La democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza nell’Ottocento. Atti del Convegno 29-30 maggio 2003


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La democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza nell’Ottocento. Atti del Convegno 29-30 maggio 2003

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FONDAZIONE LUIGI FIRPO CENTRO DI STUDI SUL PENSIERO POLITICO STUDI E TESTI 24

LA DEMOCRAZIA TRA LIBERTÀ E TIRANNIDE DELLA MAGGIORANZA NELL'OTTOCENTO Atti del Convegno 29-30 maggio 2003 a cura

di

GIAN MARio BRAvo

FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDlTORE MM!V

FONDAZIONE LUIGI FIRPO CENTRO DI STUDI SUL PENSIERO POLITICO STUDI E TESn 24

LA DEMOCRAZIA TRA LIBERTÀ E TIRANNIDE DELLA MAGGIORANZA NELL'OTTOCENTO X

giornata Luigi Firpo Ani

del Convegno maggio 2003

29-30

a cura di GIAN MAJUo BRAvo

FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMIV

Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo della COMPAGNIA di

Sa a

Pa o l o

ISBN 88 222 5359 O

PREMESSA

Il tema della 'tirannia della maggioranza' ha suscitato in passato vee­ menti discussioni, come anche dimostrano le tante citazioni e i nume­ rosi saggi ripresi nel volume qui edito. La tirannia deUa maggioranza è stata sperimentata sul campo, nelle vicende di Stati e Paesi di ieri e di oggi? è stata vagliata dalla storiografia? dal dibattito politologico e teo­ rico-politico? è stata esaminata da osservatori incemi o staccati? La ri­ sposta non può essere che affermativa, sia se si guarda agli eventi più lontani sia se si considera il presente istituzionale e sociale, sia special­ mente se si vogliono ricostruime nelle loro sfaccettature e nei loro si­ gnificati la rappresentazione ideale e la dimensione dell'evento, insom­ ma, si propone un assunto politico. Gli autori e gli studiosi, chiamati a raccolta per affrontare la questio­ ne della «democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza•, hanno orientato l'analisi prevalentemente sul secolo dei trionfi dei liberalismi: tuttavia, inevitabili sono stati i collegamenti, i richiami, le interferenze sia con le epoche precedenti sia con il Novecento e con l'avvio del Terzo Millennio. L'argomento oggetto di esplorazione è stato svilup­ pato soprattutto con riferimento ai successi e ai cambiamenti della de­ mocrazia nell'America del Nord e in Europa, ma la discussione solle­ vata, se da un lato è stata estesa, profonda e articolata, partendo tanto da ricerche storico-politiche che concettuali, ha trovato indubbie con­ fenne nell'esame delle fonnazioni sociali e istituzionali differenziate proposte; gli espedienti, le tecniche, le procedure - per utilizzare nel suo nucleo essenziale la terminologia kelseniana - hanno prospettato una molteplicità di problemi nuovi, af&ontati nei modi più variegati a seconda delle società, delle regioni, dei continenti, superando perciò i ristretti confini del Vecchio e del Nuovo Mondo. Si tratta di una discussione affatto attuale. Non certo per forzare l'incontrovertibile modernità di indagini che sono, e vogliono essere, essenzialmente storiche, politologiche, teorico-dottrinali e giuridiche: nondimeno, grazie alle ricerche presentate - riguardino esse problemi - V-

complessivi o questioni particolari, autori 'grandi' o personaggi 'mino­ ri', correnti politiche di vasto respiro o tendenze secondarie -, il pre­ sente e la lettura della realtà contingente sono sempre immediatamente percepibili. Perché, in una parte cospicua ma malauguratamente non ma}(gioritaria delle nostre società del XXI secolo, abbiamo la vencura di

vivere in democrazia. Sono numerosi gli autori e i ricercatori che hanno contributo al successo della e�Giomata Luigi Firpo», giunta onnai alla sue decima edi­ zione, su LA democrazia tra libertà e tiraunidr della ma,RRioranza ndi'Ottocen­ to, svoltasi a Torino il 29-30 maggio 2003 presso le auliche sale della Fondazione Firpo (Palazzo d'Azeglio, via Principe Amedeo, 34). An­ che a nome del Comitato Scientifico e del piccolo gruppo che aveva abbozzato i lavori (Luciano Guerci, Massimo L. Salvadori, Bruno Ben­ giovanni, chi scrive), del Consiglio di Amministrazione e della sua pre­ sidente, Isabella Ricci Massabò, desidero ringraziarli tutti, insieme ai presidenti delle tre sessioni del convegno (Vincenzo Ferrone, Salvo Mastellone, di nuovo Guerci), come sono grato a quanti nel pubblico, non solo uditori, hanno partecipato al confronto colloquiale. E natural­ mente un pensiero riconoscente va alla piccola ma efficiente ed efficace struttura della Fondazione, che si è prodigata per il successo scientifico e organizzativo dell'avvenimento, nelle persone di Anna Maccioni, Antonella Rocci Ris e Cristina Stango. Mentre il volume, onnai completato in tutte le sue parti, era in bozze, è mancato Norberto Bobbio, fin dalle origini componente del Comitato Scientifico della Fondazione. Col sicuro consenso dell'intera comunità degli studi lo dedico a Lui e alla Sua opera di studioso, di uomo di cultura, di simbolo e ispiratore di intere generazioni, che, grazie al Suo insegnamento, per la democra­ zia hanno lottato e nella democrazia con forza credono.

gennaio 2004 LA realizzazione drlla «Giornata ù1igi Firpo» è stata resa possibile da un jillan­ ziamento della Compagnia Strn Paolo di Torino, tui qui esprimo il mio grazir.

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GIOVANNI SAR.TOI\.I

DEFINIZIONE DELLA DEMOCRAZIA OTTOCENTESCA

Parto dalla domanda: la democrazia esisteva già nell'800? La risposta è suggerita dal mio titolo: dipende dalla definizione. Non esisteva Oa risposta è no) nel significato odierno di democrazia, per la definizione che ne diamo oggi. Ma esisteva Oa risposta al quesito è sì) come com­ ponente interna della nozione di liberal-democn.zia, di liberalismo democratico. L'autore che più e meglio di ogni altro coglie questo punto è Toc­ queville. Tocqueville visitava gli Stati Uniti nel 1 83 1 , e da quella visita ricavava LA democrazia in America ( 1 835, 1 840) . Oggi quel titolo non ci colpisce; ma allora era rivoluzionario, era un fulmine a ciel sereno. Per millenni la parola democrazia fu una parola screditata che designava un fallimento. Questo era ancora il giudizio di Kant e poi dei costituenti americani. E non è vero che il primo autore pro-democrazia sia stato Rousseau. Intanto, Rousseau elogiava spartani e romani (che non fu­ rono mai democratici) e biasimava gli ateniesi. In secondo luogo in Rousseau il richiamo alla democrazia fu soltanto marginale. Per lui l'ot­ timo governo, lo Stato •guidato dalla volontà generale che è la legge• era da lui chiamato repubblica (Contratto soda/e, I l , 6 1 ) . E poi alla de­ mocrazia di Rousseau mancava il demos, mancava il popolo. Il suo po­ polo non era la populace, ma un'aristocrazia altamente selezionata di cit­ tadini e di patrioti. In sostanza, la democrazia di Rousseau fu soltanto una democrazia letterale resa inoffensiva nella quale la volontà popolare era sostituita e imbavagliata dalla volontà generale. Dunque il lancio della parola democrazia in una connotazione po­ sitiva e anche inedita (del tutto distaccata da quella della democrazia de­ gli antichi) avviene con Tocqueville. Fu anche Tocqueville ad associare strettamente democrazia con eguaglianza. Anche questo era un inedito. In Aristotele l'eguaglianza caratterizza la giustizia, non la democrazia {•ingiustizia è ineguaglianza, giustizia è eguaglianza•, Etica nicomachea -

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1 1 3 1 a), e il greco isos entra per lo più in parole composte: isonomìa, ise­ gon'a, e simili. Per converso il concetto di eguaglianza è vistosamente assente nella definizione aristotelica di democrazia, che era per lui il •cattivo governo dei molti» e, più precisamente, cii governo dei poveri nel proprio interesse» (invece che nell'interesse generale). Ancora una precisazione. L'eguaglianza della quale parlava Tacque­ ville nella Democrazia in America non era un'eguaglianza politica e tan­ tomeno economica; era invece un' «eguaglianza sociale•, uno stato della società, e quindi, potremmo dire, un'eguaglianza sociologica posta da un'eguaglianza di condizioni e sorretta da un pervasivo ((spirito eb'Uali­ tario•. Questo spirito egualitario rifletteva l'as.'ienza, nel Nuovo Mon­ do, di un passato feudale. Ma proprio per questo veniva registrato da Tocqueville come un elemen10 caratterizzante. Tutti questi elementi si rimescolano e si ricompongono in un nuo­ vo prodotto nel 1 848. In quell'anno fatidico la democrazia che interes­ sa Tocqueville non è più la democrazia sociale ma la democrazia poli­ tica. Nel suo celebre discono del 1 2 settembre 1 848 all'Assemblea Co­ stituente T ocqueville diceva così: «La democrazia e il socialismo sono congiunti solo da una parola, l'eguaglianza; ma si noti la differenza: la democrazia vuole l'eguaglianza nella libertà, il socialismo vuole l'e­ guaglianza nel disagio e nella servitù•. Un giro di boa? Sì e no. Certo è che nel '48 Tocqueville si lascia alle spalle l'America e al tempo stesso identifica un nuovo nemico: il socialismo. Il socialismo perché nel 1 847 erano usciti con brrande suc­ ces.'io due Jibri: i Prindpcs du socialisme di Considérant e, poco dopo, Le socialisme. Droit au travail di Louis Blanc. Il 1 848 fu, in Europa, l'anno delle rivoluzioni liberali; ma in Francia la rivoluzione prese sembianze socialiste. Il socialismo contro che cosa? Più tardi si dirà: contro il libe­ ralismo (che in Francia aveva avuto uno dei suoi massimi autori in Ben­ jamin Constant). Ma al momento, nel t 848, la parola liberalismo non aveva attecchito. E dunque Tocqueville dice 'libertà' e il suo contrasto fu tra socialismo e libertà. Il socialismo è l'eguaglianza senza libertà, mentre la democrazia è l'eguaglianza nella libertà. Mi sono chiesto se questo era un giro di boa. Sì, ma coerente. Per­ ché Tocqueville non abbandona la identifi c azione della democrazia con l'eguaglianza. Però, e al tempo stesso, imposta un nuovo dibattito: il problema del rapporto tra eguaglianza e libertà (che da lui arriva a Benedetto Croce e a Raymond Aron). Ma al momento vorrei solo se­ gnalare un'asimmetria nella contrapposizione tra socialismo e libertà. Il socialismo è un sistema politico, o quantomeno è un cismo•, mentre la - 2 -

libertà non è, da sola, una fanna di Stato, non è un «ismo». Nell'argo­ mento di Tocqueville manca ancora una parola e con essa un concetto essenziale: la libertà che si istituisce in liberalismo, e di conseguenza la democrazia caratcerizzata come liberalismo democratico, come liberai­ democrazia. Questa asimmetria va spiegata. L'antitesi, la polarizzazione storica, non era più, nell'Ottocento, tra monarchia e repubblica ma sempre più tra socialismo e liberalismo. Ma mentre nel caso del socialismo il nome precedette la cosa, nel caso del liberalismo la cosa precedette il nome. A detca di Harold Laski, che era un socialista fabiano, il liberali­ smo è stato la dottrina prevalente dell'Occidente per circa quattro se­ coli; ma per lungo tempo non ebbe un nome, non fu denominato li­ beralismo. Siamo noi che dichiariamo Locke e Montesquieu pensatori liberali; ma a loro il termine era ignoto. La parola liberales venne coniata in Spagna nel 1 8 1 0- 1 8 1 1 , e in un significato distorto, per indicare i ri­ belli spagnoli contro Napoleone. La parola inglese liberai arrivò in In­ ghilterra solo a metà dell'Ottocento e soltanto per indicare i seguaci di Glad'>tone. Peggio ancora, gli americani percepirono il loro sistema pri­ ma come una repubblica e subito dopo come una democrazia. La Co­ stituzione americana è, di fatco, il prototipo delle costituzioni liberali; ma gli americani non l'hanno mai intesa come tale. Così Robert Dahl costruisce nel suo A Prrfacr to Dtmocratic TI1eory ( 1 956) la nozione di «democrazia madisoniana» senza avvertire che quel costrutto è liberali­ smo allo stato puro. Tornando in Francia, è lì che con Momesquieu, Constant, gli auto­ ri deiJa Restaurazione e infine con Tocqueville, si dispiega la s1mmla più ricca e consistente di tutco il pensiero liberale. Eppure anche lì il nome ebbe poca fortuna. Come è stato ben ricordato da Duverger, «quando Laboulaye appose alla raccolta degli scritci di Benjamin Constane il ti­ tolo Col4rs de politiq14c co11stituticmellr intendeva dire Corso di politica liiJC· ralr. l regimi costituzionali sono i regimi liberali.» (in Droit ((ltiStitlllilllmrl et iustitutious politiq14es, p. 3). La notazione è esattissima. Il liberalismo e la politica liberale si riassumono nel costituzionalismo; e il costituziona­ lismo è la risoluzione del problema della libertà politica nel contesto della legalità costituzionale. Ecco perché, allora, Tocqueville dis.� libertà e non liberalismo. Ma quel che vedeva, o intravvedeva, era il contrasto tra socialismo e una democrazia che non era più la democrazia degli amichi, anticipando così con profetica genialità la democrazia dei moderni. Che fu, nell'Ot­ tocento, prima liberale e poi, subordinatamente, democratica. Dunque, c per rispondere al mio titolo, nell'Ottocento non ci fu democrazia tolll -3-

GIOVANNI SAR.TOIU

court. Nella seconda metà di quel secolo si affermò, piuttosto, un libe­ ralismo progressivamente democratizzato dalle estensioni del suffragio. Ma, insisto, in quel liberalismo era la libertà che prevaleva sull'egua­ glianza. Come diceva Croce, nel liberalismo il •concetto direttivo• è la libertà; ed è così perché dalla libertà si può arrivare all'eguaglianza, mentre dall'eguaglianza non si arriva alla libertà. La società degli eguali non è una società di egualmente liberi. Dicevo, seguendo i più, che il liberalismo (la dottrina, non il nome) comincia con Locke. Ma perché esordisce con Locke, e soprattutto perché nasce soltanto in Europa? La risposta di rito è di citare la tradi­ zione culturale dell'Occidente: la democrazia antica che rinasce nelle città-repubbliche medievali, la scoperta dell'individuo-persona, il giu­ snaturalismo, eccetera. Ma questa linea esplicativa non risponde ade­ guatamente alla domanda: perché allora? E risponde ancor meno al quesito: perché soltanto in Europa e non anche altrove? Perché non anche in terra islamica, per esempio? Questa domanda non è solo di grande attualità, ma stabilisce un ter­ reno di paragone - il paragone tra le due grandi religioni monoteistiche che non è stato adeguatamente approfondito. Forse perché ci appaiono oggi religioni troppo differenti per essere paragonate. Ma, intanto, para­ gonare non è assimilare; e nel paragonare le differenze non sono meno impananti delle somiglianze. E poi, fino alla fine delle guerre di religione (tra il 1 562 e il 1 598) il mondo cristiano e il mondo islamico si equivale­ vano in termini di intolleranza e di ferocia. Anzi, in questo paragone 1'1slam emerge come la religione più •buona» nel senso che non ebbe l'in­ quisizione e le peBecuzioni che insanguinarono l'Europa cristiana. Però in linea di principio le religioni monoteistiche (lascio da parte la religione ebraica, che fa storia a sé) sono accomunate dalla caratteri­ stica di essere particolarmente onnipervadenti e invasive. Sono infatti religioni •univeBali» che minacciano qualsiasi altra religione in nome di un unico vero Dio. Dicono e si dicono: se esiste un solo Dio, il mio, allora i non-cristiani o, rispettivamente, i non-musulmani, sono infedeli, miscredenti da convertire o da uccidere. Da questo punto di vista cristianesimo e islam si somigliano e, allo stesso titolo, si debbono combattere. Due universalismi possono coesistere in pratica ma non in punto di dottrina, non in logica. Difatti cristianesimo e islam hanno guerreggiato tra loro finché sono state entrambe religioni 'forti'; forti in senso materiale, forti perché (anche perché) am1ate. Ma questa forza non è mai stata uguale. Il cristianesimo si sovrap­ pone a una civiltà clas.'iica che incorpora senza però cancellarla. Soprat­ tutto, la Chiesa di Roma non ha mai conquistato il diritto. Ha man mano elaborato un suo diritto ecclesiastico; ma il diritto comune del-

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l'Occidente è sempre stato e restato il diritto romano. Tanto è vero che quando Savigny combatté, all'inizio dell'800, le codificazioni napoleo­ niche, il suo monumentale trattato contro il nuovo diritto codificato si intitolava Sistema di diritto romano attuale. Appunto, attuale: c'era ancora. Invece l'islam ha soltanto un diritto islamico. L'islam nasce pressoché dal nulla, pressoché dal deserto e sul deserto. E così mentre la società occidentale non è mai stata strutturata e innervata da un diritto religio­ , so e teocr.nico, la società islamica sì. E una differenza colossale. Una seconda differenza, che è poi un secondo (fortunato) elemento di debolezza, è che la Chiesa di Roma non ha mai posseduto in proprio «il potere della spada•. le annate che ha mobilitato e ispirato con le crociate non erano annate sue. E in tutta la sua lunga esistenza e so­ pravvivenza la Chiesa di Roma si è salvata (sacchi di Roma a parte) en­ trando nel concerto delle alleanze terrene e alleandosi a un sovrano contro l'altro. Mentre l'islam nasce e resta una religione combattente sostenuta da annate 'sue', da eserciti di credenti, da milizie fideistiche. Questi due motivi di debolezza spiegano perché a un certo punto la società cristiana si è laicizzata mentre la società islamica resta una società religiosa e teocratica. Con la scissione protestante e con le guerre di re­ ligione - che furono crudelissime - l'Europa uscì stremata e ansiosa di pace e di tolleranza. A questo punto né la Chiesa di Roma né le chiese protestanti ebbero più la forza di resistere all'emersione e affem1azione di un mondo laico che rivendicava la sua autonomia dalla religione. Nel mio argomento, allora, lo spartiacque che separa le grandi re­ ligioni monoteistiche sono state le guerre di religione, che l'islam non ha avuto e che invece avviano, in Europa, un irreversibile processo di netta separazione tra chiesa e Stato, tra spazio religioso e spazio laico. Senza questo antefatto non saremmo arrivati alla città liberale di Locke e dei suoi successori. Ed ecco perché il liberalismo nasce quando nasce, e soltanto in Europa. Due secoli prima gli illuministi sarebbero stati bruciati come eretici. Invece, nel Settecento ebbero tutti, seppur con tante traversie, salva la vita. Quanto sopra può sembrare una digressione fuori tema. Vuoi esse­ re, invece, una valorizzazione, una messa in prospettiva dello straordi­ nario passo in avanti compiuto dal costituzionalismo e dal liberalismo dell'Ottocento. Della 'piccola democrazia' o pre-democrazia di quel secolo noi siamo soliti parlare con sufficienza, e anche con malcelata avversione, in chiave di vicenda oligarchica, reazionaria, capitalistico­ borghese, e simili. Ma questi sono giudizi ingiusti e miopi. Come risul­ ta, appunto, dal paragone tra la scoperta europea della laicità e la sta­ gnazione islamica nella teocrazia. -

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C'è poi un altro aspetto del liberalismo democratico dell'Ottocento che è stato dimenticato ed è importante ricordare. Oggi dibattiamo se la democrazia presupponga benessere e anche, viceversa, se produca benessere. Ma quando la democrazia esordisce questo problema non si poneva. La cosiddetta democrazia ottocentesca non prometteva ric­ chezza, non prometteva benessere: poteva benissimo es.sere una �kmrir', 'democrazia', cfr. almt•no la voce dei G:$cllidu/icllr Gnmd�rffft'. intitolata W. CONZI! rl l.:r.uir ( 1 975), trad. il. lk· rlrfXTlitiq11r clt Royn-Colhlrd, c:it . • Il, p. 134.

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ra», e la democrazia stessa •è stata una guena: una guena dal basso in alto, del grande numero contro il piccolo•.'" Proprio questo incubo della democratizzazione, questo spettro della dissoluzione sociale che i dottrinari riprendono dai controrivoluziona­ ri, sarà l'aucentico obbiettivo polemico della Dérnocratie en Arnérique ( 1 835-1 840) di Tocqueville: il cui principale motivo di originalità, da questo punto di vista, consiste solo nel gesto di rottura con i pregiu­ dizi e le inquietudini antidemocratiche comuni nel rnilieu legittimista dell'autore, che era poi lo stesso dei dottrinari. In effetti, Tocqueville opera una concettualizzazione dei processi di democratizzazione che può stupire solo chi non conosca la letteratura politica francese dal Di­ rettorio alla monarchia di Luglio: non solo gli scritti degli stessi dottri­ nari, da cui egli riprende molti usi di 'démocratie', ma anche quelli degli ex repubblicani come Constant.lo L'idea degli ex repubblicani che riaffiora in Tocqueville, a ben ve­ dere, è proprio questa: che la democrazia non preluda affatto all' anar­ chie, ma semmai a una nuova fom1a di dispotismo. Ciò che anch'egli teme nella démocratie, come scrive in polemica sotterranea con Guizot, non è, •come molti pretendono in Europa, la sua debolezza, ma al con­ trario la sua forza irresistibile. Ciò che mi ripugna, in America, non è l'estrema libertà che vi regna, ma le poche garanzie che vi si trovano contro la tirannide'.u Del resto, sarà forse pensando proprio a Tocque­ ville, questo strano 'compagno di strada' della democrazia trionfante, che il Guizot esiliato e sconfitto del 1 849 lancerà i propri ultimi strali: appellandosi ancora, nel De la démocratie ttl France, a •tutte le forze con­ servatrici della società ( ... ] per accogliere e contenere insieme i flutti montanti della democrazia•.11 2. CoNSTANT E lA DEMOCRAZIA Se si cercano le occorrenze di 'démocratie' in Consta n t, apparente­ mente, si trova poco: sia nei grandi inediti del periodo repubblicano, 19 F. GUJZOT, lk la dhmxTalir daru ks sPCiélft.s 111odrnrrs ( 1 837), trad. it. Della drrrrourazia rlf'llr scto'riJ lfflldrnlf' in ID., Dr/la JCII'I'aniiJ, Napoli, Editoriale scicnti6ca, 1998, ri�pcnivamcntc pp. 1 36 c 1fl.1. 211 Per una più anicolata difesa di qul-sta tl"Si, cfr. M. IMRBEJus , ll lil""lllimw ril�t�l11zi011ari" r la srCJpma dr/la dtm�Xrd:till. &furivi ltKq11rvilliani prima di 1'«q•wvillr ( 1 989), ora in ID., Sr11r s111di slll librnrlisnw rivolrlzÌOIIario, Torino, Giappkhdli, 1 989, pp. 231 -257. l i Cosi A. DB TOCQUBVIU.I!! , Dt la Mmotrdlit trl An•rriq •r ( 1 835), l, l ,an5 , Gamicr Flamma­ • rion, 1 98 1 , p. 350 (1.2.7). ll Cod F. GUJZOT, Ck la a;.,ltKrlltit '"' l�rariCI', Paris, MaMon, 1 949, p. 1 25. -

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sia nelle opere del periodo monarchico, egli lo impiega abbastanza di rado, e quasi sempre nel senso della democrazia direua degli ancichi.2l Peralcro, e come si è visto, la scarsità delle occorrenze del termine, e i suoi impieghi nel senso di democrazia diretta, non escludono affatto la presenza di u n diverso concetto di democrazia, veicolato da termini o locuzioni come 'république', 'élection', 'représencation', 'souveraine­ té du peuple', égalité', 'perfectionnement', e simili. Come vediamo in questa sezione, in effetti, è possibile reperire in Constant un concetto di democrazia articolato in tutt'e tre le concezioni già distinte: demo­ crazia in senso stretto, liberaldemocrazia, democratizzazione. 2. 1 . Democrt�zia in senso strttto Nel primo e più stretto senso di 'democrazia' - governo legiuimato da elezioni - Constant usa una lunga serie di temtini e di locuzioni: fra gli altri, 'électio11', 'reprfse11tatioll, 'souveraineté du peuple' e simili. Ciò av­ viene a partire dai due grandi inediti del periodo repubblicano, dai qua­ li ricaverà gran parte dei testi ediri: i Fraxments Sl4r une co11stitution répu­ blicaine, tenuinato nel 1 802 e pubblicato solo nel 1 993, e i (primi) Prin­ cipes de politique, terminato nel 1 806 e pubblicato solo nel 1 980. Nel primo trattato, dedicato a temi costituzionali, l'opposizione fra monar­ chia e repubblica è fomtulata nei termini dei rispettivi principes, hérédité ed élection: manifestando un rifiuto totale del principio aristocratique della trasmissione ereditaria delle cariche pubbliche e una piena accettazione del principio démocratique dell'elezione. Nei (primi) Pri11cipes de politique, dedicati a temi filosofi c o-politici, la democrazia in senso stretto viene invece concettualizzata - come av­ verrà anche nei Prindpes de politique pubblicati nel 1 8 1 5 , durante i Cen­ to giorni - nei termini del principio deiJa sovranità popolare. A diffe­ renza dei dottrinari, che dopo la Restaurazione piegheranno a scopi moderati la critica controrivoluzionaria della sovranità del popolo, Constane accetta sempre, in tutte le fasi della propria produzione poli­ tica, la rivoluzionaria souveraineté du peuple. La sua critica di Rousseau - per fare solo l'esempio più noto - verte solo sull'estensione della so­ vranità, dandone per scontata la fame, cioè il popolo; come il suo mae­ stro Sieyès, che cita nei primi Prindpes, anche Constant avrebbe potuto n C fr. ad L"5Cmpio O. CoNSTANT, PrirlliFs dt pPiiliqllt applicllhks oÌ tc111s k .fOIIvtmmwms, tc:xtc Ctabli par E. HoPMANN . (�nCvc, Droz, 1980, p. 38 (1.6: d"ora in poi, Prirlli�s tk pPiiliqllt. 1 806. pc:r distingu.:rli da qudli dd 1 8 1 5): l.: fom1.: di governo elencate: sono •b monarchac. l'aaU10cr.ati.:. b democratic:, lc5 gouv�mC'rnc:nts mixtc�. le 5ysaèmc rC'pWscauatif•, c� distin­ guendo fra dc'-rmiCratir .: .�11/f'mtlt�t/1 rr,Wsrr�/dtif.

