riflessivo privo di presupposti. Ciò non significa affatto sottrarre alla filosofia la presa sulla realtà, relegandola in una dimensione astratta e purificata, ma, al contrario, conferire al gesto filosofico tutta la potenza trasformatrice che Hegel riconosce al pensiero e alla riflessione. Riflessione che, secondo il dettato della «Dottrina dell'essenza», è nel suo stesso porsi un togliersi, nel darsi un fondamento da cui poter prendere inizio il tornare su quel presupposto per riconoscerne lo statuto di posto. Se dunque di un metodo si deve parlare, a proposito della dialettica hegeliana, esso non è da intendersi come una serie di regole da applicare a un contenuto presupposto ed eventualmente sostituibile, ma come «il modo in cui i concetti da sé si sviluppano e richiedono di essere pensati» 3 • Lasciamo da parte il problema se questa radicale sospensione di tutte le nostre presupposizioni riguardanti l'essere e il pensiero non contenga a sua volta ulteriori precompresioni, a cominciare da quelli linguistici e grammaticali sui quali, certamente dopo Nietzsche, la filosofia non può più permettersi sottovalutazioni, e se infine la filosofia hegeliana sia in grado di portarli ad esperienza (del concetto)e. Guardiamo invece al fatto che, prima della Scienza della logica hegeliana, la questione del metodo aveva già occupato l'ultima parte della Critica della ragion pura nella forma di una «Dottrina trascendentale del metodo». Qui, e in particolare nell'«Architettonica della ragion pura», la dottrina del metodo rappresenta il modo con cui fornire le condizioni per un compiuto sistema della ragione pura. Di conseguenza, esso è il luogo dove il progetto sistematico si rivela, da un lato, come l'esito di un processo 5. S. Houlgate, The Opening of Hegel·s l.or)c, clt., p. 35. 6. Su questo, si veda L Illetterati, Il sistema come forma /Ù libertà nella
filosofia /Ù Hege~ In «Itlnera», n. 10, 2015, pp. 41-63.
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ideale e non invece un tentativo esclusivamente tecnico, prodotto da una metodologia particolare, e, dall'altro, come un problema relativo alla funzione preliminare dell'idea, la cui presupposizione come unità oggettiva deve poter dispiegare una logica dello sviluppo della ragione e non la semplice presupposizione di un costrutto interamente dato dall'inizio7• È già qui condensata la dialettica tra costruzione e immanenza che segnerà gran parte della ricezione della Critica della ragion pura nella successiva fìlosofia tedesca e che avrà una plastica ricollocazione nel rapporto tra metodo analitico e sintetico nell'ultimo capitolo della Scienza della logica hegeliana. A partire da qui, alla luce di quell'unità dei sistemi filosofici affermata dall'«Architettonica», che deve essere ricercata da ogni autentica ispirazione proveniente dall'idea, si può ritenere come proprio la riflessione trascendentale assuma un ruolo di primo piano nel costruire, da un punto di vista "metodico", il progetto sistematico del sapere, che in questo modo trova piena convergenza con la predisposizione degli strumenti intellettuali necessari per un compiuto dispiegamento delle risorse a priori della ragione. Al di là di questo, però, vale la pena osservare un aspetto che non sembra potersi ridurre a mera coincidenza. Infatti, tanto Kant quanto Hegel riservano alla discussione tematica sul metodo la conclusione del percorso scientifico anziché l'inizio (e anche quando esso occupa una posizione iniziale, come nella Fenomenologia dello spirito, Io fa in forma introduttiva e propedeutica). Il metodo diventa oggetto di diretta riflessione soltanto una volta che esso ha fornito al pensiero la sua forma scientifica. E viceversa, se da un lato è il metodo che
7. Sugl! sviluppi del problema del sistema come circolarità tra costruzione e progetto nella lìlosolla classica tedesca successiva, si vedano i contributi contenuti In G. Basileo - G. DI Tommaso (a cura di), Principio, meu,do e sistema nella Filosofia Classica Tedesca, lnschibboleth, Romn 2019.
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conduce alla scienza, è vero anche che abbiamo bisogno che sia acquisito il pieno possesso del punto di vista scientifico per riconoscere qual è e che cos'è il metodo in quanto tale. Questa difficoltà nel dare statuto epistemico al metodo non coinvolge soltanto la prospettiva critico-trascendentale o quella dialettico-speculativa, ma in fondo tutte le indicazioni genericamente "metodologiche" prese tra l'istanza prescrittiva e la semplice descrizione empirica del cammino fatto, quando ormai, per così dire, la scala per il sapere è servita a raggiungere lo scopo e può essere abbandonata alle spalle del ricercatore. In realtà, sia l'insoddisfazione comprensibilmente suscitata dal)' ambivalente posizione kantiana, che talvolta identifica, talaltra separa metodo trascendentale (critica) e sistema, da un lato, sia un'interpretazione della dialettica speculativa hegeliana eccessivamente portata a indicare il metodo come direzione fissata in anticipo del sapere, che porta a un sistema della scienza teleologicamente chiusoB, dall'altro, sono entrambe prospettive che perdono per strada l'elemento più interessante del metodo, vale a dire la sua intrinseca e ineliminabile circolarità. Rispetto a questo profilo paradossale, le soluzioni tanto di Kant quanto di Hegel sono due risposte certo problematiche, oltre che differenti, ma di certo mai omissive né riduzionistiche. Senza dubbio, per entrambi, "metodo" non copre tutta la gamma di significati che la parola ha assunto nella modernità e in epoca attuale 9• E tuttavia, attraverso il riferimento ali'ori-
8. Cfr. F.W.J. Schelllng, Lezioni monachesi sulla storia della fiù,sojia moderna ed esposizione delI:emplrismofiù,soficc, tr. lt. di G. Durante, lntr. di G. Semerari, LateI7.a, Roma-Bari 1996, p. 15 e ss. 9. Per una esplol'll7.lone delle connessioni con la modernità In particolare riguardo a Kant ma non solo si veda P. Basso, Il secclc geometrico. La questione del metodo matematicc ìn fiù,sojia da Spinoza a Kant, Le Lettere, Flrew.e 2004,pp. 137-176.
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ginaria struttura sistematica delle conoscenze, il concetto di "metodo" fa riferimento al problema di come determinare lo statuto epistemico, il modo di accesso e trasmissione di un sapere, quello filosofico, la cui scientificità deve poter provenire esclusivamente dalle proprie risorse fondazionali. Certo, può darsi che il problema del metodo, o da ultimo dell' accesso a un'esperienza dell'essere, quale che sia la forma assunta, non riveli nient'altro che il limite o comunque l'impaccio che il cosiddetto transcendental tum si porta dietro. In altre parole, la relazione può assumere il profilo dell'unità sintetica dell'appercezione kantiana, della fenomenologica esperienza della coscienza hegeliana, della soggettività ridotta di H usserl o persino dell'Ereignis heideggeriano; in tutti questi casi ci si starebbe comunque muovendo all'interno di una prospettiva correlazionalista che gravita intorno ai diversi esiti delle forme riflessive dell'umano10. In questa ottica, il problema del metodo come ciò che ci conduce preliminarmente verso l' esperienza della cosa sembra una strada compromessa in partenza, dato che un accesso che preceda ciò a cui esso deve condurre non ha nessuna garanzia di poter assolvere al suo compito "scientifico"; ragion per cui, allora, il modo di accesso seguirà, anziché precedere, la verità o la puraesperienza dell'essere. D'altra parte, va almeno aggiunto che questo argomento non sembra distinguersi, almeno per le ragioni di fondo, da quello hegeliano, nel quale, tuttavia, la questione del metodo, pur radicalmente stravolta e ribaltata, non viene meno affatto.
10. È quanto evidenziato, ad esempio, dalla proposta offerta da Ronchl In R. Ronchi, Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli, Milano 2017, pp. 11-63; una posizione non assimilabile, per quanto simile riguardo alla comune denuncia dell'asse "maggiore• del pensiero trascendentale modemo, è presentata daQ. Melllassoux, Dopo la.finitudine. Saggio sulla necessitàdellacontingenza, tr. lt. a cura di M. Sandri, Mlmesis, MilanoUdine 2012. Su questi temi, cfr. anche M. Adinolfi, Di un possibile equivoco, nella medesima direzione, In «Etlca&:Polltlca,,, XXII, n. 1, 2020, pp. 333-343.
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Si capisce, allora, che non è sufficiente assumere un distacco critico dalla tradi:tione metafisica che dalla fonia arriva aJena per evitare di doversi trovare, ancora di nuovo, a frequentare quei luoghi antichi che essa presenta. Non basta perché, al contrario, proprio la critica della verità pretesa da Nietzsche (e da molti dopo di lui, naturalmente) portala 6losofia- o, più precisamente, il suo evento -a essere fenomeno a se stessa"; e, cosl, a partecipare a un'istanza assoluta, infinitamente rinnovantesi, proprio mentre essa mette ali'opera quella dismissione critica della critica. Siamo di fronte alla circolarità performativa derivante dalla contradw;zjone tra quanto si esige di dire in actu signato, delimitando e perimetrando infinitamente la portata assoluta della scienza della verità, e quanto si compie in actu exercitu, non potendo che esprimere secondo verità quanto si sta dicendo. Sta di fatto che in questa conw;zjone scomoda, aporetica, ancora una volta si mostra il rimbalzo della 6losolìa su se stessa, sulla propria prassi, come espressione che contraddice il detto dicendolo. Niente a che vedere con una qualche istan7..a collocata su un piano estraneo o contrapposto a quello del significato, ma uno statuto, paradossale quanto si vuole, che giunge alla filosofia proprio dal suo partecipare a un assoluto che sembra rivelarsi non decostruibile; allo stesso modo in cui, pur con figure diverse, esso emerge nella dimostra:tione trascendentale che Kant offre dei principi puri dell'esperienza, nell'espressione del contenutospecuJativo attraverso la proposizione hegeliana, come negli altri "luoghi» che vengono affrontati in queste pagine. La domanda che allora si apre sembra potersi formulare in questi termini: è lariflessione, di cui è titolare l'io, a essere l'origine di questa sorta
11. Un esempio di rtffesslone pienamente consapevole di questo aspetto, declinato in particolareattraverso il tema dell'autobiograffa, è quella dì Sin!; In particolare, per le tematiche relative al metodo, cfr. C. Sin!, Il metodo e la via, Mlmesls, Milano-Udine 2013.
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di intralcio del pensiero, il quale finirebbe per risultare una sorta di ostacolo aggirabile eliminando la riflessione? Se infatti restassimo a questo, questa sorta di tutela dalla riflessione, trascendentale o appartenente al concetto, sarebbe anch'essa posta in essere da una mossa e contrario, eppure a sua volta negativa e, infine, riflessiva. E allora viene proprio da chiedersi se non sia forse proprio l'esperienza del contraccolpo qui indicata, alla quale il pensiero non sembra potersi sottrarre, a fornire ciò che la fiJosofìa ha ritenuto di esprimere attraverso l'auto-riferimento. E se, ancora, ad essa si debba anche quella forma di riferimento intestabile a un io, a un soggetto, oppure anche, in un modo esistenzialmente connotato, a una chiamata che interroga da un "nessun-luogo". Questo auto-riferimento è ciò attraverso cui l'essere può essere se stesso, ed è questa la ragione per cui se un primato la riflessione possiede, esso non solo fornisce la risorsa per un pensiero speculativo, ma definisce quest'ultimo come pensiero che trova nell'essere la sua traccia. Ai modi e alle forme con cui esso è stato elaborato sono dedicate le pagine che seguono.
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Capitolo I
La ragione in circolo La. dimostrazione delle proposizioni trascendentali nella Critica della ragion pura
l. Introduzione Tra i maggiori punti di interesse che suscita la questione del metodo nella Critica della ragion pura, c'è il suo pro6lo di agente di collegamento tra il tema della sintesi a priori e il carattere proposizionale che questa può e deve assumere all'interno dell'esperienza trascendentale. Eppure, va detto che non così frequentemente l'attenzione, pur molto estesa, verso questi due nuclei tematici ha consentito, da un lato, di attribuire al problema del metodo, e dunque alla distinzione tra metodo sintetico e analitico, una profondità che andasse oltre la semplice descrizione formale del procedimento argomentativo kantiano, oppure, dall'altro, di conferire il peso dovuto alla seconda parte fondamentale della Critica, la «Dottrina trascendentale del metodo», e più nello specifico a quella sua sezione che porta il titolo di «Disciplina della ragion pura». Un atteggiamento, diffuso almeno in parte della letteratura kantiana, che trova però scarse giustificazioni testuali; basti pensare a quanto si legge in una lettera dello stesso Kant a Marcus Herz del novembre 1776. Rendendo l'amico edotto dei progressi che la sua opera andava facendo, scriveva che per definire ambito, partizioni, limiti e l'intero contenuto della ra-
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gion pura occorrevano «una critica, una disciplina, un canone e un'architettonica della ragione pura, e dunque una scienza formalmente rigorosa,, 1• Rilevato così il carattere fìn da subito metodologico della Critica, è lecito poi chiedersi quale sia la natura di quel metodo a cui Kant attribuisce una posizione centrale non solo come porta di ingresso al criticismo, ma come suo primo nucleo teorico. Nel momento in cui la questione si sposta sul ruolo assunto dal metodo rispetto ai contenuti esposti nella Critica, a partire, inevitabilmente, dalla sintesi a priori e dalla sua funzione trascendentale, anche la «Dottrina del metodo» assume un significato rilevante nell'economia dell'opera. In particolare, assumono spessorei passaggi dedicati alla dimostrazione delle proposizioni trascendentali e sintetiche, in cui per molti versi culmina la descrizione per Kant del metodo sintetico. In questo capitolo cercheremo di indicare quale sia il nucleo problematico principale affrontato in quelle pagine, vale a dire la sinteticità del sapere filosofico. È nostro interesse, poi, mostrare come tale questione possa avere quale esito con cui misurarsi il rapporto tra questo genere di conoscenza propria della fìlosofìa e il carattere proposizionale proprio dell'uso discorsivo della ragione.
