La «Chirurgia Magna» di Bruno da Longobucco in volgare: Edizione del codice Bergamo MA 501, commento linguistico, glossario latino-volgare 9783110624595, 9783110624106, 9783110625448, 2019946315

This volume presents a study of the vernacular tradition of Chirurgia magna, one of the most important chirurgical treat

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Italian Pages 957 [962] Year 2020

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Table of contents :
Premessa
Contenuti
Indice delle figure
Indice delle tabelle
1. Introduzione
2. La Chirurgia magna
3. La Chirurgia magna in volgare
4. La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501
5. Appunti linguistici
6. Glossario
7. Conclusioni
8. Bibliografia
9. Tavola delle abbreviazioni
Indice dei lemmi volgari
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La «Chirurgia Magna» di Bruno da Longobucco in volgare: Edizione del codice Bergamo MA 501, commento linguistico, glossario latino-volgare
 9783110624595, 9783110624106, 9783110625448, 2019946315

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Emanuele Ventura La «Chirurgia Magna» di Bruno da Longobucco in volgare

Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie

Herausgegeben von Éva Buchi, Claudia Polzin-Haumann, Elton Prifti und Wolfgang Schweickard

Band 438

Emanuele Ventura

La «Chirurgia Magna» di Bruno da Longobucco in volgare Edizione del codice Bergamo MA 501, commento linguistico, glossario latino-volgare

ISBN 978-3-11-062410-6 e-ISBN (PDF) 978-3-11-062459-5 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-062544-8 ISSN 0084-5396 Library of Congress Control Number: 2019946315 Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.dnb.de abrufbar © 2020 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Typesetting: Integra Software Services Pvt. Ltd Printing and binding: CPI books GmbH, Leck www.degruyter.com

Alla mia famiglia

Premessa Poco più di un quindicennio fa, Riccardo Gualdo, intervenendo sulla lingua della pediatria in occasione di un eccellente convegno leccese dedicato alle parole della scienza,1 notava come la ricerca nel campo della lingua medica medievale si presentasse ancora, soprattutto in Italia, del tutto insoddisfacente. In particolare, mancavano quasi completamente non solo edizioni critiche moderne, filologicamente affidabili, dei testi volgari, ma anche e soprattutto delle opere originali, laddove (e ciò riguarda notoriamente la maggior parte dei casi) si avesse a che fare con traduzioni di trattati e commenti originali scritti in latino; lo scarso interesse suscitato negli studiosi è tuttavia inversamente proporzionale al ruolo ricoperto da questi testi nel sapere medievale e nella cultura medica europea, della quale essi costituiscono un punto di riferimento centrale, tanto da essere stati spesso oggetto di copia e poi di pubblicazione a stampa almeno fino alla metà del XVI secolo (sia in latino sia in volgare). All’assenza di moderne edizioni si è accompagnata la pressoché inenistente collaborazione tra filologi italiani e romanzi da una parte e storici della scienza e della medicina medievale dall’altra: ciò ha ulteriormente complicato i progressi della ricerca, inducendo lo stesso Gualdo a lamentare come «nel nostro paese, le edizioni di testi di medicina umana condotte con accortezza filologica sono ancora troppo poche [...]. Il confronto con quello che s’è fatto in Francia o in Germania è sconfortante, anche solo pensando all’Archiv für die Geschichte der Medizin fondato dal Sudhoff (ora Sudhoffs Archiv) o alle pubblicazioni dei Beihefte per la storia della medicina di Würzburg».2 A distanza di tre lustri la situazione può dirsi di certo migliorata, anche se, forse, non mutata nella sostanza, in particolar modo per quel che concerne la tradizione latina, tuttora piuttosto lontana dal centro degli interessi negli studi medievistici. Sicuramente più in salute appare oggi lo stato dell’arte sulla lingua medica in volgare, tanto da consentire di rettificare in positivo un’affermazione come la seguente, che pareva invece inoppugnabile fino a poco tempo

1 Dal quale è poi derivata una raccolta di atti ormai canonica per questo campo di studi: Gualdo (2001a). 2 Ivi, 40; inoltre, nel caso di edizioni otto-novecentesche delle opere mediche medievali, «gli editori, pur benemeriti, sono prevalentemente storici della medicina, non sempre sensibili alle sollecitazioni della filologia, e spesso portati ad esprimere giudizi impressionistici sulla lingua, accettati per inerzia dagli storici della medicina contemporanea» (ibid.): una situazione che si riflette a pieno, come si vedrà, nel caso particolare degli studi su Bruno da Longobucco e sulle sue opere, nelle quali, a uno scarsissimo apporto filologico si accompagnano valutazioni spesso inattendibili. https://doi.org/10.1515/9783110624595-202

VIII 

 Premessa

fa: «la filologia italiana non ha ancora affrontato in modo sistematico neppure il censimento dei testi medici e veterinari in volgare,3 per non parlare dei testi tecnici ed enciclopedici».4 Limitandoci proprio ai cinque protagonisti della medicina medievale chiamati in causa da Gualdo (Guglielmo da Saliceto, Lanfranco da Milano, Guy de Chauliac, Bruno da Longobucco, Pietro d’Abano), infatti, si potrà constatare l’avvenuto progresso. Almeno i primi due hanno goduto recentemente di un discreto interesse proprio sul fronte dei loro volgarizzamenti: Coco/ Di Stefano (2008) hanno compiuto un lodevole, seppur non definitivo, lavoro di recensio sulla vasta tradizione volgare della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto;5 su Lanfranco da Milano, allievo di Guglielmo e tradizionalmente considerato il fondatore della scuola medica francese, ha posto l’attenzione Roman Sosnowski,6 pubblicandone nel 2014 un volgarizzamento veneto della Chirurgia parva e contribuendo così ad apportare nuova luce su una figura di primissimo piano nella storia della chirurgia medievale. Se con Guglielmo e Lanfranco ci troviamo proprio nel campo specifico della chirurgia, che qui più ci interessa, altre edizioni hanno riguardato, nell’ultimo decennio, testi medici di diverso genere e provenienza: tra i più recenti, Tomasin (2010), Mazzeo (2011), Piro (2011), D’Anzi (2012a), Zamuner (2012a), Castrignanò

3 Accanto agli studi condotti sui testi propriamente medici sono importanti, come termini di confronto dei temi affrontati nel presente lavoro, anche quelli riguardanti i testi veterinari (nonché di mascalcia e falconeria): questi ultimi saranno dunque tenuti in giusta considerazione alla luce dei contatti, sia sul piano lessicale sia su quello testuale e traduttivo, condivisi dai due àmbiti della medicina umana e animale. Si ricorda qui anzitutto il lavoro fondamentale di Gleßgen (1996) sul Moamin in volgare; accanto a questo, Trolli (1983; 1990), Gualdo (1998); Aprile (2009) offre una rassegna dei testi medievali di mascalcia: tra questi occupa un ruolo primario il De medicina equorum di Giordano Ruffo, per il quale cf. Montinaro (2015; 2016). 4 Ivi, 38. Non si dimentichi, peraltro, che, allargando il quadro al mondo complessivo dei volgarizzamenti medievali, molti sono quelli ancora esclusi dal corpus TLIO (http://gattoweb. ovi.cnr.it/), perché le loro edizioni, per lo più ottocentesche, peccano di inaffidabilità. Per avere una panoramica, seppur ancora in costruzione, dei volgarizzamenti italiani (di testi pratici e letterari), il punto di partenza è rappresentato dalla banca dati SALVIt, che si avvale dello stesso programma elaborato per TLIon (Tradizione della letteratura italiana on line), ed è consultabile in rete (http://www.salvit.org/): essa contiene «schede filologicamente impostate riguardanti la tradizione testuale dei testimoni manoscritti e a stampa, le edizioni e gli studi» delle traduzioni realizzate tra il XIII e il XVI secolo, dalla Toscana alla Sicilia. L’obiettivo della banca dati è quello di «testimoniare l’importanza fondamentale assunta nella cultura del Medio Evo italoromanzo dai volgarizzamenti, fonti linguistiche e lessicali essenziali, soprattutto per quelle aree dell’Italoromania in cui la documentazione dei volgari locali è più debole o più tarda». 5 Notevole esempio di tradizione manoscritta particolarmente fortunata nell’àmbito dei testi scientifici in volgare. A tal riguardo, cf. anche Zarra (2017). 6 Sosnowski (2014).

Premessa 

 IX

(2014), Sosnowski (2014), Zarra (2018); a questi si possono allegare alcuni studi specifici sulla lingua medica più tarda, come Sboarina (2000) e Motolese (2004). Vanno poi ricordati due importanti progetti di ricerca varati negli ultimi anni e, al momento della stesura di questo lavoro, ancora in nuce, ma certamente di solida prospettiva: anzitutto, il corpus ReMediA (curato da Elena Artale e Ilaria Zamuner), che, nato in seno all’Opera del Vocabolario, mira a «fornire l’edizione del più alto numero possibile di testi in edizione moderna (trattati medici vari, chirurgie, ricettari, ecc.) e procedere alla revisione di edizioni ottocentesche o primo-novecentesche di testi medico-scientifici soprattutto in italiano, ma anche nelle diverse lingue romanze (principalmente catalano, francese e occitanico)».7 Accanto a questo, va menzionato il progetto LeMMA (Lessico medievale della Medicina e dell’Alimentazione, a cura di Maria Francesca Giuliani, Sergio Lubello e Rosa Piro), costituente un segmento del più ampio LeItaLiE (Lessicografia dell’Italoromanzo e delle lingue europee), promosso a sua volta dalle due Università di Napoli e dall’Università di Salerno, e vòlto a «disegnare una mappa dei testi tecnico-scientifici italiani medievali inerenti alla medicina e all’alimentazione, delle tradizioni testuali, dei tipi lessicali e dei modi in cui nascono e si disegnano i linguaggi tecnico-scientifici antichi».8 Parlare di trattatistica scientifica in volgare e, più in generale, di letteratura medica in volgare nel Medioevo, vuol dire in massima parte, come accennato, occuparsi di volgarizzamenti di opere latine.9 Si ha a che fare, dunque, con testi nei quali il rapporto tra latino e volgare s’impone in primo piano, motivandone,

7 Cf. http://www.sifr.it/storico/ricerca/remedia.pdf. Il corpus è interrogabile in rete al seguente indirizzo: http://remediaweb.ovi.cnr.it/ (ultima consultazione: 15 gennaio 2019). 8 Per una descrizione del progetto, cf. la seguente pagina web: http://www.unior.it/ateneo/13076/1/ progetto-lemma.html; si vedano, inoltre, Giuliani/Lubello/Piro (2014). La ricerca è divisa in tre sezioni, i cui risultati saranno disponibili su un archivio informatico: la prima è dedicata alla medicina medievale (R. Piro), la seconda al lessico culinario dell’italiano antico (S. Lubello), la terza, denominata LeMMArio (M. Giuliani), «raccoglie schede lessicali onomasiologiche e semasiologiche singole o interrelate, schemi di sintesi, rappresentazioni cartografiche di percorsi e contrasti lessicali significativi, con riferimenti ad articoli scientifici pertinenti e a materiali correlati all’avanzamento della lessicografia storico-etimologica delle varietà italo romanze». Di particolare interesse in questa sede sarà la prima sezione, che concerne la pubblicazione periodica in rete dei Lessici dell’Almansore (https://lessicialmansore.com/), consultati nella costruzione del glossario che qui si offrirà. 9 Cf. Aprile (2014, 75): «A parte episodi di fortissima originalità come quella dei trattati danteschi, la storia della trattatistica del primo secolo e mezzo è quella della riappropiazione e del continuo travaso di contenuti dal latino, con cui l’ancora gracile volgare vive in simbiosi. La trattatistica medievale è insomma, da certi punti di vista, la storia di un vastissimo processo di traduzione: dal latino al volgare, ma prima ancora da altre lingue (l’arabo, il greco) in latino».

X 

 Premessa

di fatto, il notevole interesse anzitutto sul piano lessicografico: «la loro rilevanza è fondamentale, soprattutto per l’individuazione, la progressiva messa a fuoco e la stabilizzazione del lessico, dunque per il costituirsi di una lingua della scienza» (Frosini 2014, 48). Se la lingua europea comune delle scienze rimarrà ancora per secoli il latino, il volgare acquisì nel corso del Medioevo una posizione sempre più preponderante, avviandosi verso una graduale istituzionalizzazione: pur restando sicuramente distante dalle caratteristiche proprie del linguaggio scientifico moderno, esso presenta sin dal Trecento un sistema terminologico e di formazione delle parole sicuramente ben organizzato, come Altieri Biagi (1970) mostrò già nel suo pioneristico studio su Guglielmo da Saliceto. In questo processo d’istituzionalizzazione largo merito (oltre a un ruolo quantitativamente dominante) va riconosciuto ai volgarizzamenti delle opere latine («Übersetzungen spielten eine entscheidende Rolle in der sprachlichen Ausprägung fachlicher Texte»).10 Anche limitando il campo ai soli testi medici, va poi ricordato come essi rappresentino categorie talvolta piuttosto distanti tra loro, con finalità e un pubblico che possono variare in modo sostanziale. Non è perciò secondaria la necessità di collocare preliminarmente la Chirurgia di Bruno all’interno di quel «fascio di realizzazioni che corrono a livelli diversi», di cui M. L. Altieri Biagi ha parlato in uno dei suoi tanti e benemeriti studi sulla lingua scientifica in volgare.11 Non basterà, soprattutto, tracciare una semplice linea di demarcazione tra opere cólte, scritte in latino, e opere popolari, scritte in volgare. La stessa letteratura medica in latino, infatti, contempla una gamma di realizzazioni piuttosto ampia, comprendente, accanto a trattati, manuali e commenti di natura scolastica, anche ricettari e altri prontuari medicinali, di circolazione più larga (consilia, regimina, practicae).12 La Chirurgia magna di Bruno si pone sicuramente sul piano della trattatistica alta, ufficiale, avendo peraltro le sue fondamenta, con discreta probabilità, nelle lezioni scolastiche impartite da Bruno (forse, come si osserverà, in quelle universitarie dello Studium padovano agli albori della sua storia, attorno alla metà del Duecento). Lo status dell’opera è perciò di particolare interesse,

10 Gleßgen (1995, 88). 11 Altieri Biagi (1984, 897). 12 Cf. De Tovar (1982, 195): «Les textes rédigés en langue vulgaire au Moyen Age et classés sous le titre général de ‹textes médicaux› sont d’ordre très diverse: ils vont des réceptaires populaires, de style presque folklorique, aux traductions d’authentiques traités magistraux. Ils n’ont en commun que d’avoir été destinés à un public non lettré, composés et copiés selon des critères d’utilité pratique: soit pour répondre aux besoins les plus courants dans le domaine de la pathologie, soit pour mettre à la portée du laïc les bases théoriques élémentaires d’un enseignement d’École qui lui était inaccessible».

Premessa 

 XI

anche alla luce della disciplina affrontata: la dimensione alta e teorica tipica del trattato, del manuale che attinge a piene mani dai testi delle auctoritates antiche, soprattutto arabe, si scontra con lo statuto prevalentemente pratico (e ancora tutt’altro che riconosciuto alla metà del XIII secolo) della chirurgia, ars che si poneva piuttosto al fianco delle branche «popolari» della medicina (terapeutica, farmacologia), nella trasmissione delle quali il volgare svolgerà un ruolo di peso maggiore. Del conflitto tra theorica e practica, punto focale nella storia del pensiero medico medievale, si cercherà di dar conto nei primi capitoli del presente lavoro, concentrando nello specifico l’attenzione su Bruno e sulla sua Chirurgia. Le opere di Bruno (in particolare la Chirurgia magna) rappresentano un tassello rilevante nel mondo della chirurgia medievale: alla scarsa attenzione prestata ai suoi testi da un punto di vista filologico e linguistico si lega, peraltro, una considerazione altrettanto limitata del personaggio all’interno della storiografia medica, che ancora oggi risente di certi giudizi, filologicamente poco fondati, che rimandano ai primordi della disciplina in Italia. Alla modesta fortuna di Bruno in epoca contemporanea ha contribuito anche la mancata pubblicazione dell’importante edizione critica del testo latino, realizzata da Hall (1957), che avrebbe consentito, anche ai primi benemeriti lavori su Bruno (a cominciare da Tabanelli 1970) di avere una prospettiva ben più ampia e puntuale sulla figura del personaggio e sulla diffusione dei suoi testi. L’edizione di Hall, frutto di una tesi di dottorato discussa presso l’Università di Oxford, è infatti rimasta allo stato di dattiloscritto, e dunque pressoché sconosciuta agli storici della medicina, almeno fino alla «riscoperta» operata da McVaugh (2006). Il presente lavoro parte da una riflessione sul ruolo della chirurgia e di Bruno nel mondo scientifico duecentesco (cap. 1); nel cap. 2 esamina la fortuna e il contenuto della Chirurgia Magna in latino, illustrandone rapidamente i testimoni e il lavoro critico condotto su di essi da Hall (1957), e offrendo qualche informazione sulla sua fortuna all’estero (anche sotto forma di traduzioni in lingue diverse dall’italiano) e sulle principali fonti antiche dell’opera; il capitolo si conclude con una breve presentazione della Chirurgia parva (in latino e in volgare), compendio dell’opera maggiore. Si passa quindi allo studio dei testimoni volgari della Chirurgia (cap. 3): in particolare, si propone un confronto riguardante la struttura e i contenuti dei singoli testimoni, prestando particolare attenzione ai tre codici al centro della nostra analisi (il MA 501 della Bibl. «Angelo Mai» di Bergamo, il ms. Rossi 147 della Bibl. Corsiniana di Roma e il ms. 591 Med. della Bibl. Civica di Verona); nel cap. 4 si offre l’edizione del suddetto manoscritto MA 501, codice bergamasco della metà del Quattrocento, di cui si allega un commento linguistico (cap. 5), vòlto a confrontare anche le distinte strategie di traduzione adottate dai vari volgarizzamenti della Chirurgia (in particolare dai mss. R e V). Fulcro

XII 

 Premessa

del lavoro propriamente lessicografico è poi il glossario (cap. 6), composto da tre sezioni: 1) anatomia; 2) fisiologia e patologia; 3) botanica e farmaceutica; in conclusione, si riporta un indice di tutte le voci volgari poste a lemma, col fine di facilitarne la consultazione. Sarà in particolar modo la sezione lessicografica a confermare il grande apporto dei volgarizzamenti medici medievali alla conoscenza degli antichi volgari italiani (tanto più di quelli settentrionali) nella loro veste tecnica e pratica, lontana da interessi letterari. Alla base dell’indagine lessicale si colloca dunque la convinzione, ampiamente certificata dagli studi degli ultimi decenni, che anche (se non soprattutto) i volgarizzamenti di circolazione più bassa, «font tomber les frontières entre régions de langue et de mœurs différentes, entre lettrés et ceux qui ne le sont pas: textes mouvants, sans prestige littéraire, mais dont l’intérêt réside dans l’instabilité même. Ils peuvent permettre l’étude de tout ce qui se déplace, évolue, vit enfin, en dehors des formes trop parfaites où se cristallise l’esprit d’une élite. Nous y apprendrons la langue de ces pauvres écoles où, loin de L’Université, se transmet tant bien que mal un savoir sans panache: langue hésitante, maladroite, qui se forme et se déforme, devient celle d’un maître, où celle d’un barbier de village» (De Tovar 1982, 261–262).

********** Il presente libro è il frutto della rielaborazione e del parziale ampliamento della mia tesi di dottorato, discussa presso l’Università per Stranieri di Siena nel giugno del 2017. Nel corso di più di quattro anni di lavoro, molte persone hanno contribuito a migliorare questa tesi e renderla decisamente meno imperfetta di quel che sarebbe altrimenti stata: il mio sincero ringraziamento va anzitutto ai due relatori, Laura Ricci e Wolfgang Schweickard, per le loro puntuali indicazioni e gli utili suggerimenti; sono grato a quest’ultimo e alla condirettrice Claudia PolzinHaumann anche per aver voluto accogliere il libro nella collana dei Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie. Un ricordo speciale è dedicato a Max Pfister, membro della commisione finale d’esame del dottorato e, in quella come in altre occasioni, latore di consigli molto preziosi. Sono poi riconoscente a Michael R. McVaugh, per il fondamentale ausilio bibliografico, e a Teresa De Robertis, per alcune essenziali note paleografiche. Un affettuoso ringraziamento va agli amici incontrati lungo il percorso, ai quali sono debitore di correzioni ed esortazioni di ogni genere: in primo luogo a Giuseppe Zarra, della cui pazienza ho spesso abusato; inoltre, a Veronica Ricotta, sodale di studi nei piacevolissimi giorni senesi; a Violetta Barracchia, Michele Colombo, Francesco Crifò, Christoph Gross, Luisa Perla, Christian Schweizer, Lisa Šumski, liebenswerte Kommilitonen durante la splendida esperienza saarlandese. Un pensiero del tutto particolare è rivolto, poi, ai giovanissimi studenti del Liceo Classico di Tivoli, che hanno dovuto sopportarmi come docente di Lettere

Premessa 

 XIII

negli ultimi due anni: i loro sorrisi e le loro curiosità sono stati un motore quotidiano indispensabile per condurre a termine il libro negli ultimi e faticosi mesi di revisione. Infine, sono particolarmente grato al mio maestro, Luca Serianni, per i tanti e preziosi insegnamenti che ho avuto la fortuna di ricevere sin dal tempo dei primi corsi universitari. Roma, Marzo 2019

Contenuti Premessa 

 VII

Indice delle figure  Indice delle tabelle  1 1.1 1.2 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 3 3.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4

3.1.5 3.2 3.3

 XVII  XIX

 1 Introduzione  La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti   1 Bruno da Longobucco: vita e opere   11  17 La Chirurgia magna  Struttura e contenuto: doctrina e prassi al servizio dell’ars chirurgica   17 Testimoni e diffusione del testo latino   28 Fortuna dell’opera nel Medioevo   39 La Chirurgia magna fuori d’Italia: presenza del testo latino in Europa e sue traduzioni   43 L’edizione critica Hall (1957)   47 La questione dell’explicit/prologus   50 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche   53 La Chirurgia parva in latino e in volgare   64  70 La Chirurgia magna in volgare  Testimoni   70 R = Roma, Biblioteca Corsiniana, Rossi 147   74 V = Verona, Biblioteca Civica, 591 Med.   81 B = Bergamo, Biblioteca civica «Angelo Mai», MA 501   87 La famiglia settentrionale (L = Lucca, Bibl. Comunale, 1628; F1 = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. 507; Bre = Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, A._IV.15) e il ms. F2 = Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2228 (S.IV.12)   101 La Cyrogia di Maistro Bruno (editio princeps in volgare, 1510)   116 Tavola dei contenuti   120 Il «diasistema» dei volgarizzamenti   168

XVI  3.3.1 3.3.2

 Contenuti

Casi notevoli di ricontestualizzazione: l’avanzata degli ydioti nella chirurgia   171 Amplificazioni e semplificazioni   178

4 4.1 4.2 4.3

La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501  La scelta del testimone   188 Criteri di trascrizione   189 Testo   192

5 5.1 5.2 5.2.1 5.2.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.6.1 5.6.2 5.6.3 5.6.4

 349 Appunti linguistici  Grafia   349 Fonetica   354 Vocalismo   354 Consonantismo   362 Fenomeni generali   373 Morfologia   374 Sintassi e testualità    393 Il lessico medico nei mss. R, V e B   422 Tecniche di divulgazione   423 Greco, arabo, latino e volgare: confini e sovrapposizioni   461 Formazione delle parole    482 Ai confini del lessico specialistico: voci comuni, tecnicismi «collaterali», paretimologie, «teratogenie», «parole fantasma»   497

6 6.1 6.2

 507 Glossario  Per un glossario sinottico latino-volgare  Struttura dei lemmi   513

7

Conclusioni 

8 8.1 8.2 8.3

 855 Bibliografia  Abbreviazioni delle opere antiche   855 Studi   870 Opere lessicografiche e risorse informatiche 

9

Tavola delle abbreviazioni 

Indice dei lemmi volgari 

 507

 852

 901

 899

 895

 188

Indice delle figure Figura 1  La medicina medievale fra teoria e prassi 

https://doi.org/10.1515/9783110624595-204

 07

Indice delle tabelle Tabella 1

Confronto fra il ms. B e i mss. latini 

Tabella 2

Un caso di saut du même au même nella famiglia settentrionale 

Tabella 3

Un caso di innovazione nella struttura del testo 

Tabella 4

Confronto dell’incipit 

 110

Tabella 5

Confronto dell’explicit 

 111

Tabella 6

Confronto sinottico del testo 

Tabella 7

Casi di rielaborazione nell’editio princeps volgare 

Tabella 8

Struttura del libro I 

 122

Tabella 9

Struttura del libro II 

 145

Tabella 10

L’avversione agli ydiotae 

Tabella 11

Il diasistema autore-volgarizzatore-copista  Riscritture e modifiche attualizzanti  Casi minimi di riformulazione  Altri casi di conservazione  Rubriche di capitolo 

 119

 172

Tabella 12 Tabella 14

 102

 114

Tabella 13 Tabella 15

 92

 176

 178

 184  186

 412

Tabella 16

Struttura interna dei capitoli (a) 

Tabella 17

Struttura interna dei capitoli (b) 

Tabella 18

Segnali discorsivi ricorrenti 

Tabella 19

Glosse nel testo latino 

 414  414  418

 425

Tabella 20

Glosse lessicale nei volgarizzamenti 

Tabella 21

Amplificazioni con valore anaforico 

 427  430

Tabella 22

Amplificazioni con finalità esplicative (a) 

 431

Tabella 23

Amplificazioni con finalità esplicative (b) 

 431

Tabella 24

Glosse perifrastiche 

Tabella 25

Glosse etimologiche e metalinguistiche 

Tabella 26

Glosse etimologiche dipendenti dall’originale latino 

Tabella 27

Dittologie sinonimiche 

 434  443  443

 446

Tabella 28

Trattamento dei participi presenti 

Tabella 29

Trattamento dei participi passati in funzione aggettivale 

Tabella 30

Infiniti sostantivati 

Tabella 31

Estensione dei costrutti verbali (a) 

 458

Tabella 32

Estensione dei costrutti verbali (b) 

 459

Tabella 33

«Riguardi verbali» 

 451

 457

 465

Tabella 34

Suffissi specialistici (a) 

 484

Tabella 35

Suffissi specialistici (b) 

 487

Tabella 36

Suffissi specialistici (c) 

 488

Tabella 37

Suffissi specialistici (d) 

 488

Tabella 38

Serie nominali 

 493

https://doi.org/10.1515/9783110624595-205

 454

 102

1 Introduzione 1.1 La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti Per collocare la figura di Bruno da Longobucco nel quadro della chirurgia medievale sarà utile, e dovremmo forse dire inevitabile, ancor più di quanto valga per le altre discipline mediche, muovere dalla menzione di un momento cruciale, che segna una svolta nella storia della chirurgia e della medicina nel suo complesso: s’intende ovviamente la fioritura della cosiddetta «Scuola medica salernitana». É infatti nella zona di Salerno (in un’area da concepire in senso lato, e che verso nord ha in Montecassino un avamposto di notevole rilevanza),1 strategico centro portuale, da tempo grande crocevia di merci e di uomini, che le dottrine mediche di derivazione greca e araba approdate in Italia trovano un fertilissimo punto d’incontro, potendo anche interagire con il sapere autoctono di derivazione latina: pur non costituendo mai un vero e proprio Studium universitario alla maniera di quelli che, di lì a pochi decenni, sorgeranno soprattutto nel nord della Penisola («tra i suoi maestri esiste infatti una certa cooperazione, ma essa non si traduce in forme corporative se non nel XV secolo»),2 Salerno fu però certamente uno straordinario «Heil- und Lehrstelle am Tyrrhenischen Meere», come lo designò il Sudhoff nel titolo di uno dei suoi tanti e fondamentali contributi sulla storia della medicina medievale.3

1 Da Salerno (dov’era giunto attorno al 1070) a Montecassino si trasferì Costantino l’Africano: cf. Agrimi/Crisciani (1980, 151–153). Più in generale, tutto il testo di Agrimi/Crisciani (1980) e, sempre delle stesse autrici, Agrimi/Crisciami (1988), rimangono fondamentali per un’introduzione al mondo della medicina medievale. A questi andranno annessi almeno: Brunet (1976), Cosmacini (1987–1994), Schipperges (1988); i diversi saggi raccolti in Grmek (1993); più nello specifico, per la storia della chirurgia e il relativo insegnamento in epoca medievale, cf. Pesenti (1978), Siraisi (1990: cap. 6), O’Boyle (1994), McVaugh (1993; 2006), Jacquart (1998), Cosmacini (2003, 56–92). Per il ruolo della medicina araba nel Medioevo latino, cf. anzitutto Jacquart (1990), Sterpellone/ Elsheikh (2002) e Schipperges (2013). 2 Pesenti (1989, 156). Ma Kristeller (1986, 11), giusto qualche anno prima, apriva il suo fondamentale saggio sulla Scuola salernitana ricordando ancora come essa sia stata «a buon diritto famosa come la prima Università dell’Europa medievale e come uno dei primi e più cospicui centri di medicina». Cf. Green (2009, 26): «non abbiamo notizia di gruppi di entità fisiche o legale che siano anteriori al XIII secolo. Già prima del XII secolo dovettero tuttavia sussistere tradizioni di insegnamento che si trasmettevano empiricamente da maestro a discepolo». 3 Sudhoff (1929, 43–63). Per una panoramica sulla storia della Scuola Salernitana, oltre al già menzionato Kristeller (1986), cf. Oldoni (1987), Jacquart (1997), i diversi saggi contenuti in Jacquart/Paravicini Bagliani (2007), con particolare riguardo a Vitolo (2007). Green (2009, 16) https://doi.org/10.1515/9783110624595-001

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 1 Introduzione

È anzitutto a Salerno, infatti, secondo quanto è ormai largamente assodato dagli storici della medicina, che andò formandosi il nucleo originario della cosiddetta Articella. L’Articella, o Ars parva, è il titolo normalmente adottato negli incunaboli per designare una collezione di opere mediche formata inizialmente dall’Isagoge di Iohannicius, gli Aphorismi e i Prognostica di Ippocrate, i trattatelli De urinis di Teofilo, De pulsibus di Filareto, cui furono progressivamente aggiunte altre opere, tra le quali spicca la Tegni di Galeno.4 È soprattutto grazie alla figura di Costantino l’Africano e alle sue traduzioni dall’arabo (per quanto la storiografia abbia da tempo ridimensionato la misura del corpus constantinianum),5 che la maggior parte di questi testi penetrerà nella cultura scientifica occidentale, contribuendo in maniera determinante alla rinascita della scienza medica in Europa e andando a costituire l’ossatura dell’insegnamento universitario nei decenni successivi.6 Alcune delle opere appena citate rappresentano un riferimento centrale anche nelle pagine della Chirurgia di Bruno, come si vedrà tra poco illustrando brevemente le fonti alla base del suo trattato; più in generale, però, l’Articella costituirà il punto di riferimento nelle nascenti facoltà di medicina, dove essa sarà a lungo il fulcro della lectio, la lettura commentata dei testi più autorevoli, atti a costituire il bagaglio scientifico essenziale degli aspiranti dottori in medicina.7 s’interroga, tra gli ultimi, sulle ragioni di tale supremazia nel contesto di un territorio, quello dell’Italia meridionale, caratterizzato da una diffusa ricchezza di derrate alimentari e granaglie, e dove, accanto a Salerno, esistevano città di estensione, peso politico o economico anche maggiore (Napoli, Amalfi, Bari): «spiegazioni definitive sono di là da venire, sebbene, quando vi saranno, dovranno trovare aggancio in larga parte con la posizione fortunosa di Salerno quale centro di confluenza delle culture del Mediterraneo»; a tal riguardo, cf. anche Amarotta (1992). Infine, per una panoramica aggornata sulle traduzioni italiane delle opere salernitane, e per le prospettive di ricerca in questo campo, cf. Ventura (2011). 4 Per la storia dell’Articella e la sua circolazione manoscritta, cf. Wallis (2007) e O’Boyle (1998). 5 Su Costantino, cf. anzitutto Burnett-Jacquart (1994), Falkenhausen (1984), Veit (2003), Marasco (2004); per le opere a lui attribuite e per un’analisi delle sue traduzioni, cf. Baader (1967), Montero Cartelle (1990; 1998). 6 Cf. McVaugh (1993, 378–379): «sembra utile attribuire il merito di questa rinascita della chirurgia ‒ e in generale di gran parte della medicina ‒ alle traduzioni di Costantino Africano [...]. Il suo interesse per la chirurgia lo indusse a scegliere di includere il libro dedicato ad essa fra le poche parti che tradusse della seconda metà (quella riservata alla pratica) del Pantegni di Alī ibn ʿAbbās al-Mağūsī [...]. Fu dunque grazie alle traduzioni di Costantino che la tradizione chirurgica greca cominciò a venire incorporata in quella latina. Sembra però che le traduzioni di argomento chirurgico non abbiano avuto l’impatto immediato di quelle più strettamente riguardanti la medicina; questo perché, a quanto risulta, la chirurgia non costituiva una componente di rilievo del programma di insegnamento ‒ esposizione e commento ‒ adottato dalla scuola salernitana del XII secolo». 7 Siraisi (1981, 98): «The Articella was probably introduced into northern Italy by Petrus Hispanus». Cf. Schipperges (1988, 146): «L’Articella rappresenta quindi un’ars medicinae in sé

1.1 La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti  

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Spingendoci più in là di qualche decennio, va poi rimarcato come, sempre all’interno del milieu culturale salernitano, poté ricevere la sua formazione Ruggero Frugardo da Parma, la cui Practica Chirurgiae (o Chirurgia), compilata da un allievo di Ruggero stesso, Guido d’Arezzo il Giovane, e da collaboratori di quest’ultimo, rappresentò di fatto la prima opera chirurgica a comparire sul suolo europeo, dopo la lunga tradizione araba che contrassegnò i secoli precedenti.8 La Practica vide la luce intorno agli anni Settanta del XII secolo,9 in area probabilmente emiliana (quella, cioè, di provenienza dell’autore), e non salernitana, come a lungo si è ritenuto in virtù dell’apprendistato di Ruggero svolto a Salerno. Di là dall’esatta sistemazione temporale e spaziale dell’opera, un fatto basilare può essere accolto con relativa sicurezza: la centralità indiscussa, cioè, dell’opera di Ruggero nei decenni posteriori (e per tutto il Medioevo) e il suo legame con il mondo medico salernitano. L’opera di Ruggero godette, infatti, di enorme fortuna nei decenni posteriori, circolando largamente in Europa anche grazie ai commenti latini che ne derivarono (a loro volta oggetto di notevole diffusione in forma autonoma): la cosiddetta Rolandina di Rolando da Parma, stesa attorno al 1240, e le Glosse dei Quattro Maestri Salernitani. In generale, la Practica di Ruggero nasceva dalla sentita «esigenza di istituzionalizzare e regolarizzare l’insegnamento della chirurgia»,10 sottraendola a quella larga schiera di laici, prevalentemente barbieri, praticoni, cerugici, privi di una vera formazione medica accademicamente riconosciuta, ma a quel tempo pressoché unici protagonisti di interventi medici manuali che, in quanto tali, erano oggetto di aperto discredito negli ambienti scientifici cólti. È però proprio a Salerno che l’arte chirurgica muove i primi passi del suo riscatto scientifico e fonda le basi della sua emancipazione dalle varie forme di esoterismo e magia (a loro volta radicate nel clima

conchiusa, una ragionata raccolta di testi didattici e, di conseguenza, un programma culturale articolato. Nonostante numerose revisioni, essa va considerata fino al XV secolo come l’incontrastato veicolo della tradizione della scuola salernitana». 8 Proprio rispetto alla tradizione greco-araba precedente, l’opera di Ruggero si mostra piuttosto indipendente, per quanto trapelino alcuni riferimenti concettuali e linguistici di matrice più antica, che rivelano i contatti con la tradizione araba: cf. McVaugh (1993, 380): «La Cyrurgia di Ruggero, collocandosi ai primordi della chirurgia medievale, appare più spontanea della maggioranza delle opere successive. L’impressione generale è che essa prenda spunto dall’esperienza pratica». 9 L’esatta datazione dell’opera è stata oggetto di discussione: l’iniziale collocazione al 1230, basata su un manoscritto di Oxford contenente le Glossulae super Chirurgiam Rugerii et Rolandi (Rolando da Parma, principale allievo di Ruggero), dette anche dei quattro Maestri salernitani, è stata da tempo rettificata sulla base di una revisione paleografica e pressoché unanimemente accettata (cf. Lauriello 2013, 3). 10 Zamuner (2012b, 123).

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 1 Introduzione

di spiritualità ancora a lungo dominante, anche nel mondo dei dotti) che nel più recente passato ne avevano profondamente intaccato ogni rivendicazione di uno statuto tecnico-scientifico. Al tempo di Ruggero, infatti, la chirurgia «non vive un momento felice. In Italia e in Europa quella che emerge è spesso artigianale, di basso rango, esercitata da mestieranti e barbieri, la cui grossolanità operatoria ne ha accentuato il discredito e lo scetticismo, allontanandola dal pur dignitoso alveo materno dell’arte medica. I chirurghi sono assenti dalla scena scientifica. Le abilità manuali di età classica sono in gran parte dimenticate, il sottofondo dottrinario è distorto, il razionale ammantato di esoterismo. Le tecniche sono in mano ad operatori estranei alla medicina, rigidamente trasmesse nell’ambito delle poche famiglie che ne detengono la conoscenza. Ma nonostante tale situazione sia a dir poco scoraggiante, anche se in una fase di profondi dissensi culturali, movimenti di ricerca scientifica lievitavano intorno a una nuova cultura classica che si va riscoprendo, alimentata da un’esaltante valutazione dialettica. E mentre l’esercizio pratico della chirurgia va timidamente ricomparendo, ci si accorge che a Salerno una vera attività chirurgica non è mai tramontata» (Lauriello 2013, 3).

L’opera di Ruggero aprì dunque la strada alla rinascita della chirurgia e della medicina tutta,11 gettandone le fondamenta della futura istituzionalizzazione: il passo decisivo verso il raggiungimento di un tale traguardo coincise con l’acme stessa della Scuola, collocabile poco prima della metà del Duecento. Un riconoscimento ufficiale, infatti, è tradizionalmente attribuito alle Costituzioni di Melfi del 1231, con le quali Federico II attribuiva un peso determinante, per l’esercizio dell’arte medica, al conseguimento del diploma salernitano: in particolare, l’articolo 45 del Libro III, descriveva «la procedura del conferimento di licenze mediche nel modo seguente: il candidato deve superare un esame pubblico dinanzi ai Maestri in Salerno, e quindi con un certificato della sua fedeltà e attestante il suo sapere, firmato dai Maestri e dai rappresentanti del re, si deve presentare al re o ad un suo rappresentante per ottenere la licenza».12 La fortuna della Scuola, tuttavia, all’indomani delle Costituzioni di Melfi, non avrebbe avuto vita duratura, stando alle tesi tradizionali13 (cui si è però opposto, negli ultimi tempi, Vitolo 2007):14 già 11 In una fase storica nella quale, peraltro, si aggiunsero gli impulsi provenienti dalle numerose guerre e dallo sviluppo economico, che stimolarono in modo decisivo l’elaborazione di un’arte chirurgica più efficace rispetto al passato: «la differenziazione dell’arte chirurgica fu uno dei tanti aspetti della specializzazione delle arti e dei mestieri iniziata dopo il 1100» (McVaugh 1993, 379–380). 12 Kristeller (1986, 62). 13 Cf. Abulafia (1993, 222). 14 Secondo Vitolo (2007, 554), infatti, la fondazione dello Studium napoletano «non provocò affatto la crisi della scuola, ma anzi ne assicurò la continuità in un momento in cui Salerno stava ormai per essere sopravanzata da altre città, allora soprattutto Montpellier e Parigi, nello studio e nell’insegnamento della medicina».

1.1 La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti  

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alla metà del Duecento, negli anni, cioè, in cui Bruno attendeva alla sua Chirurgia magna, l’epoca d’oro della Scuola poteva dirsi conclusa, e anzi si avviava verso una repentina decadenza. Di lì a poco, il ruolo di Salerno fu assunto soprattutto da Montpellier e Parigi, che pure fonderanno essenzialmente il proprio insegnamento sugli stessi testi salernitani. Pesenti (1989, 162–163) rileva come Montpellier godesse, rispetto a Salerno, di «un enorme vantaggio istituzionale: dal 1220 è uno Studium, propone un curriculum definito, rilascia un grado dottorale». È un aspetto, questo, d’importanza capitale per la storia successiva della medicina e, più nello specifico, per quella della chirurgia:15 in un’epoca nella quale la medicina fatica ancora a trovare una sua posizione stabile al fianco delle scienze tradizionali, l’unico modo per restituirle una pari dignità epistemologica passa, come già accennato, attraverso il suo riconoscimento ufficiale e, dunque, attraverso il contemporaneo distacco da tutte quelle forme di sapere che di tale riconoscimento erano prive, in quanto esclusivamente mechanicae, cioè fondate sulla sola operatio. È un fatto noto che, per tutto il Medioevo e anche oltre, la medicina, quale riflesso e conseguenza di una difficile sistemazione dottrinale,16 continuerà a essere caratterizzata da una forte dicotomia tra un sapere teorico-speculativo, appannaggio dei physici operanti nelle università,17 e uno pratico-manuale, a lungo lasciato nelle mani di chirurghi, barbieri, guaritori e ciarlatani. Il rapporto tra pars theorica e pars practica risiede nelle fondamenta stesse della medicina e nella sua posizione intermedia tra scientia e ars (cf. Agrimi/Crisciani 1988, 21–47),18 che ne contrassegna la doctrina fin dalle origini. Una separazione delle  due competenze risale, nel caso specifico della medicina medievale, agli 15 Scrive infatti lo stesso Vitolo (2007, 557), che pure si oppone alla tesi di una decadenza netta di Salerno nel XIII secolo: «Il problema è piuttosto che il sostegno statale [scil.: da parte di Federico II] non valse a far colmare alla Scuola la distanza via via più grande che cominciava a separarla dalle altre sedi universitarie dotate di Facoltà di medicina, alle quali si sarebbe aggiunta ben presto anche Bologna». 16 Cf. Pesenti (1989, 155–156). 17 Cf. Schipperges (1970; 1976), Siraisi (1981, 72–95); Pesenti (1989, 158): «Dagli inizi del XII secolo sia a Salerno sia a Chartres il termine medicus viene sostituito da physicus, inteso classicamente come ‘speculator venatorque naturae’ [...] in quanto formato nelle artes e nella philosophia naturalis». 18 Si leggano, in particolare, le utili riflessioni offerte a p. 27: «La medicina, dunque, se non può essere pura speculazione, non è neppure pura prassi: può e deve consistere nella connessione di definite forme di teoria e di pratica. La coesione delle due parti nella disciplina, la sua collocazione (correlata a questa coesione) tra scientia e praxis risultano in queste disamine come esiti dell’intersezione dei due campi di ‘sapere’ e ‘operare’ interpretati come insiemi logico-semantici: articolati nei loro vari significati, essi non si oppongono radicalmente, ma si coordinano almeno in una zona, appunto quell’intersezione che definisce la medicina».

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 1 Introduzione

iatrosofisti alessandrini, intorno al VI secolo,19 per trovare poi una solida codifica in quelle che diventeranno le opere canoniche del Medioevo: «L’Isagoge Iohannitii et le Pantegni imposèrent la subdivision de la médecine en deux parties, l’une pratique, l’autre théorique, déjà introduite au haut Moyen Âge par quelques adaptations gréco-latines d’inspiration alexandrine. Depuis l’École de Salerne au XIIe siècle jusqu’ aux universités du Nord de l’Italie à l’aube de la Renaissance, cette subdivision sous-tendit l’enseignement médical» (Jacquart 1997, xiv).20

La chirurgia afferiva ovviamente alla pars practica (al pari della farmacopea e della terapia),21 con tutte le conseguenze negative e le considerazioni denigranti che negli ambienti scientifici cόlti inevitabilmente ne derivavano. Proprio in tal punto va cercato, dunque, il problema di maggiore rilevanza nello sviluppo della chirurgia medievale: la difficoltà (e in ciò risedette la sfida dei grandi chirurghi due-trecenteschi), di far assurgere la disciplina al rango scientifico della medicina tradizionale, che nel frattempo piantava le sue radici all’interno delle università.22 Di fatto, la svalutazione della dimensione pratica, cui conseguì un’occupazione prevalentemente speculativa dei physici, fece sì che a occuparsi dei malati fossero principalmente chirurghi, cerusici e barbieri, figure professionali quasi sempre prive di un diploma di laurea: si può icasticamente affermare, con Cosmacini (2003, 78), che «barbieri, mezzochirurghi o chirurghi che fossero [...], grazie a loro, la chirurgia salvò la medicina». Sulla divisione tra teoria e prassi, si osservi la rappresentazione grafica fornita da Schipperges (1988, 145) (cf. Figura 1). Si è spesso attribuito alla legislazione ecclesiastica un peso decisivo nella lenta imposizione della chirurgia come scienza vera e propria: in particolare, si è fatto frequentemente ricorso alla nota massima Ecclesia abhorret a sanguine, sulla base della quale la pratica della chirurgia sarebbe stata proibita ai chierici. È invece assodato da tempo che si tratti di un’attribuzione senza fondamenti,23 da ricondurre allo storico francese François Quesnay, il quale tradusse 19 Cf. Vegetti (1993). 20 Sul rapporto tra teoria e pratica nel mondo salernitano del XII secolo, cf. la stessa Jacquart (1997, VII, 102–110). 21 Cf. Siraisi (1981, 109): «According to Dino [scil.: Dino del Garbo, morto attorno al 1327], medicine was divided into two parts, theory and practice; and surgery pertained entirely to practice. Practice was in turn divided into the science of regulating healthy bodies and that of regulating sick bodies». 22 Cf. Focà (2004, 38): «Per Bruno da Longobucco, come per Henry de Mondeville e Guy de Chauliac, un ottimo strumento di promozione intellettuale e sociale è la rivendicazione di un regolare percorso di studi e di uno statuto disciplinare anche per la chirurgia». 23 Ma talvolta è ancora passivamente accolta in alcuni studi di storia della medicina, anche degli ultimi anni: tra questi Focà (2004, 38).

1.1 La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti  

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MEDICINA THEORICA

PRACTICA

RES NATURALES (fisiologia)

CHIRURGIA

RES PRAETER NATURAM (patologia)

MATERIA MEDICA

(farmacia)

RES NON NATURALES (igiene) (dietetica)

Figura 1: La medicina medievale fra teoria e prassi.

in latino, conferendole carattere ufficiale, le parole Le sang a toujours effrayé l’Église tratte dalle Recherches de la France di Etienne Pasquier, e ricondotte a un presunto decreto di Bonifacio VIII24 (responsabile in realtà del solo Detestandae feritatis, con cui intervenne, nel 1299, per vietare lo smembramento dei cadaveri e la loro bollitura, usata per separare l’osso dalla carne).25 In realtà, non solo non si è mai rinvenuta traccia di tali provvedimenti ufficiali, ma, in un suo celebre lavoro del 1978, Darrel Amundsen ha dimostrato che lo studio e la pratica tanto della medicina quanto della chirurgia non furono mai espressamente vietati al clero.26 In questa complessa fase storica s’inserisce a pieno la figura di Bruno da Longobucco (accanto a quella dei grandi chirurghi del Duecento), non solo per il suo presunto rapporto con la Scuola salernitana (e con Ruggero stesso, tra le fonti della Chirurgia magna),27 su cui torneremo tra poco (cf. 1.2), ma soprattutto

24 Cf. Jacquart (1998). 25 Una pratica, questa, che intendeva peraltro colpire non tanto le dissezioni operate dagli anatomisti, bensì quegli ordini mendicanti «presso i cui conventi gli aristocratici sceglievano di seppellire le loro viscere e le loro carni separatamente dalle ossa» (Pesenti 2001, 117); cf. Jacquart (1993, 294–295), D’Anzi (2012a, 9–13). 26 Amundsen (1978); cf. Pesenti (1989, 169): «Nel secolo XII concili regionali e generali interdissero sì a monaci e canonici regolari lo studio delle leggi e della medicina, ma solo nella misura in cui essi vi si dedicassero gratia lucri temporalis e ne traessero occasione di lasciare il chiostro per scopi secolari». 27 Cf. Hall (1957, v): «He probably used the Salernitan work now known as the ‘Bamberg Surgery’, and he certainly used the Salernitan Cyrurgia Rogerii with the Bolognese additiones attributed to Rolando».

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 1 Introduzione

per il ruolo di primissimo piano che egli, di là dalle scarse notizie documentarie in nostro possesso, dovette ricoprire nell’affermazione di una chirurgia alta nel corso del Duecento. Alla metà del XIII secolo ci troviamo ancora nel pieno di quel fenomeno di progressivo distanziamento tra chirurgia e medicina, che rappresenta una tappa fondamentale nella storia del pensiero scientifico medievale: con la fondazione delle prime grandi Università, come anticipato, la formazione del medico segue un percorso curriculare ben strutturato e rigoroso,28 solitamente di durata piuttosto estesa (anche fino a sei anni)29 e suggellato dal conseguimento di un diploma che garantiva la possibilità di esercitare la professione medica o, più precisamente, di esercitarla prendendo le distanze, in modo netto rispetto al passato, da tutte le figure professionali che ancora a lungo continueranno a praticare la medicina a un livello popolare («Solo un rigoroso curriculum legittima un esercizio professionale altrimenti qualificato come casuale sotto il profilo epistemologico, illegale sotto quello giuridico»: Agrimi/Crisciani 1988, 191). Proprio Bruno, profondo conoscitore delle dottrine greche, latine e arabe,30 fu tra i principali promotori di una chirurgia esercitata esclusivamente da persone cólte («fondatore del metodo scientifico a Padova»),31 contro quella praticata dai mestieranti barbieri. Se la chirurgia, dunque, rimase almeno inizialmente esclusa dal curriculum tradizionale delle università, si può però affermare che essa andò incontro a una sconfitta solo momentanea. In questi decenni, infatti, si gettano le basi di una chirurgia per la prima volta concepita in modo «razionale» e che, soprattutto dal Trecento, riuscirà ad affermarsi in maniera duratura anche all’interno delle aule universitarie, anzitutto in Italia, poi anche nel resto d’Europa (in primis in Francia). Proprio la definizione di rational surgery è emblematicamente apposta da McVaugh (2006) nel titolo di un suo importante studio

28 Cf. Maierù (1989), Buzzetti/Lambertini/Tabarroni (1997), Siraisi (1981, 96–117: The development of a medical curriculum). Dibattuta è la questione relativa al momento in cui medicina e arti furono oggetto di un’unione istituzionale, fatto avvenuto probabilmente nella seconda metà del Duecento; cf. Pesenti (1989, 171): «L’unione dei maestri di arti e medicina è documentata per la prima volta negli Ordinamenta aretini del 1255, e subito dopo a Padova, da uno statuto comunale del 1259 e dalla lectura dei Cronica di Rolandino, nel 1262». 29 Cf. McVaugh/Ogden (1997, xii): «the Montpellier curriculum of 1309 required six years of study»; gli statuti bolognesi del 1405, di cui si parlerà nel cap. 2.3, prescrivevano una durata di quattro anni, allo stesso modo di quelli padovani del 1465 (cf. Siraisi 1973, 144, nota 6). 30 Così ne descriveva il rapporto con gli arabi Puccinotti (1859 II, 454): «sebbene nel teorizzare troppo si piacesse di rammentare le arabiche ipotesi, nella pratica però seguì i dettami di Ruggero e di Guglielmo». Sull’importanza della cultura araba nella medicina medievale europea, cf. Jacquart/Micheau (1990); sull’introduzione della medicina araba in Europa, cf. Jacquart (1997, 186–195). 31 Focà (2004, 47).

1.1 La chirurgia all’epoca di Bruno da Longobucco: ruolo e protagonisti  

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sulla chirurgia medievale.32 Lo studioso americano identifica, in particolare, un arco temporale circoscritto, e cinque chirurghi (Teodorico Borgognoni, Bruno da Longobucco, Guglielmo da Saliceto, Lanfranco da Milano, Henri de Mondeville), come portatori di una nuova chirurgia (concepita soprattutto come attività razionale e costruita su basi scientificamente più solide), e fondatori di una tradizione di lunga durata nel mondo della medicina medievale: «Between 1240 and 1320 a new genre of medical writing appeared in Western Europe, the Latin general surgery. In those eighty years, five authors ‒ each writing in awareness of his predecessors ‒ produced a series of texts that not only passed on their technical knowledge but elaborated a shared vision of surgery as a rational, even scientific enterprise, not merely a craft engaged in operatio manualis» (McVaugh 2006, 9).

La convinzione di questi medici (tutti operanti nell’Italia settentrionale) era che la pratica della chirurgia avesse bisogno di salde conoscenze mediche, non ultima l’anatomia, che soprattutto con Guglielmo da Saliceto si avvierà ad assumere un ruolo di rilievo nella formazione chirurgica (la Chirurgia di Gugliemo è il primo testo a dedicare all’anatomia un capitolo autonomo, seppur abbastanza breve).33 La stessa lotta mossa ai praticanti empiristi non era indotta da un rifiuto della prassi (che, anzi, grazie a Bruno e ai suoi contemporanei diviene un componente essenziale della medicina), ma soltanto dall’inaccettabilità che tutto il processo di cura del paziente fosse ridotto al solo intervento manuale.34 Per svolgere con successo il suo mestiere, il chirurgo necessita di una salda preparazione teorica: la validità di un tale assunto sarà dimostrata da Lanfranco attraverso un sillogismo emblematico: «omnis practicus est theoricus; omnis chirurgus est practicus; ergo omnis chirurgus est theoricus» (cf. McVaugh 2006, 57). La opere fondamentali cui si deve la nascita di questa grande tradizione chirurgica, che fino alla fine del Quattrocento costituirà un gruppo compatto, sostanzialmente canonico,35 nel panorama della medicina medievale, comparvero 32 A tutto il libro si rimanda per una panoramica chiara e aggiornata sulla storia della chirurgia medievale, con particolare attenzione ai primi due capitoli, dedicati a due aspetti centrali, ai quali si è qui potuto solo accennare, cioè la formazione di una tradizione chirurgica e quella dell’identità professionale del chirurgo medievale. 33 Cf. McVaugh (1993, 385). 34 Cf. le istruttive parole di Agrimi/Crisciani (1988, 190), che a tal riguardo riportano il pensiero, altrettanto significativo, di Henri de Mondeville (1260–1316ca.), presso il quale la necessità di una stretta simbiosi tra teoria e prassi era ormai un fatto pienamente assodato: «Artificialis, la practica ‒ terapeutica e chirurgica ‒ si muove tra l’opus manuale, con cui però non si identifica, e la scienza teorica, da cui dipende: per questo non può essere appresa che «utroque modo predicto, scilicet per scientiam et sermonem et per operationem manualem simul». 35 Cf. cap. 2.2.

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 1 Introduzione

dunque, orientativamente, tra il 1240 e il 1314 (con l’antecedente illustre, da collocare attorno al 1230, del commento di Rolando da Parma a Ruggero Frugardo). Esse sono così individuate da McVaugh (2006, 51):36 – 1240–1250, Teodorico Borgognoni, Vulnera – 1252, Bruno da Longobucco, Chirurgia magna – 1253, Bruno da Longobucco, Chirurgia parva – 1250–1260, Teodorico Borgognoni, Tractaturi – 1262–1270, Teodorico Borgognoni, Venerabili (I e II) – 1268, 1275 Guglielmo da Saliceto, Chirurgia – 1270ca., Guglielmo da Saliceto, Summa conservationis – 1290ca., Lanfranco da Milano, Chirurgia parva – 1296, Lanfranco da Milano, Chirurgia magna – 1304, Henri de Mondeville, Anatomia – 1306, Henri de Mondeville, Chirurgia libro I – 1312, Henri de Mondeville, Chirurgia libro II – 1314?, Henri de Mondeville, Chirurgia libro III Già il secondo Duecento segna, in definitiva, l’affermazione di una nuova chirurgia, che pian piano si muove verso un suo riconoscimento ufficiale,37 anche all’interno delle università, in particolare quelle italiane: secondo Pesenti (1989, 174), infatti, nelle università francesi la chirurgia «pur essendo coltivata, non viene insegnata ufficialmente»; al contrario «l’insegnamento accademico della chirurgia in Italia è [...] contestuale al sorgere delle prime scuole mediche [...]. A Bologna, per esempio, prima di Taddeo i grandi medici ‒ Ugo da Lucca e Rolando da Parma ‒ sono essenzialmente chirurghi. La fusione tra pratica chirurgica e

36 Le opere elencate sono rilevanti non solo per la possibilità di essere datate con una certa precisione, ma soprattutto perché esse costituiscono, nel loro complesso, un gruppo che «represents the continuous development of a self-conscious tradition of authors who were in a very real sense taking their predecessor into account as they wrote» (McVaugh 2006, 51). 37 Tra Guglielmo da Saliceto, pressoché contemporaneo di Bruno, e Henri de Modeville, ci troviamo però di fronte a uno scarto sostanziale: è soprattutto nell’epoca di quest’ultimo, infatti, che la chirurgia «tende evidentemente a una strutturazione del proprio sapere il più possibile mimetica con discipline assestate, nel caso specifico con la medicina universitaria»; con Guglielmo, invece, «ci si trova di fronte a una situazione assai più fluida: sia perché non è ancora istituzionalizzato pienamente il sistema universitario didattico in genere e la struttura epistemologica della medicina in particolare; sia perché la chirurgia ‒ in questo contesto ‒ non è ancora separata dalla medicina, né insegue legittimazioni che vadano oltre la disciplinarietà che la stessa scrittura di testi conferisce [...] e che soprattutto il successo operativo di per sé stesso comporta ‒ purché ben descritto e analizzato nelle fasi diagnostiche che lo producono, e garantito dal dettagliato resoconto scritto dei casi in cui si è verificato» (Crisciani 2003, 152).

1.2 Bruno da Longobucco: vita e opere  

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Scolasticismo è tempestiva». Il XIII secolo è però soprattutto il momento in cui i grandi protagonisti della chirurgia «became increasingly conscious of their collective craft identity, convinced that surgeons should be acknowledged as engaged in a distinct occupation ‒ marked off from physicians, on the one hand, by different aims and techniques; marked off from rude empirics, on the other, by their possession of a reasoned basis for their activities ‒ and, associated with this new sense of identity, they began to construct a kind of proto-professional code describing how the new rational surgeon ought to behave to his patients» (McVaugh 2006, 52).

Con la Chirurgia magna (1363) di Guy di Chauliac, la grande tradizione chirurgica medievale raggiunge notoriamente il suo apice, dopo aver conosciuto i maggiori progressi (e un suo riconoscimento ufficiale) nelle università dell’Italia settentrionale, per poi proseguire verso i maggiori centri della medicina francese (Parigi e Montpellier): «It would be by no means unreasonable to assert that the Inventarium (often called the Chirurgia magna) of the French surgeon Guy de Chauliac, completed in 1363, marks the end of medieval medicine -‹end› understood both as fulfilment and as termination» (McVaugh/Ogden 1997, IX).

1.2 Bruno da Longobucco: vita e opere Da annoverare sicuramente tra le grandi auctoritates della medicina duecentesca, di Bruno da Longobucco si possiedono notizie scarsissime e per lo più incerte. Nella storiografia moderna, già a partire dall’Ottocento, una tale esiguità d’informazioni ha recato con sé due conseguenze ben visibili: a) una collocazione certo di primo, ma non di primissimo piano nel quadro della medicina medievale, nonostante le considerazioni quasi sempre molto positive sul suo valore di chirurgo e sulle innovazioni tecniche da lui apportate; b) la mancata propensione, anche da parte degli storici contemporanei della medicina, ad approfondire e mettere in discussione, sulla base di ricerche più accurate, quel poco che su Bruno era stato già da tempo rilevato. In buona sostanza, se si escludono i più recenti studi dedicati al Nostro (Focà 2004 e Adorisio 2006),38 i dati su Bruno ricavabili dai principali lavori sulla medicina medievale (almeno quelli precedenti alla voce su Bruno redatta da Pispisa 1972 per il Dizionario biografico degli italiani), poggiano spesso su congetture e ipotesi tutt’altro che certe,39 ma che sono

38 Di quest’ultimo, cf. anche Adorisio (2005). 39 A volte anche palesemente errate: Chinchilla (1841, 52) lo considerava spagnolo, appellandolo come Longo Burgense; Barduzzi (1923, 160), invece, pur asserendone la provenienza calabrese, ne collocava i natali in un’inesistente Longobaco.

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 1 Introduzione

state a lungo passivamente accolte e replicate. Tra le informazioni meno attendibili andrà annoverata la sua presunta appartenenza allo Studium napoletano, sulla cui infondatezza si sono opportunamente espressi Russo (1962, 62) e Pispisa (1972, 643: la notizia è stata «messa in circolazione dagli eruditi napoletani per campanilismo»). Per delineare la figura di Bruno sarà invece utile partire dalle informazioni offerte da un testo datato ma ancora autorevole, vero caposaldo della moderna storiografia medica, quale va considerata la Storia della medicina in Italia (5 volumi) di Salvatore De Renzi.40 Vale la pena citare direttamente le parole del grande storico napoletano, dalle quali dipende buona parte degli studi posteriori: «Ma Ugone [scil. Ugo de’ Borgognoni da Lucca] non poteva rappresentare la scienza, perché più destro a maneggiare lo spatumile che la penna, non lasciava opere che ne avessero potuto trasmettere i suoi metodi, o forse neppure il suo nome sarebbe arrivato a’ posteri ove non fusse surto altro uomo, che veniva a congiugnere insieme le dottrine degli antichi e l’efficace chirurgia pratica de’ moderni. Quest’uomo fu Bruno da Longobucco tante altre volte citato. Calabrese dotto ed intraprendente, il quale avendo appreso l’arte nelle scuole dell’Italia meridionale si recò a professarla in Padova ed in Verona, ove trovò i libri arabi in pieno vigore. Perito nelle dottrine greche, latine ed arabe, egli si pose al di sopra della chirurgia tradizionale, e proclamò per suoi duci Galeno ed Avicenna. Sotto l’ombra di questi colossi, con quella calda ed originale eloquenza, che forma un attributo de’ successori de’ Bruzii, egli aveva tutte le qualità e tutte le opportunità per divenire caposcuola [...]. Il Galenismo degli arabi trionfava per mezzo suo, e la chirurgia da lui scritta è incomparabilmente più erudita, ma ancora più sistematica di quella di Ruggero e de’ seguaci di lui [...]. La prima sua educazione nelle dottrine greco-latine mirabilmente servì a crescere la sua erudizione, ed a dargli più l’aria di un novatore originale che di un arabista [...]. Bruno lascia traspirare la prima istruzione chirurgica ricevuta, ed anche la primitiva sua pratica in Calabria; ma in ogni caso temendo di manifestare la propria opinione si rifugiava sotto l’usbergo di Galeno e degli arabi, che tutti indistintamente chiamava antichi [...]. Ecco in Ugone ed in Bruno due personaggi che in breve intervallo di tempo vengono a richiamare a nuova vita la chirurgia nell’Italia superiore. Entrambi prendono a modello le dottrine degli arabi, entrambi col prestigio di novatori si sollevano emuli della scuola tradizionale della bassa Italia, l’uno coll’evidenza della pratica, l’altro col prestigio delle dottrine. Sarebbe mancato un legame fra’ due rappresentanti del progresso chirurgico, e questo legame venne con Teodorico a congiugnere la teorica alla pratica, la scienza all’arte» (De Renzi 1845–1848, II, 90).

40 Prima ancora del De Renzi, andranno ricordate le parole di Tiraboschi (1772–1782, tomo 4°, 186–187) nella sua monumentale Storia della letteratura italiana: «il Bruno, di cui ci è rimasto il trattato di Chirurgia, certamente non fu Fiorentino, ma Calabrese di Longoburgo, o, come traduce il C. Mazzucchelli, di Longobucco; la qual voce ha forse data occasione all’errore di M. Portal, che il dice nato nella bassa Lombardia [...]. Vivea dunque Bruno in Padova l’anno 1252, ove però non abbiamo argomento a conchiudere ch’ei fosse pubblico Professore. L’opera chirurgica da lui composta è quasi un tessuto, com’egli stesso confessa, di ciò che detto aveano i Greci e gli Arabi; ma questo ancora non era a que’ tempi un leggier beneficio, che al pubblico si rendesse, e per aprir la via a nuove scoperte, conveniva prima vedere, ciò che da altri fosse stato già detto».

1.2 Bruno da Longobucco: vita e opere  

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Tra le notizie complessivamente sicure possediamo la provenienza di Bruno: Longobucco, piccolo centro della Sila non lontano da Rossano, luogo che nel corso del Duecento, sotto il dominio svevo, ricoprì un posto di notevole rilevanza politica e culturale; Brunus, gente Calaber et patria Longoburgensis si legge nell’explicit della sua Chirurgia magna (Hall 1957, 320),41 dove sono contenuti anche altri riferimenti espliciti a Longobucco e alla Calabria. Se, nell’estratto riportato sopra, il De Renzi parla genericamente di un’educazione ricevuta nell’Italia meridionale, salvo poi ritrattare con maggiore precisione in De Renzi (1867, 493),42 uno dei punti più controversi riguarda proprio la presunta formazione di Bruno presso la Scuola salernitana: un apprendistato ipotizzato da Selmi (1966, 1014)43 e Marangon (1979), ma ricusato da Sarton (1924–1948, 1077) e Russo (1962, 62: «c’è da dubitare della sua appartenenza alla Scuola Salernitana; anzi sembra doversi escludere, perché non affiora nessun elemento che la giustifichi»). Nessun dato irrefutabile si possiede, infatti, sull’argomento: i natali calabresi inducono certo a presupporre che, dopo un primissimo tirocinio condotto tra Longobucco e Rossano, egli sia passato a Salerno per completare gli studi, come ipotizzato in ultimo da Focà (2004, 24: «Tenendo presente [...] che i giovani promettenti erano avviati precocemente alla pratica medica e considerando i frequenti scambi stabiliti con Salerno, è facile concludere come abbia potuto frequentare in giovane età la Scuola Medica Salernitana»). Gli unici riferimenti certi sulla vita di Bruno, tuttavia, rimangono quelli desumibili dalle sue due opere principali, la Chirurgia magna e la Chirurgia parva, datate rispettivamente al gennaio del 1252 e all’agosto del 1253. Anche questi due punti fermi, peraltro, sono stati oggetto di discussione: l’explicit della Chirurgia magna recita infatti Anno ab incarnatione domini M°. CC°.l. ii°, mense Ianuarii, indictione X (Hall 1957, 320); tuttavia, Russo (1962, 63), sulla base della formula ab Incarnatione domini, ricostruiva la cronologia facendo riferimento al computo dell’Incarnazione (25 marzo), nel quale il periodo 1 gennaio-24 marzo apparteneva all’anno precedente. La data del 10 gennaio, perciò, seguendo il calcolo contemporaneo, andrebbe riferita non al 1252, bensì al 1253, una proposta accolta anche da Pispisa (1972). Adorisio (2006, 8) ha invece rivisto tale ricostruzione, probabilmente in modo opportuno e definitivo, riportando la compilazione della

41 Quanto alla denominazione toponimica, la forma Longoburgensis è la più presente nei manoscritti latini, ma accanto a questa si ritrova anche Longobuccensis (cf. Hall 1957, 1). 42 Qui, significativamente, si riprendono le stesse parole usate già in De Renzi (1845–1848), ma il periodo «avendo appreso l’arte nelle scuole dell’Italia meridionale» è trasformato in «avendo appreso l’arte nella scuola di Salerno». 43 «Ritengo che Bruno da Longobucco possa considerarsi una delle figure più rappresentative della chirurgia salernitana nel periodo di decadenza della scuola stessa».

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 1 Introduzione

Chirurgia al gennaio 1252: sulla base di alcuni studi autorevoli,44 infatti, Adorisio ha mostrato come a Padova fosse in uso lo stile cronologico pisano dell’Incarnazione, in cui le date dal 1 gennaio al 24 marzo sono corrispondenti al computo moderno; la formula anno ab Incarnatione, dunque, indicherebbe in modo generico l’anno dell’era cristiana, senza alcun riferimento all’inizio di esso sulla base del calcolo dell’Incarnazione. Se la cronologia della Chirurgia magna ha creato qualche problema di lettura, non desta perplessità, invece, quella della Chirurgia parva, da collocare, come detto, all’agosto del 1253, secondo quanto ci restituiscono tre dei codici giunti fino a noi (Anno M cc quinquagesimo tertio, mense Augusti: cf. cap. 2.8). Di lato, dunque, alla possibilità di collocare con relativa esattezza le due opere maggiori, di Bruno non si possiede però alcuna informazione probante sulla data di nascita e di morte: Francesco Russo (1962, 62), tra i maggiori studiosi della cultura medievale in area calabrese, ha circoscritto un arco temporale che va dai primi anni del Duecento al 1286 circa, una collocazione non corroborata da prove documentarie affidabili, ma sostanzialmente accettata anche da Pispisa (1972) e Focà (2004). Soprattutto sulla base di questi due studi, e facendo riferimento a quanto già riportato dal De Renzi (cf. supra), possiamo rapidamente ripercorrere, qui di seguito, le tappe salienti della vita di Bruno, in gran parte avvolte, come già detto, in un velo di profonda incertezza, e da accogliere dunque con la necessaria cautela. All’indomani dell’apprendistato meridionale (forse salernitano, come detto), si ritiene che egli abbia frequentato a Bologna la scuola di Ugo Borgognoni da Lucca (l’Ugone di cui parla il De Renzi): qui dovette essere sodale del figlio di questi, Teodorico,45 anch’egli chirurgo di fama nell’Italia settentrionale del Duecento.46 Dopo l’esperienza bolognese si trasferì a Padova dove, stando alle congetture di Colle (1824, 123) e Gloria (1884, 19), avrebbe ricoperto il ruolo di professore all’interno dello Studio,47 del quale potrebbe essere stato uno dei

44 In particolare Pratesi (1960, 117) e Lazzarini (1900). 45 Teodorico è stato a lungo descritto dalla storiografia come una sorta di plagiario, soprattutto sulla scorta del giudizio negativo che di lui lasciò Guy de Chauliac, il quale lo descrisse come autore di opere rifatte completamente su Bruno, con l’aggiunta di nozioni provenienti dal loro comune maestro Ugo Borgognoni: cf. McVaugh (2006, 17). Per un confronto puntuale dei singoli capitoli della Chirurgia di Bruno accolti da Teodorico nella propria, cf. Hall (1957, 52* [con l’asterisco* indichiamo qui e altrove le pagine dell’introduzione al testo, seguendo così la numerazione adottata dall’editrice]). 46 Cf. McVaugh (1993, 383): «Bruno e Teodorico sono i primi autori di quella che si può definire la nuova scuola chirurgica dell’Italia settentrionale». 47 A tal riguardo, ancora in modo molto scettico si pronunciava Arnaldi (1977, 429), che dava comunque come certa la presenza di Bruno a Padova: «Allo stato attuale delle nostre conoscenze, niente consente di pensare a un’attività di insegnamento svolta da Bruno a Padova».

1.2 Bruno da Longobucco: vita e opere  

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fondatori (Adorisio 2006, 9: «A Padova Bruno si ferma a operare e insegnare»);48 sempre in concomitanza (e probabilmente come diretta conseguenza) della sua docenza padovana, pose mano alla stesura della Chirurgia magna e della Chirurgia parva.49 In seguito, l’insegnamento della chirurgia sembrerebbe averlo condotto anche a Verona, dove ci indirizzano alcune importanti tracce lasciate dalla tradizione manoscritta delle sue opere (cf. cap. 2.2). Oltre alla Chirurgia magna e alla Chirurgia parva (delle quali si parlerà più diffusamente nei successivi paragrafi), Russo (1962), in appendice al suo studio, cita altri trattatelli, in latino e in volgare, sulla cui natura non è stato ancora possibile condurre degli accertamenti sstematici. Potrebbe infatti trattarsi (ed effettivamente si tratta, almeno per alcuni di essi), molto più semplicemente, di capitoli delle due opere maggiori che, sottratti all’unità testuale e trasmessi a mo’ di estratti, finirono per essere indicati nei cataloghi con titoli più specifici, relativi ai singoli soggetti ivi trattati (cf. infra formule come Cura delle postieme tracta dal Bruno, che lascia intuire la natura di excerptum del testo). In futuro, sarà pertanto necessario confrontare questi brevi testi con le edizioni della Chirurgia magna e parva, col fine di comprenderne la reale natura (testi autonomi oppure excerpta) e di sviluppare qualche ipotesi sull’effettiva paternità bruniana. Vale la pena riportare i titoli dei testimoni ricordati da Russo (1962), da cui immediatamente si deduce il legame, almeno contenutistico, con singoli argomenti (cauteri, apostemi, malattie degli occhi, ecc.) esaurientemente trattati all’interno delle due Chirurgie: – Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII. G. 67, cc. 10–11 (Capitoli del Bruno della utilità delli chauteri); cc. 20–22 (Cura delle postieme tracta dal Bruno); cc. 22–24 (Capitolo del Bruno della compositione del corpo de l’omo)50 – Torino, Biblioteca Universitaria, A. VII. 31, cc. 133–138 (Bruni medicamenta varia in ebraico); cc. 138–156 (De utilitate sequentium medicamentorum in ebraico)51 – Torino, Biblioteca Comunale, 575 (591), cc. 70–73 (Del fluxo del ventre)

48 Cf. infra per il ruolo della Chirurgia di Bruno all’interno dell’ambiente universitario padovano di metà Duecento. Chelini (1969, 6): «divenne abile chirurgo esercitando la chirurgia a Padova e a Verona, anzi fu il primo professore di Padova che assurse a notevole reputazione». 49 Cf. Adorisio (2006, 9). 50 Codice posto da Adorisio (2006, 48–49) tra i testimoni della Chirurgia parva in volgare. 51 Codice segnalato da Adorisio (2006, 68) come distrutto nell’incendio della biblioteca del 1904.

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 1 Introduzione

Wien, Nationalbibliothek, 2818 (Medic. 86), cc. 280–281 (Bruni...materia medica in tedesco)52 Wien, Nationalbibliothek, 2358 (Medic. 87), cc. 127–137 (Bruni Tractatus de apostematibus) Wien, Nationalbibliothek, 3306 (Medic. 85), cc. 280–281 (Sententia Bruni de egretudinibus oculorum) Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi 634 (alla Chirurgia in ebraico di Jacob ben Jehuda seguono impiastri e ricette varie di Bruno, sempre in ebraico)

52 Si tratta di una traduzione tedesca compendiata della Chirurgia magna e della Chirurgia parva (cf. Adorisio 2006, 64). Per lo studio della lingua medica tedesca nel Medioevo, rappresentano un punto di partenza i lavori di Wiese (1984) e Riecke (2004); per un confronto tra italiano e tedesco nella lingua medica contemporanea, cf. Puato (2008).

2 La Chirurgia magna 2.1 Struttura e contenuto: doctrina e prassi al servizio dell’ars chirurgica La Chirurgia magna è composta di due libri, ciascuno di venti capitoli: è «strutturata come un vero e proprio manuale di studio nel quale la materia è esposta in maniera organica e analitica, a partire dalle nozioni e dagli interventi elementari per giungere ai più complessi (e ciò, al di là di ogni esplicita documentazione, confermerebbe le ipotesi che vogliono B[runo] professore a Padova)» (Pispisa 1972, 644). Punto focale nella trattazione di Bruno è la profonda commistione, tutt’altro che ovvia per quei tempi, tra doctrina e prassi chirurgica: all’esposizione delle nozioni teoriche, ricavate dalle massime auctoritates del passato, è pertanto associata la descrizione di interventi compiuti da Bruno stesso e di tecniche da lui sperimentate per la prima volta. Sarà utile, soprattutto in previsione di un confronto del testo latino con i suoi volgarizzamenti (cap. 3), anticipare rapidamente la tavola dei capitoli, così come essa compare nel testo dell’edizione Hall (1957):1 Capitula primae partis Capitulum I. De divisione et generalibus causis solutionis continuitatis. Capitulum II. De comuni disputatione solutionis continuitatis secundum diversitatem membrorum. Capitulum III. De summa et agregatione universalis curationis vulnerum quae fiunt in carne. Capitulum IV. De reductione intestinorum et zirbi et de vulnere quod accidit in intestino, necnon de regimine omnium aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium. Capitulum V. Universale de summa curationis vulnerum nervorum. Capitulum VI. De iudiciis mortis vel periculis in quibus comunicant vulnera quorundam membrorum. Capitulum VII. De vulneribus quae fiunt ex contusione.

1 Non si dà qui conto delle sotto-rubriche presenti all’interno dei singoli capitoli: esse saranno invece illustrate nel cap. 3, dove la struttura del testo latino sarà posta a confronto con quella dei volgarizzamenti italo-romanzi. Per un’analisi contenutistica dei singoli capitoli nel contesto della storia della chirurgia medievale, cf. il contributo di Franco Rombolà contenuto in Focà (2004, 69–77). https://doi.org/10.1515/9783110624595-002

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 2 La Chirurgia magna

Capitulum VIII. Quare vulnera morantur ad curandum et de cautelis curationis ipsorum. Capitulum IX. De diffinitione et natura medicinarum facientium nasci pus et ipsarum collectione et compositione. Capitulum X. De diffinitione et natura medicinarum facientium nasci carnem in vulneribus et ulceribus et incarnativarum et consolidantium, necnon de consideratione eorumque attendenda sunt circa naturalem complexionem membri vulnerati et totius corporis atque vulneris vel ulceris, et de modo administrationis et collectione et compositione ipsarum. Capitulum XI. De comuni disputatione curationis vulnerum et ulcerum. Capitulum XII. De fluxu sanguinis a vulnere. Capitulum XIII. De abstractione teli et astellarum. Capitulum XIIII. De summa et universali curatione ulcerum. Capitulum XV. De summa et universali curatione fistularum. Capitulum XVI. De summa et universali curatione cancri. Capitulum XVII. De fractura cranei. Capitulum XVIII. De universali extensione et rectificatione ossium. Capitulum XIX. De particulari curatione fracturae ossium. Capitulum XX. De dislocatione iuncturarum. Capitula secundae partis Capitulum I. De passionibus oculorum. Capitulum II. De polipo. Capitulum III. De passionibus labiorum et gutturis. Capitulum IV. De dolore aurium. Capitulum V. De apostematibus secundum omnes eorum species. Capitulum VI. De significatione maturationis exiturarum secundum complementum et de regimine omnium exiturarum post earum maturationem. Capitulum VII. De scrophulis et aliis superfluitatibus quae assimilantur eis. Capitulum VIII. De quadam superfluitate quae comuni usu gentium dicitur nacta et similiter de inflatione quae apparet in mamillis quorundam hominum Capitulum IX. De extractione aquae ydropicorum. Capitulm X. De omni eminentia quae accidit in syphac ventris. Capitulum XI. De hernia secundum omnes eius species et de apostemate testiculorum necnon de mollificatione cutis eorum. Capitulum XII. De castrandis hominibus. Capitulum XIII. De hermofrodita. Capitulum XIIII. De verucis et poris accidentibus in virga et in alia parte corporis, et de clavis et formicis.

2.1 Struttura e contenuto: doctrina e prassi al servizio dell’ars chirurgica 

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Capitulum XV. De emoroydibus. Capitulum XVI. De fistulis accidentibus in ano. Capitulum XVII. De lapide qui nascitur in vesica. Capitulum XVIII. De cauteriis. Capitulum XIX. De combustione ignis et aquae et olei bullientis. Capitulum XX. De spasmo supervenienti vulneri. I capitoli sono talvolta ulteriormente ripartiti in rubriche, le quali affrontano aspetti particolari del singolo macro-tema. Gli argomenti trattati sono per lo più quelli tradizionali in gran parte delle opere chirurgiche dell’epoca: cura di ferite, ulcere, fratture, ernie, emorroidi, bruciature, fistole, apostemi, calcoli, ecc. (cf. Tabanelli 1970, 15–16); a detta di Pispisa (1972, 644), però, «le cose più interessanti furono dette da B[runo] a proposito della terapia delle fistole anali che, dal chirurgo, con metodo moderno, venivano aperte per intero, e della castrazione degli uomini, argomento che B[runo], tra i medici cristiani, affrontò per primo». Un’utile sintesi dei metodi chirurgici più innovativi adottati da Bruno è offerta già da Sprengel (1825, 446–447): «Anziché trattare, come Ruggiero e Rolando, tutte le ferite e le ulceri cogli umettanti, cercò di diseccarle co’ calidi e cogli stimolanti. Ove v’avea la perdita di sostanza, pretese di promuoverne la rigenerazione co’ diseccanti e cogli astringenti. Nelle ferite de’ nervi non impiegò la cucitura, ma piuttosto i medicamenti farinosi. Biasimò giustamente l’abuso dei sarcotici, che da sottile scolastico classifica in incarnativa, carnem generativa e consolidativa. Eseguisce l’operazione della fistola dell’ano con un’arditezza rara a que’ tempi, e con non minore fermezza tratta il callo delle ossa».

La suddetta divisione dell’opera in due libri e la distribuzione degli argomenti al loro interno rappresentano un primo punto di notevole interesse, dovuto alla sostanziale rottura rispetto alla tradizione della trattatistica medica precedente e coeva. Non si segue, infatti, la tradizionale successione de capite usque ad pedes (detta anche a capite ad calcem), che consentiva di rintracciare velocemente i singoli argomenti trattati. A tal riguardo, era un bisogno d’importanza non secondaria quello di facilitare il più possibile la fruibilità di opere, come quelle mediche (e, più nello specifico, quelle che offrivano terapie e rimedi farmacologici), che erano soggette a una consultazione desultoria e strettamente connessa al bisogno contingente (la patologia da curare nel singolo paziente). Qui la suddivisione numerica dei capitoli (e l’ulteriore ripartizione in paragrafi), coadiuvata dalle tavole poste nelle carte iniziali dei due libri, è considerata di per sé un mezzo efficace di consultazione del testo, come Bruno chiarisce nel proemio dell’opera:

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 2 La Chirurgia magna

«Primo sciendum est quod tractatus istius libri dividitur in duas partes, in quarum primo capitula collocavi, de quibus primae parti viginti attribui et similiter secundae viginti ut per certum ipsorum numerum, quod quaeritur in eo facilius possit inveniri» (Hall 1957, 1–2).2

Soprattutto, però, i temi sono posti in un ordine crescente di difficoltà: il primo libro è dedicato principalmente alla trattazione delle ferite e delle fratture, oltre che all’estrazione di armi dal corpo: si tratta, perciò, di operationes piuttosto comuni e che all’epoca dovevano rappresentare buona parte della giornata lavorativa di un chirurgo; il secondo libro, invece, tratta le malattie più complesse, che richiedono l’intervento diretto della chirurgia e dei suoi principali strumenti. Va dunque sottolineato che una tale successione degli argomenti, disposti in ordine crescente di complessità, insieme alla realizzazione di un’opera minore di compendio (Chirurgia parva) del trattato maggiore, rappresenta un segnale ulteriore della probabile provenienza dell’opera dall’ambiente universitario e del suo ruolo di vero e proprio manuale per gli studenti di medicina: la progressiva difficoltà delle singole patologie illustrate doveva sostanzialmente coincidere con la successione tematica che scandiva le lezioni impartite da Bruno nello Studium (l’ordo legendi e docendi raccomandato dagli statuti bolognesi). Sarà poi Guglielmo da Saliceto a percorrere una strada ancor più divergente da quella dei suoi predecessori: alla maggiore attenzione prestata all’anatomia, cui si dedica per la prima volta un capitolo autonomo, si accompagna nella sua Chirurgia una dispositio altrettanto innovativa degli argomenti. Anche qui si rinuncia, infatti, come fa Bruno, al principio tassonomico tradizionale de capite usque ad pedes, ma la trattazione delle patologie procede da quelle dovute a cause interne a quelle provocate da cause esterne. In entrambi i casi, però, tanto in Bruno quanto in Guglielmo va sottolineata la promozione di un apprendimento chirurgico inteso nella sua totalità: le due opere sono concepite come manuali di studio, sulla cui esatta dimensione rimangono di certo molti dubbi (probabilmente più accademica e «ufficiale» quella di Bruno: cf. cap. 2.3), ma che sono sicuramente destinate, almeno nella loro circolazione latina, allo studio e alla consultazione meticolosa di studenti, non certo alla lettura frettolosa o episodica di barbieri e mestieranti (per lo più, ovviamente, digiuni di latino) in vista dei loro interventi. Oltre a rispondere al bisogno d’introdurre qualche parola esplicativa sulla struttura dell’opera, il proemio della Chirurgia (ma anche il suo explicit) è

2 Per le citazioni da Hall (1957), qui e nel resto di questo lavoro, adotto due soluzioni grafiche di comodo rispetto all’edizione critica: restituisco come -ae le desinenze che in Hall (1957) compaiono come -e; distinguo tra u e v.

2.1 Struttura e contenuto: doctrina e prassi al servizio dell’ars chirurgica 

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soprattutto il luogo che Bruno sfrutta per esporre le proprie idee scientifiche e metodologiche. Queste pagine costituiscono una fonte primaria sulle convinzioni di Bruno quanto al ruolo della chirurgia e del chirurgo nel contesto del sapere medievale e della sua società, un vero e proprio manifesto scientifico e deontologico che i suoi allievi (celati dietro la figura di Andrea da Vicenza, al quale costantemente si rivolge) sono caldamente invitati a seguire: «l’Accessus della Cyrurgia di Bruno dovette costituire per i contemporanei un modello di cultura e di metodo, a tal punto che Teodorico Borgognoni lo copia nel prologo della sua Cyrurgia» (Pesenti 1989, 176). L’expositio della doctrina prende le mosse, ed è un fatto di per sé considerevole, dalla stessa definizione di chirurgia (o cyrurgia, come si trova scritto nei codici latini): essa è per Bruno il postremum instrumentum medicinae, chiamato a intervenire laddove la dieta e la potio (‘medicamenti’) si rivelino strumenti inefficaci per condurre il paziente alla sanitas: «Est ergo cyrurgia, ut comuniter dicitur, manualis operatio in corpore animalis ad sanitatem tendens, vel, ut apertius declaretur, cyrurgia est postremum instrumentum medicinae. Instrumenta quidem medicinae sunt tria, quibus mediantibus morborum causis valet medicus summa diligentia subvenire, et illa sunt sicut dieta, potio et cyrurgia. Dieta est primum instrumentum, et est melius regimen, sicut testatur Galienus in Comento Regiminis Acutorum dicens quod si possumus hominem curare per dietam, non curemus eum cum aliqua potione. Et idem Damascenus in suis Amphorismis, si poteris hominem curare per dietam prosperam invenies. Quod regimen exigitur contra causam et facit digestionem. Secundum regimen est potio, et de hoc omnia etiam dicit Galienus, quod si cum ea possumus removere infirmitatem non accedamus ad cyrurgiam. Est ergo tertium instrumentum sicut dictum est, cyrurgia, cuius beneficio removetur quod per ista duo regimina non potest removeri» (Hall 1957, 2–3).

Sia Bruno sia Teodorico considerano dunque la chirurgia come instrumentum della medicina, e ne sottolineano anche il carattere apertamente manuale («manualis operatio in corpore animalis»), ricorrendo peraltro all’esplicitazione dell’etimo greco («Dicitur autem cyrurgia a cyros grece, quod est manus, et agia, quod est actio, inde cyrurgia, id est operatio manualis»: Hall 1957, 4). Si tratta di una considerazione nient’affatto banale: al contrario, infatti, essa costituisce piuttosto una rivendicazione che, tesa a nobilitare l’ars chirurgica sottolineando l’importanza prettamente scientifica del momento pratico e dell’esperienza diretta, finiva per rivelarsi controproducente di fronte al fine ultimo di ridurre a unità la medicina e la chirurgia, com’era nelle intenzioni dei grandi maestri del Duecento. Tra le raccomandazioni principali di Bruno, che si richiama in tal caso a Haly, c’era quella di frequentare assiduamente gli studi dei migliori chirurghi, in modo tale da poterne osservare attentamente le operationes e apprenderne le tecniche d’intervento sul paziente («Oportet autem operatores cyrurgiae, ut dicit Haly in Comento Primo, loca frequentare in quibus assueti sunt periti cyrurgici

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et eorum operationes diu ac diligenter inspicere»: Hall 1957, 4).3 Sarà poi con Guglielmo da Saliceto, il quale emblematicamente rinuncia alla ripresa del suddetto etimo greco, che s’inizierà a insistere piuttosto sull’aspetto teorico della chirurgia (senza ovviamente rinunciare alla sua manualità), concepita come sapere attingibile essenzialmente per mezzo della ragione (senza un necessario ricorso alla pratica, la cui rilevanza è perciò smussata) e rientrante così, in tutto e per tutto, nella scienza medica (cf. McVaugh 1993, 384–385: «I chirurghi potevano così sperare di condividere il prestigio dei medici cólti, attivi nelle nuove università»):4 la guerra all’empirismo, a una medicina fondata solo sull’esperienza comune, richiedeva inevitabilmente un rafforzamento della dimensione razionale e del ruolo primario della teoria rispetto alla pratica.5 Potremmo individuare in auctoritates, ratio ed experimentum i tre capisaldi della doctrina esposta nella Chirurgia magna, come Bruno non manca di rivendicare nel finale dell’opera («Neque etiam animus meus quievit solum illud excipere quod in libris erat depictum, immo illud quod cum experimento et ratione perpensa cognitione decrevi»: Hall 1957, 321).6 Più volte all’interno del testo egli ammette il suo debito verso le grandi auctoritates del passato e la totale fiducia nei loro metodi; sono pertanto frequentissime formule asseverative come le seguenti: «iam dixerunt Galienus et Avicenna et alii sapientes veteres quod...», «de hiis plurimi docuerunt auctores», «sicut inquiunt sapientes viri huius artis», «Et dixerunt sapientes antiqui quod...», «Dixerunt quidem sapientes quod», «secundum modum antiquorum», «secundum antiquorum doctrinam», «secundum sententiam antiquorum», «testantur auctores». Non tutto, però, si può ovviamente trovare nelle opere dei sapientes: anche in tali casi, Bruno 3 All’ascolto del magister faceva seguito l’esperienza pratica, da acquisire anzitutto osservando (cf. Sosnowski 2014, 45): nell’àmbito di un orientamento epistemologico che ricorre in modo determinante ai sensi e all’esperienza, rimane soprattutto essenziale il «veder fare» (Crisciani 2003, 155). È nelle sale operatorie dei maestri che si coglie con immediatezza il rapporto, tanto importante, tra teoria e prassi: «qui ciò che i sensi mostrano è già una doctrina; qui un’operatio non è solo un fare casuale e ripetitivo, ma un fare sapiente, che produce conoscenze» (ivi, 153). 4 Fondamentale sull’analisi della pratica chirurgica in Guglielmo da Saliceto (e di riflesso su quella dei suoi contemporanei) è Agrimi/Crisciani (1994a). 5 McVaugh (2006, 66): «Empiric practitioners ‒ ydiote, stulti ‒ are objects of scorn not because they use empirica, but because they do not recognize the primacy of reason». 6 Considerazioni del tutto analoghe si leggono anche in Guglielmo da Saliceto: «The account of what the ancients wrote, the narratio antiquorum, described by Guglielmo as one of the three ways towards the establishment and growth of medical knowledge, is placed on the same level as the other two, which are ratio and experientia» (Agrimi/Crisciani 1994, 81); più di quanto non si ricavi dalla lettura di Bruno, però, «Guglielmo also expresses some caution about the texts of the auctores, which are to be checked and corrected bearing in mind the historical period and geographical regions in which they were written» (ibid.).

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denuncia al lettore l’assenza di un adeguato riscontro, servendosi di formule ricorrenti («Et causa quare non sanatur fistula penetrans [...] non assignatur ab auctoribus; mihi autem videtur quod accidat propter...»).7 Il sapere scientifico che egli decide di affidare ai suoi discepoli deriva e, nello stesso tempo, richiede la conferma derivante da quanto prima di lui avevano affermato i vari Giovanni Damasceno, Ioannizio, Avicenna, Rasis (di cui si cita autonomamente e con notevole frequenza anche il Liber Almansoris), Albucasis, Haly Abbas:8 ciò che non si trova nei loro scritti merita per lo più scarsa considerazione, o quantomeno richiede accorti approfondimenti prima di essere accolto e messo in pratica. Non sono saltuarie nel testo le raccomandazioni a seguire gli insegnamenti trasmessi dai testi di riferimento, e a non lasciarsi traviare dalle idee erroneamente diffuse da medici incolti, o non corroborate dall’auctoritas degli antiqui (designati anche come veteres o sapientes): «Et cave ne faciat te errare illud quod quidam medicorum dixerunt, videlicet ut fiat perforatio ex utraque parte scissurae, nam illud non videtur mihi rectum, et si rectum esset, antiqui iam aliquid in libris suis dixissent, sed ego non inveni rememorationem alicuius eorum in hoc penitus, quare rectius est ut non fiat» (Hall 1957, 136).

La lectio delle auctoritates come momento essenziale nella formazione dei giovani chirurghi è agli occhi di Bruno un fatto imprescindibile:9 appropriarsi dei fondamenti teorici della disciplina serve non solo ad acquistare competenze indispensabili al mestiere, ma anche a sottrarre l’ars chirurgica dalle mani di tutti quei mestieranti di basso rango che ne avevano profondamente minato la credibilità e lo statuto scientifico. L’imposizione della chirurgia nel mondo ufficiale degli Studia medievali non poteva che passare attraverso lo studio di un corpus riconosciuto e ben circoscritto, non alterabile alla luce di convinzioni personali o prive di riscontro. È sulla base di tale corpus che i giovani devono istruirsi, facendo leva sull’ausilio e la necessaria mediazione svolta dal docente, la cui autorità scientifica si pone come vera e propria eco del sapere degli antichi: «nei testi della tradizione della medicina la serie degli autori ha depositato sapere e verità: apprendere vuol dunque dire innanzitutto volgersi alla traditio», ma «affinché la

7 Sulle situazioni di conflitto tra sapere delle auctoritates ed esperienza, cf. Siraisi (1994, 105–109). 8 Cf. 2.7 per una trattazione più articolata delle fonti della Chirurgia. 9 Nella lectio magistrale «si realizza il rapporto ‒ cardine nella didattica scolastica ‒ tra testo, maestro, auctor ed allievo. Condizione preliminare perché questo rapporto s’instauri è che la traditio librorum si stabilizzi, oltre che come fondamento testuale della scienza, come base per l’insegnamento, strutturandosi istituzionalmente in una successione che, per essere didatticamente efficace, stabilisca un ordine ed un criterio di priorità nell’omogeneo valore degli auctores» (Agrimi/Crisciani 1988, 79–80).

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verità dell’auctor appaia è necessaria la sedula investigatio, l’explanatio ‒ sia essa orale o scritta ‒ fornita dalla lectio-commento dell’expositor» (Agrimi/Crisciani 1988, 81–82). Certe idee, in ogni caso, pur nell’individualità delle loro espressioni all’interno della trattatistica medievale, appartengono al concetto stesso di scienza nella sua lunga fase pre-galileiana: una (proto)scienza, cioè, il cui sapere è fondato per lo più sulle affermazioni dei grandi del passato, non sull’osservazione diretta dei fenomeni. Come ricorda Librandi (2001, 112), nella scienza medievale la «verità non deriva dall’osservazione diretta della natura, ma da ciò che i filosofi dicono sulla natura».10 Al momento basilare della lectio, all’apprendimento condotto faticosamente sui testi della tradizione, si deve accompagnare la sana ratio del medico:11 questa entra in gioco soprattutto nella fase, altrettanto decisiva, della prassi e dell’experimentum, che Bruno propugna, nel corso del XIII secolo, con forza anche maggiore rispetto agli altri grandi rappresentanti della chirurgia italiana.12 Alla teoria devono seguire l’esperimento e la pratica: solo osservando attentamente le operationes dei periti cyrurgici, e poi compiendone in prima persona, si possono assimilare tutte le conoscenze necessarie alla futura cura del paziente. Così si spiega anche la rilevante presenza, nella Chirurgia magna, di descrizioni d’interventi tenuti da Bruno stesso e alle terapie approntate nei singoli casi patologici.13

10 Se è relativamente più semplice tracciare un confine netto tra scienza antica e scienza moderna, decisamente complessa è invece la distinzione delineabile a livello linguistico, tanto più nel campo della medicina: cf. Serianni (2005, 87–99), Dardano (1994, 504–531), Gualdo (2001); Proietti (2010, 394): «ancora per tutto il Cinquecento [...] le scritture d’ambito scientifico, costituite ancora in gran parte da volgarizzamenti di opere latine e greche nelle quali erano prevalenti il ricorso alla sinonimia e/o a termini polisemici, risultano ancora lontane dallo statuto del testo tecnico-scientifico moderno». 11 Tabanelli (1970, 15) in Bruno c’è «molta riflessione e ragionamento su quanto dice, e sul modo con il quale si esprime». 12 In definitiva, per Bruno «l’arte medica è la summa di un sapere complesso attingibile da una tradizione scritta universale e perfezionabile attraverso la prassi locale e individuale» (Adorisio 2006, 13). Per la rilevanza dell’esperienza e dell’esperimento nella formazione dei chirurghi è fondamentale il saggio di Crisciani (2003), la quale rileva come, in tale prospettiva, la posizione dei chirurghi assomigli a quella degli alchimisti: «possono essere considerati entrambi come artefici sensati o sensitivi, vicini tra loro non solo per i rilievi già indicati ma soprattutto per quanto riguarda la valorizzazione dei sensi nelle rispettive, pur diverse (diversamente fondate e finalizzate) attività». 13 Anche racconti come il seguente, non insoliti nei testi chirurgici posteriori, svolgevano un ruolo che era nello stesso tempo retorico e didattico: «Et iam venit vir quidam ad me qui habebat nactam in humero suo, et cum vidissem putavi eum habere pulvinar in humero. Deinde detexi locum et vidi aegritudinem; et cum aspexissem eam, placuit ut dimitteretur cum domino suo, quoniam timui super magnitudinem eius. Cum autem vir accessisset ad cyrurgicum quendam

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L’importanza attribuita alla dimensione pratica ed esperienziale costituiva, come già rilevato, un fatto tutt’altro che ovvio per l’epoca, che anzi andava maneggiato con cautela per non rischiare d’incorrere in una svalutazione di marca empirista del proprio operato. Alla luce di certe premesse ideologiche, a Bruno va riconosciuto, nel complesso, il merito di aver incanalato concretamente la chirurgia sui binari della razionalità: «Bruno’s Chirurgia is an explicit manifesto for the kind of rational surgery ‒ rational in its search for causes, rational in its structure, rational in its insistence that it can be read and taught from texts ‒ towards which Teodorico seems earlier to have been hesitantly groping» (McVaugh 2006, 27).

Il vero chirurgo è colui che, alla solida conoscenza delle fonti, congiunge l’esperienza diretta e il raziocinio utile per valutare opportunamente le situazioni complesse, sfuggire agli errori e alle tentazioni del guadagno, sapendo anche rinunciare alle operationes laddove non sia sostenuto adeguatamente dalle tecniche mediche o dalle personali conoscenze («neque cupiditas lucri inducat te ad illud apud quod est ignorantia tua et artium prohibitio»: Hall 1957, 321). Per primo tra i grandi chirurghi medievali, Bruno giunge così a delineare nella sua opera la figura del buon chirurgo, un fatto che da questo momento diverrà un topos per tutta la trattatistica successiva.14 Alle competenze acquisite grazie alla formazione, all’esperienza e alla pratica, i bravi chirurghi dovrebbero ancora aggiungere la giusta moderazione e soprattutto l’ingenium naturale, fondamentale proprio per intervenire con successo laddove manchino le consuete indicazioni offerte dai libri:15 qui erat notus mihi, liberavit eum peroptime et inveni septem libras in eius pondere quod extraxit»; cf. Siraisi (1994, 100–105). 14 Cf. McVaugh (2006, 53): «It can scarcely be coincidental that as the thirteenth-century surgical writers became more self-aware, they began to include in their texts, usually as part of an introduction, a short statement of what constitutes a good surgeon». 15 Cf. quanto scrivono Agrimi/Crisciani (1994a, 72) in rapporto a Guglielmo da Saliceto: «ingenium is an intermediate intellectual function; it produces notions, perhaps not necessary but effective ones, which are linked to the data of the senses, by which they are corrected (they undergo rectificatio), without however merely mirroring them; on the contrary, these notions are able to steer decisions and to organize operative sequences in surgical intervention, when the physician is faced with different possibilities [...]. On the other hand, ingenium is a connecting function which essentially mediates between experience and reason, knowledge and intervention, natural processes and the practitioner’s initiatives, and finally between him and the patient». Naturalmente, la ratio è di solito collocata al di sopra dell’ingenium (che è piuttosto da concepire come una sorta di ragione pratica) e ne regola in via definitiva le mosse: «a superior intellectual function, reason, ratio, controls not just the senses but even ingenium, the particular practical reason of the physician» (ivi, 82).

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«Sint suavissimi atque cautissimi in operando et maxime in locis timorosis ut in cerebro. Non sint vinolenti; sic autem bibant vinum ut sensui non dominetur. Quia omnia quae sunt ad artem necessaria non possunt ad plenum in libris comprehendi, ideo sint naturaliter ingeniosi. Valde etenim naturale commendatur ingenium in medico et maxime a Damasceno ubi dicit, ingenium naturale medici adiuvat artem et naturam regentem, contrario vero contrarium» (Hall 1957, 3–4).

Un’ulteriore dote dell’optimus chirurgus, collocata per ultima in questa nostra breve presentazione (che ha seguito in linea generale la struttura dell’accessus bruniano), ma che è assolutamente cruciale per rilevanza, riguarda poi il suo dover essere vir litteratus. Ci troviamo, infatti, di fronte a uno dei cardini della concezione del sapere in epoca medievale: un fatto che consente, oltretutto, d’instaurare una salda connessione col mondo della cultura volgare e con l’espressione che di essa ci interessa più da vicino, quella dei volgarizzamenti. Sarà pertanto necessario tornare con la doverosa attenzione su questo punto quando parleremo della Chirurgia in volgare (cf. cap. 3): è però importante anticipare come le parole di Bruno facciano chiaramente emergere la conflittualità con l’universo non ufficiale della medicina, e ancor più della chirurgia, che non solo si arrogava il diritto di praticare un’ars priva di fondamenti teorici (in quanto non confermata in alcun modo dal sapere dei veteres), ma che oltretutto si serviva di una lingua, il volgare, che agli occhi degli accademici non poteva costituire un valido mezzo di trasmissione del sapere: «Sint autem viri litterati, aut ab eo qui novit litteras ad minus artem addiscant; vix enim aliquem absque littera hanc artem comprehendere puto. Sed tempore presenti nedum ydiotae, immo quod indecentius et horribilius iudicatur, viles feminae et presumptuosae hanc artem usurpaverunt et abutuntur ea, quae, licet credant, nec artem nec ingenium habent. Refert Almansor quod illi qui hanc artem exercent pro maiori parte sunt ydiotae, rustici et stolidi, et propter causam suae stoliditati aegritudines pessimae in hominibus generantur quibus fortasse aegri interficiuntur, cum non sapienter nec sub certa radice sed casualiter operantur et causes et nomina infirmitatum quas asserunt se sanare penitus non agnoscunt» (Hall 1957, 4).

La posizione di Bruno rivela un’apertura del tutto parziale al mondo degli illitterati («ab eo qui novit litteras ad minus artem addiscant»), che peraltro è subito dopo complessivamente smentita nel ribadire la sostanziale inattingibilità del sapere chirurgico per l’uomo privo di lettere («vix enim aliquem absque littera hanc artem comprehendere puto»). Si tratta, come detto, di un fatto di grande rilievo non solo nella prospettiva di studio che in questo lavoro si è assunta (rapporto latino-volgare nel lessico chirurgico), ma anche in quella, di portata ben più ampia, che concerne la trasmissione del sapere scientifico nel XIII secolo. Assistiamo, infatti, a una concezione del sapere, ben rappresentativa per i decenni nei quali si fondano le prime università europee, secondo la quale la conoscenza

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era attingibile solo attraverso i suoi canali ufficiali, quelli delle accademie, ed esclusivamente per tramite del latino, l’unica lingua che nelle accademie regolava la comunicazione. Bruno lamenta che la chirurgia, scaduta agli occhi dell’opinione pubblica, sia finita nelle mani di ydiotae, rustici et stolidi,16 e perfino, fatto indecentius et horribilius, in quelle di donne «non degne di considerazione e presuntuose».17 Soprattutto la flebotomia e la scarificazione, a detta di Bruno (che le pratica regolarmente pur decidendo di non trattarne esplicitamente nella sua Chirurgia), insegnate un tempo dagli antichi, sono cadute in disuso presso i medici moderni, che le hanno lasciate nelle mani dei barbieri considerandole inappropriate («de hiis plurimi docuerunt auctores ac ipsarum operationem noluerunt medici propter indecentiam exercere sed illas barberiorum manibus relinquerunt»).18 La polemica contro i «laici» della medicina è un fatto ricorrente anche nella trattatistica scientifica coeva o immediatamente successiva, e ritorna in molti testi duecenteschi della medesima fattura: rimanendo nel campo circoscritto del sapere chirurgico, possiamo ricordare la Chirurgia magna di Guglielmo (cf. Altieri Biagi 1970, 14: «una delle precisazioni più abituali, in Guglielmo, è quella che tende a distinguere la terminologia dei medici razionali da quella dei ‹laici› a basso livello dottrinale») e la Chirurgia parva di Lanfranco (cf. Sosnowski 2014, 19–20).19 Una tale presa di posizione muove da una concezione della chirurgia che, soprattutto nel corso del Duecento (come visto proprio a proposito di Bruno), si manifesta come operatio manualis, ma ambisce apertamente a una posizione di pari dignità con la medicina teorica.20 Tale aspirazione nasce dunque sul piano stesso della trasmissione del sapere, concepito come prerogativa delle persone cólte (che hanno ricevuto la doctrina frequentando le università),21 ma si riflette in modo decisivo

16 Cf. Hall (1957, 6*): «The term ydiota was of course a technical one, used to convey illiteracy, but not necessarily stupidity». 17 Sul ruolo delle donne nella pratica medica medievale, cf. il fondamentale contributo di Green (1994, 323–324), che rileva come «Italy in particular had an early history of ‹enlightened› attitudes towards women’s medical practice», per quanto la figura tipo fosse sostanzialmente quella di una «invisible woman». 18 Sul ruolo della flebotomia nel Medioevo, cf. Gil-Sotres (1994, 110–155). 19 Nel prologo del testo latino si legge, in modo simile a quanto accade in Bruno (si cita da Sosnowki 2014, 19): «Coniuro te, tamen, per deum et nobilitatem tuam, ne aliquibus idiotis tradas illud, ne per ignorantiam eorum opus meum noceat alicui, quod ad communem utilitatem est tibi charitate collatum». 20 Cf. Crisciani (2003, 140). 21 Cf. Agrimi/Crisciani (1988, 190): «Il processo-programma per l’acquisizione del sapere pratico è chiaro: innanzitutto esso deve prevedere un’ordinata formazione dottrinale, e questa non può darsi che nella scuola, e secondo i modi, le tecniche, gli strumenti ad essa propri. È qui

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su quello della lingua e in particolare del lessico tecnico: è ovviamente in questa prospettiva che torneremo sul problema presentando il rapporto tra testo latino e volgarizzamenti (cap. 3), e soprattutto fra terminologia latina e terminologia volgare (cap. 5). Gli atteggiamenti dei singoli volgarizzatori, non solo sul piano strettamente linguistico, ma già su quello strutturale e contenutistico dell’opera tradotta, permettono infatti di verificare con una certa immediatezza come alcune idee, fondate su una visione elitaria ed esclusivistica del sapere, fossero apertamente contrastate o quantomeno aggirate.

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino La Chirurgia magna fu per tutto il Medioevo uno dei trattati di medicina maggiormente letti e consultati: accanto ai testimoni latini del testo ci sono giunte traduzioni non solo in volgare, ma anche in francese, tedesco, ebraico e neerlandese (cf. infra). La consapevolezza di una tale fortuna di Bruno e della sua opera sono, tuttavia, una conquista molto recente: solo alla luce delle ricerche di Adorosio (2006), infatti, è stato possibile smentire affermazioni come quella di Mario Tabanelli (il cui censimento contava appena dieci testimoni complessivi tra Chirurgia magna e parva),22 secondo il quale «l’opera di Bruno da Longobucco non ebbe ai suoi tempi molta fortuna, se confrontata con quella degli altri Autori di cose chirurgiche dell’alto medio-evo. Essa non fu largamente citata; né la stampa delle epoche successive diede ad essa quella diffusione che forse si sarebbe meritata».23 A oggi si conoscono, in realtà, tra tutti i codici recanti le due Chirurgie di Bruno, in latino o in traduzione, oltre ottanta testimoni, senza contare le edizioni a stampa. Allo stesso Tabanelli (1970) va comunque riconosciuto il merito di

l’errore dei layci: pretendere di poter apprendere l’arte fuori della scuola e senza testi e maestri; presumere di conoscere il modum manualiter operandi al di fuori di un regolare e regolato addestramento»; Henri de Mondeville li considera pertanto solo dei mechanici, «perché non rispettano le regole dell’istruzione scolastica e ne disdegnano gli spazi; mechanici perché preferiscono l’angusta privatezza dello spazio domestico alla frequentazione appunto di aule e campi di battaglia, di ospedali e piazze [...]. Estranei all’ars, perché non seguono itinerari tracciati, obbligati e quindi metodici, gli illitterati sono giustamente esclusi dalla cerchia della comunità scientifica e banditi dalla professione [...]. Non l’efficacia degli interventi, il successo terapeutico, ma la rispondenza ai requisiti fissati dall’istruzione, innanzitutto un’ordinata formazione dottrinale, discrimina dunque peritus da imperitus, artifex scientificus da empiricus» (ivi, 191). 22 Tabanelli non tiene peraltro conto nè di Russo (1962, 64–66), che aveva già segnalato ben 27 testimoni latini delle due Chirurgie, né (ma questo vale anche per Adorisio 2006) dell’edizione critica Hall (1957). 23 Tabanelli (1970, 125).

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino 

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una riscoperta del personaggio e, nello specifico, della sua opera maggiore, della quale ha fornito una prima (parziale) traduzione moderna; tuttavia, e in ciò si nota il netto scollamento tra filologia e storia della medicina, che per lungo tempo ha costituito (e costituisce ancora) un problema basilare nella ricerca sulla letteratura medica medievale, la panoramica che egli ne offriva risultava a dir poco lacunosa. Pur mostrando, infatti, come l’opera di Bruno trovasse «giustamente il suo posto fra quelle principali dell’alto medioevo», Tabanelli non si sottraeva dal rimarcare che i manoscritti delle due Chirurgie «non sono numerosi. Conservati in alcune fra le principali Biblioteche d’Europa e d’America, essi rappresentano una rarità bibliografica: ciò confermerebbe la scarsa diffusione che ha avuto l’opera di questo autore, che fu nel periodo medievale, conosciuto e citato solamente dai Chirurghi della sua epoca» (Tabanelli 1970, 131).24 I testimoni latini a oggi noti che ci tramandano (per intero e, in taluni casi, per estratti o in forma compendiata) la Chirurgia magna sono 46: la recensio condotta da Hall (1957) ne comprendeva 33, quella successiva di Adorisio (2006) 37 (non tutti i codici noti a Hall sono però contemplati da Adorisio).25 Li passo in rassegna brevemente, segnalando con un asterisco quelli comuni alle due recensiones, con due asterischi quelli registrati soltanto da Hall (1957): – Basel, Universitätsbibliothek, D. I. 12, cc. 156r-185v, XIV sec. (Italia)26 ** – Bethesda, National Library of Medicine, 17 (olim Schullian 499), cc. 1rA-37vB, sec. XIII ex. – Cambrai, Bibliothèque Municipale Classée, A 916, cc. 2rA-39vA, secc. XIII ex.-XIV in. (Francia)27 *

24 Un’opinione ribadita anche in Tabanelli (2003), recente traduzione inglese di Tabanelli (1970). I giudizi indotti da una conoscenza ancora lacunosa della tradizione manoscritta non inficiano, del resto, il giudizio complessivo su Bruno, che per Tabanelli (1970, 16) è stato «un ‹pionere› della nuova chirurgia europea, la quale con tutte le sue geniali intuizioni, incomincia faticosamente, ma con passo sicuro a farsi strada fra le brume dell’empirismo, per raggiungere, passo passo, la strada maestra, della chirurgia dei tempi moderni». 25 A Hall (1957) e Adorisio (2006), da cui si trae la maggior parte delle informazioni riportate, si rimanda per dettagli contenutistici e bibliografici sui singoli manoscritti elencati. La recensio di Adorisio (2006) può poi essere utilmente confrontata con le succinte indicazioni fornite dall’archivio MIRABILE (Archivio digitale della cultura medievale), raggiungibile al seguente indirizzo web: http://www.mirabileweb.it/index.aspx (ultima consultazione: 15 gennaio 2019) . 26 Codice incompleto della Chirurgia che comprende anche il Liber Almansoris, la Chirurgia di Guglielmo da Saliceto e quella di Galeno; inizialmente esso conteneva anche la Chirurgia parva di Bruno. 27 Codice miscellaneo contenente anche altri testi medici, tra i quali il commento a Rolando dei Quattro Maestri, opere di Costantino e Ruggero Frugardo.

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Cambridge, University Library (Gonville and Caius College), 105 (57), cc. 163rA-249rB, sec. XIV (Francia o Inghilterra)28 * Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Amplon. Q. 210, cc. 1rA-34vA, secc. XIII-XIV (Italia e Francia merid.)29 * Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Gaddiano LVII, cc. 1rA-39rA, secc. XIV- XV (Italia)30 * Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 73.25, cc. 1rA-70rB, sec. XIII ex. (Italia) * Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Soppr. J. V. 48, cc. 101rA-144rB, sec. XIV (Italia)31 * Kassel, Bibliothek der Stadt Kassel und Landesbibliothek, 2° med. 1, cc. 17v-31r; 32r-71v; 154r-154v, 1468 (Olanda)32 Leipzig, Universitätsbibliothek, 1125, cc. 208rA-281vB, sec. XIII (Italia)33 * London, British Library, Harley 4087, cc. 109r-190v, 1445ca. * London, British Library, Sloane 3018, cc. 65rA-96, sec. XV (Inghilterra)34 * Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 59 sup., cc. 1r-80v, sec. XIII ex. (Italia)35 Milano, Biblioteca Trivulziana, 836, cc. 29r-56v, sec. XIV in. (Italia, Bologna)36 Montpellier, Bibliothèque Interuniversitaire, H. 89 bis, cc. 37r-85vB, sec. XIV, (Francia merid.)37 *

28 Codice miscellaneo contenente anche testi di Ruggero Frugardo, le aggiunte di Rolando e il commento dei quattro Maestri salernitani a Ruggero, oltre a un trattato adespoto di pratica medicinale. 29 Codice composito; il testo della Chirurgia di Bruno è sottoscritto e datato al 7 dicembre 1277. 30 Codice miscellaneo contenente anche il De passionibus oculorum di Benvenuto Grafeo e altri brevi testi di carattere medico. Il testo della Chirurgia s’interrompe al cap. XI dell’ediz. Hall (De hernia). 31 Codice proveniente dal Convento domenicano di San Marco. 32 Codice assembrato da Willelm van der Egher, che accoglie testi di vari autori, tra i quali ampi estratti della Chirurgia magna (principalmente del libro I). 33 Codice miscellaneo e composito. 34 Codice miscellaneo contenente anche testi di Rolando, Maestri Salernitani, Teodorico Borgognoni. 35 Codice miscellaneo contenente anche estratti da Galeno. 36 Codice miscellaneo contenente anche parti della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto e estratti da Avicenna. 37 Codice frutto di smembramento di un’unità codicologica che comprendeva anche Ruggero Frugardo (oggi ms. H.89) e Albucasis (oggi ms. H. 89 ter). Si tratta di un testimone di grande interesse, come rilevato da Adorisio (2006, 69–79), soprattutto per la presenza di un explicit più lungo rispetto a quello riportato da tutti gli altri testimoni dell’opera: cf. 2.6. Il codice è stato con ogni probabilità approntato nella stessa Montpellier: diversi gallicismi presenti nel testo (cf. ivi, 72) depongono in ogni caso a favore della provenienza dalla Francia del copista stesso.

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino 

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München, Bayerische Staatsbibliothek, Lat. 259, 113r-153r. XIV sec. (Germania)38 ** München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 13057 (Rat. Civ. 571), cc. 1rA-60rB, uq. sec. XIII (Italia)39 * München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 450, cc. 44, sec. XIII40 Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, VIII. D. 56, cc. 1r-90r, sec. XIII ex. (Italia) * New Haven, Yale University/Whitney Medical Library, Fritz Paneth 28, 407rA-462vA, sec. XIV in. (Italia, Bologna)41 Nürnberg, Germanisches Nationalmuseum, Hs. 168, cc. 153v e 158v-160r, 1427ca. (Budapest)42 Oslo, Riksarkivets, Fragm. lat. s.n., c. 1r (frammentaria), sec. XIV (Nord Europa)43 Oxford, Bodleian Library, Ms. e Mus. 19, cc. 117r-134r, sec. XIII ex. (Italia centro-sett.)44 * Oxford, Bodleian Library, Can. Misc. 565, cc. 3r-60r, XIV sec.45 ** Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 1024 (S. A. L. 71), cc. 182v-202v, XIV sec.46 **

38 Codice contenente anche la Chirurgia di Guglielmo da Saliceto e la Practica oculorum di Benvenuto Grasso. 39 Codice composito contenente anche Ruggero Frugardo, le aggiunte di Rolando da Parma e le glosse dei Quattro Maestri salernitani. 40 Adorisio (2006) segnala anche questo codice, del quale non si sono trovate ulteriori informazioni: nel catalogo della Bayerische Staatsbibliothek il ms. è genericamente indicato come Bruni Longobucensis Calabri Chirurgia. Rimane incerto, in assenza di un esame autoptico del codice, se si tratti della Chirurgia magna o della parva. 41 Codice miscellaneo contenente anche la Chirurgia parva di Bruno, oltre ad altre opere mediche (di Ioannizio, Ippocrate, Galeno, Albucasi, Rhasis, Rolando, Ruggero, ecc.). Appartenne alla biblioteca della Cattedrale di Olomuc (Repubblica Ceca), dove arrivò prima del 1326. 42 Codice miscellaneo contenente anche opere di Alberto Magno, Ruggero Bacone e altri trattati medici e alchemici, rimedi e ricette. Della Chirurgia magna si conservano solo dei brevi estratti, coincidenti coi cap. 1 e 18 del libro II. 43 Breve frammento della Chirurgia magna, consistente nella fine del cap. 1 del libro II e nell’inizio del cap. 2 dello stesso libro II. 44 Codice composito e miscellaneo, contenente altri testi chirurgici (Ruggero Frugardo, Quattro Maestri salernitani, Guglielmo da Saliceto, Galeno, Rhasis, Avicenna, Albucasi). Doveva già trovarsi a Oxford nel XIV, come attesta una nota di possesso («Liber scolarium de Merton in Oxonia in communi libraria eiusdem et ad usum communem sociorum ibidem studentium catenandus»: cf. Adorisio 2006, 51). 45 Codice seguito dalla Chirurgia di Guglielmo da Saliceto. 46 Codice miscellaneo e composito, contenente ben 23 scritti diversi (la Chirurgia di Bruno era probabilmente legata in origine solo con i testi 17–19: cf. Hall 1957, 77*).

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 2 La Chirurgia magna

Paris, Bibliothèque National, Lat. 3248 A, cc. 2r-3v, sec. XIV (Italia/Francia merid.)47 Paris, Bibliothèque National, 7128, cc. 1rA-41rA, pm. sec. XIV (Francia merid.)48 * Roma, Biblioteca Casanatense, 506 (olim B. V. 37), cc. 3r-110v, sec. XIV (Italia) * Salzburg, Universitätbibliothek, M. II, 162, cc. 2r-25v, 1432–1435 (Italia)49 Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 2082, cc. 1rA-30vB, 1285 (Italia)50 * Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1188, c. 73r, fine sec. XV (Sachsen)51 Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1314, cc. 1r-33v, pm. sec. XIV (Italia)52 * Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1315, cc. 1r-48v, sm. sec. XIV (Italia)53 * Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1321, cc. 1rA-32vB, sec. XV (Italia)54 Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1323, cc. 14rA-31rA, 31rA-47vB, 73vB-84vB, 1407 (Germania merid.)55 * Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. Lat. 1753, 1r-57v, XIV sec. **

47 Fogli non consecutivi di un codice frammentario, contenente parti dei cap. 7, 10, 15 e 17 del libro II. 48 Manoscritto recante la Chirurgia (incompleta) e proveniente da un codice originariamente miscellaneo o composito. 49 Codice miscellaneo allestito da un tal Gerardus Hamont di Lüttich, studente di medicina a Bologna. Contiene anche opere di Guglielmo da Saliceto, Rolando da Parma, Lanfranco da Milano, Teodorico Borgognoni, Dino del Garbo, Galeno, Albucasi (quest’ultimo ricopiato da Nicolaus Hammer de Nymphcs, anch’egli studente di medicina a Bologna). 50 Codice appartenuto al Card. Guglielmo Sirleto (1514–1585), figlio di un medico; passò poi alla biblioteca dei principi Altemps. Contiene, nelle ultime due carte, delle ricette di mano diversa da quella principale, tratte dal Thesaurus Pauperum di Pietro Ispano. 51 Frammento contenuto in una miscellanea medica allestita da Nikolaus Mükkenberger, e contenente anche testi di Avicenna, Ippocrate, Cofone, Arnaldo da Villanova e altri. 52 Codice proveniente dalla Biblioteca Palatina di Heidelberg, lascito di Ludwig III (1378–1436). 53 Codice composito costituito da tre manoscritti di origine differente contenenti opere di Galeno, Niccolò Salernitano, Macer Floridus; proveniente dalla Biblioteca Palatina di Heidelberg. 54 Codice composito tre-quattrocentesco contenente opere di Ortolf von Baierland, Bartolomeo, Arnaldo da Villanova, Pietro Ispano: cf. Nicoud (2007, 803). 55 Codice miscellaneo contenente anche opere di Galeno, Teodorico Borgognoni, Avicenna.

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino 

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Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4471, cc. 1r-38v, sec. XIV in. (Italia, area bolognese)56 * Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 8177, cc. 1r-60v, sec. XIII ex. (Italia) * Washington, Army Medical Library, 499, cc. 1r-37v, XIV sec. (Italia) ** Washington, The Library of Congress, Medieval Mss. 69, cc. 1r-108r, XIV sec. (Italia)57 * Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs. 2301 (Univ. 942), cc. 5rA-30rA, sec. XIV (Italia)58 * Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs. 2358 (Med. 37), cc. 85r-123v, 1303 (Italia, Padova o Verona)59 * Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs 5306 (Med. 85), cc. 91v-92v, sec. XV60 Winchester, Fellow’s Library, 26, cc. 1r-35v, XIV sec.61 ** Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, 3219, 1r-92v, XIV sec. (Germania)62 ** Zürich, Zentralbibliothek, ms. C. 72 (App. 13), cc. 1–44, sec. XIII-XIV63

Come si vede, la maggior parte dei testimoni restituisce il testo della Chirurgia in forma integra,64 o tramite ampi estratti. In qualche caso si tratta, invece, di brevi frammenti, limitati a poche carte del manoscritto e contenenti solo alcuni capitoli dell’opera. Pur non potendo affrontare un esame codicologico accurato, che esula dagli obiettivi del presente lavoro, possiamo ipotizzare che in molti frangenti si tratti del frutto di appunti occasionali, vólti alla semplice 56 Codice miscellaneo contenente anche opere di Galeno (traduzione di Gerardo da Cremona), Rasis, Aristotele, Ippocrate, Alberto dei Zancari. Secondo Adorisio (2006, 59), potrebbe essere il codice inventariato nella biblioteca di Angelo Colocci. 57 Registrato come ms. 97 da Hall (1957, 85*). 58 Codice miscellaneo contenente anche la Chirurgia parva di Bruno, oltre alla Chirurgia di Guglielmo da Saliceto e quella di Albucasis tradotta da Gerardo da Cremona. 59 Codice composito con manoscritti di epoche diverse (XII-XVI sec.), contenente anche la Chirurgia di Guglielmo da Saliceto e un Tractatus de apostematibus attribuito a Bruno stesso. 60 Codice miscellaneo contenente anche altre opere mediche di Maimonide, Giovanni da Capua, Bertholdus di Svevia. 61 Codice miscellaneo comprendente una Chirurgia incompleta, oltre ad altre numerose opere, tra le quali De simplicibus e Practica di Plateario. 62 L’altra opera principale contenuta nel codice è il Liber Servitoris di Serapione. 63 Codice composito di due parti e contenente, nella prima, opere di Rhasis. 64 Sulla base di M. Ausécache, in Jacquart/Paravini Bagliani (2007, 29–30), si può segnalare anche un codice Sevilla, Biblioteca Colombina, ms. BC 5-5-21, XIV sec, considerato dalla studiosa anzitutto come testimone del Liber Iste (raccolta di glosse all’Antidotarius Magnus salernitano), ma che contiene anche degli estratti della Chirurgia magna di Bruno.

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 2 La Chirurgia magna

consultazione privata, e tratti con ogni probabilità da esemplari originariamente più ampi da chi sentiva la stretta necessità di conoscere rimedi o tecniche ben specifiche, senza bisogno di ricorrere all’opera nella sua interezza. Un tale uso del testo, legato al bisogno contingente del singolo lettore, riguarda ovviamente la maggior parte delle opere mediche medievali (soprattutto volgari), rendendo complessivamente molto arduo, soprattutto in assenza di accurati esami autoptici, il raggiungimento di una recensio esaustiva dei testimoni, spesso celati all’interno di codici descritti nei cataloghi soltanto in maniera molto generica (del tipo Chirurgia antica, Libro di chirurgia, Trattato di Anatomia, ecc.)65 o senza indicazioni particolareggiate sull’autore o sul titolo dell’opera;66 si tratta di un problema sostanziale, che si rivela in misura maggiore nel caso di testi ancor più soggetti a pratiche di siffatta natura, quali erano i ricettari o libri analoghi contenenti rimedi e consigli terapeutici: a tal proposito, ha opportunamente osservato Zarra (2018, 4) come «è naturale pensare che molti appunti, se non veri e propri testi, d’argomento medico siano andati perduti; così, assumendo la prospettiva d’indagine dello studioso moderno dinanzi a ricette estravaganti, dobbiamo denunciare la difficoltà e, talora, l’impossibilità di stabilirne la reale natura avventizia o l’eventuale appartenenza a un’opera dispersa». Sarà utile soffermarsi brevemente almeno su qualche esemplare particolarmente rilevante all’interno della tradizione latina (per poi tornare, nel prosieguo di questo lavoro, anche su altri testimoni, soprattutto parlando dei rapporti tra il volgarizzamento bergamasco [Bibl. «Angelo Mai», MA 501], di cui qui si darà l’edizione, col suo possibile antigrafo latino): alcuni codici, anzitutto, sono notevoli per la loro datazione, vicinissima a quella di allestimento dell’opera, e anche per le informazioni che ci restituiscono sulla storia del trattato e sulla sua verosimile realizzazione in area universitaria padovana. Il codice conservato oggi a Erfurt (Amplon. Q. 210), probabilmente di area italiana, va menzionato per il fatto di essere il più antico tra quelli pervenutici: stando alla sottoscrizione del copista, esso sarebbe stato terminato nel dicembre del 1277, a venti-

65 Anche perché, spesso, incipit ed explicit dell’opera andavano facilmente incontro a tagli o rimaneggiamenti, trattandosi di testi con uno scarso livello di autorialità. Per questo fenomeno, particolarmente rilevante nella tradizione volgare, cf. cap. 3. La stessa Hall (1957, 89*), nel licenziare la sua edizione della Chirurgia, non si sottraeva dall’affermare che gli oltre trenta manoscritti da lei recensiti erano un’ottima prova della popolarità dell’opera, e una testimonianza che «suggests that many more must survive undetected. A peregrination of the libraries of Italy would probably be very rewarding». 66 A tal riguardo, un primo strumento di ricerca è ancora il catalogo degli incipit di Thorndike/ Kibre (1963).

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino 

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cinque anni di distanza, dunque, dalla compilazione dell’originale di Bruno. Appaiono di grande interesse, poi, pur dovendo qui prescindere da un’analisi accurata del rapporto tra i testimoni, le informazioni che alcuni di essi offrono sulla circolazione del testo nell’Italia settentrionale e anche di là dalle Alpi (cf. 2.4). In particolare, vale la pena spendere qualche parola su quei codici che paiono introdurci proprio negli ambienti universitari, o comunque scolastici, di Bologna e Padova tra Duecento e Trecento, dove si presuppone che Bruno si sia mosso durante gli anni d’insegnamento. Andrà ricordato in primo luogo il ms. Vat. Lat. 8177 (di cui si possiede il nome del copista, tale «Nicolaus»): esso è esplicitamente descritto da Pesenti (1989, 174) come «manoscritto universitario padovano della seconda metà del XIII secolo».67 Un altro codice oggi conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana, l’Ottob. Lat. 2082, presenta poi, al pari del manoscritto di Erfurt, una sottoscrizione che, pur non offrendo indicazioni su luogo di copiatura e nome del copista, appone però la data del 1285, collocandosi anch’esso tra i testimoni cronologicamente prossimi al testo originale; inoltre, l’Ottob. Lat. 2082, possiede a sua volta «i caratteri del manoscritto universitario».68 Similmente, sempre come codice universitario di area italiana è considerato da Adorisio (2006, 14) il ms. Clm. 13057 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco. D’altro canto, all’ambiente universitario padovano ci riconducono anche i dedicatari delle due opere, verosimilmente da annoverare nel gruppo degli allievi più vicini a Bruno, e le parole dell’autore contenute nei due trattati. L’esordio della Chirurgia magna contiene, infatti, una dedica ad Andrea Vicentino, appellato come venerabilis amicus: «Rogasti me iam est diu, Andrea Vicentine, venerabilis amice mi, quod tibi brevi et aperto sermone in medicatione cyrurgiae librum describerem collectum et exceptum ex dictis gloriosissimi Galieni, Avicennae, Almansoris, Albucasis et Haly, necnon et aliorum peritorum veterum» (Hall 1957, 1).

La Chirurgia magna, per stessa ammissione di Bruno, costituisce dunque il frutto di una raccolta del sapere chirurgico basata sui trattati di Galeno e dei grandi maestri arabi. L’explicit, a sua volta, oltre a confermare la provenienza di Bruno dalla Calabria, documenta l’avvenuta realizzazione dell’opera a Padova:

67 Pesenti (1989, 174); cf., nello specifico, la nota 119: «Il testo della Cyrurgia è in lettera bononiensis di un’unica mano della seconda metà del sec. XIII, che continua anche ai ff. 61r-62r; le ricette a f. 62v sono invece in minuscola cancelleresca padovana coeva». 68 Pesenti (1989, 175); cf. ibid., nota 123: «il testo è in lettera bononiensis, elegante nella prima parte, più affrettata nella seconda».

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 2 La Chirurgia magna

«Anno ab incarnatione domini M°. CC°.l. ii°, mense Ianuarii, indictione X, in civitate Paduae, in loco Sancti Pauli, ego Brunus, gente Calaber et patria Longoburgensis, sub spe divini favoris per omnia vestigia veterum sapientum perscrutans huic operi debitum finem imposui» (Hall 1957, 320).

A un uomo padovano, Lazzaro da Padova, è poi dedicata la Chirurgia parva,69 compendio dell’opera maggiore. Se la Chirurgia magna nasce, dunque, per richiesta di Andrea Vicentino, ed è esplicitamente presentata nel prologo come labor condotto per esaudire il desiderium del suo interlocutore (cf. Hall 1957, 1), una situazione del tutto analoga emerge anche per la Chirurgia parva: in tal caso, Bruno afferma di aver posto mano all’opera per rispondere alla petitio di Lazzaro e alla necessità di ricambiare un debitum magnum nei suoi confronti (cf. 2.8). In entrambi i prologhi, traspare dunque il rapporto stretto, quasi paterno, nei confronti di quelli che dovevano essere, come anticipato, due allievi della sua scuola.70 Sulla loro identità, però, è difficile avanzare ipotesi concrete: se è del tutto ignota la figura di Lazzaro da Padova, su Andrea è stato possibile, tuttavia, formulare qualche ipotesi interessante: Del Guerra (1937, 210), descrivendo per primo due codici della Bibl. Statale di Lucca (rispettivamente il ms. 1628 contenente un volgarizzamento della Chirurgia magna, e il ms. 1306 contenente un volgarizzamento della Chirurgia parva),71 sosteneva che si trattasse di un insegnante di teologia. Nel ms. 1306, infatti, in corrispondenza del semplice dativo latino Andreae (presente anche nell’editio princeps), si legge l’appellativo Andrea Atelogoro da Padua: dunque, l’Andrea vicentino cui ci si rivolge nel prologo della Chirurgia magna, corrisponderebbe per Del Guerra all’Andrea Atelogoro di cui qui si parla, dove l’appellativo Atelogoro andrebbe inteso come «teologo» («se là Andrea vien detto Vicentino, qui si cita l’Università di Padova dove era atelogaro, cioè -a mio modo di vedere- insegnante di teologia»).72 Più convincente si presenta la tesi di Marangon (1997, 440): quest’ultimo, infatti, fondandosi sullo studio di alcuni atti notarili, propone «l’identificazione dell’Andrea Vicentine venerabilis amice

69 Si rimanda a 2.8 per una più diffusa trattazione sulla Chirurgia parva. 70 Cf., nell’esordio della Chirurgia parva, le parole che Bruno rivolge a Lazzaro: «diu mihi filialiter ac sincera dilectione servisti» (l’editio princeps delle Chirurgie di Bruno, all’interno di una collectio con i maggiori trattati medievali di chirurgia, è del 1498: seguono diverse edizioni successive, tutte veneziane. Cito da Bruno Longobucco 1519, l’unica edizione del testo leggibile su GoogleLibri insieme a quella del 1513: 103rA). 71 Chelini (1969) ne offre una trascrizione completa, ma tutt’altro che accurata (da una lettura molto cursoria si sono notati, ad esempio: cose che d’ano al posto di un evidente cosa che dano [p. 23]; diversi casi di è verbo scambiati con e congiunzione; separazione delle parole poco coerente e non illustrata da un chiarimento preliminare dei criteri). 72 Ipotesi accolta anche da Chelini (1969, 15–16).

2.2 Testimoni e diffusione del testo latino 

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mi, cui è dedicata la Chirurgia magna [...] con il Maestro Andrea medico chirurgo qui fuit da Vicencia et nunc stat Padue a Puteo piscarie, padre di Francesco e di Marcabruno, presente a Padova il 25 maggio 1279 [...] e il 28 febbraio 1287». Se la nascita dello Studium padovano è tradizionalmente fissata al 1222,73 l’inizio dell’insegnamento ufficiale della medicina a Padova è collocato da Del Negro (2002, 163) alla metà del Duecento, con la fondazione, nel 1250 (siamo negli anni del dominio di Ezzelino da Romano), del Collegio dei dottori, medici e artisti.74 Prima di allora, «scuole private, laiche e monastiche (Sacro Collegio Giurista), avevano praticato l’insegnamento accogliendo docenti e studenti trasmigrati da Bologna per sfuggire ai crescenti controlli imposti dalle autorità sulle ‹corporazioni studentesche›».75 Sull’arrivo di Bruno a Padova assieme al gruppo dei fuoriusciti dello Studium bolognese non si hanno, come del resto per tutta la sua vita, notizie davvero attendibili: se, però, la sua presenza nella città veneta è collocabile attorno agli anni ’50 del Duecento, essa coinciderebbe molto da vicino con l’istituzione del Collegio. Focà (2004, 45–47), muovendo dalle tesi avanzate da Pluchinotta (1987, 7), afferma, forse con eccessiva perentorietà, che Bruno fu, «senza alcun dubbio, il primo docente di chirurgia» dello Studium,76 e «indiscutibilmente il primo insegnante dello Studio di Padova che abbia acquisito una vasta reputazione in campo chirurgico».77 Se la pratica della dissezione anatomica vide la sua nascita a Bologna, gli albori dell’insegnamento chirurgico in Italia sono invece collocati da Pesenti (1989, 176) proprio a Padova, grazie all’opera di Bruno, e a Siena, dove a una sistemazione dottrinale del sapere chirurgico si dedicò soprattutto Pietro Ispano, che qui pose mano al breve trattato Dietae super Cyrurgia (una sorta di esegesi del sapere chirurgico di Ruggero Frugardo).78 73 Essenziale per una storia dello Studium di Padova in epoca medievale rimane Siraisi (1973), con particolare riguardo al cap. V (143–172) per quanto concerne, nello specifico, lo studio della medicina e della chirurgia. Cf. anche Arnaldi (1977). 74 Cf. Siraisi (1973, 145): «The study of medicine was certainly part of the curriculum of the schools by 1262». 75 Focà (2004, 45). Si continua tradizionalmente ad affermare che lo Studium bolognese fu quasi trasferito in blocco a Padova: «Although this statement is clearly an exaggeration in that Bologna continued to function as a university center, a substantial migration of masters and students to Padua appears to have taken place at that time» (Siraisi 1973, 16). Arnaldi (1977, 388–389) parla di almeno tre «ondate migratorie» sicure da Bologna verso Padova (rispettivamente negli anni 1222, 1274, 1306). 76 Anche questo fatto «seems unlikely» per Hall (1957, ii). 77 Nella lista degli insegnanti di medicina e chirurgia dello Studium, stilata da Siraisi (1973, 176), secondo la quale «the professorship of Bruno da Longoburgo [sic!] is doubtful», Bruno compare per primo, seguito da Agno o Agnello (1261–1262), Giovanni (1261–1279), Zambonino (1262), Albertino degli Anselmi da Palazzolo (1273–1317). 78 Cf. Meirinhos (2000).

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 2 La Chirurgia magna

È stato poi recentemente rilevato come, nella Padova di metà Duecento, la facoltà di medicina abbia mosso i primi passi in stretta connessione con l’ambiente ecclesiastico, in particolare quello degli ordini mendicanti (Marangon 1997, 68).79 Secondo lo stesso Marangon (1997, 62), la Chirurgia fu scritta da Bruno in un ospedale officiato da canonici regolari («in loco Sancti Pauli» scrive appunto Bruno nell’explicit dell’opera),80 in un luogo in cui scolari e maestri delle arti avevano la possibilità di riunirsi:81 una conferma importante, questa, anche del fatto che «nonostante le cautele canoniche, monaci e canonici regolari promuovono lo studio della medicina ed ospitano proprio nelle loro sedi e strutture ospedaliere le prime scuole universitarie».82 Sul ruolo della Chirurgia magna in rapporto al sapere e all’insegnamento di Bruno va ancora posto in rilievo, per terminare questa breve presentazione dell’opera, come essa rientri a pieno in quel fenomeno culturale e didattico nel quale, solcando la scia tracciata da Ruggero Frugardo circa ottant’anni prima, s’inserisce la schiera dei grandi chirurghi delle generazioni successive. A essi, infatti, si deve un’innovazione di grande peso, alla quale Bruno portò un contributo essenziale: per la prima volta con Ruggero, vero pioniere nel campo, ma soprattutto 79 Cf. Focà (2004, 46): «Di rilevante interesse è il rapporto che si instaura tra Università e Ordini mendicanti a Padova nel ’200, infatti tra gli ospedali-ospizi tenuti dai monaci ed i primi professori di medicina si stabilisce un rapporto non unicamente di ospitalità, alberghiero in senso stretto, ma anche di sostegno e di organizzazione degli studi». 80 Il rapporto di Bruno con un presunto nosocomio di ambiente ecclesiastico, dedicato a S. Paolo, era considerato molto dubbio da Hall (1957, i), che conferiva scarso credito anche alla possibilità che egli avesse prestato servizio presso istituzioni di carità: «the phrase ‹loci sive hospitalis Sancti Pauli› is found describing a canon entering minor orders in 1330; in addition, a hospital dedicated to St. Paul was mentioned in a will of 1192, and in the second half of the Fifteenth Century its buildings and revenues were re-allocated as it had failed to discharge its function of hospitality. The intervening history of this hospital is uncertain, and it would be unsafe to assume that the three establishments described can be identified as one. It is anyway unlikely that Bruno was engaged in the charitable work of caring for the sick poor; he writes as one paid for his services by individual patients». 81 In particolare, a Padova, un ruolo significativo fu ricoperto da S. Urbano, nell’omonima contrada: il monastero, «nel cui chiostro l’anno 1262 fu data pubblica lettura dei Cronica di Rolandino, [...] era la ‹domus› ospedaliera di Praglia» (Marangon 1997, 68), celebre abbazia ai piedi dei colli Euganei. 82 Pesenti (1989, 170). Cf. Agrimi/Crisciani (1993) per i concetti di caritas e infimitas e per il ruolo degli ospedali nella civiltà medievale. Basti qui ricordare che «alla fine del Medioevo [...] comincia a farsi strada un’immagine nuova di ospedale impegnato anche a curare, se non a guarire, oltre che a consolare e preparare alla buona morte, più compatibile con le finalità laiche della medicina e vieppiù coinvolto nel suo esercizio. Due eventi principali introducono nel processo di istituzionalizzazione dell’assistenza [...]: la rinascita urbana, religiosa, culturale del XII secolo e l’entrata nella storia dell’Occidente della peste» (Agrimi/Crisciani 1993, 236).

2.3 Fortuna dell’opera nel Medioevo 

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con i suoi successori nel corso del Duecento, si affacciò «l’uso consapevole di un libro di testo per istruire i chirurghi» (McVaugh 1993, 381), primo passo dell’istituzione di un sapere condiviso, di tecniche e conoscenze giustificabili e corroborate dall’auctoritas dei grandi maestri, sia antichi (greci e arabi) sia moderni (cf. 2.7).83

2.3 Fortuna dell’opera nel Medioevo Anche prescindendo dalla consistenza della tradizione manoscritta, la quale, come si è appena visto, di per sé rende l’opera tutt’altro che una rarità bibliografica (e anzi è facilmente pronosticabile, sulla base di nuove ricerche, un accrescimento del numero dei testimoni oggi noti), quale l’aveva considerata Tabanelli (1970), siamo in possesso di almeno tre fondamentali testimonianze documentarie, atte a confermare la centralità dell’opera di Bruno nel corso del Medioevo, in particolare nel mondo universitario tre-quattrocentesco: a) la prima ci è offerta da Guy de Chauliac (fine XIII sec.-1368), tradizionalmente considerato il più grande chirurgo del Trecento. Nella sua Chirurgia magna (1363), Bruno è citato con alta frequenza tra le maggiori auctoritates del passato, costantemente richiamate, com’è consuetudine in questa tipologia testuale, per asseverare l’esposizione dei singoli argomenti trattati. Accanto ai maestri della medicina antica e araba (Galeno, Avicenna, Albucasi, Rasis, Haly Abbas, Ippocrate, citati qui in ordine di frequenza), Guy de Chauliac si richiama spesso anche ai protagonisti della chirurgia occidentale a lui immediatamente precedenti: gli autori più presenti sono, disposti in ordine di frequenza, Lanfranco da Milano, Ruggero Frugardo/Rolando, Teodorico Borgognoni, Henri de Mondeville, Guglielmo da Saliceto e il nostro Bruno, menzionato 46 volte all’interno del testo. Nel capitolo iniziale dell’opera, che funge da premessa, Guy chiarisce che cosa sia la chirurgia e ne passa brevemente in rassegna i protagonisti dei secoli anteriori: tra di essi è citato Bruno, il quale, assieme a Ruggero, Rolando, e i Quattro Maestri appartiene a quell’epoca, posteriore ad Avicenna, nella quale «separata fuit cyrurgia et dimissa in manibus mechanicorum» (McVaugh/Ogden 1997, 6). Secondo lo stesso chirurgo francese, le cui parole sono certo indicative della percezione che di Bruno e della sua opera si aveva nel mondo della chirurgia ufficiale nel pieno Trecento, il Nostro «satis discrete dicta Galeni et Avicennae, et operationem Albucasis assummavit, translationem tamen librorum Galeni totam non habuit, et anathomiam penitus dimisit» (ivi, 6).

83 Cf. il paragrafo Le autorità in Jacquart (1993, 283–289).

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 2 La Chirurgia magna

Le considerazioni di Guy de Chauliac, dunque, rilevano il ruolo, già ricordato, dei grandi maestri antichi (Galeno, Avicenna, Albucasis in primis) all’interno della Chirurgia bruniana; il chirurgo francese nota però che di Galeno, la cui fortuna dal secondo Duecento sarà massima negli studi medici, Bruno non ebbe a disposizione l’intera opera; a ciò si aggiunge una critica relativa alle scarse conoscenze anatomiche del Nostro. Se è indubbio che l’anatomia, come ricordato (cf. supra cap. 1.1), assumerà un ruolo preponderante solo più tardi (con Guglielmo da Saliceto e soprattutto con Mondino de’ Liuzzi), è però anche vero che il giudizio di Guy su questo punto è parso eccessivamente severo,84 tanto più alla luce di quanto Bruno, tra i primi, non manca di sottolineare all’interno della sua Chirurgia magna: «necesse est ut secator sciat anothomiam, quae est maxima pars huius artis, ne incidat in errorem et secet aliquid ex nervis et similibus» (Hall 1957, 245). b) La testimonianza più rilevante della fortuna di Bruno ci è però offerta dagli statuti dell’Università di Bologna del 1378 e poi del 1405,85 pubblicati da Carlo Malagola nel 1888. Lo studio del trattato di Bruno è, accanto a quelli di Avicenna, Galeno e dell’Almansore, obbligatorio per il superamento dell’esame di chirurgia. In particolare, gli statuti del 1378 prevedono lo studio della prima parte (dunque, presumibilmente, il primo libro) della Chirurgia di Bruno, da svolgersi nella secunda lectio; già nella prima lectio,86 invece, essa è prescritta (stavolta nella sua totalità, vista l’assenza di note specifiche) negli statuti del 1405: – Statuti del 1378 (Rubrica xxiiii) Insuper statuimus et ordinamus ut in examinibus cirugicorum modus limitetur et ordo, quod ille qui examinari debet in cirugia primo recipiat ponta de mane a priore et doctoribus

84 Il giudizio di Guy de Chauliac è considerato, in modo un po’ impressionistico, «realmente acido» da Tabanelli (1970, 14), ma è sostanzialmente ribadito da Pispisa (1972, 644): «La Chirurgia magna [...] rivela che il chirurgo calabrese ebbe cognizioni di anatomia approssimative anche per i suoi tempi». 85 Cf. Maierù (1989, 272); Siraisi (1973, 168: «his work [...] was probably utilized in the schools of both Bologna and Padua throughout the period which the present study is concerned with [scil.: fino al 1350]»). 86 Cf. Maierù (1989, 274), in relazione proprio agli atti universitari bolognesi: «La lezione è l’attività basilare dell’insegnamento, dalla quale tutte le altre prendono le mosse per trovare poi collocazione in orario diverso da quello della lezione. In particolare, tre atti sono connessi con la lezione. A livello più basso sta l’esame che maestro e ripetitore compiono nel pomeriggio sulla lezione impartita [...]. A un livello più alto si collocano gli altri due atti che vanno sotto i nomi di disputa e ripetizione, entrambi connessi con l’esigenza di approfondire aspetti particolari della dottrina contenuta nel testo oggetto di lezione».

2.3 Fortuna dell’opera nel Medioevo 

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phisice facultatis tantum pro prima lectione super tercia parte fen87 quarti canonis Avicenne, et pro secunda lectione super prima parte cirugie Bruni, et quod in vesperis decretorum veniat ad examen (Malagola 1988, 443).



Statuti del 1405 (De modo legendi in cirugia. Rubrica xxxv) Item statuerunt quod doctores legentes in Cirugia debeant legere secundum infrascriptum modum, videlicet, quod omni anno in principio studii incipiant legere pro prima lectione Cirugiam Bruni, qua lecta, legatur cirugia Galieni. Pro secunda lectione primo legatur Cirugia Avicenne, qua lecta, legatur septimus Almansoris (Malagola 1988, 247–248).

È poi degna di attenzione l’ottima congettura di Hall (1957, 61*), relativa alla possibilità che anche nel vicino Studium ferrarese il testo di Bruno fosse stato adottato come manuale di chirurgia: nello statuto De modo legendi in Cirugia, indicato come XXXXVII all’interno dell’edizione Borsetti degli Statuta Universitatis Scholarium Artistarum,88 la prescrizione dei testi di studio suona pressoché identica a quella degli statuti bolognesi del 1405 («omni anno a principio Studii incipiant legere pro prima lectione Cirugiam Dini, qua lecta, legatur cirugia Galieni. Pro secunda lectione primo legatur Cirugia Avicennae, qua lecta, legatur Septimus Almansoris») salvo per il nome al genitivo Bruni, sostituito da Dini. Il riferimento sarà qui evidentemente a Dino del Garbo, la cui unica opera considerabile come trattato chirurgico è il suo commento alla Chirurgia di Avicenna, anch’essa prescritta dallo statuto. Hall presuppone dunque un errore di trascrizione tra Bruni e Dini che, data la coincidenza quasi perfetta con la Rubrica xxxv degli statuti bolognesi, sembrerebbe accettabile senza grosse difficoltà. c) A riprova della fortuna del testo come manuale chirurgico in area settentrionale, si aggiungono poi i primi incunaboli che, alla fine del Quattrocento, comprendono la Chirurgia magna e la Chirurgia parva all’interno di raccolte della migliore trattatistica precedente. La princeps dei due trattati è contenuta in un’edizione veneziana del 1498,89 stampata per i tipi di Locatello e Scoto: il titolo apposto all’edizione è Cyrurgia Guidonis de cauliaco. Et cyrurgia Bruni. Theodorici Rogerij Rolandi Bertapalie Lanfranci. È di grande interesse rilevare come i nomi 87 La parola araba fen indica le singole sezioni dei libri del Canon Medicinae di Avicenna; cf. Malagola (1988, 274, nota 5): «ciascuna fen, o sezione, viene poi divisa in trattati o dottrine, le dottrine in somme e le somme in capitoli». 88 Borsetti (1735, 426). 89 A questa ne seguiranno altre quattro (1499, 1513, 1519, 1546), tutte stampate a Venezia. A rimarcare lo scarso apporto degli storici della medicina a una ricostruzione filologicamente fondata della vicenda umana e letteraria di Bruno, basti notare come Chelini (1969, 9) considerasse le due opere stampate per la prima volta solo nel 1519.

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 2 La Chirurgia magna

introdotti in questa miscellanea di opere chirurgiche siano sostanzialmente gli stessi (manca il solo Guglielmo da Saliceto),90 fatte le ovvie eccezioni (il maestro quattrocentesco Leonardo Bertapaglia), tenuti in considerazione dallo stesso chirurgo francese nel compilare la sua Chirurgia («a kind of medieval medical chrestomathy, a distillation of the literature of his field»: McVaugh/Ogden 1997, XIII). Si tratta dei grandi rappresentanti della tradizione italiana (Ruggero, Rolando, Bruno, Teodorico), del maggiore protagonista di quella francese (Guy de Chauliac), e di colui che fece da ponte tra la prima e la seconda (Lanfranco), portando a Parigi il sapere chirurgico appreso dal suo maestro Guglielmo. Ciò ben dimostra come la scelta personale operata da Guy de Chauliac possedesse già una dimensione prettamente canonica:91 chi studiava o insegnava la chirurgia alla metà del Trecento doveva inevitabilmente tener in gran conto l’insegnamento lasciato da queste auctoritates. Alla fine del Quattrocento, e ancora nei primi due decenni del Cinquecento, le numerose ristampe (anche presso altri editori) di questa collectio chirurgica ben dimostrano come tale canone, formatosi nel corso del Trecento, sia poi giunto fino alle soglie di un’epoca del tutto nuova, durante la quale la chirurgia, traendo beneficio dal progresso degli studi anatomici (opera di grandi medici come Vesalio, Eustachio, Falloppio, ecc.), sarebbe stata rifondata su nuove e più solide basi scientifiche. A quanto detto si aggiungono altre testimonianze notevoli, che rivelano ancora l’apprezzamento dell’opera in Italia e in Europa: rimandando al paragrafo seguente (2.4) per la fortuna del testo di Bruno all’estero, va almeno ricordata, seguendo la segnalazione di Adorisio (2006, 22), la presenza della Chirurgia in alcune prestigiose biblioteche private dell’epoca umanistica: un codice del trattato, non giunto fino a noi, fu posseduto da Giovanni Marco da Rimini, medico di Novello Malatesta;92 altri esemplari si trovarono invece nelle biblioteche di Pico della Mirandola,93 e in quella di Angelo Colocci: Adorisio (2006, 22) ipotizza che si trattasse dell’attuale ms. Vat. Lat. 4471, un codice, peraltro, il cui testo mostra una certa vicinanza sia col ms. Ms. e Mus della Bodleian Library (tra i quattro testimoni su Hall (1957) fonda la sua edizione critica: cf. 2.5), sia con quello dell’editio princeps e delle successive edizioni a stampa veneziane.

90 La Chirurgia di Guglielmo è accolta soltanto nella quinta edizione del 1546. 91 Non manca di notarlo McVaugh (2006, 9), che proprio su questo canone, trattato come un unicum (pur senza tralasciarne le individualità), fonda il suo importante lavoro sulla storia della chirurgia medievale. 92 Cf. Menfron (1999). 93 «Chirosia del Bruno ms. in membr»: Kibre (1936, 125 nota 48).

2.4 La Chirurgia magna fuori d’Italia 

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2.4 La Chirurgia magna fuori d’Italia: presenza del testo latino in Europa e sue traduzioni Per delineare una rapida panoramica sulla fortuna di Bruno in Europa, alla già ricordata testimonianza lasciata da Guy de Chauliac vanno aggiunte le notizie ricavabili dalla tradizione manoscritta della Chirurgia, sia in latino sia in traduzione, utili per confermare l’ampia circolazione del testo fra Trecento e Quattrocento, nonché la sua sensibile presenza di là dalle Alpi, tanto negli ambienti accademici quanto in quelli popolari. In particolare, anzitutto i volgarizzamenti approntati in alcune grandi lingue europee ci offrono chiaramente la misura del raggio d’azione dell’opera. Le traduzioni oggi note sono conservate nei seguenti codici:94 – Benzian (Julius), Collezione: Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel95 – Hirsch (Jerocham Fischl), Collezione: Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel96 – London, British Library, Add. 21618, 1452–1465 (Pavia), traduzione in tedesco della Chirugia magna – London, British Library, Or. 2674, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Moskva, Rossijskaia Gosudartsvennaja Biblioteka, Günzburg 164/1, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Moskva, Rossijskaia Gosudartsvennaja Biblioteka, Günzburg 165/9, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Moskva, Rossijskaia Gosudartsvennaja Biblioteka, Günzburg 738/2, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Oxford, Bodleian Library, Hebrew 2123, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Paris, Bibliothèque Nationale, Hébreu 973 (Anciens fonds 319), Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel – Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 2115 (olim De Rossi 624), cc. 138r-215v, sec. XIV, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel97

94 Ricavo i principali dati da Adorisio (2006) e Proverbio (2002). Scarsissime sono le informazioni bibliografiche e le descrizioni di questi testimoni all’interno dei principali cataloghi, motivo per il quale, anche vista l’impossibilità di esami autoptici, ci limiteremo a riportare le notizie fondamentali desumibili dagli studi precedenti. 95 Per questo e tutti gli altri codici contenenti la traduzione ebraica di Hillel ben Samuel, cf. Proverbio (2002, 626). 96 Ibid. 97 Codice miscellaneo contenente anche opere di Pietro Ispano e Avicenna.

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 2 La Chirurgia magna

Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 2468 (olim De Rossi 1404), cc. 3r-68v, sec.  XV, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel98 Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 2475 (olim De Rossi 1281), cc. 1r-54r, sec. XV, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel99 Roma, Biblioteca Casanatense, 2756, 1r-96r, sec. XV (Italia), Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele, Farf. 24, cc. 193–201, 1460–1464, Germania, estratti delle due Chirurgie in tedesco Strasbourg, Bibliothéque Nationale Universitaire, ms. 4106, XVI sec. (?), Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Ebr. 376, cc. 1r-101r, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Ebr. 462, cc. 7r-129v, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Ebr. 550, cc. 1v-112r, Chirurgia magna, traduzione in ebraico di Hillel ben Samuel Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs. 2818 (med. 86), 169r-189v; 250r-281r; sec. XV (1490ca.), Paesi Bassi, compendio in olandese della Chirurgia magna e della Chirurgia parva

Sarà doveroso partire dalla fortunatissima tradizione del volgarizzamento ebraico di Hillel ben Samuel, testimoniato da ben 17 testimoni (16 della Chirurgia magna, uno della parva), rappresentanti di fatto la quasi totalità delle traduzioni oggi note.100 È uno squilibrio che, con ogni probabilità, andrà attribuito soprattutto allo scarsissimo (pressoché nullo) interesse per i volgarizzamenti dell’opera bruniana negli studi recenti, nei quali solo la tradizione risalente a Hillel ben Samuel ha goduto di una certa attenzione, legata per lo più alla storia della cultura ebraica nell’Italia settentrionale. Non sarà incauto ipotizzare che un’accurata recensio dedicata alla tradizione volgare europea della Chirurgia permetterebbe di incrementare notevolmente il numero delle traduzioni conosciute, tanto più che, come accade anche per molti dei testimoni sopra riportati (anche quelli latini), si tratta spesso di excerpta più o meno lunghi delle due Chirurgie, talvolta anche di difficile riconoscibilità in quanto oggetto di compendi e rimaneggiamenti che hanno finito per inficiare la possibilità di un efficace raffronto. 98 Codice contenente anche ricette mediche e un anonimo trattato su unguenti e impiastri. 99 Codice miscellaneo comprendente anche opere di Ruggero Frugardo e Ioannizio. 100 Sull’erronea identificazione di una duplice versione ebraica (sostenuta ancora da Pispisa 1972), si è opportunamente espresso Proverbio (2002), chiarendo come essa sia derivata da un errore di lettura poi accolto in vulgata.