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ripetere: cÈ ben della sovranit.ì del popolo che parlo, perché se ce n'è una, è proprio questao, l4 Questa piena accettazione del principio della sovranità popolare e della democrazia viene talvolta posta in dubbio attribuendo a Constant - e prima ancora a ex repubblicani come Antoine Destutt de Tracy - la tesi dottrinaria della sovranità della ragione.25 In realtà, appare arduo non solo far risalire questa tesi al repubblicano Destutt, ma anche attri­ buirla a Constant: il quale sembra limitarsi a richiamarla solo nei discorsi parlamentari della Restaurazione, nei quali l'adesione alla sovranità del popolo sarebbe suonata alquanto imbarazzante.u. Più in generale, so­ vranità del popolo e sovranità della ragione sono tesi diverse, che indi­ viduano strategie politiche differenti, salvo oscillazioni tattiche fra l'una e l'altra: la prima accetta l'eredità rivoluzionaria e la democrazia in sen­ so stretto, la seconda cerca solo di eludere la scelta fra sovranità popo­ lare e diritto divino. Vi è peraltro un'altra ragione - più profonda dell'ignoranza dei testi che fa talora capolino fra i nipotini di François Furet - a spiegare perché l'accettazione della democrazia da parte di Constant sia meno nota del­ le sue critiche. 11 fatto è che Constant non si è mai nascosto che uno Stato democratico in senso stretto è più pericoloso per la libertà di qualsiasi potere precedente: che, o:quanto alcun tiranno non oserebbe fare in proprio nome•, diviene possibile se fatto in nome della sovranità popolare; che •la libertà può essere perduta nonostantt il principio della sovranità del popolo o addirittura per mezzo di questo stesso princi­ pio•.l7 Ma ciò mostra solo, come osserva Marcel Gauchet, che Cons­ t:ant è •uno dei pensatori più acuti della transizione democratica•, alle

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C fr. E.-J. Smvts, Opir1i"'' d11 2 llltlltlidCir, cit., p. 17: D. CONSTANT, llritKipts tlr polirU,rw ( I MI. H'1), cit .. pp. 22-23 (1.2): ID .. Prirldpts dr po/ili.JIIt o1pplictJblts à 1orrs lr R"'lllf'ftlf'lfftllls "'"Wl/· in lo., G1111J dt 1"'/iriqllt'CI)IUtillllionntllr, éd. par E. l.AaouJ.AYE, Genève, Slatkme, 1982, pp. 7-H: d'ura in poi llrinript'$ dr poli1iqt1t ( 1 8 1 5). n Così P. ROSAHV.w.oN, L- lfl(ltrftlll G11i.:lll, Paris. Gallimard, 1 985, p. 87, dove - proba­ bihnl."nte sulla scorta di un pauo della Pltilt1Sl1phir politiqr1r di Guizot, ma 5enza fornire riferi­ menti puntuali - si afTem1a che la teoria della sovranità della ragione sarebbe odevdopée dans le C:..mlllftllllrin• "'' l'Esprit dtJ /(liJ dr Momrsq11it11 que publie Desmtt de Tracy en 1 8 1 9 et dans Ics deux panies du C.lllllntrllorirr sut l'om""'Jll' dt FildiiRirri de lknjamin Consta.nl•. !6 Cfr. A.-L-C. llulun 01 TI\ACV, Cllntllfl'lllairr lllt l'rspl'il dts lllis dt MollltJqllinl ( 1 8116), Genèvc:, Slatkme, 19711, p. Ili (•Le: principe des gouwmements fondés sur l�os droits des hom­ m�os est b rorison•) e 8. CONSTANT, Disrt�••n à Id Clwmbrt dts ();p111ts, l . Paris, l >upont, 1 927, p. 2 1 1 : •Il y a deux dogmes également dang�reux, l'un le droit divin, l'autre la souveraincté illimit(-e du p�uplc. L'un et l'autre ont fail beaucoup de nta.l. l l n'y a de divin que la dìvinité; il n'y a de souverain que la jusr:ace•. n C.usì U. C.ONSTANT, Prirltipts dt l"'liliq•lt ( 1 80fi), cit., rispetrivam�nte p. 37 (1.6) e p. 2H (1.3: conivi al{giumi). ldl!f$ ( 1 8 1 5),

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prese con il grande problema dell'epoca, «la genesi convulsiva e non dominabile» della democrazia.1$ 2.2. Democrazia in senso ampio, o liberaldemocrazia Tzvetan Todorov ha recentemente etichettato Constant come «il primo teorico francese della democrazia liberale».,.. Constant, in effetti, accetta «la démocratie», nel senso stretto di «autorité déposée entre les mains de tous», solo a patto di attribuirle esclusivamente «la somme d'autorité nécés.�aire pour la sUreté de l'association»: w riconfigurando così la democrazia come liberaldemocrazia, rispettosa dei diritti degli individui e delle minoranze. Non è peraltro il primo a operare questa riconfigurazione: essa si trova già nel Sieyès di Tern1idoro, nell'identica forn1a dei due passaggi della critica a Rousseau. Nel primo passaggio, relativo alla fonte della sovranità, si accetta la democrazia; nd secondo, relativo all'estensione della sovranità, le si pongono dei limiti, costituiti dai diritti individuali. 11 Occorre peraltro insistere, reagendo a un senso di familiarità che ri­ schia di farci sembrare scontate le idee liberaldemocratiche_-1� sulla no­ vità del liberalismo di Constant, e di Sieyès, rispetto a giusnaturalismi, repubblicanesimi e costituzionalismi precedenti. Dopotutto è vero, co­ me Constant pretende sin dai primi Principes de politique, che nessuno prima di lui avesse elaborato altrettanto sistematicamente una teoria dei limiti del potere. n Dopotutto è vero, come scriverà John Stuart Mill ancora cinquant'anni dopo, all'inizio di On Uberty (t 859) , che «quanti ammettono limiti alle possibilità di azione di un governo, salvo si tratti di governi che a loro avviso non dovrebbero esistere, costituìn

Co�ì M . GAUCHET, &11jlliiiÌII Cclllslmll, cit., nspo:ttivaml'ntl' pp. 17 e 2 1 . Così T . ToooRov, &r!iilk, Napoli. Esi, 19K5, pp. 20K-241 , c S. HOI.MI!S, Ctl lorr l a ld 1illqllf'vilk: a11 •Annales lknjamin Constant•. Xli. 191J I, pp. 29-4 1 . dr l, 11aris, l>ufan, 1 822, p . -1 . 4 4 Cosi U . CoNSTANT, l' ultimo riferimento - i l motto /1111/ pPIIf lr pnrtrlr, r ''pk - è a !J.-G. CAIIANIS, Ql1rl· F q11rS soti.Jr la 1111Uvrlk l1aris, lmprimeric Nationalc, an VIli (171J9), p. 27. •� Per TOCQUEVJla, cfr. lo. . dtmocratir A ro/ q lf', cit., l, pp. 343-378 (1.2.7-8: i due capitoJi intitolati Dr I'Prrmipotrmr dr F. al · U r s rl dr srs tj{riS Dr q11i trm· Lr tynmrr«- tk la ll�t�jflritr), e Il. pp. 383-389 ( 1 1 .4. (•: il cap. intitolato Qurlk rspffl· dr drtpPtismr k� 1111ffl1ns drtm�em q11r 11111 à crai11dTr). Per � vedano anzitutto le ,(uc n:ccnsioni a Tocqu,·villc - Dr 'lillq"tvilh· 1111 l>t•rr«r«r i11 A111rricc� l (1835) c Dt· T«q•rn>ilk "'' llrr11t!f1«Y ;, Il (l H4U), �·ntrambc- m lo . . Collrttrd Works, òt., specie pp. 811-85 c 175-179 - c poi lo. . Orr Iibrdy. �-d. cit., pp. 219-2211. 286-287. F.M.

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C:PIIIIIIt'fltdirr sr" /'""'"'IIS "'' thr Rn'Ol111io11 i11 1-"mllfl' (1790), London, l>ent &: Sons, 19111, p. 93, cfr. almeno M . WINIU.IIll. , &tljmnill C.ìms/41111 rl 141 111h41pl/(orr dr la po11ssiffr, •Annallos Denjan1in Constant•. IV, 19K4, pp. 1-15. Cosi D. CONSTANT, Pf'illriprl dr fl"'itiqut (IKU(,), pp. 387 3H9 (XV .3); lo. . Dr l'rlpf'il dr ttmq11111r rt dt /'11mrpa1iP11, ed. cit., p. 173; lo . . Pf'i11riprs dr politiq11r (IHIS), p. 103; lo . , Additit>IIS rt rrotrs (IHIH) a lo., R�xiC��IS n11 lrs t1Hrstitutions rl lr.J,Rt�MIIIirs (IK14), ora in lo. . (.'cqm dr pP· litiqllt tCIIIstilllliiHmrl/r, cd. òt., ll, p. 293. Naturalmente, tutto ciò fa pensare non tanto alla /Jf. IIIIICI'a/it· r11 Ar1Jfriq11r, quanto a L'a111irn �imr Id riwlutio11 (IKS(,). 110

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CONSTANT E lA DEMOCP.AZIA

Eppure, questo Constant, che prende da Burke la met1fora della polvere, è lo stesso che prende da Paine l'esempio dei coloni americani, capaci di autogovernarsi - come anche Rousseau avrebbe forse ritenu­ to chimerico - nell'incervallo tra fine del dominio inglese e nascita de­ gli Stati Uniti.''1 Questo Constant che propone un e�nuoveau genre de fedéralismel) come rimedio ai mali della centralizzazione, è lo stesso scrittore individualista che coniuga éRalitt e libertt. Vi sarebbe spazio, qui, per riflettere, non ceno su Constlnt homo duplex,�>�� bensì sulle fatali ambivalenze di teorie della transizione democratica come quelle di Constane e di Tocqueville. Ma forse è più facile concludere non solo, con Todorov, che Constant è e� il primo critico moderno della modemitÌJ•,�� ma che è il primo critico individualista dell'individualismo, e anche il primo critico democratico della democrazia.

Cfr. D. C'.oNSTANT. Pri11ripts dr potitiq•tt ( 1 8 1 5), p. 1 0 1 : •Au commcncement de la ri-­ volution d'Amérique. depuis le mois de septembrc 1 774, jusqu'au mois dc mai 1 775, le congri-5 n'était qu'unc députation des législatcun des divene� provinces. ( ... ( Rien de p.1n c c �!�!� l�'::r:���!�!U: �:�::·i�::n���:e :�.�!=��;�i �?��� (���;�����d::. ����� & Sons, 1906, p. 223, l. ,.. Cfr. ancora T . TODOROY. Bmjami11 Constdlll, cit., pp. R 1 -K9 (capitolo intitolato Un rs· doppio M t��Wifldtko). 6� Cfr. ancora ivi, p . .15 (conivo nd testo). �J

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GIOVANNI PAOLETn DELIBERARE SULLA 'PIAZZA PUBBLICA'. DEMOCRAZIA, MAGGIORANZA E DECISIONE POLITICA I N CONSTANT Alfll mt•moritl di Car/11 Coccio/i

l t:arattl'ri piU spit:eati della rag10ne mno il dubbio, la ddihl'TaZIOrll', b t:omparJzione, 111l'lltrl' qul'i movi­ menti e qudll· azioni t:hc si annunciano COilll' la de­ cisione l' la cenl·zza provano wltanto il mcccanismo c la stupidid. {UuFFON, Disttlurs wr /rlibmuiw OrrHIImtcy (2): Ddldtirw Drlii!C'fdlillf' Drm«Mr)', a cura di J.S. Fishkin 1'. laslL'tt, Oxford, Dlackwdl, 21KIJ. Agli usi talora disinvolti di tali autorità fanno eccezione i lavori di Dcn1ard Manin, che hanno costituito, almeno nelle intenzioni, il modello di quC'Sta analisi (nonché- una voce in­ nuentc- nello stC'SSO dibattito nordamc-ricano). " Ncl linguaggio ordinario (in italiano c in &.mcnc, non in inglL'SC) delibcrazione signi­ fica sia la decisione chc una modalità pcr petvl'llirc a essa. Ncl senso specifico qut adottato, invece, la ddibcrazionc come proceuo di fonnazione della volontà viene conccttuahncntc: distinta dal momento decisionale, secondo l'invito di 8. MANIN, Vllltltrtf Rtrrémlt JtlibtTd/itllr? I:sqLtissr J '1mr tbhmt dr la dHibmtitllr politiqur, •le Dé-bat•, XXXIII, 1 9115, pp. 72-IJJ: 90-9 1 , un anicolo noto c citato quasi l'sdusivamentc nella sua traduzione inglese Otr �itiwwy mrd Dr/ihrmliiHI, •Politica) Thcory•, XV, 1 9117, pp. 3311-3611. Cfr. lo., Ptirrciprs tl�t_pHvmltHW'tll rr­ ,«st"rlldlif, Paris, Flammarion, 19962, pp. 4 1 -42 (pubblicato in una prima vcrYonc in italiano, con il titolo I...A Jtmomuill dri rLtOdrmi, Milano, Anabasi. 1993). C&. A. 1�. 111-librmtitllr tmJ I�iarl Dtomirllllitm, in Dr/ibrrdtiw /JrnJM'olt"y (2), pp. 140- 1 611: 1 40: MANIN, Volotr,; .�:,rémlr.. .. cit., p. 711 c lo., Prirrciprs. .. , cit., p. 253. rdtisdrrll Rnlllsstlldts, trotid tliStoniVtJ dr/ Ji

rilltJ I' Jtii.J dt'fii(I(Fd.Zid, Milano, Guc-rini,

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scimento di una funzione propriamente costruttiva della deliberazione politica, che non si limita cioè all'accertamento di interessi prepolitici perfettamente definiti prima della discussione e a prescindere da essa (la cosiddetta market theory della democrazia o 'democrazia aggregativa'. di cui la versione di Schumpeter è generalmente considerata il model­ lo). n In altre parole, nel caso della deliberazione il processo decisionale è anche un processo di jom1azione delle opinioni. La modalità della di­ scussione - la persuasione razionale (a) - dovrebbe poi caratterizzare la trasfonnazione della posizione di partenza in funzione della considera­ zione del punto di vista dell'interlocutore. Persuadere razionalmente ri­ chiede infatti di suffiagare la propria preferenza con argomenti com­ prensibili e condivisibili dall'interlocutore. Ma il criterio della persua­ sione sembra valere per lo più da parametro negativo: esso pennette di considerare come non-deliberativi i processi in cui le opinioni cam­ biano sì, ma per motivi di altro genere, ad esempio la convenienza che può scaturire dal mero mercanteggiamento dei voti.•• Infine, si presup­ pone che la deliberazione porti a una decisione (c) . Il punto è solo ap­ parentemente banale, dato che, se tutti ritengono che la decisione sia di fatto il temtine a cui la deliberazione tende, alcuni considerano tuttavia tale esito come un fine secondario della deliberazione (/Jy·prod1W), la sua vera fi.mzione essendo un'altra. Tra i presupposti della nozione di deliberazione c'è una caratteriz­ zazione ancipite dei SORKtlti deliberanti, che si suppongono di diritto dotati di un'uguale capacità di giudizio politico (almeno minimale), an­ che se di fatto la situazione iniziale è quella di una diversità dei punti di vista o delle infonnazioni disponibili a ciascuno. Il criterio del giudizio, più che costituire un'espres.'iione di ottimismo antropologico, vale an­ ch'esso soprattutto da impedimento alla legittimità di decisioni prese per conto terzi, in base a una loro presunta incapacità di giudicare (se­ condo il celebre motto tout pour le peuple, rien par lu1). Il riconoscimento della diversità o disuguaglianza (almeno iniziale) impone invece che sia presa sul serio la pluralità dei punti di vista, non come imperfezione transitoria, ma come componente essenziale del processo decisionale: in questo il criterio della deliberazione si vuole alternativo a quello delI l Anche se talora �i tratta di un modello caricaturale. Sul tema cfr. almcno J. ElSTBR, 'IJw M.lll«t IINII tl1r Pon1m: "l'h'" V.uirtits ".f Politiclll 11wory, in IJrliNMiivt IJrmiiCT«y ( l ), pp. J.JJ: 4· 1 1 (si tratta di un :anicolo originariamente pubblicato nel t 9H6). la di�rinzione n·.a demo­ crazia dehber:ariva e :aggrcK:�.tiva è efficacemente riassuma e discussa da A. I'JNTOR..E , l diritti dtlla dtm«TIIZÙA, Roma·Dan, Laterza, 21MIJ, pp. 47-53. •� Cfr. MAMN, Iln'Nripu.. . , cit., p. 254.

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DEMOCit.AZIA, MAGG IORANZA .E DI!ClSION.E POUTICA IN CONSTANT

l'unanimità, che ha a lungo orientato l'interpretazione giuspolitica della regola di maggioranza. 1 5 Il fatto che la pluralità dei punti di vista sia pre­ sa sul serio comporta la costitutiva incertezza deU'o�tto della delibera­ zione: il dominio della deliberazione - e quello della politica, nella mi­ sura in cui la deliberazione ne costituisce un'espres.�ione appropriata -. a differenza, poniamo, di quello delle scienze esatte, coincide con una materia incerta, suscettibile di interpretazioni e soluzioni opposte. Non si delibera invece, nel senso proprio del tem1ine, su ciò che è «lumino­ so, semplice, evidente».'"' Si è espressa questa caratteristica della delibe­ razione distinguendo le 'credenze tecniche', fondate sulla certezza della connessione fra una determinata scelta pubblica e i suoi risultati, e 'cre­ denze di equilibrio' (le credenze sulle credenze altrui): è sulle seconde, per definizione incerte e ipotetiche, che la deliberazione verte, se si vuole attribuire a questa nozione un senso non generico. 17 Infine, vi sono vari modi d'intendere la funzione della deliberazio­ ne. I R È possibile distinguerli a partire dal nesso più o meno stretto che stabiliscono tra deliberazione e decisione. Alla deliberazione si può at­ tribuire in primo luogo un valore slnlmtntale, come mezzo per otcenere una decisione in caso di conflitco tra opzioni alternative. •• Tale mezzo ha questo di peculiare, che porta a una restrizione delle scelte possibili: vengono ad esempio escluse per definizione quelle basate su un'ingiu­ stizia o sul mero interesse personale, in quanto non condivisibili e dun­ que impos.�ibili da assumere a fondamento di una persuasione raziona­ le. 20 Si suppone di nomta che questa selezione delle scelte garantisca un miglioramento della qualità della decisione finale: miglioramento ten­ denziale, perché, in quest'ottica, i risultati migliori (più giusti, efficaci, ecc.) sono il fine a cui la deliberazione mira, senza che i soggetti deli­ beranti possano essere mai sicuri di averli davvero raggiunti. Tra deli­ berazione e dubbio c'è, in altre parole, una stretta affinità. Altre due posizioni sono invece accomunate dal fatto di attribuire alla delibera15 Cfr. lo., Vol.1111f Rtnùalt.. . , cic,. pp. 75-7H: J . GAUD!MET, UrUJrlimilt rt ma)IIS 1111 qllrflflltS NllllrS d«rrtrs), in l:,.��rs l•istoriqllt d LI mnrhlirt Jr Noi/ DiJirr. Paris, Mont­ t•hmticn, 1%0, pp. 1 49- 1 62, Anche se non tuni i 1corici ddibcrativisti sono esenti da nonal­ gic per l'ideale dell'unanimità (come ricorda A. P1NTOJUI, "P· cit., pp. 65-67), 1 a MANIN, Vol.mtf .�rmTalr. . . . cic., p. 7'J. " I'RzawoP.SKI, art. rir., pp. 1 42- l 44, l 54; cfr. Il. Mnl.lla , IJrlibt-mriw Dt.,IOCTIIC}' arrJ .'Wial Cl1idu �/f«r.: (111 k pomt.WXr du libùorlismrfratl(.ris. IJaris. Fayard, 1 997, KO-K 1 , dalle cui ossc:rvazioni ha preso IL· mo� anche qut."!ita ricerc:a.

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È proprio per conservare la facoltà di modijìcaJ'(' le opzioni di partenza - 'gli interessi parziali e momentanei dei suoi committenti• - che il rap­ presentante deve conservare libertà di scelta e di giudizio, al riparo di un mandato non revocabile a volontà.26 D'altra parte, la valorizzazione della diversità o pluralità delle opinioni potrebbe essere malintesa, ad esempio come un ritorno alla gerarchia dei privilegi contro il principio rivoluzio­ nario dell'universalità dei diritti, se non risultasse indissociabile dall'altro predicato che definisce il soggetto della deliberazione, la capacità di giu­ dizio politico. Capacità che Constant, in polemica esplicita contro i teo­ rici di una gestione elitaria delle decisioni politiche, attribuisce ai gover­ nati più che ai governanti, al popolo più che ai detentori dell'autorità: n Nel porere si rrova qualcosa che falsa sempre in una certa misura il giu­ dizio. Le probabilità di errore della forza sono maggiori di quelle della debo­ lezza. La forza trova le sue risorse in se srt."liSa. La debolezza ha bisogno della ragione. A parirà di condizioni, è sempre verosimile che i govemanti avranno opinioni meno giuste, meno sane, meno imparziali dei governati.