2. Ragion pura e la questione del fondamento della scienza È difficile sottovalutare l'importanza che la questione del metodo riveste per la Critica della ragionpura2. È sufficiente, da
1. Br, AA 10, p. 199; tr. lt., p. 101.
2. Tra coloro che opportunamente non lo hanno fatto, dando anche spazio alla «Dottrina del metodo•, vanno ricordati, almeno In via Iniziale, C. La Rocca, Soggetto e mendo. Studisu Kant, Vene?.ia, Marsilio 2003, pp. 183-21:S,
29 un lato, considerare la posizione espressa nella Logica, secondo cui il tratto distintivo di una scien7.a, che la distingue da un semplice aggregato di conoscenze, è che essa sia costruita «in accordo con il metodo», il quale, da parte sua, fornisce «il modo di congiungere il molteplice della conoscenza facendone unascienza»3. Dall'altro lato, a dare sostegno a questa tesi, viene in soccorso la seconda Prefazione alla prima Critica, dove l'intero piano dell'opera è delineato come «un trattato sul metodo» della metafisica•. E d'altra parte, che la possibilità di una metafisica sia questione ben presente all'interesse di Kant è facile riscontrarlo sin dal saggio del 1764 dal titolo Indagine sulla distinzione dei princìpi della teologia natural.e e della moral.e, per arrivare poi alla Critica del 1781. D'altro canto, tenendo ferma l'idea di scienza consolidata nella Critica, la quale, procedendo in primo luogo per limitazioni (Vorschriften), deve istituire il trattato sul metodo, propedeutico a ogni forma di metafisica, risulta più facile riconoscere il fatto che proprio l'esigenza di calcare sulla natura prescrittiva delle regole del metodo si è intrecciata per Kant con I'occasione di rinnovare piuttosto radicalmente il senso della nozione di "disciplina", assunta, almeno per quanto riguarda la sua centralità rispetto alla genesi della scienza, dalla V ernunftlehre di Meier. Va almeno ricordato che nelle prime lezioni di logica, Logik Blomberg e Logik Philippi, risalenti ai primi anni Settanta, si ritrova la considerazione per cui la disciplina è diretta al metodo, a differenza della dottrina indirizzata invece al
e F. Marty, ùiméthodologietronscendantale, deuxièmepartiedela «Critique
de la raison pure», In «Revue de Mélllphysique et de Morale», LXXX, n. 1, 1975, pp. 11-31. Inoltre, plìl recentemente, cfr. P. Rumore, Logie.a e metodo. ùz presenza tù Georg Friedrich Meier nella «Disciplina della ragion pura», In «Studi kantiani», XXIV, 2011, pp. 93-104. 3. Log, p. 139; tr. lt., p. 133. 4. C&. KrV, B XXII.
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contenuto. Si tratta di un pensiero che si inserisce in una fase di elaborazione ancora non stabilizzata e compiuta per quanto concerne il ruolo della disciplina nella scienza, ma si tratta, insieme, anche di un'osservazione che si ritrova immutata nella Critica:S. Infine, a testimoniare compiutamente la vicinanza tra i concetti di critica e di disciplina, sono per molti versi esemplari le parole della seconda Prefazione del 1787, dove alla critica è restituita una destinazione negativa e insieme positiva difficilmente isolabili l'una dall'altra: Una critica che restringa l'uso puro speculativo è certamente negativa; ma poiché così facendo elimina insieme un ostacolo che ne restringe l'uso pratico minacciandolo addirittura di distruzione, è in effetti un'utilità positiva assai rilevante.6
Il profilo della metafìsica fornito dai Prolegomeni, che la ritrae come «produzione di conoscenze a priori, così secondo le intuizioni che secondo i concetti», certifica poi che le proposizioni sintetiche a priori sono la sua parte costitutiva essenziale; ad esse, dunque, è affidato il compito di articolarne il contenuto e gli scopi. In via preliminare, vale specificare che la sintesi a cui questo passo fa riferimento non ha nulla a che fare con un presunto abbandono del territorio sensibile dell'esperienza, e dunque dell'intuizione, semmai traducendo invece, proprio sul piano dove soltanto può sorgere il riferimento all'oggetto, un giudizio che sul terreno della logica resterebbe al livello embrionale di semplice intellettot. :S. Cfr. VL.o!Blcmberg, p. 293, e VL.o!Philippi, p. 483. Per quanto riguarda la Critica, il passo In questione è il seguente: «lo non applico la disciplina della ragion pura al contenuto, ma esclusivamente al metodo della conoscen7.a ricavata dalla ragion pura. li primo compito è già stato assolto nella dottrina degll elemenH,. (KrV, A112 B 140). 6. KrV, B XXN-XXV.
1. Cfr. Prol, p. 210; tr. lt., p. 41.
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In questo senso, nonostante gli usi non sempre omogenei e sovrapponibili che possono assumere i termini "metafisica", "critica" e "filosofia trascendentale", a seconda del contesto in cui cadono, le regole di ingaggio e le chiavi di ingresso della metafisica corrispondono, né più né meno, a quelle della critica della ragione pura. E queste possono così sintetizzarsi: l'origine della conoscenza sintetica a priori; le condizioni restrittive della ragione dirette a conferire significato ai nostri concetti; ancora, una certa indipendenza che, pur su uno statuto di non facile definizione, la ragione mantiene, tale da consentirne l'estensione al di là dell'uso sensibile; e, infine, l'unità interna della ragione nei propri finis. Basti pensare, in questo senso, al fatto che, una volta rinvenuta la distinzione da quello empirico dell'elemento puro della conoscen7.a, «che è del tutto a priori in nostro possesso», la metafisica consegue quella norma capace di arginare lo stato di anarchia speculativa a cui il suo progetto andava incontro. Tant'è che, nel progettare il piano della «filosofia della ragione pura», l'uso del termine "metafisica" viene esteso all'intera filosofia pura, che comprende tanto la critica, cosl da «raccogliere assieme l'indagine di tutto ciò che può essere conosciuto a priori», quanto l' «esposizione» (Darstellung) del contenuto sistematico delle conoscenze pur&. Quello che la critica predispone, dunque, è un sistema unitariamente mosso dall'idea di una scienza, la cui compiutezza è garantita essa stessa «partendo da principi».
Nel corso di una sezione della «Dottrina del metodo», dedicata all'Impossibile appagamento scettico peruna ragione pura in conflitto con se stessa, dietro la quale peraltro si nasconde
8. In merito, cfr. G. Tonelli, Kant's Critique of Pure Reason within the Trodition ofMcxkm Logi:,ed. byE.D. Chandler,Olms, Hildeshelm 1994,p. 237. 9. KrV, A841 B 869.
32 una presentazione esemplare del criticismo, Kant afferma che il risultato da lui ottenuto non è la costruzione di barriere contro cui la ragione va scontrandosi a causa di opposte censure scettiche; piuttosto, è la determinazione di precisi confìni della ragione rispetto all'ignoranza «riguardo a tutte le questioni possibili di una certa specie» 10. Le questioni in discussione sono ora quelle aperte attraverso l'indagine delle fonti prime della nostra conoscen7_.a, la quale indagine, intesa delìnitivamente come riflessione sui limiti della ragione, «può dunque avvenire sulla base di fondamenti a priori»n. Merita di venire sottolineato l'argomento che sta alla base di questa affermazione, proposta nella «Dottrina del metodo» in modo ormai decisamente assertivo. Vi si sostiene, infatti, che i diritti che la ragione possiede quasi le si impongono «in base ai principi della sua originaria istituzione»; perciò, l'indagine sull'estensione di questi principi deve poter prendere avvio dalle fonti prime, nella misura in cui esse si comportano come fondamenti a priori. In questo modo, però, a cambiare in modo radicale è il profìlo stesso della ragione, che in questo caso cessa di disporre di fonti "fondamentali", come se esse fossero il risultato di un gesto arbitrario: piuttosto, potremmo dire, la ragione dispone di sé e di una conoscen7,a possibile nella misura in cui è capace di svolgere criticamente il fondamento. Questa impresa si sostiene, poi, non solo su una generica dimostrazione aus Prlnzipien della logicità dell'esperienza, si tratti di ipotesi dogmatiche o scettiche, ma sul fatto che la conformazione di questi principi deve poter essere esposta a partire dalla riflessione sulle fonti prime, che la ragione conduce scomponendo le facoltà della conoscenza umana e risalendo ai primi germi e alle prime tracce dei concetti puri.
10. KrV, A 761 B 789. ll. KrV, A 7~ B 786.
33 Da questo punto di vista, perciò, non c'è nulla di più sbagliato che accusare la Critica di operare una semplice presupposizione di quel fondamento che essa invece deve istituire; come se, quando anche a risultare fosse in definitiva una ragione finita, questafinitezza fosse non tanto il tema in questione, ma il presupposto assunto a bella posta.
3. Metodo sintetico e metodo analitico: a partire da alcune interpretazioni Sulla base di queste premesse, diversi attenti commentatori hanno messo in luce la connessione tra la questione del metodo sintetico e la deduzione trascendentale delle categorie pure contenuta nella prima Critica. Come noto, nei Prolegomeni Kant afferma che il metodo seguito nella Critica della ragion pura è sintetico, a differema proprio del modo di procedere analitico adottato nell'opera del 1783 con l'obiettivo di offrire un'introduzione preliminare alla critica12• Tant'è che nei Prolegomeni a mancare è proprio una deduzione trascendentale delle categorie al modo in cui essa è offerta nella Critica. Si può da questo derivare una peculiare connessione tra deduzione trascendentale e metodo sintetico? Si tratta di 12. Cfr. ti brano contenuto in Pro~ p. 274; tr. it., p. 47. Poche pagine dopo,
in una nota, Kant descrive Il metodo analitico co5': «li metodo analitico, in quanto si oppone a quello sintetico, è tutt'altro che un insieme di proposl7.loni analitiche; esso stgnilìca soltanto che si parte da ciò che si cerca considerato come se sta dato, e si risale alle condizioni sotto cui soltanto esso è possibile» (Prol, p. 276 nota; tr. it., p. :Sl nota). Questo stgnilìca soltanto che la presentazione dei risultati della Critica nei Prolegomeni, per ragioni didattiche, ha il suo punto di parten1.a da questi risultati stessi con l'obiettivo dl esporli nella maniera piil chiara possibile; come noto, una delle preoccupa:r.loni maggiori per Kant era di distinguersi nella maniera piil netta dall'idealismo di Berl4, A ben vedere, però, sulla rilevanza che secondo Kant occupa la questione del metodo c'è poco da dubitare. Così poco che, tutta intera, la prima Critica sembra costituire la vera risposta. E con solidi precedenti: nel 1765 Kant annunciava a Lambert che di lì a pochi mesi avrebbe pubblicato uno scritto dedicato al «metodo peculiare della metafisica e, tramite essa, anche dell'intera filosofia,,s. Un indizio fondamentale, poi, proviene dalla Logica, secondo cui, come già visto, è il metodo ad offrire il modo attraverso cui distinguere una congiunzione scientifica del sapere. A non dire, poi, che nelle L-Ogik Vorlesungen risalenti ai primi anni Settanta si trova l'idea, per quanto non ancora stabilizzata e compiuta come sarà dal 1781, che una compagine "negativa" di regole, a mo' di disciplina della ragione, sia una com-
3. KrV, A 855 B 883. 4. KrV, BXXII.
:S. Br,AA 10,p. :Sl;tr. it.,p. 44.
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ponente costitutiva della scienza0• E tale lo diventa al punto che la Critica dedicherà una prima parte alla «Dottrina degli elementi» e una seconda proprio alla «Dottrina del metodo», senza timore di eccedere in ridondanza. D'altra parte, questi tasselli dimostrano il legame profondo tra il compito di giudice sul procedimento della metafisica e la sua posizione «propedeutica» rispetto al «sistema della ragion pura (scienza)»1. Per quanto riguarda il primo, Kant sostiene che la Critica «disegna l'intero contorno» della sciem.a, «sia rispetto ai limiti che le sono propri sia anche rispetto alla sua completa articolazione interna,,ll. E però non basterebbe questo, da solo, a restituire il significato del metodo per la 61osofia. Per uno scopo del genere, infatti, serve in più la natura architettonica del metodo critico. Il fatto, cioè, che quanto il metodo fa congiungendo i materiali di una conoscenza è possibile dal momento che quel metodo, se realmente scientifico, è portatore di un'idea sistematica di conoscenza. La 61osofia è lo studio dei limiti della ragione pura speculativa, delle sue leggi e dei suoi fini; e, come tale, è propedeutica rispetto alla metafisica. Ancora prima che questa fosse la posizione raggiunta dalla Critica, Kant, in una Reflexion risalente agli anni di composizione dell'Enciclopedia fil.osofica, scriveva: «Alle Philosophie hat zum Objekt die Vernunft: die Maximen, die Grenzen und den Zweck. Das Ubrige ist Vernunftkunst>>9. Avere a che fare con massime e fini- «un fine interno unico e supremo», dirà nell'«Architettonica,,10 6. Cfr. VLo!Blomberg, p. 293, e VLo!Philippi, p. 483. Per quanto riguarda la Critica, il passo in questione è il seguente: «io non applico la dlsciplina della ragion pura al contenuto, ma esclusivamente al metodo della conoscen.1.a ricavata dalla ragion pura. Il primo compito è già stato assolto nella dottrina degli elementi» (A 712 B 740). 7. KrV, A 841 B 869. 8. KrV, B XXII.
9. Rejlexionen, 4987, AA 18, p. :S2. 10. KrV, A 833 B 861.
69 definisce quello che la filosofia è: una prassi, la forma razionale più elevata di vita; un'attività, però, che, per indirizzare le conoscenze verso l'idea che alimenta il sistema della scienza, ha bisogno di riunire e orientare i saperi oggettivi. Ciò che ha nome di scienza non può costituirsi tecnicamente, ma saperi tecnici come logica, matematica e scienza della natura rappresentano quei metodi particolari che la filosofia deve poter avere a disposizione per dirigerli verso un unico esito finale. Essi incarnano gli elementi che, conformati dallo schema all'idea, permettono la realizzazione della ragione come auto-conoscen7.a. Kant parla in proposito di un «tracciato (monogramma)»11 che la scienza deve seguire architettonicamente, ricalcando i termini dello schematismo trascendentale. I saperi che rispondono alla legislazione della filosofia sono dunque come strumenti in vista di un fine, dal momento che ciascuna oggettivazione del sapere implica che il punto di vista interno sia uno sguardo tecnico, assorbito dal loro oggetto. Non c'è la pretesa di tornare alla superiorità della filosofia sulla scienza, basata su una forma di visione (theoria) veritativa, ma l'idea che la produttività sintetica della ragione conferisca un senso architettonico all'impianto del sapere. L'idea di una Methodenlehre, pur maturando inizialmente per Kant - anche attraverso una nutrita tradizione tra cui spicca la Lehrart di Meier- all'interno di una allgemeine Logik, ha il suo esito più significativo nella prima Critica, dove prevale indiscutibilmente il problema architettonico legato all'organizzazione delle conoscenze e alla loro originaria struttura sistematica12. 11. Ibidem.