2.4 La Chirurgia magna fuori d’Italia 

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La traduzione di Hillel ben Samuel fu con ogni probabilità la prima in assoluto dell’opera di Bruno. Hillel, filosofo e medico vissuto orientativamente tra il 1225 e il 1295, fu figura di primissimo piano nella cultura ebraica italiana del Medioevo: appartenente a una famiglia di rabbini (suo nonno fu presidente del Tribunale rabbinico di Verona), forse studente di medicina a Montpellier (ciò spiegherebbe bene l’interesse per la Chirurgia di Bruno), autore di numerosi scritti filosofici in ebraico, così come di traduzioni dal latino.101 Pur non possedendo delle date sicure relative alla nascita e alla morte del personaggio, con Hillel ci troviamo negli stessi anni (o di poco posteriori) di Bruno, e in un ambiente altrettanto vicino (Verona, o comunque un’area prossima a Padova; Hillel fu anche a Napoli, Capua, Roma e Forlì): non è da escludere, perciò, che Hillel possa aver ascoltato direttamente le lezioni di Bruno in area veneta. La sua traduzione, dunque, è una testimonianza diretta della fortuna immediata della Chirurgia nei decenni immediatamente successivi alla metà del Duecento. Non si conoscono, a oggi, testimoni della Chirurgia in francese, se si fa eccezione per un codice un tempo conservato a Metz (Bibliothèque Municipale, ms. 1228), ma andato distrutto nel 1944.102 Anche in tal caso, tuttavia, occorreranno ricerche mirate per rimediare a una lacuna che appare senz’altro colmabile, tanto più in un’area, come quella francese, dove l’opera di Bruno ebbe sicuramente una certa risonanza e dovette circolare soprattutto negli ambienti universitari: è facile ipotizzare che la Scuola medica di Montpellier, all’apice del suo splendore negli anni in cui vi soggiornò lo stesso Guy de Chauliac, svolse un ruolo rilevante ai fini di tale diffusione. A Montpellier fu probabilmente approntato, ed è tuttora conservato, uno dei codici principali della tradizione latina, di cui si parlerà brevemente anche in 2.6 a proposito di una particolarità (presenza di un explicit decisamente più ampio) che lo isola rispetto a tutti gli altri testimoni: il ms. H. 89 bis, che rimanda sicuramente all’ambiente scolastico della città francese, «è anche miniato e decorato nello stesso ambito geografico e artistico» (Adorisio 2006, 19). Sempre al contesto scolastico francese ci rinvia anche il ms. A. 916 conservato a Cambrai, una miscellanea medica in cui Bruno occupa il posto principale (ivi, 26: «le caratteristiche del volume sono proprie di una raccolta con finalità scolastiche»). Per il Nord-Europa possediamo alcune testimonianze sicure, merito anche delle frotte di studenti tedeschi e olandesi che nelle città italiane (oltre che in quelle francesi) si recavano per compiere i loro studi universitari, copiando codici che successivamente riportavano in patria una volta concluso il percorso di laurea. In Germania la lettura e lo studio universitario del testo latino sono testi-

101 Cf. Battistoni (1994) e Zonta (2004). 102 Cf. Wickersheimer (1979, 93) e Adorisio (2006, 20).

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 2 La Chirurgia magna

moniati, anzitutto, dai due codici conservati a Erfurt (l’Amplon. Q. 210, della cui antichità [dicembre 1277] si è già detto: cf. 2.2; l’Amplon. F. 250, che conserva la Chirurgia parva: cf. 2.8), i quali, pur essendo entrambi di origine italiana, arrivarono in Germania molto presto e furono accolti nell’enorme biblioteca del medico tedesco Amplonius Rating de Bercka (1365ca.-1435), professore di medicina nella città della Turingia.103 Il ms. Lat. 259, di area tedesca e conservato a Monaco di Baviera, presenta, in corrispondenza della Chirurgia di Guglielmo e della Practica oculorum di Benvenuto Grasso, gli altri due testi presenti nel codice, la sottoscrizione di un tal Ulrich Eberhard di Costanza. Nel secondo Quattrocento, il codice Add. 21618 (Londra) contenente una Chirurgia magna in tedesco, viene vergato da un tal Contzen von Auerach a Pavia, e costituisce anch’esso una testimonianza preziosa della presenza studentesca straniera nello Studium lombardo. Un’analoga situazione ci restituisce il ms. M. II, 162, conservato oggi a Salisburgo e copiato da un tal Gerardus Hamont di Lüttich (proveniente, dunque, da Liegi, ma probabilmente di lingua tedesca),104 anch’egli studente di medicina a Bologna. Il codice Farf. 24 (derivato dal fondo del monastero di Farfa e appartenuto al monaco Michael Schwirkerus) è poi un miscellaneo in tedesco contenente estratti dalle due Chirurgie non facilmente distinguibili. Le due Chirurgie di Bruno tradotte in olandese costituiscono poi il testo principale tra quelli contenuti nel codice miscellaneo Hs. 2818 conservato a Vienna:105 si tratta in tal caso di forme compendiate dei due trattati, affiancati da altri testi, di natura astrologica, medica e alchemica e sempre scritti in lingua olandese. Al pari di quanto osservato per l’area francese, non possediamo neppure volgarizzamenti inglesi; tuttavia, «in Inghilterra la Chirurgia di Bruno arrivò come testo scolastico sin dal XIV secolo» (Adorisio 2006, 20). Si conservano, infatti, due importanti codici latini (cf. 2.2): oltre al ms. Sloane 3018 della British Library, vergato proprio in Inghilterra nel corso del XV secolo, particolarmente significativo è il codice Ms. e Mus. 19 della Bodleian Library, (assunto da Hall 1957 tra i quattro testimoni principali della sua edizione critica della Chirurgia: cf. 2.5), di area italiana, ma giunto a Oxford già nel XIV secolo: «un vescovo di Chichester (Sussex), William Reed, morto nel 1385, lasciò agli studenti del Merton College

103 La Biblioteca Amploniana costituisce una delle più vaste raccolte private di manoscritti del tardo medioevo ed è tuttora conservata, in larga parte, nella Universitätsbibliothek di Erfurt: cf. Bouillon/Pfeil (2009). 104 Risulta iscritto a Colonia nel 1422, a Lovanio nel 1429; è poi iscritto nei registri del 1435 e del 1437 a Bologna; quindi di nuovo a Colonia: cf. l’eccellente lavoro di Schwarz (2013, 721), che mette a disposizione una gran quantità di materiale d’archivio sulla storia della curia romana e delle università italiane tra Trecento e Quattrocento. 105 Il codice è stato oggetto di un approfondito studio monografico da parte di Huizenga (1997).

2.5 L’edizione critica Hall (1957) 

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di Oxford un codice di origine italiana contenente una raccolta di trattati di chirurgia, tra cui la Chirurgia magna e parva. Il codice [...] doveva servire per l’uso comune degli studenti e doveva essere incatenato al banco di lettura onde assicurarne a tutti la disponibilità» (ibid.).

2.5 L’edizione critica Hall (1957) Uno dei problemi più immediati che si presentano a chi decida di accostarsi allo studio di testi pratici medievali, con fini anche distanti da quello del presente lavoro, risiede notoriamente, ancor oggi, nella sostanziale mancanza di edizioni critiche, tanto più di edizioni moderne e sufficientemente affidabili, dei testi originali in latino (oltre che, a maggior ragione, di quelli in volgare); una lacuna questa, che deriva principalmente dallo scarso interesse di cui tali testi hanno goduto nel corso del Novecento, soprattutto nell’àmbito della filologia medievale e umanistica; non di secondo piano, ma anzi foriera di un certo scoraggiamento complessivo, sarà stata anche l’oggettiva difficoltà insita nell’affrontare tradizioni testuali per lo più estremamente complesse, soprattutto alla luce di due motivi: a) il primo riguarda la straordinaria fortuna di molti testi medici, il cui fine meramente pratico (spesso manualistico e indirizzato a interi gruppi di studenti), insieme alla costante opera di riproduzione negli ambienti universitari (o comunque cólti), ci ha restituito talvolta un numero notevolissimo di testimoni, nel quale risulta davvero complesso districarsi; b) il secondo, di natura più propriamente filologica, riguarda l’effettiva situazione testuale degli esemplari utili ai fini dell’elaborazione di un’edizione critica. Trattandosi di testi con uno scarso grado di autorialità (che diventa praticamente nullo nel caso di ricettari e altri testi analoghi), essi andarono facilmente incontro, anche in àmbito dotto, a tagli, aggiunte o riscritture, vòlte a circoscrivere il singolo testimone nel contesto d’immediato utilizzo del compilatore o dell’eventuale lettore. Si tratta di problemi radicati nella tradizione manoscritta dei testi pratici, e che acquistano un peso ancora maggiore, com’è ovvio, nel caso specifico della tradizione volgare di un’opera latina. Rimandando anche al cap. 3 per una dettagliata discussione sul problema qui introdotto e sulla tradizione volgare della Chirurgia di Bruno, è opportuno presentare brevemente il lavoro di Hall (1957), rara avis tra le edizioni di testi chirurgici del Medioevo (rimasta purtroppo in forma dattiloscritta e non giunta alle stampe):106 pur risalente alla metà del Novecento, esso contempla già

106 Di un’eccellente edizione in due volumi (uno interamente dedicato al commento del testo) a cura di McVaugh/Ogden (1997) gode il già ricordato Inventarium sive Chirurgia Magna di Guy de

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 2 La Chirurgia magna

la maggior parte della tradizione manoscritta in latino poi recensita, a distanza di mezzo secolo, da Adorisio (2006), e ha offerto un punto di partenza privilegiato e imprescindibile per il nostro studio, rappresentandone la base per ogni questione filologica relativa ai rapporti tra i testimoni volgari e il testo originale. Hall (1957) fonda la sua edizione critica su quattro testimoni principali fra i 33 identificati come portatori della Chirurgia o di suoi estratti:107 O = Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 2082 E = Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Amplon. Q. 210 B = Oxford, Bodleian Library, Ms. e Mus. 19 G = Cambridge, Gonville and Caius College, 105 (57) Più nello specifico, la base del testo è costituita dal ms. Ottob. Lat.: esso è tra i testimoni più vicini (1285) alla presunta data di realizzazione della Chirurgia magna (ancor più antico, come già detto, il codice di Erfurt, del 1277), ma soprattutto ci restituisce il testo più corretto, che solo in una minoranza di casi ha costretto l’editrice a intervenire, preferendogli la lezione offerta da uno degli altri tre testimoni. Ricollegandoci a quanto appena affermato, in apertura di paragrafo, sugli ostacoli posti da un’edizione critica di tal genere, la scelta limitativa di Hall vorrebbe chiaramente superare l’ostacolo di collazionare interamente oltre trenta testimoni, rendendo poi conto in apparato di tutte le loro varianti: in particolare, come segnala l’editrice, nel rapporto tra i codici «the minor variations are legion» (Ead., 89*) e sono per lo più dovute a tre cause. Le prime due, cioè le disattenzioni del copista e i suoi interventi volontari sul testo, costituiscono ovviamente un fatto comune a qualunque tradizione manoscritta, con in più, però, le suddette complicazioni comuni a tante opere pratiche, caratterizzate dalla precoce perdita di rapporti con l’autore originario. A complicare non poco le cose, però, si aggiunge la natura puramente tecnica della lingua, che inevitabilmente ha creato problemi enormi ai copisti ignari di medicina e ha arricchito la tradizione di un numero considerevolissimo di errori (oltre che di aggiustamenti e tentativi di spiegare quanto eventualmente si rivelasse poco chiaro). L’apparato di Hall (1957), circoscritto a soli quattro codici piuttosto corretti, consente comunque di apprezzare una sufficiente casistica di errori dovuti alla scarsa comprensione di Chauliac. Non si tratta, però, di una vera e propria edizione critica: il testo è qui restituito sulla base di un unico testimone (Vat. Palat. Lat. 1317), collazionato col ms. Magdalen College 208 di Oxford e con la cinquecentesca edizione latina pubblicata per opera di L. Jaubert (Lyon, 1585). 107 Per evitare confusioni con le sigle dei manoscritti volgari, a partire dal cap. 3, così come nell’apparato della nostra edizione del ms. BA 501 della Biblioteca «Angelo Mai» di Bergamo, la lettera di riferimento del codice sarà preceduta dalla sigla «ms. lat».

2.5 L’edizione critica Hall (1957) 

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voci tecniche (errori che invece saranno certo in maggior numero, tanto più in corrispondenza di tecnicismi di etimo non latino, nei testimoni qui non considerati). Ne presento solo qualche esempio, tratto dalle prime pagine del testo, e utile per comprendere come anche termini tecnici non particolarmente rari potessero facilmente incorrere nei travisamenti dei copisti: in corrispondenza del gerundio rarificando ‘rendendo meno denso, rarefacendo’ (Hall 1957, 11), lezione corretta restituita da E e G, si legge rectificando nel ms. principale O e ratificando in B; la lezione corretta spermatis (p. 12) è frutto di correzione successiva sia in B (su un originario sperantis) sia in E (su un originario spamatis, che non offre ovviamente alcun senso); il verbo incidatur (p. 28), di natura prettamente chirurgica, è reso come inscindatur in G, dove appare piuttosto evidente l’associazione alla forma base scindere; infine, per rilevare almeno un caso di probabile sostituzione di voce tecnica molto rara (per di più di origine greca) con una più comune (e di etimo latino), il congiuntivo epithimetur (p. 29), presente in E e G, è sostituito con la voce, vagamente sinonimica, emplastretur in O e B. La lettura dell’apparato latino ha permesso talvolta di verificare facilmente come alcune varianti incontrate nei volgarizzamenti della Chirurgia siano talvolta dipese, con buona probabilità, dal testimone che il volgarizzatore dovette avere sotto mano al momento di tradurre il testo: rimandiamo al cap. 3 per la trattazione di qualche esempio indicativo riguardante il volgarizzamento bergamasco qui edito. Sulla diffusione originaria della Chirurgia, in sintonia con tutta la vicenda biografica di Bruno, poco si può affermare con certezza. Abbiamo finora parlato della sua probabile realizzazione in seno agli ambienti scolastici (forse universitari) di Padova, e del suo futuro successo presso l’Università di Bologna, attestato però soltanto dal secondo Trecento, oltre un secolo dopo la stesura dell’opera. Anche per il mondo universitario bolognese tra Trecento e Quattrocento non conosciamo con esattezza i canali attraverso i quali l’opera fu inizialmente trasmessa: si potrebbe ovviamente ipotizzare, con un discreto margine di sicurezza, che come manuale universitario la Chirurgia abbia trovato circolazione tramite l’opera di copiatura degli stationarii, per quanto Hall (1957, 91*) faccia notare che «as far as we know, no exemplar was kept for copying by the stationers of the University of Bologna». A tal riguardo, vanno poi tenuti presenti due aspetti: da un lato i testi usciti dalle officine degli stationarii non sempre costituivano delle copie particolarmente autorevoli ed esenti da errori; dall’altro, un testo come la Chirurgia, seppur divenuto, almeno da un certo punto della sua storia, di matrice chiaramente universitaria, dovette ovviamente avere una certa diffusione anche all’esterno delle aule accademiche («the stationers’ petie did not necessarily provide particularly good texts or even ones free from glaring errors, and we can anyway be reasonably sure that the Cyrurgia magna had also a distinct if parallel existence as a practical and literary manual»: ivi, 91–92).

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 2 La Chirurgia magna

Quanto alle edizioni a stampa veneziane, pur non essendo state oggetto di una collazione sistematica del testo da parte di Hall (1957), esse sono considerate come riconducibili a un unico antigrafo (tanto che l’editrice propone di raccoglierle nella definizione di «Venetian text»), che però non risulta identificabile con uno dei manoscritti giunti fino a noi. Esse mostrano, tuttavia, tratti di connessione con il ms. B della Bodleian Library: pur non coincidendo dal punto di vista delle suddivisioni interne al testo, le stampe e il ms. B hanno in comune sia alcuni errori di omissione, sia alcuni accrescimenti del testo originario, non accolti nella propria edizione da Hall (1957, 103), la quale ha ipotizzato che il testo restituito dagli incunabili sia in realtà frutto di contaminazione; altre varianti rispetto all’edizione critica si hanno soprattutto per alcuni casi di prescrizioni terapeutiche, che nelle stampe sono omesse, e per altri errori di scarsa importanza nell’economia del testo. L’edizione curata da Hall (1957) dispone di un doppio apparato: il primo riguarda, come detto, le varianti di particolare rilevanza presenti negli altri tre testimoni principali; il secondo, invece, è dedicato all’individuazione delle fonti di Bruno, e offre rinvii puntuali ai loci dei testi degli antiqui accolti nella Chirurgia. Per il lettore moderno, l’unico limite di questi riscontri, se di limite è lecito parlare, in quanto da attribuire non al lavoro (egregio) di Hall, ma alla scarsa disponibilità di edizioni critiche dei testi interessati, risiede nel fatto che essi sono fondati per buona parte su incunaboli primo-cinquecenteschi, dunque non sempre facilmente accessibili e ovviamente frutto di edizioni filologicamente tutt’altro che impeccabili. Dal tempo dell’edizione di Hall pochissimo è cambiato, e l’assenza di edizioni critiche moderne dei grandi testi arabi (Avicenna, Albucasis, Rasis, ecc.) rappresenta una lacuna ancora tutta da colmare, con le ovvie complicazioni, pratiche e scientifiche, che inevitabilmente ne conseguono per i lavori dedicati alla lingua della medicina medievale.

2.6 La questione dell’explicit/prologus Come rilevato da Hall (1957, 14*) e poi ribadito da Adorisio (2006, 69), piuttosto problematica appare la questione relativa alla tradizione dell’explicit della Chirurgia magna. Secondo quanto si legge nell’edizione Hall (1957), Bruno, dopo aver chiarito la propria provenienza (gente Calaber et patria Longoburgensis), affida al commiato dell’opera un accorato appello al suo dedicatario, invitandolo a servirsi senza timori dell’opera: di questa si ribadisce la natura di epitome del sapere antico, con l’aggiunta, tuttavia, di quanto hanno potuto apportare l’experimentum e la ratio. Soprattutto, però, Andrea da Vicenza è qui incoraggiato a seguire sempre la via della prudentia, fuggendo la cupiditas lucri ed esercitando l’arte chirurgica solo laddove vi sia fiducia sanitatis:

2.6 La questione dell’explicit/prologus 

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«Suscipias ergo gratanter, amice karissime, et non erubescas neque hesites operari cum eo, nam apud compositionem eius non fui promptus ad aliud nisi ut colligerem et exciperem flores ex secretis veterum, quos ante investigaveram exercitio magno et ipsos agregarem in eo. Neque etiam animus meus quievit solum illud excipere quod in libris erat depictum, immo illud quod cum experimento et ratione perpensa cognitione decrevi. Quare non alienes animum tuum a fiducia praesentis operis, quoniam est radix et fundamentum totius artis et secretum occultum. Et observa te, amice, secundum prudentiam tuam ab omni via dubitationis, neque cupiditas lucri inducat te ad illud apud quod est ignorantia tua et artium prohibitio, ne fama tuae bonitatis turpibus maculis denigretur. Sed declina te ad viam perducentem ad salutem, et dimitte aegritudines terribiles in quibus non est fiducia sanitatis; ex hoc enim veniet super te successio laudabilis, fama et gloria magna. Deus omnipotens inspiret tibi gratiam suam teque ad cognitionem viae melioris perducat. Amen» (Hall 1957, 321).

Un primo problema, risolvibile senza particolari difficoltà, riguarda la versione restituita dal codice di Montpellier (H. 89 bis): qui, infatti, l’explicit si legge in una forma molto più ampia. Dopo le parole fama et gloria magna, e prima di quelle d’invocazione che chiudono l’opera (Deus omnipotens...), il ms. H. 89 bis possiede una porzione abbondante di testo, disposto su recto e verso di c. 86 (86rA, r. 24–86vB, r.3), ma sconosciuto al resto della tradizione. Adorisio (2006,  71), che non ha potuto contare sull’ausilio dell’edizione critica di Hall, pur non escludendo l’interpolazione, fa valere l’autorevolezza del codice («sufficientemente alta») per ipotizzarne l’autenticità. Nel passo, però, si nota immediatamente il passaggio dalla forma singolare a quella plurale dell’interlocutore («necesse est vobis ut sciatis quod operatio cum manu dividitur in duas divisiones [...]»),108 cui seguono una serie di raccomandazioni che certo non stonerebbero troppo se fossero davvero uscite dalla penna di Bruno: tuttavia, esse paiono piuttosto da attribuirsi all’interpolazione di un maestro che, nella Montpellier del Trecento, sfruttò al meglio le battute di congedo della Chirurgia per esporre la propria deontologia professionale, i propri consigli agli allievi e gli ammonimenti a quegli stessi magistri che, come lui, praticavano l’ars chirurgica e nello stesso tempo la insegnavano. Si leggono, infatti, precetti ben precisi sui comportamenti da seguire: «Discipulus debet multum honorare magistrum suum»; d’altro canto, lo stesso «Magister non debet docere aliquem indignum»: anzi è proprio alla figura ideale del magister che si dedica la maggiore attenzione, raccomandandone una probità che trascende i semplici doveri del medico verso il paziente, per abbracciare comportamenti da uomo integerrimo e perfettamente ligio all’etica cristiana:

108 Qui, come più sotto, mi servo della trascrizione realizzata da Adorisio (2006, 74–75).

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 2 La Chirurgia magna

«Laboret autem circa infirmi recuperandam sanitatem, nec hoc faciat propter pecunie speciem, nec divites plus consideret quam pauperes, nec nobiles plus quam innobiles. Potionem nocivam nec ipse doceat, nec docentibus adquiescat, nec quid ydiota audiens ex actoritate109 sua mortis misceat potionem, nec doceat quomodo fiat abortus. Magister dum visitat infirmum suum cor suum non apponit uxori, cum autem infirmum visitaveris, nec cor suum eius apponat uxori, nec ancillam eius vel filiam consideres [...]. Magister debet fugire luxuriam [...]. Ut sempre in experimentis sit valentior, sit purus, humilis, mansuetus, amabilis, divino expetens auxilio adiuvari» (Adorisio 2006, 74–75).

Il resto dei manoscritti, come detto, porta a escludere senza grossi ostacoli l’autenticità del passo. L’explicit resta però il punto più controverso nella tradizione latina della Chirurgia magna; la sezione originale del testo, riportata all’inizio di questo paragrafo, manifesta di per sé una situazione tutt’altro che regolare nei vari testimoni: otto di essi (anzitutto il ms. B dell’edizione Hall 1957; poi: Vat. Lat. 4471; Leipzig 1125; Arsenal 1024; Roma, Bibl. Casanatense 506; Vaticano, Pal. Lat. 1323; Wien 2358; Washington, Army Med. Lib. 499), infatti, per il resto completi, la omettono completamente. Come osserva Hall (1957, 14), nessuno di questi manoscritti è particolarmente vicino alla data di composizione dell’opera (nessuno rimanda, cioè, al XIII secolo), e un’omissione di tal genere non costituirebbe certo una sorpresa, tanto più per un’opera di natura pratica, dove proemi e congedi rappresentano delle parti tradizionalmente deboli nella trasmissione del testo. La sezione esaminata è comunque restituita dalla maggior parte dei testimoni (ventuno di quelli considerati da Hall 1957): ed è qui che si frappone il secondo punto controverso. Dodici testimoni presentano il testo alla fine, nella posizione che considereremmo normale per un explicit (Gonville and Caius 105, corrispondente al ms. G dell’edizione Hall 1957; Cambrai 916; Sloane 3018; Firenze, Bibl. Laurenziana, Plut. 73.25; Firenze, Conv. Sop. I. V. 48; München 259; Bodleian Library, Can. Misc. 565; Vaticano, Pal. Lat. 1314; Winchester College 26; Wolfenbüttel 3219; Yale, Fritz Paneth 28; Montpellier H. 29 bis), ma lo definiscono prologus. Il ms. Napoli VIII. D. 56, invece, lo pone proprio all’inizio del testo, apponendovi la rubrica Incipit prologus. Infine, anche i restanti otto testimoni noti a Hall (1957) (Vaticano, Ottobon. Lat. 2082, corrispondente al ms. O dell’edizione Hall 1957; Erfurt, Amplon. Q. 210, corrispondente al ms. E dell’edizione Hall 1957; Vaticano, Pal. Lat. 1315; Vaticano, Reg. Lat. 1753; Vat. Lat. 8177; Wien 2301; Washington, Library of Congress 97; München 13057) lo collocano alla fine dell’opera, ma senza l’accompagnamento della voce prologus, ad eccezione di München 13057, che appone la locuzione Commendatio Libri (e proprio la commendatio «era una forma di discorso accademico pronunciato dal maestro all’inizio o alla fine di un percorso didattico»: Adorisio 2006, 70). Lo stesso manoscritto di Monaco, poi, alla rubrica che segna l’inizio 109 Sic! (per auctoritate).

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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dell’opera, fa seguire le parole et hic prologus operis huius, le quali saranno piuttosto da riferire proprio all’exordium (cf. Hall 1957, 15). Ancora, il ms. Can. Misc. 565 della Bodleian Library designa l’incipit come Capitulum Prohemiale, e come prohemium lo indica anche il ms. 3219 di Wolfenbüttel: entrambi i testimoni, come rilevato, sono tra quelli che indicano l’explicit come prologus. La soluzione più economica, allora, risiederà nell’ipotizzare che il termine prologus, apposto da alcuni codici alla sezione conclusiva della Chirurgia, sia in realtà da attribuire a un testimone posto abbastanza in alto nell’ipotetico stemma codicum (cf. ivi, 16): la lezione, passata agli apografi posteriori, avrà costretto i copisti più diligenti a intervenire per sanare l’evidente contraddizione, spostando il blocco dalla fine all’inizio del testo, o eliminando semplicemente l’incongrua apposizione di prologus, finendo così per restaurare, con buona probabilità, la versione originale di Bruno.

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche Sull’importanza fondamentale delle auctoritates antiche nella Chirurgia bruniana, e sul loro ruolo di depositarie dell’autentico sapere medico, si è già detto piuttosto diffusamente nelle pagine precedenti. Si tratta, è bene ribadirlo, di una tradizione intellettuale che non riguarda solo la medicina, bensì l’intero arco dello scibile nel Medioevo e, genericamente, in tutta l’epoca pre-moderna («il peso delle fonti è così importante che per avere trattati in cui si utilizzano esperienze autonome [...] bisognerà aspettare il XV secolo, quando ormai la temperie era cambiata»: Aprile 2014, 76). L’opera di Bruno, però, si pone in maniera del tutto particolare anche all’interno della stessa trattatistica medica coeva per la sua interazione sistematica con le fonti precedenti, non limitate a un gruppo circoscritto di singoli testi ritenuti particolarmente rilevanti, ma contemplante, di fatto, tutto il meglio della storia medica precedente, con particolare attenzione al Canone di Avicenna, la cui preminenza sarà pressoché incontrastata per tutto il Medioevo. Il ricorso ai testi antichi nella Chirurgia è dunque capillare e riguarda ogni argomento trattato: «the greater part of the text lies between these two extremes as a patchwork of extracts from the various works listed, and the patchwork is a sufficient intricacy to prove the compiler’s continuous comparison of his source» (Hall 1957, vi).110

110 Sulle fonti e sul loro uso da parte di Bruno nella Chirurgia, cf. la ricca analisi offerta da Hall (1957, 19–47*).

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 2 La Chirurgia magna

L’apparato critico costruito da Hall (1957), come anticipato in 2.5, è dedicato anche all’individuazione delle fonti seguite da Bruno nello stendere la sua Chirurgia: esso costituisce dunque un elemento prezioso per un confronto tra il testo del Nostro e quello dei veteres. A tal riguardo, si è già ricordato che quasi tutti i testi antichi alla base della medicina medievale sono a loro volta ancora privi di edizioni critiche, e ancor più lo erano all’epoca in cui l’edizione Hall fu approntata: un fatto, questo, che ha reso spesso difficoltosa l’individuazione delle opere (e dei rispettivi passi) che si celano dietro la Chirurgia di Bruno, e che talvolta presentano molte sezioni altrettanto simili tra loro.111 Un ostacolo ulteriore riguarda le possibili contaminazioni, la cui emersione trova un terreno particolarmente fertile quando si ha a che fare con citazioni di altri autori: il rischio concreto di cui tener conto, cioè, è che alcuni copisti particolarmente attivi, come potevano essere gli studenti di un’università, siano ricorsi direttamente alla fonte denunciata da Bruno, integrando o modificando a seconda delle proprie esigenze e dei propri gusti. Se da un lato, dunque, il lavoro di Hall ci appare ancor più benemerito, dato l’eccellente risultato raggiunto al cospetto degli scarsi mezzi di sostegno al suo studio, dall’altro esso richiederà un’opportuna revisione da parte di chi decidesse di porre nuovamente mano alla tradizione del testo latino della Chirurgia e ai suoi rapporti con le fonti. Per definire il tipo di lavoro approntato, Bruno ricorre nel proemio agli attributi collectum ed excerptum («brevi et aperto sermone in medicatione cyrurgiae librum describerem collectum et exceptum ex dictis gloriosissimi Galieni, Avicennae, Almansoris, Albucasis et Haly, necnon et aliorum peritorum veterum»): a queste si connettono, in perfetta e non certo casuale corrispondenza, quelle contenute nell’epilogo, dove Bruno usa la stessa dittologia, trasferendola però sul piano propriamente verbale («non fui promptus ad aliud nisi ut colligerem et exciperem flores ex secretis veterum»). Per Hall (1957, 20*) si tratta di un chiaro segnale del fatto che Bruno si rifaccia consapevolmente alla forma medievale della defloratio o florilegium, ben nota anche in altre discipline e in altri àmbiti testuali. Ciò che è importante qui sottolineare è il fatto che un tale florilegium, in Bruno come altrove, sia regolato da presupposti lontanissimi da quelli moderni: vige infatti nella letteratura medica medievale, senza che ciò comporti alcuna conseguenza degna di nota (se non qualche accusa più o meno esplicita di scarsa originalità, come quelle, già ricordate, rivolte da Guy de Chauliac a Teodorico per il suo presunto saccheggio della Chirurgia di Bruno), l’adozione tacita delle fonti precedenti, con lunghe citazioni spesso letterali, ma raramente denunciate. In

111 Soprattutto per la vicinanza dei quattro principali trattati arabi usati da Bruno col De ingenio sanitatis di Galeno, a sua volta alla base dei Megategni: cf. Hall 1957, 43*).

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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tale prospettiva, proprio la presunta ripetitività dell’opera di Bruno, visto talora da una parte della moderna storiografia come semplice emulo e ricettore della chirurgia dei grandi maestri arabi (e di Galeno), si potrà controbilanciare con le parole di McVaugh (1993, 378), il quale ribadisce come la ripresa del sapere trasmesso dalle auctoritates rappresentasse un fatto socio-culturale di primissimo piano nel mondo medievale: «in una società che attribuiva grande prestigio al sapere, il fatto di partecipare ad una tradizione scritta era di gran lunga più importante che fare commenti critici o aggiunte ai testi tramandati dall’Antichità. Ne consegue che la letteratura medica medievale risulta spesso deludente per il suo carattere ancillare o ripetitivo; ma proprio per questo motivo, essa ci rende più facile seguire l’evolversi della concettualizzazione della chirurgia pratica nel Medioevo che non l’acquisizione e l’applicazione delle competenze tecniche».112

Le cinque principali auctoritates presenti nella Chirurgia magna e identificate da Hall (1957, iii-iv) sono:113 a) il Canone di Avicenna, nella traduzione di Gerardo da Cremona114 (quasi tutte le citazioni derivano dai fen III-V del libro IV); b) il Liber Almansoris di Rasis, nella traduzione di Gerardo da Cremona (citazioni dal libro VII);115 c) la Chirurgia di Albucasis, nella traduzione di Gerardo da Cremona;

112 Anche più tardi, con Guy de Chauliac, la ripresa letterale d’interi passi dei Maestri a lui precedenti rimarrà una prassi essenziale nella personale compilazione di un trattato medico: «la coerenza testuale era ormai diventata una garanzia di verità non meno che i risultati empirici, spesso di non facile interpretazione» (McVaugh 1993, 392). 113 Per le varie opere arabe qui citate, cf. anzitutto Schipperges (1964). 114 Per il ruolo fondamentale di Gerardo come traduttore di testi dal greco e dall’arabo, e per un’introduzione alle più frequenti strategie di traduzione, cf. Opelt (1960), Jacquart (1990) e Grant (1997, 29–30). Gerardo da Cremona si contraddistingue, rispetto a Costantino, per una conservazione pressoché letterale dei testi originali (che, invece, incorrono in un certo ridimensionamento in Costantino), e per un ricorso più sensibile agli arabismi (cf. Jacquart 1990b). 115 Il Liber Almansoris non è considerato (fatto consueto nel Medioevo) da Bruno come opera di Rasis, ma piuttosto dell’Almansore, nome che compare nel titolo e che in realtà designava il principe samanide Mansur, destinatario dell’opera. Il nome Rasis, che qui usiamo (in accordo con Piro 2011 e con la tradizione fiorentina trecentesca), è una delle molte varianti grafiche tramandate dalla tradizione latina (tra le altre: Rasi, Rhasis, Rhazes, Razi, Razis). Per il Liber Almansoris in volgare e, in generale, per un’aggiornata bibliografia sulla storia del testo, cf. Piro (2011). Oltre alla diffusa traduzione latina di Gerardo da Cremona, ne esistette un’altra, anonima e identificata da Jacquart (1994).

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 2 La Chirurgia magna

d) il libro IX della sezione pratica della Regalis Dispositio, traduzione di Stefano di Antiochia del Kitāb al-Malakī ‘Libro’ di Haly Abbas (nome comune in occidente per Alī ibn al-ʿAbbās al-Mağūsī); e) i cosiddetti Megategni, parafrasi compendiata, opera di Costantino l’Africano, del De methodo medendi di Galeno (i Megategni corrispondono alla sezione chirurgica contenuta nei libri III-VI, in opposizione alla traduzione completa del testo di Galeno, realizzata da Gerardo da Cremona). In specifico rapporto alla storia del sapere chirurgico duecentesco, e fermo restando, ovviamente, il prestigio incontrastabile del Canone di Avicenna, sarà necessario rimarcare che, proprio attorno alla metà del Duecento, negli anni in cui presumibilmente Bruno attendeva ai suoi due trattati, «a modificare lo sviluppo della nuova letteratura chirurgica in lingua latina, intervenne il confronto con la Chirurgia di Albucasis, l’ultimo dei trenta trattati che costituivano il suo Kitāb al-Tašrīf, tradotto in latino nella seconda metà del XII secolo», e avente come fonte principale Paolo di Egina. Per la prima volta, infatti, grazie ad Albucasis, il mondo occidentale ebbe a disposizione un’enciclopedia della pratica chirurgica greca. Alle cinque massime autorità si aggiungono le seguenti traduzioni latine di opere arabe, o di traduzioni arabe a loro volta ricavate da testi greci: – i Tegni116 di Galeno, nelle due versioni realizzate di Costantino l’Africano e Gerardo da Cremona; – l’Isagoge di Iohannitius, tradotta da Costantino l’Africano; – gli Aphorismi di Ippocrate col commento di Galeno, entrambi tradotti da Costantino l’Africano; – i Prognostica di Ippocrate, probabilmente usati da Bruno sulla base di entrambe le traduzioni principali, realizzate rispettivamente da Costantino l’Africano e Gerardo da Cremona; – Chirurgia di Bamberg, collezione di scritti chirurgici, compilata presumibilmente a Salerno nel corso del XII secolo, e legata all’eredità del sapere chirurgico pre-salernitano, in particolare quello di Costantino Africano117 e dei suoi Pantegni (traduzione di parti della Theorica e della Practica di Haly Abbas) – il Liber Divisionum di Rasis, tradotto da Gerardo da Cremona; – il Viaticum di al-Jazzar, tradotto da Costantino l’Africano (considerato da Bruno l’autore dell’opera, come accadeva correntemente nel Medioevo);

116 Traduzione della cosiddetta Τέχνη ἰατρική di Galeno. 117 McVaugh (1993, 379). Il testo si può leggere nell’edizione curata da Sudhoff (1918).

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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gli Aphorismi di Damasceno, in una traduzione non identificata; singoli riferimenti si traggono anche dal Breviarium di Serapione,118 tradotto da Gerardo da Cremona, e dal Colliget di Averroes.

Vanno ancora ricordate almeno un paio di opere tradizionalmente attribuite a Galeno, che Bruno richiama espressammente nella Chirurgia: anzitutto il Liber complexionum, nome medievale del De temperamentis; in secondo luogo, il riferimento più generico, indicato nel testo come «Galienus in Catagenis» (Hall 1957, 254), che è stato identificato da Diels (1906, 98) come De compositione Medicamentorum per Genera, ed è probabilmente citato da Bruno per tramite di Avicenna. Le principali fonti adottate da Bruno consistono in traduzioni latine di opere arabe o greche: si comprenderà facilmente, perciò, tanto più considerando la presenza di fonti simultanee di una stessa opera (ad es. la doppia traduzione dei Tegni di Galeno e dei Prognostica ippocratici), come, all’eventuale presenza di errori nella data tradizione testuale fruita da Bruno, si sarà inevitabilmente accostata anche una certa divergenza linguistica. Le differenti traduzioni dall’arabo avranno ovviamente risentito delle distinte scelte lessicali operate dai rispettivi volgarizzatori: è qui che va ricercata la causa di certe varianti particolarmente notevoli nello sviluppo del lessico specialistico, soprattutto laddove intervengano situazioni di sinonimia tra i referenti delle varie lingue interessate. Si pensi, ad esempio, a un passo come il seguente, dedicato espressamente alla nomenclatura di alcune tipologie di apostema: «Apostematis autem quatuor sunt species simpliciter secundum quod quatuor sunt humores simpliciter; fit enim aut ex sanguine et dicitur flegmon, aut ex colera rubea et dicitur herisipila, aut ex flegmate et dicitur zimia, aut ex colera nigra et dicitur scliros aut cancer» (Hall 1957, 226). Tra di esse troviamo la voce scliros, la quale, anche alla luce di quanto osservabile nella tradizione volgare, ci pone evidentemente di fronte al conflitto linguistico tra terminologia araba e greca, che doveva costituire un ostacolo di primo piano nella tradizione latina duecentesca, per poi riflettersi con forza inevitabilmente maggiore all’interno dei volgarizzamenti: scliros, stando all’apparato, è lezione del ms. lat. B, laddove O presenta sclirosis, E cliron, G sephiros. La voce sephiros di G non è un errore, bensì una voce ben attestata nella tradizione medica medievale, ed è quella che si legge anche nel Canone di Avicenna: si tratta della forma araba corrispondente proprio al greco scliros (cf. s.v. SCLIROS nel glossario). Lo stesso Dalla Croce (1583, I, 79r), alla fine del Cinquecento, sarà costretto a rilevare la divergenza tra arabo, greco e latino: «Questo tumore detto da Greci scirro, da

118 Per Serapione, cf. Ineichen (1966, 331–333).

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 2 La Chirurgia magna

Arabi sephiros, & da Latini durezza, & tumor duro, sta talmente attaccato alla particella, dove ci nasce, che in niun modo si muove». Nel nostro caso, la tradizione propende evidentemente per la voce greca scliros: la testimonianza offerta dal ms. lat. G, però, attesta come, tra Due e Trecento, ci si trovi ancora in una fase intermedia, nella quale il lessico di origine araba continua a essere particolarmente produttivo, talvolta anche più noto di quello greco, tanto da poter indurre un copista cólto a introdurre una variante sinonimica. Di tali sovrapposizioni terminologiche si parlerà più diffusamente nel cap. 5: basti qui quanto detto per aver ben presente come certe difficoltà di traduzione, che hanno riguardato certamente anche i copisti più preparati delle opere mediche latine (e ancor più, ovviamente, i loro volgarizzatori), dovevano rappresentare un ostacolo per gli stessi autori, coevi e successivi a Bruno. Una prova convincente dell’impegno linguistico cui i grandi trattatisti duecenteschi vanno inevitabilmente incontro, soprattutto all’indomani della confluenza, sul suolo italiano, delle tre grandi tradizioni mediche (greca, araba, latina), ci è offerta da Lanfranco da Milano: costui, posto di fronte a due versioni di uno stesso testo di Ippocrate o di Galeno, una tradotta dal greco, l’altra dall’arabo, si trova a dover scegliere tra l’adozione di voci differenti indicanti un medesimo concetto, in maniera assolutamente analoga a quanto visto per le fonti doppie usate da Bruno. A tal riguardo, dunque, Lanfranco è costretto ad ammettere i problemi insiti in una tale sovrabbondanza sinonimica, indotta dalla simbiosi di differenti tradizioni scientifiche e linguistiche: «Nam serpigo, impetigo, morphea, sumuntur aliter apud salernitanos, aliter apud arabos. Quod enim salernitani vocant serpiginem, arabes vocant alunda; et impetigo apud arabes est morphea, et apud salernitanos aliter, et aliter apud nos. Quod autem salernitani vocant morpheam, arabes vocant albaras» (cito da Dardano 1994, 517). Va poi rilevato un altro fatto importante, tanto più all’interno di un testo, come la Chirurgia di Bruno, dove le tante auctoritates sono costantemente richiamate per asseverare l’esposizione dei singoli fenomeni: tra di esse non sono mai menzionati gli autori contemporanei o immediatamente precedenti. In particolare, si nota l’assenza di due nomi di primissimo piano come Ruggero Frugardo e Rolando da Parma, per quanto Bruno ricorse senz’altro sia alla Chirurgia di Ruggero sia alle relative additiones compilate da Rolando. Un tale silenzio, come opportunamente rilevava Hall (1957, v), «was probably due to the current convention of not naming contemporaries, and he would certainly not have regarded them as auctoritates like the translated works». Al contrario, la dichiarazione esplicita delle fonti antiche (per lo più prese singolarmente, ma talvolta anche insieme), ci permette di osservarne da vicino qualche caso di ripresa, utile per avere un’idea complessiva delle citazioni più o meno letterali presenti nella Chirurgia e del ruolo di quest’ultima come testimone, a sua volta, della tradizione dei

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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testi antichi. Sarà utile almeno soffermare brevemente l’attenzione sul rapporto intrattenuto col Canone di Avicenna, massima autorità nella dottrina medica medievale e nella stessa Chirurgia di Bruno, dove rappresenta non a caso la fonte più consultata. Osserviamo dunque alcuni saggi (ricavati tutti dai primi capitoli della Chirurgia) di adattamento del Canone, qui di seguito citato dall’edizione del 1522 (Liber canonis totius medicine ab Avicenna...excussus, Lugduni, opera Iacopi myt...), adottata come riferimento da Hall (1957):119 a) AvicennaCanone (IV, iv, i, 1, [352rA]):120 «nos conamur in quibusdam membris quorum continuitas est soluta ut redeat eorum continuitas sicut fuit: et illud sicut in carne». Hall (1957, 11, 17–19): «Ut dicit Galienus et Avicenna, solutio continuitatis in carne possibile est ut redeat sicut fuit, id est secundum viam primae intentionis». b) AvicennaCanone (IV, iv, i, 1 [352rA]): «De nervis vero et venis dixerunt quidam medicorum quod non redeunt continuitati: immo fortasse remanet in eis contactus conglutinationis conservatione currente super eos et coniungit eos, et dixerunt quidam quod illud non pervenit nisi in arteriis solis». Hall (1957, 12, 8–12): «De nervis vero et venis, sicut recitat Avicenna, dixerunt quidam medicorum quod non sanantur per viam intentionis primae, sed per viam intentionis secundae sicut ossa, et dixerunt quidam alii quod hoc non provenit nisi solum in arteriis». c) AvicennaCanone (IV, iv, i, 3 [352rB]): «fortasse cursus sanguinis quantitate temperata confert vulneribus, et prohibet apostema et opilationem et febrem; inquunt de melioribus cum quibus intendimus in vulneribus est ut prohibeamus eorum apostemationem, quoniam quando non accidit apostema possibile est ut eius fiat curatio: verum cum illic est apostema aut attritio aut contusio [...] non est possibilis curatio vulneris» Hall (1957, 16, 8–15): «fortasse cursus sanguinis in quantitate fluens temperata, ut dicit Avicenna, confert vulneribus et prohibet apostema et opillationem et febrem; inquit de melioribus cum quibus intendimus in vulneribus

119 Manca ad oggi un’edizione critica del Canone nella versione latina realizzata da Gerardo da Cremona. Per l’importanza centrale dell’opera anche nel corso del Rinascimento, cf. Siraisi (1987). 120 Si indicano rispettivamente numero di: libro, fen, trattato, capitolo; si aggiunge anche la pagina tra parentesi quadre. Mi limito a sciogliere, senza segnalarle, le poche abbreviazioni comunemente adottate nelle stampe cinquecentesche e a fornire il testo di una punteggiatura moderna. Per il resto valgono le stesse norme già richiamate per la trascrizione del testo di Hall (1957): cf. 2.2.

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est ut prohibeamus eorum apostemationem, quoniam quando non accidit apostema est possibile ut fiat curatio vulneris; verum cum illic est apostema non consolidatur omnino nisi prius sedetur». d) AvicennaCanone (IV, iv, i, 3 [352vA]): «Ego nam iam sanavi vulnus magnum cuius profunditas erat ubi est genu et ipsius orificium in coxa [...] et orificium aliud inferius apud genu. Solum separavi coxam tali preparatione, quod profundum fuit superius et orificium inferius, quare sanatum est absque perforatione in inferiori parte» Hall (1957, 25, 17–26, 3): «Testatur autem Avicenna quod iam sanavit magnum vulnus, cuius profunditas erat apud genu et ipsius orificium in coxa, solum cum aptatione figurae, quod est quia aptavit profundum superius et orificium inferius cum suspensione cruris, quare sanatum est absque perforatione inferius et incisione aliqua». e) AvicennaCanone (IV, iv, i, 6 [353rA]): «quod est proprium in hoc cum communitate sui iuvamenti in omni membro a capite usque ad pedes est ut sumatur granatum dulce et decoquatur cum vino pontico et emplastretur cum eo locus». Hall (1957, 29, 9–13): «Inquit Avicenna, et illud quod est comunis iuvamenti in omni membro a capite usque ad pedes est ut sumatur granatum dulce et coquatur in vino pontico et emplastretur cum eo locus». f)

AvicennaCanone (IV, iv, i, 7 [353rA-B]): «Et indigent illa vulnera rebus quatuor: quarum prima est ut reducant intestinum apparens ad locum quod est ei proprium, et secunda ut suant, et tertia ut ponatur super ea medicamen conveniens, et quarta ut sit sollicitudo ne proveniat aliqui membrorum nobilium propter illud timor. Pone ergo quod sit vulnus tantae quantitatis ut non possimus propter gravitatem eius intromittere intestinum procedens ab eo. Et quidem est nobis necessarium ut resolvamus illam ventositatem aut ut dilatemus ipsam disruptionem, et ut dissolvamus ventositatem est melior si possibile est in ea. Et causa quidem in inflatione intestini est frigus aeris, propter illud ergo oportet ut submergatur spongia in aqua calida et exprima ipsas et vapores ipsos et vinus stipticus quo calefit et est iuvativum in hoc loco: et illud quod calefacit plus quam fit calefactio aquae et confortat intestinum». Hall (1957, 30, 6–31, 5): «sicut asserit Avicenna, quadruplici eget intentione. Prima quoque intentio est ut intestinae ad locum proprium reducantur; secunda est ut suantur; tertia est ut ponatur super ipsa medicamen conveniens, sicut incarnativum, et quarta ut sit sollicitudo ne proveniat propter id timor alicui membrorum nobilium, id est, ne eius congeletur in interioribus. Dico ergo ad reductionem intestinorum, sine prolixitate sermonis, quod si praesens fuerit medicus videlicet antequam ab aere tangantur, fortasse

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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ipsa sine molestia intromittentur. Si vero contrarium accidat, necesse est ut ventositas illa resolvatur quo in eis est propter aeris frigiditatem, aut quod vulnus dilatetur; sed convenientius est ut ventositas dissolvatur, si possibilitas adest. Ponatur ergo spongia marina in aqua calida et, expressa ab aqua, evaporentur cum ea intestinae; aut fiat illud cum vino veteri, quoniam calefacit et confortat intestina plus quam aqua». Nei passi appena riportati si può notare, oltre alle consuete formule di esplicitazione dell’auctoritas (ut dicit Galienus et Avicenna; sicut recitat Avicenna; testatur autem Avicenna; inquit Avicenna, sicut asserit Avicenna), la ripresa sostanzialmente letterale delle parole di Avicenna (particolarmente evidente nel terzo e nel quarto passo riportato):121 rispetto a queste, Bruno si mostra talvolta più sintetico, sembrando liquidare in certi frangenti alcuni aspetti più marcatamente tecnici, altre volte, invece, egli allega nozioni o elementi derivanti verosimilmente dalla sua esperienza pratica. In tale prospettiva si noti per esempio, nel passo d), l’aggiunta di incisione aliqua, laddove Avicenna presenta il solo perforatione; nell’esempio f), invece, l’accostamento di sicut incarnativum al generico medicamen conveniens di Avicenna. In qualche caso, gli interventi al testo consistono in vere e proprie glosse esplicative: un esempio, sempre tratto dall’ultimo passo, può essere il riferimento piuttosto generico di Avicenna al timor, esplicitato da Bruno tramite la glossa (introdotta dal frequente id est, cui corrisponderà il cioè tipico dei volgarizzamenti) id est, ne eius congeletur in interioribus. L’atteggiamento sembrerebbe meno conservativo quando, al posto di Avicenna, troviamo testi di minore autorità, anche perché non riconducibili a un autore ben identificato, come avviene soprattutto nell’accoglienza della cosiddetta Chirurgia di Bamberg (edita da Sudhoff 1918a), dalla quale spigoliamo qualche breve raffronto: a) ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 1, 108): «Chiros enim grece est manus, gios operatio, inde chirurgia id est manualis operatio. Hac arte non potest uti aliquis convenienter, nisi manu et intellectu rituque perdocta». Hall (1957, 3, 11–14): «Dicitur autem cyrurgia a cyros grece, quod est manus, et agia, quod est actio, inde cyrurgia, id est operatio manualis, eo quod eius perfectio et integritas in actione sive operatione manuum existit».

121 Fa eccezione qualche passaggio di numero e genere (cf. intestinum > intestinae nel passo f), con conseguente cambio della persona verbale; analogamente si hanno alcune variazioni di diatesi verbale, talvolta motivate dai riferimenti che lo stesso Avicenna fa ai medici che l’hanno preceduto, le cui opinioni sono spesso introdotte, come si vede, dall’iniziale Inquunt (nello stesso luogo appena ricordato: reducant > reducantur; suant > suantur; ecc.); qualche forma sinonimica (frigus > frigiditas; submergatur > ponatur; ecc.).

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b) ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 16, 116):122 «Si in carnositate brachii vulnus fuit aut inter humerum et cubitum ubi lacerti est affinitas aut spatio trium unciarum in genibus a superiori parte, vel inferiori vel in carnositate cruris, ubi organicum membrum dicimus esse, vel in pedis calcaneo aliquis percutitur, quam malum est. Mortem enim a mala cura illis dicimus adesse». Hall (1957, 48, 13–17): «Praeterea vulnera quae cadunt super extremitates lacertorum sicut sunt quae accidunt tribus unciis supra genu vel intra, vel supra iuncturam manus, aut inter cubitum et humerum, sunt secundum plurimum significantia mortem, et fortasse raro accidit quin interficiant». c) ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 6, 112): «Si vero telum arteriae vel nervo vel aliqui nobili membro vicinum fuerit, vel infixum, cave ne, cum illud extrahere coneris, illa membra ledantur. Aliquando quippe melius est, ut remaneat, quam extrahatur». Hall (1957, 80, 14–18): «Si vero sagitta in loco fuerit nervoso, tunc in eius abstractione utendum est ingenio maioris subtilitatis et levitatis ne propter hoc aliquis nervus ledatur». d) ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 105, 142): «Aliquando virtus digestiva errat in epate, unde ydropisis sequitur». Hall (1957, 268, 4): «Ydropisis est error virtus digestiva in epate». e) ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 104, 142): «Videmus multociens per inferiora sanguinem emitti, quod greci emorroidas vocant, ema enim grece latine sanguis dicitur, rois fluxus, inde emoroides id est fluxus sanguinis». Hall (1957, 293, 20–294, 1): «Et emoroys quidem dicitur ab emo grece quod est sanguis et roys quod est fluxus, inde emoroydes quasi sanguinis fluxus per inferiora». f)

ChirurgiaBamberg (Sudhoff 1918a, 78, 135): «Spasmus tres habet species, alius empisteon vel emprotostonus alius prostocon vel empitostonos, alius tetanus. Empitostonus grece latine posteriora tenens, emprotostonus grece latine tenens anteriora, tetanus totum corpus vel corpore tenens». Hall (1957, 318, 7–11): «Cuius tres sunt species, scilicet enprotostonus (id est anterior, quia tantum anteriorem partem tenet), empistomus (id est posterior, quasi tenens posteriora) et tetanus (quasi totum tenens in corpore)».

Un’adozione meno letterale e anzi piuttosto libera delle fonti pare analogamente riscontrabile quando si ricorre alle opere di Ruggero e Rolando da Parma: anche in

122 Indichiamo il paragrafo del testo e la relativa pagina nell’edizione.

2.7 Le fonti della Chirurgia magna: sovrapposizioni testuali e linguistiche 

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tal caso, la maggiore rielaborazione dei testi di partenza coincide con l’adozione di auctoritates che, seppur molto consultate nella Chirurgia magna, rimangono nell’ombra per i motivi cui si è poco fa accennato (prossimità o addirittura sostanziale contemporaneità, per quanto concerne Rolando, rispetto a Bruno). Bruno si serve principalmente della cosiddetta Rolandina, cioè la rielaborazione (molto fedele, tuttavia, al testo di partenza), realizzata da Rolando sotto forma di additiones, della Chirurgia di Ruggero, suo maestro. Un collegamento diretto può allora essere instaurato con la stessa Chirurgia di Ruggero (edita da Sudhoff 1918b), garantendo così un duplice e contemporaneo riscontro con i due maggiori rappresentanti della medicina italiana antecedente a Bruno. Vediamone un paio di esempi, il secondo dei quali piuttosto ampio, e molto indicativo di una ripresa sicuramente più attiva, ma in ogni caso ben aderente al contenuto della fonte: a) Ruggero (Sudhoff 1918b, 217–18): «Canellus vero valde subtilietur et per vulnus intestini intromittatur, et subtilissima acu et filo serico vulnus suatur [...]: per vulnus, per quod exierunt, in ventrem intromittantur». RolandoChirurgia (III, 26, 157rB):123 «Canellus quoque valide subtilietur et per vulnus intestini intromittatur, et subtilissima acu et filo de serico suatur [...]: per vulnus, per quod exierunt in ventres intromittantur». Hall (1957, 34, 2–8): «Et modus cum quo possibilis est restauratio disruptionis intestinorum si fuerit parva, est ut cum acu subtilissima ac filo de sirico diligenter suatur; deinde sicut diximus intestina intromittantur; filorum quoque capita extra vulnus dependeant, nec ipsum vulnus claudi permittas donec incarnationem receperit intestinum». b) Ruggero (Sudhoff 1918b, 216–17): «Horum enim vulnera hiis signis cognoscimus. Si fueris vulnus in corde, sanguis inde fluet niger et habundanter. Si vero fuerit in pulmone, sanguis spumosus erit et hanelitus mutatur. Si in diafragmate, magnus et spissus habetur hanelitus et cito morirtur. Si in epate, erit manifestum per lesionem et defectum operationum, quae in eo fiunt. Si in stomacho, cibus per plagam egreditur. Quorum omnium vulnera iudicamus mortalia; ne igitur nostro vicio videantur perire, ab huiusmodi cura potius desistamus». RolandoChirurgia (III, 22, 157rA): «Horum enim vulnera his signis cognoscimus. Si enim vulnus in corde fuerit: sanguis inde exit niger. Si vero sanguis spumosus fuerit vel exierit abundanter de pulmone est, et anhelitus mutatur. Si in diafragmate magnus, et spissus erit anhelitus, et cito moritur. Si in epate manifestum erit, per lesionem operationum, quae in eo fiunt. Si in stomacho

123 Mi servo della Cyrurgia Guidonis de cauliaco. Et cyrurgia Bruni. Theodorici Rogerij Rolandi Bertapalie Lanfranci nella già ricordata edizione veneziana del 1519: s’indica in numeri romani il libro dell’opera, in numeri arabi il capitolo, seguito dalla pagina.

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cibus per plagam egreditur, quorum omnium vulnera mortalia iudicamus. Ne nostro iudicio videantur perire ab huiusmodi cura potius sistamus». Hall (1957, 45, 19–46, 17): «Quorum significatio cum vulnus fuerit in eis tale existat. De corde autem vulnerato sanguis exit niger, et est vulneratio quasi prope mamillam sinistram; acciditque patienti sudor et frigiditas extremitatum, et est proculdubio secundum omnem dispositionem mortale. Si in diafragmate fuerit vulnus, tunc prope costas parvas percussio facta est, ac magnus et spissus est hanelitus, cum dolore vehementi et suspirio et utriusque humeri motione; patientisque mors non prolongatur et maxime si vulnus in parte nervosa fuerit; quoniam, cum in parte carnosa existit, tunc, testante Galieno, possibile est ut solidetur et sanetur. Si in pulmone fuerit, sanguis exit spumosus, et fit hanelitus frequens; colorque patientis mutatur. Si in stomacho, cibus per vulnus emittitur. Si in vesica, urina funditur ex ea. Si in intestinis, egestio per plagam egreditur et quandoque exit intestinum aut zirbus. Si vero in cerebro, cognoscitur per illud quod narrabitur in capitulo de fractura cranei».

2.8 La Chirurgia parva in latino e in volgare La Chirurgia parva è una redazione meno estesa (un unico libro, strutturato in 23 capitoli complessivi), una sorta di compendio, della Chirurgia magna: un testo più breve doveva forse rispondere all’esigenza di mettere a disposizione degli studenti (che per la copiatura si affidavano, com’è noto, agli stationarii,124 il cui compenso dipendeva dal numero dei fascicoli copiati) una copia che fosse meno costosa dell’opera maggiore (cf. Adorisio 2006, 12). I codici latini che, stando ai cataloghi e a quanto riportato da Hall (1957) e Adorisio (2006), conserverebbero la Chirurgia parva o suoi estratti, sono i seguenti:125 – Basel, Universitätsbibliothek, D. III. 16 – Bethesda, National Library of Medicine, 74, cc. 225r-265v, sec. XV, dopo il 1458 (Italia)126 124 Sulla possibilità che il testo di Bruno sia stato originariamente frutto di copiatura da parte degli stationarii, cf. quanto già espresso in 2.5. 125 Di alcuni si ricavano solo informazioni parziali, laddove si tratti di manoscritti miscellanei o compositi, quanto alla posizione all’interno del codice e alle altre opere eventualmente presenti. Si rimanda ad Adorisio (2006) per ulteriori indicazioni bibliografiche sui singoli codici. 126 Miscellanea contenente opere di natura astrologica, alchemica e medica, appartenenti a Niccolò Salernitano, Albucasis, Bartolomeo da Montagnana, Ermete, Taddeo Alderotti, Arnaldo da Villanova, Pseudo Ippocrate: cf. Adorisio (2006, 2).

2.8 La Chirurgia parva in latino e in volgare 

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Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Amplonian F. 250, cc. 213r220v, sec. XIII ex. (Italia)127 Escorial, Real Biblioteca, f. III. 6, c. 181v Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 878 (L. III. 11), cc. II, 377128 Foligno, Biblioteca Comunale, A. 9. 2. 38 (olim C. 38), cc. 11r-21v, sec. XV in. (Italia) Leipzig, Universitätsbibliothek, 1125, cc. 309r-311v London, British Library, Add. 18210, 160v-165v129 London, Royal College of Physicians, 229b, 1378 New Haven, Yale University, Cushing/Whitney Medical Library, Fritz Paneth 28, cc. 462v-471r, sec. XIV in., Italia (Bologna)130 Oxford, Bodleian Library, Can. Misc. 124, cc. 173v-190r Oxford, Bodleian Library, Ms. e Mus. 19 (S. C. 3500), cc. 134r-136v Oxford, St. John’s College, 197, 76r-95v Sélestat, Bibliotèque humaniste, 93 (olim 98), XV sec.131 Wien, Nationalbibliothek, 2301 (Univ. 942), cc. 1rA-4vB, sec. XIV (Italia, Padova o Verona)132

La Chirurgia parva è dedicata a Lazzaro da Padova, che al pari di Andrea di Vicenza (dedicatario della Chirurgia magna), sarà da annoverare tra gli allievi più vicini a Bruno, come sembra possibile dedurre dalle parole espresse dall’autore nell’exordium:133 «Ut de manuali operatione librum componerem breviorem et apertiorem quam composuerim Andreae, tuam mihi petitionem Paduanensis Lazare porrexisti, quoniam licet propter vicinitatem compositionis alterius libri, fastidio et labore repletus nolui prolongare, immo in ipsam confestim omni exceptione remota, tam benigniter quam libenter admisi, et suis

127 Codice miscellaneo contenente anche opere di Haly Abbas, Ippocrate a altri testi medici. 128 Codice miscellaneo e composito contenente molte opere di carattere medico, appartenenti tra gli altri a Ruggero Frugardo, Ippocrate, Pietro da Tossignano ecc.: cf. Adorisio (2006, 39), Elsheikh (1990). 129 Codice miscellaneo e composito contenente opere di Costantino Africano, Galeno, Ioannizio, Ruggero, Rolando e altro. 130 Codice già riportato tra i testimoni della Chirurgia magna (cf. 2.2). 131 Codice miscellaneo e composito (XIII-XV sec.) contenente anche opere di Ruggero, varie ricette mediche, un incompleto De consolatione philosophiae di Boezio, frammenti di opere ciceroniane: cf. Adam (1967, 121). 132 Codice miscellaneo contenente anche opere di Guglielmo da Saliceto, Pseudo Aristotele, Albucasis, un De physiognomia e un De curis oculorum entrambi adespoti. 133 Cito qui come altrove dalla consueta stampa del 1519.

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incepi non aegre effectibus invacare. Equum est enim si tua circa hoc me sollicitavit petitio, quoniam diu mihi filialiter et sincera dilectione servisti. Suscipias ergo a te Lazare petitum opus quod tibi Brunus Longoburgensis purus amicus composuit» (103rA).

La realizzazione dell’opera risponderebbe dunque alla petitio di Lazzaro, di cui Bruno si dichiara purus amicus, e dal quale dice di essere stato servito filialiter et sincera dilectione. Da notare è anche quanto Bruno riferisce sulla vicinitas compositionis alterius libri: come anticipato, la Chirurgia parva seguì con ogni probabilità di un solo anno (1253) la realizzazione dell’opera maggiore: ne offre conferma l’explicit, dove si appone la data di agosto del 1253. Anche in tal caso, però, l’epilogo mostra una situazione piuttosto controversa all’interno della tradizione: esso è infatti restituito da soli tre codici (Foligno, Bibl. Comunale, A. 9. 2. 38; Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs. 2301; Yale, Fritz Paneth 28), mentre è assente negli altri testimoni, al pari di quanto accade nelle edizioni a stampa. Lo riportiamo qui di seguito basandoci sulla trascrizione fornita da Adorisio (2006, 10) e ricavata dal suddetto codice viennese Hs. 2301: «Anno M cc quinquagesimo mense Augusti XI Indictionis. Ego Brunus Longobucensis, prestantia elementia Conditoris, cui gratie sint infinite, hoc opus inceptum debito magno complevi, cuius quantitas est vii pars secundum extimationem alterius libri magni quem composui Andree, aut parum plus. Recipe gratanter ipsum, o Laçare, et operare cum eo secure ubicumque vis, quoniam feci ipsum sub umbra alterius in quo est sereno versus, et non scripsi in eo nisi quod asserit Galienum et alii sapientes antiqui».

Ne possiamo trarre alcune informazioni degne d’interesse: anzitutto, l’invito di Bruno al dedicatario a servirsi del libro, nato, per stessa ammissione dell’autore, sub umbra dell’opera maggiore, e dunque anch’esso foriero del sapere dei sapientes antiqui. Da rimarcare, ancora una volta, è il richiamo esplicito all’auctoritas dei grandi antichi, in primis Galeno: la Chirurgia parva, però, come nota Hall «is entirely derivative and lacks even those rare flashes of Bruno’s own opinion found in the Cyrurgia magna. Apart from a single reference to Avicenna, only Galen among Bruno’s authorities is mentioned by name» (Hall 1957, 18*). In secondo luogo, si osserva il riferimento puntuale alla dimensione dell’opera, considerata come (septima) pars della Chirurgia magna: di là dalle basi di un tale calcolo, che non sembra per nulla aderente alle aspettative, essendo la Chirurgia parva all’incirca la metà del trattato maggiore (Adorisio 2006, 10 ipotizza che ci si rifaccia a un computo basato sul sistema di copiatura dell’epoca), esso ci offre soprattutto una conferma ulteriore della sicura anteriorità di quest’ultimo. La stesura di un’opera minore che, in qualche modo, fungeva da accompagnamento e da compendio del trattato maggiore, è un fatto non insolito nella tradizione chirurgica medievale. Anche Lanfranco da Milano, in decenni di poco posteriori (e ancora più tardi lo stesso Guy de Chauliac) scriverà sia una Chirurgia magna sia una Chirurgia parva:

2.8 La Chirurgia parva in latino e in volgare 

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in tal caso, però, l’opera maggiore, datata al 1296, sembra aver seguito quella minore, collocata invece attorno al 1290 (cf. Sosnowski 2014, 9). I contenuti della Chirurgia parva corrispondono in gran parte a quelli affrontati nella Chirurgia magna, ma con qualche differenza sostanziale: alcuni argomenti presenti nel trattato maggiore sono infatti omessi del tutto. Nello specifico, sono soprattutto i temi del secondo libro a essere qui in buona parte sacrificati: non vi troviamo, infatti, la discussione delle patologie relative a occhi, orecchie, naso, gola, ernie e rotture della membrana peritoneale; i capitoli della Chirurgia magna a essere sicuramente compendiati nella parva sono, poi, i cap. V, VI, VII, XIV, XV, XVIII e XIX (cf. Hall 1957, 18*). Ancora, nella Chirurgia parva viene dedicato un capitolo indipendente ad argomenti che nella Chirurgia magna costituivano solo la rubrica di un tema più ampio: è il caso di carbunculus e anthrax (XIV), erisipila (XV), zimia (XVI), sclirosis (XVII), tutti afferenti nella Chirurgia magna al lungo capitolo V, dedicato alle varie tipologie di apostema; analoga situazione si ha per la cura del botium (XX), che nel trattato maggiore rappresenta una rubrica del cap. VII, dedicato a scrophulae e altre superfluitates. L’ordine degli argomenti, in ogni caso, segue piuttosto fedelmente quello presente nella Chirurgia magna. Vediamo, dunque, la tavola dei contenuti nell’edizione latina del 1519: Capitulum I. De sermone utili in vulneribus Capitulum II. De sermone quae carnem generant et quae consolidant et quae vulnera recentia continuant. Capitulum III. De accidentibus quae apparent apud restaurationem vulnerorum. Capitulum IV. De fractura ossis capitis Capitulum V. De universali doctrina in fracturis ossium et dislocationibus eorum. Capitulum VI. De accidentibus quae apparent apud restaurationem ossium. Capitulum VII. De modo constringendi fluxum sanguinis. Capitulum VIII. De extractione telorum et astellarum et similium. Capitulum IX. De curatione fistularum. Capitulum X. De medicinis acutis mortificantibus fistulam et cancrum. Capitulum XI. De curatione cancri. Capitulum XII. De sermone universali in apostematibus. Capitulum XIII. De cura flegmonis. Capitulum XIV. De cura carbunculi vel antracis. Capitulum XV. De cura erisipilae. Capitulum XVI. De cura zimiae. Capitulum XVII. De cura sclirosis. Capitulum XVIII. De regimine apostematum post eorum maturationem. Capitulum XIX. De cura scrophularum et glandularum et similium cum incisione et sine incisione.

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Capitulum XX. De cura bocii. Capitulum XXI. De porris et verrucis et clavis et emorroydibus. Capitulum XXII. De combustione ignis aquae et olei bullentis. Capitulum XXIII. De doctrina cauteriorum. Volgarizzamenti integri o in forma di estratti della Chirurgia parva sono, in analogia con la situazione già vista per la Chirurgia magna, in netta minoranza rispetto ai testimoni del testo latino. Fra le traduzioni va anzitutto ricordata quella in ebraico di Hillel ben Samuel (del quale abbiamo parlato come traduttore della Chirurgia Magna: cf. 2.4): la troviamo conservata nel ms. Oxford, Bodleian Library, Hebrew 2285 (Michael 343). Gli altri cinque testimoni oggi noti riguardano invece la Chirurgia parva in volgare: – Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Biscioniani XXVI, cc. 1r-19r, 1444 (Massa, Italia)134 – Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 73. 46, cc. 56v-72r, sec. XV (Italia)135 – Lucca, Biblioteca Statale, 1306, cc. 1r-56v – Modena, Biblioteca Estense, It. 961 (olim α S. 7. 4), cc. 34v-48v, metà sec. XV, cc. 34v- 48v136 – Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, VIII. G. 67, cc. 9vA-13vB, sec. XIV, dopo il 1366 (Italia)137 Quanto alla tradizione volgare del testo, va poi aggiunta la presenza, recentemente segnalata da Roman Sosnowski,138 di estratti della Chirurgia parva all’interno del codice miscellaneo Ital. Quart. 62 della Biblioteca Jagellonica di Cracovia (contenente anche la lettera dello Pseudo Ippocrate, una versione breve del Secretum Secretorum di Giovanni di Siviglia e una serie di ricette): si tratta,

134 Codice acefalo per caduta delle carte iniziali e sottoscritto da un tale Pietro, frate domenicano, il quale dichiara di averlo copiato a Massa nel 1444. 135 Codice miscellaneo contenente anche opere di Matteo Plateario, un trattato anatomico adespoto e alcune ricette. 136 Codice acefalo e lacunoso, contenente anche altri testi Michele Scoto, Aristotele e un trattato di pratica medica adespoto). È presente una nota di possesso di Antonio Vallisnieri. 137 Manoscritto miscellaneo comprendente, tra le altre, anche opere dello Pseudo Ippocrate e dello Pseudo Aristotele. I capitoli della Chirurgia parva qui presenti, che non seguono l’ordine consueto, sono: I, II, XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXVIII (?), XXIX. 138 Una descrizione accurata del codice si può leggere nel sito web del progetto denominato FIBULA (info.filg.uj.edu.pl/fibula/en), dedicato allo studio di un fondo italiano giunto in Polonia da Berlino durante la seconda guerra mondiale. Cf. anche la descrizione contenuta nel catalogo del fondo berlinese, curato dallo stesso Sosnowski (2012a, 118–121).

2.8 La Chirurgia parva in latino e in volgare 

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più precisamente, di alcuni capitoli, tradotti in un volgare di area veneta, della Chirurgia parva. L’autore di questa raccolta s’identifica come maistro Francesco sulla base di una sottoscrizione che ritorna in due dei codici sopra citati, ovvero il ms. VIII. G. 67 di Napoli e il ms. 1306 di Lucca: è molto probabile, perciò, che i tre testimoni costituiscano una famiglia comune, della quale sarà in futuro doveroso approfondire la natura. Il codice di Cracovia, dunque, rappresenta un esempio certamente ben rappresentativo non solo come testimone dell’opera, ma anche come prova concreta del recupero che di questi trattati si faceva correntemente (tanto più nell’àmbito della tradizione volgare), creando complessi codici miscellanei dotati di una loro originalità. Una situazione di questo genere comporta, ovviamente, che la distinzione tra i vari testi conservati all’interno di un singolo codice non sia sempre ovvia, poiché spesso priva di riferimenti all’autore dal quale i prelievi sono effettuati. Ciò va detto per rimarcare, una volta di più, quanto il censimento delle opere mediche auspicato da Gualdo (2001), e dunque accurate indagini su manoscritti chirurgici contenenti opere adespote o anepigrafe, consentirebbero di accrescere il numero dei testimoni oggi conosciuti, tanto sul fronte latino, quanto su quello volgare.

3 La Chirurgia magna in volgare 3.1 Testimoni Allo stato attuale delle ricerche, alle quali, analogamente a quanto rilevato per la tradizione latina, ha contribuito in maniera decisiva Adorisio (2006),1 i codici contenenti il testo in volgare della Chirurgia magna sono sette: R = Roma, Biblioteca Corsiniana, Rossi 147 (44. B. 18) V = Verona, Biblioteca Civica, 591 Med. B = Bergamo, Biblioteca civica «Angelo Mai», Ma 501 L = Lucca, Biblioteca Statale, 1628 F1 = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Palat. 507 BRE = Brescia, Biblioteca Civica Queriniana Brescia, A._IV.15 F2 = Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2228 (S.IV.12) I mss. L, Bre, F1 e F2 costituiscono una famiglia per tre quarti di area settentrionale (lombardo il ms. F1; probabilmente padovano L; localizzabile a Borgo San Donnino, odierna Fidenza, il ms. Bre, che potrebbe però esser stato copiato da uno scriba di area bergamasca: cf. 3.1.4), con un solo rappresentante toscano (F2); i restanti tre codici (R, V, B) rappresentano traduzioni del tutto autonome tra loro. Accanto a questi sette testimoni, contenenti tutti una versione pressoché integra del testo originale (salvo eccezioni di poco conto, dovute sia a processi di rielaborazione sia, più semplicemente, a guasti della tradizione), va almeno rilevata la presenza di un interessante esemplare miscellaneo nel quale estratti del testo di Bruno in volgare (ma non abbiamo potuto appurare se si tratti di excerpta della Chirurgia magna o della parva) sono stati accolti per formare un’opera dotata di una sua autonomia: si tratta del ms. AC._VIII.37 della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, accuratamente descritto da C. Giunchedi.2 Alla c. 2r, s’informa che «la maior parte de questo libro è extracto dali soi libri e del Bruno e de molti altri doctori», i cui nomi sono citati solitamente nelle note marginali;3 il codice è composito (vergato in parte a Genova e in parte tra Brescia e Bergamo), e consiste in un ampio ricettario, scritto sia in latino sa in volgare: prescindendo

1 Soltanto il ms. Bre non vi si trova recensito. 2 Descrizione consultabile in rete nel database MANUS (http: http://manus.iccu.sbn.it/). 3 Tra essi troviamo i maggiori nomi della medicina antica: Dioscoride, Galeno, Sesto Placido Papiriense, Avicenna, Costantino Africano, Alberto Magno, Pietro Ispano, Pietro d’Abano, Gilberto Anglico, ecc. https://doi.org/10.1515/9783110624595-003

3.1 Testimoni 

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qui dall’effettiva presenza di Bruno nel testo, l’interesse di questo testimone, di area settentrionale e di realizzazione piuttosto tarda (collocato tra il 1490 e il 1550), risiede nel riuso dell’abbondante materiale precedente, all’interno del quale Bruno sembra occupare, per stessa ammissione della suddetta nota di c. 2r, il ruolo principale assieme a Michele Scoto. Siamo ovviamente di fronte a una tipologia testuale tutt’altro che inconsueta nell’àmbito della tradizione medica in volgare: ciò che è importante qui ribadire è pertanto come la presenza della Chirurgia magna (e della parva) in miscellanee di siffatta natura sia ancora tutta da saggiare, e potrebbe condurre a un incremento notevole dei testimoni, seppur in forma di singoli capitoli ed estratti accolti all’interno di opere miscellanee, antologie e florilegi di varia natura, nei quali le singole opere potevano entrare per porzioni anche minime (ad esempio singole ricette) e dunque difficilmente riconoscibili in assenza di riferimenti precisi al nome dell’autore (come accade, fortunosamente, nel caso del bruno menzionato nel manoscritto braidense). Ai testimoni sopraelencati va aggiunta poi l’editio princeps in volgare pubblicata a Venezia nel 1510 (cf. 3.1.5), posteriore solo di pochi anni rispetto alla testimonianza manoscritta più recente tra quelle conservate (ms. 2228 della Bibl. Riccardiana di Firenze). Se da un lato la scelta di dedicare alla Chirurgia magna un’edizione indipendente conferma la rilevanza del testo ancora nel primo Cinquecento, dall’altro resta evidente lo squilibrio tra la diffusione, piuttosto limitata,4 dell’opera in volgare, e la fortuna, assai più significativa, di quella latina, per la quale si è ricordata l’esistenza di 46 testimoni (cf. cap. 2.2). Nella prospettiva di un tale confronto, si dovranno evidentemente tenere in gran considerazione anche i presupposti e le differenti finalità che muovevano la riproduzione dei testi medici in latino: presupposti e finalità che si ponevano agli antipodi rispetto alla trasmissione dei corrispettivi testi volgarizzati. Più in generale, infatti, è fondamentale ricordare che «nel passaggio dal latino al volgare i testi scientifici erano di fatto sottratti al circuito vitale che ne garantiva la produzione e la riproduzione, quello dell’università e della cultura in latino, ed erano concepiti in genere all’interno di ambienti socialmente e linguisticamente ristretti entro i quali esaurivano generalmente la propria funzione» (Casapullo 1999, 152).

La Chirurgia magna in latino, come diffusamente rilevato (cap. II), trovò almeno dal secondo Trecento un fertilissimo canale di trasmissione nell’ambiente universitario bolognese (e forse anche ferrarese), dove per diversi decenni il testo dovette essere copiato con una discreta regolarità: la centralità dell’opera nel mondo cólto e 4 Stando, ovviamente, alla tradizione oggi nota: ma se è lecito (e del tutto fondato) attendersi un incremento anche sostanzioso del numero dei testimoni volgari alla luce di ricerche più estese e sistematiche sui manoscritti medici delle nostre biblioteche (e di quelle estere), altrettanto varrà per quelli latini: cf. quanto già esposto, a tal proposito, nel cap. 2.2.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

soprattutto il suo uso come manuale di studio, dunque, ne garantirono una cospicua moltiplicazione dei testimoni. Se è vero, perciò, che il distacco dagli ambienti cólti poteva causare il venir meno di quel «circuito vitale» sul quale si basava la sopravvivenza del testo, d’altro canto non ci sembra affatto da escludere la possibilità che, proprio alla luce della sua dimensione marcatamente scolastico-universitaria, la Chirurgia di Bruno non fu oggetto di un trasferimento massiccio e definitivo dal canale latino a quello volgare: al contrario, è verosimile che lo spazio d’irradiazione del testo rimase, almeno fino all’inizio del Quattrocento, confinato per lo più agli ambienti accademici. Possiamo così ipotizzare che la Chirurgia non ebbe a livello volgare una diffusione rilevante come quella di altri grandi trattati chirurgici dell’epoca. Si pensi soltanto alla tradizione volgare della Chirurgia Guglielmo da Saliceto,5 per la quale si è sempre presupposta una diffusione di ambiente cólto, ma non coincidente con quello ufficiale degli Studia universitari: un fatto, questo, che dovette favorirne fin da subito una più estesa circolazione, tanto del testo latino quanto, a maggior ragione, dei volgarizzamenti che fin da subito ne furono ricavati. Al contrario, una situazione molto simile a quella della Chirurgia magna di Bruno si potrebbe ipotizzare per un testo come l’Anathomia di Mondino de’ Liuzzi: D’Anzi (2012a, 19) ne parla a tal proposito come di un «ampio successo non soltanto nell’ambiente universitario, ma anche tra laici cólti estranei al mondo accademico», successo che sarebbe suffragato dai due distinti volgarizzamenti della metà del XV secolo (al cospetto, però, dei 22 testimoni manoscritti del testo latino, cui si aggiungono ben 19 edizioni a stampa). In realtà, pur trattandosi di testi pratici e dunque tradizionalmente molto soggetti a un precoce deperimento (tanto più se legati, come nel nostro caso, al progresso della scienza di appartenenza), i due testimoni dell’Anathomia di Mondino, al pari degli otto oggi conosciuti della Chirurgia di Bruno, sembrano piuttosto confermare un fatto evidente e di primaria rilevanza nella trasmissione di queste tipologie testuali in volgare: i manuali destinati allo studio universitario incontravano tendenzialmente una circolazione di proporzioni meno considerevoli rispetto a quella di certe opere di provenienza cólta, ma non racchiuse nei meandri di uno Studium, dove anche la copiatura era soggetta, come noto, a vincoli piuttosto rigorosi e al controllo degli stationarii. Una siffatta realtà sarà vera, in misura ancora maggiore, per tutti quei testi medici nati con scopi meramente divulgativi e diretti a larghe fasce di pubblico, quali erano i vari tipi di prontuari afferenti alla farmacopea, o contenenti rimedi e suggerimenti da adottare in presenza di determinati sintomi (Regimina, Consilia, practicae).6 Un esempio eccelso in questo senso, 5 Cf. Coco/Di Stefano (2008). 6 Per la diffusione della letteratura scientifica e il relativo pubblico, cf. Librandi (2003). I Regimina erano raccolte di suggerimenti relativi alla dieta (il regimen appunto) e all’igiene; i Consilia raccoglievano casi clinici reali o fittizi, descrivendo le terapie adottate per i singoli sintomi mani-

3.1 Testimoni 

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corroborato da una fortuna straordinaria sia a livello dotto sia popolare, è sicuramente il Thesaurus Pauperum di Pietro Ispano, la cui amplissima tradizione è stata recentemente studiata da Zarra (2018). Sul possibile livello di diffusione della Chirurgia in volgare è complesso offrire delle ipotesi che valgano per tutti i testimoni, giuntici peraltro in uno stato testuale che, come vedremo tra poco, appare piuttosto diverso da caso a caso. Ad ogni modo, non saremmo troppo lontani dal vero ammettendo, anche per quasi tutti i testimoni della Chirurgia, una circolazione a un livello piuttosto alto, riconducibile ad ambienti mediamente cólti, seppur poco avvezzi alla lettura di testi in latino. Una perlustrazione dei singoli codici, che sarà offerta nei paragrafi seguenti, potrà sicuramente agevolare il tentativo di trovar loro una collocazione all’interno del mondo volgare. È molto probabile, comunque, che, come il testo latino si poneva al livello della trattatistica ufficiale più elevata, di matrice universitaria o comunque scolastica, allo stesso modo anche le corrispettive realizzazioni volgari non dovessero rivolgersi soltanto al gruppo, per quanto nutrito, dei cerusici e dei barbieri, per lo più specializzati in operazioni di minore complessità (a cominciare dalla flebotomia e dalla scarificatio, del cui scadimento, come visto precedentemente, ci informa lo stesso Bruno: cf. Hall 1957, 6); una fetta non indifferente di potenziali lettori, o quantomeno di collezionisti di volumi medici, doveva infatti consistere in uomini abbienti, il cui interesse per questi libri trascendeva un’effettiva esigenza pratica, legata nel nostro caso all’esercizio della chirurgia. Anche l’editio princeps volgare del 1510, in un’epoca, peraltro, nella quale la grande tradizione chirurgica due-trecentesca si avviava al tramonto, sembrerebbe vòlta piuttosto a fini di tal genere che non alle necessità di studio da parte di praticanti poco (o per nulla) istruiti in latino. In linea di massima, infatti, i «volgarizzamenti dei classici della scienza greco-latina e medievale avevano [...] con ogni probabilità (almeno fino a tutto il Quattrocento), circolazione alta, poiché spesso rispondevano a richieste di committenti nobili che gradivano di possedere nella propria biblioteca anche volumi scientifici» (Gualdo 2001, 30).7 Procediamo con una presentazione dei singoli testimoni volgari della Chirurgia, che illustriamo qui in un ordine latamente cronologico, dal codice più antico (R) al

festatisi nel corso di una patologia, in modo da offrire dei consigli pratici ai medici; le Practicae, infine, erano enciclopedie che riassumevano le conoscenze mediche basilari: cf. D’Anzi (2012, 10); nello specifico, per i consilia, cf. Agrimi/Crisciani (1994b) e Crisciani (1996, 1–30). 7 Tesi ribadita (e allargata a tutto il settore scientifico in volgare) da R. Librandi nella presentazione a Librandi/Piro (2006, 10): «l’orizzonte di attesa include soprattutto mercanti, artigiani e talvolta donne che, pur ignari di latino, per rispondere a esigenze pratiche o soddisfare curiosità intellettuali sollecitano la produzione o, più spesso, la traduzione di opere di argomento enciclopedico, astronomico, medico e così via».

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 3 La Chirurgia magna in volgare

più recente (F2 e l’editio princeps volgare del 1510): a ognuno di essi si dedicherà un breve paragrafo, nel quale saranno trascritti titolo (dove presente), incipit ed explicit, e si offriranno le informazioni essenziali di carattere materiale e filologico, che riguarderanno lo status del testimone, la figura (se nota) del volgarizzatore o copista, i rapporti con gli altri testimoni (nel caso specifico dei mss. F1, F2, L e Bre); con maggiore attenzione s’indagherà, per ovvi motivi, la situazione testuale del ms. B (cf. 3.1.3), scelto come testo di riferimento, e del quale si offre l’edizione nel cap. 4. Per i soli mss. R e V, impiegati, accanto a B, per la costruzione del glossario finale, si allegheranno, a completamento della scheda, alcuni cenni cursori sulla lingua (quella di B sarà analizzata più diffusamente all’interno del cap. 5). In 3.2 la struttura complessiva dei singoli testimoni sarà oggetto di un confronto sinottico con quella restituita dall’originale latino dell’edizione Hall (1957).8 Nei paragrafi successivi, invece, si proporranno dei confronti di carattere prevalentemente testuale tra i diversi volgarizzamenti, col fine d’illustrarne più diffusamente alcune peculiarità macroscopiche, consistenti in riscritture o ricontestualizzazioni, aggiunte e sottrazioni all’originale, lezioni differenti in contesti particolarmente instabili nella trasmissione di un testo medico (come sono, in primis, le ricette e gli altri consigli terapeutici).

3.1.1 R = Roma, Biblioteca Corsiniana, Rossi 147 XIV-XV sec.; codice cartaceo (membranacee le seconde carte di guardia, num. I e 224), mm. 213 × 150, cc. II + 223 + II; numerazione in alto a destra. Codice composto da tre parti diverse per scrittura ed epoca. La prima è di mano quattrocentesca (cc. 1r-32v); la seconda è trecentesca, e occupa la maggior parte del codice (cc. 33r177v): entrambe usano una scrittura gotica più o meno rozza; la terza mano, (cc. 178r-186v), invece, anch’essa quattrocentesca, è in una scrittura mercantesca corrente; sono bianche le cc. 187–222.9 Sono presenti quattro filigrane: la prima (cc. 1–32) è analoga a Briquet 3668; la seconda (33–142) è analoga a Mošin-Tralijć n. 4290 ed è sicuramente trecentesca; la terza (cc. 168–177), non identificata, rappresenta un bue (?) visto di profilo; la quarta (178–222) raffigura una scala. 8 Per le regole di trascrizione adottate per i mss. R e V, cf. quanto si dirà nell’introduzione al glossario (cap. 6). I criteri per la trascrizione di B si possono leggere all’inizio del cap. 4, dove si dà l’edizione del volgarizzamento. Per i tre testimoni della famiglia settentrionale, rappresentata da F1, F2, L, Bre, valgono le norme esposte per B. 9 Il manoscritto è accuratamente descritto da Petrucci (1977, 65), da cui traggo la maggior parte delle informazioni codicologiche.

3.1 Testimoni 

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A c. 174r si trova una nota marginale trasversale riportante la data «Anni Domini MCCCXL indiçione nona»: essa corrisponde, secondo lo stile fiorentino dell’Incarnazione, all’anno 1341. A c. 176v si legge una sottoscrizione anepigrafa apposta dal copista responsabile della trascrizione della sezione coincidente con le cc. 33r-177v: «Chi lo scrisse si scriva sempre col Signore Idio. Viva la mano dello scriptore, sia salvata a tutte l’ore. Amen. Amen». Il copista di questa sezione, la maggiore dell’intero codice, potrebbe coincidere col Memmo il cui nome compare nel margine inferiore delle cc. 143r, 155r, 167r, in corrispondenza, dunque, dell’inizio di tre fascicoli consecutivi, riconoscibili anche dalla presenza, nella carta immediatamente precedente, dei rispettivi richiami. A c. 177v si ha una sottoscrizione di diversa mano: «La libra della tera che in quello di Colle dice a Corso Bencivenni da Bibiano»; a c. 223v si leggono alcuni conti di mano quattrocentesca e prove di penna. Sulla prima carta di guardia è incollato un foglietto che contiene alcune notizie sul testo, vergate dalla mano di Nicola Rossi: «Questo è il volgarizzamento di un trattato di chirurgia di Maestro Bruno di Longoborgo. Chi sia il traduttore non ho per anco potuto trovarlo, ma la dicitura è tale che fa pensare che sia di un Toscano del secolo XIV. Infine vi è un altro Ms. che contiene varie ricette superstiziose o sia incantesimi per guarire di molti mali, e questo pure è scritto toscanamente, ma l’autore è diverso come diverso è il copiatore». Il codice, come si ricava anche dalle informazioni apposte da Nicola Rossi, consta di due unità: a) la principale è costituita dal volgarizzamento della Chirurgia magna di Bruno, e giunge fino a c. 176v; da 176v, riga 9, fino a c. 177v, probabilmente la stessa mano ha trascritto anche, in un secondo momento, una sorta di breve glossario di termini medici, che non sono disposti in ordine alfabetico: si tratta di parole latine o comunque cólte (non tutte presenti all’interno del testo latino e dunque indipendenti dal contenuto della Chirurgia), delle quali si riporta il corrispettivo volgare o comunque una breve definizione di carattere perifrastico; b) alle cc. 178r-186v si trovano una serie di scongiuri (il testo, a c. 178r, è introdotto dalle seguenti parole: Qui saran(n)o scritti certi incantesimi e brievi e medicine a certi mali e doglie e febbri e altre lesioni e brieve al male de’ denti et a magrana […]). Bibliografia: Amati (1866, XIX); Casini (1886, 566–567); Baldelli (1956, 458; 1971, 97); Adorisio (2006, 54–55).10

10 In Baldelli (1971) la collocazione è errata.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Contenuto: – cc. 1r-176v: volgarizzamento della Chirurgia Magna Incipit: //1r// Conciosiacosaché scientia e sapientia discenda da quello che creò tutte le cose visibili et invisibili et formò l’uomo alla’mmagine et alla similitudine sua, perciò è degna cosa pregare esso che sia nostro aiutatore et dia aspiratione in me, et piglatore della presente opera, spiratione del sermone verace secondo la intentione del primo componitore di questo libro, che io non laudo me che io abbi composto questo libro imprimamente, anzi fu primo compositore maestro Bruno da Lungobrogo, a chi Dio perdoni, ma io a priego d’uno de’ più cari amici ch’è meio avere, lo quale come con sottile ingegno sanza scriptura ragionevole gramaticale cominciai a recare la predetta opera allo volgo romano, et se Dio mi presterà spatio di via compierò et giugnerò in esso della scientia mia et utilitade dello corpo humane.

Explicit: //175r,12// E compiuto il libro della cerugia di maestro Bruno di Lungoborgo cominciasi il prolago. L’anno della incarnatione negli anni domini mille CCLII del mese de gennaio del mese a dì //175v// X apresso alla ciptà di Padova jo, Bruno della gente di Calabria, nel luogo di Santo Pauolo della terra di Lungoborgo sotto lo spendio del grande autore per tutte le envestigie de’savi antichi perseguitando a questa opera posi fine al mio debito. Adunque pigla abbia in grado, charissimo, e non ti vergognare e non ti ristare da operare con quello, né apresso alla sua conpositione non fu perfetto ad queste cose se none io ricogliesse11 e pigliasse i fiori e segreti degli antichi e quagli gli antichi ànno investigato di grande suo e quelli medesimo raunare in quello. Né avenga idio a meno di me il quale quello medesimo solo quello medesimo pilgliare la quale //176r// cosa era nel libbro scripto, ançi quello medesimo cum sperimento et ragione perspensata12 congnoscere el providi. Inperciò che l’altre cose nell’animo tuo a ffiduccia delle presente opere inperciò ch’è fondamento et radice di tutta l’altre e è culo13 segreto. Et guarda a tte amico karissimo secondo la tua prudentia da ongni via di dubbitatione che ella cupita14 non conduca te apresso a quella medesima come il non congnoscere che tu non ti mostri avaro né lla tua bontia non vitoperi. Ma dichinate di perducerti alla via della salute, e lascia le terribili infermità ne le quagli non v’è la sperança di sanare; e inperciò che di questo verità sopra te grando lodo e grande gloria. L’Onipotente si mandi in te della sua gratia e tti conduca a via di buono //176v// congnoscimento sì che tu abbia in questo mondo allegreçça et altro vita eterna amen. È compiuto il libro del prolago dio gratias amen amen. Chi lo scrisse si scriva sempre col signore e idio; viva la mano dello scriptore; sia salvata a tutte l’ore. Amen amen.

11 Ms.: ricoglie esse. 12 Ediz. lat.: perpensa. 13 Ediz. lat.: occultum. 14 Ediz. lat.: cupiditas.

3.1 Testimoni 

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Richiami: tenendo 16v; dovelgli fatto 68v; ronpitura 80v; della dilogatione dell’omero 92v; insieme 104v; la gola 116v; in quelle farebbe 128v; in quelle 154v;



cc. 176v-177v: glossarietto di voci anatomiche e patologiche //176v, 9// Allopitia, cioè quando li capegli caggiono alle persone. Prurito, cioè quando fa puça l’ochi. Aulceria, cioè quando pustole che nascono per le carni alle persone. Cicatrice, cioè ferite sanate. Mordias, cioè moreci. Testinis, cioè budella. Podagra, cioè a cui ingrossano i piedi e dolore nelle caviglie de’ piedi. Podagra, cioè quegli c’ànno doglie nelle giun- //177r// ture delle mani. Sinochia, cioè frebbe continua. Pleuretico cioè15 cioè huomo che molto sputo fae e aqua, e produce dal polmone. Cretico, cioè lo die che l’uomo dee terminare, e inparacissmus lo die none andate allo infermo novitade. Rimota causa remota effectus, cioè quando lo infermo si die purgare degli homori el corpo corrotto. Omne decessum atestatur adcondercitur, cioè da simiglare la cosa di quel colore che a quel colore si diparte. Bisenterico et sinterico, cioè quelli che assellano lo sangue e assellano lo fegato e l’almiça. Jsquinantia, cioè quegli a cui ingrossa la gola. Morfea, cioè quegli c’ànno lo viso peçato di molti colori. //177v// Retrupico, cioè quegli a cui ingrossa il corso e lle ganbe. Jllicam passione, cioè quando all’uomo va lo sterco per la bocha.

Dal punto di vista meramente contenutistico, va sottolineata la conservazione piuttosto fedele dell’explicit, qui definito prolago: appare dunque manifesta la dipendenza di R da quella cerchia di dodici testimoni latini che conservano il congedo dell’opera designandolo però come prologus; al contrario, l’incipit originale è sostituito da una rielaborazione personale del volgarizzatore, che riconosce il proprio ruolo di semplice intermediario del testo, di cui «fu primo compositore maestro Bruno da Lungobrogo». Il ms. Rossi 147 della Biblioteca Corsiniana rappresenta il codice più antico tra quelli volgari della Chirurgia: la data del 1341, presente a margine di carta 174r, costituisce un importante riferimento cronologico per collocare alla prima metà del secolo XIV almeno la sezione principale delle tre che, come detto, compongono l’unità codicologica dedicata alla Chirurgia di Bruno. Si può ipotizzare che la prima (cc. 1r-32v) e la terza sezione (cc. 178r-186v), datate al secolo successivo da Petrucci (1977, 65), siano state apposte successivamente sulla porzione cen-

15 Dopo si legge lo die che llu depennato, cui segue la ripetizione di cioè, che qui espungiamo.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

trale e originaria del codice, rimasta per qualche motivo interrotta o più probabilmente mutila. Come si avrà modo di approfondire anche del prosieguo di questo lavoro, il ms. R ci restituisce una versione della Chirurgia caratterizzata da parecchi errori: esso sarà, con ogni probabilità, da situare abbastanza in basso in un ipotetico stemma del volgarizzamento; si tratta, infatti, di un testimone nel quale, ai fraintendimenti riconducibili alla scarsa attenzione (e alla poca o nulla preparazione in campo medico) dei tre copisti responsabili della trascrizione, si aggiungono una sintassi spesso traballante (per quanto nel complesso aderente a quella latina)16 e alcuni errori evidenti, in alcuni casi da attribuire verosimilmente già agli antigrafi latini.17 Pur limitandoci ai soli incipit e ed explicit sopra riportati, possiamo già osservare: il congiuntivo ricogliesse che viene scisso (anche graficamente) e reso di fatto come un indicativo + pronome esse; l’agg. perspensata, da cui andrà espunta la prima s, così da restituire una forma perpensata che sarebbe legittimata da esempi del verbo ┌perpensare┐ ricavabili dal corpus OVI; la frase e è culo segreto nasconde il lat. et est occultum segretum; al lat. cupiditas corrisponde qui la forma, presumibilmente verbale, cupita (< cupitare), che però contravviene alla sostenibilità sintattica del periodo. Tali problemi testuali hanno costituito un ostacolo notevole anche nell’accettazione di singoli lemmi volgari all’interno del glossario (un ostacolo, del resto, non insolito nella trasmissione di tutti i testi scientifici): si è cercato di emendare alcune lezioni chiaramente errate dove possibile, rinunciando per il resto a intervenire in casi anche minimamente dubbi, di cui si rende sempre conto in nota o nel commento alla voce stessa (cf. l’introduzione al cap. 6). Nel complesso, anche l’allestimento materiale del codice, caratterizzato da una certa semplicità di esecuzione e dalla totale assenza di elementi decora-

16 Cf. quanto scriveva De Tovar (1982, 246) in rapporto a un cattivo testimone francese della Chirurgia parva di Lanfranco, la cui situazione è assimilabile a quella del nostro ms. R e della tradizione dalla quale deriva: «Les leçons de théorie médicale étaient, pour un traducteur peu habitué à manier l’abstraction, une source de difficultés: seule une fidélité littérale lui semblait garantie d’exactitude; mais elle aboutissait souvent à un discours peu compréhensible, que le copiste suivant allait, éventuellement, transformer en véritable galimatias. Le langage des concepts est plus qu’un autre menacé soit de modifications successives, dont il est difficile de contrôler l’évolution, soit d’une suppression radicale». Non sono pochi i punti del volgarizzamento che rivelano, per riprendere le stesse parole di De Tovar (1982, 246), non «l’adaptation raisonnée d’un texte, mais le galimatias d’un ignorant». 17 Si vedano casi evidenti di errore, tanto più in contesti di code-mixing volgare-latino, come per il titolo del cap. XIII del libro I, dove al lat. De abstractione teli et astellarum corrisponde la traduzione Capitolo xiij de austotione celi astellarum.

3.1 Testimoni 

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tivi, lasciano ipotizzare una realizzazione avvenuta all’interno di un’ambiente estremamente modesto. La lingua del codice si può iscrivere, almeno stando a una prima indagine, in area fiorentina. Ne presento in maniera cursoria alcuni dei tratti principali:18 – – – – –

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consueta riduzione dei dittonghi discendenti ai, ei, oi (visibile in particolare nel tipo metà per meità: 139r, 167r); si registra sia il tipo serai prevalente (7 occorrenze: 72v, 73r, ecc.) sia sarai (due sole attestazioni: 15v bis); uso regolare di ogni (11v, 17r, 19r e passim) per ogne; presenza regolare dell’anafonesi (sistematiche le forme anafonetiche adunque, lingua, ristrignere, strignere, ungnere, unguento, ecc.); il dittongamento dopo consonante + r è molto frequente, ma in competizione con le corrispettive forme non dittongate: pruovano (6r), truova (25v, 28v, 29r), gruogo (31v), idruopichi (49v), ruotola (100v), scruofola (101, 131v, 132r, 136r e passim); ecc.; priego (1r), prieta (7r), priemila (16r), priemi (108r), ecc.; anche in tal caso le maggiori oscillazioni si registrano forme verbali del tipo abrievano (99r)/abrevia (99r); fra i tratti marcati in diacronia, si osserva l’uso regolare di era/erano al posto delle forme dittongate iera/ierano; la forma sanza (29 attestazioni) è maggioritaria rispetto a senza (10 attestazioni); è regolare la nasale palatale [ɲɲ] (nella maggior parte dei casi rappresentata graficamente come -ngn-) da -NG- davanti a vocale palatale: giugnerò (1v), congiugnere (2v, 10r, 13r), avegna (3r, 3v, 18r e passim), costrignere (5r, 10v), sopravegna (8r), ristrignere (10v), strignere/stringnere (11r, 13v), congiugnimento (11r), vegna (13r), advegna (18v), ecc.; sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche (quasi sistematica, ad es., la presenza di aguto per acuto); assimilazione dei gruppi ia, io in ie, particolarmente evidente nella forma verbale sieno (frequentissima, ma in alternanza con siano); presenza di forme non sincopate degli avverbi composti da aggettivi in -le  + mente quando l’aggettivo è sdrucciolo (ma cf. anche sottilemente 18r, da aggettivo piano e dunque tendenzialmente oggetto di sincope): ragionevolemente (2v), convenevolemente (11v), nobilemente (12r), convonevolemente (14r), debolemente (21v), mirabilemente (28r), consuevolemente (31r), ecc. forma debole enclitica ’l dell’articolo determ. lo (soprattutto dopo le congiunzioni che e se); ’l può talvolta rappresentare anche il pronome atono m. di 3a p. è oscillante il rapporto tra forme sincopate e non sincopate (con queste ancora prevalenti) nei futuri e condizionali di 2a classe (avrebbe 34r, ma averebbero 80r, averà 35v, 62r);

18 Per un confronto si rimanda alla fondamentale introduzione di Castellani (1952, 21–166); per un’analisi dei dialetti toscani, si vedano anzitutto le classiche rassegne offerte da Castellani (2000, 287–350) e Manni (2003, 35–60): a quest’ultima ci rifacciamo in particolare per la lista di forme qui elencate.

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la desinenza -amo per la 4a p. del pres. indic. è prevalente, ma non esclusiva: si ha, ad esempio, un solo caso di avemo (13r) accanto a 48 di aviamo; allo stesso modo, a un unico esempio di potemo (2r) si contrappongono i 5 di possiamo;19 desinenza -ono per la 6a p. dei perf. forti (e le corrispondenti forme dell’impf. cong. e condiz.): dissono (5v, 6r, 18r), fussono (27v), ecc., accanto all’uscita etimologica -ero. rarissima è la desinenza antica -i (già soppiantata da -a) per la 2a p. del cong. pres. dei verbi di 2a, 3a, 4a classe: si ha, per esempio, un solo caso di che ttu facci (114v), accanto ai 6 di che tu faccia; per il paradigma del verbo essere, vanno rilevate 4 occorrenze della 2a p. sè (*ses), forma che costituisce la norma nel fiorentino (e toscano) medievale.20

Appare ancora molto ridotta la presenza di quei tratti che diverranno caratterizzanti del fiorentino tre-quattrocentesco: – – –



il numerale duo (88r, 152v) in luogo di due, accanto alle forme due (1v) e duoi (5r) la presenza dei possessivi invariabili mie, tuo, suo è ancora pressoché inconsistente, se si esclude un unico caso di mie (mie cospetto 69r); non si registrano casi di 6a p. del pres. indic. dei verbi della 1a coniugazione in -ono anziché in -ano: è infatti regolare quest’ultima desinenza; stessa situazione, sempre per la 6a p., si registra anche per l’indic. impf. (i pochi esempi presenti nel testo escono sempre in -ano); sono molto rari anche casi di cong. pres. dei verbi di 2a, 3a, 4a in -i e -ino per la 1a, 3a p. e la 6a p. (due occorrenze di abbi 1r, 69r; ma abbiano 29v, e non abbino); analoga situazione si ha per il cong. impf. (es. avesse 79r, e non avessi).

Tra gli sviluppi del fiorentino tre-quattrocentesco tradizionalmente ricondotti all’influsso degli altri dialetti toscani, si rintracciano invece:21 – – – – – –

le già osservate oscillazioni nella presenza di dittonghi dopo consonante + r (cf. supra); una sporadica presenza di femminili plurali in -e (es. le parte 11r); articolo el, e a fianco di il, i (el reggimento 18v, el suo corso 19r, ecc.), ecc.; regolare presenza di dia, stia in luogo di dea, stea; tipo arò (17r), di cui si registra un unico esempio (ma nessuno di avrò); tipo fussi (60v) per fossi, fusti (12v) per fosti;

19 Questo e altri casi di allotropia nel sistema verbale riconducono alla particolare dialettica tra innovazione e conservazione che contrassegnò il Trecento, e che è stata attentamente indagata da Cella (2014). 20 Cf. Castellani (1999). 21 Cf. Manni (2003, 58–59).

3.1 Testimoni 

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3.1.2 V = Verona, Biblioteca Civica, 591 Med. Sec. XIV-XV. Cartaceo, mm. 290 × 220, cc. 76; legatura moderna in pelle; provenienza: Alessandro Volpi. Il codice inizia dalla seconda carta ed è miscellaneo, contenendo, oltre alla Chirurgia Magna (cc. 2r-70r), anche un breve trattatello, di diversa mano, dal titolo Del fluxo del ventre, che occupa le cc. 70v-73v. Entrambi i testi sono disposti su due colonne; nei margini delle carte sulle quali è copiata la Chirurgia, sono presenti diverse note marginali di mano diversa da quella responsabile della trascrizione del testo. Le ultime tre carte del codice sono bianche. Le rubriche sono scritte in cinabro; le iniziali alternativamente in cinabro e oltremare. Talvolta lo spazio destinato alle lettere capitali è lasciato vuoto (cf. 4r). Bibliografia: Biadego (1892, 300–301); Russo (1962, 67); Focà (2004, 64–65); Adorisio (2006, 61–62).

Contenuto: – cc. 2r-70r: volgarizzamento della Chirurgia magna Incipit: //2rA// Al nome sia et eser possa de chollui el qual non à padre, zoè Gesù Cristo benedeto et eser possa ad honor e laude de la soa pura e santa madre verzene intemerata Maria. Et sia et eser posa ad onor e stado de lo evanzelista e prezioxo misier san Marcho, e finalmente de tuta la chorte zellestial, hora in nel nome suo santissimo. In questo nostro principio intendo destintamente de mostrar la ziroxia de maistro Bruno da Lorgoborgo breve luzidamente estrata e chonpllida di diti di savij antixi. Rubrica. Andrea Vexentino, venerabelle amigo mio, pregastime zà fa longo tenpo ch’io te dovesse schriver chon breve e claro parllar in lo medegamento della ziroxia uno libro trato e richollto delli diti de li savij glorioxissimi Gallieno, Avizena, Almansor, Albuchasis et Aly, et ezian dio delli altri savij antixi. Quan vis deo che sia stado longo tenpo, Dio onipotente che sa tute chosse sa ch’io ho dexiderado de //2rB// chonpllire la toa vollontade. Alturiandome la man drita del nostro salvator, apreso la mia posanza, alla toa domandaxone chon senciero anemo in tuto a questo e’ chonsento. Adoncha rezeva la puritade del tuo amor questo prexente e pizollo dono, per lo chonpimento del qual adovrando lo signor non sì vero de fadigarme, chon zò sia che sastifar e’ posa la toa pregiere.

Explicit: //70rB, 23// Anchora a questo medemo meraveioxo e bono. Rubricha. Tuo’ senavro e pilatro, strafuxaria, tanto de l’uno quanto de l’altro, e boia chon vino forte; e può della cholladura l’infermo gargariza. La stranutacione se provochi chon pollvere de chastorno, de quella pollvere geta in lle narixe del naxo. Sia metudo in bagno tanto ch’el suda, chon lo predito onto se onza. Fato questo, sia me- //70rA// nado a lleto ben

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fato, e posando uno puocho, anchora se mena e faza tanto chusì che sia sano se a Dio piaxe. Dentro li denti si lli meta alguna chossa o uno legno, azò che s’el sora vignise alguno movimento che quello li sia in ajutorio, per lo strenzere delli denti la so lengua se porave vastare. Che lo fredo non lo tocha, e vardase ch’el non li vegna chose che fosse pezo cha le prime. Expllizit libri Magistri Bruno de Longo Borgiensis. Deo gracias Amen. Richiami: per lo fredo 10v; bo draganti tu 20v;22 elle soto le orechie 40v; per vermo in 50v; tornando dentro 60v;



cc. 70v-73v: trattatello Del fluxo del ventre

Incipit: //70vA23// Del fluxo del ventre. A regola urina in chollore pallida, sotille in substantia over spessa, poca in quantitade, livida de sopra, e si è le ressolutione aneroxe grosse e spartite, fluxo de lo ventre absolutamente significa. E si è da notare che ogni fluxo de ventre, secondo Avicenna overo è da li cibi overo da le rise che ne contene overo da li membri.

Explicit: //73vB, 20// Ancora usi lo late coto con tre prede de fiume afogate, quelo serà senza fievre. E niente de manco quando el serà con fievre usi lo avenato e le cosse lessate e24 stiptiche dite de sopra. E niente de mancho schivi chosse roste e grasse e fine grossa e latte e ove, e usi le porzellane cum aceto e con agresto, e queste cosse basta a la cura de la disinteria.

La Chirurgia in volgare restituita da V manca dell’epilogo, in linea, dunque, con otto dei testimoni latini recensiti da Hall (1957): alla trattazione dell’ultimo capitolo segue la semplice apposizione della formula Expllizit libri Magistri Bruno de Longo Borgiensis. Deo gracias Amen. Nell’antigrafo di V va ipotizzato un verosimile scambio di carte, che può essere facilmente sanato: a c. 34 vA, 28, corrispondente, per quanto concerne il testo latino, a Hall (1957, 141, 18), il contenuto atteso è sostituito da una porzione di testo coincidente con il testo latino Hall (1957, 162–165). Poi, a partire da carta 35rB, 9, la traduzione riparte in corrispondenza di Hall (1957, 145, 2), coprendo, fino a c. 38vB, 23, la sezione di testo che giunge a

22 Il testo del manoscritto recita: schorze de pio(n)bo, draganti, tucia. 23 Solo qui e più avanti, per la collocazione del testo e delle rubriche, indico anche la colonna (A/B) della carta. Mi limito all’indicazione della sola carta nel resto di questo lavoro, e in particolare all’interno del glossario. 24 Segue di depennato.

3.1 Testimoni 

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Hall (1957, 162, 9); a questo punto, a distanza dunque di 4 carte, si colloca la porzione di testo che avremmo dovuto trovare a c. 34vA, 28 (corrispondente a Hall 1957, 141, 18–145, 2). Quindi, da carta 39rB, 33, il volgarizzamento procede fino alla fine senza problemi di analoga natura, riallacciandosi in corrispondenza di Hall (1957, 165, 7). È molto probabile, dunque, che un fascicolo all’interno dell’antigrafo di V (o comunque in un testimone da cui V deriva) sia saltato e sia stato successivamente ricollocato all’inverso, generando lo spostamento di carte appena descritto. Un altro scambio di carte, ma di misura più ridotta, ha probabilmente interessato il cap. X del libro I, le cui tre ultime rubriche, che sarebbero dovute iniziare a c. 62vA, 20, ma risultano invece spostate poco più in là, in corrispondenza di c. 63rB, 21, e del tutto slegate dal rispettivo contesto (anche qui non si tratterà, dunque, di uno spostamento volontario): le tre rubriche (corrispondenti ai paragrafi latini De cura rupturae inguinalis cum cauterio; De cura eiusdem cum incisione; De cura quando intestinae descendunt ad bursam testiculorum, quae dicitur hernia intestinalis), peraltro, mostrano tutte un contenuto più sintetico rispetto a quello presente nell’ediz. Hall (1957). Come testimoniano i problemi di cartulazione appena introdotti, il testo restituito da V rappresenta un antigrafo del volgarizzamento originale, presumibilmente sempre da collocare in seno all’area veneziana (o quantomeno veneta). La traduzione è complessivamente in buono stato, ma non mancano errori e lezioni dubbie di singole voci, sia da imputare al copista del manoscritto, sia da ascrivere agli antigrafi (volgare e latino) alla base del testo giunto fino a noi. Ne presento un ridotto drappello di esempi nei quali l’errore è per lo più limitato alla mancata comprensione di una sola parola: a) b) c) d) e) f)

g)

quod etiam observandum est in omni vulnere ubi due conspiciuntur apertiones → la qual chosa è da chonservare in zaschuna parte che sia piaga ch’el à operacione (8r) apostema quiescere consuevit → el se suol mollto apostumar di menbri (8v) Modus autem perforandi est ut fingas unum trepanorum super os → per lo mudare de fuora è che tu fichi uno de li trapani sora lo osso (33r) non est possibile ut rectificetur nisi cum extensione superflua → no è posibelle de retificharllo so non chon esterxione superflua (34v) cave ne ex superflua refrenatione accidat doloris vehementia → varda che per tropo arefreire non avegna massa dollor (54r) licitum est quandoque terrae potentibus pro custodia suarum virginum eunuchos habere → è liziera chossa e che lli posenti homeni over chunichi che varda la so’ virgine (63r) Species vero lapidis multae sunt et diversae, nam alius est parvus, alius est magnus, alius lenis, alius asper, alius longus, alius rotundus et alius ramosus → Ma le spezie delle piere è mollte e diverse, che altra è pizolla e altra è granda, e altra è pullida e altra è aspra, altra longa, altra redonda, altra arognoxa (66v)

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La resa del lat. refrenatione (54r) con arefreire ‘freddare’ sarà verosimilmente da attribuire alla presenza, già nell’antigrafo latino, di un sostantivo più comune come infrigidatio; analogamente, la resa operacione (8v) per il lat. apertiones andrà più facilmente ricondotta alla trasmissione del testo originale, come conferma la presenza della medesima lezione anche all’interno del ms. F1 (operacione 7r; ma L: apertione; quasi una via di mezzo tra le due forme si ha invece in Bre: aperatione). La lingua del codice mostra tratti largamente solidali con quelli messi in luce dai maggiori studi sul veneziano tre-quattrocentesco (per quanto il veneziano sia notoriamente tra i dialetti più complessi da delineare in modo contrastivo rispetto a quelli contermini): anche il contesto extra-linguistico, con la lode proemiale a misier San Marcho, sembra ricondurre con un certo margine di sicurezza a Venezia. Passiamo brevemente in rassegna i caratteri fono-morfologici principali della lingua del manoscritto (in parte distintivi del veneziano, in parte attribuibili a larga parte del Veneto),25 ponendo sin d’ora in rilievo la regolare presenza di tutta la triade dei sostantivi indeclinabili fondi ‘fondo’, ladi ‘lato’, peti ‘petto’ (cui si può aggiungere qui anche il derivato profondi ‘profondo’), costituenti una marca molto rappresentativa del veneziano antico,26 e ridotti invece a poche tracce nei testi dell’entroterra (cf. Formentin 2004, che per ultimo si è occupato della questione proponendo una derivazione da forme protoromanze del tipo *latos, *fondos, rianalizzate come plurali di 2a declinazione):27 –



vocali atone finali: sostanziale conservazione (maggiore che negli altri dialetti veneti), ma caduta frequente di -e dopo n, r, l (intencion 2r, amor 2r, schriver 2r, remover 2v, zeneral 3v, universal 3v, ecc.) e di o dopo n, r (man 2r, deredan 2v, pllen 2v, lor 3r, ecc.); conservazione della dentale intervocalica nel suffisso -ATE(M): quantitade (8v), frizitade (9r), ventoxitade (9r), goboxitade (9v), sotilitade (10r), veritade (10r), ecc.; analoga conservazione in -ATUM: dexiderado (2r), tratado (2r), ecc. (non si hanno, però, casi di riduzione di -atum ad -ao, esito frequente nel veneziano);

25 Tra i fatti grafici va almeno ricordata la rappresentazione delle sibilanti, per le quali appare un uso indifferente di s o ss per la sorda e la sonora, laddove x, frequentissima, rappresenta per lo più la sonora, ma può trovarsi anche per la sorda (x si trova però in posizione iniziale soltanto in xé: cf. Stussi 1965, xxix); qualche esempio dalle prime carte: prezioxo (2r), ziroxia (2r), glorioxissimi (2r), dexiderado (2r), domandaxone (2r), prexente (2r), proxontuoxe (3r), uxa (3r), ecc. 26 Tomasin (2004, lxiv) lo considera un tratto «tipicamente lagunare (pur se sporadicamente attestato anche in testi veneti forse non veneziani)». 27 Per tutti i fenomeni elencati si veda anzitutto l’analisi fornita da Stussi (1965, xxiv-lxxxiii), che prendiamo qui a modello; cf. anche Tomasin (2010) e, per il veneziano più tardo, Sattin (1986) e Crifò (2016).

3.1 Testimoni 



– – –

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– –



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riduzione di ai tonico ad e, soprattutto nelle forme verbali: fut. 1a p. arechorderé (34r), meteré (34r, 48r), chomenzaré (45r), diré (48r), mostraré (58r); molto frequente è anche la forma asé (ma si trova anche asai); conservazione di (é/è)lli: sono regolari quelli, elli (quelli in alternanza con la forma scempia queli), oxeli, ecc.; sono molto numerosi gli estirpatori di iato, in particolare tra congiunzione e vocale iniziale di parola successiva: od ella (3r), od elo (6r), ad esse (3r), ad esa (5r), ecc. esiti di AU- (secondario) + dentale (olziderave 10r, olzider 51r, olzida 65v, ecc.) e al > ol (solsa 50v), che si spiegano «a partire [...] dalle alternanze al/aul, o/ol, a/al» (Stussi 1965, XLVII); assente la metafonesi di é e ó (nessun caso, per esempio, anche delle forme pronominali illi/ili, vui, quilli/quili); il vocalismo -er- è incontrastato nei futuri e nei condizionali; rarissime sono le sopravvivenze di -ar- intertonico o postonico (es. papavaro 24r). chiusura della e protonica in i: mior (2r), convigniva (3r), tignerà (7r), convignievole (7r), vignire (12v), tignire (14r), sostignire (27r), mitade (60r); chiusura di a tonica in e: il fenomeno presenta diversi esempi soprattutto per la voce fenti, regolarmente adottato per fanti (e al fianco del ricorrente dimin. fantollini); sostanziale conservazione di e postonica: anemo (2r; ma anche anima 34r), ordene (3r; ma anche ordine 18r), simelli (3r), simelle (4r; ma simile 7v), nobelle (7v), femena (51r), ecc.; conservazione dei gruppi consonantici cl, pl, bl, fl: claro (2r), chonpllida (2r), chonpllire (2r), pllen (2v), plù (2v), plaga (3v), esenpllo (4r), tenpla (5r), anpla (5r), clama (5v), inflaxone (9r), inflativi (9v), climia (18v), blancho (19v), enflase (19v), declina (21r), flor (24r), blacha (25r), inflaxon (39r), declara (41v), declaradi (44r), infladura (48v), blancheza (49r), ecc.; è regolare il morfema verbale di prima plurale -émo, sia per il presente sia per il futuro: trovemo (82r), podemo (2v), curemo (2v), medexemo (2v), adovreremo (2v), speremo (4v), ordenemo (5v), ecc.; conservazione di -s della 2a p. (tipica del veneziano)28 in un caso di enclisi: poràstu (25v); è regolare il dittongamento delle vocali aperte e (misier 2r, Gallieno 2r, requiere 2v, barbieri 3r, piera 4v, adeviene 5v, vieda 5v, aiere 5v, postiema 5v, fievra 5v, lieva 6r, miedega 15v, miele 15v, lievori 20v, fievre 31v, ecc.) ed o (luoghi 2v, uovracione 2v, aduovra 3r, proxontuoxe 3r, muore 3r, fuora 3r, tuor 3r, muodi 3r, altuorio 4r, osuoxo 5r, vuovra 6r, puovollo 6r, apruovo 6v, puocho 7v, uovo 8v, chuoxase 9r, muovase 9r, zuova 12v, ecc.), in sintonia dunque con quanto accade nel veneziano trecentesco e anche posteriore, caratterizzato da un notevole incremento in tale direzione; trattamento delle occlusive intervocaliche: -p- > -v- (sovra 3r, adovrare 3v, chavo 5r, choverzere 8r, deschoverto 11v, chovertura 12r, lievori 20v, schovir 22r, savone 25r, schoverto 28v, chavelli 29r, chavreto 30v, ecc.); -b- > -v- (fievra 5v, lavri 30r, fievre 31v, ecc.); t-/-d-: è pressoché assoluta la presenza della dentale sonora (metudi 2r, ferido 3v, domandado 6r, insido 8v, chuxido 9v, mudado 20r, mesedado 22r, mandado 30r, dado 31v, dedi 41r, schaldado 45r, ecc.);

28 Cf. Tomasin (2004, lxiii).

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J e nessi T, D, C + J; G + I, E: gli sviluppi di questi nessi rappresentano fenomeni pressoché sistematici in larga parte dei dialetti veneti. In particolare, si possono osservare i seguenti esiti: a) affricata dentale sonora da J: zudexi (3v) zonzando (6v), chonzonte (7r), dezuno (10r), pezor (12v), zuova (12v), zontura (13v), zaxe (61r), zaxa (63v), ecc.; in posizione intervocalica: mazore (6v), mazor (9v), ecc.; b) affricata dentale sorda da TJ: molleza (3r), dureza (3r), chonzare (3r), chomenzar (6v), ecc.; nei sostantivi astratti, tuttavia, è dominante la presenza del morfema -son < -SJONE:29 raxon (5r), enfiaxon (14v), dislongaxon (42r), ecc.; c) affricata dentale sonora da DJ: mezo (5r), mezan (11v), meza (12v), azonzere (16r), ecc.; d) affricata dentale, rispettivamente sorda e sonora, da CJ e -GJ-: faza (2v), marza (3v), feza (6v), sonza (6v), aziaga (10v), zalura (14v), zalla (26v), confiza (29r), brazo (30v), sponza (34r), ecc.; e) C e G davanti a vocale palatale: in protonia dileguo di g tramite iod (maistro 2v, maistri 18v, ecc.); negli altri casi, e allo stesso modo per c non intervocalico, si ha un’affricata dentale, rispettivamente sorda e sonora: zerto (4v), strenzer (5v), restrenzer (5v), dizera (6r), dizerere (6r), inzenerar (6v), zervello (6v), proziedere (7v), rezimento (8r), chonstrenzese (8r), sinplize (8r), zera (8v), zenerativa (8v), zesa (8v), Avizena (8v), dolze (9r), friziditade (12r), zenere (12v), lazerti (13v), zenochio (13v), azidente (15v), dezimo (26r), ulzera (26r), ecc. In posizione intervocalica davanti a vocale palatale, -C- dà una sibilante sonora (proveniente da una precedente affricata: medexina (2r), chuxirlla (7r), chuxidura (7r), deschuxi (7r), ecc. (ma si veda anche, per esempio, l’alternanza zirogia/ziroxia nell’esito di -GI-). f) -BJ- è regolarmente conservato: abia (6v), debia (9r), ecc.; un unico caso di eba (54r); g) -LJ-: escluse alcune rare eccezioni, l’esito è normalmente -ie- (conseio 6r, meio 9v, taiar 9v, taiado 11r, oio 11r (maggioritario rispetto a ollio), arpiare 16r, asomeiare 17v, foie 18r, choioni 19r, piar 27r, someia 40r, moiere 60r, boiente 62v, ecc.); h) -NJ- dà n palatale, rappresentata come -gn- (inzegno 2v, inzegnoxi 2v, avegna 3r, intravegnando 4v, vegnir 5v, chonvegna 7r, vegna 7v, romagna 10r, aromagna 10v, romagnando 10v, ecc.); i) -RJ-: per il suffisso -ARI(US) non si registrano casi dello sviluppo veneziano antico -er(o) (cf. Stussi 1965, XXXIX); da -ORJ- si ha un’attestazione di raxoro (63r); sono regolari, invece, le varianti altuorio/aiutorio/oltuorio (4r, 6r, 12r: dal lat. adiutorium), cui si aggiunge un’occorrenza di rotorio (58r). j) -SJ- (e -NSJ-): l’esito consueto è rappresentato dalle grafie -x- e -s-, probabilmente da interpretare come allografi di una sibilante sonora (chaxon 4r, bruxada 18v, bruxado 18v, bruxa 18v, ecc.);30 k) -BJ- è regolarmente conservato: abia (6v), debia (9r), ecc.; si ha un unico caso di eba (54r).

29 Cf. Stussi (1965, liv). 30 Cf. Crifò (2016, 289).

3.1 Testimoni 

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3.1.3 B = Bergamo, Biblioteca civica «Angelo Mai», MA 501 Sec. XV (metà). Cartaceo, mm. 271 × 229, cc. I + 74 + I; numerazione recente apposta in matita; testo vergato a piena pagina in una scrittura semigotica (quasi tutti i fogli presentano 35 righi); decorato a c. 1r da un’iniziale di grandi dimensioni, acquarellata con l’immagine di un medico; iniziali e rubriche in cinabro. Presenza di filigrane: «Monte a tre punte» (simile a Briquet 11678–11728) e «testa di bue con fiore» (Briquet 14785). A c. 74r, dove si conclude la trascrizione della Chirurgia magna, inizia un brevissimo testo di rimedi medici che occupa l’intero verso del foglio (74v): la mano è in tal caso differente e posteriore (quasi certamente cinquecentesca) a quella principale. Nel margine inferiore di c. 1r, una mano più tarda (probabilmente a sua volta da distinguere da quella di c. 74r e 74v), appone la nota Questo è li hauttor Bruno, il quale è approbatissimo. Bibliografia: Kristeller (1963–1992, V, 474a); Agrimi (1976, 24, nota 24); Ciociola (1986, 171–172, nota 91); Durling (1988, 497); Durling (1993, 261), Kristeller (1963–1992, I, 7a); Adorisio (2006, 1).

Contenuto: – cc. 1r-74r: Chirurgia magna in volgare Incipit: //1r// In la nome de lo nostro signore Gesù Cristo. El se comenza lo libro de lo Bruno de Cyrugia retracto in volgare. Sancto Gregorio dice che la probatione de lo amore si è la exhibitione de la opera, et imperò, Amico Carissimo Zohanne de Benti da Bergamo, per monstrare in opera lo amore che io Andrea Cirambello da Gandino ve porti ne lo core, dolcemente pregato da ti ho tolta la faticha de transferire in volgare lo libro de lo prudentissimo Bruno de Cyrugia, azò che ello te sia in adiutorio a la tua solicita pratica, però che, como ello dice in lo suo prohemio, li Cyrugici debeno essere litterati o almancho impareno da quelli che sono litterati. Et pertanto ti non abiando possuto studiare gramatica nì altri scientij, possa diligentemente praticando intendere le rasone, le cure e generalmente tuta la pratica de quello sapientissimo Bruno. E cossì tutti li altri ydioti, zoè non litterati, che voleno medicare cum rasone e non aventuratamente. El se comenza lo prohemio de lo libro del Bruno. Amico mio venerabile Andrea Vesentino, zà longo tempo me ay pregato che cum breve e claro parlar io te debia descrivere in la medicina de la cyrugia uno libro collecto et extracto de li dicti de lo gloriosissimo Gallieno, Avicena, Almansor, Albucasis e Aly e de li altri savij e antichi homini. Et avignadio che per la grandeza de li fazendi fina mo te abia dato longanimitade, nientodemeno may non ho circato voluntade de inganare lo tuo desiderio, como sa bene Dio inquisitore de tuti li secreti, anze grandamente mi ho desiderato che quello fiza complito in ti. Per la qual cosa mi consentì mo totalmente a la tua domanda cum desiderato animo a tuto mio potere, per lo adiutorio de la liberale mane de lo salvatore. Adoncha reciva

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 3 La Chirurgia magna in volgare

la sinceritade de la tua dilectione lo presente dono per complemento de lo quale non ho lassato de tore la faticha, lo signore Dio cohoperante, con cio sia cosa ché satisfare a li toy pregeri non me sia duro ma gratioso, né aspero ma delectabile.

Explicit: //74r, 9// E lo infirmo spesse volte tolia vino coto cum castoreo, cinamomo, spiga, pevere, calamento, sansuco, salvia, ruta, sempio o composito. E fiza lo gargarismo cossì: Recipe senavera, piretro, stafisagria, ana parti equali; bolia cum vino forte e melle; e lo infirmo gargarizi la collatura de quelli. E fiza provocata la sternutatione cum polvere de castoreo e de pevero butata in lo naso. E se meta lo infirmo in lo bagnio secho et in quello sudi longamente, e se unza cum lo predicto unguento. E quando serà fato questo, vada lo infirmo in uno lecto molle e bene preparato, e, quando ello averà repossato un pocho, ancora retorni in lo bagnio, e faza cossì fina che sia guarito. Et inter li soy denti fiza locato alcuno ligamento azò che, quando lo movimento no voluntario de li denti sopravegniarà per la constrictione, non se guasti la lingua. E se guardi che lo fregio non lo prenda e che al non ye vegnia pezore cosa cha in prima. Deo Gratias Amen Richiami: forte 14v; biacha 30v; ana 46v; alcuna 60v Maniculae: 11r; 31v



cc. 74r-74v: breve testo contenente «Rimedi per far urinare a chi non vole cosa trovata» e «Un bagnio a chi non vole horinare» Rimedi per far urinare a chi non vole cosa trovata. Pigla cresor, erba paila et con buttiro et oglio de scorpioni et capeli de homeni o puti, mesedati con li herba paila et il cresore, et con li ogli farette inpiastro sul peteneto e tra il sedi e li testicole. Ma prima che tu facia lo inpiastro, onzile bene31 tutto il petenetto senza il sedi e lli testicoli et di poi metti sora lo inpiastro sudetto32 in caldo. Un bagnio a chi non vole horinare. Recipe radice di althia, malva, parietaria, camamilla, tasso barbasso, pori peloselli, ciecore, virzi anisii.33 Tuti questi herbi si metti in una caldara, dove sia dentro tanta aqua che il malato posia star dentro fina alla centura, et così fare bogliere dentro tutti li sudetti erbi, farli bulire tanto che sia cotte le sudette erbe et poi quando l’è cotte le sudette erbe [...].

31 Ms.: benene. 32 Segue e depennata. 33 Nel margine destro vengono successivamente aggiunti altri ingredienti: «Fali ancora queto: prendi marobio, rustisello con oglio de gigli sia resi et mettelo su li detti lochi».

3.1 Testimoni 

 89

Analogamente a V (e alla famiglia settentrionale rappresentata dai mss. L, F1 e Bre, oltre che dal fiorentino F2: cf. infra), anche il ms. B manca completamente dell’epilogo originale: la trattazione è così interrotta ex abrupto e conclusa dalla tradizionale formula Deo Gratias Amen. Alla base di B ci sarà, perciò, un esemplare latino verosimilmente disceso o almeno imparentato con quel gruppo di otto testimoni i quali, come esposto nel cap. 2, ci restituiscono la Chirurgia magna senza la sezione di congedo. L’autore del volgarizzamento, il cui nome compare nell’incipit del testo, è un tale Andrea Cirambello da Gandino: costui è identificabile col notaio Andreas Fredini d.ni Iohannis dicti Morandi de Cirambellis de Gandino, del quale si posseggono, presso l’Archivio di Stato di Bergamo, numerosi atti notarili, contenuti in quattro volumi della prima metà del Quattrocento (tra 1434 e 1454).34 Egli appartenne con ogni probabilità a una famiglia di medici di Gandino, località a nordest di Bergamo: un’importante testimonianza, rilevata già da Ciociola (1986), ci è infatti offerta da un testo in esametri sui bagni di Bormio contenuto nel codice miscellaneo MA 186 [già α.4.40 (3)] della stessa Bibl. Civica di Bergamo (Tractatus de natura et proprietatibus balnei de Burmio Vallis Telline et de modo balneandi, editus per eximium artium et medicine doctorem dominum Johannem Cirambellum de Gandino Bergomensis diocesis); se si trattasse della stessa persona, dunque, saremmo probabilmente di fronte a un notaio in possesso anche della laurea in medicina, e oltretutto dotato di una notevole cultura: le conoscenze di latino messe in mostra, infatti, appaiono tutt’altro che rudimentali, se è vero che fu in grado di realizzare, oltre al volgarizzamento in esame, anche un’opera medica latina in versi. Sulla possibile autografia del testimone, ipotizzata da Ciociola (1986, 171, nota 91: «lo fanno supporre i numerosi interventi correttori e le apparenze del cod[ice], che certo ambisce ai ranghi di un esemplare, sia pur provinciale e ‹chirurgico›, di dedica»), è necessario offrire qualche delucidazione. Il ms. B rappresenta certamente il testimone più autorevole tra i codici volgari oggi noti della Chirurgia: la versione restituita è, infatti, integra e complessivamente molto corretta; essa segue in maniera piuttosto letterale il testo originale e palesa solo in rari casi delle sviste o delle imprecisioni, riconducibili però, in una buona parte dei casi, a corruttele che dovevano essere già presenti nell’antigrafo latino. Sarà utile offrirne alcuni esempi, rammentando come l’individuazione del livello d’inserimento di una variante deteriore costituisca un ostacolo notoriamente molto insidioso, ma determinante anche per il

34 I quattro volumi appartengono alla busta 281, sezione Notarile dell’Archivio di Stato di Bergamo: 1) 1434–1441; 2) 1442–1444; 3) 1445–1450; 4) 1451–1454. Cf. Silini (2001, 45–46).

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 3 La Chirurgia magna in volgare

grado d’intervento esercitabile nell’edizione del testo (tra parentesi quadre si riportano le lezioni corrette e quelle errate presenti nella tradizione latina del testo, se esse appartengono a uno dei quattro testimoni su cui è fondata l’edizione Hall 1957): a) b) c) d) e) f) g) h) i)

secondo li accidenti [ediz. lat.: locum; ms. lat. B: accidentia] (4r) E la extremitade, zoè li cantoni de la piaga, fizeno lassati da la parte [ediz. lat.: apertae] (5v) Ma in li piagi de li nervi overo in li soy propinqui debeno fir guardati e schivati da questo canone [ediz. lat.: curatione; mss. lat. G, E: canone] (18v) fizeno tracti fora cum superpositione de emplastro de cosi atractivi [ediz. lat.: relaxativis; ms. lat. O: attractivis] (21r) quando seco non se acompagnia lo fetore a li homini [ediz. lat.: horribilis] (23r) nuy parloma de zeschaduni cosi de quelli i quali per li meliori per parte sono electi [ediz. lat.: expertae] (23r) azò che anchora non se dislogi e la curatione fiza rota [ediz. lat.: corrumpatur] (46r) ti aspetaré la digestione fina che ella se implisca [ediz. lat.: compleatur; ms. lat. B: impleatur] (58r) non è da retornare per la grandeza de quella scrophula in principio, overo per lo sconfiamento del grande nervo o de l’artaria [ediz. lat.: timorem] (61r)

Nei passi appena riportati appare per lo più manifesta la dipendenza da errori sorti all’interno della tradizione latina: così, in a), la presenza di accidenti sarà da ricondurre alla variante accidentia restituita, tra i quattro testimoni considerati da Hall (1957), dal solo ms. lat. B; analogamente, in c) canone è evidentemente il frutto di una lezione errata, che ci è confermata dai mss. lat. G ed E; ancora col ms. lat. B (es. h) è poi in comune la forma se implisca (lat. impleatur) al posto di un corrispondente del lat. compleatur (‘si compia’); con il ms. lat. O, invece, la variante atractivi (< attractivis) dell’es. d). Di particolare interesse, anche perché consente, una volta di più, di rilevare l’importanza di un confronto col testo originale (confronto spesso dirimente per comprendere la provenienza di certi errori del testo), è la voce sconfiamento dell’es. i): essa è apparentemente in linea col passo volgare (dove si parla di grandeza della scrophula) e non crea affatto problemi di comprensione. Si tratta, però, con ogni probabilità, di un errore indotto dall’antigrafo latino alla base del volgarizzamento: Hall (1957), infatti, pone a testo la voce timorem; il volgare sconfiamento (‘gonfiore, rigonfiamento’) sarà dunque la resa di una variante deteriore tumorem, la cui comparsa nella tradizione latina, per quanto non corroborata dal riscontro con i quattro manoscritti alla base dell’edizione Hall (ma che sarà presumibilmente facile reperire in qualcuno degli altri testimoni latini), avrà avuto vita facile nell’imporsi al cospetto del quasi omografo timorem, e

3.1 Testimoni 

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soprattutto alla luce della sua (pressoché completa) acclimazione nel contesto; ancora, la lezione fiza rotta (es. g) dipenderà da una variante deteriore rumpatur al posto della forma verbale composta corrumpatur. Meno sicura, ma ipotizzabile come errore indotto dall’antigrafo latino, è anche la lezione a li homini (es. e) in corrispondenza del lat. horribilis; le rese scorrette (rispettivamente negli ess. b e f) da la parte (lat. apertae) e per parte (lat. expertae) offrirebbero poi, a loro volta, una duplice interpretazione, a seconda che B venga fatto dipendere da un antigrafo volgare oppure rappresenti l’autografo di Andrea Cirambello. È chiaro, comunque, come l’errore abbia avuto origine, in entrambi i casi, da uno scioglimento improprio di p(er), che sarà stato reso come p(ar), e soprattutto dalla contemporanea discrezione degli elementi iniziali: la a di apertae, al pari dell’ex di expertae, sono evidentemente scisse dal resto della parola e lette come preposizioni, dunque a parte > da la parte, e similmente ex parte > per parte; una tale analoga separazione delle parole originarie sembra più logicamente attribuibile alla tradizione latina che non a quella volgare, indipendentemente dalla considerazione di B come testimone autografo o come semplice apografo del volgarizzamento. Ai casi in cui lezioni deteriori appaiono riconducibili all’antigrafo latino che è alla base del volgarizzamento, si aggiungono quelli, più rari, di lezioni dovute a varianti adiafore (o quasi) della stessa tradizione latina: così, a c. 24v, la forma verbale fiza epithimato, in corrispondenza del lat. emplastretur, si spiegherà facilmente con la dipendenza da un sinonimico epithimetur, confermato anche dalla lezione empithimetur del ms. lat. B. Le sezioni del testo notoriamente più soggette a variazioni, come si avrà modo di approfondire poco oltre, riguardano le dimensioni e i singoli ingredienti di ricette, elementi di particolare instabilità all’interno dei testi pratici. Anche laddove ci trovassimo di fronte a un volgarizzamento molto fedele all’originale, come quello di Andrea Cirambello mostra di essere, la successione dei rimedi e, all’interno delle ricette, quella dei singoli elementi (semplici e composti), presenta raramente un’aderenza letterale al testo latino dell’edizione Hall (1957): alla particolare deperibilità di queste porzioni testuali, infatti, si aggiunge tutta la serie di variazioni già inglobate dall’antigrafo latino alla base del volgarizzamento; così, alla successione guma, gipso, ana (dramme) iiij (c. 25v) corrisponde il lat. gummi cipressi ℨ iiii: la voce gipso, che sostituisce il genitivo cipressi (dal quale sarà derivata per un’errata lettura, dovuta verosimilmente al mancato scioglimento della p usata per indicare il gruppo pre), trova conferma nella lezione offerta dal ms. lat. B (gumma gipsi). Quanto appena esposto sulla dipendenza di B da alcune varianti deteriori presenti già nella tradizione latina ci consente di spendere ancora qualche

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 3 La Chirurgia magna in volgare

parola sul rapporto del codice bergamasco con i testimoni latini: un’identificazione dell’antigrafo latino alla base del volgarizzamento non è stata finora possibile, e la maggiore difficoltà per giungere a un risultato convincente risiede, com’è ovvio, nell’esigenza di collazionare accuratamente il maggior numero possibile degli esemplari latini oggi noti. L’edizione Hall (1957), la cui impostazione è, come detto, selettiva e circoscritta a soli quattro codici, non ci consente di tracciare delle ipotesi concrete sulla provenienza della traduzione: nel complesso, pur non mancando affatto connessioni con tutti e quattro i codici latini principali (O, E, B, G), la maggiore convergenza si può riscontrare con le varianti offerte dal ms. lat. B (Oxford, Bodleian Library, Ms. e Mus. 19), e proprio da quest’ultimo (il quale, si rammenta, è un codice di area italiana giunto già nel corso del Trecento in Inghilterra) sarà con ogni probabilità disceso l’antigrafo latino alla base del volgarizzamento di Andrea Cirambello, per quanto sia impossibile, in assenza di una collazione sistematica, pronunciarsi sul tipo di parentela. Vediamo altri esempi in cui B concorda ora con l’uno, ora con l’altro dei quattro manoscritti latini considerati da Hall (1957) nella costruzione del suo apparato critico: Tabella 1: Confronto fra il ms. B e i mss. latini. B

Ediz. Hall (1957)

Altri testimoni latini

E cyrugia fi dicta a cyros greco, che è mane latino, et agia che è actione (1r)

Dicitur autem cyrurgia a cyros grece, quod est manus, et agia, quod est actio

ms. lat. G: Dicitur autem cyrurgia a cyros grece, quod est manus latine, et agia, quod est actio

Non siano violenti; et bivano lo vino cossì temperatamente che non impedisca lo senno (1v)

Non sint vinolenti sic autem bibant vinum ut sensui non dominetur

ms. lat. G (et olim ms. lat. B): Non sint violenti sic autem bibant vinum ut sensui non dominetur

de li nervi e de li veni e de li arterij, zoè vene pulsante, como dice Avicena (3v)

De nervis vero et venis, sicut recitat Avicenna

ms. lat. O: De nervis vero et venis et arteriis, sicut recitat Avicenna

lo pede, la virga e lo naso (6v)

crus, virga et nates

ms. lat. G (et olim ms. lat. B): crus, virga et nares

E se al besognia lavare la piaga, fiza lavata cum oxizachara (9r)

si oportet vulnus lavari, lavatur cum ydrozacara

mss. lat. O/B: si oportet vulnus lavari, lavatur cum oxizaccara/ ossizacara

3.1 Testimoni 

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Tabella 1 (continua) B

Ediz. Hall (1957)

Altri testimoni latini

lo regimento de lo infirmo è exiccativo, et è quando fi guardato lo membro (26r)

est regimen patientis exsiccativum, et etiam quando custoditur membrum

ms. lat. B: est regimen patientis exsiccativum, et est quando custoditur membrum

cum ogni tua diligentia overo senza dispositione che sia possibile apresso de ti (27r)

cum omni dispositione quae fit possibile apud te

ms. lat. B: omni diligentia tua sive omni dispositione quae fit possibile apud te

cum la tenta che sia de la medula de lo ebulo o de lo sambuco (27r)

cum tenta de medulla sambuci

ms. lat. B: cum tenta de medulla ebuli vel sambuci

la marza laudabile è biancha, lezera et equale per tuto, lezera si è che non ha malo odore (28r)

sanies laudabilis, [...] est alba, lenis et equalis per totum, cuius non est odor malus

ms. lat. B: sanies laudabilis, [...] est alba, lenis et equalis per totum, lenis cuius non est odor malus

fiza linito, zoè uncto, de fora cum lo luto, zoè fango, de la deceptione (29r)

liniatur deforis cum luto discretionis

ms. lat. B: liniatur deforis cum luto deceptionis

in la quale è brusata la materia melancolica (30r)

in qua combusta est materia

ms. lat. B: in qua combusta est materia melancolica

lo cibo de lo infirmo in principio sia sutile e devedando la inflamatione (36v)

Cibus autem patientis in principio sit subtilis prohibens inflationem

ms. lat. B: Cibus autem patientis in principio sit subtilis prohibens inflamationem

quando lo sangue corre da quella botta non fiza retegnuto (37r)

Et etiam quando sanguis currit ex ea refrenetur

ms. lat. B: Et etiam quando sanguis currit ex ea non refrenetur

E poy desligalo e fiza removesto lo emplastro (39v)

Deinde solve et renovetur emplastrum

ms. lat. O: Deinde solve et removeatur emplastrum

overo de la extractione se quello non serà possibile (41v)

aut de extractione si fuerit possibile

ms. lat. B: aut de extractione si illud non fuerit possibile

per li veni più setili de la crapa (46v)

per venas cranei subteriores

ms. lat. G: per venas cranei subtiliores

Recipe incenso, mastice, aloes epatico, preda, emathites, litargiro (46v)

Recipe thuris, masticis, aloes epatici, ematitis, litargiri

ms. lat. O: Recipe thuris, masticis, aloes epatici, lapis, ematitis, litargiri

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Passiamo quindi a osservare da vicino le numerose tracce lasciate durante il processo di vergatura del codice, a testimonianza dell’accorto lavorio condotto su di esso: il manoscritto mostra, infatti, come anticipato, una nutrita casistica d’interventi correttori, operati quasi certamente dalla stessa mano responsabile della copia del testo principale (da un punto di vista morfologico, non c’è motivo di dubitare della coincidenza).35 In certi frangenti, le correzioni consistono in semplici segni di depennamento, inseriti, con ogni probabilità, al momento stesso della copiatura e vòlti a sanare semplici errori di distrazione del copista. Tralasciando gli interventi minimi (come le correzioni di singole lettere, in particolare quelle finali), ne riportiamo alcuni esempi indicativi, spigolandoli dalle prime carte del volgarizzamento. Talvolta il frego usato per la cancellazione è rosso; nella maggior parte dei casi, invece, l’inchiostro è dello stesso colore usato per il testo, anche se a volte esso è molto più scuro: proprio queste modifiche, nello specifico, sembrerebbero perciò costituire un blocco unico, appartenente a una fase più tarda, nella quale la miscela d’inchiostro ha subìto un’inevitabile variazione rispetto a quella usata per il resto del manoscritto. L’alternanza tra inchiostro nero e inchiostro rosso, invece, non permette di ricostruire un valore specifico: a) b) c) d) e) f) g) h) i) j) k) l) m) n)

però cyrugia vale tanto como cyrug operatione manuale (1v) lo ingenio naturale de lo medico ayd aiuta l’arte e la natura (1v) ma quelli ànno lassati quelli in le mane de li barberi (2v) Capitulo primo de la divisione de la solutione e generali casoni de la solutione de la continuitade (2vA) Capitulo xiij de la summa et universale curatione de li ulceri piagi, cioè piagi mal curati (2vB) ala vene per alcuna casone cosa extrinseca rompendo incontinente lo corpo (3r) una è per la remanentia de la virtude de lo sperma, zoè de la somenza virile, l’altra la quale è per la dolceza de l’osso (3v) quando lo corpo de lo corpo infirmo è humido e dolze [frego rosso] (3v) non se incarneno in quello quando quando che fi differenciato da quello [frego rosso] (3v) simelmente fizano administrati li medicini a generare la puza che fizeno fact in li vulnerationi che fizeno facti per botta [frego rosso] (4r) in quelli in li quali fi generata la puza non fi temuto lo puza spasmo [frego rosso; la o di lo è sovrascritta su a] (4v) alora è necessario administrare la ligatura cusitura [frego rosso; cusitura è apposta nel margine sinistro e segnalata da richiamo nel rigo] (5v) Ma se in alcuna la piaga sia alcuna profunditade (6r) fiza tar lassato più tardamente a consolidare [frego rosso] (6v)

35 Per un’analisi paleografica ho potuto avvalermi della perizia di Teresa De Robertis.

3.1 Testimoni 

o) p) q) r) s) t) u)

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la piaga cavata, como dice Galieno, si ne demonstra non solamente simplice piaga infirmitade, ma duplice [frego rosso] (6v) la propria e particulare si è che ti consideri in quale parte de lo ventre serà stata la piaga [frego rosso] (8r) E questo modo de cusitura cum formici è cum fiducia secondo la via de la fiducia (8v) se in prima non se apadima lo dolore et quando lo loco serà mondificato [frego rosso] (9v) Galieno dic usava in questi piagi de la sola termentina (10v) inanze sempre sia pone medicina desiccativa (11r) se la piaga serà in li budelli, la36 pay brutura vene fora per la piaga (11v)

Come si vede dai casi appena riportati, si tratta per lo più di correzioni di scarsa entità, che eliminano banali errori di copiatura, consistenti in ripetizioni o anticipazioni (cf.: cyrug; quelli; de la solutione; piagi; corpo; quando; che fizeno fact; puza; alcuna; piaga; ecc.). In altri casi, però, gli interventi sono più sottili, e inducono almeno a presupporre la figura di un copista particolarmente attento al contenuto e alla forma linguistica del testo che sta vergando. Si pensi alla cancellazione di ayd (es. b), che evidentemente rappresenterà la forma incompleta per ayda (3a p. del verbo, diffuso in molti dialetti settentrionali, aidare, che continua un lat. popolare *aitāre): come consente di ricavare l’immediatamente successivo aiuta, la correzione sembra muovere chiaramente in direzione della forma toscana aiutare, per quanto quello appena ricordato costituisca l’unico esempio del verbo aiutare al cospetto degli otto di aydare. La cancellazione di cum fiducia (es. q), invece, sembra rispondere alla necessità di rispettare alla lettera la versione dell’originale latino (secundum viam fiduciae); ancora, l’eliminazione di stata (es. p), che determina un passaggio dall’iniziale futuro anteriore (serà stata) al futuro semplice (serà), garantisce la restituzione della corretta consecutio temporum, inizialmente tradotta in modo improprio per una verosimile interpretazione del congiuntivo perfetto fuerit come futuro perfetto (propria et particularis est ut consideres in qua parte ventris vulnus fuerit). In u), il frego posto su pay e il precedente articolo la, con a corretta su o, consentono d’ipotizzare l’iniziale volontà di trascrivere lo paylire, infinito sostantivato spesso usato nel resto del volgarizzamento come sinonimo di ‘digestione’: il passaggio da pay[lire] a brutura al momento della copia sarà allora da ricondurre a una momentanea confusione tra i termini latini di partenza, rispettivamente digestio ed egestio (dai quali i volgari digestione ed egestione, quest’ultimo l’ ‘atto dell’espellere dal corpo il residuo della digestione’: cf. TLIO), accomunati dalla forma corradicale e semanticamente affine. Almeno dalle quattro correzioni appena esaminate (ma l’elenco si potrebbe facilmente accrescere estendendo l’indagine all’intero 36 Con a corretta su o.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

volgarizzamento), dunque, deriva l’impressione di non trovarci di fronte a un semplice copista, seppur molto attento, e da concepire come un utente diretto della traduzione, ma con qualcuno che ne cura anche gli aspetti formali, tenendo ben presente il testo latino della Chirurgia e dunque intervenendo, laddove non soddisfatto, in direzione di un allineamento quanto più possibile completo con l’originale. È possibile rinvenire qua e là altre tracce della salda preparazione latina di chi ha vergato il ms. B, e della possibilità concreta che egli abbia avuto davanti agli occhi un esemplare del testo originale, sia che questo abbia costituito l’antigrafo della traduzione, sia che ne abbia rappresentato, più semplicemente, un termine di confronto e di correzione: a c. 30v si legge, ad esempio, La sua dieta sia carne de castrone, de pernice, carne de pulli, vetelli, rosumi de ovi, dove vetelli è depennato in rosso. La lettura del testo latino (Dieta eius sit caro arietina, perdicina, pullina, vitella ovorum) permette di cogliere come vetelli costituisca un errore, indotto chiaramente dal precedente pulli: il copista, dunque, elimina qui la resa originaria, restituendo tramite la locuzione rosumi de ovi il senso del lat. vitella ovorum. Sembra abbastanza evidente, nel caso appena visto, che la correzione debba essere il frutto, se non del volgarizzatore stesso, quantomeno di qualcuno che, potendo disporre di un esemplare latino della Chirurgia, ha potuto verificare l’inesattezza della prima traduzione, distinguendo dunque i due termini latini, rispettivamente di genere maschile e neutro, vitellus ‘vitello’ e vitellum ‘tuorlo dell’uovo’. A tal riguardo, è importante segnalare tre interventi a margine, che a loro volta paiono rivelare un lavorio testuale ben accurato e condotto su più testimoni: a) b) c)

se la rotura serà dritta e sperata, legeramente pò fir cazato fora cum li pizicaroli et tanalij (33r) Et extende lo brazo fina che al se aproximi a li costi (39r) lo infirmo spesse volte tolia vino coto cum castoreo, cinamomo, spiga, pevere, calamento, sambuco (74r)

In corrispondenza del part. sperata (es. a), nel margine destro del foglio si appone aliter spartita: si tratta della variante traduttiva corretta (l’abbiamo infatti accolta a testo), quella che, cioè, consente di restituire coerentemente il lat. separata (si fractura recta fuerit et separata). Analogamente, nel passo b), a margine è aggiunta la variante aliter lo gombetto, che anche in tal caso restituisce la lezione corretta del testo latino (Et extende cubitum donec approximet ipsum costis); situazione identica, peraltro, ma senza l’apposizione di aliter, si ha anche a c. 40r, dove a brazo vergato nel rigo andrà sostituito go(m)beto presente nel margine del foglio. Infine, nell’esempio c), per la voce sambuco, che presenta oltretutto il segno tratteggiato di espunzione, si offre la variante aliter sansuco:

3.1 Testimoni 

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ancora una volta, è la lezione posta a margine a coincidere con quella restituita dal testo latino (Vinum decoctionis castorei, cinamomi, spicae, piperis, calamenti, sansuci [...] patiens frequenter assumat); in tal caso, inoltre, l’apparato critico di Hall (1957, 251) ci conferma la presenza di una variante sansuci/sambuci già all’interno della tradizione latina. É evidente che, diversamente da quanto visto supra per la correzione vetelli > rosumi de ovi, l’inserimento di queste tre varianti potrebbe dipendere tanto dal raffronto con un altro testimone volgare, quanto da quello con un diverso esemplare latino, di cui sono direttamente apposte nel nostro codice le forme volgari. Nella stessa prospettiva, riguardante cioè interventi notevoli, effettuati sul piano traduttivo e formale (e non semplicemente delegati a sanare errori di copiatura per il resto piuttosto comuni nella trasmissione di un codice antico), appare rilevante un gruppo di correzioni che, sebbene in numero non particolarmente consistente, testimoniano dei ripensamenti vòlti in direzione sinonimica: pur emergendo anche qui, con evidenza ancora maggiore, la cura dedicata all’allestimento del testo, resta di certo complicato discernere se si tratti di varianti d’autore apportate dal volgarizzatore in una copia in pulito, poi oggetto di successive integrazioni e correzioni, o se al contrario si abbia a che fare con un copista molto attivo, che fa valere il suo ruolo di fruitore diretto del testo (pongo in corsivo le parole interessate dalla correzione, chiarendo tra parentesi quadre, dove necessario, la tipologia d’intervento): a) b) c) d) e) f)

g) h) i)

j) k) l) m)

dico che se la piaga serà frescha, zoè che al non ge sia la sanie, zoè la pu marza (12r) Recipe roza, zoè herba de tinctori, ossi de galina brusati, merda de seg litargiro (17v) poy pos la purgatione lo infirmo fiza lavato balneato (27r) overo lo movimento superfluo de lo membro inanze lo tempo, overo la poche paucitade de lo sangue in lo corpo (38r) E poy sopra lo membro fiza ponuto lo emplastro de pegola de tepida caliditade, azò che al tira reducha a quello molto (38r) ella se convertisse a le cose de dentro → ella se convertisse a la parte de dentro (41r) [cose è espunto, parte è aggiunto in interlinea; la a di la è corretta su e dell’originario art. le] Quando lo sangue se leva in li ogi per botta e simili, e serà asay molto sangue (48r) cotale aqua è de doy modi speci (48v) L’altra è la sinancia, la materia de la quale [...] non amaza → L’altra è la sinancia, la materia de la quale [...] non è mortale [non amaza è espunto, è mortale aggiunto in interlinea] (51r) li apostemi raro fizeno singulari → li apostemi raro fizeno sinplici [sinplici aggiunto in interlinea] (54r) E li signi de flegmon, secondo che dice Iohanicio e li altri autori antigi, sono questi: zoè calore, rosseza, pulso, zoè batimento, dolore e sco inflatura (54r) quando lo infirmo è puto o vegio decrepito o de debile natura virtude (63v) talia in la parte de sot inferiore (66v)

98  n) o)

 3 La Chirurgia magna in volgare

Contra lo dolore de li fianchi fiza lo cauterio → Contra lo dolore de li rognoni fiza lo cauterio [fianchi depennato] (73r) como quello che ha la feb fevera (73v)

In a), è pressoché certo che il copista stesse inizialmente scrivendo puza, sostituita poi da marza: anche se ci troviamo in un contesto di addizione al testo originale (glossa), che non consente perciò un riscontro diretto col latino, la scelta è in linea con la predilezione che il volgarizzatore mostra anche nel prosieguo del testo, quando egli deve rendere il lat. sanies: accanto al traducente dotto sanie, largamente dominante (40 occorrenze), marza ricorre infatti in 25 casi contro le 11 del sinonimico puza; un’identica correzione, sempre in direzione di marza, si legge peraltro anche a c. 26r («Et alcuna volta quella sanie, zoè puz marza, corre»). Di carattere sinonimico è, con ogni probabilità, anche la correzione osservabile nell’es. k), dove un’iniziale voce sco è depennata in favore di inflatura, scelto come traducente del lat. augmentatio: la forma sco rappresenterà infatti l’abbozzo di sconfiamento, sostantivo adottato due volte in B come traducente del lat. tumor (in entrambi i casi variante, però, della lezione corretta timor). Più in generale, tutti gli interventi correttori riportati sopra, come detto, paiono diretti ad apportare delle modifiche sul piano dello stile: così, il part. lavato (es. c) è espunto in favore di balneato, adottando quindi anche in volgare il corrispettivo verbo latino (balneetur), di stampo più tecnico; in d), la cancellazione di poche (dopo l’articolo la) nasconde presumibilmente il sost. pochezza, cui è preferito paucitade, corrispondente al lat. paucitas dell’originale; l’aggettivo singulari passa a sinplici (es. j); i sostantivi cose, modi, natura sono sostituiti rispettivamente da parte, speci, virtude (ess. f, h, l), coincidenti, a loro volta, con le lezioni latine partem, specierum, virtutis; l’avverbio asay è rimpiazzato da molto; l’uso della forma verbale non amaza (es. i), forse sentita come troppo localistica, cede il posto a è mortale (a un’eliminazione di elementi dialettali risponderà anche il cambio di desinenza nella 2a p. di futuro lasarè > lasaray, a c. 48v); l’originario avverbio de sot[to] è rimpiazzato con il latinismo inferiore (es. m), ricalcato su inferior del testo originale; in direzione contraria si muove invece il passaggio (es. n) dal più diffuso fianchi al popolare rognoni (usato qui come traducente di lumbus), al pari dell’adozione della forma lombarda fevera37 (es. o) al posto di un’iniziale scrittura feb (tra i traducenti del lat. febris si registrano due casi di febre contro i tre di fevera: cf. cap. 6, s.v. febris). In qualche caso, l’intervento è esplicitamente di natura lessicale, e fa trapelare delle revisioni operate sul

37 Per la quale cf. Glossario s.v. febris.

3.1 Testimoni 

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piano terminologico: in b), la scrittura merda de seg, corrispondente al lat. merdasengi dell’originale, viene depennata in rosso e contemporaneamente espunta tramite tratteggio, ed è sostituita dalla voce seguente litargiro, sinonimo di derivazione latina dell’arabismo merdasengi, probabilmente sentito come estraneo e perciò cassato. Una sezione corposa d’interventi consiste, poi, in brevi integrazioni, quasi sempre apposte nei margini del foglio e segnalate tramite un richiamo all’interno del rigo. Esse restituiscono per lo più degli elementi necessari alla tenuta semantica e sintattica del periodo, rivelando ancora l’attenzione prestata dal volgarizzatore/copista nel vergare il testo, che è stato verosimilmente oggetto di un’accorta rilettura complessiva (riporto in corsivo le parole integrate, chiarendone la tipologia tra parentesi quadre): a)

b) c) d) e) f) g) h) i) j) k) l) m) n) o) p) q) r) s)

la cyrugia è de doe guise, overo che ella è in la carne, overo in l’osso, e questo è secondo la contrarietade de li membri subiecti [nel margine destro e con richiamo nel rigo] (2r) li medici non ànno voyuto fare le sue operatione per la turpitudine [in interlinea] (2r) Poy che Amigo mio sufficientemente avemo ponuto lo prohemio [in interlinea] (3r) la sempia solutione de la continuitade è quella in la quale non è perditione de la substantia [in interlinea] (3r) ella è da fir mondificata cum panno [in interlinea] (4v) al se comenzi sempre da lo loco infirmo de sotto [nel margine destro e con richiamo nel rigo] (5r) como dice Galieno in li Tegni, zoè quello libro che a xì nome [nel margine destro] (5v) Perché li nervi sono creati de materia frigida humida [nel margine destro e con richiamo nel rigo] (9v) el vene per la malicia sua de la complexione [in interlinea] (13r) la sua intentione si è a fare quello che se recoglie de lo sangue, zoè che lo nutrimento se apozi [in interlinea] (14v) al non passi molto lo primo grado [in interlinea] (14v) E sapia che questi unguenti debeno fir administrati in li piagi [nel margine sinistro] (18r) alcuna volta passa a lo profundo [in interlinea] (20r) in quello osso fiza facta la perforatione [in interlinea] (21r) Anchora dice de quelli homini che più tosto reciveno restauratione de li ulcerationi [nel margine destro e con richiamo nel rigo] (23r) scorzi de incenso, litargiro, fiori de papavero ruffo, zoè rosso [in interlinea] (23v) Et alcuna volta quella sanie, zoè marza, corre [nel margine destro] (26v) mandi dentro alcuna de li prediti aqui fina a lo profundo [in interlinea] (27r) fa’ quello cum ogni tua diligentia overo senza dispositione [nel margine sinistro] (27r)

Va infine rilevata la saltuaria presenza nel testo di brevi spazi bianchi, destinati a essere colmati da una o al massimo due parole. Ne riporto l’intera casistica,

100 

 3 La Chirurgia magna in volgare

ridotta a soli quattro esempi, segnalando con tre asterischi la posizione dello spazio bianco: a) b) c) d)

ma quando ella serà in li altri logi, como è *** [lat.: in carnosis], alora basta una volta in lo inverno e doy in la estate (5r) se al serà necessario ge fiza ponuto polvere de sumac***, de mumia, e de bolo armeno (33r) subito ge pone lo emplastro confecto de polvere de molino o de farina de sisamo, zoè ***, cum clara de ovo (38v) contra lo dolore de li membri de sopra fiza lo cauterio sopra lo nodo de lo pede *** da la parte de fora (73r)

Nel passo a) siamo chiaramente dinanzi alla mancata traduzione del corrispettivo latino in carnosis, che peraltro non doveva creare particolari problemi di comprensione né al volgarizzatore né all’eventuale copista del manoscritto: se crediamo all’autografia del testimone, lo spazio bianco sarà allora da attribuire a una lacuna già presente nell’antigrafo latino, o quantomeno a una mancata comprensione del testo (indotta da cause materiali) da parte del volgarizzatore, il quale preferisce pertanto tralasciare il singolo punto, verosimilmente con l’intenzione di ritornarvi in seguito. Al contrario, se avessimo a che fare con un apografo, l’eventuale lacuna (o, quantomeno, la presenza di qualcosa di non perfettamente leggibile) andrebbe presupposta nell’antigrafo volgare da cui B è stato copiato. Ben diversa appare la situazione degli altri tre casi, nei quali lo spazio bianco non costituisce una lacuna rispetto al contenuto del testo latino: nel passo c), infatti, a mancare è evidentemente la parola che avrebbe dovuto svolgere il compito di glossa lessicale (introdotta dalla consueta congiunzione zoè) di sisamo; in b) e d), invece, lo spazio vuoto segue immediatamente due termini di comprensibilità tutt’altro che scontata, come sumac (‘pianta appartenente alla famiglia delle Anacardiacee: Rhus coriaria L.’; cf. glossario s.v. sumac) e nodo de lo pede (‘malleolo’: traduzione della corrispondente locuzione latina nodus pedis; cf. glossario: nodus pedis s.v. nodus), uno afferente alla terminologia specialistica botanica e l’altro a quella anatomica. È perciò verosimile che il volgarizzatore stesso abbia deciso di lasciare uno spazio bianco in previsione della futura aggiunta di glosse lessicali le quali, tuttavia, non furono più integrate nel codice; è evidente, però, che la questione sia destinata a rimanere aperta (tanto più in assenza di testimoni imparentati con B), dal momento che una tale lettura può essere facilmente ribaltata, attribuendo dunque al copista di B (da concepire come persona diversa dal volgarizzatore Andrea Cirambello, ma anche come presenza molto attiva nell’approntamento del codice) l’inserzione di spazi bianchi in corrispondenza di quelle parole che, al momento della

3.1 Testimoni 

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copia, dovettero risultargli estranee o quantomeno bisognose di un chiarimento lessicale. In definitiva, rimane molto complicato presupporre, in maniera certa e definitiva, la figura di un volgarizzatore (Andrea Cirambello) il quale, dopo aver vergato il testo sul ms. B, vi ritorna appondendo correzioni di diversa natura (anche confrontando un diverso antigrafo latino); in caso contrario, bisognerebbe di certo ipotizzare la presenza di un copista che, alla luce di una preparazione e di un interesse certamente poco comuni, interviene sulla traduzione appena vergata, eliminando non solo la quasi totalità degli errori di copiatura, ma dedicandosi anche a scelte di carattere formale e stilistico.