Il fatto che il processo deliberativo ricorra per definizione alla per­ suasione razionale - elemento (a) della nostra definizione - ha poi co­ me conseguenze una selezione delle preferenze e un innalzamento del­ la qualità della decisione. Selezione delle preferenze, perché interessi radicalmente non condivisibili e nemmeno argomentabili - ad esempio basati su un'ingiustizia o sulla più stretta convenienza personale -, per quanto plausibilmente sostenibili nel caso di una decisione privata o in­ teriore, non possono entrare nel processo deliberativo pubblico, e de­ vono perciò essere quantomeno nascosti: 28 Tra gli interessi e le opinioni c'è questa differenza, in primo luogo che si nascondono gli uni e si mostrano le altre, perché quelli dividono e queste uniscono (ralli('trt); in secondo luogo, che gli interessi variano in ciascun indi­ viduo secondo il suo stato, i gusti, le circostanze, mentre le opinioni sono le nesse o almeno appaiono tali in tutti coloro che agiscono insieme; infine che con il calcolo degli interes.'li ognuno può dirigere soltanto se stesso e, quando vuole impegnare gli altri ad as.'lecondarlo, deve presentare loro un'opinione che li illuda sulle sue vere intenzioni.

Vl.2, pp. 2().3 c 265 nota a. (IKI.I(J), 111.3, pp. 72-73: cfr. CoNST.wr, Ctlllllllrtlfllirt• mr l '.m� dr IK22, l , p. M. LI polenm::a di Constam si rivolge in pmic:ol:an: contro C:abanis, l'autore dd molto •toul pour le pcuplc, ricn p:ar lui•. l� llrlrrtipts dr p.>litiqur (IKI.I6). I .J. Jll; il reno è riprno ndle Additiorrs n notrs tirffs drs p,;,. tiprs dr ,.,,itiqr•r dd IKIK (rir. in CoN51".wr. Errirs 1J01iriqr•rs, l"ir p. 797 n. ) . 16

l:nwrtlt"llb,

l7 l'rirlrillfS dt p.>litiq11r HlotiiRirli, Jl:aris, l>uf:an.

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DEMOCRAZL\, MAGGIOit.ANZA .E D.ECJSIONE POunCA. IN CONSTANT

Nell'agone politico, rendere presentabili o «ridclare• le proprie pre­ ferenze (launderinx preftrences) non equivale dunque necessariamente a uno sforzo di moralizzazione, a un'universalizzazione in senso kantia­ no, ma può anche consistere semplicemente in un'illusoria operazione di nascondimento dei propri intenti.29 Rest.a il &tto che il grado di oc­ cultamento sarebbe ancora maggiore se deliberazione non vi fosse e Constant si mostra convinto che nel complesso tale processo porti co­ munque a un miglioramento della decisione collettiva: «Niente di ciò che è vile piace al popolo in assemblea. [ ... J Ciò che si fa per smuovere una riunione numerosa deve apparire in piena luce, e il pudore modera le azioni pubbliche; ma quando si striscia davanti a qualcuno per implo­ rarlo isolatamente, ci si prostema nelle tenebre e il servilismo non ha più limiti•.lll E ancora: c.Un potere [ ... ] che necessita di discus.� one, conserva almeno le fanne e l'abitudine del ragionamento•. J l Va sottolineata l'insistenza di Constant sugli aspetti, per cosi dire, forzosi della deliberazione (c.Costrrtti a deliberare insirmr, i rappresentanti si accorgono presto dei sacrifici rispettivi che sono loro indispensabili•) e sulla bontà tutta relativa dei suoi esiti. La pratica deliberativa gli ap­ pare innanzitutto come una necessità a cui il corpo sociale deve sotto­ stare - laddove, s'intende, l'autorità sia fondata sul consenso e non sul­ l'arbitrio - al fine di pervenire a una decisione: «Dato che la società de­ ve pronunciarsi (la société drvam proncmcer), uno dei due deve trionfare: il più forte o il più debole, il più numeroso o il meno numeroso». n Ve­ niamo così al terzo e ulcimo elemento della nostra defi n izione iniziale, il rapporto tra deliberazione e decisione (c). Tale rapporto può apparire ovvio, e come tale appariva ai primi teorici del sistema rappresentativo - da Locke e Montesquieu a Sieyès ll - per i quali non ci si riunisce se non per discutere e decidere: «Ci si riunisce - ripete Constant - solo �� Cfr. ELS'TD. • .,,, til.. p. 12 e soprnttutt(J R. E. (;ooDCN, LA1md1Tir�,e l�krrllti.'S, in I:C.1111· du/ra/ St>tial, in lo., a:rwrrs ((1111/llfus, I l i , Paris, Gallimard, 1 964, hbro Il, cap. J, p. 37 1 (trad. it. Il CCI/1/rti//O socialt•, a cura di U. Carn..-vali. Milano. Mondadori, :mo2, pp. 5 1 -52: •Se i Cittadini, quando il popolo adcguatanll'ntc infonuato ddibt•ra, non comunicass..-ro m alcun modo tra loro, dal t-,rr.m numero di pin·ol..- diffcr..-nzc risulte­ rebbe sempre la volontà gt'llt'r.Jic, e la dclibcrazioinc �arcbbc sempre buona•). Per un com­ mento di qut">IO pas.w in rapporto alla teoria della deliberazione, cfr. MANIN, Volc>llli: .�hlé­ ra/c, cit., pp. 7H-79. M> /'ri11ripo dr l'••litiqur ( 1 !106), 1.2. p. 5 1 . -

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DEMOCR.AZIA. MAGGIORANZA E DECISIONI POU'I1CA IN CONSTANT

danno della verità• . .n Il punto è che, in materia di decisioni politiche fondate sul consenso, la verità non è un punto di partenza, ma un (ideale) punto di arrivo: «La verità non è solo buona da conoscere, ma anche buona da cercare•.» E d'altra parte, la ricerca della verità in un'epoca «d'illuminismo•, come l'avrebbe chiamata Kant," non consiste in nient'altro che in una transazione fra opinioni ragionate, cioè in una deliberazione: «Ora che è arrivato al punto di non riconoscere più ad alcuna potenza occulta il diritto di comandare alla propria ragione, l'uo­ mo non vuole consultare altro che questa, affidandosi tutt'al più aDe convenzioni che risultano da una transazione con la ragione dei suoi simili•.'"' 4. Naturalmente, non s'intende qui fare di Constant un deliberati­ vista ante litttram. La nozione di deliberazione porta con sé una certa colorazione utopica, evocando l'immagine di una società trasparente di individui discutenti e raziocinanti, colorazione che, con alcune ecce­ zioni, la letteratura recente - d'ispirazione habennasiana e non - non sembra aver contribuito a stemperare."' Questo ideale di una società deliberante stride con l'orientamento scettico e disincantato del libera­ lismo constantiano, per cui un ordine ideale o men che meno traspa­ rente, un assetto costituzionale perfetto, semplicemente non c'è. Ma se non si dà un mfRiio politico, si può tuttavia dare (e si dà) un �io: il dispotismo dei moderni già rammentato, il potere autoritario «di uno solo o di alcuni, rebrnanti con l'autorità e a nome di tutti•. Ed è proprio qui - all'interno della vocazione antiautoritaria del pensiero politico di Constant - che la riflessione sulla deliberazione conserva una sua vali­ dità, come elemento di contrasto, con funzione non normativa, ma cri­ tica e conoscitiva dei princìpi sottaciuti che infom1ano le teorie-matrici J7 lvi. p. 50. lll PriruiJil'S dr politiq111' ( 1 HIH'•). X 1 V . 2 , p. 3620; cfr. l'rmdJH'S da• pttlitiq111' ( 1 K 1 5). X l , p. -1 1 7 : • M a c ' è int'ertt'Z'Za i n tum.· l e cow mnam:. Per libcr.nsenc dcfinitivamcme. l'uomo dovrebbe n"iSan.' di L'S!icn: un L'S!iL'n' morale. Il ra.,>ionamcnto non è ailro che una cmnp.uazione fra ar· gomcnn e probabilità. Chi dict• comparazione dice possibilità di errore. c di conseguenza in· certezza•. 19 l't·r distinguerla. com'è nolo, da un'epoca che fo� già compiUiamcme •illuminata• (1. KANT, Risposta d/la �malldo: (ÀJS'( Jll,,llilliSIIn•?. in ID . . Strilli di stc�ria, pc!litita r dirillc•. a cura di F. Gonndli, Roma·Uari, Laterza, 1 995, p. 50) . .ao U. CoNSTANT. l'k M,pl'!l(ttibilitt dr l'rs,«r 1111/Pidillr. in ID. • Mrtm,�s dr littrmtlll'f' rl dr JIO· litiq111' ( 1 H2'1), ora in In., lirrits JIOiitiqllt$, cit . • pp. 71KJ.20: 7 1 '1. 41 Un'anali�i critica della compmita famiglia dcllt• teorit• della dcmocrnz1a dclibcr:lli\·a in A. l'wmR..E, l dirilli dr/Id dnlkl«d;:i,l, cit .• np. 2 ( V'w pl'fl(rdimlii o1//d d.wkl(rdZid). -

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di dispotismo. L'ovvia differenza di contesto storico tra il pensiero po­ litico di Constant e le recenti riflessioni sulla democrazia, se è da sola più che sufficiente a mettere in guardia da comparazioni immediate, si traduce anche in una fondamentale differenza di orientamento. Orientamento critico e negativo da una parte, nella misura in cui l'a­ nalisi constantiana della tirannia della maggioranza si situa pur sempre all'interno di una teoria generale della limitazione del potere; orienta­ mento costruttivo e nonnativo dall'altra, nella misura in cui il recupero odierno della nozione di deliberazione è nato dall'esigenza di elaborare una teoria della democrazia che ristabilisse come un valore la parteci­ pazione politica, cioè un 'istanza per lo più sentita - a tono o a ragio­ ne - come contraria alla limitazione del potere e ai suoi tradizionali correlati, lo Stato minimo, il laissez faire o la libenà negativa. La nozione di deliberazione in Constant mostra soprattutto la sua utilità - ed è questa anzi la sua peculiarità rispetto sia alle formulazioni settecentesche sia a molti dei recenti sviluppi democratici - come stru­ mento per mettere a fuoco le patologie del processo di decisione po­ litica, fra cui quella che pona alla tirannia della maggioranza. L'ideale della deliberazione pem1ette di giudicare situazioni concrete, a seconda di quanto si discostano dal suo metro. Si tratta in primo luogo delle «apparenze di spirito pubblico• di cui si ammanta il dispotismo dei moderni. Esso in realtà non tollera le voci degli oppositori e ama il silenzio. Ma è anche costretto a dis.liimulare il silenzio effettivo dietro un simulacro di discussione. Si va, in crescendo, dal c.silenzio rigoroso» dei corpi elettorali di notabili della Costituzione dell'anno v n vz i cui delegati «tacciono o applaudono• ai decreti del­ l'esecutivo,41 alle «arringhe accademiche» di assemblee divise in fazioni, in cui «gli oratori si succedono senza incontrarsi•,"" ai proclami di quella che oggi si chiamerebbe una stampa di regime � ' o alle clamorose ac­ clamazioni dei plebisciti. �" Tutte fonne di comunicazione asimmetri�� l;l't{I!NII'tiiS, V1.7, p. 2'-).1; /Jri,lfi,.-s dt· IIf.)/ifitJIIt' ( I HUl1), ( I H I S) , V, p . .1511.

X V. 5. p. 39M: Prilu:ipt•s dr ,..,itiqllt'

VI.M, p. 31 1 1 : cfr. /JrirKi/lt'l dr tlf.)/itiqllt' ( l HOC.). X V . 5 , p . .l'Hl. "'"' Prillcipt•s dr 11t'litiIIItitiPI rt Jrs prirlrillt'l q11i dt.»llf'/11 ftmdrr la rtp11bliq11r r11 hm« ( 1 79M). edizione di L. OMACtNJ, G�·nèvc. Droz, I IJ71J, pp. 201-2112: cfr. H. CoNSTANT, ronq111:1r rt dr l'llslltpatWII, da111 lmrs Nf'IJtm«Niit ldt.rl, in Dl•�t!OkMiid. A C�t�lllt'IJdliam "'' IJmi«Ntin, Antitlll and M.Mftll, a cura di J . Ober e C. Hedrick. Princeton (NJ), Princcton UP. 1 99(1, pp. 9 1 - 10 4 : 97. 11'1 Cfr. N . Loa.wx-P. VIDAL-NAQUJ!T, Ll.(llnlldlioll dr I'Aihtllt'S """'Rf"iR': tuai d'hisllHi"RN· pllit 1750. 1850, in P. VIDAL-NAQUI!T, L..t dfnKII'rdlir Jlfffll"� VHr d'dillnm, l'ilris, Flammarion, 1991"1, pp. 1 6 1 -209. 10 È proprio a Mill che va più spcuo il rif,-rimento quando si tratta dd rapporto fra la democrazia ddibc-rativa c il mode-llo iltcniese. Su john Stuart Mill c- gli antichi, c&. E. UIAGINI, •La librrtà dtRii dlllid1i JMI'dR"'Iotla al/d libmd dti '""""''io, j,/111 Sllldll Mil/ r Id fltllt«NZid t1l1'11itsr, •Critici! Storica•. XXII, n. 4, 1 9K5, pp. 461.1-501 ; M.T. PIOGTTO, Vrm1 1m "'"'"" librrdlismo. U proposll' polilicllt' t s«i11/i fli)oh11 Smdll Mi/l, Mililno, FrancoAngeli, 1996, pp. 1 23-1 24: T.H. la.WJN, .Wi/1 a11d ,. Clmsitdl W11rld, in Thr CdfllbridJtt' CamlpdlliOII hl Milt, a cura diJ. Skorupski, CambridHC, CambridKc:" UP, 1 91.»1, pp. 423-463. Pe-r collocare Constilnt sullo sfondo della storiografiil &ann'SC' ddi'Ottocc-nto è utile C. Avt.AMI, L'krimrr dr l'l1is1oitt Jtlttfllr "' l;tdll((' 1111 X IX sihk: '"''IIOidlilts l1is1oriq11ts ti nljt11x poliiÙJIIrs, •Ron1antisrne. ReV\IC du Dix-ncu­ vième sièl:le•, XXXI, n. 1 1 3, 2U0 1 , pp. 6 1 -K5. Su Grotc, cfr. illmeno A. MOMIGUANO, G.'O.Ift' Grotr dlld 1l11• Smdy .if (Àffk His1ory, in In., C11111rilmllt•'s 1-lisk>l)' f!(Grff« ( I H53), in lo., GPI/mtod Worlts, X l , Toronro, Univcrsiry ofTonmro )Jress, 197H, pp . .107-.137: 32l>-327. Un'analisi ddb vin..Jda dal punto di vi:st:1 del fonziOJiillllemo dcii'Asst-m· bica in 1>. HELD, ."JUCt"t...sivc non furono capaci di disfarlo•. in

,\laill (lmr/1/s iu Amrn(ll/1 '11lllll,{!llt. A n l111llrill•llì ,. Sf11rid1mlitmitmt�lism, Durham. 1 964, trad. i t., Roma, 1991'1, pp. J sgg.; E.S. Coll.WJN, lJ1r Hilrrr Lau1 B.IC�rllmrd 11.fAmrrirllll C.mstilllli•mal Lllt', Cambridge. Mas.\., 1 929, trad. it .. Vrccnu, s.d .. pp. 73 s�.. da pant.' sua, metti.' g�ustJ.mcmL' in rilievo an­ che la lontana a�o•:endcnza di qut•sta concezione nelle �rs lr,t?WII dccroniant.', ma anch'L·gli trova nella riluscrta mcdievalL· dd diritto naturale - con John of Salisbury, Tonunaso d'A­ quino c Uracwn - c nd\'affcnmzione 'jura naturac sunt irnmutabilia ' , il punto di sviluppo 'ia dell'idea di legge superiore sil della 'common law' come suo Ùl·rivato c, ancora, della stt'� Magna Chatta. � Nel quadro della nuova società dcmonatica si pont·va, ncccs'\Jriamt•ntc. il problt'ma del superamcnto dd rr,�imr11 mi.>.:llt/11 montcsquicuviano con il radicamL·nto dci tre pott·ri nello �ota­ tu' sociaiL· difft·renziato giundicamclllt'.

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jUDIClAL A.l!VlEW E COVEP.NO Dm.L\ MAGGIORANZA

Bisogna, dunque, chiarire quale fosse l'intento dei costituenti e il significato delle clausole della Costituzione relative alla giurisdizione della Corte Suprema e dell'ordinamento giudiziario federale nonché alla supremazia della Costituzione stessa. 10 Non v'è dubbio che esse sta­ biliscono una chiara e inequivocabile gerarchia delle fonti e il dovere dei giudici di confomtarsi a esse: come avrebbe deno Marshall in Mar­ bllry v. Madison: 1 1 Se una nomta legislativa contraria alla Costituzione è nulla, può essa, no­ nostante la sua nullità, vincolare le corti del paese? ( ... J in alcuni casi, allora, la Costituzione dovrà pur essere esaminata dai giudici. E, se es.�i possono pren­ derla in esame, quale parte di essa sarà loro proibito di leggere o può essere loro impedito di prestarvi obbedienza?

Naturalmente, la posizione di Jefferson riguardava anche, e forse principalmente, il rapporto tra potere costituente e potere legislativo, entrambi espressione della volontà popolare, della volontà del sovrano; donde la proposta, già fomtulata nelle Notes on Viwinia, che �ogniqual­ volta due dei tre rami del governo dello Stato, con una maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti, sono d'accordo nel ritenere ne­ cessaria la convocazione di una convenzione per modificare la Costitu­ zione o per correggere eventuali violazioni intervenute, una tale con­ venzione sia senz'altro convocata».

IO •La competenza dd potere giudiziariu si estenderà a tuui i casi. di diritto e di equità, che si pn:�en1eranno neU'ambito della presente Costiluzione, delle leggi dc:gli Slati Uniti e dci nau.ati conclusi o che s.aranno condu�i sono la loro autorità ) . . . )• (An. 1 1 1 . sc:z. Il): •La presente Costituzione e le lcoggi degli Stati Uniti che vcornono f.11te sono la sua auturità c tuui i trattati cundusi o che saranno conclusi sono l'autorità degli Srati Uniti, costituiranno la le�Q;t" w­ pn-ma del Paese e i giudici di ogni Sraro saranno renuti a confonnarsi a c!ISi quali eh.: powno esse n: lt• disposizioni in contrario ndb Costituzione o nelle leggi di qualsia.�i �ingoio Stato J ..• )• (An. Vl, sez. ll). I l Da questo punto di vi�ta, appare chianl chc- il Kiuramc-nto di fedchi alla Costituzion�· obbliga i Kiudici a esen:itan· i propri poteri cmtituzionali in ma difesa c , pcnanto, la loro fun­ zione è.· di pronunciarsi sulla validità costituzionale ddle leggi. Ma l'indipt•ndenza dci giudici e il loro potere di dichiarare le leggi incmtituzionali tlllll llml wid, non c:-rano stati invocati con­ tro l'assolutismo reKio, da Edward Coke - il qua.lco, nel famoso &nbm11 ttUt, aYC"va alfennato che, •quando una legge dd l,arlamento è.· contrastali!.: con la comune giustizia o ragione ) ... ) il diriuo comune pnO validamt•nte verificarla e dichiararla priva di efficacia• - e, contro l'a!tSO­ Iutismo parlamentare, dajames Oris - il quale, nella sua arringa colllnl i 111fi1s '!ftJSSistollla, diSSC": •Un:1 legge contro la Costituzione C nulla, una legge contro l't-quirà naturale � nulla• - e dallo st�:sso John Adams. il qualt' dis.� dello S1111rrp AN che •c."SSO dev't"W're nu'S50 da pane dai giudici perché contrario all'equità naturale e alla Costituzione•? E Jamt-s Otis, nel �uo pamphlet sui Ri)!l•ts '!{1ht British CPiPirirs tUSITJrrllllld prowd ( 1 7M), non aveva SOS[enuto ancht' cht• •il potere wprc:n1o in uno Stato è soltanto dij11s dimr; sm'ltameme parlando, infatn: il potcn• di_i1u da"' appanienc soltanto a Dio•?

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GIUSEPPE BliiTÀ

Il significato di ciò è che il custode della Costituzione è il popolo stesso e che a esso, dunque, va attribuito il potere di giudicare della co­ stituzionalità delle leggi. Non è necessario dire che un tale principio si risolve essenzialmente nel potere di modificare la Costituzione per adattarla alla le�PC!', cioè alla volontà del legislatore nel suo farsi. Jefferson, infatti, riservava proprio al potere elettivo e costituente del popolo la garanzia ultima nei confronti dei detentori del potere e degli abusi che da essi possono venire. Da questo punto di vista, egli giunse all'estremo di considerare l'in­ stabilità costituzionale della repubblica come necessaria a rendeme du­ ratura la capacità di preservare i diritti intrinseci e inalienabili dell'uo­ mo: gli strumenti giuridico-fonnali della Costituzione bilanciata, a co­ minciare dalla juditial review, non gli sembravano idonei a questo fine bensì solo strumenti di conservazione atti ad arrestare il mutamento e il progresso democratico o, comunque, a limitare il potere e i diritti dei cittadini e degli Stati. Era in questa ottica, dunque, che jefferson parlava dei giudici, in particolare di quelli della Corte Suprema, nel modo su�PC!'stivo che prima abbiamo ricordato. Ora, è proprio questo lo spartiacque che divide la posizione di Adams e Hamilton da quella di Jefferson. 11 Infatti, i primi due vedono tutte le garanzie nel funzionamento dei meccanismi istituzionali previ­ sti dalla Costituzione, la quale, alla fine, si pone al di sopra del potere stesso del popolo, limitandolo anche nel suo potere di modificare o cambiare la Costituzione: il principio regolatore di un tale sistema do­ veva trovare, allora, un diverso fondamento, e Adams non esitò a iden­ tificarlo nella lriglrer lmv trascritta nella Costituzione e nell'indipendenza dei giudici quali suoi custodi mentre, sullo sfondo del dibattito, restava l'ipotesi jeffersoniana della dichiarazione della costituzionalità della leg­ ge per mezzo del popolo cioè che il luogo per affrontare e sconfiggere leggi insensate e incostituzionali è il potere legislativo o l'arena della pubblica opinione. u I n n-;ahà, ;anch� JdT�non ;awva sostc:num. in pn.·n-dc:nz.a. che: •i giudici dovn-bbl.•ro di­ cbi;ar.m: nulla oKfli legge che sia contraria alla Costituzione: ddlo stato•. T.j!PFEJt.SON. Wrililt(S. dt .• IX. p. 2911: cfr. M. EtNAurn. "P· ri1 .• p. J l . Nel cono ddla rivoluzione - sia prima che dopo la dit"hiaraziom.• dell'indipendenza ddlc: colonie. quando si pose mano alla fonnulazione delle costituzioni dci nuovi Stati amc:ricani - ciò di cui si discus.� piì1 approfomlitamcntc, rag­ giungendo in gc:nc:ralc solurioni funzionali c soddisfacc:nti, c:ra appunto il prinl"ipio del ftllll· pari, come: cocllficazione ddlc leggi naturali secondo la tradizione che: da Locke ri�liva ad Harrintf:on c:, piU indiL"tnl, al lJano della Grazia puritano. CIT. J. ADI.Ms, l�{r11re �{ "" c;.,,..

Slillllicms �{Govmmlf'lll .\ili significherebbe oltrl·passare il confine che delimitl la compl·tcnza dd dipartimt•nto giudiziJrio l' invadert• il terreno del legislativo. Qul>Sta Conc respinge qualsia\i prelt"'sa a esercitare un \imill· potere•. Del resto, nd lontano dibattito sulla ratifica della Costituzione nella Convenzione della Virgmia, t·gli Jveva detto cht• •perfino il bill •!f ri_R/1/s dcv'c�ere considerato coml' una mera rarroman­ dazmm••.

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GIUSEPPE B\11TÀ

quando un giudice, a proposito di un processo, si pronuncia su un una legge a esso relativa, estende la sfera delle sue attribuzioni ma non ne esce, poiché gli è stato necessario, in un certo senso, giudicare la legge per potere giudicare il processo. Quando invece si pronuncia su una legge senza prendere le mosse da un processo, esce completamente dalla sua sfera e penetra in quella del po­ tere legislativo.