12. Per un'analisi di questo percorso si veda C. La Rocca, Metlwde und System in Kants Philosophieauffassung, In S. Bacin - A. Ferrarln - C. La Rocca - M. Ruffing (Hg.), Kant und die Philosophie in Weltbargerliche Absicht. Akten des Xl. lntematumalen Kant-Kongresses, Bd. 1, de Gruyter, Berlin-Boston 2013, pp. 277-297.
70 In questa sede, in particolarenell'«Architettonica della ragion pura», il metodo trova non tanto la sua più significativa illustrazione, quanto certamente il cuore pulsante del suo senso proprio; e anche qui, non per caso, il problema diventa quello della circolarità tra costruzione e progetto del sistema. Aprendo questa seconda parte della Critica, Kant definisce la dottrina del metodo come «la determinazione delle condizioni formali di un completo sistema della ragione pura» 13• È perònell'«Architettonica» a emergere nella maniera più chiara come il sistema vada inteso a partire da un rapporto essenziale con il concetto di idea. Se, infatti, con struttura sistematica deve intendersi «un'unità di un molteplice della conoscenza sotto una sola idea», è questo ruolo preliminare dell'idea a venire in primo piano come perno del «concetto razionale della forma di un tutto, per mezzo del quale è determinato a priori sia l'ambito del molteplice sia la reciproca posizione delle parti» 1 ◄• Alfa e Omega della ragione, il sistema - o concetto della ragione assunta a scienza - racchiude il fine e la forma del tutto che ad esso corrisponde. Su di esso Kant scrive: Nessuno potrà mai tentare di costruire una scien7.a sen7.a porre a suo fondamento un'idea. Ma, nella successiva elaborazione, molto raramente lo schema, e la stessa definizione che si dà all'ini.7.io della scien7.a, corrispondono all'idea; e ciò perché quest'ultima è presente nella ragione come un germe in cui le varie parti si occultano, ancora inviluppate, e a mala pena riconoscibili dall'osservazione microscopica. 15
L'idea è in questo caso un principio operativo che non richiede di essere interamente portato a coscienza o espresso come regola per poter adempiere alla sua funzione. E dall'altra par-
13. KrV, A 707-8 B 7~. 14. KrV, A 832 B 860. 15. KrV, A 834 B 862.
71 te, lo schema che porta avanti il progetto di sistema non è un semplice artefatto dell'autore. Se così fosse, niente garantirebbe il risultato dall'essere un tentativo tecnico, una metodologia esteriore al contenuto. C'è infatti un diverso modo di progettare uno schema, a partire cioè dal fine principale della ragione, nel cui ambito esso è un prodotto che possiede l'articolazione sistematica e i confini della scienza. Ciò che Kant non spiega è come stringere insieme, secondonecessità immanente, questi due momenti. Non si ha nessuna certezza - né in realtà si potrebbe avere - di arrivare a piena esplicitazione del principio sistematico. A colpire, però, è come Kant valuta questo inciampo: lo scarto tra idea teleologica e relazione tra le parti non è un ostacolo, una battuta a vuoto del sapere, bensì la reale consapev0Je7.za metodica della ragione, che le consente di trascendere ogni insieme dato di filosofemi, compresa la presentazione storica della filosofia trascendentale. Si apre così l'esigenza, tutt'altro che soltanto pedagogica, di distinguere conoscenza storica e conoscenza razionale, da cui deriva la nota tesi kantiana concernente l'impossibilità di imparare la filosofia. Poco di seguito, Kant aggiunge che i sistemi, oltre a essere sorti su un loro proprio schema, trovano però tutti il loro svolgimento sul terreno della ragione. Per questo essi non solo si articolano «ognuno per sé secondo un'idea», ma sono anche «tutti uniti a loro volta uno con l'altro come membri di un tutto»16. Lungo questo sentiero si inserisce l'articolato rapporto tra metodo della matematica e metodo della filosofia, che tanta importanza assume nella prima Critica. Tra matematica e lìlosofia manca convergenza sul metodo, eppure entrambe fanno uso di una sintesi trascendentale, che per la filosofia consiste nella possibilità di mostrare come le categorie, in connessione
16. .KrV, A 83:S B 863.
72 con l'intuizione pura, siano regole per la sintesi del molteplice dell'intuizione. Si spiega con questa estensione del campo della sinteticità l'avan7.amento rispetto alle tesi esposte da Kant nel 1764 e, allo stesso tempo, la nuova articolazione tra metodo analitico e sintetico che diventa per molti aspetti assimilabile a quella relativa alla forma che la ragione dà ai suoi contenuti tra giudizio analitico a priori e giudizio sintetico a priori; il primo capace esclusivamente di esprimere note già contenute nel concetto dato, il secondo in grado di produrre conoscen7.a tramite il riferimento all'esperienza possibile. Neppure questo snodo fondamentale all'interno del pensiero kantiano era bastato a Hegel per riconoscervi non dico un esempio positivo, ma neanche un precursore di qualche genere. Resta degno di nota che nell'Introduzione alla Scienza della wgica, nel considerare chi si fosse accontentato di recepire anche per la filosofia il metodo matematico, e cioè applicando al concetto l'andamento estrinseco di un sapere quantitativo, Hegel menzioni Spinoza e Wolff, ma non faccia alcun riferimento a Kant. «Fino a qui - scrive Hegel - la filosofia non aveva ancor trovato il suo metodo»' 7• Effettivamente, c'erano buone ragioni per fare le dovute differenze, seppure implicitamente, con l'idea di metodo che la filosofia trascendentale aveva conquistato, almeno in parte affine alla posizione hegeliana. A partire proprio dalla convinzione che alla filosofia, prima di poter tenere saldo in mano il suo sapere, tocchi in sorte una faticosa conquista, ben diversa da una semplice trasposizione tecnica di un metodo da un oggetto a un altro. Per Kant qui si tratta della funzione propedeutica, riservata alla critica, per arginare lo stato di anarchia specuJativa a cui il progetto della metafisica andava incontro; per Hegel, invece, ne va del privilegio di cui proprio la filosofia non può godere, a differenza
17. SL, W 5, p. 48; tr. it., p. 35.
73 di tutte le altre scienze, di 21 • Sarebbe un errore però credere che, avendo a che fare con proposizioni e nozioni, il principio abbia un impiego soltanto formale. Per chiarire la sua consonanza con Leibniz su questo punto, Hegel scrive che quello contrappose «la sufficienza della ragione principalmente alla causalità nel suo senso più stretto»22, vale a dire come forma dell'agire meccanico. Insomma, il filosofo di Lipsia aveva ben chiara l'esigenza didirigersi verso qualcosa di sufficiente per esprimere I' «unità delle determinazioni». Quella «unità essenziale», però, non può essere rinvenuta nelle «cause del meccanismo», ma - aggiunge Hegel facendosi interprete di Leibniz - è offerta esclusivamente «nel concetto, nello scopo,>~. Questo commento hegeliano consente in primo luogo di prendere nel giusto verso il pensiero leibniziano sopra letto. Esso non ha nulla di formalistico, ma richiede di prendere il fondamento come ciò che si trova già implicato nelle pieghe di ogni monade (intimior intimo suo); non già in nome di un'identità o di un'essenza in cui le nozioni si risolverebbero come fossero verità necessarie, ma in virtù del migliore, vale a dire di ciò che si adatta con il maggior grado essenziale alla perfezione dell'insieme di ciò che esiste di fatto, ma che potrebbe non esistere. E dato che tutto questo insieme di possibilità è contenuto in pari modo prospetticamente nella nozione di ogni monade, ne segue che ogni individuo monadico è orientato teleologicamente. In secondo luogo, nel brano letto Hegel offre una sintetica, eppure essenziale, riduzione in pillole della sua operazione. Essa
21. G.W.F. Leibniz, Lettera ad Amauld del 14 luglio 1686, In Id., Scritti filosofici, cit., voi. I, p. 327. 22. SL, W 6, p. 83; tr. it., p. 499. 23. Ibidem.
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prevede, da una parte, la rinuncia a collegare il fondamento a una saggezza divina di qualche genere, e dall'altra la rinuncia a considerare la finalità come un principio semplicemente soggettiv024. Entrambe queste prese di distanza preparano, però, in maniera convergente l'acquisizione finale: trasformare il carattere semplicemente riffessivo-relazionale della ragione - quel carattere che implica un moto perpetuo di andata e ritorno tra fondamento e fondato, rispettivamente, in quanto ragion d'essere e conseguenza -in mediazione, che può essere raggiunta a partire dal carattere in sé e per sé essente del rimando. Nei termini propri della Scienza della wgica, si tratta del passaggio grazie a cui la sostan7.a, divenuta ciò che ,Jia orrore della luce [das Lichtscheue]»P-'1, da necessità assoluta, contro la quale continua a essere contrapposto il contingente, infine si pareggia ad esso. Infatti, nei confronti delle effettive realtà libere, l'essenza «irromperà in esse e rivelerà ciò che essa è e ciò che esse sono»20. Ovvero: negazione della negazione, negazione della supposta indifferenza degli "individui" gli uni rispetto agli altri e del loro essere indifferenti rispetto all'indifferenza che realmente li costituisce ciascuno come diverso dagli altri. La necessità rappresenta un momento di massima parificazione di essere ed essenza. Essa, scrive Hegel, può essere considerata sia dal lato dell'essere sia dal lato dell'essenza: «È tanto semplice immediateZ7.a o puro essere, quanto
24. Per quanto riguarda 11 primo aspetto, si può far riferimento alla Nota che nella Scienza della wgtca è dedicata alla IUosoRa splnozistlca e leibniziana, ove, rispetto a quest'ultima, si legge: «Nel sistema leibniziano vi è per vero dire anche quest'altro, che cioè Dio è la fonte dell'esistenza e dell'essenza delle monadl, vale a dire che quei termini assoluti nell'essere In sé delle monadi non son termini che siano In sé e per sé, ma spariscono nell'assoluto» (SL, W 6, p. 200; tr. it., p. 608). 25. SL, W 6, p. 216; tr. lt., p. 624. 26. Ibidem (tr. mod.).
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semplice riflessione in sé o pura essenza; è questo, che tutti e due sono un'unica e medesima cosa»z-r. Anche in questa occasione, come accadeva in precedenza con le determinazioni essenziali della riflessione, non manca la precisa enunciazione proposizionale di questo passaggio. L'assolutamente necessario dal punto di vista dell'essere ,,è soltanto perché è,-,211, senza nessun'altra condizione né ragion d'essere se non il semplice fatto che è. Ma il necessario è allo stesso tempo anche essenza, e perciò di esso va detto che «è perché è». Owero: esso è quello che è in quanto ha una condizione che lo vincola, ma come pura negatività assoluta esso è semplice riflessione in sé; vale a dire, quel perché, che ne è ragione d'essere, è soltanto se medesimo. L'una e l'altra formulazione, a ben vedere, si fondono insieme nell'equiparazionedi essere ed essenza, dove però altro non c'è che la necessità di ciò che «è dunque perché è,>l9. Come è noto, questa sostanza, però, che come negatività assoluta opera effettivamente senza sapere (kein Reflex) quel che mette in azione, va essa stessa a fondo (zugrunde), consentendo la derivazione da essa del Concetto. Ecco, dunque, perché la Nota hegeliana risulta un breve frammento dentro cui si riflette, all'interno della «Dottrina dell'esseMa», l'intero movimento generativo-derivativo che avrà piena residen7.a nella «Dottrina del concetto» 30• D'altra parte, è Hegel stesso a scrivere che la logica oggettiva «che considera l'essere e l'es-
27. SL, W 6, p. 21:5; tr. lt., p. 623. 28. Ibidem. 29. Ibidem.
30. Se questa ipotesi di lettura sta In piedi, forse si potrebbe considerare questo snodo come un ulteriore esempio di quella dinamica di ricorsività e retroazioni che Franco Chlereghln ha cos\ ben individuato essere all'opera nella costruzione della Scienza della logica; si veda in particolare F. Chiereghln, Rileggere la Sclen7.a della logica di Hegel, Caroccl, Roma 2011, p. 86 e ss.
134 senza, costituisce quindi propriamente l'esposizione genetica del concetto,,:n. Come se, dopo aver trattato del fondamento (Grund), la logica oggettiva fosse niente altro che il movimento di apparizione (Erscheinung) dello stesso fondamento fino alla liberazione della sostanz.a dall'ultimo suo presupposto: I'essere soltanto negatività assoluta, in quanto azione reciproca, di sé con sé nell'altro da sé, quell'altro che sono gli accidenti.
Se il rapporto tra necessità e contingente rappresenta il vero nodo concettuale dentro cui sbatte il principio di ragione secondo Hegel, si capisce perché il rinvio che chiude quella Nota sia al concetto teleologico di scopo come la nozione che meglio esprime il fondamento e il relativo Grondsatz32. La ragione è detta proprio nelle pagine dedicate alla teleologia esterna nella logica del concetto. Lo scopo contiene in sé, e si dà da sé, l'energia per la propria realizzazione, vale a dire che realizzandosi lo scopo non passa in qualche cosa d'altro da sé, ma rimane presso di sé. Lo scopo non è quindi «una forza che si estrinsechi, né una sostanza e causa che si manifesti in accidenti ed effetti»33. Quello che distingue sostanza e causa dallo scopo non è il movimento di estrinsecazione; da questo punto di vista, anche la prima, infatti, ha effettiva realtà, come riflessione di sé, soltanto negli accidenti, e in pari modo la forza possiede concreta esistenza nell'effetto. Quello che caratterizzalo scopo, allora, è lo stesso che distingue il concetto dall'essenza: ciò che in questa era riflessione in altro, nel concetto è assoluta immanenza dell'alterità. È indicativo l'esercizio di Hegel di comprendere il fine utilizzando le categorie che appartengo-
31. SL, W 6, p. 24.5; tr. lt., p. 6.52 {corsivo nostro). 32. Per un'lnterpretw.lone articolata e non convenzionale di questo passaggio, si veda sempre F. Duque, Come dare ragione del PrincfpW di ragione, clt., p. 119 ess. 33. SL, W 6, p. 445; tr. lt., p. 841.