3.1.4 La famiglia settentrionale (L = Lucca, Bibl. Comunale, 1628; F1 = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. 507; Bre = Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, A._IV.15) e il ms. F2 = Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2228 (S.IV.12) Come anticipato, costituiscono una famiglia i mss. L, F1 e Bre, F2, i cui rapporti e la cui localizzazione saranno da approfondire in futuro: basti qui osservare come, alla restituzione di un testo complessivamente molto vicino, si aggiunga la presenza di guasti testuali comuni: in particolare, si nota un’ampia lacuna nel cap. VI (libro I), che cade quasi completamente (in corrispondenza di Hall 1957, 47, 2–49, 19). Tutti e quattro i testimoni conservano poi un identico saut du même au même all’interno del cap. XII (libro I) (cf. Tabella 2).38 Il salto sarà avvenuto tra la prima e la seconda occorrenza, a breve distanza, della parola polso: alla resa di pulsu carentes con ┌che non hanno polso┐, infatti, sarà corrisposta quella di pulsatiles con ┌che hanno polso┐ (al quale sarà da riferire anche la successiva glossa ┌cioè che batte┐). Un altro elemento comune, di diversa natura, è costituito dall’inserimento, alla fine del cap. XIII (libro I), di una ricetta non appartenente alla tradizione latina e ai restanti codici volgari della Chirurgia (cf. 3.3.2); analogamente, un forte punto di contatto tra i quattro testimoni è offerto dall’introduzione di diverse rubriche assenti nel testo latino  (cf.  3.2): ricordiamo qui soltanto la scissione del paragrafo De palpebra (cap. I, libro II) in due diverse sezioni, ognuna segnalata da una rubrica indipendente:

38 Per i mss. L, F1 e Bre, all’interno di parola sciolgo sempre come m il titulus davanti a p e b indicante la nasale.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Tabella 2: Un caso di saut du même au même nella famiglia settentrionale. Hall (1957, 75)

Nam venarum aliae sunt pulsu carentes et sunt facilioris curationis et minoris timoris, aliae pulsatiles quae dicuntur arteriae, et sunt contrariae illarum

L (18v)

de li veni alcuni sono che no àno polso, zoè che bate, e questi sono li artarie, che sono de più dificile curatione e di maiore tema

F1 (18r)

de le vene alchune sono che non ànno polso, zoè che bate, e queste sono le artarie, chi sono de più difficile curatione e de maiore tema

Bre (25r)

da le vene alcuni sono chi non àno polso, zoè che batte, e queste sono le artarie, chi sono de più difficile curatione e de maior thema

F2 (144v)

delle vene alcuni sono che non hanno polso, coè che bacte, e queste sono l’artarie che sono di più dificile curatione et de magore tema

Tabella 3: Un caso di innovazione nella struttura del testo. Edizione Hall (1957)

De palpebra

L

F1

Bre

F2

De la cura de la granela che apare in de l’ogio (49r)

De la cura de la granella chi apare in de lo ogio (49r)

De la cura de la granella chi apare in de l’ogio (69v)

Capitolo della granella che apare nel’ochio (169v)

De la cura de la palpebra inversada (49r)

De la cura de la De la cura de la Capitolo della palpebra inversata palpebra inversata palpebra roversata (49r) (69v) (169v)

Il ms. L presenta poi delle lacune ulteriori: alla fine di c. 26r (lacuna dovuta, con ogni probabilità, alla caduta di una carta nell’antigrafo o comunque in un esemplare da cui L dipende più direttamente), che rende così mutilo il contenuto del cap. XV, libro I; analogamente, manca in L anche la breve rubrica dedicata alla cura della patologia denominata sebel, che è invece conservata in F1 e Bre e F2. Non si è potuta finora condurre un’analisi linguistica dei codici, la cui fisionomia comunque si presenta, a un primo sguardo, di particolare interesse: i tre testimoni settentrionali, infatti, provengono chiaramente da aree diverse, seppur non distanti tra loro. In particolare, L è probabilmente di area veneta (per Del Guerra 1937, 210 «il codice è scritto in dialetto veneto e forse da un padovano»); di area lombardo-occidentale si presenta invece il ms. F1; infine, per il ms. Bre è possibile determinare una collocazione precisa del luogo di realizzazione (Borgo San Donnino, odierna Fidenza), grazie

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alle informazioni lasciate dal copista, ma non sulla lingua, per la quale sarà invece necessario condurre esplorazioni mirate. È qui importante sottolineare la notevole circolazione, in zone contermini dell’Italia settentrionale, di un volgarizzamento sul cui punto di irradiazione potrebbe fornirci delle informazioni determinanti proprio il suddetto ms. Bre (cf. infra). Dovendo prescindere da una trattazione approfondita, ci limiteremo in questa sede a una breve descrizione dei codici, evidenziandone alcuni aspetti salienti di accordo e di discordanza, non sufficienti, tuttavia, per formulare ipotesi certe sulla natura dei loro legami: Ms. Lucca, Biblioteca Comunale, 1628 (= L): XV secolo, codice miscellaneo cartaceo, mm. 285 × 200, cc. 114; testo disposto su 39 righe in ogni pagina, in una sola colonna; rubriche d’inchiostro rosso. Rilegatura moderna (probabilmente ottocentesca) in cartone e costola di pergamena, sulla quale sono apposti due pezzi di cuoio riportanti in lettere dorate il numero del manoscritto. Il codice è appartenuto in epoca recente a un tale Pera, da identificare probabilmente con l’Arcivescovo Pietro V Pera di Lucca, eletto nel 1845 e morto l’anno successivo. In fondo alla prima carta, si legge il nome di Aless.dro Padovani, che ne fu proprietario nel corso del XVI secolo; in alto, invece, si legge il titolo Cirogia di maestro Berno Longoburgisse (sic!) apposto probabilmente dallo stesso Alessandro Padovani. Bibliografia: Del Guerra (1937, 207–210); Kristeller (1963–1992, I, 257); Ceccarelli/Manara (1964, 13–14); Chelini (1969, 15); Focà (2004, 64); Adorisio (2006, 44).

Contenuto: – cc. 1r-75r Chirurgia volgare di Bruno (cf. infra per incipit ed explicit). Dalla c. 56v va segnalata una lacuna (dovuta alla caduta di tre carte) fino a c. 60r, corrispondente ai capp. VI-X del libro II; Richiami: a la fiada (20v), ulceratione (30v), cossa (40v), mira (50v), parte (60v), che lo si (72v) Maniculae: 20v

– –

c. 75v: serie di ricette, vergate da mano cinquecentesca; cc. 76r-85r: Pratiche di medicina di Giovanni da Parma, il cui incipit è: Comenza la praticha de magistro Iohane da Parma. Prego che molti di miei amici m’àn pregato che se ge voia dare in scripto brevemente li segni de zaschun humore chi abunda in de li medesimi, digestive, evacuative sempie e conponude, li quali li medesimi usano comunamente. E perzò ò cognosudo esser bon e specialmente a li grossi da fir introduti in pratica, perzò ò condeseso a le soe pregerie.

104  –

 3 La Chirurgia magna in volgare

cc. 85v-103v: Trattato de’ veleni di Pietro d’Ebano (sic!), il cui prologo si trova c. 87r e segue l’indice generale degli argomenti: Qui se comenza il prologo. Al reverendissimo in Cristo padre e signore messer J. Per la divina providentia summo pontifico, Pietro d’Ebano, minimo medego, cum devotione manda la presente scriptura. Io abiando conceputo de obedire segondo el mio podere, sì per satisfare alla vostra peticione, sì per pagare il mio debito e azò ch’el sia auto servatione del nostro corpo e accresimento de sientia, scriverò a la sanitade vostra uno tratado de veneni, avegnadio che breve.



cc. 103v-114v: ricette per lo più di carattere superstizioso, che giungono fino alla fine del codice, la cui ultima carta è di mano più tarda (XVI sec.?).

Ms. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. 507: sec. XV, codice cartaceo, mm. 296 × 202, cc. 79 numerate modernamente; una numerazione antica (caratterizzata però da un errore, per cui viene contata fin dai primi fogli una carta in meno) non è più leggibile in molte carte a seguito di un ismarginamento. Scrittura calligrafica; rubriche d’inchiostro rosso; le lettere capitali di inizio capitolo non sono mai realizzate (caratteristica che accomuna il presente codice al ms. F2): in corrispondenza della loro posizione lo spazio è stato lasciato in bianco; presenza di alcune note marginali apposte verosimilmente da mano diversa da quella che ha copiato la Chirurgia di Bruno. L’indice generale dei capitoli è copiato alle cc. 76r-77v, alla fine dell’intera opera, e riporta anche i numeri di carta relativi ai singoli paragrafi: dell’indice mancano tuttavia due carte, motivo per cui esso è mutilo di buona parte delle rubriche appartenenti al libro II (dal cap. X fino alla fine). Bibliografia: Palermo (1853–1858, 68); Russo (1962, 66: ma con la collocazione erronea Palat. 50); Focà (2004, 63); Adorisio (2006, 39).

Contenuto: –

c. 1r-75r: Chirurgia volgare di Bruno (cf. infra per incipit ed explicit); Richiami: convenibola (10v),39 segondo (20v), sovra (30v), overo (40v), recive (50v), se resolvisse (60v), tu li fazi (70v)

39 La prima parola della carta successiva è convegnivola (11r).

3.1 Testimoni 



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cc. 78v-79r brevi ricette medicinali, di mano diversa e più tarda dalla precedente.

Ms. Brescia Biblioteca Civica Queriniana, A._IV.15:40 sec. XV; codice cartaceo, mm. 300 × 205, cc. IV + 120 + III (bianche le cc. 115v-118v); guardie cartacee, fascicoli legati; a c. 107r si appone la data del 15 aprile 1464; numerazione antica 1–117 nell’angolo superiore destro, in numeri romani; rubriche e segni di paragrafo in inchiostro rosso e azzurro; iniziali filigranate in rosso e azzurro; legatura recente con piatti in cartone ricoperti di cuoio. Scrittura gotica e semigotica, di due mani: A (cc. 1r-108v, copista Giovanni Ferrando), B (109r-114v, scrittura semigotica, copista Gabriele Bianchi). L’indice generale dei capitoli si trova all’inizio del codice (cc. Ir-IIIv), e riporta anche il corrispettivo numero di carta in cui un dato paragrafo è collocato all’interno del manoscritto. Bibliografia: Marchioli/Pantarotto (2008, 14).

Contenuto: –

cc. 1r-107r: Chirurgia volgare di Bruno (cf. infra per incipit ed explicit); va segnalata una lacuna, probabilmente dovuta al salto di una singola carta nell’antigrafo, in corrispondenza del testo latino che va da Hall (1957, 15: Est enim vulnus...) fino a Hall (1957, 18: aut tantum ab accidentali). Il passo che risulta qui mancante è però restituito sia da L sia da F1. Richiami: recive (10v), dovesse (20v), elli se (30v), Lo capitulo xvj (40v), de lo infirmo (50v), che avegna (60v), de una (70v), como è (80v), in de lo fidego (90v), tanto più è (100v)



cc. 107v-108v: ricette in volgare, una delle quali attribuita a un tal messer Iohanne Milione: //107v// Ad dentes tremulantes firmandos

40 Per la descrizione del codice, cf. la scheda, basata a sua volta su quella realizzata da Marchioli/Pantarotto (2008), presente alla pagina web di Manus-online, dove sono direttamente consultabili anche le riproduzioni digitali del codice (http://manus.iccu.sbn.it//opac_SchedaScheda.php?ID=225720).

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Recipe folie de olive, folie de nespoli, folie di pire salvatiche, ana onza meza, tritale uno puocho, fale bulire in tre bochali de vino negro vermiglio, tanto ch’el se consuma la medietate e serva per usare. To’ de questo vino in bocha e lavate li denti molto bene tenendo el dicto vino in bocha [...].





cc. 109r-114v: Liber receptarum, opera di Gabriele Bianchi, come recita la rubrica iniziale (Incipit liber receptarum mei Gabriellis de Blanchis fillius magistri Iovannis Philippi), cui segue una lista d’ingredienti singoli e poi di vere e proprie ricette, introdotte, come di consueto, da Recipe; cc. 113r-115r: Antidotarium vel summa collecta receptarum, da attribuire verosimilmente allo stesso Gabriele Bianchi autore del breve ricettario precedente: //113r// Incipit opuscullum seu antidotarium vel summa collecta receptarum summorum et excellentissimorum vivorum Avicenne domini Petri de Argellata, Bruni Longoburgensi et Guielmi Placentini de Salliceto et alliorum vivorum daprissimorum quorum opusculla nostris temporibus adsunt et in unum collecta per me Gabriellem de [Blanchis].

Il ms. Bre, come anticipato, conserva informazioni rilevanti sulla storia del volgarizzamento che potrebbe essere alla base della tradizione cui Bre afferisce, insieme a L, F1 e F2. In particolare, a c. 107r, il testo si conclude con una sottoscrizione appartenente, come appare chiaro, all’antigrafo da cui Bre è stato copiato: Qui se finisse per la gratia di Dio la Cirogia de magistro Bruno Longoburgese, finita per quello al anno dela incarnatione del nostro signor Dio M°CC°LII de lo mise de zenaro e scripta e asempiata e finita in Crema per Bonadeo di Tirabuschi de Serina in lo anno chi core M°CCCC°LV a dì IIII° del mise de decembro. Lo quale libro de cirogia magistro Francischo cyroycho de Honita scrivere me l’à fato ad honore di Dio e dela sua madre virgine Maria e de tuta la corte celestiale e de san Donino padre Borgesso. Amen. Deo gratias Amen.

L’ultima riga di c. 107r è poi occupata da un’ulteriore sottoscrizione, che ci rivela il nome del copista di Bre: Yohannes de Ferandis scripsit. A c. 107v, lo stesso copista appone una nuova sottoscrizione, dichiarando anche il nome del suo committente: Questo libro si è sta facto de l’anno del 1464 acomenzando al mezo meso de aprilo in fina per tuto el meso de mazo per mi Zohanno Ferando, in casa del reverendissimo misero don Zohanno de Methe preposito de Borgo san Donino, el quale sia fato a honore e reverencia de Dio e de la soa madre Madona sancta Maria e de la corte celestiale e del beato miser sam Donino e a utilitate de maistro Zohanno barbere Bianchi e di soi che àno a vegnire.

3.1 Testimoni 

 107

La situazione, pertanto, sembra ricostruibile come segue: Giovanni Ferrando è il copista A del ms. Bre. La trascrizione della Chirurgia bruniana è stata esemplata tra l’aprile e il maggio del 1464 a Borgo san Donnino (odierna Fidenza), «in casa del reverendissimo misero don Zohanno de Methe preposito de Borgo san Donino», ed era indirizzata all’ «utilitade de maistro Zohanno barbere Bianchi e di soi che àno a vegnire». Il destinatario e fruitore del volgarizzamento fu il maistro barbere Giovanni Bianchi; il figlio di questi, Gabriele, rappresenta invece il copista B del codice: probabilmente medico come il padre, egli è l’autore dei brevi ricettari che occupano le carte succesive alla Chirurgia. Se il codice è stato certamente approntato in area emiliana, la lingua del testo potrebbe ancora rimandare alla Lombardia: il copista Giovanni Ferrando, infatti, non sarebbe il Giovanni Ferrandi, abitante di Fidenza (luogo d’origine del codice) e noto come rogatario di un atto del 1422 conservato all’Archivio Notarile dell’Archivio di Stato di Parma (rogito di Antonio Busati, 9 giugno 1422); Marchioli/Pantarotto (2008, 14), anche su base paleografica, lo identificano piuttosto con un Giovanni Ferrando professore di diritto civile, attivo a Treviglio (Bergamo), al quale si deve anche la copia degli Statuta castri Trivilli (1448), conservata all’Archivio di Stato di Milano, nel Fondo Notai incerti, Famiglie, 46. Non è sicuro, invece, se si tratti dello stesso Giovanni Ferrando, «professore di grammatica, umanista, amanuense e libraio, noto come padre del più celebre Tommaso Ferrando, prototipografo bresciano» (Marchioli/Pantarotto 2008, 14). Ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2228 (S.IV.12): inizio XVI sec. (1506); codice cartaceo miscellaneo, mm. 290 × 210; cc. 199; legatura moderna in tutta pergamena; testo disposto su 44 righe in ogni carta; la numerazione antica, apposta su tutte le carte del codice dalla mano responsabile della copiatura, passa da 78 a 80, motivo per cui a partire da c. 80 presenta sempre un numero in più rispetto alla cartulazione moderna (qui di seguito, nell’indicazione delle carte ricorriamo alla numerazione antica); i titoli di capitolo sono quasi sempre allogati nei margini delle carte. Codice miscellaneo copiato sempre dalla stessa mano e contenente varie opere scientifiche, non solo di carattere medico, ma anche astrologico e alchemico; sono bianche le cc. 74v-77v, così come le cc. 82r-83v e le cc. 115r-130v. La presenza di testi volgari al fianco di altri in latino lascia ipotizzare l’alto livello culturale del copista, che del codice fu verosimilmente anche il diretto fruitore; la Chirurgia volgare di Bruno è l’ultimo testo trascritto all’interno del manoscritto. Il codice ha in comune con F1 la mancata realizzazione di tutte le lettere capitali che segnano l’inizio dei capitoli.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Contenuto: – cc. 1r-15r: Trattato anonimo di astrologia in volgare; – cc. 15v-21v: Astronomia Ipocratis in latino; – cc. 22r-53r: Trattato anonimo di alchimia in volgare; – cc. 53v-65v: Ricette mediche (i primi capitoli sono dedicati rispettivamente: A curare el cancro; A uccidere le male bolle; Alla quartana; A testa e a ossa rotte; A uccidere ongni cattivo malo; ecc.); – 66r-70r: Trattatello di medicina tradotto dal francese in fiorentino: Questo libro parla di medicine e della natura delle gienti secondo i detti de’ filosafi di fisica, non p(er) maljtja rimuovere, ma p(er) sanità guardare, tr(a)slata di francioso in volgare fiorentino; – cc. 71r-74r: Trattato Questi sono i secreti come sta el corpo della fem(m)ina; – cc. 78r-78v: Ricette mediche e altri rimedi in volgare e in latino; – c. 81r: La ragione dell’oppera di Pittagora (con disegno astronomico dei giorni della settimana); – c. 81v: disegno di una mano con osservazioni di cartomanzia; – cc. 84r-87r: Ricette in volgare; – cc. 88r-111r: Testo anonimo di alchimia in volgare; – cc. 111v-114v: Ricette di Johannes Mesue in volgare. – 131r- 191r: Chirurgia volgare di Bruno; Maniculae: 136r, 138r, 139r, 140r (2), 141r, 142r, 148v, 149v, 156v, 179v, 187v



cc. 191r, 6–194v: breve testo anatomico in volgare, che funge da appendice ad alcune nozioni chirurgiche del volgarizzamento bruniano e che presenta il seguente incipit: Da poi che abiano finita l’opera e trattato di cerusia, nicessaria cosa si è trattare della notomia. [A]vengnia che sia promesso a terminare della notomia, per l’amoe di ciò la ’ntentione nonn è da computare tutte le menbra particularmente, avengnia dio che gl’antichi si sforçassono dividere e computare membra particulari ongnuno per sé, e avengnia che di necessità ne conviene essere contenti che i membri sempici non si possono ramificare né dividere in infinito. Conciosiacosaché ongni menbro sia compiuto e habia fine per amore di cià ne’ loro sengni overo luoghi anco nelle loro magoe parte de’ menbri [...]. Bibliografia: Lami (1756, 257); Elsheikh (1990, 56); Adorisio (2006, 40).

3.1 Testimoni 

 109

La sottoscrizione finale del codice, riportata nell’explicit sovrastante, ci riconduce con un buon margine di sicurezza a Firenze: la lingua del testo (e anche degli altri presenti nello stesso manoscritto: cf. la presenza del trattatello medico alle cc. 66r-70r, descritto come opera traslata di francioso in volgare fiorentino), inoltre, pur necessitando di indagini specifiche, è sicuramente di area toscana e mostra tratti sostanzialmente compatibili col fiorentino quattro-cinquecentesco (per quanto non manchi qualche traccia della probabile dipendenza del testo da un sostrato marcatamente settentrionale, come testimoniano alcune isolate conservazioni di forme verbali come fia, fiano, derivate chiaramente dall’uso passivante del verbo fire, regolare negli altri codici). *** Per un’ipotesi sull’origine del volgarizzamento originale alla base dei quattro testimoni diviene chiaramente decisiva l’interpretazione da applicare alla prima delle due sottoscrizioni riportate dal ms. Bre: bisogna chiedersi, cioè, se la versione «scripta e asempiata e finita in Crema», giusto qualche mese prima (4  dicembre 1455) rispetto a quella conservata in Bre, sia a sua volta solo un apografo del volgarizzamento originale, o se al contrario essa rappresenti l’archetipo alla base della famiglia settentrionale brevemente presentata in questo paragrafo. L’unica certezza resta per il momento quella che lega il ms. Bre con un esemplare realizzato poco più a nord (Crema) da un tal Bonadeo de Tirabuschi de Serina (originario dunque della Val Serina, a nord di Bergamo) per conto di un magistro Francischo cyroycho de Honita. La diversa provenienza dei testimoni, unita ai problemi d’identificazione del copista di Bre, ben testimoniano, ad ogni modo, la vitale circolazione del nostro volgarizzamento (e degli uomini che ebbero occasione di riprodurlo e possederlo) in aree periferiche dell’Italia settentrionale, dove la traduzione dovette essere con ogni probabilità realizzata, prima di veder allargato il proprio raggio d’azione sino alla Toscana (ms. F2). Nelle due tabelle sottostanti poniamo a confronto rispettivamente l’incipit e l’explicit della Chirurgia nei tre testimoni settentrionali e nel ms. fiorentino F2: se ne ricava una sostanziale sovrapponibilità, caratterizzata però (e ciò andrà accuratamente indagato in altra sede), oltre che da una distinta caratterizzazione grafico-fonetica, anche da qualche minima variante testuale e da alcuni errori di copiatura:

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Incipit: Tabella 4: Confronto dell’incipit. L

F1

Bre

F2

//1r, 1// Pregasti mi zà fra molti o tu Andrea Vicentino, venerabile mio amico, che io a ti soto breve e claro sermone in della medichatione della scientia de cirogia uno libro descrivisse, coleto che sia e cernuto da li dicti di doctori gloriossimi, zoè Galieno, Avicena, Almansore, Albucasim et alii e ancora da li ditti de li altri antissi homini savi. E io in veritade avegnia per grandissime vesende a ti longeza granda de tempo fin a qui t’abia fatto, non per mia voluntade, secondo che bene à cognosudo colui che dicerne e discute tutti li secreti, no circhai de inganare el to’ desiderio, ma io cum granda aviditade quello in ti eser complito ò molto desiderato.

//1r, 1// [T]u me pregasti zà fu molti o tu G. di P., venerabile amico mio, che io a ti sotto breve e claro sermone in de la medicatione de la scientia de la cirogia uno libro descrevisse colleto chi sia recivuto da li ditti de li doctori gloriosissimi Galieno, Avicena, Almansore, Albugasim e Alby e anchora da li ditti de li altri antiqui homini savii. E io in veritade avegnia che per grandissime vesende a ti longeza grande de tempo fin a qui t’abia fatto, non per mia voluntade, segondo che bene à41 cognosuto coluy chi discerne e discute tute le secrete, non circhay de inganare el tuo desiderio, ma eio con grande aviditade quello in ti esser complito ho molto desiderato.

//1r, 1// Tu me pregasti zà fa molti dì o tu Francisco de Honita, venerabille amico mio, che eio a ti sotto breve e claro sermone in de la medicatione de la scientia de la cirogia uno libro descrivesse coleto chi sia e cernuto da li dicti de li doctori gloriosissimi Galieno Avicena Almansore Albugasim et Ally e ancora da li dicti de li altri antiqui homeni savi. E eio in veritade avegna che per grandissimi vesende a ti longeza grande de tempo fin a qui t’abia fatto, non per mia voluntade, secondo che bene à cognoscuto coluy chi dicerne e discute tuti li secreti, no circhay de inganare el tuo desiderio, ma eio cum grande aviditade quello in ti essere complito ò molto desiderato.

//131r, 1// In Christo nomini Amen. [P]regasti me già fa molti dì Andrea Vicentino, venerabile mio amico, che io a tte sotto breve e chiaro sermone nella medicatione della sciençia di cerusia uno libro che io scrivesse coletto che sia cernuto dalli detti delli dottori gloriosissimi, coè Galieno, Avicenna e Iopocras, Almansore, Albucasim e Alli e ancora dalli detti de li altri antichi huomini savi. E io in verità avengnia che per grandissime faccende a tte longheça de tempo infino a qui t’abbia fatto non per mia volontà, secondo che bene à conosciuto colui che decerne e deschrive tutti e’ secreti, non cercai de inganare lo tuo desiderio, ma io con grande sollecitudine quello in te essere adempiuto ò molto desiderato.

41 Ms.: o.

3.1 Testimoni 

 111

Explicit: Tabella 5: Confronto dell’explicit. L

F1

Bre

F2

//74v, 33// Anchora fiza fato stranutare lo infirmo co la polvere de lo castoreo e de lo pivere butadi in de lo naso. Anchora fiza metudo lo infirmo in de lo bagnio secho e per longo tempo sudi in quello e co lo unguento fiza unto. E quando tuto questo serà fato, fiza menato a lo leto, e quando elo arà in pocho reposato, anchora intri in lo bagnio e così dina zò fi fato che elo si guarisi se a Deo piaserà. //75r// Anchora intra li soy denti fiza metudo alchuno legnio azò che quando vegniesse lo movimento involuntario de li denti per la stritura de queli, la lengua no se offendesse. E fiza guardato che lo fregio no lo tochi e vegnia per questo accendente pezore che no fo lo primo. Finisse qui per la gracia de Dio Cirogia de Magistro Berno Longoburgisse finita per quello a l’anno de la incarnacione del nostro Signore Dio MCCLIJ del mise de zenero. Amen. 42

//75r, 4// Ancora fiza fato strenudare lo infermo co la polvere de lo castorio e de la polvere butadi in de lo valo. Ancora fiza metudo lo infermo in lo bagnio secco e per longo tempo sudi in quello e co lo unguento fiza uncto. E quando tuto questo sarà fato, fiza menato allo leto. E quando el avrà un poco reposato, ancora intra in lo bagnio e tanto questo fiza fato ch’el guarissa se a Dio piaserà. Ancora intra li soy denti fiza metudo alcuno legnio, azò che quando vegnisse lo movimento involuntario de li denti, per la stretura de quelli, la lingua non se offendesse. E fiza guardato che lo ferro no lo tochi e vegnia per questo accidente pezore che non fo lo primo. Laus deo.

//107r, 5// Ancora fiza fato stranudare lo infirmo co la polvere de lo castorio e de lo pivero butadi in de lo naso. Ancora fiza metudo lo infirmo in de lo bagnio secho e per longo tempo sudi in quello e co lo unguento fiza uncto. E quando tuto questo serà fato, fiza menato a lo leto e quando el averà uno poco repossato, ancora intri in de lo bagno e così dina zò fiza fatto che ello si guarisse se a Dio piacerà. Ancora intra li soy denti fiza metudo alcuno legno, azò che quando vegnisse lo movimento involuntario de li denti per la strictura de quelli, la lingua non se offendisse. E fiza guardato che lo fredo no lo tochi e vegna per questo acadente pezore che non fo lo primo. Qui se finisse per la gratia de Dio la cirogia de Magistro Bruno Longoburgese finita per quello a l’anno de la incarnatione del nostro Signor Dio MCCLIJ de lo mise de zenaro.43

//190v, 37// Item sia fatto starnutire con la polvere del castoro e del pepe messo nel naso. Item sia messo lo ’nfermo nel bangnio seccho e fatto sudare e unto con l’unguento detto di sopra. E quando tutto questo sarà fatto, sia messo al letto, e quando sarà alquanto riposato, di nuovo entri nel bangnio e così facciendo guarirà se a Dio piacierà. Ancora intra sua denti sia messo alcuno lengnio acciò che, quando venisse el movimento involontario de’ denti non si noiasse la lingua. E guardisi che el freddo //191r// non la tochi et venisse pigore accidente che el primo. Finiscie qui per la gratia de Dio la cirosia di Maestro Bruno Longoburghese, finita per quello l’anno della incarnatione di nostro Signore Yesu Christo MCCLIJ del mese di gennaio, e scritta e finita in Firençe l’anno MDVJ a dì v di febraio a ore iij di notte per me Miniato di Mario di Baldese.

42 L’explicit è seguito da una riga, probabilmente di diversa mano, dove si legge diacurcuma maiore per descriptione de Mesue, alla quale, però, non segue alcuna ricetta.

43 Segue la sottoscrizione («e scripta e asempiata e finita in Crema [...]») di cui si è parlato: cf. supra.

112 

 3 La Chirurgia magna in volgare

I due brevi passi riportati consentono già di formulare qualche osservazione sui rapporti fra i quattro testimoni: nella frase incipitaria, soltanto Bre (Tu me pregasti zà fa molti dì) e F2 (Rogasti me già fa molti dì Andrea Vicentino) restituiscono una lezione aderente a quella latina (Rogasti me iam est diu),44 mentre in F1 (dove manca il sostantivo dì per avere una resa corretta del passo) e soprattutto in L si perde il valore dell’avverbio latino diu (F1: Tu me pregasti zà fu molti; L: Pregasti mi zà fra molti); significativa del più stretto rapporto tra L, Bre, F2, è poi la lezione dotta cernuto al cospetto di F1 (recivuto),45 per rendere il lat. exceptum; ancora, è un evidente errore per aplologia la forma gloriossimi di F1 (lat. gloriosissimi). È soprattutto F2 a presentare alcuni elementi di disaccordo rispetto al resto della tradizione: la lezione sollecitudine al cospetto di aviditade di L, F1 e Bre; longheça de tempo, senza l’accompagnamento dell’attributo grande, presente invece negli altri tre testimoni; deschrive al posto di discute, che anche in tal caso è lezione comune agli altri tre codici. Nell’incipit di F1 e Bre si nota poi un certo processo di adattamento alla situazione contingente, per cui alla lezione Andrea Vicentino di L e F2, che continuano l’originale, si oppongono le dediche a G. di P. (F1) e a Francesco de Honita (Bre).46 Anche nell’explicit si registra qualche punto degno d’interesse: per quanto concerne le innovazioni rispetto alla struttura originaria, va anzitutto rilevato come tre (L, Bre e F2) dei quattro codici conservino una minima parte dell’epilogo originale (del tutto assente, come si è visto, in V e B: cf. 3.1.2 e 3.1.3), che qui consiste essenzialmente nel solo riferimento all’anno di realizzazione dell’opera e al nome di Bruno con relativo etnico; F2 vi aggiunge l’indicazione del luogo e del momento di allestimento della traduzione da esso conservata (Firenze, 1506); il solo ms. F1 sopprime del tutto la sottoscrizione originale. Sotto il profilo delle varianti testuali, al lat. frigus dell’originale corrispondono fregio in L, fredo in Bre, freddo in F2, laddove F1 presenta la variante errata ferro. Analogamente, in F1 si osserva l’errore (per ripetizione) polvere, mentre L, Bre e F2 hanno rispettivamente le lezioni corrette pivere, pivero e pepe. La lezione accendente di L (74v; lat. accidens), invece, è rappresentata in Bre da una variante a sua volta molto dubbia come acadente (di cui non si ha nessuna attestazione nel corpus OVI): F1 offre al contrario la forma corretta accidente. Proprio in F1, invece, valo sarà un errore di lettura da parte del copista (naso > valo: n letta come v e s come l), laddove L, Bre e F2 restituiscono la lezione corretta naso. Gli stessi mss. L e Bre sono congiunti da una lezione probabilmente errata quale dina zò, dove dina sarà da emendare in 44 Per la presenza, nei mss. F1, Bre ed F2 (oltre che nell’editio princeps volgare), di una significativa variante congiuntiva (frutto di un’aggiunta al testo originale) che li accomuna al ms. lat. G, cf. 3.3.1. 45 Cf. la lezione deteriore belle per vile, che accomuna ancora L e Bre poco oltre. 46 Cf. par. 3.1.

3.1 Testimoni 

 113

fina: i mss. F1 rispondono peraltro con due lezioni leggermente diverse da quella degli altri due testimoni (L: così dina zò fi fato che elo si guarisi; Bre: così dina zò fiza fatto che ello si guarisse; F1: tanto questo fiza fato ch’el guarissa; F2: e così facciendo guarirà). Infine, F2 si segnala ancora per la presenza di alcune varianti di minor conto: messo al cospetto di butadi di L, F1 e Bre; analogamente nell’intervento, a carattere morfologico, e guardisi (L, F1 e Bre: e fiza guardato); più significativa la variante non si noiasse la lingua di fronte alle comuni lezioni degli altri codici (L: per la stritura de queli, la lengua no se offendesse; F1: per la stretura de quelli, la lingua non se offendesse; Bre: per la strictura de quelli, la lingua non se offendisse). Offriamo nelle due pagine seguenti un altro breve confronto testuale fra i tre manoscritti, estraendolo dall’interno del volgarizzamento (inizio del cap. VII, libro I) (cf. Tabella 6).47 Nella sostanziale sovrapponibilità dei passi riportati si può osservare più specificamente la presenza della medesima glossa lessicale ┌cioè per botto┐ in corrispondenza del lat. contusio (L: contusione, zoè per boto; F1: contusione, zoè per botto; Bre: contusione, zoè per botto), con un evidente errore di lettura in F2 (per contusione, coè per rotto); da notare è poi la traduzione perifrastica (L: metude co lo taio; F1: metude con lo taio; Bre: metude co lo tayo) del sostantivo tecnico scarpellatio, reso in connessione col precedente cum ventosis: si distanzia in tal caso la versione di F2, che presenta la variante col taglio del rasoio. Nella rubricatura, L e F1 sono accomunati da una lezione deteriore del lat. contusio (L: contesione; F1: contasione): la stessa parola, peraltro, è restituita, nelle righe sottostanti di entrambi i codici, con la forma corretta contusione. Tra gli errori si segnalano poi: vegna in F1 (di contro alle lezioni corrette ogni di F1 e ognia di Bre < lat. omnis), si vede in Bre (di contro a si veda ‘si vieta’ di L e F1 < lat. repugnat), evacitazione ancora in F1 (per evacuatione di L e Bre < lat. evacuetur). Oltre alla diversa resa di scarpellatione, il ms. F2 si segnala per la presenza di altri casi minimi di rielaborazione, come avviene per la variante l’atratione forte, che ha in comune con L (la atractione forte de lo sangue) la conservazione dell’attributo forte, ma si distacca dal resto della tradizione per l’assenza del genitivo de lo sangue (F1: la curatione de lo sangue, dove curatione sarà frutto di un errore di lettura della voce dotta atratione; Bre: la actratione de lo sangue). Alcune varianti paiono poi indirizzate all’aggiramento di ripetizioni e al conseguente alleggerimento dei periodi: in se n’à di bisongno, il ricorso alla particella pronominale ne consente infatti di eliminare la ripresa pleonastica conservata dagli altri testimoni (L: se quello corpo besogna de quele evacuatione; F1: se quello corpo besognia evacitatione; Bre: se quello corpo bisogna de quelli evacuatione). Nella stessa dire-

47 Per altri interessanti raffronti tra i quattro codici, si vedano i passi riportati in 3.3.1.

L

//12r, 26// Capitulo septimo de le piage che fino per contesione. Quando le piage fino per contusione, zoè per boto, sia bene curoso lo medico de quela contusione e de sanare quele piage azò che lo menbro no se corumpa e marcischa. Inperzò che, segondo Galieno, vegna contusione fata in de la carne, de necesitade se convene marcire la quale marza fi trata a la piaga e quela si veda la generatione de la carne e la consolidatione.

Edizione Hall (1957)

CAPITULUM VII. De vulneribus quae fiunt ex contusione. Cum vulnera ex contusione accidunt, non negligatur contusio, et vulnera sanentur ne membrum corrumpatur et putrefiat, quia, sicut dicit Galienus, omnis contusio carnis necesse est putrefieri cuius putredo ad vulnus attrahitur, et carnis generationi et consolidationi repugnat.

Tabella 6: Confronto sinottico del testo.

//15v, 20// Lo capitulo Vij de le piage che fino per contusione. Quando le piage fino per contusione, zoè per botto, sia bene curoso lo medego de quella contusione e de sanare quelle piage azò che lo membro non se corumpa e marcisca. Imperzò che secondo Galieno ognia contusione fatta in de la carne de necessitade se convene marzire, la quale marza fi trata a la piaga e quella si vede la generatione de la carne e la consolidatione.

//11v, 33// Capitulo vij de le piage che fino per contasione. [Q]uando le piage fino per contusione, zoè per botto, sia bene curoso lo medico de quella contusione e da sanare quelle piage azò che lo membro non se corompa e marcisca. Imperzò che secondo Galieno, ogni contusione fata in de la carne de necessitade se convene marcire, la quale marça fi trata a la piaga e quella si veda la generatione de la carne e la consolidacione. o

Bre o

F1

//139v, 31// Capitolo delle piaghe che fieno per contusione. [Q]uando le piaghe fieno per contusione, coè per rotto, sia bene curoso lo medico di quella contusione e di sanare bene le piaghe aciò che le menbra non si corrompa e marcisca. Imperciò che secondo Galieno ongni contusione fatta nella carne di necessitade si conviene marcire, la quale marcia fia tratta alla piaga che vieta la generatione della carne e lla consolidatione.

F2

114   3 La Chirurgia magna in volgare

48 Ms.: ie sema. 49 Ms.: basto.

In curatione autem huiusmodi vulnerum quatuor principaliter requiruntur intentiones; quarum prima est ut evacuetur corpus per flebotomiam et ventris solutionem si indiget illa ut sit adiutorium in alleviatione tumori. Quod si contusio fuerit profunda et totus sanguis coagulatus, tunc flebotomia non sufficit. Verum oportet ut attrahatur cum fortitudine, scilicet cum ventosis et scarpellatione et etiam sanguisugis

In la curatione adoncha de queste piage principalmente quatre intentione se reguere, de quale intentione la prima si è che lo corpo si se vodi per salaso e per medicine se quello corpo besognia de quele evacuatione, zò fi fato per adminuire la inflasone. Ma se la contusione fosse profonda e tuto lo sangue insema cagiato, alora no solamente basta lo salaso, ma anchora è de besognia la atractione forte de lo sangue co le ventose metude co lo //12v// taio. Ancora si è bono a meterge le sansuge.

In la curatione aduncha de queste piage principalmente //12r// quatro intentione si ie requere, de le quale intentione la prima si è che corpo si se vodi per lo salasso e per medesine se quello corpo besognia evacitatione, e zò fi fato per minuire la inflasone. Ma se la contusione fosse profunda e tuto lo sangue insema48 cagiato, alora non solamente basta lo salasso, ma anchora se è di bisogno la curatione de lo sangue con le ventose metude con lo taio. Ancora si è bono a metege le sansuge.

In la curatione adonca de queste piage principalmente quatre intencione sie reguere, de la quale intentione la prima si è che lo corpo si se vodi per salasso e per medesine se quello corpo bisogna de quelli evacuatione, e zò fi fato per mi//16r// nuire la inflaxone. Ma se la contusione fosse profonda e tuto lo sangue insema cagiato, alora non solamente basta49 lo salasso, ma ancora si è de besogna la actratione de lo sangue co le ventose metude co lo tayo. Ancora si è bono a meterge le sansuge.

Nella consolidatione adunque di queste piaghe e curatione, principalmente quatro intentione si richiede, delle quali la prima si è che ’l corpo si vuoti per salasso e per medicine se n’à di bisongno, e ciò si de’ fare per minuire l’enfiatione. Ma se la contusione fosse profonda e tutto il sangue insieme coagulato, allora non solamente basta lo sallasso, ma bisongnia ancora l’atratione forte cholle ventose e col taglio del rasoio e anchora le sanguesughe.

3.1 Testimoni   115

116 

 3 La Chirurgia magna in volgare

zione si muove la frase finale del passo riportato sopra: alla lezione e anchora le sanguesughe di F2, più aderente, peraltro, al testo latino, gli altri tre codici oppongono un periodo più lungo, caratterizzato dall’introduzione di un verbo assente nell’originale (L: Ancora si è bono a meterge le sansuge; F1: Ancora si è bono a metege le sansuge; Bre: Ancora si è bono a meterge le sansuge). Entrambi gli esempi riportati potrebbero ovviamente dipendere già dalla lezione presente nell’antigrafo di F2: quel che ci interessa per il momento rilevare, in ogni caso, è la presenza non saltuaria in F2 di varianti testuali che, seppur esigue, contribuiscono a collocare il codice fiorentino su un piano non strettamente coincidente con quello dei tre testimoni settentrionali. Più in generale, in attesa di analisi ben più accurate della presente, i quattro manoscritti non lasciano ipotizzare l’esistenza di una filiazione diretta (almeno tra due di essi), mentre non sono da escludere contatti orizzontali nei subarchetipi; F2 presenta, come visto, una casistica non irrilevante di lievi interventi testuali che andranno attentamente valutati; L si caratterizza, invece, per una maggiore presenza di lezioni deteriori sconosciute al resto della tradizione. 3.1.5 La Cyrogia di Maistro Bruno (editio princeps in volgare, 1510) L’editio princeps volgare della Chirurgia bruniana ha avuto minore fortuna di quella latina, della quale si sono contate (cf. cap. 1) ben cinque edizioni veneziane. Sempre a Venezia apparve anche la traduzione realizzata presso i tipi di Simone de Luere (La cyrogia di maistro Bruno expertissimo in quella. Tradutta in vulgare), figura rilevante nella nutrita comunità di tipografi di origine bergamasca (Luere è l’odierna Lovere, sulle sponde settentrionali del lago d’Iseo) attivi a Venezia tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento; il frontespizio non specifica, invece, chi sia stato il traduttore dell’opera. Se l’editio princeps latina, come si è visto, è una preziosa miscellanea contenente il meglio della chirurgia medievale tra Duecento e Quattrocento (oltre alle due Chirurgie di Bruno, vi troviamo quelle di Guy de Chauliac, Teodorico Borgognoni, Ruggero Frugardo, Rolando da Parma, Lanfranco da Milano e Leonardo Bertapaglia), la stampa volgare del 1510 è un piccolo libro, di 40 carte, che accoglie la sola Chirurgia magna di Bruno, senza l’accompagnamento del trattato minore. L’edizione si mostra particolarmente rara anche nei cataloghi delle biblioteche contemporanee: il censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo (EDIT 16)50 ne offre appena tre localizzazioni: a) Biblioteca universitaria, Bologna (presente con due esemplari) b) Biblioteca comunale Passerini Landi, Piacenza c) Biblioteca comunale Forteguerriana, Pistoia 50 Cf. la pagina web: http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/imain.htm.

3.1 Testimoni 

 117

Dalle ricerche effettuate, l’esemplare conservato nella Biblioteca comunale di Piacenza è risultato privo delle cc. 38 e 39; è invece dispersa la copia della Biblioteca comunale Forteguerriana di Pistoia. Le due stampe conservate alla Biblioteca Universitaria di Bologna sono state inserite all’interno di raccolte miscellanee contenenti altri trattati medici a stampa: nello specifico, la collocazione A.5. Tab. 1.B.1. 240/6 contiene anche, prima del volgarizzamento bruniano (ultimo testo della miscellanea): Iohannes Iacobi Manni, De malleolorum scarificatione ex veterum sententia, Patavij, apud Paulum Meietum bibliopolam, 1583; Marci Antonii Montagnanae, De herpete, Phagedaena, Gangaena, Sphacelo, et Cancro; tum cognoscendis, tum curandis, tractatio accuratissima, Venetijs, apud Paulum Meiettum, 1589; Apologia Francisci Muratori. Adversus calumniatores therapiae, quam ipse in vulnere brachij cuiusdam sclopeto laesi adhibuit, Bologna, Apud Gio. Bapt. Bellag., 1600; Hieronymi Crassi Utinensis, Tractatus de tumoribus praeter naturam. De solutione continui. De ulceribus, Venetiis, J. Ziletus, 1562. Il secondo esemplare (collocazione A.5 K.K.11 21/12) è stato quasi certamente creato nel corso del Settecento dall’erudito bolognese Ubaldo Zanetti (la cui firma è apposta nel primo foglio di guardia), speziale di professione, e comprende esclusivamente opere in volgare: Recetario di Galieno optimo e probato a tutte le infirmità che acadeno a homini et a donne de dentro et di fora li corpi. Tradutto in vulgare per Maestro Zuane Saracino medico excellentissimo ad instantia de lo Imperatore, stampato in Venetia per Comino de Luere, a dì 10 Zenaro 1512;51 segue la Chirurgia volgare di Bruno; poi: El modo di ordenar le Recette in Cyrogia...secondo lo Almansore e Rasis, In Venetia per Simone de Luere, nella contrada di Santo Cassiano nel 1510 (si tratta del settimo libro, incentrato sulla chirurgia, del famoso Almansore, più volte citato nel corso del nostro lavoro); traduzione della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto, per la quale manca il frontespizio col titolo e il luogo di edizione: dall’explicit, però (Qui se finisse la cirosia de Maistro Guielmo da Piasenza vulgarmente fatta. Anno MCCCCLXXXVI, Die xviiii Decembris) si desume trattarsi della traduzione pubblicata a Brescia nel 1486 (da stampatore anonimo). La lingua della traduzione è caratterizzata dall’abbondante presenza di venetismi (o comunque di settentrionalismi); l’aspetto più interessante in ottica linguistica concerne però la permanenza nel testo di ampi estratti latini dell’opera, la cui rilevanza si coglie soprattutto nelle prescrizioni medicinali (com’è del resto tipico nei testi medici antichi: cf. cap. 5), ma può interessare anche le sezioni

51 Traduzione di enorme fortuna, come attestano le numerosissime edizioni succedutesi nel corso del Cinquecento (cf. pagina web: http://edit16.iccu.sbn.it/scripts/iccu_ext.dll?fn=40&i= 5623&fz=1).

118 

 3 La Chirurgia magna in volgare

più discorsive, come accade nel finale dell’opera (cf. l’explicit sottostante), interamente in latino. Incipit: Incomença la Cyrogia di Bruno de Burgo [sic!] dottore famosissimo. Primeramente sappi che questo libro se parte in due parte. Ne la prima parte insegna li capitoli, ne l’altra distingue li capitoli l’uno da l’altro. Inançi ch’io me voglia extendere in questo libro, voglio dire che vuol dire Cyrorgia. Cyrogia vuol dire arte de le mani a sanare li corpi overo li membri, o per questo modo tu potrai dire Cyrogia si è l’ultimo instrumento ne la medicina. E quando tutte le medicine sono provate, alhora la cyrogia, cioè la operatione de li ferri convengono essere.

Explicit: Sternutatio provocetur cum pulvere castorei, piperis naribus iniecto. Ponatur patiens in balneum siccum, et diu sudet in eo, cum unguento predicto se ungat. Cumque hoc factum fuerit, ducatur ad lectum mollem et bene preparatum, et cum parum requieverit, iterum ingrediatur balneum siccum, et tamdiu sic faciat donec sanatus fuerit, si deus voluerit. Inter eius dentem aliquod lignum locetur, ne cum motus volutaveris52 supervenerit dentium et constrictione linguae ledatur. Et custodiatur ne frigus eum capiat et accidat sibi peior prioribus. In Venetia per Simone de Luere nela contrata de Sancto Cassiano a dì 17 zugno 1510.

È qui significativa la completa omissione del prologo originale, contenente la dedica di Bruno ad Andrea Vicentino (il cui nome è comunque conservato, ma spostato in una breve allocuzione all’inizio del cap. I: «Fratello mio Andrea in questo capitolo començarò per la gratia di Dio a dechiarare gli capitogli sovrascritti»); anche il periodo iniziale appare in forma molto più sintetica, finendo per non chiarire lo scopo (ben esplicitato, invece, nel testo latino) della suddivisione di ciascun libro in 20 capitoli: Primo sciendum est quod tractatus istius libri dividitur in duas partes, in quarum primo capitula collocavi, de quibus primae parti viginti attribui et similiter secundae viginti ut per certum ipsorum numerum quod quaeritur in eo facilius possit inveniri > Primeramente sappi che questo libro se parte in due parte. Ne la prima parte insegna li capitoli, ne l’altra distingue li capitoli l’uno da l’altro. L’intero passo incipitario, che affronta la questione (tutt’altro che irrilevante, come visto nel cap. 1) del collocamento della chirurgia nel complesso

52 Hall (1957): involuntarius. Questo periodo finale non collima perfettamente con l’edizione latina: in particolare il soggetto di ledatur passa da lingua (qui genitivo retto da constrictione) al precedente patiens.

3.1 Testimoni 

 119

delle scienze mediche, è restituito dal traduttore in una forma decisamente più stringata rispetto a quella presente nel testo latino. In generale, la traduzione si muove verso una sensibile rielaborazione del contenuto originale, che viene reso piuttosto liberamente e rimaneggiato soprattutto tramite interventi di riduzione e di sintesi del testo di partenza. Ne presento un solo esempio, ricavato dall’exordium del capitolo IV: Tabella 7: Casi di rielaborazione nell’editio princeps volgare. Edizione Hall (1957)

Editio princeps volgare

De reductione intestinorum et zirbi et de vulnere quod accidit in intestino, necnon de regimine omni aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium. Vulnera quandoque ventri accidunt, unde intestina fores egrediuntur; quorum quidem curatio, sicut asserit Avicenna, quadruplici eget intentione. Prima quoque intentio est ut intestinae ad locum proprium reducantur; secunda est ut suantur; tertia est ut ponatur super ipsa medicamen conveniens, sicut incarnativum, et quarta ut sit sollicitudo ne proveniat propter id timor alicui membrorum nobilium, id est, ne eius congeletur in interioribus. Dico ergo ad reductionem intestinorum, sine prolixitate sermonis, quod si praesens fuerit medicus videlicet antequam ab aere tangantur, fortasse ipsa sine molestia intromittentur. Si vero contrarium accidat, necesse est ut ventositas illa resolvatur quo in eis est propter aeris frigiditatem, aut quod vulnus dilatetur; sed convenientius est ut ventositas dissolvatur, si possibilitas adest. Ponatur ergo spongia marina in aqua calida et, expressa ab aqua, evaporentur cum ea intestine; aut fiat illud cum vino veteri, quoniam calefacit et confortat intestina plus quam aqua; et, eorum inflatione remota, intromittantur.

//4rB, 27// De li budelli overo de quelli che sono crepati dentro il corpo. Capitolo 4o. De poi che noi habiamo ditto de la dieta, diciamo in questo capitolo de le piage dentro al corpo che l’interiore viene fuora. Le cure soi sono per quatro modi como dice Avicenna. La prima si è che tu facia ritornare le budelle. La seconda che cusi. La terça che tu poni suso l’unguento da incarnare. La quarta si è che tu sia sollicito a guardare che tu non facia turbare alcuni membri nobili, cioè a dire che tu faci congelare el sangue dentro. Zò ti farò manifesto in questa forma: tu debbi fare redure gli intestini: alcuna volta i’ rompeno per la frigidità, alcu//4v// na volta el forame bene stretto. Et se tu voi fare entrare dentro gli intestini e che fusseno tumefatti per fredo, o ch’el busiolo sia stretto, toglie una sponga bagnata ne l’acqua calda e mollifica le intestine bene perfino che diventano liquide, cioè legiere e intraranno bene.

Le stesse rubriche di capitolo vanno qui incontro a una frequente semplificazione: es. IV. De reductione intestinorum et zirbi et de vulnere quod accidit in intestino, necnon de regimine omni aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium > De li budelli overo de quelli che sono crepati dentro il corpo. Capitolo 4o; VI. De iudiciis mortis vel periculis in quibus comunicant vulnera quorundam membrorum > De le piage mortale. Capitolo 6o; IX. De diffinitione et nature medi-

120 

 3 La Chirurgia magna in volgare

cinarum facientium nasci pus et ipsarum collectione et compositione > De le ferite che nasce dentro alcuna putredine. Capitolo 9o (7v). Va poi sottolineato il possibile legame dell’editio princeps cinquecentesca con la stessa tradizione da cui derivano i mss. L, F1, Bre e F2: pur trattandosi, con ogni probabilità, di un testo ampiamente ristrutturato rispetto alla fonte, vi ritroviamo infatti almeno un’importante variante congiuntiva (in la Valle del Sole), che lo lega chiaramente (se non si tratta del frutto di una contaminazione) a un sostrato comune almeno ai mss. F1, Bre e F2 (cf. 3.3).

3.2 Tavola dei contenuti Presentiamo ora le tavole dei capitoli e dei paragrafi degli otto volgarizzamenti, mettendole a confronto tra loro e contemporaneamente con quella dell’edizione latina Hall (1957), in modo tale da misurare le novità apportate dai singoli testimoni dal punto di vista strutturale, o quantomeno della sistemazione e della messa in evidenza dei contenuti: pur in assenza di significative rielaborazioni (amplificazioni e riduzioni: cf. 3.3.2), infatti, tali novità sono ben indicative delle modalità con le quali ogni traduttore dispone una personale lettura e una differente organizzazione gerarchica degli argomenti trattati nel testo originale; le rubriche, com’è noto, suddividono la materia e ne scandiscono ordinatamente la successione, facilitando la lettura del testo e fornendo esse stesse, talvolta, un primo accenno d’interpretazione della patologia affrontata.53 Andrà subito rilevato che, soprattutto in R (ma anche negli altri volgarizzamenti), i titoli dei capitoli e in particolare quelli dei paragrafi sono talvolta assenti (in particolare nella sezione attribuita alla prima mano: cc. 1–32)54 e, quando presenti, non sono evidenziate dal colore rosso e neppure, in una buona parte dei casi, dal ricorso all’accapo, motivo per il quale il testo continua per lo più senza soluzioni di continuità all’interno di un blocco unico, che ovviamente sfavorisce la possibilità di rintracciare con immediatezza i singoli argomenti trattati. La mancata ripar-

53 Sull’importanza di un esame delle strutture per un confronto macrotestuale tra i testimoni, cf. De Robertis (1985), che parlando di filologia delle strutture (in relazione a canzonieri e raccolte di rime antiche e moderne) si ricollegava volontariamente alle parole (critica testuale come studio di strutture) di Contini (1971). 54 Ma anche nelle sezioni successive: si noti, ad esempio, come nel cap. I del libro I, soltanto una (quella dedicata alla cataratta) delle sette rubriche di paragrafo sono conservate in R; nessuna rubrica è poi presente di quelle che compongono il cap. III. Al contrario, però, sono presenti tutti i titoli dei paragrafi costituenti il cap. V del libro I, dedicato alle varie tipologie di apostema.

3.2 Tavola dei contenuti 

 121

tizione grafica del contenuto, se da un lato sarà in parte da attribuire allo stesso antigrafo (o agli antigrafi) sul quale il codice è stato esemplato,55 è però anche uno dei segnali probanti della scarsa cura impiegata nell’approntare la copia in oggetto: questa, infatti, diversamente dagli altri testimoni volgari della Chirurgia magna, appare destinata, anche sotto il profilo materiale, a scopi meramente pratici e a una fruizione senza particolari pretese, ben lontana, perciò, dagli interessi anche bibliofili di quel pubblico mediamente cólto e benestante che in apertura di capitolo abbiamo segnalato come uno dei più probabili destinatari di volumi medici in volgare come la Chiurgia di Bruno. Nello specchietto sottostante, perciò, i titoli di capitolo assenti nel volgarizzamento sono stati recuperati grazie alle due tavole poste, già nell’originale latino, in apertura di ciascun libro, prima dell’inizio della trattazione vera e propria: in tal caso saranno contrassegnati da un asterisco. Nelle suddette tavole, tuttavia, non sono registrate, neppure nell’originale, le rubriche di paragrafo, e un tale fatto sarà da considerare tra le principali cause di deperibilità delle stesse all’interno dei testimoni volgari: nei casi in cui le rubriche di paragrafo siano assenti, ma il contenuto del paragrafo sia comunque conservato, trascrivo le prime parole del periodo introduttivo, ponendole tra parentesi quadre; quando, invece, il dato capitolo o paragrafo è del tutto omesso dal singolo testimone, tale lacuna sarà segnalata dall’apposizione di tre asterischi consecutivi (***):

55 Un fatto, questo, che appare con evidenza nell’unica rubrica del cap. V del I libro: al lat. De universali curatione vulnerum nervorum corrisponde in R nelle universali cure delle ferite de’ nervi. Qui infatti la frase che precede la rubricatura (quella medesima ferita non si conviene), invece di essere chiusa da un punto di sospensione, come accade nell’originale latino, finisce per essere legata con la rubricatura stessa, dove il copista corregge un originario verbo conchiude (lezione quasi certamente esatta dell’antigrafo, corrispondente al lat. conglutinatur) con conviene, depennando le ultime cinque lettere e scrivendo viene in interlinea. Una tale operazione induce a pensare che il copista avesse già davanti agli occhi un antigrafo privo di rubriche distinguibili, motivo per cui egli, non comprendendo il senso del periodo introdotto da delle (ovviamente corrispondente al de + abl. latino), decide di correggere d in n, e di conseguenza anche il verbo, generando comunque un periodo senza senso.

***

Incipit Cyrurgia Magistri Bruni Longoburgensis ex dictis sapientum veterum breviter et lucide compilata

In questo nostro principio intendo destintamente de mostrar la ziroxia de maistro Bruno da Lorgoborgo breve luzidamente estrata e chonpllida di diti di savij antixi (2rA)

V

El se comenza lo prohemio de lo libro del Bruno (1r)

In la nome de lo nostro signore Gesù Cristo. El se comenza lo libro de lo Bruno de Cyrugia retracto in volgare (1r)

***

B ***

L ***

F1

1 Nella trascrizione delle rubriche di F2 rendo come i le numerossime j in finale di parola.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8: Struttura del libro I.

Libro I

***

Bre ***1

F2

Incomença la Cyrogia di Bruno de Burgo dottore famosissimo (1v)

Editio princeps volgare

122   3 La Chirurgia magna in volgare

Lo primo capitolo delle divisioni et generali cagioni delle solitione della contenutà* (4v)

I. De divisione et generalibus causis solutionis continuitatis

Capitollo primo de la devixione e delle zeneral chaxone de la sollucion de la chontinuitade. Rubricha (4rA)

Qui se chonplle li chapitolli della prima parte e si chomenza la prima parte de questo libro. Rubricha (4rA)

***

Incipit prima pars huius libri

Capitulo primo de la divisione e generali casoni de la solutione de la continuitade (3r)

***

Qui chomenza li El se comenza li chapitolli della capituli (2vA) prima parte de questo libro i qual sono per numero xx, chomo io dixi de sovra e mollto luzidamente notadi per ordene. Rubricha (3rB)

Incipiunt capitula primae partis

Capitulo primo de la divisione e de li generali casone de la solutione continuitate (2v)

***

***

Capitulo primo de la divisione e de le generale casone de la solutione de la continuitade (2v)

***

***

Capitulo primo de la divisione e de le generali casone de la solutione de la continuitade (3r)

***

***

Capitolo primo della divisione et delle generali cagoni della solutione della continuitade (132r)

***

***

(continua)

De la solutione e continuitade (2r)

***

Lo primo capitolo comença de la prima parte (1v)

3.2 Tavola dei contenuti   123

Secondo capitolo della comune disputatione della solitione dello continovo secondo la comune disputatione della solitione dello continuo secondo la diversità de’ menbrj* (5v)

Capitolo della universale curatione delle piaghe* (6v)

[Se è la piaga piccolina che lla carne nel cuore non sia perduta,

II. De comuni disputatione solutionis continuitatis secundum diversitatem membrorum

III. De summa et agregatione universalis curationis vulnerum quae fiunt in carne

– De universali curatione vulnerum quae fiunt in carne

Della universal churacione delle piage che fa in charne. Rubricha (6vA)

Capitollo terzo de la suma et asunamento della universal churacion delle pllage le qual se fano in la charne. Rubricha (5rA)

Capitollo segondo della chomuna desputacion della solucion e chontinuitade segondo la diversità delli menbri destinto per ordene. Rubricha (4vA)

V

De la universale curatione de le piage che fino in la carne (5r)

De2 la universale curatione de le piage che fino in delle carne (5r)

De la summa et universale curatione de li piagi e de li

Lo capitulo terzio si è de la summa e de la aggregatione de la cazacione de le piage che fino in de le carne* (3v)

Capitulo tercio della summa agregatione de la cura de le piage che fino in della carne (3v)

Capitulo iijo de la summa et aggregatione de la curatione de li piagi e de li ulcerationi che fino fati in la carne (3v)

Capitulo secondo de la disputatione de la solucione de la continuitade secondo la diversitade de membri (3r)

F1

Capitulo segondo de la comuna disputatione de la solutione de la continuitade segondo la diversitade di membri (3r)

L

Capitulo ij de la comune disputatione de la solutione de la continuitade secondo la diversità de li membri (3r)

B

De la universale curatione de le piage che fino in de la carne (6r)

Capitulo tercio de la summa agregatione de la cura de le piaghe che fino in de le carne (4v)

Capitulo segundo de la comuna disputatione de la solutione de la continuitade secondo la diversitade di menbri (3v)

Bre

Della universale cura delle piaghe nelle charne iiijo (134v)3

Capitolo terzo della somma agregatione della cura delle piaghe che sono nella carne (133r)

Capitolo secondo della comune disputatione della solutione della continuitade secondo la diversità dei membri (132v)

F2

2 Ms.: Da. 3 Sia questo paragrafo che il successivo sono calcolati come capitolo IV, creando uno slittamento nel computo dei capitoli seguenti.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

[E se caso fusse che la piaga fusse così pichola che non havesse se non quel puocho

De le somme diligentie ne le cure de le piage de la carne. Capitolo 3o (4r)

De le commune disputatione de le ferite diverse. Capitolo secondo (2r)

Editio princeps volgare

124   3 La Chirurgia magna in volgare

Delle piaghe dello ventre (15v)

IV. De reductione intestinorum et zirbi et de vulnere quod accidit in intestine, necnon de regimine omni aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium Capitulo quarto de la reductione de li intestini e de lo cirbo de la piaga che fi fata in de li intestini e de lo rezimento de tute le piage che passano dentro da lo corpo (8r)

Capitulo iiijo de la reductione de li budelli e de lo zirbo, e de la piaga che vene in lo budello et in lo siphac e de lo regimento de li altri piagi passant a li interiori de lo corpo (7v)

Capitollo quarto de redur le budelle e ’l zirbo, zoè la rede, et la pllaga la qual adevien al budello et a lo rezimento de tute le altre plage che passa dentro dal chorpo. Rubricha (9rA)

De la dieta de li impiagati e de lo rezimento de lo apostema caldo in de la piaga (7v)

Della dieta delli De la dieta e de inpiagadi e del lo regimento de li suo arezimento vulnerati e della postiema (7r) challda che vien in la piaga. Rubricha (8vA)

ulcerationi che fizeno in la carne (5r)

Capitulo quarto de la reducione de li institini e de lo cirbo e de la piaga che fi fata in de li institini e de lo rezimento de tute le piage che passeno dentro dal corpo (7v)

De la dieta de li impiagati e de lo rezimento de lo apostema caldo in de la piaga (7v)

Capitulo quarto de la redutione de li instini6 e de lo zirbo e de la piaga chi fi fata in de li intestini, e de lo rezimento de tute le piage che passeno dentro da lo corpo (9v)

De la dieta de li impiagati e de lo reçimento de lo apostemo caldo in de la piaga (9r)

Capitolo v della redutione degli intestini e del zirbo et della piaga che si fa negli intestini e del regimento di tutte le piaghe che passono dentro al corpo (136v)

Capitolo iiij della dieta degli piagati e del regimento del’apostema chalda nella piaga (136r)

(continua)

De li budelli overo de quelli che sono crepati dentro il corpo. Capitolo 4o (4r)

[Vene alcuna volta per lo troppo magnare e per troppo bevere, overo per altre cose inordinate, che l’apostema fa nascere la putredine ne la ferita] (3r)5

de pelle, bastati congiongere la pelle insieme] (3r)4

4 Paragrafo (costituente la gran parte del cap. III) accorpato al precedente cap. II. Nella traduzione il cap. III inizia con la rubrica riportata sopra e con il paragrafo che nell’originale corrisponde alla sezione finale del cap. III. 5 Cf. nota supra. 6 Errore per intestini (?).

[Conciosiacosaché per la disordinata dieta la postema reo et loticoso se nella piaga si generano] (15r)

– De dieta vulneratorum et regimine apostematis calidi in vulnere accidentis

allora la puoi curare solamente co llegatura] (10r)

3.2 Tavola dei contenuti   125

Et le ferite del petto vel toracisi (18v)

Capitolo v della somma cura delle ferite de’ nerbi (20r)

nelle universali cure delle ferite de’ nervi (22r)

Capitolo vj de giudicij della morte overo de’ pericoli ne’ quali cominciano7 le ferite in alquanti membri (25r)

De vulneribus pectoris vel thoracis

V. Universale de summa curationis vulnerum nervorum

– De universali curatione vulnerum nervorum

VI. De iudiciis mortis vel periculis in quibus comunicant vulnera quorundam membrorum

Capitollo sesto delli zudexi della morte over del perichollo in li qual chomunicha e participa le plage de alguni menbri (12vB)

Onguento da nervj. Rubricha (12rA)

Della spetial chura della piaga di nervi. Rubricha (11rA)

Capitollo quinto della universal et chura e suma delle piage di nervj. Rubricha (10vB)

[Anchora quando viene a le piage in le parte del peti over del toraze, zoè in lo fondi del peti] (10rA)

V

7 Si noti l’errore cominciano per il lat. comunicant.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

Capitulo vio de li iudicij de la morte e de li periculi in li quali se conveneno li piagi de alcuni membri (11r) Capitulo sexto de li zudisi de la morte overo de lo perigollo in de li quali comunica li piagi de alcuni membri (11v)

De la universale curatione de le piage de li nervj (10v)

Lo capitulo quinto universale de la summa curatione de le piage nervosse (9v)

Capitulo vo de la suma de la curatione de li piagi de li nervi (9v) De la universale curatione de li piagi de li nervi (10r)

De la piaga de lo peto overo dello torace (9r)

L

[Et oltra questo quando vene li piagi in li parti del peyto o de l’arca del peyto] (8v)

B

Capitulo vjo de li zudixij de la morte overo de lo periculo in de lo quale comunica le piage de alchuni membri (11v)

De la universale curacione de le piage de li nervi (10r)

Capitulo vo universale de la summa curatione de le piage nervose (9v)

De le piage de lo peto overo de lo toraze (9r)

F1

Lo capitulo vjo de li zudesij de la morte overo de lo periculo in de lo quale comunica le piage de alcuni membri (15r)

De la universale curatione de le piage de li nervi (13r)

Capitulo quinto universale de la summa curatione de le piage nervose (12r)

De le piage de lo pecto over de lo toraçe (11v)

Bre

Capitolo de’ giudici della morte overo del pericolo che si conoscie nelle piaghe (139v)

Della universale curatione delle piaghe de’ nervi (138v)

Capitolo universale della somma curatione delle piaghe nervose (138r)

Capitolo vj delle piaghe del petto overo del torace (137v)

F2

De le piage mortale. Capitolo 6o (6v)

[Le medicine le quale siano per li nervi sono calide e secche] (5v)

De le cure de li nervi. Capitolo 5o (5v)

[Io te voglio insegnare se fusse la ferita nel petto overo ne la spala] (5r)

Editio princeps volgare

126   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo vij delle ferite de vulneribus le quali fussono scatussione la percossa (27v)

Capitolo viij perché dimorano le ferite overo tardano a guarire et della cautela della guardia di quelle (28v)

VII. De vulneribus quae fiunt ex contusione

VIII. Quare vulnera morantur ad curandum et de cautelis curationis ipsorum

Della malla charne entro la piaga (15rA)

Capitollo otavo delle plage le qual se fa e perché demora tanto a churarse per chontuxion mollto utelle. Rubricha (14rB)

Capitollo septimo delle plage le qual se fano e perché demora tanto a churarse e dello inzegno de churar quelle. Rubricha (14rA)

Capitulo septimo de le piage che fino per contesione (12r)

Capitulo octavo per quele casone le piage stageno longo tempo a guarire e de la cautela de la soa guarisone (12v)

Capitulo viio de li piagi che veneno per bota (12v)

Capitulo viiio perché li piagi tardeno de guarire e de li cauteli de la curatione (12v) Capitulo octavo per le quale casone le piage stageno longo tempo a guarire e de la cautella de la soa guarisone (12r)

Capitulo vijo de le piage che fino per contasione (11v)

Lo capitulo viijo per le quale casonele piage stageno longo tempo a guarire e de la cautela de la soa guarisone (16r)

Lo capitulo vijo de le piage che fino per contusione (15v)

Capitolo per quale cagione le piaghe stanno lungo tempo a sanare e del modo di sua guarigione (140r)

Capitolo delle piaghe che fieno per contusione (139v)

(continua)

De le ferite che non fusse state provedute incontinente con le taste. Capitolo 8o (7v)

Se l’huomo fusse bastonado o machado. Capitolo 7o (7r)

3.2 Tavola dei contenuti   127

R

Capitolo viiij de difinitione et natura medicinarum a fare nascere pus (30v)

Capitolo x della difinitione et natura delle medicine a fare nascere la carne ne’ ferite e nelle viscere et incarnare et consolidare né none della confidatione di quelle le quali

Edizione Hall (1957)

IX. De diffinitione et natura medicinarum facientium nasci pus et ipsarum collectione et compositione

X. De diffinitione et natura medicinarum facientium nasci carnem in vulneribus et ulceribus et incarnativarum et consolidantium, necnon de

Tabella 8 (continua)

Capitollo dezimo de la definicion et della natura delle medexine le qual fa naser carne in le plage e in le ulzere et delle incharnative e chonsollidative et anchora è chonsiderar quelle chosse

Inpiastro da inzenerar la marza. Rubricha (15vB)

Capitollo nono de la definicion de la natura delle medexine le qual fa naser marza e de chonponer et asunar quelle. Rubricha (15vA)

V

Capitulo decimo de la difinicione e de la natura de li medicini che fa nasere la carne in de li piagi in de li ulceratione, e de li medesine incarnative e consolidative. E ancora de la

Capitulo nono de la difinitione e de la natura de le medesine cha fa nascere la marza in de li piagi e de la colectione e compositione de quelli medesini (13v)

Capitulo viiijo de la diffinitione e natura de li medicini fazant nascere la puza e de la sua collectione e compositione (13v)

Capitulo xo e de la diffinitione e natura de li medicini fazant nascere la carne in li piagi e in li ulcerationi, e de la cura de quelli e de li consolidativi e de la

L

B

La capitulo xo de la diffinitione e de la natura de le medesine che fan nascere la carne in de le piage e in de le ulceratione. E de le medesine incarnative e consolidative.

Capitulo nono de la diffinitione de la natura de le medesine chi fa nascere la marza in de le piage e de la collectione e compositione de quelle medesine (13r)

F1

Lo capitulo decimo de la difinitione e de la natura de li medesine chi fan nascere la carne in de le piage e in de le ulceratione. E de le medesine incarnative e consolidative.

Lo capitulo viiijo de la diffinitione de la natura de le medesine chi fa nascere la marza in de le piage e de le colectione e compositione de quelle medesine (17v)

Bre

Capitolo della difinitione e natura delle medicine che fanno nascere la carne nelle piaghe e nelle ulciere et delle medicine incarnative e consolidative, e ancora alla

Capitolo della difinitione delle medicine che fanno nasciere la marcia nelle piaghe e della colletione e compositione di quelle (140v)

F2

A far nascere la carne. Capitolo xo (8r)

De le ferite che nasce dentro alcuna putredine. Capitolo 9o (7v)

Editio princeps volgare

128   3 La Chirurgia magna in volgare

sono da intendere d’intorno alla compressione del menbro overo le ferite che sono vicixe 8 et del modo dell’aministratione et solutione et compositione di quelle (31v)

le qual è da tender chura zercha la natural chonpllesion del menbro ferido e de tuto el chorpo et della plaga over ulzera, et del modo et adovrare quelle medexine e de asunarlle e de chonponerlle -ulzere si è a dir la plaga putrida e antiga- (16rA)

consideratione de quelli cosi che se debeno attendere circa la complexione del membro impiagato e de tuto lo corpo e de la piaga e de la ulceratione, e del modo de la administratione e de la collectione e compositione de quelli (14r)

8 Sic (?): forma dubbia in corrispondenza del lat. ulceris.

consideratione eorumque attendenda sunt circa naturalem complexionem membri vulnerati et totius corporis atque vulneris vel ulceris, et de modo administrationis et collectione et compositione ipsarum consideratione de quelli cosi che sono da fire a ti se circha a la natura le complexione de tuto lo corpo, e altresì de complexione de li medesini de li piagi e de li ulceratione e de lo modo de la soa administratione e de lo modo de la soa colectione e de la soa compossitione (14r) E anchora de la consideratione de quelle cose che sono da fir atese circha la naturale complexione de tuto lo corpo. E altresì de le complexione de le medesine de le piage e de le ulceratione e del modo de la soa administratione e del malo de la collectione e de la soa compositione (13v) E ancora de li consideratione de quelle cosse chi sono da fire atisse circa la naturale complexione de li medesine de tuto lo corpo e altresì de complexione de li medesine de le piage e de le ulceratione e del modo de la soa administratione e del modo de la soa colectione e de la soa compositione (18r) consideratione di quelle cose che sono da essere attese circha la naturale complexione e del menbro piagato e della naturale comprexione di tutto el corpo e altro e sì di comprexione delle medicine delle piaghe e del’ulcere e del modo de loro chure e del modo di sua collectione e della sua compositione (141r)

(continua)

3.2 Tavola dei contenuti   129

Della ragione delle medicine da consaldare (38r)

– De rememoratione medicinarum consolidantium

9 Sic.

Della ragione delle medicine a ffare nascere la carne (37v)

– De rememoratione medicinarum facientium nasci carnem

Delle medexine chonsolidative chomo è zentaura menore, avruodano bruxado et altre chosse simille a queste. Rubricha (18vB) Commemoratione de li medicini consolidativi (17r)

Delle medexine De li medicini le qual fa naser fazande nascere charne chomo la carne (17r) son molte man de spezie zoè chosse material chomo è pegolla e chalzina, draganto et altre chosse apropiade. Rubricha (18vA)

Delle medexine De li medicini incharnative incarnativi (16v) chomo è erbe, foie et altre chosse simille notado brevemente. Rubricha. (18rB)

De ramoratione9 medicinarum incarnativarum (37r)

– De rememoratione medicinarum incarnativarum

B

V

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

De li medesine consolidative (17r)

De li medesini che fano nascere la carne (16v)

De le medesine incarnative (16r)

L

De le medesine consolidative (16r)

De le medesine che fano nascere la carne (16r)

De le medisine incarnative (15v)

F1

De le medesine consolidative (22v)

De le medesine che fano nascere la carne (22r)

De le medesine incarnative (21v)

Bre

Capitolo delle medicine consolidative (143r)

Capitolo delle medicine che fanno nascere la carne (143r)

Capitolo delle medicine incarnative (142v)

F2

[Medicine da saldare. Tuoli...] (8v)

[Medicina che fa nascere la carne. Alcune medicine sono legiere da secare] (8v)

[La medicina da incarnare, e de loro bontade e experimento anchora sono testimonio di quello che ve dico] (8v)

Editio princeps volgare

130   3 La Chirurgia magna in volgare

Impiastro d’Avicenna di lino (38v)

Polvere lieve d’Avicenna (39r)

***

***

– Emplastrum Avicennae de lino

– Pulvis levis Avicennae

– Alius pulvis Avicennae

– Item alius pulvis rubeus Avicennae

Questa si è una altra pollvere la qual mete anchora Avizena (19rB)

Questa si è una altra pollvere la qual anchora mete Avizena (19rA)

Questa si è una pollvere la qual mete Avizena et è lieve asaj. Rubricha (19rA)

Enpllastro de Avizena de lino, zoè del pano de lino mollto ben lavado. Rubricha (19rA)

Una altra polvere rossa de Avicena (17v)

Una altra polvere consolidativa de Avicena (17v)

Polvere incarnativa de Avicena (17v)

Emplastro de Avicena (17v)

L’altra polvere rosa de Avicena (17v)

L’altra polvere de Avicena (17v)

La polvere lezera de Avicena (17r)

Lo emplastro de Avicena de lo lino (17r)

L’altra polvere rossa de Avicena (17r)

La polvere de Avicena (17r)

La polvere lizera de Avicena (16v)

Lo empiastro de Avicena de lino (16v)

L’altra polvere rossa de Avicena (23r)

L’altra polvere de Avicena (23r)

La pulvere lizera de Avicena (23r)

Lo emplastro de Avicena de lo lino (23r)

Altra polvere rossa d’Avicenna (143v)

Altra polvere d’Avicenna (143v)

La polvere legiera d’Avicenna (143v)

Lo ’mpiastro d’Avicenna de lino (143v)

(continua)

Un’altra polver d’Avicenna (9r)

Un’altra polvere d’Avicenna (9r)

Polvere leçiera d’Avicenna (9r)

Exempio de Avicenna (8v)

3.2 Tavola dei contenuti   131

La polvere comune da fare aringenerare la carne e consaldare (39r)

Rubrica. Unguento e in che mo’ si de’ rimuovere l’ardore della caldeçça delle ferite (39r)

Unguento frigiditate12 delle ferite (39r)

– Pulvis comunis in regeneratione carnis et consolidatione

– Unguentum quo utendum est ad removendum ardorem et caliditatem vulnerum

– Unguentum ad removendum frigiditatem vulneris

Questo si è uno onguento perfetissimo a remover la grande frigiditade delle piage. Rubricha (19vA)

Questo si è uno unguento lo qual si è da ovrar a remover l’ardor et le grande challiditade delle plage quando el fa mestier. Rubricha (19rB)

[Rezipe inzenso, aloe, sangue de drago, sarchacholla] (19rB)10

V

Unguento a removere la frigidità de li piagi (18r)

Uno unguento da usare a removere lo brusore e caliditade de li piagi (18r)

Anchora una altra polvere consolidativa e gurativa de la carne (18r)

B

Lo unguento da removere la frigiditate de li piagi (17v)

Lo unguento ch’è da fir usato a removere lo ardore e lo calore da li piagi (17v)

La polvere comuna consolidativa e generativa de la carne (17v)

L

Lo onguento da removere la frigiditade de le piage (17r)

Lo unguento che de’ fi usato a removere lo ardore e lo calore de le piage (17r)

La polvere comuna consolidativa e generativa de la carne (17r)

F1

10 La presente ricetta, di cui manca la rubrica, finisce per essere inglobata in quella precedente. 11 Ms.: ungunto. 12 Ms.: fritate.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

Unguento da rimuovere la frigidità delle piaghe (143v)

Unguento da rimuovere l’ardore e ’l calore delle piaghe (143v)

Lo unguento11 chi è da fir usato a removere lo ardore e lo calore de le piage (23v)

Lo unguento da rimovere la frigiditade de le piage (23v)

Polvere comune consolidativa e generativa de la carne (143v)

F2

La polvere comuna consolidativa e generativa de la carne (23v)

Bre

Unguentum ad removendum frigiditatem vulneris (9r)

Unguentum ad removendum caliditatem vulnerum (9r)

Polvere comune in generar la carne (9r)

Editio princeps volgare

132   3 La Chirurgia magna in volgare

Unguento a rimuovere la seccità e ll’umidità delle ferite (39v)

Capitolo xj della comune disputatione delle ferite nuove e vecchie (40r)

– Unguentum ad removendum humiditatem sanguinolentam

XI. De comuni disputatione curationis vulnerum et ulcerum

Capitollo undezimo della chomuna disputacione della chura delle piage e delle ulzere. Rubricha (19vB)

Questo si è uno onguento a remover la umiditade e la frigiditade delle plage. Rubricha (19vA)

Questo si è uno onguento negro de Almansor a remover la sicitade delle pllage. Rubricha (19vA)

Capitulo xj de la commune disputatione de la curatione de li piagi e de li ulcerationi (18r)

Unguento a removere la frigiditade e la sicitade de la piaga (18r)

Unguento a removere la sicitade de li piagi (18r)

Capitulo undecimo de la comuna disputatione de li piagi e de li ulceratione (18r)

Lo unguento da removere la humiditade e la marza de li piagi (17v)

Lo unguento da removere la sicitade de li piagi (17v)

Capitulo xj de la comuna disputatione de le piage e de le ulceracione (17v)

[Recive de lo litargiro trito] (17r)

Lo unguento da removere la sicitade de le piage (17r)13

Lo capitolo undecimo de la comuna disputatione de le piage e de le ulceratione (24r)

Lo unguento da rimovere la humiditade e la marza de le piage (24r)

Lo unguento da rimovere la sicitade de le piage (23v)

Capitolo della comune dispositione delle piaghe e ulcere (144r)

Unguento da rimuovere l’umidità e la marcia delle piaghe (144r)

Unguento da rimuovere la siccità delle piaghe (144r)

(continua)

De la disputatione como se debbeno guarire le ferite. Capitolo 11o (9r)

Unguentum ad removendum humiditatem et fumositates vulneris (9r)

Unguentum Almansoris quod removet siccitatem vulneris14 (9r)

13 È presente solo la rubrica: la ricetta che segue appartiene infatti alla rubrica successiva, della quale manca dunque il titolo (probabile saut du même au même). 14 Rubrica e relativa ricetta sono anticipate (prima di Unguentum ad removendum frigiditatem vulneris) rispetto al testo latino.

Unguento d’Almansore che rrimovonve la secità delle ferite (39v)

– Unguentum Almansoris quod removet siccitatem vulnerum

3.2 Tavola dei contenuti   133

R

Capitolo xij del flusso del sangue delle ferite (41v)

Capitolo xiij de austotione celi astellarum (43v)

Capitolo xiiij de sua universale churagione delle ferite antiche (46v)

Edizione Hall (1957)

XII. De fluxu sanguinis a vulnere

XIII. De abstractione teli et astellarum

XIV. De summa et universali curatione ulcerum

Tabella 8 (continua)

Delle ulzere non sia infistollide né inchanchride mollto ben destinto. Rubricha (25rA)

Capitollo quarto dezimo de la suma et universal churacione delle ulzere antige. Rubricha (22vA)

Della intracion delle spine o stelle over aste quando entra in lo chorpo mollto ben destinto. Rubricha (22rB)

Capitollo terzo dezimo de trar fuora over pilloti e aste. Rubricha (21rB)

Capitollo duodezimo del fluxo del sangue della plaga, zoè de retegnir quello. Rubricha (20rB)

V

Capitulo xiiijo de la summa et universale curatione de li ulcerationi (21r)

Capitulo xiij de la abstratione de li teli e de li sagitti (20r)

Capitulo xij del fluxo del sangue de la piaga (19r)

B

Capitulo xiiijo de la universale curatione de li ulcerj (21r)

Capitulo xiij de la extractione de lo dardo e de la astella (19v)

Capitulo duodecimo de lo fluxo de lo sangue che veno da la piaga (18v)

L

Capitulo xiiijo de la universale curacione de li ulceri (20v)

Capitulo xiij de la astractione de lo dardo e le astelle (19r)

Capitulo xij de lo fluxo de lo sangue chi vene da la piaga (18r)

F1

Lo capitulo xiiijo de la universale curatione de li ulceri (28v)

Lo capitulo xiij de le astractione de lo dardo e de le astelle (26v)

Lo capitulo xij de lo fluxo de lo sangue chi vene da la piaga (25r)

Bre

Capitolo della universale curatione del’ulcere (146r)

Capitolo da trarre dardo o saette o simili (145r)

Capitolo del fluxo del sangue che viene nella piaga (144v)

F2

De le cure de le aposteme. Capitolo 14o (11r)

A trare fuora la sagitta de la ferita. Capitolo 13o (10r)

Del sangue de le feride. Capitolo 12o (9v)

Editio princeps volgare

134   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo xv de summa et universale churatione delle fistole (55r)

Medicina molto mirabile a mortificare le fistole e cancri (62r)

Uno medicamento mirabile (62v)

XV. De summa et universali curatione fistularum

– Medicamen valde mirabile in mortificatione fistulae et cancri

– Aliud medicamen mirabile

Questa si è un’altra medexina la qual è anchora mirabelle a la dita mortifichacion de fistolla over chanchro. Rubricha (29rB)

Questa si è una medexina mollto meraveioxa in mortifichacion della fistolla ecian dio del chanchro. Rubricha (28vB)

Capitollo quinto dezimo de la suma e universal chura delle fistolle. Rubricha (26rB)

Delle ulzere ch’è de grieve churacione mollto ben destinto. Rubricha (25vA)

Medicina mirabile a quella medesima cosa (29v)

Medicina molto mirabile in li fistuli mortificati et in lo cancer (29r)

Capitulo xvo de la suma et universale curatione de li fistuli (25v)

Ancora una altra medesina maraveliosa (28v)

Una medesina molto maraveliosa in mortificare la fistula e lo cancro (28v)

Capitulo xv de la soma e de la universale curatione de li fistulij (25r)

Anchora una altra medesina maravegliosa (28r)

Una medesina maravegliosa in mortificare la fistula e lo cancro (28r)

Capitulo xv de la summa e universale curacione de le fistule (24v)

Ancora una medesina maraviliosa (40r)

Una medesina molto maraviliosa in mortificare la fistula e lo cancro (39v)

Lo capitulo xv de la summa e de la universale curatione de le fistule (34v)

Un’altra medicina mirabile (152v)

Unguento molto maraviglioso a mortificare la fistola e ’l cancro (152r)

Capitolo della somma universale cura delle fistole (149v)

(continua)

L’altra medicina maravigliosa a questo (13v)

Medicame molto mirabile in mortificare fistole e cancri (13v)

De le cure de le fistule. Capitolo 15o (12r)

3.2 Tavola dei contenuti   135

R

A quella medesimo altra cosa (63r)

Uno altro medicamento il quale è da usare ne’ luoghi nervosi e simiglanti (63r)

Altra cosa a quello medesimo (63v)

Delle medicine le quagli fanno menovare et arisolvere la carne nelle ferite nuove et vecchie (63v)

Edizione Hall (1957)

– Aliud ad idem

– Aliud medicamen quod utendum est in locis nervosis

– Item aliud ad idem

– De medicinis quae carnem superfluam minuunt et resolvunt in vulneribus et ulceribus

Tabella 8 (continua)

Medexine le qual aroxega la charne superflua e resollve in le piage e ulzere (29vA)

Un’altra medexina la qual si è apropriada et asimiada a quello insteso. Rubricha (29vA)

Una altra medexina la qual è da uxar in li luogi nervoxi e simelli ad essi. Rubricha (29rB)

Questa si è anchora un’altra medexina a quello insteso mollto bona. Rubricha (29rB)

V

Medicini li quali minuisseno la carne superflua e resolveno in li piagi et in li ulcerationi (29v)

Medicina a quella cosa (29v)

La medicina che se dese usare in li logi nervosi (29v)

Una altra medicina aprobata a quella cosa (29v)

B

De li medesini che minuisse la carne ch’è superflua in de li piagi e in de li ulcerj (29r)

Ancora una altra medesina (29r)

Ancora una altra medesina de la quale no’ usemo (29r)

Ancora una altra medesina a quelo (29r)

L

De le medesine chi minuisse la carne chi è superflua in de le piage in de li ulceri (28v)

Anchora una altra medesina (28v)

Anchora una medesina la quale nuy usemo (28v)

Anchora una altra medesina a quello (28v)

F1

De le medesine chi minuisse la carne chi è superflua in de le piage e in de li ulceri (40v)

Ancora una altra medesina (40v)

Ancora una altra medesina de la quale nuy usemo (40r)

Ancora una altra medesina a quello (40r)

Bre

Medicina che consuma la carne ch’è superflua nele piaghe e ulcere (152v)

Ancora un’altra medicina (152v)

Un’altra la quale usava lo ‘nventore di questi (152v)

Un’altra medicina (152v)

F2

Medicamen quod carnem superfluam corrodit de ulceribus et vulneribus (14r)

L’altra (14r)

Quando una fistula fosse in luoco nervoso (14r).

L’altro a quello (14r)

Editio princeps volgare

136   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo xvj di summa e maravilglosa universale cura del cancro (64r)

Capitolo xvij di ronpitura del capo (67r)

XVI. De summa et universali curatione cancri

XVII. De fractura cranei

Capitollo dezimo septimo de la rotura del chraneo, zoè de l’osso della testa. Rubricha (31rA)16

Capitollo sesto dezimo de la suma e universal chura del chanchro in charte (29vB)*15

Una altra medexina la qual si è chonponuda a quello insteso. Rubricha (29vB)

Capitulo xvij de la rotura de la crapa (31v)

Capitulo xvj de la curatione del cancer (30r)

Medicina a quella cosa (30r)

Capitulo xvij de la rotura de l’oso de lo cavo (31r)

Capitulo xvj de la soma e de la universale curatione de lo cancro (29r)

Ancora a questo una altra medesina composita (29r)

[Avegna che de la solucione de la continuitade fata in de lo osso a compimento fiza fato memoria in de lo capitulo de la rotura]17 (30r)

Capitulo xvj de la summa et universale curacione de lo cancro (28v)

Anchora a questo una altra medesina composita (28v)

Lo capitulo xvij de la rotura de lo osso de lo cavo (43r)

Lo capitulo xvj de la summa e universale curatione de lo cancro (41r)

Ancora a questo una altra medesina composita (40v)

Capitolo della rottura del’osso del capo (154r)

De la somma e universale cura del cancro (152v)

Ancora a questo un’altra medicina composita (152v)

(continua)

De li ossi rotti. Capitolo 17o (15r)

De le cure gravose de lo cancro. Capitolo 16o (14r)

Ad idem medicina composita (14r)

15 Come titolo di capitolo compare qui la ripetizione di una rubrica subito precedente, relativa alla descrizione di una medicina (Una altra medexina la qual si è chonponuda a quello inteso. Rubricha.). 16 Il titolo del cap. XVII si trova a c. 32rB, staccato dal testo a esso relativo, che inizia invece a c. 31rA: il titolo è infatti posto in corrispondenza del successivo paragrafo (lat. De fractura ossis capitis), di cui si perde dunque la rubrica originaria. 17 L’inizio del capitolo è posto erroneamente alla rubrica successiva (cf. casella sottostante).

A quella medesima medicina conposta (64r)

– Ad idem medicamen compositum

3.2 Tavola dei contenuti   137

Della ronpitura del capo e dell’osso e questa è la sua chura (70r)

Della dieta della rottura dell’osso del capo (74v)

Capitolo xviij universalemente della rottura dell’ossa (74v)

– De fractura ossis capitis

– De dieta fracturae capitis

XVIII. De universali extensione et rectificatione ossium

Capitollo dezimo otavo de l’universal destendimento e retifichacion de le osse. Rubricha (34rB)

Qui meteremo la dieta della rotura de l’osso del chraneo della testa mollto utelle e bona brievemente notada per ordene. Rubricha (34rA)

[La ronpidura delli ossi del chavo chon fratura del chraneo, chomo dixe Galieno, non è simille delle chure delle altre osse] (32rB)

V

De la dieta che se convene a queli che àno roto l’osso del cavo (34v)

Capitulo xviij de la universale fractura de li ossi (34v)

Capitulo xviijo de la universale extensione e rectificatione de l’osso (35r)

De la cura de l’osso de lo cavo (32r)

L

De la dieta de la rotura de l’osso de la testa (35r)

De la cura de la rotura de la crapa (32v)

B

De la dieta chi se convene a quelli chi àno roto lo osso de lo cavo (48r)

De la universale fractura de li ossi capitulo xviijo (48v)

Capitulo xviii19 de la universale fractura de li ossi (33v)

De la cura de lo osso de lo cavo. Capitulo xviij18 (45r)

Bre

De la dieta chi conviene a quelli chi àno roto lo osso de lo cavo (33v)

Capitulo xviij de la cura de lo osso de lo cavo (31v)

F1

Capitolo della universale frattura degl’ossi (156v)

La dieta che si conviene a quelli che ànno rotto l’osso del capo (156v)

Capitolo della rottura del’osso del capo e sua chura (155r)

F2

De le universal cure de li ossi. Capitolo 18o (17r)

[La dieta sua si è questa] (17r)

[Dice Galieno: queste cure de la testa sono differentiate da l’altre] (15v)

Editio princeps volgare

18 Al pari di quanto accade in F1, il paragrafo è promosso qui a capitolo, producendo uno slittamento nella numerazione del capitolo successivo. 19 Ms.: xviiij.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

138   3 La Chirurgia magna in volgare

Della ronpitura delle forcole (83v)

Della ronpitura delle costi (85r)

– De fractura furculae

– De fractura costarum

Qui meteremo della rotura delle choste et ezen dio della soa zeneral chura destintamente chonponuda. Rubricha (38vA)

Della ronpidura de la forzella del peto et nobel chura de quella mollto chiaramente ben destinto et notada per ordene. Rubricha (37vB)

Capitollo dezimo nono de la particular churacion della rotura delle osse. Rubricha (37vA)

De la rotura de li ossi de li costi (39v)

De la rotura de la forcella de lo peyto (39r)

Capitulo xixo de la rotura de li ganassi de soto (38v)

De la rotura de li costi (39r)

De la rotura de la furcula de lo pecto (38v)

Capitulo xviiijo de la particulare rotura de li ossi. E de la roptura de la mandibula (38r)

De la rotura de le coste (38v)

De la disruptione de la uvea, zoè de quello paniculo (37v)21

De la particulare rotura de li ossi e de la rotura de la mandibula (37r)

De la rotura de le coste (55r)

De la rotura de la furcula de lo petto (54r)

De la particolare rotura de li ossi e de la rotura de la mandibula de sotto (53v)20

Capitolo della rottura delle coste (160v)

Capitolo della rottura della forciella del petto22 (160r)

Capitolo della particulare rottura dell’osso e della rottura della mandibola di sotto (159v)

(continua)

De la rottura de le coste (19v)

De la rottura de la forcola (19r)

De le cure de le rotture de le mascelle. Capitolo 19o (19r)

20 Analogamente a quanto si vede in F1, il cap. XIX è trattato come un paragrafo. 21 La rubrica, dedicata all’uvea, è evidentemente sbagliata, e non coincide con l’argomento che segue, il quale concorda invece con quello del testo latino (De fractura furculae) e degli altri volgarizzamenti. 22 Lettura non sicura; ma forciella del petto appare nella prima riga del paragrafo.

Capitolo particulare xviiij della ronpitura dell’ossa e delle ronpiture delle mascelle (82r)

XIX. De particulari fractura ossium, et primo de fractura mandibulae

3.2 Tavola dei contenuti   139

R

Della rompitura dell’adiutorio (86v)

Della ronpitura del braccio (88r)

Della ronpitura della coscia (89v)

Edizione Hall (1957)

– De fractura adiutorii

– De fractura brachii

– De fractura coxae

Tabella 8 (continua)

Qui meteremo de la rotura della chossa e lo bon provedimento in la chura de quela, molto ben destinto e notado per ordene. Rubricha (40rA)23

Como el brazo è chonponudo de do’ ossi mollto ben destinto. Rubricha (35rB)

[L’aiutorio, sì chomo dixe Albuchasino, è quello ch’è dentro dal chomedo defina a l’osso de la spalla] (34vB)

V

De la rotura de la coxa (41r)

De la rotura del brazo (40v)

De la rotura de lo adiutorio, zoè de l’osso del brazo (40r)

B

De la rotura de la cossa (40v)

De la rotura de lo brazo (40r)

De la rotura de lo adiutorio si è questa (39v)

L

De la rotura de la cossa (40r)

De la rotura de lo brazo (39v)

De la rotura de lo adiutorio (39r)

F1

De la rotura de la cossa (57v)

De la rotura de lo brazo (56v)

De la rotura de lo adiutorio (55v)

Bre

Capitolo della rottura della coscia (162r)

Capitolo della rottura del braccio (161v)

Capitolo della rottura del’aiutorio (161r)

F2

De la rottura de la chossa (20v)

De la rottura del braçço (20r)

De la cura de la rottura de l’adiutorio (20r)

Editio princeps volgare

140   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo xx del †desevere† universale in dislogare (91r)

Dislogare le mascelle (92r)

XX. De dislocatione iuncturarum

– De dislocatione mandibulae

Qui meteremo in questa parte della dislogacion della masella mollto per orde. Rubricha (40vB)

Capitulo xx de lo sermone universale de li deslongatione (41r)

De la rotura de la gamba (41r)

De la dislogatione De la de la ganassa dislongatione (42v) de la mandibula (41v)

Capitollo vizeximo Capitulo xx de la de la dislogacion dislocatione (42r) de le zonture mollto utelle e bono. Rubricha (40vA)

Qui meteremo De la rotura de la mo de la roptura gamba (41v) de la ganba et simelmente de l’inzegno de churar quella, molto ben per ordene. Rubricha (40rB)

23 Rubrica posta nel margine destro della carta.

Della ronpitura della ganba (90v)

– De fractura cruris

De la dislocatione de la mandibula24 (59r)

Lo capitulo xx de lo sermone universale de li dislongatione (58v)

Capitulo xxo de lo sermone universale de le dislocatione (40v) De la dislocatione de la mandibula (41r)

De la rotura de la gamba (58r)

De la rotura de la gamba (40v)

Capitolo della dislocatione della mandibula, coè mascella (163r)

Capitolo universale delle dislocationi (162v)

Capitolo della roctura dela ganba (162r)

***

(continua)

De li membri che sonno disnodati e de le piage di quelli. Capitolo 20o (20v)

De la rottura de la gamba (20v)

3.2 Tavola dei contenuti   141

Della dislogatione dell’omero (93r)

Della dislogatione del gonbito (95r)

Della dislogatione della giuntura25 della mano (96v)

– De dislocatione humeri

– De dislocatione cubiti

– De dislocatione iuncturae manus

Qui meteremo soto brevitade de la dislongaxon de la zontura de la mano et la chura de quelle mollto per ordene. Rubricha (42rB)

Qui meteremo della grande deslogacion (41vB)

Qui meteremo della dislogacione de l’umero, zoè a dir della spala, e della chura de quello notado per ordene. Rubricha (41rA)

V

24 Ms.: mandula. 25 Ms.: della giuntura della giuntura.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 8 (continua)

De la deslocatione de lo gombedo (42v)

De la dislocatione de la spala (42r)

L

De la dislogatione De la de la zontura deslocatione de (44r) la mano (43r)

De la dislogatione de lo gonbeto (43v)

De la dislogatione de la spala (42v)

B

De la dislocatione de la mano (43r)

De la dislocatione de lo gombeto (42r)

De la dislocatione de la spalla (41v)

F1

De la dislocatione de la mane (61v)

De la dislocatione de lo gomedo (60v)

De la dislocatione de la spalla (59v)

Bre

Capitolo della dislocatione della mano (164v)

Capitolo della dislocatione del gomito (164r)

Capitolo della dislocatione della spalla (163r)

F2

De la dislocatione de la mano (21v)

De la dislocatione del cubito (21r)

De la dislocatione delle spalle (21r)

Editio princeps volgare

142   3 La Chirurgia magna in volgare

Della dislogatione delle dita (97r)

Della dislogatione delgli spondili (97r)

Della dislogatione dell’anca (98v)

– De dislocatione digitorum

– De dislocatione spondilium

– De dislocatione anchae

Qui meteremo la grande deslongacion de l’ancha e la nobel chura d’esa mollto ben destinta e notada per ordene. Rubricha (42vB)

Qui meteremo la spauroxa deslongacion delli spondilli et ecian dio la soa chura mollto ben destinto per ordene. Rubricha (42vA)

Qui meteremo anchora in brevitade de la deslogacion delle dede mollto ben destinto e notado per ordene. Rubricha (42rB)

De la dislogatione De la de lo galone (45r) deslocatione de la lancha (44r)

De la dislogatione De la de li spondilij deslocatione de (44v) li spondilj (43v)

De la dislogatione De la de li diti de la dislocatione de li mane (44r) didi (43v)

De la dislocatione de la ancha (43v)

De la dislocatione de li spondili (43r)

De la dislocatione de li didi (43r)

De la dislocatione de l’ancha (62v)

De la dislocatione de li spondili (61v)

De la dislocatione de li didi (61v)

Capitolo della dislocatione del’ancha (165r)

Capitolo della dislocatione delli spondilli (164v)

Capitolo della dislocatione delle dita (164v)

(continua)

De la dislocatione de l’anche (22r)

De la rottura del filo de la schina (21v)

De la dislocatione de le deda (21v)

3.2 Tavola dei contenuti   143

R

Della dislogatione del ginocchio (100v)

Della dislogatione del calcangno (100v)

Edizione Hall (1957)

– De dislocatione genus

– De dislocatione calcanei

Tabella 8 (continua)

Qui meteremo finalmente la dislongacion del chalchagno e llo modo de redur quello chonplidamente per ordene. (43vB)

Qui meteremo la dislongaxon del zenochio et lo modo de churar quella asai brevemente destinto e notado per ordene. Rubricha (43vA)

V

De la dislogatione del calcaneo (45v)

De la dislogatione del zinogio (45v)

B

De la dislocatione de lo calchaneo (45r)

De la dislocatione de lo zinogio (45r)

L

De la dislocatione de lo calcaneo (44v)

De la dislocatione de lo zinogio (44v)

F1

De la dislocatione de lo calcaneo (64r)

De la dislocatione de lo zinochio (63v)

Bre

Capitolo della dislocatione del chalcagno (166r)

Capitolo della dislocatione del ginochio (166r)

F2

De la dislocatione del calcagno (22v)

De la dislocatione del zenochio (22v)

Editio princeps volgare

144   3 La Chirurgia magna in volgare

R

Compiesi la prima parte del libro, cominciasi la seconda (101r)

Cominciasi e’ capitogli della seconda parte (101v)

Capitolo j della passione degl’occhi (102v)

Edizione Hall (1957)

Incipit secunda pars huius libri

Incipiunt capitula secundae partis

I. De passionibus oculorum

Tabella 9: Struttura del libro II.

Libro II

El se comenza lo secondo libro del Bruno (46r)

B

Capitollo primo de la pasion la qual vengono in li hochi. Rubricha (44vA) Capitulo primo de li passioni de li ogi (46v)

Qui chomenzeremo nel nome *** de Dio i chapitolli della segonda parte tuti ordenadamente chonposti e declaradi chomo qui avanti in nel prexente volume tu troverai molto destintamente notadi e schriti per ordene, alturiandome la devina grazia intendo de ditar lo mio groso e dir inprima de la pasion di hochi (44rA)

Qui fenise chon l’ajuto de Dio la prima parte de questo prexente libro chon la gratia del qual intendo destintamente chonplir la parte segonda chiara e luzidamente notarlla per ordene (44rA)

V

De li pasioni de li ogi (46r)

El se comenza li capituli de la segonda parte (45v)

Qui finisse la prima parte. E si acomenza la segonda (45v)

L

De la passione de li ogi capitulo primo (45r)

Li capitoli de la segonda parte (45r)

Lo prologo de la segonda parte (45r)

F1

De le passione de li ogi (64v)

El se comenza li capituli de la seconda parte (64v)

[Da possa che eio Bruno Longoburgese in de la prima parte de questo libro] (64r)

Bre

Capitolo primo della passione degl’occhi (166v)

(continua)

De gli occhi e primo de lachrimis (22v)

Incomenzia la seconda parte (22v)

Fine de la prima parte de la Cyrogia di Bruno (22v)

***

Capitolo primo della seconda parte di questo libro (166v)

Editio princeps volgare

F2

3.2 Tavola dei contenuti   145

[quando aviene rosseçça nelgl’occhi e infiaççone] (104r)

[sia curata come si curano l’altre ferite e panni delgl’occhi] (104r)

[l’unghia molte sia fatta meglo chi è di due spetie] (104v)

[Molte tessono sopra l’occhio le venisse26 rosse inpediscono il viso] (106r)

– De rubore oculorum

– De panno oculorum

– De ungula oculi

– De sebel

26 Ediz. lat.: venae.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

De la ungula che vene in li ogi (47v)

[Molti volti inciseno sopra l’ogio vene rossi et impedisseno lo vedire] (48r)

[E molte fiade è in li hochi vene rosse le qual viene dite sibel] (46rA)

De lo panno che vene in li ogi per humore e per li piagi male curati (47r)

[E quando la rosseza e la inflatione vene a li ogi o la macula] (47r)

B

[E onglela se fa molte fiade in li hochi ed è ij maniere] (45vA)

[E lo pano de li hochi quando se fa per plaga over pustolla] (45rB)

[E quando l’aviene li hochi rossi o machulla o inflaxon] (45rB)

V

De le vene rosse in de li ogi (47r)

De la cura de la carne che superchia in li ogi (47r)

De la cura de la carne supergia in de li ogi (47r) De li veni rosi in de li ogi (47v)

De la cura de la ungula de li ogi (46v)

De la cura de lo panno chi vene sopra l’ogio (46r)

De la cura de la rosseza e de la infiassione chi vene a lo ogio (46r)

F1

De la cura de la ungula in de li ogi (47r)

De la cura de lo panno che vene sopra lo ogio (46v)

De la cura de la roseza e de la infiasone che vene a li ogi (46v)

L

De le vene rose in de l’oghio (67r)

De la cura de la carne superchia in de l’ogio (67r)

De la cura de la ungula in de li ogi (66v)

De la cura de lo panno chi vene sopra lo ogio (66r)

De la cura de la roseza e de la infiasone chi vene a lo ogio (65v)

Bre

Del panno de gli ochij (23r)

[Quando li ochij sono rossi e infiamati] (23r)

Editio princeps volgare

Capitolo delle vene rosse nel’ochio (168r)

De le vene rosse che dano impedimento al viso (23v)

Capitolo Quando la carne della cura soperchiasse della charne l’ochio (23v) superflua negl’ochi (168r)

Capitolo De ungula della chura oculorum (23v) del’ungula negli ochi (167v)

La cura de’ panni del’ochio (167r)

La cura dela rosseza e infiatione degl’ochi (167r)

F2

146   3 La Chirurgia magna in volgare

[che sse ’l sangue non si rimovesse sono d’apparecchiare cose che ’l dispergano] (106r)

[E viene in li li hochi sangue per cholpo] (46rB)

[Quando lo sangue se leva in li ogi per botta e simili, e serà molto sangue] (48r)

27 Ms.: poco leggibile, ma la parola sembra piuttosto essere unica.

– De sanguine in oculis consurgente De la cura de lo sangue chi vene a l’ogio per boto o per cazere (47r)

De la consolidatione de la palpebra co lo bianco de l’ogio (47v) De la dislocatione de la uvea, zoè de quello paniculo (47v) De la eminentia de li ogi senza impazamento de vedere (47v)

De la cura de lo sangue che vene a l’ogio per boto o per chazer (47v)

De la consolidatione de la palpebra co lo biancho de l’ogio (47v) De la disruptione de la uvea, zoè de quelo paniculo (47v) De la eminencia de li ogi senza impazamento de vedire (48r)

De la eminentia de li oghi senza impazamento de vedere (68r)

De la disruptione de la uvea, zoè de quello paniculo (68r)

De la consolidatione de la palpebra co lo biancho de l’oghio (67v)

De la cura de lo sangue chi vene a lo ochio per botto o per cazere (67v)

De ruptura venae tunicae (24r)

De sanguine livido in oculis ex percussione (23v)

(continua)

Capitolo della De eminentia eminentia oculorum (24r) degl’occhi sança impedimento del vedere (168v)

Capitolo della disrutione del’uvea,27 coè di quello pannicolo (168r)

Capitolo della consolidatione della palpebra col bianco del’occhio (168r)

Capitolo della cura del sangue che viene al’occhio per percosse (168r)

3.2 Tavola dei contenuti   147

[Molte volte per grossa superfluità nelle palpebre alcuna infermità nasce] (109v)

– De palpebra

28 Ms.: Dellella.

[E fase molte in li hochi una mallatia che se chiama chatarata] (46vB)

Della28 cateratta delgl’occhi (107v)

– De cura cataractae

[E molte fiade per groseza superfluitade nase in le palpiere una chossa che à nome grando] (47vA)

V

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

[Molti volti per grossa superfluitade in li palpebri vene una infirmitade che se domanda grando, zoè tempesta] (49v)

[Anchora molte volte in li ogi vene una infirmitade che ha nome catharacta] (48v)

B

De la cura de la granella chi apare in de lo ogio (49r) De la cura de la palpebra inversata (49r)

De la cura de la palpebra inversada (49r)

De la cura de la marza agregata in de l’ogio (48v)

De la cura de la marza agregada in de l’ogio (48v) De la cura de la granela che apare in de l’ogio (49r)

De la cura de la catheracta in de lo ogio (48r)

F1

De la cura de la cataracta in de l’ogio (48r)

L

De la cura de la palpebra inversata (69v)

De la cura de la granella chi apare in de l’ogio (69v)

De la cura de la marza agregata in de l’ogio (69r)

De la cura de la catharata in de l’ogio (68v)

Bre

Capitolo della palpebra roversata (169v)

Capitolo della granella che apare nel’ochio (169v)

Capitolo dela marcia agregata negl’ochi (169r)

Capitolo della catheratta nel’ochio (168v)

F2

S’el venisse male in l’occhio di sotto per alcuna ferita (24v)

De passione grandinis (24v)

De l’acqua chi descende a l’occhio (24v)

De cataratta (24r)

Editio princeps volgare

148   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo terço della passione delle labra, dela boccha e della gola (111v)

[È fatto alcuna putrefatte e ulceratione nelle gegie overo nel palato] (112r)

III. De passionibus labiorum et gutturis

– De putrefactione et ulceribus gengivarum

[Molte fiade se fa ulzeracione e putrefacione in le zenzive over in lo palado] (48rB)

Capitollo terzo della pasion di lavri e della bocha e del glotidor. Rubricha (48rA)

Capitollo segondo de la infirmitade del pollipo, la qual vien entro el naso. Rubricha (47vA)

De la putrefactione e de la ulceratione de li zenzivi de lo palato de la bocha (50r)

De li infirmitadi de li labri e de la bocha e de la gola (50r)

Capitulo iijo de li passioni de li labri de la bocha e de la gola (50r) [Et alcuna volta el fi putrefactione in li zinzivi o in lo palato] (50v)

De lo polipo (49v)

Capitulo secondo de lo polipo (49v)

De la putrefactione e de la ulceratione de le zenzeve e de lo palato de la bocha (50r)

De la infirmitade de li labij e de la golla29 (50r)

Capitulo segondo de lo polipo (49r)

De la putrefactione e de la ulceratione de le zenzive e de lo palato de la bocha (71r)

De la infirmitade de li labri e de la bocha e de la gola (70v)

De lo polipo. Capitulo secondo (70r)

Capitolo della putrefatione delle gengie e del palato (170r)

Capitolo della ’nfirmità de’ labri della boccha e della gola (170r)

Capitolo del polipo (169v)

(continua)

De le ulcere de le çençive e del palato (25v)

De le passione de li labri e de la canna de la gola. Capitolo 3o (25r)

Del polipo. Capitolo 2o (25r)

29 La rubrica è considerata come titolo di paragrafo, non di un nuovo capitolo (allo stesso modo in L): ciò provoca uno sfasamento nella numerazione dei due capitoli successivi, che hanno un numero di meno (in L la numerazione si perde completamente); il computo si riequilibra dal cap. VI, dal momento che la rubrica De formica (appartenente al cap. V) è elevata al grado di titolo di capitolo (Capitulo quinto de la cura de la formica: 56v); una situazione identica si ha subito dopo: è promosso a cap. VIII il paragrafo, appartenente originariamente al cap. VII, de la curacione de le glandule e de li nodi, mentre è declassato a paragrafo l’originario cap. VIII (De lo apostema chi fi dito nata).

Capitolo secondo de polipo, cioè la superfluità della carne che nasce dentro a una parte del naso (110r)

II. De polipo.

3.2 Tavola dei contenuti   149

[Molte volte aviene el dolore ne’ denti] (112v)

[Quando aviene l’apostema sotto la lingua che la ranula mancipia30] (113v)

[Quando nell’uvola s’alunga e fa puçça con grande rosore e caldeçça] (114r)

– De dolore dentium

– De cura ranulae

– De cura uvulae

30 Ediz. lat.: nuncupatur.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

Como l’urlla se fa longa e se enfia chon gran dollor mollto ben destinto per ordene. Rubricha (49rB)

[Alguna volta aviene soto la lengua una postiema che se chiama ranulla] (49rA)

[Molte fiade si se fa dolor in li denti] (48vA)

V

De la uvla, zoè lunella, e de la sua longatione (51r)

De lo apostema che nasce soto la lingua (51r)

[Lo dolore vene molti volti in li denti] (50v)

B

De lo cazimento de la uvula (51r)

De lo cazimento de la uvulla (51r)

De lo apostema chi vene soto la lingua (51r)

De lo dolore de li denti per casone de li vermi (50v)

De lo dolore di denti per casone di vermi (50v) De lo apostema che vene soto la lengua (51r)

De lo dolore di denti (50v)

De la carne chi nasce in le zenzive (50v)

De la carne superflua che nase in de li zenzivi (50v) De lo dolore de li denti (50v)

F1

L

De lo cazimento de la uvula (72v)

De lo aposteme chi vene soto la lingua (72r)

De lo dolore de denti per casone de nervi (72r)

De lo dolore de li denti (71v)

De la carne superflua chi nasse in le zenzive (71v)

Bre

Capitolo del’uvola chaduta (171r)

Capitolo dell’apostema che vene sotto la lingua (170v)

Capitolo del dolore de’ denti (170v)

Capitolo della charne superflua che nasce nelle gengie (170r)

F2

De la vula (26r)

De la ranula de la lingua (26r)

Del dolore de gli denti (25v)

De la carne che nasce ne le gengive (25v)

Editio princeps volgare

150   3 La Chirurgia magna in volgare

[alcuna volta nasce nella gola una posteme la quale si chiama brancha overo amidola] (114v)

[Che nela gola nasce una postema che ssi chiama squinançia] (116r)

[Quando s’acosta alla gola osso overo spina di pesce overo d’altra cosa] (117r)

– De brancis et amigdalis quae nascuntur in gutture

– De squinantia

– De cura spinae vel ossis adhaerentium in gutture

Quando in la golla serano fite osse over spine e simille mollto ben destinto per ordene. Rubricha (50vA)

De una postiema che se fa in lla golla la qual à nome squinancia mollto destinto e notado per ordene. Rubricha (50rA)

De una postiema che nase in la golla che se chiama branci. Rubricha (49vA)

De l’osso o de la spina che se tene in la gola (52v)

De lo apostema che vene in la gola che ha nome squinantia (52r)

De li apostemi che nasceno in la gola che àno nome brancile e amandole (51v)

De la cura de la spina o de l’osso retenuto in de la gola (52v)

De la cura de la spina e de l’osso retenuto in de la golla (52v)

De lo apostema chi nasce in de la golla chi fi domandato squinancia (52r)

De la infirmitade che se domanda folio (52r)

De la infirmitade che fi domandata folio (52r) De la apostema che nase in de la gola che fi domandata squinancia (52r)

De lo apostema de li amigdali che fino apellati brancos (51v)

De lo apostema de li amigdali che fino apelati branchos (51v)

De la cura de la spina e de l’osso retenuto in la golla (74v)

De lo apostema che nasse in de la golla chi fi domandato squinantia (74r)

De la infirmitade che fi domandato folio (73v)

De lo apostema de li amigdali chi fino appellati branchos (73r)

Capitolo dela spina o altro atraversato nella gola (172r)

Capitolo della squinançia (171v)

Capitolo della ’nfirmità che si domanda folio (171v)

Capitolo dell’apostema delli amigdali che s’apellano brancos (171r)

(continua)

De le spine che fusseno retenute ne la golla (27r)

De la squinantia (26v)

Del folio (26v)

De le brance e de le amigdale (26r)

3.2 Tavola dei contenuti   151

R

[Molte volte che lgl’uomini beiono nelle fonti e tranghiotiscono in tale modo c’aviene singhioçço] (117v)

Capitolo quarto del dolore delgl’orecchi (118r)

Edizione Hall (1957)

– De extractione sanguisugarum gutture adhaerentium

IV. De dolore aurium

Tabella 9 (continua)

Quando alguno serà intrado piera in l’orechia mollto ben destinto. Rubricha (51vA)

Quando el vermo serà zenerado in l’orechia mollto ben destinto. Rubricha (51rB)

Quando aviene per qualche umori apostiema o pustolle in l’orechia mollto ben destinto per ordene. Rubricha (51rA)

Capitollo quarto del grande dolor delle horechie chomo è per abondancia de umori e altre chosse mollto destinto per ordene. Rubricha (50vB)

Quando alguno bevando in fontana, loro ingloteno sansuge le qual fano spudar sangue mollto destinto per ordene. Rubricha (50vA)

V

De lo dolore de li oregie (53r)

Capitulo iiijo de lo dolore de li oregi (53r)

De l’aqua che caze in l’oregia (53v)

De la predella in l’oregia (53v)

De li sansugi li quali si biveno (52v)

L

De la cura de la sanguisuga in la gola (52v)

B

Capitulo tertio de lo dolore de le oregie (53r)

De le sansuge le quale se biveno (53r)

F1

De lo dolore de le orechie. Capitulo quarto (75r)

De le sansuge le quale se bivano (75r)

Bre

Capitolo del dolore nel’orechio (172v)

Capitolo di chi avesse bevuto sansuge (172r)

F2

De le pietre che cadesseno ne l’orecchia o altra cosa (27r)

De la apostema ne la orecchia (27r)

De le orecchie. Capitolo 4o (27r)

De le sansuge che entra ne la golla (27r)

Editio princeps volgare

152   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo v dell’apostemi e secondo quelle che sono come quelle (120r)

Della cura del flemmone (120v)

Della cagione del carpuncolo (123r)

Della cura della risipila (124r)

V. De apostematibus secundum omnes eorum species

– De cura flegmonis

– De cura carbunculi vel antracis

– De cura herisipilae

Qui meteremo in questo logo de la bella chura de erixipilla e ’l modo de quella mollto ben destinto. Rubricha (53vA)

Qui meteremo in questo logo la notabel chura del charbonchullo over antraze mollto ben schrito per ordene. Rubricha (53rA)

[Adoncha io digo quando se fa postiema la qual è dita flemon] (52rA)

Capitollo quinto delle postieme segondo tute le suo spezie et chonvinencie molto destinto. Rubricha (51vB)

De la cura de la erisipila (55v)

Cura del carbonculo o de lo antrace (55r)

De la cura de flegmon (54r)

Capitulo v de li apostemi secondo tuti li soy speci (54r)

De la diversitade la quale è intra li segni e lo flegmon e la erisipila (56r)

De lo carboniculo e de la andrace (55v)

De la cura de lo flegmon (54v)

De li apostemi segondo tuti li soi specij (54r)

De la diversitade la quale è intra li segni de lo flegmon e la erisipila (56r)

De lo carbonculo e de lo andrace (55v)

De la cura de lo flegmon (54v)

Capitulo quarto de li apostemi segondo tute le sue specie (54r)

De la diversitade la quale è intra li segni de lo flegemo e la erispila (79v)

De lo carbonculo e de lo andrace (78v)

De la cura de lo flegmon (77r)

De le apostemi secondo tute le sue spetie. capitulo quinto (76v)

Capitolo della diversità ch’è tra le resipula e ’l flegimon (175r)

Capitolo del carbonculo e antracie (174v)

Capitolo della chura del flegemon (173v)

Capitolo delle posteme secondo tutte le spetie (173r)

(continua)

De la erisipila (28v)

Del carbone e del’antrace (28r)

[La cura voglio che sapi quando l’apostema è de materia flegmatica] (27v)

De tutte le generatione de le aposteme 5o (27v)

3.2 Tavola dei contenuti   153

Della chura della formica (125r)

Della cura de ongni31 persico (125v)

Della cura dell’apostema molle e flametica (126r)

Della cura dell’aposteme duro e malinconico (127r)

– De cura formicae

– De cura ignis persici

– De cura apostematis flegmatici mollis

– De cura apostematis duri melanconici

Quando aviene postiema dura de chollora negra et li remedij de churarlla mollto ben notadi e destinti per ordene. Rubricha (54vB)

Qui meteremo in questa parte della postiema molle flematicha et la churacion de quella notada per ordene. Rubricha (54vA)

Qui meteremo de una postiema la qual vien dita fuogo persigo e ’l modo de churar quella destintamente. Rubricha (54rB)

Qui meteremo in questo logo una altra chura della formiga mollto utelle brievemente destinto. Rubricha (54rA)

V

De lo apostema duro melanconico (57r)

Cura de lo apostema molle flegmatico (56v)

De la cura de lo ignis persicus (56v)

De la cura de la formica (56r)

B

De lo apostema duro melancolico (57v)

De lo apostema flegmatico (57r)

***32

***

De lo fogo persico (57r)

Capitulo quinto de la cura de la formica (56v)

F1

De lo fogo persicho (56v)

De la cura de la formiga (56v)

L

De lo apostema duro melancolico (81v)

De lo apostema flegmatico (81r)

De lo focho persicho (80v)

De la cura de la formicha (80r)

Bre

31 Ediz. lat.: ignis. 32 Inizio di una lacuna dovuta alla caduta di tre carte, che coinvolge i paragrafi sottostanti: il testo riprende nel cap. VII.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

Capitolo del’apostema dura malinconica (176r)

Capitolo del’apostema flematico (175v)

Capitolo del fuoco persico (165v)

Capitolo della cura della formicha (175r)

F2

De la cura de le aposteme melancolice (29r)

De la cura de le aposteme flegmatice molle (29r)

Del fuoco persico (29r)

De la formica (28v)

Editio princeps volgare

154   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo vij delle scruofole e altre superfluità che s’asomilglano a cquelle (131v)

VII. De scrophulis et aliis superfluitatibus quae assimilantur eis.

Capitollo septimo delle schrovolle e delle altre superfluitade le qual someia ad esse. Rubricha (56rB)

Capitollo sesto delli segni de la maduracion chonpllida della esitura e de lo rezimento de tute le esiture posa che son madure mollto ben destinto per ordene. Rubricha. (55rB)

Capitulo vijo de li scrophuli et altri simili superfluitadi (59r)

Capitulo vj de significatione de la maturatione de li exituri e de la sua cura a complimento (57v) Capitulo vj de la significatione de la maturatione de le exiture segondo complimento e de lo rezimento de tute le exiture poso la maturatione (58r) De la cura de la exitura de lo cavo (58v) Capitulo vijo de le scrofule (59v)

***

***

***34

33 Ms.: vij. 34 Ls prima parte del capitolo, contenente anche il titolo, rientra nella lacuna di tre carte di cui si è detto.

Capitolo vj della singnificatione e del maturare e dell’oscire secondo el conpimento e de reggimento di tutte l’esciture doppo la loro maturatione (128r)

VI. De significatione maturationis exiturarum secundum complementum et de regimine omnium exiturarum post earum maturationem

Lo capitulo de le scrofule (84v)

De la cura de la exitura de lo cavo (83r)

Lo capitulo vi33 de la significatione de la maturatione de le exiture secondo complimento de lo rezimento de tute le exiture poso la maturatione (82r)

Capitolo delle scrofole (178r)

Della cura della exitura del capo (177r)

Capitolo della significatione della maturatione delle exciture secondo compimento, e del regimento di tutte l’exciture dopo la maturatione (176v)

(continua)

De le scrofule. Capitolo 7o (29v)

De tutte le aposteme e quando sono mature, e ’l modo de curarle. Capitolo 6o (28v)

3.2 Tavola dei contenuti   155

R

Della chura delle scruofole sança talglare (133r)

Della cura delle scruofole con talglare (135r)

Della chura delle gangole e de’ nodi (136v)

Della cura delle testudine (137r)

Edizione Hall (1957)

– De cura scrophularum sine incisione

– De cura scrophularum per incisionem

– De cura glandularum et nodorum

– De cura testudinis

Tabella 9 (continua)

Qui meteremo in questo logo la bella et utelle chura de testudine asai brievemente destinto e notado per ordene. Rubricha (59rA)

Qui meteremo in questo logo la nobelle destincion in la chura de la glandolla e delli nodi notada e destinta per ordene. Rubricha (58vB)

Qui meteremo la bella chura de le schrovolle chon inzixion et per che modo et qual via molto ben notado per ordene. Rubricha (58rA)

Qui meteremo inprimamente la nobel destincion in la chura delle schrovolle senza inzixion mollto ben notada per ordene. Rubricha (57rA)

V

De la cura de la testudine (61v)

De la cura de li glanduli e de li nodi (61v)

De la cura de li scrophuli cum incisione (60v)

De la cura de li scrophuli senza incisione (59v)

B

De la curacione de lo apostema somiante a la testudine, zoè a la bisa scudelera (62r)

De la curatione de li ganduli e de li nodi (61v).

De lo tayo de li scrofoli (61r)

De curacione de scrofoli (60r).

L

De la curatione de lo apostema somiante a la testudine, zoè a la bissa scudelara (88v)

De la curatione de li glandule e de li nodi (88r)

Capitulo viijo de la curacione de le glandule e de li nodi (62r) De la curacione de lo apostema somiante a la testudine, zoè a la bissa scudelera (62v)

De lo tayo de le scrofule (87r)

De la cura de le scrofule (85v)

Bre

De lo taio de le scrofule (61v)

De la cura de le scrofule (60r)

F1

De la cura de la grandine (32r)

Unguentum diaquilon sic fit (31r)

[Veniamo a la cura de la scrofula] (31r)

[In la cura de la scrofula tutti gli maestri se concordano] (31r)

Editio princeps volgare

Capitolo De la cura de la della cura testudine (32r) dell’apostema somiglante alla testudine detta bissa scodelara (180r)

Capitolo della cura delle glandule e nodi (180r)

Capitolo del taglo delle scrofole (179r)

Capitolo della cura delle scrofole (178v)

F2

156   3 La Chirurgia magna in volgare

Della cura del goçço (138r)

Capitolo viij della natta e della infiaççone nelle popole di tutti gl’uomini (138v)

– De cura botii

VIII. De quadam superfluitate quae comuni usu gentium dicitur nacta et similiter de inflatione quae apparet in mamillis quorundam hominum

35 Ms.: che fito.

Della chura de bubonis (137v)

– De cura bubonis

Capitollo otavo de una superfluitade la qual chomunamente vien dita nata et simelmente della inflaxon la qual apar in le mamelle de alguni homeni molto ben destinto. Rubricha (59vB)

Qui meteremo in questo altro logo de l’altra postema la qual vien dita bozio brevemente molto ben per ordene. Rubricha (59vA)

Qui meteremo in questo logo de la postema dita bubone et la chura de quello mollto ben notada per ordene. Rubricha (59rB)

Capitulo viijo de una superfluitade che per comuna usanza fi dita nata e de la inflatione che appare in li mamelli de li homini (62v)

De lo goso e de la sua cura (62r)

De lo bubo e de la sua cura (62r)

De li apostemi che veneno in la codega de la testa (61v)

De lo apostema che fi dito35 nata (63r)

De lo goso e de la soa curatione (62v)

De la curacione de lo bubono (62v)

De lo apostema che fi dito nata (63v)

De lo gosso e de la sua curacione (63r)

De la curacione de lo bubone (62v)

De lo apostema chi fi ditto natta (90r)

De lo goso e de la sua curatione (89v)

De la curatione de lo bubone (89r)

Capitolo della curatione della natta (181r)

Capitolo della curatione del goço (180v)

Capitolo della curatione del bubone (180v)

(continua)

De le nate e de alcune infiasione che appareno in le mamille de gl’homini. 8o (32v)

De la cura del botio (32v)

De la cura del bubone (32v)

3.2 Tavola dei contenuti   157

Capitollo nono de tirar fuora l’aqua de li idropixi per tre modi nominada. Rubricha (60rB)

Capitolo ix36 di trarrere l’acqua algli ydruopichi (139v)

Capitolo x d’ogni eminentia che aviene al sifac e al ventre37

IX. De extractione aquae ydropicorum

X. De omni eminentia quae accidit in syphac ventris De la eminentia che vene a lo paniculo siphac (64r)

Capitulo xo de ogni eminentia, zoè inflatione, che vene in lo siphac de lo ventre (63v)

Capitulo xo de la eminencia chi viene a lo paniculo syphac (64v)

Capitulo viiijo de la cura de la aqua de li ydropici (64r)

De la grosseza che vene in de le mamelle a li homini (63v)

De la groseza che vene in de li mamili de li hominj (63r)

De la cura de l’aqua de li ydropici (63v)

F1

L

Capitulo viiijo de la abstractione de l’aqua de li ydropici (63r)

B

De la eminentia chi vene a lo paniculo syphac (91v)

De la cura de la aqua de li ydropici (90v)

De la groseza chi vene in de le mamille de li homini (90v)

Bre

Capitolo de la eminentia che viene a pannicolo siphac (182v)

Della cura del’acqua degl’itropici (181v)

Capitolo della grosseça che viene nelle mammelle degl’uomini (181r)

F2

De gl’impedimenti che vengono a la pelle ch’è intorno a le budelle. Capitolo xo (33v)

De li hydropisi. Capitolo 9o (33r)

Editio princeps volgare

36 Ms.: xj. 37 In corrispondenza del cap. X si è avuto un probabile salto di copiatura nella tradizione alla base di R: quasi l’intero capitolo risulta pertanto assente. 38 Ediz. lat.: reliquo. 39 Caduta della rubrica originaria e conseguente anticipazione delle successive: in corrispondenza del paragrafo in esame troviamo pertanto De la cura de lo syphac in de le angonaie, che è relativa al paragrafo successivo; stessa situazione si ha per la rubrica seguente, ripetuta due volte (a c. 65v e 66v).

Capitollo dezimo de ogni eminencia la qual adeviene in lo sifac del ventre (60vB)

V

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

158   3 La Chirurgia magna in volgare

Delle rotture della anguignalla e co’ modo delle medicine (142r)

La cura della anguinagla della sua rottura con cauterio (145r)

Della cura di quelle medesme con tagliare (146r)

– De cura rupturae inguinalis cum modis medicinarum

– De cura rupturae inguinalis cum cauterio

– De cura eiusdem cum incisione

[Quando tu vorà far questa chura chon fero, chomanda a l’infermo che stia suino] (63vA)

[Quando tu voi far chon chauterio chomanda a l’infermo che tegna lo fiado] (63rB)

Qui meteremo in questo logo de la churacion delle inguinaie chon modo de medexine de inpiastri mollto destintamente notada per ordene. Rubricha (61vB)

Qui meteremo in questo logo de la chorupcion della rotura la qual se fa in lo boligollo et in altra parte del ventre. Rubricha (61rB)

De la cura de la rotura cum incisione (65v)

De la cura de la rotura cum lo cauterio (65v)

De la cura de la rotura che vene in pectinaculi (64v)

De la cura de la rotura de lo biguello et de tuta l’avanze del ventro (64r)

De la curacione de lo siphac co lo ferro (66v)

De la curacione de la rotura de lo siphac co lo cauterio (66r)

De la rotura de lo siphac in de li inguinay (65r)

De la rotura de lo siphac in de lo ombelicho (64v)

De la curatione de lo syphac co lo ferro (67r)

De la curacione de la rotura de lo syphac co lo cauterio (66v).

De la cura de lo syphac in de le angonaie (65v)

[Dico adonca che quando vene la rotura in de lo umbelico]39 (65r)

De la curatione co lo syphac co lo ferro (95r)

De la curatione de la rotura de lo siphac co lo cauterio (94v)

De la rotura de lo syphac in de le angonaye (93r)

De la rotura de lo syphac in de lo umbilico (92r)

Capitolo della curatione del siphac col ferro (182v)

Capitolo della curatione della rottura del siphac40 col cauterio, coè col fuoco (182v)

Capitolo della rottura del siphac nel’anguinaie (182v)

Capitolo della rottura del siphac nel bellico (182r)

(continua)

***42

[Quando tu voli operare gli ferri41] (34v)

Quando fusse rotta la pelle di coglioni di sopra (34r)

De le rotture che cadesseno ne l’umbilico over in altro luoco del ventre (33v)

40 Ms.: siph. 41 gli ferri] errore nella resa del lat. cum cauterio. 42 Paragrafo quasi completamente omesso, a eccezione dell’ultimo periodo, legato al precedente paragrafo (è probabile che la traduzione dipenda da un antigrafo latino mutilo in questo punto).

Della cura delle rotture la quale è fatta nell’unbilico e relico38 e ’l ventre (141r)

– De cura rupturae quae accidit in umbilico et reliquo ventre

3.2 Tavola dei contenuti   159

Della cura della rottura quando discende l’antistine alla borsa negli stesticugli ed è detta hernia entestinale (146v)

Capitolo xj del’ernia e secondo tutte quante le sue spetie e della appostematione degli intesticogli né none della mollificatione della loro cotenna (149r)

– De cura quando intestinae descendunt ad bursam testiculorum, quae dicitur hernia intestinalis

XI. De hernia secundum omnes eius species et de apostemate testiculorum necnon de mollificatione cutis eorum

Capitollo undezimo de la ernia segondo le suo spezie et della postumacione de li choioni e della molifichacion de la pelle d’esi. Ernia si è rotura del sifac et infiaxon de l’oxeo per lo desender delle budelle; oseo si è la borsa delli choioni mollto destinto per ordene. Rubricha (62vA)

Qui meteremo chomo le budelle vano in li choioni mollto destinto per ordene. Rubricha (63vA)

V Capitulo xj de la eminencia chi descende a la borsa de li testiculi43 (67r)

De la hernia chi vene in de la borsa de li testiculi tolta la intestinale e de la sua curacione (68r)

De la cura44 che vene in de la bursa de li testiculi tolta la intestinale e de la soa cura (67v)

Capitulo xjo de la hernia secondo tuti li soy speci e de lo apostema e de la mollificatione de la codega de quelli (66v)

F1

De la curacione de la eminentia che desende a la borsa de li intesticuli (66v)

L

De la cura de la rotura quando li budelli descendono in la borsa de li testiculi (66r)

B

43 Paragrafo promosso a capitolo; il successivo cap. XI diviene invece un paragrafo. 44 Errore per hernia.

R

Edizione Hall (1957)

Tabella 9 (continua)

De la hernia chi vene in de la bursa de li testiculi tolta la intestinale e de la sua curatione. Capitulo undecimo (96v)

De la curatione de la eminentia chi descende a la borsa di testiculi (95r)

Bre

Capitolo del’ernia che viene nella borsa de’ testicoli tolta la intestinale e di sua curatione (184v)

Capitolo della curatione della eminençia che discende nella borsa de’ testicoli (184r)

F2

Species herniae et de tutte le aposteme che vengono ai coglioni. Capitolo 11o (35r)

De la rottura del siphac, id est hernia intestinale (34v)

Editio princeps volgare

160   3 La Chirurgia magna in volgare

Capitolo xiij dell’arma45 frondiosa (152r)

Capitolo xiiij delle verruche e degli accidenti che vengono nella verga et in altra parte del corpo e de clavi et formice (152v)

[quella ch’è chiamata claus si è carne callosa] (153r)

XIII. De hermofrodita

XIV. De verucis et poris accidentibus in virga et in alia parte corporis, et de clavis et formicis

– De cura clavorum

45 Sic. 46 Sic.

Capitolo xij da crastare gli humini (151r)

XII. De castrandis hominibus

[†E del no lo luo† si è una charne challoxa] (64vB)

Capitollo quarto dezimo delle veruche e delli pori, li quali adevien in la verga et in le altre parte del chorpo et de li clavi e formiga mollto destintamente e notada per ordene. Rubricha (64rB)

Capitollo terzo dezimo de una pasion mollto turpisima la qual vien dita ernia frodita per ordene notada. Rubricha (64rB)

Capitollo duo dezimo del modo de dover chastrar li homeni molto destinto per ordene. Rubricha (63rB)

De li veruci (68v)

Capitulo xiiijo de li veruci zoè porri (68r)

De li clavi de la soa curacione (68v)

De lo hermofrodito (68r)

Capitulo xiijo de l’hermofrodita (67v)

De lo clavo e de la sua cura (68r)

De lo modo de chastrar li homini (68r)

Capitulo xijo de la castratione (67v)

[Lo chiodo è una carne rotunda calosa e dura somiliante a uno chiodo] (69r)

Capitulo xiiijo de le veruce (69r)

Capitulo xiij de lo hermofrondito (68v)

Capitulo xij de lo modo de castrare li homini (68v)

De li clavi e de la sua curatione (98r)

De le veruce. Capitolo xiiijo (98r)

De lo hermo frodito. Capitulo xiij (97v)

De lo modo de castrare li homini. Capitulo xij (97r)

Capitolo de’ clavi e loro cura, coè challi (185v)

Capitolo delle veruche (185v)

Capitolo dello ermo frodito (185r)

Del modo di castrare gl’uomini (185r)

(continua)

[Clavis è carne calva46 e dura e tonda] (36r)

De le veruce e porri che vengono in la verga o in altro loco del corpo o de clavis o formicae. Capitolo 14o (36r)

De l’hermophrodita. Capitolo 13o (36r)

Del castrare. Capitolo 12o (35v)

3.2 Tavola dei contenuti   161

R

[Già sapesti del modo delle formiche e lla cura delle medicine] (153v)

Capitolo xv degli omoreci, cioè moreci (154r)

Capitolo xvj delle fistule degli accidenti che vengo nel fondamento della persona (155v)

Capitolo xvij della pietra che nascie nella vescicha (159v)

Edizione Hall (1957)

– De cura formicae

XV. De emoroydibus

XVI. De fistulis accidentibus in ano

XVII. De lapide quae nascitur in vesica

Tabella 9 (continua)

Capitollo dezimo septimo de la piera la qual se zenera et nase in la vesiga molto destinto. Rubricha (66rB)

Capitollo sesto dezimo de le fistolle le qual adevien in lo chullo notado per ordene. Rubricha (65rB)

Capitollo quinto dezimo delle maroede, zoè son v vene le qual son atorno el zerchio del chullo, notada per ordene. Rubricha (65rA)

Qui meterè in questo logo a chognoser lo logo de la formiga e la operacion delle medexine mollto per ordene. Rubricha (64vB)

V

De li fistuli che veneno in de lo culo (69v)

Capitulo xvjo de li fistuli che veneno in lo culo (69r)

De la generacione de la preda in de la vesigha (70v)

De li moreni (69r)

Capitulo xvo de li emoroydi (68v)

Capitulo xvij de la preda che nasce in la vesica (70r)

De la cura de la formiga (69r)

L

De la formica (68r)

B

Capitulo xvij de la generatione de la preda in de la vesica (71r)

Capitulo xvj de le fistule che vene in de lo culo (70r)

Capitulo xv de le morene (69v)

De la cura de la formica co la mane (69r)

F1

De la generatione de la preda in de la vesicha. Capitulo xvij (101r)

De le fistule chi veneno in de lo culo. Capitulo xvj (99r)

De le morene. Capitulo xv (98v)

De la cura de la formiga co la mane (98v)

Bre

Capitolo della generatione della prieta nella vescicha (187r)

Capitolo delle fistole nel chulo (186r)

Capitolo delle morene (186r)

Capitolo dela cura dela formicha (185v)

F2

De la pietra de la vesica. Capitolo 17o (37v)

De le fistule del culo. Capitolo 16o (36v)

De le morene. Capitolo 15o (36v)

[Inanci tu hai saputo la cura de la formica con la sua medicina] (36r)

Editio princeps volgare

162   3 La Chirurgia magna in volgare

Della cura della pietra per tagliare (162r)

Della cura della pietra delle femmine (166r)

Capitolo xviij de calteriis (167r)

Capitolo xix dell’ardere del fuoco e dell’aqua e dell’oglio bollente (171r)

Capitolo xx dello spasimo che sopraviene nella ferita (173r)

– De cura lapidis per incisionem

– De cura lapidis mulierum

XVIII. De cauteriis

XIX. De combustione ignis et aquae et olei bullienti.

XX. De spasmo supervenienti vulneri

Capitollo vizexemo de lo spaxemo lo qual sovravien a la pllaga mollto destinto. Rubricha (69rB)

Capitollo dezimo nono de la schotadura del fuogo, de l’aqua e de l’oio boiente molto destinto per ordene. Rubricha (69rA)

Capitollo dezimo otavo delli chauteri chomo li son profitoxi al chorpo humano mollto ben destinto. Rubricha (68rA)

Qui meteremo in questo logo anchora de la chura de la piera in le femene mollto destinto per ordene. Rubricha (67vB)

Qui meteremo in questo logo della chura della piera per inzixion e ’l modo de quella destinta e notada per ordene. Rubricha (67rA)

De li cauterij (72v)

De lo squotar co lo fogo o co l’aqua (73v)

De lo spasmo e de la soa curacione (74r)

Capitulo xixo de la combustione, zoè cotura, de l’aqua, del focho e de l’oleo buliente (73r) Capitulo xxo de lo spasmo (73v)

De la generacione de la preda in de li feminj (72v)

De la extractione de la preda co lo tayo (71v)

Capitulo xviij de li cauterij (72r)

De la preda de li doni (71v)

De la cura de la preda per incisione (70v)

Capitulo xx de lo spasmo e de la sua curacione (74v)

Capitulo xviiijo de lo scotare co lo fogo e co l’aqua (74r)

Capitulo xviij de li cauterij (73r)

De la generacione de le prede in de le femene (72v)

De la extractione de la preda co lo taio (71v)

De lo spasmo e de la sua curatione. Capitulo xx vinti (106r)

De lo scotare co lo fero o co la aqua. Capitulo xviiijo (105v)

De li cauterij. Capitulo xviij (104r)

De la generatione de la preda in de le femine (103v)

De la extractione de la preda co lo tayo (102r)

Capitolo delo spasmo e sua cura (190v)

Capitolo della cottura di fuoco o d’acqua (190r)

Capitolo de’ cauterii (189r)

Capitolo della generatione della prieta nelle femmine (189r)

Capitolo del modo di trarere la prieta (188r)

De lo spasmo. Capitolo 20o (39v)

De la scotadura del fuocho o de l’acqua. Capitolo 19o (39v)

De li cautherij. Capitolo 18o (38v)

De la cura de la pietra de la femina a tagliarla (38v)

Quando vogli tagliare e cavare la pietra (38r)

3.2 Tavola dei contenuti   163

164 

 3 La Chirurgia magna in volgare

Ci limitiamo qui a segnalare qualche aspetto degno d’interesse visibile nel lavoro di rubricatura dei tre manoscritti al centro della nostra analisi (B, V e R). In B, la ripartizione del testo e l’uso delle rubricature ricalcano con notevole fedeltà l’uso che di esse si osserva all’interno del trattato latino, confermando quella complessiva aderenza all’originale che si manifesta, come vedremo, in tutta la traduzione, particolarmente rispettosa dell’auctoritas del testo originale in confronto agli altri testimoni volgari della Chirurgia. La cura adottata nell’allestimento del manoscritto si può notare anche nell’apposizione di ulteriori brevi rubriche, che sin dall’esordio segnalano il procedere della trattazione, marcando il passaggio dal proemio alla trattazione vera e propria: In la nome de lo nostro signore Iesus Christus. El se comenza lo libro de lo Bruno de Cyrugia retracto in volgare (1r); El se comenza lo prohemio de lo libro del Bruno (1r); El se comenza li capituli (2v);1 anche singoli argomenti, afferenti nell’originale latino a un unico paragrafo, sono qui presi individualmente: si veda così l’adozione, nel libro II, dei titoli De la predella in l’oregia e De l’aqua che caze in la oregia nel cap. IV, o quella di De li apostemi che veneno in la codega de la testa nel cap. VII. In generale, la distribuzione della materia all’interno del codice bergamasco appare quasi più rigorosa di quanto avvenga nell’originale, conferendo al succedersi degli argomenti e delle indicazioni terapeutiche una visibilità immediata. Mancano tuttavia anche in B alcune rubricature: per il libro I la sola rubrica corrispondente alla latina De vulneribus pectoris vel thoracis (cap. IV); per il libro II, sono omesse cinque delle sette rubriche del cap. I: De rubore oculorum, De sebel, De sanguine in oculis consurgente, De cura cataractae, De palpebra; ancora, le rubriche De putrefactione et ulceribus gengivarum e De dolore dentium del cap. III. L’assenza dipenderà probabilmente (anche considerando il rispetto, pressoché assoluto, della struttura originale nel resto dell’opera) dallo stesso antigrafo latino preso a modello dal volgarizzatore: le rubriche del cap. I, libro II, ad esempio, come mostra l’edizione Hall (1957), sono assenti rispettivamente nei mss. latini O, E e G; B ed E; B ed E; O, E e G. Dei quattro codici latini considerati da Hall (1957) nel suo apparato, dunque, almeno due (e in due casi tre di essi) omettono le rubriche appena citate, testimoniandone la debolezza testuale anche nei testimoni più

1 Anche in V tali passaggi sono evidenziati dall’inserzione di rubriche indipendenti dal testo latino; particolarmente significative sono quelle apposte rispettivamente, in rapida successione, come conclusione del libro I e come apertura del libro II: «Qui fenise chon l’aiuto de Dio la prima parte de questo prexente libro chon la grazia del qual intendo destintamente chonplir la parte segonda chiara e luzidamente notarlla per ordene» (44rA); «Qui chomenzeremo nel nome de Dio i chapitolli della segonda parte tuti ordenadamente chonposti e declaradi chomo qui avanti in nel prexente volume tu troverai molto destintamente notadi e schriti per ordene, alturiandome la devina grazia intendo de ditar lo mio groso e dir inprima de la pasion di hochi» (44rA).

3.2 Tavola dei contenuti 

 165

autorevoli del testo latino, tanto più quando tali elementi riguardano patologie relative a uno stesso organo (in tal caso l’occhio). Anche in V, contrariamente a quanto emerge in R, le singole rubriche, tanto di capitolo quanto di paragrafo,2 sono segnalate da più elementi contemporaneamente: all’uso dell’inchiostro rosso, infatti, si aggiungono il ricorso alle lettere capitali, a loro volta vergate in cinabro o in oltremare, e l’apposizione frequente della parola Rubricha alla fine di ciascun titolo (in un caso la si trova anche in R: Rubrica. Unguento e in che modo si de’ rimuovere l’ardore della caldeçça). Le rubriche dell’originale latino, peraltro, mostrano qui una maggiore conservazione, soprattutto all’interno del libro I, dove le uniche lacune sono rappresentate dai paragrafi De vulneribus pectoris vel thoracis (cap. I), De fractura ossis capitis (cap. XVII),3 De fractura adiutorii (cap. XX); nel libro II, invece, mancano le rubriche dei paragrafi appartenenti al cap. I e riguardanti le patologie dell’occhio (De rubore oculorum; De panno oculorum; De ungula oculi; De sebel; De sanguine in oculis consurgente; De cura cataractae; De palpebra); sono altresì assenti, per il cap. III, le rubriche corrispondenti al lat. De putrefactione et ulceribus gengivarum, De dolore dentium, De cura ranulae; per il cap. V, la rubrica De cura flegmonis; per il cap. X, le rubriche De cura rupturae inguinalis cum cauterio e De cura eiusdem cum incisione; per il cap. XIV, la rubrica De cura clavorum. In certi casi compaiono delle rubriche aggiuntive, assenti nel testo latino: si tratta spesso di ricette, che sono qui introdotte da un titolo autonomo (Onguento da nervj. Rubricha; Inpiastro da inzenerar la marza. Rubricha; ecc.), ma anche di singole patologie (il cap. V, dedicato al dolore delle orecchie, è così scisso in tre paragrafi, assenti in latino, e dedicati a tre singole cause della patologia principale ivi trattata).4 Si può poi rilevare una certa tendenza all’ampliamento delle

2 Le rubriche di paragrafo sono per buona parte eliminate (tranne eccezioni, come nei cap. XIX e XX del libro I) nell’editio princeps volgare: il testo è dunque distribuito soltanto all’interno dei 20 capitoli che compongono ciascuno dei due libri. Sono invece conservate, in genere, le rubriche che introducono le ricette: esse sono però lasciate nel corpo principale del testo (segnalate dal solo simbolo d’inizio paragrafo), senza costituire dunque un paragrafo a sé stante rispetto al testo che precede. 3 Qui, però, indotta da uno slittamento della rubrica precedente: cf. supra alla nota corrispondente. 4 Una situazione analoga si può ritrovare anche negli altri manoscritti: nella famiglia dei quattro codici (L, F1, Bre, F2), ad esempio, nella trattazione delle patologie dedicate agli occhi (cap. I, libro II) si aggiungono tre paragrafi (cito da F1: De la consolidatione de la palpebra co lo bianco de l’ogio: 47v; De la dislocatione de la uvea, zoè de quello paniculo: 47v; De la eminentia de li ogi senza impazamento de vedere: c. 47v) in corrispondenza di argomenti specifici che, tuttavia, nella versione latina sono fatti rientrare all’interno di una singola rubrica (De sanguine in oculis consurgente); nello stesso capitolo, si agisce in modo identico anche in corrispondenza del pa-

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 3 La Chirurgia magna in volgare

rubriche stesse, soprattutto attraverso il ricorso a formule ricorrenti, come notado per ordene e destinto per ordene; alla rubrica De dieta fracurae capitis del testo latino (all’interno del cap. XVII), poi, corrisponde Qui meteremo la dieta della rotura de l’osso del chraneo della testa mollto utelle e bona brievemente notada per ordene. Rubricha. (34rA), dove alla formula, analoga ma ampliata rispetto a quella precedente, molto utelle e bona brievemente notada per ordene, si aggiunge l’introduttore Qui meteremo (in un solo caso al singolare, nel cap. XIV del libro II: Qui meterè in questo logo a chognoser lo logo de la formiga), anch’esso adottato in parecchie occasioni (cf. le rubriche del libro II, cap. V, dove tale formula è usata in modo sistematico: Qui meteremo in questo logo la notabel chura del charbonchullo over antraze; Qui meteremo in questo logo de la bella chura de erixipilla e ’l modo de quella mollto ben destinto; Qui meteremo in questo logo una altra chura della formiga mollto utelle brievemente destinto; Qui meteremo de una postiema la qual vien dita fuogo persigo; Qui meteremo in questa parte della postiema molle flematicha et la churacion). Spesso, come visto anche nell’esempio appena citato, oltre alla precisione e all’utilità dell’argomento che si sta per trattare, la rubrica sottolinea ripetutamente la brevità dell’esposizione (Qui meteremo della grande deslogacion del chomedo [...] brevemente destinto, Qui meteremo soto brevitade [...], Qui meteremo anchora in brevitade [...], Qui meteremo [...] brievemente destinto). In altri casi, alle formule si aggiungono alcune notazioni contenutistiche del volgarizzatore, per lo più di carattere pleonastico, come nel caso del riferimento alla futura trattazione della chura della data patologia: es.: De fractura costarum > Qui meteremo della rotura delle choste et ezen dio della soa zeneral chura destintamente chonponuda. Rubricha. (38vA); De dislocatione humeri > Qui meteremo della dislogacione de l’umero, zoè a dir della spala, e della chura de quello notado per ordene. Rubricha (41rA). Più in generale, si osserva in V una certa ridondanza nel trattamento delle sintetiche rubriche presenti nel testo latino; un caso paradigmatico è offerto da alcune rubriche di ricette: Pulvis levis Avicennae > Questa si è una pollvere la qual mete Avizena et è lieve asaj; Alius pulvis Avicennae > Questa si è una altra pollvere la qual anchora mete Avizena: in entrambi i casi il titolo, originariamente nominale,5 è modificato dall’inserimento di forme verbali, con in più l’apposizione del pronome dimostrativo questa, classico segnale discorsivo cataforico adottato con una certa regolarità in V (Questa si è una altra pollvere ragrafo latino De cura cataractae, dove la presenza di sotto-argomenti induce il volgarizzatore all’introduzione di nuove rubriche (cito da F1: De la cura de la marza agregata in de l’ogio: 48v; De la cura de la granella chi apare in de lo ogio: 49r). Alcune delle nuove rubriche introdotte dalla famiglia settentrionale sono peraltro in comune con quelle presenti anche nell’editio princeps. 5 Per la tendenza all’abbandono dello stile nominale latino e peri riflessi di un tale fenomeno sul lessico tecnico del testo, cf. cap. 5.6.1.