È appena necessario aggiungere che Tocqueville non intendeva esprimere una critica negativa ma constatava, semplicemente, come la funzione politica delle corti fosse intrinseca nel sistema senza che ciò signifi c asse confusione di poteri e di ruoli. Ma possiamo dire che la j11dicitd review si sia sempre mantenuta entro questi limiti e abbia rispettato il difficile equilibrio tra giudizio di costi­ tuzionalità e giudizio di opportunità politica? 19 Il dibattito su tali temi si è sviluppato fino alla recente contrappo­ sizione di due correnti di pensiero: la prima, detta imerpretivist, secondo la quale il limite della interpretazione giudiziaria della Costituzione è rigorosamente stabilito dalla sua lettera; la seconda, notr i111erpretivisr, che assegna alle corti il compito di scoprire, al di là della nonna scritta, significati e fondamenti giuridici nei princìpi generali, cioè, sostanzial­ mente nella higl1er law. Questa dicotomia corrisponde a quella che op­ pone il positivismo al giusnaturalismo; è attraversata dalle categorie del­ l'activism e del seY:,restraim come pure da quelle del convervatism e del pro­ gressivism. Sotto questo rispetto, i due poli non corrispondono alfatto all'una o all'altra posizione ideologica poiché sia l'interpretivism che il noti intrrpretivism sono, volta a volta, conservatore o progressista e ciò dipende ampiamente dal clima politico e culturale dominante nonché dalla composizione deUe corti, in particolare della Corte Suprema: già il giudice Iredell, nella sua opinione dissenziente nel caso Calder v. Bu/1 del 1 798, protestava contro la pretesa deUa Corte di giudicare di una legge secondo i princìpi astratti della giustizia naturale. 10 Z9 La Cone Suprema si è sempre auenuu. al principio, da L"SSI. stessa 5ancito più volte, di affidare all'oculatezza e aUa saggezza dd corpo npprescntativo, cosi come alle relazioni dei 'uoi membri con gli elettori, •la sola possibile garanzia contro una legislazione ingiusta• (Kirk­ l1111d "· HP�tllltiss , 1879) e che. quando una legge è soltanto non cquilibnta o imuilmcntc- op­ pn.'Siiva. l'appello dev'essere indirizzato al legislatore o al corpo elettorale- C' non al potere giu­ diziario (1\111lf"ll " · Ptnnsyl1111nid, 1 888). JO Su illlrrprrtivim• c nPIIintrrpn"lil'ism v . J . H . ELY, Drln«r•II"J' ,,.J IJ;st"m. A ·nlnlry "j),Ji­ rilll Rftlin�•. Cambridge. Mass .• 19811, spc-c. pp. 1 1 -43 e 1 8 1 . J•crL'SC111pio. il giudice Oliver W. Holnu-s - il quale, nel 1 8% ( I IJ8 U.S. 45, 19115). alfennava che •le- vere basi delle decisioni sono considerazioni di carattere politico c sociale ed è vano suppOI'TI!' che L"SSI!' �no discen­ dere dalla men logica c dalle di�posizioni genl·rali ,ti leMKI!' sulle quali nL'SSUIIO disc:ute• - notò - 94 -

jUDICL\1. llEVIEW E GOVEP.NO DEllA MAGGIORANZA

La Corte, come dimostra lo sviluppo storico del sistema costitu­ zionale americano, si è spesso trovata confusa nel conflitto politico sia nel senso proverbiale di �dove vanno le elezioni va la Corte•, sia nel senso opposto: molto spesso si è confuso tra la legittimità costitu­ zionale e una legittimità stabilita sulla base di una aleatoria 'coscienza

collettiva' o, peggio, della personale inclinazione politica o culturale dei giudici. Ma ciò è ben diverso dal dire che �la Corte Suprema degli Stati Uniti [così come le corti supreme dei singoli Stati l è il sostituto americano della Camera dei Lords ( . . . ) la vera e sola seconda camera conservatrice dell'ordinamento federale' oppure, addirittura la �terza can1era•.J• Nelle prime fasi dell'introduzione di una legislazione sociale negli Stati Uniti, fino all'epoca del New Deal, così come in alcuni momenti della lunga loua per i diritti civili dei nebri. la Corte Suprema ha avuto un ruolo talvolta di freno, talaltra di stimolo per una legislazione inno­ vativa e ciò, naturalmente, ha rinfocolato le polemiche intorno al co­ siddetto 'governo dei giudici'.JJ con fi.,rza eh� il •il X I V enumdam�nto non awva sancito come principio costituzionale la .'itatica sociak di Herb�n Spc:m:c:r, cht' st'ntbrava �sscre divenuta il Vdll,ec'ltl ddla Corte ( . . . ) . Qu�sto caso viene d�ciso sulla base di una teoria �conomica cht' una gran partt' del l,:anc non al·cetta ( . . . ) . Se mi chiedcuero se io accetti o no questa teoria, chiederei del tempo per poteri;� studiare prim;� di fue conoscere la mia opinione. Ma io non credo che sia qu�sto il mio dovere, poiché ritengo che la mi;� opinione in merito non ;�bbia niente ;1 che vede­ re con il diritto d�lla maggioranza di �o."!primere la propria opinione in una legge ( ... ) •. R. l>woiUUN , 'Idki11� Ri�bts St•ricmsly. New York. 1 977, p. 1 -19, lamentando eh� ancora, •incredibilmente, non si era avuta una fi1sione tr:a diritto costituzion:alt' t' !t'oria moralc:•. affennava che nessun costituzionalista avrebbe potuto ignorare la "l'Jwory t�/)11sti« di Jolm llawls: il che presuppone che la lenura. della Costituzione - sia da parte del legislatore chl' dci giudici - debba avvenire alla luce di quei principi morali. Sull'allivimro, cfr. J. GII.!ENMUM , /lllflltliiZitlllt a Gimtizia rostimziootJk r ditini Jrll'11omD •r«ii Stdli l!11i1i. l Rit�dici W�tm"ll r Bm:.lrr. Milano, 1 992. pp. Xli sgg.; W . A . Co x , op. til .. pp. 1 4 5 sgg. S. HOOK, op. cii., p. 79, ha giustamente f.uto ril�vare eh� il potere della Corte è soggctto, pratica­ mente, soltamo a quelle limitazioni l·he i giudici volessero evemualmente autoimponi Ut�· diti�tl st•{{rts"aiNI).

J l R.

l'owEu,

Legi�lation•.

1 9 1 9,

l'Juo p.

n . . Milano, I 'J'J(,, p.

l'ti/i« Ptlun- in Alfltrittm Comtilltlitlltd/ LAiv, •Joumal of Comparative cit. in E . l..wDA.T, U Rdi'Aglio. Uolo�-,'Tia. Il Mulino.

p p . 2117-2118. li

1 996.

1"1 da•

ltnrn•,

a cura di Nicola Mancucci c Mkhc­ p. 1 7K; TOCQUEVIUB. CoiTÙpcondf'llct. ci1 . • V I l i .

MARTINEAU. fk la $tlrihf dmi-ri(aim·, /Id' M. B.

Laftl(l1r.

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l , l'ari�. Ch:upcnrier, I M38, p. IX.

l PEIUCOU EIO LE INADEMPIENZE DEliA DEMOCRAZIA

4. DIVERSrrA DI IMPOSTAZIONE E RUOLO DEU'ARJSTOCR.AZIA

Nell'affrontare l'analisi della società americana Miss Martineau rifiu­ tò dunque il criterio prescelto da T ocqueville, consistente nel confron­ to tra le società aristocratiche e quelle democratiche. Troppi lo avevano fatto prima di lei, ma sopratutto riteneva che non si potevano parago­ nare sistemi e modelli di governo completamente diversi, come quelli esistenti tra la democrazia statunitense e le monarchie europee. Spes.'ìo questo confronto tra la democrazia americana e le monarchie europee nasceva, a suo avviso, da un intento di denigrazione. L'unico criterio corretto da seguire, accettabile anche dai cittadini americani, riteneva, poteva essere solo quello del confronto tra i princìpi scritti nella Costi­ tuzione e la loro applicazione. Ruolo dell'aristocrazia, rivoluzione francese e teoria dei diritti del­ l'uomo costituiscono il sottofondo costante dal quale nascono le più profonde diversità di impostazione ideologica tra Sodety e Dtmotratie. Ciò consentì peraltro alla Martineau di dare della democrazia la defini­ zione più classica e corretta, evitando, come fece TocqueviUe, di usarla come sinonimo di tendenza al livellamento.u In Tocqueville il ruolo dell'aristocrazia veniva spesso idealizzato, descritto in modo nobile e 'virile'. Anche quando Tocqueville non le­ sinava le critiche, queste nascevano da un attaccamento viscerale. Più volte aveva confessato di trovarsi più a suo abrio con dei gentiluomini, dei quale non condivideva né le idee né gli interessi, che con dei bor­ ghesi che la pensavano come lui.2' L'aristocrazia, scris.'ie, era infinita­ mente più abile nella scienza legislativa, capace di concepire vasti dise­ gni, conosceva l'arcana sapienza di far convergere la forza collettiva del­ le sue leggi, nello stes.w momento, verso il medesimo fine: «Il regime democratico è incapace di tutto ciò e la sua legislazione è quasi sempre difettosa o intempestiva•.2� Nelle lettere in cui esprimeva le sue idee con maggiore immediatezza, Tocqueville precisava che il suo arrender­ si alla democrazia non era avvenuto senza sforzo, che non considerava cii governo delle mas.'ie una cosa eccellente• e che il suo ideale restava aristocratico: c.Il goven1o più razionale non è quello al quale tutti gli n HAA.ow J . L\sKv, IIIIRodllrlit>ll, in TOCQUEW..l.l! , l�lrltlrralir, cit., l . pp. XXIX..XX X . n Am:he �-comlo Kt•rr, •Torqut•villt• avt•v.l pl'r l"ari�tocrazia ingll"'il' una simpatia di na­ �cit.t come per l"ariuot:rJZia fram:t'!IC•: cfr. TOCQUEVW..II , c:..,.:spomdlltKI' llll.fllllist". a cura di A.-P. Kerr, in Orllvn"S rc•mpt;trs. V I , l'aris, G.111imard, 21MIJ. p. 1 7 . 2 � TOCQUEVII.l.E, lkmormti•·. d i . , l , V I . p. 2 4 2 . È simomaticn c h e la t.lizinne ·dirilti del­ l'uomo• non figuri ne;mrhe nell'indice degli argomenti lrattali.

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interessati prendono parte, ma quello che dirigono le classi più illumi­ nate e più morali della società•.2' Per la Martineau, che riprendeva le critiche del radicalismo filoso­ fico di Bentham e Mill, gli aristocratici erano gli uomini delle paure e del passato, erano coloro che temevano di perdere i pregiudizi della lo­ ro infanzia, i princìpi di cui er.mo stati nutriti da maestri che avevano alimentato la loro presunzione.1" L'aspetto più criticabile della conce­ zione aristocratica era l'abbinamento costante, l'assioma, dato per scon­ tato, tra l'aristocrazia e l'elevatezza e la raffinatezza spirituale. La capa­ cità, l'intelligenza, il genio per la Martineau non venivano dalla natura abbinate né alla nascita né alla ricchezza. Al genio la Martineau attribui­ va una valenza politica: •Gli uomini di genio che sono stati aristocratici, lo sono stati nonostame e non a causa del loro genio•.17 Il genio era es.'ìenzialmente democratico. La politica seguita dall'aristocrazia in Eu­ ropa era stata dominata dall'egoismo e dalla ristrettezze di vedute e il popolo conosceva le classi elevate solo per le sofferenze loro inflitte.1" Per Tocqueville l'antica aristocrazia terriera riteneva doveroso occupar­ si delle neces.'ìità e dei problemi dei suoi sottoposti, mentre la nuova aristocrazia del denaro, che sorgeva dall'industria e dal commercio, era spietata e, «dopo aver impoverito e abbrutito gli uomini di cui si era setvita, nei momemi di crisi li abbandona alla carità pubblica perché li nutrisca•.l'l> Poiché le gerarchie erano inevitabili, nel Nuovo Mondo, dove non esistevano eredità feudali, si creavano dunque quelle non più basate sulla nascita ma sulla ricchezza, «un'aristocrazia volgare ovunque, specie in una repubblica•.-"' Ma, per la Martineau, era un errore definire i 'cittadini ricchi' la nuova aristocrazia americana. Un attento viaggia­ tore, senza pregiudizi aristocratici, avrebbe potuto incontrare i nuovi aristocratici non nelle banche, nei luoghi della finanza o in clubs esclu­ sivi, ma la mattina presto sulle navi da pesca, nei campi intenti a lavo­ rare la terra, nei negozi e nei colleges. 1 1 !S

MATTWCCI -Ihu'Atnll /r /rtrttf', cit., p. KJ. MAATtNI!AU, SMrly. c:i1., l. p. IO. Sulla posizione di Uemham e Mill. cfr. HAl.ivv . Ur 1 1 . p. 1 29. n MAATINiiAU, .'Wcirly, cii., l , p. I l . J.S. Mill awva �ri11o akum anicoli �'Il gc.•nio nel •Momhly Rcposiwry• dd I K.\2, ora in MD..L , A11tflbi�mpl•y m1d Ltrmry F.ssayJ, in Ct�lltntd W111k1, l, pp. 32K-J39. Sull ' intlucnza di Carlyll•, Vl'di :nu:hc M.T. PIOIETJ"O, Vtfltl llll /111(11111 fibm1lismt>. Lr P"'lll'str pt�lifi(/U' r s«iali di)fllm .'illl•ln Mi//, Milano, Fram·oAngcli, 1 9')(,, p. 22. !11>

_limllatitlrl, d1 . •

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Z9 111

Mi.aTtNiiAU, St>cit·1y, cit., l, p. 1 2 . TOCQUEVIW, Dml(l(t'llfit. c i i . , I l . p. 1 67. MAATlNI!AU, St>tij•fy. cii., I l , p. 1 69.

1 1 lbid.

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Una valutazione così diversa dell'aristocrazia e dei suoi valori rende chiaro il contrasto di fondo era la posizione di Tocqueville e queiJa del­ la Martineau. Per questa lo «spirito di casta», le divisioni sociali che se­ paravano gli aristocratici dal popolo, in una democrazia alteravano il carattere delle istituzioni democratiche e tramutavano coloro che ne erano intrisi da amici fedeli in figli perversi della repubblica. Per la Martineau quindi lo «spirito di famiglia», caratteristico delle società aristocratiche, non era stato complecamence distrutto dalla rivo­ luzione e poteva instaurarsi anche in una società democratica, per la quale la persiscenza dello spirito di casta e dell'orgoglio delle famiglie costituiva una minaccia. I legami tra gli uomini, per la Martineau, non si dovevano creare solameme in una dimensione, come quella ari­ stocratica, di subordinazione e di gerarchia, ma nella visione della fra­ ternità repubblicana, cioè democratica. Il primo capitolo di Society ;, America si apriva dunque con una lun­ ga citazione di Burke sulle 'inalterabili' relazioni stabilite tra gli uomini dalla Provvidenza. Per Burke, com'è noco, non si poteva modificare una fanna di bJ'Ovemo in base a teorie astratte non convalidate dall'e­ sperienza storica. Gli Stati Uniti invece avevano dimostrato che era pos. 'or.a innanzi, WJA. l WJA. IX, I K54, p. 5(,2.

l lvi, p. 2 1 7 . 4 WJA. 1 1 1 , p p . 2 1 4-2 1 5 . � WJA, l , I K 5 1 , p p . ') 1 -92. �> WJA. VI. I K 5 1 . p. -IliO.

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una contraddizione in tenninitt; elm C. Callwmr, X l , Univcrsity of Sou1h Camlina Pn'\!1 (Columbia), p. 27K. D'ora innanzi, l'C. PC, X l i . I'J79, p. KS.

IIJ7K,

l'

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La teoria calhouniana della tirannide della maggioranza culmina in quella della tirannide di chi controlla la maggioranza e in ullima analisi del capo carismatico popolare. Fin dagli anni '20 Calhoun sottolineò che la natura della presidenza americana era tale per cui essa poteva - affennò - etscivolare facilmente verso la monarchia•; processo destina­ to a concretarsi qualora l'elezione del capo dell'esecutivo risultasse ope­ ra di un' oligarchia organizzata in grado di manovrare gli elettori e de­ stinata in caso di vittoria a consolidarsi in virtù degli effetti di etun uso manipolatorio del potere di nomina degli uffici•.z6 Divenuto in seguito il più implacabile avversario di jacskon, Calhoun lo denunciò come co­ lui che aveva costruito un partito etpersonale e governativo• poggiante su un consenso popolare acritico e peiVertito, n che rivendicava di es­ sere «il rappresentante diretto del popolo americano•, da lui soggiogato mediante un «corpo mercenario•.z• Fu in questo contesto che Calhoun elaborò altresì la legge della superiorità che ha .. un corpo organizzato• su «una maggioranza disorganizzata•. In conclusione, per lui la teoria della tirannide deUa maggioranza andava vista come la tirannide di di quanti controllavano una maggioranza manovrata e incapace di com­ piere movimenti autonomi, utilizzata come forza da dirigere contro le minoranze al fine di menomame o addirittura schiacciame i diritti. Fu proprio su questo punto che Clay e Webster, su cui qui non mi sof­ fenno, raggiunsero Calhoun.z9

z•

PC. X. 1 97R. pp. IUR- 1 1 0.

z• z•

lvi, p. 3 1 1 . Per u n approfondimento dc:llc: posizioni d i Clay c Webstcr, rinvio al mio volume 1\1Roma-Dari, Luerz.a,

l7 )JC, Xli, cic . • p. 293.

tffl' � /ihMÌI IIrf •llt»ltko "leldm1t>. jol111 C:. Callu,,m: 1111 ,(f"IW i111bdrazzamr,

1996. -

1 24

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BRUNO DoNGIOVANNI

MARX E LA DEMOCRAZIA

L'Archivio di storia sociale di Amsterdam ha dato come segnatura. 85 al quaderno marxiano di Exzcrpte in cui si trovano trascritti nume­ rosi passi del Troclalus theolCJRico-politicus di Spinoza. Questo quaderno, come tutti gli altri testimonianza preziosa della cultura. e del modo stes­ so di lavorare di Karl Marx, fa parte dei Berliner Hiftc 1 e appartiene al­ l'ultima fase del periodo appunto berlinese. Lo si può datare tra il mar­ zo e l'aprile del 1 8 4 1 . 2 Marx sta per compiere 23 anni. La stesura della tesi di dottorato su Epicuro e Democrito, discussa in absemia all'Univer­ sità di Jena il 15 aprile, è sicuramente alle sue spalle.' La ricerca su Spi­ noza non è dunque finalizzata alla tesi. Si può piuttosto congetturare che sia effettuata in vista di un peraltro mai conseguito insegnamento universitario, in particolare all'Università di Bonn, dove l'amico Bruno Bauer, poi frustrato nelle sue ambizioni, aveva già trovato un posto. Il quaderno 85, in cui si riconosce subito la grafia di Marx, ha comunque caratteristiche particolari. L'ordine in cui i passi estratti sono trascriui non è infatti quello di Spinoza. Si comincia cioè con il capitolo VI, si va poi al XIV, al XV, al XX, al XIX. E così via. La leuura dell'in­ sieme sembra tuttavia avere una sua ratio e anche un senso. La copertina del quaderno, poi, porta il titolo Spinoza's Theolo�iscll-politiker Traktal, di pugno non di Marx, ma di un anonimo copista calligrafo. Sotto il titolo, tuttavia, nell'inconfondibile grafia marxiana, appare - si tratta forse di una confessione? - von Karl Heit�ricll Marx, &rlin 184 1, attribu­ zione che non si riscontra in questa fanna negli altri quaderni marxiani di Exzcrpte. Il marxologo Maximilien Rubel, incline a scorgere nella 1 Cfr. MIKlA (2), IV, l, p. 732. 2 Cfr. DRUNO DoNciDVANNI , l111mf111.:: itnlt a KAIU. MARX, Q!l.u/ttrl(l SpiM.::or 184 1, Torino, Uollati Uoringhicri, 1 987, pp . .16-45. J Cfr. Dif Pn11nt1ti011' w11 K,,, .W11rx.jrr�o� 184 1 . Eii11r Qllrllf'llf'dilitnl, Ucrlin. DiC'rz, 1 9K3.

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Kritik marxiana una permanente tensione etica, • ha per primo sottoli­ neato, nel 1 962, a partire da questo quaderno, le affinità e la spontanea sintonia tra il pensiero in formazione di Marx e il pensiero di Spinoza. � Successivamente, Alexandre Matheron, illustre studioso e commenta­ tore di Spinoza, ha, in modo puntuale e documentato, addirittura vo­ luto introdurre l'audace ipotesi di •un vero e proprio montaggio•.� Il quaderno sembrerebbe cioè in qualche modo contenere anche un testo di Marx serino con le parole, e gli argomenti, di Spinoza.7 Proprio all'inizio del 1 84 1 viene d'altra parte pubblicata la Triarchia europea di Moses Hess, un testo e un autore destinati ad avere, negli an­ ni '40, una solida influenza su Marx. 8 Hess, precocemente giunto a una sorta di comunismo messianico, aveva del resto già scritto, e pubblicato a Stoccarda nel 1 837, La storia sacra del1'11ma11ità di 1111 allievo di Spi11oza.' Ed è proprio dall'incontro con Spinoza che si può far scaturire, in Marx, la presenza di una prima concezione, che si può definire es.� n­ zialistica, e nel contempo storico-messianica, della democrazia. Nel quaderno BS, con particolare succes.�ione logica tra i passi trascritti, vie­ ne infatti condensato il capitolo XVI del Tractaus sui fondamenti dello Stato e sul diritto naturale e originario di ciascuno, diritto che si estende sin dove si estende una potenza che, nello stato di natura, inevitabil­ mente ingloba la cupidigia e la forza. Gli uomini, però, e più precisa­ mente a partire da Mosè e dall'affermarsi della legge, comprendono che Cfr. MAXIMIU!N RUBBL , Karl Mar;t..·. �" Ji bif.1R"!fia in1tllf'l111ak. l'rolt�'''""'; l'f'' ''"" w­ l'adcn1o Dugnano (MI), Colibri, 2(MII (cd. orig. 1 957). Cii. ;mchc U. 1JoNG1o. in &1/tJptlnisnw etStJrism" t nisi Jtlla S«ittà. l...11((i No•Jholnlllt t il rolpo di Sta"' tk/ 1651, a cnra di Manucla Ccreua, Firenze. Olschki, 20CJ3, pp. 1 23- 1 4 1 c zialistischt Scl•rf/irr•. lB.f7. J BSO. Ei11t Ausuuhl, a cura d1 Wolf�ng MOnkc, Vaduz, Topos, 19KU W cd. 11)(, 1 ) , p p . 7 5 - 1 6(,. Quc.�to testo venne pubblit·ato anonimo presso l'editore Witcand di Lipsia c fu una n,osta a un'anonima, l' favorevole a una supremazia comcrvatricc au�tro-russa, lillropdi· sc/1r ftlltarrl•ir, usciu. 5C111pn: a Lipsia nel I M39. Cfr. I>J&TU. GaOH, Lr R11ssia r /'nuiOOJJdrrlzd d'1:"11ropa, Torino, Einaudi, l �.�HO (ed. orig. 1 9 6 1 ) . 9 Cfr. M. H IS5 , /Jir lwili� (�sll•iclllr drr ltlt11sllrl•tit. V1111 rill�mJiillgtr SpilltntU, in Pl1ilon"· phitlllr 1111d St>zitJiistiscllt Sthr{fie11, dt., pp. 1 -74. •

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è socialmente indispensabile, e quindi decisivo ai fini deUa stessa so­ pravvivenza, regolarsi secondo i dettami della ragione. E arrivano a un patto che nasce sotto l'insegna della convenienza e che conduce aUa convivenza. Si uniscono, tuttavia, in modo da avere collettivamente il diritto che ciascuno poteva esercitare sul mondo. Il pensiero di Spinoza, prosciugato da Marx nel quaderno, pur par­ tendo da premesse egualmente realistiche e utilitaristiche, si distanzia qui radicalmente, e irreversibilmente, da quello di Hobbes. La società, infatti, e non lo Stato, detiene, da sola, il supremo potere. Ciò consente di fondare, legittimato da un patto che non è politico se non è sociale, un vero e proprio jus societatis, un diritto della società. E come si chiama tale diritto? ��Talis vero societatis jus Democratia vocatun, la quale de­ mocrazia, in questo contesto emancipata dalla tradizionale discussione tripartita sulle fonne di governo, viene a sua volta definita come l'unio­ ne di tutti gli uomini, i quali, avendo trasferito in se stessi il potere di ciascuno ed essendosi così costituiti in società, hanno collegialmente pieno diritto a tutto ciò che è in loro potere. 1 0 La democrazia è dunque l'originaria essenza della socialità. • • Certo, gli uomini, inizialmente restii a far uso in modo adeguato deUa ragione, e quindi prigionieri della su­ perstizione e dell'intolleranza, si sono dati costituzioni che prevedevano il potere di uno solo o di pochi. Ma erano in grado di stare assieme per­ ché alla base della convivenza vi era il patto che aveva fondato una so­ cialità che non era solo una condizione umana finalmente conquistata, ma anche un processo storico. Nella libertà di pensiero e di culto, ben individuabile nell'Amsterdam del suo tempo, Spinoza può allora rin­ tracciare, in una fanna ancora aurorale, l'esito del patto che si riallaccia concretamente al patto stesso, vale a dire l'esistenza empirica che può rivelare progressivamente a tutti l'essenza sociale. Marx, consapevole di vivere in una stagione di straordinarie trasformazioni, non ha più da­ vanti a sé, ovviamente, come prima cellula di tali trasfom1azioni, sol­ tanto la libera Amsterdam del XVII secolo. Sin dai primi anni '40, può intravvedere, anche sulla scorta della Triarcl1ia europea di Moses IO ·Si ) ... ) unu�quiSI.JUC onmcm. quam habct. potcmiam in soòetatcm u·.m�fcr:u. quac adl"O summum naturac JUS in omnia. h.c. )hoc est in Spinnu. Ndr) summum imperium sola retinebit, cui unusquiK(UC wl ex libero animo, vd mctu summi supplidi parere tcncbitur. Tali§ vero societatis jus Democratia vocatur, qual' proinde ddlnitur coctus univcnus homi­ num, lJUi rollegialitcr mmmum ju� ad onmia quac potcu habct (§ 3(,5) (KAJU. MARX. Qmr­ rl1•mo Spirroza 18-11, cit., p. 102). I l Cfr. U. DoNoiOVANNI , 1.11 dtnromr:ia, OIIWN l'rrrigma ri11•fto ( 1 98H). in lo . . l...t npfitf1r drfla storior. Ka" .W..rx tra la ri110l11:im1t fralltrSI' ,. la niticor dtf/,, p.>litita. Torino, Dollari Uoringhieri, I IJHIJ, pp. H l -HIJ.