135 no all'essenza, come forza e sostanza. L'imbarazzo, in questo caso, non deriva dal fatto che esse mancano il significato dello scopo, ma dal fatto che, una volta applicate ad esso, subiscono un contraccolpo letale. Non appena, cioè, si prova a determinare l'attività teleologica con le categorie dell'essenza, si deve riconoscere il loro sowertimento, e cioè che nella teleologia «la lìne è il cominciamento, la conseguenza è la ragion d'essere, l'effetto è la causa, eh'essa è un divenire del divenuto, che in lei giunge all'esistenza soltanto quello che già esiste»34 • Ma c'è ancora un ulteriore elemento che, proprio a partire dalle pagine dedicate al principium grande, viene ora in piena evidenza. Si tratta del fatto che il movimento dell'oggettività attraverso meccanismo e chimismo - giunge, nel concetto di scopo realizzato, a preservare una disparità di piani esplicativi tra la totalità relazionata e il suo fondamento (Grond) come fine. Il fine, infatti, svolge la sua funzione di ragione e verità del rapporto meccanico e chimico soltanto se non è parificato e assorbito dalla totalità dei termini in relazione con cui, però, in quanto fine realizzato, pur sempre va a coincidere. Si può forse ipotiz:7.are, dunque, che questa peculiare disparità sia una ripresa - o forse meglio, una ripetizione a più alto livello - di quell'asimmetria che nel Grond si verificava tra fondamento e fondato come sviluppo dell'asimmetria tra Wesen e Schein. Di questa breve esposizione del brano hegeliano da cui siamo partiti, possiamo affermare che il "ristabilimento" del concetto nello scopo è il luogo dove il tutto come «unità essenziale» trova la propria compiuta trasposizione nel sapere, di cui faceva menzione proprio la Nota sul principio di ragione. Scrive Hegel congedando il chimismo: «Il concetto, che ha tolto [ ... ] come esteriori tutti i momenti del suo esistere oggettivo e li ha posti nella sua semplice unità, è così completamente
34. SL, W 6, pp. 4:54-45.'5; tr. lt., p. &'50.
136 liberato dall'oggettiva esteriorità, alla quale si riferisce solo come a una realtà inessenziale. Questo libero concetto oggettivo (objektivefreie Begri.fjj è lo scopo [derZweck],,-15. In questo passo, da un lato, troviamo il problema del concetto hegeliano come giustificazione della sua relazione a sé; in altre parole, alla luce della natura del concetto, la questione non è affatto quella del suo riferimento alla realtà, ma quella dell'autodeterminazione di un concetto oggettivo dentro cui si muove il nostro pensiero umano. Dall'altro lato, questo brano evidenzia come questo pensiero, avanzando nella dimensione oggettiva del concetto, acceda a ciò che costituisce il suo proprio essere come sapere di sé; e lì si ritrovi perfettamente libero e non dominato da una potenza estranea-16. Questo spazio di oggettività che caratterizza il concetto hegeliano è l'ultimo nucleo che dobbiamo affrontare.
4. Fare a meno di presupposti La Nota hegeliana propone di considerare il fine come diretta ricollocazione del Grund all'interno del concetto, inteso questo, ora, come base (Grundlage) delfondamentum siveratio. Questa chiave di lettura sembra raggiungere finalmente la realiz:z.azione di quel pensiero oggettivo che è uno dei nuclei principali del pensiero hegeliano. Guardando dunque a questo breve passo della «Dottrina dell'essenza», si tratta dunque di aggiungere soltanto un piccolo, eppur non insignificante, tassello al modo con cui le interpretazioni più attrezzate della logica hegeliana presentano la questione dell'oggettività del
3.5. SL, W 6, p. 436; tr. it., p. 833. 36. Su questo tema si rimanda a A. Fenurin, Il pensare e l'w. Hegel e la crU1ca a Kant, Caroocl, Roma 2016, p. 71 e ss.
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pensiero, e cioè evidenziando come il problema del rapporto tra pensiero e realtà superi le rigide partizioni tra idealismo e realismo37. A dir il vero già in preceden7.a, nella Scienza della l.ogica, era venuta a cadere l'idea che la realtà possa essere il referente esterno che fa da guida rispetto al nostro pensiero. A questo scopo sono importanti due passaggi contenuti, da un lato, nell'apertura della «Dottrina dell'essenza», dall'altro nell'Introduzione alla Scienza della l.ogica. In apertura della «Dottrina dell'essenza» la situazione descritta da Hegel prevede tre termini: essere, essenza e sapere. Giacché è diretto a conoscere «l'essere in sé e per sé [was das Sein an und fur sich ist]»38, il sapere non rimane all'essere immediato, penetrando piuttosto in esso, nella supposizione che il fondo ad esso retrostante sia occupato da un altro dal!'essere, e che tale altro sia la sua verità. Dovendosi procedere da un dato immediato verso la sua essenza, il primo senso di questo movimento sta in questo: la differenza tra essere ed essen7.a risulta estrinseca, appartenendo a quel terzo che è il sapere. E - aggiunge Hegel - fino a quando si resti a questa rappresentazione, fino a quando «questo movimento venga raffigurato come il cammino del sapere, allora cotesto cominciamento dall'essere e l'avanzamento che lo toglie via e giunge ali'essenza come a un mediato appare quale un'attività del conoscere che sia estrinseca ali'essere e non tocchi per nulla la sua propria natura»39. 37. Per una linea di ricerca di questo genere, condotta in maniera fruttuosa, si vedano ultimamente, oltre a Ch. Halhlg, Objektiues Denken. Ericenntntsthecrie und Philosophy of Mind in Hegels System, Frommann-Ho17.boog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2002, i saggi raccolti in L. llletteratl (a cura di), L'oggettività del pensiero. LA filosofia di Hegel tra idealismo, anti,.idealtsmo e realismo, ~verifiche», XXXVI, n. 1-4, 2007, e A. Ferrarin (a cura di), LA realtà del pensiero. Essenze, ragwne, temporalità in Platone, Hegel e Husserl, ETS, Pisa 2007. 38. SL, W 6, p. 13; tr. it., p. 433. 39. Ibidem.
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Se ne facciamo soltanto una questione relativa al conoscere, a un conoscere come abitualmente siamo soliti pensare, e cioè svincolato dal suo oggetto, non c'è alcuna possibilità di abbandonare laconformazionesoggettivisticadel pensiero. Così, l'essenza sarà concepita come un "prodotto", come un artificio del conoscere, cioè come somma di tutte le determinate realtà limitate. Il primo sforzo di Hegel dunque è, già in avvio della «Dottrina dell'essenza», quello di far cadere ogni nota che restituisca un'immagine soggettivistica del pensare. Scriverà poi nell'introduzione al Concetto che «quelle figure d'intuizione, rappresentazione e simili appartengono allo spirito conscio di sé, che come tale non vien preso in considerazione nella scienza logica. Le pure determinazioni di essere, essenza e concetto costituiscon bensì anche la base e la semplice impalcatura interna delle forme dello spirito»"°. Ecco perché, dovendo specificare il senso della retrocessione ali' essenza come via dell'andare fuori oltre l'essere (den Wegdes Hinausgehens), o piuttosto dell'introdursi (Hineingehens) in questo, Hegel scrive che l'essenza è «essere in sé e per sé». Assoluto in sé poiché essa è indifferente a ogni determinatezza dell'essere, ma come semplice essere in sé non sarebbe che l'astrazione della pura essenza. Perciò, l'essenza è altrettanto essere per sé: essa stessa è questa «negatività, il togliersi dell'esser altro e della [sua) determinatezza»41 • Essenza dice qui Non-ente. Designa il puro "Non" che accompagna ogni determinatezza, ogni ente. Riflessione è il movimento per il quale l'ente determinato in quanto parvenza (Schein) - fenomeno nullo - non viene dis-
40. SL, W 6, p. 257; tr. lt., p. 662. È opportuno ricordare che questo Intento avril un"ulteriore ripresa nei Preliminari alla Scienza della logica dell'Enciclopema berlinese del 1830, dove la logica viene deRnita la scienm dell'idea in quanto è pura. Awert!mento che vale a sottolineare che la logica è scien1.a del pensiero, scien7.a dell'idea nell'elemento puro del pensiero. 41. SL, W 6, p. 14; tr. lt., p. 434.
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solto, ma conservato come presupposto dell'essenza: nullo in quanto determinatez:T..a dell'essere; conservato e posto, invece, come determinatezza dell'essenza. Se, da un lato, la pura negatività dell'essenza esprime la differenza come separazione di essere ed ente, e cioè come negazione della determinazione che tramonta, dal)'altro lato, come secondo momento, l'essenza esprime la differenza come andare oltre dell'essere nell'ente, partecipazione dell'uno nell'altro. Quel "Non" mostra, dunque, l'essere in quanto ciò che procura e mantiene ciò c"he esso fa essere. In questo modo, l'essenza inizia a far sorgere quel signiAcato transitivo che avrà piena espressione nel profilo fondamentale del concetto come «esercitare potere sulla realtà»; questo tratto transitivo dell'Obergreifen hegeliano è ciò che, secondo quanto ha scritto Michael Theunissen, spaccherebbe in due la dialettica: da un lato il modello della corrispondenza di concetto e realtà, dall'altro l'estendersi comprensivo del concetto42 • Rintracciare l'inizio di questa trama An dall'essenza signiAca in realtà semplicemente riconoscere che il momento dell'identità (e dunque anche la corrisponden7..a tra pensiero e realtà che secondo Theunissen è il primo modello seguito dalla dialettica) contiene una riflessione che va già oltre l'essere, riducendolo a presupposto. Risiede qui, poi, l'esigen7.a di procedere Ano al punto in cui quell'essere sia posto come essere in sé e per sé, vale a dire manifestato e saputo come quell'essere che è. Nelle pagine iniziali della «Dottrina dell'essenza» si ritrova, peraltro, quanto Hegel aveva già indicato nell'Introduzione della Scienza della logica, soffermandosi sulla caratteristica "doppiezza" dell'intelletto e della sua riflessione separante.
42. Cfr. M . Theunissen, Concetto e realtà. Il superamento hegeliano del concettometa/isicc della verità, In A. Nu1JO.o (a cura dl), La logica e la metajis,ca di Hegeì, Caroccl, Roma 1993, pp. 109-136: p. 131.
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Scrive Hegel in pagine famose che l'intelletto riflettente consiste «nel soryassare il concreto Immediato». Determinando e dividendo, esso si porta oltre il dato immediato. La riflessione, però, sorpassa insieme anche queste determinazioni differenti, ponendole in relazione tra loro; nell'intelletto, dunque, c'è una duplice origine: sorgono la riflessione sul dato e il contrasto, l'opposizione. Aggiunge Hegel: «Cotesto riferire della riflessione appartiene in sé [gehort an sich] alla ragione». Ecco esposta la doppiezza dell'intelletto: l'appartenenza della riflessione alla ragione indica l'operare celato, in sé, della ra,.. gione nell'intelletto. Intelletto e ragione sono momenti di un unico pensare, di cui l'opposizione tra le rigide determinatezze dell'intelletto è la prima, e non compiuta, manifestazione. Alla visione di questo contrasto si sarebbe spinta la filosofia kantiana, che però, invece di compiere l'ultimo passo, è rimasta al livello fenomenico-sensibile dell'esistenza, convinta di guadagnare nstabilità e concordia. Proposito vano, secondo Hegel; tanto vano come sarebbe attribuire a un uomo un conoscere esatto aggiungendo poi che egli non è in grado di sapere nulla di vero. Va detto, peraltro, che la critica hegeliana alla dialettica delle forme dell'intelletto costituisce la logica premessa del «gran passo negativo (grofle negative Schritt] verso il vero concetto della ragione»43 che sta nel sollevarsi oltre quelle determinazioni, giungendo fino alla visione del loro contrasto. Questo passo negativo esprime da un lato la tensione della ragione speculativa verso la propria manifestazione, dall'altro l'idea che l'intelletto sia una forza che, vincolata alla reciproca esteriorità delle determinatezze, non riesca a sciogliere la loro alterità nella mediazione speculativa; certamente, dunque, l'intelletto rappresenta l'astratto, il punto di vista raziocinante che resta alle indifferenti differenze del mondo,
43. Ibidem.
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ma è necessaria una concreta comprensione dell'astratto affinché sia promossa la sintesi speculativa. Per questo motivo, l'operare nascosto della ragione nella riflessione non è una semplice metafora. Essa è invece pienamente giustificata dal riconoscimento che identità e differenza hanno una natura relazionak, e cioè che tanto l'una, quanto l'altra non sono affatto proprietà naturali ricevute in eredità dalle cose, ma produzioni derivanti dall'efficacia determinatrice del concetto. D'altra parte, è proprio questa efficacia che Hegel mette in evidenza attraverso il rapporto tra intelletto e ragione nell'Introduzione alla Scienza della logica; come pure nell'Enciclopedia, descrivendo i tre lati dell' «elemento logico» 44• In altre parole, la pretesa di tenere separati e distanti la posizione dell'identità (o l'atto del porsi da sé da parte della determinazione astratta) e la posizione della differenza (l'atto cioè del suo differire da altro) è proprio ciò che determina l'impossibilità di tenere distinti questi due atti; la differenza, cioè, in quanto distinta dall'identità, differisce e, dunque, non riesce a distinguere il proprio essere per sé dal proprio differire. Ciò che c'è di affermativo nel momento razionale e speculativo non sopraggiunge in un secondo momento, ma si costituisce come primo atto della riflessione. Questo Hegel intende quando scrive che la riflessione appartiene in sé alla ragione. La conseguenza di queste argomentazioni merita la massima attenzione, dato che il trapasso dell'essere ali'essenza non esercita arbitrio di alcun tipo sul contenuto; mai neppure lo oltrepassa, costituendone infatti il suo movimento presso di sé. Questa aderenza immanente è la negatività della riflessione, che non sorprende dall'esterno l'essere, risultandone invece l'interno distinguersi. Cosl, l'essere si rivela per quello che è sempre stato: un momento logico e niente più di que-
44. Cfr. ENZ, W 8, i~ 79-82.
142 sto. Nel senso di qualcosa che non resta immobile e stabile in attesa di essere attinto. Riprendendo questo snodo, Hegel, nella prefazione alla seconda edizione della Scienza della logica, descrive i caratteri di ciò che egli chiama das Logische. Qui, infatti, la logica cessa di essere uno studio delle categorie come meri strumenti di vita, per divenire un movimento riffessivo senza presupposti (vorau.setzunglos )45. Ciò non significa affatto fare a meno della realtà, o non avere a che fare con i presupposti, ma portare al sapere il tessuto logico che cuce insieme le rappresentazioni, gli istinti, le volontà di cui il mondo naturale e sociale è fatto, non senza produrre su di essi un effetto che ne trasforma l'abituale modo di intenderli. Se dunque di un metodo si deve parlare a proposito della dialettica hegeliana, esso non è da intendersi come una serie di regole da applicare a un contenuto, presupposta ed eventualmente sostituibile, ma come «il modo in cui i concetti da sé si sviluppano e richiedono di essere pensati»-46. Stephen Houlgate si è giustamente chiesto se questa radicale sospensione di tutte le nostre presupposizioni riguardo all'essere e al pensiero non contenga in realtà un diverso, ma non meno rilevante, presupposto. Esso non starebbe appunto nel sapere in anticipo dove siamo condotti dal procedere dialettico, ma nel fatto che proprio nella piena assenza di presupposti noi lasciamo che il pensiero dell'essere puro 45. In merito a questo aspetto fondamentale della logicahegeliana insistono parttcolannente due testi: W. Malcer, Philosophy Wlthout Foundations. Rethlnking Hegel, State Unlverstty ofNew YorkPress, Albany 1994, pp. 99100, e S. Houlgate, The Openlng of Hegel's Logie. From Being te Infinity, Purdue Universlty Press, West Lafayette 2006, p. 29 e ss. Inoltre, sulle interpret:a7.ioni della lllosofla hegeliana come una fonna dl anttfondazlonalismo, si veda L. Corti, Hegele il problema deTlafondazwne: non-fondazionalismo, antt,.fondazionalismo, o auto-fondazionalismoi', In «Verifiche», XLVI, n. I, 2017,pp. 159-186.