3.2 Tavola dei contenuti 

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la qual...; Questo si è uno onguento lo qual...; Questo si è uno onguento perfetissimo...). Talvolta alla catafora si associa la ripresa anaforica del tema appena trattato, se esso abbraccia anche quanto si sta per esporre: Aliud medicamen mirabile > Questa si è un’altra medexina la qual è anchora mirabelle a la dita mortifichacion de fistolla over chanchro. Un’ulteriore strategia di ampliamento, piuttosto ricorrente, è frutto dell’accoglienza, all’interno della rubrica, delle prime parole contenute nell’attacco vero e proprio del paragrafo o del capitolo: es. De fractura brachii > Como el brazo è chonponudo de do’ ossi mollto ben destinto. Rubricha. (35rB), dove la seconda parte del titolo è chiaramente estratta dall’incipit del paragrafo (Inquiunt sapientes quod brachium est compositum ex duobus ossibus); analogamente: De polipo > Capitollo segondo de polipo cioè la superfluità della carne che nasce dentro a una parte del naso (47vA), dove la glossa esplicativa della patologia appena introdotta è ricavata dalle prime parole della trattazione (Polipus est superfluitas carnis quae apparet in interiori parte nasi), generando una ripetizione a breve distanza; De cura uvulae > Como l’urlla se fa longa e se enfia chon gran dollor mollto ben destinto per ordene (49rB), dove la rubrica, molto più ampia rispetto a quella dell’originale latino, corrisponde ancora al contenuto incipitario del paragrafo (Quando uvula elongatur et tumescit et fit cum vehementi rubedine et caliditate), seppur con un’innovazione (cum vehementi rubedine et caliditate > chon gran dollor); De squinantia > De una postiema che se fa in lla golla la qual à nome squinancia mollto destinto e notado per ordene (50rA), dove, ancora una volta, rispetto alla brachilogica rubrica latina si anticipano le informazioni essenziali contenute a inizio di trattazione (Preterea fit in gutture multotiens quoddam apostema pessimum quod dicitur squinantia), esplicitando cioè già nel titolo la categoria (postiema) e il luogo di sviluppo (golla) della patologia (squinancia); De cura spinae vel ossis adhaerentium in gutture > Quando in la golla serano fite osse over spine e simille mollto ben destinto per ordene (50vA), dove la temporale è conseguenza del trapianto della sintassi che introduce il paragrafo (Quandoque adhaeret in gutture os aut spina piscis vel aliud). Un’analoga strategia si coglie anche negli altri testimoni, seppur in maniera meno vistosa di quanto si possa osservare in V: così, in B, la rubrica De lo apostema che nasce soto la lingua corrisponde al primo periodo del paragrafo (Quandoque accidit apostema sub lingua quod ranula nuncupatur) piuttosto che alla rubrica latina (De cura ranulae); allo stesso modo, la rubrica De li apostemi che nasceno in la gola che àno nome brancile e amandole è tratto dall’inizio della trattazione (Nascuntur multotiens in gutture apostemata quaedam quae branci vel amigdalae nuncupantur) piuttosto che dalla rubrica latina (De brancis et amigdalis quae nascuntur in gutture); ancora, De squinantia > De lo apostema che vene in la gola che ha nome squinantia (sulla base del periodo iniziale Preterea fit in gutture multotiens quoddam apostema pessimum quod dicitur squinantia).

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 3 La Chirurgia magna in volgare

Non è affatto improbabile, ovviamente, che nelle rubriche appena viste l’adozione delle parole che introducono i rispettivi paragrafi possa essere una diretta conseguenza di una perdita delle stesse rubriche all’interno della tradizione da cui i volgarizzamenti dipendono: un copista piuttosto attento, di fronte a cambi di argomento non segnalati dal titolo corrispondente, sarebbe di certo potuto intervenire, colmando la lacuna tramite la creazione di una nuova rubrica; altrettanto manifesto, però, è il fatto che rubriche più ampie ed esplicite potevano assecondare il bisogno del lettore (o almeno di una categoria di lettori) di disporre, fin da subito, di un maggior numero d’informazioni sul contenuto del singolo paragrafo.

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti Come si è visto dal raffronto condotto sulla struttura di capitoli e paragrafi, i singoli volgarizzamenti mostrano una sostanziale aderenza, almeno dal punto di vista macrotestuale, all’opera originale: la successione degli argomenti è rispettata con notevole fedeltà, lasciando presupporre come ai fruitori della traduzione, siano essi stati chirurghi poco avvezzi al latino o committenti benestanti a caccia di esemplari scientifici, interessasse il testo nella sua interezza. A tal riguardo, sarà doveroso rimarcare che, nei codici qui osservati, la Chirurgia magna di Bruno rappresenta l’unico testo trasmesso o, quantomeno, quello che occupa la quasi totalità delle carte, per lo più accanto a brevi successioni di ricette (anche nel grande manoscritto miscellaneo F2, la Chirurgia di Bruno è l’unico trattato di proporzioni significative), rivelando, anche in ciò, un peso autoriale notevole, che ne avrà garantito una conservazione piuttosto rispettosa dell’originale. Siamo su un piano evidentemente ben lontano da quello su cui si pongono tutti quei trattatelli o brevi ricettari di natura meramente pratica (consilia, regimina, practicae), che sono presenti in gran numero all’interno delle miscellanee mediche d’epoca medievale (peraltro non sempre distinguibili fra testi autonomi, dotati di una loro originalità, e testi ricavati, a mo’ di semplici excerpta, da altre fonti): il carattere esplicitamente manualistico della Chirurgia bruniana, corroborato peraltro dalla sua fortuna nel mondo universitario (cf. cap. 2.3), avrà sicuramente contribuito a una trasmissione mediamente molto conservatrice del testo, anche in àmbito volgare (si è già rammentato che la distribuzione stessa degli argomenti segue qui un criterio di progressiva difficoltà, il quale, allontanandosi da quello tradizionale della trattazione de capite usque ad pedes, risulta sicuramente più adatto a sfavorire uno smembramento del testo); d’altra parte, la nostra conoscenza, per il momento pressoché nulla (se si eccettua il ms. braidense AC._VIII.37, ricordato in apertura di questo capitolo), di testimoni compositi o miscellanei conservanti solo

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

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degli estratti della Chirurgia, impedisce di formulare giudizi certi sull’eventuale riuso di singole sezioni dell’opera: è facile ipotizzare, però, che almeno alcune parti della Chirurgia in volgare possano esser confluite all’interno di manoscritti nei quali, andando a occupare un peso specifico marginale al fianco di altre opere mediche, esse hanno finito col cadere in una condizione di anonimato o di scarsa riconoscibilità (tanto più se tramandate in una veste anepigrafa). La sostanziale tenuta della struttura originaria non ha ovviamente ostacolato interventi e riformulazioni sul piano microtestuale. A un’analisi più approfondita dei contenuti, infatti, si può osservare un diverso grado di conservazione del testo originale, che incorre, seppur in maniera distinta tra i vari volgarizzamenti, in quei processi di riscrittura (talvolta sviluppati semplicemente attraverso brevi aggiunte o sottrazioni all’originale) che costituiscono un punto focale nella trasmissione della trattatistica medievale. Non manca, dunque, anche nella tradizione volgare della Chirurgia bruniana, la possibilità di assistere allo sviluppo di diasistemi più o meno complessi, nei quali la sovrapposizione tra autore, traduttore e copista/-i contribuisce a plasmare testi che, benché certamente non dotati di una vera originalità, possono quantomeno assumere, almeno in certi punti, una loro dimensione individuale, frutto della progressiva stratificazione di più livelli d’intervento successivi l’uno all’altro.6 Sarà pertanto doveroso dedicare le ultime pagine di questo capitolo a rilevare alcuni casi notevoli di riscrittura,7 spesso consistenti in semplici amplificazioni o semplificazioni dell’originale: si potrà osservare che, pur in una tradizione non particolarmente intricata, come si presenta quella dei testimoni volgari della Chirurgia, gli interventi al testo generano talvolta situazioni di difficile lettura, districabili solo grazie all’ausilio dell’edizione critica latina (laddove dubbi e varianti riguardino con certezza il rapporto tra autore e volgarizzatore), ma spesso nient’affatto risolvibili, tanto più quando l’edizione Hall (1957) non offre informazioni dirimenti; è quanto accade in tutti quei casi nei quali l’inserimento di una variante o di una riformulazione testuale risulti collocabile, salvo la presenza di indizi capaci di orientare con sicurezza all’una o all’altra possibilità, sul duplice piano volgarizzatore/copista, se non addirittura sul triplice piano antigrafo latino/volgarizzatore/copista. Una tale problematica filologica si riverbera a pieno nella pratica ecdotica, dove la stessa distinzione tra errore e variante può risultare complicata, dal momento che «tre sono i possibili livelli d’ingresso: 6 Per il concetto di diasistema applicato alla filologia, cf. Segre (1979, 69); per una situazione di diasistema particolarmente complessa nell’àmbito della letteratura medica, cf. le riflessioni offerte da Sosnowski (2012a) e Zarra (2018, 4–5) in rapporto ad alcuni testimoni volgari del Thesaurus pauperum; per alcuni riflessi propriamente linguistici del fenomeno, cf. Wilhelm (2012). 7 Gli argomenti dei paragrafi che seguono sono stati in parte già esposti in Ventura (2017).

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 3 La Chirurgia magna in volgare

1) errore o variante già presente nel testo fonte; 2) errore o variante introdotta in sede di traduzione o di volgarizzamento; 3) errore o variante introdott[a] in sede di copia» (Rapisarda 2001, 135). I volgarizzamenti di materia medica, pur afferenti a categorie molto diverse tra loro (il manuale universitario è, come detto, un prodotto ben diverso dai ricettari sorti in ambienti privati e non destinati se non a una circolazione molto ristretta),8 rappresentano una tipologia testuale paradigmatica per lo sviluppo di quella «moltiplicazione delle varianti» efficacemente descritta da Sosnowski (2012a) in relazione ad alcuni testimoni volgari del Thesaurus pauperum: il «sovrapporsi di contributi ad ogni elaborazione del testo» (Id., 267) rende spesso un’impresa ardua, se non impossibile, tanto più in assenza di accurate edizioni critiche (latine e volgari), l’identificazione del livello d’entrata di varianti o errori. Ogni testimone del testo, dunque, anche all’interno di una famiglia comune (come per i nostri mss. L, F1, Bre e F2), assume una propria fisionomia, più o meno caratterizzata, che induce (e talvolta costringe), molto più di quanto accada in altri settori della letteratura in volgare di derivazione latina, ad abbracciare criteri ecdotici d’ispirazione necessariamente bédierista. Sulla base di quanto si è visto, seppur in modo cursorio, nella presentazione dei testimoni e nel confronto dei capitoli e dei paragrafi, anche la tradizione volgare della Chirurgia bruniana si offre come osservatorio privilegiato di una proliferazione variantistica nella quale, accanto a differenziazioni di carattere macrotestuale (struttura e disposizione dei contenuti) e microtestuale/filologico (lezioni disgiuntive di minore entità), si aggiungono anche (e ciò vale ovviamente, nel nostro caso specifico, per la famiglia costituita da L, F1, Bre e F2) quelle di carattere propriamente linguistico.9 Molto istruttive sono, in tale prospettiva, le parole che De Tovar (1982, 252) esprimeva in rapporto ai volgarizzamenti francesi della Chirurgia parva di Lanfranco da Milano, parole che ben si attagliano a gran parte della trattatistica medica del Medioevo: «L’intérêt d’un texte de ce genre est justement dans les formes successives, constamment renouvelées, qu’il peut prendre, et qui sont la mesure de son dynamisme interne et de sa capacité de diffusion [...]. Il est copié pour un cercle restreint d’auditeurs, se plie aux impératifs de la pratique, et passant d’une province, d’un centre culturel à l’autre, s’adapte aux cadres nouveaux dans lesquels il s’inscrit. Beaucoup plus qu’un souci de fidélité formelle, la réalité sociale et linguistique de l’environnement pèse sur la manière dont ce texte évolue. Nous avons à faire à des phénomènes de glissements d’un texte à l’autre, d’un parler à l’autre, dont témoignent des collections qu’il convient de replacer dans un milieu vivant».

8 Un caso molto istruttivo di interferenze e contaminazioni nella tradizione manoscritta di un ricettario è rappresentato dal testo di Jean Sauvage studiato da De Tovar (1973). 9 Cf. Sosnowski (2012a, 267).

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

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3.3.1 Casi notevoli di ricontestualizzazione: l’avanzata degli ydioti nella chirurgia Nell’offrire un breve saggio di interventi e modifiche al testo latino, sarà utile concentrarsi anzitutto sulla trasmissione del prologo e dell’epilogo dell’opera: questi due microtesti, infatti, sono senz’altro tra le sezioni di più alto e immediato interesse nella prospettiva di un’analisi vòlta a verificare il grado d’innovazione di un testimone volgare rispetto all’originale. Come si è già avuto modo di vedere nel presentare i singoli codici volgari della Chirurgia (cf. supra), proprio tali settori, di carattere prevalentemente discorsivo, nonché legati strettamente alla persona e al contesto storico dell’autore, risultano piuttosto deboli già all’interno della tradizione latina, e ancor più si prestano alle rielaborazioni di volgarizzatori e copisti. Nello specifico, la conservazione del prologo, accanto alla maggiore o minore completezza dell’opera trasmessa, può costituire un primo indizio significativo della destinazione del volgarizzamento e del suo grado di circolazione (cf.  Sosnowski 2012a, 260); l’explicit (cf. supra), poi, al quale Bruno affida le proprie raccomandazioni deontologiche ad Andrea Vicentino, è conservato, in forma pressoché integra e piuttosto letterale, nel solo ms. R; tre dei quattro codici della famiglia settentrionale-fiorentina (L, Bre, F2) ne riportano la sola data di realizzazione; ne sono invece del tutto privi i mss. V, B, F1, oltre all’editio princeps volgare. È verosimile che l’assenza dell’epilogo sia da imputare totalmente alla tradizione latina, nella quale il finale dell’opera presenta già una forte tendenza all’omissione (otto testimoni latini ne sono privi: cf. cap. 2.6). L’incipit è il luogo tradizionalmente deputato a chiarire, già nell’originale latino, lo scopo dell’opera e le idee dell’autore: queste però, come spesso accade nella letteratura scientifica dell’epoca, sono contrarie o esplicitamente avverse ai principi che muovono l’operato di chi traduce. I prologhi rappresentano, dunque, un luogo di primaria rilevanza per saggiare il tipo di rapporto fra mondo latino e mondo volgare nella trasmissione del sapere scientifico medievale: tanto più in una scienza altamente pratica come la chirurgia, il cui ingresso e la cui permanenza negli ambienti accademici dipendevano dalla solidità dei fondamenti teorici proposti, la difesa di un sapere tradizionale e ben codificato (anche linguisticamente) diveniva una prerogativa essenziale, come peraltro emerge con chiarezza nei testi di molti trattatisti dell’epoca.10 I processi di riscrittura e di ricontestualizzazione sono così indotti, in primis, dalla necessità dei volgarizzatori di tagliare i ponti con 10 Cf. l’analoga situazione riscontrata da Sosnowski (2014, 19–20) nel rapporto tra la Chirurgia parva di Lanfranco da Milano e i suoi volgarizzamenti. Si vedano anche le parole premesse da Guglielmo da Saliceto alla sua Chirurgia (si cita dall’edizione latina a stampa del 1546, 303r): «multi sunt huius artes operatores, qui irrationabiliter, et sine causa, imo casualiter operantur, tanquam homines ignorantes, et qui non didicerunt operari a scientibus, sed ab ignorantibus».

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 3 La Chirurgia magna in volgare

l’originale laddove quest’ultimo si faccia latore di idee controproducenti all’affermarsi di un sapere caratterizzato da una circolazione ad ampio raggio e veicolato da una lingua comprensibile anche al di fuori dalle aule universitarie. Osserviamo dunque la reazione dei diversi volgarizzamenti alle parole d’accusa indirizzate da Bruno agli ydiotae, uomini privi di litterae, e alle donne, colpevoli di praticare la chirurgia senza detenere né l’ars né l’ingenium necessario: Tabella 10: L’avversione agli ydiotae.11 Edizione Hall (1957)

R

V

B

L

Sint autem viri litterati, aut ab eo qui novit litteras ad minus artem addiscant; vix enim aliquem absque littera hanc artem comprehendere puto. Sed tempore praesenti nedum ydiotae, immo quod indecentius et horribilius iudicatur, viles feminae et presumptuosae hanc artem usurpaverunt et abutuntur ea, quae, licet credant, nec artem nec ingenium habent.

//2v, 1// Sieno etiandio huomini litterati, overo da huomini litterati imprendano, io n’ò veduti alcuni sanza lettera imprendere questa arte. Ma lo tempo presente né tame idio li semplici, ma etiam dio le vile femmine apresso ànno rapito questa arte, et usanola malvagiamente, le quali non ànno né arte né ingengno11

//2vB, 26// E sia omeni aleteradi, o veramente quelli omeni che non à letere inpara da quelli che à lletere e sienzia, che apena e’ chredo che nesuno possa inparare questa arte senza letere. Ma in lo tempo prexente non sollamente in li homeni uxerà questa arte, ma anzi //3r// la fa algune femene proxontuoxe le qual usa fallsamente che quando le se chrede ben saver, tan men le non à l’inzegno che à l’omo nì l’arte sora de zò

//2r, 2// Anchora siano homini litterati, overo almancho impareno l’arte da quello che sia litterato; ma eyo penso che alcuno apena possi imparare questa arte senza littera. Ma al tempo presente li ydioti, cioè quelli che non sapeno niente e, che pezo è et più oribile cosa, vile femine e presumptuose fanno questa arte, et ànno usurpato e male usano quella, e nientodem[en] o credano, che non ànno arte né inzegnio

//1v, 31// Siano ancora homini literati, over almeno l’arte imprenda da quelli che sono literati. Apena in veritade segondo che penso questa arte imprendere se pò sença letera. Ma el tempo presente non solamente quelli che sono sença letera, anze che più desonesto e più oribello fi zudegato, li ville femene e presumptuose questa arte àno a sí trata e cativamente usono quella, le quale femene avegnia che se creza de savire, no àno l’arte nì l’inzigno

11 Nel prosieguo del passo ritorna ancora il termine ydiotae (Refert Almansor quod illi qui hanc artem exercent pro maiori parte sunt ydiotae, rustici et stolidi), che R rende con barattieri («Dice Almansore che quegli che adoperano questa arte, la maggiore parte sono barattieri et villano et pazzi»).

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

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Tabella 10 (continua) F1

Bre

F2

Editio princeps volgare

//1v, 26// Siano anchora omini literati overo almeno l’arte imprenda da quelli che sono literati. Apena in veritade segondo che penso questa arte inprendere se pò senza letera, anze che più desonesto e più horribile fi zudigato, le belle femene, avegna che se tegneno de savere, non ànno l’arte nì lo inzegnio

//2r, 9// Siano ancora homeni literati, overo almeno l’arte inprenda da quelli che sono literati. Apena in veritade secondo che pensa questa arte inprendere se pò sença letere, ançe che più deshonesto e più oribille fi zudegate, le belle femene e presumptuosse questa arte àno a sí tracta e cativamente usano quella, le quale femene avegna che se credono de savere, non àno l’arte nì lo inzignio 2r

//131v, 18// Siano ancora huomini litterati, o almeno imparino da huomini litterati. Apena in verità secondo ch’io penso questa arte imparare si può sença lettera. Ma al tempo presente non solamente quelli che sono sença lettera, ançi quelli che sono più roçi e più ingnoranti sono più chreduli. Le femmine prosuntuose con una loro ricette12 ànno quest’arte a ssé tratta e inn ongni cosa usono quelle chredonsi sapere assai, tamen nonn ànno l’arte nè lo ’ngengnio

//1vB, 10// Anchora è di bisogno ch’el habbia la scientia ad operar questa arte. Solevano le ville femine operare questa arte per la grande presumptione sua, non havevano scientia né arte, ma certe oratione e certi unguenti

In gioco ci sono da un lato la concezione elitaria ed esclusivista del sapere scientifico tradizionale, appannaggio delle università e ritenuto veicolabile da un’unica lingua (latino), dall’altra quella «democratica» di cui si fanno portatori i chirurghi-barbieri e tutte quelle figure professionali che, digiune di latino, ritengono lecita la trasmissione della conoscenza medica anche per tramite del volgare e nelle sue forme non istituzionali. Pur in una situazione di sostanziale ossequio

12 Lettura dubbia.

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 3 La Chirurgia magna in volgare

alla lezione dell’originale, che denota la possibile provenienza dei nostri volgarizzamenti da ambienti medio-alti della cultura volgare, emergono comunque alcuni fatti degni di nota. Il ms. B si dimostra, anche in tale frangente, estremamente rispettoso del testo di partenza, la cui resa ad verbum conserva fedelmente l’accusa di Bruno alla categoria degli ydiotae e delle feminae praticanti la chirurgia. Di particolare interesse sono però le parole che il volgarizzatore Andrea Cirambello da Gandino appone nell’exordium della propria traduzione, anticipando di fatto, ma rivolgendolo a proprio favore, l’argomento (riportato sopra) della polemica contro i non letterati, che nell’originale latino è collocato poco oltre: et imperò, Amico Carissimo Zohanne de Benti da Bergamo, per monstrare in opera lo amore che io Andrea Cirambello da Gandino ve porti ne lo core, dolcemente pregato da ti ho tolta la faticha de transferire in volgare lo libro de lo prudentissimo Bruno de Cyrugia, azò che ello te sia in adiutorio a la tua solicita pratica, però che, como ello dice in lo suo prohemio, li Cyrugici debeno essere litterati o almancho impareno da quelli che sono litterati. Et pertanto ti non abiando possuto studiare gramatica nì altri scientij, possa diligentemente praticando intendere le rasone, le cure e generalmente tuta la pratica de quello sapientissimo Bruno. E cossì tutti li altri ydioti, zoè non litterati, che voleno medicare cum rasone e non aventuratamente (1r)

Va qui sottolineata la chiara apertura del traduttore agli ydioti: riflessioni di tale natura rappresentano infatti, nella trattatistica proto-scientifica, un punto focale e comune ai testi originali come ai volgarizzamenti, con prospettive e con risvolti linguistici ovviamente opposti; alla chiusura del sapere e del lessico tradizionale, quello del mondo cólto e universitario, si contrappone nei volgarizzamenti l’apertura a coloro che, pur privi di lettere, possono comunque ambire alla pratica dell’attività medico-chirurgica. Adottando il concetto di «dimensione verticale», assieme alla stessa terminologia introdotta in Italia da Cortelazzo (1988) per le lingue speciali moderne,13 il volgare assurge qui chiaramente al ruolo di lingua divulgativa (Verteilersprache) o di laboratorio (Werkstattsprache), dove si realizza il contatto tra esperto e profano; al contrario, il latino mantiene lo statuto di Theoriesprache, lingua alla quale è riservata la speculazione scientifica. Se nell’originale latino si legge un’apertura solo molto cauta agli ydioti (Sint autem viri litterati, aut ab eo qui novit litteras ad minus artem addiscant; vix enim aliquem absque littera hanc artem comprehendere puto), nel proemio del ms. B è invece esplicitamente ammessa proprio la possibilità di acquisire la scienza attraverso il volgare (anche se il volgarizzatore si trova nella posizione di un vir litteratus che traduce il testo per l’amico Zohanne non litteratus de Benti da Bergamo). La lingua è per il volgarizzatore solo uno strumento di comunicazione del sapere, ma non s’identifica col sapere stesso. Le tensioni linguistiche che ne conseguono rappresentano 13 Cf. Sosnowski (2014, 94–95).

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

 175

un motivo centrale d’interesse nello studio di questi testi, tanto più trattandosi di volgarizzamenti di un’opera latina fondata sul sapere dei grandi maestri greci e arabi (cf. cap. 5.6.2). I mss. L, F1, Bre e F2 sono a loro volta solidali nel mantenimento del testo originario e dunque della critica di Bruno agli illetterati (la maggiore sinteticità di F1 sarà da attribuire, con ogni probabilità, a un saut du même au même tra un primo e un secondo femene). Da rimarcare sono qui, sotto il profilo meramente filologico, i punti di divergenza che, anche in tal caso, il ms. F2 mostra rispetto agli altri tre testimoni di area settentrionale, rivelando ancora la presenza di un processo di rielaborazione più marcato, avvenuto forse per mano del copista stesso (Miniato di Mario di Baldese), oppure di copisti a lui precedenti. Alla conservazione dell’impianto originario si accompagna infatti l’introduzione di elementi sconosciuti al resto della tradizione, a cominciare dal periodo ançi quelli che sono più roçi e più ingnoranti sono più chreduli; F1 e Bre condividono invece la lezione deteriore belle femene, correttamente restituita da L (ville femene e de la piaga che venne in lo budello e siphac, zoè uno paniculo de dentro (2rA) De summa et agregatione universalis curationis vulnerum quae fiunt in carne > de la curatione de li piagi e de li ulcerationi che fino fati in la carne (4r) Et si videris humores superhabundare et locum rubescere, et times ne apostema calidum illic fiat [...] > E se ti vederay crescere li humori e che lo loco deventi roso e se sconfli, overo se infli, alora debi temere che al non fiza facto lo apostema caldo [...] (7v) detur sicut diapenidion [...] cum aqua decoctionis liquiritiae, ysopi, passularum et similium > daye como è dyapenidion [...] cum aqua cotta cum regalicia, ysopo, e uva passa, e simili cosi, se la materia non serà viscosa (9r) pectinem et inguina similiter ungamus > dovemo unzere simelmente lo pectine, zoè lo pectinaculo, e lo inguine che è apresso lo membro occulto (10r) ultima curatione succurrit, ac post totalem incisionem in latitudinem oportet ut nervus suatur > el se de’ succurrere spesse volte a quello cum la ultima curatione, zoè cum la incisione e cauterizatione, zoè squetamento, e pos tale incisione in largeza el besognia che lo nervo se cusi (10r) carnem quam generare volumus carni totius corporis similari necesse est > quella carne che noy volemo generare el besognia che la se someya a la carne de tuto lo corpo. Intendi che la sia in terzo o in quarto grado (15v) medicinae siccae sicut litargirum et aliae minerales > li medicini sicci sono como litargiro et altri minerali, zoè cosi cavati de terra, e terrestri, zoè de terra, e crossi (17r) a principio usque ad finem desiccativa sunt necessaria > da lo principio fina a la fine li cosi desiccativi sono necessarij, e questo se fa in ogni piaga frescha e facta in la superficie, zoè in la profunditade, overo de fora (18v) Quod si illud fuerit, tunc statim minue de virtute abstersionis > Ma se quello serà per la medicina creativa de la carne, alora subito minuisse de la virtude de la abstersione (23r)

Semplificazioni: m)

non incarnatur in eo quod diversificatur ab isto, id est quomodo sectio est magna et corpus est siccum. Et hic est modus disputationis rethoricus cum experimentis

18 Si evidenziano tramite sottolineatura le amplificazioni (nel volgarizzamento) e le semplificazioni (nel testo latino).

180 

n) o)

p)

 3 La Chirurgia magna in volgare

et fiducia curationis > e se incarneno quando la sua divisione, overo incisione, e quando lo corpo de lo infirmo è humido e dolze, e non se incarneno in quello che fi differenciato da quello (3v) scarificatio aut incisio vel suitio aut incensio nuncupatur > quella fi dicta scarificatione, zoè ventosatione, o taliatura o cusitura (2r) Et quando accidit ut ledatur infirmus propter extremitates astellarum post stricturam in locis sanis, pone sub eis ex stupa et similibus donec non ledatur ex eis. Inquit Avicenna, et non oportet ut fiat festinatio ad auferendum astellas > E quando advene che per quelli el fiza dannato, Avicenna dice che al non besogna afrezarse a removere li astelli (35v) deinde pone illud super oculum calidum et fac hoc multotiens donec sanguis recedat; item est emplastrum quod habet confortare oculum et mitigare dolorem; et si fuerit dolor ex percussione vel casu ut Recipe folia rosarum et sandalos albos et rubeos et cum vino albo bulliant, et superpone > poy pone quello caldo sopra l’ogio e fa’ questo molti volti fina che lo sangue se parta (48r)

Le amplificazioni svolgono un compito essenzialmente didattico, vòlto al chiarimento di informazioni implicite (cf. es. l: per la medicina creativa de la carne; anche per mezzo di riprese anaforiche, come nell’es. i: e questo se fa in ogni piaga frescha e facta in la superficie, zoè in la profunditade, overo de fora), nonché di approfondimento e di esegesi dei contenuti presenti nell’originale; a volte, poi, esse sembrano essere il frutto dell’esperienza diretta di un fruitore del testo. Si osservino, per esempio, amplificazioni come le sovrastanti se sconfli, overo se infli (es. c) e se la materia non serà viscosa (es. d): nel primo caso l’esperienza suggerisce l’inserimento di una notazione sintomatologica, nel secondo di un accorgimento da tenere in conto nella produzione di composti medicamentosi. Tra i punti che incorrono in procedimenti semplificativi, poi, rientrano alcune porzioni testuali di ridotto peso informativo, come un richiamo alla validità del rimedio terapeutico appena esposto (es. m: Et hic est modus disputationis rethoricus cum experimentis et fiducia curationis) o il modo di comporre e applicare un determinato medicamento (es. p: item est emplastrum quod habet confortare oculum et mitigare dolorem; et si fuerit dolor ex percussione vel casu ut Recipe folia rosarum et sandalos albos et rubeos et cum vino albo bulliant, et superpone). Va come sempre tenuto a mente che, avendo a che fare con un testimone unico, e potendo dunque contare su un livello soltanto duplice di osservazione (testo latino/volgarizzamento), è quasi sempre impossibile discernere con certezza il momento d’entrata delle varianti amplificative e semplificative (tanto più quando queste sono limitate alla presenza o all’assenza di una sola parola): in assenza di indicazioni dirimenti offerte dall’edizione Hall (1957), infatti, non si può escludere neppure che tale momento sia appartenuto già alla tradizione latina; le aggiunte e le sottrazioni al testo, dunque, che saremmo indotti a identificare come inter-

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

 181

venti del volgarizzatore,19 potrebbero in realtà rimandare già all’antigrafo latino alla base della traduzione.20 I mss. R e V, in linea con un atteggiamento contrassegnato da una maggiore libertà nei confronti del testo di partenza, testimoniano casi più ampi di riscrittura. Se ne offre un brevissimo saggio (si sottolineano nel testo latino le sezioni interessate da tagli e riformulazioni, nel testo volgare quelle che rappresentano una sostanziale amplificazione rispetto all’originale), concentrato su V, che dei tre testimoni analizzati si mostra il più libero nella restituzione del contenuto originale: a)

b)

Postquam vero vulnus sufficienter saniem acquisivit, medicinis facientibus nasci pus omnino sublatis cum panno vel carpia et administratione medicinarum exsiccantium, ideo competenter convenit ut exsiccetur ut inde valeat consolidari; nam dum ibi esset habundantia saniei, vulnus consolidari non posset, quia, sicut dicit Galienus, sanies est nitrosa et corrosiva et est res magis contraria consolidationi. Quapropter secta stolidorum cyrurgicorum aut vulgi redargutione ab huiusmodi documento movearis minime qui velut ratione carente suas pultes mollificativas omnibus vulneribus indifferenter ac incessanter ministrant > quando che la piaga averà zitado marza che sia bastevolle, lieva via le medexine esechative della marza chomo è li filli e chon altre chosse a quello proziede, zoè medesine chonsollidative, e però, chomo dixe Gallieno, la marza è salsa, choroxiva e chossa molto chontraria la chonsolidacion. Per la qual chosa la chompania di mati medexi o per reponsione dal puovollo che tanto sapia dire questa è bona medexina e questa è ria medexina, che loro atenderà pì tosto al chonseio del puovollo ch’ei non farà a la soa siencia si n’averà, i qualli meterà pur so pontie che molificha in tute piage chontinualmente (6r); Preterea mala caro multotiens crescit in vulnere, cuius causa bona caro non nascitur, quapropter medicamen acutum et corrosivum administrandum est, quod in capitulo de fistulis reperitur, donec penitus desiccetur, quoniam in carne addita nichil operatur natura. Ideoque si eam vis evellere, eius adiutorium non expectes, sicut in carnis nascentia expectatur. Ex opere quidem naturae carnis fit creatio, sed illud quod natura non facit est eius operationi contrarium, quare oportet ipsum artificialiter extirpare, et iam hoc dictum est ab antiquis > Anchora la mala charne nase molte fiade e chrese in la piaga per la qual chaxone la mala charne non lassa chreser la bona charne. A voler tuor via la malla charne alora se meta suxo quela mala charne medexine achute e coroxive, le qual se trova in lo chapitollo de le fistole. E meti de questa che remove la malla charne. Sapi che infina tanto che quela mala charne starà dentro de la piaga, la natura non porà adoperar nessuna chosa. Adoncha quando che tu vederà ch’el serà mala charne in la piaga non aspetar l’oltuorio de la natura chuxì chomo tu aspeti l’oltuorio de la bona charne, perché la natura farà naser la bona charne quando che tu averà tolto via la charne chativa. Sapi

19 Quando non si tratti di uno scriba successivo, responsabile della singola copia giuntaci: un caso, ovviamente, che dipenderà dall’interpretazione del testimone come autografo del volgarizzatore Andrea Cirambello oppure come apografo di un copista. 20 Per la questione fondante della sovrapposizione, all’interno del singolo testo, tra modi della comunicazione volgare e modi della comunicazione latina (e sulla difficile riconoscibilità di un confine netto tra i due mondi), si vedano le considerazioni offerte nel cap. 5.6.2.

182 

c)

 3 La Chirurgia magna in volgare

che la natura alguna volta fa chosa che è chontrario a l’uovra della natura, per la qual chossa el bexogna tuor via artificialmente, chomo dixe li savij antixi (15r); ex isto electuario detur sero et mane, quoniam est mirabile. Hoc enim est regimen curationis rupturae cum modis medicinarum et secundum semitam rationis. Multotiens vero mulieres sagaces absque aliquibus medicinis suos sanant pueros quando percipiunt initium aegritudinis, et defendunt ne addatur cum braccale et cum prohibitione luctus et vociferationis, motus et similium rupturam dilatantium. Quod si ruptura inguinalis non sanatur cum modis medicinarum sicut diximus, tunc ad cyrurgiam recurrendum est, et operatio quidem cyrurgiae in huiusmodi rupturae est duplex, quoniam aut fit per cauterium, aut fit per incisionem. Et ego rememorabo ad praesens modum operationis uniuscuiusque secundum modum antiquorum > e questo chonfeto dà doman e dà sera ed è meraveioxo questo arezimento de la natura per medexine. Mollte fiade le femene defende quello chon el pianzere, in chomenzamento guardallo de pianzere e da chridare e da chosse che allarga la rotura. Si [non] varisse, va’ alla zirogia per do’ muodi, per chauterio e per taio. L’è vera zaschauna de queste do’ vie segondo li antixi (62v).

Gli interventi amplificativi contribuiscono a rafforzare la connessione testuale, pur risultando talvolta di carattere pleonastico: si veda, nel passo a), la reiterata apposizione di elementi con valore anaforico rispetto a quanto esposto immediatamente prima: A voler tuor via la malla charne, suxo quela mala charne, E meti de questa che remove la malla charne, quando che tu vederà ch’el serà mala charne in la piaga. In altri casi (cf. es. b), ci si muove in direzione semplificativa, riducendo in modo marcato la struttura del periodo laddove il testo latino non presenta difficoltà né è dotato di un peso informativo rilevante (Quod si ruptura inguinalis non sanatur cum modis medicinarum sicut diximus > Si [non] varisse; ad cyrurgiam ricurrendum est, et operatio quidem cyrurgiae in huiusmodi rupturae est duplex  > va’ alla zirogia per do’ muodi), omettendo dunque anche elementi cataforici dell’originale (Et ego remorabo ad praesens). Al passo riportato sopra, peraltro, segue direttamente il cap. XI del libro II: il volgarizzamento, dunque, omette del tutto gli ultimi due paragrafi del capitolo precedente, dedicati alla cura tramite incisione dei traumi inguinali e a quella dell’ernia intestinale. Anche in R gli interventi al testo non sono infrequenti, seppur di minor consistenza rispetto a quanto si vede in V. Ne riporto solo un paio di esempi istruttivi: quia ex inordinate dicta apostema malum et virus in vulnere generatur, quibus fortasse membrum ad putrefactionem deveniet, et maxime in aestate, ideo in hoc loco convenit ut fiat eius rememoratio. Eger igitur, a principio per ix dies, a repletione vini et grossis cibariis custodiatur, quoniam infra istos dies apostema quiescere consuevit > per la disordinata dieta, l’apostema reo et loticoso se nella piaga si generano, per le quali perviene alle fiate lo membro a putrefatione, et spetialmente la state, et perciò è convenevole cosa che io ne ricorda in questo luogo. Inperciò fa l’ammalato da riempimento soperchio delli cibi et dello vino et dalli cibi grossi, sì come è charne vacchina e cavoli, ligumi et simili cose et io porrò uno capitolo ove tratterò delli cibi. Nove dì si guardi da questi cibi, conciosiacosaché, infra questo tempo, suole riposare l’apostema (15r).

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

 183

L’integrazione apporta qui un’informazione puntuale, assente nell’originale (dove si parla genericamente di grossis cibariis) e diretta a esplicitare i cibi dai quali il paziente deve astenersi per curare la patologia in questione. Più spesso, però, il ms. R è caratterizato da interventi che apportano una maggiore sinteticità rispetto al dettato latino, come si può desumere chiaramente dall’esempio che segue: Inquit Albucasis quod iam dixerunt quidam experimentatorum quod quando accidit in intestino vulnus et est parvum, oportet ut ligetur secundum hunc modum; et est ut accipias formicas magnorum capitum; deinde agrega duo labia vulneris, et pone formicam unam ex eis quae habeat os apertum super duo labia vulneris; cum ergo capit super ea et constringit os suum, abscinde caput eius; adhaeres enim et non solvitur; deinde pone formicam aliam prope primam, et non cesses facere illud cum formica post formicam secundum quantitatem totius vulneris, deinde reduc ipsum et sue vulnus. Illa enim capita remanent annexa in intestina donec cibetur et sanetur, et non accidit infirmo nocumentum penitus. Et iste modus suturae cum formicis est secundum viam fiduciae. Inquit etiam quod si vulnus magnum et amplum fuerit, et maxime in uno intestinorum gracilium, tunc non est ingeniatio nec subtiliatio, quoniam nec sanatio omnino > Secondo che dice Albucassi et che già dissono alquanti experimentatori, che quando adviene la ferita nelle intestine e piccola, tutte quante si leghino in questo modo: cioè che pigli formiche con grandi capi et abbia di quelle formiche due capi et faccia mordere la ferita et mozza lo ’mbusto e lascia stare i capi apiccate alla ferita infino a tanto che sia guarito, avegna iddio che se lla ferita fosse grande et ampia et maggiormente in uno degli intestini gentili, allora non è bisogno ongni sottiglezza, perciò che non si può sanare al postutto (18r).

Alla riformulazione del testo latino finiscono per contribuire anche dei probabili guasti meccanici della tradizione: a un verosimile saut du même au même, ad esempio, sarà da imputare la resa, decisamente più sintetica rispetto all’originale, del passo che segue, tratto dal ms. V; anche in tal caso, se di salto si è davvero trattato, esso sarà forse da attribuire già al lat. Inquit Avicenna...Inquit etiam piuttosto che alla trasmissione del testo volgare: Et modus cum quo possibilis est restauratio disruptionis intestinorum si fuerit parva, est ut cum acu subtilissima ac filo de sirico diligenter suatur; deinde sicut diximus intestina intromittantur; filorum quoque capita extra vulnus dependeant, nec ipsum vulnus claudi permittas donec incarnationem receperit intestinum. Medicamen etiam conglutinationem faciens super intestini suturam apponas, si illud est tibi possibile. Inquit Albucasis quod iam dixerunt quidam experimentatorum quod quando accidit in intestino vulnus et est parvum, oportet ut ligetur secundum hunc modum; et est ut accipias formicas magnorum capitum; deinde agrega duo labia vulneris, et pone formicam unam ex eis quae habeat os apertum super duo labia vulneris; cum ergo capit super ea et constringit os suum, abscinde caput eius; adhaeres enim et non solvitur; deinde pone formicam aliam prope primam, et non cesses facere illud cum formica post formicam secundum quantitatem totius vulneris, deinde reduc ipsum et sue vulnus. Illa enim capita remanent annexa in intestino donec cibetur et sanetur, et non accidit infirmo nocumentum penitus. Et iste modus suturae cum formicis est secundum viam fiduciae. Inquit etiam quod si vulnus magnum et amplum fuerit, et maxime in uno intestinorum

184 

 3 La Chirurgia magna in volgare

gracilium, tunc non est ingeniatio nec subtiliatio, quoniam nec sanatio omnino > el modo de curar le dite feride de le budelle si è che tu tegni la piaga averta chon le taste, a le qual taste sia apichado uno fillo, che quello fillo si romagna senpre de fuora de la piaga, e non lasare serar la piaga infina tanto che le budele non è incharnade. E meti suxo medexina che chonzonza le parte insenbre segondo la via e veritade de fidanza. Anchora el se dixe se la piaga serà anpia e granda, e masimamente in uno de li budelli sotilli, alora non è inzegno né sotiamento al postuto de sanarllo (10r).

Tra gli elementi di maggiore debolezza nella conservazione dei testi medici medievali si annoverano tradizionalmente le prescrizioni dei medicamenti: in particolare, alla facile dispersione cui gli ingredienti di una ricetta vanno incontro per disattenzione dei copisti (già nella tradizione latina), si aggiunge la possibilità, offerta a chi interviene sul testo, di far leva sulla loro altrettanto agevole sostituibilità, quando non sulla loro completa omissione. I volgarizzamenti della Chirurgia bruniana, pur non sottraendosi alla tendenza generale osservabile in gran parte della letteratura medica coeva, testimoniano un’ottima tenuta dei trattamenti farmacologici, nei quali gli interventi sono per lo più circoscritti all’aggiunta/omissione di pochi componenti. Se ne riportano tre esempi tratti dalla lunga lista di medicamenti allogata da Bruno nel cap. X del libro I: Tabella 13: Casi minimi di riformulazione. Edizione Hall (1957)

R

V

B

Editio princeps volgare

Pulvis levis Avicennae. Recipe cerusae, merdasengi, id est litargirum, amborum ana partem i; scoriae plumbi, mirrae, gallarum, omnium ana partem semis. Omnia terantur et fiat ex eis pulvis (69)

//39r, 3// Polvere lieve d’Avicenna. Pilgla cerusa, merrdasengi, cioè litargirio,21 da’ di tutti quanti ana dramme ij, turis, aloes, d’anbeduni ana dramme iij, sarcocolle, memitte, d’anbeduni dramme j ana

//19rA, 27// Questa si è una pollvere la qual mete Avizena et è lieve asaj. Rubricha. Tuo’ spicha e litragiro, de tute do’ una parte; schoria de pionbo, mira e galle, de tute ana parte i over meza eguale. Tute le pesta e fane polvere

//17v, 26// Polvere incarnativa de Avicena. Recipe de biacha, de litargiro, equalmente de tuti doy parte j; de scoriola de piombo, de mirra, de galla, de tuti equalmente parte meza. E tuti fizano tridi e de quelli ne fiza polvere

//9rA, 2// Polvere leçiera d’Avicen. Tolli cerusa, merdasengi, cioè litargiri, scorie plumbi, myrre, gallarum, ana once .ſ., omnia terantur, e de quelle se facia polver (9r)

21 In questo punto si ha un evidente saut du même au même tra prima e seconda occorrenza di merdasengi.

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

 185

Tabella 13 (continua) Edizione Hall (1957)

R

V

B

Editio princeps volgare

Item alius pulvis rubeus Avicennae. Recipe rubeae, ossium combustorum, merdasengi, omnium ana 3 ii; thuris, aloes, amborum ana 3 iii; sarcocollae, memite, amborum ana 3 i (69)

***

//19rB, 9// Questa si è una altra pollvere la qual mete anchora Avizena. Rubricha. Rezipe arubea, osi bruxadi, litragirio, de tute ana once ij, inzenso, aloe once iij, sarchachola oncia j.

//17v, 34// Una altra polvere rossa de Avicena. Recipe roza, zoè herba de tinctori, ossi de galina brusati, litargiro, de tuti dramme ij; incenso

//9rA, 2// Un’altra polver d’Avicen. Tolli rube, ossium combustorum, merdasengi, ana once ii, thuris, aloes, sarcocole ana once iii (9r)

Pulvis comunis in regeneratione carnis et consolidatione. Recipe olibani, aloes, sanguinis draconis, sarcocollae, omnium ana 3 iii; aristologiae adustae, litargiri, cerusae, corticis arboris pini, centaureae minoris, ana 3 i; gallarum, balaustiarum, ana 3 ii. Hic pulvis valde mirabiliter existit (70)

//39r, 9// La polvere comune da fare arigenerare la carne e consaldare. Pilgla libano, aloe, sangue di dragone, sarcocolla, di tutti quanti ana iij, stiriloggia arsa, litargirio, ceruse, cioè biacha, cortecce d’alboro di pino, centaura minore ana dramme i, galle, fiore di melegrane ana drame ij, questa polvere è molto maravilglosa

Rezipe inzenso, aloe, sangue de drago, sarchacholla, de tute ana once iij, aristollogia bruxada, litragirio, biacha, schorzi de albori de pino, zentauria menore, ana once j, galle, ballaustie, ana once ij, questa pollvere si è molto meraveioxa

//18r, 1// Anchora una altra polvere consolidativa e gurativa de la carne. Recipe incenso, aloes, sangue de drago, sarcocola, ana, zoè equalmente, dramme iij; aristologia brusata, litargiro, biacha, scorze de arbore de pino, centaurea minore, ana dramme ij; galli, balaustij, ana dramme ij; questa polvere mirabilmente opera

//9rA, 12// Polvere commune in generar la carne. Tolli olibano, aloes, sanguis draconis, sarcocole ana once iij, aristologie aduste, litargirij, ceruse, corticis arboris pini, centauree minoris ana once j, gallarum, balaustiarum ana once ii. Hic pulvis mirabiliter exercet

186 

 3 La Chirurgia magna in volgare

Quanto al primo esempio, prescindendo dalla lezione di R, che è inficiata da un salto di copiatura, gli altri tre testimoni mostrano una conservazione fedele degli ingredienti originali. La seconda ricetta è restituita da B in una forma molto più sintetica (non si traduce il lat. thuris, aloes, amborum ana 3 iii; sarcocollae, memite, amborum ana 3 i), alla quale si aggiunge però la precisazione de galina accanto al più generico ossium combustorum dell’originale; nell’editio princeps manca invece un corrispondente volgare soltanto per il lat. memite; in V la ricetta è unita (non si può escludere che ciò sia avvenuto per la caduta della rubrica nella tradizione manoscritta da cui V dipende) alla successiva (terzo esempio della tabella 13), andando così a formare un’unica prescrizione terapeutica. Per la terza ricetta, infine, la versione offerta da R omette il lat. aristologiae adustae, litargiri, cerusae; del tutto conservativa è, in tal caso, la resa di B e ancor più quella dell’editio princeps, che, come avviene talvolta, mantiene passivamente la versione latina senza tradurla.22 Anche il ramo comune rappresentato dai mss. L, F1, Bre e F2 ripropone in maniera complessivamente molto conservativa le ricette originali: Tabella 14: Altri casi di conservazione. Edizione Hall (1957)

L

F1

Bre

F2

Aliud medicamen quod utendum est in locis nervosis. Recipe suci radicis celidoniae, urinae puerorum, ana 3 iiii; calcis vivae 3 iii

//29r, 12// Ancora una altra medesina de la quale no’ usemo. Recive de lo zugo de la radice de l’erba ch’è domandata calzedonia e de la orina de li puti ana onze iij e de lo arsenico citrino onze j e fizano confeti in questo modo,

//28v, 6 // Anchora una medesina la quale nuy usemo. [R]ecive de lo zugo de la radice de la herba chi è domandata alcedonia e de la urina de li puti ana onze iij e de lo arsenico citrino ana onze j e fizeno confeti in questo modo,

//40r, 32// Ancora una altra medesina de la quale nuy usemo. //40v// Recive de lo zugo de la radice de la herba chi è domandata calzedonia e de la urina de li puti ana onze iij e de lo arsenico citrino ana onze j,

//152v, 11// Un’altra la quale usava lo ‘nventore di questi. [T]ogli sugo di barbe di calcidonia, orina di fanciugli ana once iij, arsenico citrino once i,

22 Per i fenomeni di commutazione di codice, cf. infra (cap. 5.6.2). 23 Lettura incerta.

3.3 Il «diasistema» dei volgarizzamenti 

 187

Tabella 14 (continua) Edizione Hall (1957)

L

F1

Bre

F2

arsenici citrini 3 i; conficiatur sic: succus et urina puerorum bulliant in olla rudi et calx cum eis bene incorporetur. Deinde addatur arsenicum, et omnia simul agitando incorporentur (117)

che lo zugo e la orina fizano boliti in una olla nova e de la calzina fiza bene incorporato con queli, e posa fiza azonto lo arsenico e tuti così insema fiza bene mesedati e incorporadi

che lo zugo e la urina fizeno bulliti in una olla nova e de la calzina fiza ben incorporata con quelli e possa fiza azonto lo arsenico e tute cosse insema fizeno bene mesedate e incorporade

e fizano confeti in questo modo che lo zugo e la urina fizeno boliti in una olla nova e de la calzina fiza ben incorporata cum quelli e possa fiza azonto lo arsenico e tute cose insema fizano ben mesedate e incorporade

incorpora in questo modo, coè ch’el sugo e l’orina si bollino inn una bortia23 nuova e la calcina sia ben incorporata con esso, e di poi sia agiunto l’arsenico e tutte cose insieme bene mescolate e incorporate

Item aliud ad idem. Recipe ellebori albi, aristologiae, centaureae, radicis scolopendriae, yreos, farinae orobi, ana partes equales; terantur et fiat ex eis pulvis (118)

//29r, // Ancora una altra medesina. Recive de lo eleboro biancho e de la aristologia, de la centaurea e de la radice de la scolopendia ana parte inguale, fiza fata polvere

//28v, 13// Anchora una altra medesina. [R]ecive de lo eleboro biancho, de la aristologia, de la centaurea e de la radice de la scolopendria ana parte inguale e fiza fato polvere

//40v, 9// Ancora una altra medesina. Recive de lo eleboro biancho, de la aristologia, de la centaurea e de la radice de la scolopendria ana parte inguale e fiza fatto polvere

//152v, 17// Ancora un’altra medicina. [T]ogli elobro bianco, astrologia ritonda, centaurea minore, radice di scoloplendia e fanne polvere

Rispetto al testo di partenza si colgono soltanto alcuni lievi distanziamenti, che accomunano tutti e quattro i testimoni, confermandone l’appartenenza a una tradizione comune: nella prima ricetta manca infatti la resa corrispondente al lat. calcis vivae 3 i; nella seconda, invece, non è restituito il lat. yreos, farinae orobi. Inoltre, il ms. F2 si caratterizza anche, rispetto a L, F1 e Bre, per l’assenza di un’indicazione relativa alla quantità degli ingredienti (lat. ana partes equales > L, F1, Bre: ana parte inguale) e, in direzione contraria, per l’apposizione dell’attributo ritonda al sost. astrologia (al cospetto del più generico aristologia presente nell’originale), a designare dunque una delle due tipologie specifiche della pianta in questione (in altre sezioni del testo latino si distingue esplicitamente tra aristologia lunga e aristologia rotunda).

4 La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501 4.1 La scelta del testimone Alla luce di quanto esposto nel cap. 3, e in seguito a un confronto tra i singoli testimoni della Chirurgia, si è deciso di prediligere il testo contenuto nel ms. bergamasco MA 501, di cui si offre l’edizione. La scelta è motivata principalmente da due considerazioni: a) l’ottimo stato del testo restituito dal manoscritto, che ben si presta a essere adottato come esemplare di base (codex optimus, o bon manuscript stando alla nomenclatura bédierista)1 del testo volgare della Chirurgia magna; con l’autorevolezza del codice bergamasco, infatti, non possono competere gli altri testimoni volgari della Chirurgia, tutti, seppur in misura diversa tra di loro, caratterizzati da un testo talvolta mutilo o inficiato da un numero più sostanzioso di errori, che possono essere dovuti alla copiatura o, in qualche caso (ma la distinzione è talvolta tutt’altro che ovvia), alla mancata comprensione dell’antigrafo (volgare o già latino); b) la caratterizzazione dialettale del testo, proveniente da un’area periferica come quella lombardo-orientale, costituisce un punto di notevole interesse per la conoscenza del bergamasco quattrocentesco, tanto più nella sua dimensione pratica, per quanto si tratti, come si vedrà nell’analisi linguistica, di una lingua nel complesso molto mescidata, tipica della koinè settentrionale, e nella quale ad alcuni tratti peculiari dell’area lombarda se ne accompagnano altri frutto di una tendenziale sorveglianza linguistica del volgarizzatore (o copista). La scelta del testo edito vorrebbe dunque rispondere in modo efficace alla prima delle due fondamentali aspettative che uno studio sui testi medici in volgare dovrebbe generalmente stimolare, secondo quanto Aprile (2001b, 61–63) rilevava per i testi di medicina animale da lui studiati: da un lato, cioè, essi possono costituire testimonianze importanti dei volgari locali meno documentati, soprattutto in una veste pratica e lontana da intenti letterari (ciò vale in modo particolare, nel gruppo dei nostri testimoni, per il ms. B e per i mss. F1, L, BRE); dall’altro lato, «si può tentare di ricostruire le loro caratteristiche unificanti» (ivi, 61), studiandone i principali tratti testuali e terminologici. A uno studio parallelo dei testimoni saranno pertanto dedicati i capitoli V e VI: nel primo di questi, oltre all’analisi linguistica di

1 Per una sintesi delle idee ecdotiche del grande filologo francese, si veda quanto esposto nell’introduzione a Bédier (1929); per un approccio ecdotico di tipo «bédierista», si veda anche Ménard (1987); un’analisi critica del metodo si trova in Dembrowski (1992–1993). https://doi.org/10.1515/9783110624595-004

4.2 Criteri di trascrizione 

 189

B si offriranno dei confronti relativi alle strategie di traduzione dei singoli volgarizzamenti; il capitolo VI (glossario), invece, integrerà in modo sostanziale le nozioni di carattere propriamente terminologico anticipate nel capitolo V. L’unica alternativa, tenendo conto della tradizione che, allo stato attuale, conta sette testimoni manoscritti più l’editio princeps veneziana del 1510, sarebbe stata offerta dall’allestimento di un’edizione critica basata sui mss. Bre, F1, L e F2. Due cause ci hanno indotto, tuttavia, a scartare quest’ipotesi: da un lato la minore autorevolezza dei tre testimoni, probabili apografi che, seppur in misura differente (e a un livello diverso rispetto all’antigrafo comune), offrono tutti una versione meno corretta di quella restituitaci dal ms. MA 501. Inoltre, le ampie lacune, in parte comuni a tutti e quattro i manoscritti, avrebbero reso molto complicata la costruzione del testo da editare, tanto più tenendo conto della diversa caratterizzazione dialettale dei testimoni.

4.2 Criteri di trascrizione La grafia del codice si mostra sostanzialmente concorde con le oscillazioni che caratterizzano le scriptae quattrocentesche in volgare. La trascrizione si attiene a criteri rigidamente conservativi, seguendo molto fedelmente la grafia del manoscritto; per il resto si tiene conto degli ormai canonici criteri stilati da Castellani (1952, 12–16), oggetto poi di leggera revisione in Castellani (1982, XV-XIX). Nello specifico: – si distingue tra u e v (la v è usata all’inizio di parola); si conservano i diversi grafemi i/j/y (senza ridurre a i la grafia -ij) anche quando essi sono privi di qualunque valore fonetico o etimologico; si lasciano intatte anche le grafie ‹ch› e ‹gh› davanti ad a o vocale palatale, così come i vari nessi grafici non assimilati -bst-, -gm, -nct-, -nst-, -ps- e le altre grafie dotte (th, ph, x etimologica, h etimologica o pseudo-etimologica); – si separano le parole secondo l’uso moderno (per casi difficoltosi di separazione cf. infra), ad eccezione delle preposizioni articolate, che sono rese in forma analitica, in conformità con l’uso scempio della laterale tipico dell’area settentrionale (de lo, a la, ecc.); – tutte le forme abbreviate sono sciolte nel testo attraverso l’uso del carattere corsivo; soltanto nelle note a piè di pagina si adotteranno, allo stesso scopo, le parentesi tonde. Nel caso di scioglimenti che possono generare allotropi (il tipo capitolo/capitulo; molto/multo) si è optato per la forma più ricorrente tra quelle presenti nel testo in forma intera. Nello specifico, si segnala qui lo scioglimento delle abbreviazioni più frequenti, corrispondenti a quelle tradizionalmente adoperate nei manoscritti medievali:

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– –

titulus sopra la vocale = m/n a seconda dei casi (davanti alle occlusive bilabiali si adotta m, come si legge solitamente nelle forme piene); il titulus può rappresentare anche en/em2 – nota tironiana simile a 9 = con o com (davanti a occlusiva bilabiale) – nota tironiana simile a 7 = et – p con asta tagliata da un tratto orizzontale = per (e talvolta par) – p con prolungamento a sinistra dell’occhiello = pro – p con apice ricurvo = pre o pri – ch con tratto verticale sovrascritto a h = che (talvolta ché nella congiunzione p(er)ch(é); molto raramente ch’è); – d con tratto obliquo sovrascritto = de – ho e hoi con h tagliata da un tratto ondulato = homo e homini – tratto sovrapposto ondulato = r o er (più raramente anche ir) – t con titulus seguita da vocale con apice ricurvo = tur– intr con r posta a esponente di t, oppure int con apice ricurvo su t (cf. supra) = inter – v con apice ricurvo = ver (tale apice può trovarsi anche su altre lettere, come la d in parole quali consid(er)atione) – s tagliata = ser – q con titulus o con asta tagliata da un tratto obliquo = que, qui – q con a sovrapposta = qua – vl con apice ricurvo alla destra di l = vul; sb con apice ricurvo alla destra di b = sub; caplo con apice ricurvo alla destra di l = capitulo; mlt- con apice ricurvo alla destra di l = molt- (molto, moltitudine sono prevalenti su multo, multitudine) – simbolo simile a Ʒ: dramme – simbolo simile a ℥ = once – an con titulus su n = ana (formula tradizionalmente adoperata nelle ricette per indicare la ‘stessa quantità’ di un dato ingrediente’) – Altre scioglimenti di contrazioni: p con o sovrapposta oppure in esponente = primo; Yhu = Gesù; Xpo = Cristo; G. e Ga. = Galieno; Albuc. = Albucasis; Avic. = Avicena; R = Recipe si mantiene il segno .ſ. (= semis), normalmente adottato per indicare ‘mezzo/ mezza’; per i possibili omografi si adottano le seguenti forme disambiguanti: ‹à› e ‹ànno› per la 3a e 6a persona del verbo avere; ‹de’› 3a persona del verbo dovere

2 In quattro casi -en- (la cui mancanza è da attribuire evidentemente all’assenza del titulus) è stato restituito entro parentesi quadre per la cong. nientodemeno.

4.2 Criteri di trascrizione 













 191

(‘deve’) distinto da ‹de› preposizione (tosc. di); ‹dì› sostantivo distinto da ‹di› preposizione e ‹di’› imperativo del verbo dovere (‘devi’), ‹è› 3a persona del verbo essere distinto da ‹e› congiunzione; ‹ò› 1a persona del verbo avere distinta da ‹o› congiunzione; ‹po’› avverbio (‘poi’) e ‹po’› 2a p. del verbo potere distinti da ‹pò› 3a persona dello stesso verbo potere; le integrazioni sono segnalate da parentesi quadre: in rari casi, riguardanti per lo più le rubriche e i titoli di capitolo (e qualche elemento necessario alla comprensione del periodo), si integra ricorrendo direttamente al testo latino, che è trascritto in corsivo; le espunzioni sono segnalate da parentesi aguzze; alcuni spazi bianchi, riconducibili a un’evidente lacuna nel testo, sono segnalati da tre asterischi consecutivi (***), indipendentemente dall’effettiva proporzione del segmento lasciato vuoto; si dà sempre conto in nota di cancellature e correzioni presenti nel manoscritto; integrazioni o glosse presenti nei margini dei fogli o in interlinea sono generalmente accolte nel testo e sempre segnalate in nota; l’inizio di una carta è indicata dal rispettivo numero compreso tra doppie sbarrette oblique e in grassetto (es.: //1r//); la fine di un rigo è invece indicata dalla sbarretta verticale ( | ): questa è a sua volta seguita dal numero del rigo, collocato in esponente e in grassetto, prima di ogni quinto (es. |5); i segni paragrafematici sono in linea con la prassi moderna (virgola, punto, punto e virgola, accenti, apostrofo): la punteggiatura si attiene nella maggior parte dei casi alle soluzioni adottate da Hall (1957) per la sua edizione critica del testo latino. Si introducono maiuscole e minuscole secondo l’uso moderno e in maniera conforme alla punteggiatura stessa. A tal riguardo, si rispettano sempre le maiuscole usate per la formula Recipe (come viene fatto anche nell’edizione latina da Hall 1957), che segnala l’inizio di una sezione ben individuabile (una ricetta) e importante nell’assetto testuale del trattato. Non si dà conto dei segni di riempimento (in particolare il trattino verticale talvolta presente in fine di rigo); in apparato si segnalano tutte le osservazioni utili sullo stato del manoscritto; laddove siano presenti errori, o semplicemente ai fini di una migliore comprensione di passi non perfettamente chiari, si riporta il passo latino corrispondente; sempre in nota si segnalano anche eventuali tagli del testo originale; infine, ci limitiamo a ricordare che alcuni casi complicati di separazione delle parole riguardano soprattutto il trattamento dei pronomi clitici, notoriamente un punto critico nella trascrizione dei testi settentrionali. Si rimanda pertanto al paragrafo dedicato ai pronomi all’interno dell’analisi linguistica del manoscritto.

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4.3 Testo //1r// In la nome de lo nostro signore Gesù Cristo. El se comenza lo libro | de lo Bruno de Cyrugia retracto in volgare. | Sancto Gregorio dice che la probatione de lo amore si è la exhi-  | bitione de la opera, et imperò, Amico Carissimo Zohanne de Benti da  |5 Bergamo, per monstrare in opera lo amore che io Andrea Cirambello da Gandino | ve porti ne lo core, dolcemente pregato da ti ho tolta la faticha de trans-  | ferire in volgare lo libro de lo prudentissimo Bruno de Cyrugia, azò | che ello te sia in adiutorio a la tua solicita pratica, però che, como ello | dice in lo suo prohemio, li Cyrugici debeno essere litterati o almancho |10 impareno da quelli che sono litterati. Et pertanto ti non abiando possuto | studiare gramatica nì altri scientij, possa diligentemente praticando inten- | dere le rasone, le cure e generalmente tuta la pratica de quello sapientissimo  | Bruno. E cossì tutti li altri ydioti, zoè non litterati, che voleno medicare | cum rasone e non aventuratamente. El se comenza lo prohemio de lo |15 libro del Bruno. |3 Amico mio vene- | rabile Andrea Vesentino, zà longo tempo | me ay pregato che cum breve e claro parl[ar i]4o |20 te debia descrivere in la medicina de la [cy]- | rugia uno libro collecto et extracto de li dicti | de lo gloriosissimo Gallieno, Avicena, Alman- | sor, Albucasis e Aly e de li altri savij e antichi |25 homini. Et avignadio che per la grandeza de | li fazendi fina mo te abia dato longanimi- | tade, nientodemeno may non ho circato volun- | tade de inganare lo tuo desiderio, como sa bene Dio inquisitore de tuti li | secreti, anze grandamente mi ho desiderato che quello fiza complito in ti. Per la qual | cosa mi consentì mo totalmente a la tua domanda cum desiderato animo a tuto mio |30 potere, per lo adiutorio de la liberale mane de lo salvatore. Adoncha reciva | la sinceritade de la tua dilectione lo presente dono per complemento de lo quale | non ho lassato de tore la faticha, lo signore Dio cohoperante, conciosiacosa- | ché satisfare a li toy pregeri non me sia duro ma gratioso, né aspero ma dele- | ctabile. E prima è da sapere che lo tractato de questo libro è diviso i(n) | doy parti, de li quali in lo primo capitolo eio ho collocato la mensura la quale ti //1v// ay domandata segondo le descriptione che se trovano, de li quali a la | prima parte se dano

3 Segue un rigo bianco. 4 Punto guasto e non leggibile nel ms.

4.3 Testo 

 193

XX capituli, a la segonda simelmente XX, azò che per certo | numero de quelli plù levemente se possa trovare quello che fi circhato in quello. | Et è veramente componuto de li libri de li antichi doctori, la memoria de |5 li quali è zà passata. Ma inanze che al se vegnia a lo proprio tractato, | aciò che al se possa avire più lezero introito, alcuni cosi enno da notare | inanze, cioè que cosa sia la cyrugia, unde fiza dicta cyrugia, | et de que modo debeno essere le operatione de quella, quale sia | la intentione de quelli, et in quanti parti principali fiza dividuta. Adon- |10 cha, como se dice comunamente, Cyrugia è operatione manuale in lo corpo | de lo animale tendante a sanitate, overo, per dire più claramente, Cy-| rugia è ultimo instrumento de medicina. E li instrumenti de medicina  | sono trey, mediante li quali lo medico cum summa diligentia può subve- | nire a le casone de le infirmitade, e quelli enno como dieta, potione et |15 cyrugia. Dieta è lo primo instrumento de la medicina et è lo meliore | rezimento, como dice Galieno in lo Comento del Regimento de li acuti, dicendo  | che, se nuy possemo curare lo homo cum dieta, non lo dovemo curare cum | alcuna potione. E così dice Damasceno in li soy Amphorismi, che se ti | potray curare l’omo per dieta prospera ti trovaray che lo regimento fi requiri- |20 to contra la casone e falo paylire. Lo segondo rezimento è potione, cioè | curatione, e tuti questi dice Galieno5 che se cum quella possemo removere la | infirmitade, non dovemo andare a la cura. E lo terzo instrumento è cyru- | gia, como è dicto, per beneficio de la quale fi tolto via quello che per questi doy re|zimenti non se posseno removere. E cyrugia fi dicta a cyros greco, che è |25 mane latino,6 et agia che è actione,7 e però cyrugia vale tanto como8 | operatione manuale, però che la sua perfectione9 e integritade permane | in operatione overo perfectione de le mane. E como dice Aly in lo Comento, | al besognia che li operatori de la cyrugia in primamente soliciti li logi in li quali | enno li savij e pratici medici de li cyrugici e li soy operationi guardi as[é]10 |30 e diligentemente. E non siano temerarij, ma arditi, e siano suavissimi | e cautissimi in operare, e maximamente in logi timorosi como è in lo cervello.  | Non siano violenti;11 et bivano lo vino cossì temperatamente che non impedisca  | lo senno, perché tuti li cossi necessarij a l’arte non se posseno comprehendere | in li libri, et imperò siano naturalmente ingeniosi, perché molto fi comandato |35 lo naturale ingenio in lo medico, e maximamente da

5 Segue q cancellata. 6 Nell’ediz. lat., latine è lezione del solo ms. lat. G. 7 Segue qua depennato. 8 Segue cyrug depennato. 9 Segue o cancellata. 10 Punto guasto in corrispondenza di -[é]. 11 violenti] ediz. lat.: vinolenti; ms. lat. G, et olim ms. lat. B: violenti.

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Damesceno unde12 ello //2r// dice lo ingenio naturale de lo medico13 aiuta l’arte e la natura | rezante, lo contrario cum lo contrario. Anchora siano homini litterati, overo | almancho impareno l’arte da quello che sia litterato; ma eyo penso che | alcuno apena possi imparare questa arte senza littera. Ma al tempo |5 presente li ydioti, cioè quelli che non sapeno niente e, che pezo è et più | oribile cosa, vile femine e presumptuose fanno questa arte, et ànno usurpato | e male usano quella, e nientodem[en]o credano, che non ànno arte né inzegnio. | Al dice Almansor che questi che fanno questa arte per la maiore parte sonno ydiote, | cioè grossi e mati, e per casone de la sua stulticia pessime infermitade fizeno |10 generati in li homini, e per li quali li infirmi forse fizeno morti, conciosiacosaché | ay non operi saviamente né sotto certa radice, ma d’aventura, e le casone e | le nome de le infirmitade al postuto non cognosceno, le quale elli diceno che | li guarisseno. La intentione de li cyrugici è operante circa trey cosi, | zoè circa la coniunctione de le cose desligate e rote, circa la separatione de |15 le cose coniuncte, e circa la extirpatione de la cosa superflua ultra la natura. | Le specie de la cyrugia generalmente sonno due, como dice Iohanicio, zoè  | la cyrugia è de doe guise, overo che ella è in la carne, overo in l’osso, e questo è14 secondo | la contrarietade de li membri subiecti. Perché una contrarietade fi facta in li mem|bri molli, como è in carne et in nervi, altra fi facta in li membri duri, |20 como è in ossi e simili. Altra fi fata in li veni e simili cossi, le quale cossi15 | enno differente in la contrarietade de le qualitate, zoè in mollicie e dureza, | et anchora cum ogni operatione de cyrugia. Ma quella che fi fata in li | membri molli fi divisa in trey modi, zoè overo che la fi fata solamente in | la carne, e quella fi dicta scarificatione, zoè ventosatione o taliatura o cusitura;16 |25 overo che la fi fata in le vene non batante e fi dicta salasso, o in le vene ba-  | tante e fi dicta salasso overo sectione, zoè partitura; overo che ella fi  | fata in li17 nervi segondo la largeza e fi dita incisione, overo secondo la longeza e | fi dita scissura o punctura, avegnadio che in lo dyafragma, zoè in lo panno del core, | o in li paniculi fiza dita ruptura. E quella che fi facta in li membri duri è de  |30 doe maynere, perché overo che ella fi facta in li ossi rotti e fi dicta solidatione | de li cossi rotti, overo che la fi fata in li ossi dislocati da la sua propria zonctura, | e fi dicta coniunctione de le cose disiuncte, de li quali tutti è da tractare,  | se no de la scarificatione, 12 Segue segno simile a l depennato. 13 Segue ayd depennato. 14 e questo è] integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 15 Con i corretta su e. 16 Nell’ediz. lat. segue aut incensio. 17 Con i corretta probabilmente su un’originaria e, ma di difficile leggibilità.

4.3 Testo 

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zoè ventosatione, e de lo salasso, li quali doy, ave- | gnadio che siano specie de cyrugia, nientodemeno de questi molti auctori non |35 àno dicto niento e li medici non ànno voyuto fare18 le sue operatione per la turpitudine, //2v// ma19 ànno lassati quelli in le mane de li barberi.

//2vA// El se comenza li capituli.20 | Capitulo primo de la divisione21 | e generali ca- |5 soni de la solutione de la continuitade. | Capitulo secondo de la comune dis- | putatione de la solutione de la continu- | itade secondo la diversitade de li | membri. |10 Capitulo iij de la summa et aggre- | gatione de la curatione de li pia- | gi22 che fizeno fati in la carne de | dentro e de fora. | Capitulo iiij de la reductione de li |15 budelli e zirbi, zoè uno paniculo, | e de la piaga che venne in lo budello | e siphac, zoè uno paniculo de dentro,23 | e de lo rezimento de li altri piagi | che passeno a li interiori del corpo. |20 Capitulo v de la summa de la cura- | tione de li piagi de li nervi. | Capitulo vj de li signi de la morte | overo de li periculi in li quali commu- | nicano zoè participano le piage de |25 alcuni membri. | Capitulo vij de le piage che fizeno | facti per contussione, zoè per botti. | Capitulo viij perché se indusiano le | piage a curarse e de li cauteli de |30 la curatione de quelli. | Capitulo viiij de la diffinitione e | de la natura de li medicini fazando | nascere la puzura e de la colle- | ctione e punctura de quelli. |35 Capitulo x de la natura e diffini- //2vB// tione de li medicini fazando nascere | la carne in le piage che veneno de dentro |5 e de fora, e incarnativi e consolidativi, | e de la consideratione de quelli, e quelli cosi | che se debeno attendere circa la comple- | xione de lo membro impiagato e de tuto | lo corpo e de la piaga de dentro e de |10 fora e de lo modo de la administratione, | e de la collectione e compositione de quelli. | Capitulo xj de la comune disputatione | de la curatione de li piagi de dentro | e de fora. |15 18 Aggiunto in interlinea. 19 Segue q(ue)lli depennato. 20 Da qui alla fine di c. 2v il testo è disposto su due colonne. 21 Segue de la solutio(n)e depennato. 22 Segue q cancellata. 23 e siphac, zoè uno paniculo de dentro] assente nell’ediz. lat.

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 4 La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501

Capitulo xij de lo fluxo de lo sangue | in la piaga. | Capitulo xiij de la extractione de li frizi | e de li asti. | Capitulo xiiij de la summa et universale |20 curatione de li24 ulceri, cioè piagi | mal curati. | Capitulo xv de la summa e universale cura- | tione de li fistuli. | Capitulo xvj de la summa e universale cu- |25 ratione de lo cancro. | Capitulo xvij de la fractura de la crapa. | Capitulo xviij de universale extensione e | rectificatione de li ossi. | Capitulo xviiij de la particulare curatione |30 de la fractura de li ossi. | Capitulo xx de la dislocatione de li zon- | turi.25

//3r// Capitulo primo de la divisione e generali casoni de | la solutione de la continuitade. |26 Poy che Amigo mio sufficientemente avemo ponuto lo27 prohemio, consequentemente | cum lo adiutorio de Dio andarò a lo proposito principale, |5 zoè a tractare li predicti capituli procedendo per ordine. Dico adon- | cha che la solutione de la continuitade, la quale è infirmitade comuna, fi dita | in doy modi, perché o che al’è sempia, o che al’è composita. E la sempia solu- | tione de la continuitade è quella in la quale non28 è perditione de la substantia, et | alora el corre in quella una sola maynera de passione, et cossì ha una |10 intentione de la curatione, zoè la unione de li parti de la solutione. E la | solutione de la continuitade componuta è quella in la quale è perditione de la substan- | tia, et alora correno in quella doy maynere de passione, et cossì ha doy | intentione de curatione in sì, de li quali una è la unione de li parti soluti, | la seconda è la generatione de la substantia perduta. Le generale casone de |15 la solutione de la continuitade sonno doy, de li quali una è intrinseca, l’altra | è extrinseca. La intrinseca venne per doy cossi, zoè per humore overo | per ventositade. Perché lo humore alcuna volta rumpe la continuitade per | la sua tropo grande quantitade, et alcuna volta per la sua qualitade dis- | temperata fora de lo curso naturale, como è se la29 caliditade sia plù |20 che non besognia, rompe per movimento de la sua grande ebulitione, o como | la sicitade la quale fende la codega 24 Segue piagi depennato. 25 Seguono tre mezzi righi bianchi. 26 la solutione dela continuitade] sullo stesso di rigo e successivo a Poy che Amigo mio. 27 Aggiunto in interlinea. 28 Aggiunto in interlinea. 29 Segue q cancellata.

4.3 Testo 

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brusando e rarificando, o como la | frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e corrodendo. | E la ventositade distende per la multitudine, e rompe per lo suo movimento. | E la casone extrinseca vene in doy modi, perché o che ala vene o per cadi-  |25 mento o per tropo exercicio, o per elevatione del grando pondo, e per simili cosi, | como è per taliatura o per ruptura, overo che ala vene per alcuna30 | cosa extrinseca rompendo incontinente lo corpo, como è lo ferro, la preta | e simili cosi.

Capitulo ij de la comune disputatione de la solutione de la | continuitade secondo la diversità de li membri.31 Como dice Galieno et Avicenna, |30 la solutione de la continuitade in la carne possibile è che la retorni32 | cossì como ella fu in prima; la vera solutione de la continuitade in l’osso | non se sana per la via de la prima intentione, anze è possibile che la se sani per la  | via de la seconda intentione. La prima intentione è vera consolidatione la quale | non pò fir facto in l’osso per la dureza de la sua parte; la seconda intentione è |35 ligatione la quale fi facta mediante la poro sarcoide, zoè la toffatura che fi //3v// facta sopra li ossi rotti. Ma in l’osso de li puti alcuna volta se spera  | che al retorni la solutione de la continuitade cussì como fo in prima per doy casone, | una è per la remanentia de la virtude de lo sperma, zoè de la somenza virile,33 l’altra | è per la dolceza de l’osso. Ma de li nervi e de li veni e de li arterij,34 zoè vene |5 pulsante, como dice Avicena e alcuni medici, non se saneno per la via de la | prima intentione ma per la via de la seconda intentione, como li ossi, e disseno alcuni | altri che questo non vene se no solamente in li arterij. E questo dice Galieno quando | dice molti medici ànno pensato ch’el è impossibile a saldarse la substantia de la | arteria; e la forteza de la probatione de quelli è la consideratione e lo experimento. |10 La consideratione si è perché una de li doy tunici, zoè vesti, de l’arteria è cartila- | ginosa, e la cartilagine, zoè l’osso tenero, non recive incarnatione; lo experimento  | è perché al non se vide may incarnatione. E quello Galieno zà contradisse a loro e disse | che alcuna volta le arterie fizeno incarnati cum experimento e cum ratione: cum ex- | perimento perchè al disse che al à zà vezuto molte arterie essere solidate, como |15 è quella che è sotto 30 Segue casone depennato. 31 (con)tinuitade se(con)do la div(er)sità d(e) li m(em)bri] sullo stesso rigo e successivo a Como dice Galieno et Avicen(n)a. 32 Segue s cancellata. 33 Segue la q(u)ale depennato. 34 Ediz. lat.: et arteriis è lezione del solo ms. lat. O.

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la vena de la testa, e de l’arterie de la tempia et de la | gamba; e cum rasone perché l’osso è extremitade in dureza, e non recive in- | carnatione se non poco in li infantini, e la carne è extremitade in mollicie, zoè | dolceza, e fi incarnata; ma le vene e le arterie sono mezo inter la dureza | e la mollicie, per la quale cosa el fa de besognio che la dispositione de quelli |20 sia mezo inter l’osso e la carne; adoncha le arterie reciveno meno consolidatione | cha la carne e più cha li ossi; e se incarneno quando la sua divisione, overo incisione, | è pizena e quando lo corpo de lo35 infirmo è humido e dolze, e non se incarne- | no in quello36 che fi differenciato da quello.37 E questo è lo modo rethorico de | la disputatione, zoè cum fiducia de lo experimento e de la rasone. Capitulo iijo de |25 la summa et aggregatione de la curatione de li piagi e de li ulcera- | tioni38 che fino fati in la carne.39 Alcuni vulnerationi sono pizeni, alcuni | mezani, alcuni grandi. Anchora fizeno facti in la sumitade de li membri, | alcuni in la mediocritade, alcuni passeno a lo profundo. Et de questi alcuna | volta enno cum diminutione, alcuna volta no. E de le vulneratione alcuni sonno  |30 apparenti, como sono quelle che fizeno facti cum instrumento la zima de lo quale | va in largo, como è la spata e simili. Et alcuni sono la profunditate de li quali  | è occulta, como sono quelle che se fanno cum instrumento la zima de lo quale overo | punctura è rotonda e stricta, como è lo tello, zoè la giavarina, e simile. | Anchora la figura de le vulneratione alcuna volta è rotunda, alcuna volta |35 plana, alcuna volta dritta, e alcuna volta torta, et alcuna volta ha li lati; //4r// et inter quelli la piaga rotunda è più grave e più tarda a guarire per la grande | comprensione. Et ultra questi le piage alcuna volta cadeno supra lo | logo carnoso solamente, alcuna volta cadeno solamente supra lo logo nervo- | so, overo ossoso solamente, li quali fizeno cossì differentiati secondo quello |5 che ay fizeno facti e secondo li accidenti40 sopra li quali cadeno, e como sono | li logi, cossì se varia lo modo de la curatione de quelli. E le cose per li quali | fi facta la vulneratione sono como tracto de preta, o ferita de spata o | de cortello, o botto cum lancea o cum sagitta et simili. Adoncha | la vulneratione è

35 Segue corpo depennato con una riga rossa. 36 Segue qua(n)do depennato con una riga rossa. 37 Nell’ediz. lat. segue: id est quomodo sectio est magna et corpus est siccum. 38 e de li ulcerationi] assente nell’ediz. lat. 39 -tioni ch(e) fino fati i(n) la ca(r)ne] sullo stesso rigo e successivo a Alcuni vulnerationi sono pizeni, alcuni. 40 accidenti] ediz. lat.: locum; ms. lat. B: accidentia.

4.3 Testo 

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solutione, zoè rompimento, de la continuitade facta per tempo fre- |10 sco, perché poy che la vulneratione è antiqua e non recive saldatione, anze | sempre manda puza; alora ella non è vulneratione, ma fi dicta ulceratione, | imperò ulceratione fi chiamata piaga puzulenta. Ma piaga secondo comu- | ne usanza se dice da l’uno e da l’altro. Et sapia, amigo, che in la cura- | tione de la vulneratione, anze che a quella vulneratione fiza data la medicina  |15 incarnativa, overo generativa de carne, overo sigillativa, nota che | trey cose se deno attendere principalmente, se la vulneratione non sia sempia, | de la quale non sia de curarse e lo sangue non discoria da quella. E lo pri- | mo remedio de quelli è che al se retegna lo curso de lo sangue e se guardi  | da la postema calda; cum refrenatione de lo sangue da la vulneratione pasante  |20 lo corpo se al non sia molto superfluo fiza tolto da quella, et de questo etiamdeo | firà facta memoria de sotto. Lo secondo remedio si è che al fiza mini- | strati li medicini che fazeno la puza, e questo speciale sia in li vulnerationi | le quale averà mutate la dispositione de lo aere, se no in la vulneratione | de li nervi per la casone che firà dicta in lo suo loco. E simelmente fizano |25 administrati li medicini a generare la puza41 in li vulne- | rationi che fizeno facti per botta, e questo è perché questi vulnerationi sonno | dolorosi e apostematosi, la postema de li quali convene venire a puzura, | e de questa generatione de puza de li vulnerationi è uno capitulo ordinato. | Lo terzo remedio è che la puza generata fiza desiccata, e lo sangue è |30 da fir refrenato in li vulnerationi per questa rasone, azò che per la desmesurata | quantitade de lo sangue lo infirmo non se perda. Et forse che lo curso de | lo sangue, discorando in la quantitate temperata, zova a li vulnerationi, co- | mo dice Avicena, e veta l’apostema e la opillatione e la fevera; Avi- | cena dice che de li meliori remedij cum li quali noy intendemo in li vulne- |35 rationi si è che noy devediamo la sua apostematione, la rasone si è //4v// perché quando non vene l’apostema al è possibile che al fiza facta la cura- | tione de li vulnerationi; ma quando l’apostema venne lì non se salda al | postuto se in prima non se apadimi. Ma la administratione de li medicini | fazando nascere la puza per questo se convene, che la se faza cessante lo |5 fluxo de lo sangue, e lo loco siando securo da lo apostema, che al fiza facta | la largeza de li pori, e che lo dolore se mitigi, e lo calore naturale se confor- | ti in la vulneratione dando a sì lo nutrimento, domentre che la materia la quale | è in quella fiza paylita cum debito modo. La vulneratione larga è bona, | ma42 la cruda è mala; al dire de Ypocras, digando li crudi sono rey, ma |10 li lati sono boni, perché li vulnerationi in li quali non fi generata la puza non | sono securi da lo spasmo; ma in quelli in li quali fi generata

41 Segue che fizeno fact depennato in rosso. 42 Segue segno simile a i depennato.

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la puza non fi | temuto lo43 spasmo, per adiutorio de la medicina e per operatione de la  | natura, ma la puza in la quale non ha operato la natura è rea. Al dice  | Galieno in lo Comento de li Pronosticationi che la operatione da lo calore si è |15 de trey mayneri, perché o che al è operante lo calore naturale, et alora | è conversione de lo humore in lo nutrimento, overo in parte da la natura overo | in parte da lo accidentale, et alora è generatione de la puza, overo solamente | da lo accidentale, et alora è generatione de la putredine. Poy che | la vulneratione sufficientemente ha adunata la puza, tolti via totalmente |20 li medicini fazant nasere la puza, ella è da fir44 mondificata45 cum panno o stupa | o bambasio e cum administratione de li medicini siccativi, et imperò el beso- | gnia che la fiza desiccata competentemente, azò che la se possa saldare; perché | domentre che lì fosse abundantia de puza, la vulneratione non se porave sal- | dare, perché, como dice Galieno, sanie overo puza è una specie de sale |25 et è nitrosa, zoè habiando sapore de sale,46 et è cosa per molto contraria a lo  | saldamento. Per la quale cosa non te move da questo amaystramento nì per | la secta de li mati cyrugici, nì per reprensione de lo populo grosso, li quali como  | homini manchanti de rasone ministreno li soy pulti molificativi in tuti | li vulnerationi senza differentia e senza demoranza. Certamente eyo |30 ho zà domandato asé volti plusore de quelli perché ay fanno questo, et elli me | respondeno cossì, noy non trovemo più utile medicina cha la polte in | li vulnerationi perché ella paylisse le vulneratione, e mitiga lo dolore, e | conforta e mondifica e salda e implisse li47 vulnerationi cavati de carne, | e non ye dà nusuno nocumento, la quale cosa apare manifestissimamente |35 essere falsa, se non che la paylisse le vulneratione e mitiga lo dolo, la quale cosa //5r// dico essere utile se la fiza ministrata in li vulnerationi unde se convene, | e se la fiza metuda secondo lo modo che è supra dicto; perché la prom- | ptitudine de li savij volendo saldare li vulnerationi non se fatiga circa altro | se non che elli se siccano, e questo fanno cum medicina siccativa e non generativa de  |5 la putredine. Ma se elli desiderano che al fiza generata la carne in li | vulnerationi, fano che ay se mondifichi exiccando, perché, como dice Galieno, | carne bona e perfecta non se può generare se la superfluitade non se mondifichi, | zoè la puza e lo sudore, le quale superfluitade, como ello dice, nasceno per | la fece de la tercia digestione, zoè paylire. Adoncha appare claramente |10 per li predicti cossi che la curatione de li vulnerationi e la intentione de la cura- | tione e de la mondificatione, medianti 43 Con o soprascritta su la. Segue puza depennato in rosso. 44 Aggiunto in interlinea. 45 Con d soprascritta (su l?); a finale soprascritta su e. 46 sanie ov(er)o puza è una specie de sale et è nitrosa, zoè habia(n)do sapore de sale] ediz. lat.: sanies est nitrosa et corrosiva. 47 Con i probabilmente soprascritta su una lettera precedente (e?).

4.3 Testo 

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li quali el se fa la sua restauratione, | non zà per olio nì per azongia et altri putrefacienti de li quali li predicti igno- | ranti fazeno li soy pulti; ma più tosto faceno crescere la putredine in quelli. | E nota anchora che la vulneratione de’ fir curata e mutata doy volti  |15 in lo invereno e trey volti in la estate perché, como dice Averois, la pu- | tredine e la putrefactione è maior in la estate cha in lo inverno. Questo  | se de’ servare quando la vulneratione passa a li interiori de lo corpo, overo | quando ella serà in lo cervello, o in li nervi o apresso, overo in li logi pro- | ximi a li iuncturi; ma quando ella serà in li altri logi, como è48 ***, |20 alora basta una volta in lo inverno e doy49 in la estate.

De la summa et | universale curatione de li piagi e de li ulcerationi che fizeno in la carne. | Se la vulneratione sia cossì pizena che a no ’l sia zoncata via la carne nì  | la codega, pò fir curata cum la sola ligatura, la quale coniunga insiema | li parti e continui la discontinuatione de quella. E se de’ ben guardare che a no ’l |25 caza pillo, o oleo, o unguento, o altra cosa inter li labri de la piaga, perché | questi cosi impazeno che al non se faza la congregatione de li parti, e cossì se tarda | la sanitade. E lo modo de la ligatione in ogni vulneratione50 convene | essere cossì facto, che al se comenzi sempre da lo loco infirmo51 de sotto e vada a la parte | de sopra; e l’altra fassia comenzando da quello loco infirmo vada a la parte |30 inferiore. E nota bene che sopra lo loco dannato la fassia de’ fir strenta più | forte, e quanto più se alonga da lo loco infirmo tanto più se largi. Però che per | questa ligatura lo sangue non pò passare a lo loco infirmo, unde el non vene | la postematione. Ma se al g’è solamente una fassia e non plusore, el è necessa- | rio che al fiza facta la involutione da l’uno capo a l’altro perfin a la meytade |35 de la fassia; e metuti li piumaioli in mezo de quella fassia, fiza locata supro lo loco //5v// infirmato, e cossì uno capo vada de sopra e l’altro de sotto, e la sua larga- | tione e strinctura fiza facta como è dicto de sopra, e questa fi dicta ligatura | da doy capi. E sapia che la ligatura fi facta in la vulneratione per trey utilita- | de; l’una si è azò che ala conservi li parti de la vulneratione zà conzonti, devedando |5 la materia de lo sangue, azò che corso al logo non faza apostema nì dolore; | la segonda utilitade si è azò che ala retigna e conservi la medicina e li piuma- | zoli fina a lo tempo de

48 Segue uno spazio bianco: nel testo latino c’è in carnosis. 49 Soprascritto su trey. 50 Segue de depennato. 51 Integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo.

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la mutatione; la terza si è azò che per la grande strictura d[e]52 | quella apresso a la profunditade de la piaga e per lo largamento in lo buso e principio | de la piaga, lo veneno corra de fora. E nientodemeno questo non fi facto in |10 li vulnerationi nì ulcerationi in li quali fi temuto che lo veneno non fiza con- | gregato in la parte de sotto. E se la vulneratione sia meza inter pizena e granda, | e per suo rezimento la sola ligatura non basta, ma daye la cura cum li medicini | a ley convenienti, como è li medicini incarnativi. E se la vulneratione sia cossì | granda che la ligatura non possa congregare insiema li soy parti, alora è necessario |15 administrare la53 cusitura, però che, como dice Galieno in li Tegni, zoè quello libro che a xì nome,54 quatro canoni se | requere in la coniunctione55 de la carne; uno de li quali è aggregatione de li parti | disiuncti; lo segondo si è che tale agregatione se conservi per cusitura o ligatura; lo | terzo si è che al se guardi bene che alcuna cosa non cazi inter li labri de la piaga; | e lo quarto si è che la substantia de lo membro fiza conservata secondo la sua sanita- |20 de, zoè che la sua complexione naturale fiza conservata cum li medicini e cibi. | Ma de la conservatione de la naturale coniunctione de lo membro cum li medicini e | cum li cibi se farà memoria segondo lo complemento in lo suo capitulo. Adoncha | poy che al sia collocati li parti segondo la debita figura, fiza cusita la sumitade | de la codega cum la gogia setile e quadrata e cum fillo de seta, o veramento cum  |25 fillo de lino sutelissimo e senza groppo, se al non se potesse trovare de la seta.  | E nientodemeno zescaduno puncto se groppi da per sì, l’uno da l’altro a la men- | sura de uno digito, e specialmente minore. E la extremitade, zoè li cantoni | de la piaga, fizeno lassati da la parte,56 azò che, se al fosse necessario, el se possa | metere dentro li stupini e purgare la sanie, zoè la marza; e poy che li stupini |30 siano metuti da l’una parte e de l’altra de la piaga, fiza ligata convenientemente, | metuta sopra la medicina incarnativa, azò che li labri se conzonzi. Nota ch’e- | l è de guardare che la medicina humida non fiza metuda, perché la medicina | humida si fa la dissolutione de la piaga. E cossì pervegnia la cusitura | fina a lo nono dì; e poy fiza desligato quello che è, perché in lo spacio de |35 questi dì al è possibile che li parti de la vulneratione se incarni. E la cusitura //6r// specialmente de’ fir facta quando la piaga va in largeza del corpo, perché, al dice  | Avicena, quando la piaga va in longo el basta lo ligamento et congrega conve-  | nivelmente quella. E nota che 52 Con d soprascritta su una lettera precedente (c?). 53 Segue ligatura depennato in rosso, sostituito da cusitura integrata nel margine sinistro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 54 zoè q(ue)llo libro che a xì nome] glossa nel margine destro. 55 (con)iunctio(n)e] ediz. lat.: curatione. 56 p(ar)te] ediz. lat.: apertae.

4.3 Testo 

 203

quanto lo membro è più nobile e più delicato, | li soy parti disiuncti debeno fire congregati tanto più nobelmente e più delica- |5 tamente e fir tenuti cum fresca cusitura, e quello è como in li parti de la facia e | soy simili. E la cusitura non sia molto forte né molto debile ma sia mezana, | però che, como dice Galieno, se la strictura serà tanto che la generi dolore, ella farà | apostema caldo e farà corere li humori;57 e se la serà molto debile, le parte | de la piaga non se conzonzeno bene. Et in tuti li logi, quando la piaga è |10 frescha e piena de sangue e non sia alterato da lo aere, la cusitura de’ fir | facta. Ma se ti non ge fosse stato da principio, alora per bene che per questo fiza | azonzimento de lo dolore sopra lo infirmo, nientodemeno renova un pocho la | piaga cum alcuno instrumento fina che lo sangue fiza provocato, azò che li parti | conzonti melio se mesedi, e poy fa’ la cusitura e metege la cura de la medi- |15 cina incarnativa. E si besognia che ti sapia, amico, che l’adunatione de | la piaga renovata fi elongata da la facilitate et adunatione de la piaga | fresca e sanguenolenta. Ma se lo infirmo non obedisse a la renovatione | de la piaga, alora cura quello cum l’altra curatione de li piagi domentre che | al fiza sanato. Ma se in58 la59 piaga sia alcuna profunditade o concavi- |20 tade, alora la60 intentione de la sua curatione non è secondo lo modo | ch’è recordato de sopra, la quale cosa è perché la intentione de la mia recordanza | in quello che è predicto non è exequita se no solamente de li piagi che fizeno facti | cum incisione lata e larga, zoè cum li quali non è perditione de la substantia né | concavitade in altro modo, in lo rezimento de li quali basta la medicina incar-  |25 nativa et agregatione de li parti disiuncti, e la sua conservatione cum ligame o | cusitura è devedamento de la materia al loco e de li cosi de fora inter li labri | de li piagi cadenti,61 e conservatione de la complexione naturale cum li medicini conve- | nienti, como zà tuto è dicto e verificato. Perché la medicina incarnativa | non se convene a la piaga concavata, però che la exiccatione deveda la materia unde  |30 se expecta lo nascimento de la carne; ma al ye convene la medicina fazando na- | scere la carne domentre che li parti deseparati se conzonzi integramente. E non besogna | che li soy parti separati se congregi insema, como eio ho dicto in li altri piagi, perché  | sotto quella remagnirave una concavitade in la quale necessariamente se adu- | na la sanie, zoè la marza, como dice Galieno, per la qual cosa el besogna che  |35 anchora se apria, temendo che lo membro non incorra in la putrefactione, zoè //6v// puzura. E se la profunditade de la piaga sia cossì che lo suo veneno | non corria a li cosi de fora, anze se congregi in la parte 57 ella farà apostema caldo e farà corere li humori] ediz. lat.: faciet calidum apostema et tumores. 58 Segue alcuna depennato in rosso. 59 Aggiunto in interlinea. 60 Segue curatione depennato in rosso. 61 Con -de- soprascritto su originario -za- (?).

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de sotto, alora la liga- | tura de la apertura sia maiore apresso a la profunditade de la piaga, et apresso | a la sua bocha fiza facta più lezera, che lo veneno non fiza impazato |5 in lo insire. E lo membro etiamdio fiza figurato cossì che la piaga sia de- | pendente de sotto azò che lo veneno da quello possa venire fora. Al | dice Avicena che zà ha sanato la granda piaga, la profunditate de la quale | era apresso a lo zinogio e lo principio e buso in la coxa, e la sanò | solamente cum aptatione, zoè conzamento, de la figura, zoè ligatura, la quale |10 cosa è perché al conzà lo profundo de sopra e lo buso de sotto cum suspen- | sione de la gamba, la quala se sanò senza perforatione de sotto et alcuna | incisione. E li membri in li quali è aconzamento de la figura possibile sono co- | mo lo adiutorio, lo brazo, la coxa, la mane, la gamba, lo pede, la virga | e lo naso.62 Ma se lo aconzamento de la figura in la piaga non è possibile |15 a ti, alora, como dice Almansor, el besogniarà che la fiza considerata in lo | tertio dì e in lo quarto; e se la sua profunditade comenza fir minuita, e se | lo veneno né asé puzura lì non se contegnia, alora la curatione non fiza | mutata. Ma se al vegnia lo contrario, el è necessario che la concavitade | de la piaga fiza taliata integramente fina a lo profundo, se lo nervo e la vena |20 non te lo deveda. Et se quello deveda ti da questo, alora tu debi fare | lo conveniente buso in lo loco più basso, zoè apresso a la profunditade de la | piaga, azò che lo veneno insischa e se reduca più aconzamento. Et in | zescaduna parte de la piaga fiza intrometudo lo stuello, zoè lo stupino, | e secondo che la carne cresirà quello stupino fiza minuito. Ma lo primo |25 buso, zoè quello che è in la sumitade più basso, fiza63 lassato più tar- | damente a consolidare, zoè quello che è più basso, la qual cosa è anchora | de observare in ogni piaga unde se vede doy aperture. E zà disseno | Galieno e Avicena e li altri antiqui savij che, quando le piagi fizeno perforati, | non è securo che l’aqua se aproximi a quelli. Et se pur alcuna casone constrin- |30 zerà per necessitade che lo infirmo se bagni, alora la piaga se covati cum | panno infuso in l’olio overo in cera liquida, azò che l’aqua de lo bagno | non possa intrare. Et sapia che la piaga cavata, como dice Galieno, si ne | demonstra non solamente simplice64 infirmitade, ma duplice, perché  | al non ha perduto solamente la codega, ma etiamdeo la carne; per la quale cosa |35 el ne besognia subvenirge in doy modi, perché in dupla passione el ge vole //7r// etiamdeo dupia65 intentione de curatione. La prima intentione in la piaga | cavata si è che la sua concavitade fiza piena de carne cum debita mensura, | et alora el g’è necessaria la medicina mondificativa e exsiccativa; e,  | como dice Galieno, quanto la piaga è plù profunda cha li altri, tanto più  |5 se de’ azonzere la exiccatione de 62 naso] ediz. lat.: nates; ms. lat. G, et olim ms. lat. B: nares. 63 Segue tar depennato in rosso. 64 Segue piaga depennato in rosso. 65 Con u corretta su o.

4.3 Testo 

 205

questa medicina. La seconda intentione si è | che la codega perduta fiza restaurata, et alora fiza ministrata la medicina  | sigillativa che fi dicta stitica. Ma se quello ch’è stato perduto per la piaga | non è altro se no la sola codega, alora da lo principio simelmente se convene  | la medicina stitica fina che in loco de la codega nasca la carne dura, perché, |10 como dice Galieno, la materia de la codega si è lo sperma, zoè la somenza de | l’omo, la quantitade de la quale è pizena in lo corpo; per la quale cosa | ella non nasce secondo la prima intentione, ma in loco de quella, como è dicto, | nasce la carne dura sopra la quale non nasce pillo. Ma se al pervene | che la carne sia dependente da la piaga cossì che66 al’abia pocha tena- |15 citade, fiza taliata al postuto, e poy fiza ministrata la medicina creativa | de la carne.

De la dieta e de lo regimento de li vulnerati. | Et però che per desordinata dieta lo malo apostema e lo veneno | fi generato in la piaga, per lo quale lo membro vene forse a la pu- | trefactione, e maximamente in la estade, imperò el se convene che in questo |20 loco se faza memoria de quella, zoè de lo regimento de la dieta. Adoncha | da principio lo infirmo se guardi per nove dì da la repletione de lo | vino e de grossi cibi, però che infra questi dì lo malo apostema sole | reposare. E se ti vederay crescere li humori e che lo loco deventi roso | e se sconfli, overo se infli,67, alora debi temere che al non fiza facto lo |25 apostema caldo in quello loco, alora la tua intentione de la cura sia solamente | in devedarla, perché, como è dicto, lo apostema68 non se salda may se lo apostema | non reposi. Adoncha el non g’è excusatione perché el non se debia salassare | presto in la contraria parte, salvo se la virtude, o la etade, o altra cosa | non lo veti, et maximamente se da principio molto sangue non discorse |30 da la piaga, e tuto lo regimento se infrigidi, el loco fiza epithema- | to cum oleo rosato e clara de ovo mesdati insema, overo che al se pona | sopra uno panno balneato in aqua rosata e in aceto. El dice Avi- | cena che quello che è de comune iuvamento in ogni membro dal capo | fina a li pedi si è che al se tolia lo pomo granato dolce e fiza cocto |35 in lo vino pontico, zoè de plano, e lo loco fiza emplastrato cum quello. //7v// E forse che per quelli el loco se porà defendere. Ma se al ge vengnia lo | contrario, daye la cura como se dirà in lo capitulo de li apostemi. E quando | ti seray securo che lo apostema caldo non vegnia in la piaga, e specialmente | in lo spacio de novi dì, comanda a lo infirmo che

66 Segue l depennata. 67 e se sconfli, overo se infli] assente nell’ediz. lat. 68 Ediz. lat.: vulnus.

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luy ingrossi lo suo re- |5 gimento, zoè che luy retorni a lo regimento ch’el sole usare, cossì che la nativi- | tade de la carne se augmenti, zoè cresca. Capitulo iiijo de la reductione | de li budelli e de lo zirbo, e de la piaga che vene in lo budello et in lo si- | phac69 e de lo regimento de li altri piagi passant a li interiori de lo | corpo. |10 Li piagi alcuna volta veneno in lo ventre, dondo li budelli incis- | seno fora; la curatione de li quali, como dice Avicena, ha de be- | sognia de intentione de quatro guise. La prima intentione si è che li | budelli fizano reducti a lo suo proprio loco. La seconda si è che ay debeno | fir cusiti. La tercia si è che sopra quella se meta la medicina conveniente |15 como è incarnativa. La quarta si è che al ge sia la solicitudine, zoè | che lo medico sia solicito e attento, che per quello el non vegnia inflatione70 | in alcuni de li membri principali, zoè che lo sangue non se congeli, zoè aduni, | in li interiori. Dico adoncha a la reductione de li budelli senza prolixitate, | zoè senza longeza de parlare, che se lo medico serà presente, zoè inanze |20 che elli fizeno toccati da l’aere, forse quelle se intrometerano senza mole- | stia, zoè senza graveza. Ma s’el vegnia lo contrario, zoè che lo medego non | sia presente,71 el è necessario che quella ventositade se resolvi che è in quelli per la fri- | giditade de l’aere, o che al se largi la piaga, ma più conveniente si è che la | ventositade se resolvi se al è possibile. Adoncha pone la sponga marina |25 in l’aqua calda, premuta da l’aqua, e cum quella fizano evaporati li budelli, | overo quello se faza cum lo vino vegio, perché al scalda e conforta li budelli | più che l’aqua; e poy fizeno ponuti dentro quando è72 tolta via la sua in- | flatura. Et alcuna vene quando lo loco e lo tempo è frigido, che la ven- | tositade in lo dicto modo non se pò resolvere, et alora fiza facto como a- |30 maystra Galieno e li altri antiqui savij, como è Almansor et Aly, e questo è che | lo infirmo fiza suspeso, zoè apicato, in lo bagnio per li extremitade, zoè | per li mane e per li pedi, azò che per73 lo dosso, zoè spinale, ingobbato lo | ventre se concavi; e cossì un pocho fiza concusso, zoè secutito e torto. Però che per | questa dispositione li budelli più legermente fizeno intrometuti. E se per questi74 |35 facti non se posseno intrometere, el se de’ fare mayore incisione. 69 et i(n) lo siphac] assente nell’ediz. lat. 70 Ediz. lat.: timor. 71 zoè ch(e) lo medego no(n) sia p(re)sente] assente nell’ediz. lat. 72 Segue i cancellata (?). 73 Segue so depennato. 74 Segue una coppia di lettere (se?) depennate.

4.3 Testo 

 207

E se lo //8r// zirbo, zoè la grassa de li budelli, venisse fora cum li budelli, tuto quello che | è facto nigro o virdo in quello fiza taliato via, perché, se al se lassase, el fi- | rave la putrefactione in tuto. Perché al dice Ypocras che se lo zirbo insirà, el è  | de besognia marzire per bene che al demori pocho tempo. Ligati nientodemeno |5 tuti li soy veni et arterij, zoè veni pulsanti, cum filo de seta, la extremitade,  |75 zoè la zima, de lo quale dependa fora de la piaga; però che se questo se lassi, | zoè se ti indusij, la incisione overo ligatione el non serà seguro perché lo ventre | non vegnia a la putrefactione per lo insire de lo sangue. E poy che li budelli | sia intrometudi, la piaga fiza tenuta cum li digiti, e lo siphac, zoè lo panniculo che è apresso li budelli76 |10 fiza cusito como è narrato de sopra. E quello che è meliore de la sua | cusitura si è como monstra Galieno in lo Libro de lo ingenio de la sanitade, e questo | è lo77 suo parlare. La tua intentione sia in la rotura de mirac, zoè quella parte de dentro | che è appresso a lo pectinaculo,78 de lo ventre cum syphac azò che ti cusia quella cum la cusitura e adunatione de | siphac cum mirac, e perché la cosa nervosa è de tarda, zoè longa, incarnatione. |15 Tale cusitura del suo siphac cum mirac più tosto se incarnarà. E po’ se pona  | sopra la medicina incarnativa, e lo infirmo iacendo supino cossì se aconzi, | che lo dorso, zoè spinale, sia gobbo, e lo ventre sia cavato. E questa figura de | preparatione si è comune et universale a tuti li piagi per li quali inciseno | li budelli. Ma la propria e particulare si è che ti consideri in quale parte de lo ventre |20 serà79 la piaga, però che se la fosse in la parte inferiore, zoè de sotto, la figura | de la preparatione sia de sopra, zoè che li gambi de lo infirmo siano più alti | che la sua testa; e se la fosse in la parte de sopra, la figura de la preparatione | sia de sotto. E se la piaga fosse in lo lato dextro, alora la declinatione, | zoè lo plegamento, de lo infirmo sia a lo lato sinistro; e se la piaga fosse in |25 lo lato sinistro, fa’ lo suo contrario; però che tuta la intentione de la preparatione | si è che la parte ferita sia più alta cha l’altra, azò che la declinatione de li bu- | delli non possa fir fata a la piaga, e per questo in questo loco la ligatura è de | utillissimo iuvamento. E lo regimento de lo infirmo se subtili, e se guardi | in tuto da li cibi inflativi. Ma se la piaga venisse ad alcuno de li bu-  |30 delli, alora li antiqui doctori ànno comandato che li clisteri fizano facti cum | vino pontico, zoè bruscho, nigro tepido, azò che al se guardi che al non fiza | facta la putrefactione e lo dolore se mitigi. Anchora disseno li antiqui  | che se la piaga vene a li budelli grossi, più 75 All’inizio del rigo c’è una d cancellata. 76 ch(e) è ap(re)sso li budelli] nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo. 77 Con o corretta su una lettera precedente (a?). 78 che è appresso a lo pectinaculo] nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo. 79 Segue stata depennato in rosso.

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tosto reciveno consolidatione, | ma lo contrario si è se la fi facta in budelli setilli. Ma quello budello che  |35 se domanda ieiunio, in tuto non recive curatione; e quello è, como se dice, //8v// per la moltitudine de li veni e de li arterij et per la sua subtilidate et per la sua  | proximitade de li nervi, et etiamdeo perch’el’è proximo a lo fidego più cha | altro interiore. E lo modo cum lo quale è possibile la restauratione | de la disruptura de li interiori, se la serà pizena si è che la fiza cusita  |5 diligentemente cum gugia sutilissima e cum filo de seta; e poy, como è | dicto, li interiori se intrometi; e li capi de li fili pendi fora de la piaga, | e non lassare serare la piaga fina che lo interiore non abia recevuto la | incarnatione. E pone supra la cusitura de li interiori, zoè budelli, la me- | dicina che faza la conglutinatione se al t’è possibile. Albucasis dice |10 che alcuni experimentatori ànno dicto quando a lo budello venne alcuna  | piaga o rotura80 e che sia pizena, el besognia che la fiza ligata secondo | questo modo, e si è che ti tolia formici de li testi maiori, e che ti azonza | doy labri de la piaga, e pone una formica de quelli che ànno aperta la bocha | sopra li doy labri de la piaga; adoncha, quando la formica è sopra |15 la piaga, ella strinze la sua bocha, alora talia lo suo capo; et ello se | tene et non se lassa; e poy pone una altra formica apresso de la prima | e non cessare de fare cossì,81 zoè ponere formica pose formica secondo | la quantitade de tuta la piaga; e poy reduce quello budello de dentro | e cuse la piaga, perché quelli testi remaneno gropati a lo budello fina  |20 che al se liberi e se sani, et non vene per questo alcuno nocumento a lo infirmo.  | E questo modo de cusitura cum formici è82 secondo la via de la fiducia, | zoè de sanitade. Anchora dice che se la piaga serà grande e larga, | e maximamente in uno de li budelli magri, alora el non g’è ingeminatione83 | né subtiliatione, perché in nusuno modo non ge pò essere la sua sanatione. |25

[De vulneribus pectoris vel thoracis].84 Et oltra questo quando vene li piagi in li parti del peyto o de l’arca del | peyto, overo de lo dosso, zoè de lo spinale, overo in altra parte del corpo, | e che passeno fina a li interiori, alora lo regimento de la sua curatione | si è cum questo modo, zoè che in principio non se meta medicina, azò che | lo sangue se refreni, como 80 rotura] senza corrispondenza con l’ediz. lat. (quando accidit in intestino vulnus et est parvum). 81 Segue me depennato. 82 Segue cum fiducia depennato. 83 i(n)geminatio(n)e] ediz. lat.: ingeniatio. 84 Rubrica di paragrafo mancante.

4.3 Testo 

 209

dicono li homini savij de questa arte,  |30 azò che lo sangue non se retegnia in la profunditade, zoè concavitade,85 de lo  | corpo e retorni a lo core et amazi lo infirmo; anze se de’ dare la | medicina attractiva. Al dice Avicena che ogni cosa in la quale | è la caliditade subtile cum grande exiccatione de la substantia subtile | non se voyda da la attractione, zoè che la sia senza attractione. E se  |35 guardi da la assiduatione, zoè apositione, de li cosi molificativi, azò che //9r// la humiditade non se congregi in lo profundo, perché cossì facti piagi  | sono de grave mondificatione per la desobedientia de lo loco, la quale cosa  | è perché la sua profunditade è occulta. Unde Galieno dice in li piagi de | lo pulmone, overo de lo dyafragma, zoè de quello paniculo de dentro, |5 overo in li interiori de siphac, zoè de quello panniculo che è apresso li budelli, | el besognia sempre che al se soliciti che quanto più se pò, el se disicci, overo  | cum emplastri de fora metuti overo cum potioni. Ma se ti non hay | medicina attractiva, alora administra tuto overo secondo che convene, se- | condo lo suo curso, como è pecia, carpia o stupa, la quale suga quello che |10 vene fora. E li testi de li stupini remani fora de la piaga cossì grossi | che per la comprensione de la ligatura del corpo non posseno intrare e re- | manere lì, perché questo serave senza dubio casone de putrefactione. | E comanda a lo infirmo che al dormia sopra la piaga, azò che in quella  | non se congregi la sanie, zoè la marza. E se al besognia lavare la |15 piaga, fiza lavata cum oxizachara,86 zoè syrupo facto cum aceto e cum | zucharo, over cum mellicrate, zoè melle et aqua, overo cum ydrozachara, | zoè aqua e zucharo, e cum87 simile cose. E guarda secondo lo tuo | sapere che ti non mondifici la piaga cum medicina acuta, como è | fiore de ramo e simili cosi, perché, como dice Galieno, lo infirmo mo- |20 rirave cum quelli. E quando ti non è seguro che lo sangue overo la | putredine aggregata de dentro se possa mondificare per la piaga, | alora inanze che al se inspessicha, comanda a l’infirmo che al bevia | vino o aqua pluviale in la quale sia cotta terra sigillata; et alcuna | volta fizeno cotti balaustie e sumac e scorze de pomo granato |25 e simili cosi, e de questi biva.88 Perché cossì facti stitici dano grande | adiutorio ad ogni piaga penetrante, perché ay saneno e consolideno | la piaga in la parte de dentro. Ma se ti voray mondificare la sania | per assumptione de bevandi, daye como è dyapenidion, e questa è una | confectione, e dyadraganti, zoè una altra confectione, e cum aqua |30 cotta cum regalicia, ysopo e uva passa, e simili cosi, se la materia | non serà viscosa.89 E se cossì facta piaga se indusia 85 Con d corretta su una lettera precedente (l?). 86 oxizachara] ediz. lat.: lezione del ms. lat. O (oxizaccara) e del ms. lat. B (ossizacara) al posto di ydrozachara. 87 Segue sel depennato. 88 Con i corretta su una lettera precedente (e?). 89 se la materia no(n) serà viscosa] assente nell’ediz. lat.

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per longo | spacio a sanare e se ella se apre sempre, alora sapia, como dice | Albucasis, che al è facta fistula, e si è de quelli cosi li quali rare volte e | cum grande difficultade reciveno curatione, adoncha afrizete a cu- |35 rarla cum festinatione. //9v// Capitulo vo de la suma de la curatione de li piagi | de li nervi.90 Como diceno Galieno e li | altri savij antiqui la solutione de la continuitade, zoè la piaga, | in li nervi per lo grande sentimento e per la sua continuatione cum lo |5 cervello comove tosto lo spasmo. E per questo dice etiamdeo quello  | Galieno, la punctura de li nervi e de li cordi grandi è aparegiata a provocare | lo spasmo. Et avegniadio che asay casoni siano per li quali lo | spasmo fi facto in la piaga de li nervi, nientodimene questi sono | maiori, zoè lo fredo, lo dolore e la putrefactione, perché ogni |10 medicina frigida noce a li nervi, però ché la substantia de li nervi | è frigida. Anchora ogni dolore provoca la reuma, zoè lo humore, | dondo fi facta la infiatura e lo apostema, per li quali se genera | legeramente lo spasmo. Ma quando la putredine se aduna in | la piaga de li nervi e non pò discorere de fora per la seratura de li |15 busi de la piaga, alora el fi facta la putrefactione e lo membro | se corrumpe, e poy vene lo spasmo. Perché li nervi sono creati91 de | materia frigida92 humida, zoè de sperma, congelata et unita da la | frigiditade, e per questo quando vene la putrefactione in li nervi lo | membro se corrumpe et in quelli cresce lo dolore;93 per la qual cosa la |20 tua intentione sia in devedare li predicti cosi. Adoncha sia solicito | che la fissura se apria e se largi, azò che lo veneno possa venire | fora; e non afrizare de darge la sua consolidatione, como fanno li | grossi medici, se in prima non se apadima lo dolore et94 lo loco | serà mondificato, e che ti sia securo da la apostema calida, cossì che |25 lo corpo fiza mondificato e lo regimento se subtili de ultima, zoè grande, | subtilitione. E la fissura o che la fi facta in longo o in lato, ma | Galieno dice che quella che fi in longo è più salutifera e meliore, e quella | che fi facta in largo è più molesta e più propinqua a lo spasmo, | unde al dice Avicena se lo nervo fiza taliato secondo largo e non |30 al postuto, overo se al sostene alcuna punctura, el besognia che | totalmente al fiza taliato, azò che al sia securo da lo spasmo, perché, | anchora dice Galieno, alora lo apostema è iuncta a la parte taliata et | a la parte non taliata, 90 de li nervi] sullo stesso rigo e successivo a Como diceno Galieno e li. 91 Integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 92 frigida] assente nell’ediz. lat. 93 p(er) q(ue)sto quan(n)do vene la putrefactione i(n) li nervi lo membro se corru(m)pe et i(n) q(ue)lli cresce lo dolore] ediz. lat.: propter hoc quando accidit putrefactio, augmentatur in eis. 94 Segue quando depennato in rosso.

4.3 Testo 

 211

unde per la parte non taliata se porta la passione  | a lo cervelo et in quello fa venire lo spasmo. Per la quale cosa el |35 besognia che nuy salassemo lo infirmo senza consideratione de la virtude; //10r// e che nuy unzemo spesse volte lo collo, la copa, lo spinale, e | soto li aselli cum oleo de camomilla o de lilio caldo,95 se la piaga serà | in li parti de sopra de lo corpo como in li brazi e in li mani; | e se la piaga serà in la parte inferiore, como in la coxia, in la gamba, e  |5 in lo pede, dovemo unzere simelmente lo pectine, zoè lo pectinaculo,  | e lo inguine che è apresso lo96 membro occulto,97 però che questa unctione | molto ne secura da lo spasmo se ello de’ venire in quello; e se zà ge | serà venuto, el se de’ succurrere spesse volte a quello cum la ultima98   | curatione, zoè cum la incisione e cauterizatione,99 zoè squeta- |10 mento, e pos tale incisione in largeza el besognia che lo nervo se | cusi,100 perché più lezeramente se incarna. E, como dice Avicena, ello | non se azonze forse se ti non lo cusi.

De la universale curatione de li piagi de li nervi. | La medicina conveniente a li piagi de li nervi è de natura calda |15 e sicca e de substantia subtile; e la sua exiccatione è molto grande | cum atractione e non cum stipticitade al postuto. E la sua caliditade | è vicina a lo temperamento, perché lo caldo superfluo non se convene. | E guarda che lo dolore non se apadimi cum aqua calda, imperò che | la marcisse, perché li nervi sono creati de materia humida e frigida, |20 perché lo fredo à congelato et adunato li nervi como è dicto, e però | elli marciscono per lo caldo e per lo humido. Anchora in nusuno | modo non ge fizano administrati li cosi frigidi, perché ay opileno, | zoè sereno, li pori, zoè li busi pizini, de la pelle e fanno lo spasmo; | anze fiza mitigato lo dolore cum oleo caldo, perché l’olio caldo non |25 fa marzire como fa l’aqua,101 e nientodem[en]o excusa, perché ello ha | proprietade de mitigare lo dolore e de subtiliare li materie e de | farle currere; et imperò sia oleo de parti subtili cum stipticitade, perché | el fa meno marzire e non è102 senza atractione. Dice Galieno che | l’olio più antigo è 95 cu(m) oleo de camomilla o de lilio caldo] ediz. lat.: cum oleo tepidae calefactionis. 96 Con o corretta su a. 97 ch(e) è ap(re)sso lo me(m)bro occulto] assente nell’ediz. lat. 98 Segue zoè granda, con granda depennato in rosso: si tratta della stessa glossa presente poco prima a c. 9v. Sarà necessario, pertanto, espungere anche zoé. 99 cauterizatione (con relativa glossa) è assente nell’ediz. lat. (ipsi ultima curatione succurrit, ac post totalem incisionem in latitudinem oportet ut nervus suatur). 100 Segue una lettera depennata. 101 como fa l’acqua] senza corrispondenza col testo latino. 102 Segue e depennata.

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più dissolubile, e lo novello è più mitigativo, |30 ma lo mezano si è più utile.103 Et è besognia che al se mudi l’olio | secondo la varietade del tempo, in la estade fiza ministrato oleo rosato, | in lo inverno oleo de camomilla,104 perché in la estade è da fir elezuta | più freda medicina, ma in lo inverno più calda. Alcuna volta | etiamdeo fi mitigato lo dolore cum evaporationi de panni caldi |35 sopra lo loco. El solfero vivo per sutilitade et exsiccatione sua, //10v// se al fiza confecto cum un poco de olio a modo de unguento vale a la | piaga de li nervi; e la calcina viva asé volti, lavata cum aqua | dolce e confecta cum oleo, pò fir administrata utelmente; e la tuzia a quello | medesmo modo lavata e confecta. Galieno105 usava in questi piagi de |5 la sola termentina, e questo faceva in li puti e femine, et in quelli che | avevano natura humida; ma in li sechi e quelli che hanno duri | complexioni ge ministrava la tormentina confecta cum un pocho | de euforbi; overo etiamdeo in li corpi durissimi e siccissimi ge mini- | strava serapino cum termentina overo cum oleo. La feza106 de la  |10 cera sola, overo cum un poco de euforbio, fizeno administrati | alcuna volta. Anchora dice Galieno che la assa è bona s’el se | ne faza emplastro cum quella. Ma el è de considerare cum bona | consideratione se lo nervo sia discoperto e se li piagi siano molti | alargati overo no; e se li piagi siano alargati, alora non |15 sofrisseno la medicina forte calda, como è euforbio e solfero e | simili cosi; ma hanno de besognia de medicina che abia minore | caliditade como è tucia lavata. E simelmente non suffrisse, quando | lo nervo è discoperto e la piaga larga, che al ge fiza ponuto oleo | como ho dicto; ma, como dice Avicena, el besognia che in prima |20 se meta su la piaga vino cocto e possa oleo, e li medicini li quali | fizeno administrati in questi piagi non fizeno lavati per altra casone | se non azò che ay lassi la sua acuititade e mordicatione, perché la mordi- | catione genera apostema et inflatione. Ma tuti questi cosi non | fizano ponuti se non tepidi perché li fredi fazeno spasmo. E de li |25 medicini compositi è una medicina de Galieno mirabile, la quale | mi ho zà provata, et è quella che fi facta de cera, de rasina, de | euforbi, de pegola e de olio, e de zescadun de questi ge fiza metuta | una parte e de l’olio107 doy parti. Ma l’è de besognia guardare | sutilmente che la medicina non avanzi lo modo in scaldare, nì la |30 calefactione necessaria non fiza minuita, e simelmente de la mondi- | ficatione et exsiccatione; e se ti vederay che la medicina scaldi  | più che non besognia, la qual cosa monstrarà senza dubio la roseza  | e lo calore de lo membro, alora lo membro è da fir infrigidato fina  | 103 più utile] ediz. lat.: inutilius est. 104 de camo(m)illa] ediz. lat.: comune. 105 Segue dic depennato. 106 Con -za corretto su due lettere originarie non distinguibili; l’intera parola è poi riscritta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 107 Segue dun depennato in rosso.

4.3 Testo 

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che la caliditade superflua sia minuita. Ma se al è de besognia |35 lavare la piaga, fa’ como comanda Galieno, zoè forbe via in prima la marza //11r// cum bambaso, overo cum panno, e possa lavella cum vino cocto, overo  | cum mellicrate, zoè cum aqua e melle, overo cum vino dolce, overo | pontico, zoè brusco; et anchora desicca la humiditade de lo vino | cum bambasio como avemo dicto. E guarda che ti non ge  |5 meta medicina maturativa nì mollificativa, inanze sempre108  | pone medicina desiccativa, perché, como dice anchora Galieno, uno  | homo ave una punctura cum ferro aguzo, e se rompé la codega | e se continuà cum alcuni nervi de la sua mane, et uno medico mato ge | metì medicini mollificativi, zoè emplastro de farina de frumento et aqua |10 et oleo; dondo la mane de l’homo marzì e morì infra setti dì, perché | li sopravene lo spasmo per la putrefactione. Ma se la bocha de la punctura | fosse stata aperta, e se al ge fosse administrata la medicina desiccativa | cum atractione e de subtile substantia, quello homo non sereve morto. Et | sapia che la medicina sutile se convene administrare, imperò che la passi |15 a lo profundo senza dolore, perché li nervi sono metudi in lo profundo, | azò che, per quelli cosi da li quali sono coperti, fizano defenduti da lo nocu- | mento de fora. Anchora è de besognia, quando el sopravene l’apo- | stema calda a la piaga de li nervi, che la solicitudine sia in la mi- | tigatione de l’apostema, e li cosi che apadimeno tale apostema sono  |20 como è emplastro facto de farina de orzo, overo de fava, overo de | orobo, zoè roveya cotta in l’aqua de la cinere, overo in aceto, overo | cum aqua simplice in la quale sia mesedato lo serapino. Et è de bisognia | che questa medicina non fiza metuda se non tepida, perché, como dice | Avicena, niento è più nocivele né pezore a li nervi impiagati cha |25 quella cosa che è frigida. E quando li nervi fizeno triti, zoè smichi o-| vero conquassati, senza rotura, se debeno curare cum li cosi che mitigeno | lo dolore, ma se al ge serà apostema, fiza curati cum li cosi che apa- | dimeno li dolori, overo cum embrocatione, zoè infusione, alta de oleo | caldo, e lo malvavisco coto e pesto metuto sopra ge dà mirabile |30 zovamento, etiamdeo la zigola cota. Ma la dureza la quale è usata | venire in li nervi se cura como etiamdeo se cura li apostemi duri. |

Capitulo vio de li iudicij de la morte e de li periculi in li quali se conveneno | li piagi de alcuni membri. | Li membri li quali per la più parte de le volte significheno la morte  |35 quando li fizeno vulnerati sono como è la vesica, e lo cervello, //11v// lo core, li reni, lo fidego, e lo pulmone, lo dyafragma zoè uno panni- | culo de dentro, lo stomaco, li

108 Segue sia depennato.

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budelli minuti. E questo confirma Ypochras | in li Amphorismi, quando ello dice la vesica taliata e lo cervello,  | o lo core, o li reni, o lo dyafragma o alcuno de li budelli magri, |5 zoè setili, o lo ventre, o lo fidego, è cosa mortale; e Galieno lo exponì | in lo Comento. La significatione de li quali, quando la piaga serà in quelli, | cossì remane. De lo core vulnerato insisse sangue nigro quase | apresso a la mamilla sinistra; et a l’infirmo vene sudore e frigidi- | tade de li extremitade, et è senza dubio mortale secondo ogni |10 disputatione. Ma se in lo dyafragma, zoè in quello panniculo de dentro, | serà la piaga, alora la ferita è facta apresso a li costi pizinini, e grando | e spesso serà lo fiato cum grande dolore e suspirij e commovimento | de l’una spala e de l’altra; e la morte non è da lonze da lo infirmo, e | maximamente se la piaga serà in la parte nervosa; perché, quando la serà in |15 la parte carnosa, come dice Galieno, alora è possibile guarire e consolidarse.  | E se la piaga serà in lo pulmone, el ensisse lo sangue spumoso, e lo fiato | fi facto spesso, e lo colore de lo infirmo se muta. E se la piaga serà | in lo stomaco, lo cibo fi mandato fora per la piaga, e la urina discorre | in la [vesiga]109 per quella. E se la piaga serà in li budelli, la110 brutura |20 vene fora per la piaga, et alcuna volta insisse fora lo budello overo | lo zirbo, zoè quello panniculo de li budelli. E se la serà in lo cervello, el se co- | gnosce per quello che firà dicto de sotto in lo capitulo de rotura de la crapa. | E se in li supradicti membri non apparirano signi mortali, alora  | procede in la sua curatione secondo lo tuo ingenio e lo arbitrio de |25 la tua discretione. Perché cum artorio de Dio forse lo infirmo | guarirà. E se al vegna lo contrario, in tuto el è da cessare. Et | plusor volte, como dice Avicena, el vene cossì. E quello che ha | la piaga in lo ventre, zoè in lo stomacho, el ge vene nausea, zoè | appetito de butare suso e non buta, o singloto, o solutione |30 de ventre, e more. E se per la piaga facta in la profunditade del peyto | lo spirito, zoè lo fiato, vene fora, e cum quello serà lo tremore de | lo core e lo fiato de la strictura, simelmente è mortale. Ma | perché li medici ànno rasonati et anchora rasoneno de la vulneratione | de lo pulmone, el besognia che anchora nuy disputemo un pocho. |35 Dico adoncha che la vulneratione de lo pulmone fi cognoscuta //12r// in doy modi, perché o che la fi cognosuta da la casone de dentro, overo | da la casone de fora. Da la casone de dentro fi dicta tisica, et alora  | non fi curata, como dice Serapione, per trey casoni; una si è perché | la virtude de la medicina non pò pervenire a lo loco per la longeza de |5 la via; la seconda si è la humiditade de quello membro; la terza | si è la superfluitade de lo suo movimento. Ma la intentione de Se-  | rapione in questa autoritade non fo se no de la vulneratione putrida | antiqua, perché se la

109 Ms. urina; ediz. lat.: si in vesica, urina funditur ex ea. 110 Con a corretta su o; segue pay depennato.

4.3 Testo 

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serà frescha, anze che de quella fiza mandada fora | la sanie, zoè la marza, o fiza recolta, pò fir curato, como confirma Galieno, |10 e nusuno non se de’ desperare de la sua curatione. E se la fi cognosuta | da la casone de fora, dico che se la piaga serà frescha, zoè che al | non ge sia la sanie, zoè la111 marza, como avemo dicto, el è possi- | bile fir saldata e sanata; et de’ essere appositione de li medicini | a la mondificatione de quello membro, e più vale se la piaga è de |15 fora cha de dentro. Certamente la contrarietade per la quale lo | pulmone non recive la sanitade si è la humiditade e lo suo conti-  | nuo movimento, como112 è zà narrato de sopra. Galieno dice ch’e- | l è necessario che li membri vulnerati repossi, altramente non se pos- | seno saldare in alcuno modo, la qual cosa è perché fizeno largati per |20 lo movimento et li parti de la piaga susteneno la longatione. Et | ultra questo li piagi che cadeno supra la extremitade, zoè la zima, | de li lacerti, zoè de li brazi, como sono quelli che veneno trey uncij | de sopra de lo zinogio o de sotto, overo sotto li zoncturi de li mani, | overo inter lo gombeto e la spala, significheno la più parte la |25 morte, e forse raro veneno perché elli non amazeno. E sapia, | como dice Galieno et Almansor, che li musculi, zoè li bludoni, | sono componuti de carne, de nervo113 e de ligamenti, et sono instru- | menti de li movimenti voluntarij; e la sua figura è in modo de | archo, e perché in quelli è tropo grande sensibilitade, e in114 parte da lo  |30 cervello et in parte da lo core vene lo suo nascimento, et imperò | la sua incisione fi indicata mortale; e quando lo spasmo vene | a cossì fatti piagi lacertosi, zoè de li bludoni, non reciveno curatione, | como dice Avicena, s’el non fi taliato lo lacerto, zoè lo bludone, in | largo, et alora115 besognia che la operatione fiza guasta. Per la quale |35 cosa se al t’è possibile curare lo spasmo cum altra curatione, lassa stare //12v// la truncatione, zoè lo taliare via, de lo bludone; ma s’el è, como | consilia Galieno, melio è che lo infirmo sia cossì smancato cha luy moria | per lo spasmo. Generalmente tuti li piagi che fizeno facti in li logi | nervosi, o propinqui a li nervi, significheno la morte, perché molti |5 volti seguiscono li mali accidenti, como è lo spasmo, la alienatione | de la mente, zoè lo vanezare, et permixtione de la raxone, in zescha- | duno loco undo elli fizeno facti, et se elli hano grande profundi- | tade e capacitade, sono proprinqui a la pora. Ma quelli che fizeno | facti in li logi carnosi in li quali sono pochi nervi, vene, pelsinelli |10 o ligamenti, et non sono de grande capacitade, sono più salvi. | 111 Segue pu depennato in rosso. 112 Segue lettera cancellata. 113 Con o corretta su i. 114 e i(n)] aggiunto nel rigo con segno d’introduzione. 115 o(r)a] aggiunto nel rigo con segno d’introduzione.

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Capitulo viio de li piagi che veneno per bota. | Quando li piagi fizeno facti per concussione, zoè per botta, el non se | de’ domentegare la botta, anze se de’ ben intendere azò che li116 | piagi117 fizeno118 sanati, e che lo membro non se corrumpa né marcischa, |15 perché, como dice Galieno, el è necessario che la botta de la carne marcischa  | la putredine de la quale fi tracta a la piaga, e contraria a la generatione | de la carne et a la consolidatione. In la curatione de cotali piagi | quatri cosi ge vole principalmente; la prima de li quali si è che lo | corpo se voydi per salasso e per solutione, zoè purgatione, de lo ventro, se |20 ella si ne ha de bisognia, azò che la sia in adiutorio in aleviatione de | la inflatura. Perché se la botta serà profunda, zoè alta, e tuto lo san- | gue serà cagiato, alora non basta lo salasso. Anze besognia che ella | fiza tracta cum forteza, zoè cum ventosi e scarificatione e cum san-  | guisugi. La seconda si è che al fiza administrato cataplasma,119 zoè |25 pulthia mondificativa120 e maturativa,121 como è embrocatione, | zoè distillatione, de farina de formento, aqua et olio, però che in | ogni piaga undo è cagiato lo sangue per botta questa medicina | mirabelmente sotilia e deslengua, e larga li pori, zoè li busi pizinini | de la pelle, et apadima lo dolore, perché dentro de quello congrega e |30 conserva lo calore. La terza si è che al fiza mundificata la sanie, zoè | la marza. La quarta e la ultima si è che la piaga fiza curata | como fizeno tuti li altri piagi cum medicina exiccativa. El è | da sapere che quello medesmo Galieno dice che più graviemente se | salda la botta cha la taliatura. Capitulo viiio perché li piagi122 |35 tardeno de guarire e de li cauteli de la curatione. //13r// Galieno dice che la sanitade, zoè la unitione, de li piagi fi tar-  | data o per mala complexione de la carne in la quale sono li | piagi, o per lo sangue corrupto trascurso a quelli per lo malo nutri- | mento e corrupto in la qualitade et in la quantitade. In la qualitade |5 como è se lo sangue serà acuto, zoè colerico, o corosivo, o grosso,  | zoè melanconico, o sutile. Perchè lo sangue acuto non

116 Con i corretta probabilmente su a, ma di difficile leggibilità. 117 Con i corretta probabilmente su a, ma di difficile leggibilità. 118 Con i corretta probabilmente su e, ma di difficile leggibilità. 119 Con -ta- aggiunto in interlinea. 120 Con a finale corretta su o. 121 Con a finale corretta su o 122 Segue s depennata.

4.3 Testo 

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solamente | damna la carne vulnerata,123 ma etiamdeo la carne bona; e simelmente | se lo sangue serà grosso o sutile più ch’el non besognia, e per la più | parte el vene per la malicia sua124 de la125 complexione de lo fidego o de |10 la milza; la quale cosa se cognosce per la malicia de lo colore del corpo | e per la sua mala forma, zoè che lo corpo pare smagrato. Et alora | el besogna recorrere in prima a la curatione de la malicia de lo fidego | o de la milza cum la solutione del ventro e cum lo salasso, e ye | fiza dato cibo che generi bono sangue contrario de quello altro; e poi |15 retorna a la curatione de la piaga. Et in la quantitade, zoè | se lo sangue sia più o meno che al non besogni; se al serà più, | la quale cosa se cognosce per pleneza del corpo et inflatione de li | veni, la sanie, zoè la marza, cresce in la piaga, et alora el se de’ | subvenirge cum lo salasso e cum solutione del ventro; ma |20 se lo sangue serà meno che non se convene, la qual cosa se cognosce | perché lo corpo è magro e de poco sangue, unde la natura non trova | materia per la quale possa fir generata la carne, et alora lo loco è | da fir nudrigato cum aqua calda fina che lo loco se infli e do- | venti rosso, e lo regimento de lo infirmo fiza ingrossato. E la mala |25 complexione de la carne in la quale è la piaga, alcuna volta se tarda | la sanitade per caliditade o per frigiditade, alcuna volta per humidita- | de et alcuna volta per siccitade; e se la serà per caliditade, tali signi | precedeno, zoè vadeno inanzi, zoè el fi facta la roseza, e lo calore, et | troppo sanie, zoè marza, e subtile; e se la fi per frigiditade el appare |30 li contrarij signi; se per siccitade, el appare dureza e asperitade e | pocha sanie, zoè marza; e se per humiditade, el appare mollicie, zoè | tenereza, et asé marza e grossa, et alora li contrarij se curano per li | contrarij; la calda piaga fi curata cum li frigidi cosi e che abieno | stipticitade, zoè tenacitade, como è cum lo sugo de la morella o aceto |35 o cum aqua de decoctione de scorza de li pomi granati e de simili cosi; //13v// li frigidi se cureno cum li cosi caldi, como è lavamento de vino tepido; | li secci se curano cum li cosi humidi, como è lo nudrigamento de l’aqua | calda, fina che lo membro se infli e doventi rosso, et guarda che | non passi lo modo de questa quantitade in la fomentatione, zoè in lo nudri- |5 gamento, perché asé multa materia firave tracta cum nocimento a lo mem- | bro. Et simelmente alcuna volta fiza metuto sopra lo emplastro de | la pegola in loco de aqua calda; e la medicina che fi administrata | a cotale piaga fi facta de maiore126 exiccatione. Li humidi fizeno | curati cum li cosi sicci, como è lo vino e lo aceto e simili cosi.

123 Con e corretta su una lettera precedente. 124 Aggiunto in interlinea. 125 Segue sua depennato. 126 maiore] ediz. lat.: minore.

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Et |10 ultra questo la mala carne cresce asé volte in la piaga, et alora la bo- | na carne non nasce, per la quale cosa el ge de’ fir administrata la  | medecina acuta e corosiva, la quale fi trovata in lo capitulo de li | fistuli, fina che la mala carne in tuto fiza relevata, perché in la | mala carne cresuta niento se adopera la natura. Adoncha se ti |15 voli tirare via quella, non aspetare lo adiutorio de la natura, como  | se aspecta in lo nascimento de la bona carne, però che per operatione | de la natura el fi la creatione de la carne, ma quello che non fa la | natura è contrario a la sua operatione, per la quale cosa el besognia | extirpare via quella artificialmente, e cossì è dicto da li antiqui  |20 che aviveno scientia et abundantia de pratica. Alcuna volta | la carne se indura sopra li labri de la piaga, per la casone de la quale  | anchora non nasce la bona carne; et alora besognia che in quella se | faza fricatione cum alcuno instrumento fina che lo sangue vegnia fora; | ma se la fosse grossa fiza taliata fina a la bona carne, e poy fiza cu- |25 rata la piaga. Ma li varioli alcuna volta veneno sopra la pia- | ga, alora lo infirmo de’ fir salassato, e se de’ purgare lo ventro et | se de’ nutrigare cum cibo sutile. Et molte volte in la piaga | alta se contene alcuna pezoletta de osso rotto, e la sua acuitade | ponze la carne, undo se tarda la sanitade de la piaga; alora se |30 studij bene a tirarlo fora cum facilitade, zoè legereza; e quando | la piaga se tarda e non recive sanitade alora in tuto per spacio de | longo tempo secondo lo modo predicto; la sua curatione de’ essere | como la curatione de li ulcerationi, zoè de li fistuli. | Capitulo viiijo de la diffinitione e natura de li medicini fazant |35 nascere la puza e de la sua collectione e compositione. //14r// Li medicini fazant nascere la puzura sonno quelli la proprietade | de li quali è che la aquisti la digestione, zoè lo paylire, a la  | humiditade; et si fa mestera che la sua caliditade sia equale, zoè | che ella sia proxima a la caliditade del corpo, et in quelli sia inviscatione |5 alcuna; e la sua virtude è in retinere lo humore e lo calore na- | turale confortando et humectando, zoè balneando, la materia fina che  | la fiza paylita. Et forse che alcuna volta se trova medicina frigida | e stiptica e matura. Ma sapia che quello non è per sua natura, anze | è per accidente, però che per la sua frigiditade e stipticitade opila li pori, |10 zoè li busi pizeni, de li arterij e de li veni, e retene la fumositade e | li spiriti da la resolutione, e cossì confortato lo calore naturale de | dentro matura como è lo solatro, zoè la morella. Li medicini  | fazant nascere la puzura sono como è formento masticato, malva- | visco, semenza de lino, feno greco, figi secci, grassi, adipe, zoè sonzia, |15

4.3 Testo 

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de porco, et simili cosi. E de li compositi li quali noy solemo usare in li piagi,127 | questa è bona medicina: Recipe succo de api,128 succo de ebulo, zoè | de enula, vino, melle, asongia de porco, butiro, ana parti equali | de tuti questi cosi, li quali tuti incorporati bene insiema tanto se cose- | no fina che se inspisseno. Anchora129 una altra medicina: Recipe ason-  |20 gia de porco deslenguata parte una, oleo parti v; e tanta farina de | frumento che basti; meseda tuti questi cosi insiema et incorporelli bene; | e poy, como è dicto de sopra, coselli a lo focho. Anchora una altra: | Recipe de la melle parti iiij, de asungia parte j; e poy incorporelli cum | farina de formento cum la quantitade che basti; e poy fizeno cotti |25 como ti sapi. Anchora la embrocatione è bona: zoè Recipe farina  | de orzo cum aqua e cum melle e confinzelli. Et sapia che alcuna | volta apreso la necessitade el fi resolvuto lo sofrano cum li predicti | embroci a padimare lo dolore; anchora lo sofrano convenientemente | matura e mitiga lo dolore. Capitulo130 xo e de la131 diffinitione e natura |30 de li medicini fazant nascere la carne in li piagi e in li ulcerationi, e de la cura | de quelli e de li consolidativi e de la consideratione de quelli cosi che se debeno attendere | circa la complexione del membro impiagato e de tuto lo corpo e de la piaga | e de la ulceratione, e del modo de la administratione e de la collectione | e compositione de quelli. |35 Li medicini, la administratione de li quali è necessaria in //14v// li piagi azò che la sua concavitade retorni a la sua completa sanitade, | fizano diversificati secondo la diversitade de li soy nomi; perché | alcuni fizeno dicti generativi de la carne, altri consolidativi overo | sigillativi overo cicatrizativi,132 zoè che lasseno apparire lo signo de la piaga. |5 Anchora fizeno diversificati secondo la diversitade de li soy operationi, | perché la operatione de la medicina incarnativa fi diversificata da la | operatione de la cosa generativa de la carne e de la cosa consolidativa, | e cossì per lo contrario. Ma mi dirò in prima la differentia de li soy | nominanzi, e poy133 mi procederò ordinatamente secondo li paroli  |10 de lo gloriosissimo Galieno, Avicena e de li altri antiqui autori. | Dico adoncha che inter la medicina

127 i(n) li piagi] aggiunto nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo. 128 Segue p depennata. 129 -(r)a] aggiunto nel rigo e in rosso. o 130 Segue iiii depennato e sostituito dal successivo x aggiunto in interlinea. 131 Con l corretta su d. 132 Con i finale corretta probabilmente su a, ma di difficile leggibilità. 133 Segue se depennato.

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sigillativa e cicatrizativa e  | consolidativa in tutto non è nusuna differentia; anchora inter | la carnativa et conglutinativa, zoè unitiva, non g’è nusuna dif- | ferentia. Ma differentia è inter la medicina generativa de  |15 la carne e consolidativa et incarnativa, e quale sia la sua | differentia el firà notificato per la sua natura e per la diversitade | de la operatione et anchora per la su[c]ces[s]ione134 de la administratione, | como al presente venirà la sua memoria. La medicina incarnativa, | como dice Avicena, è quella che congrega inter doy cosi135 elongati, |20 et non besognia che la operi se no in la superficie de tuti doy, zoè inter | doy labri fina a lo profundo, fazando apozare quelli cum la rosata che | è in la substantia de tuti doy. E la sua natura è exiccatione | grande cum pocha stipticitade, zoè tenacitade, senza abstersione, | zoè extirpatione de la rosata e de lo sangue, perché la abstersione |25 è contraria a la sua intentione, zoè a la incarnatione o conservatione de | la rosata; la sua intentione si è a fare quello che se recoglie de lo | sangue, zoè che136 lo nutrimento se apozi; ma la abstersione forbe, zoè | extirpa via, quello sangue, per la quale cosa el fi facta la sua dis- | persione et cossì fi consumata la materia per la quale se expecta la |30 conglutinatione, zoè la incarnatione. E non ha de besognia de | diminutione in la exiccatione como è in la regeneratione de la | carne, perché in la regeneratione de la carne quello ge besognia | zoè la temperata mondificatione, azò che la materia corra a quella, | e la exiccatione tosto consuma lo curso de quella materia. E la |35 incarnativa non ha besognia de quello, anze ha besognia de più137 //15r// forte exiccatione cum pocha stipticitade. La medicina consolida-  | tiva sigillativa e cicatrizativa, che enno una cosa medesma138 è | quella che exicca la superficie de la piaga fina che al fiza facta la cro- | sta como guardante sopra quella da li nocumenti, fina che al fiza ge- |5 nerata la codega naturale. E la sua natura si è exiccatione | grande e stipticitade senza mordicatione, e non besognia che al | abia mondificatione, perché la piaga in la quale fi administrata | non ha marza che possa fir mondificata; e noy se guardemo de | ponere questa medicina in tuti li piagi saniosi, zoè pieni de marza, |10 temendo, como dice Galieno, che la marza non se saldi cum la piaga. | E perché la medicina incarnativa ha besognia de grande exiccatione | e de pocha stipticitade, la medicina sigillativa ha besognia de | maiore exiccatione e de multa stipticitade, perché al è necessario che | ella recuperi la codega la quale è per natura de maiore 134 Ms.: sua cesione; ediz. lat.: successionem. 135 cosi] ediz. lat.: labia. 136 Aggiunto in interlinea e vergato con inchiostro molto chiaro. 137 Richiamo di fascicolo nel margine inferiore: forte. 138 La medicina (con)solida- | tiva sigillativa e cicatrizativa] ediz. lat.: medicamen consolidativum.

4.3 Testo 

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exiccatione,  |15 exiccando la humiditade estranea e radicale grandamente. E nota | che etiamdeo la medicina consolidativa cum adiutorio de la natura | azonze in la quantitade de la cosa generativa de la carne fina che | ella salda. La medicina che fa nascere la carne, overo che è genera- | tiva de la carne, overo generativa, che è una medesma cosa,139 è |20 quella che coagula, zoè aduna overo cagia, lo sangue sano veniente | a la piaga in la carne. E la sua natura è exiccatione e mondifica- | tione et in tuto senza stipticitade, non però che al’avanzi lo modo; | ma se in quella serà grande exiccatione, el firà la prohibitione de lo | sangue veniente, perché ella non averà materia per la quale se possa |25 generare la carne; e cossì se in quella serà grande abstersione, zoè | extirpatione, ella removerà quello sangue fazendolo correre fora | de la piaga, perché el firà consumata la materia trovata de la carne. | Al besognia adoncha che al fiza facta140 asayissima exiccatione, anze | fina a lo termino, zoè che al non passi molto141 lo primo grado, overo che al |30 sia propinquo a la complexione de lo membro subiecto como se dirà, | nì fiza facta grandamente forte abstersione, zoè extirpatione, anze | pocha, zoè in tanta quantitade che la extirpi, zoè forbia, la puzura | senza mordicatione, perché la mordicatione è contraria a la sua inten- | tione, et non besognia in tutto che al abia stipticitade. E la conside-  |35 ratione che de’ fir attenduta circa la dispositione de lo membro142 //15v// vulnerato de tuto lo corpo et de la piaga e de la ulceratione, [è]143 perché | se lo membro in la sua complexione serà de molta humiditade, e se  | la piaga overo la ulceratione non serà de molta humiditade, ye ba-  | starà pocha exiccatione in lo primo grado, e se lo membro serà sicco, |5 e la piaga serà de molta humiditade, alora el serà necessario quello | che desicca in lo secondo grado et in lo terzo, azò che al reduca quello | membro a la sua naturale complexione. E così se de’ intendere de  | tuto lo corpo, perché avegniadeo che la curatione de la cosa che | è fora de la natura fiza per lo contrario, nientodemeno la cosa |10 naturale se de’ guardare cum simili cosi, como dice Galieno; et etiam- | deo secondo lo dicto de Damasceno, al besognia che li empla- | stri e li unguenti siano secondo la propinquitade de la qualitade | e secondo la similitudine de la complexione de quello membro | a chi li fizeno apponudi. Adoncha se la complexione de lo |15 membro serà sicca, el se convene administrare la medicina de- | siccativa; ma se la complexione serà humida, la medicina | pocho desiccativa g’è 139 overo generativa, che è una medesma cosa] assente nell’ediz. lat. 140 Al fiza facta] manca la negazione presente nell’ediz. lat.: Oportet ergo ut non sit plurima exsiccatio. 141 Aggiunto in interlinea. 142 Numero di fascicolo nel margine inferiore: b. 143 Ediz. lat.: est quoniam.

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necessaria. Ma se li piagi serano essen- | tialmente molto humidi, alora la medicina sicca più forte fiza | aconza, zoè li contrarij se curano per li contrarij, perché ogni simile |20 se alegra de lo suo simile e fi acresuto da quello, e quello è contra- | rio alla nostra intentione per parte de la cosa fora de la natura, perché | la nostra intentione si è che lo morbo, zoè la infirmitade, se curi e che | ella non crescha. Ma per parte de la cosa naturale, el non è contrario | che la fiza cresuta per lo simile, et imperò è cosa conveniente, perché  |25 la cosa naturale si è la natura e la complexione de lo membro. | Ma se doy piagi reciveno in la sanie, zoè in la marza, de havere | modo de equalitade, uno de li quali è in lo corpo sicco e l’altro in lo | humido, quello che è in lo corpo sicco besognia fir più de- | siccato cha quello che è in lo humido; per la quale cosa lo |30 incenso e simili cosi debeno fir ministrati a lo humido corpo, | perché la sua exiccatione è pocha. Ma quelli che sono como è | la aristologia, yreos et simili cosi de li quali è molta exicca- | tione, sono convenienti a lo corpo sicco, perché, como dice Galieno, | quella carne che noy volemo generare el besognia che la se someya |35 a la carne de tuto lo corpo. Intendi che la sia in terzo o in quarto grado.144 //16r// La quantitade e la qualitade de la complexione se trova in libro de li Complexioni145 | de Galieno, como ti desideri. Ma como ello dice in li Megate- | gni, la quantitade de la appositione in nusuno modo se porave de- | scrivere; e nientodemeno el basta che al te fiza ministrato quello |5 che è più vicino, zoè propinquo, a la natura. Perché la natura si | fi aydata da li cosi più propinqui a sì, suplendo quello ch’è mancho, | e removendo quello che è superfluo s’el non passa tropo lo modo, | perché in li cosi che passeno lo modo la natura ge mancha. Unde  | la frequentatione de l’arte e la longeza de lo tempo i quali sonno |10 più propinqui fizeno demonstrati. El besognia che ti consideri che | quando ti averay administrato la medicina creativa de la carne | e che per quella non nasce la carne, alora o che la medicina è desic- | cativa ultra lo modo, overo meno che non besognia. E la si- | gnificatione che la medicina passi lo modo in exiccare si è perché |15 la piaga appare sicca e pura; ma se la piaga appare saniosa, | zoè piena de marza, putrida e humida, pos la apponuta medicina | demonstra che al habia debile siccitade. Per la quale cosa se la me- | [dicina] serà meno desiccativa, alora fiza humectada secondo la quantitade | che minuischa lo superfluo. E simelmente se la serà debile, zoè pocha, |20 a quello modo se de’ azonzere la exiccatione. E de quelli cosi | che minuisseno la virtude de la exiccatione in la medicina si è  | azonzere in la cera sua et in l’oleo suo, e se al serà em- | plastro overo unguento. De quelli cosi che in quelli azonzeno exic- | catione si è che ello fiza ingrossato et inspissato e la

144 Intendi ch(e) la sia in t(er)zo o i(n) quarto grado] periodo assente nell’ediz. lat. 145 Nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo.

4.3 Testo 

 223

sua vir- |25 tude se minuisca; adoncha ge fiza azonto como è la melle. | E simelmente se de’ observare che la medicina in la calefactione o  | in la frigidatione non passi lo modo. E quando la piaga serà | tropo scaldata, el appare circa quella la rosseza e lo calore,  | e se elli infrigideno, el appare contraria significatione, per la quale |30 cosa el te besognia necessariamente che ti ge daga alora | altra medicina. Ma certamente sono alcuni medici li quali | diceno che elli curano cum uno solo unguento universalmente | tuti li piagi in zescaduno loco undo siano e comentre si volia | che siano, e la sua intentione certamente è errore, zoè fallo. Et |35 ultra questo sapia che li corpi umidi sono como de li puti zoveni, //16v// de li doni e de li unichi, zoè de li castrati che sono senza testiculi, | a li quali è la carnositade e habundantia de grasseza; ma li sicci | tu debi intendere per lo contrario. Simelmente146 quelli147 membri | sono sicci a li quali è poco sangue e pocha carne e pocha grasseza, |5 como è li oregie, li ogi, li nervi, li digiti, lo naso e lo membro.148 | Et simelmente sono humidi li cosi contrarij. E lo modo de la admi-  | nistratione de li predicti medicini convene essere cotale, zoè che in  | li piagi cavati, in li quali è diminutione de carne, e simelmente | in li piagi profundi in li quali è perduta la substantia de la carne, |10 in primamente de’ fir administrata la medicina generativa | de la carne, precedente la mondificatione se lì serà puzura;  | e quando la carne serà generata cum la quantitade a sì necessaria, el | ge de’ fir administrata la medicina sigillativa overo cicatrizativa | et indurativa. Ma in li piagi contrarij, zoè quello che è per- |15 duto non è altro se no codega, alora da lo principio fina a la fine | la medicina sigillativa g’è necessaria. Ma la medicina incarnativa | non seguisse l’ordine de la cosa regenerativa de la carne overo | sigillativa, né anchora quelli, zoè la generativa e sigillativa, | non seguisseno l’ordine de la incarnativa, la quale è quasi incar- |20 nativa in li piagi in li quali fi administrata,149 e la administratione | de quelli, zoè de la generativa e sigillativa, non è necessaria né de- | nanze quella, zoè incarnativa, né pos quella, perché in quelli | piagi non è necessario che la carne ge fiza generata, né anchora | che la codega se saldi. Adoncha quelli piagi li quali fizeno |25 dicti freschi e sanguinosa sono quelli a li quali fi administrata la | medicina incarnativa in questo modo; prima nuy conzonzemo li la- | bri elongata de la piaga convenientemente, e poy nuy ponemo la me- | dicina in la superficie de tuti doy. | 146 Segue a li depennato. 147 Corretto su quali. 148 e lo membro] ediz. lat.: et similia. 149 la quale è quasi i(n)carnativa in li piagi in li quali fi administrata] ediz. lat.: quod est quia in vulneribus in quibus administratur incarnativum. La traduzione dipende probabilmente dalla presenza di un quasi al posto di quia nell’archetipo latino.

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De li medicini incarnativi. |30 Li medicine incarnative de la bonitade de li quali et experi- | mento e rasone ho narrato secondo la testimonianza de li antiqui | sono come è scorze de palma, folia de plantana, folij de verzo, | folij de l’arbore de li pomi granati, folij de cipresso e li soy rami, | folij de pentafilon, zoè de cinque folij, cum melle, glutino, zoè colla |35 lavata, termentina, zoè argato, nuce frescha pista cum aqua e cum //17r// sale boiuta in vino et150 folij de la acetosa, e la pulvere de molino, | orzo brusato, et propriamente in li corpi de li antigi, fiore de corbelo, | de sorbo, herba secola, cova cavalina, e lacto acetoso mirabilmente | aduna li piagi grandi. E de li oli el è bono oleo mirtino e rosato. |5 E de li medicini compositi la medicina de Albucasis è de mirabile | adunatione, è questo: Recipe incenso parte j; sangue de draco parte ij; | calcina non extinta, zoè non morta, parti iij. E dice che quando non | hay presenti lo incenso né lo sangue de drago, la sola calcina fa | quello. De li medicini fazande151 nascere la carne. |10 De li medicini fazant nascere la carne alcuni sono legeri | in exiccationi, alcuni sono più forti cha quelli; ma quelli | che sono legeri fizano administrati in li corpi humidi, però che per la  | mollicie de la sua exiccatione non generarave carne in li corpi sicci. | E quelli che sono de grande exiccatione fizeno administrati in li |15 corpi sicci, como è zà recordato. E li medicini legeri sono como è | incenso, mastice, mirra, aloe, colofonia, zoè pegola greca, farina | de fava, e farina de orzo, e de questi simili. E li più forti sono  | como è aristologia conbusta, climia, zoè vena de tera o cathimia, | draganti brusato, radice de opoponaci, yreos, farina de lupino, |20 farina de orobo, zoè roveya, e de soy simili habianti la proprietade | de far nascere la carne. Ma la qualitade de quelli per fare un- | guento è che la cera fiza deleguata cum oleo comune secondo | la quantitade de la necessitade, e poy fiza supra ponuto la polvere | de li medicini che ti voli, e tuti fizano incorporati insiema et de |25 quelli152 fiza facto unguento. E la necessitade che ne provoca | a li oli et a li ceroti si è perché, como dice Avicena, li medicini | sicci sono como litargiro et altri minerali, zoè cosi cavati de terra, | e terrestri, zoè de terra, e crossi,153 li quali non descendono in lo profundo | né passeno in li porri, zoè in li busi pizeni

150 Segue r depennata. 151 Con d corretta su t. 152 Segue ne depennato in rosso. 153 e terrestri...crossi]: assente nell’ediz. lat.

4.3 Testo 

 225

de la pelle; e quando |30 de quelli se fa ceroto, lo curso de l’olio fa submergere quelli e pas- | sare al loco che noy volemo. |

Commemoratione de li medicini consolidativi. | Li medicini consolidativi li quali eyo ho elezuto e tolto fora | de la summa de li libri de li antiqui, poy che mi sonto certificato de |35 quelli cum testimonio de la rasone et ultimo exercicio, sono como è //17v// letargiro, centaurea minore, ossi de galina brusati, scorza de l’ | arbore del pino, et propriamente cum zeroto de oleo rosato o mirtino, | cum rasina sicca et abrodeno rostito, incenso, balaustie, gallete, | alume zucharina, folij de figo, vermi de la terra, stercora de cane che abia  |5 mangiato ossi, e stercora de lacerti. Et Ypocras comenda  | la herba che se domanda pede de corvo. E de li secreti si è aristologia brusata,  | e vitreolo romano brusato. E quelli cosi che corodeno e minuiscono | la carne forse, como dice Avicena, consolidano in la grande humidi- | tade, e propriamente quando elli fizeno brusati, fizeno facti de minore  |10 consolidatione e fi minuita la sua corrosione, e specialmente se elli fizeno | lavati fizeno più bassi a la consolidatione e fi minuita la sua corro- | sione. Ma fiore de ramo e li medicini che sono de grande corrosione | non se convene a quello se no cum grande cautela, et in li piagi | et in li ulcerationi de molta humiditade, lo ramo brusato e che |15 sia lavato è conveniente in la consolidatione. E in li ulcerationi de la | calda complexione et apostemosi li sandali e la eufrasia mirabel- | mente se conveneno, et aloes proprie in li parti del culo e de li testiculi. | De li medicini compositi lo emplastro de Avicena de lino è mira- | bile e la compositione sua è cotale. Empla[stro] de Avicena. |20 Recipe panno de lino lavato e bello e biancho, e tridello tan[t]o che | al fiza polvere; e poy tolle oleo de grande stipticitade como è | oleo mirtino o rosato, e metello in quello154 un poco de155 gal- | bano fina tanto che al se dissolva, zoè deslegui. E poy pone in quello | lo panno pisto e de quello ne fa’ emplastro. E se ti voray che |25 al operi più fortemente, azonzega un pocho de incenso e de ari- | stologia brusata.