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Hess, un mondo nuovo che si spalanca negli spazi tedeschi per quel che riguarda la teoria, in Francia per quel che riguarda la politica e in In­ ghilterra per quel che riguarda l'economia, e con l'economia il mondo industriale. Gli scritti marxiani del 1 842, e la stessa collaborazione alla ..Rheini­ sche Zeitun�, sono poi contrassegnati da un liberalismo intransigente e radicale. Al centro vi è la libertà di stampa e la lotta alla censura, la di­ fesa, contro l'invadenza politica della religione, di uno Stato fondato sulla ragione, e soprauuuo la critica della rappresentanza per ceti. In questi scritti non si discorre peraltro di «democrazia�. Nell'articolo a proposito dell' "Al!Remeine Zeit1mR» di AuRusta s11i comitati dei ceti in Prus­ sia, pubblicato il 31 dicembre 1 842 appunto sulla •Rheinische Zeit­ ung», Marx scrive però che «la rappresentanza non va concepita come rappresentanza di un qualunque elemento che non sia il popolo stesso, ma unicamente come la sua autorappresentanza•.11 Intanto, negli inter­ venti sulla legge contro i furti di legna, scritti due mesi prima, Marx si era accostato, per la prima volta concretamente, come riconoscerà nel t 859, u alle condizioni di vita del popolo e alla questione del pauperi­ smo. •• 11 2 1 gennaio 1 843 si viene a sapere che la •Rheinische Zeitun� verrà soppressa dalle autorità, a quel che pare su pressione addirittura dello zar Nicola l, irritato per un articolo in cui si denuncia nella Russia autocratica l'ispiratrice della politica estera prussiana. ��n governo mi ha rimesso in liberà•, scrive allora Marx, il 25 gennaio, in una lettera in­ viata all'amico Arnold Ruge . " Il 1 9 giugno Karl s i sposa c o n Jenny v o n Westphalen. D a luglio al­ l'autunno, in attesa di partire per Parigi, il che accadrà a ottobre, Marx, con la moglie, si ferma a Kreuznach, allora nota stazione termale, dove, oltre a riempire cinque quaderni di estratti, scrive l'ampio manoscritto sulla Critica della filosi#a heReliana del diritto pubblico, dato alle stampe nel 1 927 da Rjazanov e destinato a suscitare un dibattito filologico circa la sua datazione, dibattito cui parteciperà, con osservazioni as.'iai pertinen­ ti, anche Luigi Firpo. 1 6 Sarà poi confermato che il testo è appunto delu MAilX-ENGms, OptTt' rompktr, l , p . .1 1 3 C' MEGA (2), l . l , p. 2KS. n Fu nel V(l"""' (g�:nna.io 1K51J) a Zm Ktitik drr politisrllt'll (Jkctllollllir chc Marx ricordò chC' quL"SS:O fu il primo serino in L'Ui si occupO, sia pure da nn pumo di vis1.a giuridico-poliliL"O cd e1ico, di problemi economiro-soda.li. •� K . MARX, Dibattili Slllla Jr:«r rttlllr l'�-di1orc Wigand a Lipsia. Cfr. and1c lollENZ VDN SmN, Opr�r strlrr. l. Sltllior t' Milano, GiulfrC, 1 9HC., pp. 5 1 -95. n Cfr. MI!GA (2). IV. l. pp . .'\42-367. u Cfr. lJ. BoNGIOVANNI, lkm«ra::i11, dillall11tl, IPIItl di rlassr ( I 9H9), in lo., IJit MaD.· al/11 ra­ loUinifr dri wrmrrismi. •t'rllirltl>rir r 11111i11P111ir d1•l 1t1(iali1mP, Milano, Unicopli, 21MKI, pp. 1 7-52. 2• Cfr. MmA (l), 2, pp. I I H- 1 ."\ C.. 2 ' Cfr. MEGA ( l ) . 2. pp. 1 33-1 3€1. ll libro di Thomas Hamihon era appa'""' nd I H3.'\ - due anni prima deUa 1Jmi(1(Mtit "'' ArrWriq11r di Tocqucville - ed cbb�· subito due 1raduzioni fran­ (t'ii. L1 1raduzionc 1edl"SC:J fu rapidamt•ntc ristampata tre vuh�·. L'au1ore era rJd n·sto già notc.J mme mmanz1ere di sucn-sso (Cyri/ ·nwn""''· I H27). 21

So1(it•foÌ ,

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berale e da uno sguardo aristocratico, percepisce le tendenze sociali nel modo stesso di funzionare dell'incipiente democrazia di massa america­ na. La qual cosa pare attirare l'attenzione di Marx. Hamilton, in pani­ colare, descrivendo i paniti politici e la rivoluzione in atto, che defini­ sce *Silenziosa•, si sotTenna sul numero che acquisisce diritti e mezzi, vale a dire sulla massa che si potenzia in contrasto con la minoranza del­ le persone che sono dotate di proprietà e di cultura. La democrazia in movimento, insomma, è il luogo politico che favorisce l'espansione del lavoro operaio, le lotte sociali e la rivendicazione di una proprietà dif­ fusa in fonne più eque. Marx, del resto, ben conosce anche Tocqueville, che citerà poche settimane dopo, a proposito delle questioni religiose, nella judet�fra.'lr,u. scritta subito dopo la Critica a Hegel, vale dire nel settembre-ottobre del 1 843, e pubblicata a Parigi all'inizio del 1 844, negli Amurli franro­ tedrsclri. A fianco della democrazia-es:lienza si situano così la democra­ zia-numero e la contigua questione della ma�rioranza. L'analisi, panita dallo studio della società relativamente rigida degli ordini, che aveva fa­ vorito la ritles.o;ione sulla democrazia-essenza, si imbatte infatti nella so­ cietà decisamente mobile delle classi, la quale favorisce irresistibilmente la riflessione sulla democrazia-numero. Quest'ultima si affaccia in mo­ do già perentorio nella stes.o;a Critica del 1 843, sia pure in un quadro concettuale ancora egemonizzato dalla democrazia-essenza. Con il suf­ frabrio universale, veicolo per eccellenza della democrazia-numero, e in quanto tale ben diverso rispetto all'opzione censitaria della tradizione liberalmoderata, la società civile si appropria infatti della dimensione pubblica, la ingloba, si dissolve in quanto realtà separata e si trasfonna in vita concreta dell'autogoverno popolare. Le conseguenze sono dun­ que enonni. Così scrive Marx nella Cn"tica del 1 843: «la rt.fon11a elettorale è, dunque, entro lo Stato politico astratto, l'istanza del dissolvimento di questo, come parimenti del dissolvimelllo della società rivile• (Die Wahlre­ fonn ist also innerlralb des abstrakten politischen Staats, die Fordenm,R sei­ urr AuflOsung, aber ebe11so der AuflOsung der bUrgerlichen Gesell­ schaft). u La democrazia-numero realizza cioè la democrazia-essenza e annulla quella progressiva divaricazione tra Stato politico e società civi­ le che, come chiarirà meglio il Marx degli Armali .frat�co-tcdrsclri, e in panicolare della Judet�frcwe. aveva concluso la propria storica traiettoria !& K. MARX.

s,tfa q •,.stillllt"f'hrtli(d.

!7 K. MARX.

c;rilim drff,l./illls�a l11�idP1d drf diri/111 p�•IJbliro.

p. 352.

in MARX-ENGw.

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d1 . • p. IJt'1 t" cii . • pp.

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con la rivoluzione francese. La dicotomia pubblico-privato dev'essere superata, secondo Marx, se si vuole riunificare l'uomo ora dimidiato nel cittadino e nel borghese, ovverosia nello spiritualismo astrattamente universalistico dello Stato e nel materialismo concretamente atomistico della società civile.2' La democrazia, proponendosi l'ambizioso restauro dell'uomo, sem­ bra insomma animata da impulsi giacobini e quindi da un modello che lo stesso Marx, in vari passi degli anni a venire, e in particolare nella Sacra famiRlia, definirà anacronisticamente antico e applicabile solo con la forzatura del Terrore.1' Questa lettura è però senz'altro parziale. Il movimento che attraverso l'universalizzazione del suffragio universa­ le conduce alla riconciliazione deve partire proprio dall'acquisizione ir­ rinunciabile dei moderni, vale a dire dalla società civile. Quest'ultima deve appropriarsi della democrazia, sottrarre la politica allo Stato, sve­ lame l'astrattezza e ricondurre il cittadino, autonomizzatosi con la rivo­ luzione francese, presso l'uomo da cui il cittadino stesso si è separato. La teoria della democrazia, come si vede, è in Marx la prima teoria, poi fomtulata su basi strutturali, dell'estinzione dello Stato. Nei filologica­ mente controversi Manoscritti economico:filos�d. scritti a quanto pare tra l'aprile e l'agosto del 1 844, e pubblicati per la prima volta nel 1 932, Marx, che in tali Manoscritti risente, come mai prima e dopo, della fi­ losofia di Feuerbach, definisce il comunismo, con una sorta di autoci­ tazione reinterpretante dalla Critica di Kreuznach, «l'enigma risolto del­ la storia». Kl E nei mesi precedenti, negli scritti degli Annali franco-tede­ schi, il primato ancora assegnato alla democrazia-essenza risulta evidente nella contrapposizione, esplicitamente fonnulata, tra emancipazione politica, giunta al suo culmine con la rivoluzione francese e quindi re­ legau nel passato, ed emancipazione umana, che perverrà al suo apice con l'autosoppressione della clas.'ie universale, vale a dire del proletaria­ to, il quale, dissolvendo la società civile e realizzando la filosofia, aprirà le porte al futuro. 11 Anche Friedrich Engels, in questo tomo di tempo, e sia pure in for­ ma assai meno sofistificata, ma con al centro il primato storico-econoC&. K . MARX, S11tla q••rs1io111r tlwka, cii., p. l Hl c cit., p . •169. l'l Cfr. K . MARX-F. ENGELS, Llso11T11jo1111W/io1, in M.u.x-ENGELS, ()pm· romJiklr, IV. p. 13fH• p. 1 29. Cfr. anrhc FR.ANçoJs Fulu!T. MtJrx rl ld ,.;w,.n,m.fra••caisr, Paris, Fl:unmarion, 1 986, p . •13. JG K . MARX, Mm1t1Snitti ttCIJWifliro:fi/o•st?fÌri drf 1844, in MAAX-ENGELS, C)pm- Ct>lllplt'lr, lll, P· 324 C" MBGA (2), l , l, p . .lH9. J l Cfr. K. MARX, Pff /11 cri1ka drllajilcos".fia di'l dirill" di HfRtl. lmrod11zio�m·. m MARX-ENGE�. C)pttr ttm�plrlr , 1 1 1 . pp. 1911-204 c MI!GA ( 1 ) , l, pp. 607-(>2 1 . JM

WiTk.•, 11,

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mico dell'Inghilterra, si distanzia dalla democrazia politica apparu nel com> della rivoluzione francese e definita una contraddizione intrinse­ ca nell'articolo Jlroxressi della riforma sociale s11l continente, pubblicato sul o:New Moral World• del 4 novembre 1 843.1z Il 19 ottobre 1 844, sul •Vorwarts!», nell'ultin1o degli articoli sulla Sit11azione dell'ln,Rhilterra, lo stesso Engeis sostiene poi che l'Inghilterra stessa, con il suo moderno panorama economico, è avviata veno la democrazia sociale, ben diver­ sa dalla democrazia politica della rivoluzione francese. Quest'ultima è solo •uno stadio transitorio, l'ultimo mezzo puramente politico che ancora dev'essere sperimentato e dal quale deve subito sviluppani un nuovo elemento, un principio che oltrepassa la politica. Questo prin­ cipio è il socialismo»Y Negli anni successivi, tuttavia, quel che l'In­ ghilterra rappresenta effettivamente, vale a dire il mondo dell'industria e delle classi mobili, prende il sopravvento per lo stesso Marx. Alla cri­ tica della politica, sino a sostituirla, si affianca allora la critica dell'eco­ nomia politica. E il proletariato non è più classe univerule, ma classe particolare, sia pure largamente maggioritaria. L'emancipazione politi­ ca torna di attualità e dal passato viene proiettata nel fi.Jturo. E con essa la democrazia-numero, vale a dire la politeia in cui dominano i molti, ovverosia i più. Si ripresenta insomma la tradizionale concezione classica. E non può non venire in mente la folgorante definizione di Aristotele, fonnu­ lata in Politica, 111, 1 279b: «La tirannide è infatti una monarchia che per­ segue l'interesse del monarca, l'oligarchia quello dei ricchi, la democra­ zia poi l'interesse dei poveri». E se ciò in Aristotele va contrastato, in Marx va assecondato. Il proletariato, immensa maggioranza che lotta a favore dell'immensa maggioranza, come recita il Man!festo del partito conumista, può far si che alla società divisa in clas.o:;i subentri un'associa­ zione in cui •il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero svi­ luppo di tutti»,l-4 espressione, questa, che ricorda peraltro il mai vera­ mente affossato tragitto della democrazia-es.o:;enza. Come può avvenire ciò? Con la conquista della �emocrazia, e cioè con l'elevani del prqle­ tariato a classe dominante. E che cos'è la democrazia conquistata? E il governo forte della maggioranza. Tale reggimento politico, fondato sulla strabiliante potenza del numero, non può che effettuare interventi n Cfr. M.u.x-ENceu, CjprTr roNIJ•Irlr, 111, pp. 42H-4-14 c Wrrkt·. l . pp. 4HII-4Wl. Il MARX-ENGEU, C)p!Tr Ccltl'lllrlr. 111, p. 554 c Wrrkt, l , p. 592. -'"' K . M.v.x-F. ENGELS, .\ft�rl!(rsltl drl pt�rtilct "'"'llllilltl, Torino, Ein:audi. 1 99R. p. 32 Wrrkr, IV, p. 4R2. -

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dispotici nei rapponi di proprietà. 15 Il governo dei poveri, come Aristo­ tele aveva intuito, è del resto, e di fatto, un governo contro i ricchi. La democrazia, come sosterrà il commentatore americano di Marx, Hai Draper, è di per sé, in Marx, la dittatura, intesa come magistratura provvisoria, della democrazia stessa. J6 Essa è così anche la dittatura della maggioranza, di una maggioranza che l'industria e la storia stanno ren­ dendo socialmente omogenea. La democrazia è infine la dittatura del proletariato, espressione che Marx usa una prima volta nel 1 85Q,l1 in polemica, con tutta probabilità, contro i libera.Ji censitari che avevano individuato nella democrazia una dittatura popolare e il grido della guerra sociale.18 L'espressione 'dittatura del proletariato•, d'altra pane, compare in tutto 12 volte nelle opere di Marx ed Engels. 1� La demo­ crazia-numero, comunque, non verrà più abbandonata, pur pennanen­ do sempre sullo sfondo la democrazia-essenza. 40 Il 25 agosto 1 852, conclusasi da tempo la stagione rivoluzionaria quarantottesca, Marx, sul 'New York Daily Tribune•, scrive comun­ que, deluso dalla tragica parabola della seconda repubblica francese, che 'in Inghilterra conseguire il suffiagio universale costituirebbe una misura di gran lunga più socialista di qualsiasi altra cosa sia stata onorata con questo nome sul continente•.•• Marx si illude tuttavia che la società industriale possa semplificare al massimo i rapponi sociali e fare del pro­ letariato l'inunensa maggioranza. Non esisterà mai un territorio dicoto­ mico popolato, sic et simplidtcr, da pochi borghesi e molti proletari. La società, infatti, saprà resistere all'aggressi one deiJa lobrica economica di­ segnata da Marx e si dispiegherà secondo morfologie cangianti nel tem­ po e sempre più complesse. L'analisi sociologica di Eduard Bemstein constaterà in proposito elementi decisivi. Ancora nel 1 89 1 , tutcavia, ot­ to anni dopo la mon:e di Marx, il vecchio Engels, quello che sta per anticipare la revisione di Bemstein, scrive, nella critica del Probrramma di Erfun:, che ,)a repubblica democratica è la forn1a specifica della ditp . .1 1 , c illitl. . p. 4M l . Cfr. H AL I >RAPER, Karl Morrx'i 'IJIO'II')' o.ifliK' Rrwl111iom, 1 1 1 . 'Ilu• "DirltJitiTSIIiJI o.if!lu• Pro· Nl'W York, Momhly Revicw Pn-s.�. 1 986, pp. 5H-67. 17 Cfr. K . MAP.X, Lr W1tr di dasw i11 /;mnria dal 1848 al 1850, in MARX-ENGELS, Ol'f'"' r0111· Jlklr, X. p. c.t.. in Wrd:r, V I I , p . .U l' in MEGA (2). l. IO, p. 1 .19. 1• Cfr. FRANCo15 GUJZOT, Dr lo1 dhllollrollio• r11 l·'rnll«, Pari�. Ma.wm, I H-19. pp . .19-40. l� Cfr. H. I >RAP!A.. Karl Mo�rx's 'IJK'tlry o.if R1wlllli011, c:i1., pp . .1H5-HC. c U. UoNGIOVAHNI, J>cos!{4:i11rw il K . MAP.X-F. ENGEI.S, Jl1111/{rs111 di'l po�ni111 fOfllllllistol, o.:i1 .. p. 1 3 1 . .tO Cfr. U . DoNmovANNI, I l prriSirrcr itcw�il/ro rlt'II'Ott«nlltl librr�tlr, Introduzione a J.S. MIIL, Su/111 •Dt-momazin in Anll'rica• di 'l'«q•lt'· vi/Jt, Napoli, Guida, 197 1 , c M.L. C.CAL115E, DrllftN14ZitJ iN carmnir111. Il Jialf.wo p.Hitico.JM SIIUJrt Mill r 'Ilttqun>ilk, Milano, Angeli, 19K8; sulle recensioni di Mill a Tocqucville cfr. D.L. Is � .'i«itty or11d Mam1tn i11 ArrU"titd (London, 1 8 2 1 ); H. MAII.TINBAU, S«itty in Anrtn'tiar1o, dove w-ngono anche ana1izzati altri scritti di Mill sugli Stati Uniti). Cfr. or.a GINI!VRir. Cotm OooiWIO , H�trtirt M�t1tilft'oru t 'liw­ q•rrvilk: dut di� lttniR' dtlla drulflfflz l ia IIIIMTi(olllll, Sow-ria Mannelli, Rubb..-uino, 21MI3.

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to che il governo era lasciato in mano ai più mediocri elementi della società, sia perché l'educazione del popolo non poteva essere portata subito ad alti livelli, sia perché, egli pensava, in una democrazia il po­ polo non desidera realmente eleggere gli uomini migliori per gli uffici pubblici: la passione per l'uguaglianza genera infatti un'insaziabile invi­ dia nei confronti di chiunque possa, grazie al suo talento, essere innal­ zato sopra gli altri. Queste valutazioni inducono Mill a ritenere che in un'aristocrazia, come pure in democrazia, la sola condizione per un saggio e prudente governo è che si manifesti, auraverso l'elezione dei rappresentanti, la volontà dei cittadini di porsi sotto la guida dei più saggi e competenti tra di loro. Nella recensione alla prima parte della Democrazia in America, Miti sostiene, infatti, che cii miglior governo dev'essere il governo dei più saggi, e questi devono essere sempre i Pochi. 1 ... ] l'interes.'ie del popolo è di scegliere come governanti le persone più capaci e più istruite•,�> quelle cioè che posseggono le più grandi attitudini morali, intelleuuali e attive, che in piena indipendenza cureranno l'interesse pubblico ed eserciteranno la loro superiore competenza e il loro giudizio. La neces.'iità di una leaderslrip illuminata non esclude però la funzio­ ne politica del popolo, cioè di controllare anche che la condotta delle persone elette non sia influenzata da interessi contrari al bene pubblico. I n questo caso il popolo deve poter revocare il mandato ai governanti, •perché il popolo deve essere sovrano•, e in questo consiste la sua sicu­ rezza. E aggiunge: •Una democrazia così costituita unirà tutte le buone qualità possedute da ogni fanna di governo 1 ... ] e l'onnipotenza della maggioranza sarà esercitata attraverso l'azione e in accordo con il giu­ dizio della minoranza illuminata, responsabile in ultima istanza verso la maggioranza•. Affenna inoltre che c.Ia sostituzione della delega alla rappresentanza è perciò il solo e unico pericolo della democrazia•; riporta poi, a soste­ gno della sua tesi, una citazione in cui T ocqueville scrive che in Ame­ rica questo è un pericolo grande e sempre crescente: 7

6 J.S. Mn.1•• fk Tcltquruillr dN lJt•��«rdly in Amrrilrsidrrdzic>rli, ril., tr:ad. it., pp. 34-3(1 e l fl2- 103, cap. Il e V. Già A. Ha­ milton,J. Madison "'J.Jay, gli autori dei f-rdrm/isl Papm (17K7-17KK), riu·nevano che •lo scopo di ogni costituzione politica è, o dovn-bbe essere, quello di auicur:ani COnlt' govrr­ nanti degli uomim dotati di molta �oaggezza per ben disc:t"nu:n.•, e mollil vinù pt'r pt'nc:I{Uire il bene comune della !IOCictà•. e che •nl'!osuno che non unisca a oneste intenzioni e a un si­ curo giudizio anche una �·cna conoscenza dell'argomento su cui è chiamato a deliberare, porri mai essere un legislatore' competente•: cfr. 1/ftdrralisltJ, a con. di M. D'Addio c G. Ne­ gri, Dolegna, Il Mulino, 191m, nn. 57 c 53, rispettivamente a p. 43.1 e 4 1 11; cfr. anche 1•. MBAGUA, L- ro11dizio11i di mur but>1ttJ sct/111. Drnr«rtJzitJ t srltz;,,., dti .Rf'VI'nlllllli, •Teoria po­ litica•, Xlii. n. 3, 1m. pp. 55-86.