46. S. Houlgate, The Opening of Hegel's Logie, cit., p. 35.
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ci conduca alla determinazione. Houlgate si riferisce naturalmente alla prima triade della Scienza della wgica, ma solleva un problema che si ritrova in ogni snodo della logica speculativa. Ciò che non presuppone fìne, metodo o principio atto a orientare il suo sviluppo, e che per questo può dirsi libero da condizioni e presupposti, è tale perché ha assunto un punto di vista ben preciso. È infatti una certa sollecitudine critica e auto-riflessiva da parte del filosofo che consente di sciogliere tutti i suoi pregiudizi e le precomprensioni riguardo all'essere, al pensiero e alla loro relazione. Hegel intende questo come il punto di vista speculativo, come ciò che solamente assume una portata reale ed effettiva (wirklich). Nelle pagine seguenti il nostro obiettivo sarà quello di far emergere in forza di quali operazioni tutto ciò è reso possibile.
5. Differenza e negazione Nel corso della «Dottrina dell'essel17.a» Hegel scandisce le tappe che portano dall'identità al sorgere della Cosa nell'esisten7.a attraverso proposizioni fondamentali. Proposizioni che quasi sempre riprendono e ricollocano i principi classici della fìlosofìa, da quelli di identità, di non contraddizione, di ragione sufficiente, fìno alla prosecuzione di quest'ultimo nella proposizione relativa all'esisten7.a che recita: «Tutto quel che è, esiste»47• Come infatti vi è un principio del fondamento che afferma che la totalità dell'ente ha una ragione d'essere, così ora viene formulato un principio parallelo, secondo cui tutto quel che è anche esiste; esiste cioè senza condizioni, fondamento o ragione d'essere.
47. SL, W 6, p. 125; tr. lt., p. 538.
144 In tutti questi casi si tratta di determinatezze che sono in se stesse relazioni 411• Si coglie qui la ragione che segna la differenza tra proposizione e giudizio: nella prima il contenuto proposizionale stesso è una relazione determinata, mentre nel giudizio la relazione si incontra soltanto nella copula che connette i termini, rimanendo perciò implicita e non saputa49 • La relazione non è conosciuta come tale nel soggetto e nel predicato, non avendo infine nessuna sussistenza. Hegel, però, non manca di vedere il difetto della proposizione: avendo per soggetto l'essere ("ogni cosa" è il soggetto), essa esprime identità e differen7.a della cosa in esame come qualità possedute in modo statico e che tali continuano a rimanere. Con l'esempio hegeliano, la casa espressa nella proposizione, a differenza di quella "in carne e ossa", non arriva alla sua identità di casa, ma si trova a 48. C&. SL, W 6, p. 37; tr. it., p . .ffi6: «Essendo inoltre determlnate7.7.e che
sono in se stesse relazioni, contengono perciò già in sé la forma della proposizione». In merito, si veda: K. Dllslng, Das Problem der Subjektivitllt in Hegels Logft, cit., pp. 216-218. Inoltre, c&. anche M. Campogianl, Hegel e lllinguaggto. Dialcgo,lillf!µ4, proposlzwni, La Città del Sole, Napoli 2001, pp. 375-378. 49. Il passo nella sua Interezza è questo: «Poiché la proposlzlone si distingue dal giudizio principalmente perché in quella il CQlltenuto costituisce la relazione stessa, ossia perciò che esso è una relazione determinata. Il giudizio al contrario trasferisce il contenuto nel predicato come una determinate7.7.a universale che è per sé ed è distinta dalla sua relazione, la semplicecopula» (SL, W 6, p. 36; p. .ffi6). Non sempre si dà il giusto peso a questa caratteriz7.azlone della proposlzlone che contiene le Rejlerionbestimmungen, mentre si tende a privilegiare da parte degli Interpreti la proposlzlone considerata da Hegel nel solo sensogrammaticale, per sostenere che non ogni proposlzlone è un giudizio. Questo è Il secondo passo contenuto nella «Logica soggettiva,,: «A questo proposito si può anche notare che una proposizione ha nel senso grammaticale un soggetto e un predicato, ma non per questo è ancora un giudizio. Al giudizio appartiene che il predicato stia verso il soggetto nel rapporto delle determinazioni del concetto, epperò che egli si riferisca come un universale a un particolare o a un individuo. Se quello che viene detto del soggetto individuale non esprime esso stesso se non qualcosa di individuale, questa è una semplice proposlzlone» (SL, W 6, p. 305; p. 709).
145 essere semplicemente una casa, identica a sé e differente da altro. Quest'ultima formulazione segna una mancanza dell'espressione rispetto a quanto accade nella realtà, dove la casa accede a un'identità con sé, non prima, però, di avere aperto la sua autosufficienza formale agli altri elementi che la rendono una casa vera e propria. Come dire, ed è propriamente ciò che Hegel intende: soltanto se viene fatto cadere quel modo di pensare comune per cui il mondo è fatto di cose isolate (c'è la casa separata dalle persone che la abitano, dal suo arredamento interno, dallo scopo per cui è costruita sulle fondamenta) è possibile pervenire all'identità concreta ed effettiva della casa, fatta dalle leggi fisiche e dalle conoscenze tecniche che la tengono in piedi, oltre che, ad esempio, dagli affetti e dai ricordi di chi la abita. In sintesi, per definire realmente qualunque cosa bisogna poterla distinguere dal suo altro, ma al tempo stesso è necessario portare all'interno di questo "altro» il suo riferimento alla cosa. Lasciato da parte l'esempio concreto della casa, Hegel riprende in mano le categorie logiche. Ma il duro linguaggio della logica non modifica il contenuto. Affinché la contraddizione possa risolversi nel fondamento, è necessario che i termini, negativi l'uno rispetto all'altro, accedano alla forma contraddittoria. Non solo la casa deve distinguersi da altro, ma è necessario che l'altro sia il suo proprio altro e non un diverso indifferente alla sua relazionalità. A questo esito la logica hegeliana giunge costituendo «la base di determinazione», che rappresenta l'«in quanto» mediante cui l'essenza si diversifica nelle sue determinazioni. Questa è la mossa compiuta nella determinazione della differenza. Scrive Hegel che «nella differen7.a. assoluta di A e non-A è il semplice Non quello che costituisce la differenza»50• Il semplice Non della differenza è l'essenza (l'intero identità-differenza) 50. SL, W 6, p. 46; p. 464: «lm absoluten Unterschlede des A und Nicht-A voneinander 1st es das einfache Nicht, was als solches denselben ausmacht».
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considerata dal lato della determinate:ua. Nei termini del nostro esempio: le fondamenta in quanto casa, l'arredamento in quanto casa, il tetto in quanto casa. Due determinati sono cos'I differenti sotto un unico riguardo ed entrano in una relazione di reciprocità attraverso la stessa base di determinazione, che ha la funzione di negazione del determinato nel determinato. Questa base-l'orizzonte relativamente a cui i determinati differiscono tra loro - è l'altro dall'ente, immanente però all'ente stesso; in altre parole, questa base è ciò grazie a cui essi accedono al significato. Se l'«in quanto» dell'essenza è la relazionalità immanente all'ente, che dell'ente nega l'isolamento dagli altri enti, si capisce che senza di esso, senza cioè il rapporto verticale dell'essenza, non vi sarebbe neppure quella relazionalità grazie a cui per il determinato A vi è modo di includere la relazione al proprio non-A. D'altra parte, «il gran passo negativo» (gro.fte negative Schritt), compiuto oltre le finite forme dell'intelletto, sta nel sollevarsi oltre quelle determinazioni sino a poterne vedere il loro contrast~•. Questo contrasto, che in sede logica ha nella contraddizione la sua massima estensione, si regge però sulla considerazione secondo cui nessuna relazione di alterità può esimersi dall'essere relazione di determinazione reciproca. La forma entro cui A e non-A sono diversi è una particolare relazione di alterità, quella di determinazione reciproca, e cioè di opposizione, tale per cui A non è non-A, stando a questo di contro e così condizionandolo come suo limite esterno. Il determinante è sempre ciò che istituisce il determinato come quella determinatezza che esso è, e nel fare ciò il determinante stesso
:SI. Leo Lugarlnl fa notare che nel contegno Intellettualistico che si anocca nella riffessfone esterna si ha sempre a che fare con ciò che la ragtone fa, il suo proprio fare, giacché «questo riferire della rlffesstone appartiene In sé alla ragtone» (L. Lugarlnl, Orlzzcntt hegellani di comprensione dell'essere, Guerinl e Associati, Milano 1998, p. 283).
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è reso determinato dallo star di contro da parte del praprio determinato, che avendo in quello il proprio altro è esso stesso altro dal proprio altr~.
In forza di quanto detto, le mosse successive di questo capitolo sono dirette a fissare la base determinante all'interno dei determinati in rapporto reciproco. E Hegel lo fa con una strategia significativa. Infatti, l'obiettivo dell'argomentazione è dimostrare l'inconsistenza dell'ipotesi secondo cui l'orizzonte grazie a cui i due determinati si rapportano possa cadere in un terzo rispetto ai termini stessi. In questo caso, infatti, quella base sarebbe configurata come un limite entro cui significare i due termini reciprocamente negativi; in altre parole, questo significato non apparterrebbe di per sé né all'uno né all'altro. Giacché sino a ora l'abbiamo considerata solo come «in quanto», ora si mostra che l'identità della cosa (l'identità della casa come essenza) può reggere al moltiplicarsi delle sue relazioni, a condizione che quella base di determinazione si faccia dawero fondo, base, sostrato e divenga così identità formale. È la via che è ingaggiata dall'identità nel fondamento ( Gruoo). Qui a risolversi sarà la contraddizione che sorge dal non potersi più distinguere dell'identità della cosa dalle sue relazioni, pur dovendosi in qualche maniera salvaguardare l'autonomia della cosa stessa. Gli opposti (positivo e negativo, i termini che Hegel utilizza) sono ciascuno, insieme, parti e interi: intero essendose stesso e il proprio altro, parte essendo l'altro anche esteriore alla sussi-
:S2. Per uno sviluppo di questo nodo fondamentale, si veda M. Donà, Sull'Assoluto. Per una reinterpreta:r.ione dell'idealismo hegeliano, Einaudi, Torino 1992, pp. 47-104, ma dello stesso autore cfr. anche Aporia del fondamento, Mlmesls, Milano-Udine 2008, pp. 290-318. Su questo, anche se In un'ottica diversa, si veda M. Adlnolfl, Hegel e la costituzione dell'1nizio, In «Teoria,., XXXIII, n. l, 2013, pp. 283-296.
148 stenza di ciascuno. Ciascuno è mediante la differenza dell'altro (includendola in sé), sebbene esso debba negare l'essere-differente dell'altro (escludendolo, dunque, da sé). Contraddizione, dunque. Essa si accende laddove l'essere in relazione ad altro esteriore (esser-posto) e l'essere-differente da ogni relazione con altro esteriore (indipendenza) rimangono due esigenze, l'una di contro ali'altra, a loro volta esterioJi'S:l. Poiché, però, negazione inclusiva e negazione escludente sono predicati di ciascun opposto sotto il medesimo «in quanto» (Riicksicht), essi, da opposti che erano, divengono momenti, esser-posti come tolti. Infine, il fondamento è il venire meno della positiva negazione del proprio altro da parte dell'identico. Scrive Hegel: La determinazione riRessiva, in quanto va a fondo, acquista il suo vero significato di essere l'assoluto contraccolpo in se stessa [der absolute Cegenstofl ihrer in sich selbstJ, cioè quell'esser posto, che compete ali'essen7.a, è solo come un esser posto tolto.15~
In conclusione, nel Grond si compie ciò che in precedenza anticipavamo: l'andare a fondo dell'esteriorità di esser-posto e indipendenza significa che nel fondamento viene meno il positivo negare il proprio altro da parte dell'identico. Ciò non comporta affatto però che nel negarsi del determinato sia can-
53. SL, W 6, p. 61; p. 483: ~11 positivo e il negativo costituiscono J•esser posto della lndlpenden7.a; la negazione loro per opera di loro stessi toglie l'esser posto dell'indlpenden7.a [Das Positive und Negative machen das Gesetztsein der Selbstlinmgkeit aus; die Negation ihrer durch sie selbst hebt das Geset7.tseln der SelbstlindJgkeit auf]». 54. SL, W 6, p. 80; p. 496 (corsivo nostro). Sul tema della negazione riflessa nella logica hegeliana In riferimento alla costruzione dell'autoriferimento della stessa, pur in un'ottica diversa dalla nostra, si veda A.F. Koch, Die Evolution des logischen Raumes. Aufsatze zu Hegels Nichtstandard-Meta-physik, Mohr Siebeck, TUbingen 2014, pp. 107-128; il tema è stato ripreso anche da M. Bordlgnon, L'autoriferimento deTJa negazume neTJa logica hegeliana, In «Verifiche•, XLVII, n. 2, 2017,pp. 117-137.
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celiata la sua determinatezza, l'essere-posto, ma che in esso venga meno il suo - dell'essere-posto - essere diverso dalla negatività dell'essenza. Inoltre, risulta così che l'essenza come base negativa, come Non, perda ogni statuto di alterità rispetto all'essere dei differenti determinati. Prima però che l'essenza giunga a trovarsi compiutamente al suo posto nell'esistenza, o, per meglio, dire sorga come cosa esistente, il suo cammino deve percorrere un'ulteriore tappa: il Grund.