154 o corretta su a; segue polvere del pano depennato in rosso. 155 un pocho de] aggiunto in interlinea.

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Polvere incarnativa de Avicena. | Recipe de biacha, de litargiro, equalmente de tuti doy parte j; de scoriola  | de piombo, de mirra, de galla, de tuti equalmente parte meza. E | tuti fizano tridi156 e de quelli ne fiza polvere. |30

Una altra polvere consolidativa de Avicena. | Recipe de li rosi, de la biacha, balaustie, equalmente dramme viij; semenza | de rosi, alume zucharina, galli, equalmente dramme iij; aristologia | brusata dramme ij; incenso minuto dramme j.

Una altra polvere rossa de | Avicena.157 Recipe roza, zoè herba de tinctori, ossi de |35 galina brusati,158 litargiro, de tuti dramme ij; incenso.

//18r// Anchora una altra polvere159 consolidativa e gurativa de la carne160 | Recipe incenso, aloes, sangue de drago, sarcocola, ana, zoè equalmente,  | dramme iij; aristologia brusata, litargiro, biacha, scorze de arbore de | pino, centaurea minore, ana dramme ij; galli, balaustij, ana dramme ij; questa |5 polvere mirabilmente opera.

Uno unguento da usare a removere lo | brusore e caliditade de li piagi. | Recipe litargiro sutilmente pulverizato once j; oleo rosato, aceto, ana once | j .ſ.; in prima lo litargiro fiza bene trito cum lo aceto et oleo | vesendivelmente, zoè mo

156 d corretta su lettera precedente. 157 Avicena] sullo stesso rigo e successivo a R(ecipe) roza, zoè herba de tinctori, ossi de. 158 Segue merda de seg.. depennato in rosso ed espunto (le ultime due lettere non sono facilmente distinguibili): il riferimento è chiaramente al merdasengi, altro nome (cf. glossario, 3, s.v. litargirium), di derivazione araba, con cui s’indicava il litargirio; nell’ediz. lat. c’è proprio merdasengi. 159 Segue rossa de Avic depennato in rosso. 160 d(e) la ca(r)ne] aggiunto nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo.

4.3 Testo 

 227

l’uno, mo l’altro, fina che ello se infli. E poy |10 de la biacha161 once j bene pulverizata; canfora dramme j; fizeno mese- | dati cum li predicti cosi et tuti insiema rotegando fina che | elli se incorporeno bene.

Unguento a removere la frigidità de li | piagi.162 Recipe oleo de oliva dramme v; serapino, | opoponago, ana dramme ijj; incenso, sarcocola, aristologia brusata,  |15 ana dramme v. E la qualitade de confinzere questo unguento si è che lo sera- | pino e lo opoponago fizeno resolvesti in l’olio et insiema fizeno  | scaldati al focho. E poy la polvere de li cosi predicti fiza mesedata, e | fiza azonta la cera secondo la quantitade che basti, et fiza | facto unguento. Unguento a removere la sicitade de li piagi. |20 Recipe cera, oleo visco, e fizeno resolvesti, zoè deslenguati, | parti equali de la pegola, e de quelli fiza facto unguento. |

Unguento a removere la frigiditade e la sicitade de la piaga. | Recipe litargiro trito once j; oleo rosato, aceto puro, melle, ana | parti equali. El litargiro fiza ponuto in quelli cosi e fiza trito fina  |25 che doventi biancho e se infli. E poy tolle draganti adusto, | alume, balaustij, gali ana dramme163 v; e fizeno incorporati cum li pre- | dicti cosi, e de quello fiza facto unguento. E sapia che questi164 unguenti165 | debeno166 fir administrati167 in li piagi per curatione tanto che li soy mali | accidenti se parteno. E poy se de’ retornare ad altri medicini como |30 te declara la natura de li membri.

161 Segue segno per dramma depennato. 162 Sullo stesso rigo e successivo a R(ecipe) oleo de oliva (dramme) v; serapino. 163 Ediz. lat.: segno per once. Ma nel ms. lat. B c’è il segno per dramme. 164 Con i corretta su o, ma di difficile leggibilità. 165 Con i corretta su o, ma di difficile leggibilità. Nel rigo inferiore segue de’ depennato. 166 Aggiunto nel margine sinistro. 167 Con i corretta su o, ma di difficile leggibilità.

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Capitulo xj de la commune | disputatione de la curatione de li piagi e de li ulcerationi.| Avignadeo che sufficientemente avemo dicto de la curatione | de li piagi e de li ulcerationi in lo suo loco, nientodem[en]o al me | piase de venire a più lezera e più evidente noticia, azò che de quelli168  |35 se varij la comune disputatione secondo lo modo de Galieno. //18v// Dico adoncha che in tuti li piagi universalmente da lo principio fina | a la fine li cosi desiccativi sono necessarij, e questo se fa in ogni piaga | frescha e facta in la superficie, zoè in la profunditade overo de fora,169 se no | in li piagi et ulcerationi li quali fizeno facti per botta, in li quali la |5 exiccatione non ha loco se no in fine de la sua mollificatione e mon- | dificatione, alora li desiccativi se conveneno. E quella medesma cosa | convene fir facta molti volti in alcuni altri piagi li quali specialmente | reciveno l’alteratione de l’aero, como è dicto de sopra in lo capitulo | de li piagi li quali fizeno facti in la carne. Ma in li piagi de li ner- |10 vi overo in li soy propinqui debeno fir guardati170 e schivati da | questo canone,171 como anchora è zà narrato de sopra in li logi pro- | pinqui.172 Ma in li piagi et ulceratione concavi in li quali è perditione | de substantia, la nostra intentione è che la carne fiza generata, e questo | non se fa se no cum habondantia de cibo e de sangue e cum administra- |15 tione de medicina exiccativa, la quale non sia etiamdeo senza mondifi- | catione. E como dice Avicena, ogni medicina la quale exicca senza | mordicatione è de quelli che fa nascere la carne. Ma in li piagi et | ulcerationi in li quali quello che è deperduto non è se no codega, se con- | vene administrare la medicina molto exiccativa e stiptica. E in |20 li piagi sanguinolenti e freschi li quali non sono alterati da la dis- | positione de lo aero, e in li quali non è perduta substantia de la carne | nì la codega, non è altro de besognia se non che li soy extremitadi | siano adunati insiema, a li quali se convene la medicina forte sicca- | tiva e pocho stiptica, la quale etiamdeo non abia niento de mondi- |25 ficatione. Et se in li supradicti piagi et ulcerationi nasca carne | superflua, alora ge metramo la medicina acuta, la quale necessaria- | mente è calda e sicca. Ma se li ulcerationi siano puzulenti, a li | quali non173 se convegnia medicina acuta, ge de’ fir administrato lo focho. | Ma quelli che sono saniosi sono da

168 Nel rigo inferiore segue la c depennato. 169 e q(ue)sto se fa in ogni piaga frescha e facta i(n) la sup(er)ficie, zoè in la p(ro)funditade overo de fora] assente nell’ediz. lat. 170 Segue da q depennato in rosso. 171 canone] ediz. lat.: curatione; mss. lat. E, G: canone. 172 propinqui] ediz. lat.: propriis. 173 Vergato sopra un originario mo(n) in cui la m è depennata.

4.3 Testo 

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fir curati cum medi- |30 cina che mondifica la sanie, zoè la marza, la mondificatione de | la quale convene essere mazore cha la mondificatione de quella | medicina che genera carne. Ma ti al te besognia savere et at- | tendere che in li piagi puzulenti, zoè pieno de marza, è necessaria | la medicina più abstersiva, zoè che forbe, cha quella medicina che |35 se administra in li piagi non puzulenti, la quale medicina anchora //19r// de’ avire un pocho de mordicatione. Ma se noy trovemo che li | piagi o li ulcerationi habiano mala complexione, alora le cose contrarie | debeno fir curati cum li contrarij, zoè li sicci cum li humidi e li caldi | cum li frigidi, e cossì intendemo de li altri qualitade. E nientode- |5 meno el besognia guardare deligentissimamente la complexione in tuti li corpi | e del membro impiagato.

Capitulo xij del fluxo del sangue de | la piaga. | Manifesto è, e cossì dicono li auctori, che lo sangue vene fora da li | veni grandi o pizeni dispersi in la carne. E la casone de lo suo |10 insire è, como dice Galieno, la incisione o la aperitura de la extremitade, | overo la largatione de li porri, zoè de li busi pizeni. Ma conciosiacosa- | ché questo tractato proprio non sia de lo fluxo de lo sangue, eyo tractarò | de quello che fi facto per solutione de la continuitade, zoè per la piaga. Ma | al te besognia primamente considerare da quali veni fiza facto lo fluxo |15 de lo sangue, perché alcuni veni sonno li quali non hanno polso, | e questi sonno de più legere curatione e de minore timore, altri sonno | che hano lo pulso, zoè che bateno, li quali se domandeno arterie, et | sono contrarie. La sua significatione che lo sangue venne fora da li ar- | terij si è perché lo sangue vene fora a salto e poy torna indrieto e |20 retorna cum festinantia, e si è de maiore purpuritade, zoè de colore | de purpura, cha lo sangue de li altri veni. Ma se ello venne | fora solamente per uno modo, alora si è per incisione de la vena. Avi- | cena dice che zescaduno a chi vene evacuatione de sangue, e propriamente  | de le arterie, e superfluo, e si ge vene lo spasmo, ma la più parte si è |25 mortale, e simelmente se al ge vene lo sangloto mortale;174 ma se al | [ge vene] sincopismo, zoè perditione del core, cum lo sangloto,175 alora la morte si se176 | afreza, alora la alienatione de la mente, zoè lo vanezare, e la permixtione | de la rasone sono mali signi.

174 e simelm(en)te se al ge vene lo sangloto mortale] ediz. lat.: et similiter si accidit singultus est mortalis. 175 ma se al [ge vene] sincopismo, zoè p(er)ditione del core, cum lo sangloto] ediz. lat.: quod si fuerit sincopis cum singulto. 176 Con s corretta su una lettera precedente.

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E per quello el besognia che al fluxu  | de lo sangue presto se secora cum remedio. E lo modo de refrenare |30 lo sangue si è che in prima lo membro se drizi in suso, azò che lo | sangue non habia cossì177 lezero decorimento, e lo loco fiza balne- | ato in circo la piaga cum aqua frigida. E poy la piaga fiza bene | plena cum medicina che retegnia lo sangue, e fiza ligato de sopra | e lo membro fiza cossì logato che al no senta dolore, perché, como |35 dice Galieno, nusuna cosa è più nociva e più provocativa de sangue //19v// cha lo dolore, e cotale indignatione genera apostema caldo. E | questa è una de li medicini fazant cosi mirabili in refrenatione de | lo178 sangue: Recipe de incenso bianchissimo viscoso, aloes, sangue | de drago, bollo armeno, de tuti parti equali; e fizeno pulverizati, e fizeno |5 confecti cum pilli de levor e cum clara de ovo. Anchora una altra | più forte e più mirabile medicina: Recipe calcina viva, sangue de | draco, gipso, aloes, incenso, vitrioli, ana parti equali; e tuti questi cosi | fizeno incorporati, como è dicto de sopra, cum pili de levor o cum | tela del ragnio e cum clara de ovo. Anchora una altra che è |10 molto mirabile: Recipe sarcocola, de li granelli de dentro de la uva  | sicca, sumach, sponga marina brusata, quadrello brusato, solfero, | scorfia de plombo, draganti, tucia, ana parti equali; e poy fizano | pulverizati e de quelli fiza facta polvere, e de quella fiza pulverizato, | overo ponuto, abundantemente sopra lo loco, overo che la fiza confecta |15 cum li pilli de la levor e cum clara de ovo, como de sopra è inteso. | Anchora una altra medicina bona composita da Galieno: Recipe colcotar | dramme xx; incenso minuto dramme xvj; aloes, cola, pisio,179 ana dramme viij; ar- | senico non sublimato dramme iiij; gipso dramme xx; tuti questi cosi fizeno pulveri- | zati e crivelati, e de quella polvere habondantemente fiza sbernigato |20 sopra lo loco, e lo stupino fiza involto in quella, perché al è mirabile. | Ma s’el non se potesse avire de tuti li cosi sopradicti, se faza la medi- | cina de quelli cosi che se pò trovare. Molti volti lo sangue | vene fora da li veni pizeni dispersi in la carne; et alora non è beso- | gnia de grande administratione de medicina, anze, se ti voli, la |25 sola administratione de clara de ovo refrena lo sangue; ma se al | serà de inverno noy metemo lo russumo de l’ovo cum la clara, perché | avignadeo che la clara de l’ovo diclini a frigiditade, nientodemeno  | lo russumo declina a caliditade. Ma quando lo sangue corre | da l’arteria180 overo da la vena grande, e li predicti medicini non ge |30 vale, alora quella arteria overo vena se de’ piliare cum uno ram- | pino, cossì che lo rampino non li busi, e si de’ cusire bene cum agogia | e cum 177 Segue p(re)sto depennato. 178 Segue ng depennato. 179 Assente nell’ediz. lat.: glutini sicci, ana (dramme) viii; arsenici (dramme) iiii. 180 Con a finale corretta su una lettera precedente (o?).

4.3 Testo 

 231

filo, e se de’ gropire cossì che lo sangue se constrinza; e simel- | mente se de’ fare in l’altra extremitade de la vena. E poy ge fiza mini- | strato alcuno de li remedij predicti, e fiza ligato cum ligatura conve- |35 niente, e non fiza desligato fina lo terzo dì. E se questo non è //20r// possibile fir facto, nì quelli medicini non ge valesse, alora non è | excusatione che lo loco non se scotti cum ferro ben afogato e grande- | mente rosso, e fiza scottato cossì profundamente che al faza li crosti | grossi e spessi li quali cadeno più tardemente e più gravemente. |5 Ma se uno cauterio non sia sufficiente a questo, fane uno altro cum | ferro simelmente afogato fina che lo sangue se retegnia. Nientode- | m[en]o el è de guardare che in quello loco non se scotti.181

Capitulo xiij de la | abstratione de li teli e de li sagitti. | Come li sagiti sono diversificati secondo sì e secondo li logi |10 undo elli feriscono, cossì è diversificato lo modo e lo inzegnio | in tirarli fora. Perché al ge n’è de quelli che sono barbalati, e de quelli | che hano la puncta grande e de quelli che l’àno pizinina e de quelli | che l’àno concavata e de quelli che l’àno solida; e ge sono de quelli | che se chiameno telli e sono rotundi, o che sono equali, overo tri- |15 angulari, zoè de trey costi. Ma lo loco undo elli feriscono alcuna | volta è carnoso solamente, alcuna volta nervoso, et alcuna volta182 | pieno de ossi; et in li predicti membri alcuna volta passa a lo183 profundo, | alcuna volta no. Ma quelli che passeno al profundo alcuna volta | tocheno li membri principali overo nobili, como è cervello, lo184 core, |20 fidego, pulmone e stomaco, in li quali se ti ge vedi li signi de la | morte la sagitta in tutto non fiza trata fora; e se li mali signi non | ge appare, alora inzegniate de tirarla fora, perché forse lo infirmo | alcuna volta guarirà, ma se ti lassaré la sagitta in quelli membri, | senza dubio185 morirà lo infirmo. E zà noy avemo disteso in altro |25 loco li segni quando la sagitta serà in alcuno de li predicti membri, | dondo che a nuy è de besognia a mostrare186 al presente como la sa- | gitta inficata, in quale loco se sia, possa fir trata fora. Dico | adoncha che quello che se de’ in prima considerare si è se la sagitta | sia cum legno overo senza legno, etiamdeo se la piaga sia stricta, |30 cossì che 181 che in q(ue)llo loco no(n) se scotti] ediz. lat.: ne ibi aliquis nervus comburatur. 182 Con a corretta su i. 183 a lo] aggiunto in interlinea. 184 Aggiunto in interlinea. 185 Con o corretta su una lettera precedente. 186 Con o corretta su una lettera precedente.

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li forvessi non possa intrare, overo se la sia al modo contra- | rio. E se lo ferro sia cum ligno, intromete la tenta per la piaga | fina che al vegnia al ferro, e se circhi cum quella quanto più | è possibile se lo ligno abia bona firmeza cum lo ferro o no. E187 se al è  | conzonto a quello, alora fiza priso cum li mani et un pocho agitando, |35 zoè ingotando, saviamente e lezeramente fiza tracto fora. Ma se //20v// lo ligno non sia cum lo ferro, overo s’el non habia firma coniunctione cum | quello, alora la cosa serà più grave. El besognia che anchora ti intro- | meti la tenta per la piaga, azò che per quella ti cognosca la via de lo ferro;  | e poy manda dentro li tanalioli, overo li forvesi, e, se la piaga serà longa, |5 fiza tracto fora cum graveza.188 E la189 tanaliola non possa intrare in la piaga, | o che la friza non se possa piliare per lo suo constrinzimento, alora el se de’ lar- | gare la piaga; e guarda che ti non damni lo nervo o li arterij. | E poy pilia la sagitta cum li tanaioli e tirella fora lezeramente. E se | la sagitta190 serà in loco nervoso, alora in la sua abstractione usa de in- |10 zegnio de maiore subtilitade et lenitade, zoè dolceza, azò che per questo | lo nervo non fiza dannato. E li savij antiqui disseno che la sagitta | non insisse da lo membro in lo quale191 ella è fixa se no secondo doy modi; | perché o che la vene fora per lo loco per lo quale ella è entrata o per la con- | traria parte de quella, e non fi tracta fora la sagitta per la contraria parte |15 se non perché lo loco, per lo quale ella è intrata, è duro a lo suo insire. | El dice Albuchasis che se la sagita non obedisse a lo insire in quella | hora in la quale ella entra dentro, el te besognia che ti la lassi al- | cuni dì fina che la carne marçisca circa ella e che la sua192 tractione | se legerischa. Anchora dice che li parti de questa arte e la sua distin- |20 ctione non fizeno193 comprisi cum narratione, nì lo libro comprende quello; | ma lo provezuto maystro compara cum pocho sopra asé, e cum quello | che è presente sopra quello che è absente; e si trova nova operatione et | novo instrumento apresso lo descendimento de li cosi extranei de | questa arte quando elli veneno. E se la sagitta serà de quelle specie |25 che fizeno dicte barbulate, alora lo inzegnio de la sua extractione | si è che ti liberi la carne infixa in li barbuli da ogni circuito secondo | lo inzegnio de la meliore possibilitade; e poy tirela fora. Et se in | quello loco serà lo membro la taliatura de lo quale temessemo, inze- | niate

187 E corretta su una lettera precedente. 188 cum graveza] ediz. lat.: cum facilitate. 189 Con a corretta su o. 190 Con s corretta su una lettera precedente. 191 Con -le aggiunto nel rigo. 192 Con a corretta su o. 193 Con e corretta su una lettera precedente.

4.3 Testo 

 233

ad recivere quelli barbuli overo rami inter li canelli de |30 ramo o altri, azò che non se possano tenire cum la carne; et poy, tolta | la sagitta, fiza trata fora cautamente e lezeramente. E zà ha dicto | lo optimo Ypocras che in ogni extractione de sagitta el besognia, | se al è possibile, che al paregi de sotto secondo la figura in la quale | el serà apresso lo cadimento de quella, però che per questo venne fora |35 più lezeramente. E se la sagitta serà ascosa in alcuno loco de lo //21r// corpo cossì che ella non se possa vedire, e non se sente quando ella fi | circata, e lo loco in lo quale essa è non sustene in tuto incisione per la con- | trarietade de alcuno membro nobile o de la vena o de la artaria, | et alora è più conveniente a lasarla stare, perché molti194 portant lo ferro |5 ànno vivuti e195 la sua piaga è consolidata. Et se la sagitta se tene | forte cum l’osso, non fiza commovesta forte, perché al è pora che al non | se rompa, ma pocho fiza commovesta cum la mane torzando, azò | che al se provi la quantitade de la sua fixione, zoè inficatura; e poy | providamente fiza tracta fora. Ma se ella non obedisse a lo insire, |10 fiza lassata per alcuni dì, e poy se retorni a trarla fora in comune,196 como | è dicto, fina che ella vegnia fora. Et se anchora non te obedisse, | el besognia che al fiza discoperto l’osso, et in quello osso197 fiza facta la | perforatione cum li trepani in circuito de la barbule da ogni parte fina | che lo loco fiza largato; e poy fiza tracta fora, e la piaga de’ fir curata |15 secondo che la curatione de li altri piagi te significarà. Ma el | besognia che ti consideri che la sagitta, quando ella fi ficata in lo corpo | o in li membri, che ella non sia uncta de veneno. E la significatione | de la sagitta venenosa si è quando lo colore de la carne appare fosco | o livido; per la quale cosa el è besognia cavare tuta la carne in la quale |20 è lo veneno se al t’è possibile. E poy cura la piaga cum quello che | se convene in quella curatione. Ma quando le spine o le astelle | intrarano in lo corpo, fizeno tracti fora cum superpositione de em- | plastro de cosi atractivi,198 e de quelli sono como è armoniaco tritto, | overo mesedato cum melle, overo cigola199 narciscito, zoè de narcisco,200 |25 cum melle trita, et alcuna volta201 el se fa emplastro de tuti questi cosi | 194 Segue ano aggiunto in interlinea e con inchiostro più scuro (di mano diversa dalla principale?). 195 Corretto in nì con inchiostro più scuro: la correzione, però, introduce un errore di senso nel periodo (ediz. lat.: multi quidem gerentes ferrum vixerunt et eorum vulnus consolidatum est). 196 in comune] ediz. lat.: cum motione. 197 Aggiunto in interlinea con inchiostro molto chiaro. 198 atractivi] ediz. lat.: relaxativis, ms. lat. O: attractivis. 199 Con -la aggiunto nel rigo. Segue narcissito zoè depennato in rosso. 200 zoè d(e) narcisco] aggiunto nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo. 201 Aggiunto in interlinea con inchiostro più scuro (mano principale?).

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sopra dicti202 azò che al operi più forte. El dice Avicena che la | rana scortegata sopra metuda è de mirabile attractione, e simel-  | mente lo gambaro trito e la luserta supposita incontinente quando | ella fi fenduta. Anchora dice che la testa di luserti fi taliato |30 incontanente cum aristologia longa e radice de canna e cigo de narcisco | mirabelmente tira fora. E quando se fa emplastro de li radice de la canna | triti cum melle, alora de quelli fi facta bona extractione, però che | questo emplastro tira fora non solamente li spini ma li astelli203 | et etiamdeo la sagitta, e maximamente quando ella è fixa in lo corpo. |35 Capitulo xiiijo de la summa et universale curatione de li ulcerationi. //21v// Al dice Galieno et Avicena che li ulcerationi fizeno generati | per li piagi e204 corrupti apostemi e pustuli, como zà è dicto in altro | loco, poy che la solutione de la continuitade, zoè la piaga, fa la marza | anze che al besogni e manda puza de ogni sua parte ella fi dicta |5 ulceratione. Avicena dice che ella non fa puza se no perché lo cibo | el quale fi mandato a quella fi convertito a la corruptione per la de- | bilitade de lo membro in lo quale è quella piaga, o perché per la debi- | litade sua la205 superfluitade de li membri adherenti a quelli f[izen]o206 | tracti verso quella, o per li unguenti o emplastri molificativi e linia- |10 tivi207 de li membri cum multa humiditade o unctuositade. An- | chora dice che quello che è de la generatione de la puza se doman- | da veneno sutile et208 che la grossa se domanda sordicie, zoè | marza, et è cosa adunata e biancha o declinant a nigreza, o che | al è como feza. E lo veneno non fi generato se non per subtilitade de li |15 humori aquosi e caldi, e se moltiplica cum generatione de lo apo- | stema; ma la sordicie, zoè la marza, fi generata per la groseza | de li humori, e como la sordicie ha besognia de abstersione, zoè | de forbimento, cossì lo veneno ha besognia de exiccatione. E sa- | pia ch’el non fi evacuato perché ogni fistula o cancer non fiza no- |20 minato ulceratione, ma non per lo contrario, zoè che ogni ulceratione | non pò fir dicta fistula o cancer. La fistula o lo cancer ha la | sua proprietade et è de summa de grave curatione e sanatione. Ma | in lo presente capitulo eyo non narri se no de la ulceratione che non fi | appropriata a la fistula nì a lo cancro.

202 Segue vi depennato in rosso. 203 Segue o li depennato in rosso. 204 Aggiunto in interlinea. 205 Con a corretta su una lettera precedente. 206 Guasto: si leggono con sicurezza solo la f iniziale e la o finale. 207 Le prime cinque lettere sono di difficile leggibilità. 208 Segue è cosa depennato in rosso.

4.3 Testo 

 235

Dico adoncha secondo lo |25 modo de Avicena che li ulcerationi o che ay sono apparenti, o  | che ali sono profundi, zoè concavati; e quelli che sono profundi non sono | differenti perché la carne circondant quella ulceratione non sia in- | durata,209 et alora se domanda fistula, perché ella è como canna che | passa in lo membro; overo che la carne non è indurata e fi dicta  |30 absconsione overo caverna. E de quelli alcuni sono mondi et alcu- | ni non mondi, li immondi sono perché in quelli è superfluitade de hu-  | miditade o de humore, avignadeo che ella non sia mala, et de | quelli sono alcuni violenti e sono sordidi, zoè puzulenti, e sono | minuiti da lo nutrimento, e sono corosivi e sono de grave cura- |35 tione. Ma li ulcerationi equali, li quali210 sono apparenti, zoè che non //22r// hanno profunditate, hano solamente besognia che ay fizeno consolidati | cum quello che non ha mordicatione, perché la mordicatione deveda  | la consolidatione. Ma li ulcerationi che hano profunditate | hano besognia che ay fizeno repleti de carne. Ma al te besognia |5 credere e sapere, como dice Galieno, che la carne non pò fir generata | se non per sangue diffuso dal suo nutrimento per tuti li membri de lo | corpo e similatione de la carne. E questi cosi fizeno facti per actione | de la natura, per la quale cosa el te besognia in primamnte guardare la  | complexione de lo membro in lo quale se de’ creare la carne e la com- |10 plexione de tuto lo corpo, e dare a lo infirmo cibo cum abondantia | del bono chimo, zoè bono humore, generativo. E poy administra- | rè la medicina de grande exiccatione e mondificatione insiema, | como se convene. Anchora dice che quanto la ulceratione è maiore | e più profunda, ha desasio de tanto più forte exiccatione, però che |15 molto sangue vene fora a quella, per la quale cosa el y’è necessario  | che al resolvi quello. E nientodemeno el besognia che la sua resolu- | tione non sia cum grande siccitade, e che al non resolvi quello che | è lì subtile e che quello che è grosso faza preda. E guarda bene | che a no ’l te ingani lo sito, zoè la profunditade, de la ulceratione, zoè che  |20 lo veneno non fiza retegnuto in lo suo profundo. E ti say bene che noy | avemo zà de questo facto sermone sufficiente in lo capitulo de li piagi, | et è anchora a noy necessario che noy211 redicemo quello cum | azonzimento, perché al è conveniente in questo loco. Adoncha la  | prohibitione de la congregatione de lo veneno in li ulcerationi che hanno |25 profunditate, che la figura fiza conza in tale modo che la bocha de | la piaga sia de sotto, azò che da quello lo veneno possa venire fora | più aconzamente. E cossì staga la dispositione de la ligatura, zoè che | la ligatura strenza de sotto e de sopra fiza largata, azò che lo veneno | corra e non fiza impedito in lo insire. Et se quello a ti non è possi- |30 bile, alora

209 no(n) sia indurata] ediz. lat.: sit indurata. 210 Con -li aggiunto in interlinea con inchiostro più scuro (mano principale?). 211 Con o corretta su u. Segue redigo depennato in rosso.

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non è excusatione che la ulceratione non fiza taliata | fina a la radice, cossì che in quella non remagnia absconsione né | caverna, in la quale fiza congregato lo veneno. E poy la ulceratione | fiza strenta cum ligatura che pervegnia da lo suo buso a la radice | la quale è zà descoatata, zoè taliata, avignadeo che denanze a lo des- |35 coatamento el se faza lo contrario. E se alcuna cosa te impaza,212 //22v// como è lo nervo o l’arteria, che ti non talij la ulceratione da lo buso  | fina a la radice, como avemo dicto, el è possibile che ti faza la per- | foratione in la parte de sotto, alora quella medesma cosa excusa; et | molti volti el non è possibile in tuto che la ulceratione fiza taliata |5 nì perforata, unde alora è necessario administrare la lavatione, | et de quelli cosi che laveno li ulcerationi sono como è melle, | propriamente cum lo vino et aqua de cendere de rovere o de vite | mesedata. E questa è forte lavatione che non susteneno li ulcera- | tioni pocho sordidi, zoè puzulenti. E l’aqua de lo mare è simile  |10 a quella perché ella lava et exicca. E l’aqua de alume simelmente  | è lavativa, repercussiva et exiccativa, e per questo deveda quello | che fi tracto da lo membro. Avicena dice tuti questi cosi noceno | a li ulcerationi se al serà cum quelli apostema. E poy quando serà | facta la lavatione, el se de’ intrometere lo stupino cum la medicina |15 creativa de la carne. Li ulcerationi profundi in li quali è abscon- | sione e caverna non fizeno mondificati, como dice Avicena, li medi- | cini213 creativi de la carne sono de ultima mondificatione, e non faceno | nascere la carne in quelli, undo fizeno facti currenti lavativi, azò | che ay fizeno tracti a lo profundo cum li clesteri, overo non fizano man- |20 dati cum peci, et alcuna volta in la curatione de alcuni ulcera- | tioni è necessario che al fizeno facti medicini viscosi adherenti,  | overo liquidi o corosivi. Anchora dice el non besognia che al ge | fiza administrata la medicina nascente de la carne se in prima non  | fiza mondificata la piaga, azò che lo nutrimento fiza tracto a ley  |25 se al serà minorata comentre volia che ella se sia et in zescaduna | parte unde se sia. E quando ella serà mondificata, fiza elevato da quella | ogni medicina mondificativa e abstersiva forte. E si besogna | che al se attenda saviamente li predicti condicioni de li quali la | cura non è da fir lassata indrieto; et de quelli è la consideratione |30 de la complexione de lo membro vulnerato e de tuto lo corpo e de la | ulceratione, como avemo dicto in li altri loci. El te besognia che | ti sapia se la ulceratione fiza adunata o no; e la significatione | che la ulceratione fiza adunata de bona ulceratione214 si è la poche- | za de la sua descensione e la paucitade de la sanie, zoè de la marza, |35 cum la sua bonitade. E la sanie, zoè la marza, cum la quale è fiducia //23r// de sanitade o de bonitade è biancha e molle et equale, percha ella ha | 212 Segue ch(e) depennato. 213 Con i finale sovrascritta a e, ma di difficile leggibilità. 214 ulceratione] errore indotto probabilmente dal precedente ulceratione; ediz. lat. conglutinatione.

4.3 Testo 

 237

conseguito lo complemento de la digestione, zoè de lo paylire, e maximamente | quando seco non se acompagnia lo fetore a li homini.215 E zà parlaremo de | la sanie in altro loco secondo che la vorave per sufficientia. Anchora dice |5 de quelli homini216 che più tosto reciveno restauratione de li ulcerationi217 sono de me- | liore complexione cum inventione de bono sangue; et non superhabon-  | deno in humiditate o siccitate, però che quelli che superhabondeno in | humiditate e siccitate tardamente reciveno restauratione de li ulcera- | tioni,218 avegnadio che li corpi humidi como sono de li fantini siano |10 più susceptibili cha li secci, se al è in lo corpo de li antiqui de bono san- | gue ello è pocho, imperzò li ulcerationi de li antiqui non se saneno. Ma | la humiditade de li fantini è naturale, e noy dicemo de la humi- | ditate ultra la natura. Imperzò la curatione de li ydropici è grave | e superhabondeno in humiditate, et specialmente in extranea, e simelmente |15 de li doni gravedi per la retentione de li superfluitade, e de li altri doni | in li quali fizeno retenuti li menstrui. Et zà avemo dicto de li me- | dicini creativi de la carne secondo lo complemento in lo suo capitulo, e noy | mo ne fa besognia che nuy parloma de zeschaduni cosi de quelli i quali | per li219 meliori per parte220 sono electi. E de quelli è centaurea, sarcocola, |20 plumbo brusato, antimonio brusato, limace brusate, colla de li pessi. | Ma, amico, el te besognia che ti observi secondo la tua diligentia, | anze che ti corra in errore, zoè che la medicina generativa de la carne | non sia più abstersiva che non besogni, perché se la excede lo modo, ella | corode lo membro e la carne e solve la humiditade currente, per la qual |25 cosa lo mato medico guardant pensa essere221 veneno; e per questo  | azonze in la virtude de la abstersione, e quello è perditione e destru- | ctione de la ulceratione. E la significatione che quella humida sia | per forte medicina si è la concavitade de la ulceratione maiore che ella | non è usata, lo colore, la rosseza e la humiditade subtile andante |30 a la rosseza, la quale cosa provene per liquefactione,222 zoè deslenguamento, | de la carne per l’acuitade de la medicina, e maximamente se lo infirmo | sente coroditade et arsura manifesta. Ma se quello serà per la medicina | creativa de la carne,223 alora subito minuisse de la virtude de la abster- | sione. 215 a li homi(ni)] ediz. lat.: horribilis. 216 Aggiunto in interlinea con inchiostro molto chiaro. Segue ulcerationi espunto. 217 de li ulc(er)ationi] integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 218 Con i finale sovrascritta a e, ma di difficile leggibilità. 219 Con a sovrascritta a i, ma di difficile leggibilità. 220 p(er) parte] ediz. lat.: expertae. 221 Segue li depennato. 222 Segue lettera cancellata. 223 p(er) la medici(n)a creativa de la carne] assente nell’ediz. lat.

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Li piagi virulenti, zoè venenosi, àno besognia che in prima |35 ye fiza administrata la medicina exiccativa, azò che lo veneno fiza //23v// mondificato, e poy che al serà mondificato, el ge de’ fir administrata | la medicina creativa de la carne. Ma, quando el fi administrata | la medicina exiccativa, la humiditade non fi minuita de quella, | anze pare crescere, alora sapia che la medicina secondo quello |5 corpo non è exiccativa, perché al ge besognia fir additione in conforta- | tione de quella, ayda quella cum pocha abstersione como è melle, | e cum stipticitate como sono balaustie et alume. Ma se la ul- | ceratione anchora superhabonda in exiccatione, alora minuisse de | tuti li forzi secondo che è necessario, zoè de la exiccatione, de la |10 abstersione e de la stipticitade. Ma quello che non saperà questo | canone, zoè como procedo de uno a l’altro, como voya che al curi, | la sua cura è mala. E li medicini che exiccano li ulcerationi | venenosi sono como è224 balaustie, galli, allume, scorzi de pomo | granato, scorzi de incenso, litargiro, fiori de papavero ruffo, zoè rosso,225 e farina |15 de ordi. Et ablutione de aqua del mare e de aqua aluminosa se | conveneno a la exiccatione de lo veneno. E de li compositi el è mol- | to mirabile quello unguento in lo quale se concorda insema Avicena | et Almansor, e questo è: Recipe litargiro pulverizato el quale fiza infuso | cum aceto e cum oleo rosato insiema fina che al se sconfli e do- |20 venti biancho; poy tolle226 antimomo, ramo brusato, balaustie, | curcume, vermi de terra, galli, sangue de draco, alume, climia de | argenti, de tuti equalmente tanto quanto è la sexta parte de tutto | lo unguento; fizano pulverizati e de sopra fizano butati in lo mor- | tario e fizeno rotegati insiema fina che ay fizano uniti. Avicena |25 dice che quando se fa lo emplastro de li folij de la nuce frescha overo | de la nuce sicca, como è quando ella è cocta cum lo vino, zova grande- | mente e desicca la humiditade senza nocimento. El besognia in  | li ulcerationi puzulenti ch’el fiza administrata la medicina abster-  | si[iva]227 cum la mordicatione. Ma là in prima el se de’ comenzare da quello |30 che è de forte mordicatione; e poy de grado in grado se pervegnia | a quello che è de più lezera mordicatione fina che la sordicie, | zoè la puza, serà mondificata. E poy fizeno administrati li medicini228 | creativi de la carne. E de li medicini che abstergeno li ulcerationi | sordidi sono como è yreos cum melle et farina de orobo, zoè de |35 roveya, et anchora aristologia cum melle et aceto. E de li com- //24r// positi el è mirabile lo unguento verdo de Almansor, lo quale coro- | de anchora la carne morta; et è de quelli che fizeno administrati | in principio. 224 Aggiunto in interlinea con inchiostro più scuro. 225 zoè rosso] aggiunto in interlinea. 226 Aggiunto in interlinea sopra la forma originaria recive. 227 Ms.: abstersione. 228 Con i finale corretta su e, ma di difficile leggibilità.

4.3 Testo 

 239

Recipe fiore de ramo,229 melle pura, ana dramme j; e de quelli | mesedati insiema fiza facta medicina; et alcuni cyrugici ge po- |5 neno ii dramme de melle et una de230 verderamo, azò che al se lezerischa | la sua mordicatione. Anchora uno231 altro unguento: Recipe feza de oleo ro- | sato, aceto puro, melle, ana dramme j; aristologie longa, alume de232 iameno, | yreos, biacha, ana dramme j; verderamo dramme iij; e tuti fizeno mesedati in- | siema, e de quelli fiza unguento, perché ello è mirabile. E sapia che |10 la aristologia longa se convene più in li ulcerationi et in li piagi cha  | la rotunda, perché ella è più abstersiva, ma la rotunda in li piagi, | perché ella è de più forte operatione e più233 subtile.234 In la cura-  | tione de li ulcerationi corodenti la regola è che lo corpo e lo membro  | fiza mondificato. E la mondificatione de lo membro fi facta cum  |15 ventosi se al è corpo mondo, overo cum li sanguesugi ponuti sopra  | quello. E non sia prolongatione in la sua curatione, azò che ella | non perduca a pezo, e molti volti la ambulatione de la corosione ne | constrinze a taliare lo membro, azò che al se salvi da la corosione. Et | sapia che de li ulcerationi corosivi sono cum li quali non è la pu- |20 trefactione, e sono quelli che non fizeno evacuati da la putredine, | per la quale cosa el è da235 distinguere de la sua diversitade, anze che noy | ye dagoma la curatione. E quelli che zoveno a li ulcerationi coro- | sivi cum li quali non è putrefatione sono como embrocatione, zoè | distillatione, de li aqui infrigidanti et exiccanti, como è aqua de mir- |25 to, aqua rosata, aqua pluviale et aceto. Ma quando in quelli | è putrefactione, alora l’aqua de lo mare e l’aqua de la cendere se conve- | neno. Avicena dice che la meliore curatione de quelli si è la admi- | nistratione de li cosi stiptici exiccanti et infrigidanti, como sono | li scorzi de li pomi granati, grani de mirto e semenza de rosi, overo |30 lo empiastro de li folij de la acetosa buliti cum lo vino, overo lo em- | plastro cum bolo armenico cum siropo acetoso, e la confectione de la | zucha sicca brusata simelmente confecta. E sapia che Galieno domanda | cotali ulcerationi corosivi focho persico overo formica deambulativa. | In li ulcerationi putridi e mali la meliore curatione si è che lo corpo |35 fiza mondificato, overo lo membro e se lo corpo serà mondificato. E lo //24v// membro fiza mondificato cum ventosi o sanguisugi, e quello che è | digno de notare si è che la sua curatione non fiza tardata, perché la sua | tarditade azonze in malicia.

229 fiore de ramo] ediz. lat.: Recipe ziniar, id est flos eris. 230 Segue d cancellata. 231 Aggiunto in interlinea. 232 Aggiunto in interlinea. 233 Aggiunto in interlinea. 234 Corretto su subtiliatione depennando -atione e correggendo la i finale in e. 235 Con a corretta su e.

240 

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Ma quando cotali ulcerationi superabondeno | in la putrefactione, el è necessario administrare lo scotamento de lo foco, |5 overo la medicina acuta; e poy ye fiza succorso cum botero, azò che lo | dolore se apadimi, e lo focho e l’arsura cazi in puza. Et alcuna volta | noy ge ministremo la taliatura, cossì che al non ge remagna se no | la bona carne, la significatione de la quale si è la bonitade del suo | sangue o de lo suo colore. Et forse è necessario taliare lo membro, |10 azò che lo membro se salvi da la sua putrefactione. Avicena dice | questi ulcerationi avignadeo che non siano fistuli o cancer, nientode- | meno sono mali e fraudulenti, e la embrocatione, zoè distilat[i]one, | che se convene in questi ulcerationi è como aqua de mare, aqua | de cendere, aqua de savone e simili. E de li medicini che fizeno |15 ministrati sono como è carne de pessi salata cum pizena migola de | pane, farina de orzo, farina de orobo, zoè de roveya, e aristologia longa, | e lo emplastro de melle cum la pulvere sicca, et folij de olivi freschi, | overo lo emplastro de cigola cocta in lo vino. E de li compositi questa | è bona medicina e provata, zoè: Recipe dragaganti rosso dramme xxxviiij; |20 calcina viva, alume, scorza de pomi granati, ana dramme xvj; incenso, | galli, ana dramme xxxij: cera et oleo antiquo quanto basta. Anchora | una altra a quella medesma cosa: Recipe plumbo brusato, ramo brusato,236  | biacha, incenso, mastice, litargiro, opoponaci, armoniaco, ana dramme ij; | adipe, zoè grassa, de li reni de la vacca, rasina, oleo de mirto, cera, |25 de tuti equalmente dramme iij; quelli cosi che debeno fir distilati237 fizano | distilati in lo aceto, e quelli che debeno fir triti fizano triti; e poy tuti | fizano confecti insiema. El besognia, amico, che ti sapia che molti | volti per la materia discorsa al loco ulcerato li apostemi ge veneno. | Et alora non se tardi in la sua prohibitione cum la purgatione de lo |30 ventro e cum lo salasso, overo cum vomito, perché lo vomito zova | a quello, como dice Ypocras, però che per questo modo la materia fi mo- | vesta da loco a loco; e lo loco fiza epithimato238 cum quello che deve- | da l’apostema, como è monstrato in lo capitulo de li piagi. E s’el non | è possibile che l’apostema fiza devedata, anze appare, alora fiza oc- |35 cupatione solamente in la sua curatione, perché al è impossibile a //25r// curare l’apostema cum la ulceratione. Li ulcerationi de grave | consolidatione, como dice Avicena, sono absolutamente tuti, se no li co- | rosivi e li putridi, como è lo comune per lo proprio. Però che quelli | doy sono discorranti, e cum questi alcuna volta non è discorimento, |5 ma stano firmi secondo la sua dispositione per alcuno spacio. Et an-  | chora altri sono senza li fistuli, perché non sono discoranti et a la fine | sono corosivi e

236 -to] poco leggibile per la presenza di una macchia. 237 Con la prima i corretta (su e?). 238 fiza epithimato] ediz. lat.: emplastretur; ms. lat. B: empithimetur.

4.3 Testo 

 241

putridi, e li fistuli, como dice Avicena, sono in summa | de grave curatione senza conversione. E la casone de li ulcerationi de | grave consolidatione o che ella è per239 malicia de sangue, o per  |10 inconvenientia de la medicina cum la quale elli fizeno curati, la quale | cosa è perché la medicina è debile in la exiccatione overo in la mondifi- | catione, e quello te fi significato per azonzimento de la cosa contraria, perché  | ella corode e profunda, como zà avemo dicto per la forteza de la sua | abstersione, o perché ella scalda più che non besognia, perché al fi distem- |15 perata la complexione de la carne, o che la infrigida o molifica o de- | sicca; o che ella è carne azonta o carne dura sopra li labri de li ulce- | rationi o de dentro, o che 240 l’osso241 è corrupto in lo suo profundo, | e zà è scripto in lo suo capitulo como li piagi tardeno a guarire e co- | mo fiza curata la malicia de lo sangue, e simelmente como la mala |20 complexione de la carne fiza rectificata da li contrarij. Avicena dice | che la carne azonta non fi generata se no in li ulcerationi in li quali | fi facta la friza de la medicina creativa de la carne anze lo tempo de | la sua mondificatione. Et ultra questo la carne dura fi facta per la più | parte in li ulcerationi melanconici, perché ella tende a la nigreza |25 e viriditade e corositudine;242 et alora è necessario che al ge fiza | secorso cum scarpellatione et extractione de lo sangue cum li ventosi. | E forse che li ulcerationi melanconici non guarisseno se da quelli non | fiza tolta via la corruptione fina a la carne sana. Ma se l’osso serà | corroto in lo profundo de la ulceratione, alora el te firà243 significato però |30 che la ulceratione alcuna se sera, alcuna volta se apre, e lo veneno | sutile vene fora da quello, per la quale cosa è necessario che la ulcera- | tione fiza desiccata244 fina a l’osso. E poy fiza raduto o separato secondo la | quantitade de la corruptione, e de quella corruptione non ge lassare ni- | ente in tuto; e poy fiza curata cum la polvere generativa de la carne. |35 E la casone per la quale vene la corruptione in li ulcerationi si è la de- //25v// bilitade de lo membro, perché el recive ogni materia e malicia de la com- | plexione de lo membro, e la malicia de la complexione del sangue. Et | de li medicini cum li quali fizeno curati li ulcerationi de grave consoli- | datione sono como è limatura de ferro, limatura de ramo, fiore |5 de ramo brusato, e conglutinatione de oro e vitriolo rosso. E de li  | medicini compositi è questa: Recipe fiore de ramo, limatura de ramo, ana | once j; climia, glutinatione de oro,

239 Segue materia depennato in rosso ed espunto. 240 Segue bocha espunto. 241 l’osso] in interlinea. 242 corositudine] ediz. lat.: grossitudinem. 243 Segue si depennato. 244 fiza desiccata] ediz. lat.: secetur.

242 

 4 La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501

ana dramme viij; guma, gipso,245 ana dramme | iiij; salgeme dramme ij; aristologia brusata, incenso minuto, ana dramme v; | cera e olio mirtino quanto basta; e de quelli fiza unguento. |10 Anchora altra medicina la quale compone Avicena: Recipe limatura de | ramo, limatura de ferro, ana parti equali; fizano confecti cum aqua | de alume; e poy fiza argillato cum argilla rossa e fizano brusati | a lo furno; e poy fizeno tracti fora, e fizeno administrati pulveri- | zati; overo de quelli se faza emplastro cum litargiro et oleo mirtino, |15 perché ello è mirabile. E sapia che al non besognia che oleo fiza ad- | ministrato in li ulcerationi se al non sia de grande exiccatione et | stipticitade, como è oleo rosato e mirtino o de mastice et simili, | perché la intentione de ogni curatione de li ulcerationi si è la ex- | iccatione; e per quello, amico, el besognia che ti non presumi admini- |20 strare in quelli li cosi molificativi se elli non sono ulcerationi facti | per bota, como avemo dicto in altro loco, overo se elli non sono ulce- | rationi cum grande dolore, perché alora per necessitade de lo dolore | da fir mitigato non è excusatio perché non debeno fir administrati, | avignadeo che ay siano contrarij a li ulcerationi. Ma se la ulce- |25 ratione se perlonga e non guarisse, anze ha zà facta impressione in | lo membro, e fi coroduto e marcisse, et etiandeo se guasta la sua | substantia et asé quantitade, alora non fi expectata la sua curatione se no  | secondo lo profundo, e specialmente quando ella è invegiata, perché zà è | passato lo spacio de uno anno e mezo o più, et è facto fistula o cancer. |30

Capitulo xvo de la suma et universale curatione de li fistuli. | Fistula è ulceratione profunda e stricta per nodositade e dureza  | de la carne circondante quella, et è como una canale de246 penna  | de ocha passant in lo membro. E fi dicta fistula a similitudine | de quello instrumento che ha la bocha stricta e profonda et larga. |35 E la sua casone è in doy modi, zoè de dentro e de fora; e quella //26r// de dentro provene per li humori corrupti, ma quella de fora procede per li  | piagi et ulcerationi male e indiscretamente curati. La significatione  | de la quale se tolle in doy modi, zoè overo da li essentiali, overo da li | accidentali; e da li essentiali si è perché la carne circondant quella è |5 indurata e la sua bocha è stricta e la profunditade è largata. E da li | accidentali perché al vene che la sua marza è indigna cum horribilita-  | de del fetore, la quale forse alcuna volta fi taliata; e questo è propriamente | quando lo corpo non è repleto,

245 gipso] ediz. lat.: gumma cipressi; ms. lat. B: gumma gipsi ana. 246 Aggiunto in interlinea.

4.3 Testo 

 243

nì la complexione non è humida, e lo | regimento de lo infirmo è exiccativo, et è247 quando fi guardato lo membro |10 in lo quale è la fistula da li dolori e da simili accidenti. Et alcuna volta248 | quella sanie, zoè249 marza, corre, et alora o ch’è ella de molta quan- | titade o de pocha; et alcuna volta crossa et alcuna volta subtile, | secondo la diversitade de li membri. E zà havemo parlato molti | volti de lo regimento del curso de lo veneno in li precedenti cum aptatione |15 de lo membro e de la perforatione e de altri modi, e quello basta asay | in lo regimento del curso de lo veneno e de li humiditati currenti a | li fistuli; ma el n’è besognia narrare in questo loco de lo regimento | de la sua curatione constrinzendo la necessitade secondo lo modo de la | festinatione. Dico adoncha che cossì como fizeno diversificati |20 secondo la diversitade de li logi e de li membri, e cossì fi dicta la sua | curatione; perché alcuni sono in li membri molli, como è in la car- | ne, altri in li membri mezani, como in li nervi et in li veni, et | alora è inobediente e de grave curatione, et altri sono in li mem- | bri duri, como in li ossi. E la comune significatione sua si è, |25 quando ella serà in alcuno de quelli membri, è visibile experien- | tia la quale non falla, o vera presumptione, perché ti say li loci | carnosi nervosi et ossuosi, e vedi la fistula perché ella ha propri- | etade cum quelli, e sapia anchora per revelatione de lo infirmo que | demora passa lì. Perché se al starà sopra lo nervo o la bocha per al- |30 cuno tempo, certo è che quella ha facta corruptione in quelli. | Secondo Avicena sono alcuni signati tolti da la diversitade de | la putredine, zoè puza, e dice quando la fistula pervene a lo250 | nervo, alora la marza vene fora subtile pocha e de molto fetore, | la quale cosa vene per la frigiditate de quello membro; e quando ella |35 pervene a l’osso è più subtile cha l’altra, e più declive, zoè vene, //26v// a la citrinitade; e quando ella pervignarà a li veni o a li artarij è | molte volte como feza; e quando ella pervegniarà a la carne, la putredi- | ne che insirà è viscosa, grossa, turbida e cruda. E nientodemeno | la fistula che va fina a la carne non è de tanto dolore como è quella che  |5 va a lo nervo, e propriamente quando fi tochato lo suo profundo cum la | tenta, la qual cosa è perché lo nervo è più sensibile, unde quando ello | sostene lesione, zoè danno, el besognia che al abia maiore dolore cha | li altri membri, como dice Galieno. Ma quella che va a l’osso niento | dole, però che in cotale membro non è sensibilitade. Et anchora la251 fi-  |10 stula de l’osso te fi notificata molti volti per la molicie de la carne che | è sopra l’osso et etiamdeo per lo lezero passamento cum la tenta a quello. | 247 et è] ediz. lat.: etiam; ms. lat. B: est. 248 Aggiunto nel margine destro con inchiostro più scuro (mano principale?). 249 Segue puz depennato. 250 Segue me(m)bro depennato. 251 Segue si depennato.

244 

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Anchora li fistuli sono diversi secondo la diversitade del tempo, perché  | alcuna è frescha et alcuna è antiqua. E la fistula frescha è quella  | che non à passato uno anno. Ma l’antiqua per lo contrario, la corruptione |15 de la quale è profundata in li membri, et alora è grave de guarire. | E quello che è melio de la sua curatione, e maximamente quando ella | serà invechiata e lo suo corpo serà pieno de grande superfluitade che | ye contraria, si è che in principio se lo infirmo serà de tale etade e de | tale virtude che lo possa sustinere, se faza la naturale purgatione, |20 considerant perzò inanze lo humore superhabondant in la casone, et avi- | gna deo che la flegma habondi più in la fistula,252 la consideratione de | la quale fiza considerata da li nudi cyrogici, che non sapeno medicina, | circa la qualitate del loco subiecto a la diversitade de lo corpo e de la puza. | Adoncha quando lo loco superhabondarà de flegma, lo loco serà biancho |25 e molle, e la putredine che vene da la fistula è un pocho biancha o | rossa e de molta quantitade; e s’el habonda la melanconia lo loco vene | livido e va a la nigreza cum alcuna dureza, e la putredine è livida | o nigra; se la colera habonda, lo loco è citrino e se senteno ponzi-  | menti e brusori,253 e la putredine vene fora citrina; e se quello  |30 che superhabonda serà sangue, alora lo loco doventa rosso, e li veni de | lo corpo se inflano, e corre la putredine sanguenosa. Adoncha | contra la flegma fa’ in prima paylire la materia cum oximelle, e poy ye | da’ benedita o pilluli aurei, o altri che purgi la flegma. E se lo infirmo | fosse debile cossì che ello non potesse recivere li ellectuarij nì pilluli, |35 fiza purgato cum questa medicina: Recipe de turbith parti ij; de polvere //27r// de zinziber parte j; de polvere de zucharo parte iij; et de tale polvere | incorporati insiema ye dagi once .ſ. cum aqua calda; e poy pos la pur- | gatione lo infirmo fiza254 balneato, et in fine de lo balneo ye | fiza dato dramme j de alcuna opiate calda, como è triacha o aurea, cum aqua |5 calda o cum vino; perché la medicina opiata consuma quello che è  | romaso in lo corpo de mala qualitade. | Contra la melanconia ye fiza | dato yeralogodion o altra cosa che purgi la melancolia, ma in prima  | fiza digesta, zoè paylita, la materia cum oximelle composito; e poy pos la | purgatione, in la fine de lo bagnio, ye fiza data alcuna opiata: el è conve- |10 niente la triacha o lo metridato. Contra la colera, poy che al sia pay- | lita la materia cum oxizachera, ye fiza dato catharaico255 inperiale256 lo quale | purga la colera, e consequentemente ye fiza data rubea trociscata o altro | simile. Ma se lo sangue serà superhabondante, fiza evacuatione per | lo salasso. E poy è da venire a li remedij de lo loco. Ma el è da savere |15 che la curatione locale 252 Segue C cancellata. 253 Con b corretta su una lettera precedente. 254 Segue lavato espunto. 255 Ediz. lat.: catarticum. Segue s cancellata. 256 Con in- corretto su m-.

4.3 Testo 

 245

de li fistuli universalmente requere trey intentioni, | de li quali la prima si è che la fistula fiza mondificata e lavata; la | seconda si è che ella fiza desiccata e mortificata; e la terza si è che la | sua concavitade fiza continuata e consolidata. E la fistula fi mondificata | e lavata, como è zà monstrato de sopra in li ulcerationi, e de li aqui |20 propriamente fistulari, zoè cum li quali fi lavata la fistula, si è como | è aqua de cendere, aqua del mare et artificialmente salata, et aqua | de sapone. E molti volti cum li predicti aqui fi mesedato alcuna  | cosa de sale armoniaco et arsenico, o de fiore de ramo, perché ella | fi facta de maiore abstersione. E la qualitate de lavare si è che ti |25 mandi dentro alcuna de li prediti aqui257 fina a lo profundo de la fistula, fina | che ella se implisca de quella; e fa’ quello cum ogni tua diligentia | overo258 senza dispositione259 che sia possibile apresso de ti, e se ti non po’ far | altro, almancho falo cum li clisteri. E poy fadigete che la fiza te- | nuta dentro per una hora; et alora calca lo loco cum la tua mano per |30 ogni loco, e maximamente in quello loco ondo ti pensaray che sia | la profunditate de la fistula. E poy trahe fora l’aqua cum calcare conve- | niente, e fa’ quello anchora altri volti fina che l’aqua insirà clara  | e sanguinosa. Et alora cum quella aqua implisse anchora la ulcera-  | tione et opilla, zoè sera, lo suo buso, e cossì fiza lassato da la matina |35 fina a la sera o per lo contario, la quale cosa se de’ fare tanti dì fina che //27v// lo veneno serà bene mondificato. E la malicia de la fistula fi molificata  | et extirpata in tri modi, zoè o cum incisione e removimento de tuta la  | carne corota, overo cum acuti medicini li quali firano dicti de sotto, | overo cum cauterio, zoè scotamento de focho, lo iuvamento de lo quale è |5 grave et ultimo. La continuitate de la fistula fi continuata e sanata | cum administratione de li medicini fazant nascere la carne, li quali260 | avemo descripti in lo suo proprio capitulo. Adoncha el besognia in prima | che ti pervegnia a la cognitione de la fistula, e si è che ti tolia la tenta | de l’auricalco o de argento, e diligentemente circha quella fina che ti cogno- |10 sca la sua profunditade, e se ella va secondo drito o se ella habia tor- | tuositade; et alora el besognia avere la tenta de plombo, perché ella | è più linitiva e se doplega secondo lo modo de la tortuositade, et se | ella habia plusor busi, circa bene per tuti, e guarda se tuti vadeno per | una via o se zeschaduno ha la sua via, o tana, la extremitade de la quale |15 non determina l’uno da l’altro, et alora non è solamente una fistula ma | plusori. El dice Albucasis che quello non te fi significato per inquisitione | cum la tenta, anze el te besognia che ti clisterizi uno de li soy busi, | perché la 257 Aggiunto in interlinea. 258 Aggiunto nel margine sinistro. 259 Ediz. lat.: cum omni dispositione quae fit possibile apud te; ms. lat. B: omni diligentia tua sive omni dispositione quae fit possibile apud te. 260 Con i sovrascritta su e, ma di difficile leggibilità.

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humiditade cum la quale fi facta la clisterizatione va verso | li altri busi et insisse de quelli. E poy che ti hay cognosuta la via |20 secondo la quantitate e la diversitate sua, la cura te serà più lezera. Et | alora se lo buso de la fistula serà stricto como è de sua usanza, fiza | largato cum lo rasore, overo cum la tenta che sia de la medula de lo | ebulo261 o de lo sambuco, se lo infirmo ha pora de lo ferro. E poy fiza | mondificata e lavata como ti hay saputo per alcuni dì, fina che lo ve- |25 neno fiza tolto via. E po’ mete dentro medicina acuta fina al profundo, | e la medicina sia involta in li stupini facti secondo la quantitade de la | profunditade la quale ti hay compresa cum la tenta, fina che la fistula | fiza desiccata e mortificata in tuto. E molti volti non è possibile che | li stupini262 cum la medicina azonza a la profunditade per la sua longeza, |30 o perché la via è torta e diversa. Et anchora che la medicina sicca non | fi mandata a lo profundo, perché la fistula non fi mortificata. Adoncha | el besognia che ti apparegi la medicina acuta secondo questo modo | in lo quale non è ingano, imperò che ella circha tuti li profunditati de la | fistula, e questa è che ti destemperi la medicina cum aceto secondo la quan- |35 titate de la tua necessitate cossì che ella sia currente. E poy che ti la //28r// meta dentro cum quanto ingenio a ti sia possibile. Et opilla, zoè cluze, | lo buso e prepara la figura de lo membro azò che lo buso sia de sopra cossì | che la medicina staga in lo profundo. Et è cosa drita che quando cotale me- | dicina fi administrata acuta, che lo loco de fora fiza uncto cum li cosi frigidi, |5 azò che la sua actione non pervegnia a quello cum nocimento. E quando la | fistula serà desiccata, fiza succorsa cum la medicina mitigativa como è lo | botero, la sonzia senza sale e simili cosi, fina che al fiza butato fora lo | focho, escara, zoè la crusta, vegnia in puza. E quando la marza, la quale | era denanze indigna, vene fora digna e fi minorata per respecto de la prima |10 quantitate, el è significanza de la mordicatione263 de la fistula; e poy fiza cu- | rata cum la medicina creativa de la carne fina cha la se sani. E como | dice lo perfecto Ypocras264 in lo libro de li Induvinamenti, la marza laudabile è | biancha, lezera et equale per tuto, lezera265 si è che non ha malo odore. | Biancha se requere perché lo colore de li membri radicali è biancho e non |15 fa quello266 asimilare, undo è la natura potente sopra quello, e la sua | levitade se requere azò che al fiza significato che la virtute paylita operi | in quella. E più quando ge fi azonto azò che ella non sia de malo odore | et azò che ella sia più da lonze da la putrefactione. E la mala marza | è puzulente, perché ella significa la putrefactione 261 Corrispondenza col solo ms. lat. B: ebuli vel. 262 Segue cl depennato. 263 Ediz. lat.: mortificationis. 264 Prima della Y c’è un segno simile a quello di inizio paragrafo con inchiostro più scuro. 265 Ediz. lat.: cuius non est odor; ms. lat. B: lenis cui non est odor. 266 Ediz. lat.: eam; ms. lat. B: eum.

4.3 Testo 

 247

la quale è contraria a lo |20 paylire e significa lo dominio, zoè la possanza, de la caliditate extranea. | Ma se la267 fistula non serà de molta profunditate, nì anchora  | non va secondo la rectitudine e profunditate de lo membro, anze seguisse | solamente la superficie de la codega, alora se lo nervo o l’artaria o la vena | granda o altra cosa non te impaza, mete inanzo dentro la tenta de ligno |25 fina che ella vegnia a lo suo profundo e fiza desiccata268 fina a lo ultimo | suo, così che per269 quella tenta fiza liberata e tolta fora cum lo rasore la carne | putrida e corrupta da ogni suo circuito cum la sua totalitade. E poy se | lo sangue te fa contrarietade, succurrege cum quello che se convene, como | avemo dicto in lo suo capitulo; e poy fiza curato lo loco cum medicina crea- |30 tiva de la carne fina che ella fiza sanata. E più se lo infirmo non suste-  | nirà ch’el ye fiza tolta la carne cum lo rasore, como avemo dicto, alora fiza | la taliatura solamente fina al profundo, como è monstrato, e ge fiza administra- | ta la medicina acuta, e poy la mitigativa e la nascentia de la carne. Et | se alora non fi sanata per quello, alora non impazando niente ye fiza suc- |35 corso cum lo ultimo remedio, zoè che al fiza scotato fina a la sua profun- //28v// ditade. E nientodemeno el te besognia recordarte de questo, zoè che ti non | fiza inganato in la quantitate de la profunditade et in la sua diversitate cum | lo cauterio, zoè cum lo instrumento da scotare, in la fistula; perché molti | volti vene quello per pigricia e per negligentia. E certamente in la fistula |5 alcuna volta è uno solo buso e plusori profunditati e diversi, per la qual cosa se | ti scoti una de quelli e l’altra ge remane, niento vale la tua operatione. | Et simelmente el te besognia che ti observi e te guardi da questo ingano | cum la medicina brusant secondo che noy de sopra avemo monstrato, | perché tuta la virtude de la curatione de la fistula si è che ti comprehenda |10 cum lo cauterio, zoè scotamento, o cum medicina acuta tuta la sua profun- | ditate. Ma se la fistula appare in la longinqua profunditate del corpo | e si non te è possibile che ti conseguisca quella in tuto, perché li medicini | non posseno pervenire a la sua radice, o perché al se teme che lo suo noci- | mento non pervegnia ad alcuno membro nobile o principale, e lo loco |15 si è che non sustene incisione in tuto, alora non è inzegnio in la sua | curatione, e quello che è più conveniente si è che ala270 fiza lassata a la | operatione de la natura. E la fistula la quale pervene a li budelli o a | la vesica, o a li membri principali o nobili, non se271 saneno per alcuno modo. | E quando ella vene in alcuni spondilij, zoè gropi, de lo dorso, zoè de lo spi- |20 nale, o de 267 Segue profundit depennato (con t finale non completata). 268 fiza desiccata] ediz. lat.: secetur. 269 Aggiunto in interlinea. 270 Con la a finale aggiunta nel rigo. 271 Segue f cancellata.

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li costi o ad alcuni de li zoncturi, como è li mani, li pedi, | o a li nervi, o a li veni grandi, o a li artarij, o a siphac, zoè a quello paniculo, | secondo plusor dispositioni ella è incurabile. Ma se la fistula che fi | facta in li nervi e simili non è de grave curatione per altro se no perché lì | non susteneno taliatura nì scotamento, la sua curatione non se spera |25 se ella non sia de la summa de li freschi, et alora in quella noy ad- | ministremo la medicina la quale non grandamente mortifica nì desicca,272 ma humel- | mente e dolcemente. Et ultra questi se la fistula ha zà facta impres- | sione in l’osso, alora se l’osso non è des- | coperto el è necessario che al fiza des- | coperto e che al fiza razuto cum instrumenti convenienti, azò che tuta |30 la corruptione e la nigreza fiza tolta via secondo la dispositione de la me- | liore possibilitade. Et se ella non se sana ma inanze manda fora la | sanie, zoè la marza, como denanze, el è significato che de la sua corru- | ptione ancora è romase dentro; alora fiza discoperto anchora e ra-  | zuto cum utilitate de la tua diligentia, cossì che in quella non fiza |35 lassata offuscatione o corruptione o scorza o humiditade in tuto, perché //29r// ella impaza lo nascere de la carne sopra quello, perché quando ti averay  | observato questo el è possibile che la carne fiza generata in quello. El dice | Avicena quello che fa più nascere la carne in l’osso si è che al fiza desic- | cato et asperato da la humiditate e273 fiza facto aspero. Finalmente |5 se la corruptione serà in li ossi grandi, como è l’osso de la coxa e de la | gamba e de simili, e zà è pervenuto fina a la medula, alora non è excu- | satione perché el non debia fir partito e taliato l’osso cum la sua medula fina | a lo loco de la corruptione; e poy fiza restaurato como ti sapi. Ma se la | corruptione ha consequito tuto l’osso de lo membro, alora non aspetare |10 che ello guarischa se tutto l’osso non fiza tolto via. E nientodemeno se l’osso | serà de la testa o de la coxa o de la nucha,274 overo se al serà osso de li spon- | dilij de lo dosso, zoè de lo spinale, alora se de’ guardare da la sua curatio- | ne per lo damno de la nucha. Medicina molto mirabile in li fi- | stuli mortificati et in lo cancer. |15 Recipe sale armoniacho, arsenicho citrino, solfero vivo, fiore de ramo,  | ana once j .ſ.; limatura de ferro, dragraganti, alume iameni, | antimonio,275 ana once ij; argento vivo once j; calcina viva, zoè non morta, | libra meza; tuti questi cosi 272 nì desicca] integrazione apposta nel margine destro e segnalato tramite richiamo nel testo: il richiamo, però, è posto dopo ma anziché prima. 273 Segue fi depennato. 274 Ediz. lat.: anchae. 275 Con -o finale corretta su -ij.

4.3 Testo 

 249

fizeno triti e bene pulverizati e subtilissima- | mente, et argento vivo morzato cum salina fiza mesedato cum quelli; e poy |20 fizeno confecti cum aqua de mare o de cendere, e fizano facti trocisci; e poy | fizano sechi a lo sole o a lo focho, e quando elli serano desiccati anchora | fizano pulverizati; e la sua polvere fiza ponuta in aluthel e fiza subli- | mata; e quello che serà sublimato fiza reponuto in lo vasello de vedri. | E cotale medicina serà quasi como cauterio, zoè scotamento, de foco. Et |25 sapia che aluthel si è uno vasello che ha lo coperto e lo fundo como se | trova apresso a quelli che sono occupati in alchimia, e fiza facto de vetri | o de terra. E nientodemeno quello che fi facto de terra de’ fir invetriato de276 | dentro, azò che la specie, overo lo fiato, non incischa fora. E lo modo | de la sublimatione si è questo, zoè che la polveri de li specij da fir subli- |30 mati fiza locata in fondo del vasello; e se lo vasello serà de vetri fiza  | linito, zoè uncto, de fora cum lo luto, zoè fango, de la deceptione277 lo quale | fi facto de capilli de homini taliati minutamente, e de carboni pistati, | e de stercora de asino, e de terra de figulo, zoè lavorata de bocali, equalmente; | e se lo vasello serà de terra, alora cum iniunctura de lo coperto fiza uncto. |35 E quando ello serà uncto fiza278 desiccato dal focho 279 da lonze //29v// o a lo sole. E poy fiza locato in la fornace280 e fiza metuto soto lo focho le- | zero per doy hori, e poy lo focho forte per octo hori, e poy per tuta la nocte | fiza lassato infrigidare. E in lo dì sequente fiza aperto lo vasello e quello | che è de sopra in lo coperchio fiza regoyesto e la puzura stagant in lo |5 fundo fiza butata via.

Medicina mirabile a quella medesima cosa. | Recipe limatura de ferro, arsenico citrino, ramo brusato, cuporosso, rosi,  | ana parti equali; calcina viva quanto basta; tuti fizeno triti e pulve-  | rizati e crivelati; e poy fizano confecti cum melle schiumata, e poy fizeno tro- | cisci e fizeno desiccati. Et anchora fizeno triti e pulverizati, e cossì fiza |10 facti tri fiadi al modo predicto e fizeno facti trocisci. E poy fizeno reponuti | in loco undo non posseno fir tochati da la humiditate, azò che ay non | se corrumpa, e quando ti li voray adoperare, tridene de quelli quanto basti | et usene.

276 Segue fora depennato. 277 Ediz. lat.: discretionis; ms. lat. B: deceptionis. 278 Segue desicc depennato. 279 Segue lonze depennato. 280 Con a corretta su e.

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Una altra medicina aprobata a quella cosa. | Recipe calcina viva parti doy; arsenico citrino, solfero vivo, ana parte una; |15 e quando ti li voray adoperare, incorporelli cum aqua de cendere de  | stobia de fava, et è quella che se domanda aqua de sapone, overo | cum aqua de cendere de la rovere fina che al fiza facto como unguento et | useno.

La medicina che se dese usare in li logi nervosi. | Recipe succo de radice de celidonia, urina de li puti, ana dramme iij; calcina |20 viva, arsenico citrino, dramme j; e cossì fizeno confecti: zoè lo succo e la urina | boyeno in l’ola281 novella e la calcina fiza bene incorporata cum quelli. | E poy fiza azonto lo arsenico, e tuti li cosi rotegando bene fizano incorporati, | e non bolieno davanzo ma pochetto. E poy fizeno desiccati e de questi fizeno | formati trocisci. Medicina a quella cosa |25 Recipe eleboro, zoè voladro, biancho, aristologie, centaurea, radice de  | scolopendria, yreos, farina de orobo, zoè de roveya, ana parti equali; | fizeno triti e de quelli fiza facto polvere et de quello fiza piena la | fistula cum continuatione, per ella sana quella.

Medicini li282 quali mi- | nuisseno la carne superflua e resolveno in li piagi et in li ulcerationi. |30 Li medicini li quali minuisseno la carne superflua, zoè davanzo, | e resolveno in li piagi et in li ulcerationi che sono de grande exicca- | tione, abstersione e mordicatione, e de quelli sono como è lo vitriolo, et | hermodactili, et eleboro biancho, e fiore de ramo, e simili cosi. E sapia | che alcuna volta fi administrato zescaduna de questi cosi per sì, e fa exicca- |35 tione,283 et alcuna volta una fi componuta cum l’altra, et284 alcuna //30r// volta tuti insema equalmente. E quello che è più lezero

281 Con a corretta su o. 282 Con i corretta su una lettera precedente (a?). 283 Ediz. lat.: excusationem. 284 Segue alver depennato in rosso.

4.3 Testo 

 251

de quelli è | como lo vitriolo in li corpi humidi fi administrato, però che, como dice | Galieno, in li cosi humidi ello fornisse285 et in li sicci ello consolida. |

Medicina a quella cosa.286 Recipe arsenico citrino once j;  |5 calcina viva once iij; tuti fizeno incorporati insema cum aqua | calda o lacte de fico lo quale è meliore,287 et de quelli fizeno facti tro- | cisci et fizano desiccati, e, quando serà bisognia, trita de quelli quanto | basta e usene.

Capitulo xvj de la curatione del cancer. Cancer, como dice Avicena, è apostema calida de melancolia  |10 adhusta da la materia colerica o in la quale è brusata la materia | melancolica288 non da pura non da feculenta, zoè piena de feza. Et | fi dicto cancer a similitudine de quello animale, zoè gambaro, perché | cossì como quello animale ha grande tenacitade in li rivi o in quello loco  | ondo el fi circhato, e cossì fa questo apostema in lo membro, overo perché |15 ello ha la forma sua in la rotunditate et ha li veni verdi asimilanti a | li soy pedi. Lo cancer venne in doy modi, overo289 da la290 casone de dentro | overo da la casone de fora; da la casone de dentro como è da quello | humore melanconico corrupto mandato a lo membro, e da la casone  | de fora como è da li piagi e da li ulcerationi male curati. Li soy  |20 significationi sono questi: in principio, quando ello appare, è simile | a lo cesero o a la fava; e poy cresce secondo lo processo de li dì fina che | al vene grando como melone; et in quello è grande rotunditate, | e dureza, e colore fusco, in quello è una caliditade, e li veni verdi | appareno in quello li quali sono a luy como radice. E poy ch’el è291 |25 ulcerato ello cancer, ello puza molto, e li labri fizeno crossi e verdi | e conversi de fora, la sua bocha se larga e lo sino se constrinze. Lo | cancer se distinguisse secondo trey modi, zoè overo secondo la diversitate | de la casone, o secondo la diversitate de li membri, o secondo la diversitate |

285 Ediz. lat.: minuit. 286 medicina a quella cosa] sullo stesso rigo e successivo a R(ecipe) arsenico citrino (once) j. 287 o lacte de fico lo quale è meliore] assente nell’ediz. lat. 288 melancolica: lezione del solo ms. lat. B. 289 Con la prima o corretta su una lettera precedente. 290 Con a corretta su una lettera precedente. 291 Inizialmente: poy che ello è. Poi llo è depennato e l’ aggiunto nel rigo davanti alla e di ello.

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de lo292 tempo. E fi diversificato secondo la diversitate de la casone,  |30 perché alcuno fi facto de melancolia naturale, la quale è frigida e | sicca, et alora è de pocho dolore e de pizena ulceratione, et altro | fi facto de melancolia, la quale è adhustione de la sol colera pura, et | è de grande dolore e de grande ulceratione. Anchora fi distinguito | secondo la diversitate de li membri, perché alcuno fi facto in li membri |35 molli como è in la carne, altro in li membri mezi como è in li nervi e simili, //30v// et altro fi facto in li duri como in li ossi. E nientodemeno quando | fi facto in li membri mezi, alora fi dicto incurabile; e quello confirma Ypo- | cras quando dice a zescaduno a chi veneno li cancri ascosi melio è non | curarli cha curarli; perché elli curati, zoè taliati, o combusti, moreno più |5 tosto, e non curati durano molto tempo. Anchora fi distincto secondo | la diversitade del tempo, perché alcuno è fresco et alcuno è antiquo; | lo cancer antiquo se cognosce secon- | do la diversitade293 del tempo per la grande | lividitade, e nigreza, e dureza grande, e per la corruptione del membro. | Anchora cancer fi distincto da li magistri secondo la diversitade de li specij, |10 perché, como elli dicono, alcuno ha nome noli me tangere, altro ha | nome lupo, et altro cancer per nome de l’uno e de l’altro; et asigneno | questi differentij inter sì secondo lo loco, perché elli dicono che noli me tangere | fi facto da lo barbozo in suso, e lupo in li parti inferiori. Et assigneno | la differentia secondo la qualitade de la complexione, però che dicono che lo |15 lupo e lo cancer fi facto de colera più fogata cha noli me tangere. Et | anchora è differentia inter cancer e lupo in quella medesma cosa, per questo | pensano che quella specia che fi facta de colera più abrasata, como è lupo, | corode più grandemente. Ma mi, Bruno de Longoburgo, non presumo altro de veritade294 | de295 questa distinctione, la quale cosa è perché io non ho veduti li soy visigi |20 in li libri de li antiqui doctori in tuto. Avicena et Almansor diceno | che quando comenza fir facto lo cancer, forse è possibile che al fiza devedato | che al non fiza azonto sopra quello che è, azò che al fiza conservato che | al non pervegnia a la ulceratione, ma poy che al serà cresuto, semper cossì | permanirà, e si è pezor se al fi ulcerato. Adoncha anze che al fiza azonto |25 in la ulceratione, prestamente ye fiza secorso; e la sua prohibitione si è che | lo infirmo fiza salassato da la vena meza, e lo suo ventro fiza purgato | cum decoctione de epithimo o catartici imperiali. E poy ye fiza data rubea | trociscata cum la quarta parte de tiracha, et in tuto se guardi da li cibi | generant colera nigra, como sono lentigia, verzi, carne de vacha |30 e de becho, vino grosso et simili cosi.

292 Segue membri depennato in rosso. 293 seco(n)do la div(er)sitade del te(m)po] ediz. lat.: per diuturnitatem temporis. 294 Aggiunto nel margine destro, seguente direttamente l’ultima parola del rigo. 295 Aggiunto nel margine sinistro.

4.3 Testo 

 253

La sua dieta sia carne de | castrone, de pernice, carne de pulli,296 rosumi de ovi, sorbilij, | vino sutile e simili cosi a questi. E sopra lo loco se faza emplastratione | cum frigidi herbi de orto triti, como è plantana, solatro,297 zoè morella, | psilio, cicorea, portulaca e simili. E se unza cum oleo rosato e agresto. |35 Unguento bono a quella cosa: Recipe tucie ben lavata, incenso lavato298 //31r// biacha ana parti equali; tuti fizano triti cum oleo rosato e agresto, | overo cum succo de li predicti herbi fizeno conficti in modo de unguento. Forse  | che per questi lo loco se porà defendere che al non non fiza ulcerato. E se lo  | cancer serà ulcerato, in tuto non fiza299 sanato per li cosi frigidi, anze |5 besognia che al fiza taliato e ye fiza administrati quelli cosi che hano gran- | de caliditade, como lo cauterio de lo focho e lo cauterio cum acuti medi- | cini. Ma el te besognia, amico, aregordarte de questo, che se lo | cancer serà anticho non presumere de apropinquarli, como consilia Albu- | chasis. E lo modo de la curatione de lo cancer ulcerato si è che in prima |10 lo corpo fiza mondificato s’el non serà mondificato; e poy considera se al serà | caliditade in lo membro, e, se ella ge serà, de’ fir reprimuta cum lo succo | de li herbi frigidi; e poy lo cancer fiza taliato totalmente. Perché al dice | Avicena che al non è possibile che al fiza guasto cum alcuna cosa se no per | grande incisione, azò che in tuto fiza tolto via lo membro infirmato. |15 Que se farà adoncha quando ello ser[à]300 in li membri o in li loci nervosi, | unde in nusuno modo non se pò destruzere, brusare, nì extirpare, altro | non se pò fare se non fare lo cancer ulcerato. E la sua operatione si è | che ti tolia lo cancer cum la tua mane cum lo ancino, zoè rampino, | e sforzate de taliarlo da ogni circuito destrepando tuti li soy veni |20 fina che de quelli niento ge remagnia; e poy non tirare lo sangue | per longo spacio, anze expremisse li logi in circo cum li toy mani, azò che | tuto quello sangue spisso e melanconico vegnia fora; ma lo solo stre- | pamento cum lo ferro non è sufficiente a fare la curatione, anze besogna | che ti lo scoti cum ferro molto afogato. Unde mi non ho dicto che |25 questi cosi non debeno in tuto fir facti in li loci nervosi, nì se ello serà | apresso li membri principali o nobili. Ché se lo infirmo serà delicato, | lo quale non volia e non possa forse sustinere la incisione, azonze la cura | cum li medicini acuti scripti in lo precedente capitulo, perché forse firà mor- | tificato. E poy lo loco fiza curato cum medicina creativa de la carne fina |30 che al fiza sanato. E la significatione che lo cancer sia mortifica-  | to si è perché lo sangue vene fora puro, e la bona carne nasce in lo | suo circuito, è remosto da quello lo 296 Segue vetelli depennato in rosso. 297 Con la prima o corretta su una lettera precedente. 298 Richiamo di fascicolo nel margine inferiore: biacha. 299 Segue ulce espunto. 300 Ms.: sero.

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colore fusco e tuto quello che è virdo. | E se la medicina acuta non ge zovarà, alo’ non è ingeniatione se non che | ti retorni a la cyrugia. Et ultra questo avignadeo che avemo dicto |35 che lo cancer è incurabile in li loci nervosi, nientodemeno se al serà in301 //31v// principio de la ulceratione, subvegnissege como ti possi cum questi cosi | che sopraveneno a li fistuli quando ello è in quelli logi. |

Capitulo xvij de la rotura de la crapa. | Avignadeo che al fiza facto memoria secondo lo complimento de la so- |5 lutione de la continuitate in l’osso in lo capitulo de la rotura e dislo- | gatione, nientodemeno in questo loco non recuso de ponere de per sì lo tra- | ctato de la solutione de la continuitate che fi facta in l’osso de la testa, | per la quale cosa, amico, non te turbare per grande admiratione, perché la | rotura de l’osso de la testa fi separata da li altri roturi et è più grave |10 de tuti. Le specie de la rotura de la crapa sono molte e diverse secondo | la diversitate de li cosi cum li quali fi facta la rotura, perché alcuna fi | facta per percussione de spata o de altra simile cosa, e fende e remove, | zoè apre, tuto l’osso fina che al pervegnia a lo panno ch’è sotto l’osso, | overo che al non pervegnia a lo velamento, zoè panno, ma solamente fi taliata |15 la superficie de l’osso, e la piaga de questi roturi o che ella è pizena o gran- | de. E de quelli el g’è la rotura occulta in l’osso, la quale secondo li | antiqui302 fi dicta capilare, perché ella fi facta in la subtilitate del capilo, | e si è fessura pizena. Alcuna fi facta cum arma acuta, como è lanza | e simili cosi, et alora è ella più grave de tuti perché ella è più pene- |20 trativa e la sua piaga sempre è pizena et ascosa. Et alcuna altra | fi facta per cadimento o per percussione de preta e de simili cosi, et fi facta | cossì che l’osso fi cazato a li cosi de sotto, e quella secondo la più parte | fi facta in li testi de li puti per la molicie de li soy ossi; overo che l’osso non | fi calcato, ma fi finduto in modo de rotura capilare, la quale alcuna |25 volta penetra, zoè passa, fina a lo siphac, zoè a lo panno, et alcuna | volta no, e la sua piaga alcuna volta è grande, alcuna volta pizena, | o che la piaga alcuna volta non participa in tuto cum quelli. Et alcuna volta | in tuti li sopradicte specie de la rotura se vedeno li peci de li ossi. El se | cognosce le specie de la fractura de l’osso per clara inquisitione cum li tenti, |30 et alcuna volta cum lo tochare de lo dito minore a la crapa; et a lo | ultimo se cognosce per più largo taliamento e separatione de la carne. E | la specie de la rotura capilare fi cognosuta per effusione de la humiditate | nigra como è

301 Numero di fascicolo nel margine inferiore: c. 302 Con i finale corretta su a.

4.3 Testo 

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incostro, perché cossì fi confirmato da li antiqui doctori e si è | cosa cum la quale è fiducia de veritade. E quello fi facto in questo modo. |35 In prima descovata sopra l’osso e forbega, e poy buta la humiditate sopra //32r// quella. E per questo la rotura appare nigra. E la significatione de lo suo | passamento a li cosi de dentro si è che al fiza raduta la fissura fina tanto che | al non apparia niente de la sua nigreza, però che quando mancha l’apparitione | de la nigreza el è signo che la rotura non più dentro.303 Et alcuna volta |5 ti razi la fissura e la nigreza non fi tolta via, et è quello che è quase | aprovo a la fina de l’osso, sapia che al passa fina a l’altro lato et alora | tu debi cesare da lo radere. E se la rotura serà per cadimento o per percussione | de preta e de simili cosi senza ulceratione, alora la significatione è in | doy modi secondo che sono le sue specie, como è zà dicto, zoè una che fi |10 calcata a li interiori e l’altra che se domanda capilaris. E la significatione | de quella che fi calcata non se asconde da la inquisitione cum li diti, però | che sotto li diti se sente la concavitade manifesta. Ma la significatione | de la rotura capilare senza piaga se cognosce gravemente. Ma el te | besognia considerare li accidenti che appareno sopra lo infirmo, e de li |15 accidenti significanti tale rotura alcuna volta sono apoplesia, zoè perdimen-  | to overo cadimento, e scotomia, zoè vertizene, destructione de la voce, | appetito e defecto304 de la virtude digestiva et expulsiva, febre acuta e | simili cosi. E quello che è grando iuvamento in la significatione de | questa rotura e de la sua vulneratione si è che ti consideri la grandeza de |20 la cosa cum la quale è facta la percussione, e la forteza de quello che lo ferì, | e la alteza de lo loco, et lo loco undo fo facto lo cadimento. Et se per | tutti questi specie de la rotura li panni de lo cervello sono danati, sapia | che quello è periculoso. Li panni overo li velamenti de lo cervello sono doy, | zoè uno che ha nome dura mater e l’altro pia mater; dura mater sta |25 sotto la crapa et è crossa e se defende da la crapa; ma pia mater | si tocha e covata lo cervello, et è sutile per la sutilitate de lo cervello. | Et inanze che ti pervegnia a la curatione de lo infirmo considera li acci- | denti, et alora se ti vederay mali accidenti sopra lo infirmo e mani- | festi, fuze e schivalo; e se ti vederay boni accidenti non abia paura. |30 E de li mali accidenti sono como è perdere lo intellecto, sincopis, zoè | strangossare, ascondimento de la voce, la rosseza, lo insire de li ogi, | e lo defecto de la virtude in recivere et in paylire et in cazar fora, | e lo fluxo de lo ventro, e lo vomito de la colera, febre acuta, tetano, zoè | spasmo dopio, e cossi de simili, e questi apparenti in plusor dispositioni lo  |35 infirmo senza dubio non guarirà. E molti volti dura mater fi rotta //32v// e li predicti accidenti non appareno, anze fi facta la reparatione e lo infirmo | fi sanato. E questo dico per testimonio de la

303 Manca il verbo; ediz. lat.: penetrat. 304 appetito e defecto] ediz. lat.: appetitus (genit.) defectus.

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experientia, la qual cosa è perché  | mi ho vezuto molti guarire apresso la mia curatione305 de la lesione, | zoè danamento, de dura mater, ma pochi ò vezuto fir sanati che habieno |5 cotali accidenti. Eyo ho vezuto guarir uno che aviva damnato la pia mater,  | avignadeo ch’el appara incredibile; nientodomeno quello era in pizena quan- | titade, cossì che la medula non possiva insire. E Galieno molti volti dice questo | avir veduto, como appare in li Amphorismi, zoè in quello libro, in lo Comento, | e quello venne rarissima volta. E se la incisione vegnia fina a li ventri- |10 culi del cervelo lo infirmo morirà senza dubio, e questo se leze anchora | in li Pantegni in lo secondo libro, undo dice la incisione de lo cervelo, zoè de | la medula, è casone de la morte. Adoncha è falso quello che dicono alcuni | mati, et è molto ridiculoso, zoè che306 elli dicono che elli àno veduti | molti fir liberati non solamente per dannamento de la medula, ma anchora |15 vacuare una celula et in loco de quella medula implire de coto, zoè | de bombase. Alcuna volta alcuna putredine descende da li cosi de | sopra a li cosi de sotto, et lì fi paylita a la actione del calore. E poy la | admirabile natura buta fora quella per mezo de la ruptura, e questo ve- | dando, li grossi medici pensano che ella sia la medula de lo cervello. |20 E sapia che como la testa se dividisse in trey parti, zoè in substantia | carnosa, ossuosa e de crappa, così lo cervello, secondo Avicena, se di-  | vidisse in trey parti, zoè in substantia vellativa, medulare,307 zoè de medula,  | e ventri, overo ventriculi. E li ventriculi sono trey, zoè denanze, mezo | e de dreto. In lo ventriculo denanze se contene la virtude ymaginativa, |25 in mezo la cogitativa, zoè pensativa, in quello de dreto la memorativa. | Basti mo quello che nuy avemo dicto in lo prologo de questo capitulo, vegniamo | mo a la cura.

De la cura de la rotura de la crapa. | La rotura de l’osso de la testa, como dice Galieno, è dissimile da  | li curi de li altri ossi, perché quando li ossi de la testa fizeno rotti, |30 e specialmente grandemente, non fizeno restaurati. Per la qual cosa el è neces- | sario che ay fizano extracti secondo la quantitade de la rotura, azò che | lo veneno vegnia fora che ello non daga danno a lo cervello. Alcuni | savij antiqui ànno dicto che quello non fiza tardato ultra setti dì | se al serà la estate, et ultra deci dì se al serà lo inverno. E quanto |35 più tosto tanto serà melio e più securo e senza paura longinquo da la //33r// paura.

305 Segue p(er) l depennato. 306 Segue li depennato. 307 Con r corretta su una lettera precedente (z?).

4.3 Testo 

 257

In prima adoncha la testa de lo infirmo308 fiza raduta secondo che la ne- | cessitade te provoca a quello. E se la piaga serà grande cossì che la rotura | sia manifesta, alora lo studio fiza dato in la abstractione de l’osso secondo | che convene la sua memoria. Ma se la piaga serà pizena cossì che la rotura |5 sia occulta soto quella, alora è necessario che ella fiza magnificata como | yo te naro, e si è che in quella debeno fir facti doy taliaturi secondo la | figura de la croce, de li quali l’una sia309 la prima sectione, zoè fissura, che  | fi facta per la percussione. E poy li quatro cantoni fizeno excoriati fina che al | fiza descoatato aconzamento l’osso che de’ fir tracto fora. Et alora se lo san- |10 gue te contraria non fiza facta la extractione de l’osso, anze la piaga fiza | piena da per tuto de panno bagniato in aceto et aqua overo in clara de ovo. | E poy fizano ponuti sopra piumazoli de stopa simelmente infusi e bal- | neati. E se al serà necessario ge fiza ponuto polvere de sumac,310 *** | de mumia, e de bolo armeno, e de simili che refreni lo sangue, e cum |15 questo lo infirmo fiza lassato repossare fina che lo sangue se retignia. Et | sapia che la incisione non se de’ fare quello dì in lo quale fi facta la botta, | perché in ogni tua medicatione tu debi considerare la virtute de lo infirmo. | E per questo in lo dì de la percussione tu non di’ fare la incisione, azò che per questo | tropo fluxo de sangue non vegnia, overo sincopis, zoè perdimento; anze se de’ |20 administrare la medicina azò che lo sangue fiza constrito como yo te ho dicto; | e poy ti poray retornare più securo a lo tuo proposito. E mati sono quelli | medici li quali zoncheno via li cantoni de la piaga e li buteno via; e quella | è iniqua intentione in la quale non è se no materia;311 per la quale cosa non | presume de fare quello, nì ancora in tutti li cosi non besognia rendere rasone. |25 E quando ti voray vegnire a la aditione312 de l’osso da fir tracto fora, fa’ co- | mo dice Galieno, e questo è lo suo parlare: se la rotura serà dritta e spartita,313 | legeramente pò fir cazato fora cum li pizicaroli et tanalij. E cum grande | opera guarda bene che tu non tochi li pelsinelli. Ma se la piaga non | serà spartita, el è necessario che ti la radi cum alcuno instrumento, e nientodemeno |30 dolcemente e cautissimamente, azò che ti non danni li pelsinelli de lo cervello. | E se al non basta lo radere, alora bussella da quella parte in la quale è la | tenereza314 de l’osso, como ti vidi havire, e non fi excusato perché ella non se fazi, | e de’ fir facta secondo che mi te ho dicto uno

308 Aggiunto in interlinea. 309 Segue segno simile a j depennato. 310 Segue uno spazio fino a fine riga. 311 Ediz. lat.: fatuitas. 312 Ediz. lat. intentionem. 313 spartita] ms.: sperata, ma nel margine destro si aggiunge al(iter) spartita; ediz. lat. si fractura recta fuerit et separata. 314 Ediz. lat.: tenacitas.

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pocho inanze. Ma se | al serà la rotura capilare, cossì che l’osso da l’una parte e da l’altra sia |35 duro e forte, alora el besognia che al fiza forato cum li trepani, li quali //33v// fin diti da li antiqui non profundanti, imperò che lor non passeno la quan- | titade de l’315osso, perché ay en fati segondo la mesura de la316 essen-  | tia de quelle. Et apres a ti sia plusor de quelli de li quali la quantita- | de fi diversificada, azò che al fiza administrada quella cosa de la quale |5 à desasi la tua operatione in prima, e poy fiza fata la permutatione a quello. | Dice Aly et Avicena,317 inanzi se de’ aclugere li oregi de lo infir- | mo cum lana, azò che a noy fizeno318 danati per la voce de la perforatione. | Ma lo modo da perforare si è che tu infichi uno de li trepani su | lo osso in circo a li labri de la scissura, e revolze quello inter li toy |10 mani fina che tu sapia che al è zà da passar lo osso; e poy fiza fata | la perforatione319 a l’altro logo, e cossì mutando fiza fatto fina a l’ultimo | de la320 necessitade. E poy cum lo altro che fi ditto spatume321 da uno | buso fina a l’altro fiza taliado lo osso; et fiza fata impressione, zoè lo cazare de dentro,322 de quello | da la parte de sotto fina a la parte de sopra,323 non subitaniamente ma |15 fiza fata324 pauladamente,325 azò che per quello non se mova lo cer- | vello. Alora se tu po’, tor via quello cum li toy digiti, overo cum li in- | strumenti che fin diti lavatorij,326 li cimi de li quali sono aplegadi. | E poy fa mestera che tu radi et inguali li asperitadi li quali sono | in circo a l’osso cum taliero, e ti ay zà metudo alcuno instrumento |20 sotto lo osso a la conservatione de syphac, zoè de quello panniculo, e se al g’è | remanuta alcuna cosa de li ossi pizeni e de li frustri, ancora | tireli via. Ancora, dice Galieno, non fa mestera ch’el fiza taliado via | de l’osso se no quello che è infirmo grandamente, però che a no ’l è cosa ne- | cessaria che tu seguisca li taliaduri fina a la fine de quelli, e cossì |25 in questo falla li mati, se no quando al te constrinze la casone de | grande necessitade, et quello si è zoè quando la sanie, zoè marza, | non pò fir cazada via senza327 incissione de lo osso de quella taliadura; | e quello si è gravissimo però che al è de besogna che lo cervello se | mova.

315 Segue os depennato. 316 Segue eren depennato. 317 Segue ia depennato. 318 Con o aggiunta nel rigo. 319 Ediz. lat.: permutatio. 320 Segue necitatis depennato in rosso. 321 Integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 322 zoè lo cazare de dentro] in interlinea con inchiostro molto chiaro e di difficile leggibilità. 323 Ms.: sotto con -tto espunto e -pra aggiunto in interlinea. 324 Seguono le lettere i a depennate. 325 Con la prima a corretta su o. Segue ne depennato in rosso. 326 Ediz. lat.: levatoria. 327 Con n aggiunta in interlinea con inchiostro più scuro.

4.3 Testo 

 259

Et quello medesmo Galieno ne curà uno e si trasse fora de li |30 ossi quanto ay pon cazar via; et sovra lo logo de li ossi de- | scazadi la natura ge crea la carne. Ancora dice che se nuy | possemo exiccare la marza senza expulsione de l’osso è melio, imperò | che menor nocumento fi dato a lo cervello. Et è besogna che | la taliatura fiza in lo logo più328 basso conveniente che lo veneno corra |35 più lezeramente fora. E quando ti non averay certificato de la penetratione //34r// de la fessura a l’altra parte, alora fiza certificato per la ultima329 raditura de | quello e sugamento de la humiditade nigra, como avemo zà dicto. Et | guarda che al non te faza fallare quello che hano dicto alcuni medici, zoè | che al fiza facta la perforatione da l’una parte e da l’altra de la fessura, però che |5 quello non apare essere drito, e se al fosse drito li antiqui averaveno | zà dicto altro in li soy libri, ma mi non ho may trovato memoratione | de alcuno de quelli, per la quale cosa è più drita cosa che al non fiza facto. | E quando ti seray securo che lo cervello apparia per removimento de la | crapa, implisse la piaga de panno de lino subtilissimo e anticho involta- |10 to in la clara de l’ovo fina che l’osso fiza coperto; e lo panno sia aconzo | secondo la quantitade de la rotura. E poy tolle uno altro panno doplato | secondo la quantitade de la piaga, e simelmente bagnelo in la clara de l’ | ovo e ponello sopra; e tanto se de’ fare cossì fina che tuta la piaga fi- | za replena. E poy fiza ponuto sopra li piumazoli de panno de lino o de |15 stopa,330 e cossì perzò che più e più sia che pilij e331 tegnia tuta la | piaga da l’una parte e da l’altra, e non fiza calcato con alcuna forteza, | inanze fiza ponuto cossì pianamente che lo paniculo non fiza gravato. E poy | ge fiza administrato lo ligamento largo, e non fiza strento più se no quanto | basta a retinere li panni. Perché lo siphac, zoè lo panniculo, se sole aposte- |20 mare per tropo grande compressione e graveza, e sapia che li antiqui | savij usaveno de questo modo332 stiptico e oleo rosato, perché elli sono | molto utili a confortare lo siphac e a devedare lo apostema. E sopra | lo ligame fiza borfato de aqua rosata e de aceto azò che al sia alevia- | tione in lo apadimamento de lo apostema caldo. E cum questa |25 cura lo infirmo fiza lassato repossare da uno dì fina a l’altro; e poy | fiza desligata e curata la piaga, e fiza mudata como in prima fina che | ti seray securo da lo apostema caldo. El dice Avicenna et Aly | che molti volti pos la elevatione de l’osso de la testa el vene lo apo- | stema caldo a syphac, zoè a quello panniculo, e cotanto che lo

328 Aggiunto in interlinea con inchiostro più chiaro. 329 Con a corretta su o. 330 Segue ci depennato. 331 Segue su depennato. 332 Ediz. lat.: vino.

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siphac333 [su]pera334 |30 la spissitudine de l’osso de la testa et etiamdeo la codega, e spesse volte | pos quello veneno mali accidenti li quali ducono lo infirmo a perditione. | Et dicono che la casone per la quale lo apostema caldo vene a siphac si è  | overo alcuna pezola de l’osso che lo danna per la sua acuitade, overo la stri- | ctura de lo ligame, o la graveza de li lisigni, zoè stupini, overo lo fredo |35 de lo aere de fora, overo la moltitudine de lo cibo e de lo vino, overo ch’è //34v// alcuna altra casone occulta. Adoncha se la casone serà manifesta, re- | movela presto; e se la serà occulta, salassa lo infirmo se al non ge serà al- | cuna cosa che te impedischa a questo, e retrahe lo cibo, e ye ministra lo  | regimento che se convene a li apostemi caldi, e si è como è embrocatione  |5 cum oleo rosato tepido, o cum aqua unde sia boliuta la altea, camomilla, | feno greco, somenza de lino, overo cum empiastro de farina de ordi | et aqua e oleo rosato. E humecta, zoè unze, la testa, la copa e lo | spondile cum aleffo de galina delenguato, e in li oregi fiza instillato | oleo rosato. E se anchora el persevera lo apostema caldo, lo ventre de lo |10 infirmo fiza curato, se al non ge serà alcuno impedimento, perché Ypocras  | lo comanda. E poy che ti seray securo da lo apostema caldo, ponege la | medicina creativa de la carne, la quale sia siccissima senza mordicatione. | E questa è la polvere de la testa che fi facta de sarcocola, mumia, incenso, | sangue de draco, yreos, aristologia, farina de rovelia et de simili cosi |15 che habiano la proprietade de la abstersione cum la exclusione, zoè priva- | tione, de la mordicatione; e fizano pulverizati sopra lo siphac, e cura | la piaga cum li peci de lino fina a la fine de la restauratione. E fuze | ogni cosa humida in cotale cura, e non lassare in alcuno modo congregare | lo veneno in la piaga, azò che li panniculi de lo cervello non marciscano |20 e che sopra lo infirmo non vegniano mali accidenti. E li savij àno | dicto quando vene la nigreza a lo siphac, e fi facta per appositione de la me-  | dicina in la quale sia la proprietade de denigrare, alora tolle de la melle | parte una; oleo rosato parti iij; et unze lo panno cum quelli; e poy ponello sopra | lo siphac fina che quella nigreza in tuto se parta. Ma se al venisse la |25 nigreza in siphac per sì medesimo e pervegnia fina a l’ogio, e maximamente | cum li predicti mali significationi, alora el non besognia sperare più | de la salute de quello infirmo, perché ella significa la consumptione de la ca- | liditade naturale e de la sua destructione. E molti volti la carne su- | perflua sole nascere sopra lo siphac, alora è da considerare la sua quanti- |30 tade, se ella è asé o pocha. Et se al è pocha, a la sua curatione basta | la sponga marina un pocho lavata, e se ella serà asé, la polvere de li | hermodactili fiza sparsa de sopra secondo la quantitade

333 Con a aggiunta dopo rasura e c aggiunta in interlinea: entrambe le lettere vergate con inchiostro più scuro. 334 Prima parte non leggibile; ediz. lat.: superet.

4.3 Testo 

 261

la quale non | faza sconfiamento.335 E se ti non336 abia questa polvere altra cosa ye | fiza administrata, in la quale sia la sua similitudine, zoè che ella sia |35 de li medicini de la più lezera mordicatione.

//35r// De la dieta de la rotura de l’337osso de la testa.338 La dieta sia339 cotale: | in principio lo infirmo manzi340 farine, armigodolato, herbi, fredi de orto, | e piri e pomi cocti e de simili cosi; vino non341 bivia in nusuno mo’, bivia | aqua cocta cum zucharo.342 E se guardi da lo tropo manzare e da lo fredo e |5 da lo aere molto lucido, e da lo coyto, zoè da la luxuria, e da ogni exercicio, | e da lo tropo parlare, et da tuti li accidenti de l’anima, como è ira, tri- | steza, solicitudine, zoè rencura, e de simili cosi. E quando ti seray securo da | lo apostema caldo, e ti zà hay comenzo administrare la medicina creati- | va de la carne, lo regimento fiza ingrossato343 azò che quello poro sar- |10 coides che ha cossì nome, lo quale liga la rotura, fiza melio generato e più | presto. Capitulo xviijo de la universale extensione e rectificatione | de l’osso.344 Li ossi alcuna volta se rompano | et alcuna volta fizeno separati da la sua propria iunctura. La cu- | ratione de li quali ha besognia de trey intentioni. La prima intentione |15 si è la vera e la propria rectificatione overo reductione; la seconda si è | la conservatione per la ligatura; e la terza si è la restauratione la quale fi | facta mediante lo poro sarcoide. Et in questo presente capitulo eyo are- | gordarò universalmente e brevemente a la extensione e rectificatione de la  | rotura e de la sua restauratione, et in prima mi345 meterò li universali |20 signi, azò che lo fallo non vegnia per ignorantia de li medici. Dico | adoncha che lo signo de la rotura 335 Ediz. lat.: timorem; ms. lat. O: tumorem. 336 Segue hay depennato. 337 l’ corretto su la con cancellazione di a, seguita da te cancellata. 338 De la dieta de la rotura de l’ osso de la testa] sullo stesso rigo e successivo a La dieta sia cotale. 339 Con a corretta su una lettera precedente (e?). 340 Con z in interlinea su g. 341 Segue cir depennato. 342 cum zucharo] assente nell’ediz. lat. 343 Segue una v forse cancellata. 344 de l’osso] sullo stesso rigo e successivo a Li ossi alcuna volta se rompano. 345 Segue po depennato.

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quando fi considerato in quella è asé ma-  | nifesto, per lo quale la figura de lo membro fi contorta, e gimbositade, zoè  | gobba, fi manifestata da una parte e concavitade da l’altra parte, et alcuna | volta el se sente lo sono de l’osso quando lo loco346 tu tracti diligentemente |25 cum la tua mane. E quando ti seray certificato de la fractura, alora | non besognia che la sua rectificatione fiza tardata ultra uno dì, perché | quanto più se tarda e tanto ello è più grave, però che l’osso se indura | et non è possibile che al fiza rectificato se non cum extensione superflua | cum la quale è timore e tarditade. Perché in quella rotura fa venire molti |30 nocimenti como è apostema e simili cosi. E lo modo de la extensione | e de la rectificatione si è che ti pilij lo membro da l’una parte e da l’altra | cum li347 toy mani, e fiza desteso non per forza ma quanto più lezeramente è | possibile, e fiza rectificato fina che una parte se conzonza a l’altra. Perché | la violencia de la compositione348 genera maiore angustia per la quale |35 lezeramente vene apostema. E poy palpa lo membro cum li toy mani //35v// e rectifica quello che te appare diverso. E poy ge fiza administrata la liga- | tura cossì dolce che lo dolore non se senta, né cossì fiza relaxata, zoè larga- | ta, perché uno pocho non declini a lo dolore. Sopra lo loco de la fractura | fiza strenta più forte, e quanto più fi alongato da la fractura tanto più |5 lezera fiza facta; e cossì fazendo de lo loco sano tolle la grande parte. | Ma el besognia che li fassi siano trey o quatro secondo che ha bisognia | lo membro, e la quantitade de la sua largeza sia secondo la convenientia | de li membri, però che, como dice Galieno, lo largo ligamento pò fir ponuto  | in lo peyto, ma non in li mani e digiti. Anchora dice in tuti li loci |10 quanto più largo ligamento se possa de’ fir facto, e niento de quello de’ essere | doplato. E sopra li predicti fassi li astelli deno fir locati, azò che per quelli | lo membro fiza rectificato, azò che la gibbositade overo la concavitade [non]349 re- | magnia in quello se in lo loco non serà apostema e inflatione. Albu- | casis dice che quando lo membro è grande, el non besognia che ti meta |15 sopra quello astelli in lo primo dì, se no pos lo quinto o sexto dì o più, secon- | do la segureza da lo avenimento de lo apostema caldo. E li astelli siano | formati saviamente de ligno de abiete350 overo de li meytadi | de la canna lata o de ligno de salesse e de simili. Anchora dice che al | besognia che li astelli li quali fizeno ponuti su la rotura siano più grossi |20 e più largi, e la sua longeza sia secondo che convene a lo membro in grandeza | et in pizineza. E non besognia che inter l’una e l’altra sia meno cha uno | digito. E poy ligalo cum lo spago desivelmente e fiza strento sopra li asteli | cum una altra binda secondo 346 Seguono due lettere cancellate (se?). 347 Macchia o scrittura cancellata nella parte superiore del rigo. 348 Ediz. lat.: compressionis. 349 Ediz. lat.: ne gibbositas [...] remaneat. 350 Segue glossa zoè de arzene cancellata in rosso ed espunta.

4.3 Testo 

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la strictura che ti ay saputo de sopra. | Anchora351 dice el non besognia che al sia torto, né molto grosso né molto |25 sutile. E quando advene che per quelli el fiza dannato,352 Avicenna dice che al | non besogna afrezarse a removere li astelli, s’el non fi confirmato quello che | aduna li ossi rotti, azò che per la sua debilitade non fiza facta la contorsione | in lo membro; e fizano indusiati azò che elli non fizano tolti via inanze | a quella cosa. E la quantitade de li dì in li quali se convene che la ligatura |30 fiza desligata e ligata si è che al fiza considerato se in lo membro sia dolore | inquieto, e splurimento e punctura intollerabile353 o apostema caldo. Et se | alcuna cosa de quelli non vene,354 alora non fiza desligato se no in spacio de | tri dì o de quatro o de setti. Et alcuna volta firà lassato fina che la fra- | ctura fiza restaurata, però che, como dice Galieno, utile cosa è lassare |35 lo ligamento fina che al fiza sanato se niento de li predicti ge apparirà. //36r// Et se alcuna cosa de queste ge apparirà, alora è necessario che ello fiza | desligato ogni dì. E se lo dolore ge serà, tu debi cataplasmare lo membro | cum lana sucida, zoè sutelenta, cum oleo rosato balneata; e poy fiza ligato | e non fiza strenta como de prima, anze la strentura fiza minuita. Et |5 se al ge fosse splurimento, lo loco fiza balneato cum aqua calda; per l’aqua | calda alora fi facta la resolutione de quella materia donde vene lo | splurimento. E poy lo loco fiza cataplasmato cum oleo rosato e cum aceto, | e tuta volta che al fi desligato fiza balneato como avemo dicto fina | che lo splurimento cessi. E s’el ge serà apostema, alora presto fiza sa- |10 lassato da la parte contraria, e continua fazando quello che infrigida lo | membro, et alcuna volta è necessario che al ge fiza administrato | lo ceroto et lo oleo rosato e la cera biancha cum oleo de camomilla, | o etiamdeo vino stiptico perché ello conforta lo membro e resolve lo aposte- | ma. Et alora non besognia che la ligatura fiza strenta se no pianamente |15 secondo la quantitade che conserva la medicina devedande lo apostema.  | E quando ti è securo che lo apostema caldo se remove e che lo dolore | repossa, alora retorna la tua ligatura a poco a pocho, zoè che al non | fiza constricto secondo la prima constrictione fina che ti seray ben securo | che tuti li accidenti zà siano removesti in tuto; alora se al t’è necessa- |20 rio, strinze la ligatura secondo la quantitade de la prima strinctura. Et | guarda bene perzò che la superfluitade de la strictura non impedisca lo | nutrimento a vegnire a lo loco de la rotura. Et de li cosi che signi- | ficano quello si è la exiccatione e magreza de lo membro, et quando | advene questo lo loco fiza balneato cum aqua calda e lo 351 Preceduto da An vergato con inchiostro molto chiaro e in fine di rigo. 352 Periodo molto sintetizzato rispetto al testo lat.: Et quando accidit ut ledatur infirmus propter extremitates astellarum post stricturam in locis sanis, pone sub eis ex stupa et similibus donec non ledatur ex eis. 353 splurim(en)to e pu(n)ctura intollerabile] ediz. lat.: pruritus intollerabilis. 354 Ms.: veneno con no depennato.

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ligamento |25 fiza molificato un pocho; e cossì fiza lassato per alcuni dì fina355 che lo | nutrimento corra a la rotura. E poy, como ti sapi, fiza strento. Li | medicini che noy usemo a la restauratione de tuti li roturi e dislo- | cationi e de li torturi sonno quelli in li quali è exiccatione e conglu- | tinatione, zoè adunatione, de pocha caliditade, como è lo incenso, |30 mirra e simili. Et sapia, amigo, che Ypocras comanda che li | cosi saldante non debeno fir ponuti sopra la rotura fina a setti dì | overo fina che al fiza facta la securitade ch’el non se generi lo | apostema o la inflatura. Ma Galieno dice che in questa nostra opera  | noy non possemo reducere lo membro a lo suo modo se da principio | non ge ponoma li cosi saldanti. |35 E nientodimeno se vedemo che in //36v// lo membro lo dolore se afrizi e che lo membro fiza rosso e infiato, alora | secondo che luy consilia, recta cosa è che de questo niento ge fazamo, anze | dovemo trahere la materia de loco a loco e refrigerare lo membro quanto | noy possemo. Et uno de li empiastri restauranti la rotura e la dislo- |5 catione e la tortura, la quale è dislocatione non completa, si è lo emplastro | che usaveno li antiqui de la polvere de lo molino, zoè de la farina che vola | e pende in li pareti de lo molino, lo quale se convene etiamdeo a plusori com- | plexioni, e specialmente a li doni et a li puti, perché ello è equale in frigidi- | tade e caliditade. E la qualitade de la sua confectione si è che al fiza distempe- |10 rato cum la clara de l’ovo cossì che la confectione sia equale, zoè non sia | molto grossa né molto sutile. Anchora uno altro emplastro: Recipe aloes, | mirra, bolo armeno, incenso, achacia, nuce de cipresso, draganti, laudamo, | ana parti equali; e fizano confecti cum la clara de l’ovo, e ye fiza azonta uno | pocho de la polvere del molino tanto che al sia mezo inter la subtilitade |15 e la spissitudine. E poy uno panno forte fiza uncto de quello e fiza ponuto | so. E questo emplastro è de mirabile compositione, perché ello restaura | prestamente li ossi rotti, e se convene a molti complexioni. E lo cibo de lo in- | firmo in principio sia sutile e devedando la inflamatione356 fina che ti  | seray securo da lo apostema caldo. E poy lo suo cibo sia grosso e viscoso, |20 azò che per quello la adunatione de la rotura se faza prestamente. E de li | cibi in li quali è viscositade e grosseza sono como è lo formento ben | cotto, e lo riso, e li testi e li pedi e li ventri de li animali, e specialmente | de li vachi, lentigia, pessi freschi, latto, caseo frescho, vino crosso | e simili a questi. Perché lo poro sarcoydes, zoè l’osso caloso, fi generato per la |25 materia de lo nutrimento de l’osso cossì como da casone materiale e per la na- | tura, como da la casone efficiente. E la sua materia è comune a la con- | solidatione de li altri membri, zoè de la carne e de lo nervo. E lo osso | fi nudrigato per lo sangue grosso e spesso, e per

355 Con f corretta su una lettera precedente. 356 Ediz. lat.: inflationem; ms. lat. B: inflammationem.

4.3 Testo 

 265

questo el besognia che la | tua intentione sia circa la sua grosseza e viscositade, como è in li ciba- |30 rij li quali nuy avemo predicti. E guardate da ogni cosa che subti- | lia lo sangue, como è lo vino sutile e simili cosi, se no quando ti vedi | che lo porro sarcoydes superhabunda in la grandeza, como vene molti | volti, perché alora è necessario a lassare lo regimento grosso e retornare | a li cosi subtilianti e strinzere forte la ligatura, e administrare li |35 emplastri in li quali è stipticitade devedando cum subtilitade, como è //37r// la decoctione de li pomi granati e de li folij de mirto e de lo suo oleo e de | simili, perché questi devedano lo nutrimento e minuisseno la materia. E | molti volti advene che al fi facta la rotura cum la pia’,357 et alora el besognia | che la piaga remagnia discoperta; e li astelli fizano alongati da la piaga; |5 e poy in lo suo buso fiza administrato lo cotto, zoè lo bambasio, o panno, | azò che lo veneno non possa fir congregato in quella, e removesti, poy fiza | curata cum la medicina creativa de la carne. E poy che serà ligata la ro- | tura cum li soy ligami, dritta cosa è che la piaga fiza coverta cum alcuno | acovatamento, azò che lo aere non turbi la piaga. E poy, quando la serà |10 sanata, se al serà necessario pone sopra li asteli. E la rotura che vene | cum atritione, zoè contussione overo cum botta, non è senza articulo de pora, | perché se ella non fi secorsa cum scarpellatione, zoè ventosi, azò che lo san- | gue vegnia fora, per quella venne la mortificatione de lo membro e herpes | estiomeno, zoè putrefactione e corrosione. E quando lo sangue corre da quella |15 botta non358 fiza retegnuto. Ma se in la piaga serano pezi de osso separati, | alora el besognia che elli fizano tracti fora pianamente, e se quelli peci | non serano separati e dageno dolore e ponzimento a lo membro granda- | mente, fizano taliati overo perforati secondo lo modo de la meliore possi- | bilitade, et anchora fizano tracti fora. Ma se lo veneno fiza più cresuto  |20 in la piaga cha minuito, al è significatione che lì sono romasi alcuni | peci de osso, avignadeo che elli non appareno; et alora lo loco fiza circato | cum la tenta fina che elli fizano trovati. E poy tolli via, et aconza sempre | lo membro in quella figura la quala più convenivelmente cura fora lo veneno.  | E guarda bene che in lo loco undo è la rotura cum la piaga non se aproximi |25 lo oleo, azò che la putrefactione o la corruptione non fiza generata in quella. E sapia che la rotura fi diversificata secondo la quantitade de la sua malicia, | perché, como dice Avicena, la rotura che vene secondo la rotonditade è  | de più mala curatione et azonzimento. E pezora è quella rotura che se | volta de dentro cha quella che se volta de fora, e quello è

357 Ediz. lat.: cum vulnere. 358 non] negazione presente nel solo ms. lat. B.

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per lo danno de li |30 nervi. E quella rotura che vene cum la piaga, o cum fluxo de sangue, o cum | apostema, o cum atritione, zoè botta, è la più mala de tuti. Et an- | chora la rotura fi diversificata secondo la obedientia o inobedientia de | la extensione e rectificatione, però che la rotura che fi facta in li membri | grandi non obedisse a la rectificatione se no cum grande extensione, et |35 simelmente quando fi prolongato lo suo spacio al è necessaria la forte exten- //37v// sione. E la rotura che fi facta in li membri pizeni non ha besognia se no de | pocha extensione. Et anchora fi diversifichata la rotura secondo la diversitade  | de la restauratione de li membri, zoè in la presta restauratione e tarda, overo longa, | perché la rotura de lo brazo più tosto fi restaurata cha la rotura de la gamba, |5 e simelmente li359 roturi360 de tuti li altri membri sono diversi insiema. E pos  | questo eyo vegniarò a lo capitulo cum recordanza de zescaduna specia de rotura | singularmente e distintamente. Et oltra questo, alcuna volta lo membro  | non fi restaurato secondo che ello appare in prima, anze lo membro remane | tortuoso, la casone de la quale cosa si è o per ignorantia de lo medico che in |10 principio ha male rectificato lo membro, overo361 che al è lo defecto de li astelli male | ligati,362 o la freza de torli via in[anze]363 la confirmatione de la rotura, o che | al è tropo movimento de lo infirmo in la hora che al de’ repossare. Et alora | alcuni medici soleno rompere una altra volta l’osso. Ma li antiquissimi | de li antiqui doctori niento hano dicto de questo in li soy364 libri, como |15 dice Albucasis, dicendo che se questo fosse dritta cosa, li antiqui averaveno | dicto alcuna cosa de quello, e loda che al è melio che al non se faza, però che | per questa operatione el è grande paura e perché lo membro se torze gran- | damente. Ma quando la necessitade te constrinze a fare quello, zoè a rompere | un’altra volta l’osso, el besognia che ti sapia bene la dispositione de lo |20 poro sarcoydes lo quale ha restaurato l’osso; e se al serà grando e forte, non | andare a romperlo la seconda volta, perché, como dice Avicena, ello forse non | firà rotto in lo loco de la prima rotura, ma in altra parte de lo loco, e se ello non | serà grando né forte, alora continua la embrocatione, zoè distillatione, de | l’aqua calda365 in la quale siano cotti herbi molificanti, como sono folij |25 de malva, viole, radice de altea, melliloto e simili a questi, fina che lo porro | fiza molificato; è zà è andato inanze e si è facto forte e grando, e non è | excusatione

359 Con i corretta su a, ma di difficile leggibilità. 360 Con i corretta su a, ma di difficile leggibilità. 361 Poco leggibile per la presenza di una macchia. 362 Ms.: desligati con des depennato in rosso. 363 [-anze] non leggibile per la presenza di una macchia. 364 Segue membri depennato in rosso. 365 Segue Io depennato.

4.3 Testo 

 267

perché ti non tolia la sua curatione. Et alora la sua curatione | si è curatione de ferro, e si è che lo loco fiza taliato de sopra, e la continuatione | de l’osso, zoè del porro, fiza tracta fora. E poy che lo membro fiza rectificato e |30 fiza restaurato cum diligentia como besognia. E molti volti è possi- | bile che la rotura mal restaurata, se ella è frescha, fiza restaurata cum  | li emplastri molificativi, como è la predicta embrocatione e lo emplastro | de mucilagine, zoè decoctione, de malvavischo e fen greco e de semenza | de lino quando el fi confecto cum alefo de aneda o de galina, o oleo de |35 sisamino, zoè de sisamo, o de lilio. E lo emplastro che se fa de la medula //38r// de la gamba de la vacha, e de asongia de aneda, e de botero, e de oleo | de lilio e de cera citrina, si è mirabile in questo caso. E simelmente lo em- | plastro de figi sechi grassi o dactili, e maximamente cum letame de colum- | bo. E poy, quando lo membro serà molificato, fiza disteso e reducto a la sua  |5 propria figura. E molti volti pos la restauratione de li roturi, al vene | la nodatione, zoè lo nodo, in lo membro, per la quale lo membro fi insozito, e la | sua operatione naturale fi devedata, e maximamente se ella serà apresso a li | iuncturi. E sapia che zà havemo dicta la sua casone, zoè che al è per la | superfluitade de lo porro ligande l’osso. E si avemo dicta la sua curatione |10 cum la fine de la strictura e subtilitade de lo cibo e li emplastri stiptici de-  | vedando, como è achaçia,366 mirra,367 [in] censo e simili cosi, quando fizeno con- | fecti cum melle, clara de ovo, o cum vino stiptico o aceto. E quello che | fazeno le medicine stiptice, cossì fa la superpositio de lo plombo, zoè che | ti pona li lami de lo plombo sopra la nodositade e strinze aconzamente.  |15 E quando la nodatione è dura et in substantia de preda è zà convertita, | alora è necessario che de sopra ella fiza taliata e partita, e fiza disolvesta, | zoè rota, la consolidatione de l’osso, e fiza taliata la nodatione superflua o ra- | zuta cum li instrumenti che se conveneno a quello. E poy la piaga fiza curata | cum l’altra curatione de la piaga. Anchora pos la restauratione de quella |20 rotura, alcuna volta in lo membro advene subtilitade e debilitade,368 | e quello è perché la restauratione non è firma. E la casone che fa esser | necessare, como diceno li antiqui, è de molti mayneri, zoè la strictura | superflua che impaza lo nutrimento, o che al è la multitudine de li liga- | menti che à gravato lo membro, overo che ella è lo spesso desligamento |25 de quelli e lo spesso ligamento, overo la superfluitade de la embrocatione de l’aqua, | overo lo movimento superfluo de lo membro inanze lo tempo, overo la369 | paucitade de lo sangue in lo corpo de lo infirmo e la sua debilitade, e quello | è como in 366 Con ç corretta su c. 367 [in-] non più visibile per una macchia. 368 Segue zoè depennato. 369 Segue poche depennato in rosso.

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lo corpo de li vegi o in li corpi de li melanconici, overo la paucita- | de de li cibi e la sua subtilitade, overo che al è la multitudine de li peci |30 de li ossi. Adoncha el besognia in370 cotale curatione de lo membro | extenuato, zoè magrato, e debilitato che lo infirmo fiza refacto cum | cibo de asé nutrimento e grosso, e lo suo corpo fiza humectato, zoè uncto, | fina che al fiza facto lo cresimento de lo sangue. Et ye fiza administrato | lo bagno temperato. E poy sopra lo membro fiza ponuto lo emplastro |35 de pegola de tepida caliditade, azò che al371 reducha a quello molto //38v// nutrimento, e si è quello che fi fato cossì: Recipe pegola navale, resina, ana | parti equali; e fizeno deslenguati insiema al focho, et anchora ge continua la | embrocatione de l’aqua tepida fina che lo nutrimento fiza tracto a lo mem- | bro e lo reduca a la propria figura. E lo infirmo se guardi da la ira e |5 da li altri accidenti de l’anima, perché, como dice Damasceno, lo vicio | de l’animo seguisse la complexione del corpo. Capitulo xixo de la372 rotura de li373 ganassi de soto. | Advene molti volti che la ganassa de sotto se rompe, la cogni- | tione de la quala è legera. Adoncha, quando ti la voli rectificare, |10 considera se la rotura è piegata de dentro senza che la sia partita in doy. | Et alora pone dentro lo dito secondo de la mane dextra se la rotura serà | in la sinistra, e se la serà in la dextra, mete dentro lo dito secondo de | la mane sinistra, e cum quello caza la gibbositate de la rotura da la parte | de dentro a quella de fora, et cum l’altra tua manu inguala quella374 acon- |15 zamente fina a la coniunctione naturale.375 Et se al vene commovimento in li | denti, liga uno cum l’altro, zoè quello che è dannato cum quello che non è | dannato, cum filo de oro o de argento, o cum filo de seta forte. E poy | se ti temi lo advenimento de lo apostema caldo, alora pone bambasio | o lana sutulenta balneata376 in oleo rosato e clara de ovo. E poy fiza ligato377 secondo che |20 melio fi preparato de la sua ligatura. E se ti non temi lo apostema caldo, | subito ge

370 Segue la depennato. 371 Segue tira depennato. 372 Segue d cancellata. 373 Aggiunto in interlinea. 374 Segue de depennato. 375 Nell’ediz. lat. segue: Et cognoscitur aequatio mandibulae per aequationem dentium qui sunt in ea. Si vero mandibula iam separata est in duo, tunc a duabus partibus fit extensio secundum rectitudinem donec fiat eius aequatio naturalis. 376 Integrazione apposta nel margine destro e segnalata tramite richiamo nel rigo. 377 Con -to aggiunto nel rigo.

4.3 Testo 

 269

pone lo emplastro confecto378 de polvere de molino o de farina de sisa- | mo, zoè379 *** cu[m] clara de ovo. E poy pone de sopra panno duplica- | to, e sopra lo panno pone una astella grande secondo la quantitade de | la ganassa, overo una peza de la sola del calzario, e fiza ligata como è |25 besognia. E cossì fiza lassato fina che ella se sani,380 se anchora non ve- | gnia lo apostema caldo, o dolore intollerabile o splurimento. E se al ge | vegnirà alcuna cosa de questi, alora fa’ como noy avemo dicto in lo capitulo | universale domentre che quella cosa fiza devedato in tutto. E poy retorna | a lo emplastro e ligatura a pocho a pocho fina che al se sani. E se ti vidi |30 che alcuna cosa de la naturale figura fiza mudata, alora desliga lo | ligamento e retorna a lo ingualamento de lo membro, e ligalo aconzamente. | Ma se la rotura serà cum piaga, guarda bene se lì sono pezoleti de osso | separati. Et alora studia sutilmente de tirarli fora secondo lo modo | possibile cum li instrumenti che se conveneno a quello. E se la piaga serà |35 strenta, alora largella secondo che al te besognia. E poy fiza curata381 //39r// como ti ay inteso fina cha ala se sani. E comanda a lo infirmo che | ello usi de tranquillitade e de reposso, e lo suo cibo sia sorbille e lezero. | Li savi antiqui382 de questa arte diceno che molti volti questa ro- | tura fi restaurata in tri setemani, però che cotale osso, come dice |5 Aly, è mole et in luy è la medula, per la quale cosa tosto se sana. |

De la rotura de la forcella de lo peyto. | Alcuna volta advene che la forcella del peyto se rompe, la signi-  | ficatione de la quale non è occulta a lo sentimento secondo lo to- | chamento cum la mane. E la operatione in quella si è che al fiza tro- |10 vati doy ministri, uno de li quali tegnia lo adiutorio che seguisse | la furcella rotta e lo extenda a li cosi de fora e de sopra, e l’altro ex- | tenda lo collo verso l’altra parte. E poy lo medico inguali la rotura cum | li soy383 diti como se convene, cossì che in quello non sia dosso né  | concavitade. Et se ti ay besognia de più extensione, alora pone sotto  |15 la seya una balla grande secondo la quantitade de la tua besognia, et | la balla de’ fir facta de panno o de lana. Et extende lo gombetto384 fina che | al se aproximi a

378 Aggiunto in interlinea. 379 Segue uno spazio bianco. 380 Con i corretta su a. 381 Con a corretta su e. 382 Segue diceno depennato. 383 Segue mani depennato. 384 go(m)betto] ms.: brazo, ma nel margine destro si aggiunge al(iter) lo go(m)betto (ediz. lat.: cubitum).

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li costi; e poy inguala la rotura secondo che al besognia. | Ma se la extremitade de la furcella non possa fir tracta a li cosi de fora però | che ella è submersa in lo profundo, alora el besognia che ti rebuti indreto |20 lo infirmo sopra lo suo collo, e pone sotto li soy spali uno piumazo | de mezo, zoè in mezo de li spali; e lo magistro385 calchi li soy spali a li | cosi de sotto fina che al fiza sublevata la extremitade de la furcella | la quale è in profundo. E poy rectificha quella aconzamente. E se lo infir- | mo sente punctura apresso lo tochamento cum li digiti, alora sapia che |25 al g’è alcuna pezola de osso. Adoncha afrezate e talia sopra la rotura  | e tiralo fora, e se la pezola de l’osso se retene de alcuna parte, alora | tayelo via e pone inanze lo instrumento de ligno, azò che al conservi lo | siphac che al non se rompi. E poy se la fissura serà grande, congrega386 | quella cum la cusitura et incarnela. E nientodemeno non far quello |30 se ti temi lo apostema caldo; ma se ti non lo temi, azonzege la sua | curatione cum oleo rosato, aceto e simili. E quando la rotura serà senza | piaga e taliatura, alora metege lo emplastro de polvere de lo molino | o alcuna cosa che restauri la rotura, e pone de sopra la stopa387 mole e lezera, | e sopra la stopa pone lo plumale doplato. E poy fiza ponuta una astella  |35 de tavola sutile, la largeza de la quale sia de tri diti e la longeza de quatro. //39v// E poy fiza ligata aconzamente cum la fassia longa e larga tri o quatro | diti, et involzela sopra lo collo e redula388 da ogni parte de zescaduno | tirtilico, zoè leseno. E poy lo brazo fiza ligato a lo collo de lo infirmo, | e sotto la lesena fiza locato uno piumazo pizeno de nocte e specialmente |5 apresso lo sognio, e lo suo dormire sia sopra lo suo dosso, zoè indrieto. | E non389 desligare lo ligamento fina a zinqui dì o setti, se al non | ge vene alcuno accidente, como è lo splurimento, o lo dolore, o lo apostema | caldo. E poy desligalo e fiza removesto390 lo emplastro; e lasello391 fina che al sia | sanato. E besognia392 che ti guardi ogni dì che lo ligamento non fiza |10 molificato e la astella fiza removesta; e se ti vederay quello, anchora | rectificalo e strinze aconzamente la ligatura. Alcuni savi àno dicto che | la forcella ha besognia de subtiliatione, zoè ingeniatione, apresso la sua | curatione, perché la sua restauratione fi molto grave. Et anchora àno | dicto che la furcella fi strenta e confortata secondo la più parte in spacio |15 de xxvij dì overo fina a xxx. Et quello alcuna volta se fa in alcuni | homini in minore spacio.

385 Ediz. lat.: minister. 386 Ms: congregal con -l depennata. 387 Con o corretta su u. 388 Ms.: redulaque con -que depennato. 389 Segue solam(en)te depennato. 390 Ediz. lat.: renovetur; ms. lat. O: removeatur. 391 e lasello] integrazione apposta nel margine sinistro e segnalata tramite richiamo nel testo. 392 Ms.: begsognia con la prima g cancellata.

4.3 Testo 

 271

De la rotura de li ossi | de li costi.393 Quando la rotura vene in li costi, | ella non se asconde secondo la inquisitione cum li diti, però che in lo | loco ti trovaray asperitade e per lo sentimento ti trovaray le coste desequali, |20 e forse che al se olde la crepatione de l’osso. E cotale rotura se fa | in doy modi, de li quali uno è a li cosi de dentro, l’altro si è a li cosi de | fora. E la rotura che appare394 a li cosi de fora più tosto recive cura- | tione, e si è che ti inguali la rotura cum li toy diti secondo lo modo | de la possibilitade tua, fina che lo loco se convertisca a la propria figura. |25 E poy fiza epithimato lo loco cum quello che se convene, zoè lo unzi cum | oleo rosato, e la rotura fiza strenta cum la stella se al serà necessario. | E se la rotura serà più declinante a li cosi de dentro, più conveniente | è la natura e la propria significatione si è lo dolore inqueto e la punctura | sua si è como punctura de pleuresia, zoè de quella infirmitade, però che  |30 l’osso ponze lo velamento, zoè lo panno che ha nome pleura, et anchora | la strentura de lo fiato, la tosse, e lo vomito, e lo sputo de sangue. | Alora395 ingeniatione de la sua extensione a li cosi de fora cum la | mane mancha in tuto. Nientodemeno alcuni de li antiqui àno dicto | che lo infirmo de’ fir cibato cum cibi generanti grande inflatione396 fina |35 che lo suo ventre, o lo peyto, se infli, perché la inflatione caza la rotura //40r// a li cosi de fora; et avignadeo che cotale operatione alcuna volta  | sia necessaria per defecto de altro inzenio, nientodemeno ella è casone | de fare venire presto lo apostema caldo. Et alcuni altri savi àno | dicto che la ventosa de’ fir ponuta sopra lo loco azò che ella traha |5 forte a sì, e cotale curatione è più conveniente se no perché al se teme | che li superfluitadi397 non fizano tracti a lo loco. Et anchora altri sono | stati che àno dicto che lo loco fiza coverto cum lana sutulenta | balneata in oleo caldo, e li piumazoleti fizano ponuti inter li costi | fina che ay fiza pleni, e lo ligamento fiza facto equale secondo la sua |10 involutione per lo circuito del corpo. Et anchora àno dicto che se la | cosa serà grande, la quale lo infirmo non possa sustinere, perché l’osso | ponze lo dyafragma, zoè quello panno, cum pizena punctura, alora è | necessario che ti talij sopra lo loco e descovati la costa rota. E poy | sotto quella pone lo instrumento de ligno che conservi lo siphac, zoè quello |15 panno, e talia l’osso che ponze cum legereza. E se la piaga serà grande, | congregela cum cusitura e cum curatione de la piaga, se al non ge vegnia | lo apostema caldo; e se quello ge venisse, lo loco fiza coverto cum pluma- | zoleti balneati in oleo rosato, 393 de li costi] sullo stesso rigo e successivo a Quando la rotura vene in li costi. 394 Segue d cancellata. 395 Segue la sua depennato in rosso. 396 Nel margine sinistro, ma senza richiamo nel testo, si aggiunge: como è vino dolce e fave. 397 Con d corretta su t.

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e fiza curato cum quello che se convene a la cu- | ratione de lo apostema caldo de dentro. E lo infirmo fiza cibato cum cibo |20 conveniente a lo apostema, e dormia sopra lo lato in lo quale ello sustene | melio fina che al fiza sanato. E la rotura de la costa fi strenta e | confortata in xx dì.

De la rotura de lo adiutorio, zoè de l’osso del brazo. | Lo adiutorio, como dice Albucasis, è quello che è inter lo gombeto398 | fina a lo capo de la spala. E quando la rotura advene a quello, |25 como dice Avicena, non declina secondo la più parte se no a la parte | de fora. Et in la sua rectificatione el besognia che al sia presenti doy | ministri, uno de li quali extenda lo brazo , e l’altro tegnia lo loco lo quale | è sopra la rotura. E poy tocha la rotura cum li toy mani, et ingualela | cum ultima, zoè grande, equatione, zoè ingualamento. E poy ponege lo |30 emplastro consolidativo se ti non temi lo apostema caldo, e ligalo cum | ligamento ascendente fina a la spala e descendente fina a lo gombetto, | se la rotura serà in mezo lo adiutorio. E se la rotura serà apresso | a la spala, fiza strenta cum quella spalla, e se la serà apresso a lo gombeto, | fiza strenta insiema cum quello gombetto. E la largeza de la fassa sia |35 de quatro diti. Undo non lo desligare fina a setti dì, se al non g’è //40v// alcuna cosa che lo devedi. Alora desligelo et anchora ligelo cum astelli che | siano longi secondo la rotura, azonzando poy tri digiti da ogni parte. | E s’el è necessario che ti desligi la ligatura de terzo in terzo dì, falo, però | che al è cosa in la quale reposa l’animo de Ypocras per la securitade de li |5 nocumenti, avignadeo che ella399 sia nociva a la restauratione. Ma se  | da principio ti temi lo apostema caldo, però che ti vedi che lo membro | doventa rosso e400 inflarse, alora non lo strinze cum emplastro né cum | astelli fina a setti dì o più, fina che ti sia securo de lo apostema. Et | pone sopra lo membro de quelli cosi che apadimeno lo dolore e lo apo- |10 stema caldo, como è lana sutelenta balneata in oleo rosato e aceto. | E poy quando lo apostema serà cessato, strinze la rotura como nuy | avemo dicto, e lo modo de strinzere si è como ti ay saputo in lo capitulo | universale. Anchora besognia che ti consideri in ogni hora del dì e de la | nocte che lo ligamento non fiza molificato e che al non fiza mudata la fi- |15 gura del membro; e se ti vederay quello, alora rectifica e strinze lo | ligamento. E lo infirmo dorma sopra lo suo spinale; e la sua mane | sia sopra lo suo stomaco, e pone lo plumazo dolce soto lo adiutorio. | E nientodemeno de 398 Vergato nel margine destro: la prima parola del rigo seguente è brazo (cf. la stessa variante brazo/gombeto a c. 39r). 399 Con a corretta su una lettera precedente (o?). 400 Segue sco depennato.

4.3 Testo 

 273

la administratione del cibo besognia che al basti | quello che è dicto in lo capitulo universale, zoè che al sia cibo sutile in prima, |20 fina che la rotura comenza fir restaurata. E poy lo cibo sia grosso e visco- | so. E li savi àno dicto che la rotura de lo adiutorio e de la gamba | sole fir strenta in xxxx dì. Al besognia adoncha che alora fiza desli- | gata, e comanda che lo membro fiza balneato cum aqua de calore | temperato. E se la restauratione non te apparirà bona, alora retorna |25 suso lo ligamento e li astelli, e lassello fina a zinquanta dì, overo fina | a doy mese.

De la rotura del brazo. | Li savij diceno che lo brazo è componudo de doy ossi, li quali si doman- | deno doy focili, uno de li quali è pizeno, e quello è che seguisse | lo dito grosso, e l’altro è grande e si è quello che è ponuto soto lo dito |30 pizeno da la parte de soto. Et alcuna solamente uno de quelli se rompe, zoè | o lo pizeno o lo grande, et alcuna volta tuti doy insiema. E nientode- | meno quando lo focile pizeno se rompe in suso, la rectificatio e sanitade | sua401 è più lezera. E quando lo focile grande se rompe in zoso, la sua  | rotura è mala e la sua sanatione è grave. Et anchora è pezore quando |35 tuti doy se rompeno insiema. Adoncha quando fi roto lo focile pizeno //41r// de sopra, alora besognia che ti lo inguali cum pocha extensione, e s’el serà | lo grande focile, inguala quello cum maiore extensione, e se tuti do’ li focili | sono roti, alora besognia che402 la sua extensione sia molto | maiore. E lo modo de la restauratione de la rotura del brazo in tuti si è |5 como in la rotura de lo adiutorio; de usanza del brazo si è, quando ello fi | roto, che403 vj asteli fizeno administrati, o voya che la rotura sia in uno | focile, o voya in doy, e la astela che fi ponuta su la rotura sia un pocho | più larga e più firma. E ti say bene quello che avemo dicto de la quali- | tade de lo strinzere la ligatura secondo ogni cosa in lo parlare universale, zoè |10 che la strictura sia più grande sopra lo loco de la rotura, e quando la | ligatura va più a la superiore parte de la rotura o a la inferiore, tanto più | fiza largato. Però che la utilitade de cotale intentione si è che la materia | de lo sangue fiza descazata da lo membro dannato, azò che lo apostema | non fiza facto. E quando ti non vole che lo sangue fiza tracto404 a la rotura |15 per nutrimento, li extremitade de la ligatura fizano ligati più grandemente | e più stritamente. E quando in la figura de lo membro appare alcuna pezola | de osso non 401 Con a corretta su e. 402 Segue ti lo inguali depennato ed espunto. 403 Segue se depennato. 404 quando ti no(n) vole che lo sangue fiza tracto a la rotura] ediz. lat.: quando vero amas ut sanguis ad fracturam trahatur.

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separata, alora studiate in la reductione sua a lo suo loco secondo | la tua virtude. Ma se la pezola de l’osso serà separata e che la ponze la codega, | el non è fidanza in la sua405 restauratione; alora è necessario che al |20 se talij sopra quello e che ala fiza tracta fora. Nientodemeno el besognia | che ti sia solicito circa quelli cosi che adveneno cum la fractura, e pos quella | et inanze che vegniano li nocimenti; et de quelli si è como è la piaga e | lo fluxo de lo sangue, contusione, zoè botta, apostema, e dolore nocivo, e lo | splurimento, e la superfluitade del porro, e la sua minoratione in la quanti- |25 tade necessaria, e simili cosi. E noy zà avemo dito de quelli in li soy | loci secondo lo complemento, unde basti quello al presente. Et è besognia che | la mane de lo infirmo fiza apesa dal lato a lo collo, e la largeza de lo | ligamento cum lo se apende lo brazo sia secondo la quantitade che compren- | da tuto406 lo brazo, perché se la rotura fiza solamente apesa e non li altri parti, |30 lo membro non serà in tuto senza tortura. E lo infirmo se guardi | da ogni movimento inanze che lo brazo fiza confirmato, e lo suo dormire | sia indreto sopra lo spinale. E li savi àno dicto che la rotura | de lo brazo fi restaurata in xxx dì, et alcuna volta in xxiij, e questo è | secondo la dispositione de li complexioni e de la virtude. |35

De la rotura de la coxa //41v// Quando la coxa fi rota, el se vede claramente, e li savij àno dicto che ella | se convertisse a la407 parte408 de dentro e de fora, perché lo suo osso è lato per | natura. E la sua restauratione è per questo modo, zoè che lo infirmo | zasia sopra la sua facia, zoè desteso sopra lo ventro; e poy lo membro |5 fiza disteso da l’una parte e da l’altra cum ligamenti et altri speci de la ex-  | tensione da doy ministri, non solamente cum legereza, ma cum alcuna | forteza; e lo medico inguali la rotura cum li soy mani de grande in- | gualamento. E se ti vederay o trovaray zonchoy, zoè partesselli, de osso pon-  | genti, fa’ quello che molti volti avemo dicto de la reductione a lo |10 loco suo, overo de la extractione se quello non serà possibile;409 e poy fiza ligato | cum convenivele ligatura. E lo regimento de la sua curatione è como avemo | dicto de lo adiutorio. Avicena dice che quello lo quale sen rompe la | coxa overo l’ancha serà rotta, pocho se liberarà dal zopegare, e per  quello azon-  | ze lo studio e lo ingenio cum administratione de li 405 Segue curatione espunto. 406 Aggiunto in interlinea. 407 Con a corretta su e. Segue cose espunto. 408 Aggiunto in interlinea sopra cose espunto. 409 se quello non serà possibile] ediz. lat.: si fuerit possibile; ms. lat. B: si illud non fuerit.

4.3 Testo 

 275

ligamenti. Et for- |15 se quando la rotura410 serà molto grande, fiza ponuti sopra li voluzione, | zoè volzimenti, tavoli grandi li quali pilieno la longeza de lo pede, et non | besognia che per questo fizano breviati, nì per questo non fizano alongati. | E la utilitade de questi tavoli si è che la parte sana de lo pede fiza retegnu- | ta da lo movimento, però che al è nocivo, e specialmente apresso lo somno.  |20 E si besognia che ti fuza questa operatione quando se teme de lo apostema, | anze besognia, quando vene lo apostema, che ti desligi lo membro et  | curallo cum quello che ti ay inteso. Et anchora besognia che ti | refuti la administratione de li predicti instrumenti, zoè astelli,411 perché | ti ay lo modo de altri inzegnij, però che al è gravitade e faticha sopra |25 lo infirmo. Li savi diceno che la coxa se fortifica in l dì o pocho | meno o pocho più.

De la rotura de la gamba. | Li savi diceno che in la gamba sono doy ossi de li quali uno è | grande, e se domada crus, et l’altro è pizeno, e se domanda | focile. Et forse che uno de quelli se rompe solamente, e forse tuti |30 doy insiema. E quando l’osso pizeno se rompe de sopra, la sua curatione | è più lezera e più secura; ma se al se rompe l’osso grande, e la sua in- | clinatione, zoè bassamento, fiza a la parte de dentro, e la rotura de l’osso grande | se replica a li cosi de fora. Et quando tuti doy insiema se | rompeno al è pezore, et alora la crus, zoè la schiena, se convertisse ad ogni |35 parte, e questa è una cosa la quale a ti non è ascosa. E la curatione //42r// de la rotura de l’osso de la schiena è secondo la similitudine del brazo,  | però che li speci de questi roturi412 se asimileno insiema. E nientodemeno | Albucasis ge azonze alcuna operatione in la schena, zoè che doy tavoli ge | fizano ponuti, e poy fiza ligato aconzamente secondo la longeza de la schena |5 fina a la parte de sotto del pé, et una fiza ponuta da una parte de la schena | e l’altra da l’altra parte; e poy fizano ligati in tri logi, zoè in doy extremi- | tadi et in mezo. E la utilitade de cotali tavoli è la utilitade che | avemo dicta in li tavoli che fizano ponuti in la rotura de la coxa. Anchora  | dice che al ge de’ fir administrata una chuna, overo cassa, de ligno se- |10 condo la longeza de la schena, in la quale fiza locata la gamba, e che ella | fiza guardata da lo movimento. Et sapia che,413 avignadeo che mi | non abia fato parlare particulare in la curatione de tuti li speci de li roturi, | nientodemeno mi ho ponuto questi speci ad 410 Ms.: ligatura con liga- espunto e ro- aggiunto in interlinea. 411 Segue qu depennato. 412 i finale corretta su a, ma di difficile leggibilità. 413 Segue al depennato.

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exemplo de li altri, per | la quale cosa el besognia che lo medico tolia lo parlare da questi in la re- |15 stauratione de li altri speci. E quello che è diverso da quelli altri secondo | lo inzenio rectifichi, fina che lo desiderio fiza complito de quelli de | li quali dirà414 in l’altro.

Capitulo xx de la dislocatione Dislocatione si è separatione overo insire de li iuncturi | da lo suo loco, perché lo suo movimento fi impazato e la415 |20 figura de lo membro fi insozita. E la significatione de la disloca- | tione416 universale si è la concavitade non usata da una parte e la emi- | nentia, zoè dosso, da l’altra, e cum questo lo movimento de lo membro è | grave. Adoncha quando la dislocatione vene ad alcuno, alora el te | besogna417 considerare in prima se ella è simplice o composita cum altra |25 infirmitade o cum ulceratione o cum piaga o cum apostema caldo; | ma quando ella serà simplice non è excusatione perché ella non se re- | duca inanze che lo loco se apostemi; ma se ella serà componuta, alora | non besognia che al fiza la sua reductione, anze fiza curata la infir- | mitade che è componuta cum la dislocatione, perché se la reductione fides- |30 se fata non siando guarita quella infirmitade, forse lo spasmo sopra  | venirave a lo infirmo. E nientodemeno questo parlare non è perfecto,  | però che, como dice Avicena, quando la dislocatione è de quelli che | se reduceno con lezera extensione, per la quale non se genera dolore, | pò fir reducta a lo suo loco avignadeo che ella sia componuta. E poy |35 lo regimento de la piaga o de lo apostema fiza administrato como è //42v// scrito in li roturi. E de li zonturi alcuni sono de418 lezera419 dislocatione, co- | mo è la zontura de la mane e de li diti, et alcuni sono de grave dislo- | catione, como è la zontura del gombeto. E secondo che sono de lez[er]a420 |5 dislocatione, così sono de lezera reductione. E la pezor dislocatione si è | quella cum la quale se rompeno li capi de li ossi de li zonturi, però che per la più | parte non retorna a la sua naturale dispositione.

414 Ediz. lat.: indiget. 415 Con a corretta su o. Segue membro depennato in rosso ed espunto. 416 Segue si è depennato. 417 Con a corretta su i. 418 Aggiunto nel rigo. 419 Con a corretta su i. 420 Manca il titulus per -er-.

4.3 Testo 

 277

De la dislocatione de la ganassa. | La dislocatione de la ganassa rare volta advene, e la sua significatione | si è la desingualeza de li denti de soto cum quelli de sopra, et an-  |10 chora la bocha non se pò serare e lo parlare se impaza. E la sua reductione | et extensione si è per questo modo, zoè che tuti doy li capi de li ganassi | fizano tolti soto li oregi se la dislocatione serà in l’una parte et in l’altra, | ma se la serà solamente in uno, et uno solamente fiza piliato. E poy fiza re- | ducta de fora cum legereza fina che la reductione fiza complita se- |15 condo la sua natura, e la sua significatione si è la ingualeza de li denti | e la seratura de la bocha. E poy de soto se meta uno421 piumazolo de panno | incerato,422 lo quale fi facto de cera et de oleo rosato balneato. E fizano | ligati lezeramente cum lezero ligamento, la figura de lo quale vada in suso. | E lo cibo de lo infirmo sia sorbille e lezero, azò che al non besogni fir |20 biasato domentre che lo dolore fiza removesto e la ganassa se nodi. | Et alcuna volta la dislocatione de la ganassa non obedisse per la dureza | la quale ye vene per indusia; adoncha alora besognia che ti onzi lo | loco cum oleo violato e cum bagnio, e che ti embrochi quello de aqua | calda cum asé embrocatione fina che al fiza molificata la dureza; et |25 poy fiza la restauratione como nuy avemo dito. E nientodemeno sapia | quando tuti doy li ganassi se dislocheno insiema, al besognia che la redu- | ctione fiza in quella medesma hora, altramente advegniaraveno pessimi | nocumenti, como serave fevera inseparabile, dolore de la testa continuo; et  | quello è per tropo extensione de li lacerti, zoè musculi. Et forse advene  |30 solutione del ventro de lo infirmo, e buta fora colera pura, et alora molti | volti lo homo more in lo decimo dì.

De la dislocatione de la spala. | Li savi àno dicto che la spala se disloga in tri423 modi, lo primo si è a  | la parte de sopra, lo secondo a la parte denanze, lo terzo a la parte inferiore | verso lo titilico, zoè la lesena. E may non424 se disloga a la parte de fora, |35 e quello è per lo devedamento de la spatula; e nientodemeno sapia che rara volta //43r// se disloga de sopra per alteza de la spalla, et anchora rare volte de dentro | per lo devedamento de li nervi, e la più parte se disloga de soto, e specialmente in | li homini macelenti, perché in cotali lezeramente se disloga; ma in li grassi rare | 421 Aggiunto in interlinea. 422 Ediz. lat.: in ceroto. 423 Con i corretta su e, ma di difficile leggibilità. 424 Segue d cancellata.

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volte se disloga. E la significatione de questa dislocatione si è la rotunditade |5 cum grosseza, over elevatione, soto la seya, zoè da la parte de soto, e la concavitade | in sumo de la spala, e la diversitade inter la spala dislocata e la sana, et è | impossibile che lo infirmo se meta la mane a la sua oregia, e lo suo movi- | mento fi molto grave. Adoncha el besognia in la sua reductione che uno | ministro elevi la mane de lo infirmo in suso; e poy pone li toy diti grossi o- |10 vero lo pugno soto la sua seya, et eleva la zontura molto in suso fina che ella | fiza reducta a lo loco proprio. E lo ministro elevi la mane de lo infirmo e la | extendi suso, e poy la meta in zoso; e per questo retornarà prestamente, e special- | mente se lo infirmo serà puto e la dislocatione serà frescha. Ma se la | cosa serà più grave, cossì che per questo modo non se possa reducere però che al è zà |15 passati molti dì che la dislocatione fo facta, alora lo loco in prima fiza fomentato, | zoè balneato, cum aqua calda in la quale siano coti herbi molificanti, como | è malva, folij de violi, radice de althea, melliloto e simili de questi. E poy | lo infirmo fiza metuto zoso a reposare sopra lo suo dorso, zoè spinale, e lo me- | dico intrometa lo suo pede in lo lato de lo infirmo, e pone lo calcaneo apresso |20 lo principio de lo adiutorio. E poy tolla la mane de lo infirmo cum li soy mani | e la extenda secondo la rectitudine e la sublevi da la spalla separata, e bassi | un pocheto la sua mane verso lo ventre. Et uno ministro tegnia la testa de | lo infirmo azò che al non se mova. E cossì la dislocatione retorna lezera- | mente, overo fiza per altro modo, zoè che al se trovi uno homo forte che |25 sia più longo cha lo infirmo, e pona la sua spala soto la seya de lo infirmo | e de quello lato undo è la infirmitade, elevi la seya cum forteza de sopra | fina che tuto lo infirmo sia levato in lo aere, et uno altro sia lo quale | traha la sua mane in zoso a lo suo ventre; ma se lo infirmo fosse lezero, | el besognia che alcuna cosa fiza suspesa425 seco, azò che per quella ello fiza più |30 grave; et per questo modo tosto se farà la reductione. Et alcuna volta fizeno | reducti in questo modo, zoè che ti pona lo adiutorio sopra lo grado de la | scala, lo quale grado sia involzuto de panni molli, e poy la mane de lo in- | firmo fiza extesa in zoso da una parte, e da l’altra fiza trata fortemente, e cossì | la dislocatione retorna a lo suo loco proprio. Ma el besognia che lo grado |35 de la scala fiza locato apresso lo principio de lo adiutorio inanze ch’el fiza desteso, //43v// però che per questo el teme che nol se rompa. Et anchora se reduce cum altri mo- | di simili a questi li quali mo non m’è licito de narrare, azò che non faza lo libro | tedioso per la longeza del parlare. E quando la dislocatione serà retornata | a lo suo loco, fiza ponuto soto lo titilico, zoè soto la lesena, una bala de lana |5 o de curamo o de panno. E poy fiza ponuto lo emplastro preparato de polvere | del molino cum clara de ovo et incenso, e lo emplastro fiza revolto sopra | tuta

425 Con a corretta su o.

4.3 Testo 

 279

la spala; e poy fiza ligati cum aconza ligatura e si besogna che la mane | de lo infirmo fiza ligata al colo. E lo cibo suo sia in prima pocho, fina che | lo membro se conforti uno pocho; e poy lo cresiray e fina a seti dì el non |10 besognia che al fiza desligata la ligatura. E se la dislocatione serà per | la humiditade o per altra casone, alora besognia che ti usi de lo scotamento; | e se pos la sua sanatione el ge venisse graveza in lo suo membro | e tarditade in lo suo movimento, alora besognia che lo infirmo fiza bal- | neato molti volti fina che la graveza fiza molificata e retorni a la sua |15 prima natura.

De la dislocatione de lo gombeto. | La dislocatione de lo gombeto fi facta più difficile, zo[è] più grave, cha | tuti li altri, e simelmente la sua reductione, e quello è per la moltitudine de li  | ligamenti che conteneno quello gombeto e per la sua curteza, et anchora per la con- | trarietade de la sua concavitade. E cotale dislocatione fi facta ad ogni parte, |20 e specialmente a la parte de dreto e de dentro, e quella è pezore e più grave  | la quale vene da dreto per la desobedientia de la carne. E la significatione | de questa dislocatione è asé manifesta, imperò che uno dosso appare da | una parte e la concavitade da l’altra, e non è possibile che lo infirmo dopli | lo brazo, né cum quello se pò tochare la spala, et anchora se declara mani- |25 festamente per la diversitade che è inter lo gombeto dislocato e inter lo | sano quando noy li conzonzemo. E non besognia che al se indusij la sua | curatione azò che al no sopravegnia lo apostema caldo, anze besognia | che prestamente se faza la sua curatione, però che lo apostema vene a questo | loco per lo grande dolore, e forse che in tuto non recive sanitade, e special- |30 mente se la dislocatione serà de fora, e forse che lo infirmo more per quella | per la graveza de lo dolore. Adoncha quando la dislocatione serà pizena, | alora se reduce cum pocha extensione, e cossì è zoè che uno ministro tegnia | la spala de lo infirmo e l’altro tegnia lo brazo e lo extenda. E poy lo medico | pona li soy mani sopra lo gombeto e constrinza la zontura cum li soy diti |35 grossi, o cum la radice de la sua palma fina che al retornarà a lo suo loco. //44r// E se la dislocatione serà de dentro, alora fiza reducta como dice Ypocras, | zoè che lo brazo fiza desteso da doy ministri como noy avemo dicto; e poy | fiza duplicata la mane cum la mane fina426 che la spala fiza tochata da la | mane; e cossì se aconzarà incontanente. Et se ella serà de dreto e non |5 obedisse, alora è necessario che lo brazo fiza desteso cum grande extensione | e fiza revolto ad ogni parte, e lo medico unza le sue mane cum alcuno oleo | azò che ello lo aydi in la

426 Con f corretta su p.

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lubricitade, zoè biusgamento. E poy calchi la zontura | cum grande impressione, zoè calcamento, fina che al’intri; e poy fiza strento cum | oleo restaurativo, zoè constrictivo, como è de besognia. E lo brazo de lo infirmo |10 sia suspeso al collo, e così fiza lassato per alcuni dì e poy fiza desligato. | E se ti cognoseray che la zontura sia firmata in lo suo loco, alora desliga | la ligatura e lassela cossì. Et se ella non serà firmata, retorna anchora | suso lo emplastro e la ligatura fina che al fiza firmato. E se pos la sua | firmatione advegnia gravitade e tarditade in la zontura apresso lo suo |15 movimento, alora lo loco fiza balneato in lo balneo e fiza fregato cum legereza | fina che al fiza molificato. E se al te piase, pone sopra lo alefo de la aneda | cum botero de temperata caliditade, e quello besognia denanze da lo balneo | e pos lo balneo.

De la dislocatione de la zontura. | Quando advene che la zontura de la mane fi dislocata, la sua reductione  |20 è lezera. Adoncha lo ministro extenda lo brazo in dreto e lo medico  | extenda la mane verso lo contrario de quella parte, zoè inanze; et extenda | zescaduno de li diti comenzando da lo grosso e pervenendo a lo minore  | però che cossì se inguala. Et anchora è uno altro modo, zoè che la | zontura de la mane fiza ponuta sopra alcuna tavola, e lo ministro extenda |25 quella mane cum extensione convenivele; e poy lo medico pona la sua | palma sopra la eminentia,427 zoè alteza, de la zontura e calchi fina che al  | fiza facta la sua reductione naturale. E poy fiza strenta cum emplastro | e fiza lassata per alcuni dì; e poy fiza desligata e fiza lassata e la mane | fiza movesta. E se al è defecto in lo suo movimento, o che in quella |30 è graveza, alora fiza ben lavata cum aqua calda e fiza fregata | fina che ala fiza molificata.

De la dislocatione de li diti de la mane. | Quando alcuno dito de la mane se disloga, alora fiza reducto per | questo modo, zoè che lo digito fiza desteso e la alteza fiza calcata | cum li digiti grossi fina che ala fiza reformata. Et per questo modo |35 la reductione de la dislocatione de li digiti de li pedi.