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MD.L B lA DI!MOCRAZJA

le loro inclinazioni intellettuali e morali allo stesso punto in cui le ha trovate». 10 Per essere libero un popolo deve imparare a partecipare in modo diretto e continuativo: questa partecipazione richiede una costi­ tuzione democratica sostenuta tda istituzioni democratiche particolari e non limitate da) governo centrale, perché quanto più la gente si abitua a condurre i propri affari con il proprio attivo intervento, invece di de­ mandarne la conduzione al governo, tanto più i suoi desideri saranno rivolti a respingere la tirannia, anziché a esercitarla•.'' Da queste considerazioni hanno origine la critica di Mill alla centra­ lizzazione e l'importanza attribuita al decentramento amministrativo, tema di cui egli si era già occupato nel 1K33.U Ma certamente la lettura dell'analisi politica condotta da Tocqueville sull'esperienza americana lo induce a considerare il governo locale come l'attività in cui la mag­ gior parte dei cittadini ha realmente la possibilità di educare i propri sentimenti sociali e la propria intelligenza pratica, e come il rimedio specifico contro alcuni difetti tipici della democrazia, come il dispoti­ smo della maggioranza. Per Mill, le istituzioni locali sono es.'ienziali per la prosperità e l'educazione del popolo: esse permettono ai cittadini di acquisire una grande esperienza lavorando per scopi comuni, fanno loro conoscere l'etica della collaborazione e sono una scuola preparato­ ria indispensabile per uno Stato democratico. Nel decentramento Mill vede quindi una duplice efficacia: da un lato, appunto, l'auto-educazione del popolo che deriva dalla volontà di interessarsi fattivamente del bene comune; dall'altro una progres.'iiva limitazione del potere esercitato costantemente dal governo e dalla bu­ rocrazia centrale, e quindi come barriera contro ogni pos.'iibile tirannide a spese della libertà popolare_.l La giusta scelta dei rappresentanti, l'educazione del popolo che si ottiene per mezzo di una partecipazione politica responsabile e compe­ tente non è, per Mill, di per sé sufficiente ad assicurare un buon gover­ no. Le funzioni legislative, esecutive, giudiziarie sono attività specializ­ zate che richiedono individui esperti e ben addestrati a svolgere il loro compito, e che difficilmente possono essere scelti fra i comuni cittadini.

J.S. MD.L, lk 'l'iKq••rvillk ,,, l.Nmtl«dCy ;, A11wrira ( I H-10), cit., pp. lt•7·1llK. l flitl 1Jt.Jii1ita, Torino, Utet. 1 9HJ, V. cap. Xl, pp. 1 234·1 2]5. lo.. Priruìpi di «t'll lcl lo., Mlmitipallrmirlllio•m, •Exanunero, Au��:. IKJJ. in C. W.• XXIII. pp. 5K5·590: nd progl'Uo di Mill i consigli comunah delle varie: cilt:i avrebbero dovuto imporre le ta!ISC, avcn: il comrollo della polizia locale c sovrintc:ndcre a tutte le scuole e aJie altre istituzioni sostenute dal denaro pubblico. u lo.. Crlllfllli::alicl l l, •Edinburgh Rcview•, Aprii 1 H62, pp. J2J.JSH, in C. W .• XIX. pp. 579-6 1 3 . •o Il

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Egli formula perciò due proposte intese a migliorare la qualità delle pre­ stazioni degli organi del governo rappresentativo, affiancando ai rappre­ sentanti eletti dal popolo degli esperti di provenienza non elettiva. Partendo dalla considerazione che «fare delle leggi è un compito che necessita più di ogni altro di menti esperimentate ed esercitate, ma altresì delle intelligenze forn1atesi a tale lavoro grazie a lunghi ed elaborati studi», Mill propone di affidare la redazione delle leggi a una "commissione legislativa•, composta da un numero ristretto di esperti nominati dalla Corona. Dal momento che ogni articolo di legge deve venire armonizzato con tutti gli altri articoli, e quella legge deve poi fondersi con le leggi preesistenti, è impensabile abbandonare un compito così delicato all'assemblea generale dei rappresentanti del po­ polo: cela legge sarebbe votata clausola per clausola da un consesso composto di elementi eterogenei», e ne risulterebbe, con molta proba­ bilità, un testo incoerente tanto al proprio interno quanto rispetto al resto delle legislazione. Tuttavia, ogni costituzione prevede un ultimo potere di controllo che, in democrazia, risiede nel popolo: non potendo esercitare diretta­ mente il potere, esso controlla, attraverso i deputati eletti periodica­ mente, la coerenza dell'attività del governo con il pubblico interesse. l rappresentanti del popolo, perciò, propongono le leggi ed esercitano una funzione di controllo sull'operato della Commissione legislativa, conservando il potere di approvare le leggi o respingerle dopo la loro stesura, senza avere però la facoltà di intervenire sul testo per modifi­ came singole parti; nessuna disposizione, perciò, diventerebbe legge senza essere stata espressamente sanzionata dal Parlamento: «La Com­ missione rappresenterebbe l'elemento intelligenza, il Parlamento l'ele­ mento volontà•." A sostegno della sua proposta Mill porta l'esempio di Atene, in cui la «ecclesia• del popolo poteva approvare decreti su argomenti di poli­ tica ordinaria, ma, per quanto concerneva le leggi propriamente dette, esse non potevano venire promulgate o modificate che da un cor­ po differente meno numeroso, che aveva inoltre il compito di rive­ dere l'insieme delle leggi e di provvedere che non fossero in contra­ sto fra loro.

•4

l o.• G•ruidrrt�zi•mi, dt., trad. i t., cap. V, IJtllrjimzi011i proprit dr/ corpo mppmtnlaliiiO (pp.

82-100, in panicolare le pp. 91 -95); anche in Dr 'ft>C��•n'Villr 1111 Drmocmcy (l e Il, cn .. pp. 78 c 2UJ), Mill scriw che il governare richiede competenze, lung;J cspcncnu c abiliti politica come

tutte le ;altre profc.'SSioni. e pona l'c.'Scmpio dd)'.;mtic:a Roma e della repubblica di Venezia, go­ vernati da permnc abili c cnmpctcnti. - 166-

Mnl. E lA DI!MOCR.AZIA

Il secondo rimedio proposto da Mill è la costituzione di un seconda Camera. che rappresenti non •-il sentimento popolare ma il merito per­ sonale, provato e garantito da concreti servizi pubblici e fonificato dal­ l'esperienza pratica•. Poiché la Camera bassa, venendo eletta dal popo­ lo, ne riflette inevitabilmente Ja •mancanza di adeguata educazione po­ litica e di sapere•, bisogna affiancarle una seconda assemblea, •i cui tratti caratteristici siano costituiti da una speciale preparazione e cultura po­ litica». Dovrebbero fa pane di questa Chamber of Statesmeu coloro che fanno pane della Commissione legislativa; tutti coloro che sono o siano stati giudici o presidenti di tribunali; tutti coloro che sono stati ministri per due anni consecutivi o hanno servito nei più alti livelli della diplo­ mazia; i più alti ufficiali della flotta e dell'esercito e i governatori delle colonie; i funzionari dell'amministrazione pubblica che abbiano rag­ giunto gli incarichi di maggior imponanza e responsabilità. le due Camere avrebbero due distinte e precise funzioni: la prima Camera assolverebbe al compito di organo rappresentativo dell'opinio­ ne popolare; la seconda sarebbe la sede della competenza e dell'espe­ rienza che mancano alla prima e agirebbe come potere moderatore, co­ me il centro di resistenza contro il potere predominante.15 In entrambe le proposte si manifesta l'ispirazione di fondo di Mill, cioè l'idea che le istituzioni del governo rappresentativo debbano veni­ re congegnate in modo da garantire che la direzione della cosa pubblica appanenga a persone capaci, formatesi in questa attività come a una professione intellettuale, per poter padroneggiare le complesse questio­ ni che lo Stato deve affrontare, e che i corpi rappresentativi posseggano ed esercitino seriamente il controllo sul potere.'"' Mill ritiene quindi «che la miglior forma di governo è quella che attribuisce all'intera comunità la sovranità o il controiJo del potere su­ premo. In questo modo il cittadino fa sentire la sua voce nell'esercizio del potere sovrano e viene chiamato periodicamente a svolgere una ef­ fettiva funzione di governo ricoprendo una qualche funzione pubblica in ambito locale o nazionale».17 n governo popolare è, di conseguenza. quello che può essere considerato come fanna ideale di governo, per­ ché, oltre a curare in maniera equilibrata i più diversi interessi dell'in­ tera popolazione, esercita anche una benevola influenza sulla formazio­ ne del carattere individuale. •5 lo., CoHisidtm.:iciPii, cit., trad. it., cap. X l i i. Di ucob.re le pp. 218- 2211). '"' lo, C111rsidtra.:icmi. cit .• trad. it., p. 108. n lvi, pp. 54-58. -

1 67

1111a stro11d11 C:amtra

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(pp. 213- 222, in par­

Nelle Considerazioni Mill fa una distinzione tra cittadini attivi, quelli cioè che hanno spirito di iniziativa, «desiderio di progredire, di tentare nuove vie per il bene nostro e per quello degli altri», e i cittadini passivi, che sono inerti, rassegnati, privi di aspirazioni; e precisa che «il governo di uno solo, o di un piccolo numero» preferisce i secondi perché è più facile dominarli, «mentre il governo della maggioranza*, cioè la demo­ crazia, «preferisce i primi». IH Se i cittadini sono indotti a partecipare alla vita politica, se si affidano loro cariche pubbliche, spingendoli a preoc­ cuparsi degli interes.10i generali e del bene pubblico, non può che deri­ varne un rafforzamento del loro carattere, un consolidamento della lo­ ro personalità. L'effetto «corroborante" che la libertà produce sul carat­ tere raggiunge il punto culminante quando l'individuo possiede, come cittadino, alla pari con gli altri, il godimento completo dei suoi diritti. È significativo, a questo proposito, il modo in cui Mill giustifica l'e­ stensione del diritto di voto alle donne: 111

Tutti sono ugualmente interessati ad avere un buon governo, ad as.IOicu­ r.tf'J;i il proprio benessere, c a possedere un voto che garantisca la parte dei benefici cui s'ha diritto. Se c'è qualche differenza è che le donne ne hanno più bisogno degli uomini perché, essendo fisicamente più deboli, necessitano di una maggior considerazione da parte della legge e della società. Nessuno pensa che le donne farebbero un cattivo uso del suffrahrio [ ... J. Date il voto alla donna ed dia sentirà l'effetto del punto d'onore politico. Ella imparerà a considerare la politica come una cosa sulla quale ciascuno deve agire secon­ do il proprio criterio e si acuirà in lei il senso di responsabilità pef'J;onale. La partecipazione popolare alla gestione degli affari pubblici, anche locali, è dunque uno dei punti fondamentali per l'attuazione di una corretta democrazia. Soltanto nella democrazia rappresentativa gli indi­ vidui sono considerati adulti pienamente responsabili, con doveri verso il Paese e diritti a veder garantite le libertà civili e politiche; e i cittadini sono considerati agenti sovrani, che hanno il diritto di governare se stessi e di obbedire a coloro che hanno scelto a rappresentarli in base alla loro superiore capacità nel valutare l'interesse generale. Macpherson, nel noto libro Thc Lifr and Times C?f Liberai Democracy,10 ha definito, sulla base dello scopo che viene assegnato al sistema poli-

·� r.,;. pp. W-65. 19 lvi, pp. 1 66- I M!, e M.T. PtcHE'ITO, VI'/JCIIm www /iiKmli�wo, cit., p. KS. zo C. ll. MACI'HERSON, Jl1c Lifr mul 'lime� •!f Li/Jnal Dc-"!()(rNy. Oxford. Oxford Univcrsity Preu. 1 977, pp. 46 �·· tt·oria ripn-sa da D. Hew, MC!drls •!( f)c-m()(rtl()'. Cambridge. l'olity l'n-ss, 1987 (trad. i1. Modelli di demoaa::i11, llnlo�:na, Il Mulino. 19H9).

- 1 6B -

tico democratico, quella di Bentham e di James Mill una «democrazia proteniva», rivolta al sistema dei controlli sull'operato dei governanti, mentre quella teorizzata da John Stuan Mili viene indicata come uaglianza. Esso abilmente ottunderebbe la fonte dei mali sociali, illuderebbe la coscienza degli oppressi con dorate catene, rinvierebbe a tempo indetemtinato le modificazioni realmente radicali. Per queste ragioni al regime costituzionale è da preferi�i un regime di­ spotico che, con il suo violento ed elementare vilipendio della libertà, faciliterebbe, affretterebbe la reazione degli sfruttati. Dalla critica dei modelli borghesi alla definizione del primato italia­ no il passo è breve. Se sia la ricerca del primato italiano in tema di ri­ voluzione a detemlinare la critica della democrazia fomtale e la teoria del salto dalla fase borghese dello sviluppo, ovvero se sia la teorizzazio­ ne dell'opportunità-necessità di evitare (comunque e ad ogni costo) il modello borghese capitalistico a generare il primato italiano in tema di rivoluzione, non è per niente facile a di�i. Ciò che invece può dirsi sicura è la critica radicale della democrazia fomule, cioè di quella democrazia che pensa di poter modificare i rap­ porti sociali attraverso le rifanne istituzionali. Finché la costituzione so­ ciale non abolirà alla radice i meccanismi di sfruttamento, il popolo non trarrà vantaggi dalle conquiste civili. Questa svalutazione radicale della democrazia borghese va inqua­ drata all'interno della polemica socialista ma anche all'interno della stes­ sa sottovalutazione ottocentesca del modello democratico. la cultura democratica del primo ottocento - se si eccettua Toc­ queville,u che negli Stati Uniti d'America capì come la democrazia non tollerasse appropriazioni ideologiche né tanto meno usi strumen­ tali - sembrò non aver autonomia né rispetto al liberalismo né rispetto al socialismo. Ecco perché la versione liberale della democrazia, specie a partire dalla celebre comparazione constantiana,22 intese la partecipazio­ ne al potere politico soltanto come una delle tante libertà individuali del cittadino e al tempo stesso mosse obiezioni alle varie fanne di de­ mocrazia non rappresentativa, compreso l'esercizio diretto del potere politico tipico delle società antiche. Ecco perché la versione socialista della democrazia, in quasi tutte le sue varianti, finì per subordinare le

l> A. DE TocQUI'.VllU!, LX /11 dhn, Milano, presso Francesco l'o!d.iam e comp., l'anno S della Repubblica frann'SC c primo della libertà italiana, 1 797. J9 G.A. JUNv., UzUm i Trp11bblica111' prr i,limdulli r Ma.ssilflt' patriiHtidlf' pn Rfi adulti ,.,, """" IM"difl storiro drll.r li110luzifllll'.{l'dlllrsemocrnzia progn."Miva• era il titolo dd tri�uimanale fioremino, diretto da Pietro Ui­ chi, che dal 2R novt"mbre I K4K al 25 K'-'nnaio I R-19 SOSil'lllle la politica moruandliana.

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MARTA fERAONATO ANTONIO ROSMI N I : IL DISPOTISMO DELLE MASSE

1 . La riflessione sul dispotismo ricopre un ruolo indubbiamente ri­ levante all'interno della ftlosofia politico-giuridica di Antonio Rosmini. In effetti, lo stesso filosofo di Rovereto ha avuto modo di ricono­ scere che tale tema rappresenta un argomento centrale, avendo esplici­ tamente ammesso che la sua poderosa Filoscfia del diritto' è pensata in funzione antidispotica, allorché dichiara di aver scritto l'opera 11affine di mettere la scure alla radice del dispotismo».1 Inoltre, credo si po� affermare (e penso, in particolare, tra gli aJtri, agli studi di Piovani, Zola, D'Addio, Campanini, Botto)1 che il dispoti­ smo costituisce il bersaglio polemico anche degli scritti rosminiani di filo­ sofia della politica, nonché dei diversi progetti di costituzione che il ftlo1 Antonio llosmini pubblicò la prima �:dizione cklla f.l/ilsofia dd din'ffo a Milano, in due volumi: A. llOSMJNI-SEP.BAn, fiiMI>jia dr/ dirilll>, M1lano, Tipognfia e Libreria BoniardJ-Po­ gliani, 1 8 4 1 (pp. 802) c 1 843 (pp. ')9H). Or:.1: A. ROSMINI, FilostJjìll dd dirill1>, () voli., a cur:.1 di R. Orecchia, Padova, Cedam, 1967 (4Edizionc nazion�k delle opei"C' edite cd inedite di Antonio Ro�mini-Scrbati•, XXXV/XL). l A. ROSMINI, Prc>xf'lli di Costilllziom•. �; rditi rd Ìlltditi sttllo Stlllt!, a cur:.1 di C. Gr:.1y, Milano, Fr.uclli Bocca, 1 952 (•Edizione nazionale delle opere edue cd inedite di Amomo Rosmini-Serbari•, XXXIV), p. H7. Il volume r:.lccoglie, oltre a un'ampia llltroduziollt di C. Gray (pp. IX·XCIII) i U)tliCili'Ì progetti di costituzione: Pn!Rrlll> di Ct�stitiiZÌt!IW ptr lo Stato /'IJ/111111i. p. 69. in nota), c al modello franceSe' op­ pone ll udlo delle Costituzioni ddl"lnghiltern c della Repubblica Venera. s E il suo sistema til050fico è sti\to companto a 'l llc:llo di Hcgel: a questo propmito. si vedano Il· lucide" OHC'rvazioni di S. C.arrA , lrrlrMrrzi(lrrr a RmMtNI. t:ilosf.!/ill Jrlla fK'Ii!ila, Mi­ lano, Rusconi. 1 983. pp. 1 9-26. 6 Per quanto attiene al mc:1odo rosminiano, rinvio al mio LJfomltui(llli" tkl Jirillo 111111rralr i11 R111111 irr i. Padova. Cedam, 1') Romriui, in

Crrdrrl.' pmsa11do. IJ.mrmrdr dr/la lrt>l/lfrmJ)(Jr.S, rit., V, p. \ 445. 19 ROSMINI, Pt�·lli di Costim;:iollr, ot., p. 276. 11

lo

IO

fi'Ì. p. 277.

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nascono dal non essere conosciuto il suo scopo; quando si crede, a ragione d'esempio, che la società civile possa dispor tutto a suo senno, che tutto deb­ ba essere a lei sacrificato: quando non si sa ancor chiaramente ch'essa dee re­ stringersi a regolare la modalità de' diritti, e non può trapassar questo limite; che non può q uindi d isporre de' dirini panicolari in quanto son tali, ecc. Al­ lora, qualunque sia il suo governo, qualunque la fomta del governo, qualun­ que le persone che lo conducono, esiste la tiraw1ia dr/la socit'tà. Possiamo aggiungere, allora, un'ulteriore precisazione: il dispoci­ smo, per Rosmini, come risulta evidente, non è una forma di governo e, anzi, a suo modo di vedere: n

la questione delle fomte di governo si dee al tutto distinguere da quella dell'assolutismo e del liberalismo. A torto questioni così differenti si confon­ dono insieme. Per convincersene basta riflettere che può trovarsi l'assolr�tismo il più ecct.-dente in qualsivoglia dt'mocrazia. Infaui il principio dell'assolutismo consiste nell'ammettere la volotllà del sovratl(l per unico e supremo fonte delle leggi. Che poi il sovrano sia un individuo, o più, o rutto il popolo, questo è indifferente. 4. È giunto il momento di introdurre, seppure, anche qui, a modo di schizzo, il tema del dispotismo delle masse, che si coniuga insieme con quello della maggioranza, ma si distingue, propriamente, dal dispo­ tismo o tirannia (che dir si voglia) della società civile. Rosmini, è noto, fu un pensatore liberale, ma il suo liberalismo non è democratico.z� Non ci si può intrattenere su questi temi, che merite­ rebbero studi ben più approfonditi. Riguardo a tali argomenti, si os.'ier­ vi semplicemente che l'intonazione del discorso rosminiano è vicina, per diversi aspetti, a quella di Tocqueville.2' Si tenga presente, del resto,

Fi

a Jt/ ditilll),

2 1 ROSMINJ, �AA!/ì cit . • V. p. 1 445, 11. 2 1 9 1 . u lvi. V. p. 1 446, n . 2 1 92. M . l > 'Addio nlev;a che. secondo Rosmini. i l dispotismo dd);a stc:S$3 società civile eme�. acnnto ;a quello delle m;av.gior.mze tem;atizzato da Tocqucville, in un contesto di rapide: c: consistenti trilsfimnazioni C:COIIOIUico-soci;ali, c se: ne distillgt.lc per es­ ��erc: •ben più penetrante: c:d oppressivo• (Li brrtd tJPikiX4nlr1/ll'l, cit .• p. 3). Ciò perchi- esso •esi­ ste allorquando sia invab.a la dottrina oltre: misura ingiu�la c: tirannica. che la società civile: po!ò$3 tutto, ch'ella a!ISOrbi�a tutte: le altre: società, ch'dia annienti tutte: le: individualità c: le: località, che: debba esistere: ella sola, c tuno il rc:�to esista precariamente per una grazia c per un favor suo• (llOSMINI, cit., p. 276). n llOSMINI, I!fì cit .• p. 1 72. nutil 45. l� Pc:r tuui. sul u•ma si veda P. PlovANI, LI cit .• panicolam1entc: le pp. 239- 3 1 2 . n Tra l a nutrita bibliografia su Tocquc:ville, segnalo: A . M . DATI11TA , Firenze. Centro Editoriall· Toscano, 19K9; F.M. 1>11 SANcns, Napoli. ESI, IIJKl1; N. MA'ITIUCCI, lriiiiM, Uo­ logna. Il Mulino. 1 WII.

r

l'ri'Jlf'tti di Gmilllzi.,lr, H/t1S a drlld 11(1/ilka. rrodkra soriak di RPsn1i11i,

S111di s11 '1 Mq11rvi/lr, Trmpo di dn11«razit1. Alrxis dr A/r.Yis dr 1i'l"qlln>i//r. Trr rsrrrizi di

'IOCqllrvillr.