6.
nfondamento, oltre la forma
Il fondamento ha una duplice natura. Da un lato, infatti, è una determinazione della riflessione: appartiene a questa prima sezione della dottrina del!'essenza: «L'essenza come riflessione in lei stessa»5.'l, dove Hegel espone le fìgure del pensiero con cui ogni determinazione dell'essere è portata all'interno della riflessione. Dal!'altro lato, il fondamento non è più una determinazione della riflessione; nel fondamento è in gioco la cancellazione della riflessione e il suo ritorno nel luogo in cui le cose sono sempre state là, nell'esistenza, in quello che è il polo che fa resistenza alla potenza unifìcante del pensiero'l6. Da questa posizione di passaggio il Grund, al suo esito, deriverà la sua connotazione, anch'essa duplice. Esso sarà unità
55. SL, W 6, pp. 17 ss.; tr. lt., pp. 437 ss.
56. Su questo capitolo un commento analitico e completo è ancora quello fornito da P. Rohs, Fonn und Grund. lnterpretaticn eines Kapitels der Hegelschen Wissenschaft der Lo{!)k, Bouvler, Bonn 1969, pp. 76-104; Inoltre, crr.M. Quante, Die Lehre oom Wesen. Erster Abschnitt. Das Wesen als Refler:ion inihmselbst, In M. Quante- N. Mooren (Hg.),KblnmentarzuHegels Wissenschaft der Lo{!)k, Meiner, Harnburg 2018, pp. 309-325.
del pensiero nel senso di ciò che garantisce stabilità al flusso delle differenti determinazioni; ma perciò esso sarà anche la fonte dell'oggettività di queste determinazioni, il loro riferimento come reale forma oggettiva. In questo senso, proprio guardando a questo equilibrio necessario, il confronto tra Grond hegeliano e unità trascendentale dell'appercezione è stato proposto non a sproposito. E se la scelta, anche lessicale, di Hegel di confrontarsi direttamente con una categoria della metafìsica classica dimostra l'ampieZ7.a della costruzione genetica del concetto, è vero pure che questo passaggio hegeliano può togliere al perno della forma dell'esperienza kantiana il suo prolìlo esclusivamente epistemologico. È tanto vero questo che il rapporto tra condizione e fondato, cornice finale del Grond, condurrà Hegel a un corpo a corpo con le «Analogie dell'esperienza» kantiane a proposito del peso ontologico da attribuire alla relazione, che per entrambi è costitutiva del fenomeno. Senza anticipare inutilmente, il fondamento che Hegel definisce «determinato» ha una esposizione cadenzata il tre momenti: formale, reale e completo. Qui è dove si viene a costituire una complessa totalità di determinazioni riflesse, che mostreranno la loro persistenza anche nel seguito della «Dottrina dell'essenza». Come è stato acutamente notato, le figure di pensiero qui elaborate da Hegel faranno sentire la loro eco nelle fasi successive della Logica: legge e forza saranno una ripresa del fondamento formale, la causalità del fondamento reale e, infine, l'azione reciproca del fondamento completdi7. Il fondamento determinato viene dopo l'esposizione del fondamento assoluto, vale a dire l'esposizione delle coppie di con-
57. B. Longuenesse, sostenendo questa tesi, aggiunge con ancora maggiore fo17.a che il Grund perl'essen7.a si comporta in maniera simile a quello che sarà il sillogismo per il concetto: un'Impalcatura che agisce geneticamente lungo l'intera struttura logica, la logica oggettiva per l'uno, quella soggettiva per l'altro: cfr. B. Longuenesse, Hegel's Critique of Metaphysics, cit., p. 92.
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cetti in cui ciò che viene pensato è l'immanenza del fondamento in tutte le determinazioni delle cose che esso fonda. E, come la riflessione presuppone qualcosa su cui riflettere e riflettere se stessa, così il fondamento presuppone un contenuto su cui esercitare la sua azione fondativa'S. Il fondamento determinato è l'esposizione di questa mediazione che occorre tra il fondamento e il contenuto verso cui, per così dire, si attiva. Proprio perché questa posizione del pensiero fa parte della riflessione, è facile individuare nei tre momenti del fondamento determinato il ripresentarsi della riflessione ponente, esterna e ponente-presupponente (o determinante). Il fondamento formale appartiene a una riflessione esageratamente frettolosa, che fa immediatamente del dato empirico una determinazione del pensiero, finendo però con il girare a vuoto. Nulla nel fondato che non sia anche nel fondamento, e viceversa; soltanto che questa tautologia, a causa della perfetta specularità dei lati, non aggiunge nulla, è puro formalism~. Aggiunge malignamente Hegel: non è solo il senso comune a ragionare così, a inventarsi fantasiose ragioni per ogni cosa, anche la più insignificante. Ragioni occulte, più che sufficienti. Anche le scienze fisiche sono piene di tautologie, come quando si spiega una forma di cristallizzazione dicendo che ha la sua ragion d'essere nella disposizione in cui entrano le molecole. Non si fa altro che duplicare il fenomeno nella ragione, senza aggiungervi alcun contenuto nuovo. Nel doppio movimentodal fondamento al fondato e viceversa, in cui il formalismo della riflessione rimane impigliato, l'unica
:SS. Per un commento analitico delle pagine della Scienza della "logica de-
dicate alla ri8esslone, rimane fondamentale il commentario di D. Henrich, Hegels Lcgik der Rej/exion, In Id., H~el im Ktmtext, clt., pp. 95-156; In particolare per quanto riguarda Die Rejtexwn alsauflemche, cfr. lvi, p. 129. :S9. Cfr. SL, W 6, p. 98; tr. lt., p. :Sl2.
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via di uscita risiede nel riconoscere che l'unità di quel contenuto di fatto si dà; così il fondamento da formale - sostiene Hegel - diviene reale. Vale a dire, nel contenuto del fenomeno da spiegare si isola un momento, conferendo ad esso la capacità fondante. Trattandosi però di astrazione, per quanto obbligata, va da sé che il vincolo individuato, quello che lega ad esempio la gravità delle fondamenta alle determinazioni "superficiali" della casa, è un vincolo esteriore. Non appartiene, cioè, né al fondamento né alla conseguenza: «La gravità è tanto fondamento o ragione dello star su di una casa, quanto del cader di una pietra»oo. E se poi entrambe - tanto la casa quanto la pietra - non sono soltanto dei gravi, ma cose sempre anche ulteriormente determinate, tutto questo con la gravità c'entra poco. Non solo perché è sempre grazie a un elemento terzo che la gravità è "ragione" di questa casa. Fuori dalla riflessione dell'architetto e del muratore, infatti, la materia è del tutto indifferente a prendere la forma di "base" per l'edificio; ma non appena poi un determinato momento assurge a fondamento, è necessario considerare che esso stesso è determinato a sua volta dalla totalità delle condizioni rispetto alle quali la sua attività fondantesi esercita. Insomma, sembra proprio che dall'impaccio di questa arbitrarietà non ci sia modo di tirarsi fuori. A meno che non si inizi a pensare veramente, osservando ciò che in questa esteriorità c'è di reale.
7. Fondamento come relazione fondamentale A ben vedere, infatti, non è necessario ricorrere a un ulteriore super-fondamento rispetto al fondamento stesso; a vedere bene, non è I'«in quanto» che si è fatto esteriore, ma la stessa
60. SL, W 6, p. 10:S; tr. lt., p. :Sl9.
153 relazione fondamento-conseguenza che è divenuta esteriore a se stessa. Rimbalzando contro il contenuto essenziale, sono proprio le contingenze a renderlo completo e differenziato; il fondamento fonda ciò che è fondato, ma insieme è la sua attività fondante che viene fondata nel rapporto del fondamento con ciò che è fondato. Questo contraccolpo costituisce l'unità del fondamento come contenuto (che ha interiorizzato la forma) e del fondamento come referenzialità (che ha esteriorizzato il suo rimando)tl•. Tautologia, ma identità che adesso, a differenza di quella formalistica di prima, si è fatta penetrare dalla contraddizione. La questione della condizione, secondo Hegel, sorge a questo punto; nel momento in cui, durante lo sviluppo della relazione fondamentale, sorge una contraddizione ulteriore tra il fondamento e le condizioni per cui esso può fondare il fondato. Condizioni che si estendono oltre lo spazio di fondazione che compete al fondamento. In dialogo esplicito con le «Analogie dell'esperienza», Hegel stravolge, se non lo svolgimento, quantomeno l'esito a cui giungeva la prima Critica kantiana per quanto riguarda il transito obbligato tra serie delle condizioni e forma del fondamento. Incondizionato è per Hegel la relazione stessa. Più estesamente, il riferimento negativo del contenuto della condizione (le varie condizioni condizionate) alla forma di questa (il fatto che predisponga un fondamento). Vero e proprio peso ontologico, perché pienamente incondizionato (wahrhaft Unbedingte), lo possiede il rimando: il rimando in sé e per sé essente, o la negativa negazione riflessa. Rimando che è l'apparire della molteplicità delle condizioni per il fondamento, che funziona da loro centro e senso, e per altro verso l'apparire del centro-fondamento come in-sé ri61. Per questo passaggio, si veda la mirabile espos17.1one di queste pagine fatta da F. Duque, Historia de lafilosofia moderna. La era de la critica, Akal, Madrid 1998, p. 658.
154 spetto alle condizioni. In questa relazione entrambi i riferimenti (del fondamento alle condizioni e di queste a quello) perdono il loro carattere unilaterale e astratto: ciascuno è I'apparire dell'altro. Ciascuno è il riverbero dell'altro che accade interamente all'interno della cosa, che ne scava l'interno. La cosa, insomma, è integralmente questo apparire di rimando. Che è un apparire in sé, un apparire che non ha un termine esterno che faccia solo da visione senza essere visto. In questo modo, per Hegel, saremmo venuti a capo del vano andare in circolo che nella moltiplicazione delle condizioni fondamentali ci sbalzava via dalla costituzione della cosa; avremmo anche compreso che non si è trattato di inserire elementi esterni, prima rimasti nascosti, per cambiare il piano di gioco. In fondo, è sufficiente guardare alla relazione, ma in maniera diversa Un modo altro, grazie a cui il fondamento non si riduce più a uno dei due momenti del rapporto fondamentale. Gnmd è congruente con l'intera Grondbeziehung, sicché tramonta quel portamento del pensiero che intende la costituzione della cosa come l'effettoestrinseco dell'operare di un fondamento e di una condizione. È, invece, l'attività della cosa (das Tun der Sache ), che si distingue nei due momenti. Il fondamento completo altro non è che la struttura in cui l'istanza fondante è sovra-fondata dalla rete di relazioni entro cui esercita la sua attività determinante. Nel momento del suo sorgere come esistente, la cosa risulta quindi aver già perso statuto ontologico di stabilità e permanenza. In realtà, il movimento che Hegel conquista è duplice. Da una parte, è il movimento che indica l'ampliarsi dello spazio delle condizioni: «Quando si sono verificate tutte l,e condizioni di una cosa, essa entra nell'esistenza»62• Dall'altra, vi è il venire in superficie da parte del fondamento: «La cosa sorge
62. SL, W 6, p. 122; tr. it., p. 534.
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dal fondamento»63 • Di conseguenza, l'ampliarsi dello spazio delle condizioni è il presentarsi del fondamento, che si mostra «solo come una parvenza che immediatamente sparisce»o.. La cosa progettata e prodotta nell'esistenza si trova privata del suo fondo, garanzia di stabilità e statuto d'essere; e, d'altro canto, neppure il movimento, che progettandola le conferisce possibilità d'essere nel mondo, non ha conclusione nel prodotto realizzato. Il prodotto stesso non è uno scopo in sé e per sé; lo è per altro, per il suo mezzo, ma ciò significa che al massimo della sua esistenza la cosa prodotta è una possibilità per una produzione nuova e ulteriore.
8. L'istituzione del significato Va fatta ora una considerazione su un passaggio specifico, assumendo però una sorta di posizione a lato del testo. Abbiamo visto che nell'esposizione del fondamento reale Hegel denuncia una duplice aspetto che è causa di un formalismo non meno significativo di quello iniziale. Anche quando fondamento e fondato hanno un contenuto diverso, è implicito il rischio che il pensiero giri a vuoto. Hegel, che in queste pagine non è parco di esempi, si riferisce alla pena. Essa può avere giustificazioni diverse (diverse determinazioni essenziali) - può essere rappresaglia, o essere riportata a una funzione esemplare, o avere un effetto deterrente verso i consociati in una funzione di prevenzione generale, o ancora avere un obiettivo rieduca63. Ibidem.
64. Ibidem: «Il fondamento si mostra solo come una parve117.a che Immediatamente sparisce; questo sorgere è pertanto il tautologico movimento della cosa a sé [Der Grond zeigt sich nur, als eine schein, der unmittelbar verschwindet; thes Herwrtreten ist somit die tautologische Bewegung der Sache zu sich)».
156 tivo. Finché, però, una soltanto di queste determinazioni verrà presa come fondamento della pena, la giustificazione dell'istituto resterà accidentale, perché accidentale è il collegamento tra una giustificazione e l'intera istituzione penale effettivamente intesa, e perciò incapace di dare conto di tutto quello che la pena è!S5. Quello di Hegel, però, è ben più di esempio scelto a caso; basti pensare all'uso che anche il diritto penale moderno, quello che si definisce Magna Charta del reo, ritiene di dovere fare di tutte insieme queste determinazioni per definire il profìlo della pena, in particolare con l'obiettivo di porre un limite all'effetto indiscriminato e autoritario verso i consociati, che invece risulterebbe dal prevaricare di una e una soltanto di queste istanze fondanti (naturalmente, anzitutto quella general-preventiva)eo. Affinché risulti una unità sintetica delle determinazioni, però, la ragione deve porre rimedio a quella «accidentalità del collegamento» che sempre apre «la porta ai più svariati riguardi»frl. Nel fondato, infatti, c'è una serie di determinazioni che vive di una libertà indifferente rispetto al fondamento. Un molteplice che non ha continuità col fondamento, e rispetto a cui esso non è ragione neppure di quell'indifferenza; una indifferenza indifferente all'unità negativa. Che questo rapporto richieda da parte di Hegel uno svolgimento, e dunque un'ulteriore comprensione dialettica per legare insieme l'uno ali'altro i poli della relazione, lo testimonia la presen7.a, nel seguito, della riflessione determinante; in questa maniera, fondamento e fondato, una volta che quest'ultimo è divenuto condizione, assumono le fattezze della riflessione compiuta, insieme poM. Cli-. SL, W 6, pp. 107-108; tr. lt., pp. :520-521.
66. In merito cfr. M. Oonlnl, Il oolto attuale dell'illecito penale. La democrazia penale tra differenziaz.ione e su.ssidiarietà, Glulfrè, Milano 2004,
p. 119e ss. 67. SL, W 6, p. 108; tr. lt., p. :521.