427 Con e iniziale corretta su una lettera precedente.

4.3 Testo 

 281

//44v// De la dislocatione de li spondilij.428 La dislocatione de li spondilij, | zoè de li nodi de lo spinale, è molto timorosa, e, specialmente se ella | serà completa, lo infirmo senza dubio morirà per la strentura de la nucha. | La sua significatione si è aspandere la stercora e la urina senza voluntade, |5 la qual cosa procede per debilitade de li lacerti, zoè musculi, e de la vesica e | de lo culo. Et alcuna volta se debilita alcuni membri, como è lo brazo, | li gambi e li pedi, e s’el se disloga lo primo spondilio del collo che è appresso | la nucha, si tolle lo fiato de lo animale e more subito. Adoncha quan- | do la dislocatione serà in li spondilij del collo, alora extende la testa de |10 lo infirmo lezeramente in suso, e poy lo spondile fiza ingualato cum ne- | cessario calcamento; e quando ello serà restaurato in lo suo loco, fiza ponuto | sopra quello lo emplastro restaurativo, e poy, ponuti sopra li piumazoli, strinze | sopra la astela secondo la largeza e longeza del collo, e ligela a la testa et a lo | adiutorio, azò che forse non se mova dal suo loco. E li fili cum li quali fi strenta |15 non siano rotondi, perché elli faraveno danno, ma siano de li lati de li panni. Ma | se la dislocatione serà in li spondili del dosso, zoè de lo spinale, alora considera | a quale parte se volza, perché è possibile che ella fiza verso quatro parti; et se | ella fiza verso la parte de dentro apresso lo peyto non è remedio429 in la sua cura- | tione, perché ella non se sana, e cossì in quella che fi facta verso li doy lati. |20 Ma quella che fi facta verso la parte de fora fi dicta gobba, e se ella serà | da la puericia non guarisse in nusuno modo, anze la sua curatione, como | dice Ypocras, o che al è infirmitade o morte; e nientodemeno quella che | fi facta per cazimento o per botta e simili fi curata. Adoncha fiza facto | como dice Ypocras, zoè che lo infirmo stia butato sopra lo suo ventre e |25 soto luy sia alcuna cosa humida430 o mole, azò che lo suo peyto non se danni, | e lo medico stia sopra lo loco cum li soy calcanei e cazi la gobba de dentro | fina che ella retorni a lo suo loco; o che al pona li palmi sopra lo spondi- | le e calchi forte fina che al retorni; o che al pona sopra una tavola, e poy | sopra la tabula pona li soy pedi, e calchi bene fina che al fiza reforma- |30 to secondo la sua natura. Ma se ello non porà fir reducto per questo modo, | alora fiza tolta una tabula de equale mensura e fiza ponuta una de li soy | extremitade in lo buso che ti debi avir facto in la parede apresso la quale stia | lo infirmo, e lo mezo fiza locato sopra la gobba, e lo medico pona li soy | pedi sopra l’altra extremitade e calchi fina che lo spondile retorni. E poy |35 che al sia reducto et ingualato, fiza ponuto sopra lo emplastro e poy li plumazoli //45r// de stopa fizano ponuti, e sopra fiza 428 De la dislocatione de li spondilij] sullo stesso rigo e successivo a La dislocatione de li spondilij. 429 Con o corretta su j. 430 Con -da corretto su -le.

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ponuta una astella lata secondo la quan- | titade de tri digiti e longa secondo la quantitade che pilij tuta la gobba | et alcuna de cosa de la parte sana. E poy fiza ligato cum ligatura convenivele, et | se al ge remanirà alcuna cosa de la gobba in lo loco pos la restauratione, alora è |5 necessario usare de li medicini molificativi e linitivi per longo tempo cum | appositione de la astella che avemo dicta. E de tuti alcuni sono li quali | usano in questo la lama del plombo.

De la dislocatione de lo galone. | La dislocatione de lo galone vene in quatro modi, lo primo si è che ello fi | dislocato de dentro, lo secondo de fora, lo terzo denanze e lo quarto de dreto. |10 E per la più parte se disloca de fora, e pocho se dislocha431 de dentro. E la significa- | tione de la dislocatione de dentro si è però che, quando ti conzonzi la gamba de | lo infirmo insiema, lo pede dislocato se trova più longo e lo so zinogio è | più in zoso, overo più eminente, cha l’altro, e non è possibile che lo infirmo | duplichi lo suo pede verso lo pectinaculo, e lo loco de lo pectinaculo è inflato |15 de manifesta inflatura, però che la summa parte de la coxa è pervenuto a quello. | E la significatione de la dislocatione de fora si è per lo contrario de la predicta, | zoè che lo pede dislocato se ascurta, e in lo pectinaculo vene la profunditade | et in la sua parte contraria vene la alteza, e lo zinogio appare quasi bassato | de dentro. E la significatione de la dislogatione denanze è quando è possi- |20 bile che lo infirmo dopli la sua gamba secondo che al vole. E nientode- | meno quello non è senza dolore del zinogio, e non è possibile che al possa | andare in nusuno modo se no sopra lo calcaneo, e la sua urina fi retegnuta, e | lo loco de li pectinaculi se sconfia. E la significatione de la dislocatione de | dreto si è però che non pò doplare lo zinogio se in prima non doplichi lo inguine, |25 zoè in lo pectinaculo; lo pede se ascurta e lo pectinaculo appare molificato, | e lo capo de la coxa fi manifestato apresso la nadega. Adoncha el te besogna | in primamente considerare se la dislocatione sia antiqua o frescha inanze che | ti vegnia a la reductione de cotale dislocatione; se ella serà anthicha, in | nusuno modo non è remedio in quella; ma se la serà frescha, ella fi ben curata. |30 E la comune curatione la quale se convene in tuti li soy specie è quella che | ha monstrata Ypocras, zoè che ti tolia la coxa, et extendendo volze la zon- | ctura da dextra e da sinistra fina che ella retorni a lo proprio loco. Et | anchora è una altra comune curatione, zoè che uno ministro forte ex- | tenda la gamba de lo infirmo de soto cum li soy mani, overo cum uno ligame |35 dondo se liga la gamba de sopra

431 l corretta su c?.

4.3 Testo 

 283

del zinogio, et uno altro ministro sia lo quale //45v// tegnia firmo lo corpo. E poy, ponuto de soto lo ligamento, lo medico sia da | uno lato in lo quale è lo infirmo e tegnia una extremitade de quello li- | gamento, e l’altro sia da l’altra parte lo quale tegnia l’altra extremitade, e siano | tuti doy equalmente extendendo e strinzano la zontura. E nientodemeno lo me- |5 dico sia solicito dal suo lato che al cazi e calchi432 quella cum li soy pedi o | mani fina che ella fiza reducta a lo loco proprio, la significatione de la quale | cosa si è però che quando ti zonzi tuti doy li gambi de lo infirmo tu li trovaray | equali, e si è possibile che ello strinza e largi la sua gamba. E poy ge fiza | ponuto lo emplastro e fiza strento como è de besognia, e comanda a lo in- |10 firmo che ello sia quieto, azò che lo galone non se mova ad alcuna parte; | e cossì fiza lassato fina a zinqui o setti dì; e poy desliga la ligatura e lo | emplastro e conzonze l’una gamba cum l’altra. Et alora se ti vederay che | ay siano equali, zà è confirmata la dislocatione; adoncha comanda alora  | a lo infirmo che al usi del balneo. Ma se ti vedi che la dislocatione |15 non se firmi, anze se molificha, alora retorna a lo emplastro et a la | prima strentura fina tri o quatro dì; e poy fiza desligata e non habia | freza de andare, anze tardi per alcuni dì fina che la dislogatione sia ben | firmata. Ma se la dislocatione serà per molta humiditade che ye vene, | alora a quello ye administra lo scotamento pos la sua reductione, como |20 se monstrarà in lo suo loco.

De la dislocatione del zinogio. | Li antiqui savi àno dicto che lo zinogio fi deslogato per tri modi, lo | primo si è de dentro, lo secondo de fora, lo terzo de dreto; e may non | se disloca denanze, e questo è per la rotulla, zoè patella, la quale lo deveda. | E la significatione de questa cotale dislocatione si è però che la gamba non |25 se adherisse cum la coxa, e la sua reductione como voya se sia la dis- | locatione è simile a la reductione de lo gombeto, et è una medesima | curatione, per la quale cosa in questo fizano facti tuti li cosi che avemo | dicto de lo gombeto.

De la dislocatione del calcaneo. | La dislocatione de lo calcaneo non fi fata se non de dentro o de fora, |30 e la sua significatione è la inflatione de lo calcaneo verso la parte | a la quale declina. E quando el fi removesto de pizena remotione, el | basta lezere extensione, e se al fi

432 Con l aggiunta in interlinea.

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removesto de granda remotione, | ello abesognia de forte extensione. E lo modo de la sua reductione | si è che lo pede fiza exteso forte da uno homo, e lo corpo fiza retegnu- |35 to da uno altro, e lo medico cum li propri mani reduca l’osso a lo suo //46r// loco. E poy fiza ponuto lo emplastro e fortamente fiza ligato cum ligamento, | de lo quale una parte a la planta del pede e l’altra vada a la cavigia e | fiza ligata. E guarda bene in questo che lo nervo lo quale è sopra lo cal- | caneo in la parte de dreto non fiza dannato per la grande ligatura, et |5 a lo infirmo fiza comandato che al non vada fina xl dì, azò che anchora | non se dislogi e la curatione fiza rota.433 Ma se a questo membro vegniarà  | lo apostema caldo, alora cura quella cum quello che se convene de | la sua curatione fina che al quiescha, zoè cessi. |

*** El se comenza lo secondo libro del Bruno. |10 Poy che mi, Bruno de Longo Burgo, a ti amico carissimo, | ho completo sufficientemente in la prima parte de questo | libro de la solutione de la continuitade, cossì simplice como | composita secondo tuti li soy speci, me propono cum la gratia | de lo artorio de Dio de drizare lo meo corso a la cura |15 de li altri infirmitade, vegniando cossì de dentro como de fora, zoè | quanto s’apartene a lo instrumento cyrogico. Et in prima dirò de li pas- | sioni de li ogi. | //46rA// Capitulo primo de li passioni | de li ogi. |20 Capitulo secondo del polipo. Capitulo iij de li passioni de li labri, | de la bocha e de la gola. | Capitulo iiijo del dolore de li denti.434 | Capitulo v de li apostemi secondo |25 tuti li soy speci. | Capitulo vj de la significatione de  | la maturatione de li cosi che debeno  | venire fora secondo lo complemento | de lo regimento de tuti li cosi da insi- |30 re pos la sua maturatione. | Capitulo vij de li scrophuli e de li | altri superfluitadi che ye someyano. | Capitulo viij de alcuna superflui- | tade la quale comunamente fi435 //46rB// dita nata e simelmente de la inflatione  | che appare in li mamili de alcuni homini. |20

433 fiza rota] Ediz. lat.: corrumpatur. 434 Ediz. lat.: aurium. 435 Fine della colonna sinistra.

4.3 Testo 

 285

Capitulo viiij de la abstractione de l’aqua | de li ydropici. | Capitulo xo de la comune eminentia che | vene in siphac, zoè in quello panniculo del ventre. Capitulo xj de la hernia secondo tuti li soy speci  |25 e de lo apostema de li testiculi et anchora | de la molificatione de la sua codega. | Capitulo xij de li homini da fir castrati. | Capitulo xiij de lo hermofrodito. | Capitulo xiiijo de li brisoli e pori che veneno |30 in la virga et in li altri parti del corpo e | de li clavi e de li formici. | Capitulo xv de li hemoroydi. | Capitulo xvjo de li fistuli che veneno in lo culo. | Capitulo xvijo de la preda che nasce in //46vA// la vesica del ventre. | [C]apitulo xviij de li scotamenti. | //46vB// Capitulo xix de la436 combustione del focho. Capitulo xx del spasmo super veniente a la piaga.

//46v// Capitulo primo de li passioni de li ogi. | Li passioni de li ogi sono molti e diversi, perché alcuni de quelli sono lacrimi, |5 rosseza, inflatione, panno, ungula e sangue lo quale vene per botta | e simili. E sono simelmente altri passioni, et eyo farò memoria de zescadu- | na secondo lo complemento. Dico437 adoncha che li lacrimi fizeno in doy modi, | lo primo si è da la casone de dentro, e l’altro da la casone de fora; da la casone  | de dentro como è da li humori aquosi descendenti da la testa a li ogi, ma |10 da la casone de fora como è per alegreza o per ira e simili, zoè per li accidenti de la | anima, per li quali fi facta una compressione in lo cervello dondo vene zoso l’aqua. | E sapia che lo fluxo de li lacrimi da la casone de dentro descende alcuna | volta per li veni più setili438 de la crapa, alcuna volta per li veni superiori; | et in questo occorre la significatione distincta, zoè che quando elli descen- |15 deno per li veni più setili, alora cum quello se sternuta, e quando descendeno | per li veni superiori, el se sente in li veni de la fronte e de li tempij quasi de-  | ambulatione, zoè discorimento, de formici. E la sua curatione è | che in prima la testa de lo infirmo fiza raduta, e poy lo collo e la gola | fiza strento cum ligamento dolce e lato fina che la vena che

436 Con a corretta su i. 437 Con o non chiusa. 438 più setili] ediz. lat.: subteriores; ms. lat. G: subtiliores.

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è in la fronte |20 apparia; e poy tolle doy agogi cum fili sutilissimi e fali passare ultra | soto la vena, cossì però che la vena non fiza busata, et una sia da lonze | da l’altra per spacio de tri unci; e poy | in mezo de quelli talia la vena in | traverso e lassa insire lo sangue fina che al te apparia bastare. E poy | li capi de li veni fizano gropiti cum li predicti fili azò che lo439 sangue se constrinza; |25 e poy ge fiza ponuto lo bambasio cum stupa balneata in la clara de l’ | ovo, e s’el serà necessario ge fizano ponuti li medicini strinzenti lo | sangue; e poy la piaga fiza curata como se cura tuti li altri piagi; e cossì | simelmente si de’ fare in li veni de li tempij. E se la infirmitade serà | da uno lato, la vena se de’ taliare solamente da uno lato. A quello ge |30 zova li cauterij, zoè scotamenti, li quali diremo in lo capitulo suo. Anchora | a quello fiza questo emplastro in la fronte o in li tempij, azò che quelli lacrimi  | fizano desiccati: Recipe aloes, incenso, mastice, bolo armeno, acacia, mirra,  | ana parti equali; tuti fizano tridati e pulverizati, e cum aqua rosata o | pluviale fizano confecti. A quello uno colirio bono vale che fi ponuto in |35 li oculi: Recipe incenso, mastice, aloes epatico, preda,440 emathites, litargiro,441 //47r// ana parti equali; e fizano confecti cum aqua pluviale. E se in l’ogio serà | splurimento, lo aloes epatico442 fiza pulverizato e distemperato cum vino biancho | et aqua rosata cum equale mensura; e fiza administrato como colirio. | E quando li lacrimi descendono per li veni più sutili de la crapa, alora è |5 necessario che la testa fiza purgata cum quello che se convene, como | sono li piluli de yerapigra o cum pilluli aurei. Et anchora è necessario | che lo infirmo se guardi da li cibi humidi fina che al se sani. Poy be- | sognia che ti guardi bene che li pili che soleno fir facti in li palpebri ultra | la natura non te ingani, però che cotali pili ponzeno li ogi e li faceno  |10 continuamente lacrimare, per la qual cosa alora inversa la palpebra e circali | bene, e poy che ti li abi trovati pilieli cum retorti picigatori e strepali | fora.

[De rubore oculorum.]443 E quando la rosseza e la inflatione vene a li ogi o la macula, | alora tale medicina e cirugia se operi. In prima la fronte de lo infirmo | fiza raduta, e la incisione fiza in traverso supra la fronte444 de tri unci men- |15 surati da una extremitade de la 439 Con o corretta su una lettera precedente. 440 Aggiunta del solo ms. lat. O (lapis). 441 Richiamo di fascicolo nel margine inferiore: ana. 442 In interlinea e con inchiostro di colore molto chiaro. 443 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat: om. G. 444 Con t aggiunta in interlinea.

4.3 Testo 

 287

tempia fina445 a l’altra. E nientodemeno guarda | bene che li lacerti, zoè musculi, che sono in li tempij non fizano dannati. Et | quando lo sangue sufficiente serà venuto fora, alora446 scotta la taliatura  | cum ferro brusato convenivelmente; e poy ge fiza administrato lo botero | o altra447 simile cosa fina che lo foro caza fora, e fiza curato cum l’altra |20 curatione de li piagi.

De lo panno che vene in li ogi per humore e per | li piagi male curati. | Lo panno de li ogi, quando fi facto per li piagi o pustuli, è incurabile, | como dice Constantino; ma quando fi facto per humore locante e adunante | inter la uvea, zoè concavitade de l’ogio, e la cristalina, pò ben fir curato. Ma |25 el te besognia considerare se al è frescho o sutile, e lo fresco è possibile fir | curato cum medicini, ma quando ello è antiquo e grosso non fi curato cum | medicini, ma alcuna volta fi curato cum cirugia. Adoncha quando | lo panno serà sutile e frescho, alora ge fiza administrata questa medicina: | Recipe succo de papavero rosso, succo de virga de pastore, zoè de garzone, ana parti |30 equali; et in modo de colirio fizano ponuti in l’ogio; e se ello ha besognia | de più forte medicina, fa’ polvere de sarcocola, de zucharo, amido e canphora | secondo la equalitade de li parti. A quello anchora: Recipe tucia dramme j, spuma de | mare, scorza448 de ovo, ana dramme ij; antimonio, biacha, ana dramme .ſ. Anchora | a quello diceno che la limatura del ramo molto vale se ella fiza temperata cum |35 aceto, e449 per vii dì fiza ponuta al sole e poy fiza desiccata.450

//47v// De la ungula che vene in li ogi. La ungula molti volti451 | fi facta in li ogi e si è de doy speci, una de li quali è nervosa e dura, como | dice Albucasis, simile a siphac duro subtile, e l’altra non è nervosa simile | a la humiditade congelata452 biancha. E comenza nascere da la lacrimale, |5 e poy monta a pocho a pocho fina che ala copria lo videre. E lo modo de la  |

445 Aggiunto in interlinea. 446 Segue talia depennato. 447 Con a finale corretta su o. 448 Aggiunto in interlinea sopra gussi. 449 Lettura non sicura. 450 Numero di fascicolo nel margine inferiore: d. 451 De la ungula ch(e) vene i(n) li ogi] sullo stesso rigo e successivo a La ungula molti volti. 452 Con a finale corretta su e.

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curatione si è che la fiza separata per cirugia, specialmente quando ella è nervosa | e dura. Nientodemeno la operatione de la cirugia in li ogi è timorosa molto, | perch’el’è paura che al non se tochi la tunica, zoè pelle, cornea e ye vene la | rotura, e che la pupilla, zoè la lume de l’ogio, non fiza perforata; et avignadio |10 che non valia, né possa zoè complitamente, nientodemeno a tuto meo potere mi | comenza amistrare secondo lo modo de li antiqui. Et è che lo infirmo | logi la sua testa in lo tuo sino; e poy eleva la palpebria in suso cum la tua mane, | e pilia la ungula cum lo rampino che abia pocha plicatione, et | elevela in suso. E poy tolle la gogia e pone in quella gogia uno pilo de li pili |15 de cavalo o de bo e forse anchora lo filo,453 e la extremitade de la gogia sia | replicata uno pochetto; e poy fala passare la ungula, e liga la ungula | cum lo filo et levela in suso; e poy scortega quella cum lo rasorio in lo lato, | zoè in la radice, de la ungula che seguisse la pupilla fina a la sua fine, como | se ti volesse taliare quella cum lo rasore. E poy talia l’avanze apresso la radice |20 de la lacrimale o cum spatuleti o cum forvecini pizeni. E guarda bene che | ti non talij la carne naturale che è apresso la lacrimale, però che per questo ve- | gniarave lo curso continuo de li lacrimi. Et molti volti la ungula se pilia | cum lo solo rampino o cum filo, como è dicto, e fi trato in suso, e poy fi | scortegata cum spatula sutile secondo lo modo de razere. E quando ti ay |25 completa la tua operatione, pone in l’ogio un pocho de sale, azò che quello de | la ungula che g’è romaso deslengui, overo un pocho de aqua454 de sale e de cimino pistati | de’ fir ponuta dentro, e poy de sopra pone lo bambaso infuso in la clara | de l’ovo et oleo rosato, azò che al se apadimi lo apostema caldo. Et se in | la matina l’ogio appare scaldarse, alora retornege quello che mitigi lo apostema; |30 e se non, alora fiza curato cum quello che se convene fina che al guarisca. Cotale | cirugia fiza operata in lo panniculo quando è antiquo e duro; ma se la gogia | non porà fir ponuta in la ungula, e lo rampino non se ficha in quella per la sua | tenereza,455 però che ella non è nervosa, alora forse firà curata cum medicini, | como è dicto de sopra. Alcuna volta in li ogi appare carne superflua, alora |35 è necessario che ella fiza extesa cum lo rampino, e poy saviamente fiza //48r// scortegata cum li spatuleti fina che niento remagnia de quella; e poy pone | in l’ogio un pocho de sale pista, azò che quello che g’è romaso de quella fiza coro- | duto. E de sopra pone lo bambasio infuso in la clara de l’ovo, azò che lo | apostema caldo non ge vegnia; e cossì fa’ anchora quando advene la |5 eminentia de la carne in la lacrimale. Ma el besognia ch’el se guardi bene | che la incisione non pervegnia a la carne naturale e per quello vegnia lo corso | de li lacrimi.

453 e forse ancora lo filo] ediz. lat.: vel etiam filum forte. 454 de aqua] aggiunto in interlinea e segnalato tramite richiamo nel rigo. 455 Con e prima di z corretta su una lettera precedente e poco leggibile.

4.3 Testo 

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[De sebel.]456 Molti volti inciseno sopra l’ogio vene rossi et impedisseno  | lo vedire; alora è necessario, se l’ogio non è molto debilitado per quelli, | nì cum quello non457 è altra infirmitade, che ti recogli quelli veni cum rampini |10 e li talij cum spatuleti o forvecini fina che fizano removesti. E guarda | bene secondo la tua virtude che ti non faza nocumento a l’ogio. E poy pone | in l’ogio alcuni medicini corosivi, como è sale e simili, e pone sopra l’ogio | de quelli cosi che mitigano lo apostema.

[De sanguine in oculis consurgente.]458 Quando lo sangue se leva in | li ogi per botta e simili, e serà459 molto sangue, alora in principio da la |15 vena cefalica salassa lo infirmo, e poy sopra l’ogio pone li cosi repercussivi | fina che lo sangue se parta. E se per questo lo sangue non se removesse, el | ge debeno fir administrati li dispersivi et a l’ultimo li resolutivi. Et | de li emplastri boni che disperdeno e resolveno cotale sangue è lo cimino | pulverizato, e fiza scaldato spesse460 volte al focho cum cera; e poy pone quello |20 caldo sopra l’ogio e fa’ questo molti volti fina che lo sangue se parta.461 Alcuna | volta advene ad alcuni homini che la palpebra se consolidi cum lo biancho de l’ | ogio, e per quello fi impedita la operatione naturale; adoncha el besognia che | alora la palpebra fiza extesa in suso cum lo rampino. E poy talia quella che | se tene cum alcuno instrumento secondo lo modo de la excoriatione; e guarda |25 bene che ti non damni l’ogio. E poy distila in l’ogio aqua salmacina zoè462 | e lavelo cum quella; e poy pone inter la palpebra e l’ogio uno licinio de bamba- | sio, azò che la sua coniunctione non possa più retornare, e pone sopra l’ogio | la clara de l’ovo, azò che lo loco sia securo da lo apostema caldo. Alcuna | volta advene che la tunica, zoè pelle, uvea, zoè cornea, se rompe et appare |30 fora de li palpebri quase como al fosse uno grando de uva. Et alora, co- | mo dice Aly, la sua cura non è perché lo vedire retorni a l’ogio, ma che la463 456 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat.: om. O, E, G. 457 Aggiunto in interlinea con inchiostro di colore molto chiaro. 458 Rubrica di paragrafo; ediz. lat.: om. B, E. 459 Segue asay depennato in rosso. 460 Davanti alla s iniziale c’è una s cancellata. 461 Segue nell’ediz. lat.: item est emplastrum quod habet confortare oculum et mitigare dolorem; et si fuerit dolor ex percussione vel casu ut Recipe folia rosarum et sandalos albos et rubeos et cum vino albo bulliant, et superpone. 462 Manca il completamento della glossa introdotta da zoè. 463 Con a corretta su o.

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eminentia464 | de l’465 ogio466 se parta e la sozura, e che l’ogio in alcuno modo se reformi. Adoncha | la sua curatione è che ti intrometi la gogia in la radice de la uvea, zoè | de quella pelle, de soto in suso; e poy intromete una altra gogia in la quale sia |35 lo filo doplato da la parte de la lacrimale, e fala passare anchora fina a la //48v// radice de la uvea fina che ella passi. E la prima agogia fiza lassata secondo  | che ella era stata, e talia lo filo duplicato; e poy cum una parte del filo | ligaré una parte de l’uvea in suso e l’altra parte in zoso. E quando ti | averay ligato cossì, tira fora l’agogia e sopra l’ogio pone de quelli |5 cosi che mitigano lo apostema, e cossì lasaray467 quello fina che lo | filo cum la uvea caza, e curalo poy fina che al guarischa. Et al- | chuna volta l’ogio avanza fora totalmente e non ye vene nocumento | in lo videre, alora, se ti voli reducere dentro quello, salassa lo infirmo | poy che lo suo ventre sia curato; e poy pone le ventose in la coppa sua |10 senza scarificatione. E sopra l’ogio pone lo emplastro de cosi stiptici, | como è acacia, e aloes, e incenso, e sarcacola, e strinzelo pos poy cum | molti piumazoli cum grande strinctura secondo la sofriscanza de lo mem- | bro e lasselo uno dì cum la sua nocte. E removelo468 anchora azò che lo  | ligamento non fiza molificato, e se questo venisse, strinzelo anchora lo ligamento  |15 cum forte strentura; e poy desligalo pos lo dì e la nocte, como è dito. | Et alora se ti vederay che l’ogio sia retornato,469 sta bene; ma se non retor- | na anchora, la tua curatione cum li emplastri, e piumazoli, e strentura, | e cum ventosi senza scarificatione o scarpelatione in la coppa fina che | l’ogio retorni.

[De cura cataractae.]470 Anchora molte volte in li ogi vene una infirmitade |20 che ha nome catharacta, e si è aqua che fi congregata sopra la pupila. | E li soy signi sono che la impedisse lo videre, specialmente quando ella  | è confirmata, e la pupilla appare opilata quando ella fi guardata. E cotale | aqua è de doy471 speci, de li quali una è curabile e l’altra è incurabile; | e lo signo de quella che è curabile si è perché, quando ella fi

464 Aggiunto nel margine destro. 465 de l’ogio] aggiunto nel margine sinistro. 466 Aggiunto in interlinea sopra vedere depennato. 467 Con a prima di y corretta su -é: si passa dalla forma di fut. lasarè a lasaray. 468 Ediz. lat.: prospice. 469 Con -to aggiunto in interlinea e segnalato tramite richiamo nel rigo. 470 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat.: om. mss. lat. B, E. 471 Segue modi espunto.

4.3 Testo 

 291

guardata, ella |25 appare clara; e quando ti comandaray che lo infirmo seri l’ogio, e poy quando | ti calcharay cum lo tuo digito grosso la palpebria de dentro in l’uno lato | et in l’altro, zoè in zà et in là, e poy quando sia anchora aperto l’ogio ti ve- | deray l’aqua separata, e poy retorna incontanente e se congrega, alora simel-  | mente è curabile. Ma quella che è nigra e che non se move cum lo |30 calcare e non retorna e pos quello se congrega, è incurabile, però che ella | è non confirmata. E la curatione de quella che fi curata è per questo modo, | zoè che ti comandi a lo infirmo che al seri l’ogio sano e che al pona sopra | la sua mane; e poy apre l’ogio infirmo e tolle lo instrumento cum lo | quale soleno cazare fora cotale aqua, e pone la472 sua473 extremitade in lo |35 loco lucidissimo da la parte de la lacrimale minore474 apresso la cornea de l’ogio. //49r// E poy calcha lo instrumento e revolze cum quello la tua mane fina che | al passi lo biancho de l’ogio e senti che quello è zà pervenuto a lo loco | vacuo, alora tende475 a lo loco del buso476 de l’ogio undo è l’aqua. | E quando lo instrumento serà pervenuto a lo buso de l’ogio, ti lo vederay mani- |5 festamente in lo buso soto la tunica, zoè pelle, cornea. E poy calca in zoso | quello instrumento a pocho a pocho e cum quello trahe l’aqua in zoso, et | alora, se ti vederay che l’aqua non retorni a lo loco e lo infirmo subito | ge vede e dicernisse quello sopra lo quale cade lo videre, trahe fora lo | instrumento revolzendo a pocho a pocho. Ma se l’aqua retornarà a lo locu, |10 depone quella la seconda volta fina che ella non retorni; et alora trahe | fora lo instrumento de l’ogio e distila dentro aqua de cimino e de sale ben  | triti, overo l’aqua477 in la quale sia distemperato un pocho de sale de gema | claro. E sopra l’ogio pone lo bambasio infuso in la clara de l’ovo et oleo | rosato. E poy comanda che lo infirmo stia in la casa oscura, e retene quello |15 da ogni movimento e da la tosse e da lo sternutare. E lo suo cibo sia | sutile e lezero, e478 fina a lo terzo dì non fiza desligato. E poy desligalo e falo ve- | dire li cosi, et anchora ligelo como avemo dito e lasselo fina a vii dì. | Ma se in l’ogio venisse dolore o brusore o apostema caldo, alo’ inanze  | lo termino determinato desligalo et azonzege la sua curatione. E quando |20 serà venuto lo septimo dì desligalo, e simelmente apro’479 lo vedire de lo in- | firmo monstrandeli de li cosi; ma el non besognia che ti faza quello subito |

472 Con a corretta su e. 473 Con a corretta su e. 474 Ediz. lat.: maioris; ms. lat. G: minoris. 475 Aggiunto in interlinea sopra va depennato in rosso. 476 Segue de l’ogio depennato in rosso ed espunto; poi la p(ar)te espunto. 477 Con a iniziale corretto su una lettera precedente. 478 Aggiunto in interlinea. 479 Ediz. lat.: experiaris.

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quando ti averay trato fora lo instrumento, perché l’aqua presto retorna al suo | loco per la grandeza de lo aspecto, zoè de lo vedire. Alcuna volta in li ogi | vene una infirmitade simile a l’aqua descendente in l’ogio, e si è sanie, zoè |25 marza, che fi congregata in quello et impedisse lo vedire. Et Galieno dice | che uno che aviva nome Horestus molti ha zà guariti da questa infirmita- | de per questo modo, zoè che lo infirmo seda drito sopra lo scagno, e la testa | de lo infirmo fiza tolta da l’uno lato e da l’altro, e segutisse quello cum grande | commotione fina che ti vederay manifestamente che la sanie descenda in |30 zoso. E sapia che inter l’aqua descendente in l’ogio e la480 sanie è cotale | differentia, zoè che la sanie non retorna in suso poy che ella è descenduta in | zoso per la sua grosseza; ma l’aqua retorna fina che la fiza premuta molti | volti cum lo instrumento in zoso. E se la sanie non descende como avemo | dito, alora fa’ como faceva Galieno, zoè che ti talij uno pocheto sopra la tunica |35 cornea cum li spatuleti sutili in lo loco unde se continua la coniunctiva cum la cornea //49v// tunica, zoè pelle, fina che la sanie se voyda; e pos la sua evacuatione instila | in l’ogio un pocho de lacte de femina che nutrisca una filia, e poy curalo | cum quello che se convene fina che al se sani.

[De palpebra.]481 Molti volti per grossa super- | fluitade in li palpebri vene una infirmitade che se domanda grando, zoè |5 tempesta, alcuna volta de dentro, alcuna volta de fora. E la sua cura | si è che al fiza taliato sopra quella secondo la largeza; e poy cum lo rampino | fiza trata in suso et in circo fiza scortegata e tracta fora. Et alora se la | incisione serà grande, de fora fiza conzonta cum la cusitura; e se la | serà pizena, fiza curata cum la medicina creativa de la carne fina che la |10 guarischa. Alcuna volta advene che la palpebra de soto se inversi o per  | piaga o per cauterio, zoè scotamento, o per simili cosi. E la sua cura si è che ti ta- | lij la prima consolidatione in lato cum taliatura alta; e nientodemeno guarda | che ti non482 damni l’ogio. E poy separa li labri de la piaga elevando | in suso la palpebra, e pone lo stupino de lino in quella piaga, azò che la palpebra |15 non retorni subito e non se incarni como fo in prima. E poy ligela cum pluma- | zoli coniuncti483 in suso fina che al guarischa. E fuze ogni cosa che exicca et | strinze in la sua curatione, et usa de li cosi molificativi, però che quella che strinze | et exicca, como 480 Segue lettera cancellata non distinguibile (forse accenno di m). 481 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat.: om. mss. lat. O, E, G. 482 Segue talij depennato. 483 Ediz. lat.: et victis; mss. lat. O, B: iunctis.

4.3 Testo 

 293

dice Albucasis, farà retornare la palpebra plù soza. E dice | che cotale curatione non è se no una rectificatione de la palpebra, perché la |20 sua forma non retorna in tuto como ella è stata in prima.

Capitulo secondo | de lo polipo.484 Polipo si è superfluitade de la carne che appare | nascere in la parte de dentro, e la sua casone si è humore grosso e vi- | scoso che incisse da la testa e descende a lo naso e lì se convertisse in carne. | E la sua significatio si è la opilatione de li narise e lo male odore che vene |25 da quelli e la carne azonta che appare nascere in la parte de dentro. Et alcuna | per questa infirmitade lo naso doventa grande e fi de fusco colore, e de pocho | sentimento, e tropo duro, e la carne non descende in zoso, et alora non lo tochare | in alcuno modo, perché485 ello è specia de cancer. Ma se lo naso serà molle e | ben tractabile e non de fusco colore, curello senza paura. Apre adoncha |30 le narisse de lo infirmo e pilia quella carne cum lo rampino et extendela | in fora; e poy tayela cum spatuleti fina che totalmente la sia tolta via. | Et se alcuna cosa de quella ge remanisse per la impossibilitade de talia- | re, alora razela cum alcuno instrumento sutile fina che ella fiza ben | mondificata. E poy pos la incisione cauteriza la radice che g’è romasa |35 cum ferro afogato, overo pone sopra quella la medicina acuta fina //50r// che la coroda quella. E poy fiza administrato lo butiro fina che lo fogo486 | caza da la carne e fiza curato cum li unguenti fina che al guarischa. E | molti volti noy ge damo la cura cum medicina acuta etiamdeo senza in- | cisione e ferro caldo; e poy noy facemo487 tuti li cosi che avemo dicti. Al- |5 cuna volta advene che quella carne fi perduta in li superiori parti de l’ | osso perforato a la quale non pò pervenire lo instrumento. E lo signo de quello | si è quando ti buti in lo naso un pocho de aceto e de aqua o de vino, | e che la testa de lo infirmo sia un pocho elevata da dreto, e che la humi- | ditade non passa a lo palato, e questo è perché se la humiditade passasse a lo |10 palato, alora in li parti de li busi niento serave de questa carne. Adon- | cha la sua cura si è che ti tolia uno filo de lino che sia un pocho grosso | et in quello fa’ molti groppi, et inter ogni groppo sia spacio de uno | digito o pocho meno in traverso. E poy lo infirmo pona una extremita- | de del filo dentro in lo naso cum la tenta o altra simile cosa fina |15 che al pervegnia a lo buso, e traga lo fiato fina che al’insischa per la | bocha; e poy 484 de lo polipo] sullo stesso rigo e successivo a Polipo si è sup(er)fluitade de la carne che appare. 485 Con -ché aggiunto in interlinea. 486 Ediz. lat.: ignis escara. 487 Con -ce- aggiunto in interlinea.

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aduna li doy extremitadi de lo filo, e destendendo quello | a modo de una rasega, lo debi menare fina che quella carne fiza ta- | liata via cum li groppi. E poy che ti abia tracto fora lo filo, pone in | lo naso uno licinio, zoè stupino, uncto de acuto unguento bibito non |20 solamente una volta, ma doy o trey volti, fina che tuta l’avanze de | la carne fiza corosa. E poy curela cum medicini diseccativi e pone | una canella de plumbo in lo naso per alcuni dì fina che al guarischa. | E se altra superfluitade de carne venisse in lo naso, come è vesica | overo verola, fiza curata per quello modo che è dicto del polipo. Capitulo iijo |25 de li passioni de li labri de la bocha e de la gola. | In li labri et in la bocha e in la gola diversi passioni ge veneno, | e mi al presente li dirò de una in una e si ponerò la cura de zesca- | duna a complemento. Dico adoncha che alcuna volta per li humori | acuti vene in li labri ulceratione e arsura o fessura, e de quelli |30 cosi che zoveno a la ulceratione et a la arsura è cotale medicina, zoè | Recipe draganti, amidi, penidij, ana parti equali; fizano pulverizati e cum  | aqua rosata fizeno distemperati, e cum quella se unzi li labri overo fiza  | fata una488 unctione cum oleo rosato o vino. E la medicina che vale a la | fissura si è che ti tolia nuclei, zoè garioli, de489 nuce brusata e pol- |35 vere de la radice de la porcelacha equalmente; e cum melle fizeno confecti. //50v// Et etiamdeo lo solo oleo che vene dal gariolo de la nuce brussata ge | zova molto,490 specialmente quando la fessura è per acuitade de l’aere, e lo psilio | cum zucharo simelmente ge zova; e lo salasso e la ventosatione sotto | lo barbozo zova a li ulceratione e fissure de li labri. Ma quando la |5 fissura non se cura cum li modi de li medicini e non ge zoveno, alora | cauteriza, zoè scota, quella fina a lo suo profundo; e poy la cura fina che ala | guarischa.

[De putrefactione et ulceribus gingivarum.]491 Et alcuna volta el fi putrefactione in li zinzivi o in lo | palato, et alora lo loco fiza lavato cum aceto forte o cum aqua salata, | e fiza fregato fina che lo sangue e la humiditade putrida fiza trata fora. |10 E poy fiza forbito e de sopra fiza ponuta la polvere desiccativa, zoè Recipe | consolida maiore, garofoli, zinamomo, rosi, scorzi de pomo granato, ana | parti equali. E molti volti la putrefactione se invigisse in 488 Aggiunto in interlinea con inchiostro di colore molto chiaro. 489 Segue nuce depennato ed espunto. 490 Aggiunto nel margine sinistro e segnalato tramite richiamo nel rigo. 491 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat.: om. mss. lat. B, E, G.

4.3 Testo 

 295

questi | logi, e de quella vene lo cancer o la fistula. E la sua curatione si è | che la fiza lavata cum aceto o aqua salata e fiza fregata como noy |15 avemo dito. E poy, pos l’abstersione, fiza aborfato de questa polvere, zoè  | Recipe zinamomi, gariofoli, nuce muscata, ossi brusati, rosi, alume | zucharina, cendere de piretro, de li testi e de li gambi de li gambari, | datili, scorzi de pomo granato, de tuti parti equali. E se questa curatione  | non ge zova, alora è necessario cauterizare, zoè scotare, lo loco fina |20 al suo profundo; e se pos lo cauterio la infirmitade non guarisse, alora è | de besognia che lo loco fiza descovatato, e l’osso che è corrupto fiza tolto | via. E poy fiza curato fina che al guarischa. E la carne superflua che | nasce in li zinzivi è necessario che ella fiza suspesa cum lo rampino | e fir extirpata via fina su la radice cum lo rasore. E poy lo sangue fiza |25 lassato insire un pocho, e la polvere desiccativa fiza asborfata de sopra, | ma perché cotale carne sole retornare, el è più secura cosa che pos la inci- | sione el fiza cauterizato.

[De dolore dentium.]492 Lo dolore vene molti volti in li denti, | et alcuna volta la sua casone si è l’apostematione che è in li zinzivi | per l’acuitade del sangue, e lo signo si è lo grande dolore, lo polso, la |30 rosseza, e la inflatione, e lo apadimamento cum aqua frigida. E la sua | cura si è lo salasso in la vena cephalica, e tenire in bocha aqua frigida e | aceto uno dì et aqua rosata uno altro dì. E poy in bocha fiza tenuto | oleo rosato fina che in quello se deslengui dramme j de mastice. Et alcuna | volta lo dolore vene in li denti per frigiditade e per humori grossi e frigidi, |35 e la sua cura si è tenire in bocha aceto in lo quale sia cota la pulpa //51r// de la coloquintida, e radice de capari de costo;493 overo fiza cota la494 scorza | de la radice de capari, piretro, staphisagia, ysopo, cum aceto e cum melle, | e fiza tenuto in bocha insiema; et anchora ge zova se al ge fi ponuta la | tyriacha maiore in la radice de li denti, e de fora fiza evaporatione495 |5 cum aqua calda in la quale sia coti camomilla, fen greco, so- | menza de lino, origano, rose e assenzo.496 Et in la sua oregia fiza gotato | oleo de amandola tepido o oleo comune da quella parte undo è lo dolore. | Et alcuna volta lo dolore fi in li denti per casone del verme congregato lì, | e la sua significatione si è lo splurimento de li zinzivi e la concavitade de quelli |10 492 Rubrica di paragrafo mancante; ediz. lat.: om. ms. lat. E. 493 d(e) costo] d(e) inserito successivamente nel rigo; ediz. lat. decoxisti. 494 Segue radice espunto. 495 Segue e in depennato; poi la quale espunto. 496 fen greco, somenza de lino, origano, rose e assenzo] assente nell’ediz. lat.

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zinzivi, et alcuna volta lo verme insisse per lo buso de li denti; e lo dolore | non è continuo secondo che lo verme repossa e se move. E la sua cura si è | che lo ferro caldo fiza ponuto per lo buso del dente fina che lo verme fiza | brusato; overo fiza brusato cum lo fusto, zoè ………., de pilizolo e de origano, | overo che li busi fizano pieni cum questa medicina: Recipe mirra, storace, semenza |15 de iusquamo, opio, pever, zinziber; e fizano triti e confecti cum melle, perché  | questi mitigeno lo dolore e descazeno lo verme. E se cossì non cessa lo | dolore, la meliore curatione che sia si è destrepare lo dente. E la medicina | che destrepa lo dente senza ferro si è che la farina del frumento fiza con- | fecta cum lato de titimale, e ponela in la radice de lo dente. E lo dente |20 fiza involta cum una casseta de cera, azò che li altri denti non fizano tochati. |

De lo apostema che nasce soto la lingua. | Alcuna volta lo apostema nasce soto la lingua et ha nome ranula, | imperò che al è simile a la rana pizena et impedisse la naturale | operatione de la lingua. E molti volti cresce tanto che la implisse la |25 bocha. E quando ella comenza et è pizena, fiza fregata cum questa medi- | cina, ma che ello infirmo sia inanze purgato,497 zoè Recipe arsenico rosso e | citrino, dramme .ſ.; sale, galeti, pipero, alume, ana dramme j; fizano confecti cum aceto | forte, e lo bambaso fiza balneato in quello e fiza fricatione soto la lingua; e | se ti vole, fa’ de questi trocisci, e quando498 serà besognia, fiza tridato uno |30 pocho de cotali trocisci e fiza fregato soto la lingua. E pos questo fa’ che lo | infirmo tegnia in bocha oleo rosato fina ch’el se padimi lo dolore per la | acuitade de la medicina. E se cotale curatione non ge zovarà perché la | ranula è grande, alora besognia che la ranula fiza taliata e trata fora. | Ma se ti vederay lo suo colore fusco o nigro, et è quasi apostema duro |35 et insensibile, non ge aproximare in alcuno modo, però che al è de materia //51v// melanconica e non recive curatione. Quella ranulla che fi taliata | senza paura è declinante a la biancheza e non è senza humiditade. | E lo modo de la sua operatione si è che ti fichi lo rampino soto la lingua, | zoè soto la ranulla, e fende quello apostema cum lo rampino; e separando quello |5 cum lo rasorio499 tralo fora da ogni circuito; e poy fiza lavata la | bocha cum aceto e un pocho de sale, e lo loco fiza curato cum quello che se | convene fina che al guarischa.

497 ma che ello i(n)firmo sia inanze purgato] assente nell’ediz. lat. 498 Segue se l’ depennato. 499 Segue da depennato.

4.3 Testo 

 297

De la uvla,500 zoè lunella, e de la sua longatione. | Alcuna volta advene che la ulula, zoè lunella, fi elongata e se sconfia | e fi facta cum grande rosseza e caliditade. Alora lo infirmo fiza salas- |10 sato da la vena cephalica,501 zoè de la testa; e poy se faza lo gargaris- | mo, zoè gorgulamento, cum aceto et aqua rosata, overo fizano coti li ba- | laustie, rose, galeti, scorzi de pomo granato cum aceto, e se faza lo gar- | garismo. E se in quella non appare rosseza, anze declina a biancheza, | alora è de materia frigida, alora fiza lo gargarismo cum alume e |15 senavera cum aceto o sirupo acetoso, overo lo gargarismo fiza de sale ar- | moniaco; e se cotale medicina non ge vale, alora è necessario che | la uvla, zoè lunella, fiza taliata. Ma in prima è da considerare diligente- | mente che la lunella non sia sanguinolenta, rotondo, o de colore fuscho | o nigro, o de pocho sentimento, perché alora se de’ guardare da la sua incisione, |20 como consilia lo perfecto Ypocras. E la uvla non se de’ taliare se no quando | ella è biancha, longa e sutile. Lo modo de taliare si è che ti faza | lo infirmo sedere in loco lucido, zoè claro, e uno ministro traha in zoso | la lingua cum alcuno instrumento, e poy pone lo rampino in la uvula et | destendela de fora, e fiza taliata cum instrumento conveniente; ma tu debi |25 ben guardare che ti non talij de quella ultra quello che è azonto sopra lo | naturale termino, azò che per questo la voce non se damni o lo parlare conti- | nuamente. E poy fiza lo gargarismo constrictivo502 cum aceto e aqua rosata, | o cum aqua de decoctione de rosi e de scorzi de pomo granato, de folij | de mirto e de simili cosi stiptici. De li apostemi che nasceno in la |30 gola che àno nome brancile e amandole. | In la gola nasceno molti volti alcuni apostemi che se chiameno | brancile et amandole, la significatione de li quali è la strentura | de lo fiato, e la tractura, e la grave sguratione, et aperta la bocha la lingua  | appare calcata in zoso e li amandole se posseno vedire. E la sua prima |35 curatione è lo gargarismo de li cosi stiptici, secondo che è dicto in lo caso503 //52r// de la uvula, e se quelli non ge valeno, el besognia correre a la cyrugia, zoè | a la operatione de la mane. El te besognia 500 Prima lettera (sia per uvla sia per il seguente ulula) sempre rappresentata come v. 501 Segue de depennato. 502 Ediz. lat.: gargarismus; contritus: add. ms. lat. G. 503 Glossa enciclopedica nel margine inferiore: Alora ch(e) li brancile fizeno sempre in li ganassi, | ma li amigdali, zoè ama(n)doli, sono logi i(n) la | sup(er)ficie, zoè sumitade, de la gola e fizano | diti p(er) similitudine de li amandoli fructi | p(er)ché ay sono soy simili.

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guardare diligentemente che se in quella  | serà fuscatione de colore, dureza e pocho sentimento, alora non presume, zoè non | abia ardimento, in la sua curatione cum ferro, perchè elli sono de melanconia |5 e sono de natura de cancer. E simelmente quando sono de colore rosso e de gros- | sa radice, non presume tochare quelli cum ferro per lo fluxo del sangue, anze las- | selli stare, como dice Albucasis, fina che ay se maturi; e poy busarèli se elli | non se buseno per si, e fiza lo gargarismo de melle, azò che la sanie se forbia. | Adoncha li amigdali a chi se convene la cyrugia sono rotundi e de biancho co- |10 lore e de sutile radice. E lo modo de la sua operatione si è che lo infirmo fiza | ordinato in loco claro denanze a ti, et aperta la bocha uno ministro calchi la lin-  | gua cum alcuno instrumento; et alora ti vederay li amigdali e pone lo rampino | in quelli e trali fora al melio che ti possa. E poy talieli da li radici cum instrumento | aconzo una radice pos l’altra. E guarda bene che li tunici, zoè pelli, che sono appresso |15 a quelli non fizano damnati in alcuno modo. E poy lo infirmo faza lo gargarismo | cum aqua frigida o aceto. Et se al supervene lo fluxo de lo sangue faza lo gar- | garismo cum aqua de decoctione de pomi granati o de mirti e simili cosi sti- | ptici fina che lo sangue se tolia via, e poy fiza curata la piaga fina che la gua- | rischa. E quello che segura da la redditione504 de li amigdali pos la sua inci- |20 sione si è che lo loco fiza cauterizato, zoè scotato, però che molti volti soleno re- | tornare pos la incisione. Et anchora in la gola vene una altra passione che | ha nome folio, però che al è simile a li folij lati, e la sua cura si è che la fiza ta- | liata como nuy avemo dito in li amigdali. De lo apostema che vene | in la gola che ha nome squinantia. |25 Et ultra li predicti mali, molti volti in la gola vene uno malo apostema che fi dito | squinancia, el quale fi interpretato, zoè exponuto, quasi suffocatione, però che al | constrinze lo fiato de lo infirmo che al non pò bivere né manzare, e quello che al | recive è pocho e per forza, quando ella è mala specia specialmente quando vene  | inter l’artaria505 e ysofago506 in lo loco che fi dito ysmon o groppo. E de questo apostema |30 el se dice che al n’è trey speci, una de li quali fi dita quinanzia lato, la materia | de la quale va de dentro in tuto, et alora è mortale; e l’altra fi dita sinancia, | la materia de la quale in tuto vene de fora, et alora non è mortale;507 e 504 Glossa nel margine destro: zoè che no(n) retorni plù. 505 Ediz. lat.: tracheam arteriam. 506 Glossa in interlinea poco leggibile: q(ue)llo loco. 507 è mortale] aggiunto in interlinea al posto di non amaza espunto.

4.3 Testo 

 299

l’altra fi | dita squinancia per nome de l’una e de l’altra, la quale in parte manda de fora la ma- | teria et in parte ne retene, et alora distingue, se la più parte retene de dentro, |35 per la più parte moreno, e se la più parte manda de fora, alora la più parte guarisse. //52v// E questa cotale apostema fi facta o per sangue o per colera o per flegma, e non | may per melanconia. E lo signo de lo sangue si è la rosseza de la facia e | de li veni e la pleneza del corpo e lo uso de li cibi che generano lo sangue; | e simile lo signo de la colera508 si è la side, lo calore e lo dolore forte; e lo signo de flegma |5 si è pocha rosseza de la facia, molta saliva. E la curatione de quella che | vene per sangue o per colera si è che in principio fiza salassato da la vena de | la testa o da la vena ch’è soto la lingua, se la virtude de lo infirmo o | altra cosa non impedisca; e poy lo infirmo gargarizi cum aceto e aqua | o sapa, zoè vino coto, de mori, o suco de morella e arnoglosa o509 de la decoctione |10 de sumac, de rosi e de balaustie. E de fora non fiza ponuta alcuna cosa reper- | cussiva in nusuno modo, anze lo loco fiza emplastrato cum medicini resolu- | tivi e lenitivi, azò che la materia fiza trata de fora. E si ge zova lo emplastro | de cigola cota soto la cendere cum un pocho de melle pista, e simelmente | la unctione de la dyaltea o oleo muscalino o de camomilla cum butiro. |15 E la ventosa ponuta in la coppa zova in lo largamento de la gola. E se | lo apostema apparirà in la gola, taliela cum quello inzegnio che ti possa, | azò che se in510 quella fosse congregata la sanie ella vegnia fora. E la | curatione de quella che è per flegma si è che lo infirmo in prima garga- | rizi cum oximelle o cum aqua de decoctione de figi sicci, e lo loco |20 fiza cataplasmato cum medicini attractivi e molificativi, como avemo | dicto de sopra.

De l’osso o de la spina che se tene in la gola. | Alcuna volta in la gola se tene alcuno osso o alcuna spina de pesso o | altra cosa; alora besognia che ti ordeni lo infirmo a lo sole apresso a ti, | et511 tegnia aperta la bocha e la lingua calcata in zoso. E guarda sutil-  |25 mente, e se quello te fi monstrato, prestamente tralo fora segondo meliore modo  | che ti possa; e se ti non lo po’ vedire, bona cosa è che lo infirmo reciva | alcuno cibo, et inanze che al intri in lo stomacho,512 lo vomito fiza pro- | vocato, zoè retorni indreto quello cibo. Overo una peciola de sponga marina | sicca fiza ligata cum filo forte e lo infirmo la trangoti fina zoso; e poy lo |30 filo fiza trato in suso subito; e forse che l’osso se 508 de la colera] aggiunto nel margine sinistro e segnalato tramite richiamo nel testo. 509 Ediz. lat.: cum aqua decoctionis. 510 Segue ley depennato. 511 Segue apre depennato in rosso. 512 Segue che depennato.

300 

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piliarà cum la spongia et | cum quella vegniarà fora. Overo trangota una pezola de pane duro. Overo fiza | una tenta de plombo grossa e fiza metuta in la gola per una extre- | mitade che sia un pocho plegata; e poy cum quella l’osso o la spina fiza cal- | cata in zoso, overo trata fora. De la cura de la sanguisuga in la gola. |35 Anchora molti volti li homini quando biveno in li fontani trangoteno li san- //53r// guisugi li quali fano sputare sangue. Alora besognia che lo infirmo fiza | ordinato al sole, e tegnia aperta la bocha e ti guarda dentro in la gola; e se | ti vidi la sanguisuga, subito la tira fora cum uno rampino pizeno o cum | piscaroli sutili. E se cossì non se podesse tirare fora, pone de dentro una |5 caneta de ferro o de ramo fina apresso la gola; e poy intromete per la concavi- | tade de quella caneta uno ferro afogato, e fa’ quello molti volti. E lo infirmo | se abstegna da l’aqua tuto lo dì. E poy fiza ponuto uno vasello de vedri pleno | de aqua al sole e fiza movesta de hora in hora denanze a la bocha de lo infirmo | che sia aperta; e quando la sanguisuga sentirà l’aqua, subito cazerà fora.  |10 E se per questo ella non vegnisse fora, lo infirmo fiza subfumigato cum assa | fetida513 o cum514 nigella o cum assenzo; e lo modo de la subfumigatione si è | che lo fumo fiza tolta per la caneleta im bocha515 fina che ti sapia che la suffu- | migatione è pervenuta a la sanguisuga, però che quella cazerà subito. E se ella | non caze, alora retorna la suffumigatione fina che ella caza. Overo fiza la |15 gargarizatione cum urina de capra e sale e cum aceto; e lo infirmo sustegna | la sede e manzi de la salsa, e in nusuno modo non biva aqua.

Capitulo iiijo | de lo dolore de li oregi.516 Lo dolore vene in la oregia | in molti modi; alcuna volta ge vene per habondantia de humori, | alcuna volta per lo verme ch’è generato lì, o adunato, e la sua significatione si517 è518 |20 lo splurimento e lo movimento ultra la usanza; alcuna vene per alcuni cosi | cadenti in quella de fora, che se cognosce per revellatione, zoè per lo dire, | de lo infirmo. 513 Ediz. lat.: add. ms. lat. B. 514 Aggiunto in interlinea. 515 Ediz. lat.: emboti. 516 de lo dolore de li oregi] sullo stesso rigo e successivo a Lo dolore vene in la oregia. 517 Segue lettera cancellata simile a y. 518 si è] aggiunto nel margine destro.

4.3 Testo 

 301

E quando lo dolore serà per li humori frigidi, fiza reprimuto, zoè | descazato, cum distilatione de muscelino tepido o cum oleo de amandoli amari, però che | ello è mirabile, o cum succo de rute o de late de dona equalmente; e poy fi- |25 zano stupati li oregi cum bambasio o cum lana. E molti volti lo apostema | vene per li humori, overo la pustula, et alora lo dolore serà maiore in l’oregia | e maiore inflatione e pulsatione e la febre. E la sua curatione si è lo salasso | da la vena de la testa, e instilare tri dì in li horegij quelli cosi che avemo diti. | E poy fiza instilato la mucilagine de lo feno greco e de semenza de lino overo |30 de malvavisco,519 fiza instilato questa mucilagine in lo late de la do- | na, fina che lo dolore cessi e la sanie fiza butata fora; e poy che sia mondifi- | cata la sanie, lo loco fiza curato cum la medicina molto desiccativa. Et  | quando lo verme serà in l’oregia generato, e de’ fir morto cum li cosi amari, | como è cum succo de li folij de la persiccaria, o de l’assenzo o de simili. Et alcuna |35 volta ge fi mesedata dramme j de eleboro biancho; dramme j de succo de persiccaria, //53v// e fi fata bona medicina che amaza li vermi in l’oregia et in tuti li altri | logi. Ma el è ben da guardare che quello che fi instillato in l’oregia | non sia actualmente frigido; però che l’oregia si è de la maynera de li nervi, | per la qual cosa el è paura che ella non fiza damnata da li cosi frigidi. |5 E poy che lo verme serà morto, fiza trato fora cum uno rampino de pocho re- | volzimento o cum sutili pizicaroli. Ma se lo dolore serà per cadimento | de li cosi de fora, alora fiza occupatione, zoè solicitudine, in tirarli fora; | ma questi cotali cosi che cadeno in l’oregia sono diversi secondo li speci de li | divisioni, però che sono predelli o simili cosi, como è ferro o vedro, o somenza |10 como è zefer, o grano de formento, o che al è cosa decorivele como è aqua | e simili cosi, o che al è animale como è pulice e simili.

De la predella in l’oregia.520 | Se in l’oregia cazerà predella o spec[ia]521 de predella, fiza la sternutatione | serati e instopati li busi de lo naso, e fiza la ventosa trahente fortamente | siando inclinata la testa de lo infirmo verso la parte dolente. E se cossì non |15 vene fora, fiza trata fora cum picigaroli sutili o cum lo rampino che abia pocha | replicatione. E se anchora non vene fora, tolle una tenta sutile de ligno, | e lo suo capo fiza involto de bambasio; poy fiza unta de termentina o de  | visco cum lo quale se

519 Segue e poy q(ue)sto depennato in rosso. 520 Rubrica assente nell’ediz. lat. 521 -ia] non leggibile.

302 

 4 La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501

prende li oselli. E poy fiza cazata in l’oregia, azò che | e la preda o la somenza fiza trata fora per la viscositade. E se anchora non vene |20 fora, alora è necessario che ti fenda l’oregia in loco più basso fina al loco | de la preda inanze che al ge vegnia lo apostema caldo o lo spasmo; e poy | tirela fora e cuse prestamente la piaga, e curela cum l’altra curatione de li | piagi fina che ella guarisca. Ma se in la oregia fosse alcuno animale, | alora la sua extractione è lezera, e specialmente se al serà de522 grande corpo, |25 perché altro non besognia se non che al fiza trato fora cum uno rampino o cum | li picicaroli. Et se al serà de animale de pizeno corpo, como è pulice,523 | fiza instilato in l’oregia alcuna de li medicini che avemo dito, como | sono li amari524 d’amazare li vermi, et poi che lo animale sia morto, | la quale cosa se sa per apadimamento del dolore, falo venire fora cum |30 sternutatione siando opilati li busi del naso. E quando propriamente serà | pulice, fiza ponuto apresso l’oregia alcuni capili o lana; e se al se tene | li capili525 cum la oregia per una hora, el vegniarà fora cum quelli. | Overo fiza butata526 de l’aqua in l’oregia fina che ella se implisca; e poy | subito lo infirmo plegi la testa, perché ello vegniarà fora cum l’aqua. |35

De l’aqua che caze in la oregia.527 Et se in l’oregia cazerà l’aqua //54r// de lo bagnio o de altra cosa da fir trata fora,528 el suo modo si è a tore | una virgula simile a sì,529 e la sua extremitade fiza ponuta in l’oregia et | in l’altra extremitade fiza preso focho fina che la grandissima parte se brusi. | E poy retorna e pone una altra in tale modo, e fa’ cossì molti volti fina che |5 l’aqua vegnia fora. Overo che la extremitade sutile fiza involta cum lo bamba- | sio vegio e fiza ponuto in lo buso de la oregia, azò che l’aqua se fugi in quella. | E poy fiza butato via lo bambasio e fiza involzuto de altro, e fa’ tanto questo | fina che l’aqua fiza trata fora. Anchora ge zova la sternutatione siando | opilati li busi de lo naso.

522 Aggiunto in interlinea. 523 Segue ala depennato in rosso. 524 Assente nell’ediz. lat. 525 i finale poco leggibile e corretta su una lettera precedente. 526 Segue l depennato. 527 De l’aqua che caze in la oregia] sullo stesso rigo e successivo a Et se in l’oregia cazerà l’aqua. 528 Et se in l’oregia cazerà l’aqua de lo bagnio o de altra cosa da fir trata fora] ediz. lat.: Aqua vero balnei extrahenda est si in aurem ceciderit. 529 Ediz. lat.: virgula iunci vel alterius similis.

4.3 Testo 

 303

Capitulo v de li apostemi secondo tuti li soy |10 speci.530 Apostema si è tumore, zo[è] bugnone, overo inflatione  | de lo membro oltra la natura, la casone de lo quale, como | dice Avicena, è de doy modi, zoè antecedente e primitiva. E la ca- | sone antecedente si è de dentro, la quale fi fata per repletione531 de li hu- | mori. E la primitiva si è de fora, la quale fi fata per cadimento o per botta |15 e per simili modi. E de li apostemi sono quatro speci simplice secondo | che sono quatro humori simplici; o che ella fi fata per sangue, e fi dita | flegmon, o per colera rosa, e fi dita erisipilla, o per flegma, e fi dita zimia, | o per colera nigra, e fi dita sephiros532 o cancer. E li signi de flegmon,  | secondo che dice Iohanicio e li altri autori antigi, sono questi: zoè calore, |20 rosseza, pulso, zoè batimento,533 dolore e534 inflatura; e de la colera rossa | sono questi signi: zoè calore, rosseza mixta a lo colore citrino, grandeza  | de dolore e lo presto cresimento; e de la flegma sono questi signi: zoè bian- | cheza, mollicie, zoè tenereza, cossì che se ti calchi lo dito, ti faray lezero | passamento in quella e faray quasi lo signo de lo buso; e de la colera |25 nigra questi sono li signi: zoè grande dureza cum nigreza senza sentimento. | E sapia, secondo che dice Avicena, che li apostemi raro fizeno sinplici535 e puri, | ma la più parte sono compositi, et alora ol è più grave la sua noticia per la | compositione de li signi, fina che per quelli se cognosca li soy accidenti.536 E poy, | secondo che la materia contraria plù o meno o mezo modo, aconzege la cura. |30 Et yo recordarò al presente secondo la forteza de la mia virtude specialmente | e distinctamente la cura de zescaduna specia.

De la cura de flegmon. | Dico adocha che quando advene flegmon, el non se passa, perché537 la sua  | casone non sia primitiva o antecedente; e se ella è primitiva, ella trova | lo corpo o mondificato o repleno. E se ello è mondificato, como dice Avicena, |35 altro non g’è necessario se non curare lo apostema in quanto ello è apostema, //54v// zoè

530 speci] sullo stesso rigo e successivo a Apostema si è tumore, zo[è] bugnone, ov(er)o inflatione. 531 Ediz. lat.: repletione et corruptione. 532 Ediz. lat.: scliros; ms. lat. G: sephiros; ms. lat. O: sclirosis; ms. lat. E: cliron. 533 Pulso, zoè batimento] assente nell’ediz. lat. 534 Segue sco depennato. 535 Aggiunto in interlinea e con inchiostro di colore molto chiaro su singula(r)i. 536 fina ch(e) p(er) quelli se cognosca li soy accidenti] ediz. lat.: Unde astutus et assuetus medicus subtiliter intueatur et secundum prudentiam suam agnoscat. 537 Cf. passim: perché per lat. quin.

304 

 4 La Chirurgia Magna in volgare nel ms. Bergamo, MA 501

trare fora la materia extranea che fa venire lo apostema: e quello | fi facto cum li medicini mollificativi e resolutivi leni, zoè molli, ma inanze | sia perzò facta la refrenatione. E la resolutione cum la forte exiccatione | produce538 la materia a la dureza. Et alcuna volta è necessaria la scarifi- |5 catione, specialmente quando lo apostema è de molta materia. E quello | flegmon che trova lo corpo repleno non avir ardimento de curarlo in | prima cum li resolutivi, azò che la materia non fiza forse trata a lo loco | plù che non fi resolvesta de quella, ma al è necessario a mondificare | lo corpo per salasso, e forse anchora è necessario a curare lo ventre,  |10 et propriamente quando lo corpo è tropo repleno e lo apostema è grande. | E po’ de’ fir administrati li resolutivi che mollifichano. Anchora dice | che al non è differentia da quello che trova la mondificatione del corpo | se non in questo, che al non ha besognia in principio de molta refrenatione, | inanze meno539 de quella. E quando la casone de flegmon serà |15 antecedente, alora è necessario che in principio fiza lo salasso da la parte | contraria secondo la compositione de la materia, e fiza la curatione de lo ventre, | e se la necessitade de tropo repletione o la grandeza de la infirmitade | te provoca a quello, como noy avemo dito. E poy retorna a lo membro | infirmo e administrali in principio li repercussivi cum pocha stipticitade, |20 se la infirmitade non serà in li logi evacuatorij, como è in lo collo, sotto | li aselli et in li inguini, zoè pectinaculi, e simili. Lo collo si è evacuato- | rio de lo cervello, le asselli de lo core, li inguini, zoè li pectinaculi, de lo fidego, | unde, como dice Avicena, el è paura che lo retornamento de la materia non | retorni a lo membro principale e che al non ye vegnia quello male che non se |25 possi emendare. Adoncha è melio che noy lassiamo la materia in lo mem- | bro meno nobile cha che noy la refrenamo a lo membro principale; anze | noy dovemo ponere la cura che la trahemo a lo membro non nobile, et | se cum altro non possemo fare quello, facemolo almancho cum li ventosi | e cosi attractivi acuti. Ma se la materia in principio non porà fir cazata |30 cum la refrenatione, da lo cresimento fina a lo stato debeno fir ponuti | in parte li repercussivi et in parte li resolutivi. E de li cosi meliori che | fizano administrati in questa hora, como dice Galieno in lo libro de la me- | dicina simplice, si è oleo rosato, perché ello resolve per la parte de lo oleo | e refrena cum stipticitade per la parte de li rosi. Et da lo stato fina a la |35 fine, zoè in la declinatione, fizano ponuti li puri resolutivi lenificati[vi], //55r// zoè mollificativi, senza repercussivi; ma al è differentia però che in la decli- | natione fino ponuti necessariamente li resolutivi più forti cha in lo stato. | E se questi cosi non basteno e ti vedi che lo apostema declina a lo insire, | alora pone la sua curatione

538 Ediz. lat.: perducit; ms. lat. G: producit. 539 Segue cha depennato in rosso.

4.3 Testo 

 305

cum quello che matura, azò che la sanie |5 se maturi in quello prestamente e se apria. Ma pos la apertura li cosi mondi- | ficativi e creativi de la carne debeno fir ponuti, e quelli sono como è ari- | stologia rotunda, incenso, mirra e simili cosi. E sapia che Rasis dice | in lo libro de li divisioni che li apostemi caldi veneno ad una de li trey  | cosi; overo che ay guarisseno per la resolutione, lo signo de la quale si è |10 la minoratione de la materia e la diminutione de lo batimento e del dolore; | overo che ay fano adunanza de la marza, e la sua significatione si è lo grande | calore e lo molto batimento, e perché la repercussione e la resolutione non fa | nusuno profecto, zoè zovamento, e poy fiza apadimato lo calore e lo540 bati- | mento e lo apostema fiza unto; o che ay fizeno apostemi duri, e lo suo |15 signo si è che lo dolore fi apadimato e la materia fi minuita e la grandeza | e la dureza cresce, e quello fi fato per la grande refrenatione. Adoncha quan- | do ti vedi lo apostema in la via de la resolutione, aydello a resolvere, e | simelmente quando ello declina a la marza, fa’ che al se maturi presto e se | apri. E quando fi lo apostema duro, curalo cum li cosi lenitivi, zoè moli- |20 ficativi, li quali siano caldi fina che al fiza mollifica. E questo canone è | generale in ogni apostema caldo. E li medicini repercussivi sono como | è suco de morella e la sua substantia, semperviva, endivia, portulaca, rasura | de zucha, virga de pastore, suco de silip, aceto, aqua rosata, sandali, | menuti, canfora, rosi, e simili a questi de li cosi frigidi,541 et alcuna volta |25 fino coti li scorzi de li pomi granati, acacia, sumac in lo aceto et in lo | succo de la semperviva, et in quelli fi tenta la sponga e fi facto uno bono | repercussivo. E forse bastarave la sponga balneata in lo aceto e in l’aqua frigida, | o in lo succo de li predicti herbi, e se lo sofrano fiza mesedato cum quelli, ayda a | padimare lo dolore. E li mollificativi e li resolutivi molli sono como |30 è farina de orzo, farina de fava, malvavisco, somenza de lino, feno greco, | camomilla e lo suo oleo, assenzo, melliloto, aneto e simili cosi. E simel- | mente se fa de aleffo de galina e de ocha e de rossumo de ovo e de tuti | li meduli, e lo dyaquilon è bono, anze è mirabile in la resolutione. |

Cura del carbonculo o de lo antrace.542 Antrax overo carbonculo, |35 come dice Constantino, fi facto de sangue grosso o corrupto, e questo apo- //55v// stema o che ello è rosso o che ello è citrino o che ello è nigro, e zescaduno de | quelli è malo, como dice Rasis, e secondo la più

540 Segue un accenno di lettera (p?) depennata. 541 Ediz. lat.: et stipticis; om. ms. lat. B. 542 Cura del carbonculo o de lo antrace] sullo stesso rigo e successivo a Antrax overo carbonculo.

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parte è mortale per la sua materia | venenosa. Ma Avicena lo distingue dicendo che de quelli mortali el è più | salvo lo rosso, e poy lo citrino, e de quello che declina a la nigreza non insisse alcuno. |5 E si è plù pauroso quando ello vene in li logi evacuatorij per la propinquitade de | li logi principali, et forse che questo apostema induce la malicia per la via | de l’artaria a lo core, e per quello vene lo vomito, lo batimento del core e lo sin- | copo, zoè lo perdimento, e tuti questi signi sono mortali. E la sua curatione si è | che in principio lo corpo fiza mondificato per lo salasso, e lo regimento fiza subti- |10 liato, e subito fizano dati de dentro e de fora li cosi che conforti lo core cum | infrigidatione et aromaticitade, como sono li pomi granati, li543 acetosi e la | acetositade de lo citro, e la carne de li polastri o de capreti cocta cum | aceto forte o agresto. E si ge zova lo odoramento de li cosi che sapeno de bo- | no cum frigidatione, como è de li rosi e de la camfora. Et in principio |15 pone solamente circa li logi li cosi repercussivi, se ay non siano in li logi evacua- | torij, et avignadeo ch’el se faza securo che la materia non retorni a li | membri principali per la evacuatione del corpo, nientodemeno ella non de’ | fir cazata de dentro quando l’apostema è in li logi evacuatorij, però che al | non è securo. E sopra lo loco non fiza ponuto altro se non quello che resolve |20 e matura e rompe, e de quelli sono como è lo emplastro de formento | cum oleo e sale, e como è lo solo formento mastigato e li figi grassi | cum senavera et oleo de lilio; overo li figi fizano triti cum lo vedro544 et | fizano ponuti sopra. Et anchora ge valeno le uve passe cum oleo e cum | sale trita; e lo vedri545 cum la terbentina apre e mondifica la sanie. Et |25 se pos questi cosi se tardarà la sua apertura, forelo, zoè buselo, cum lo instrumento | e fa’ che tuta la marza vegnia fora. E poy s’el besognia fir mondificato, la | mondificatione fiza cum melle, e s’el non besognia, cura lo loco cum la medicina | creativa de la carne fina che al guarischa.

De la cura de la erisipi- | la.546 Avignadeo che li signi de la diversitade  |30 inter flegmon et erisipilla siano prediti, nientodemeno el è melio che | li replicemo e melio li discernoma. Et sapia adoncha che li signi per li quali | la erisipilla fi discernuta da flegmon sono molti e manifesti, e de quelli | sono però che la erisipilla è rossa e più apparente e più manifesta; e la | rosseza de flegmon o che la declina verso la viriditade o verso la 543 Aggiunto in interlinea. 544 Ediz. lat.: nitro. 545 Ediz. lat.: nitrum. 546 -la] sullo stesso rigo e successivo a Avignadeo che li signi de la div(er)sitade.

4.3 Testo 

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nigreza, e la |35 rosseza in la erisipilla fi mesedata cum lo colore citrino lo quale è como la //56r// citrinade de lo pomo citrino;547 et anchora la rosseza de la erisipila per lo tocca- | mento se parte subito e lo loco remane biancho, e poy retorna la rosseza. Et  | la erisipila fi fata plù in la sumitade de la codega, ma flegmon fi in la pro- | funditade de la carne. Et forse che per lo calore de la erisipilla fi brusata  |5 la codega e lo loco circondante se vesigarà, e plù atira la febre cha flegmon, | però che in quella è maiore inflatione.548 Ma la inflatura e lo dolore de | flegmon si è maiore e fi fata per la extensione. E mo basti li signi inter la | diversitade de erisipilla e de flegmon, e declaroma mo la cura de la eri- | sipilla. Adoncha in principio è necessario vacuare lo corpo cum quello |10 che 549 cura la colera senza molta caliditade; e poy retorna | ad infrigidare lo loco cum grande infrigidatione, e fa’ tuto quello che noy | avemo dito in la cura de flegmon. Ma Avicena dice che la infrigida-  | tione è plù necessaria in erisipilla cha in flegmon per la sua maiore | inflamatione, et per lo contrario el è plù necessaria la evacuatione |15 in flegmon cha in erisipilla, imperò che in quello la materia è plù desobe- | diente e più grossa. E molti volti la erisipilla fi fata de materia ve- | nenosa, et alora non è besognia che ella fiza refrenata de dentro, ma se | noy ge ponemo li cosi frigi, li poneramo solamente in lo suo circondamento. | E questa medesma cosa dovemo fare in tuti li altri apostemi maliciosi, et |20 ti say bene che la evacuatione secura li membri principali da lo retor- | namento de la materia. Et guarda che per la superflua refrenatione non | vegnia lo dolore grande, o che lo apostema non fiza indurato, o che | al non vada a la viriditade o a la nigreza o che lo membro non se comenzi cor- | rumpere; adoncha quando ti vedi alcuna cosa de questo, cura lo loco  |25 cum li mollificativi. E forse quando se dubita de la corruptione del membro,  | è necessario scarificare lo loco et apponere li sanguisugi. E niento-  | demeno quando lo apostema è grande e simelmente lo membro, la scari- | ficatione fiza profunda, ma in lo membro pizeno fiza scarificatione apparente.

De la cura de la formica.550 Formica si è pustula pizena nascente |30 de materia colerica, e cum quella venne lo splurimento e lo dolore grande, | e lo calore, e forse discorre et ulcera li logi, e lo suo colore si è declinante | a la citrinitade, e la sua substantia si è verucale, 547 pomo citrino] ediz. lat.: croci; mss. lat. B, G: citri. 548 Ediz. lat.: inflammatio; mss. lat. B, E: inflatio. 549 Segue necessario depennato in rosso. 550 De la cura de la formica] sullo stesso rigo e successivo a Formica si è pustula pizena nascente.

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zoè de brisoli, e la radice | rotonda; nientodemeno secondo la più parte è lata. Et in ogni formica se | sente quase punctura de formica. Et Avicenna dice che ogni apostema |35 discorrant in la codega senza latitudine è formica. E la sua curatione //56v// si è che ti comenzi a mondificare lo corpo cum quelli cosi che cazeno la colera; | e poy lo loco de’ fir infrigidato cum li medicini che avemo diti de sopra | in la cura de flegmon. Ma se lo loco è ulcerato non besognia se non che | al fiza infrigidato in lo suo circuito; e in li ulcerationi non se de’ usare |5 in nusuno modo de li cosi mollificativi, anze desiccativi; et in cotali ulce- | rationi ge zova lo unguento che fi fato de biacha e litargiro e fi confecto | cum oleo rosato e un pocho de cera.

De la cura de lo ignis persicus. | Molti volti advene uno apostema che se domanda ignis persicus, et | cum quello fi lo splurimento e sboyentamento non temperato, e se presto non fi |10 succorso, se vesiga, e lo loco fi implito de aqua sutile la quale è como | veneno. Et forse che lo loco serà de colore citrino e nigro como è lo | carbone overo de plombo. E cotale apostema per altro modo fi dito pruna, | el non è differentia inter lo ignis persicus e pruna se no pocho in la diversi- | tade de la materia, la qual cosa è perché tuti doy sono de colera e pro- |15 priamente citrina adhurente mesedata a la melanconia, e per questo in quelli | vene rosseza. Ma in lo ignis persicus plù ge domina la colera, et in lo | pruna plù ge domina la melancolia. E sapia che questo apostema è molto | timoroso, e specialmente quando cum quello vene lo vomito, lo sbatimento del | core e lo cadimento; per la qual cosa non se tardi in la sua curatione, anze |20 prestamente ge fiza secorso. E la sua curatione si è lo salasso, azò che al fiza tra- | to fora lo sangue colerico, et la perforatione fiza alta in li ampuli, azò che | tuto lo veneno che è in quelli constrito fiza cazato fora; e poy lo loco fiza | epithimato in circho cum li medicini frigidi e repercussivi, como è lo | bolo armenico cum aqua et aceto, overo galli non maturi et aceto. Ma |25 a li ulcerationi de’ fir secorso cum unguento de cerusa e litargiro, et a l’ | ultimo s’el serà necessario fiza curato como avemo dito in li ulcerationi | corosivi.

Cura de lo apostema molle flegmatico. | E quando advene lo apostema per flegma, el è necessaria la solutione | del ventre e forse anchora lo salasso se lo corpo sia stato molto ple- |30 torico; et anchora è necessaria la abstinentia dal fastidio e da la mul- | tiplicatione de l’aqua e da tuti li cibi generanti flegma. E poy è da retor- | nare a la cura de lo loco cum quello che

4.3 Testo 

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exicca e resolve,551 e la mia intentione | non è che li apostemi frigidi fizano curati cum medicini frigidi e repercussivi | in principio, como lo apostema caldo, anze cum li resolutivi, et se alcuna |35 volta ge fizeno ponuti li medicini frigidi nientodemeno non sono senza //57r// resolutione. E non fino administrati soli, anze fino mesedati cum li medi- | cini caldi. E de quelli che fino administrati sono como è aqua de | cendere mixta cum aceto, e propriamente cendere de li sarmenti e de la rovere | quando fi intincto in quelli la sponga o lo panno duplicato o aqua de |5 alume,552 overo cum li predicti aqui fiza mesedato oleo rosato e aceto et aqua | de mirto. E de quelli cosi che mi ho provato e sono trovati de molto | iuvamento si è Recivere alume, mirra, sale, solfero, e confinzeli tuti cum | oleo rosato e aceto, e stercora de capra cum aceto ge zova, e simelmente | la stercora de la vacha; et anchora fizano coti verzi, aneto e assenzo in |10 aqua, e fiza balneata la sponga in quella e fiza ponuta sopra; overo fiza | tolto aloes, sofrano, bolo armeno o acacia, cipero e mirra, e fizano con- | fecti e cum aceto e cum succo de verzi; overo fiza emplastro cum bolo armenico, sale | e oleo. E si besognia che la tua ligatura comprenda tuti li lati de lo apo- | stema, azò ch’el non fiza la declinatione de la materia a l’altro lato, et incontanente553 |15 lo apostema fiza constrito più forte. E sapia che li apostemi flegmatici  | puri raro fano adunanza de la materia, anze per la più parte fino resolvesti. |

De lo apostema duro melanconico.554 Quando al appare | lo apostema duro de colera nigra, alora o che al è sephiros555 o cancer, | e lo sephiros è differente da lo cancer, però che in lo cancer el g’è lo dolore |20 e la inflatione cum556 batimento alcuno e si appareno in circho veni a modo | del pede de lo gambaro; e cossì declina a la viriditade et a la nigreza, e tuti | questi cosi non sono in sephiros;557 e lo cancer fi facto per la più parte in comenzan-  | do, ma sephiro fi in convertando de flegmon e de erisipilla; et in lo puro  | sephiros non è sentimento né dolore; ma in lo cancro è sentimento e dolore.  |25 E zà è dita inanze la cura de lo cancer non ulcerato e ulcerato in lo primo li- | bro, e quello te basti asay; avignadeo che la mia intentione non fosse de

551 Con re-] aggiunto in interlinea. 552 o aqua de alume] ediz. lat.: in aqua saponis vel aqua aluminosa. 553 Ediz. lat.: in medietate. 554 De lo apostema duro melanconico] sullo stesso rigo e successivo a Quando al appare. 555 Ediz. lat.: scliros; ms. lat. G; sephiros. 556 Segue lo depennato. 557 Ediz. lat.: a sclirosi; ms. lat. G: sephiros.

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tra- | ctare in lo primo libro se non de la solutione, zoè rotura, de la continuitade e | de li soy speci. Ma se lì è tractato de lo cancro in lo quale non era558 anchora | fata la solutione,559 quello fo facto per casone del cancro ulcerato; adon- |30 cha el besognia mo ponere in questo loco solamente de la cura de sephiros,560 e si è | che ti comenzi da la mondificatione del corpo cum quello che caza la colera | nigra. E comanda a lo infirmo ch’el se guardi da li cibi generanti colera | nigra; e poy retorna a lo loco e pone la curatione cum quello che resolve e | mollifica insiema, perch’el non besognia che sephiros fiza curata561 cum quello |35 che solamente resolve e desicca, azò che forse non se convertisca a la substantia //57v// de preda per la sua resolutione, la quale cosa è sutile in desiccatione de quello | che è grosso. E lo infirmo se guardi che al non usi molto lo bagnio, perché lo | bagnio resolve anchora la materia sutile et indura la spessa. E li medicini | in li quali è la resolutione e la molificatione insiema sono, como avemo zà dito |5 in altro loco, aleffo et tuti li meduli, la mucilagine de fen greco, de somenza | de lino, et anchora armoniaco, galbano, bdelio, storace, mastice, laudano, | oleo anticho, oleo de alchana, olio de lilio e simili. Et a l’ultimo la cura- | tione de sephiros è simile a la curatione de li scrophuli, et intende quasi562 | li medicini scriti in lo suo capitulo e lo modo de administrare. Capitulo vj de |10 significatione de la maturatione de li exituri e de la sua cura a complimento. | Poy che lo apostema se matura et in quello comenzi fir fata la adunatione | de la sanie, alora se domanda exitura, zoè da insire; e li signi de la | sua maturatione secondo lo complemento si è perché apresso lo loco apparirà mol- | lificatione e diminutione de la rosseza, e lo dolore è zà cessato e lo bati- |15 mento e la febre s’è partita. Adoncha altro non besognia alora se non che ti | meta lo studio tuo de aprirlo, ma ti debi sapere che alcuni exituri fanno | l’apertura per sì, e sono quelli in li quali è la materia sutile e acuta e la quale | non è profundata, et in li quali la elevatione e l’acuitade è in la zima, | per la quale cosa se ti pensi che la exitura se debia aprire per sì in lo tempo conveniente, |20 alora non se de’ fare perforatione cum ferro. Et anchora se al è possibile che ella | fiza averta cum li medicini, però che molti volti tale perforatione si excusa da | li ferri. Ma se ella non se busi per sì 558 Aggiunto in interlinea su è e con inchiostro di colore molto chiaro. 559 Segue p depennata. 560 Con -s finale aggiunta in interlinea. 561 Segue si depennato. 562 Ediz. lat.: quare.

4.3 Testo 

 311

o per artorio de li medicini, alora el se | de’ fare la perforatione cum cautela. E li savij antigi ànno dito che la perfo- | ratione fiza tardata in tuti li exituri che siano in li logi carnosi563 fina |25 a lo tempo de la perfecta maturatione, e de quelli che sono in li logi car- | nosi564 tolle fora la exitura del culo, però che la sua perforatione non è da fir | expectata fina a lo tempo de la perfecta digestione; anze, como dice Albu- | casis, se de’ fare la perforatione siando anchora la materia cruda, azò che la | sua profunditade non fiza prolongata de dentro in lo culo e fiza fistula. Et |30 in li exituri siando in li logi nervosi propinqui a li zonturi, non se [de’] tardare; | la perforatione; anze la perforatione de’ fir fata inanze lo complemento de la  | maturatione. E se ti busaré li exituri che sono in li logi carnosi inanze  | lo complimento de la digestione, lo veneno anchora firà prolongato in quelli,  | e firà de molta puzura, e forse che li labri se indurarano a lo profondo. |35 Et per lo contrario in quelli che fino apresso li nervi e li zonturi, se ti aspetaré //58r// la digestione fina che ella se implisca,565 el firà putrefactione in quelli membri, | e forse che lo ligamento de la zontura firà discoperto e l’osso apparirà elevato | de fora. Adoncha poy che ti abia bene considerato tuti questi cosi, se al è | possibile, la perforatione fiza fata in lo loco più gobboso et in loco più ma- |5 turo lo quale se cognosce cum lo tochare del dito; e la tua mane se guar- | di et elongi da li arterij, e da li veni e da li nervi e da li cordi. E la tua | intentione sia che la perforatione caza in zoso, e sia secondo la longeza del | corpo, overo secondo che besognia a lo membro in lo quale ella si è, perché ogni | perforatione è diversa secondo la diversitade de li logi, perché in tuti li logi |10 equali in li quali non è reflectione,566 la incisione de’ fir fata secondo la lon- | geza del corpo; ma in quelli che se replegeno, la incisione de’ fir fata | secondo la reflexione de quelli, se no in la fronte, perché, como dice | Avicena, se la incisione fidesse fata in la fronte secondo la reflexione de quello | membro, firave fato lo cadimento de lo supercilio, et simelmente in li membri |15 de la reflexione lo andamento de lo quale è diversificato da lo andamento | de li vili567 de li soy musculi, zoè bludoni; per la quale cosa lo taliatore | sapia la notomia, la quale è maxima parte de questa arte, azò che al non ve- | gnia in errore e che al non talij alcuna cosa de li veni, e de li artarij, e de | li nervi e de568 simili. E questo parlare è universale; ma eyo farò mo |20 lo parlare distincto e particulare de la incisione de li exituri secondo la doctrina | de li antichi. 563 Ms.: cavernosi con ve depennato ed espunto. 564 Ms.: ca(r)vernosi con ver depennato ed espunto. 565 Ediz. lat.: compleatur; ms. lat. B: impleatur. 566 Con -c- corretta su -x-. 567 Ediz. lat.: membrorum. 568 Segue simili depennato.

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Adoncha quando la exitura serà in la testa, la sua incisione | sia equale, zoè secondo la longeza, e se la perforatione serà da fir fata | apresso l’ogio, alora fiza secondo la largeza, però che lo scito,569 zoè lo logo de l’ | ogio è lato. Et in lo naso fiza secondo la longeza sua, et in la ganassa |25 secondo la sua longeza. Et apresso li oregi e da dreto da li oregi fiza equal- | mente, perché la compositione de quello loco è equale, e se cognosce in lo corpo | de li antigi. Et in li brazi et in li adiutori, in li gambi, in li570 coxi, in la | virga, in li testiculi, in li musculi, in lo ventre, et in lo dosso, zoè spinale, | la perforatione fiza secondo la longeza, e simelmente in li mane, in li digiti, |30 in li pedi sia equale; et in sotoaselli et in li inguini, zoè pectinaculi, | et apresso lo culo, sia rotonda — e la rotonda si è quella che comprende alcuna | cosa de la largeza e de la longeza del corpo — . E quando questo loco non fi | cossì perforato, al è possibile che la materia fiza adunata lì per lo sino | e che la fiza fistula. Et in lo lato de li costi fiza la perforatione secondo la |35 largeza, però che lo sito, zoè lo loco, de li costi è simelmente transverso. //58v// E guarda sempre lo scito de la carne, de li vili de li lacerti, zoè musculi,571 o | l’artaria o la vena grande. E si besognia che in li grandi exituri ti ad- | ministri la grande perforatione o larga, et in li pizeni pizena. E se la co- | dega de li exituri serà sutiliata e rotta como lo panno et è quasi morti- |5 ficata, alora, como dice Albucasis, el è necessario fir concavata et in tuto | fir taliata, perché la sua adherentia non fi separata più cum lo loco per la subti- | litade e corruptione. E quando la exitura serà busata, alora serà necessa- | rio che ti intrometi lo dito secondo, e che tuta la sanie fiza expremuta fora. | Ma se la exitura serà grande, tuta la sanie non de’ fir trata fora, azò che per |10 la resolutione de lo spirito vitale lo infirmo non sincopizi, zoè caza per terra; | anze fiza extracta a pocho a pocho, e maximamente se lo infirmo serà de debile | natura, o vegio o572 decrepito, o puto pizeno, o femena graveda. E poy | tuta la concavitade fiza plena de stupino de bambasio anticho, o de panno | de lino anticho, et inanze sia ben forbito lo loco. Et se in la hora de |15 la tua operatione vegniarà lo fluxo de lo sangue, alora administra la | aqua frigida cum aceto, overo fiza mesedata cum clara d’ovo. Et se per | questo lo sangue non se refrena, alora se de’ recorrere a li remedij li quali | se conteneno in lo proprio capitulo. E guarda bene che a la aperitura non apro- | ximi aqua o oleo o altra cosa in la quale sia grasseza. Et forse a ti serà |20 necessario mondificare e lavare lo loco, et alora fiza fato cum aqua e melle, | perché de la proprietade de la melle si è che ella lavi e mondifichi; overo | fiza cum vino e cum melle — perché lo vino fa 569 Segue de depennato (con e solo accennata). 570 Segue cos depennato. 571 Segue nell’ediz. lat.: et cave secundum fortitudinem virtutis tuae ne incidas nervum aut villos lacertorum (probabile saut du même au même). 572 Segue dete depennato in rosso.

4.3 Testo 

 313

tegnire lo sino e propriamente | lo stiptico —, overo cum aceto e melle; overo fiza mondificato cum unguento | che fi de melle e de sarcocola equalmente, et è che ti cosia la melle fina |25 che ella sia spessa, e poy meseda cum quella la sarcocola pulverizata. | E forse che al non è necessario mondificare in lavare lo loco, como avemo  | dito, et alora ge besognia administrare la medicina generativa de la  | carne fina che lo loco guarisca. E fiza conservata la ligatura che fa tegnire lo | sino, como noy avemo dito de li ligaturi de li ulcerationi et caverni. |30 Et oltra questo, quando advene che la exitura fi perforata anze lo complemento | de la maturatione per li casoni predicti, el è drita cosa che ti administri | la embrocatione de la farina del frumento cum melle e suco de apio, | però che cotale embrocatione paylisse la materia cruda e si resolve la sanie | e mondifica lo loco. Et sapia che questa è vera cognitione et universale in |35 lo regimento de la curatione de tuti li exituri, et è secondo la via de la rasone; //59r// et observa questo capitulo, perché ello è grande secreto, secondo la tua prudentia. | De li medicini che apriseno li exituri sono como è radice de narcisco,  | e proprie cum573 melle et aqua bulita. Ma quando la medicina fi po- | nuta sopra, el è ben da considerare lo loco in lo quale è da fare la perforatione. |5 Recipe melle, anacardo, iunipero, oleo, pegola liquida, ana parti equali; tuti | fizano scaldati al focho insiema fina che ay fizano uniti; e poy lo loco che de’ | fir perforato fiza unto; e presto romperà la exitura, e questa medicina fo composita | da Almansore. Overo fiza tolto formento, vedro,574 stercora de columbo o de | sparavero o de aneda, e tuti fizano confecti cum rosumi de ovo o cum mu- |10 cilagine de senavra o de nasturicio, e fiza medicina però che ella è mira- | bile. E de li medicini forti convene che al se tolia cantaridi e fizano triti | cum aceto et oleo anticho, e poy fizano scaldati un pocho al focho e fiza em- | plastro. Overo fiza tolto sale armoniaco, sale de nitro, ana parti equali, e | fiore de ramo; e poy fizano tuti confecti cum melle e cum oleo vegio. Capitulo |15 vijo de li scrophuli et altri simili superfluitadi. | Li scrophuli fino generati in li parti del colo e soto li aselli e de li ingui- | ni e per malicia de la indigestione,575 zoè del non paylire. E no fino diti | scrophuli, como dice Avicena, se non perché molto veneno a li porci per la sua gu- | lositade, overo perché la sua figura fi molto asimilata a li porci, overo però che |20 per una si ne

573 Segue aq depennato. 574 Ediz. lat.: nitrum. 575 Ediz. lat.: digestionis; mss. lat. O, B: indigestionis.

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veneno molti. Et anchora in lo corpo fino generati altri super- | fluitade se non li scrophuli che fino diti glandi, nodo, testudine, gosso, | bubo e cancer, li quali tuti sono differenti inter sì; et azò che la sua | differentia sia manifesta a l’homo che domanda, per satisfacere sopra quello | che luy vole, al presente non volio che sia occulta, ma la manifestarò. Dico |25 adoncha che li scrophuli sono differenti da li glandulli, però che li scrophuli | molti stano insiema, e non sono separati da la carne, anze sono involuti, nì so- | no senza dolore; ma li glandulli sono pochi per numero, e quando fino | tochati non doleno, et in lo tochare fino ducti a l’altra parte non duramente, | ma humelmente, como se ay fosseno separati dal corpo, e non hano radice  |30 profunda in lo corpo; et in li glanduli principalmente ge domina la fle- | gma e secondariamente la melancolia. E lo nodo è differente da tuti, | però che per la più parte vene in li membri duri o in lo spinale o in li mane et | in li pedi, et alcuna volta venne in li curvaturi de li zonturi; e mancha de | ogni dolore, et è rotondo e più duro de tuti, avignadeo che lo cancer |35 sia plù duro cha quello. E la testudine è differente da tuti li supra //59v// dicti, però che la maiore parte è cum la minore,576 e la maiore parte de la sua gene- | ratione si è flegma, e la minore si è melancolia. El bubo è differente da | tutti però che non è separato da la carne, anze è molto involuto seco como è lo | cancer, e non nasce in altro loco se non soto li asselli et in li inguini, zoè pectina- |5 culi, e fi dito bubo a similitudine de quella osela che ha nome bubo, zoè locho, | però che como quella osella pare avire grossa la testa, e vola de note e de dì  | sta in li caverni, cossì questo apostema ha quasi una sumitade in loco de testa, | e nasce in li logi oscuri et intrincati como sono li sotoaselli e li inguini, | como è dicto. El goso è differente da tuti, però che sempre fi in la gola |10 e cresce e multiplica plù cha tuti li altri; e la sua generatione si è carnosita- | de flegmatica577 et descende anchora per lo catharo dal cervello a la gola, | e questo fi fato spesse volte in li regioni in li quali è aqua de molta gros- | seza e de molta viscositade, de la quale usano578 li579 personi a chi vene lo goso | e specialmente senza vino; unde in Calabria cotale infirmitade fi multipli-  |15 cata per la grosseza e viscositade de l’aqua. E sapia che de tuti questi super- | fluitade supradicti, quelli che sono plù duri comprehendono più de melan- | colia, e quelli che sono più molli comprehendeno più de flegma; et de questi | alcuni sono in li quali è de la materia sanguinea et in quelli appare la rosseza, | e fi sentito più forte dolore cha in li altri, che fano anchore adunanza de la |20 sanie. E la differentia de lo cancer fiza circhata in lo primo capitulo, e mo |

576 Ediz. lat.: quoniam maior et mollior est. 577 Segue ch depennato. 578 Con -(n)o aggiunto in interlinea. 579 Segue por depennato.

4.3 Testo 

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vegniamo a la chura de li altri superfluitade particularmente, et in prima comen- | zoma lo nostro parlare de li scrophuli. |

De la cura de li scrophuli senza incisione. | In la curatione de li scrophuli tuti li antigi doctori se conveneno, et580 in |25 principio lo corpo fiza curato e voydato e lo regimento fiza sutiliato; e la | vacuatione del corpo de’ fir fata per doy modi, zoè per la solutione de lo ventro | e per lo salasso. Et propriamente lo ventre fiza curato cum quello che mena | fora la flegma grossa, como è la polvere che fi de turbiti e de zinziber | e de zucharo, como è dito in lo capitulo de li fistuli, però che, como dice Avicena, |30 nì scalda li budelli nì scortega. Et de la evacuatione è laudabile lo vo- | mito, e lo salasso se convene fir fato da la vena de la testa. E la subtilia- | tione de lo regimento si è che lo infirmo se guardi da implirse; anze | quanto è plù possibile porti la fame e non mangi cibo grosso et in nusuno | modo non biba aqua. E si guardi anchora dal tropo parlare, da lo ridere et |35 da simili cosi, però che per questo la materia firave trata plù al loco; anchora //60r// se guardi al più che al possa che la sua testa non fiza gravata de do- | lore, e quando ello dorme lo plumazo sia581 plano soto la sua testa e non | sia alto. Avicenna dice che aponerge li ventosi è inconveniente582 a li infirmi | che hano li scrophuli secondo la più parte, però che al non è possibile che la |5 materia fiza evacuata per quello che è in li scrophuli; anze, forse fi trata | a quelli e si li ingrossa però che fi trata de sangue sutile. E quando questo | serà fato, el se de’ retornare a li medicini de li logi; e la curatione loca- | le si è simile cum quello che congrega la resolutione cum la mollificatione, | como è mucilagine de malvavisco, de fen greco, de somenza de lino e |10 radice de lilio e tuti li meduli et alleffi; e li più utili aleffi sono de l’orso, | del cane, del taxo, de la volpe e de lo lupo. Et de quelli che più forte | resolveno e mollificheno sono armoniaco, galbano, storace, mastice et | laudano. E non besognia che al fiza administrato quello che resolve sola- | mente cum siccitade, azò che, como è dito, la materia non se induri per la re- |15 solutione de la cosa sutile et exiccatione de la cosa grossa; anze è neces- | saria la mollificatione, azò che la cosa grossa fiza mollificata, fina che | al’obedisca a la resolutione. Ma quando la infirmitade è in via de la | resolutione, el se de’ fare la additione de li cosi resolutivi e forse alora la | cura583 singulare. E poy se ti dubiti de la sua resolutione, azò che quello che è |20 sutile non fiza resolvesto e 580 Ediz. lat.: ut. 581 Vergato con inchiostro più scuro e probabilmente su una scrittura precedente. 582 Con i(n)- aggiunto in interlinea. 583 Ediz. lat.: pura; ms. lat. B: cura.

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quello che è grosso non fiza preda, retorna anchora | a li mollificativi, e tanto fa’ cossì, zoè mollificando e resolvendo, fina che ti | consegui tuto lo effecto. E mi vegniarò al presente cum la recordanza de li | medicini compositi, li quali mi ho provato solamente per loco584 e per usanza, et | de quelli è questo emplastro molto resolvente in una setemana o in |25 tri dì, lo quale ha narrato Galieno in li Megategni,585 zoè in quello libro: Recipe | somenza de senavra, somenza de urtica, solfero, spuma de mare, aristolo- | gia longa, bdelio, armoniaco, ana dramme ij; oleo anticho ge fiza azonto; | e de quelli fiza emplastro. Anchora, lo unguento dyaquilon, lo quale | componeno li antichi: Recipe litargiro trito once j; e fiza locato in li patelli; |30 e ge fiza azonto once ij .ſ. de oleo vegio, e fiza mesedato insiema; e poy | soto quelli fiza focho lento fina che tuto lo litargiro fiza resolvesto; | e poy se tolia586 de mucilagine; de somenza de lino, de fen greco, ana | once ij, e fizano azonti cum li predicti. E pos questo tuto se de’ rotegare fina ch’el | fiza ingrossato e coto; e quando el serà cocto, fiza levato dal focho, rote- |35 gandolo, perzò non fiza lassato, et extendendolo poy la materia se sicci //60v// fina che ella pilij la grosseza e la viscositade; e poy fiza governata e fiza | servata da usare. Anchora Recipe pegola liquida, oleo vegio, stercora de co- | lumbo, alume iameno, radice de capari et allef de porco, de tuti ana | parti equali; e poy tuti fizeno congregati cum la melle sopra lo foco e fiza lo |5 emplastro, perché ello è mirabile.587 Anchora uno altro: Recipe farina de | orobo, zoè de rovelia, e de fava, stercora de capra antiqua, ana once ij;  | aleffo de porco once j; fizano confecti cum melle e cum urina de puto o aceto. | Et anchora è bona solamente la stercora de capra confecta cum melle e aceto, | e simelmente la stercora de li pegori. Anchora uno altro588 empla-  |10 stro bono e si è probato in tuti li apostemi duri: Recipe armoniaco, bdelio, | galbano, equalmente; e fizano ponuti in lo aceto forte per tri dì; e poy | fizano distemperati, e poy azonzege solfero e fiza lo emplastro, overo fiza | cum solo armoniaco, como avemo dito. Et Avicena dice che quello è | emplastro mirabile, zoè de li radici de lilio, e de somenza de lino, e de |15 stercora de columbo quando fino confecti cum589 vino. Se fati  | questi cosi lo infirmo non guarisca, alora non è fiducia se no che al | fiza curato cum ferro, ma a questo besognia che lo medico sia savio, | maximamente e propriamente quando li scrophuli sono in li parti del colo, | però che mi ho zà vezuto asé habianti li scrophuli fir morti per

584 p(er) loco] ediz. lat.: longo usu. 585 Ediz. lat.: Catagenis; mss. lat. O, B: Megategnis. 586 Segue (once) ij depennato in rosso. or 587 Nell’ediz. lat. segue: Item aliud: Recipe fenugreci, partes iiii ; calcis, nitri, ana partem unam; et uniuntur cum melle et fiat emplastrum. 588 Segue i(n)po depennato in rosso. 589 Segue melle depennato in rosso.

4.3 Testo 

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opera- |20 tione de li matti medici in questi logi; e zà te li nararave al presente | azò che al te fosse adiutorio apresso la tua scientia se non perché temi | la prolixitade, zoè tropa longeza, del parlare. Ma mo mi te dirò lo modo | de la operatione in la incisione de li scrophuli e brevemente.

De la cura | de li scrophuli cum incisione.590 In primamente tolle la scrophula cum una |25 de li toy mane, e tenela firma secondo lo modo equale, zoè secondo | la longeza del corpo. E guarda bene che la incisione non passi ultra lo | termino de la pelsinella overo talia lo saculo de la scrophula, perché, se | ello serà taliato, la sua extractione serà molto grave. E poy exten- | de li labri de l’uno lato e de l’altro cum li rampini, e scortegela perfe- |30 ctamente da ogni circondamento; e poy, piliata la scrophula cum lo rampino, | fiza trata fora integramente s’el serà possibile; e guarda bene che alcuna | scrophula pizena591 non ge remagnia, e se alcuna cosa ge fosse romaso, tirello fora | anchora. Ma se lo sangue impaza la tua operatione, alora implisse |592 la piaga de medicini tollante via quelli. E poy che lo sangue sia  |35 stagnato, retorna a la tua operatione fina che ella fiza completa; et se593 //61r// alcuna cosa a l’ultimo ge remagnia de la scrophula a la quale non è |594 da595 retornare per la grandeza de quella scrophula in principio, overo per lo sconfiamento596 | del grande nervo o de l’artaria, alora ge pone la medicina acuta et | corosiva fina che la marcischa e fiza consumata; la quale cosa se de’ fare |5 però che, se la scrophula non fiza trata fora cum la sua integritade e lo panni- | culo suo, o non fiza guasto l’avanze che ge romane cum medicina acuta, | la infirmitade retornarave senza dubio. E poy, pos la administratione de | la medicina acuta, fiza administrato lo botero fina che lo focho e l’escara, | zoè la crosta, caza, e lo studio sia che lo loco fiza purificato o la piaga fiza |10 saldata. E sapia che molti homini sono li quali voleno inanze sustinere | questa infirmitade cha sotometerse a lo medico per la oribilitade del ferro, overo | perché elli non troveno medico discreto. A quelli che non voleno lo ferro | ye fiza fata tale medicina, zoè che al ge fiza apponuto uno altro ruptorio fina | che la codega fiza

590 d(e) li scrophuli cu(m) i(n)cisio(n)e] sullo stesso rigo e successivo a In primame(n)te tolle la scrophula cum una. 591 Aggiunto in interlinea. 592 Segue de m depennato. 593 Richiamo di fascicolo nel margine inferiore: alcuna. 594 Segue possi depennato. 595 Aggiunto in interlinea. 596 Ediz. lat.: timorem.

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scortegata, como è stercora de capra cum li cantaridi |15 triti e confecti cum aceto. E poy ge fiza ponuta la medicina acuta putre-  | factiva e consumptiva, como è calcina viva e cendere cum savone o597 | aqua sua e simili cosi. Una altra medicina che è probata: Recipe calcina  | viva, once ij; arsenico citrino, once ij; redalgar once .ſ.; fizano confecti cum melle | e fiza questa medicina e, fata la rotura de la codega, ponege de quello perché |20 al basta. E sia solicito a la defensione de li logi circonstanti cum li cosi frigidi | et, azò che la medicina non se mova ad alcuna parte e brusi lì undo non è | necessario, circonda quello cum cera o pasta e simili. Ma quando la | scrophula serà anexa, zoè se tegniarà, cum li nervi o cum li veni o cum li arterij, | alora la curatione sua non de’ essere cum questi medicini e simili nì cum ferro |25 in nusuno modo, però che non è possibile che la fiza extirpata senza dannamento de li membri.  | E quando la scrophula serà putrefacta e consumpta, lo loco  | de’ fir curato cum lo butero fina che lo fogo e la crosta caza in puza. E si | besognia che al sia grande cautela circa la necessaria quantitade de la medi- | cina acuta da fir apponuta, perché la sua quantitade necessaria non è598 |30 determinata, ma quello de’ essere secondo la usanza e la discretione del | medico che cognosca lo loco e la dispositione de la infirmitade e la acuita- | de de la medicina e simili cosi. Et è melio che pocha medicina ge fiza | ponuta plusor volti cha una sola volta la sua superfluitade. E molti | volti ti trovi la scrophula in li veni,599 e maximamente de quelli in li quali è  |35 de materia sanguinea, la quale vole devenire a la sanie, et alora la sua  //61v// curatione si è la maturatione cum quello che è como è somenza de lino, | fen greco e simili. E poy è necessario perforare in lo loco plù basso e fir matu- | rata600 como è dito de sopra in lo capitulo de li exituri, e fir ben expremuta  | la sanie; e poy fiza intrometudo lo stupino unto in la medicina acuta, fina |5 che l’avanzo fiza coroduto. E poy de’ fir subvegnuta cum lo butiro e curare | la piaga cum altra curatione fina che la guarisca.

De la cura de li glan- | duli e de li nodi.601 La curatione de li glanduli e de li nodi | per incisione non è differente da quello che è dito de la incisione de li | scrophuli, e però non è necessaria in questo loco 597 Segue q depennato. 598 Segue acuta depennato in rosso. 599 in li veni] assente nell’ediz. lat.: probabile errore indotto dal lat. invenies. 600 Ediz. lat.: maturiori. 601 De la cura de li gla(n)duli e de li nodi] sullo stesso rigo e successivo a La curatione de li glanduli e de li nodi.

4.3 Testo 

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la sua recordanza. Et in la |10 curatione de li glanduli non è altra intentione se non la602 abscissione, zoè incisione,603 et | la extractione. E nientodemeno la curatione de li nodi alcuna volta fi complita | senza incisione, e tale curatione al presente non è da fir lasata indreto; | et è questa, zoè che al fiza fata grande comprensione sopra lo nodo fina  | che al fiza guasto in tuto e che lo loco appara equamente vacuato. E poy |15 fiza lo emplastro de cosi stiptici e fiza ponuto sopra. Et de quelli sono | como è aloes, acacia, mirra, incenso, sarcocola e simili; e la qualitade | de confinzere questo emplastro de questi cosi si è che ay fizano triti e confecti | cum clara de ovo o aceto. E poy lo loco fiza strento cum grande stren- | tura, e cossì fiza lassata plusor dì; e poy fiza desligato e tolto via lo |20 emplastro, e fa’ quello fina che fiza removesta la nodositade. Overo | la lama del plombo fiza ponuta sopra quella nodositade e fiza strenta | fortamente como mi ho dito, e cossì fiza lassato lo emplastro plusor dì;  | e non sia segureza per la sola evacuatione del logo, perché la infirmitade | retorna alcuna volta; et imperzò pos quello el se convene la admini- |25 stratione de la strentura.

De la cura de la testudine. | La intentione de la testudine non è se no incisione et extractione,  | overo perforatione, quando ella è de quelli che contineno604  | la humiditade, azò che la sanie fiza trata fora. E sapia che la te- | studine fi contegnuta in lo sachetto como la scrophula e la glandula, |30 per la quale cosa al è ben da guardare che alcuna cosa de quella non re- | magnia, perché la infirmitade retornarave. Ma ponege la medicina | acuta fina che in tuto se coroda.

De li apostemi che veneno in la | codega de la testa.605 Molti volti in la codega de la testa fino fati | alcuni apostemi, li quali alcuna volta sono duri come preda, et |35 alora sono de la specia de li nodi, alcuna volta sono molli, et alora606 //62r// sono propriamente testudine; et rare volti vene li testudine in altro | loco se non in la codega de la testa. E tuti li apostemi che veneno 602 Segue ab depennato. 603 zoè incisione] glossa aggiunta nel margine destro con inchiostro di colore molto chiaro. 604 Segue la sanie azò depennato in rosso. 605 Rubrica assente nell’ediz. lat.; codega de la testa] sullo stesso rigo e successivo a Molti volti in la codega de la testa fino fati. 606 Numero di fascicolo nel margine inferiore: e.

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in | la testa, se ay siano duri o a modo de preda e non607 siano molli, car- | nosi o grassi, debeno fir taliati secondo la forma de la croce, azò che |5 plù lezeramente posseno fir scortegati, et ultra questo,608 quelli | che conteneno la humiditade e quelli che veneno pos la oregia,609 la sua | incisione fiza fata superficialmente. Et de quelli che se convertisseno a la sa- | nie sono quelli che veneno in la testa de li puti, e questo è per la habondan- | tia de lo sangue e per la discorenza de la codega. De lo bubo e de la sua |10 cura.610 Zà de sopra hay inteso che lo bubo | non nasce se no in li sotoaselli e in li inguini, zoè pectinaculi, et alora è | necessario che ti sapia a complemento la sua curatione. E lo bubo si è una | grande, dura e profunda congregatione de la materia cazata da li naturali  | principi de lo membro.611 E la sua curatione si è che dananze da tuti li |15 cosi lo corpo fiza mondificato e lo regimento fiza subtiliato e minuito. | E la evacuatione se de’ fare per la resolutione de lo ventro e per lo salasso, | e si convene che lo salasso fiza da la vena basilica de la mane opposita, | zoè contraria; e poy retorna al loco infirmo e si ge administra li cosi resoluti- | vi e mollificativi. Et alcuna volta l’oleo tepido lo resolve, e mitiga lo suo |20 dolore, overo fiza la embrocatione de oleo e de farina de orzo. E non be- | sognia per alcuno modo che al ge fiza administrata la medicina repercussiva, | azò che la materia non retorni a li membri principali e fiza de maiore nocu- | mento; e si non besognia anchora ch’el ge fiza administrati li cosi resolutivi | se in prima in lo corpo non fiza mondificato como avemo dito, però che al se |25 teme che al non fiza attractione de plù materia al loco. E se per questo modo | la materia non se resolve, anze fi augmentada la pulsatione e la caliditade, | alora sapia che la sanie fi congregata; et alora è necessario administrare | li cosi maturativi; e poy lo loco fiza perforato de buso a modo de luna | overo rotunda, como è dito in lo capitulo de li exituri, e fiza curato fina che  |30 al guarischa. Ma se la sanitade se prolonga e la sanie se multiplica, alora | ge administra prestamente lo scotamento o la medicina acuta.

607 se ay siano duri o a modo de p(re)da e no(n) siano molli, carnosi o grassi] ediz. lat.: tam si sint dura lapidea quam mollia carnosa vel pinguia. 608 Segue de depennato. 609 Segue de li quali depennato. 610 cura] sullo stesso rigo e successivo a Zà de sopra hay inteso che lo bubo. 611 da li naturali principi de lo membro] ediz. lat.: a principalibus membris cum caliditade adurente.

4.3 Testo 

 321

De lo goso | e de la sua cura.612 Lo goso è apostema carnoso e fi generato | in la gola, e la più parte vene a li doni et è simile al colore de la co- | dega. Et alcuno è naturale, alcuno accidentale, et in lo naturale, como |35 dice Albucasis, non è remedio; ma lo accidentale fi curato se ello è pizeno. //62v// E la sua curatione si è ch’el fiza taliato como avemo dito in la inci- | sione de li scrophuli, e fiza trato cum lo suo sachetto, et613 azò che alcuna cosa de | quello non ge remagnia, circa bene; e poy cuse la piaga e pone sopra la | stopa balneata in la clara de l’ovo o in aqua et aceto, azò ch’el se retegnia lo |5 fluxo de li humori e lo sangue se inspessi. E poy la piaga fiza curata | cum quello che se convene fina che la guarisca. E sapia che ti non debi | avire ardimento de aproximarte a lo goso cum ferro se ello è intrincato | in li nervi o in li veni o in li arterij, nì anchora quello che è grande. E lo | devedamento ch’el non se generi più si è mondificare lo corpo cum quello che |10 purga la flegma grossa, como è lo modo de la polvere de turbit, e la sub- | tiliatione de lo regimento et la abstinentia de l’aqua e de tuti li cibi frigidi | e che non siano payliveli; e lo cibo sia pane bene coto e ben levato, | e la carne de l’agnello de uno anno, de capreto, polastra, pernisi e simili | a questi. Lo vino sia rosso claro in substantia e sia aromatico in lo odore. |15

Capitulo viijo de una superfluitade che per comuna usanza fi dita nata e de la | inflatione che appare in li mamelli de li homini.614 Molti volti vene in alcuni | homini una superfluitade la quale secondo lo comune volgare fi dita | nata, et è apostema carnosa, granda e molle como è fongo. Et non è | cum quella dolore, o se al g’è dolore ello è pocho, nì è calore nì pul- |20 satione. Et forse che de quella alcuna è che cresce cossì che ella avanza | tuti li altri superfluitade del corpo. E una volta venne a mi uno homo | che aviva la nata in la sua spalla, overo coppa, e descovaté lo loco e si vidì | la infirmitade; e quando l’ave veduta, a mi plasì de lasarla cum lo suo  | signore perché mi timé sopra la sua grandeza. E quello homo andé alora |25 ad uno altro cirogico che era meo cognoscente, et ello lo liberà perfeta- | mente e ge trovà setti libri de carne in lo suo pondo che luy 612 De lo goso e de la sua cura] sullo stesso rigo e successivo a Lo goso è apostema carnoso e fi generato. 613 Aggiunto in interlinea. 614 i(n)flatione ch(e) appare i(n) li mamelli d(e) li ho(min)i] sullo stesso rigo e successivo a Molti volti vene in alcuni.

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extrase via. | Ma sapia ch’el non vene in plusori, e lo modo de la sua curatione si è | che al fiza taliato et excoriato da ogni parte cum graveza e fiza trata via. | E poy scota lo loco perfetamente per lo fluxo del sangue, perch’el vene molti volti  |30 apresso la incisione et alcuna volta retorna s’el non fi scotato. Ma se la nata | serà de tropo grossa radice, el è paura in la sua incisione; et però talia via la mey- | tade e scota l’avanze. Et alcuna volta la sua radice è sutile e molto pende | como de uno testiculo, alora non besognia scortegala, ma taliarla cum la spa- | tuleta lata afogata apresso lo corpo cum la sua integritade. E sapia che ti non  |35 di’ avire ardimento de taliare la nata la qual è de fosco colore e de pocho sentimento, //63r// perché ella è apostema de cancer. Alcuna volta vene la inflatione in li ma-  | melli de alcuni homini cossì che sono simili a li mamelli de li doni, la quale cosa | è molto in fastidio a la natura, e quello non è altro se no grasseza. Adoncha | quando ti la vole curare, talia sopra li mamelli cum incisione a modo de luna,  |5 e scortega quella grasseza e tirela via; e poy a la piaga pone la medicina in- | carnativa et aduna li soy labri cum la cusitura, e curalo fina ch’el guarisca. | Ma se la mamella pende como fa quelli de li doni, alora besognia che la fiza | fenduta da doy lati de sopra in doy fessuri simili a la figura de la luna, et | una fiza continuata cum l’altra apresso la fine sua. E poy la codega che è inter |10 tuti doy li fessuri fiza scortegata, e tolta fora la grasseza, e lo loco fiza cu- | rato cum quello che è necessario. Et s’el ge fosse romasa alcuna cosa de la | grasseza per la intollerantia de lo infirmo o per la abondantia del sangue, alora | ge fiza ponuta la medicina acuta fina che la fiza coroduta via. Capitulo viiijo | de la abstractione de l’aqua de li ydropici. |15 Idropisia si è errore de la virtude digestiva in lo figato e fi dita ydropisia | ab ydros che è dire aqua e tisis615 che è dire passione, e però fi dita ydropisia, | quase passione aquosa. E li soy speci secondo la sententia de li antiqui sono trey,  | zoè aclites, yposayca e timpanides, ma a nusuna de quelli non fiza administrata | la curatione de ferro, se non a quella che ha nome aclites, azò che l’aqua che |20 è inter lo syphac e li budelli fiza trata fora. Adoncha quando ti fi constreto | in la curatione de questa specia cum ferro, fa’ per questo modo, zoè che lo ventre | de lo infirmo fiza compremuto, azò che tutta l’aqua declini a la parte616 inferiore de lo | pectinaculo; e poy considera cum ogni tua diligentia se la generatione de l’aqua |

615 Ediz. lat.: ptisis; ms. lat. B: tysis. 616 Segue pi depennato.

4.3 Testo 

 323

fiza per la617 parte de li budeli o per la passione del figato o de la milza; e se la sia da la |25 parte de li budelli o del figato, fiza perforata tuta la codega cum siphac sotto dal | biguello per trey diti dritamente fina ch’el se pervegnia al loco voydo. E se la ge- | neratione de l’aqua serà per lo figato, alora la incisione fiza in la parte sinistra, | e se la serà per la milza fiza in lo lato dextro618 sopra lo quale de’ zasere lo infirmo, | azò che li superfluitade non corra a quello loco. E poy che sia fata la perforatione, |30 uno canello de ramo o de argento fiza intrometudo, azò che l’aqua fiza evacu- | ata per quello; e guarda che al no ne fiza trato fora più che non besognia in | una hora solamente, perché forse lo infirmo morirave per la evacuatione del spirito | vitale, overo ch’el ge vegniarave lo sincopis, zoè lo perdimento, e se appropinqua a la morte, | ma voydela secondo la quantitade de la virtude de lo infirmo. E poy tira fora lo ca- |35 nello et opila lo buso; e l’altro dì intromete lo canello e tira fora l’aqua //63v// se la sua virtude lo sustegniarà; e cossì faré fina che de l’aqua non rema- | gnia se non pocho. Ma se ti temi sopra lo infirmo e ge lassi molta aqua, | cura quello cum la sepultura in la arena calda e cum molto sudore in lo | bagnio et al sole. E poy la piaga fiza curata cum medicina exiccativa fina |5 che la guarisca; e lo infirmo se guardi dal bevere al più ch’el possa, e la sua dieta | sia molto confortativa et odorifera. E sapia che ti non di’ avire ardimento che ti619 | faza la curatione sua quando lo infirmo è puto o vegio decrepito o de debile |620 virtude, nì anchora se ello habia altra infirmitade621 se no cha ydro- | pisia, como è tosse o solutione de ventro e simili a questi. Capitulo xo de ogni |10 eminentia, zoè inflatione, che vene in lo siphac de lo ventre. | Molti volti vene una eminentia, zoè levamento, in syphac zoè in lo panniculo che | se extende sopra lo ventre alcuna volta in li parti de li inguini, zoè pe- | ctinaculi, alcuna volta de sopra in li parti del ventre. E cotale eminentia o che | la fi per rotura de siphac, et alora da quella vene fora lo budello e lo zirbo, |15 e la sua significatione si è622 quando la eminentia che appare se asconde in | prima, e poy retorna per sì, overo quando lo infirmo retene lo fiato overo tosse | virilmente; et alcuna

617 Aggiunto in interlinea. 618 Segue nell’ediz. lat.: non enim oportet ut fiat sectio in latere. Probabile saut du même au même. 619 Segue fiza depennato. 620 Segue natura depennato. 621 Segue sej depennato. 622 Segue qui depennato (con -i che sembra esser stata corretta in -a prima della cancellatura).

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volta apresso lo introito se ode la gurgulatione de lo bu- | dello e la eminentia cresce per tropo fadiga e caliditade de bagnio; e quando lo | infirmo iace623 quetamente resupinato, zoè cum lo ventre in suso, la emi- |20 nentia se asconde, e quando leva suso e va, retorna como al’era624 denanze. | Overo che la fi per ventositade, e lo suo signo si è che ella non è grave né pon- | derosa, anze è lezera cum legereza de lo tochare. Overo che ella fi per carno- | sitate, e lo suo signo si è che quella eminentia è grave, grossa e dura e sta se- | condo una quantitade; o che la fi per humiditade, e lo suo signo si è la molli- |25 cie e perché ella non fi ascosa per calcare cum la mane né se constrinze, over che ella | fi per lo sangue che discore da la fessura de la vena o de la artaria, e lo suo generale | signo si è la sua rosseza declinante a la nigreza. E quando la eminentia | serà per carnositade, e che ti desidri la sua curatione, alora625 talia sopra quella e tirela fora; | e poy cura la piaga como ti sapi. E simelmente se la serà humiditade, busa |30 lo loco e lassella venire fora. Ma in nusuno modo non besognia che la fiza curata | cum ferro quando la vene per sangue che è discorso per la fissura de li veni o de li arte- | rij, perché alora si è paura. E se la serà per ventositade, alora ge fiza admini- | strati li cosi che sutiliano la ventositate, como è herba ruta, aniso, cimi- | no e simili. E se la eminentia serà per rotura, alora la sua cura è più grave; |35 nientodemeno el besognia che ti sapia la sua casone anze che la sua curatione //64r// fiza declarata. La sua casone è de molti mayneri, però che la vene o | [per] cadimento o per bota, o per salto, o per tropo cridare, o per combatimento, o per elevatione | de grande pondo e simili. E la curatione de la rotura è diversa secondo  | la diversitade de li logi in li quali ella vene, però che vene o da li pectina- |5 culi in suso, como è in lo biguello et in l’avanze del ventre, o che solamente | vene in li inguini, zoè pectinaculi, per la quale li budelli anchora non veneno |626 zoso a li testiculi. O che la fi forte exitura,627 o azonzimento per lo tempo, | e veneno zoso li budelli, e per questo a mi è apparuto aponere la cura de | zescaduna secondo che al è necessario. De la cura de la rotura de lo biguello |10 et de tuta l’avanze del ventro.628 Dico adoncha che se la rotura  | vene in lo biguello, el besognia che lo infirmo staga desteso e retegnia  | lo fiato fina ch’el appara la eminentia; e poy signala 623 Segue resup cancellato. 624 Segue in p depennato con p solo accennata. 625 Con -ra aggiunto in interlinea. 626 Segue fora depennato. 627 O ch(e) la fi forte exitura] ediz. lat.: Aut fortasse fit ex ire. 628 et de tuta l’avanze del ventro] sullo stesso rigo e successivo a Dico adoncha ch(e) se la rotura.

4.3 Testo 

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cum incaustro o cum | carbone in circo de tuto lo biguello. Et alora comanda a lo infirmo ch’el resupini, | zoè zasi, sopra lo suo dorso, zoè spinale; e poy talia cum li spatuleti lo629 |15 circulo che ti signasti cum lo incostro. E poy ficha uno rampino in mezo de la | eminentia, et extendelo in suso; e poy ligela diligentemente cum lo spago in- | cerato,630 et in quello spago fa’ uno gropo corrente, e poy lo capo de la eminentia [scinde]. | E poy pone dentro lo dito secondo e guarda bene ch’el non sia priso631 cum | lo ligamento lo budello o lo zirbo, zoè quello panniculo; e se ti trovaré lo budello, |20 desliga lo ligamento632 e calca dentro lo budello, ma se ti trovaré lo zirbo, | zoncha via la sua superfluitade. E se lo sangue te contraria per la incisione | de la artaria o de la vena, alora succureye cum lo remedio fina ch’el se | strenza; e poy retorna a la tua operatione. E fa’ che ti abia doy agugi cum li | fili doplati forti, et intrometeli dentro in la incisione che633 ti festi in prima |25 in circo al biguello secondo lo modo de la croce e fa’ che ay passeno da l’altro | lato; e poy li fili fizano strenti in quatro logi e li gogi fizano tolti via, e lo | loco fiza lasato fina che la carne strenta marcisca e caza. E poy cura la pia- | ga cum quello che se convene de medicini fina che la guarisca. E se la634 emi- | nentia serà per la rotura che vene in l’avanze de lo ventre, alora besognia che |30 ella fiza curata secondo che te dirò. Zoè che lo infirmo sia desteso e retegnia | lo fiato fina che lo loco se infli; e poy fiza signato sopra la rotura e lo infirmo | zasi sopra lo dorso. E poy la rotura fiza scotata sopra la sua quantitade, | e quello che fi brusato sia solamente de la codega; e poy lo loco fiza curato cum lo | butiro fina che lo fogo e la crosta caza e la medicina fiza administrata a la |35 piaga fina che la guarisca. E per questo la rotura non fi azonta. Ma se la //64v// serà de grande tempo e de grande quantitade, alora la sua curatione si è per | incisione, e si è che lo loco fiza signato cum lo incaustro de la rotura.635 E lo infirmo | zasia sopra lo suo dosso como avemo dito e fiza ligato sopra una bancha cum | li fassi, overo falo tegnire da alcuni homini; e poy lo ministro pona lo suo |5 dito sopra lo loco de la rotura azò che lo budello non vegnia fora, e talia cum li | spatuleti equalmente tuta la codega fina che ti pervegnia a la rotura. E poy fiza | cusito lo siphac como se dice in li piagi de lo ventre quando li budelli veneno | fora, e lo loco fiza curato cum quello che se convene fina ch’el guarisca.

629 Segue signo depennato. 630 Ediz. lat.: in circuitu. 631 Segue lo lig depennato. 632 Con -i- corretta probabilmente su o e poco leggibile. 633 Segue f depennata. 634 Segue rot depennato. 635 lo loco fiza signato cum lo incaustro de la rotura] ediz. lat.: signetur cum encaustro locus rupturae.

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De la cura | de la rotura che vene in li pectinaculi.636 Et quando la rotura vene in li |10 inguini, zoè pectinaculi, e la inflatura non vene zoso a li testiculi, overo | se al637 descende638 molto pocho e de quella, e retorna cum legereza in tuti li hori, | se ti voray fare la sua curatione cum li medicini, considera inanze la sua | grandeza e la longeza del tempo e la etade de lo infirmo; e questo è perché | la rotura non fi sanata cum li modi de li medicini se no quando ella è pizena |15 e de pocho tempo e la etade puerile de lo infirmo, et secondo questo se sana | cum faticha perché lo siphac è nervoso e de grave incarnatione. Alcuni | diceno che ay guarisseno la longa rotura et in ogni etade cum li modi de li | medicini, e tali sono inganatori. E sapia che quanto più naturalmente li cor- | pi de li infirmi [sunt humidiora], tanto melio e più lezeramente guarisseno e fizeno incarnati. |20 E la curatione cum li medicini si è che lo loco fiza emplastrato sopra la rotu- | ra cum li cosi cazante la ventositade in li quali è forte stipticitade et alcuna | adunatione, como è nuce de cipresso, draganti, mirra e simili cosi; e poy  |639 fiza strento cum ligatura cognosuta, como è de besognia. E lo infirmo  | zasi sopra lo suo dosso, zoè spinale, per quaranta dì; et observi la dieta che |25 se dirà de soto, e tolia de li cosi stiptici e consolidativi in lo manzare et in lo | bivere ogni dì de sera e da matina, s’el non se teme de la strentura de lo | ventre; e s’el se teme de quello, alora tolia sempre de quelli de terzo in terzo dì. | E quando ello levarà suso, non lassi lo emplastro nì lo ligamento cum altri | xl dì o circha quello se luy ne ha besognia. E de li boni emplastri |30 che zoveno a la rotura è quello che se fa de pelle de moltone, e la quali- | tade de la sua confectione si è per questo modo: Recipe pegola navale, cera rossa, | colofonia, ana dramme ij; litargiro, armoniaco, galbano, terbentina, mastice, | incenso, radice de consolida maiore e minore, ana dramme ij; visco de rovere, | cipresso, mirra, sarcocola, aloes, de tuti dramme v; sangue de homo al to piasire; |35 e confinzelo cossì: tolle li fianchi de la pelle de lo moltone, e tira zó li pili, //65r// e cosella fina che ella deslengui tuta; e poy lasa repossare l’aqua tri dì; | e pos questo tolle li predicti cosi ben triti e crivellati e confecti cum lo predicto sangue, | e mesedelli cum la dicta aqua in la caldera e fiza bulito fina che al vegnia | spesso e nigro, e poy removello dal fogo e fiza lo emplastro. Anchora |5 uno altro bono emplastro et aprobato: Recipe noce de cipresso, acacia, galleti, ba- | laustie, ana dramme v; draganti, mirra, sarcocola, incenso, goma arabica, ana dramme iij; | tuti fizano triti e crivellati e fizano confecti cum 636 De la cura de la rotura che vene i(n) li pectinac(u)li] sullo stesso rigo e successivo a Et quando la rotura vene in li. 637 Corretto su ay. 638 Ms.: descendeno con -no depennato. 639 Segue la depennato.

4.3 Testo 

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aceto. Anchora uno altro | bono et aprovato che expone Rasis in lo libro de le Divisioni: Recipe nuce de | cipresso, ciperi, sanguisuci,640 galeti,641 ana parti equali; fizano dissoluti cum la goma |10 in lo vino e fizano adunati cum quella li altri cosi e se faza lo emplastro. | La dieta de lo infirmo sia molto sutilissima, e se guardi da tuti li ciba- | rij grossi e che fano ventositade, anze ye fizano dati li medicini che  | removeno quella ventositade. E se guardi da lo movimento superfluo e da la  | fatiga e da lo ridere destemperato, da la tosse, da la sternutatione, da lo cri- |15 dare, da lo bagnio de l’aqua calda, da la luxuria e da simili cose che lar- | geno la rotura. E lo modo de recivere li medicini in lo manzare et in | bevere si è che li nuce del cipresso fizano coti in l’aqua de mirto o plu- | viale, e cum quella fiza temperato lo vino e cossì se biva; overo fiza polvere | de la radice de consolida maiore e milfolio, e ye fiza data cum vino caldo. |20 Et ancora fa’ polvere cum bolo armeno, sangue de draco e mumia | da per sì o componuta, e ye fiza data in cibo sorbile. Overo fiza questo | electuario: Recipe consolida maiore, nuce de cipresso, pegola greca, draganti, | mastice, goma arabica, bolo armeno, sangue de draco, mumia, de tuti | parti equali; e de li pili de la levore taliati minudamente al to piacire; |25 tuti fizano triti e pulverizati e fizano confecti cum melle bene sclumata, | e tanto ye fiza dato da matina e da sera como è una mirabolana.642 | E questo è lo regimento de la curatione de la rotura cum li modi de li medicini | e secondo la via de la rasone. Molti doni savi saneno li soy puti | senza alcuni medicini quando se comenza lo principio de la infirmitade, |30 e cotali doni defendeno che ella non cresca cum lo bragero e cum prohibitione, | zoè devedamento, de pianzere e de cridare e de moverse e de simili cosi | che largeno la rotura. Ma se la rotura de li inguini, zoè pectinaculi, | non guarisse cum questo modo de li medicini como avemo dito, alora se de’ | recorrere a la cyrugia, zoè a la operatione de li mane, e la operatione de la |35 cyrugia si è in doy modi, zoè o che la fi per scotamento o per incisione. Et eyo //65v// al presente recordarò la curatione secondo lo modo de zescaduna descriptio- | ne de li antiqui.

De la cura de la rotura cum lo cauterio. | Quando ti vole operare cum lo cauterio, zoè scotamento, el è necessario che | ti comandi a lo infirmo che al retegnia lo fiato643 fina ch’el apparia la |5 inflatura, 640 Con la prima i aggiunta in interlinea. 641 Nell’ediz. lat. segue: acatie, thuris, gummi arabici. 642 como è una mirabolana] ediz. lat.: quoniam est mirabile. 643 Segue e depennata.

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overo eminentia; e poy redula cum li toy diti e signela cum lo incostro | o cum altra simile cosa soto la rotura sopra l’osso de lo pectinaculo, concio- | siacosaché la sua extremitade sia simile a la meytade de lo circulo a li cosi644 | superiori del corpo. E poy lo infirmo fiza reponuto a iacere sopra lo dosso sopra | uno scagnio o una tavola de la quale una extremitade sia plù alta cha l’altra |10 per quantitade de uno gombeto o circa, overo che li soy coxe siano levati e la | sua testa sia in zoso bassata, e le mane fizano ligate sopra lo suo pecto e tuto | lo corpo fiza ligato sopra lo disco o la tavola, azò che luy non se mova apresso | la tua operatione, e cose, overo scota, lì undo è necessario. E poy lo ministro | tegnia la mane sua sopra lo loco de la rotura, azò che lo budello non vegnia |15 fora. E poy pone sopra lo dicto signo lo cauterio, zoè lo ferro, afogato645 che zà | avive tu ponuto in lo foco, e firma la tua mane cum quello secondo la rectitudi- | ne fina che ti conseguisca l’osso; e se in la prima volta ti non abia conseguito l’osso, | alora retornega lo cauterio una altra fiata fina che ti lo conseguisca, et | questo si è però che se ti non abia conseguito l’osso cum lo tuo cauterio, pocho zova |20 la tua operatione. E guarda bene cum grande diligentia che in la hora | de lo scotamento non vegnia fora lo budello e fiza brusato e per quello vegnia | mali accidenti. E poy lo scotamento fiza curato cum lo botero fina che lo | fogo e la crosta caza in puzura. E pos questo la piaga fiza curata cum li altri | medicini fina che ella fiza restaurata. E lo infirmo zasi sopra lo suo dosso |25 per xl dì fina che la piaga fiza consolidata. E poy che al leva suso, tegnia lo | bragero fato artificialmente per altri xl dì. Et observi la dieta scrita de | sopra e coss[ì] guarirà integramente se Deo volirà.

De la cura de la rotura | cum incisione.646 El besognia in cotale curatione cum ferro | che lo infirmo zasia sopra lo suo dosso e cossì ye comanda; e poy talia |30 lo loco de la rotura secondo la quantitade de tri diti in largeza. E poy | scarna fina che al fiza descoatato lo didimo, zoè la pelle che sostene647 li testiculi;648 et alora tolle | lo instrumento a modo de tenta, e pone la extremitade sopra lo loco de la | eminentia, zoè inflatura, in lo didimo e poy cum quello reduce lo budello | a li interiori de lo ventre. E po’ cuse l’uno loco e l’altro lo quale se contene |35 cum la extremitade de lo instrumento, e da l’uno lato e da 644 Segue de depennato. 645 Con -to aggiunto in interlinea. 646 De la cura de la rotura cum incisione] sullo stesso rigo e successivo a El besognia in cotale curatione cu(m) ferro. 647 la pelle che soste(ne)] scritto con inchiostro più scuro. 648 li testiculi] aggiunto nel margine destro e con inchiostro più scuro.

4.3 Testo 

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l’altro de lo didimo //66r// agropisse uno de quelli cum l’altro cum la cusitura. E poy tira fora la | extremitade de lo instrumento e da’ la curatione a la piaga. Et sapia che | lo predicto cauterio è meliore e più securo, e molti volti mi ho operato cum | quello e may non sonto stato inganato; e li antiqui lassaveno la in- |5 cisione e si eleziveno lo cauterio.

De la cura de la rotura quando li | budelli descendono in la borsa de li testiculi. | Quando la eminentia descende a la borsa de li testiculi, alora o che | al è per danamento de lo siphac o per sua largatione. E lo signo ch’el | sia per lo danamento de lo siphac si è perché la descende subito cum grande |10 dolore fina a lo profondo de la borsa, e quello è per la graveza e corso de li | budelli a li cosi exteriori de lo siphac; e lo signo che al sia per largamento  | de lo siphac si è perché ala649 descende a pocho a pocho et in longo tempo e non  | subito nì anchora fina al profondo, e quello si è per la legereza de la viscosi- | tade.650 E li budelli e lo zirbo retorneno cum graveza,651 et anchora li |15 budelli e lo zirbo retorneno cum minore gorgulatione, ma la vento- | sitade cum asayissima. E forse che la stercora fi congregata in li budelli, | et alora a lo infirmo vene uno malo dolore, e specialmente quando fizeno | calcati de dentro, anze forse ne seguisse la morte. Et in la curatione | de cotale incisione overo rotura rare volte o non652 may ge zoveno li me- |20 dicini, anze la sua curatione si è del ferro, et alora cum quella serà grande | paura, però che molti volti sopra lo infirmo vene grande malicia e more | de lezero; per la quale cosa, amico, non è presumptione che ti tolia questa | cura per la cupititade de lo guadagnio se no quando ti è pregato da lo | infirmo e da li soy amici e se ti non averé conseguita la perdonanza da quelli, |25 e cotale intentione non è da lassare indreto e cossì in tuti li altri infir- | mitadi timorosi, però che quello serà salute de lo tuo corpo e defensione de | la soza fama. Et anchora non besognia che lo vegio fiza medegato | se ello non fi curato cum la curatione del ferro, anze basta ch’el fiza653 | guardato cum lo bragero e cum la dieta. E lo modo de la operatione |30 cum ferro si è che ti comandi a lo infirmo ch’el reduca li budelli cum la | sua mane de dentro, et alora fizano li clisteri azò che al fiza aleviato | da li soy superfluitadi; e poy lo infirmo seda molti volti in lo bagno et | lo loco fiza unto 649 Con la seconda a molto piccola e aggiunta successivamente. 650 Ediz. lat.: ventositatis. 651 Nell’ediz. lat. segue: et ventositas absque difficultate. 652 Con n corretta su m tramite la cancellazione dell’ultima zampa di -m; rare volte o non may] ediz. lat.: raro vel numquam. 653 Segue curato depennato in rosso ed espunto.

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cum li cosi mollificativi fina ch’el retorni. E poy lo infirmo | se buti sopra lo scanno o la tavola apparegiata como avemo zà dito, |35 cossì che li soy gambi siano elevati e la testa sia bassata in zoso, e ligelo //66v// a la tavola cum li fassi in tri logi, zoè cum una654 in li gambi appresso lo calcagnio, | cum una altra in li cossi appresso li zinogi, e la terza in lo peyto cum la quale | anchora fizano ligati li mani. E poy lo testiculo fiza ducto fina a la | rotura e lo ministro pona lo suo dito sopra lo loco de la rotura, azò che |5 li budelli vadeno fora;655 e poy talia la pelsinela sopra lo testiculo secondo la | longeza, e la incisione sia secondo la quantitade per la quale sia possibile che | lo testiculo vegnia fora per quella, e poy ch’el serà venuto fora comanda a lo | ministro che ello lo destenda in suso, e ti scarna lo dindimo fina a la ni- | greza656 cum alcuno instrumento non molto taliento, overo cum li ongi e si è |10 melio. Et alora circa cum li toy digiti azò che alcuna cosa de li budelli657 non | sia in lo didimo, e se ti ge trovaray alcuna cosa de quelli, implissello de | dentro. E poy tolle una agogia grande quadrata in la quale sia lo spaco | forte, e cuse lo didimo apresso la nigreza,658 e ligalo grandemente cum asé invo- | lutione, e lassa pendere fora li capi de quello spacho. Alora poy che ti ge abia |15 ponuti li tavoli, brusa lo didimo secondo la rotonditade apresso li ligamenti cum | uno ferro lato ben fogato, e poy fiza bene coto cum doy altri cauterij bene | afogati; e guarda bene che ti non talij overo afogi alcuna cosa de lo liga- | mento. E poy talia in la parte659 inferiore de la codega de li testiculi, azò | che lo sangue e la sanie, zoè la marza, fiza menata fora, et in la piaga fiza |20 administrata lana o stopa balneata660 in la clara de l’ovo et in oleo rosato. E lo stupino | fiza ponuto in la incisione che ti festi661 de soto, e de sopra fiza ligato cum li- | gatura conveniente. E poy lo infirmo fiza desligato da li soy ligamenti primi e fiza | portato como uno morto in lo lecto molle e bene preparato, et in quello cossì | fizano logati li soy pedi che ay siano uno pocho più alti cha la testa; e diligen- |25 temente fiza coverto e specialmente s’el serà lo inverno azò che lo fredo non lo | prend[a]662 e per quello ye vegnia malo accidente, e se guardi quanto sia possibile | da tuti li acidenti de l’anima, como è ira, tristeza e simili. E lo ligamento | fiza lassato per vij dì, e se pos setti o novi dì non cazerà lo ligamento, alora | lo loco fiza embrocato cum aqua et

654 cu(m) una] aggiunto in interlinea. 655 azò che li budelli vadeno fora] ediz. lat.: ut non exeat intestinum. 656 Ediz. lat.: inguinem. 657 Con -i corretta su un’altra lettera e poco leggibile. 658 Ediz. lat.: iuxta inguinem. 659 Segue de sot depennato con t solo accennata. 660 Aggiunto in interlinea. 661 Segue in depennato. 662 Ms.: prendo.

4.3 Testo 

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oleo rosato fina ch’el caza; e poy fiza las- |30 sata l’aqua calda e l’oleo, e fiza poy curato cum li cosi exiccativi fina ch’el guari- | sca. Anchora è bono ch’el se mudi la piaga e li parti de li pectinaculi fizano | unti cum oleo scaldato, perch’el deveda la malicia sopra la piaga. Capitulo xjo | de la hernia secondo tuti li soy speci e de lo apostema e de la mollificatione | de la codega de quelli.663 Li speci de la hernia che vene in la borsa de li |35 testiculi, oltra la hernia generale de li budelli, sono trey, una de li quali //67r// è aquosa, l’altra è piena de vento, e l’altra si è carnosa. E la hernia | aquosa non è alcuna altra cosa se no una congregatione de humiditade, e la | sua casone si è la debilitade de li budelli de li testiculi, per la quale cosa la | materia de questo membro vene a quelli; et alcuna volta vene per botta sopra |5 quelli testiculi. E lo suo signo si è la graveza e lo resplendimento e perché, quando | ella fi tochata, ella dà loco a lo tocamento. E la sua curatione si è che al fiza ta- | liata la codega de li testiculi de grande incisione secondo la longeza,664 e poy busela | e tira fora tuta l’aqua, e circha bene secondo la tua diligentia che lo testiculo non | sia coroto; e s’el serà coroto, fiza taliato cum ferro caldo e fiza trato via; e poy |10 la piaga fiza curata cum quello che se convene fina che la guarisca. E quando | fi lassato dentro lo testiculo coroto, ello fa retornare la infirmitade; anze, molti | volti665 retorna senza la coruptione de lo testiculo. Et anchora ha besognia | de perforatione s’el non fiza cauterizato pos la perforatione et evacuatione sua. | E quando la hernia serà per ventositade, la qual cosa se cognose per la extensione |15 senza pondo e per la dolceza del tocamento et anchora per altri signi predicti in la | parte denanze, et alora la sua curatione si è la subtiliatione de la ventosi- | tade. E se ella serà per carnositade, lo suo signo si è la graveza e la grosseza | e la dureza cum pocho dolore, e la sua casone si è la effusione, zoè discorrimento, | de la materia a li testiculi, overo per botta. E la sua curatione si è ch’el fiza ta- |20 liata la codega de li testiculi e fiza scortegata fina a li cosi superiori. E poy tira | fora lo didimo e lo testiculo, et libera quelli da ogni parte da quella carnosi- | tade. E nientodemeno se lo testiculo è saldato cum quella carnositade, el be- | sognia perzò ch’el fiza taliato e trato fora cum lo ferro caldo per la paura de lo | sangue che vene fora, perché, como dice Aly, el è grave cosa mitigare quello,  |25 e per 663 de la codega de quelli] sullo stesso rigo e successivo a Li speci de la hernia ch(e) vene i(n) la borsa de li. 664 Nell’ediz. lat. segue: et excorietur donec ad locum aquae pervenias; om. ms. lat. B. 665 Segue s depennata.

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questo molti mancheno per questa operatione, e poy la piaga fiza cusita e fiza | curata cum quello che se convene de li medicini fina che la guarischa. Et oltra  | questo, alcuna volta quelli testiculi se apostemeno de apostema calda o frigida, | o per humore discorrando a quelli. E lo signo de lo apostema caldo si è la pul- | satione de grande caliditade, lo tocamento666 e la rosseza de lo colore. E lo |30 signo de lo apostema frigido si è perché lo colore è simile a lo colore de la co-  | dega del corpo, e non667 è sego lo dolore. Curatione de lo apostema caldo | si è lo salasso de la vena basilica in principio e la emplastratione cum li reper- | cussivi; e poy fiza apadimata la pulsatione, zoè lo batimento, e lo loco fiza em- | plastrato cum li cosi resolutivi e mollificativi, como è camomilla, farina |35 de fava e simili. E la curatione de lo apostema frigido si è la resolutione //67v// e668 la repercussione. Anchora molti volti fi largata la codega de li testiculi | senza quelli testiculi, e pende in zoso sozamente. Et alora se ti serà chiama- | to a la sua cura, talia la codega generale.669 E poy fizano adunati li labri de | la piaga cum la cusitura, e cura la piaga cum l’altra curatione de la pia’ |5 fina che la guarisca.

Capitulo xijo de la castratione. | La castratione si è cosa che guasta o destrepa quello che è in li animali | naturali. E perché el è licito alcuna volta a li potenti de la terra avire | homini670 heunuci, zoè castrati, per guarda de li soy virgini, imperzò al me | piace in questo meo libro fare memoria de la castratione. Adoncha la |10 castratione fi fata in doy modi, uno de li quali fi per atritione, zoè per tri- | dare overo schizare, l’altro si è per incisione. La operatione per tridamento si è che | ti faza sedere lo animale in l’aqua calda fina che li soy testiculi se mollifi- | cheno e pendeno zoso. E poy tridelli fina che ay fizano resolvesti, zoè partiti in | peci, inter li toy mani.671 E cotale castratione è conveniente a li puti. E la |15 castratione che fi fata cum incisione fi partita in doy modi, uno de li quali | si è che li testiculi fizano taliati cum la virga, e l’altro si è ch’el se talij so- | lamente li testiculi. E la operatione de lo primo si è che la virga e li testi- | culi fizano

666 la pulsatione de grande caliditade, lo tocam(en)to e la rosseza de lo colore] ediz. lat.: pulsatio vehemens, caliditatis tactus et coloris rubedo. 667 Segue s depennata. 668 Ediz. lat.: et non; non: om. ms. lat. B. 669 talia la codega generale] ediz. lat.: incide cutem totam relaxatam super cutem; relaxatam super cutem: om. ms. lat. B. 670 Segue una lettera (b corretta poi in h?) depennata. 671 Nell’ediz. lat. segue: et non appareant amplius sub tactu manus.

4.3 Testo 

 333

ligati fortemente da li soy radici, e poy fizano taliati cum lo raso- | rio totalmente da lo loco de la ligatione, e fizano ponuti sopra li cosi |20 strinzenti lo sangue. E la operatione de lo secondo modo, per lo quale fino | taliati solamente li testiculi, si è che in principio ti tiri in zoso cum li toy | mani la codega e li testiculi. E poy fizano ligati e così talia sopra672 zesca-  | duno testiculo cum una incisione, e scortega tanto che ay vegnia fora. E poy | zoncheli via, e cuse la piaga e curela cum l’altra curatione de li piagi fina |25 che la guarisca. E questo modo è meliore cha quello che fi fato per tridamento, | zoè schizamento, però che per lo schizamento remane alcuna cosa de li testiculi, dondo | lo homo poy desidera lo coyto, zoè la luxuria. Capitulo xiijo de l’hermo- | frodita.673 Hermafrodita si è una passione non naturale  | e molto sozissima in li homini, como dice Aly, li speci de la quale sono |30 tri in li homini e una in li doni. La prima de li homini si è quella che appare | in la codega de li testiculi in quello loco che è inter tuti doy li testiculi, et è | como una vulva, zoè natura, de li doni, et in quella sono li pilli. La seconda | specia si è per quello medesmo modo, e per quella solamente674 insisse la urina, e la tercia | si è simile e nientodemeno la urina non si spassa per quella. Ma quella che |35 è in li doni si è quando sopra la vulva, zoè sopra la natura,675 de la dona //68r// in lo pectinaculo dependeno li membri de l’homo como de uno masculo | pizeno, e cotali corpi sono in tuto avanzanti fora, de li quali uno è como vir- | ga e doy sono como li testiculi. E tuti questi speci se posseno curare se non | quella che fi fata in li homini per la quale vene fora la urina. E lo modo de |5 la sua curatione si è che ti talij quella carne superflua cum tale taliatura | che niento de quelli ge romagnia. E poy cura lo loco cum l’altra | curatione de li piagi fina ch’el guarisca. Capitulo xiiijo de li veruci | zoè porri.676 Li veruci, zoè li porri, molti volti veneno | in la virga et in ogni parte del corpo, et maximamente in li mane |10 et in li pedi, per mali qualitadi li quali la natura caza 672 Segue uno depennato. 673 -frodita] sullo stesso rigo e successivo a Hermafrodita si è una passione no(n) naturale. 674 Aggiunto in interlinea con inchiostro molto chiaro. 675 Segue sua depennato. 676 zoè porri] sullo stesso rigo e successivo a Li veruci, zoè li porri, molti volti veneno. Nell’ediz. lat. segue: accidentibus in virga et in alia parte corporis (om. ms. lat. B).

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de fora. Et de quelli | alcuni sono duri, alcuni molli, ma li duri sono per colera nigra, e li | molli per flegma. E la sua curatione si è che in principio fiza purgato | lo humore che à fato venire la infirmitade, e poy sopra lo loco677 fizano po- | nuti li cosi exiccativi, como è oleo de mirto, oleo rosato, e la cendere de |15 li rami de la vite cum aceto distemperata, e simelmente acacia, bollo armeno | cum oleo rosato. E se questi cosi non valeno, ge debeno fir ponuti li cosi acuti | corosivi, como è calcina viva distemperata cum aqua de savone e simili. | E se questi anchora non ge valeno, fizano suspesi cum li rampini e fizano talia- | ti; e poy sopra lo loco fiza ponuta la medicina acuta, azò che la radice |20 che g’è romasa marcisca, e fiza consumata o cauterizata cum ferro afogato. | E se lo infirmo non sustegniarà la incisione, alora fiza ligato cum fillo | de seta cum grande strictura, e lo ligamento fiza lassato fina ch’el se rompe | la continuitade; e poy ge fiza ponuta la medicina acuta e fiza curato cum li me- | dicini como è besognia. E sapia, quando vene in lo capo del prepucio, zoè |25 de la parte de lo membro de l’homo, sempre sono molli,678 e non se tene in quelli lo | rampino;679 adoncha besognia che ti mondifichi e talij quelli cum l[i] forvesi.

De lo clavo e de la sua cura.680 Lo clavo, zoè lo chiodo, si è carne calosa | dura e rotunda simile681 a lo chiodo. Et è secondo lo colore del corpo, et | fi fato in ogni parte del corpo, e la più parte in li pedi et in li soy diti, e induce |30 dolore a lo infirmo in lo andare. La sua curatione si è ch’el fiza cavato in | circo; e poy fiza extirpato da la radice cum li forvesi o cum altro instrumento. | E poy lo loco fiza scotato e curato fina ch’el guarisca.

De la formica. | Zà de sopra ay saputo la curatione de la formica cum li modi de li medicini  | secondo la convenientia, e mo te besognia sapere la sua operatione cum la mane |35 quando lo modo de li medicini non ge vale. Et si è ch’el fiza cavata in circo quella //68v// e fiza trata fora como avemo dito de lo chiodo. Ma Galieno à dito ch’el | 677 Segue fi p depennato in rosso. 678 Segue per depennato. 679 Seguono tre lettere (ado?) depennate. 680 De lo clavo e de la sua cura] sullo stesso rigo e successivo a Lo clavo, zoè lo chiodo, si è carne calosa. 681 Con la prima i corretta su una lettera precedente (o?).

4.3 Testo 

 335

se tolia de la canelleta de la penna de la ocha o de voltore che sia forta, overo | de ferro o de ramo, e la sua extremitade sia acuta e sia secondo la quantitade | de la formicha. E poy la sua testa fiza ponuta sopra la formica azò che lo |5 suo circulo reciva quella in tuti li soy parti; e poy revolze la canelleta cum la | tua mane fina ch’el se talij in circo de la formica e fiza extirpata fina a lo pro- | fondo de la carne da la sua radice. E poy, se tu vole, scotela, overo curela cum | li medicini exiccativi fina che la guarisca. Capitulo xvo de li emoroydi. | Li emoroydi sono zinqui veni che fino terminati in lo circuito de lo culo, |10 e sono deputati da la natura a descazare lo sangue grosso e melanco-  | nico lo quale abonda in lo corpo. E la sua casone si è la extensione et infla- | tione proveniente da quello humore, unde el pervene ch’el fiza la disruptione de li | veni. Et alcuna volta vene per tropo siccitade de lo suo ventre constrinzant questi | veni. E la emoroyda fi dita da emac682 ch’è a dire sangue et roys che è dire |15 fluxo, unde emoroyda quasi fluxo de sangue per li parti de soto. E sono in | doy modi, overo che sono inter lo culo, et de quelli alora insisse sempre lo san- | gue in li soy extremitadi, overo de fora, et alora da quelli insisse aqua | citrina overo un pocho de sangue de curso continuo, et sono secondo lo colore | del corpo. Adoncha quando ti li vo’ curare, in prima salassa lo infirmo  |20 da la vena basilica; e poy se li emoroydi sono de dentro e non appareno, fizano | trati fora cum li ventosi, overo comanda a lo infirmo che ello asselli, zoè va- | da del corpo, e se prema fina che ay veneno fora dal culo et appara li e- | moroydi. E se lo culo non obedisse a la egressione, alora clisteriza lo infirmo | cum clisterio un pocho mortificativo.683 E poy mete lo rampino in quelli |25 e suspendeli, overo teneli cum la tua ungia; e poy tayelli apresso la sua radice. | Ma se lo rampino non se tene in quelli per la sua humiditade, alora pilieli cum | lo panno aspero e tireli fora cum li toy diti. E poy talia quelli684 e pulveriza sopra | quelli la medicina acuta pos la incisione, overo scotelli. E poy la piaga fiza | curata cum altra curatione de li piagi fina che la guarisca. Ma se li |30 emoroydi sono de fora, alora la cosa serà legera. Adoncha pilia quelli | cum la tua ungia o cum lo rampino, e talieli apresso la sua radice como è | dito de sopra. E poy ponege la medicina acuta overo cauterizali. E se | lo infirmo teme la incisione cum lo ferro, zescaduna emoroyda fiza liga- | ta

682 Ediz. lat.: ab emo grece; ms. lat. O: emac. 683 Ediz. lat.: mordificativo. 684 Aggiunto in interlinea.

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cum filo de seta e forte fiza strenta, e cossì fiza lassata fina che cazi |35 per sì; e poy lo loco fiza curato como avemo dito de sopra. Nientodemeno //69r// sapia bene inanze questo che se li emoroydi serano antiqui, sempre de quelli | lassene una, azò che li mali accidenti non vegniano forse sopra lo infirmo, | como è ydropisia, o tosse, o mania, o melancolia; como dice Ypocras, | guarire li emoroydi antiqui è periculosa cosa se una non ge serà romasa. |5 Capitulo xvjo de li fistuli che veneno in lo culo. | Molti volti veneno li fistuli in lo culo per vulneratione685 de li emoroydi, o | per li piagi o per li apostemi che veneno de fora appresso lo culo, e maxi- | mamente quando in quelli fi expectato lo complimento de la digestione. Et de | quelli alcuni sono passant et alcuni sono non passant, e la significatione |10 de li passant si è quando alcuna cosa insisse de quelli per insire o per ventosi- | tade, et alcuna volta per quelli insisse verme, et anchora quando ti in- | trometi lo dito in lo culo de lo infirmo e la tenta per lo buso de la fistula, | tu senti quella tenta cum lo tuo dito in parte de dentro. Ma de li pene- | tranti alcuni passeno appresso lo margine, zoè spacio, del culo secondo plù |15 e meno in li quali fi spectata la sanitade; altri passeno fina a la vesica | o a lo passamento de la virga, lo signo de li quali si è lo insire de l’urina per | quella, et alora non se de’ pensare che ay guarisseno lo loco cum medicini | per la dissolutione de la urina; et anchora altri passeno fina a l’osso de | la coxa e fina a lo nodo de la cova, e lo so signo si è quando la pervene fina lì |20 se la tortuositade non è in lo passamento. Et in tuti questi fistuli penetranti | se no quelli che passeno verso lo spacio del culo, como dice Albucasis, in | nusuno modo non g’è curatione nì sanitade. E la sua curatione si è fatiga | e vanitade per molti medicini686 sopra li quali fi formata. Et de quelli | che non passeno o che la curatione è lezera, como è sapiuto in lo capitulo  |25 universale. Nientodemeno lo cauterio afogá si è ultimo remedio in lo iuva-  | mento de la curatione sua, e la largatione in lo buso de dreto687 e circa | bene la sua profonditade, como ay saputo in lo suo capitulo, azò che ti non fiza | inganato cum lo cauterio; e la tenta sia molto sutile quando se intra per | zescaduna fistula, e simelmente lo cauterio cum lo quale ti la scoti sia su- |30 tile secondo la sua largeza. Ma la curatione de li fistuli passant | appresso lo spacio

685 Ediz. lat.: ulceratione. 686 molti medicini] ediz. lat.: stultis medicis; mss. lat. O, B: multis medicis. 687 Segue de q(ue)lla depennato in rosso.