-

190

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che Tocqueville è l"autore più citato dal Roveretano nella Filosofia della egli è nominato 24 volte; dopo di lui viene Cicerone, seguito, nell'ordine, da Rousseau, Romagnosi e Roberuon. Nella stessa opera si può leggere, quale esempio, la seguente osser­

politica:

vazione:20

Nelle democrazie si manifesta molestissima e ingiustissima la tirannia della maggioranza. lo rimetto il lettore alle riflessioni molto vere e molto sensate, che Alessio de Tocqueville fa sulla tirannia che la maggioranza esercita negli Stati-Uniti d'America (De ltJ démCIO'atie en Ameriq11r, t. I I , c. VII sgg.), e mi restringo a riferir solo alcuni brani di questo scrittore. Il Roveretano riporta, tra gli altri, il passo in cui Tocqueville spiega che in America la libertà si può perdere solo a causa dell' onnipotenza della maggioranza che, ridotte le masse alla disperazione, provocherà l'anarchia, quale conseguenza del dispotismo. La medesima convinzio­ ne, ricorda Rosmini, è espressa anche da Madison, nel Federatisi, e da Jefferson (in una lettera a Madison). Ed ancora, più avanti, il filosofo di Rovereto osserva: 27

Qui si scorge il gran principio di quella politica che nacque da una filo­ sofia materiale e dd tutto immorale. Questa filosofia distrusse l'antico princi-

H/osl!fid dtlld polilir11,

l6 ROSMINI, cit., pp. 1 63- 1 64. nota 35. Risulta che Rosmini abbia leno e annoialo la prima L-dizione della prima pane della di Tocqueville: nella Biblioteca c nell'Archivio rosminiani di Stn-sa si conserva una copia dcl 1esto, unita­ mcme a un quaderno in cua sono segnali appunli dallo s1nso volumc. Pare. invece, che il Roveretano non abbia conoKiuto dircltamcme la seconda pane della Sull"argumenlo, v. M. D'ADDio, Librnà 1" cit .. p. KH. A proposito dei rapporti tra Rosmini c Tocqueville si puO ndere M. TISINI, kiiiJit •Rivisu Rosmi­ niana•. 1 9H7. pp. 265-2H7. Si tcnga presente. tuttavia. chc llosmini. pur apprezzando 1� ri· flessioni ddl"au1ore francese e condividendone sp�-uo le analisi, non si esime dal critiCarlo: in particolare, egli osserva eh� Tocqu�vdlc, av�ndo riconoKiulo nella maggioranza di tuili Wi uomini la fontc della giustizia, non ha saputo idcnrificarc •la vcra base della libcnà umana•. che e •la la qual� di sua natura e indipendenlc dall'in1cro genere umano tanto quanlo la PI"Jii.ÌO (ROSMSNJ. cit .. p. 346). !7 ROSMtNa, cit., pp. 2 1 9-22 1 . Osserva, inoltre, alla not:l 29 di p. 2211: •QUt"!ita fonnola e )\-spre511ionc de) dispotismO imp�riale che lelllll" dielro alla rivoluzione da Francia. ( . . . ] Ma all'opposto non vi ha govcn1o così auoluto e così tirannico come quello che è nelle mani del popolo, o anzi pmpriamenlc de' popolani. L"essere il governo non dispo1ico, ma moderato. non dipende dal trovarsi nelle mani di molti pii1 t05to che in quell� di uno solo, ma dipende dall"csscrc fondalo su principi di giustizia e di vinù morale. ( ... ] Non si passi al­ l"ecccuo di credere che il principio del dispotismo sia essenziahncmc incrent.: alle costituzioni popolari. No, la democrazia della rivoluzione francese!" fu imba§lardita dallc passioni c dall'em­ pi,•aà: niuna maraviglia adunque che il più mostnaoso dispotismo si manifcmassc al fianco della dichiarazaune dci dirini dell"uomo•. L'argomentazione prosegue. poi. c viene citato ancora una volla Tocqucvallc.

Drmomuia in Amtricd

appd.Rdllftllto. Rosmini

,{illslizid.

1-ìloso}ìtt dr/id politicd. Filosl!fid dr/la pcllilica,

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DrnKKnlzia i11 Amrrica. di "IPcqurvillr,

MAR.TA FI!IUlONATO

pio, che "il governo non può fare nulla di ciò che è contrario alla giustizia"; e ad un sì alto e liberale principio, il quale di sua natura impedisce ogni arbitrio governativo, sostituì questo nuovo, che è la fonnola di un DISPOTISMO ESTRE­ MO, quale fino a' nostri giorni fu inaudito sopra la terra: "Il governo può far tutto quello che crede utile alla società; e quello che fa per questo fine, qua­ lunque cosa egli sia, è giusto appunto perché è utile". All'antica politica dun­ que, della tiustizitJ fu sostituita la politica nuova dell' u ili à P"hblictJ. ( .. . (

t t

Se per utilità pubblica s'intende l'utilità della maggioranza, in tal caso le minorità sono del tutto sacrificate, il debole è immolato in olocausto al più forte, come al dio Moloch, senza speranza di redenzione: l'effetto di uno stato di cose è la guerra di tutti contro tutti. Su questi registri si modula la critica rosminiana alla democrazia, al sistema rappresentativo, il quale si avvale del criterio maggioritario che sacrifica le minoranze. E qui si innesta, pure, la proposta politica rosmi­ niana, che muove dal problema concernente se e come sia possibile ac­ certare la volontà popolare in maniera divena rispetto al criterio della rapP,.resentanza politica. E noto che Rosmini suggerisce il modello della 'rappresentanza rea­ le'.z' Questa proposta politica rosminiana (bersaglio di divene critiche, in­ vero) sembra tesa a tracciare vie nuove, si presenta come tentativo inter­ locutorio - potremmo dire - per iniziare a dare soluzioni alternative a un problema davvero rilevante: rimarcando la necessità di una •rappresentan­ za proporzionale delle proprietà come criterio di rappresentanza politi­ ca»,29 nell'interpretazione di Piovani il Roveretano mostrerebbe di tener conto della crisi della classe dirigente tradizionale ma, soprattutto, rivele­ rebbe - ancor:1 una volta in consonanza con Tocqueville - la sua coscien­ za del «Car:lttere antiassolutistico della proprietà come presidio di libertà�>. Jo

5. Ci avviamo rapidamente alla conclusione, offiendo una seconda definizione di dispotismo, più analitica rispetto a quella proposta prece­ dentemente: 1' z� Sulla questione, rinvio, in panicolarc, alle opere di P. PIOVANI. LJ tfitdi«ll $11(i4/r di Rc•­ smilli, cic ., pp. 3fMl-J07, e di F. MERCADANTii , Il �111"111" dtl/4 ,,,,Jalità Jri diritti. Milano, GiuffrC, 1 975, pp. 1 84-242, c h e riconruisce analicicamencc il cc-ma. Cfr. inolcrc-: D. Zot.o . r cit . • pp. 2H5:t{���ldJ�s� ;7,�;��;::;.,�;c�J,,�;��('ir�t..K��ir�J;,�r;::,;;�":�. p;��� �: �� PIOVANI, LI 1rodit"M sorialr di Rosmi11i, cit., pp. 3112-30.1. JO M. p. 304. Jl

A. ROSMtNI.

Pmplti di Ccmimziflrrr. -

cit., p. KS.

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Ogni dispotismo ha per sua radice la negazione de' diritti di natura e di ragione: questi si disconoscono dalla autorità dispotica molte volte in teoria, più spesso ancora nel fano. Così si esprime Rosmini, allorché si accinge a commentare l'art. 2 del titolo I (•Princìpi fondamentali dello Stato ..) , nel contesto di quel progetto di carta fondamentale che egli stesso ha denominato La Costi­

tuzionr secondo la giustizia sociale. Si apre, qui, la bellissima questione relativa alla natura e ai limiti del­ la società civile,u su cui Rosmini indaga e che elabora per sconfiggere, appunto, le degenerazioni dispotiche del potere politico. Si tratta di una teoria della società civile11 che poggia sul rispetto del diritto natu­ rale e razionale, sicuro fondamento di una società che si voglia incam­ minare suDa strada della giustizia; una società il cui fondamento logico e antologico è l'uomo in quanto persona, creatura di dignità infinita, ti­ tolare di diritti innati non conculcabili da alcuna autorità umana. :w

n Secondo Rosmini, la socit"tl civil� non è che una delle tre societl in cui si articola la socialità umana, accanto alla tcocrarica c alla domestica. Tali società sono necessarie al perfe­ zionamento della penona umana, fulcro c fondam�nto di ogni società. n la società civil� •lascia intatti i dirilli di tutti gli individui e d�·lle due società che nel­ l'ordine logico e cronologit'o la precedono. Ella è istituita a reKtJiante la modalità, acciocche tutti questi diritti si conservino c quelli che li poS5CKKOIIO li p05Sano u!iarc e godere in pace ed accrescere• (ROSMJNt, HltiStljia dtl dirill�. V, p. 1 223, n. 1 M3). u i c so s ·d i ; d : qucl14p � viene, ch'egli è principio natur.ahnentc 1111'"""'· di maniera che niuno ha diritto di comandare a quello che sta ai comandi dell'infinito• (ROSMINI, mttsc!/itl drl dirilltt, l'it., l, p. 1 92, n. 52).

����:: ��:n�::�t�� ��!��� J:: C� ! ����c: � 7;�:� � ��;� � ! fi::i: �r.: � -

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COMTE ET LA D É MOCRATIE*

U genèse des fondements de l'idéologie occidentale du développement, ses valeurs d'infinirisation du pro­ grès. d'optimisme: sans ri"SC!'rve quant à l'avenir, de quasi-n:ligiositi- dans 1�-s croyanœs à l'industril." et de plus en plus dan� la croissance comme panan�. w­ raient à chercher du côté des philosophes 'posirivist1.-s' du XIX� siècle, cnne cene fois Saint-Simon et A. Comte. (Ciaude-IU.ph.ae!J Samama)

Certes, l'idée et le tenne de démocrtJtie ne sont guère à l'honneur dans les écrits d'Auguste Comte: le tenne est employé très raremenc et l'idée est, pour ainsi dire, anachronique puisqu'elle est surtout liée à une étape antérieure de l'histoire de la société humaine et de l'esprit qui l'inspire, l'Antiquité. Aussi bien, on peut remarquer que dans l'his­ toire passée et dans l"histoire récente Comte traite toujours simultané­ ment de la démocratie et de l'aristocratie ainsi que de leurs analogues ou identiques: l'école critique et l'école rétrograde, la politique méta­ physique et la politique théologique, et en général le progrès et l'ordre. Ces deux derniers concepts, qui peuvent être entendus politiquement comme signifiant la Gauche et la Droite, sont indispensables l'un à l'au­ tre si on les comprend d'un point de vue épistémologique et si on les ramène aux conceptions statiques et dynamiques qui président dans les sciences: 1 sur cette base, Comte va transposer le lexique idéologique au plan d'un lexique scientifique et débattre sur un terrain supérieur.

*

Groupe d'Émd� l'l dl' Rechl'n:hl'S Épiul-mologiqul'S, l»ans.

1

Ccmn dt pllilruopl1it positi11t, IJI1ysiq11t sociak, Il, Prtstllldtioll l't notl's par jEAN-)»,un.



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195

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Quant à la politique qu'il a vécue sous le signe de la crise déchirant la société entre l'Ordre et le Progrès, je sais bien qu'il est possible de soupçonner les théories de Comte d'avoir inspiré des positions d'ex­ trême droite.1 Certes, Comte a inspiré Maurras; mais ce serait oublier qu'il a aussi inspiré Gambetta, Jules Feny, Alain et même Kropotkine, Althusser et Marcuse. Dans son Introduction au deuxième volume du Co11rs de plrilosoplrie positive, Jean-Paul Enthoven écrit qu'il s'agit là de «la portée idéologique de l'œuvre• qu'il voit généreusement et systé­ matiquement distribuée «sur un éventail ouvert à trois cent soixante degrés.. . 1 Je m'occuperai ici d'étudier la portée scientifique de l'œuvre dans la perspective de l'édification de ela• science politique. perspective à travers laquelle Comte a exprimé ce qu'il percevait de l'idée démo­ cratique. Je traiterai donc de la démocratie telle qu'elle apparaît à Comte: du moins de ce qu'elle est devenue à travers les avatars de l' •école critique• et de la •politique métaphysique• ainsi que de la ge­ nèse et du développement des idées de Comte relativement à la finalité et au critère de la «Politique comme science•.

1 . UNE DéMOCRATIE CONÇUE COMME «ANARCHIQUE•

Dans l'histoire contemporaine dont il a ressenti l'état de crise durant toute sa carrière, Comte ne manque pas d'associer la démocratie à )'•anarchie occidentale•, définie comme consistant «principalement dans l'altération de la continuité humaine•: définition de 1852 expri­ mant une solution de continuité à laquelle auraient d'ailleurs aussi bien collaboré. tout à tour dans l'histoire occidentale, catholicisme, protes­ tantisme et déisme. Au contraire, sous le nom de «sociocratie», un néo­ logisme apparu dans le Discours sur l'ensemble du positivisme, donc en 1848, Comte introduit une idée politique nouvelle fondée sur la so­ ciété telle qu'elle pourrait être positivement d'après lui selon l'observa-

Je citerai mus c.:rt� rubrique- le§ artid�-s fort documenté� de in A cura di Donzdli l' llegina l,ozzi, Roma, llonzdli Edirore, 21MJ3; aimi qlrc: dl' er de Il . in 21Mli;Kimé, 2fMI3. Globall•mc:m, n-s comriburions voient dans la pln­ losophic: de Comll' ll'S racines du toraliurisme; disons qu'on pournir m�mc élargir cc type d'iml·rprérarion si l'on suir François Furet qui ;�.ffinnc: que la révoluuon fr:mr;aiil!" comportl' des êlémenrs qui fonr d'elll· un fondement du totalitarisme: mod�·mc. C l'l ,, Il, lntroductitllr, Lr.firr J,•/'mopir, pp. 1 -6 (voir p. 5). SyJt(lltt dt politiqru• pNitivr (sigl.: Sl'l'). Ill, Paris. Aoùr 1 K53, p. 2.

z MAillA I>ON:œw, Criticll drfla dtlllll(ta:;ia irr Arr�IISit Û!lltk', l'lltoila11 drs

I DJ lOI

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srir111fliq,.rs, p. IUK.

l>iolll drs lrotVd/1.\" Srirmf/iqllrs, p. 1 1 3.

Ibid.

- 2 18 -

COMTE ET LA D!Moc:A.ATŒ. 4 . 6 . l..t moteur de la {(marc/re de la civilisation». Histoire ou développtmtnt de

l 'esprit Le postulat de base de l'argumentation initiale de 1 8 1 7 se poursuit jusqu'en 1 824 et au-delà: il y a une histoire objective de l'intelligence humaine ainsi qu'une «marche des chosesl) • o� ou encore «les progrès de la civilisationl). •œ Les tenues de «connaissances positives!) 107 sont utilisés par Comte en 1 8 1 7 , mais non encore ceux de •sciences positives)). Comte n'a pas encore franchi le pas de la politique comme 'science d'application• vers la politique comme •science positive•. Les savants sont alor.; considérés par Comte comme des «industriels de théorie•. 10� C'est l'époque où, pour Comte, tout citoyen est u n producteur: c.L'in­ dustrie ne prendra toute l'inOuence qu'elle peut avoir que le jour où elle sera constituée, le jour où, avant de dire: je suis médecin, je suis fabricant, je suis banquier, etc., chacun dira: Je suis producteu fl). 1011 Il est vrai que Comte vient de lire le Traité d'économie politique ' ' 0 de Jean-Baptiste Say qui, le premier, généralisa la notion de c.producteul"lt jusqu'à concevoir des c.producteurs immatériels• dans la personne des légistes et des prêtres. Il n'est que de lire le e�discours préliminaire• du Traité de Say pour voir que Comte y a puisé de nombreux linéa­ ments théoriques: entre autres, l'idée que la politique est e�la science de l'ofbranisation des sociétés• , ' " tandis que l'économie politique «en­ seigne comment se fonnent, se distribuent et se consomment les riches­ ses qui satisfont aux besoins des sociétés)); • u ce sont exactement deux définitions qui conviennent à Comte cherchant le moyen d'organiser la société par la science politique et dénonçant ce qu'a été jusque-là l'économie politique, 'une science qui expose comment se passent les faits de production, de la distribution et de la consommation des ri­ chesses•. "·' Mais cherchant la philosophie des sciences d'application,

10' Ej . pp. (IM-73: /�mitT apt'Ff" d'tm tral'lfil "'" k �llvrnll'lflf'lll parktNt'ttlain-, rotuidhr romtllt' �illlt' IT4NSÎh.IÎrr; VOÎr p. 7.1. •• EJ, p. 70, p. 78. 107 EJ. pp. '17 - 1 07: (À!mparaisf.lll tlfln' l'hat ptliitiq•�t' dr l'indmtrir tn l:ratllf tl l'bat th'litiqut dt l'ittd lfstlit ttt A•œlrttrrr; Ej. p. 10 4. 101 EJ. p. 1 112. tov EJ, p. 511 . . uo jEAN-UAf11511! SAY. Traiti d'Mmt�tttir ptilitiq11r, P:ni�. 1 �"' I H113. 2n"� 1 8 1 4•

voir

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éd. I H I 7. 4n"� éd.

" ' J.-U. SAY, lMirr lU tu

édition

I H I IJ .

d'frotuomir ptt/itiq11r, Paris. Calmann-LL�. 1 9 7 2 ,

Ibid.

EJ. p. 5 1 . - 219 -

éd.

p. 7.

Comte ne la trouve pas dans l'économie politique. De son côté, Jean­ Baptiste Say est à la recherche d'une 'économie positive», en tout cas d'une économie reposant sur des 11idées positives» 114 bien avant que Comte ne se soit lancé dans cette recherche et dans celle de la «poli­ tique positive». Si Comte est à la recherche de la politique, dès 1 8 1 7 , recherche confinnée, en 1 822, dans le Plan des travaux scientifiques, la «science po­ sitive» est une notion qui est, pour ainsi dire, le paradigme à la fois de la marche de la civilisation et de la marche de l'esprit: un paradigme déjà efficacement présent dès le moment où a commencé la recherche de la politique positive en 1 8 1 9. L'expression de 'science positive' apparaît d'ailleurs dans u n &agment sur la Politique considérée tomme science: «Ce que c'est que la politique positive»: m Cl la politique n'a pu mériter jus­ qu'à présent d'être considérée comme une science, ou du moins, comme u n e science positive » . 1 1 0 Entre autres résultats majeurs, le concept de 'science positive» est donc le résuhat le plus important de l'histoire générale ou de la «marche de la civilisation», expression dont les occurrences sont on ne peut plus nombreuses dans le Plan des travaux

scientifiques 11écessaires pour rfo�aniser la société. Avec la Première série de travaux, le tenne de «marche» concerne plus fréquemment la «civilisation»: 1 17 elle peut être (lnaturel1e», 1 1 � «Îrré­ vocable», 1 19 «générale», no «détenninée»,'u «détenninée et invariable»,m 'progressive». m Néanmoins, la marche de la civilisation peUl encore être «modifiable, en plus ou en moins, dans sa vites.�. entre certaines limites, par plusieurs causes physiques et morales, susceptibles d'estima­ tion». Il" Il est fait une fois allusion à la (!marche ordinaire de l'esprit hu­ main»,m ainsi qu'à la (!marche générale de l'espèce humaine• • :ro dans la

1 14

T'mik, p. 1 5 .

• 10

EJ, p. 468. C\'51:

m EJ. p .

467.

m Ibid., pp. na Ibid., pp.

1 19 1zo Ul

nou� qui � oulignons.

104, 1 10 . 1 1 3, 1 1 4, 1 1 7- 1 20, 1 24, 1 28- 1 29, 1 6 3 . I I I H , I l l , 1 1 3- 1 1 4, 1 33, I . W , 1 711.

Plall tks iMmllx sritiii!Jiq..rs. p. IIIH. Ibid. .

pp.

1 211. 1 25, 1 .17.

1)/a/1 dts lra!'tJUX sdtm!Jiqllts, p. 1 1 2.

U2 1)/a/1 tks IMVri'IIX srirm!fiq,ts, p.

Ill.

m Plotll dts lldl'dU.\" sritlll!/iquts, p .

1 43 .

IN Pfar1 tks rravaux sritlllif"f•ltl, p.

1 1 4.

IH J)/all dtl I11JIId/IX Scirlllijiqlli'S, p.

1 45.

ll6 J)/olll drs IMMIU scirllt!/iqlll'l,

lM.

p.

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220

-

COMTE ET Ur. DéMOCRATIE Première série de travaux, à partir de laquelle on peut êcre frappé par l'apparition du concept de «physique sociale», simultanément avec le concept de science politique.

5 . CONCLUSION SUR U.. GENÈSE ET LE DÉVELOPPEMENT DES IDÉES DE COMTE

U..TIVEMENT À U.. PoLmQUE COMME SCŒNCE

RE­

Transposant les réalités conflictuelles existentiellement vécues entre, d'une part, ce qu'il considère comme le caractère rétrograde ou théo­ logique des aristocrates et, d'autre part, le caractère critique, anarchique ou révolutionnaire des démocrates, en tant que représentant, les uns et les autres, les forces de l'ordre et les forces du progrès, Comte passe du niveau idéologique au niveau épistémologique pour s'installer dans le traitement des concepts historiques et scientifiques d'Ordre et de Pro­ grès. Dès lors, il peut juger - selon une argumentation qu'il ne se lassera pas de réitérer dans le Cours de pltilosophie positive comme dans le Sys­

tème de politique positive - que les forces actuelles du progrès ont joué un rôle historique détenninant dans la marche progressiste de la civili­ sation, mais qu'elles ont commencé, par une sorte d'entêtement des masses, à jouer un rôle néfaste qu'elle devrait cesser le plus tôt possible: ce qu'elles ne sont certes pas disposées à faire. Même chose pour l'ac­ tion identiquement entêtée des aristocrates. Surtout à partir du C'urs dt• pllilosoplric Plitici, Dolo�tua, Il Molino, 1 9K I , pp. 7-56 (d'ora in poi, GAW, Anrt!lcNia, dt.); imponantt' ancht' D. fiSICHI!lLo\, Cririca di dt'Sim 11lla dtmoxm.:ior, OVI'II'to k '"R;.,,; di'l Lunwo di Cmcn;ca, Marco, 21MJ2. �

1

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oppure ancora la Natura, in quanto reca impresse le leggi eterne di Dio. Implicitamente o esplicitamente, il pensiero controrivoluzionario si or­ ganizza quindi intorno a una triade concettuale che da u n punto di vi­ sta logico è data dalla relazione di continuità discendente (di gerarchia sostanziale, quindi) fra Verità, interpretazione (o tradizione) e azione, mentre da un punto di vista pratico consiste nel rapporto fra Dio, na­ tura (o storia) e società, e sotto il profilo politico è infine trascrivibile come il nesso fra Autorità, Chiesa cattolica, potere. l contenuti salienti del pensiero controrivoluzionario - l'opposizione della gerarchia aU'u­ guaglianza, dell'autorità alla libertà, della natura all'artificio - nascono da questa matrice teologico-politica. Si noti che la trascendenza non è qui altro, in realtà, che 'fondazio­ ne': il divino, insomma, dai controrivoluzionari è reso funzionale alla politica, in un'inconsapevole adesione alle logiche moderne della seco­ larizzazione; ma certo, mentre la modernità secolarizza la religione in direzione soggettivistica, nei controrivoluzionari essa assume un poten­ te ruolo oggettivo, sociale e politico. Di conseguenza, per loro la ragio­ ne è davvero la struttura latente del mondo (fanno eccezione, in pane, Maistre e Donoso Cortés, per il loro estremismo teorico); nella natura è davvero presente - o vi si può sviluppare - un ordine razionale, che infonna la storia e la politica; e di queste, se rispettano le proprie strut­ ture logiche naturali, si può davvero dare 'scienza'. Però, a differenza da quella moderna, la ragione di cui parlano i controrivoluzionari non è antropocentrica, ma di origine divina, cioè di origine metarazionale, e può si essere riconosciuta, ma deve essere obbedita - sono le •leggi etemel) della politica -; è una ragione che sancisce la non piena dispo­ nibilità della storia e della natura per la capacità plastica e costruttiva dell 'uomo, e non è quindi una ragione esclusivamente orientata al do­ minio come pretende di essere quella moderna. Che la ragione non faccia centro sull'uomo, ma lo preceda, è evidente anche dal fatto che ogni individuo naturalmente nasce e si relaziona con gli altri all'in­ temo della lingua, loxos che non ha origine da alcun artificio. Quindi, la natura correttamente intesa è per i controrivoluzionari quella ragione concreta, quella potenza generatrice di vita e di storia, di civiltà e di istituzioni, divinamente fondata e orientata teleologica­ mente, che dispiega il proprio vigore secondo regole e misure certe e immutabili, e della quale il cristianesimo - e più ancora il cattolice­ simo - che ha consentito la vera civilizzazione umana, è perfeziona­ mento e culmine. E la ragione moderna - i razionali.o;ti e gli illumini­ sti -, che nel suo accecamento ha posto a fondamento deUe proprie teo­ rie una natura interpretata al di fuori dell'orizzonte teologico, non a caso -

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ha prodotto risultati 'barbarici', distruggendo I'Europa.6 Insomma, per i controrivoluzionari se non c'è rappono fra Uomo e Dio non c'è rap­ pono fra Uomo e Uomo, e quindi, non c'è misura - né come legame sociale né come giustizia - ma dismisura; se non c'è rapporto fra Dio e Natura (cioè se la natura non è vista come ordine voluto da Dio) non c'è neppure rappono produttivo fra Uomo e Natura: ossia, non si comprende la naturale socievolezza dell'uomo, gerarchicamente atteg­ giata, né la fallacia del modemo diritto namrale soggettivo e del con­ trattualismo che ne consegue. Dal punto di vista stnmurale, quindi, i controrivoluzionari sono ra­ dicalmente critici della pretesa modema ddl'autogiustificazione del fi­ nito - cioè dell'autolegittimazione razionale del potere, e deUa convin­ zione che la natura possieda una propria intrinseca immanente raziona­ lità, che si spiega con se stessa e che non rinvia ad altro da sé -, perché questa pretesa nasce, per loro, dall'ablazione sia del primo tennine della triade teologico-politica Oa fondazione) sia del secondo O'interpreta­ zione e la tradizione), il che produce la tipica ipertrofia modema dd terzo, del potere, che si vuole 'libero' da vincoli e limiti (cioè si atteggia come sovranità assoluta, del re o del popolo), e proprio per questo è in realtà instabile, violento e tirannico.