157 nente e presupponente. Il fondamento è riflessione ponente in quanto il fondato vi è posto, ma proprio in questo modo è sua condizione quell'«immediato a cui il fondamento si riferisce come alla sua presupposizione essenziale [auf seine we-
sentliche Voraussetzung bezieht]»M. Se poi una peculiarità questo passaggio mantiene, rispetto ai precedenti momenti della «Dottrina dell'essenza», essa sta nel fatto che la riflessione esterna ora cade su un termine, una categoria - quella della condizione, per la quale tutte le condizioni sono a loro volta condizionate - che come tale indica l'essere-per-altro o il non essere per sé. Questo il brano centrale di questo capitolo e di questa logica: La condizione è dunque in prime luogo un esser determinato immediato, molteplice. In secondo luogo questo esser determinato è in relazione con un altro, con qualcosa, che è fondamento, non di questo esser determinato, ma sotto un altro rispetto; perché l'esser determinato stesso è immediato e sell7.a fondamento. Secondo quella relazione esso è un posto, l'esser determinato immediato dev'essere come condizione non per sé, ma per altro. Ma in pari tempo questo, eh'esso sia così per altro, è appunto soltanto un esser posto; che sia un posto, è tolto nella sua immediate=, e un esser determinato è indifferente quanto all'essere una condizione. In terzo luogo la condizione è un immediato tale, che costituisce la presupposizione del fondamento.69
In primo, in secondo , in terzo luogo: Hegel mette una di fila all'altra tre determinazioni logiche essenziali e non certamente sovrapponibili; e lo fa come se si trattasse di scorrere una serie di momenti pacificamente in successione. Che si tratti del contrario, è presto detto dal brano che segue di poche righe: «l'essere determinato ha grazie al secondo momento la 68. SL, W 6, p. 113; tr. it., p. 526. 69.
Ibidem.
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determinazione di perdere la sua indifferenza immediata e diventare momento di un altro»7o. L'orizzonte in cui collocare questo passaggio è il piano del reale divenire delle determinazioni. Ecco perché esso rappresenta un banco di prova per il modo in cui il contenuto logico riesce ad acquisire quella naturalità delle categorie a cui Hegel conferisce tanta importanza. Infatti, la perdita dell'indifferente immediatezza della determinazione indicherebbe la possibilità che il determinato si mantenga indifferente rispetto al suo essere-condizione, cioè ali'entrare a far parte di quella relazione che è l'intero di condizione e fondamento71 . Questa indifferenw rispetto ali'essere-condizione non sembra affatto coincidere, lungo il corso che il pensiero assume nei tre punti indicati, con l'essere, da parte della condizione, un lato dell'intero in quanto indifferente e incondizionata «di fronte al proprio altro». Che è poi il modo in cui Hegel, di na poco, definirà la condizione come significato determinato della determinazione. Da questo punto di vista, nulla manca nel brano. Ciò che manca, in realtà, è la sola cosa che non manca affatto, ed è la possibilità che la determinazione risulti indifferente allo statuto ontologico che le spetta, offerto dal suo essere in relazione ad altro. E manca perché la Logica hegeliana non sente alcun bisogno di esporla come un'esigenza particolare, essendo la logica, da cima a fondo, l'esposizione di come questa istanza non abbia nessun diritto di cittadinanza nell'universo del pensiero. Soltanto su questa base può valere il passaggio dall'indifferenza, che il determinato intrattiene verso il proprio essere-condizione, all'essere, questa indifferente immediate7.7.a entrata già nella determinata relazione a quell'altro verso cui è indifferente. È come se Hegel dicesse: non c'è modo di pensare
70. SL, W 6, p. 114; tr. lt., p. 526 (tr. mod., corsivo nostro). 71. Cfr. SL, W 6, p. 115; tr. it., p. 527.
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quell'indifferente immediate7.7.a, se non pensandola in quanto tak. Non v'è modo di comprenderla, se non come quella determinata, indifferente immediateZ7.a vestita dei panni della "negazione-esclusione" rispetto al proprio altro. Una volta assunto questo portamento del pensiero - e ciò è proprio quel che la condizione presuppone a sé: la propria originaria immediatezza - , l'indifferenza all'essere-per-altro è stata già traslata in un essere per altro.
9. 1àuto"logia Questo è il punto decisivo, perché la determinazione del significato è il risultato di un'operazione logica. Operazione che può essere fatta emergere a condizione che si collochi la logica nella natura, senza dimenticare di ritornare su questo assunto, ma in senso opposto, portando cioè la natura al pensiero e alla logica, e riconoscendo così l'efficacia determinatrice del contenuto. Letta così, Hegel non avrebbe nulla da obiettare a definire il sorgere dell'«in quanto» come un'interpretazione del determinato, e cioè come il risultato di una prassi. Qual è però la condizione prima e inaggirabile affinché questo operare del significato si attivi? Ciò che deve venire meno è lo scetticismo rispetto all'idea per cui una determinazione è per sé quello che risulta dalla negazione di altre determinazioni. Per sé: in modo tale che l'orizzonte entro cui essa è negativa (e questa negatività presuppone anzitutto la negatività oppositiva-escludente) coincida con l'orizzonte della sua determinatezza, quel campo cioè entro cui può dirsi diversa da altro. Questa sorta di "riduzione" della determinatezza alla negazione mette fuori gioco l'eventualità che la diversità possa risultare indifferente al carattere escludente della determinatezza. Soltanto se viene meno que-
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sta possibilità non è allora più possibile tenere distinte l'indifferenza verso l' «in quanto» dalla contraddittorietà in cui cade la determinazione intellettualisticamente compresa. Intendiamo così la posizione che si sopprime per propria virtù, solo affermando che l'essere identico a séè differente dal proprio esserdiverso da altro, insieme dovendo far differire l'essere identico dall'esser-diverso, e rendendolo così un posto. Il potenziale oppositivo dell'orizzonte del significato richiede dunque che la non-significanza sia portata a equivalenza con quella determinatezza che ha in sé il proprio negativo. In una parola, che valga l'equivalenza tra insignificanza e autocontraddittorietà. Questa è la leva che muove la logica dialettica; che poi con essa ci si trovi davanti a un presupposto lo si potrebbe dire facendo emergere che al di là di questa comprensione, o presa di possesso, è ancora possibile dare altro senso all'insignificanza. D'altra parte, non è nostra intenzione tradurre immediatamente questa insignificanza nei termini propri dell'ermeneutica di segno heideggeriano, magari legando questa decisione, almeno per non farla apparire un'arbitraria scelta di stile, con l'urgenza di coinvolgere la logica nelle spire della domanda esistenziale che può lederne la sovranità72, sino all'insignificanza (Unbedeutsamkeit) in cui la significatività del mondo rimane coinvolta. Resta però che, posto che la domanda di fondamento deve anch'essa produrre i caratteri e la misura della propria legittimità -che è poi quanto fin da Kant la filosofia non ha mai mancato di fare -, può ben aggiungersi che il fondamento non è qualcosa che se ne stia lì, a parte dalla sua impresa fondativa; più precisamente: non si può dire che il fondamento manchi prima che la domanda sul fondamento sorga. C'è un vuoto, un buco, una frattura, ma il vuoto non c'è 72. Cfr. WM, p. 107; tr. lt., p. 63; il riferimento è a Was ist MetaphysikP, ove si chiede: «Ma può la sovranità della "logica" essere lesa? [Aberùtsst sich die Herrschaft der Lcg)k antastenPJ•.
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prima che esso venga perlomeno additato, e ritenuto bisognoso di un riempimento. Chi ha dato un tono politico-istituzionale alle argomentazioni hegeliane sul Grund è stato Slavoj Zizek: «La relazione esterna di presupposizione (il fondamento presuppone le condizioni e viceversa) viene superata in un puro gesto tautologico mediante il quale la cosa presuppone se stessa»73 • Interpretando da par suo e attivamente il circolo di fondamento e condizioni, Zizek vi rintraccia una definizione dell'atto simbolico di cui si nutre ogni gesto istitutivo. Tra l'altro, è un simile gesto che Jacques Derrida ha definito un atto di forza difficilmente collocabile (in questo senso, «mistico»), né legale né illegale, e che però, non a caso, egli descriveva come una frattura del piano logico-razionale del discorso fondativo, più ancora che (o comunque non prioritariamente) come una violenza fisica. In ogni caso, secondo Zizek, che si tratti del passaggio d'epoca tra Medioevo e Rinascimento, della riscoperta nazionalistica della tradizione o della questione democratica e sociale posta dal pouvoir constituant, ali'opera è sempre un gesto tautologico che si limita a riscontrare retroattivamente la presenza della cosa in questione nelle sue condizioni. Si costruisce una storia di condizioni presupposte e le si affida a un nome simbolico che svolga la funzione di fondamento futuro. Questo il valore performativo della tautologia. Né, d'altra parte, si intende dire che questa performatività abbia il potere di creare liberamente il proprio contenuto. La tautologia è performativa «solo e proprio in quantofa già da sempre parte della definizione del contenuto significato»1◄• Detto questo, però, quello che fa tutta la differenza del caso (e a questo punto proprio non c'è ragione per distinguere tra l'ambito politico, naturale e ontologico) è 73. S. Zi,.ek, Fare i conti con il negativo. Kant, Hegel e la critica dell'ideo1.ogia, tr. lt. di P. Te!7.I, Il melangolo, Genova 2014, p. 190. 74. lvi, p. 193.
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la maniera in cui si intende quell'affidamento al futuro. Infatti, se lo statuto d'essere del fondamento è consegnato alla forza di quel gesto performativo, bisognerà anche riconoscere che il suo futuro sta nelle parole, nei segni e nelle espressioni che si rivelano capaci di raccoglierlo. Vale anche per l'unità dialettica dei differenti; anch'essa fa parte della definizione del significato, almeno nella misura in cui istituisce l'equivalenza di contraddittorietà e insigni6caTl7..a. Questa misura, la misura del suo essere è la possibilità, mai ultima, a venire.
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Capitolo V
Metodo, fenomeno'l21• A partire dal carattere precomprensivo del progetto dell'esserci, si coglie l'unità della signifìcatività del mondo come il signifìcarsi dell'esserci e non come un fondamento semplicemente contrapposto. Da questo punto di vista non solo l'esserci è fondamento, ma es-
20. SZ, p. 115; tr. lt., p. 111. 21.
sz, p. 202; tr. lt., pp. 187-188.
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so è progetto che apre e significa il mondo, non cioè il singolo ente, la singola prospettiva individuale del mondo, ma l'insieme dei rapporti che definiscono il singolo ente come mezzo e la prospettiva che lo utilizza. In questo snodo, in cui è colta la circolarità dell'esserci, entrano in gioco le situazioni emotive. Infatti, quella che possiamo definire, con un termine che non è di Heidegger, l'intimità dell'esserci con il proprio orientamento, e quindi con il suo orizzonte ermeneutico, viene caratterizzata almeno da due modi che Heidegger definisce «esistenziali fondamentali», che sono, da un lato, la situazione affettiva (Befindlichkeit) e, dall'altro, lacomprensione22. Occorre caricare il termine Befindl,ichkeit ponendo l'accento sul modo in cui ci troviamo nella tonalità effettiva, cioè sul "trovarsi" in un certo stato d'animo, più che sul contenuto reale. Questo indica il sich befinden, come Heidegger ribadirà a proposito del sentimento, dove «si apre e si mantiene aperto lo stato in cui di volta in volta ci troviamo rispetto alle cose, rispetto a noi stessi e rispetto agli uomini»23. La condizione originaria è trovarsi nello stato del sentimento, a cui appartiene la possibilità del pensare e del volere. Nella disamina di Heidegger gli affetti sono le tonalità riversate prevalentemente sul lato intramondano dell'esserci, quello che noi non siamo ma che ci serve per poter essere quello che siamo. L'importan7.a di questa distinzione tra affetti e passioni che Heidegger compie nel 1936-'37, e che risiede sempre nell'ambito del sentimento, esprime il carattere della dispersione connaturata alle possibilità dell'esserci. L'ira è l'affetto che Heidegger analizza per rilevare che essa ci assale e «ci attacca»; nello scatto d'ira che
22. Il discorso (Rede) nel i 34 di Essere e tempo è definito essere .esistenzialmente originario alla situazicne emotiva e alla romprensicne [mit Befìndllchkelt und Verstehen existen;>ja) glelchursprt1nglich]» (SZ, p. 213; tr. lt., p. 198). 23. N, p. 48; tr. it., p. 62.
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ci coglie noi non siamo padroni di noi stessi, ma nel senso che siamo in una modalità di essere «fuori-di-sé nel quale sentiamo la mancan7,a di qualcosa», e perciò, anziché «portare noi stessi con noi come nella volontà», ci perdiamot4. L'affetto, in questo caso l'ira, porta fuori, disperde e fa perdere. Di questa dispersione, che preannuncia la caduta esistenziale (Veifallen), un approfondimento di grande valore si trova nell'ultimo corso che Heidegger tenne a Marburgo nel 1928, dedicato ai Metaphysisclie Anfangsgrande der Logik. Per quanto qui la ripresa delle tematiche di Sein und Zeit avvenga senza un'analitica esistenziale, ciò non impedisce di incontrare una certa disposizione dell'esserci, e dunque della comprensione che è ad esso propria, a "lasciarsi prendere" e catturare dai significati che interpreta. In questa occasione, l'esempio che Heidegger porta è quello della costruzione mitico-poietica all'interno della quale viene figurato lo statuto storico della natura. Questo lasciarsi prendere, che si traduce in una sorta di venire in balìa dei significati da parte dell'esserci, attrae e in qualche maniera circonda e racchiude le possibilità che investono lo stesso Dasein. L'esserci può ad esempio farsi portare da ciò che in senso molto lato chiamiamo natura. Soltanto ciò che per sua natura è gettato e racchiuso fgewo,fen und bejangen] in qualcosa può farsi portare e circondare. Il che vale anche per il dischiudersi dell'esserci primitivo, mitico, nella natura. [ . .. ] Ma ali'essen7.a dell'effettiva dispersione (Zer:streuung] appartiene anche il fatto che l'essere gettato e l'imbara,:zo rimangano profondamente nascosti a se stessi.25
In queste pagine, Heidegger distingue nettamente uomo da Dasein. Scrive che per l'ente che viene a tema nell'analitica esi-
24. N, p. 43; tr. lt., p. 57. 25. MA,p. 174;tr. lt., p.165.
207 stenziale è stato scelto il termine das Dasein per via del carattere di «neutro che si porta dietro; Dasein non è uomo e non lo è in virtù del fatto che l'uomo è quell'ente che non è indifferente [ungleichgultig] al proprio modo di essere»l!!i. Si chiarisce così un punto centrale: questo carattere non è il privilegio di una sostanza o di una "cosa", quanto piuttosto, ed esclusivamente, lo spettro di modi (Weise) con cui l'uomo è chiamato a essere luogo - il Da - di comunicazione e differenza dell'essere e dell'ente. Questa tensione, che investe l'uomo del compito di ritornare sempre e mai ultimativamente sul tono con cui egli assume questo poter-essere, richiede una denominazione neutra, una peculiare neutralità a esprimere che «l'interpretazione di questo ente va attuata prima di ogni effettiva concrezione,P. Emerge qui il senso dell'ontologia di Heidegger come ermeneutica della fatticità28 • Al Dasein appartiene una fatticità originaria che nel corso del 1928 viene anche denominata transzendentale 2.erstreuung, a sottolineare che la dispersione non è né empirica né il risultato di un castigo o di una necessità, ma attiene alla dimensione originaria dell'esserci. Ciò che ne va, in esso, è delle sue possibili maniere di essere, non essendo né maschio né femmina, né tedesco né ebreo. La neutralità di cui parla Heidegger in queste pagine a proposito di Dasein è quanto egli definisce «isolamento metafisico dell'uomo»2!1. Piuttosto che un vuoto "né... né", che sarebbe la brutta copia dell'ontico, esso va inteso come il "non-ancora" della dispersione effettiva. Un ancora-non che sembra alludere palesemente al desiderio: desiderio di essere corpo e sesso. 26. MA, p. 171; tr. lt., p. 162. 27. MA,pp.171-172;tr.lt.,p.162.