4.3 Testo 

 337

del culo, como è dito, fiza fata per doy modi, uno de li | quali è per incisione e per constrictione de lo spacho,688 lo secondo è per inci- | sione cum lo ferro. E la operatione de lo primo modo si è che ti tolia una | tenta de plombo de la perforata extremitade, como è l’agugia, et in quella |35 intromete lo spaco de fili de lino overo de seta; e poy intromete lo tuo //69v// dito secondo uncto in l’oleo in lo culo de lo infirmo e pone689 la tenta in la fistula | fina che ti consegui la sua profonditade e senti quella esser zà passata a lo dito. | E doy volti replica lo capo de la tenta e cum quello dito che è de dentro | tirela po’ per lo culo. E poy congrega tuti doy li extremitade de lo spago e strin-  |5 zelo cum bona strentura fina che fiza690 taliata691 quella carne che è692 con- | strenta cum quello; e quanto più lo spago talia la carne, tanto più azonze | in la sua strentura. Et alora pone, se ti vole, la medicina acuta in li fistuli | et anchora fiza mortificata, e sia in artorio de lo cadimento de quella carne. | E poy lo locho fiza curato cum l’altra curatione de li piagi fina ch’el guarisca. |10 E la operatione de lo secondo modo si è che lo spago non fiza constrento como è  | dito, a taliare la carne cum quello, ma solamente fizano ligati li soy extre- | mitadi insiema, e che questo spago sia più grosso e più firmo cha quello che ta- | lia la carne. E poy extende lo spago verso693 de fora cum una de li toy mani, e cum  | l’altra tua mane talia quella carne che è inter li doy extremitadi del spaco  |15 cum lo instrumento de plegata extremitade secondo la figura de la falce, overo | cum lo rasorio, fina che lo spago integramente fiza liberato. Et alora la cura | sia in la mortificatione de la fistula, però che, avignadeo che alcuni dicano  | ch’el non è besognia mortificarla ma solamente taliarla e curarla cum medicina | creativa de la carne, nientodem[en]o quello a mi non appare securo. E poy lo |20 loco fiza curato cum quello che se convene fina ch’el guarisca. E sapia che  | questo modo è meliore e più salvo cha lo primo, la quale cosa è che la  | incisione cum la strentura de lo spago è longo dolore e continuo, e per questo | è paura che sopra lo infirmo non vegnia lo spasmo cum quello, perché quello | loco è cartilaginoso, zoè pleno de ossi teneri, et in la longa extremitade |25 se finisse ogni musculo continente lo culo; anze, quando venisse quello, è neces- | sario a

688 Ms: a seguita da s e da un’altra lettera, entrambe depennate; o corretta su una lettera precedente. 689 Aggiunto in interlinea sopra (con)seque. 690 Ms.: fizano con -no depennato. 691 Con -a finale corretta su -i. 692 Aggiunto in interlinea. 693 Aggiunto in interlinea.

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succurrere e relaxare la strentura de lo spago. Ma in la incisione | cum lo ferro non è tanta paura per la brevitade de la694 operatione. | Anchora sapia, amigo, che lo parlare che ti ay ozuto è drito695 e non pensare  | ch’el sia altra via o rasone in la curatione de la fistula passant, la quale |30 cosa è perché mi ho provato molti volti e may non ho possuto guarire alcuno  | se no secondo quella via che mi te ò dita, zoè per incisione de tuta la parte. E questo  | declara la intentione de li antiqui, e specialmente de Rasis in lo libro de li Divi- | sioni quando dice li fistuli passant non fino sanati se no cum la ligatione | et extractione cum la falce. E la casone per la quale non guarisse la fistula |35 penetrant senza totale incisione de la carne non fi assignata da li autori; //70r// nientodemeno a mi appare ch’el vegnia per lo impedimento de lo insire e de li | humiditadi che remaneno in la profonditade de la fistula. Nientodemeno | anze che fi taliato lo loco non fi retenuta alcuna cosa de quelli, perché non è  | carnoso696 ma equale. E oltra questo alcuna volta vene che la fistula non è |5 penetrant ma è propinqua a la penetratione, la quale cosa se cognosce perché | quando ti poni lo dito in lo culo e la tenta in la fistula, e circando ti senti | che inter lo dito e la tenta non è alcuna cosa se no lo solo covatamento, et, | como zà àno dito li savij antiqui, è necessario che ti li faza passare do- | mentre che non abiano molta profonditade, perché alora a questo fi fata la  |10 prohibitione per la incisione del musculo. E de quanto minore penetratione | è la fistula, è de tanto plù lezera curatione e de minore paura; e de | quanto è più lo contrario de quella, è de tanto maior paura, però ch’el è paura | che lo processo de la incisione non pervegnia a lo musculo continente lo culo como | avemo dito, e ch’el non vegnia a lo infirmo pezore malachia cha la prima, zoè |15 lo insire de la stercora senza voluntade.

Capitulo xvij de la preda che | nasce in la vesica.697 La preda alcuna volta fi generata | in li reni, zoè in la schiena, alcuna volta in la vesica, como diceno li autori; | in li vegi fi generata la più parte in li698 reni, et in li puti in la vesica, lo collo | de la quale è strento e non lassa insire la materia, donde fi fata la preda.699 |20 Ma de la curatione de la preda che fi generata in li reni non 694 Segue curatione depennato in rosso. 695 non è drito] ediz. lat.: est rectus; ms. lat. B: non est meus. 696 Ediz. lat.: cavernosus. 697 nasce in la vesica] sullo stesso rigo e successivo a La preda alcuna volta fi generata. 698 Segue vegi depennato. 699 Segue Nie(n) depennato in rosso.

4.3 Testo 

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dirò altro in lo meo | libro, perché non fi may curata per beneficio de la cyrugia, ma de la preda che nasce | in la vesica sopra la quale è operatione de cyrugia ne dirò cum brevitade | de parlare. Dico adoncha secondo la sententia de li antiqui che la casone | per la quale nasce la preda in la vesica si è lo humore grosso e viscoso, e li signi-  |25 ficatione700 per li quali se certifica in quella sono plusori; e de quelli si è che la  | urina insisse per la vesica blancha e sutile cum feza plena de sabia circa lo prin- | cipio,701 e cum graveza e cum grande dolore circa li parti del pectinaculo; e lo puto | se tene la virga cum li soy mani e frega e se fatica cum quella, e spesse volte | driza la virga, e quando se mete la mane in lo culo cum la quale se tocha la vesica el se sente una cosa dura de dentro.702 |30 E li speci de la preda sono molti e diversi, perché alcuna è pizena, altra è | grande, altra è lezera, altra è aspera e longa, altra è rotonda, altra è703 ra- | mosa. E lo insire de quella che è lezere e rotonda704 è facile, zoè lezero, | ma705 al è più grave lo insire de quella che è aspera, longa e ramosa, per la | quale cosa è necessario che ti ge azonzi la sua incisione. Anchora, como |35 dice Rasis, altra è che se rompe cum li medicini, altra che non se rompe cum //70v// li medicini, e per questo è necessario probare quello per alcuno tempo cum li medicini anze | che la fiza taliata.706 E de cotali medicini sono como è acori, spica, calamo aro- | matico, somenza de apio, petersemo, cassia lignea, cipero, costo e simili et | de li medicini aperitivi et incissivi composita o simplici cum sugo de apio o cum |5 brodo de707 cisero nigro; et in questo zova mirabelmente la cendere de scor708 | e la cendere de li cicadi, zoè cigali, e lo ultimo de quelli si è lo sangue del becho. | E quando lo infirmo fi medegato uno mese solicitamente cum li modi de li medi- | cini e non sente aleviamento nì se provoca la urina nì la preda insisse cum quella, | alora pensa che la preda è dura e firmata e non è obediente a fir rota; alora |10 se [de’]709 adoncha recorrere a la cyrugia. Ma non è presumptione che ti tiri fora | la preda de l’homo che è proceduto in la etade, nì anchora se la preda serà tro- | po grande, perché, como dice Albucasis, el è paura ch’el non fiza taliato alcuna | cosa de la vesica e lo infirmo moria, overo 700 Segue f depennata. 701 circa lo pri(n)cipio] assente nell’ediz. lat. 702 el se se(n)te una cosa dura de dentro] nel margine destro. 703 Segue n depennata. 704 Segue fa depennato. 705 Segue l depennata. 706 anze ch(e) la fiza taliata] ediz. lat.: antequam indicatur. 707 Segue rice depennato. 708 Ediz. lat.: scorpionis. 709 Ediz. lat.: recurrendum est.

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che al non ye vegnia la dislocatione | o distillatione continua de la urina, però che lo loco non se salda in nusuno modo; |15 e zà è determinato da li antiqui savij che la curatione de la preda cum ferro | è lezera in li puti fina a quatordeci anni et è grave in li vegi, perché, como | dice Aly, li soy membri sono sechi, per la qual cosa li soy membri apena indu- | ceno la cicatrice. Ma in li piagi710 la curatione è mezana, ma se la sua preda | è grande, la curatione è più lezera, e la minore è per lo contrario de quella, e questo |20 si è però che la preda grande fi submersa a lo profondo per la sua graveza, dondo | più tosto fi trovata e più lezeramente fi conduta a lo loco de taliare, e lì fi retegnu- | ta più securamente. Ultra questo a quelli che non sono da taliare fiza succorso | per questo modo, zoè che lo infirmo fiza balneato in l’aqua unde siano coti her- | bi mollificanti, como è malva, viola, meliloto e simili, azò che li vij de la uri- |25 na fizano largati. E poy in la virga fiza intrometuto cum legereza uno instru- | mento de ramo o de argento che fi dito siringa, che sia unto cum oleo o cum botero,  | azò che cum quello la preda fiza removesta a lo collo de la vesiga e fiza cazato | fina a lo fondo de la vesiga. Alcuni fano altramente, et intrometeno lo dito  | in lo culo e cum quello tracteno lo collo de la vesica, e cossì a pocho a pocho |30 removeno quella da sopra e calcheno lo profondo de la vesica.

De la cura de la | preda per incisione.711 Quando ti voray trare fora la preda per forza, | el besognia in prima che lo infirmo fiza mondificato cum li clisteri, azò che | tuta la stercora vegnia fora da li budelli, azò che ay non impazeno la inven- | tione de la preda quando ti la circharè; overo zezuni doy dì e manzi pocho. |35 E lo suo cibo sia sorbille e lavativo. E nientodemeno li puti che non sono da fir// 71r// clisterizadi e che non posseno zezunare, fizano retenuti uno dì o doy ch’ey  | non manzi al suo piacere ma mensuratamente. E comanda a lo infirmo che | al salti da loco alto a loco basso, cossì che la preda se mova da la parte su- | periore de la vesica e descenda al collo. E poy fiza preparato uno scanno in loco |5 lucido, in la extremitade de lo quale sedia alcuno homo che tegnia lo infirmo | denanze a sì; e li soy coxi fizano ligati al collo cum una longa binda, azò | che tuta la vesica sia descendente in zoso. Overo lo homo che lo tene pilij li soy | gambi, e maximamente s’el serà puto, e li levi in suso, nì lassi fina che la ope- | ratione se complisca. E poy unge lo digito de la

710 Ediz. lat.: iuvenibus. 711 p(re)da p(er) incisione] sullo stesso rigo e successivo a Quando ti voray trare fora la p(re)da p(er) forza.

4.3 Testo 

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mane inversa in lo oleo |10 et intrometello in lo culo de lo infirmo, e cum l’altra mane calca la vesica | sopra lo pectinaculo in zoso, e si se de’ circhare de la preda fina ch’el sta soto | lo tuo dito, e dula a712 pocho a pocho a lo collo de la vesica. E poy calcha | sopra lo tuo dito e cazella in zoso fina a lo loco in lo quale tu voy taliare. E | comanda a lo tuo ministro che al extenda in suso li testiculi e la virga cum |15 la sua mane, e cum l’altra mane mova la codega che è soto li testiculi da la | parte in la quale de’ fir fata la incisione secondo la longeza.713 Nientodemeno de | dentro sia strenta e de fora lata secondo la quantitade per la quale sia possibile | a intrare714 la preda. E poy intromete lo instrumento de la piegada extremitade | che ha nome preterea,715 e cum quello tira fora la preda. E molti volti per compressione de |20 lo dito che è in lo culo la preda vene fora apro’716 la incisione senza graveza | e senza intrometere lo predicto instrumento. Ma se plusor predi cha una | ge siano, alora comanda Albucasis che ti calchi in prima la grande a la bo- | cha de la vesica; e poy sopra quella extrala fora;717 e pos questa caza la718 pizena; e si- | melmente debi fare se al ge n’è plù de doy. E quando ti ay complita la tua opera- |25 tione, alora administra li plumazoli balneati in l’aqua frigida o in lo oleo | rosato o in la clara de l’ovo. E poy aduna tuti doy li719 coxi balneati de lo in- | firmo s’el serà puto, e ligali aconzamente cum li fassi, azò che la medicina720 | ponuta sopra la piaga fiza melio conservata. E quando lo apostema caldo serà | apadimato, bagnia lo loco de domane e de sera cum aqua de decoctione de |30 malva e de viole e de simili, azò ch’el fiza mitigato lo bruxore de la urina | e fizano largati li vij per li quali, se alcuna superfluitade ge serà romasa | de la preda, pò insire liberamente cum la urina. E s’el serà grande piaga | pos lo collo de la vesica, congregala cum la cusitura, renovati un pocho | li soy labri cum lo instrumento lo sangue fiza provocato. E poy lo loco  |35 fiza curato cum l’altra curatione de li piagi fina ch’el guarisca. E sapia //71v// che molti volti advene che lo sangue fi congellato in la vesica e lì fi aposte- | matione e prohibitione de la urina si consegue; e lo suo signo si è lo insire de lo | sangue cum la urina. Adoncha afrezate e tira fora quello sangue 712 Segue pop depennato. 713 Nell’ediz. lat. segue: Et tum incide super ipsum lapidem inter anum et testiculos, non tamen in medio, immo in latere sinistrae natis. 714 Ediz. lat.: egressio. 715 Ediz. lat.: pertanta; ms. lat. B: preterea. 716 Lettura non sicura di -ro’ (presenza di un segno sovrastante). 717 e poy sopra q(ue)lla extrala fora] ediz. lat.: deinde incide super ipsum et extrahe; incide: om. ms. lat. B. 718 Aggiunto in interlinea. 719 Segue cos depennato. 720 Segue fiza depennato.

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cum | lo dito se la piaga serà grande e larga, e se la serà pizena tirela fora cum la |5 tenta; perché se quello sangue non fi trato fora, el firà fata la putrefactione | e la corruptione in la vesica. E poy fiza lavata la piaga cum aceto e aqua. | E si besognia che ti soliciti la tua mente circa questo che mi te ho dito, zoè | che quando tu fi induto in la curatione de la preda, non tolle lo parlare de  | quelli che721 voleno inanze curare la preda, e poy pos uno spacio tirar- |10 la fora, però che quello è errore e duplicatione de dolore sopra lo infirmo. | Ma quando ti voray circare la preda, prepara a ti in prima li cosi necessarij, | zoè li instrumenti e li medicini che tolleno via lo sangue. E poy circhela, et | quando ti l’averay trovata, alora non la lassare per speranza de curatione cum  | incisione una altra volta, anze tirela fora incontanente. Molti volti |15 la inquisitione de la preda più grava lo infirmo cha la incisione. Et | fa’ che ti abia molti instrumenti che tirano fora la preda, e siano diversi | inter pizeni e grandi et inter li curvitadi, zoè plegamenti, de quelli, et de | quelli fiza administrato quello che è plù conveniente secondo la necessita- | de. Anchora quando advene che, quando la preda è pizena, va a la via |20 de la virga e per quella se impaza la urina; alora va’ a la sua curatione | como eio te dico, zoè che ti ligi la virga cum lo fillo non soto la preda, | zoè pos la preda, azò che la preda non retorni a la vesica; et anchora fiza | ligato cum altro fillo sotto la preda. E poy talia sopra la preda in quella virga | inter tuti722 doy li723 ligamenti, e tirela fora, e fato lo desligamento de li ligami, la |25 piaga fiza mondificata. E lo ligamento de sopra non è necessario se no | perché, quando fi desligato lo fillo pos la extractione de la preda, la codega | retorni a lo loco proprio e covati la piaga, et perzò besognia apresso la | ligatione del fillo che la codega fiza destesa in suso, azò che, quando la serà | retornata, la piaga fiza coverta, perché più lezeramente se incarna. De la |30 preda de li doni.724 La preda rare volte fi generata in li doni  | perché, como dice Constantino, la materia per la quale fi generata la preda | o adunata non fi congregata, perché lo collo de la sua vesica è curto e li | busi sono largi e non molto tortuosi. E la curatione de la preda de la dona | è più grave cha in li homini, perché lo loco de la incisione sopra la preda |35 de la dona non è propinquo a lo loco de la preda, per 721 Segue diceno depennato. 722 Aggiunto in interlinea con inchiostro molto chiaro. 723 Aggiunto in interlinea con inchiostro molto chiaro. 724 p(re)da de li doni] sullo stesso rigo e successivo a La preda rare volte fi generata in li doni.

4.3 Testo 

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la quale cosa el è necessario //72r// che lo loco fiza taliato altamente, et in questo è paura, como dice Albu- | casis. Nientodemeno quando la necessitade te provoca a questo, el te be- | sognia considerare in prima se la dona sia corota o virgine. E se la serà | virgine, lo medico o la medica pona lo dito de la mane sinistra in lo suo |5 culo e circhi de la preda; et quando l’averà trovata, strenza quella sotto lo | dito suo, e cossì de grado in grado la reduca in zoso e la cazi, como è dicto | de sopra, fina che la fiza ducta a la radice de la coxa; e poy talia sopra | quella e tirela fora como mi te ò fato sapere. Ma se la dona serà corrota, | alora comanda a la dona medica, overo ad alcuna obstitrice in loco de quella s’el non |10 se porà trovare nusuna e che la sia ben savia in la cosa de li doni, che la | pona lo suo digito in la vulva, zoè in la725 natura, de la dona infirma, e circhi la preda | e, quando ella averà ponuta la mane sua sopra la vesica, calchi quella in zoso. | E quando ella averà trovata la preda, calchi quella in zoso fina che la pervegnia | a la radice de la coxa; e poy talia sopra quella secondo la operatione de la medie- |15 tade de la vulva in la radice de la coxa, e tirela fora. |

Capitulo xviij de li cauterij. | Lo cauterio, zoè scotamento, si è una cosa molto iuvativa al corpo, perché al  | ayda a726 confortare li membri azò che la corruptione non fiza spantegata in  | quelli. Anchora ayda a restrinzere lo fluxo del sangue fazando la crosta  |20 spessa e grossa. Et anchora ayda ch’el fiza aperta la via e li porri, azò che la sua super- | fluitade non natura[le]727 e non cursibile corra, azò che per lo calore de la coctione | fiza la attractione e la subtiliatione de li humiditadi e la separatione a lo insire. | E non besognia ch’el fiza lo cauterio a resolvere li humiditadi per casone de lo | dolore in li pori, se no in li complexioni naturalmente frigidi et humidi, et |25 simelmente in li infirmitadi de quella medesma qualitade; la quale cosa è per- | ché non se convene lo cauterio, como diceno li antiqui,728 in li complexioni caldi | e sicci et in li soy infirmitadi zoè qualitadi,729 alcuna volta è lo fogo caldo e | sicco naturalmente, et imperzò questo è conveniente che cum quello se sani la in- | firmitade calda e sicca. E lo cauterio è de doy mayneri, zoè cauterio |30 actuale e potentiale. Cauterio actuale si è quello che fi fato per focho, e lo | potentiale si è quello che fi fato per 725 i(n) la] aggiunto in interlinea. 726 Aggiunto in interlinea. 727 Ediz. lat.: innaturalis. 728 Ediz. lat.: Albucasis; mss. lat. B, E: antiqui. 729 Ediz. lat.: qualitatis; ms. lat. B: vel qualitas.

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medicina comburente, como sono li cauteridi730 | e lo aleo e simili. E meliore è lo cauterio actuale cha lo potentiale, | como dice Albucasis, dicendo che lo foco è corpo simplo, la731 operatione732 de lo quale | non pervene che al scotti se no a lo membro, e non noce a li altri membri conzonti |35 cum quelli se no cum pizeno nocumento. Ma la operatione de la medicina //72v// comburente pervene a quello che fi elongato da li membri, e forse fa venire | in lo membro la infirmitade de grave sanatione e forse amaza, ma | se lo fogo non fa altro per la sutilitade e bonitade de la sua substantia se non | sopra abonda. E sapia che in questo meo libro non aregordarò li cauterij |5 se non quelli che sono necessarij a lo corpo humano e che plù spesse volte veneno | in usanza. Ma se ti desideri de aquistare la scientia de tuti li cauterij li quali | sono plù necessarij a lo corpo umano e che plù spesse volte veneno in usanza  | e li formi de molti guisi de li instrumenti cum li quali fi fata la cauterizatione,  | recor[r]e733 a lo savio Albucasis, imperò che quello ha parlato dritamente de quelli |10 in lo ultimo sermone. Contra la epilensia fiza lo cauterio in la fontanella | del collo in la extremitade de la parte de dreto de la testa. Contra la mania  | o la melancolia fiza lo cauterio in summo de la testa, e si vale a la micranea, | zoè dolore de la testa de meza,734 et a la epilensia. Contra lo dolore longo che è portato longo | tempo fiza lo cauterio sopra li doy corni; se ben al fiza fato in lo pos capister, |15 e questi cotali cauterij se conveneno a la paralisia. Contra li lagrimi de li | ogi fiza li cauterij in mezo de la testa; e poy cauteriza cum doy cauterij sopra | li doy tempij se lo fluxo de li lacrimi sia in tuti doy li ogi; e se ay siano pur | in uno, fiza lo cauterio solamente in uno lato. E si ge zova se lo cauterio fiza | fato in la fontanella del collo sotto la oregia. E sapia che quando fi fato |20 lo cauterio in la testa, lo ferro non de’ molto indusiare sopra l’osso, como | dice Avicena, azò che lo cervello non bolia e li soy panniculi non se retiri. | Contra la fistula che fi fata in la lacrimale de l’ogio, se la curatione de li me- | dicini non ge zova, fiza la largatione primamente in lo suo passamento, e fiza | intrometudo lo ferro fogato per la canella de ferro o de ramo fina che li radi- |25 ci de la fistula fizano brusati. Contra lo dolore de lo dosso e de li spali | fiza lo cauterio per tri unci sotto lo dosso de sotto. E se al vegnia che lo dosso | fiza dislocato per la humiditade discorrente, e non fi firmata sotto la hora de | la sua reductione, alora fiza lo cauterio sotto lo titilico, zoè soto la lesena, | cum instrumento de tri costi fina che la passi la codega fina 730 Ediz. lat.: cantarides. 731 Con -a corretta su -o. 732 Aggiunto in interlinea su fato (non espunto). 733 Piccolo guasto in corrispondenza di [-r]. 734 testa d(e) meza] aggiunto nel margine sinistro con d(e) in interlinea.

4.3 Testo 

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a l’altro lato. Nien- |30 todemeno la sua dislocatione se de’ reducere in prima a lo suo loco. Contra | lo dolore del biguello e contra lo vicio de lo figato fa’ lo cauterio sopra quello. | Contra lo dolore de lo biguello fiza lo cauterio sotto quello quasi per trey digiti.  | Contra l’asma, zoè lo manchaflato, e contra lo vicio del pulmone fiza lo cauterio | apresso la radice de la gola in lo loco basso, e guarda che ti non pervegnia cum lo |35 cauterio a l[a]735 gola, e non brusare se non pocho de la codega. Contra lo vicio //73r// de la milza fiza lo cauterio sopra quella, e cum cauterio che abia doy corni o tri, | et è quello che fi dito de tri costi, e fa’736 ch’el passi la codega fina a l’altro | lato. Contra lo dolore de li737 rognoni fiza lo cauterio sopra | quelli in la fontanella. Contra li emoroydi fiza lo cauterio de tri costi |5 sopra lo spondile inferiore del dosso. Contra lo dolore de la zontura | de la mane e de lo brazo fiza lo cauterio da dreto tri digiti da lo nodo. | Contra la siatica passione, zoè contra lo dolore overo la gota de li galoni, firà lo | cauterio sopra lo galone, e quando advene ch’el738 se disloga per la humiditade | discorrente, alora fiza redutta a lo suo loco; e poy cauteriza sopra la bissola |10 de l’ancha, zoè del galone, cum cauterio simile a lo circulo poy che ti abia si- | gnato cum incostro in lo circuito de la bissola como la resolve como caze quella | bissola in mezo del circulo. Anchora ge zova lo cauterio de tri costi. Contra | la artetica, zoè dolore de gotta o de zonturi,739 e contra lo dolore de li membri de sopra fiza | lo cauterio sopra lo nodo de lo pede740 *** da la parte de fora et uno altro |15 simile in la fontanella sotto lo zinogio tri digiti. E questi cauterij | sono comuni a lo remedio de tuto lo corpo, e valeno anchora contra la ydro- | pisia la quale è specia de aclite, et a questo simelmente valeno li cauterij | sopra zescaduna coxa.

Capitulo xixo de la combustione, zoè cotura, | de l’aqua, del focho e de l’oleo buliente. |20 In la curatione de la combustione, zoè cotura, como dice Avicenna, in prima | fino requiriti doy intentioni, una de li quali si è che al fiza devedati | li vesigi del loco, la seconda si è che al fiza rectificato quello che è brusato o | cocto. Adoncha quando ti vole devedare la vesicatione, unze spesse volte | lo loco cum li medi735 Ms.: lo. 736 Segue q depennata. 737 Segue fianchi depennato. 738 Ms.: ch(e)la. 739 Aggiunto in interlinea. 740 Segue uno spazio bianco.

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cini infrigidanti e non fiza lassato desiccare, anze ogni |25 hora lo panno balneato fiza ponuto sopra. E cotali medicini sono como è | aqua rosata infrigidata sopra la nive, succo de morella, de endivia e de | virga pastoris e de simili. E de li compositi el è bono questo unguento: Recipe | rosumi de ovi cum oleo rosato, succo de morella, e fizano confecti. Uno  | altro: Recipe farina de orzo lavata, rosumi de ovi, e confinzeli cum oleo ro[sato] |30 e succo de endivia; li rosumi de li ovi mitigeno grandemente lo dolore. | Uno altro: Recipe bolo armeno parti ij; cerusa parte j; opio parte j; e tutti | fizano confecti cum aceto e cum clara de ovo. Overo fiza uno unguento | cum oleo rosato e cera et un pocho de opio, overo fizano coti li follij  | de la malva in aqua dolce, e poy fizano mesedati cum lo oleo. Overo fizano |35 tridati li lentigi senza scorza e la biacha, e fizano confecti cum aceto. //73v// E quando ti trovaray che lo logo741 sia zà vesicato, alora è necessario admini- | strare li medicini in li quali è alcuna abstersione et exiccatione non senza | grande mordicatione, e de quelli sono como è cymolea, zoè luto de terra, | folij de mirto e simili. Lo unguento bono a quello è questo: Recipe sofrano742 |5 parte j; oleo rosato parti iiij; fiza resolvesti a lo foco e ge fiza azonta tanta | cerusa quanto pò piliare lo unguento de quella, e fiza movesto bene in circo; | e poy pos la inflatione743 fiza azonta clara de ovo e un pocho de camphora; | e poy senza demora fiza movesto fina che al se inspesischa. Ma se lì serà  | grande ulceratione, alora se de’ laudare lo unguento de la calcina lavata, |10 e questo è ch’el fiza confecta la calcina ben lavata cum oleo rosato o commu- | ne, e fiza unguento. La calcina fi lavata cossì, zoè che la fiza butata | sopra quella l’aqua frigida fina che la fiza coverta per quella, e cossì fiza | lassata per tri hori fina che la fiza un pocho infrigidata; e poy fiza butata | via quella aqua e ge ne fiza ponuta de l’altra, e cossì fiza lavata setti |15 volti fina che la sua acuitade fiza apadimata. Anchora Recipe letame | de columbo, e brusello in panno de lino fina ch’el fiza apresso, overo arso; | e poy confizello cum l’oleo. Anchora uno altro: Recipe cymolena, zoè luto | de terra, folij de mirto, cera, e confinzeli cum oleo rosato e cum succo de | porcelaga.

741 Con -go aggiunto in interlinea. 742 Ediz. lat.: cerae; ms. lat. B: croci. 743 Ediz. lat.: infrigitationem; mss. lat. B, E: inflationem.

4.3 Testo 

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Capitulo xxo de lo spasmo. |20 Spasmo, como dice Avicena, è una infirmitade nervosa per la quale | se move li lacerti, zoè li musculi, a li soy principi e obedienti744 per in- | debilitatione.745 De lo quale sono tri speci, uno è emprostono746 zoè de- | nanze, lo quale pertocha solamente la parte denanze, l’altro si è onpicos- | mo747 zoè de dreto, lo quale tene li parti de dreto, lo terzo si è tetano, qua- |25 si tenendo tuto in lo tempo. Anchora lo spasmo fi distinguito secondo la  | casone, perché alcuno è per repletione, alcuno è per vacuatione. E li signi | de lo spasmo per repletione sono questi, perché al vene subito cum pleneza | del corpo, non siando andata inanze alcuna vacuatione como è la solu-  | tione del ventro, lo fluxo de lo sangue, la fevera e simili. E li signi |30 per vacuatione sono questi che veneno per lo contrario, fina pos lo advegnimento | de la evacuatione. Lo spasmo che vene per vacuatione apena o no | may fi curato, e la sua curatione si è lo bagnio de l’aqua dolce e tepida | e la unctione de li spondilij e de zonturi cum oleo violato tepido. | E lo infirmo fiza covatato748 como quello che ha la749 fevera, e la sua |35 dieta sia frigida et humida, e biva spesse volte lo lato dolce e lo vino //74r// cum molta aqua. Ma la curatione del spasmo per repletione si è ch’el | fiza unta la coppa e lo collo e la schiena e tuto lo corpo cum olei caldi, | como è oleo de euforbio, de castoreo, et laurino, e simili. Unguen- | to bono a quello: Recipe castoreo, euforbio, ana once ij; piretro, incenso, |5 mirra, mastice, ana once v; oleo laurino, sambucino, sisamino, e de | pilizolo,750 e comune, ana parti equali; cera quanto basta, e751 fizano triti |752 e pulverizati quelli cosi che debeno fir triti e tuti fizano mesedati cum | li oli, e poy che sono deleguati al fogo ge fiza azonta la cera e fiza | lo unguento. E lo infirmo spesse volte tolia vino coto cum castoreo, |10 cinamomo, spiga, pevere, calamento, sansuco,753 salvia, ruta, sempio  | o composito. E fiza lo gargarismo cossì: Recipe senavera, piretro, stafi-  | sagria, ana parti equali; bolia cum vino

744 Ediz. lat.: inobedientes. 745 Ediz. lat.: dilatatione; ms. lat.: B: debilitatione. 746 Ediz. lat.: enprotostonus; ms. lat. B: est prostonus; ms. lat. E: eprostonos. 747 Ediz. lat.: empistomus. 748 fiza covatato] ediz. lat.: regatur; ms. lat. O: tegatur. 749 Segue feb depennato. 750 Ediz. lat.: pulegii. 751 Ediz. lat.: et confice; om. ms. lat. B. 752 Segue q(ue)l depennato. 753 Ms.: sambuco, espunto. Dopo calame(n)to c’è un segno di richiamo, riferito evidentemente alla scrittura in margine al(iter) sansuco, che introduciamo pertanto nel testo in luogo di sambuco.

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forte e melle; e lo infirmo | gargarizi la collatura de quelli. E fiza provocata la sternutatione cum | polvere de castoreo e de pevero butata in lo naso. E se meta lo in- |15 firmo in lo bagnio secho et in quello sudi longamente, e se unza cum | lo predicto unguento. E quando serà fato questo, vada lo infirmo in uno le- | cto molle e bene preparato, e, quando ello averà repossato un pocho, ancora | retorni in lo bagnio, e faza cossì fina che sia guarito. Et inter li soy | denti fiza locato alcuno ligamento azò che, quando lo movimento no volun- |20 tario de li denti sopravegniarà per la constrictione, non se guasti la lingua. | E se guardi che lo fregio non lo prenda e che al non ye vegnia pezore cosa | cha in prima. Deo Gratias Amen

5 Appunti linguistici La lingua del ms. B si mostra molto influenzata, in ogni settore (ma soprattutto nel vocalismo), per un verso dal paradigma toscano, per l’altro da quello latino, rispetto al quale la scripta del nostro testo si muove in direzione molto conservativa: sviluppi marcatamente bergamaschi o più latamente lombardi restano nel complesso ai margini, oppure lasciano solo alcune tracce.1 Sono infatti pochi i tratti genuini del bergamasco dominanti o almeno usati con una certa frequenza dal volgarizzatore: ci troviamo su un piano accostabile senza grossa difficoltà a quello delle koinai cortigiane dell’Italia settentrionale quattrocentesca.2 È sul piano del lessico che il volgarizzatore, pur indulgendo molto frequentemente sulla riproposizione di latinismi accusati e di voci dotte accolte talvolta in maniera piuttosto passiva, ricorre a parecchi localismi di notevole interesse, lasciando ipotizzare come la destinazione del suo lavoro fosse effettivamente quella di manuale di studio per un chirurgo privo di litterae (il Zohanne de Benti da Bergamo cui ci si rivolge nell’incipit) e dunque bisognoso anzitutto di un lessico immediatamente comprensibile. Nella sezione dedicata al lessico (5.6) il campo d’indagine sarà esteso anche ai mss. R e V, così da offrire una panoramica dei fondamentali punti di contatto e di divergenza fra i tre volgarizzamenti (soltanto brevi cenni, in corrispondenza di fenomeni specifici, si faranno anche dei restanti testimoni della Chirurgia in volgare).

5.1 Grafia §1. Abbreviazioni È molto frequente l’uso del titulus per rappresentare le consonanti nasali e la vibrante, al pari delle note tironiane usate rispettivamente per et e con. Si rimanda ai criteri di trascrizione (cap. 4.2) per un quadro esaustivo sulle abbreviazioni più ricorrenti.

1 Ci riferiamo in particolare ai dodici tratti distintivi identificati da Ciociola (1979, 65). Per un confronto dei singoli tratti linguistici, andranno tenuti in conto prima di tutto i molti saggi sulle varietà lombarde raccolti in Salvioni (2008), che resta canonico al pari di Vitale (1953); accanto a questi, una panoramica specifica sui caratteri principali del bergamasco antico, dalle fasi più antiche al Cinquecento, si può ricavare da: Lorck (1893), Sabbadini (1905), Corti (1965; 1974), Ciociola (1979; 1986), Tomasoni (1981; 1984; 1985; 1986a; 1986b), Paccagnella (1980; 1988), Buzzetti Gallarati (1985), Borghi Cedrini (1987), Meliga (1989), D’Onghia (2005; 2012), Baricci (2013), Robecchi (2013). 2 Per una panoramica sulla koinè settentrionale, si vedano, tra i contributi più recenti: Sanga (1995), Verlato (2009, 359–363), Coluccia (2010), Palermo (2010), Tesi (2010), Tavoni (2011). Sulle scriptae settentrionali antiche è poi fondamentale l’analisi di Videsott (2009). https://doi.org/10.1515/9783110624595-005

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 5 Appunti linguistici

§2. Rappresentazione dell’occlusiva velare L’occlusiva velare sorda davanti a vocale palatale è resa sempre dalla grafia ‹ch›. Davanti alla vocale a la situazione prevalente è rappresentata dalla grafia ‹ca›:3 capitolo (1r34), carissimo (1r4), casone (1v14, 1v20, 2r9), cautissimi (1v31), circato (1r24), collocato (1r34), gramatica (1r11), impedisca (1v32), medicare (1r13), pratica (1r8; 1r12), praticando (1r11); sono molti numerosi, però, i casi di grafia cha: bocha (6v4, 8v13, 8v15), circhato (1v3), faticha (1r6; 1r31), frescha (6r10), insischa (6v22), inspessischa (9r22), manchanti (4v, 28), oxizachara (9r15), pocha (7r14), zucharo (9r16, 9r17), ydrozachara (9r15). In particolare, la grafia ‹ch› è l’unica testimoniata in alcuni avverbi e congiunzioni ad alta ricorrenza, come adoncha (1r29; 1v10; 3r6; 3v20) e cha (3v21 bis; 4v31; 5r16). Analoga oscillazione si registra davanti a o, con una netta prevalenza, anche in tal caso, della grafia priva di  ‹h›: amico (1r4; 1r16), comenza (1r1; 1r15), cohoperante (1r29), collecto (1r19), complito (1r25), como (1r8; 1r24), cosa (1r26), collecto (1r19), collocato (1r34), cossì (1r13), ecc.; il grafema ‹ch› davanti a o appare più raramente di quanto accada dinanzi ad a. Anche qui, peraltro, si nota una predilezione per la grafia ‹cho› in avverbi molto frequenti come almancho (sempre nella forma con ‹cho›) e anchora (solo pochi casi di ancora): almancho (1r9; 2r3), anchora (2r2; 2r22; 3v27); inoltre: archo (12r29), biancho (17v20), bruscho (8r31), focho (14r22), mancho (16r7), pocho (6r12; 7v33; 8r4), stomacho (11v28), ecc. Pressoché sistematica è la grafia ‹c› davanti a u: acuti (1v16), alcuni (1v6), curare (1v17 bis), alcuna (1v18), cure (1r11), ecc.; del tutto isolati sono i casi di ‹ch›: alchuna (48v7), alchuno (26r25), chuna (42r9), ecc. L’occlusiva velare sonora davanti a vocale palatale non è mai seguita da h, in piena concordanza con una «asimmetria rispetto alla sorda piuttosto diffusa nei monumenti degli antichi volgari dell’Italia settentrionale»:4 largeza (2r27; 4v6), logi (1v28; 1v31), largi cong. pres. 3a p. (7v23), longeza (2r27), piage (2vA23; 2vA26; 2vA29), piagi (2vA9), pregeri (1r32), ecc.; in questo gruppo andrà considerato il pronome ge (6r11, 6v35, 7v1),5 usato anche in enclisi (metege 6r14, subvenirge 6v35, darge 9v23, ecc.). Si ha esclusivamente ‹g› davanti ad a, o, u: volgare (1r2), Bergamo (1r5), Gregorio (1r3), longo (1r17), figura (3v34), figurato (6v5), ecc. Davanti a [w] si hanno regolarmente ‹q› per l’occlusiva velare sorda (quelli 1r10, quali 1r34, ecc.) e ‹g› per la sonora (guardi 1v, guarisseno 2v, ecc.). Non ricorre mai, all’interno del manoscritto, il grafema ‹k›. 3 In tutta l’analisi linguistica, tra parentesi si indicano al massimo tre contesti di una stessa forma. 4 Colombo (2016, 101); per l’area veneta, cf. Stussi (1965, xxiv), Tomasin (2004, 86–87), Bertoletti (2005, 17–18). 5 Cf. Colombo (2016, 101).

5.1 Grafia 

 351

§3. Rappresentazione dell’affricata palatale Le affricate palatali sorda e sonora dinanzi ad a ed o sono rese quasi sempre con le grafie ‹ci› e ‹gi›: agogia (19v31), aparegiata (9v6), aristologia (15v32), asongia (14r17, 14r19), azongia (5r12), beneficio (1v23), cagia (15r20), cagiato (12v22, 12v27), fiducia (3v24), giavarina (3v33), gogia (5v24), gugia (8v5), mangiato (17v5), ogio (34v25), speciale (4r23), vegio (7v27), zinogio (6v8, 12r22), ecc. Tra i rarissimi casi in cui si ricorre alla semplice ‹g›, si può citare la forma sponga (19v11, 34v31). Non si hanno, invece, esempi di grafie ‹ci› e ‹gi› prima di u. Davanti alle vocali palatali sono pressoché esclusive le grafie ‹c› e ‹g› (per l’uso di ‹c› in luogo del fono [ts], cf. §4): dice (1r3), diligentemente (1r11), diligentia (1v13), generali (2vA2), generalmente (1r12), generare (4r25), generati (2r10), generatione (3r14), ingenio (1v35; 2r1), ingeniosi (1v34); si registrano solo due casi di ‹gi› dinanzi a e: aristologie (24r7; 29v24), oregie (16v4); un solo caso di ‹gi› dinanzi a j con valore vocalico: il f. pl. horegij (53r23). Sono numerose, invece, le grafie ‹cie› indotte dalla corrispondente forma latina: mollicie (2r21; 3v19, 3v21), specie (2r16, 2r34, 4v24), putrefacienti (5r13), sordicie (21v11, 21v15, 21v16), sufficiente (22r21), sufficientemente (3r3, 4v19), sufficientia (23r4), superficie (14v20, 15r3, 16v28), ecc. §4. Rappresentazione dell’affricata alveolare L’affricata alveolare, sorda e sonora, è rappresentata da ‹z› (sempre in forma scempia): anze (1r26), azò (1r7), comenza (1r1, 1r14), fazendi (1r24), fiza (1r26, 1v7), grandeza (1r23), inanze (1v5, 1v7), lezero (1v6), pezo (2r5), rezante (2r1), rezimento (1v16, 1v20), senza (2r4), terzo (1v22), zà (1r17), zoè (1r1), Zohanne (1r4), ecc.; è del tutto sporadico (solo due attestazioni), invece, l’impiego del grafema ‹ç›: marçisca (20v18), achaçia (38r11). È frequentissima la variante latineggiante ‹ti› dinanzi a vocale: abundantia (4v23), desobedientia (9r2), differentia (4v29), differentiati (4r4), diligentia (1v13), etiamdeo (4r20, 7r1), exhibitione (1r3), gratioso (1r31), probatione (1r3), remanentia (3v3), scientij (1r11), substantia (3r8), ecc. Costituiscono un discreto numero i casi nei quali un verosimile fono [ts] è rappresentato da ‹c› davanti a vocale palatale: ceroto (17r31), differenciato (3v23), dolcemente (1r7), Iohanicio (2r16), malicia (13r9, 13r10), pigricia (28v4), stulticia (2r9), tercia (4r9), ecc.; peraltro, depone a favore di una tale interpretazione fonetica la presenza di allografi come dolze (3v22), terzo (19v35), zeroto (17v2), ecc. §5. Rappresentazione delle nasali Il gruppo -np- non compare mai nel volgarizzamento se si eccettuano i due casi di inperiale (27r12), che è peraltro frutto di una correzione, e di onpicosmo (73v23), in corrispondenza del lat. empistomus e dunque probabile esito di

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 5 Appunti linguistici

un’incomprensione del volgarizzatore; data l’assoluta sistematicità di ‹m› dinanzi all’occlusiva labiale sorda (e anche alla luce della grafia, che lascia spesso intendere una scrittura separata dei due elementi), si è pertanto deciso di trascrivere analiticamente i due avverbi in prima e in primamente. La nasale palatale è resa solitamente con ‹gn› (non si usa mai ‹ngn›): avignadio (1r23, 2r33), bagno (6v31), besogna (6r31), cognosce (11v21), cognosceno (2r12), cognoscuta (11v35), retegna (4r18), signore (1r31), vegna (11v26), ecc.; dinanzi a vocale, però, è molto frequente la grafia ‹gni›: avegnia (9v7), bagnio (7v31), besognia (1v28, 6r15), besogniarà (6v15), besognio (3v20), contegnia (6v17), inzegnio (2r7), pervegnia (5v33), vegnia (1v5, 6v18, 7v1), ecc. Riproducono la grafia dotta, ma saranno da interpretare come [ɲ] le varie grafie ‹ni› contenute in parole come ingenio (1v35) e i suoi derivati (seguenti sempre la grafia latina) ingeniatione (31r33) e ingeniosi (1v34).6 §6. Rappresentazione delle sibilanti La grafia ‹s› rappresenta sia la sibilante sonora sia la sorda, mentre ‹ss› sembra usata (abbastanza di rado) solo per quest’ultima: cossi (1v33, 2r20, 3r16), cossì (3r9, 3r12), repossare (33r15r, 34r25), repossa (36r17), repossi (12r18), ecc. La x, usata tanto per [s] quanto per [z], è sempre sostenuta dall’originaria grafia latina: complexione (2r5, 2vB5), exequita (6r22), exercicio (3r25), exhibitione (1r3), exiccando (5r6), exiccatione (6r29), expecta (6r30), extensione (2vB24), extracto (1r20), extremitade (3v17, 3v18), extrinseca (3r16, 3r24, 3r27), experimento (3v10), fluxo (2vB12), maximamente (1v31, 1v35), proximi (5r19), ecc.; tra le poche eccezioni troviamo un’attestazione di xì (5v), che appartiene però a una glossa a margine (di mano compatibile con quella che ha vergato il manoscritto, ma per la quale si potrebbe supporre, anche tenendo conto di questo dato, una diversa provenienza). Risponderà all’influenza latina anche l’uso di ‹sc› per la sibilante sorda,7 nettamente prevalente rispetto alle forme con ‹s› in forme verbali come nascere (2vA31; a fronte di un unico caso di nasere 4v20), cognosce (11v), cognosceno (2r12), ecc. §7. Uso di ‹y› e ‹ij› Il grafema ‹y› è adottato per rappresentare il secondo elemento di una sequenza vocalica, soprattutto in fine di parola: asay (9v7), ay (1r19, 1v1, 4r5), doy (1r34, 1v23, 2r33), ley (5v13), luy (7v4, 7v5), may (1r26, 3v12, 7r26), nuy (1v17), potray

6 Cf. Colombo (2016, 104). 7 Cf. ivi, 107.

5.1 Grafia 

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(1v19), poy (3r3, 4r10), rey (4v9), seray (7v3), soy (1r18, 5r12), toy (1r32), trey (1v13, 2r14), trovaray (1v19), vederay (7r23), ecc.; con valore semiconsonantico [j]: daye (5v12, 7v2), eyo (2r3, 4v29), ye (4v34, 6r30), ecc. L’uso è molto frequente anche all’interno di parola, dove ‹y› è testimoniato sia con valore vocalico sia consonantico [j]: amaystra (7v29), amaystramento (4v26), voyuto (2r35), maynera (3r9), maynere (2r30, 3r12), mayore (7v35), meytade (5r34), paylire (1v20, 5r9), paylisse (4v32, 4v35), paylita (4v8), peyto (8v25, 8v26), ecc. Non si hanno esempi di ‹y› in posizione finale postconsonantica. Si usa ‹y› anche come segno etimologico o pseudoetimologico, spesso già presente negli esemplari latini usati da Hall (1957): Aly (1r23, 7v29), cyrugia (1r2, 1r7, 1v7; Hall 1957: cyrurgia), Cyrugici (1r9), dyadraganti (9r29), dyafragma (2r28), syphac (8r13; Hall 1957: syphac), ydioti (1r13, 2r5; Hall 1957: ydiota), Ypocras (4v9, 8r3), ysopo (9r30; Hall 1957: ysopum), ecc. La grafia ‹ij› ricorre per lo più come desinenza plurale di sostantivi maschili (uscenti al sg. in -io) e femminili (uscenti al sg. in -ia o aventi -ia in latino): arterij (3v4, 3v7, 8r5), contrarij (13r32), folij (16v34), iudicij (11r32), necessarij (1v33), remedij (3v34), savij (1r22, 1v29, 5r3), scientij (1r11), suspirij (11v12), temerarij (1v31), uncij (12r23), varij (18r1), ecc.; a questi vanno aggiunti alcuni casi di indic. pres.  2a  p.: indusij (8r7, 43v27), pilij (34r15, 35r31), talij (22v1, 40r13), ecc. Alternanze del tipo savi (39r3)/savij (1r22) lasciano ipotizzare che ‹ij› possa rappresentare una [i] semplice (anche se la grafia ‹ij› è di gran lunga prevalente). §8. Latinismi grafici È regolare l’uso di ‹h› etimologica a inizio di parola: habia (16r17), habiando (4v25), herbi (35r2), hermodactili (29v33, 34v32), homini (1r23, 2r2, 2r10), homo (1v17, 11r7), hori (29v2 bis), humecta (34v7), humectando (14r6), humectada (16r19), humectato (38r32), humida (5v32, 5v33), humiditade (3r22, 9r1, 11r3), humido (3v22), humore (3r16, 3r17, 4v16), ecc.; più rari gli esempi all’interno di parola: Iohanicio (2r16), retrahe (34v3), traha (40r4, 43r28), trahe (27r31), trahere (36v3) ecc. La ‹h› è estesa talvolta in maniera pseudoetimologica: cohoperante (1r31), habundantia (16v2), pulthia (12v25), rethorico (3v23), superhabunda (36v32), ecc. Si hanno anche diversi casi di ‹th›, propria del latino per riprodurre la grafia di originarie parole greche e arabe: althea (43r17), aluthel (29r23, 29r26), epithemato (7r30), epithimo (30v27), ecc; analoga situazione si registra per ‹ph›, limitata a poche voci come Amphorismi (1v18, 11v3, 32v8) cephalica (50v31), siphac (2vA15, 7v7), oltre che alle molte attestazioni della forma, paretimologica già in latino, scrophuli (57v8). Per la conservazione di ‹x› e ‹y›, cf. rispettivamente §6 e §7. Tra le altre grafie latineggianti, è pressoché sistematica la conservazione del gruppo ‹ct›: actione (1v25), collecto (1r20), delectabile (1r32), dicta (1v7), dicti

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 5 Appunti linguistici

(1r20), dicto (1v26), dilectione (1r30), extracto (1r20), perfectione (1v26, 1v27), retracto (1r2), Sancto (1r3), tractato (1r33), ecc. Molto frequenti sono anche i gruppi ‹pt› e ‹bs›: aptatione (6v9), assumptione (9r28), corrupto (13r3), descriptione (1v1), disruptura (8v4), presumptuose (2r6), promptitudine (5r2), ruptura (2r29), stipticitade (10r17), ecc.; abstersione (14v24, 14v25, 14v29), abstersiva (18v34), abstratione (20r7), observare (6v27, 16r26), substantia (3r8, 3r11, 3r14), ecc. Va ancora segnalato il gruppo ‹mn›, ricorrente in via esclusiva nelle forme verbali di dannare e attestata, in un unico caso, nel sost. somno: damna (13r7), damnata (53r4), damnati (52r15), damnato (32v5), damni (20r7), damno (29r13), somno (41v19), ecc. Infine, si registra qualche raro caso del gruppo ‹dv› nelle forme composte derivate da venire: advegniaraveno (43v26), advene (35v24, 36r23), adveneno (41r21), advenimento (38v18), ecc.

5.2 Fonetica 5.2.1 Vocalismo §9. Assenza di anafonesi Se si eccettua una voce molto comune come lingua (51r21, 51r22, 51r24; mai usato il corrispondente non anafonetico lengua), sulla quale potrebbe agire anche il modello latino, si osserva una regolare (e attesa) assenza dell’anafonesi: è infatti esclusiva la forma non anafonetica longo (1r17, 6r2, 9r31), longa (8r14);8 allo stesso modo si hanno: alonga (5r31), azongia (5r12), azonzere (7r4), comenza (1r1, 1r14, 2vA1), comenzi (5r28), conzonti (5v5), ongi ‘unghie’ (66v9), onzi (42v22) indic. pres. 2a p. perlonga (25v25), zonctura (2r31), zonturi (2v34), ecc. Per la serie palatale: roveya (11r21, 17r20, 23v35), someya (15v35), someyano (46rA14), ecc; saranno da attribuire all’influsso latino le quattro occorrenze di consilia indic. pres. 3a p. (la prima a c. 12v2). §10. Dittongamento I fenomeni di dittongamento sono quasi del tutto assenti, come si ricava da situazioni come: le forme toniche del verbo ┌venire┐ e dei suoi composti (advene 35v25, 36r24; convene 4r27, 6r29; vene 3r24 bis, 3r26; ecc.); e tonica dopo consonante + ‹r›, come in breve (1r18) e nelle forme metatetiche dreto (32v24, 32v25), indreto 8 Per l’anafonesi e, in particolare, per la forma specifica longo, longa, cf. le considerazioni di Barbato (2016).

5.2 Fonetica 

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(39r19, 41r32, 52v28: 5 occorrenze; accanto però a tre casi della corrispondente forma dittongata indrieto: 19r19, 22v29, 39v5), preda (3r27, 4r7, 22r18), ecc. §11. Esiti di a tonica La a tonica è sempre conservata. In corrispondenza del suffisso latino -ariu(m) sono regolari le forme dotte del tipo contrario (2r2), necessario (5v14, 6v18), ecc.: non c’è traccia dello sviluppo -er ravvisato sia in bergamasco sia in altri dialetti lombardi antichi.9 §12. Esiti di ĭ tonica Si osserva un regolare esito non metafonetico in forme come quelli (1r10, 3v19), questi (10v21, 19r), sechi (10v6), ecc. (nessun esempio di quisti, quilli, sichi, anche se, in molti casi, la vocale tonica è compresa nel titulus indicante anche la precedente u); alla metafonesi si potrebbe attribuire la forma di 2a p. dell’indic. pres. vidi (33r32, 38v29), sulla quale sembra però soprattutto agire la grafia latina, riscontrabile anche nelle forme verbali non soggette a metafonesi. Sono forse improntate sul modello latino parole come firmi (25r5), infirmi (2r10, 60r3), magistri (30v9), signi (2vA20, 11v23, 53r3): tale lettura (e la sua estensione anche al citato indic. vidi) è confermabile sulla base delle numerose testimonianze di conservazione dotta del timbro di ĭ: inter (3v19, 3v21, 4r1), magistro (39r21), licito (43v2), mirra (17r16; < myrrham), solicita (1r9), soliciti (9r6), solicito (7v16), ecc.; anche nei superlativi assoluti si ha regolarmente ĭ > i: carissimo (1r4), prudentissimo (1r7), sapientissimo (1r12), gloriosissimo (1r21), ecc. Alla possibile conservazione dotta del timbro latino si accosta, per alcune zone dell’Italia settentrionale, l’evoluzione é (da ĭ) > i del tipo bivano. Tale fenomeno di innalzamento di [e], derivante tanto da ĭ quanto da ē (cf. infra §13), rappresenta uno dei tratti peculiari del bergamasco (e tra quelli che consentono di distanziarlo dal bresciano);10 il bergamasco, infatti, «costituisce un particolare centro di diffusione della i» (Rohlfs 1966–1969, §56); si leggono, pertanto, forme come bivano (1v32), bivia cong. pres. 3a p. (35r3; al cospetto, però, di bevere 63v5, bevia 9r22, ecc.), fidego (8v2, 11v1, 11v5), figato (63r16, 63r24, 63r25), nigro (8r2, 8r31, 11v7), pillo ‘pelo’ (7r13), piri (35r3), pipero (51r27), side (52v4), 48r31), virga (6v13), ecc. si conserva la i originaria anche nella voce d’origine germanica binda (35v22, 71r6).

9 Cf. Contini (1935a, 142), Colombo (2016, 110); per l’area specificamente bergamasca, cf. Tomasoni (1985, 240), Robecchi (2013, 96). 10 Cf. Ciociola (1979, 65).

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 5 Appunti linguistici

§13. Esiti di ē tonica L’esito [e] è abbastanza regolare, e anche i condizionamenti di carattere metafonetico risultano pressoché assenti, se si eccettua l’uso, peraltro in alternanza con la forma trey, del numerale tri, usato in concordanza con sostantivi sia maschili (tri dì 35v33, 45v16, 53r28; tri digiti 40v2, 73r6, 73r15; tri diti 39r35, 39v1, 65v30; tri logi 42r6, 45r2, 66v1; tri modi 27v2, 45v21) sia femminili (tri costi 72v28, 73r2, 73r4; tri fiadi 29v10; tri hori 73v13; tri setemani 39r3; tri speci 67v30, 73v22; tri unci 46v22, 47r14, 72v26). Si tratta di una forma, comunque, che a prescindere dalla metafonesi, può rientrare nel particolare fenomeno di innalzamento di [e], derivante da ē e ĭ, di cui si è detto supra (cf. §12):11 aviva (32v5, 48r26, 62v22), havire (33r32), piacire (65r24), tenire (20v30, 50v31, 50v35), vedire (21r1, 48r8); il fenomeno si manifesta anche in posizione atona: cresiray (43v9), setti (32v33, 35r31, 40r35), novi (7v4, 66v28), ecc. Si attesta, invece, la sola forma sera, contrariamente a quanto accade spesso nell’Italia settentrionale, dove è ben attestata la chiusura in sira. §14. Esiti di ō tonica Di là da un’unica attestazione di noy (50r4), subisce sempre trattamento metafonetico il pronome di 4a p.: nuy (1v17, 9v35, 10r1: 14 occorrenze). Nel testo non si hanno, invece, testimonianze del pronome di 5a p., per il quale si potrà facilmente ipotizzare una corrispondente forma metafonetica vuy. La metafonesi è per il resto assente in aggettivi e sostantivi: auctori (2r34), autori (14v10), doctori (1v4, 8r30), dolori (11r28, 26r10), experimentatori (8v10), maiori (8v12), operatori (1v28), tinctori (17v34), ecc. §15. Esiti di ŭ tonica È abbastanza regolare l’esito previsto [o]. La metafonesi è limitata a pochi relitti (es.: pulti 4v28, 5r13; al cospetto del sg. polte 4v31): è sistematico, ad esempio, l’impiego di molti,12 in un contesto, dunque, che sarebbe molto soggetto all’influenza della grafia latina; anche il sing. molto è forma esclusiva. Sempre al di fuori della posizione metafonetica, l’uso maggioritario per il femminile (senza considerare, ovviamente, le forme abbreviate) è rappresentato da molta, con 14 occorrenze, al cospetto delle 3 di multa (la dipendenza dal latino è peraltro confermata, anche in posizione atona, da una forma verbale come multiplica 59v10, 59v14, 62r30 così come dal sostantivo corradicale multitudine 3r23, 38r23, 38r23);

11 Cf. Ciociola (1979, 65), Buzzetti Gallarati (1985, 23), Paccagnella (1988, 126), D’Onghia (2009, 23), Baricci (2013, 197), Colombo (2016, 113). 12 Non è soggetto a metafonesi neppure il numerale doy (1v23, 3r7, 3r12), per il quale cf. §17.

5.2 Fonetica 

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analogamente, si registra il solo molte (3v14, 13v27, 26v2). Sono del resto numerosi i casi di conservazione del timbro di ŭ per evidente dipendenza dal modello latino: è sistematico, per esempio, il ricorso alla preposizione cum (1r18), accanto a forme come curso (4r18, 4r31), occulta (3v32, 9r3, 31v16), occulto (10r6), summa (1v13), unde (5r1, 5r32, 6v25), ecc. (ma, in opposizione alla tendenza generale, si legge sempre la forma secondo/-a, tanto per l’aggettivo quanto per la preposizione). Per il part. perf. di ducere e dei suoi composti (ducta 72r7, ducti 58r28, ducto 66v3, reducta 42r34, reducti 7v13, reducto 38r4), al paradigma latino si aggiunge la necessità di presupporre una base -dūctu(m) non ignota neppure alla Toscana (Colombo 2016, 114). §16. Esiti di au tonico e atono L’esito o da au tonico (primario e secondario) si osserva in cova (69r19), pocha (7r14), pochi (12v9), pocho/poco (3v17, 6r12, 7v33), paroli (14v9), reposi (7r27), repossi (12r18), ecc.; notevole la forma, tipica del bergamasco (oltre che del bolognese: Rohlfs 1966–1969, §42) ma derivante da au secondario, pora ‘paura’ (12v8, 21r6, 27v22). In posizione atona: oregi (33v6), oregia (43r7, 51r6), oregie (16v5), reposare/repossare (7r23, 33r15), ecc. Le eccezioni, costituite da forme latineggianti, sono presenti in numero significativo: in opposizione a poco/poca abbiamo così il latinismo paucitade (22v34, 38r27, 38r27); si possono leggere poi: auricalco (27v9), incaustro (64r12, 64v2), laudabile (28r12, 59v30), laudare (73v9), ecc. §17. Vocali in iato primario e secondario in posizione finale Appare degno di nota almeno un fenomeno, del quale si attestano comunque pochi esempi, relativo alla coniugazione verbale e ben documentato in alcuni dialetti di area settentrionale:13 il passaggio di -ai (dittongo secondario) a é per contrazione, fatto che si può osservare anzitutto nella 2a p. dell’indic. fut. (aspetaré 57v35; averé 66r24; busaré 57v32; faré 63v1; lassaré 20r23; ligaré 48v3; trovaré 64r19, 64r20).14 La situazione consueta prevede però la conservazione di -ay finale: averay (16r11, 33v35), pensaray (27r30), potray (1v19), seray (7v3), troveray (1v19), vederay (7r23, 10v31, 32r28), voray (9r28), ecc. Il medesimo fenomeno è testimoniato, per il perfetto,15 dalla sola forma di 3a p. descovaté (62v22). Il gruppo -ai si conserva regolarmente negli altri casi (a cominciare dall’indeclinabile may): 13 Cf. Verlato (2009, 384–385), Colombo (2016, 115). 14 Cf. Rohlfs (1966–1969, §15 e §1588). 15 Il fenomeno si ritrova anche in zone del Piemonte e del Veneto. Cf. Rohlfs (1966–1969, §15) e, in particolare, (§569, 315–316): «nel Settentrione l’ai della prima persona singolare è passata a -e in varie zone, cf. [...] bergamasco porté»; per analogia, poi, nel bergamasco come in altri dialetti,

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 5 Appunti linguistici

un’eccezione notevole è rappresentata dall’avverbio asé (4v30, 6v17, 10v2; < lat. ad satis), usato in maniera univoca in luogo della forma non contratta asai. È per lo più conservata, forse anche per influsso latino, la e < ĕ davanti a i ed o (a loro volta mai soggette all’apocope che invece caratterizza, per esempio, il milanese antico: cf. Contini 1935b, 244; Gökçen 1996, xxxv-xxxvi; Colombo 2016, 115): avegniadeo (15v8, 18r32; ma anche avegniadio/avignadio 1r23, 9v7), calcanei (44v21), deo (65v27; ma Dio nelle restanti 5 occorrenze: 1r27, 1r32, 3r4), etiamdeo (4r21, 6v35, 7r1), extranei (20v23), nuclei (50r34), olei (74r2), oleo (7r31, 10r2, 10r24; solo due casi di olio contro le parecchie decine di oleo: 25v9, 57v7), ecc. È sistematico il passaggio di ĕ > i davanti ad a nel possessivo mia (6r21, 32v3, 54r30). Si mantiene la e in cornea (47v8), estranea (15r15), extranea (54v1), rubea (27r13, 30v27), sanguinea (60v18). La ĭ in iato dinanzi ad -a è continuata regolarmente da i, come si vede nel cong. pres. sia (1r8, 1r32, 1v7), siano (1v30 bis, 1v32, 1v34), in via avv. e sost. (3r32, 3v5, 3v6), ecc.; un caso di passaggio a [e] si ha nel grecismo micranea (72v12). La ŏ in iato dinanzi a -i (più spesso nella grafia -y) è tendenzialmente conservata: poy (3r3, 4r10, 4v18), soy (1v18, 1v29), toy (1r32, 31r21, 33v9),16 ecc. Davanti a -a, invece, si osserva la continuazione u nei possessivi (f. sg.) sua (1v25, 2r9, 2r31) e tua (1r8, 1r28, 1r30); analogamente, dinanzi a -e: sue (2r35, 32r9, 44r6). Si hanno alcuni saltuari casi di apocope di i in po’ avv. (8r15, 27v25, 54v11: 5 occorrenze), nettamente minoritario rispetto alla forma non apocopata, e in po’ ‘puoi’ (27r27, 33v16, 52v26), che invece è l’unica forma attestata per la 2a p. del verbo potere; per l’avv. poy va rilevata anche la presenza della variante lombarda pos (10r10, 16r16, 16v2), con conservazione della sibilante finale, che presenta, tuttavia, il solo valore preposizionale (come si vede bene in esempi come poy pos la purgatione lo infirmo fiza balneato 27r2, poy pos la purgatione...ye fiza data alcuna opiata 27r8); si ha apocope di -o oppure contrazione in so ‘suo’, rappresentato da sole due occorrenze (45r12, 69r19) al cospetto della forma regolare suo. La ŭ approda a o nelle forme del numerale doy (1v23, 3r7, 3r12) e doe (2r17, 2r30): due è presente con un’unica occorrenza (2r16); conserva sempre lo iato la forma pronominale luy (7v4 bis, 12v2, 30r24; < *(il)lūi). §18. Esiti di ĭ, ē, ĕ e ae protoniche L’esito consueto di ĭ è e. È tuttavia piuttosto forte l’influsso della grafia latina, che determina un alto tasso di conservazione del timbro i: administra (9r8),

«l’e < ai della prima persona singolare si è esteso alle altre persone: porté, portésset, porté, portéssem, portéssef, porté»; si vedano anche Tomasoni (1981, 98) e D’Agostino (1983, 108). 16 Rispettivamente dal lat. volg. * sŏus e *tŏus: cf. Rohlfs (1966–1969, §68 nota 1).

5.2 Fonetica 

 359

administrati (10r22), ministrati (7r15), ministri (39r9, 40r27, 41v6), sustinere (26v19, 31r27, 40r11), videre (47v5, 48v8, 48v21), ecc. La serie corradicale costituita da desligare (2r14, 39v6), ligame (6r25), ligamento (35v10), ligata (5v30), ligatione (3r35), ligatura (5r23), ecc., che con ogni probabilità si modella sul latino, può riflettere anzitutto «un tipo generalmente diffuso negli antichi volgari settentrionali» (Colombo 2016, 118). Da ē, ĕ e ae si ha solitamente la conservazione di e: equale (14r3), equalitade (15v28), secura 3a p. indic. (10r7), securamente (70v22), securi (4v11), securitade (36r32, 40v4), securo (4v5, 6v29, 7v3), ecc. Ci sono però delle eccezioni notevoli: è esclusiva, ad esempio, la forma signore (1r1, 1r31, 62v24); si registrano entrambe le forme in esame anche per parole non derivanti per via diretta dal latino: la forma besognia (9r6, 9r14, 9v30; cf. anche il sost. besognio 3v20)17 è nettamente prevalente, ma si attesta anche quella con chiusura della protonica bisognia (11r22, 12v20, 30r7). Le frequentissime forme del verbo insire (6v5; cf. insischa 6v22; insirà 8r3; insisse 11v7; ecc.), al pari di inguala (38v14), ingualamento (38v31), inguali (33v18), ecc., vanno considerate a parte, trattandosi di semplice estensione analogica del prefisso -ĭn.18 Tra i casi di labializzazione dinanzi a nasale labiale: domanda (17v6, 21v12), domandeno (19r17), domane (71r29), domentegare (12v13), romane (61r6), romasa (49v34), romase (28v33), romasi (37r20), romaso (27r6, 47v26, 48r2), someya (15v4), someyano (46rA15), ecc. La situazione è comunque piuttosto oscillante: il citato romane, ad esempio, costituisce l’unica attestazione rispetto alle forme più ricorrenti con conservazione di e (remagnirave 6r33, remaneno 8v19, remani 9r10, ecc.). Il gruppo -er- protonico e interno di parola è sempre conservato, come si vede nei futuri constrinzerà (6v29), generarave (17r12), intrometerano (7v20), procederò (14v9), removerà (19r26), ecc.; una conservazione sistematica di -er- si osserva anche nelle forme di futuro e condizionale del verbo essere: serà (5r18, 5r19, 6r7), seray (7v3), serano (15v18), serave (9r12), ecc. Tra i prefissi è costante la conservazione di de-: decorimento (19r31), defecto (32r17, 32r32), defende (32r22), defendeno (65r30), defendere (7v1, 31r3), defenduti (11r16), defensione (61r20, 66r26), demonstra (6v33, 16r10), demonstrati (16r10), demora (26r30), demori (8r4), desiccata (4v29), deveda (6r29), devedare (9v21), devediamo (3r35), deventi (7r23), ecc. Più oscillante è il rapporto tra le forme prefissali des-/dis- (< lat. dĭs- o dē + ĕx: Rohlfs 1966–1969, §1011): descendimento

17 Cf. Castellani (2000, 105). 18 Cf. Colombo (2016, 118) e bibliografia ivi indicata. Per le forme ensire/insire (< lat. exire), cf. in particolare Bertoletti (2005, 189); si veda anche Stussi (1965, lix).

360 

 5 Appunti linguistici

(20v23), descoatata (22r34), descoatamento (22r34), deslengua (12v28), desligate (2r14), desligato (5r34, 19r35), desmesurata (4v30), ecc.; di contro: dislocati (2r31), disiuncte (2r32), dispositione (3v19), disputatione (2vA3), distemperata (3r18), distende (3r23), ecc. La prep. semplice è sempre usata nella forma de, tranne un unico caso osservato per di (21r29). Allo stesso modo, è regolare l’adozione di in preposizione così come di in- prefisso: inanze (1v5, 1v7), incarnativi (2vB5), incisione (2r27), incontinente (3r27), infirmitade (1v22, 2r9, 3r6), in prima (3r31), in primamente (1v28), inquisitore (1r27), intendere (1r11), intentione (1v9, 2r13, 3r10), ecc. Si ha sempre il prefisso re-, in qualche caso preceduto dalla a prostetica tipica di molti dialetti settentrionali (cf. §35) aregordarò (35r18, 72v4), reciva (1r29), requirito (1v19), resolutione (14r11), resolvere (7v29), resolvi (7v22, 7v24), resolvuto (14r27), respecto (28r8), respondeno (4v31), revelatione (26r28), revolto (43v6), revolze (33v9), ecc. §19. Esiti di a, ō, ŏ, ŭ protoniche Il gruppo -ar- è sempre conservato, come si può osservare, oltre che nei sostantivi (es. zucharo 9r16, 9r17), nei futuri di prima classe bastarà (15v3), besogniarà (6v15), incarnarà (8r15), intrarano (21r22), lassaré (20r23), ligaré (48v3), liberarà (41v13), monstrarà (10v32), significarà (21r15), superhabondarà (26v24), trovaré (64r19, 64r20), zovarà (31r33), ecc. Data la tendenza generale del manoscritto, saranno da interpretare quasi certamente come latineggianti molti dei casi di u < ŭ, anche laddove essi convergano con usi piuttosto diffusi in area settentrionale:19 profundamente (20r3), profunditade (18v3), singulare (60r19), singularmente (37v7), voluntade (1r26), voluntarij (12r28), voluntario (74r19), ecc. Più in generale, comunque, tanto da ŭ quanto da ō/ŏ, l’esito consueto è rappresentato da u: cusia (8r12), cusire (19v31), cusita (5v23, 8v4, 67r25), cusiti (7v14), cusito (8r10, 64v7), cusitura (2r24, 5v15, 5v17), cussì (3v2; in alternanza, però, con le forme così e cossì), ecc. §20. Vocali postoniche interne Da ĭ si ha prevalentemente l’esito latineggiante caratterizzato dalla conservazione del timbro originario: è sistematica, ad esempio, la presenza di possibile (3r30, 20r1, 20r33); altrettanto si osserva per anima (46v9), femina (49v2), femine (2r6, 10v5), lagrimi (72v15), licito (43v2), nobile (6r3, 21r3, 28v14), nobili (20r19, 28v18, 31r26), proxima (14r4), proximo (8v2), solicita (1r9), soliciti (9r6), solicito

19 Cf. Verlato (2009, 391), Colombo (2016, 121).

5.2 Fonetica 

 361

(7v16), spiriti (14r11), spirito (11v31, 58v10, 63r32), tunica (47v8), tunici (3v9), utile (4v31, 10r30, 35v34), utili (34r22, 60r10), virgine (72r3), virgini (67v8), ecc.; l’esito e è limitato a un numero circoscritto di casi, tra i quali troviamo alcuni attributi in -ivele (< lat. -ĭbĭlem): convenivele (41v11, 44r25, 45r3), decorivele (53v10), nocivele (11r24), ecc. (ma si hanno anche cursibile 72r21 e susceptibili 23r10). Una situazione analoga si osserva nei suffissi dei superlativi assoluti: Carissimo (1r4), cautissimi (1v31), durissimi (10v8), gloriosissimo (1r19), prudentissimo (1r7), suavissimi (1v30), sutelissimo (5v25), sutilissima (8v5), utillissimo (8r28), ecc. Di decifrazione meno immediata si presenta il trattamento di ŭ postonica, che, quando seguita da l, è rappresentata frequentemente dal titulus: è pressoché certo, tuttavia, che siano da sciogliere con u parole come capit(u)li (1v2, 3r5, 2vA3), capit(u)lo (2vA6, 2vA11, 2vA14), mac(u)la (47r12), ecc., dato l’orientamento complessivo del nostro manoscritto e la presenza di forme sciolte quali capitulo (2vA4), fistula (9r33), musculi (12r27), periculi (2vA23, 11r32), pilluli (26v33), populo (4v27), ecc. §21. Vocali atone finali La caduta delle vocali atone finali, che notoriamente rappresenta uno dei tratti fondamentali del lombardo antico,20 è circoscritta a un numero molto ridotto di casi (mai dinanzi a pausa), a testimonianza ulteriore del forte smussamento linguistico operato dal volgarizzatore in direzione toscano-latina. Ci limitiamo qui a una panoramica essenziale: l’apocope riguarda innanzitutto alcune forme ad altissima frequenza, come gli avverbi ben (5r24, 12v13, 20r2) e mal (2vB18, 37v31), usati accanto alle forme piene, e prevalenti, bene (1r26, 5r30, 5v24) e male (2r7, 26r2, 30r19), e il pronome qual (6r34, 6v27, 10v32; accanto al più frequente quale). Un gruppo piuttosto consistente di forme è interessata dall’apocope di -e dopo r (soprattutto, dunque, negli infiniti verbali): Almansor (2r8, 30v20), cazar (32r32, 33v31), far (17r21, 27r27), levor (19v5, 19v8), maior (5r16, 70r12), menor (33v33), pever (51r15), pezor (30v24, 42v4), plusor (11v28, 27v13, 32r34), tor (33v16), passar (33v10), ecc. Scarsissima la presenza dell’apocope di -o dopo r (lor 33v1; over 9r16) e dopo n (zescadun 10v27); dopo l, il fenomeno si coglie principalmente nel pron. el (3v19, 4v21, 5r11). La -a dopo l subisce apocope in sol (30r32).

20 Cf. Contini (1935c), Gōkçen (1996, xiii-xxviii), Salvioni (2008d, 165–170), Colombo (2010, 13–15; 2016, 122–131).

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 5 Appunti linguistici

Il caso più interessante di apocope, per il quale il manoscritto restituisce una discreta documentazione, consiste nella caduta della vocale finale nei participi presenti e nei gerundi presenti in -ant, frutto della generalizzazione settentrionale dei suffissi di prima classe: brusant (28v8), circondant (21v27, 26r4), considerant (26v20), constrinzant (68v13), declinant (21v13), discorrant (56r35), fazant (4v20, 13v34, 14r1: 8 occorrenze), generant (30v29), guardant (23r25), passant (7v8, 25v33, 69r8: 5 occorrenze), penetrant (69v35, 70r5), portant (21r4), stagant (29v4), superhabondant (26v20). La maggior parte dei casi elencati sono dei participi presenti, come lascia intuire la corrispondente forma participiale dell’originale latino: l’esito, tuttavia, finiva per coincidere, dal momento che nel gerundio la caduta della vocale produce l’assordimento della dentale venuta a trovarsi in fine di parola.21 Non si registrano, invece, esempi di apocope nella desinenza degli infiniti, se si eccettua un singolo caso di imperativo negativo (non te move da questo amaystramento: 4v26).

5.2.2 Consonantismo §22. Esiti delle occlusive labiali intervocaliche e intersonantiche Le occlusive labiali passano alla fricativa labiodentale sonora tra vocali o tra vocale e r; da originaria labiale sorda: averta (57v21), coverta (37r8), coverto (40r7, 40r17), levor (19v5, 19v8, 19v15)/levore (65r24), pever (51r15), recevuto (8v7), recive (8r35), rivi (30r13), savere (18v33, 27r14), savij/savio (1r20, 1v29, 5r3; < prov. sabi; Colombo 2016, 132), savone (24v14), trova (14r7), trovano (1v1), trovaray (1v19), trovare (1v3, 5v25), trovemo (4v32), ecc.; da originaria labiale sonora: aprovato (65r8), aprovo (32r6), ave (11r7), avemo (3r2, 11r4), averà (4r23), avevano (10v6), aviveno (13v20), avire (1v6, 19r1, 19v21), biva (9r26), bivano (1v32), biveno (52v35), bivere (52r27), bivia (35r3 bis), descovatare (se si accetta l’etimo, incerto cubare ipotizzato dal REW §7685), dovemo (1v17),22 fevera (4r33, 42v28, 73v29), firave (8r2),23 porave (4v17, 16r3), remagnirave (6r33), serave (9r12), ecc. Per il verbo descovatare si registrano due forme interessate da dileguo consonantico: descoatata (22r34), descoatato (33r9, 65v31). È tuttavia molto alta la frequenza di forme che conservano -p- e -b- come conseguenza dell’influsso latino e toscano: accanto a un’unica occorrenza di sovra, se ne hanno 163 di sopra (3v1, 4r5, 5r29); si leggono poi: apre (9r33, 25r30, 31v13), 21 Cf. Rohlfs (1966–1969, §618); per l’area bergamasca: Ciociola (1979, 74 nota 89), Tomasoni (1985, 242). 22 Ma si hanno eccezioni nella coniugazione del verbo dovere (cf. §51). 23 Per le desinenze del condizionale si registra un sistematico sviluppo della labiodentale.

5.2 Fonetica 

 363

apria (6r35), aprobata (29v13), aprobato (65r5), debile (16r17), febre (32r17, 33r33, 53r27: 5 occorrenze, ma nessuna di fevre), liberale (1r29), nobile (6r3), oribile (2r6), possibile (3r30, 3r32, 4v1), probare (70v1), probata (61r17), probato (60v10), provatione (3v9), recuperi (15r13), sapere (1r34), superfluitade (5r8), ecc. Il dileguo di -b- è limitato alla presenza sistematica della voce verbale de’ ‘deve’ (5r12, 5r15, 5r22: 97 occorrenze), oltre alle due occorrenze di deno ‘devono’ (4r16, 35v11). §23. Esiti delle occlusive dentali intervocaliche e intersonantiche L’occlusiva dentale sorda -t- tra vocali o tra vocali + r tende spesso alla sonorizzazione: deveda (6r29), devedamento (6r26), devedando (5v5), devedare (9v20), devediamo (4r35), fiadi (29v10), nudrigamento (13v2, 13v4), nudrigato (13r23, 36v28), podesse (53r4), preda (22r18, 38r15, 46v35), sede (53r16), taliadura (33v27), tridello (17v21), tridene (29v12), vedri (28r23, 53r7, 55v24), vedro (53r9, 55v22), ecc. Restano tuttavia prevalenti i casi di conservazione della dentale sorda, pressoché sistematica, ad esempio, nei sostantivi formati col suffisso -tura: cusitura (2r24, 5v33, 5v35), inflatura (7v27), ligatura (5r23, 5r32), limatura (25v4), partitura (2r26), taliatura (2r26), toffatura (3r35), ecc. È oscillante la situazione di -t- intervocalica derivata dal suffisso latino -ate(m), che vede una nutrita rappresentanza di entrambi gli esiti: caliditade (3r19), continuitade (2vA6, 3r6), contrarietade (2r18 bis, 2r21), diversitade (2vA7), extremitade (3v17, 3v18), frigiditade (3r22), humiditade (3r22), infermitade/infirmitade (2r9, 2r12, 2r15), integritade (1v26), qualitade (3r18), quantitade (13r4), sicitade (3r21), sinceritade (1r29), sumitade (3v17), ventositade (3r17), viriditade (25r25), voluntade (1r26), ecc.; al contrario: continuitate (27v5), diversitate (27v20), facilitate (6r16), frigiditate (26r34), profunditate (4r31, 6v1, 6v3), prolixitade (7v17), qualitate (26v23), quantitate (4r32, 27v20, 28v2), stipticitate (23v7), subtilitate (8v1), utilitate (28v34), ecc. Altrettanto variabile è il trattamento della dentale nei suffissi participiali (< lat. -atus/-itus/-utus), per i quali sono ben rappresentate sia le forme con la dentale sonora sia quelle con la sorda, nel complesso prevalenti: accanto a augmentada (62r26), administrada (33v4), cazada (33v27), clisterizadi (71r1), componudo (40v27), debilitado (48r8), descazadi (33v31), humectada (16r18), impiagado (14r32), intrometudo (6v23, 61v4, 72v24), mandada (12r8), metudi (11r15), metudo (33v20), piegada (71r17), taliado (33v13, 33v22), tridi (17v29), ecc., si hanno componuto (1v4), dannato (5r30), dislocati (2r26), distemperata (3r19), domandato (4v30), generati (2r10), impiagato (2vB5), lassati (2v1), operato (4v13), ponuto (3r3), possuto (1r10), refrenato (4r30), remanuta (33v21), temuto (4v12), usurpato (2r6), vezuto (3v14), voyuto (1r35), ecc.

364 

 5 Appunti linguistici

Una conservazione sistematica della dentale si osserva nel suffisso -tor(em): experimentatori (8v10), inquisitore (1r26), picigatori (47r11), salvatore (1r29), taliatore (58r17). §24. Esiti delle occlusive velari intervocaliche e intersonantiche Si riscontra la sonorizzazione di [k], in posizione intervocalica o tra vocale e r, per un discreto numero di casi: amigo (3r3, 4r13), antigo (10r29), aregordarò (72v4), codega (3r21, 5r23, 6v34), digando (4v9), fatiga (5r3), lagrimi (72v15), logi (1v28), logo (4r3 bis), mastigato (55v21), nudrigamento (13v2, 13v4), nudrigato (13r23, 36v28), pregato (1r6, 1r17), pregeri (1r32), regordarte (31r7), segonda (1v2, 5v6), segondo (1v1, 1v19, 2r27),24 segura (52r19), segureza (35v16, 61v23), seguro (9r20), ecc. Tra le forme significative, vanno ricordati il pron. ge (6r11, 6v35), con sonorizzazione avvenuta in fonetica sintattica (cf. Rohlfs 1966–1969, §459 e 903; Colombo 2016, 137), e due voci verbali come daga (32v32), stagant (29v4), per analogia sulle forme derivate da dicere).25 La resistenza della velare sorda, soprattutto per dipendenza dal latino (se si eccettuano poche forme come alcuno [< *alicunu(m)], poco, ecc.), è anche in tal caso ben visibile: acuitade (10v21), acuta (9r18), acuti (1v16), acuto (13r5, 13r6), amico (1r16), draco (17r6, 19v7, 23v21), macula (47r12), secreti (1r27, 17v6), secreto (59r1), significheno (11r34, 12r24), stomaco (11v2, 11v19), ecc. §25. Esiti di qu La labiovelare sorda è sempre conservata: l’unico tratto del quale è utile far menzione concerne la perdita dell’elemento labiale nelle congiunzioni cha (3v22 bis, 4v31, 5r16; < quam), usata in concorrenza con che, e adoncha (1r29, 3v20, 5r9), oltre che nei pronomi relativi e interrogativi che (1r10, 1r13, 1v1) e chi (15v14, 19r23, 30v3). Accanto a questi, va ricordata anche l’occorrenza saltuaria di que ‘che’ col valore di pronome interrogativo (1v7, 1v8, 26r29). §26. Esiti di c e g davanti a vocale palatale In posizione iniziale, l’esito di c- è rappresentato da un’affricata alveolare sorda in zefer ’cece’ (53v10), zeroto (17v2), zescadun (10v27), zescaduna (6v23, 37v6), zescaduni (23r18), zescaduno (5v26, 12v5, 16r33), zigola (11r30), zima (3v32, 8r6, 12r21), zinamomo (50v11), zinquanta (40v25), zinqui (39v6, 45v11). Sono comunque

24 Ma segonda e segondo sono in netta inferiorità rispetto alle corrispettive forme con velare sorda seconda e secondo. 25 Cf. Colombo (2016, 137).

5.2 Fonetica 

 365

prevalenti le forme che conservano la c- etimologica, per le quali non si può escludere una pronuncia con affricata alveolare sorda: centaurea (17v1), cera (6v31, 10v10, 10v26), ceroti (17r28), ceroto (17r30), certamente (4v29, 12r15), certo (1v2), cervello (1v31, 5r18, 9v5), cessante (4v4), cessare (8v17), cibo (11v18, 13r14, 13v27), cibi (5v22, 5v24), cinere (11r21), circa (2r13, 2r14 bis, 2r15), circato (1r22), ecc. (a queste si possono accostare anche i casi di conservazione interna osservabili in confine di morfema, come per le forme del verbo recivere, che mantengono sistematicamente -c-: reciva 1r29; recive 3v11; reciveno 3v21; ecc.). Anche in posizione interna postconsonantica l’esito è solitamente l’affricata alveolare sorda: dolze (3v23), marzire (8r4, 10r25, 10r28), marzisca (20v18), torzando (21r7), torze (37v17), ecc. I casi di conservazione, almeno dal punto di vista grafico, riguardano soprattutto parole con c intervocalica (dice 1r3, 5v15, 6r1; faceva 10v5, 49r4; necessario 5r33, 5v14; radice 2r11; ecc.) e, in particolar modo, voci dotte, con c intervocalica o postconsonantica (calcina 29r17; fece ‘feccia’ 5r9; furcella 39r22; lacerti 12r22, 17v5, 42v29; lacerto 12r33; lacertosi 12r32; nocimento 23v27; nociva 19r35; soliciti 9r6; ulcera 56r31; ulceratione 4r11, 4r12; ulcerationi 5r21, 5v10 ecc.); non mancano forme per le quali ci si attenderebbe [ts]: dolce (35v2), dolcemente (28v26, 33r30), ecc. In posizione intervocalica, si osserva qualche caso di passaggio a una sibilante sonora: cosella (65r1), coselli (14r22), osella (59v6), oselli (53v18), partesselli (41v8), piase (18r34, 44r16). L’occlusiva velare sonora in posizione iniziale si continua in un’affricata alveolare sonora nelle voci zinogio (6v8, 12r23, 45r12) e zinzivi (50v7, 50v23, 50v28). In posizione interna postconsonantica o intervocalica, troviamo lo sviluppo di affricata alveolare sonora in constrinza (19v32, 43v34, 46v25), constrinze (30r26, 33v25), constrinzendo (3r22, 26r18), constrinzimento (20v6), elezuta (10r32; per analogia sul continuatore di eligere), elezuto (17r33), inzegnio (20r8), rezimento (1v16, 1v20, 5v12), strinze (44v12, 49v17), strinzere (36v34), oltre che nel gallicismo lezera (6v4, 18r34), lezero (1v6, 19r31), nell’avv. derivato lezeramente (10r10, 20r35, 20v8) e in poche altre voci. Tra vocali, di cui la seconda è una palatale tonica, si può assistere a dileguo di g: amaystramento (4v26), amaystra (7v29), maystro (20v21), ecc. (cf. Tomasin 2004, 139; Verlato 2009, 402; Colombo, 2016, 141). Dopo l si attesta un singolo caso di passaggio di g a iod, con successiva riduzione del nesso [lj] al secondo elemento (cf. Colombo 2016, 140: regoie): regoyeste (29v4; le altre forme dello stesso verbo attestate nel volgarizzamento sono però recolta 12r9, recogli 48r9, recoglie 14v26). Le forme verbali modellate sul lat. colligere presentano invece l’affricata alveolare sonora: involzela (33v2), involzuto (43r32, 54r7), revolze (33v9, 49r1), revolzendo (49r9), revolzimento (53v5), volza (44v17), volze (45r31), volzimenti (41v16). I casi di conservazione di -g- (ma la grafia volgare ‹g› sarà verosimilmente da leggere, almeno in parte, come [dz]) sono di gran lunga dominanti, sia in posizione incipitaria sia all’interno di parola, tanto

366 

 5 Appunti linguistici

più in corrispondenza di latinismi: abstergeno (23v33), argenti (23v22), argento (27v9, 29r17, 29r19), diligentemente (1r11), generali (2vA3, 3r1), generalmente (1r12), generare (4r25), generata (4r29), generatione (3r14, 4r28), generativa (4r15), generi cong. pres. 3a p. (6r7), frigida (9v9, 9v10, 9v16), frigiditade (3r22), frigido (7v28), infrigidi (7r30), ingenio (8r11, 11v24, 28r1), ingeniatione (31r33, 39v12, 39v32), magistri (30v9), magistro (39r21), regimento (9v25, 13r24, 26r9), submergere (17r30), ymaginativa (32v24), ecc. §27. Esiti di j iniziale e intervocalico In posizione iniziale o dopo un confine morfemico l’esito è rappresentato dall’affricata alveolare sonora: azonzimento (6r12), conzonzi (5v31), zà (1r17, 1v5, 3v12), zasere (63r28), zasi (64r14, 64r32), zasia (41v4, 64v3), zezunare (71v1), zezuni (70v34), zó ‘giù’ (64v35) e zoso (40v33, 43r12, 43r28),26 Zohanne (1r4), zonctura/ zontura (2r31, 42v2, 42v3), zonturi/zoncturi (2v35, 12r23, 42v1), zonzi (45v7), zova (4r32, 23v26, 50v2), zovamento (11r30, 55r13), zovarà (31r33, 51r32), zoveni (16r35), zoveno (24r22, 50r30, 50v5), ecc. Tra i casi di conservazione di j troviamo parecchi latinismi (coniunga 5r23; coniunctione 2r14, 2r32; coniuncte 2r15; disiuncte 2r32; iace 63v19; iacendo 8r16; iudicij 11r32; iuncta 10v32; iuncturi 5r19; subiecti 2r18; subiecto 26v23; ecc.); in posizione interna intervocalica si hanno le forme maior (5r16), maiore (2r8, 6v3), maiori (8v12, 9v9), ecc., al cospetto di un solo esempio di mazore (19v32): in questi casi la conservazione di j intervocalica è probabilmente genuina e non costituisce un esito latineggiante.27 §28. Esiti dei nessi di occlusiva + j Il nesso pj si conserva in sapia (4r13, 5v3, 6r15) imper. 2a p. e nei latinismi apio (58v32, 70v3, 70v4), opiata (27r4), opiate (27r5), opio (51r15), principio (5v8, 6r11), sapientissimo (1r11). Il nesso bj si conserva a sua volta in abia/habia (1r23, 7r14, 8v7; 16r16, 19r31, 20v1), abiano/habiano (70r9/19r2, 34v15), abiete (35v17), debia (1r18, 7r27, 29r7), dubio (9r12, 10v32, 11v8), euforbio (10v10, 10v15, 74r3), forbia (15r32, 52r8), habiando (4v25), habianti (17r20, 60v19). L’esito consueto di tj è un’affricata alveolare sorda: aconzamento (22r27, 38r14), anze (1r27, 3r32, 4r10), caza (5r5), cazada (33v27), comenza (1r1), conzamento (6v9), denanze (28r9, 28v32, 32v23), descazadi (33v30), inanze (1v5, 1v7, 7v19), pezo (2r5, 24r17), pezola (34r33), pezoletta (13v28), possanza (28r20), 26 Per le forme zò e zoso, Colombo (2016, 141 nota 62) presuppone, sulla base del LEI (fasc. D7, 1153–1183), una provenienza da iōsum piuttosto che da deorsum (come ipotizza, al contrario, Tomasin 2004, 142 sulla base di REW §2567). 27 Cf. Colombo (2016, 142).

5.2 Fonetica 

 367

recordanza (6r22, 37v6), significanza (28r10), terzo (19v35), tristeza (66v27), usanza (4r13, 41r5), ecc. La presenza di latinismi è marcata, e si coglie anzitutto nei sostantivi con suffisso -tione: clisterizatione (27v18), collectione (2vB7), consideratione (2vB4, 26v21), exhibitione (1r3), intentione (3r10), nodatione (38r14), perditione (3r8), probatione (1r3), solutione (3r2, 3r6), vulneratione (4v23), ecc. Il suffisso è adottato in modo sistematico (nessun caso di -zione) sia per voci trapiantate direttamente dal testo latino, sia per parole che sono frutto di innovazione da parte del volgarizzatore (cf. 5.6.3). Accanto a questi, costituiscono un gruppo numeroso anche le forme in -antia e -entia: abundantia (4v23, 13v20, 18v14), desobedientia (9r2), differentia (4v29, 14v8, 14v9), diligentia (1v13), experientia (26r25), habondantia/habundantia (16v2), inconvenientia (25r10), remanentia (3v3), scientia (13v20), substantia (3r14, 3v9), ecc. Andranno a tal riguardo notate anche le numerose varianti grafiche come condicioni (22v28), exercicio (17r35), malicia (13r9, 13r10, 13r12), noticia (18r34), pecia (9r9), pigricia (28v3), stulticia (2r9), tercia (5r9, 7v14), tucia (10v17), ecc. Si ha un’affricata alveolare sonora dal nesso dj in cluze (28r1),28 mezana (6r6), mezani (3v20), meza (5v11), mezo (3v18, 3v20), nel gallicismo manzare (35r4, 52r27, 64v26), manzi (35r2, 53r16, 71r2), in provezuto (20v21) e vezuto (3v14, 32v3, 32v4) per analogia col continuatore di video, ecc.; è poi da segnalare il particolare esito visibile nella forma meytade (< medietate(m): per l’area bergamasca, cf. meytad in Lorck 1893, 46; meytat in Tomasoni 1985, 241). Sono parecchi, anche in tal caso, i cultismi che conservano il nesso: desobedientia (9r2), inobediente (26r23), inobedientia (37r32), mediante (1v13, 3r35, 35r17), medianti (5r11), mediocritade (3v28), obedientia (37r32), remedio (4r18, 4r21, 4r29), tedioso (43v3), ecc. Il nesso cj produce un’affricata alveolare sorda: azò (1r7, 1v9, 4r30), brazo (6v13, 37v4, 39v3), faza (4v4), fazando (2vA31, 2vB1, 4v4), fazant (4v20, 13v34), fazendi ‘faccende’ (1r25), fazeno (4r22, 5r13), feza (10v9, 21v14, 24r6), imperzò (23r11, 23r13), lanza (31v18), marza (5v29, 6r34, 9r14), perzò (26v20), zoè (in concorrenza con la forma toscana cioè), ecc.; tra i casi di conservazione si leggono: artificialmente (13v19), conciosiacosaché (1r31, 19r11); facia (6r5, 41v4, 52v2), fiducia (3v24, 8v21, 22v35), putrefacienti (5r12), speciale (4r22), specialmente (5v27, 6r1, 17v10), ecc. Un caso particolare è rappresentato dalla forma bambaso (con una sibilante verosimilmente sonora), di etimo incerto, ma per il quale si ipotizza una base bambacium (cf. Bertoletti 2005, 155); accanto a bambaso (11r1), peraltro, si attesta nel manoscritto anche la variante bambasio (11r4, 37r5, 38v18).

28 Forma, corrispondente al toscano chiuggio, derivata per analogia dalle voci verbali in -eo e -io: cf. Rohlfs (1966–1969, §534).

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 5 Appunti linguistici

Tra i pochi esiti di gj troviamo infine le forme (< lat. axungĭa) azongia (5r12) con mantenimento del nesso, e sonzia (14r14), con avanzamento dell’affricata; inoltre, il cultismo regioni (59v12). §29. Esiti dei nessi lj, nj, rj, sj Il nesso lj è conservato nella maggior parte dei casi attraverso la grafia ‹lj›, che può rappresentare [j] nel lombardo nordoccidentale antico:29 consilia (12v2, 31r8, 36v2), melio (6r14, 12v2, 26v16), meliore (1v15, 8r10, 9v27), meliori (4r34, 23r19), pilia (20v8), piliare (19v30, 20v6), pilij (34r15), talia (8v15), taliado (33v13), taliamento (31v31), taliare (12v1, 24r14, 24v9), taliarlo (31r19), taliata (6v19, 7r15, 9v32), taliati (29r32, 30v4), taliato (8r2, 9v29, 9v30), taliatura (2r24, 3r26, 12v34), taliaturi (33r6), taliero (33v19), talij (22v1), tolia (7r34, 8v12, 27v8), volia (16r34, 22v25, 31r27), volio (59r24), ecc. I casi nei quali il passaggio a ‹j› si riflette anche nella grafia sono piuttosto circoscritti: someya (15v34), someyano (46rA15), voya (23v11, 41r6, 41r7), l’analogico voyuto (2r35); per il passaggio a ‹j› riscontrabile nel sost. seya ‘ascella’, forma tipica dell’area lombarda, cf. glossario (sezione 1, s.v. ascella). Il nesso originario lj va incontro a palatalizzazione anche nella voce roveya (11r21, 17r20, 23v35; accanto però alla forma con conservazione di [lj] rovelia: 34v14, 60v6), nome popolare usato per tradurre il lat. orobus e corrispondente al toscano robiglia. L’esito consueto del nesso nj è una nasale palatale, come si vede anzitutto nel paradigma dei verbi vegnire e tegnire (talvolta con estensione analogica dello sviluppo palatale), oltre che in quelli dei loro derivati: contegnia (6v17), convegnia (18v28), pervegnia (5v33, 22r33, 23v30), retegna (4r18), retegnia (8v30, 19r33, 20r6), retegnuta (41v18, 45r22), retegnuto (22r20, 37r15, 45v34), tegnia (45v1, 45v2, 45v3), tegnire (58v22, 58v28, 64v4) vegnia (1v6, 6v18, 7v1), vegnire (33r25), ecc. Altri casi di palatalizzazione si osservano in avegniadeo/avegniadio/avignadio (1r22, 9v7, 15v8), bagnio (7v31, 54r1), besogni (13r16), besognia (11v34, 12r34), inzegnio (2r7), remagnirave (6r33), signore (1r31), ecc.; regolare palatalizzazione si ha anche per il gruppo mnj: ogni (2r22, 5r27, 6v27). La pronucia dialettale coincide con la grafia latina nelle forme del verbo cognoscere: cognosca (20v3), cognosce (13r10, 13r17), cognoscuta (11v35), cognosuta (12r1), ecc. Tra le conservazioni del nesso nj compaiono latinismi come antimonio (47r33), ingenio (1v35, 2r1, 8r11), ingeniosi (1v34), licinio (48r26, 50r19), testimonio (17r35, 32v2), ecc. Il gruppo nj subisce metatesi in maynera (3r9, 53v3), maynere (2r30, 3r12), mayneri (4v15, 38r23, 64r1). Il nesso rj è sempre conservato e, nel caso specifico degli esiti del suffisso latino -ariu(m), si mantiene sempre il suffisso -ario (nessun caso di 29 Cf. Salvioni (2008b, 355).

5.2 Fonetica 

 369

-aro o dell’esito toscano -aio): adiutorio (12v20, 13v15), artorio (11v25), contrarietade (2r18), contrario (2r2, 11v26, 13v18), gloriosissimo (14v10), memoria (1v4, 4r21, 5v22), necessarij (1v33), necessario (15r13), temerarij (1v30), varioli (13v26), ecc. Dal nesso sj intervocalico si ha una sibilante sonora in brusando (3r21), brusant (28v8), brusare (31r16), brusata (17v6) brusati (17v1, 17v9), brusate (23r20), brusato (17r2, 17r19, 17v7), brusello (73v16), brusore (18r6), brusori (26v29), casone (1v14, 1v20, 2r9); sono numerosi i casi di conservazione di sj (in posizione intervocalica e soprattutto postconsonantica) e ssj all’interno di forme dotte (nella maggior parte dei casi come diretta continuazione delle voci presenti nel testo originale): abstersione (14v23, 14v27), comprensione (4r2, 9r11), concussione (12v12), dispersione (14v28), divisione (2vA2, 3r1), incisione (2r27, 6v12, 7v35), passione (9v33), suspensione (6v10), ecc. §30. Esiti di l e nessi con l La conservazione, almeno grafica, del nesso cl (in posizione iniziale o seguente un confine morfemico), è rappresentata da forme dotte o semidotte come clara agg. (7r31), clara sost. (19v5, 19v9), claramente (1v11, 5r9), claro (1r18), clavo (68r27), climia (17r18), clisteri (8r30), declara (18r30), declina (19v28), declinatione (8r23, 8r26), ecc. Le diverse attestazioni, osservabili soprattutto in posizione iniziale, del tipo chiamare (chiamata 4r12; chiamato 67v2; chiameno 20r14, 51v31; ma anche chiodo 68r28, 68r29; invechiata 26v17; ecc.), che risentono verosimilmente dell’influsso toscano, potrebbero rappresentare delle affricate palatali sorde,30 secondo lo sviluppo atteso in diverse aree settentrionali (cf. Rohlfs 1966– 1969, §179) e confermato, nel volgarizzamento, dalle forme con affricata palatale sonora in posizione intervocalica (esito a sua volta caratteristico di diversi dialetti lombardi: cf. Rohlfs 1966–1969, §248; Loporcaro 2009, 97; Colombo 2016, 146–147) aparegiata/apparegiata (9v6, 66r34), cavigia (46r2), invegiata (25v28), lentigia (30r29, 36v23), ogi (16v5, 32r31), ogio (34v25), oregi (33v6, 34v8, 42v11), oregia (43r7, 51r6, 53r17), oregie (16v5), vegi (38r28), vegio (7v26, 54r6, 58v12), zinogio (6v8, 12r23, 45r12). Il gruppo gl si conserva in alcune forme dotte: arnoglosa (52v9), conglutinatione (8v9, 14v30, 25v5), conglutinativa (14v13), glandi (59r21), gloriosissimo (12r21, 14v10), glutinatione (25v7), glutino (16v34), negligentia (28v4), ecc.; inoltre nelle forme metatetiche, derivate dal lat. singultus, sangloto (19r25, 19r26) e singloto (11v29).

30 Cf. Bertoletti (2005, 172) per la grafia ‹chi-› in luogo di un’affricata palatale.

370 

 5 Appunti linguistici

Il mantenimento del nesso pl, bl e fl in posizione incipitaria rappresenta un fenomeno diffuso anche in altri dialetti lombardi, a cominciare dal bresciano (cf. Ciociola 1979, 65): per pl si leggono plana (3v35), plegamento (8r24), plena (19r33), pleneza (13r17), plombo (19v12), plù (1v3, 3r19, 7r4), ecc.; di origine francese sono le forme plusor (11v27) e plusore (4v30, 5r33). Concerne soprattutto il bergamasco, invece, la conservazione dei nessi in posizione interna. Prescindendo da cultismi più o meno marcati (es.: cataplasma 12v24; complemento 1r30, 23r2; complexione 2vB5, 13r2; complito 1r27; emplastrato 7r35; repleti 22r4; repletione 7r21; suplendo 16r6; ecc.), per pl si possono ricordare: aplegadi (33v17), complita (42v14), completa (44v2), complito (42r16), doplato (34r11, 39r34), doplega (27v13), dupla (6v35), implire (32v15), implisca (27r26), implisse (4v33, 27r33, 34r9), replena (34r14), ecc. La palatalizzazione è comunque ben attestata, sia in posizione iniziale sia interna, e si osserva anzitutto nell’adozione sistematica della ricorrente forma piaga (e dei plurali piage e piagi) oltre che nei derivati impiagati (11r22), e impiagado (14r32)/impiagato (2vB6); inoltre, in sempia (3r6 bis), piegata (38v9), piena (6r10, 7r2), pieni (15r10), pieno (18v33), tempia (3v15) ecc.; con sonorizzazione della labiale, in stobia (29v16). Contrariamente a quanto visto per pl, il gruppo bl continua in un’unica occorrenza di blancha (70r26), al cospetto però di biancha (21v13, 23r1, 26v25: 8 occorrenze), biancheza (51v2), bianchissimo (19v3), biancho (17v20, 18r25, 23v20: 11 occorrenze); la palatalizzazione del nesso si osserva anche in sabia (70r26). Infine, il nesso fl si mantiene, oltre che nelle voci dotte (flegma 26v21, 52v1; fluxo 19r6, 19r12, 19r14; inflatione 7v16, 10v23; inflativi 8r29; superfluitade 5r8, 12r6; superflua 10v34; superfluo 10r17; ecc.) in diverse forme del verbo inflare (inflano 26v31; inflarse 40v7; inflato 45r14; inflatura 7v28, 12v21, 45r15; infli 7r24, 13r24, 13v3) nelle quali, probabilmente, il mantenimento del nesso non sarà da interpretare come latineggiante, data la contemporanea presenza di una forma come sconfli (7r24, 23v19). L’esito volgare [fj] è comunque ben attestato: fiadi (29v10), fiato (11v12, 11v16, 11v31), fiore (9r19, 17r2, 17v12), infiato (36v1), infiatura (9v12), sconfia (45r23, 51v8), sconfiamento (34v33, 61r2). §31 Esiti di x intervocalica e di sc davanti a vocale a palatale La -x- intervocalica si continua in una sibilante sorda, come accade solitamente in larga parte dell’Italia settentrionale (cf. Rohlfs 1966–1969, §225): contradisse (3v12), disse (3v12, 3v14), disseno (3v6, 6v27, 8r32), extrase (62v26), lassa (8v15, 12r35, 46v23), lassare (8v7, 25r33, 34v18), lassaré (20r23), lassase (8r2), lassata (21r10, 22v29), lassati (2v1, 5v28), lassato (1r31, 6v25, 27r34), lassaveno (66r4), lassella (63v30), lassello (40v25), lasselo (48v13), lassene (69r2), lasseno (14v4), lassi (8r6, 10v22, 20v18), lassiamo (54v25), trasse (33v29), ecc. Alla stessa serie appartengono

5.2 Fonetica 

 371

anche i continuatori del verbo exire, frutto della probabile riprefissazione più che di epentesi (sostenuta da Rohlfs 1966–1969, §334 e 340):31 insischa (6v22), insirà (8r3), insire (6v5, 8r8), insisse (11v6), ecc. Come già rilevato parlando della grafia (cf. §6), la conservazione dotta di -x- è molto frequente e pressoché sistematica per le voci dotte: aproximare (51r35), aproximarte (62v7), aproximi (37r24, 39r17), exemplo (42r13), maxima (58r17), maximamente (1v31, 1v35, 7r19), ecc. L’esito del nesso sc dinanzi a vocale palatale è una sibilante sorda, espressa, nella maggior parte dei casi, dalla grafia conservativa ‹sc› (cf. §6): cognosce (13r10, 13r17, 30v7), cognosceno (2r12), cognoscente (62v25), crescere (5r13, 6r30, 7r23), Damasceno (1v18, 15v12), descendimento (20v23), descendono (17r29), descensione (22v34), discernoma (55v31), nasce (7r12, 7r13 bis), nasceno (5r8), nascente (22v23), nascere (2vA31, 2vB1, 4v1), ecc.; analogamente, per analogia, in cognosca (20v3, 54r28), cognoscuta (11v35), implisca (27r26), marzisca (20v18), nasca (7r9, 18v5), ecc. Troviamo invece ‹s› in un numero minore di forme: cognose (67r14), cognoseray (44r11), cognosuta (12r1, 12r10, 21r19), nasere (4v20), ecc. §32. Esito di ct Come già rilevato (cf. gli esempi allegati in §8), il nesso ct è caratterizzato da un alto grado di conservazione. Accanto a questi, però, sono ben attestati i casi improntati sull’uso toscano (e consistenti per lo più in participi passati): cotta (9r23, 9r30), cotti (9r24, 14r24), dita (2r27, 2r28, 2r29), diti (33v1, 33v17, 56v2), dito (41r25, 42v25, 48v15), ditto (33v12), dritta (3v35), fatti (12r32), note (59v6), prediti (27r25, 55v30), ecc. Va ancora rilevata la sistematica adozione della forma peyto ‘petto’ (8v26, 8v27, 11v30: 10 occorrenze), nella quale si assiste alla risoluzione di [k] a i, secondo un esito testimoniato in varie zone occidentali dell’Italia settentrionale (cf. Rohlfs 1966–1969, §258); stesso processo di palatalizzazione andrà presupposto anche per l’agg. voydo (63r26; con gruppo ct secondario dal lat. volg. *vocĭtus) e nelle forme del verbo ┌voydare┐ (voyda 8v34, 49v1; voydato 59v25; voydela 63r34; voydi 12v19). Da segnalare, infine, una singola adozione della forma lombarda (presente già nel milanese di Bonvesin: cf. TLIO s.v. freddo §1.2) fregio (accanto, però, all’abituale forma di stampo toscano fredo),32 che presuppone un trattamento del gruppo -gd- (derivato a sua volta da sincope: frigidu(m) > *frigdu(m), da cui, per assimilazione regressiva, il tosc. freddo) alla maniera della sequenza più comune di velare + dentale -ct-, con entrambe le consonanti sorde, generando così un’affricata palatale (cf. Patota 2007, 189). 31 Cf. Bertoletti (2005, 189), Verlato (2009, 403), Colombo (2016, 149). 32 Cf. Colombo (2016, 150).

372 

 5 Appunti linguistici

§33. Consonanti geminate Sono esclusive le forme avverbiali con nasale scempia inanze e denanze (il raddoppiamento fonosintattico riguarda, però, anche diversi volgari settentrionali, oltre ai moderni dialetti: cf. Formentin 2002b, 33). Per -nn- etimologico o derivato da processi di assimilazione, i casi di scempiamento si osservano soprattutto in posizione protonica: anexa (61r23), canella (50r22), canello (63r30, 63r35), canelli (20v29),33 danamento (32v4, 66r8, 66r9), danati (32r20, 33v7), inganare (1r27), inganato (28v2, 66r4, 69r28), inganatori (64v18), ecc.; non mancano, però, parole che attestano il raddoppiamento nella stessa sede: dannamento (32v14), dannato (5r30), panniculo (8r9, 9r5, 11v2), ecc. Anche in posizione postonica si rintracciano entrambe le soluzioni, ‹n› e ‹nn›, ma con una prevalenza marcata di ‹nn› (soprattutto nelle desinenze verbali di 6a p.):34 ànno (2r6, 2r7, 2r35)/hanno (10v6, 10v16), Avicenna (3r29), canna (21r30, 21r31, 21v28), danna (34r33), danni (33r30), danno (26v7, 32v32), enno ‘sono’ (1v6, 1v14, 1v29), fanno (2r6, 2r8, 3v32), panni (10r34, 32r21, 32r22), panno (40r12, 42v16, 46v13), penna (25r32, 32v33, 68v2), senno (1v33), Zohanne (1r4), ecc.; tra le forme scempie: Avicena (3v5, 4r33 bis), ingani (22r19,  47r9), ingano (27v33, 28v7), ecc. Presentano sistematicamente la grafia scempia le forme di 6a p. del futuro: apparirano (11v23), indurarano (57v34), intrometerano (3v20), firano (27v3), serano (15v17, 29r21, 37r15). Tra i casi, non sostenuti dall’etimologia, di raddoppiamento grafico dopo tonica in parole parossitone, vanno almeno segnalate le frequenti voci verbali sonno ‘sono’ (2r8, 2r16, 3r15) e venne ‘viene’ (2vA15, 3r16, 4v2), entrambe usate a fianco delle corrispettive varianti con nasale scempia: la grafia ‹nn› starebbe a indicare la brevità della vocale tonica precedente (Bertolini 1985, 14), ma si tratta di un’ipotesi «ammissibile solo a condizione di non ritenere meramente grafica la scrizione della vocale finale e della consonante precedente, il che comporterebbe una vocale lunga» (Colombo 2016, 151). Anche per la vibrante s’incontra una certa oscillazione. Prevalgono le forme con la doppia: corre (3r9), corra (5v9), correno (3r12), corria (6v2), corrodendo (3r22), corrosione (17v10), corrumpa (12v14), corrumpe (9v16, 9v19), corrupto (13r3, 13r4), currere (10r27), ferro (3r27), incorra (6r35), narrato (8r10), succurrere (10r8),  terra (9r24), ecc.; dall’altro lato, troviamo, invece: corere (6r8), corode (23r24, 24r1), corodeno (17v7), coroditade (23r32), corosiva (13v12), corosivi (21v34, 22v22, 24r18), corosivo (13r5), corodenti (24r13), corosione (24r17, 24r18), ecc.

33 Forme che risentiranno anche del lat. canellum. 34 Una separazione del tutto sistematica (scempie in protonia e doppie, in alternanza con le scempie, soltanto in postonia) è registrata per l’area veronese da Bertoletti (2005, 196–197).

5.3 Fenomeni generali 

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5.3 Fenomeni generali §34. Aferesi, sincope, apocope I fenomeni di aferesi, sincope e apocope sono complessivamente molto rari. Per l’aferesi si possono ricordare alcuni casi isolati dei tecnicismi postema (4r19) e postematione (5r33), per i quali, tuttavia, si può fare affidamento sulla sola grafia del manoscritto, dal momento che essi appaiono sempre preceduti dall’artic. f. la e potrebbero andare incontro a una lettura non aferetica; spesso, oltretutto, si osserva una grafia univerbata del gruppo articolo + sostantivo, che rende molto incerta la scelta da operare nella separazione delle parole. La sincope si osserva in qualche rara forma di futuro e di condizionale (per lo più appartenente al verbo potere): porà (7v1), porave (4v23, 16r3), poray (33r21), ecc. Si ha sincope della vocale postonica anche negli aggettivi medesma (15r2, 15r19, 18v6: 9 occorrenze) e medesmo (10v4, 12v33, 33v29). In tal caso, però, andrà piuttosto messo in rilievo il fenomeno inverso, più frequente, di conservazione della vocale che precede la vibrante: averà (4r23), averay (33v35, 48v4, 49r22), averé (66r24), guarirà (32r35), morirà (20r24, 32v10), permanirà (30v24), ponere (8v7, 15r9, 31v6), ponerò (50r27), remanirà (45r4), sustenirà (28r30), vederay (7r23, 10v31, 32r28: 14 occorrenze), vegnirà (38v27), venirà (14v18), volirà (65v27), ecc. Negli avverbi in -mente costruiti su un aggettivo in -le, la e protonica è sempre oggetto di sincope: actualmente (53v3), equalmente (17v31, 18r2), mirabelmente (21r31), simelmente (11v32, 16v3, 16v5), specialmente (25v28), totalmente (67v19), universalmente (35r18), virilmente (63v17). Tra i casi di apocope si rinvengono: alo’ ‘allora’ (31r33, 49r18; decisamente più frequente è la forma piena alora), apro’ ‘presso, vicino a’ (49r20, 71r20), apres (33v3), po’ (27r27, 33v16) ‘puoi’ e po’ ‘poi’ (8r15, 27v25, 52v26: 6 occorrenze; la forma prevalente è poy), vo’ ‘vuoi’ (68v19; la forma più ricorrente è però voli, presente con 4 occorrenze, mentre si ha un’unica attestazione di voy). Nei sostantivi in -tate(m) prevale nettamente la conservazione del suffisso di provenienza latina (in molti casi con sonorizzazione della dentale: cf. §23); l’apocope si registra in soli due casi: diversità (3r29), frigidità (18r12). §35. Prostesi, epentesi, epitesi Quanto alla prostesi, il fenomeno di maggiore rilievo concerne la saltuaria presenza, soprattutto nelle voci verbali (ma qui rilevabile anche in qualche sostantivo), di a prostetica tipica di molte aree settentrionali:35 aclugere ‘chiudere’ 35 Per casi analoghi nei volgari settentrionali, cf. Ineichen (1966, 407), Matarrese (1990, 246), Trovato (1994, 225), D’Onghia (2006, 189), Crifò (2016, 302–303). La prostesi di a- è considerata

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 5 Appunti linguistici

(33v6), acovatamento (37r9), aregordarò (35r17, 72v4), aregordarte (31r7), ascurta (45r17, 45r25). Altrettanto nota ai volgari settentrionali è la prostesi di s:36 sboyentamento ‘bruciore’ (56v9), sconfia ‘gonfia’ (45r23), sconfiamento ‘gonfiore’ (34v33, 61r2), sconfli ‘gonfi’ cong. 3a p. (7r24, 23v19), splurimento ‘prurito’ (35v31, 36r5, 36r7), ecc. Si ha invece prostesi del prefisso in nel participio instopati (53v13). Si ha epentesi di a nella voce sparavero ‘sparviero’ (59r9; < prov. esparvier), di d nell’arabismo redalgar (1r18; < lat. mediev. realgar); di e nell’unica occorrenza della forma invereno37 (5r15) accanto alla forma consueta inverno (5r16, 5r20, 10r32); è un latinismo, invece, la voce instrumento (48r24, 49r1), adottata in corrispondenza del lat. instrumentum. Da segnalare, in questo campo, è anche la voce aneda ‘anatra’, presente anche in altri dialetti lombardi e derivato da un lat. volgare *anita, che non conosce dunque l’epentesi di r alla base del comune anatra. Un raro caso di epitesi è rappresentato dalla preposizione pose (8v17; < post), che sviluppa una vocale d’appoggio rispetto alla forma più frequente pos (cf. §17). §36. Metatesi Le principali forme metatetiche, per lo più già ricordate nei precedenti paragrafi, sono: fidego (cf. glossario, sezione 1, s.v. epar), formento (12v26, 14r13, 14r24: 6 occorrenze, contro le 4 della forma non metatetica frumento),38 maynera (3r9, 53v3)/maynere (2r30, 3r12)/mayneri (4v15, 38r22, 64r1), preda (3r27, 4r7, 22r18), predella (53v11); potrebbe essere frutto di metatesi anche il sostantivo pelsinella (60v27; pelsinela 66v5; pelsineli 12v9, 33r28, 33r30; forse da una forma diminutiva e non metatetica *pellisella: cf. glossario, sezione 1, pellicula).

5.4 Morfologia §37. Nomi e aggettivi Il tratto più notevole della declinazione nominale, caratteristico del bergamasco ma noto anche al bresciano (cf. punto 1 dell’elenco di Ciociola 1979, 65),39 è rappresentato dall’uscita -i nel plurale dei sostantivi femminili: arterij (3v4, 3v7, 8v1), alla stregua di un vero e proprio prefisso da Barbieri/Andreose (1999, 82). 36 Cf. Ascoli (1873, 415), Tuttle (1981), Arcangeli (1990, 21–22). 37 Molto poco attestata anche in area lombarda e senza testimonianze nel corpus OVI. 38 Sono probabili casi di dissimilazione le forme dreto (32v24, 32v25, 43v21: 16 occorrenze), indreto (39r19, 41r32, 52v28: 5 occorrenze), indrieto (19r19, 22v29, 39v5), < *dretro < d(e)retro. 39 Si vedano anche Tomasoni (1979, 89; 1981, 103), Paccagnella (1980, 313), D’Onghia (2009, 24), Baricci (2013, 202).

5.4 Morfologia 

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asti (2vB15), cordi (9v5), cosi ‘cose’ (3r28)/cossi (1v33, 2r20, 2r31), doni ‘donne’ (16v1, 23r15), fazendi (1r23), frizi (2vB15), fistuli (2vB21), gambi (8r22), mayneri (4v15, 38r22, 64r1), medicini (4r22, 4r25, 4v4), pelsineli (12v9), piagi (2vA9, 2vA16, 2vA18), pregeri (1r32), setemani (39r4), testi (8v12, 9r10), tunici (3v10), veni (2r20, 3v4, 8r5), vesti (3v10), volti (5r14), zonturi (2vB29), ecc. L’uscita in -i appartiene anche ad aggettivi, articoli e preposizioni articolate, come si osserva in corrispondenza di voci provenienti dalla terza declinazione latina (con l’attesa desinenza -e al singolare e -i al plurale): de li vulnerationi (4r28, 4v2), li parti deseparati (6r32), li ulcerationi (5r21), li vulnerationi (4r25, 5r1, 5r3), parti soluti (3r13), quanti parti (1v9) soy operationi (1v31), questi vulnerationi (4r26), ecc.; la situazione è segnata comunque da una certa oscillazione tra le uscite -i, prevalente, ed -e: arterie (3v15, 3v17, 3v20), astelle (21r21), cose (2r32, 4r6, 19r2), medicine (38r13), piage (2vA22, 4r2), spine (21r21), volte (11r34), ecc. La desinenza -e al plurale si rintraccia spesso anche per sostantivi e aggettivi femminili che escono in -e al singolare: casone (1v14, 3v2), infirmitade (1v14), generale casone (3r14), le quale superfluitade (5r8), operatione (1v8), parte (6r8), vene batante (2r26), vene pulsante (3v4), vile femine (2r6), vulneratione (3v29, 3v34, 4v32), ecc. Tra i metaplasmi di declinazione si segnalano: il sost. femminile mane (< manum; 1r29, 1v25, 1v27), correntemente adottato rispetto all’unica attestazione di mano (27r29), e ben documentato anche fuori di Lombardia (cf. Colombo 2016, 157 e bibliografia ivi indicata); fevera (4r33, 42v28, 73v29; ma si ha anche febre 32r17, 32r33, 53r27), lato ‘latte’ (73v35), niento (2r35, 10r24, 13v14; anche nell’avv. nientodemeno: 1r27, 2r7, 2r34),40 pesso ‘pesce’ (52v22), pevero (74r14),41 ramo ‘rame’ (9r19, 17v12, 17v13), termino (15r29, 49r19, 51v26); gli aggettivi comuna (63r15), forta (68v2), grando (30r22, 32r18, 37v20) e granda (5v11, 5v14, 28r24), taliento (66v9), il pron. relativo quala (6v11, 37r23, 38v8). Tra i metaplasmi di genere, si legge un’unica occorrenza del sost. pl. le nome (2r12). §38. Articoli e preposizioni articolate Per il maschile l’articolo determinativo è quasi sempre lo, sia davanti a vocale sia davanti a consonante (anche con s- complicata: lo scotamento 24v4; lo scagno 49r27; lo scito 58r1; lo spasmo 9v5, 9v7; lo sperma 7r10; ecc.); anche dinanzi a vocale prevale la forma intera (lo aconzamento 6r14; lo amore 1r5; lo adiutorio 1r29; lo apostema 7r26; ecc.) su quella elisa (l’altro 4r13; l’omo 1v19; l’osso 3r11, 3r16; l’uno 4r13), ecc. È assente l’articolo il, mentre el, usato frequentemente come pronome nel testo, mostra appena qualche testimonianza in funzione di articolo 40 La forma niento è testimoniata dal corpus OVI soltanto in quattro testi di area veronese. 41 Cf. Glossario s.v. piper.

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 5 Appunti linguistici

(el litargiro 18r24; el loco 7r30, 7v1; el suo modo 54r1; ecc.). Non si trova nessuna attestazione dell’articolo ol, tipico del bergamasco (cf. Lorck 1893, 53; Ciociola 1979, 65; Buzzetti Gallarati 1985, 29) e presente anche in altri dialetti settentrionali: si ha un’unica occorrenza, invece, di ol come pronome (cf. §41). Nella formazione del pronome relativo, si registrano appena tre occorrenze di el quale (21v6, 23v18, 52r26): anche in tal caso, infatti, è quasi sistematico l’uso di lo quale (1r30, 3v32, 5v19: 59 occorrenze). Per il maschile plurale è esclusivo l’uso di li.42 Nel pronome relativo si registrano solo due attestazioni della forma i quali (16r9, 23r19) accanto al dominante li quali (1v13, 1v28, 2r10: oltre 100 occorrenze). L’articolo femminile singolare è la, solitamente eliso dinanzi a vocale: l’altra (3r15, 3v3), l’arte (1v33, 2r1, 2r3), l’una (5v4), ecc. (ma anche la abstersione 14v24; la administratione 13v34, 13v35; la alienatione 12v5; la assa 10v11; ecc.); il pronome relativo è la quale (1r34, 3r21, 3r35). Come largamente atteso in area settentrionale, le preposizioni articolate ricorrono solo con l scempia; l’articolo rimane sempre disgiunto: le uniche eccezioni sono rappresentate dalla saltuaria presenza delle preposizioni del (1r15, 3r25, 6r1) e dal (7r33, 22r6, 29r35), rispetto alle quali sono in netta prevalenza le rispettive forme disgiunte de lo e da lo. A un’unica occorrenza di ne lo (1r5) si oppone la sistematica adozione delle forme in lo (1r8, 1r34, 1v11), in la (1r19, 2r17, 2r21), in li (1v18, 1v28, 1v34). L’articolo indeterminativo maschile è sempre uno, che si ritrova anche dinanzi a vocale (uno altro 20r5, 34r12; uno anno 25v29, 26v14, 36v11; uno apostema 56v8); un si rintraccia solo in un poco/-cho (6r12, 7v33, 10v3) e un pocheto (43r22), mentre si hanno regolarmente forme del tipo uno libro (1r20), uno medico (11r8), uno modo (19r22), uno paniculo (2vA14), ecc. L’articolo indeterminativo femminile è una, che si mantiene regolarmente anche davanti a vocale (un solo caso di elisione: un’altra 37v19). §39. Pronomi personali: forme soggettive libere Il pronome personale libero di 1a p. più ricorrente (22 occorrenze) è la forma obliqua libera mi con valore di sogg. («tratto morfologico comune non solo ai dialetti ma anche alla lingua illustre settentrionale»: Brugnolo 1977, 214):43 mi consentì (1r29), mi dirò (14v8), mi ho desiderato (1r27), mi ho zà provata (10v26),

42 Una situazione analoga (solo li per il m. pl. e presenza nulla di el per il m. sg.) si osserva, in area lombarda, anche in Colombo (2016, 159). 43 In Verlato (2009, 411), l’impiego di mi «è caratterizzato da enfasi»; cf. anche Colombo (2016, 160).

5.4 Morfologia 

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mi procederò (14v9), ecc. Presenta 14 occorrenze complessive il pronome eyo (2r3, 4v30, 17r33), in tre casi nella variante grafica eio (1r34, 6r32, 71v21);44 la forma io presenta invece solo due occorrenze (1r5, 30r19). Anche per la 2a persona, la forma obliqua libera ti (1r10, 1r34, 1v18: oltre 100 occorrenze) è nettamente prevalente rispetto al pronome tu (6v20, 16v3, 32r7: 21 occorrenze). Per la 3a p. m. il pronome è sempre ello (1r8 bis, 1v34, 5r8: 78 occorrenze; nessuna attestazione della forma con laterale scempia elo); il pronome obliquo luy (7v4, 7v5, 12v2), in funzione di sogg., è testimoniato da 8 occorrenze (7v4, 12v2, 36v2). Alla 3a p. f. si incontra in prevalenza il pronome ella (2r17, 2r26, 2r30: oltre 100 occorrenze; nessuna attestazione, invece, della forma con laterale scempia ela); accanto a un caso isolato di essa (21r2), va poi soprattutto rilevata la presenza (sempre davanti a consonante) del pronome ala (3r24, 3r26, 5v4: 10 occorrenze), che per Salvioni (2008c, 24) è frutto della composizione di a + la (cf. §41 per le corrispettive forme clitiche, molto più ricorrenti nel testo, soprattutto per quanto concerne il proclitico al nel ruolo di pronome pleonastico sogg.). Le forme di pronome usate per la 4a p. sono noy (4r34, 4r35, 4v31: 33 occorrenze) e nuy (9v35, 10r1, 11v34: 12 occorrenze). Non si registrano attestazioni del pronome sogg. di 5a p. La 6a p. m. prevede il solo pronome elli (2r12, 4v30, 5r4: 35 occorrenze), accanto a un’unica occorrenza di lor (33v1), mentre non si registrano occorrenze del pronome femminile.45 §40. Pronomi personali: forme oggettive libere Per la 1a p. si attesta solo la forma obliqua mi (62v21, 62v23, 64r8: 5 occorrenze, sempre dopo la preposizione a). Parallelamente, per la 2a p. il pronome obliquo è ti (1r7, 6v20, 22r29: 10 occorrenze dopo la preposizione a, una dopo le preposizioni da e de); della forma diretta ti si rintraccia un unico esempio (quello deveda ti da questo 6v20). Per la 3a p. m. si leggono tre occorrenze della forma obliqua luy (30r24, 39r5, 44v25, rispettivamente dopo le preposizioni a, in, soto); al femminile, invece, si osservano due occorrenze della forma obliqua ella (20v18, 29v28,

44 Cf. Verlato (2009, 411): «forma che trova diffusione soprattutto in testi della Lombardia orientale (oltre che a Trento)»; Benedetti/Brugnolo (2002, 146); per l’area mantovana, Schizzerotto (1985, 96–100). 45 Per il sistema dei pronomi soggetto nei dialetti settentrionali, cf. Vanelli (1987; 1996, 257–259), per quanto, come rilevato da Bertoletti (2005, 225 nota 559), non è condivisibile la tesi ivi esposta «secondo la quale nei volgari medioevali esisteva una sola serie di pronomi, quella forte di base nominativale o accusativale, e i pronomi atoni soggetto (insieme alla nuova serie forte di base obliqua) si sono sviluppati e affermati soltanto nel Quattro-Cinquecento».

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 5 Appunti linguistici

rispettivamente dopo le preposizioni circa, per) e altrettante di ley (5v13, 22v24; in entrambi i casi dopo la preposizione a). Quanto alle persone del plurale, per la 4a p. si registrano soltanto due occorrenze delle forme oblique noy (33v7) e nuy (20r27). Non si registrano attestazioni dei pronomi ogg. liberi di 5a e 6a p. §41. Pronomi personali: forme soggettive clitiche Nei testi settentrionali è notoriamente piuttosto complessa la situazione dei pronomi clitici soggetto,46 che sollevano alcuni ostacoli soprattutto nelle scelte di trascrizione del testo. Nello specifico del nostro volgarizzamento, i pronomi atoni rintracciabili per la 3a p. m. sono: a) ol; b) el; c) al. Il pronome ol rappresenta la forma tipica dell’articolo nel volgare bergamasco (dove assumerà però anche la veste pronominale),47 ed è qui attestata da un singolo relitto (54r27); nel XV secolo inoltrato, all’altezza cioè del nostro testo, il pronome ol pare, se non estinto, almeno tendente a una certa espunzione dallo scritto (nessuna attestazione di ol si ha, per esempio, anche nel formulario notarile quattrocentesco studiato da Tomasoni 1985). Il pronome el, presente sia davanati a vocale (el appare 13r29; el appare 1r28,1r30; el è necessario 5r33, 6v18; el ensisse 11v16; ecc.) sia davanti a consonante (el corre 3r9; el fa de besognio 3v19; el se comenza 1r1, 2vA1; ecc.), «deriva dalla forma tonica elo per apocope della vocale finale» (Bertoletti 2005, 221; cf. ivi, 223 per la questione della verosimile condizione di el come forma atona),48 per quanto, è bene ricordarlo, la forma con laterale scempia elo non compaia mai nel ms. B. In sede di trascrizione, il maggiore ostacolo ha riguardato la resa dei gruppi grafici dubbi del tipo chel, sel (presenti nel manoscritto anche nelle grafie che l e se l), tanto più quando questi si trovino in posizione prevocalica: la situazione più ricorrente, in particolare, è quella di chel e sel seguiti dalla 3a p. del verbo essere. Ora, in tutto il manoscritto, si legge appena un caso sicuro della forma aferetica del pronome el (Ma l’è 10v28), di contro ai numerosi esempi sul

46 Si tratta di un elemento che contrassegna anche i dialetti lombardi moderni; cf. Wilhelm (2006, 23): «Un tratto tipologicamente rilevante dei dialetti lombardi [...] è, almeno nelle varietà moderne, l’espressione obbligatoria del pronome soggetto e la comparsa di una duplice serie di pronomi soggetto: quelli liberi e quelli clitici». 47 Cf. Ciociola (1979, 65), Tomasoni (1979, 89), Paccagnella (1988, 127), D’Onghia (2009, 28), Verlato (2009, 413); ol è la forma esclusiva dell’articolo (oltre a essere una delle forme di pronome) in Robecchi (2013) e nel travestimento bergamasco dell’Orlandino di Pietro Aretino analizzato da Baricci (2013). Più in generale, per la presenza dell’articolo/pronome ol in area settentrionale, si veda Bertoletti (2004). 48 Cf. anche Verlato (2009, 413).

5.4 Morfologia 

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tipo di Ma el è (10v12, 27r14, 53v2): alla luce di ciò, e anche considerando la scarsissima presenza di el in funzione di articolo (cf. §38), si è optato in tutti i casi incerti per una trascrizione del tipo el è, ch’el è, s’el è. In concorrenza con el troviamo poi il pronome al, il quale «si produrrebbe per aggregazione di el al pronominale atono generalizzato a tutte le persone a’ [...], di larga diffusione al Nord» (Ciociola 1979, 71–72). Esso si ritrova, al pari di el, sia in posizione prevocalica (al abia 15r34, 26v6; al appare 57r17; al è possibile 4v1; al operi 27v25; ecc.) sia preconsonantica (al besognia 1v28; al retorni 3v2; al se possa 1v6; al se vegnia 1v; ecc.), e rappresenta, assieme al suo plurale ay (a sua volta formato per unione con un clitico sogg. y), un altro elemento caratterizzante del volgare bergamasco, documentato però anche in altre aree della Lombardia.49 Nella rappresentazione di al e ay conserviamo per comodità le tradizionali grafie univerbate: tuttavia, come opportunamente rilevato da Colombo (2016, 163), le grafie analitiche a’ l/a’ y meglio si prestano a evidenziare il processo di formazione alla base delle singole forme pronominali: tanto più che, come ben ci testimonia anche il nostro volgarizzamento, i due clitici si trovano talvolta separati in presenza di una negazione, la quale si viene a trovare in mezzo tra i due elementi pronominali (a no ’l sia zoncata 5r22; a no ’l caza pillo 5r24; a no ’l te ingani 22r19; a no l’è cosa necessaria 33v23; cf. Tomasoni 1985, 242; Wilhelm/Da Monte/Wittum 2011, v. 117: «a’ no l’è de so piazimento»). In questi casi risulta del tutto evidente che i pronomi al e ay siano frutto della composizione tra un clitico a invariabile e i clitici soggetti l e y.50 Sia al sia el (ma anche ol nella sua unica attestazione all’interno del manoscritto) sono usati molto frequentemente, com’è tipico nei volgari settentrionali, col ruolo di pronomi pleonastici sogg., i quali non richiedono una necessaria concordanza col sogg. nominale posposto.51 Per il genere femminile (i cui pronomi tonici sono ella e, con una minore ricorrenza, ala: cf. §39), la forma atona è rappresentata da la: sulla base di esempi come quando la serà (11v14), infatti, dove il pronome è sicuramente la, possiamo dedurre che quest’ultimo rappresenti la forma apocopata del pronome 49 Cf. Tomasoni (1984) e Baricci (2013, 203). Per una trattazione diffusa sulla presenza dei pronomi al e ay in area lombarda, si veda Colombo (2016, 163–168) e i riferimenti bibliografici ivi contenuti. 50 Sull’origine del clitico a, cf. Vai (2014, 119–122) e Colombo (2016, 167). Come ricordato dallo stesso Vai (2014), Lorck (1893, 164) pensava piuttosto a una separazione (Zerreissung) del pronome al, con la successiva dislocazione dei due elementi ai lati della negazione. 51 Cf. Salvi (2010, 170–172), Sattin (1986, 105 nota 140), Barbieri/Andreose (1999, 107), Tomasin (2001, 89), Bertoletti (2005, 221), Crifò (2016, 325), Colombo (2016, 202). Per l’espressione obbligatoria del pronome soggetto in area lombarda e più generalmente settentrionale, cf. Spiess (1956), Poletto (1999), Heap (2000).

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 5 Appunti linguistici

tonico ella.52 Pertanto, in situazioni di lettura dubbia, cioè dovendo scegliere tra le grafie ch’ela/che la e s’ela/se la, si adotta sempre la seconda possibilità. Accanto a la si dovranno presumibilmente leggere come al’, con elisione della vocale finale davanti a vocale successiva (la forma piena ala ricorre, come si è detto, solo dinanzi a consonante), alcuni casi in cui la forma al del manoscritto è riconducibile a un sogg. femminile e non interpretabile come pronome pleonastico sogg. (cossì che al’ [scil.: carne] abia tenacitade 7r14; non però che al’ [scil.: natura] avanzi lo modo 15r22; o che al’ [scil.: solutione de la continuitade] è sempia, o che al’è composita 3r7; ecc.). §42. Pronomi personali: forme oggettive clitiche Per la 1a p., la forma proclitica, diretta e obliqua, è me (me ay pregato 1r18; non me sia duro 1r32; elli me respondendo 4v30; ecc.: 6 occorrenze), mentre si registra un solo caso della forma elisa m’ (m’è 43v2); non si rintracciano casi di enclisi. Analogamente, per la 2a p. si adotta di norma il pronome proclitico te, sia diretto sia obliquo (te sia 1r8; te debia descrivere 1r19; te abia dato 1r24; non te move 4v26; ecc.: 68 occorrenze), mentre la forma elisa t’ compare solo in 4 occorrenze e sempre dinanzi alla 3a p. del verbo essere (t’è 8v9, 12r35, 21r20); non si registrano casi di enclisi (escludendo i verbi pronominali). Per la 3a p., la forma diretta proclitica è regolarmente lo (besognia che ti lo inguali 41r1; besogna che ti lo scoti 31r23; non lo dovemo curare 1v17; se ti non lo temi 39r30; ecc.); in enclisi: -lo (aprirlo 57v16; curarlo 54v6; falo 27r28; ligalo 38v30; romperlo 37v21; taiarlo 31r19; tirarlo 13v30; ecc.). L’ogg. obliquo è ge (7v1, 10r7, 10r22) o ye (4v34, 6r30, 13r13), entrambi ben documentati all’interno del volgarizzamento; in enclisi si ritrova la stessa alternanza tra -ge (azonzege 39r30; metege 6r14; ponege 34v11; succurege 28r28) e -ye (daye 5v12, 7v2, 9r27; succureye 64r22), con in più un caso di -li (mostrandeli 49r21). Al femminile, il pronome diretto proclitico è la (non la lassare 71v13); in enclisi: -la (congregela 40r16; curarla 9r35; ingualela 40r28; involzela 39v2; removela 34v1; tirela 20v27; ecc.); l’ogg. obliquo proclitico è ge (11r8, 11r12, 13v11) e g’ davanti alla 3a p. del verbo essere (g’è 7r3, 15v17); in posizione enclitica: -ge (darge 9v22; ponege 40r29; subvenirge 13r19; subvegnissege 31v1; ecc.). Per la 4a p., la forma accusativale proclitica è regolarmente ne (molto ne secura 10r7; ne provoca 17r25; ne constrinze 24r17), al pari di quella dativale (si ne demonstra 6v32; el ne besognia 6v35; ne fa besognia 23r18); non si hanno esempi di enclisi. Per la 5a p., si registra un’unica occorrenza della forma accusativale proclitica ve (ve porti 1r6); non si hanno esempi della forma dativale. 52 Cf. Vai (2014, 112): «La forma abbreviata del tonico ella è la, sia nello scritto che nei dialetti».

5.4 Morfologia 

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Per la 6a p., la forma accusativale è li (li faceno 47r9; li faza passare 70r8; non li busi 19v31); in enclisi: -li, e più raramente -lli (fali 46v20; incorporelli 14r21; pilieli 47r11; talieli 52r13; tireli 33v22; ecc.). L’ogg. obliquo proclitico è ge (10r22, 10v8, 11r29); non si rintracciano casi di enclisi. Per il femminile, l’ogg. diretto è li (per l’uscita in -i del femminile, tipica del bergamasco, cf. §37); in enclisi: -li, e più raramente -lli (pilieli 68v26; suspendeli 68v25; teneli 68v25; tayelli 68v25; ecc.). L’ogg. obliquo proclitico è ge (10v7, 16r8, 16v23); non si rintracciano casi di enclisi. Il pronome genitivo-partitivo si presenta nelle forme ne (10v12, 12v20, 17v24) e n’ dinanzi alla 3a p. del verbo essere (n’è 20r11, 26r17, 52r30); in enclisi -ne (fane 20r5; tridene 29v12). Il genitivo locativo è sempre espresso con ge (6r11, 7v15, 8v24), e con g’ davanti alla 3a p. del verbo essere (g’è 5r33, 7r27, 8v23). §43. Pronome riflessivo, impersonale e passivante Il pronome riflessivo tonico di 3a e 6a p. è sì (con i derivante da analogia con mī < mihi: Rohlfs 1966–1969, §479): a sì (16r6), in sì (3r13), per sì (5v25, 29v34), secondo sì (20r9), ecc. La forma atona prevalente è se: se comenza (1r1), se dano (1v2), se dice (1v8), se possa (1v3, 1v6), se posseno (1v24), se trovano (1v1), se vegnia (1v5), ecc.; davanti a vocale si registrano solo due casi della forma elisa s’ (s’apartene 46r16; s’è partita 57v15). La forma proclitica toscana si è l’unica adottata nei numerosissimi casi di si pleonastico dinanzi alla 3a p. del verbo essere (la probatione de lo amore si è... 1r3; la consideratione si è... 3v10; lo secondo rimedio si è 4r21; ecc.), ma che si ritrova anche in alcune forme verbali passive o passivanti: la natura si fi aydata da li cosi più propinqui (16r5); la morte si se afreza (19r26); la sagitta inficata, in quale loco se sia, possa fir trata fora (20r26), si se de’ circhare de la preda (71r11). In enclisi, invece, si ha soltanto -se: afrezarse (35v26), curarse (2vA27), implirse (59v32), moverse (65r31), saldarse (3v8), sotometerse (61r11). Si registra, infine, un solo esempio della forma comitativa (con velare sonora, tipica dell’area settentrionale: cf. Rohlfs 1966–1969, §480) sego (67r31), accanto a una singola testimoniana di seco (59v3), che risentirà a sua volta del modello toscano. §44. Pronomi e aggettivi possessivi Per la 1a p. m. il possessivo è meo (46r14, 47v10, 62v25: 6 occorrenze), accanto alla forma toscana mio, le cui tre occorrenze (1r16, 1r28, 3r3) si trovano significativamente tutte nel proemio; per la 1a p. f., l’unica forma è mia, con chiusura di ĕ attesa in area settentrionale (cf. Bertoletti 2005, 229: «la distinzione nel vocalismo tonico tra meo e mia ha carattere di sistematicità in vari testi settentrionali»); non si hanno attestazioni delle forme plurali m. e f.

382 

 5 Appunti linguistici

Per la 2a p. m. la forma più consueta è tuo (1r26, 9r17, 11v24: 14 occorrenze), mentre si hanno solo due occorrenze di to (64v34, 65r24); m. pl.: toy (33v16, 39v23, 43r9: 6 occorrenze). Per il f. sg. si ha la sola forma tua (1r30, 7r25, 8r12; nessun esempio di toa); f. pl.: toy (1r32, 31r21, 33v9: 10 occorrenze). Per la 3a p. m. predomina la forma suo (1r9, 3r23, 4r24: oltre 50 occorrenze), contro le due sole occorrenze di so (45r12, 69r20); m. pl.: soy (1v18, 6r6, 16v33); f. pl.: soy (1v29, 4v28, 5r13: oltre 30 occorrenze), ma anche tre occorrenze di sue (2r35, 32r9, 44r6). Per la 4a p. si hanno, al m. sg. nostro (59v22), al f. sg. nostra (15v21, 15v22, 18v13); nessun esempio per forme del pl. Non si hanno attestazioni del possessivo per la 5a p. Per la 6a p., m. e f., si registra la sola forma soy (4v28, 5r13, 14v2). §45. Pronomi e aggettivi relativi e interrogativi Per i continuatori del lat. qui, quae, quod e quis, quid, la forma pronominale più ricorrente è che, usata soprattutto con funzione di sogg.: tutti li altri ydioti, zoè non litterati, che voleno medicare (1r13), li piagi che fizeno fati (2vA8), quello libro che à xì nome (5v15),53 quelli che avevano natura (10v5), quella che fi facta de cera (10v26), quella cosa che è frigida (11r25), fiza curati cum li cosi che apadimeno li dolori (11r27), quello che firà dicto de sotto (11v22), li piagi che cadeno supra (12r21), quelli che fizeno facti in li logi carnosi (12v8), fiza dato cibo che generi bono sangue (13r14), la calda piaga fi curata cum li frigidi cosi e che abieno stipticitade (13r34), cum la quantitade che basti (14r24), ecc. Lo stesso pronome che, seppur meno ricorrente, riveste anche il ruolo di ogg.: lo amore che io...ve porti ne lo core (1r5), quella carne che noy volemo generare (15v34), de li medicini che ti voli (17r24), passare al loco che noy volemo (17r31), E questa è forte lavatione che non susteneno li ulcerationi pocho sordidi (22v8), ecc. Non c’è traccia, dunque, nel testo, della flessione bicasuale (chi sogg. e che ogg.) propria di diversi volgari italiani e di altre zone della Ròmania.54 Per il pronome obliquo si trova che senza preposizione in la piaga larga, che al ge fiza ponuto oleo (10v18): l’uso consueto è però rappresentato dal gruppo preposizione + pronome del tipo «il quale» (cf. infra). Il pronome chi è adottato esclusivamente come pronome obliquo.55 Nello specifico, i cinque esempi rintracciabili nel volgarizzamento testimoniano l’uso del

53 Nel margine destro del foglio. 54 Cf. Schafroth (1993), Formentin (1996, 133 e 139–140), Tomasoni (2003, 25 nota 27), Bertoletti (2005, 230 nota 569). Per un’analisi sintattica delle proposizioni relative, cf. De Roberto (2012b). 55 Per l’uso di chi come pronome obliquo in area settentrionale, cf. Bertoletti (2005, 232–233 nota 573) e i rinvii bibliografici ivi contenuti.

5.4 Morfologia 

 383

pronome (riferito sia a persone sia a cose) dopo la preposizione a: quello membro a chi li fizeno apponudi (15v14), zescaduno a chi vene evacuatione (19r23), zescaduno a chi veneno li cancri (30r3), li amigdali a chi se convene la cyrugia sono rotundi (52r9), li personi a chi vene lo goso (59r13). Come pronome relativo sogg. o ogg., è molto frequente il tipo «il quale»: la quale (1r34, 3r21, 3r35), le quale (2r12, 2r20, 4r23), li quali (2r32 bis, 4r4, 4r5), lo quale (28r1, 29r32, 30r6), ecc. Un’alta ricorrenza si riscontra anche dopo preposizione: cum li quali (4r34, 6r23), de la quale (1v23, 4r17), de li quali (1r34, 1v4, 3r13), de lo quale (1r30, 3v32), in la quale (3r8, 3r11, 6r33), in li quali (2vA22), in lo quale (21r2), mediante li quali (1v13, 5r11), per li quali (2r10), per lo quale (7r18), sopra la quale (7r13), ecc. L’aggettivo relativo si rinviene soprattutto nelle ricorrenti formule per la qual cosa/per la quale cosa (3v19, 4v26, 6r34) e la qual cosa/ la quale cosa (4v34, 6r21, 10v32), col sostantivo generico cosa che funge da apposizione rispetto a uno o più elementi della sovraordinata. Nell’àmbito d’uso dei pronomi relativi, si segnala la presenza isolata di una costruzione calcata sul dativo di possesso latino (tipo al quale è = che ha), ma sempre in dipendenza della medesima struttura presente nell’originale: es. de li doni e de li unichi, zoè de li castrati che sono senza testiculi, a li quali è la carnositade e habundantia de grasseza; ma li sicci tu debi intendere per lo contrario. Simelmente quelli membri sono sicci a li quali è poco sangue e pocha carne e pocha grasseza (16v1; lat. quibus carnositas et pinguedinis adest copia...quibus parum carnis et pinguedinis est). Si registrano quattro occorrenze del pron. e agg. interrogativo neutro que, caratteristico dei volgari settentrionali:56 que cosa sia la cyrugia (1v7), de que modo debeno essere le operatione (1v8), sapia anchora per revelatione de lo infirmo que demora passa lì (26r28), Que se farà adoncha quando ello serà in li membri (31r15); accanto a que, si osserva qualche caso del pron. quale: quale sia la intentione de quelli (1v8), quale sia la sua differentia el firà notificato per la sua natura e per la diversitade (14v15), considera a quale parte se volza (44v17), ecc. Hanno funzione di relativi gli avverbi di luogo unde (talvolta undo e, in due casi soltanto, ondo) e dondo; entrambi possono talvolta assumere anche un chiaro valore conclusivo (cf. §59): alcuni cosi enno da notare inanze, cioè que cosa sia la cyrugia, unde fiza dicta cyrugia (1v6), la quale cosa dico essere utile se la fiza ministrata in li vulnerationi unde se convene (4v35), la exiccatione deveda la materia unde se expecta lo nascimento de la carne (6r29), Li piagi alcuna volta veneno in lo ventre, dondo li budelli incisseno fora (7v10), ogni dolore provoca la reuma, zoè lo humore, dondo fi facta la infiatura e lo apostema (9v11), medico mato ge metì

56 Cf. Rohlfs (1966–1969, §489).

384 

 5 Appunti linguistici

medicini mollificativi, zoè emplastro de farina de frumento et aqua et oleo; dondo la mane de l’homo marzì (11r8), in zeschaduno loco undo elli fizeno facti (12v7), la sua acuitade ponze la carne, undo se tarda la sanitade de la piaga (13v29), embrocatione cum oleo rosato tepido, o cum aqua unde sia boliuta la altea (34v4), fi facta una compressione in lo cervello dondo vene zoso l’aqua (46v11), ecc. §46. Pronomi e aggettivi dimostrativi Per il maschile si hanno al singolare questo (1r33, 2r17,57 3v7) e quello (1r11, 1r26, 1v4); al plur. questi (1v21, 1v23, 2r8) e quelli (1v3, 1v10, 1v15). Il dimostrativo quello può spesso costituire la testa di una frase relativa restrittiva (cf. De Roberto 2012b, 239): impareno da quelli che sono litterati (1r10), quello che fi circhato in quello (1v3), quello che sia litterato (2r3), ecc. Per il f. sg.: questa (2r4, 2r6, 2r8) e quella (1v9, 1v21, 2r7); f. pl.: queste (36r1) e quelle (3v30, 3v32, 7v20). Sono poi presenti i dimostrativi tale (5v17, 8r15, 10r10) e pl. tali (13r27, 64v18); cotale (13v8, 16v7, 17v19) e pl. cotali (12v17, 24r34, 32v5); m. medesimo (34v25)/medesmo (10v4, 12v33, 33v29) e f. medesima (29v5, 45v26)/medesma (15r2, 15r9, 18v6); sono del tutto assenti, invece, i tipi colui/coloro e stesso. §47. Pronomi e aggettivi indefiniti È frequente l’uso pronominale di uno: uno de li quali (5v16), uno de li budelli (8v23), uno de li soy busi (27v17), ecc. Per ‘alcuno’ pronome e aggettivo si hanno (sia in frasi positive, col valore di ‘qualcuno, qualche’, sia in frasi negative, col valore di ‘nessuno, nessuna cosa’): alcuno (2r4, 8r29, 8v20) e pl. alcuni (1v6, 2vA24, 3v5); f. sg. alcuna (1v18, 3r17, 3r18) e pl. alcuni (3v26 bis; 3v27).58 Gli altri composti di unu(m) e una(m) sono: m. zescadun (10v27)/zescaduno (5v26, 16r33, 19r23) e f. zescaduna (6v23, 29v34, 37v6); m. nusuno (4v34, 8v24, 10r21) e f. nusuna (14v13, 14r35, 63r18), forme di cui si hanno poche tracce nel corpus OVI,59 e per le quali va presupposto un passaggio e > u della vocale protonica per assimilazione regressiva. Sia zescaduno sia nusuno ricorrono tanto con valore aggettivale quanto pronominale. Non si rintracciano occorrenze dell’aggettivo invariabile qualche. È molto ricorrente il pron. e agg. altro (5r3, 6r24, 7r8), f. altra (2r19, 2r20, 5r25), pl. m. altri (1r12, 1r22, 3v7), al pari del f. (1r12, 2vA17, 7r4). Il continuatore del lat. omnis è ogni (2r22, 5r27, 6v27; nessun caso, invece, della variante ogna, tipica del lombardo e derivata dal neutro pl. omnia: Rohlfs 1966–1969, §419). Tra gli altri 57 Aggiunto nel margine destro del foglio. 58 Cf. §38 per la consueta uscita in -i del femminile. 59 Solo tre testimonianze: ravenn.a. nusun (Fra tuti quî ke fece lu Creature) e berg.a. ~ (Parafrasi verseggiata del Decalogo); ver.a. nuxuno (Lucidario veronese).

5.4 Morfologia 

 385

indefiniti si registrano poi: m. tuto (1r27, 2vB5, 6r28), f. tuta (1r11, 8r25, 8v18), m. e f. pl. tuti/tutti (1r12, 1r25, 1v21); m. molto (1v34, 7r29, 10r15), m. pl. molti (21r4, 32v3, 43r15), f. molta (17v14, 26r11, 28r21) e multa (13v5, 15r13, 21v10), f. pl. molte (3v14, 13v27, 26v2) e molti (10v13, 12v4, 18v7); m. tanto (1v25), anche in funzione avverbiale (tanto più se largi 5r31; tanto più nobelmente 6r4; ecc.), f. tanta (14r20, 15r32, 69v27), m. pl. tanti (27r35); un unico caso di cotanto (34r29); m. poco (3v17, 13r21, 16v4) e pocho (8r4, 11v35, 20r34), anche con valore partitivo (un poco de olio 10v1; un poco de euforbio 10v10; ecc.), f. pocha (7r14, 13r31, 14v23), m. e f. pl. pochi (12v9, 32v4, 59r27), dimin. pocheto/pochetto (29v23, 43r22, 47v16); niente (28r34, 32r3), più frequente nella variante niento (2r35, 10r24, 13v14). Dal fr. plusieurs si hanno le forme plusor (11v27, 27v12, 28v22), plusore (4v30, 5r33), plusori (27v15, 28v5, 36v7). §48. Numerali Per i numerali cardinali, si attestano per ‘uno’ il m. uno (uno dì 34r25, 35r26, 48v13) e il f. una (una volta 5r20, 50r20, 62v21). Per ‘due’ si ha al m. doy (doy rezimenti 1v23; li quali doy 2r33; doy modi 3r7), al f., accanto al dominante doy (doy parti 1r35; doy maynere 3r12, doy intentione 3r12), si rilevano due occorrenze di doe (doe guise 2r17; doe maynere 2r30). Per ‘tre’ si ha la forma metafonetica tri (27v2, 29v10, 35v33; cf. §13) accanto a trey (1v13, 2r13, 2r24). Per i numeri da 4 a 10 si può osservare una certa generalizzazione dell’uscita -i del plurale, soprattutto quando questi sono seguiti da sostantivi pl. in -i (m. e f.):60 accanto al dominante quatro, davanti a sost. m. e f. (quatro canoni 5v15; quatro guise 7v12; quatro cantoni 33r8: 13 occorrenze) si ha un esempio di quatri davanti a sost. f. (quatri cosi 12v18); per ‘cinque’ si trova la forma tipicamente lombarda zinqui (zinqui dì 39v6; zinqui veni 68r9);61 altri numeri: setti (11r10, 32v33, 35v33: 11 occorrenze)/seti (43v9); octo (29v2); nove (7r21), ma anche novi (7v4, 66v28); deci (32v34); quatordeci (70v16); zinquanta (40v25). Tra le attestazioni dei numeri ordinali (spesso rappresentati da numeri romani), troviamo: m. primo (1r34, 3r1, 6v24) e f. prima (1v2, 27r15, 28r9); m. secondo (4r21, 42v33, 45v22)/segondo (1v20, 5v17) e f. seconda (3r14, 3r33, 12r5)/ segonda (1v2, 5v6); m. terzo (4r29; 5v18, 15v6) accanto al latineggiante tertio (6v16), f. terza (5v7, 12r5, 12v30) accanto al più raro tercia (7v14, 67v33); quarto (5v19, 6v16) e f. quarta (7v15, 12v31, 30v28); m. quinto (35v15); m. sexto (35v15) f. sexta (23v22); septimo (49r20); nono (5v34); decimo (42v31).

60 Per la metafonesi nei numerali, cf. Rohlfs (1966–1969, §971), Barbato (2001a, 199). 61 Cf. Rohlfs (1966–1969, §972), Colombo (2016, 177).

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 5 Appunti linguistici

§49. Avverbi, congiunzioni, preposizioni Ci limitiamo a segnalare alcune forme degne d’interesse: adoncha prep. (1r30, 3v21, 4r8); apresso/apres prep.: (5r18, 5v8, 6v3; un’unica occorrenza della forma apocopata: 33v3); aprovo prep. ‘vicino a’ (32r6; cf. Rohlfs 1966–1969, §826); circa prep. ‘riguardo a (complemento di argomento); intorno a (complemento di luogo)’ (2r13, 16r28, 20v18); comentre congiunz. ‘come’, in entrambe le attestazioni dinanzi all’espressione volia che [sia], così da costituire un’unica locuzione col significato di ‘in qualunque modo’: elli curano cum uno solo unguento universalmente tuti li piagi in zescaduno loco undo siano e comentre si volia che siano 16r33; se al serà minorata comentre volia che ella se sia 22v5); della cong. comentre, peraltro, si leggono soltanto due testimonianze nel corpus OVI;62 davanzo avv. ‘troppo’ (29v23, 29v30); domentre congiunz. ‘finché (4v7, 4v23, 6r19), dal lat. dum interim (cf. Rohlfs 1966–1969, §771); etiamdeo/etiamdio/etiandeo congiunz. (4r20, 6v5, 6v34); incontanente/incontinente avv. ‘subito, immediatamente’ (21r28, 21r30, 44r4); in circo a ‘intorno a’ (33v9, 33v19, 64r25); mo avv. ‘ora, adesso’: avignadio che per la grandeza de li fazendi fina mo te abia dato longanimitade (1r25), mi consentì mo totalmente a la tua domanda (1r29), ecc.; niento avv. ‘per niente, per nulla’: in la mala carne cresuta niento se adopera la natura (13v14), l’osso niento dole (26v8), ecc.; no avv., con caduta della nasale dentale (2r33, 3v7, 6r22),63 usato in concorrenza con la forma piena non; oltra/ultra prep. ‘oltre, di là da’ (2r15, 4r2, 12r21). pauladamente ‘a poco a poco’ (33v15), dal lat. paulatim (presente nel corrispondente passo latino): da uno buso fina a l’altro fiza taliado lo osso; et fiza fata impressione...non subitaniamente ma fiza fata pauladamente (33v12); pos prep. ‘dopo’ (10r10, 16r16, 16v2); possa avv. ‘poi’ (10v20, 11r1); suso ‘su’ avv. (11v29, 30v13); zoso ‘giù’ avv. (40v33, 43r13, 43r18). 62 Rispettivamente nei Proverbia que dicuntur super natura feminarum e nel Detto della «bona çilosia» (Frammento del). Cf. Rohlfs (1966–1969, §945), che segnala comente ‘come’ in antichi testi settentrionali (Barsegapé) e anche nel dialetto di Cortona. 63 Cf. Rohlfs (1966–1969, §305), Colombo (2016, 147).