2.2. La teologia politica controrivoluzionaria è una struttura logica e antologica razionale ma non razionaliscica, che stabilisce un parallelismo fra teologia e categorie della politica non solo dal punto di vista della nonnalità ovvero della nomtatività, cioè deUa struttura dell'Essere stori­ co-politico, ma anche dal punto di vista deUo sviluppo e della patologia: infatti, data questa fondazione tra.'icendente (teologica) del potere, il pen­ siero controrivoluzionario, in modo cogente e inesorabile, deduce con­ seguenze storiche e pratiche (politiche) dalle modificazioni dell'assetto teologico; dalle eresie deduce rivoluzioni, come dall'ortodos.�a legittimi­ tà. L'opposizione frontale dei controrivoluzionari ri'ipetto alla civiltà mo­ derna nasce perciò dal fatto che essi la comprendono non secondo quan­ to essa proclama di sé, ma da punti di vista che si vogliono a essa alter­ nativi: interpretano la libertà come ribellione, la ragione emancipata dal­ l'autorità come disordine, la modernità come sistema di peccato. La radicale deficitarietà della politica modema nasce, per i contro­ rivoluzionari, dalla Rifonna, dalla sua interpretazione individualistica e anti-istituzionale (ossia, per quasi tutti loro, anti-cattoJica) della religio­ ne cristiana, che nella pratica si traduce nella sostituzione della media-

V.

Pnvx, I srf�i i11 li11nopa. 6 poli§, l 'JM7, pp. 1 3M-1 94.

LA FJ'IIrKir� rilf(l/llzitllllfrir� di .Waistrr r n.,...td, Napoli, Uiblio­

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zione pontificale con la mediazione razionale semplice (o mediazione immediata), ossia nella sostituzione del rapporto fondativo fra Dio e Mondo col rapporto, che si pretende autofondato, fra soggetto e ogget­ to (il dominio della scienza) e fra soggetto e soggetto (il contratto socia­ le). È questa la fase deistica della modernità, tra il Seicento e il Settecen­ to, in cui il Trascendente si trasfom1a in Trascendentale, e la religione, dopo le guerre civili, si avvia a essere privacizzata, dopo una prima fase in cui il potere politico neutralizza autoritariamente i conflitti religiosi: co­ sì, il potere tradizionale - che non vede la pericolosità del razionalismo, che non sa cogliere in esso i genni della critica e della crisi rivoluziona­ ria - si trasfomla in sovranità assoluta razionale, in Stato-mac,·hina, pro­ prio mentre la politica assume u n aspetto di rappresef! tanza (sia pure dal­ l'alto) e perde i car.atteri premoden1i della •presenza'. E in questa fase, an­ che, che si prepara (e nel tardo anden �inrr viene quasi ovunque anche concessa, da un potere politico onnai sostanzialmente inconsapevole di sé e del proprio fondamento religioso) la richiesta della tolleranza, che per i controrivoluzionari equivale all'affennazione che la politica è in­ differente alla religione, che sarebbe un'esigenza individuale (e la libertà religiosa un diritto soggettivo) e non il fondamento oggettivo della po­ litica. Già la modemità matura è pertanto una fase di instabilità politica: il potere assoluto privo di fondamenti dell'Antico Regime non può, per i controrivoluzionari. che essere esposto alla rivoluzione; e il liberalismo primo-ottocentesco di derivazione rifonnata - che apparentemente corregge il cor.ID di questa deviandola dal Terrore ver.ID il potere costi­ tuzionale rappresentativo, e che tenta di leggere la politica in termini di utilità individuale, cioè dopo tutto di economia - è a sua volta destinato a essere sommerso da un'entità che è invece profondamente politica: la democrazia. Insomma, la borghesia non è forza di governo come per se­ coli lo era invece stata la nobiltà; la neutralizzazione liberale della poli­ tica non regge, e apre la via all'iperpoliticismo rivoluzionario-democra­ tico del popolo e del socialismo. Infatti, per i controrivoluzionari la dinamica della Rifonna è desti­ nata a condurre all'ateismo, e quindi, per il parallelismo della teologia con la politica. la mediazione razionale immediata Oa struttura logica del Modemo) si trasfonna in immediatezza, cioè dà vita al radicale cor­ tocircuito fra autorità e potere, alla soppressione panteistica o atea, in ogni caso immanentistica, non solo della Trascendenza ma anche di ogni Trascendentale, cioè di ogni istanza di ordine razionale; in tennini storico-politici, la rappresentanza lascia il posto alla democrazia rivolu­ zionaria. Insomma, lungo la china della moden1ità non ci si può fenna­ re al liberalismo. ma deve emergere la Potenza as.�oluta, smisurata, squi-

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librata e irrazionale, deiJa democrazia, la cui destinazione violenta, ti­ rannica e terroristica, trova la propria spiegazione teologico-politica: è quando il popolo esercita direttamente il potere - che non può non essere potere rivoluzionario - che la democrazia vede sancita la propria nacurale mancanza di ordine e di limiti, la propria essenza mal­ vagia, la propria vocazione alla catastrofe. Il potere costituente deiJa nazione è infatti, per i controrivoluziona­ ri, l'opposto deiJa vera forza generatrice deiJa natura: il nesso democra­ tico e rivoluzionario fra natura (nazione), potere razionale e nuovo or­ dine sociale è una faiJimentare caricatura del nesso Dio/natura (storia) e politica (società): la nazione dei moden1i è una potenza disordinata, memre la namra (o la tradizione) è invece una potenza ordinante. Il che sibrnifica che in quanto è composto di cittadini 'liberi' e 'ub"lla li', in quanto non è organicameme e gerarchicameme stmtturato dalle mediazioni di un potere ben fondato su Dio, sulla natura e sulla storia, il popolo non è che una mas.'ia infonne, puro cao.(, La differenza rispetto a Hobbes - non solo, quindi, rispetto al modello storico dello Stato as­ soluto ma soprattutto rispetto alla fanna assoluta dello Stato moderno ­ sta nel fatto che secondo il filosofo inglese la moltitudine infonne si dà da sola un potere unitario, ossia conferisce a se stessa, senza derivarla dall'esterno, la fonna politica attraveno l'artificio razionale del patto e la costmzione della sovranità rappresentativa, oltre ogni ipotesi di or­ dine gerarchico naturale.' Per i controrivoluzionari, invece, è proprio questo ordine artificiale a es.'iere in realtà un disordone; è questa unità a essere cattiva e conf1ittuale molteplicità. Oltre il potere costituente rivoluzionario democratico-nazionale­ radicale, solo Donoso, per motivi cronologici, spinge il proprio sguar­ do, e scorge, come ultima tappa della parabola politica del Moderno, il socialismo. Così la critica controrivoluzionaria della democrazia si ac­ compagna nella sua prima fase alla polemica amiborghese, mentre nella fase finale si mescola a quella antisocialista. A dimostrazione che in real­ tà la critica di questi autori è rivolta, in profondità, all'intera logica po­ litica moderna, all'intero spettro delle sue fom1e.

2.3. La democrazia non è quindi per i controrivoluzionari soltanto una fanna di governo, ma è una rottura catastrofica e un evento me­ tafisica ed epocale: è l'individualismo rifom1ato-razionale che è dilaga­ to in anarchia e che è divenuto potere collettivo di mas.'ia, unico prin­ cipio organizzativo (e comrario) della società; è il disordine in lotta con­ tro l'autorità, cioè contro la forza divina che - attraverso i suoi inter' TH. Hoa11es. L1>i11tar/t1

(1651),

Firenze, la

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23 1

Nuov;t hali;a, I'J7(), c;ap. XVII, pp. lll.1-ll.K. -

preti e media[Ori - mantiene l'ordine dell'Es.o;ere e lo fa crescere e pro­ sperare; la sua instabilità e il suo polimorfismo (ovvero, tanto la sua 'na­ tura' - la lotta del male contro il bene - quanto il suo 'principio' - le molteplici combinazioni della violenza e della tirannide -) sono i frutti della fallace pretesa di autofondazione della politica moderna. Ogni ca­ rattere perverso della democrazia deriva dalla negazione di Dio come fondamento della politica: quindi, con giudizio di valore rovesciato, i controrivoluzionari acconsentono di fatto con Sade nell'atTenuare che solo il male radicale - l'ateismo, il regicidio, la scelleratezza sistema­ tica ed estrema- rende possibile la repubblica.� La chiave teorica per interpretare la critica controrivoluzionaria della democrazia, e in particolare il suo carattere di irrevocabilità, è quindi il rapporto fra Essere e Nulla: in quanto nega la mediazione pontificate, l'ordine deii'E.o;sere, la democrazia è Nulla politico; male radicale, la de­ mocrazia è inserita in una vicenda metafisica di cui costituisce il punto di crisi abissale. Negando Dio e i rapporti politici perfetti che ne derivano, la democrazia non può che sprofondare in un baratro privo di fondo; la pre­ tesa di onnipotenza della democrazia è in realtà impotenza, inefficacia e contraddizione: la democrazia pretende di essere il ma'i.o;imo di soggetti­ vità politica, di realizzare per tutti le libertà individuali e diventa oggetto del proprio stes.o;o potere fattosi collettivo e dio;potico, vuoi essere Jibera potenza dei singoli e del popolo e diviene schiavitù generalizzata. Quello che la rivoluzione democratica vuoi fare è insomma disastroso e satanico, distmttivo ed empio, ma anche impossibile e autodistruttiva: nichilistico, appunto. Ma dall'autodistruttività della democrazia non emerge alcun nuovo ordine; non vi è in quest'ambito una teoria ciclica deUe fanne di governo: piuttosto, la democrazia procederà di instabilità in instabilità, di orrore in orrore. Soprattutto, essendo un potere senza ordine, senza freni, senza limiti, darà vita a innumerevoli fanne di dispotismo. Tuttavia, la prospettiva finale dei controrivoluzionari è che la de­ mocrazia, non per sua interna capacità ma per la supremazia antologica dell' Essere sul Nulla, dell'ordine sul disordine, delle ragioni di Dio e della Natura su quelle dell'uomo, non sarà l'ultima figura della politica: l'Europa - dopo l'età sanguinosa della rivoluzione, in cui per volontà di Dio l'età moderna ha espiato i propri peccati attraverso la stessa violen­ za rivoluzionaria - transiterà, ancora per volontà di Dio e per la natu-



I >.A.F.

DI!

SAnE.

fromrrsi, diKc>rklr rssrrr rrpubblitalli,

libL"IIo mscnto

(pp. 15.1-2117) in lo . . lA_(ìlc>Jt?fÌmloir (1795). in SADJ>. (�·,.., Milano, Mondadori, 1976. pp. 23-237: dr. C. G.uu. Pcorm·. in d l o1 ah-. a t·ura di P.P. Poninaro. Torino. Einaudi. 2(Ml2. pp. 299-324. 111"1

/rcooKI"Iti

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232

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1

rale tendenza delle strutture logiche dell'Essere, a imporsi, a una fase della storia in cui la politica ritroverà i propri fondamenti. Quindi, più che una teoria ciclica delle fomte di governo - che spiega le trasfor­ mazioni politiche da un punto di vista immanente - è questa una teoria prowidenziale (o naturale) della storia che, paradossalmente, alle criti­ che apocalittiche della democrazia accompagna la sua minimizzazione in prospettiva tdeologica: la democrazia è una malattia che nasce dagli errori della modernità - ossia è, come la rivoluzione per Burke, una �pll. XVIII-XIX srtob.• • •l t·ura UEIU.IN, Jc•srp/1 dr Mo1 is rr r lr t>ri_ei11i dr/.fd$rismo• Il f�m• . drll'mtlollliiiÌ. Capittoli drl/11 $/c>ria ,fr/lr idt�·.

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237

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catturato dalle logiche politiche della modernità, si fa ideologia di guer­ ra, e - om1ai perduti i significati ordinativi che originariamente gli era­ no propri - nutre di suggestioni paradossali e di sulfuree prospettive l'antiliberalismo di Charles Maurras (che si definiva •cattolico ma ateo•) e la polemica an tiborghese di Léon Bloy, da dove giunge fino a Cari Schmitt, il quale da parte sua ne opera in TeoiOJ!ia politica una riappro­ priazione complessa ma stravolgente, che dimostra come l'efficacia dei controrivoluzionari non possa essere che 'agonica', e non 'dogmatica' come essi invece si prefi�revano. Della commistione di cecità e acutezza, di inattualità e di involon­ taria adesione allo spirito del tempo e perfino di preveggenza, che ca­ ratterizza la critica della democrazia dei controrivoluzionari, e anche delle divene fasi delle loro prestazioni nonché delle divene torsioni argomentative che li ditTerenziano l'uno dall'altro, si propone qui un saggio. Che ben più che a pretese di completezza aspira a esempli­ ficare le modalità di u n universo di pensiero che forse può apparire monotono ma che in realtà contiene i semi di posizioni politiche che nel corso dell'Ottocento e del Novecento, fuori dal contesto in cui hanno avuto incubazione, si manifesteranno in fom1e anche mol­ to ditTerenziate e perfino contrapposte: senza che ci si addentri nelle polimorfe vicende del romanticismo, basti osservare che alla fortuna di Burke nell'ambito del conservatorismo liberale si affianca la dura teoria dello Stato patrimoniale di Haller, e che all'ambito controrivo­ luzionario appartengono tanto l'antimodemismo di Maistre, ammira­ to da pensa tori lontani tra di loro come Cioran e Del Noce, quanto il funzionalismo organicistico di Bonald, padre inconsapevole della so­ ciologia, quanto infine l' iperpoliticismo ultraconflittuale di Donoso Cortés, la cui violenta reazione davanti alla minaccia socialista ha con­ sentito che il suo pensiero venisse interpretato - ceno, avventurosa­ mente - anche in chiave decisionistica.

III.

l PRINCJPAU AUTORI

l. Benché Burke con le sue Rejlexions on tlre Revolllliou ;, Frarrcru rappresenti l'archetipo del pensiero controrivoluzionario, tuttavia gli intenti politici dell'anglicano u4ri,g, il suo contesto intellettuale, le sue

E. UUIUU!, Ri/lrssicllli s1IIM ri110/11.riomr ;, l:m11dt1 (17911) , Roma, ldl.'azionc Editrici.', I9'JK; su Uurkc 51 vedaM. lENa, lllflividllalinii�J Jr1noaa1itt> r /i/Jrror/is11111 aristtll1atir�J tlf'l pr11sirl'(l pc1/itire1 di F.dtmmd B•�rkr, Pis.1-Roma, btmm Editoriali c Pobgro�fici lnlcmazionali, 19CJCJ. u

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categorie argomentative si discostano, in linea di principio, da quelle dei cattolici. Infatti, non c'è in lui una teologia politica dogmatica co­ me negli autori cattolici: mentre la storia è per Maistre e Bonald la ma­ nifestazione della fondazione propriamente divina della politica, per Ilurke l'auctoritas fondativa consiste nella lunga durata, opposta al co­ struttivismo razionalistico astratto e violento che è l'ideologia della ri­ voluzione. Tuttavia, al di là di questa distanza nei principi, Burke svol­ ge precocemente alcuni blocchi argomentativi decisivi per la critica controrivoluzionaria alla democrazia, destinati ad avere ampia circola­ zione e grande efficacia nell'Europa del tempo, appunto perché davanti alla democrazia rivoluzionaria francese l'attaccamento burkeano alle li­ bertà tradizionali e agli equilibri costituzionali inglesi si manifesta in fom1e aggressive e dogmatiche, adattissime a fini polemici. In Burke il pensiero controrivoluzionario si mostra però nel suo volto meno ar­ cigno, cioè come conservatorismo che, nemico di Ob'Tli impazienza, vuole evitare le pervenioni della democrazia, la quale nel nome teorico della libertà e dell'uguaglianza per ciascuno le nega di fatto a tutti. Un conservatorismo potenzialmente 'liberale', almeno perché le libertà tra­ dizionali che Burke contrappone ai diritti astratti propugnati dalla rivo­ luzione hanno infles.'ìioni e potenzialità più individualistiche delle liber­ tà, in fondo cetuali, difese dai controrivoluzionari cattolici. Per lui, in ogni caso, la democr.�zia - fanna di governo popolare distinta dal repubblicanesimo perché in essa non c'è il Senato, ossia l'e­ lemento della rappresentanza aristocratica (§§. 3 1 4-31 6) - è incapace di realizzare il bene comune, essendo piuttosto un coacervo di beni par­ ticolari conflittuali tra loro: la razionalità totale e onnicomprensiva del popolo è in realtà in preda al capriccio e all'interesse personale di cia­ scuno (§ 145) . L'ubruaglianza in senso quantitativo fa dunque della so­ cietà una massa incoerente e infonne (§ 2 9 1 ) , e per di più viene smen­ tita dalle concrete dinamiche politiche, che mostrano come il popolo sia in realtà guidato da élites demagogiche (§§ 268 sgg.). Questo fonda­ mento individualistico e ugualitario della democrazia non solo genera disordine nel presente, ma distrugge sia il pas.'iato sia il futuro (§ t 48) perché - opponendo ai diritti reali, quali si sono evoluti nella storia, i diritti naturali, del tutto astratti e ineffettuali (§§ 89-90) - nega e in­ terrompe l'organicità non solo del legame sociale nel presente ma an­ che del legame tradizionale fra le generazioni, riducendo gli uomini a •mosche estive• prive di storia e di avvenire (§ 1 49). E proprio perché è infonne e immemore, apatica e febbrile, la democrazia ha in sé il prin­ cipio della tirannide, e tende in pennanenza a presentarsi come sopraf­ fazione e esclusione delle minoranze (§§ 199-200). A questo proposito -

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appare in Burke un'argomentazione che si presenterà anche in altri auto­ ri, ovvero che la democrazia, in quanto caratterizzata dall'assenza di le­ game sociale, lascia facilmente spazio al prevalere dell'esercito sull'ele­ mento civile, e degenera quindi in tirannide militare (§§ 347-348).

2. È in Francia, però, che prendono corpo le molteplici possibilità del pensiero controrivoluzionario, con l'unione di questo alla prospet­ tiva cattolica. Prima ancora di carauerizzare, nelle Comiderations sur la France, la rivoluzione come nichilismo in automovimento e in autocontraddizio­ ne, u Maistre nel 1 794-1 795 si misura direttamente, auraveno Rous­ seau, col tema della democrazia in De la souveraineté du peuple. Un an� ti-contraci S(JCial. 1" I n questo testo briovanile la democrazia - che è il go­ verno rivoluzionario francese, nella sua fase giacobino-terroristica e ter­ midoriana - è vista come essenzialmente instabile in quanto è tesi fondamentale dell'Autore che la ragione umana, la filosofia, reputata l'origine della democrazia, non possa costituire un ordine politico . 1 � Perché ci s i a ordine - afb70111enta il pensatore savoiardo - è necessaria una sovranità, che è data solo dal fondamento divino - che è un fon­ damento non naturale-razionale come in Bonald, ma essenzialmente irrazionale, oscuro (o sanbruinoso: si ricordi l'elogio del boia nelle &ratt• di San Pietrobuf'}!o) - e dalla lunga durata di quelle monarchie nelle quali il re si rapporta col popolo come un padre con la propria famiglia . , ., L'ordine è un dogma politico c h e preesiste alla rabrione costruttivistica umana: una sovranità artificiale, inventata, è quindi una contraddizione in tennini. Ma la critica della democrazia di Maistre va oltre la critica del razionalismo: egli infatti, negando che ci possa essere associazione di uomini senza quel tipo di sovranità, si oppone non solo al contratto razionale ma anche al potere costituente, teorizzato da Sieyès come im­ manenza assoluta nella nazione di un'autorità onnipotente. Il male ra­ dicale della democrazia sta nel fatto che è un potere non fondato in Dio e nelle leggi di natura che vengono da Lui, ma in se stesso. Infatti, dove espressamente si occupa della democrazia, 17 Maistre su­ pera la concezione classica che vi vede una fornta di governo tra le al-

MA1S11U! , C..msidrmzicmi Sltlld l;mnria (1797), Roma, Editori Riuniti, 11JH5, capp. 2H--12 (in panicolare, nel V è c."Splicito il tema del nichilismo della rivoluzione). (171J4-5; pubblic:uo postumo nd IK7U ('OI titolo É111dr sttr la SCIIIWMillrlr), Napoli, Editoriale Sci('IUifica, 191)1)_ lvi, libro l , capp. V I l i e IX, pp. 37-51. '0 /Ili, libro Il. cap. Il, pp. 92-113. lvi, libro Il, cap. IV, pp. 123-141. u

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tre, e ne fa una questione teologica epocale. Dal riconoscimento che la democrazia è per Aristotele una fanna degenerata di

polit1'a,

Maistre

passa subito a sostenere ciò che ben più lo interessa, cioè che la demo­ crazia è propriamente priva di sovranità, ed è quindi u n potere che si sostiene solo grazie alla virtù dei cittadini e a una sorta di legame sociale naturale, che egli definisce •spirito di associazione volontaria• o adi co­ munità•. Questa struttura costituzionale rende la democrazia capace di grandi cose, egli ammette, ma solo sporadicamente e nelle entità poli­ tiche di piccole dimensioni; soprattutto, la democrazia è per lui insta­ bile e soggetta alle passioni (il tema del dispotismo) e, anche quando è virtuosa, è troppo dinamica, mentre il bene comune, as.�icurato dalla monarchia, è es.�enzialmente stabilità (in opposizione all'esaltazione ri­ voluzionaria del modello repubblicano romano). Inoltre, Maistre, in stretto rapporto polemico col testo del

Co11tratto sociale,

sottolinea che

proprio il fatto che sia adatta solo a piccoli Stati dimostra che la demo­ crazia non è la fanna di governo migliore in assoluto; soprattutto, en­ fatizza che in essa il potere di legiferare non può mai essere di tutto il popolo, ma solo di gruppi più o meno ristretti. Quindi Maistre - che qui realizza lmo dei

topoi del pensiero comrorivoluzionario - accetta in

parte la democrazia degli antichi ma teorizza l'equivalenza fra la demo­ crazia moderna e la tirannide della maggioranza nella forn1a di un ni­ chilismo originario della democrazia che rende possibile il dominio de­ magogico delle minoranze. C'è in Maistre una sorta di contrappasso del pensiero comrorivolu­ zionario: proprio la violenza con cui nega ogni possibilità di fondazione razionalistica o comunque autonoma della politica - proprio la radica­ lità con cui oppone il proprio oscurantismo all'illuminismo - lo porta a escluderne anche la fondazione

tout romt.

La legittimità è un mistero,

per Maistre, ovvero è essenzialmente infondata: è Dio che crea i sovra­ ni e fa apparire le dinastie nascondendo allo sguardo umano la loro ori­ gin e . • � Il furore polemico rivolto contro il nichili�mo del costruttivismo moderno risulta quindi �o stes.�o nichilistico: il legittimista nega ogni riconoscibile legittimità del potere al di fuori del suo mero esserci (in­ fatti, verso Napoleone il suo atteggiamento è ambivalente), e il fonda­ mentalista finisce per smarrire i fondamenti a cui ancorare la politica. Questo - come del resto quello di Donoso Cortés - non è decisioni-

• � lo., Su/ ptittcipù.o �11rmtorr tkllr rostilttziomi f'