28. G. Agamben, The Passkm ef Facticity, In Id., Potentialities. Co1Jected Essays in Philosophy, ed. by D. Heller-ROa7.en, Stanford University Press, Stanford 1999, pp. 185-204: p. 195. 29. MA, p. 172; tr. it., p. 163.
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Libido di essere-sparso30. Aggiunge Heidegger: «all'essenza dell'Esserci in accordo con il suo concetto metafisico neutrale, appartiene un essere-sparso [Streuung] originario, che sotto un pro61o ben determinato è dispersione [Zerstreuung]»ai. Pare come se Heidegger, richiamando l'attenzione sull'essere dell'esserci - sull'essere in quanto Wesen -, awertisse che il principio di raccoglimento del Dasein nel suo essere proprio (eigentlich) non possa mai prescindere dalla possibilità interna della «dispersione effettiva nel corpo proprio [Leiblichkeit] e nella sessualità»:12. E cioè, il raccoglimento proviene sì da una iniziale "alienazione" e improprietà, ma con esso ne va del modo con cui situarsi presso questa diffusione in corpi separati, che dunque non è meno originario del richiamo dell'origine. Il non-ancora della faktische Zerstreutheit, dell'essere dissociato (giacché esso non si distacca mai dall'isolamento metafisico, da ciò che impedisce a ciascuno di essere l'altro}, non è una repentina caduta. È una struttura originaria,fandamentalontologisch, del Dasein, che con la carne, il corpo e la differenza tra i sessi, lo pervade di una pluralità che lo segna. Poiché non c'è Dasein senza un corpo, esso è sottomesso a una scissione (l.erspaltung), la quale, per quanto inizialmente connotata negativamente - così come la Zerstorung, scrive Heidegger -, non può essere interpretata a partire da un senso «ontico-semanticodi non-volere». E invece si tratta di altro, «dell'illuminazione dell'interiore possibilità di moltiplicazione [Vennannigfaltigung]»33• Moltiplicazione che non è in nessun senso molteplicità sintetica, kantianamente intesa, come non lo 30. Su questo si veda l'ormai classico J. Derrida, Geschlecht Differenza sessuale, dJfferenza ootologlca, In Id., La mano dJHeldegger, a cura di M. Ferraris, Latel7.a, Roma-Bari 1991, pp. 3-.29. 31. MA,p. 173;tr. lt., p. 164. 32. Ibidem. 33. Ibidem.
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era per Nietzsche il terreno patico sotteso al linguaggio concettuale. Heidegger fornisce due indizi per chiarire il fenomeno della dispersione «trascendentale»: da un lato l'estensione (Erstreckung), dall'altro la spazialità originaria (Riiumlichkeit ')34 del Dasein, che però - precisa - riguardano la gettatezza, ne sono cioè una derivazione. Il Dasein, si era detto infatti in Essere e tempo, è gettato "prima" ancora di ogni suo poter-essere che progetti la Gewo,fenheit, anche se si tratta di quella possibilità di assumere (ubernehmen) positivamente questo esseregettato come proprio:i.1. Insomma, c'è un essere-gettato del Dasein che precede i modi in cui quello stesso viene percorso e assunto dentro un progetto di interpretazione.
4. Essere al modo di un «più» Se ora torniamo al corso La volontà di potenza come arte, risulta chiaro come gli affetti, di cui in quelle pagine si avanzava una fenomenologia, corrispondessero al fenomeno della dispersione originaria, cioè alla «condizione di gettato» della Gewo,fenheit. Nell'alveo del sentimento, il secondo elemento era però la passione. Se l'affetto disperde, fa andare oltre 34. Cfr. SZ, §§ 12-15. 35. Tutte le più note interpretazioni si sono solfennatesull'assunzione della propria Gewoifenheit come presupposto decisivo per articolare il progetto Interpretativo, da W. Marx, Heidegger und die Tradition. Eine problemgeschichùiche Einfahrung in die Grundbestimmungen des Seins, Kohlhammer, Stuttgart 1960, pp. 108-112, che intende la Faktizitlit come ciò che rimbal7.a Indietro il Dasein nel suo esser-stato essenziale (Gewesenheit); cos\ anche in O. Poggeler, Il cammino di pensiero di Martin Heidegger, tr. it. di G. Vamier, Guida, Napoli 1991, pp. 62-65. Sen1.a dimenticare poi che l'assunzione della Gewoifenhett si traduce nell'appartenell7.a a una tradizione per Gadamer, cfr. Verità e metodo, tr. it. con testo ted. a fronte, a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano 2004, pp. 527-535.
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sé, la passione muove al cammino opposto, riconduce al proprio centro, al nostro Da. La passione - scrive Heidegger - «ci riprende nel nostro essere, ci libera nei suoi fondamenti e ci scioglie»; l'odio e l'amore, le due passioni che vengono considerate, portano «nella nostra esistenza la vera durata e la vera costanza,,:!G. La prima considerazione da fare è che affetti e passioni, entrambi, rappresentano una ferita feconda; producono uno spazio intorno al Dasein, che si rende conoscibile e si concretizza in un atteggiamento attivo. Si dice solitamente che le passioni ci assalgono, ma questa volta, diversamente che per gli affetti, lo fanno per raccogliere ciascuno nel proprio essere. Ciò che assale, infatti, è «quel non curarsi di dove vada a finire quanto è dissipato»; in altri termini, ciò che assale è la volontà, la «grande volontà», specifica Heidegger, quella che ci decide a essere al di là dei limiti acquisiti o stabiliti per natura o abitudine. Queste possibilità restano tali senza che vi sia la tentazione di conversione verso nessun al di là. Ma non basta. Un passo di Sein und Ut, a dir la verità non sempre a sufficienza considerato, è fondamentale per fissare la dimensione della esisten7.a autentica, o propria, come meglio si dovrebbe tradurre il termine eigentlich; appropriazione che non risulta in alternativa allo stato di originaria fattualità, ma consiste nel deciso farsi carico di esso. Scrive dunque Heidegger che «I'esistenza propria [eigentlich] non è qualcosa che si libri al di sopra della quotidianità deiettiva; esistenzialmente essa è soltanto un afferramento modificato di questo»37• Realizzare la vita in modo proprio, e cioè in altro modo. Grazie a cosa, però, questo altro modo sarebbe un modo altro? In virtù di quel Dasein che l'uomo può essere. Questo essere è al modo di un più che
36. N, p. 45; tr. lt., p. 60. 37.
sz, p. 238; tr. it., p. 219.
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però mai eccede quanto effettivamente sia, poiché sempre in esso si tratta di un effettivo poter-essere. E nondimeno un più che, in quanto essere possibile (Moglichsein), neppure è meno di quanto esistenzialmente sia già, in modo tale che esso, essendo ciò che diviene o non diviene o non diverrà mai, può dire a se stesso: divieni ciò che sei. È così che al § 31 di Essere e tempo fa la sua prima comparsa la chiamata, vale a dire il richiamo dall'esserci affinché esso giunga a sé dal suo essere distratto altrove (per questo Heidegger ha anche parlato di un Wegsein). Questa assenza non è una semplice non esistenza, ma qualcosa che è presente, che si dà nella presenza con i suoi modi propri. Per questo il Dasein non propone un ritorno a una dimensione perduta originaria, più piena e alta, né modelli particolari di risveglio o edificazione. In questo senso, diverse sono le precisazioni che Heidegger mette in campo allo scopo di rimarcare la peculiarità che i fenomeni della chiamata, del richiamo (Anrof) e del risveglio (Aufrof) dell'esserci richiedono, soprattutto per aggirare la tentazione di trovarvi il rimando a una dimensione perduta originaria, più piena e più alta. D'altra parte, in analoga direzione precauzionale vanno le preoccupazioni del corso del 1928, a "garanzia" del carattere neutro del Dasein. Al netto però di queste ricostruzioni, è opportuno riffettere sul fatto che il fenomeno decisivo, in verità fin dalle prime elaborazioni dellafaktisches Leben, individuato come la tendenza strutturale dell'esistenza, è la sua disposizione a perdersi nel mondo-18. Questo mondo, parte costitutiva della relazione dell' In-sein a partire da cui l'esserci sempre si comprende, non è soltanto
38. In merito si vedano: G. Figa), Zu Heidegger. Antwonen und Frogen, Klostennann, Frankfurta.M. 2009, pp. 130-133; F. Duque, Il controttempo. Lo spostamento ermeneutico della religione nella fenomenologia heideggeriana, In E. Ma7.7.arella (a cura di), Heideggeroggi, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 165-194; A. Cimino, Phlirwmenologie und Vollzug, cit., pp. 136-141.
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il luogo nel quale le sue azioni e pratiche hanno collocazione, ma insieme anche ciò che ha la capacità di circondare l'attore di queste pratiche. L'esistenza si perde, cioè decade (veifallt) nel mondo, nella misura in cui si chiude in una sola ed esclusiva pratica mondana. La prospettiva si chiude verso il contenuto reale della pratica, orientando la sua attenzione verso lo scopo da attuare, perdendo il timbro che a quelle azioni dà un peso. Se la dispersione (Zerstreuung) è radicata nel cuore della possibilità, questo esito sembra inevitabile. Gli uomini confondono l'orientamento verso le loro occasioni con ciò che grazie alle loro capacità si raggiunge. Confondono il peso che essi portano con sé nella progettazione, avendo a che fare con situazioni, desideri, strumenti a disposizione, con il prodotto di questo affannarsi, come se il risultato ottenuto corrispondesse al porto sicuro dell'affanno. D'altra parte, Heidegger osserva che «la dispersione essenzialmente gettata dell'Esserci, inteso ancora in maniera del tutto neutra, si manifesta tra l'altro nel fatto che l'Esserci è un essere-con altri Esserci,>39. Parole inequivocabili: la tentazione radicale e inevitabile proviene da e, in fondo, è il se-stesso dell'esserci. Se si cade, si può cadere in ciò che è reso disponibile a partire dal Dasein gettato; quell'esserci che è essere insieme ad altri. Cadendo, non si cade nella dimenticanza di una pura intimità, dal momento che invece è quest'ultimo atteggiamento a ispirare il tentativo di ripararsi nell'essere divenuto del possibile, coprendo così l'affanno, la passione e il tono che rendono quel risultato uno stato possibile o, per dire meglio, un possibile che è stato. Per comprendere il carattere di possibile proprio della comprensione ontologica è bene rivolgersi al luogo in cui Heidegger definisce il senso dell'essere del Dasein. Perché se, per
39. MA,p. 174;tr. it., p. p.165.
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un verso, Dasein è fondamento del senso e della significatività del senso, per altro verso è vero anche che - sono le parole di Essere e tempo - la Cura «significa in quanto progetto gettato: il (nullo) essere fondamento della nullità,,M>. La nullità (Nichtigkeit) attraversa da parte a parte l'essere. Che cosa significa questo per l'esserci e cosa per quel pensiero fondante che Heidegger nella Oberwinàung der Metaphysik intendeva effettivamente superare. In primo luogo, per spiegare la nullità dell'esserci non basta fare riferimento al fatto che esso, nella misura in cui non è semplicemente l'ente che si dà, ma semmai il senso entro cui l'ente si presenta, non "è", ma tutt'al più esiste nell'ente in cui si dà a vedere. In questo modo, l'esserci riscatta la sua nullità nell'essere dell'ente che esso fonda. Si tratta però di un riscatto parziale, restando l'esserci nel fondo nullo; e perciò non basta questa prospettiva, dal momento che la nullità qui in questione ha significato di mancanza, di indigenza, ed è dunque connotata a partire dall'essere e dalla relativa prestazione fondativa, che è tale in quanto concede, conferisce ragione e, in questo modo, fondamento all'ente soltanto possibile. Converrà invece riprendere proprio dalla citazione di Heidegger, il quale dice nullo proprio ciò che l'esserci fonda. L'esserci infatti fonda in quanto è «apertura», e cioè capace di conferire significato; e significa non il singolo ente, o almeno non prioritariamente, ma l'insieme dei rapporti che costituiscono l'essere dell'ente (come causa, come ragione sufficiente, come legalità fisica tra fenomeni). Da questo punto di vista, l'esserci "significa" l'essenza dell'epoca moderna come herausforderndes Entbergen, la quale ha scalzato il senso mitopoietico dell'esserci antico, con tutte le conseguenze derivanti dall'assolutizzazione dell'atteggiamento "oggettivante" e del-
40. SZ, p. 378, tr. lt., p. 340.
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la tecnica che Heidegger andrà nel tempo sempre più approfondendo. Ma non è soltanto questa la negatività dell'esserci, il fatto cioè che ogni decisione dell'esserci è negativa rispetto a un'altra comprensione storica possibile,•. L'esserci - scrive Heidegger - non può mai impadronirsi (machtig werden) del proprio fondamento, ma, esistendo, deve assumere questo fondament42. L'esserci è fondamento di una nullità poiché il mondo "fondato", al cui interno cioè vale il principio metafisico di fondazione (come causa prima, come ragione sufficiente, come causa-effetto), non è separato dalla nullità da cui proviene. E anzi la contiene, non semplicemente perché ogni storica significatività del mondo sia negazione delle possibili altre, ma perché essa è innanzitutto negazione del nullapossibile (M