5.4 Morfologia 

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§50. Verbo Per la morfologia verbale ci limitiamo a menzionare alcuni tratti notevoli, allegando poi la coniugazione dei verbi particolari: – Tra i metaplasmi di coniugazione andrà ricordata la particolare oscillazione che riguarda i derivati del lat. manēre, per la quale si hanno permanirà (30v24), remanirà (45r4), ecc. accanto all’infinito remanere (9r11). Escono in -ire anche i derivati di tenēre: tegnire (58v22) e tenire (20v30, 50v31).64 – L’identità tra 3a e 6a persona, comune a molti volgari settentrionali, è ben testimoniata nel nostro testo (besognia che li operatori de la cyrugia in primamente soliciti li logi in li quali enno li savij e pratici medici de li cyrugici e li soy operationi guardi asé: 1v29; li interiori se intrometi; e li capi de li fili pendi fora de la piaga: 8v6; ecc.);65 prevalgono, tuttavia, i casi di distinzione tra singolare e plurale. – Indicativo presente: la desinenza della 1a p. è regolarmente -o, ma si trovano alcune forme isolate come porti (1r6) e narri (21v23), nelle quali si osserva la desinenza -i, frutto, in area lombarda, dello sviluppo di una vocale d’appoggio conseguente alla caduta di -o originaria (cf. Rohlfs 1966–1969, §527). Per la 6a p. dei verbi di 2a, 3a e 4a classe si registrano le desinenze -eno (cadeno 4r2, correno 3r12, debeno 1r9, diceno 2r12, inciseno 8r18, nasceno 5r8, posseno 1v24, reciveno 3v20, remaneno 8v19, veneno 2vB4, voleno 1r13, ecc.) e, più raramente, -ono (dicono 8v29, marciscono 10r21, seguiscono 12v5, feriscono 20r15, ducono 34r31 ecc); la desinenza -eno è spesso estesa anche alla 1a classe (apadimeno 11r19, consolideno 9r26, impazeno 5r26, incarneno 3v21, ministreno 4v28, mitigeno 11r26, passeno 2vA19, saneno 3v5, ecc.), di lato al regolare -ano (communicano 2vA23, consolidano 17v8, curano 13r32, desiderano 5r5, indusiano 2vA28, participano 2vA24, usano 2r7, ecc.). Tra i fatti più notevoli vanno annoverati alcuni casi della desinenza -oma per la 4a p. dell’indicativo presente, riscontrabile in alcune forme verbali della 1a classe e in una della 2a classe: comenzoma (59v22), dagoma (24r22), declaroma (56r8), discernoma (55v31), parloma (23r18), ponoma (36r35).66 – Per l’indicativo perfetto debole, 3a p. della 1a coniugazione, si riscontra qualche relitto della desinenza -à, tipica dei volgari settentrionali (cf. Rohlfs 1966–1969, §569: «alla terza persona singolare la base è, in vaste 64 Per analoghi casi di cambio di coniugazione in area lombarda, cf. Colombo (2016, 184). 65 Cf. Colombo (2016, 180) e bibliografia ivi indicata. 66 Cf. Rohlfs (1966–1969, §530) per la desinenza padovana -òm, piem. -uma, che si ritrova anche in zone di Liguria, Emilia, Lombardia e Trentino; Verlato (2009, 422–423) segnala la desinenza -ema, riconducendola all’ambiente emiliano sulla base di alcune testimonianze presenti in antichi testi modenesi.

388 







 5 Appunti linguistici

zone settentrionali, il latino volgare -at, donde l’antico veneziano guardà, domandà [...], l’antico veronese lagà ‘lasciò’, l’antico lombardo predicà, levà [...]»): conzà (6v10), liberà (62v25). Sempre per il perfetto debole di 1a coniugazione, si hanno alcune attestazioni della desinenza -è, tipica di alcuni volgari lombardi e frutto dell’estensione, anche ad altre persone, della desinenza e < ai della 1a p. (cf. Rohlfs 1966–1969, §569): alla 3a p. si rintracciano così le forme andé (62v24) e descovaté (62v22). La stessa desinenza -é si rintraccia in un unico caso nella 3a p. della 3a classe verbale (rompé 11r7); la desinenza -ì, inoltre, può sostituire -é in certe zone dell’Italia settentrionale (cf. Rohlfs 1966–1969, §575), come si osserva anche nel nostro testo per le forme metì (11r9), exponì (11v5), così come, per la 2a coniugazione, in plasì (62v23) e vidì (62v22). La desinenza -é è attestata con un unico esempio anche per la 1a p. dei verbi di 2a classe: timé (62v24). Nel perfetto del verbo essere è notevole la forma fo per la 3 p. (con evoluzione u > o dal lat. fuit; 3v2, 59r7), accanto a fu; per il verbo avere, poi, si segnalano le forme ave sia per la 1a p. (62v23) sia per la 3a p. (11r7).67 Abbastanza nota in area settentrionale è poi la desinenza -è dell’indicativo futuro, che qui è testimoniata esclusivamente per la 2a p. (< ai: cf. Rohlfs 1966–1969, §588): administrarè (22r11), aspetaré (57v35), averé (66r24), busaré (57v32), faré (63v1), lassaré (20r25), ligaré (48v3), trovaré (64r19, 64r20). Il condizionale presenta la desinenza -ave (corrispondente al tosc. -ebbe per passaggio della labiale occlusiva intervocalica a fricativa labiodentale: cf. §22), a sua volta variante più frequente di -eve (sereve 11r13),68 di cui si rinviene solo qualche traccia: advegniaraveno (42v27), averaveno (34r5, 37v15), bastarave (55r27), faraveno (44v15), firave (13v5, 58r14, 59v35), generarave (17r13), nararave (60v20), retornarave (61r7, 61v32), serave (9r12, 42v28, 52r10), vegniarave (47v21, 62v32), ecc. Per l’imperativo va segnalata la desinenza -e nei verbi della terza classe: azonze (31r27), cluze (28r1), expremisse (31r21), implisse (27r33), intromete (20r31, 48r34, 53r5), mete (27v25, 28r24, 38v12), pone (7v24, 8v8, 8v13), procede (11v24), retrahe (34v3), tolle (17v21, 18r25), trahe (27r31), unze (34v7, 34v23), ecc.; stessa situazione si rileva con la presenza di particelle enclitiche, in corrispondenza delle quali, peraltro, si assiste all’estensione non

67 Cf. Rohlfs (1966–1969, §584): «Nell’Italia settentrionale prevalgono forme con a, cf. il veneto e lombardo antichi ave ‘ebbi’». 68 Cf. Rohlfs (1966–1969, §597): «Al tosc. -ei (-ebbi) corrisponde perfettamente nel Settentrione la desinenza -ev, -ef, cf. il bergamasco (intorno al 1800) avref ‘avrei’, voref ‘vorrei’ [...]. Ma più spesso troviamo qui a, ovvero o, come vocale tonica, in luogo di e, corrispondentemente ai locali continuatori di habui (avi, ovi)».

5.4 Morfologia 







 389

sporadica di -e finale ai verbi della prima classe: bagnelo (34r12), desligelo (40v1), intrometeli (64r24), intrometello (71r10), largella (38v35), ligelo (40v1), metege (7r14, 39r32), metello (17v22), ponege (34v11), ponello (34v23), tayelo (39r27), tridelli (67v13), tridello (17v21), tridene (29v12), usene (29v13, 30r9), ecc. Nel part. pres. si riscontra una certa estensione del suffisso di 1a coniugazione alle altre classi: batante (2r24), rezante (2r2), tendante (1v11), cazante (64v21), tollante (64v34),69 accanto ai regolari dependente (6v5), veniente (15r20), precedente (16v11), ecc. Talvolta è testimoniata la caduta della vocale finale nei participi presenti e nei gerundi presenti in -ant: brusant (28v8), circondant (21v27, 26r4), considerant (26v20), constrinzant (68v13), declinant (21v13), discorrant (56r35), fazant (4v20, 13v34, 14r1: 8 occorrenze), generant (30v29), guardant (23r25), passant (7v8, 25v33, 69r8: 5 occorrenze), penetrant (69v35, 70r5), portant (21r4), stagant (29v4), superhabondant (26v20). I casi elencati sono per lo più dei participi presenti, come lascia intuire la corrispondente forma participiale dell’originale latino: l’esito, tuttavia, finiva per coincidere con quello del gerundio, dal momento che in quest’ultimo la caduta della vocale produce l’assordimento della dentale venuta a trovarsi in fine di parola (cf. Rohlfs 1966–1969, §618; nello specifico per l’area bergamasca, cf. Ciociola 1979, 74 nota 89; Tomasoni 1985, 242). Si registra la presenza di participi in -sto, con sostituzione di participi deboli a participi forti (conseguente alla sostituzione di perfetti forti con forme deboli: es. vidit > vedé), secondo uno sviluppo tipico dell’Italia settentrionale e in particolare dell’area veneta (cf. Rohlfs 1966–1969, §624): commovesta (21r6), disolvesta (38r16), movesta (24v31, 44r29), movesto (73v6, 73v8), removesta (39v8), removesti (36r19, 37r6), removesto (39v8, 45v32), resolvesti (18r16), resolvesto (60r20), ecc. Per il participio debole in -ato va segnalato un singolo esempio della desinenza lombarda -á (cf. Rohlfs 1966–1969, §620): afogá (69r25); per il resto, si mostra del tutto regolare la desinenza -ato (come si può vedere già nelle diverse occorrenze della variante afogato 20r2, 20r6, 31r24, oltre che nei participi pregato 1r6, circato 1r27, desiderato 1r28, lassato 1r32, ecc.). Nel gerundio, si può osservare l’estensione della desinenza -ando a tutte le coniugazioni, fenomeno piuttosto noto per l’area settentrionale:70 abiando (1r10), digando (4v9), discorando (4r32), fazando (2vA31, 2vB1, 4v4),

69 Tra i participi presenti usati con valore di aggettivo o sostantivo: conveniente (7v14), ignoranti (5r12), putrefacienti (5r12), penetrante (9r26), ecc. 70 Cf. Formentin (2002a, 99).

390 





 5 Appunti linguistici

marciscando (3r22), siando (4v5). La tendenza, però, è tutt’altro che sistematica, per cui si leggono anche forme come constrinzendo (3r22), corrodendo (3r22), dicendo (1v16), iacendo (8r16), procedendo (3r5), rompendo (3r27), ecc. Un fatto non insolito in area settentrionale concerne poi la formazione dei gerundi sul tema del congiuntivo presente, fenomeno qui visibile per i due ausiliari, le cui forme gerundiali sono abiando (1r11)/habiando (4v22) e siando (4v5, 42r30, 53v14). È piuttosto sistematico l’uso dell’ausiliare fir (< lat. fieri;71 un’unica testimonianza della forma non apocopata fire: 6r4) in luogo di essere per la formazione delle forme verbali passive.72 Di seguito le altre forme verbali: Indic. pres.: 3a p. fi (1v3, 1v18, 1v34); 6a p. fin (33v1, 33v17), fino (3v26, 55r2, 55r25), fizeno (2r9, 2vA11, 2vA25). Indic. fut.: 3a p. firà (4r21, 4r24, 11v22); 6a p. firano (27v3). Cong. pres.: 3a p. fiza (1r28, 1v7, 4r14); 6a p. fizano (4r24, 7v13, 8r30), fizeno (5v28, 7v20, 7v27). Cong. impf.: 3a p. fidesse (42r29, 58r13). Condiz.: 3a p. firave (8r3, 13v5, 58r14).



Coniugazione di andare: Indic. pres.: 3a p. va (3v31, 6r1, 6r2); 6a p. vadeno (13r28, 27v13). Indic. fut.: 1a andarò (3r4). Cong. pres.: 3a p. vada (5r28, 5r29, 5v1); 6a p. vadeno (66v5). Imper.: 2a p. va’ (71r20); 3a p. vada (42v18, 46r2). Part. pres.: andante (23v29). Part. pass.: andata (73v28), andato (37v26).



Coniugazione di avere: Indic. pres.: 1a p. ho (1r6, 1r27, 1r28), ò (32v4, 69v31, 72r8); 2a p. ay (1r18, 1v1, 33v19), hay (9r7, 17r8, 27v19); 3a ha (3r9, 3r12, 3v35); 4a avemo (3r34, 11r4, 12r12), havemo (26r13); 6a p. ànno (2r6, 2r35, 2v1), àno (2r35, 32v13), hanno (10v7, 10v16, 19r15), hano (12v7, 19r17, 20r12). Indic. impf.: 2a p. avive (65v16); 3a p. aviva (32v5, 49r26, 62v22); 6a p. avevano (10v6), aviveno (13v20). Indic. perf.: 1a p. ave (62v23); 3a p. ave (11r7).

71 Cf. Rohlfs (1966–1969, §592). 72 Tratto piuttosto significativo, soprattutto considerando che nel testo notarile coevo studiato da Tomasoni (1985, 242) fir compare un’unica volta al cospetto dell’uso regolare di essere.

5.4 Morfologia 

 391

Indic. fut.: 2a p. averay (16r11, 29r1, 33v35), averé (66r24); 3a p. averà (4r23, 15r24, 72r5). Cong. pres.: 1a p. abi (47r11), abia (1r26); 3a p. abia (7r14, 8v7, 15r7), habia (16r17, 19r32, 20v1); 6a p. abiano (70r9), abieno (13r33), habiano (19r2, 34v15), habieno (32v4). Condiz. pres.: 6a p. averaveno (34r5, 37v15). Imper.: 3a p. abia (32r29). Part. pres.: habianti (17r20). Gerundio: abiando (1r10), habiando (4v25). Infin.: avere (27v11), avire (1v6, 19r1, 19v21), havere (15v26), havire (33r32). –

Coniugazione di dare: Indic. pres.: 2a p. dagi (27r2); 3a p. dà (4v34, 11r29, 67r6); 4a p. dagoma (24r22), damo (50r3); 6a p. dageno (37r17), dano (1v2, 9r25). Cong. pres.: 3a p. daga (16r30, 32v32). Imper.: 2a da’ (26v33, 66r2), da(ye) (5r12, 7v2, 9r28). Part. pass.: data (4r14, 27r9, 27r12), dati (18r11, 55v10, 65r12), dato (1r26, 13r26, 27r3). Gerundio: dando (4v7).



Coniugazione di dovere: Indic. pres.: 2a p. debi (16v3, 32r7, 33r17), di’ (33r18, 62v35, 63v6); 3a p. de’ (5r14, 6r1, 6r10), dese (29v18); 4a p. dovemo (1v17, 1v22, 10r3); 6a p. debeno (1r9, 1v8, 2vB7), deno (4r16, 35v11). Cong. pres.: 1a p. debia (1r20); 3a p. debia (7r27, 29r7, 57v19). Imper.: 4a p. dovemo (10r5).



Coniugazione di essere: Indic. pres.: 1a p. sonto (17r34, 66r4); 2a p. è (9r20); 3a p. è (1r3, 1r34 bis, 1v4); 6a p. en (33v2), enno (1v6, 1v14, 2r21), sono (1r10, 1v13, 3v26), sonno (2r16, 3r15, 3v29). Indic. impf.: 3a era (6v8, 28r9, 32v6). Indic. perf.: 3a p. fo (3v2, 12r7, 32r21). Indic. fut.: 2a p. seray (7v3, 34r8, 34r27), 3a p. serà (5r18, 5r18, 6r7); 6a serano (15v17, 29r21, 37r15). Cong. pres.: 2a p. sia (9v24, 40v8, 41r21); 3a p. sia (1r8, 1r33, 3r19); 6a p. siano (2r34, 5v30, 9v7). Cong. impf.: 3a p. fosse (4v23, 5v28, 6r12); 6a p. fosseno (59r29).

392 

 5 Appunti linguistici

Condiz.: 3a p. serave (9r12, 42v28, 52r10), sereve (11r13).73 Imper.: 2a p. sia (9v20, 61r20); 3a p. sia (6r7, 7r25, 9v20); 6a p. siano (1v30, 1v32, 1v34). Gerundio: siando (4v5, 42r30, 53v14). –

Coniugazione di fare: Indic. pres.: 3a p. fa (3v19, 5r11, 9v34); 4a p. facemo (50r4), fazamo (36v2); 6a p. faceno (5r13, 22v17, 47r9), fanno (2r6, 2r8, 4v30), fano (5r6, 53r1, 55r11), fazeno (4r22, 5r13, 10v24). Indic. impf.: 3a p. faceva (10v5, 49r34). Indic. perf.: 2a p. festi (64r24; 66v21). Indic. fut.: 1a farò (46v6, 58v19); 2a faray (54r23, 54r24); 3a farà (5v22, 6r7, 6r8). Cong. pres.: 2a p. faza (22v2, 48r11, 49r21); 3a p. faza (4v4, 7r20, 8v9), fazi (33r32).74 Condiz.: 6a p. faraveno (44v15). Imper.: 2a p. fa’ (6r14, 8r25, 10v35), fa(la) (47v16, 48r35), fa(lo) (1v20, 27r28, 40v3), fa(ne) (20r4); 3a p. faza (7v26, 19v21, 21v35); 4a p. facemo(lo) (54v28). Gerundio: fazando (2v33, 2vB3, 4v4), fazendo (35v5), fazendo(lo) (15r26).75 Part. pres.: fazant (4v20, 13v34, 14r1). Part. pass.: facta (2r18, 2r19, 2r29), facti (2v27, 3v27, 3v31), facto (3r34, 5r28, 5v9), fata (2r20, 2r22, 2r23), fati (2v12, 3v26, 33v2), fato (38v1, 42r12, 55r16).



Coniugazione di potere: Indic. pres.: 2a p. po’ (27r27, 33v16, 52v26); 3a p. pò (3r34, 5r23, 5r32), può (1v13, 5r7); 4a p. possemo (1v17, 1v21, 33v31); 6a p. pon (33v30), posseno (1v24, 1v33, 9r11). Indic. impf.: 3a p. possiva (32v7). Indic. fut.: 2a p. poray (33r21), potray (1v19); 3a p. porà (7v1, 31r3, 44v31). Cong. pres.: 2a p. possa (1r11, 8r27, 52r13), possi (31v1, 54v25); 3a p. possa (1v3, 1v6, 4v22), possi (2r4, 54v25); 6a p. possano (20v30). Cong. impf.: 3a p. potesse (5v25, 19v21, 26v34). Condiz.: 3a p. porave (4v23, 16r3). Part. pass.: possuto (1r10, 69v30).



Coniugazione di sapere: Indic. pres.: 2a p. say (22r20, 26r26, 41r8), sapi (14r25, 29r8, 63v29); 3a p. sa (1r28, 53v29); 6a p. sapeno (2r5, 26v22, 55v13).

73 La forma sereve è testimoniata in sei testi all’interno del corpus OVI (prima attestazione: mil.a., inizio sec. XIV sec., Elucidario). 74 Per l’uscita -i alla 2a e 3a p. del cong., cf. Rohlfs (1966–1969, §558). 75 Si registra un caso di fazande (17v9), con d corretta su t, dove -e andrà verosimilmente corretta in -o.

5.5 Sintassi e testualità  

 393

Indic. fut.: 3a p. saperà (23v10). Cong. pres.: 2a p. sapia (6r15, 24v27, 37v19). Imper.: 2a p. sapia (4r13, 5v3, 6v32). Part. pass.: sapiuto (69r24), saputo (27v24, 35v23, 40v12). Infin.: sapere (1r34, 9r18, 12v33), savere (18v32, 27r14). –

Coniugazione di stare: Indic. pres.: 3a p. sta (15r4, 32r24, 48v16); 6a p. stano (25r5, 59r26). Indic. fut.: 3a p. starà (15v4, 26r29). Cong. pres.: 3a p. staga (22r27, 28r3, 64r11), stia (7v21, 44v26, 44v32). Imper.: 3a p. stia (44v24, 44v26, 44v32). Part. pres.: stagant (29v4). Part. pass.: stata (11r12, 48v2, 49v20), stati (40r7), stato (6r12, 7r7, 56v29).



Coniugazione di volere: Indic. pres.: 1a p. volio (59r24); 2a p. vo’ (68v19), vole (41r14, 51r29, 63r4), voli (13v15, 17r24, 19v24), voy (71r13); 3a p. vole (12v18, 45r20, 59r24); 4a p. volemo (15v34, 17r31); 6a p. voleno (1r13, 61r10, 61r12). Indic. fut.: 2a p. voray (9r27, 17v24, 29v12); 3a p. volirà (65v27) Cong. pres.: 3a p. volia (16r33, 22v25, 31r27), voya (23v11, 41r6, 41r7). Cong. impf.: 2a p. volesse (47v19). Condiz.: 3a p. vorave (23r4). Gerundio: volendo (5r3). Part. pass.: voyuto (2r35).

5.5 Sintassi e testualità §51. Articolo e preposizioni L’agg. indefinito tutto è sempre seguito dall’articolo, anche in presenza di un agg. possessivo:76 tuta la pratica (1r12), tutti li altri ydioti (1r13), tuti li secreti (1r27), tuti li cossi necessarij (1v33), tuto lo corpo (2vB8), tuti li vulnerationi (4v28), in tuti li logi (6r9), tuto lo regimento (7r30), tuti li soy veni (8r5), tuta la sua profunditade (28v10), tuti li soy veni (31r19), tuti li soy speci (46r13, 46rA25), ecc.; fa eccezione l’espressione a tuto mio potere (1r29), a tuto meo potere (47v10). Quando l’agg. indefinito tutti si trova dinanzi a numerale (esempi limitati al numerale doy), i due componenti non sono mai legati dalla congiunzione e (uso ancora poco 76 Un’introduzione alla sintassi e alla testualità dei volgarizzamenti (corredata da una bibliografia aggiornata sul tema) è offerta da De Roberto (2017).

394 

 5 Appunti linguistici

attestato nel corso del Trecento, stando alle testimonianze presenti nel corpus OVI), e precedono art. + sost.: tuti doy li capi (42v12), tuti doy li ganassi (42v26), tuti doy li gambi (45v7), tuti doy li fessuri (63r10), ecc.; una situazione analoga si può osservare in un unico caso nel quale l’agg. è seguito dal sost. volta al singolare: tuta volta che al fi desligato (36r8). Per le preposizioni semplici, si segnala l’uso del verbo cominciare (normalmente fraseologico anche in it.a.) senza la preposizione a: se la sua profunditade comenza fir minuita (6v16), quando comenza fir facto lo cancer, forse è possibile che al fiza devedato (30v21), al sia cibo sutile in prima, fina che la rotura comenza fir restaurata (40v19), nascere da la lacrimale, e poy monta a pocho a pocho (47v4), che lo membro non se comenzi corrumpere (56r23), ecc. §52. Aggettivo possessivo77 È regolare l’anteposizione dell’agg. possessivo al nome: In la nome de lo nostro signore Gesù Cristo (1r1), a la tua solicita pratica (1r8), in lo suo prohemio (1r9), lo tuo desiderio (1r28), a la tua domanda (1r29), de la tua dilectione (1r31), a li toy pregeri (1r33), in li soy Amphorismi (1v18), li soy operationi (1v29), li soy pulti (4v28), la tua intentione (7r25), secondo lo tuo sapere (9r17), secondo lo tuo ingenio (11v24), de la tua discretione (11v24), alla nostra intentione (15v21), lo nostro parlare (59v22), ecc. Il fenomeno inverso si rileva soltanto in due allocuzioni al destinatario contenute in apertura dell’opera: Amico mio venerabile (1r16), Amigo mio (3r3). Sono rari i casi di omissione dell’articolo: per suo rezimento (5v12), per sua natura (14r8), de soy simili (17r20), de sua usanza (27v21), per sua largatione (66r8), ecc. §53. Sintagma aggettivale Gli aggettivi numerali, anche se espressi solitamente in forma di numero romano (o di abbreviazione nel caso del simbolo .ſ. = ‘mezzo/mezza’), sono sempre posposti ai sostantivi che indicano quantità di misura, secondo ciò che si osserva di frequente nelle composizioni farmacologiche dei testi medievali:78 de zinziber parte j; de polvere de zucharo parte iij; et de tale polvere incorporati insiema ye dagi once .ſ. (27r1), antimonio, ana once ij; argento vivo once j; calcina viva, zoè non morta, libra meza (29r17), Recipe arsenico citrino once j; calcina viva once iij (30r4), Recipe tucia dramme j (47r32), ana dramme ij (47r33), ecc. L’aggettivo mezzo, sia quando rappresentato dal simbolo .ſ., sia nei due casi in cui è espresso

77 Cf. Castellani Pollidori (2004). 78 Cf. Tomasin (2004, 208), Zarra (2018, 428).

5.5 Sintassi e testualità  

 395

in lettere, segue il sostantivo indicante la quantità dell’ingrediente usato: once .ſ. (27r2, 61r18), dramme .ſ. (51r27), de parte meza (17v28), libra meza (29r18). §54. Pronomi personali e ordine dei clitici Per i nessi di clitici, i pochi esempi utili mostrano l’ordine dativo-accusativo: te lo (6v20), te li (60v20); il dativo è in prima posizione anche nell’unico caso di clitico genitivo ne: ge ne (73v14).79 Per i pronomi atoni è pressoché esclusivo l’uso dell’enclisi con i verbi all’imperativo, secondo la norma ormai invalsa per la prosa toscana nel corso del Quattrocento (cf. Patota 1984): bagnelo (34r12), desligelo (40v1), intrometeli (64r24), intrometello (71r10), largella (38v35), ligelo (40v1), metege (7r14, 39r32), metello (17v22), ponege (34v11), ponello (34v23), ecc.; rare le eccezioni: ne fa’ (17v24), ye da’ (26v32), ye ministra (34v3), ye administra (45v19), la tira (53r3), ge pone (61r3), ge administra (62r31), ye comanda (65v29). Si registrano tre esempi della successione pronominale si ne: si ne demonstra (6r32), se ella si ne ha de bisognia (12v20), per una si ne veneno molti (59r20). È regolare la risalita del clitico con i verbi a ristrutturazione:80 te debia descrivere (1r20), non lo dovemo curare (1v17), se porave descrivere (16r3), se de’ creare (22r9), se de’ intrometere (22v14), se de’ comenzare (23v29), non se porave saldare (23v24), se de’ fare (27r35), se de’ guardare (29r12), se dese usare (29v18), non lo debi menare (50r17), ecc. §55. Avverbi Gli avverbi sono per lo più anteposti al verbo: dolcemente pregato da ti (1r6), almancho impareno (1r9), diligentemente praticando (1r11), may non ho circato (1r26), grandamente mi ho desiderato (1r28), pezo è (1v5), generalmente sonno due (2r16), sufficientemente avemo ponuto (3r3), Poy che la vulneratione sufficientemente ha adunata la puza (4v18), ecc.; tale preferenza appare più marcata quando l’avv. è rafforzato da più: plù levemente se possa trovare (1v3), più tosto faceno crescere la putredine (5r13), più legermente fizeno intrometuti (7v34), più tosto se incarnarà (8r15), più lezeramente se incarna (10r11), più graviemente se salda la botta (12v33), più tosto reciveno restauratione (23r5), ecc. È sempre anteposto (oppure interposto tra ausiliare e part.) anche l’avv. male: male usano quella (2r7), li piagi et ulcerationi male e indiscretamente curati (26r2), da li ulcerationi male

79 Cf., per i volgari settentrionali, le identiche situazioni riscontrate da Benincà (1983, 189–190), Tomasin (2004, 202–203), Bertoletti (2005, 260), Colombo (2016, 200). 80 Per i quali cf. Stussi (1995a, 205–206), Egerland/Cardinaletti (2010, 437–441).

396 

 5 Appunti linguistici

curati (30r19), ha male rectificato lo membro (37v10), al è lo defecto de li astelli male ligati (37v11), ecc. Nel complesso, sono ben rappresentati anche i casi di posposizione dell’avv.: per dire più claramente (1v11), mi consentì mo totalmente (1r29), cadeno solamente supra lo logo nervoso (4r3), la quale cosa apare manifestissimamente (4v34), appare claramente (5r9), congrega convenivelmente quella (6r2), fiza lassato più tardamente a consolidare (6v25), ecc. L’avv. più può essere anteposto al verbo (plù atira la febre 56r5, plù ge domina la colera 56v16, plù ge domina la melancolia 56v17, più vale se la piaga è de fora 12r14, ecc.), oppure posposto (secondo che la materia contraria plù o meno 54r29; la erisipila fi fata plù in la sumitade 56r3, multiplica plù cha tuti li altri 59v10, quanto è plù possibile 59v33, firave trata plù al loco 59v35, ecc.). È pressoché regolare, invece, l’anteposizione di più + aggettivo al sost. nei sintagmi formati da più + agg. + sost.: più lezero introito (1v6), più oribile cosa (2r5), più utile medicina (4v31), più lezera mordicatione (23v31), più forte operatione (24r12), più mala curatione (37r28), ecc. L’avv. bene è di norma posposto al verbo che da esso viene rafforzato: como sa bene dio inquisitore (1r28), nota bene (5r30), al se guardi bene (5v18), non se conzonzeno bene (6r9), studij bene (13v30), incorporelli bene (14r21), fina che elli se incorporeno bene (18r11), ecc.; si ha interposizione in presenza di verbo ausiliare + part. o agg.: fiza bene trito (18r8), fiza bene plena (18r32), serà bene mondificato (27v1), fizeno triti e bene pulverizati (29r18), fiza bene incorporata (29v22), ecc. Nell’unico esempio disponibile, l’avv. insiema segue il complemento di compagnia, secondo una caratteristica microsintattica che, in base alla documentazione disponibile, pare accomunare soprattutto i testi della Lombardia occidentale:81 cum aceto e cum oleo rosato insiema (23v19); cf. la posizione dell’avv. anche in frasi come administrarè la medicina de grande exiccatione e mondificatione insiema (22r11), li medicini in li quali è la resolutione e la molificatione insiema sono... (57v3). Per gli avverbi di negazione,82 si segnalano alcuni esempi di doppia negazione: oltre ai casi delle successioni may non + verbo (may non ho circato 1r26, may non se disloga 42v34, may non sonto stato inganato 66r4, may non ho possuto guarire alcuno 69v30) e nessuno + non + verbo (in nusuno modo non ge pò essere la sua sanatione 8v24, Anchora in nusuno modo non ge fizano administrati li cosi frigidi 10r21, nusuno non se de’ desperare 12r10, ecc.), si vedano in particolare gli usi dell’avv. non preceduto da una costruzione coordinata correlativa formata

81 Cf. Colombo (2016, 178). 82 Per la negazione retta dai verba timendi, cf. §60.

5.5 Sintassi e testualità  

 397

con la congiunzione nì (al cospetto di correlazioni latine ne...ne, non...nec, non... neque): l’è de besognia guardare sutilmente che la medicina non avanzi lo modo in scaldare, nì la calefactione necessaria non fiza minuita (10v28), se questo non è possibile fir facto, nì quelli medicini non ge valesse, alora... (19v35), quando lo corpo non è repleto, nì la complexione non è humida (26r8), se la fistula non serà de molta profunditate, nì anchora non va secondo la rectitudine... (28r21), per la quale cosa non presume de fare quello, nì ancora in tutti li cosi non besognia rendere rasone (33r23), ecc. §56. Accordo Si registrano alcuni casi di accordo fra participio passato e oggetto nei tempi verbali composti con ausiliare avere: ho tolta la faticha (1r6), la mesura la quale ti ay domandata (1r35), ànno lassati quelli in le mane de li barberi (2v1), Poy che la vulneratione sufficientemente ha adunata la puza (4v19), elli àno veduti molti fir liberati (32v13), ecc. Restano maggioritari i casi di mancata concordanza: may non ho circato voluntade de inganare (1r26), ànno usurpato e male usano quella (2r6), li medici non ànno voyuto fare le sue operatione (2r35), Avicena che zà ha sanato la granda piaga (6v7), lo fredo à congelato et adunato li nervi (10r20), ecc. Il participio passato è generalmente concordato al soggetto (anteposto o posposto al participio) nei casi di ausiliare essere o fire: fi tolto via quello (1v23), cyrugia fi dicta a cyros (1v24), molto fi comandato lo naturale ingenio (1v34), quella che fi fata in li membri molli fi divisa in trey modi (2r22), la fi fata in le vene (2r25), ella fi fata in li nervi (2r26), Alcuni vulnerationi...fizeno facti (3v26), firà facta memoria (4r21), non fi generata la puza (4v10), ecc.; con ausiliare avere in luogo di essere: molti portant lo ferro ànno vivuti (21r4); si hanno, tuttavia, anche diversi casi di mancata concordanza (talvolta, forse, da attribuire semplicemente a un trascorso di penna): la quale non pò fir facto (3r33), le arterie fizeno incarnati (3v13), quelle che fizeno facti (3v30), ecc. Si osserva un caso di apparente concordanza tra soggetto e participio di un verbo intransitivo richiedente ausiliare avere: perché li medici ànno rasonati et anchora rasoneno... (11v33). Possiamo segnalare in questa sede un paio di periodi nei quali il cambio del soggetto, che coinvolge un sostantivo presente, ma con un diverso ruolo logico, all’interno di una frase che precede, non è direttamente esplicitato in quella successiva: la mane de l’homo marzì e morì infra setti dì (11r10), besognia che ti ordeni lo infirmo a lo sole apresso a ti, et tegnia aperta la bocha e la lingua calcata in zoso (52v23). §57. Usi dell’infinito Si segnala il ricorso piuttosto frequente all’infinito sostantivato, che costituisce una strategia ricorrente per la traduzione di originari sostantivi latini (cf. 5.6.1):

398 

 5 Appunti linguistici

el non serà seguro perché lo ventre non vegnia a la putrefactione per lo insire de lo sangue (8r8), como monstra Galieno in lo Libro de lo ingenio de la sanitade, e questo è lo suo parlare (8r11), lassa stare la truncatione, zoè lo taliare via (11v35), de li mali accidenti sono como è perdere lo intellecto, sincopis, zoè strangossare, ascondimento de la voce, la rosseza, lo insire de li ogi, e lo defecto de la virtude in recivere et in paylire et in cazar fora (32r30), comenzoma lo nostro parlare de li scrophuli (59v22), lo modo de recivere li medicini in lo manzare et in bevere (65r16) ecc. Sono numerosi gli usi dell’infinito nell’imperativo negativo, che è adottato con frequenza data la natura prescrittiva del testo: non lassare serare la piaga (8v7), non cessare de fare cossì (8v17), non aspetare lo adiutorio de la natura (13v15), non lo desligare (40r35), non lo tochare (49v27), ecc. Si ricorre all’infinito, poi, nella formazione delle proposizioni finali esplicite, introdotte da per e complessivamente poco rappresentate all’interno del volgarizzamento: per monstrare in opera lo amore... ho tolta la faticha de transferire in volgare lo libro (1r5), per dire più claramente, Cyrugia è ultimo instrumento de medicina (1v12), ecc. §58. Usi del gerundio Il gerundio ricorre frequentemente nella formazione di secondarie implicite, per lo più di tipo causale, modale e strumentale, più raramente temporale e ipotetica: ti non abiando possuto studiare gramatica nì altri scientij, possa diligentemente praticando intendere le rasone (1r10), andarò a lo proposito principale, zoè a tractare li predicti capituli procedendo per ordine (3r4), como la sicitade la quale fende la codega brusando e rarificando, o como la frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e corrodendo (3r20), forse che lo curso de lo sangue, discorando in la quantitate temperata, zova a li vulnerationi (4r31), l’altra fassia comenzando da quello loco infirmo vada a la parte inferiore (5r29), ecc. Si riscontra un valore coordinativo83 del gerundio in casi come ala vene per alcuna cosa extrinseca rompendo incontinente lo corpo (3r26), la administratione de li medicini...se faza cessante lo fluxo de lo sangue, e lo loco siando securo da lo apostema (4v4), lo calore naturale se conforti in la vulneratione dando a sì lo nutrimento (4v6), la ligatura fi facta in la vulneratione per trey utilitade; l’una si è azò che ala conservi li parti de la vulneratione zà conzonti, devedando la materia de lo sangue (5v3), ecc.

83 Cf. Serianni (1988, 485).

5.5 Sintassi e testualità  

 399

È ben testimoniato l’uso del gerundio con funzione di participio presente, fatto sintattico piuttosto diffuso nell’it.a. e già attestato nel lat. tardo:84 de la natura de li medicini fazando nascere la puzura (2vA33), de li medicini fazando nascere la carne (2vB3), la administratione de li medicini fazando nascere la puza per questo se convene (4v3), al ye convene la medicina fazando nascere la carne (6r30), al dire de Ypocras, digando [‘il quale dice’] li crudi sono rey, ma li lati sono boni (4v9), lo cibo de lo infirmo in principio sia sutile e devedando la inflamatione (36v18), emplastri in li quali è stipticitade devedando cum subtilitade (36v35), sanie overo puza è una specie de sale et è nitrosa, zoè habiando sapore de sale (4v4), ecc. §59. Coordinazione85 La copulative affermative sono introdotte dalla congiunzione e: li instrumenti de medicina sono trey...e quelli enno como dieta, potione et cyrugia (1v12), E non siano temerarij, ma arditi, e siano suavissimi e cautissimi in operare (1v30), la cyrugia è de doe guise...e questo è secondo la contrarietade de li membri subiecti (2v17), molti auctori non àno dicto niento e li medici non ànno voyuto fare le sue operatione (2v34), ecc.; le copulative negative sono introdotte dalla congiunzione ne/nì: Ma l’è de besognia guardare sutilmente che la medicina non avanzi lo modo in scaldare, nì la calefactione necessaria non fiza minuita (10v28), al sia propinquo a la complexione de lo membro subiecto como se dirà, nì fiza facta grandamente forte abstersione (15r29), dice che li parti de questa arte e la sua distinctione non fizeno comprisi cum narratione, nì lo libro comprende quello (20v19), ministremo la medicina la quale non grandamente mortifica nì desicca (28v26), poy ge fiza administrata la ligatura cossì dolce che lo dolore non se senta, né cossì fiza relaxata (35v1), ecc. Per la congiunzione e si può osservare qualche caso piuttosto spiccato di polisindeto: vile femine e presumptuose fanno questa arte, et ànno usurpato e male usano quella, e nientodemeno credano, che non ànno arte né inzegnio (2r6), ella paylisse le vulneratione, e mitiga lo dolore, e conforta e mondifica e salda e implisse livulnerationi cavati de carne, e non ye dà nusuno nocumento (4v32), uno homo ave una punctura cum ferro aguzo, e se rompé la codega e se continuà cum alcuni nervi de la sua mane, et uno medico mato ge metì medicini mollificativi (11r7), alora la ferita è facta apresso a li costi pizinini, e grando e spesso serà lo fiato...e la morte non è da lonze da lo infirmo, e maximamente se la piaga serà in la parte nervosa (11v11), ecc.

84 Cf. Rohlfs (1966–1969, §718). 85 Cf. Molinelli (2010, 241–271), Consales (2012a, 99–109).

400 

 5 Appunti linguistici

Le congiunzioni disgiuntive sono o e overo (talvolta anche nella forma overo che, che ricorre soprattutto nella formazione di frasi correlative): li Cyrugici debeno  essere litterati o almancho impareno da quelli che sono litterati (1r9), siano homini litterati, overo almancho impareno l’arte (2r2), se ti vederay crescere li humori e che lo loco deventi roso e se sconfli, overo se infli (7r23), el loco fiza epithemato cum oleo rosato..., overo che al se pona sopra uno panno balneato (7r30), fizano evaporati li budelli, overo quello se faza cum lo vino vegi (7v25), ge ministrava la tormentina confecta cum un pocho de euforbi; overo etiamdeo in li corpi durissimi e siccissimi ge ministrava serapino (10v6), ecc. La congiunzione avversativa più ricorrente è ma: impareno l’arte da quello che sia litterato; ma eyo penso che alcuno apena possi imparare questa arte senza littera (2r3); li medici non ànno voyuto fare le sue operatione per la turpitudine, ma ànno lassati quelli in le mane de li barberi (2v35), non se saneno per la via de la prima intentione ma per la via de la seconda intentione (3v5), ecc.; ben rappresentata è anche la congiunzione anze: may non ho circato voluntade de inganare lo tuo desiderio...anze grandamente mi ho desiderato che quello fiza complito in ti (1r26), la vera solutione de la continuitade in l’osso non se sana per la via de la prima intentione, anze è possibile che... (3r31), recive saldatione, anze sempre manda puza (4r10), ella non è vulneratione, ma fi dicta ulceratione (4r11) ecc. Le proposizioni conclusive sono introdotte principalmente dalle congiunzioni adoncha, alora, imperò, e, più raramente, imperzò (talvolta anticipate dalla congiunzione copulativa e): Sancto Gregorio dice che la probatione de lo amore si è la exhibitione de la opera, et imperò...ho tolta la faticha (1r3), tuti li cossi necessarij a l’arte non se posseno comprehendere in li libri, et imperò siano naturalmente ingeniosi (1v33), el fa de besognio che la dispositione de quelli sia mezo inter l’osso e la carne; adoncha le arterie reciveno meno consolidatione (3v19), la vulneratione è antiqua e non recive saldatione, anze sempre manda puza; alora ella non è vulneratione (4r10), ella non è vulneratione, ma fi dicta ulceratione, imperò ulceratione fi chiamata piaga puzulenta (4r11), al è operante lo calore naturale, et alora è conversione de lo humore in lo nutrimento (4v15), ella è da fir mondificata...et imperò el besognia che la fiza desiccata competentemente (4v20), La prima intentione in la piaga cavata si è che la sua concavitade fiza piena de carne...et alora el g’è necessaria la medicina mondificativa (7r1), debi temere che al non fiza facto lo apostema caldo in quello loco, alora la tua intentione de la cura sia solamente in devedarla (7r24), se al è in lo corpo de li antiqui de bono sangue ello è pocho, imperzò li ulcerationi de li antiqui non se saneno (23r10), la infirmitade retorna alcuna volta; et imperzò pos quello el se convene la administratione de la strentura (61v24), ecc.; in qualche caso si ricorre anche alla congiunzione unde: molto fi comandato lo naturale ingenio in lo medico, e maximamente da Damesceno unde

5.5 Sintassi e testualità  

 401

ello dice lo ingenio naturale de lo medico aiuta l’arte (1v34), per questa ligatura lo sangue non pò passare a lo loco infirmo, unde el non vene la postematione (5r32), lo apostema è iuncta a la parte taliata et a la parte non taliata, unde per la parte non taliata se porta la passione (9v32), ecc. Tra gli elementi correlativi più ricorrenti troviamo overo...overo (anche nella forma overo che): overo che la fi fata solamente in la carne...overo che la fi fata in le vene non batante...overo che ella fi fata in li nervi (2r23), overo che ella fi facta in li ossi rotti...overo che la fi fata in li ossi dislocati (2r30) ecc.; più raramente si ha la correlazione o...o: o che al’è sempia, o che al’è composita (3r7), ecc. Accanto a questi si possono avere elementi correlativi pronominali (una...l’altra) o avverbiali (frequentissimo il tipo alcuna volta...alcuna volta): Perché lo humore alcuna volta rumpe la continuitade per la sua tropo grande quantitade, et alcuna volta per la sua qualitade distemperata fora de lo curso naturale (3r17), una è per la remanentia de la virtude de lo sperma, zoè de la somenza virile, l’altra è per la dolceza de l’osso (3v3), la figura de le vulneratione alcuna volta è rotunda, alcuna volta plana, alcuna volta dritta, e alcuna volta torta, et alcuna volta ha li lati (3v34), le piage alcuna volta cadeno supra lo logo carnoso solamente, alcuna volta cadeno solamente supra lo logo nervoso (4r2), ecc.; una correlazione di tipo quantitativo è affidata a quanto più...tanto più: quanto più se alonga da lo loco infirmo tanto più se largi (5v31), quanto lo membro è più nobile e più delicato, li soy parti disiuncti debeno fire congregati tanto più nobelmente (6r3), quanto la piaga è plù profunda cha li altri, tanto più se de’ azonzere la exiccatione (7r4), quanto più se tarda e tanto ello è più grave (34v27), ecc. §60. Proposizioni completive86 Il complementatore regolarmente usato nelle frasi completive è la congiunzione che; per le proposizioni soggettive: è da sapere che lo tractato de questo libro è diviso in doy parti (1r34), al besognia che li operatori de la cyrugia in primamente soliciti li logi (1v28), la solutione de la continuitade in la carne possibile è che la retorni (3r29), in l’osso de li puti alcuna volta se spera che al retorni la solutione de la continuitade (3v1), el fa de besognio che la dispositione de quelli sia mezo inter l’osso e la carne (3v19), si besognia che ti sapia (6r15), ecc.; per le proposizioni oggettive: mi ho desiderato che quello fiza complito in ti (1r28), così dice Damasceno in li soy Amphorismi, che...ti trovaray che lo regimento fi requirito contra la casone (1v18), eyo penso che alcuno apena possi imparare questa arte senza littera

86 Per le proposizioni completive in it.a., cf. Dardano (2012); per l’area padovana, cf. Tomasin (2004, 200); per quella lombarda, cf. Colombo (2016, 206–207). Si veda anche la tassonomia proposta da Stefinlongo (1980).

402 

 5 Appunti linguistici

(2r3), Al dice Almansor che questi...per la maiore parte sonno ydiote (2r8), Dico adoncha che la solutione de la continuitade...fi dita in doy modi (3r5), ecc. Alcuni casi di apparente omissione del complementatore che dopo il verbo dire dipendono dall’originale latino, dove sono riportate, senza un elemento introduttore come quod,87 e dunque in forma di discorsi diretti, alcune citazioni più o meno letterali che Bruno ricava dai testi delle grande auctoritates del passato: unde ello dice lo ingenio naturale de lo medico aiuta l’arte (1v34), questo dice Galieno quando dice molti medici ànno pensato ch’el è impossibile a saldarse la substantia (3v7), al dire de Ypocras, digando li crudi sono rey, ma li lati sono boni (4v9), Avicena dice tuti questi cosi noceno a li ulcerationi (22v12), Anchora dice el non besognia che al ge fiza administrata la medicina (22v22), El dice Avicena quello che fa più nascere la carne in l’osso si è che al fiza desiccato et asperato da la humiditate (29r2), ecc. Per alcune proposizioni soggettive rette dal verbo impersonale el besognia/ el è de besognia (peraltro frequentissimo all’interno del volgarizzamento), si segnala l’uso di costruzioni implicite (soprattutto in dipendenza dal verbo bisognare) anche laddove nell’it. moderno si richiederebbe necessariamente una proposizione esplicita con conseguente espressione del soggetto: se lo zirbo insirà, el è de besognia marzire per bene (8r4: il soggetto della soggettiva è zirbo), quello che è in lo corpo sicco besognia fir più desiccato cha quello che è in lo humido (15v28), sapia che la medicina secondo quello corpo non è exiccativa, al ge besognia fir additione in confortatione de quella (23v4), s’el besognia fir mondificato, la mondificatione fiza cum melle (55v26). Una situazione analoga si osserva anche nella proposizione oggettiva per la qual cosa lo mato medico guardant pensa essere veneno (23v24), con mancata identità di soggetto tra principale e secondaria. Si rintracciano alcuni esempi di che polivalente: la ligatura...apresso a la sua bocha fiza facta più lezera, che lo veneno non fiza impazato in lo insire (6v3), Et alcuna vene quando lo loco e lo tempo è frigido, che la ventositade in lo dicto modo non se pò resolvere (7v28), se alcuna cosa te impaza, como è lo nervo o l’arteria, che ti non talij la ulceratione da lo buso fina a la radice (22r35) ecc. Con i verba timendi appare regolare l’uso della negazione (costruzione del tipo temere non... + congiuntivo) sul modello del latino:88 nientodemeno questo non fi facto in li vulnerationi nì ulcerationi in li quali fi temuto che lo veneno non fiza congregato in la parte de sotto (5v11), el besogna che anchora se apria, 87 Cf., a brevissima distanza nel testo latino: «hoc testatur Galienus cum dicit multi medici putaverunt impossibile esse arteriae substantiam consolidari [...]. Ipse autem Galienus contradixit eis et dixit quod quandoque arteriae incarnantur cum experimento et ratione» (Hall 1957, 12). 88 Cf. Zanuttini (2010, 580–582), Dardano (2012b, 135).

5.5 Sintassi e testualità  

 403

temendo che lo membro non incorra in la putrefactione (6r35), debi temere che al non fiza facto lo apostema caldo in quello loco (7r24), temendo...che la marza non se saldi cum la piaga (15r10), el è paura che ella non fiza damnata da li cosi frigidi (53v4), ecc. §61. Proposizioni temporali89 La contemporaneità si rende solitamente con quando: questo dice Galieno quando dice molti medici ànno pensato... (3v7), Questo se de’ servare quando la vulneratione passa a li interiori de lo corpo (5r16), quando ti seray securo che lo apostema caldo non vegnia in la piaga...comanda a lo infirmo che luy ingrossi lo suo regimento (7v2), conforta li budelli più che l’aqua; e poy fizeno ponuti dentro quando è tolta via la sua inflatura (7v26), ecc. Per esprimere la particolare categoria della terminatività, interna a quella della contemporaneità,90 si adottano le congiunzioni fina che e, più raramente, domentre, accompagnate regolarmente dal congiuntivo (tranne qualche rara eccezione: es. fina che ella salda 15r17): lo calore naturale se conforti...domentre che la materia la quale è in quella fiza paylita (4v6), renova un pocho la piaga cum alcuno instrumento fina che lo sangue fiza provocato (6r13), cura quello cum l’altra curatione de li piagi domentre che al fiza sanato (6r18), ye convene la medicina fazando nascere la carne domentre che li parti deseparati se conzonzi integramente (6r30), li secci se curano cum li cosi humidi...fina che lo membro se infli e doventi rosso (13v2), se convene la medicina stitica fina che in loco de la codega nasca la carne dura (7r8), lo cibo de lo infirmo sia sorbille e lezero, azò che al non besogni fir biasato domentre che lo dolore fiza removesto (42v9). ecc. Almeno nel caso che segue, poi, la congiunzione domentre, al pari di quanto si può osservare per la congiunzione quando (cf. §67), assume una sfumatura ipotetico-temporale, come si ricava anche dall’uso del condizionale nella frase principale: domentre che lì fosse abundantia de puza, la vulneratione non se porave saldare (4v23). La proposizione temporale dell’anteriorità è introdotta da anze che o inanzi che, cui si accompagna il verbo al congiuntivo: inanze che al se vegnia a lo proprio tractato...alcuni cosi enno da notare (1v5), anze che a quella vulneratione fiza data la medicina incarnativa...nota che trey cose se deno attendere (4r14), inanze che elli fizeno toccati da l’aere, forse quelle se intrometerano senza molestia (7v19), inanze che al se inspessicha, comanda a l’infirmo che al bevia (9r22), ecc.

89 Cf. Bianco/Digregorio (2012); per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 208–209). 90 Cf. ivi, 302.

404 

 5 Appunti linguistici

La proposizione temporale della posteriorità è costruita con la congiunzione poy che + indicativo o congiuntivo:91 Poy che Amigo mio sufficientemente avemo ponuto lo prohemio...andarò a lo proposito principale (3r3), poy che la vulneratione è antiqua e non recive saldatione, anze sempre manda puza (4r10), Poy che la vulneratione sufficientemente ha adunata la puza...ella è da fir mondificata (4v18), poy che al sia collocati li parti segondo la debita figura, fiza cusita la sumitade (5v23), poy che li stupini siano metuti da l’una parte e de l’altra de la piaga, fiza ligata convenientemente (5v29), ecc. §62. Proposizioni causali92 Gli introduttori delle proposizioni causali sono conciosiacosaché, imperò che, però che, perché: ho tolta la faticha de transferire in volgare lo libro...però che... li Cyrugici debeno essere litterati (1r6); non ho lassato de tore la faticha...conciosiacosaché satisfare a li toy pregeri non me sia duro (1r32), cyrugia vale tanto como operatione manuale, però che la sua perfectione e integritade permane in operatione (1v25), siano naturalmente ingeniosi, perché molto fi comandato lo naturale ingenio in lo medico (1v34), pessime infermitade fizeno generati in li homini...conciosiacosaché ay non operi saviamente (2r9), La casone ne extrinseca vene in doy modi, perché o che ala vene o per cadimento o per tropo exercicio (3r24), è necessario administrare la cusitura, però che...quatro canoni se requere in la coniunctione (5v14), però che per desordinata dieta lo malo apostema e lo veneno fi generato in la piaga..., imperò el se convene che in questo loco se faza memoria de quella (7r17), conciosiacosaché questo tractato proprio non sia de lo fluxo de lo sangue, eyo tractarò de quello che fi facto per solutione de la continuitade (19r11), el besognia che ti apparegi la medicina acuta secondo questo modo in lo quale non è ingano, imperò che ella circha tuti li profunditati de la fistula (27v32), ecc. §63. Proposizioni consecutive93 Le proposizioni consecutive sono costruite soprattutto tramite la correlazione cossì...che (in qualche caso cha). La congiunzione che può trovarsi separata dall’antecedente cossì, oppure immediatamente a contatto con esso: bivano lo vino cossì temperatamente che non impedisca lo senno (1v32), lo membro etiamdio  fiza figurato cossì che la piaga sia dependente de sotto (5v5), lo membro

91 Per il duplice valore, temporale e causale, della congiunzione poiché, cf. Patota (2005). 92 Cf. Frenguelli (2012a); per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 209–210). 93 Cf. Frenguelli (2012b). Per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 210–211).

5.5 Sintassi e testualità  

 405

etiamdio fiza figurato cossì che la piaga sia dependente de sotto (6v5), luy retorni a lo regimento ch’el sole usare, cossì che la nativitade de la carne se augmenti (7v5), melio è che lo infirmo sia cossì smancato cha luy moria per lo spasmo (12v2), ecc. Altri casi di proposizione consecutiva presentano tanto (agg. e avv.) come elemento anticipatore (molto più rari i casi di tale...che): se la strictura serà tanto che la generi dolore (6r7), Recipe asongia de porco deslenguata parte una, oleo parti v; e tanta farina de frumento che basti (14r19), nì fiza facta grandamente forte abstersione,... zoè in tanta quantitade che la extirpi (15r31), metello in quello un poco de galbano fina tanto che al se dissolva (17v22), questi unguenti debeno fir administrati in li piagi per curatione tanto che li soy mali accidenti se parteno (18r27), la figura fiza conza in tale modo che la bocha de la piaga sia de sotto (22r25), ecc. §64. Proposizioni finali94 Le finali esplicite sono introdotte generalmente dalla congiunzione aciò/azò che, seguita dal congiuntivo:95 ho tolta la faticha de transferire in volgare lo libro...azò che ello te sia in adiutorio (1r6); a la prima parte se dano XX capituli, a la segonda simelmente XX, azò che...se possa trovare quello che fi circhato in quello (1v1), aciò che al se possa avire più lezero introito, alcuni cosi enno da notare (1v6), lo sangue è da fir refrenato in li vulnerationi per questa rasone, azò che per la desmesurata quantitade de lo sangue lo infirmo non se perda (4r29), ecc.; in un singolo caso l’introduttore è imperò che (seguito dal congiuntivo), per il resto usato sempre per aprire delle frasi causali: sapia che la medicina sutile se convene administrare, imperò che la passi a lo profundo senza dolore (11r14), ecc. In dipendenza da verbi come pregare e comandare (quest’ultimo frequentissimo nel testo, data la presenza delle numerose prescrizioni terapeutiche), l’uso del congiuntivo conferisce ad alcune proposizioni completive una sfumatura finale (situazione di confine tra finalità e modalità volitiva):96 me ay pregato che... te debia descrivere (1r19: con adozione del congiuntivo presente in corrispondenza di un passato prossimo nella principale), comanda a lo infirmo che luy ingrossi lo suo regimento (7v4), comanda a l’infirmo che al bevia vino o aqua (9r22), comanda a lo infirmo che al dormia sopra la piaga (9r13), comanda a l’infirmo che al bevia vino o aqua (9r22), ecc.

94 Cf. D’Arienzo/Frenguelli (2012, 360–380). 95 Un’identica situazione, in area lombarda, si osserva in Colombo (2016, 211). 96 Cf. D’Arienzo/Frenguelli (2012, 365).

406 

 5 Appunti linguistici

§65. Proposizioni concessive97 Le concessive, spesso anteposte alla reggente, sono per lo più introdotte da avegnadio che, con l’accompagnamento del congiuntivo: avignadio che...te abia dato longanimitade, nientodemeno may non ho circato voluntade de inganare lo tuo desiderio (1r25), avegnadio che siano specie de cyrugia, nientodemeno de questi molti auctori non àno dicto (2r33), Avignadeo che sufficientemente avemo dicto de la curatione...nientodemeno al me piase de venire a più lezera e più evidente noticia (18r32), avignadeo che la clara de l’ovo diclini a frigiditade, nientodemeno lo russumo declina a caliditade (19v27), ecc. Come si può notare dagli esempi appena riportati, la frase principale è aperta nella maggior parte dei casi dall’avv. nientodemeno, che riprende anaforicamente il connettivo concessivo subordinante, andando a formare una struttura correlativa ed evidenziando il contrasto con la concessiva.98 Si registrano anche due casi dell’introduttore per bene che: per bene che per questo fiza azonzimento de lo dolore sopra lo infirmo, nientodemeno renova un pocho la piaga (6r11), se lo zirbo insirà, el è de besognia marzire per bene che al demori pocho tempo (8r3). §66. Proposizioni comparative99 Si registrano alcune comparative di grado, che ricorrono soprattutto nell’espressione più/meno che non bisogna, adottata più volte per descrivere una situazione patologica contraria alle normali situazioni fisiologiche o non rispondente in modo efficace alle intenzioni terapeutiche: a) comparative di maggioranza: ecc. vederay che la medicina scaldi più che non besognia (10v31), se lo sangue serà grosso o sutile più ch’el non besognia (13r8), ella scalda più che non besognia (25r14), se guardi al più che al possa che la sua testa non fiza gravata de dolore (60r1), guarda che al no ne fiza trato fora più che non besognia (63r31), ecc.; b) comparative di uguaglianza (presenti soprattutto in corrispondenza della misurazione di ingredienti utili alla produzione di composti): tolle antimomo, ramo brusato...de tuti equalmente tanto quanto è la sexta parte de tutto (23v20), Recipe...cera et oleo antiquo quanto basta (24v19), Recipe... cera e olio mirtino quanto basta (25v6), ecc.; c) comparative di minoranza: se lo sangue serà meno che non se convene...et alora lo loco è da fir nudrigato cum aqua calda (13v20), la medicina è desiccativa ultra lo modo, overo meno che non besognia (16r12).

97 Cf. Consales (2012b); per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 212). 98 Cf. Consales (2012b, 417). 99 Cf. Pelo (2012); per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 212–213).

5.5 Sintassi e testualità  

 407

Le comparative di analogia sono introdotte dalla congiunzione come/como, preceduta dall’avv. così in funzione di antecedente, ma spesso priva dell’elemento correlatore:100 la solutione de la continuitade in la carne possibile è che la retorni cossì como ella fu in prima (3r30), al à zà vezuto molte arterie essere solidate, como è quella che è sotto la vena de la testa (3v14), de le vulneratione alcuni sonno apparenti, como sono quelle che fizeno facti cum instrumento (3v29), daye la cura cum li medicini a ley convenienti, como è li medicini incarnativi (5v12), l’olio caldo non fa marzire como fa l’aqua (10r24), ecc. È ben testimoniata anche la correlazione (così) come...così, spesso in dipendenza di un’analoga costruzione latina: como sono li logi, cossì se varia lo modo de la curatione de quelli (4r5: in corrispondenza del lat. sicut...sic), come li sagiti sono diversificati secondo sì e secondo li logi undo elli feriscono, cossì è diversificato lo modo e lo inzegnio in tirarli fora (20r9: in corrispondenza del lat. sicut...sic), como la sordicie ha besognia de abstersione, zoè de forbimento, cossì lo veneno ha besognia de exiccatione (21v17), como quella osella pare avire grossa la testa..., cossì questo apostema ha quasi una sumitade in loco de testa (in corrispondenza del lat. sicut...ita), ecc. Presenta diverse attestazioni la comparativa formata da secondo che + indicativo: secondo che: la piaga de’ fir curata secondo che la curatione de li altri piagi te significarà (21r14), la significatione è in doy modi secondo che sono le sue specie (32r8), de’ fir facta secondo che mi te ho dicto uno pocho inanze (33r33), secondo che sono de lezera dislocatione, così sono de lezera reductione (42v3); in qualche caso essa mostra una valenza di proporzionalità: secondo che la carne cresirà quello stupino fiza minuito (6v24), parlaremo de la sanie in altro loco secondo che la vorave per sufficientia (23r4), la testa de lo infirmo fiza raduta secondo che la necessitade te provoca a quello (33r2), ecc. Possono essere accolte tra le comparative di analogia con un solo operatore quelle proposizioni con sfumatura modale introdotte da come/como e aventi il verbo all’indicativo (sono le cosiddette comparative incidentali o parentetiche, in quanto prive di elementi correlativi nella sovraordinata: Serianni 1988, 516); esse si ritrovano molto spesso in corrispondenza di rimandi intratestuali e intertestuali, instaurati da Bruno col fine di corroborare l’autorità di concetti e informazioni appena riportate:101 como ello dice in lo suo prohemio, li Cyrugici 100 Nelle comparative formate con un solo operatore si è perlopiù dinanzi al nesso (sì) come: «mancando l’elemento correlativo così, essenziale per il rapporto analogico, si attenua l’intensità della comparazione. Di conseguenza, l’interpretazione oscilla tra un valore comparativo e un valore modale» (Pelo 2012, 459). 101 Cf. §70; si veda anche Zarra (2018, 438). In questi casi, le comparative «più che marcare un’analogia, una modalità o una conformità, svolgono funzioni diverse» (Pelo 2012, 460): nel

408 

 5 Appunti linguistici

debeno essere litterati (1r9), may non ho circato voluntade de inganare lo tuo desiderio, como sa bene Dio inquisitore (1r28), como se dice comunamente, Cyrugia è operatione manuale in lo corpo (1v10), lo terzo instrumento è cyrugia, como è dicto (1v22), como dice Aly in lo Comento, al besognia che... (1v32), Le specie de la cyrugia generalmente sonno due, como dice Iohanicio (2r16), Como dice Galieno et Avicenna, la solutione de la continuitade in la carne possibile è che la retorni (3r29), ecc. Si segnalano, infine, le frequenti proposizioni introdotte da come/como è nelle quali la 3a p. del verbo essere segue pleonasticamente il come: non siano temerarij, ma arditi, e siano suavissimi e cautissimi in operare, e maximamente in logi timorosi como è in lo cervello (1v30), una contrarietade fi facta in li membri molli, como è in carne et in nervi, altra fi facta in li membri duri, como è in ossi e simili (2r18), per elevatione del grando pondo, e per simili cosi, como è per taliatura o per ruptura (3r25), cum instrumento la zima de lo quale overo punctura è rotonda e stricta, como è lo tello (3v32), ecc.; una situazione analoga si può osservare anche con la ripetizione pleonastica del verbo principale: la dureza...se cura como etiamdeo se cura li apostemi duri (11r30), non aspetare lo adiutorio de la natura, como se aspecta in lo nascimento de la bona carne (13v15), ecc. §67. Proposizioni condizionali102 Le frasi condizionali ricorrono con un’altissima frequenza all’interno del volgarizzamento: dipendono quasi sempre dalle corrispondenti proposizioni del testo latino (con la struttura tipica: a) protasi = descrizione dei sintomi osservati sul paziente + b) apodosi = descrizione della cura da adottare) e sono aperte da se. In particolare si rinvengono spesso le combinazioni di indicativo pres. o fut./congiuntivo pres. o impf. + imperativo, nelle quali alla descrizione dei sintomi segue la prescrizione terapeutica di cui il chirurgo dovrebbe tener conto per curare con successo il paziente: se al non sia molto superfluo fiza tolto da quella (4r20), se lo infirmo non obedisse a la renovatione de la piaga, alora cura quello cum l’altra curatione (6r17), el è necessario che la concavitade de la piaga fiza taliata integramente...se lo nervo e la vena non te lo deveda. Et se quello deveda ti da questo, alora tu debi fare lo conveniente buso in lo loco più basso (6v18), se la fosse in la parte inferiore, zoè de sotto, la figura de la preparatione sia de sopra (8r20), se pur alcuna casone constrinzerà per necessitade

nostro caso, come detto, quella di introdurre commenti, pareri o rimandi ad altri luoghi del testo. 102 Per le frasi condizionali nell’it.ant., cf. Colella (2012) e bibliografia ivi indicata; per l’area lombarda, cf. Colombo (2016, 214–215).

5.5 Sintassi e testualità  

 409

che lo infirmo se bagni, alora la piaga se covati cum panno (6v29), se ti vederay crescere li humori e che lo loco deventi roso e se sconfli, overo se infli, alora debi temere che al non fiza facto lo apostema (7r23) ecc. Si noti come, negli esempi appena riportati, l’apodosi contenente il rimedio o la terapia da seguire sia spesso rafforzata dalla congiunzione conclusiva allora. Tale uso è costante nel volgarizzamento e si rinviene anche in presenza di apodosi con verbo all’indicativo: se la vulneratione sia cossì granda che la ligatura non possa congregare insiema li soy parti, alora è necessario administrare la cusitura (5v13), se quello ch’è stato perduto per la piaga non è altro se no la sola codega, alora da lo principio simelmente se convene la medicina stitica (7r7), se la piaga venisse ad alcuno de li budelli, alora li antiqui doctori ànno comandato che li clisteri fizano facti cum vino pontico (8r29), ecc. Per l’uso di modi e tempi nel periodo della realtà, la successione protasiapodosi prevede le combinazioni indicativo pres. + indicativo pres.: se nuy possemo curare lo homo cum dieta, non lo dovemo curare cum alcuna potione (1v17), se elli desiderano che al fiza generata la carne in li vulnerationi, fano che ay se mondifichi (5r5), se al vegnia lo contrario, el è necessario che... (6v18), ecc.; indicativo fut. + indicativo pres.: se la serà molto debile, le parte de la piaga non se conzonzeno bene (6r8), se la piaga serà in lo pulmone, el ensisse lo sangue spumoso (11v16), se la piaga serà in lo stomaco, lo cibo fi mandato fora per la piaga (11v18) ecc.; indicativo fut. + indicativo fut.: se ti potray curare l’omo per dieta prospera ti trovaray che... (1v18), se la strictura serà tanto che la generi dolore, ella farà apostema caldo (6r7), se lo medico serà presente...forse quelle se intrometerano senza molestia (7v19) ecc.; solo molto di rado si osserva anche la combinazione indicativo pres. + indicativo fut.: se lo aconzamento de la figura in la piaga non è possibile a ti...el besogniarà che la fiza considerata in lo tertio dì (6v14). Si registrano poi alcune estensioni del congiuntivo in luogo dell’indicativo: non se salda al postuto se in prima non se apadimi (4v2), carne bona e perfecta non se può generare se la superfluitade non se mondifichi (5r7), lo apostema non se salda may se lo apostema non reposi (7r26), ecc. In alcune proposizioni introdotte da quando + indicativo, il cotesto favorisce l’interpretazione dell’introduttore come una congiunzione con sfumatura condizionale:103 le arterie...se incarneno quando la sua divisione, overo incisione, è pizena e quando lo corpo de lo infirmo è humido (3v21), quando non vene l’apostema al è possibile che al fiza facta la curatione (4v1), quando l’apostema venne lì non se salda al postuto (4v2), quando la piaga va in longo el basta lo ligamento

103 Cf. Colella (2012, 402–403): «soprattutto in contesti gnomici, in presenza di asserzioni categoriche, quando e se sono praticamente sovrapponibili».

410 

 5 Appunti linguistici

(6r2), ecc. il valore condizionale diviene esplicito in presenza del congiuntivo imperfetto: quando venisse quello, è necessario a succurrere (65v25). Nel periodo ipotetico della possibilità, la combinazione più ricorrente è quella rappresentata da congiuntivo pres. (più raramente imperfetto) + indicativo pres.: se la caliditade sia plù che non besognia, rompe per movimento de la sua grande ebulitione (3r19), trey cose se deno attendere principalmente, se la vulneratione non sia sempia...e lo sangue non discoria da quella (4r15), la quale cosa dico essere utile se la fiza ministrata in li vulnerationi (4v35), El solfero vivo per sutilitade et exsiccatione sua, se al fiza confecto cum un poco de olio a modo de unguento vale a la piaga de li nervi (10r35), se la reductione fidesse fata non siando guarita quella infirmitade, forse lo spasmo sopra venirave a lo infirmo (42r29), se in la oregia fosse alcuno animale, alora la sua extractione è lezera (53v23), ecc. È piuttosto raro il periodo ipotetico dell’irrealtà (congiuntivo impf. o trapassato + condizionale pass.): se la bocha de la punctura fosse stata aperta, e se al ge fosse administrata la medicina desiccativa...quello homo non sereve morto (11r11), se al fosse drito, li antiqui averaveno zà dicto altro in li soy libri (34r5), se la incisione fidesse fata in la fronte secondo la reflexione de quello membro, firave fato lo cadimento de lo supercilio (58r13), ecc. §68. Altre proposizioni Tra le proposizioni di minore frequenza si segnalano diversi esempi di eccettuative, regolarmente introdotte da se non (che):104 non ye dà nusuno nocumento, la quale cosa apare manifestissimamente essere falsa, se non che la paylisse le vulneratione (4v34; in lat. excepto quod...), la promptitudine de li savij...non se fatiga circa altro se non che elli se siccano (5r2; in lat. nisi ut...), non è altro de besognia se non che li soy extremitadi siano adunati insiema (18v22), altro non se pò fare se non fare lo cancer ulcerato (31r16); si ha un solo esempio di eccettuativa aperta da salvo se: el non g’è excusatione perché el non se debia salassare presto in la contraria parte, salvo se la virtude, o la etade, o altra cosa non lo veti (7r27). §69. Paraipotassi105 Si registra la presenza episodica di alcune strutture paraipotattiche; la proposizione anteposta è solitamente una condizionale e la principale è talvolta aperta dalla congiunzione avversativa ma: E se la vulneratione sia meza inter pizena e

104 Per gli introduttori delle frasi eccettuative in it.a., cf. Zennaro et al. (2010, 1115–1134). 105 Cf. Mazzoleni (2002; 2010); per una rassegna degli studi sull’argomento, si veda anche De Caprio (2010).

5.5 Sintassi e testualità  

 411

granda, e per suo rezimento la sola ligatura non basta, ma daye la cura cum li medicini a ley convenienti (5v12), se lo sangue serà meno che non se convene, la qual cosa se cognosce perché lo corpo è magro..., et alora lo loco è da fir nudrigato cum aqua calda (13v20), Avicena dice che zescaduno a chi vene evacuatione de sangue, e propriamente de le arterie, e superfluo, e si ge vene lo spasmo, ma la più parte si è mortale (19r23), se la sagitta serà ascosa in alcuno loco de lo corpo...e lo loco in lo quale essa è non sustene in tuto incisione per la contrarietade de alcuno membro nobile o de la vena o de la artaria, et alora è più conveniente a lasarla stare (20v35), ecc. §70. Note di testualità I trattati scientifici appartengono a una tipologia testuale che, seppur ricca di sfumature al suo interno, è anzitutto caratterizzata da un «vincolo interpretativo» abbastanza rigido tra emittente e destinatario, un vincolo che è fondato sul «criterio di vero/falso» ed è indirizzato a evitare ogni ragione di equivoco per chi legge (Sabatini 1999). Nello specifico della trattatistica medievale, è possibile osservare «una serie di connotazioni testuali e di caratteristiche di articolazione che travalicano generi, autori e a volte luoghi» (Aprile 2014, 84);106 il nostro volgarizzamento conferma la tendenza generale di un ricorso diffuso ad alcune strategie che appaiono ricorrenti nella letteratura scientifica dell’epoca, sia in volgare sia in latino: anche sul piano della testualità, infatti, si deve sempre tener presente il rapporto di vicinanza con l’originale di partenza, che, qui come altrove, riveste un ruolo decisivo. I capitoli della Chirurgia nel ms. MA 501, anche se spesso non separati tra loro dall’accapo, sono chiaramente segnalati al lettore dalle rispettive rubriche introduttive, sempre vergate con inchiostro rosso, e dal capolettera, rosso anch’esso. Le rubriche del testo latino sono conservate molto fedelmente: come ricordato in precedenza (cf. cap. 3.2), infatti, sono rare sia le omissioni, sia le innovazioni rispetto all’originale (nel libro II, cap. IV, De la predella in l’oregia e De l’aqua che caze in la oregia; De li apostemi che veneno in la codega de la testa nel cap. VII). Nella maggior parte dei casi, all’interno delle rubriche è indicata sinteticamente la diagnosi (solitamente espressa da un sintagma nominale sul tipo de + oggetto, corrispondente a quello latino, reso dal consueto de + abl. di argomento); accanto alla diagnosi possiamo trovare un’altrettanto sintetica anticipazione della terapia o dell’intervento chirurgico da compiere:

106 Per un’introduzione alla testualità nei testi scientifici medievali, cf. Dardano (1994, 520– 524), Librandi (2001 e 2004), Casapullo (2001 e 2004), Morgana/Piotti/Prada (2006), Musso (2006), De Roberto (2012a e 2017), Zarra (2018, 440–452).

412 

 5 Appunti linguistici

Tabella 15: Rubriche di capitolo. Capitulum I. De divisione et generalibus causis solutionis continuitatis

Capitulo primo de la divisione e generali casoni de la solutione de la continuitade (3r1)

Capitulum III. De summa et agregatione universalis curationis vulnerum quae fiunt in carne

Capitulo iijo de la summa et aggregatione de la curatione de li piagi e de li ulcerationi che fino fati in la carne (3v24)

Capitulum IV. De reductione intestinorum et zirbi et de vulnere quod accidit in intestino, necnon de regimine omni aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium

Capitulo iiijo de la reductione de li budelli e de lo zirbo, e de la piaga che vene in lo budello et in lo siphac e de lo regimento de li altri piagi passant a li interiori de lo corpo (7v6)

Capitulum V. Universale de summo curationis vulnerum nervorum

Capitulo vo de la suma de la curatione de li piagi de li nervi (9v1)

De vulneribus quae fiunt ex contusione

Capitulo viio de li piagi che veneno per bota (12v11)

Le unità testuali interne ai singoli capitoli, che potrebbero esser state individuate dal volgarizzatore (o comunque dall’allestitore del manoscritto), oppure dipendere già dall’antigrafo latino, sono a loro volta segnalate da un paraffo vergato in rosso: in tal modo, esse risultano facilmente riconoscibili come entità autonome. Riportiamo a mo’ d’esempio il cap. I del libro I :107 Poy che Amigo mio sufficientemente avemo ponuto lo prohemio, consequentemente cum lo adiutorio de Dio andarò a lo proposito principale, zoè a tractare li predicti capituli procedendo per ordine. §Dico adoncha che la solutione de la continuitade, la quale è infirmitade comuna, fi dita in doy modi, perché o che al’è sempia, o che al’è composita. E la sempia solutione de la continuitade è quella in la quale non è perditione de la substantia, et alora el corre in quella una sola maynera de passione, et cossì ha una intentione de la curatione, zoè la unione de li parti de la solutione. §E la solutione de la continuitade componuta è quella in la quale è perditione de la substantia, et alora correno in quella doy maynere de passione, et cossì ha doy intentione de curatione in sì, de li quali una è la unione de li parti soluti, la seconda è la generatione de la substantia perduta. §Le generale casone de la solutione de la continuitade sonno doy, de li quali una è intrinseca, l’altra è extrinseca. §La intrinseca venne per doy cossi, zoè per humore overo per ventositade. Perché lo humore alcuna volta rumpe la continuitade per la sua tropo grande quantitade, et alcuna volta per la sua qualitade distemperata fora de lo curso naturale, como è se la caliditade sia plù che non besognia, rompe per movimento de la sua grande ebulitione, o como la sicitade la quale fende la codega brusando e rarificando, o como la frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e cor107 I segni di paragrafo presenti nel manoscritto sono qui resi col simbolo §. Sull’importanza della segmentazione al fine di facilitare la consultazione di testi enciclopedici, si vedano in particolare le osservazioni di Casapullo (2001, 163–172).

5.5 Sintassi e testualità  

 413

rodendo. E la ventositade distende per la multitudine, e rompe per lo suo movimento. §E la casone extrinseca vene in doy modi, perché o che ala vene o per cadimento o per tropo exercicio, o per elevatione del grando pondo, e per simili cosi, como è per taliatura o per ruptura, overo che ala vene per alcuna cosa extrinseca rompendo incontinente lo corpo, como è lo ferro, la preta e simili cosi (3r3).

Nel passo citato si può notare la propensione a evidenziare le sottounità testuali dotate di una certa autonomia rispetto a quanto precede e a quanto segue all’interno del cotesto: così, per esempio, all’indicazione preliminare relativa alle due cause che provocano una solutione de la continuitade (Le generale casone de la solutione de la continuitade sonno doy, de li quali una è intrinseca, l’altra è extrinseca), si fanno seguire le due sottounità testuali incaricate di esplicitare rispettivamente la casone intrinseca e quella extrinseca, entrambe introdotte dalla ripetizione anaforica del termine chiave (La intrinseca venne...; E la casone extrinseca vene...). Va peraltro notato come tale struttura elencativa, frequente nel nostro volgarizzamento (dove, come al solito, essa dipende in larga parte dall’originale: cf. infra) e anche in molti testi coevi, riproduca «i modi espositivi della scolastica, fondati su divisiones e distinctiones», utili a «segmentare con maggiore evidenza la materia trattata, segnalando, con precisione, continuità e discontinuità» (Librandi 2004, 275).108 La struttura interna dei capitoli ricalca uno schema piuttosto canonico all’interno dei testi medici medievali (sia di medicina umana sia veterinaria),109 per quanto esso sia ricco di varianti e non riconducibile a classificazioni rigide: al titolo (a), che inquadra brevemente la diagnosi ed eventualmente lo scopo terapeutico, segue la descrizione più dettagliata della patologia e soprattutto dei sintomi con i quali essa si manifesta nell’organismo del paziente (b); la presentazione sintomatologica è di solito accompagnata da una trattazione eziologica (c), che può costituire un blocco a sé stante, ma anche essere fusa con la precedente: tramite essa s’illustrano le cause che provocano l’insorgere della patalogia appena descritta. Questi primi tre settori costituiscono nel complesso l’introduzione (1) del singolo capitolo o paragrafo. La parte più consistente del discorso è poi rappresentata, in genere, dal secondo dei due blocchi principali, destinato a illustrare la cura (2), e a sua volta fondato su una bipartizione piuttosto ricorrente: terapia o preparazione di medicamenti (d) e loro applicazione sul corpo del paziente (e), nei casi in cui a curare la patologia siano sufficienti 108 Si confrontino i due esempi, del tutto analoghi al nostro, riportati da Librandi (2004, 275) e provenienti rispettivamente dalla Metaura volgarizzata e da Bencivenni: «per due cagioni: l’una si è...L’altra cagione si è...»; «per due cagioni: l’una può essere questa...la seconda ragione si è questa...». 109 Cf. Aprile (2001, 64–65).

414 

 5 Appunti linguistici

i primi due instrumenta della medicina (dieta, potio), o al massimo un’operazione chirurgica di piccola entità; quando si è costretti, invece, a ricorrere alla chirurgia (il postremum instrumentum medicinae, come lo definisce Bruno), si descrivono le singole azioni da svolgere prima, durante e dopo l’intervento; in particolare, ai metodi da impiegare nell’operatio chirurgica (d2), tengono dietro i consigli terapeutici (di nuovo, quindi, medicamenti semplici o composti, e una dieta solitamente specificata di volta in volta) da adottare per consentire la completa guarigione del malato (e2). Anche le due fasi della cura possono rappresentare due microsequenze separate oppure essere accolte in una singola unità testuale. Presentiamo un paio di esempi per le due varianti suddette: Tabella 16: Struttura interna dei capitoli (a). 1) Introduzione

2) Cura

a) titolo

Capitulo vo de la suma de la curatione de li piagi de li nervi (9v)

b) diagnosi

Como diceno Galieno e li altri savij antiqui la solutione de la continuitade, zoè la piaga, in li nervi per lo grande sentimento e per la sua continuatione cum lo cervello comove tosto lo spasmo (9v)

c) trattazione eziologica

Et avegniadio che asay casoni siano per li quali lo spasmo fi facto in la piaga de li nervi, nientodimene questi sono maiori, zoè lo fredo, lo dolore e la putrefactione, perché ogni medicina frigida noce a li nervi, però ché la substantia de li nervi è frigida (9v)

d) terapia o Per la quale cosa el besognia che nuy salassemo lo infirmo preparazione senza consideratione de la virtude; e che nuy unzemo di medicamenti spesse volte lo collo, la copa, lo spinale, e soto li aselli cum oleo de camomilla o de lilio caldo...dovemo unzere e) applicazione simelmente lo pectine, zoè lo pectinaculo, e lo inguine che è sul paziente apresso lo membro occulto, però che questa unctione molto ne secura da lo spasmo (9v-10r)

Tabella 17: Struttura interna dei capitoli (b). 1) Introduzione

a) titolo

Capitulo xij del fluxo del sangue de la piaga (19r)

b) diagnosi

Manifesto è, e cossì dicono li auctori, che lo sangue vene fora da li veni grandi o pizeni dispersi in la carne (19r)

c) trattazione eziologica

E la casone de lo suo insire è, como dice Galieno, la incisione o la aperitura de la extremitade, overo la largatione de li porri, zoè de li busi pizeni... (19r)

5.5 Sintassi e testualità  

 415

Tabella 17 (continua) 2) Cura

d2) operazione chirurgica

E per quello el besognia che al fluxu de lo sangue presto se secora cum remedio. E lo modo de refrenare lo sangue si è che in prima lo membro se drizi in suso (19r)

e2) terapia successiva all’operazione

E poy la piaga fiza bene plena cum medicina che retegnia lo sangue, e fiza ligato de sopra...E questa è una de li medicini fazant cosi mirabili in refrenatione de lo sangue: Recipe de incenso bianchissimo viscoso... (19r)

Come rilevato da Librandi (2001, 102), nei testi scientifici medievali «la cornice [...] che racchiude ogni singolo capitolo prevede un numero molto limitato di possibilità, con la ripetizione di introduttori sempre uguali». Più in generale, la presentazione di nuovi topic o di loro sottoarticolazioni, anche all’interno di singoli capitoli, è contrassegnata dalla presenza di alcune tipologie caratteristiche di introduttori, talvolta anche coadiuvati da varie formule di valore anaforico o cataforico (cf. Librandi 2001, 102–105; Aprile 2014, 85):110 1) verba dicendi (spesso con l’accompagnamento della congiunzione adoncha, per la quale cf. infra):111 Dico adoncha che la solutione de la continuitade... (3r5), Dico adoncha che la vulneratione de lo pulmone fi cognoscuta... (11v35), Ma mi dirò in prima la differentia de li soy nominanzi, e poy mi procederò ordinatamente secondo li paroli de lo gloriosissimo Galieno, Avicena e de li altri antiqui autori. Dico adoncha che inter la medicina sigillativa e cicatrizativa... (14v11), Dico adoncha che li lacrimi fizeno in doy modi... (46v7), Dico adocha che quando advene flegmon, el non se passa (54r32), Dico adoncha che se la rotura vene in lo biguello, el besognia che... (64r10), Dico adoncha secondo la sententia de li antiqui che la casone... (70r23), ecc.;

2) allocuzioni al destinatario del tipo e nota che.../e sappi che... (quasi sempre in corrispondenza del corrispettivo lat. Et scias... nell’originale); va evidenziato, a tal riguardo, che la presenza di un interlocutore, al quale sono rivolti gli insegnamenti esposti, costituisce per lo più «una situazione discorsiva fittizia, un vero e proprio stereotipo» (Dardano 1994, 524): Et sapia, amigo, che in la curatione de la vulneratione (4r13), E nota anchora che la vulneratione de’ fir curata e mutata doy volti (5r14), E sapia che la ligatura fi facta in la vulneratione

110 Gli esempi sono tratti per buona parte dagli incipit dei capitoli o dei paragrafi che nel manoscritto sono anticipati da una rubrica. Tra le tipologie di introduttori indicati da Librandi (2001) non troviamo qui i segnalatori di avvio troviamo, vediamo, frequentemente usati da Restoro nella Composizione del mondo. 111 Cf. Casapullo (2004, 83), Zarra (2018, 450).

416 

 5 Appunti linguistici

per trey utilitade (5v3), E nota che quanto lo membro è più nobile e più delicato... (6r3), Et sapia che la piaga cavata, como dice Galieno, si ne demonstra non solamente simplice... (6v32), Et sapia che la medicina sutile se convene administrare (11r13), Et sapia che alcuna volta apreso la necessitade el fi resolvuto lo sofrano (14r26), Et ultra questo sapia che li corpi umidi sono como de li puti zoveni (16r35), E sapia che questi unguenti debeno fir administrati (18r27), E sapia che la aristologia longa se convene più in li ulcerationi (24r9), Et sapia che de li ulcerationi corosivi sono... (24r18), ecc.;

3) ripresa del noto e successiva anticipazione:112 Poy che Amigo mio sufficientemente avemo ponuto lo prohemio, consequentemente cum lo adiutorio de Dio andarò a lo proposito principale, zoè a tractare li predicti capituli (3r2), Avignadeo che sufficientemente avemo dicto de la curatione de li piagi e de li ulcerationi in lo suo loco, nientodemeno al me piase de venire a più lezera e più evidente noticia... (18r32), Avignadeo che al fiza facto memoria secondo lo complimento de la solutione de la continuitate in l’osso in lo capitulo de la rotura e dislogatione, niento de meno in questo loco non recuso de ponere de per sì lo tractato de la solutione de la continuitate... (31v4), Poy che mi, Bruno de Longo Burgo, a ti amico carissimo, ho completo sufficientemente in la prima parte de questo libro de la solutione de la continuitade...me propono cum la gratia de lo artorio de Dio de drizare lo meo corso a la cura de li altri infirmitade... (46r10), Avignadeo che li signi de la diversitade inter flegmon et erisipilla siano prediti, nientodemeno el è melio che li replicemo e melio li discernoma (55v29), ecc.;

4) menzione delle auctoritates: E como dice Aly in lo Comento, al besognia che li operatori de la cyrugia in primamente soliciti li logi in li quali enno li savij e pratici medici (1v27), Al dice Almansor che questi che fanno questa arte (2r8), Como dice Galieno et Avicenna, la solutione de la continuitade... (3r29), Al dice Galieno in lo Comento de li Pronosticationi che... (4v13), Como diceno Galieno e li altri savij antiqui la solutione de la continuitade, zoè la piaga... (9v2), El è da sapere che quello medesmo Galieno dice che... (12v32), Galieno dice che la sanitade, zoè la unitione, de li piagi fi tardata (13r1), Manifesto è, e cossì dicono li auctori, che lo sangue vene fora da li veni grandi o pizeni... (19r8), Al dice Galieno et Avicena che li ulcerationi fizeno generati per li piagi e corrupti apostemi (21v1), In la curatione de la combustione, zoè cotura, como dice Avicenna, in prima fino requiriti doy intentioni... (73r20), Spasmo, como dice Avicena, è una infirmitade nervosa per la quale se move li lacerti... (73v20), ecc.

Oltre ad essere uno degli strumenti più impiegati per introdurre nuovi topic, i richiami alle auctoritates del passato (sempre dipendenti dal testo latino e introdotti in volgare dalla congiunzione come, corrispondente a sicut o ut dell’originale: cf. §66) servono ad asseverare gli argomenti appena esposti, i quali

112 Si tratta del «modulo più diffuso della prosa coeva» (Librandi 2001, 104), «una formulazione ereditata dalla trattatistica mediolatina e da qui estesa a quella in volgare, indipendentemente dall’argomento di carattere morale, storico o scientifico» (ivi, 105).

5.5 Sintassi e testualità  

 417

possono così inserirsi di diritto in una tradizione scientifica considerata inoppugnabile. Di seguito una breve esemplificazione: – Dieta è lo primo instrumento de la medicina et è lo meliore rezimento, como dice Galieno in lo Comento del Regimento de li acuti (1v15) – Lo segondo rezimento è potione, cioè curatione, e tuti questi dice Galieno che... (1v20) – Le specie de la cyrugia generalmente sonno due, como dice Iohanicio (2r16) – Ma de li nervi e de li veni e de li arterij, zoè vene pulsante, como dice Avicena e alcuni medici, non se saneno per la via de la prima intentione (3v4) – la vulneratione non se porave saldare, perché, como dice Galieno, sanie overo puza è una specie de sale et è nitrosa (4v23) – forse che lo curso de lo sangue, discorando in la quantitate temperata, zova a li vulnerationi, como dice Avicena (4r31) – como dice Galieno, carne bona e perfecta non se può generare se... (5r6)

Il volgarizzamento, che nel complesso predilige un andamento paratattico e spesso polisindetico (cf. §59), presenta, poi, alcuni segnali discorsivi ricorrenti (in particolare i connettivi e con funzione essenzialmente demarcativa,113 adonca, ancora e ma non avversativo: cf. Aprile 2014, 85),114 che scandiscono il procedere dell’esposizione all’interno di unità omologhe, indicando soprattutto la successione di avvertimenti, indicazioni chirurgiche, consigli teraputici e descrizioni di sintomi o situazioni patologiche affini (cf. Tabella 18).115 Le numerose sezioni dedicate ai rimedi terapeutici e farmacologici presentano le caratteristiche tipiche dei ricettari, una tipologia testuale nella quale al patto comunicativo tra emittente e destinatario «si collegano l’impostazione prescrittiva, le allocuzioni al destinatario, la sottolineatura delle indicazioni» (Zarra 2018, 440). Più nello specifico, nei testi di ricette la dispositio consueta prevede la successione di tema (parte del corpo o infermità da trattare) e prescrizione (costituente il rema dell’enunciato), a sua volta articolata per lo più in due momenti: preparazione della ricetta (verbo direttivo + ingredienti) e sua applicazione (verbo direttivo + localizzazione), eventualmente seguita da una dichiarazione relativa all’efficacia della cura prescritta (cf. Dardano 1994, 521–522; Zarra 2018, 445–446). Nella Chirurgia di Bruno, come visto supra, il tema è sempre anticipato dalle rubriche principali ed è già ampiamente trattato, sotto il profilo diagnostico ed eziologico, nel prosieguo del capitolo. Nella quasi totalità dei casi, dunque, la ricetta è costituita dalla sola prescrizione: quest’ultima, peraltro, è in genere circoscritta alla 113 Segnale caratteristico della prosa media coeva: cf. Librandi (1995 I, 92). 114 In generale, «il connettivo e, all’interno di un gruppo omogeneo di informazioni, può assolvere a due diverse funzioni: segnalare la continuità tematica con quanto precede, o coordinare elementi che si situano allo stesso livello sintattico» (Casapullo 2004, 85). Per un’analisi dei connettivi in funzione argomentativa, cf. Telve (2000).

418 

 5 Appunti linguistici

Tabella 18: Segnali discorsivi ricorrenti.1 e

Adoncha reciva la sinceritade de la tua dilectione lo presente dono...E prima è da sapere che lo tractato de questo libro è diviso in doy parti (1r30), Cyrugia è operatione manuale in lo corpo de lo animale tendante a sanitate, overo, per dire più claramente, Cyrugia è ultimo instrumento de medicina. E li instrumenti de medicina sono trey (1v10); se nuy possemo curare lo homo cum dieta, non lo dovemo curare cum alcuna potione. E così dice Damasceno in li soy Amphorismi (1v17), Lo segondo rezimento è potione...se cum quella possemo removere la infirmitade, non dovemo andare a la cura. E lo terzo instrumento è cyrugia, como è dicto...E cyrugia fi dicta a cyros greco...E como dice Aly in lo Comento, al besognia che li operatori de la cyrugia... (1v22), la solutione de la continuitade, la quale è infirmitade comuna, fi dita in doy modi, perché o che al’è sempia, o che al’è composita. E la sempia solutione de la continuitade è quella in la quale non è perditione de la substantia...E la solutione de la continuitade componuta è quella... (3r6), Alcuni vulnerationi sono pizeni, alcuni mezani, alcuni grandi. Anchora fizeno facti in la sumitade de li membri, alcuni in la mediocritade, alcuni passeno a lo profundo. Et de questi alcuna volta enno cum diminutione, alcuna volta no. E de le vulneratione alcuni sonno apparenti, como sono quelle che fizeno facti cum instrumento la zima de lo quale va in largo, como è la spata e simili. Et alcuni sono la profunditate de li quali è occulta (3v26), ecc.

adonca

E le cose per li quali fi facta la vulneratione sono como tracto de preta, o ferita de spata...Adoncha la vulneratione è solutione, zoè rompimento, de la continuitade facta per tempo fresco (4r6), le quale superfluitade, como ello dice, nasceno per la fece de la tercia digestione, zoè paylire. Adoncha appare claramente per li predicti cossi che... (5r8), in questo loco se faza memoria de quella, zoè de lo regimento de la dieta. Adoncha da principio lo infirmo se guardi per nove dì da la repletione de lo vino (7r19), più conveniente si è che la ventositade se resolvi se al è possibile. Adoncha pone la sponga marina in l’aqua calda (7v23), in la mala carne cresuta niento se adopera la natura. Adoncha se ti voli tirare via quella, non aspetare lo adiutorio de la natura (14v13), al besognia che li emplastri e li unguenti siano secondo la propinquitade de la qualitade...Adoncha se la complexione de lo membro serà sicca... (15v11), non è necessario che la carne ge fiza generata, né anchora che la codega se saldi. Adoncha quelli piagi li quali fizeno dicti freschi e sanguinosa (16v23), ecc.

ancora115

lo ingenio naturale de lo medico aiuta l’arte e la natura rezante, lo contrario cum lo contrario. Anchora siano homini litterati (2r1), Alcuni vulnerationi sono pizeni, alcuni mezani, alcuni grandi. Anchora fizeno facti in la sumitade de li membri (3v26), fiza facta la putrefactione e lo dolore se mitigi. Anchora disseno li antiqui che se la piaga vene a li budelli grossi (8r31), E questo modo de cusitura cum formici è secondo la via de la fiducia, zoè de sanitade. Anchora [scil.: Albucasis] dice che... (8v21),

115 Nelle successioni di ricette (si veda l’ultimo esempio riportato) corrisponde al lat. item dell’originale: cf. infra.

5.5 Sintassi e testualità  

 419

Tabella 18 (continua) ogni medicina frigida noce a li nervi, però ché la substantia de li nervi è frigida. Anchora ogni dolore provoca la reuma (9v9), lo fredo à congelato et adunato li nervi como è dicto, e però elli marciscono per lo caldo e per lo humido. Anchora in nusuno modo non ge fizano administrati li cosi frigidi (10r20), La feza de la cera sola, overo cum un poco de euforbio, fizeno administrati alcuna volta. Anchora dice Galieno che la assa è bona (10v9), Anchora una altra medicina: Recipe asongia de porco deslenguata parte una, oleo parti v...Anchora una altra: Recipe de la melle parti iiij, de asungia parte j...Anchora la embrocatione è bona: zoè Recipe farina de orzo... (14r19), ecc. ma

Et è veramente componuto de li libri de li antichi doctori, la memoria de li quali è zà passata. Ma inanze che al se vegnia a lo proprio tractato... (1v4), Altra fi fata in li veni e simili cossi, le quale cossi enno differente in la contrarietade de le qualitate, zoè in mollicie e dureza, et anchora cum ogni operatione de cyrugia. Ma quella che fi fata in li membri molli fi divisa in trey modi... (2r20), quando l’apostema venne lì non se salda al postuto se in prima non se apadimi. Ma la administratione de li medicini fazando nascere la puza per questo se convene (4v2), fi facta la infiatura e lo apostema, per li quali se genera legeramente lo spasmo. Ma quando la putredine se aduna in la piaga de li nervi... (9v12), se per la piaga facta in la profunditade del peyto lo spirito, zoè lo fiato, vene fora... simelmente è mortale. Ma perché li medici ànno rasonati et anchora rasoneno de la vulneratione de lo pulmone, el besognia che anchora nuy disputemo un pocho (11v31), Anchora fizeno diversificati secondo la diversitade de li soy operationi, perché la operatione de la medicina incarnativa fi diversificata da la operatione de la cosa generativa de la carne...Ma mi dirò in prima la differentia de li soy nominanzi (14v5), la casone de lo suo insire è, como dice Galieno, la incisione o la aperitura de la extremitade, overo la largatione de li porri, zoè de li busi pizeni. Ma conciosiacosaché questo tractato proprio non sia de lo fluxo de lo sangue, eyo tractarò de quello che fi facto per solutione de la continuitade, zoè per la piaga. Ma al te besognia primamente considerare da quali veni fiza facto lo fluxo (19r9), ecc.

semplice preparazione del medicamento (con eventuale rivendicazione della sua efficacia), senza indicazioni relative all’applicazione (ricavabile comunque dai contesti, in cui si distingue di volta in volta tra unguenti, impiastri, polveri, ecc.): – Recipe succo de api, succo de ebulo, zoè de enula, vino, melle, asongia de porco, butiro, ana parti equali de tuti questi cosi, li quali tuti incorporati bene insiema tanto se coseno fina che se inspisseno (14r16) – Recipe farina de orzo cum aqua e cum melle e confinzelli (14r25) – Recipe asongia de porco deslenguata parte una, oleo parti v; e tanta farina de frumento che basti; meseda tuti questi cosi insiema et incorporelli bene; e poy, como è dicto de sopra, coselli a lo focho (14r16)

420 

 5 Appunti linguistici

– Recipe incenso, aloes, sangue de drago, sarcocola, ana, zoè equalmente, dramme iij... questa polvere mirabilmente opera (18r2) – Recipe fiore de ramo, melle pura, ana dramme j; e de quelli mesedati insiema fiza facta medicina (24r3) – fiza purgato cum questa medicina: Recipe de turbith parti ij; de polvere de zinziber parte j; de polvere de zucharo parte iij (26v35)

Soltanto di rado le singole ricette sono precedute da una breve rubrica introduttiva (per lo più in dipendenza dall’originale latino) indicante la patologia da contrastare per via farmaceutica: – Uno unguento da usare a removere lo brusore e caliditade de li piagi. Recipe litargiro sutilmente pulverizato once j; oleo rosato, aceto, ana once j .ſ.; in prima lo litargiro fiza bene trito cum lo aceto et oleo vesendivelmente, zoè mo l’uno, mo l’altro, fina che ello se infli... (18r5) – Unguento a removere la frigidità de li piagi. Recipe oleo de oliva dramme v; serapino, opoponago, ana dramme ijj; incenso, sarcocola, aristologia brusata... (18r13) – Unguento a removere la sicitade de li piagi. Recipe cera, oleo visco, e fizeno resolvesti, zoè deslenguati, parti equali de la pegola, e de quelli fiza facto unguento (18r20) – Unguento a removere la frigiditade e la sicitade de la piaga. Recipe litargiro trito once j; oleo rosato, aceto puro, melle, ana parti equali. El litargiro fiza ponuto in quelli cosi e fiza trito fina che doventi biancho e se infli... (18r23)

In molti casi, la rivendicazione di efficacia del rimedio proposto, espressa soprattutto per mezzo di aggettivi come buono e mirabile, anticipa cataforicamente l’elenco degli ingredienti: – de li medicini compositi è una medicina de Galieno mirabile, la quale mi ho zà provata, et è quella che fi facta de cera, de rasina, de euforbi, de pegola e de olio, e de zescadun de questi ge fiza metuta una parte e de l’olio doy parti (10v24) – E de li compositi el è molto mirabile quello unguento in lo quale se concorda insema Avicena et Almansor, e questo è: Recipe litargiro pulverizato el quale (23v16) – E de li compositi li quali noy solemo usare in li piagi, questa è bona medicina: Recipe succo de api, succo de ebulo, zoè de enula, vino, melle, asongia de porco, butiro... (14r15) – E de li oli el è bono oleo mirtino e rosato. E de li medicini compositi la medicina de Albucasis è de mirabile adunatione, è questo: Recipe incenso parte j; sangue de draco parte ij; calcina non extinta, zoè non morta, parti iij (17r4) – E questa è una de li medicini fazant cosi mirabili in refrenatione de lo sangue: Recipe de incenso bianchissimo viscoso, aloes, sangue de drago... (19v1) – E de li compositi questa è bona medicina e provata, zoè: Recipe dragaganti rosso dramme xxxviiij; calcina viva, alume, scorza de pomi granati (24v18)

La prescrizione si caratterizza anche per la regolare presenza dell’imperativo a inizio di periodo (è tipica, poi, come si è già ricordato, la conservazione in volgare del Recipe latino, formula che introduce l’elenco di ingredienti utili alla produzione del medicamento):

5.5 Sintassi e testualità  

 421

Recipe panno de lino lavato e bello e biancho, e tridello tanto che al fiza polvere; e poy tolle oleo de grande stipticitade como è oleo mirtino o rosato, e metello in quello un poco de galbano fina tanto che al se dissolva, zoè deslegui. E poy pone in quello lo panno pisto e de quello ne fa’ emplastro. E se ti voray che al operi più fortemente, azonzega un pocho de incenso e de aristologia brusata (17v20)

Talvolta la struttura prescrittiva del testo approda al vero e proprio elenco nella forma sintetica «indicazione della patologia > indicazione del rimedio», come avviene, ad esempio, nella lunga successione dedicata alle tipologie di cauterio da praticare a seconda della patologia (se ne riporta una sezione ridotta): Contra la epilensia fiza lo cauterio in la fontanella del collo in la extremitade de la parte de dreto de la testa. Contra la mania o la melancolia fiza lo cauterio in summo de la testa, e si vale a la micranea, zoè dolore de la testa de meza, et a la epilensia. Contra lo dolore longo che è portato longo tempo fiza lo cauterio sopra li doy corni; se ben al fiza fato in lo pos capister, e questi cotali cauterij se conveneno a la paralisia. Contra li lagrimi de li ogi fiza li cauterij in mezo de la testa... Contra la fistula che fi fata in la lacrimale de l’ogio, se la curatione de li medicini non ge zova, fiza la largatione primamente in lo suo passamento, e fiza intrometudo lo ferro fogato per la canella de ferro o de ramo fina che li radici de la fistula fizano brusati. Contra lo dolore de lo dosso e de li spali fiza lo cauterio per tri unci sotto lo dosso de sotto... Contra lo dolore del biguello e contra lo vicio de lo figato fa’ lo cauterio sopra quello (72v10)

Contrariamente a quanto si osserva di solito all’interno dei volgarizzamenti medici, l’avverbio item, che nell’originale latino scandisce la successione di ricette differenti (più specificamente nella forma item aliud), è qui regolarmente tradotto con ancora (cf. supra), che funge da elemento introduttore dei composti utili a una medesima patologia (al pari del lat. item): le ricette, pertanto, sono spesso introdotte da formule come anchora una altra (14r23), anchora una altra medicina (14r19), anchora una altra polvere (18r1), Anchora una altra più forte e più mirabile medicina (19v5), Anchora una altra che è molto mirabile (19v9), Anchora una altra medicina bona composita da Galieno (19v16), ecc. La coesione testuale è assicurata frequentemente, come si è già avuto modo di accennare, da espressioni anaforiche (fondate soprattutto sulla ripetizione lessicale, anche a brevissima distanza, e sui pronomi) e cataforiche, queste ultime particolarmente ricorrenti all’interno delle ricette (cf. supra). Se ne riporta uno specimen esemplificativo: – siano homini litterati, overo almancho impareno l’arte da quello che sia litterato; eyo penso che alcuno apena possi imparare questa arte senza littera. Ma al tempo presente li ydioti, cioè quelli che non sapeno niente e, che pezo è et più oribile cosa, vile femine e presumptuose fanno questa arte, et ànno usurpato e male usano quella. e nientodemeno credano, che non ànno arte né inzegnio. Al dice Almansor che questi che fanno questa arte per la maiore parte sonno ydiote (2r2)

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 5 Appunti linguistici

– E simelmente fizano administrati li medicini a generare la puza in li vulnerationi che fizeno facti per botta, e questo è perché questi vulnerationi sonno dolorosi e apostematosi (4r24) – la sua largatione e strinctura fiza facta como è dicto de sopra, e questa fi dicta ligatura da doy capi. E sapia che la ligatura fi facta in la vulneratione (5v1) – el ge vole etiamdeo dupia intentione de curatione. La prima intentione in la piaga cavata si è che...La seconda intentione si è che... (6v35) – quello ch’è stato perduto per la piaga non è altro se no la sola codega, alora da lo principio simelmente se convene la medicina stitica fina che in loco de la codega nasca la carne dura, perché, como dice Galieno, la materia de la codega si è lo sperma (7r7) – debi temere che al non fiza facto lo apostema caldo in quello loco, alora la tua intentione de la cura sia solamente in devedarla, perché, como è dicto, lo apostema non se salda may se lo apostema non reposi (7r24) – Li medicini...fizano diversificati secondo la diversitade de li soy nomi; perché alcuni fizeno dicti generativi de la carne, altri consolidativi overo sigillativi overo cicatrizativi, zoè che lasseno apparire lo signo de la piaga. Anchora fizeno diversificati secondo la diversitade de li soy operationi, perché la operatione de la medicina incarnativa fi diversificata da la operatione de la cosa generativa de la carne...Dico adoncha che inter la medicina sigillativa e cicatrizativa e consolidativa in tutto non è nusuna differentia; anchora inter la carnativa et conglutinativa, zoè unitiva, non g’è nusuna differentia. Ma differentia è inter la medicina generativa de la carne e consolidativa et incarnativa, e quale sia la sua differentia el firà notificato per la sua natura (14r35) – E perché la medicina incarnativa ha besognia de grande exiccatione e de pocha stipticitade, la medicina sigillativa ha besognia de maiore exiccatione e de multa stipticitade, perché al è necessario che ella recuperi la codega la quale è per natura de maiore exiccatione, exiccando la humiditade estranea e radicale grandamente (15r10) – Dico adoncha che li lacrimi fizeno in doy modi, lo primo si è da la casone de dentro, e l’altro da la casone de fora; da la casone de dentro como è da li humori aquosi descendenti da la testa a li ogi, ma da la casone de fora como è per alegreza o per ira e simili (47v7) – Recipe pegola navale, cera rossa, colofonia, ana dramme ij;... sangue de homo al to piasire; e confinzelo cossì...e poy lasa repossare l’aqua tri dì; e pos questo tolle li predicti cosi ben triti e crivellati e confecti cum lo predicto sangue, e mesedelli cum la dicta aqua in la caldera (65r1)

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B All’interno del cap. 3 si è provveduto a instaurare un confronto peliminare tra i testimoni volgari della Chirurgia in merito al diverso comportamento da essi palesato davanti al testo originale. Si sono osservati, nello specifico, i modi di procedere che emergono in alcune sezioni di particolare interesse nella prospettiva di uno studio comparato tra i vari volgarizzamenti: ci riferiamo anzitutto alle parti dell’opera che più facilmente sarebbero potute incorrere in interventi di decontestualizzazione o ricontestualizzazione del materiale originario (incipit, explicit, riferimenti a realtà localistiche e contingenti); accanto a queste, si è osservato il

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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diverso livello di instabilità riscontrabile in alcuni punti critici, tradizionalmente caratterizzati da una scarsa tenuta testuale (ricette, consigli terapeutici), concludendo con una panoramica dei più vistosi fenomeni di accrescimento e sottrazione del testo latino: interventi di siffatta natura costituiscono, ovviamente, gli aspetti traduttivi più immediatamente visibili nel passaggio dal latino al volgare, e coinvolgono i caratteri macrotestuali dell’opera. Qui di seguito, invece, allargando il campo rispetto a quanto fatto nei paragrafi precedenti, dedicati esclusivamente alla lingua del ms. B, si vuole porre l’attenzione sulle principali strategie di resa adottate dai volgarizzatori nella traduzione dei singoli tecnicismi latini, dunque sul piano specifico del lessico (affrontando anche tratti di sintassi laddove essi interessino direttamente la resa della terminologia medica). Analizzando in modo sintetico il trattamento del testo originale, cercheremo dunque di osservare in che modo le diverse traduzioni si collochino rispetto a quella «tensione fra divulgazione e specializzazione» nella quale «va ricercata, probabilmente, la specificità dei volgarizzamenti di argomento scientifico».116 Per la nostra indagine continueremo a basarci essenzialmente sui tre codici principali (R, V, B, prestando particolare attenzione a quest’ultimo), che fin dall’inizio abbiamo scelto come fulcro del presente lavoro, e che sono stati oggetto di uno spoglio lessicale sistematico, costituendo per questo le fondamenta del glossario sulla lingua volgare della Chirurgia magna (cap. 6). Va tenuto bene a mente quanto già ricordato nel cap. 3.3 sulla liceità di un confronto rigidamente inteso tra latino e volgare, il cui rapporto si basa in realtà su un fertile interscambio, fatto di strategie comunicative e tecniche di divulgazione comuni: di tali fenomeni, che, pur nelle loro singolari peculiarità, sono complessivamente validi per tutto l’universo medievale dei volgarizzamenti,117 abbiamo una conoscenza ancor oggi piuttosto frammentaria, che induce a una certa cautela interpretativa e al rifiuto di una separazione netta fra il testo originale e i suoi volgarizzamenti.

5.6.1 Tecniche di divulgazione La funzione essenziale dei volgarizzamenti (di là dal loro esatto collocamento nei canali di diffusione delle conoscenze mediche) era, ovviamente, quella di rendere accessibile agli ydioti le dottrine dei testi latini (si ricordino a tal riguardo le parole proemiali di Andrea Cirambello: «ti non abiando possuto studiare gramatica nì

116 Casapullo/Policardo (2003, 141). 117 Cf. Frosini (2014).

424 

 5 Appunti linguistici

altri scientij, possa diligentemente praticando intendere le rasone, le cure e generalmente tuta la pratica de quello sapientissimo Bruno»).118 Sarà dunque necessario muovere il primo passo della nostra analisi dalle glosse: una tale tecnica traduttiva, altamente ricorrente nella divulgazione del sapere antico, appartiene infatti, seppur in misura variabile in relazione ai singoli casi, all’intera letteratura scientifica in volgare, ed è parte integrante, com’è noto, anche dei volgarizzamenti più antichi, non necessariamente di stampo scientifico.119 Le glosse svolgono anche nelle nostre traduzioni un ruolo essenziale nel passaggio dal lessico cólto a quello volgare, e offrono «uno dei segnali più chiari del rapporto di prossimità/lontananza tra lingua comune e linguaggio tecnico/scientifico (Aprile 2014, 89). Pur nelle specificità dei singoli volgarizzamenti, esse costituiscono il più evidente punto di contatto tra terminologia cólta (latina, ma anche greca e araba) e terminologia popolare (la quale è talvolta decisamente localizzata dal punto di vista diatopico): com’è stato messo in rilievo da più parti,120 dunque, è soprattutto in queste pratiche di amplificazione che si coglie con immediatezza l’azione di raccordo tra i due distinti codici linguistici. Va preliminarmente chiarito che il ricorso alla glossa non è affatto un fenomeno estraneo ai testi di partenza: anche Bruno vi ricorre nel caso di voci che dovevano essere sentite come estranee alla cultura medica latina del suo tempo. Non va dimenticato, infatti, tanto più in un testo, come la Chirurgia magna, saldamente ancorato ai testi delle grandi auctoritates arabe e greche, come gli stessi autori medievali si trovassero a maneggiare un lessico tecnico non sempre perfettamente integrato nella terminologia latina, anche ai livelli scientifici più alti. Come prevedibile, si tratta esclusivamente di arabismi e grecismi (per lo più derivanti dal lessico chimico-farmaceutico), la cui accoglienza nel testo reca con sé la conseguente adozione del corrispettivo termine latino, introdotto quasi sempre dalla formula id est:121

118 Parti di questo paragrafo sono state già trattate in Ventura (2019), al quale si rinvia. 119 Per il ruolo delle glosse nei più antichi volgarizzamenti, cf. Segre (1963, 61). 120 Per la fenomenologia della glossa nei testi scientifici (e soprattutto medici) del Medioevo, si vedano, tra le ricerche più recenti, Barbato (2001b, 201–204), Dardano (1994, 513–514), Motolese (2004, 71–74), D’Anzi (2008; 2012, 250–254), Librandi (2018), Zarra (2018, 453–463). 121 D’ora in poi, nel trascrivere i passi provenienti dai mss. R, V e B non si segnalano più gli scioglimenti (come avvenuto, invece, nei capitoli precedenti).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 425

Tabella 19: Glosse nel testo latino. Hall (1957)

R

V

B

colcotar, id est vitreolum rubeum

*** (42v)

*** (21r)

*** (19v)

cotum, id est bombacem

*** (19r)

banbaxo (10r)

cotto, zoè lo bambasio, (37r)

colophonia, id est pix graeca

coloponia, cioè pece grecha (37v)

cholofonia, pegola greca (37v)

colofonia, zoè pegola greca (17r)

escara, id est crusta

crosta (59v)

eschara (25r)

escara, zoè la crusta (28r)

glutinum albotim, id est gummi cuiusdam albori

glutinum alboti, id est gummi d’alcuno arbore (37r)

glutino albutino, zoè goma de uno alboro (18r)

glutino, zoè colla lavata (16v)

merdasengi, id est litargirium

merdasengi, cioè litargirio (39r)

litragiro (19r)

litargiro (17v)

verderame

fiore de ramo (24r)

ziniar, id est flos aeris çimar, cioè fiori d’eris (51r)

Al netto dei persistenti dubbi filologici (dipendenza da antigrafi latini e volgari già distanziati dall’originale), che non consentono di formulare un’attribuzione sicura delle modifiche osservate, in quattro casi (tre arabismi e un grecismo) si osserva la tendenza a ridurre la glossa originaria a un unico elemento, rappresentato per lo più dal termine di origine latina (fa eccezione, nello specifico, l’accoglienza di eschara in V): un siffatto intervento appare di facile decifrazione, e sarà cioè dovuto all’immediata disponibilità, garantita dal testo originale, di un termine più comprensibile, atto perciò a sostituire quello che, al contrario, era già agli occhi di Bruno bisognoso di chiarimento. La rinuncia agli arabismi (conservati in R, ma in forme evidentemente non comprese e solo passivamente accolte)122 si riscontra talvolta anche in casi non soggetti a glossatura nell’originale (cf. glossario), laddove il volgarizzatore/copista disponga di una valida alternativa volgare.123 È indicativa, inoltre, la rinuncia di B al termine arabo mer-

122 In çimar, la m sarà un banale errore di lettura del copista per ni (indotto dalla tradizionale difficoltà di distinguere le scriptae formate da nasale + i). 123 Soprattutto nel lessico botanico, invece, la sopravvivenza degli arabismi nei nostri volgarizzamenti è ben attestata (cf. infra: cap. 5.6.2.), per quanto spesso contrassegnata da un’accoglienza solo passiva, come testimoniano le molte forme semicolte o quasi certamente frutto della scarsa comprensione di chi ha tradotto o copiato il testo.

426 

 5 Appunti linguistici

dasengi, cui è preferito il solo corrispettivo latino: in un primo momento, infatti (cf. cap. 3.1.3), si era iniziato a vergare lo stesso arabismo (merda de seg), ma la scripta è stata interrotta e depennata; in tale frangente, dunque, possediamo una prova tangibile tanto della presenza della glossa nell’antigrafo (latino o volgare) da cui dipende B, quanto dell’operazione semplificatrice del volgarizzatore/copista. Nel testo latino della Chirurgia le pratiche di glossatura, pur notevoli, restano nel complesso un fatto secondario; ben diversa è, com’è ovvio, la situazione dei volgarizzamenti, le cui istanze marcatamente divulgative dispongono un terreno fertilissimo per la proliferazione delle glosse, classificabili, seguendo una suddivisione invalsa, in almeno tre distinte categorie: lessicali, enciclopediche, etimologiche. a) glosse lessicali, perifrasi, «unità lessicali superiori» e altri mezzi di amplificazione Si offre di seguito un drappello esemplificativo di glosse lessicali (cf. Tabella 20). La categoria più abituale di glosse è rappresentata, come generalmente accade nei volgarizzamenti scientifici medievali, dalle glosse lessicali, nelle quali all’adattamento fonetico del tecnicismo latino (la cui conservazione denota un atteggiamento di particolare deferenza nei confronti dei cultismi originali) è accostato un singolo corrispettivo volgare. Qualche eccezione in tal senso si coglie nei rari casi in cui il termine latino è tradotto da un’endiadi di stampo più o meno tecnico, i cui due componenti sono entrambi indipendenti dal lemma di partenza: es. in ulceribus > nella carne, cioè nelle ferite antiche (R, 54r); calefactus > temperato, cioè un poco caldo (R, 22v); sectio > divisione, overo incisione (B, 3v), eminentia > grosseza, over elevatione (B, 43r). Abbastanza rari (soltanto V ne conserva un numero ragguardevole) sono anche i casi d’inversione tra glossa e lemma di partenza, nei quali quest’ultimo segue l’elemento introduttore: iunctura > chiavatura, overo giuntura (R, 96r); virus > aquaregna, zoè virus (V, 22v); cranei > de l’osso de la testa, zoè del chraneo (V, 31r); solatrum > uva chanina, zoè el solatro (V, 15v); eminentia > inflatura, zoè eminentia: (B, 65v). Il collegamento tra cultismo e glossa (nelle glosse lessicali, così come in quelle etimologiche ed enciclopediche) è quasi sempre garantito da un «operatore di equivalenza» (Barbato 2001b, 201) o «operatore di definizione» (Librandi 2018, 1095) che nei nostri volgarizzamenti è di solito rappresentato da ┌cioè┐,124 diretto continua124 Cf. Librandi (2018, 1097): «il connettivo cioè ritorna con frequenza altissima nella trattatistica e nei commentari, mentre, come è forse facile attendersi, trova molto meno spazio nella narrativa».

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 427

Tabella 20: Glosse lessicale nei volgarizzamenti. R

V

B

adipibus > adipibus, cioè grasso (138v) ani > del’ani, cioè del fondamento di sotto dell’uomo o della femmina (128v) balaustiae > ballaustrie, cioè fiori di melegrane (40r) calefactus > temperato, cioè un poco caldo (22v) calx viva > calcis vive, cioè none spenta (62r) De emoroydibus > Degli omoreci, cioè moreci (154r) iunctura > chiavatura, overo giuntura (96r) oleum visci > olei visci, cioè vescovo (39v) sinapis > sinapin, cioè senape (134r)

abstergit > si asterze, over forbe (16r) alterata > alterada, zoè sferdida (7v) amigdala > amidolla, zoè l’apostumeta (49v) apostemosae > apasionade, zoè apostumade (5v) colera nigra > chollora negra, over de mellenconia (54v) conglutinativa > conglutinative, zoè conzontive (16r) cum succo solatri > chon sugo de sollatro, zoè uva chanina (14v) dislocatio > deslusadura, zoè deslongatura (43r) evomat > vomirà, zoè arenderà (41r) ex contusione > per contuxione, zoè per machadura (19v) exitura > situra, zoè la postumacione (55r) humerus > umero, zoè a dir della spala (41r) inguinibus > in le anguinaie, zoè a le chosse (55v) medicina sicca > medexina secca, zoè desechativa (17r) oleum rosatum > olio roxado, over de smartela (18v) solvente > la qual...solve, zoè parte (4v) sordities > sordizes, zoè marza (22v) subascella > subasella, zò i schai (11v) virus > aquaregna, zoè virus (22v) zirbus > zirbo, zoè la rede (3v)

aptatio > aptatione, zoè conzamento (6v) assiduatio > assiduatione, zoè apositione (8v) cauterizatio > cauterizatione, zoè squetamento(10r) congeletur > conzeli, zoè aduni (7v) contusio > contussione, zoè botti (2v) digestio > digestione, zoè paylire (5r) dorsum > dosso, zoè spinale (7v) embrocatio > embrocatione, zoè infusione (11r) opillant > opileno, zoè sereno (10r) orobus > orobo, zoè roveya (11r) pecten > pectine, zoè lo pectinaculo (10r) profunditas > profunditade, zoè concavitade (8v) putrefactio > putrefactione, zoè puzura (6r) reuma > reuma, zoè lo humore (9v) sanies > sanie, zoè la marza (5v, 6r, 9r e passim) scarificatio > scarificatione, zoè ventosatione (2r) sectio > sectione, zoè partitura (2r) solutio continuitatis > solutione, zoè rompimento, de la continuitade (4r) ulcera > ulceri, zoè piagi mal curati (2v) vinus ponticus > vino pontico, zoè bruscho (8r)

428 

 5 Appunti linguistici

tore, come visto poco fa, dell’id est latino; più raramente si ha la congiunzione ┌ ovvero┐, usata ovviamente nel suo valore esplicativo (rarissima l’adozione di o; es. via, o tana: B, 27v).125 Il ms. V mostra una variante d’interesse: se nelle glosse lessicali sembra ricorrere sempre al tradizionale zoè, e in qualche caso a over, nelle perifrasi (cf. infra) affianca una differente strategia ai consueti introduttori: la connessione, infatti, avviene per lo più attraverso un semplice inciso, sintatticamente slegato dal resto del periodo e solitamente collocato in chiusura del periodo stesso, con ripresa anaforica del termine glossato (es. ulcus > ulzera..., ulzera si è a dir la plaga putrida e antiga: 4r; basilica > baxilicha..., baxillicha si è a dir la vena del figado: 5r; syphac > sifac, el si è uno panichollo che choverze le budelle: 9v; mirac > mirac, si è la pelle de fuora dal chorpo del ventre de mirac: 9v; ecc.: il ruolo di introduttore, in questi casi, è svolto proprio dalla forma verbale si è). Ci si può ovviamente chiedere, sapendo però di non poter giungere a una risposta certa, data anche l’assenza (al momento) di testimoni imparentati con V, se si tratti di un’effettiva strategia di traduzione del volgarizzatore, o se non sia, invece, il risultato della semplice accoglienza nel testo, a partire da un certo momento della tradizione, di glosse inizialmente poste a margine di un antigrafo alla base del ms. V. Il ms. R si muove in netta controtendenza e mostra una proprensione scarsissima all’uso delle glosse rispetto a quanto accade in V e B, dove esse rappresentano, al contrario, uno strumento di traduzione frequentissimo; soprattutto il ms. B ne fa un uso parossistico, che si riflette in almeno due aspetti distinti: a) la ripetizione costante di una medesima glossa in corrispondenza di voci già introdotte e glossate in punti precedenti del testo. A c. 2r, ad esempio, la glossa scarificatione, zoè ventosatione ricorre due volte a brevissima distanza; si hanno poi ben 15 attestazioni della glossa sanie, zoè la marza in corrispondenza del lat. sanies: un’adozione così reiterata, se da un lato dimostra la scelta sistematica del volgarizzatore e la sua cura adottata nel realizzare la traduzione (quasi a voler fornire al destinatario un manuale di chirurgia accessibile in ogni sua minima parte), dall’altro potrebbe essere un segnale di una fruizione essenzialmente desultoria del volgarizzamento, delegato perciò a contenere in ogni suo passaggio tutte le informazioni utili a una perfetta comprensione del contenuto, anche quando queste siano già state esplicitate poco prima;

125 Per una descrizione morfologica delle varie tipologie di glosse lessicali, cf. Pollidori (1998, 93–118).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 429

b) l’apposizione di glosse in corrispondenza anche di termini estranei al lessico medico o,126 tutt’al più, di voci del lessico comune alle quali si attribuisce già in latino un valore essenzialmente tecnico. Ne traggo degli esempi dalle prime carte del codice: ydiotae > ydioti, zoè non litterati (1r) mollicies > mollice, zoè dolceza (3v) telum > tello, zoè la giavarina (3v) figura > figura, zoè ligatura (6v) stuellus > stuello, zoè lo stupino (6v) sine prolixitate sermonis > senza prolixitate, zoè senza longeza de parlare (7v) sine molestia > senza molestia, zoè senza graveza (7v) suspendatur > fiza suspeso, zoè apicato (7v) extremitas > la extremitade, zoè la zima (8r) si id negligatur > se questo se lassi, zoè se ti indusij (8r) tardae incarnationis > tarda, zoè longa, incarnatione (8r) in inferiori parte > in la parte inferiore, zoè de sotto (8r) declinatio > declinatione, zoè plegamento (8r) profunda > profunda, zoè alta (12r) procedunt > procedeno, zoè vadeno inanzi (13r) cum facilitate > con facilitade, zoè legereza (13v) Una tale propensione divulgativa corrobora la tendenza, altrettanto frequente soprattutto in B, ad apporre glosse anche per i termini specialistici di più ampia circolazione, il cui significato doveva essere ormai noto anche negli ambienti volgari, tanto più alla metà del Quattrocento: a tal riguardo, si pensi a formule come potione, cioè curatione (B, 1v: dove la glossa consiste, peraltro, in un sostantivo molto generico e non strettamente riferibile al designatum latino) o interiori, zoè budelli (8v). Nell’àmbito delle amplificazioni operate sul lessico comune, va poi rilevato qualche caso in cui l’intervento chiarificatore non riguarda un tecnicismo specifico, bensì il messaggio trasmesso da un intero periodo o comunque da una

126 Un atteggiamento non estraneo a V: propriam > propie, zoè prospere (2v); accessus > el so andamento, zoè la soa intencion (2r); causis > li chaxi, zoè la chaxone; depresso loco > in lo loco pì pendente, zoè in lo profondo (8r), loco > in quello loco, zoè in quello spacio (8r), pulsus cordis > tremore del chuore, zoè del chorpo (54r), ecc.

430 

 5 Appunti linguistici

parte sostanziosa di esso: la glossa serve allora a rendere evidenti informazioni implicite, non direttamente contenute nell’originale, o a ribadire quanto esposto subito prima. Il rafforzamento della connessione e della coerenza testuale, alle quali si mira tramite aggiunte e rimandi interni alla frase, rappresenta uno strumento di comprensione e contemporaneamente di interpretazione attiva del messaggio informativo da parte del traduttore.127 L’amplificazione finisce dunque per assumere spesso un pieno valore anaforico: Tabella 21: Amplificazioni con valore anaforico. Hall (1957)

B

Si vero contrarium accidat, necesse est ut ventositas illa resolvatur

Ma s’el vegnia lo contrario, zoè che lo medego non sia presente, el è necessario che quella ventositade se resolvi (7v)

per formam eiusdem malam

per la sua mala forma, zoè che lo corpo pare smagrato (13r)

non oportet ut operetur nisi in superficie amborum

non besognia che la operi se no in la superficie de tuti doy, zoè inter doy labri fina a lo profundo (14v)

indiget ut currat ad ipsum materia

quello ge besognia, zoè la temperata mondificatione, azò che la materia corra a quella (14v)

ut sorditiem abstergat absque mordicatione, quoniam mordicatio est contraria eius intentioni

senza abstersione, zoè extirpatione de la rosata e de lo sangue, perché la abstersione è contraria a la sua intentione, zoè a la incarnatione o conservatione de la rosata (14v)

Le brevi addizioni al testo non mancano neppure nei mss. R e V, dove esse compaiono comunque in modo più saltuario. Ne traggo, anche da questi due codici, alcuni esempi che ben si prestano a mostrare la volontà del volgarizzatore di conferire all’informazione il massimo grado possibile di esplicitezza:

127 Cf. Barbato (2001b, 203–204). Per un’introduzione ai concetti di «connessione» e «coerenza», cf. De Beaugrande-Dressler (1984, 17–18), Palermo (2013, 189–192), Dardano (2017, 105–106).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 431

Tabella 22: Amplificazioni con finalità esplicative (a). Hall (1957)

R

sunt quorum profunditas est occulta

quelle che non sono in apparenza, cioè che sono profondo e nascose (6v)

Et si fuerint ulcera putrida, quibus acuta non convenit medicina, ignis administrandus est

E s’elle fosse puzzolente antica, cioè che fusse ferita che facesse puzza, nele quagli le medicine agute non bisongnano, [è] d’aparecchiare la medicina da ffuoco (41r)

Tabella 23: Amplificazioni con finalità esplicative (b).128 Hall (1957)

V

cave ne pertranseas modum istius quantitatis guarda che tu non pasi lo modo in quantitade, in fomentatione, quoniam attrahetur multa zoè che tu die uxar queste medexine materia cum nocumento ad membrum sollamente tanto che tu deschaci l’azidente, perché che tu lavasi lo menbro più che non n’è bexogno, tu troverai che molta materia se trazerave a lo logo zoè al menbro e faravelli noximento (14v) in omnibus vulneribus et ulceribus universaliter a principio usque ad finem desiccativa sunt necessaria

Adoncha io digo che in tute le piage universalmente dal chomenzamento fina a la fine, zoè quando le piage è per zichatrizare [desiccativa sunt necessaria]128 (19v)

Qualche volta i corrispondenti volgari restituiti dalle glosse lessicali non sono lessemi singoli, adottati dunque come sinonimi popolari dei cultismi, bensì brevi perifrasi nominali costituite, nelle forme più semplici, dalla successione sostantivo + genitivo, sostantivo + aggettivo; con una struttura leggermente più complessa, invece, essa è per lo più distribuita all’interno di una breve proposizione relativa. Le perifrasi rappresentano uno strumento essenziale per glossare o direttamente per tradurre (cf. infra) i tecnicismi di partenza: in entrambi i casi, esse rispondono a una necessità di semplificazione e di maggiore comunicabilità dei contenuti. È necessaria, però, un’importante distinzione preliminare: da un lato, infatti, le perifrasi possono costituire locuzioni ben codificate,

128 Manca la frase principale, che ricostruiamo apponendo il corrispondente passo latino.

432 

 5 Appunti linguistici

sono cioè dei veri e propri sintagmi, capaci di rimpiazzare a pieno il designatum latino; dall’altro lato, invece, si ha a che fare con locuzioni molto generiche, che pur apportando informazioni supplementari sul lemma cólto, non sempre ne definiscono i confini semantici in modo univoco. Del primo gruppo fa parte, ad esempio, una perifrasi come dyafragma, zoè lo panno del core (B, 2r), dove l’apposizione del genitivo del core permette d’individuare in modo puntuale il singolo elemento anatomico (panno ‘membrana’); un’analoga situazione si osserva in sperma, zoè la somenza de l’omo (B, 7r), zirbo, zoè la grassa de li budelli (B, 8r), arterij, zoè vene pulsante (B, 3v), osso de la testa, zoè chraneo (V, 31r), con posposizione del lemma dotto, baxillicha si è a dir la vena del figado (V, 5r), ecc. Ci troviamo, perciò, davanti a sintagmi parzialmente o totalmente lessicalizzati, il cui livello di fissazione nella lingua medica medievale andrà valutato caso per caso, conducendo dei riscontri con gli studi precedenti e con i corpora digitali (come si è fatto, nel nostro lavoro, per le perifrasi di questo tipo accolte nel glossario). È chiaro, in ogni caso, come almeno alcune di tali glosse detengano una dimensione assimilabile a quella di certi sintagmi nei quali l’aggiunta di un determinante ha consentito il passaggio allo status di veri e propri tecnicismi (pienamente lessicalizzati);129 non a caso, questi sono impiegati per sostituire il termine di partenza: è quanto accade per il lat. thorax, reso in B (c. 8v) come arca del peyto, laddove in V (c. 10r), l’analogo sintagma fondi del peti è adottato con funzione di glossa (toraze, zoè fondi del peti), a ulteriore riprova, però, che l’unica differenza tra i due interventi traduttivi sembra talvolta risiedere nell’eliminazione o meno del lemma originario (e nella conseguente rinuncia all’elemento introduttore). Ben diverso è l’atteggiamento che si riscontra, soprattutto nel ms. B, per glosse come siphac, zoè uno paniculo de dentro (2v), dyafragma, zoè quello paniculo de dentro (8r), adiutorio, zoè l’osso del brazo (40r), Tegni, zoè quello libro che a xì nome (5v), zirbo, zoè quello panniculo de li budelli (11v), prepucio, zoè... la parte de lo membro de l’homo (68r), ecc. Perifrasi di questo genere, costruite tramite il ricorso a un elemento esplicativo iperonimico, piuttosto vago rispetto al concreto designatum latino, richiedono di fatto la permanenza del cultismo (di per sé, come detto, quasi sempre conservato, anche laddove il volgare offra una forma sostitutiva più concreta) per restituire una certa completezza e univocità d’informazione: a esse si potrebbe perciò applicare l’etichetta, per quanto tautologica, di «glosse esplicative» (riadattando quella di «perifrasi esplicative»

129 Cf. D’Anzi (2011, 215).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 433

usata da Sboarina 2000, 160),130 così da metterne in rilievo una funzione chiarificatrice che non poggia su sintagmi più o meno lessicalizzati, bensì su perifrasi di tipo essenzialmente descrittivo, vòlte a esplicitare in modo succinto, e spesso solo generico, il senso di termini complessi o poco noti. Tali glosse, dunque, si muovono da un lato nella direzione delle glosse lessicali, con le quali condividono il principio della sinteticità, dall’altro con quelle enciclopediche (cf. infra), con cui hanno in comune il principio descrittivo-espositivo e lo scarso (o inesistente) grado di lessicalizzazione. In alternativa alle perifrasi, poi, una glossa della stessa tipologia può anche fondarsi su un lessema unico, spesso introdotto da un dimostrativo anaforico e dal verbo essere in coordinazione: tale lessema, però, si differenzia a sua volta dalle glosse lessicali vere e proprie per il suo carattere iperonimico e semanticamente non coincidente in modo puntuale con il significato della voce dotta. È il caso, citato poco sopra, di potione, zoè curatione; analogamente, nell’elenco sottostante: dyapenidion, e questa è una confectione (B, 9r); dyadraganti, zoè una altra confectione (B, 9r); zirbi, zoè uno paniculo (B, 2v), zirbi, zoè quello paniculo (B, 64r). Si tratta comunque, in entrambi i casi appena visti (brevi perifrasi o lessemi singoli di carattere iperonimico), di soluzioni traduttive di rilievo, il cui uso denota l’assenza, almeno nell’universo lessicale del singolo traduttore, di un corrispettivo termine volgare in grado di sostituire il tecnicismo di partenza attraverso un rapporto 1:1, tanto sul piano sintattico quanto su quello semantico. La mancanza di una piena coincidenza tra voce cólta e traducente si coglie con immediatezza nel caso di lemmi particolarmente tecnici, che inducono all’adozione di perifrasi più ampie, collocabili al confine con le glosse enciclopediche: nausea, zoè appetito de butare suso e non buta (B, 11v), cicatrizativi, zoè che lasseno apparire lo signo de la piaga (B, 14r), abstersione, zoè extirpatione de la rosata e de lo sangue (B, 14v), poro sarchoides, poro sarchoides si è lo ligamento chreado da la natura a zonzer insenbre le osse rote (V, 4v). Delle glosse perifrastiche nelle due tipologie appena presentate si offre di seguito uno specimen; particolarmente consistente, soprattutto se paragonato agli altri due testimoni, è anche in tal caso la rappresentanza offerta dal ms. B:

130 Siamo nel campo delle glosse che Pollidori (1998, 98) definisce (nei volgarizzamenti della Bibbia) «analitico-perifrastiche», nelle quali, cioè, «il significato del termine della lingua di partenza viene spiegato attraverso una proposizione, una frase che può far ricorso ai diversi statuti della definizione (sinonimico, analitico, iponimico, iperonimico)»; cf. anche Pierno (2017, 184). La stessa Sboarina (2000, 160) mette inoltre in evidenza, accanto agli iperonimi, anche il caso opposto delle «iperspecificazioni».

434 

 5 Appunti linguistici

Tabella 24: Glosse perifrastiche. R

V

B

anus > ano, cioè fondamento di sotto dell’uomo o della femmina (102r) balaustia > ballaustria, cioè fiori di mele grane (39v) bubo > bubo, cioè bolle dolorose (131v) balaustia > ballaustria, cioè fiori di mele grane (39v)

barbulatae > barbude, zoè ch’à dò barbolle (21r) de emoroydibus > de le maroede, zoè son V vene le qual son atorno al zerchio del chullo (44v) mirac > mirac, si è la pelle de fuora dal chorpo del ventre (9v) porus sarcoydes > poro sarchoides, poro sarchoides si è lo ligamento chreado da la natura a zonzer insenbre le osse rote (4v) porus sarcoydes > poro sarchoidos, si è charne che conzonze l’uno osso con l’altro (34r) sifac > sifac, el si è uno panichollo che choverze le budelle (9v) ulcus > ulzera..., ulzera si è a dir la plaga putrida e antiga (4r)

abstersio > abstersione, zoè extirpatione de la rosata e de lo sangue (14v) adiutorium > adiutorio, zoè l’osso del brazo (40r) arteriae > arterij, zoè vene pulsante (3v) cartillago > cartilagine, zoè l’osso tenero (3v) cicatrizativa > cicatrizativi, zoè che lasseno apparire lo signo de la piaga (14r) diadragantum > dyadraganti, zoè una altra confectione (9r) diafragma > dyafragma, zoè panno del core (2r)/ dyafragma, zoè quello paniculo de dentro (9r) diapenidion > dyapenidion, e questa è una confectione (9r); mirac > mirac, zoè quella parte de dentro che è appresso a lo pectinaculo» (8r) nausea > nausea, zoè appetito de butare suso e non buta (11v) pori > pori, zoè li busi pizini de la pelle (10r)/busi pizini de la pelle (12v)/busi pizinini della pelle (14r) saniosus > sanioso, zoè pieno de marza (15r) syphac > siphac, zoè uno paniculo de dentro (2v)/siphac, zoè lo panniculo che è apresso li budelli (8r) Tegni > Tegni, zoè quello libro che a xì nome (5v) vinus ponticus > vino pontico, zoè de plano (7r) zirbus > zirbo, zoè la grassa de li budelli (8r)/ zirbi, zoè uno paniculo (2v)/zirbo, zoè quello panniculo de li budelli (11v)/zirbi, zoè quello paniculo (64r)

Le voci latine oggetto di glossa nei volgarizzamenti possono essere già, esse stesse, delle forme polirematiche, per lo più ad alto grado di lessicalizzazione: si tratta, dunque, di sintagmi rientranti nel gruppo delle cosiddette «unità lessicali superiori» (Dardano 1994, 498), o «phrasal terms» (Adams 1995, 353),131 cioè unità sintattiche e semantiche solitamente raggruppabili in due categorie prin-

131 La formula di Adams (1995) si riferisce nello specifico alla presenza del fenomeno all’interno dei testi latini.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 435

cipali: a) sostantivo + aggettivo; b) sostantivo + genitivo. Nel caso in cui tali polirematiche appartengano già al testo latino (come avviene in un gran numero di casi), il traduttore può apporre la sua glossa soltanto a uno dei due componenti (quello più tecnico dei due; solutio continuitatis > solutione, zoè rompimento, de la continuitade: B, 4r; extremitates vulneris > extremitade, zoè li cantoni, de la piaga: B, 5v; ultima subtiliatione > de ultima, zoè grande, subtiliatione: B, 9v; vulnera lacertosa > piagi lacertosi, zoè de li bludoni: B, 11v; solutio ventris > solutione, zoè purgatione de lo ventro: B, 12r); oppure a entrambi (extremitates lacertorum > extremitade, zoè la zima, de li lacerti, zoè de li brazi: B, 12r; tunica uvea > tunica, zoè pelle, uvea, zoè cornea: B, 48r; ecc.). Più di rado, invece, un unico lessema funge da glossa dell’intera polirematica (solutio continuitatis: solutione de la continuitade, zoè la piaga: B, 9v; solucion de chontinuitade..., zoè la plaga: V, 4v), apportando una maggiore concretezza, ma contemporaneamente un minor grado di scientificità sul piano dell’espressione. È una situazione del tutto analoga a quella posta in luce da Casapullo (2011, 22) in Belcalzer: si tratta, cioè, di «un passaggio che potremmo definire come lo slittamento dal sottocodice del linguaggio scientifico al linguaggio comune, dal tecnicismo all’espressione generica e non connotata». Sarà qui utile aprire una parentesi sulla particolare categoria delle «unità lessicali superiori»: come già emerso in diversi studi sulla lingua volgare della medicina,132 esse rappresentano uno strumento di traduzione e di glossatura molto ricorrente, e rispondono a loro volta alle esigenze divulgative dei volgarizzamenti; i mss. R, V e B, pur con percentuali differenti, confermano ampiamente questa tendenza. Nel presentarne un congruo gruppo di esempi, sarà necessario anzitutto distinguere tra quelle la cui struttura polirematica dipende già dal latino (i), e quelle che, al contrario, costituiscono un’innovazione rispetto al lessema di partenza (ii): 1. sostantivo + genitivo:133 (i) albugo oculi > albugine dell’occhio (R, 108r), biancho de l’ogio (V, 47r), ~ (B, 49r); albumen oculi > biancheçça dell’occhio (R, 106v), biancho de l’ochio (V, 46r), biancho de l’ogio (B, 48r); bursa testiculorum > borsa de li choioni (V, 62v), borsa de li testiculi (B, 66r); circuitus ani > cerchio del fondamento (R, 154r), circuito de lo culo (B, 68v), zirchulo del chullo (V, 65r); collum vesicae > chollo de la vesicha (V, 66r), collo de la vesica (B, 60r), collo della vescica (R, 159v); cornu capitis > corno di capo 132 Per una casistica di «unità lessicali superiori» nei testi medici volgari, cf. Aprile (2001b, 67–68), Giovanardi (2006, 2197), D’Anzi (2008, 143), Aprile (2014, 91–92), Zarra (2018, 471). 133 Qui e più sotto, il numero della carta si riferisce alla prima occorrenza rintracciabile nel singolo codice.

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 5 Appunti linguistici

(R, 169r), chorno del chullo (V, 68v); dolor capitis > dolore del capo (R, 92v), dolore de la testa (B, 42v), mal de chavo (V, 41r); fontanella colli > fontana del chullo de driedo (V, 68v), fontanella del collo (R, 168v), ~ (B, 72v); foramen auris > buso de la oregia (B, 54r), buxo de la horechia (V, 51v); foramen dentis > buso del dente (B, 51r), buxo del dente/forame del dente (V, 48v), forame de’ denti (R, 113r); foramen oculi > buso de l’ogio (B, 49r); margo ani > budelo del chullo (V, 65v), margine del culo (B, 69r), margine del fondamento (R, 156r); meatus virgae > andamento de la verga/buxo de la verga (V, 65v/67v), meato della verga (R, 156r), passamento de la virga/via de la virga (B, 69r/71v); nodus caudae > nodo de la cova (B, 69r), nodo caude (R, 156r);134 nodus pedis > nodo del pe’ (V, 68v), nodo del piede (R, 170v), nodo de lo pede (B, 73r); orificium fistulae > buso de la fistula (B, 27v), orificio della fistola (R, 59r); os vesicae > bocha de la vesicha (B, 71r), chollo de la vesica (V, 67r); ossa capitis > ossa del capo/osso del capo (R, 70r), osso de la testa/ossi de la testa (B, 32v), osso del chavo/osso de la testa (V, 32v); passio labiorum > pasion delli labri (V, 44r), passione delle labra (R, 111v), passioni de li labri (B, 46r); passiones oculorum > pasion di ochi (V, 44r), passioni de li ogi (B, 46r); pulsus cordis > batimento del core (B, 55r), tremore del chuore (V, 54r).135 (ii) anus > fondamento della persona/fondo della persona (R, 154v/129v), arteria > vena pulsante (B, 3v); artetica > dolore de gotta/dolore de zonturi (B, 73r); cerebrum > substantia de crappa (B, 32v), sustancia del chraneo (V, 32r); cervix > chullo de driedo (V, 46v); craneum > osso de la testa (V, 4r); diafragma > panno del core (B, 2r); emorosagia  > fluxo de lo sangue (B, 4v), fluxo del sangue (V, 6r); meatus urinales > via de la urina (B, 70v); naris > buso de lo naso (B, 53v); pupilla > lume de l’ogio (B, 47v); sincopis > perditione del core (B, 19r); spina > spinal della schena (V, 69v); spondilium > nodo de lo spinale (B, 44v); thorax > arca del peyto (B, 8v), fondi del peti (V, 10r); tunica cornea > tonica della cornea (R, 109v); uvea > concavitade de l’ogio (B, 47r), vena basilica > vena del figado (V, 5r); vena cephalica > vena de la testa (B, 51v), vena del capo (R, 106r); virilia > membri de l’omo (B, 68r); zirbus > grassa de li budelli/panniculo de li budelli (B, 8r/11v).

134 Con conservazione del genitivo latino. 135 Il ms. R rinuncia in tal caso al genitivo: polseggiare il cuore/polseggiare al cuore (123v/126r); cf. Gualdo (1996, 120: pulso di cuore).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

2.

 437

sostantivo + aggettivo: (i) colera ignea > colera abrasata/colera fogata (B, 30v/30v), collora ardente (R, 65r), collora fogoxa (V, 30r); digitus index > dito secondo (B,  38v); digitus minor > dedo menemelo (V, 31r), dito minore/dito piccolino (R, 68r/88r), dito minore/dito pizeno (B, 31v/40v); focile magnum  > focile grande (B, 40v), focil grando (V, 39v), forcilla grande (R, 88r); focile parvum > focile pizeno (B, 40v), focil pizollo (V, 39v), forcilla piccola (R, 88r); hernia aquosa > ernia achoxa (V, 62v), ernia acosa (R, 149r), hernia aquosa (B, 67r); intestina gracilia > budelli magri/budelli setili (B, 8v/11v), intestini gentili (R, 18v), budelli sotilli (V, 10r); intestina grossa > budelle grosse (V, 9v), budelli grossi (B, 8r), intestini grossi (R, 17v); medicina corrosiva > medexina choroxiva (V, 46r), medicina corosiva (B, 48r), medicina corrosiva (R, 106r); membrum nobile > membro nobile (R, 12r), ~/membro principale (B 6r/7v), menbro nobelle/menbro zentille (V, 7v/22r); passio aquosa > passione aquosa (B, 63r); sanguis colericus > sangue colerico (B, 56v), sangue collerico (R, 126r), sangue malegno (V, 54v); tunica cornea > cornia tunica (R, 109v), tonega chornea/toniga chornea (V, 47r), tunica cornea (105r); vena basilica  > vena baxilicha/ vena chomuna (V, 59r/63r), vena basilica (R, 137v), ~ (B, 62r); vena cephalica > vena cefalica (R, 116v), vena cephalica (B, 48r), vena zefalicha (V, 46r); vena pulsatilis > vena batante (B, 2r). (ii) hernia ex ventositade > ernia ventoxa (V, 62v); nervi > luoghi nervosi (R,  129r); porus > buso pizeno (B, 19r); vehementia doloris136 > grande dolere (R, 125r), grande dolore (B, 25r), gran dollore (V, 41v); vehementia constrictionis > forte strenzere (V, 7r), grande strictura (B, 5v).

Nel gruppo delle «unità lessicali superiori» composte da sostantivo + aggettivo si possono far rientrare anche le polirematiche formate con il sostantivo generico cosa + aggettivo qualificativo designante la proprietà terapeutica di un medicamento. Il lessema latino di partenza è solitamente rappresentato dal gruppo medicina/medicamen + aggettivo, oppure dal solo attributo sostantivato (es. mollificativus), ma può anche essere un sostantivo astratto (es. mollificatio):137

136 Sono numerose, nel testo latino, le polirematiche costruite col sost. vehementia, indicante la particolare acutezza ravvisabile in un fenomeno patologico o sintomatologico, seguito dal genit. che designa la patologia o il sintomo. 137 Le voci latine si danno in forma tipizzata. Per esempi analoghi, si veda Zarra (2018, 472). Cf. infra per la costruzione perifrastica di tipo consecutivo (cosa da + verbo all’infinito) adottata solitamente da R.

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 5 Appunti linguistici

calefactio > R: cose calde (124v) compositus > R: cose conposte (50v) confortans > V: chosse chonfortative (53v) consolidativus > B: cosi consolidativi (64v) infrigidatio > R: cose fredde (124v); V: chosse frede (53v) lenificans > V: chossa molifichativa (63r) maturans > B: cosi maturativi (62r) medicamen carnis creativum > V: chossa zenerativa de charne (8v) medicamen regenerativum carnis > B: cosa generativa della carne (14v), cosa regenerativa della carne (16v) medicina carnis creativa > B: cosi creativi de la carne (55r) medicina mundificativa > B: cosi mondificativi (55r) medicina opiata > R: cosa opiata (57v) mollificatio > R: cose molli (19r); B: cosi mollificativi (8v) mollificativus > R: cose mollificative (110v); B: cosi molificativi (8v) mundificatio > V: chossa mondifichativa (20r) relaxativus > R: cose relassative (46r); V: cose arelesative (22r) repercussio > R: cose repercussive (150v) repercussivus > R: cosa ripercossiva (116v) solidativum > B: cosi saldante (36r) stipticus > B: cosi stiptici (64v) Sul ruolo delle «unità lessicali superiori» sarà importante rimarcare un aspetto che finora è stato forse messo in luce solo in modo parziale: come si ricava dalle liste appena riportate, infatti, tali risorse traduttive sono per buona parte un’eredità del lessico latino, e i termini di partenza sono dunque restituiti in volgare sotto forma di calchi semantici. Più in generale, le perifrasi lessicalizzate costituiscono, già in latino, un mezzo per coniare tecnicismi medici ricorrendo a voci più comuni, e per eludere talvolta le corrispondenti voci di tradizione greca, come ben testimonia la coppia sinonimica arteria/vena pulsatilis (a sua volta, poi, in sinonimia col sost. pulsus). Particolarmente interessanti per la loro serialità si mostrano le formule perifrastiche che designano stati patologici ricorrendo ai sostantivi dolore o passione + genitivo (concernente la parte del corpo interessata) o attributo:138 dolore del capo, dolore de gotta, dolore de zonturi, mal de chavo, passione aquosa, passione delle labra, passioni de li ogi, ecc.: anche in questi casi ci troviamo spesso in una situa-

138 Cf. D’Anzi (2008, 143), Zarra (2018, 472).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 439

zione di dipendenza dal testo latino (dolor capitis, passio labiorum, passio oculorum, passio aquosa). Va inoltre sottolineato il fatto che molte di queste «unità lessicali superiori», formate per lo più dall’accostamento di due voci comuni, continueranno ad avere vita duratura proprio nel lessico latino, e saranno sostituite solo in epoche più tarde (già dal Cinquecento) da lessemi singoli e di tasso tecnico più elevato, che giungeranno in larga parte fino alla lingua medica contemporanea. Si pensi soprattutto alla storia di alcune designazioni anatomiche: albugo/albumen oculi ‘sclera’, bursa testiculorum ‘scroto’, cornu capitis ‘(osso) ioide’, meatus virgae ‘uretra’, nodus caudae ‘coccige’, nodus pedis ‘malleolo’; emblematica è la sostituzione della voce latina focile (calco a sua volta dell’arabo: cf. glossario, sezione 1, s.v. focilis), la cui polisemia si presentava, per così dire, al quadrato, potendo essere impiegato sia in riferimento alla gamba sia al braccio, e richiedendo l’apposizione degli aggettivi magnum e parvum per indicare in maniera univoca l’osso interessato (per la gamba: focile magnum > ‘tibia’ e focile parvum > ‘fibula, perone’; per il braccio: focile magnum > ‘ulna’ e focile parvum > ‘radio’).139 Da un lato, dunque, è indubbio che le polirematiche «costituiscano la risorsa fondamentale del volgarizzatore per offrire al suo lettore un linguaggio scientifico dettagliato e preciso» (Frosini 2014, 51); dall’altro lato, però, sarà altrettanto necessario vagliare con attenzione, nei singoli volgarizzamenti, il livello di dipendenza (molto alto, come mostrato, nei volgarizzamenti della Chirurgia bruniana) che una tale risorsa traduttiva mostra nei confronti dell’originale latino. In sintesi, delle «unità lessicali superiori» andranno posti in rilievo due punti centrali: a) pur derivando per buona parte già dall’originale, non sono per nulla isolati i casi in cui esse rappresentano uno strumento esclusivamente volgare, adottato per rimpiazzare un lessema singolo del latino; b) oltre a svolgere frequentemente il ruolo di glossa di un termine cólto (come accade in molti degli esempi contenuti nell’elenco stilato sopra: es. diafragma > dyafragma, zoè panno del core), un’ «unità lessicale superiore» può spesso costituire l’unico traducente del lessema di partenza, senza cioè fungere da sua appendice esplicativa. Per ricordare un solo esempio notevole, il termine dotto ano, quale traducente del lat. anus, è adottato dal ms. R soltanto in due occasioni, in una delle quali accompagnato dalla glossa cioè fondamento di sotto dell’uomo o della femmina;

139 L’introduzione di questi termini, ancora usati nel lessico medico contemporaneo, appartiene a epoche diverse: stando al GDLI, sono cinquecenteschi tibia (ante 1527, F. Colonna), ioide, radio (ante 1600, G. P. Lomazzi), malleolo e ulna (1561, A. Citolini); seicenteschi scroto (1601, G. F. Loredano) e coccige (ante 1673, O. Rucellai); più moderni uretra (ante 1718, G. Cestoni), perone (1829–1840, Tramater); solo novecentesco sclera (ante 1938, D’Annunzio).

440 

 5 Appunti linguistici

gli altri traducenti sono il sostantivo fondamento (5 occorrenze), ma soprattutto le brevi polirematiche fondo della persona (una sola occorrenza) e fondamento della persona (11 occorrenze). Il probabile statuto di «unità lessicale superiore» di quest’ultima (almeno all’interno dell’ambiente scientifico volgare), per quanto non direttamente confermabile dal riscontro col corpus OVI, che attesta il solo lessema singolo fondamento ‘ano’, è ipotizzabile non solo alla luce del suo uso preponderante, ma anche per il suo consueto ricorrere in forma autonoma rispetto al lessema latino anus, di cui non rappresenta mai una semplice glossa, bensì la traduzione vera e propria (se si eccettua la sopraccitata perifrasi ampliata cioè fondamento di sotto dell’uomo o della femmina). Il caso di anus > fondamento della persona, dunque, ben ci testimonia come le perifrasi lessicalizzate nate in seno al volgare siano impiegate, ancor prima che come strumento di glossatura di un tecnicismo di partenza (accolto più o meno passivamente dal latino), quale strategia traduttiva vòlta a sostituirlo del tutto. Sostantivi e aggettivi tecnici latini (ma anche locuzioni),140 tuttavia, possono anche essere tradotti tramite perifrasi contrassegnate da un grado molto basso se non nullo di lessicalizzazione,141 come si può ricavare dalla maggior parte dei casi seguenti, e come si è del resto già visto per molte delle perifrasi adottate con funzione di glossa (quelle, cioè, che abbiamo denominato «glosse esplicative»: cf. supra). Ci troviamo anche qui di fronte a procedimenti marcatamente divulgativi, che abbandonano, nella quasi totalità dei casi, il tecnicismo originario, per approdare a un lessico molto generico e privo di connotazione scientifica; un’eccezione è costituita dalle perifrasi apposte rispettivamente da R e V alla polirematica latina tunica uvea (tunca che ssi chiama uvea; tonega che à nome uvea), perifrasi nella quale le formule che ssi chiama e che à nome non hanno valore metalinguistico, ma servono semplicemente a esplicitare l’avvenuta sostantivizzazione di un originario attributo (uvea): adhaerentia > V: la che se tiene (46r); B: quella che se tene (48r) aegritudo > R: cosa agiunta (91v), cosa sopra avenuta (91v) apostema ambulativa > R: postema che va (125v); V: postiema la qual va (54r)

140 Si noti, in tal caso, il passaggio dall’originario sostantivo latino a un avverbio: interiora corporis > R: dentro al corpo/entro allo corpo; circuitus umbilici > V: dentorno lo bonigollo/intorno lo bonigollo. 141 A queste si accompagna una struttura diversa dalle due più consuete ricordate in precedenza (sost. + genit./sost. + agg.), tipiche delle «unità lessicali superiori». Altri casi di perifrasi non lessicalizzate sono le rese esplicite dei participi presenti con valore aggettivale, per i quali cf. infra in questo paragrafo.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 441

arenosa > B: plena de sabia (70r) causa exterior > R: cagione di fuori (26r), cagione delle cose di fuori (55r); V: chaxò da parte de fuora (26v), chaxone de fuora (13r); B: casone de fora (12r) causa extrinseca > R: cagione di fuori (5r); V: chaxon dalla parte de fuora (4r); B: casone de fora (30r) causa interior > R: cagione dalla parte dentro (102v), cagione delle cose dentro (55r); V: chaxò da la parte dentro (12v), chaxon de dentro (26v); B: casone de dentro (12r) causa intrinseca > R: cagione dello lato dentro (5r); V: chaxon dalla parte dentro (4r); B: casone de dentro (30r) cervix > V: chullo de driedo (46v) circuitus umbilici > V: dentorno lo bonigollo (61r), intorno lo bonigollo (62v) concavus > V: che faza chonchavitade (9v) exitura > B: cosa che debe venire fora (46r) extrinsecus > R: di fuori (101v); V: de fuora (4v); B: de fora (6r) indigestibilis > R: malagevole a digestire (138v) interiora corporis > R: dentro al corpo (3v), entro allo corpo (16r) non pulsatilis > R: che non à polso (3r); V: che non bate (3r) occipitium > B: parte de dreto de la testa (72v), pos capister (72v) permixtio rationis > V: favelarse choxe ch’el non sia usado da dire (20v) porus > B: buso pizeno de la pelle (10r) pulsatilis > V: che bate (3r), che à pollso (20v); B: che ha lo pulso (19r) tunica cornea > R: tonica dalla parte della cornia (108v) tunica uvea > R: tunca che ssi chiama uvea (106r); V: tonega che à nome uvea (46v) ulcus ambulativum > R: ferita antica d’andare inançi (53r) b) glosse enciclopediche ed etimologiche Se le glosse lessicali consistono anche, come visto, in brevi perifrasi (più o meno lessicalizzate), queste ultime possono notoriamente assumere, all’interno dei testi scientifici (e in particolare dei volgarizzamenti), una dimensione molto ampia, divenendo perciò vere e proprie glosse enciclopediche: la loro caratteristica specifica risiede nel contenere informazioni molteplici non strettamente legate al valore semantico del singolo tecnicismo, bensì di più ampio respiro, e apposte dal volgarizzatore per favorire una maggiore comprensione dell’intero passo. Nei nostri tre volgarizzamenti, tuttavia, tale tipolologia di glossa è pressoché assente: in V possiamo trovarne una testimonianza in corrispondenza della voce latina hernia, che diviene per il volgarizzatore l’occasione per esplicitare il significato dei termini volgari ernia e oseo ‘scroto’ (senza cor-

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 5 Appunti linguistici

rispondenza col testo latino), termine di particolare interesse, che nel Cinquecento risulta usato a mo’ di glossa sinonimica da Da Vigo (1560) e Dalla Croce (1583):142 ernia si è rotura del sifac et infiaxon de l’oseo per lo desender de le budelle; oseo si è la borsa de li choioni (44r)

Anche il ms. B, pur caratterizzato, come visto finora, da una frequenza altissima di glosse, si limita nella quasi totalità dei casi ad amplificazioni di carattere lessicale e brevi perifrasi, senza ricorrere a discettazioni di stampo enciclopedico. Tra i rarissimi casi possiamo ricordare una glossa, posta nel margine inferiore di un foglio e relativa ai lemmi latini amigdala e brancus: Alora che li brancile fizeno sempre in li ganassi, ma li amigdali, zoè amandoli, sono logi in la superficie, zoè sumitade, de la gola e fizano diti per similitudine de li amandoli fructi perché ay sono soy simili (51v)

Non particolarmente ricca, anche in B e V,143 ma comunque presente, è la casistica riguardante le glosse etimologiche e metalinguistiche (sconfinanti talvolta nella paretimologia: cf., in V, il caso di cartilazine, associato a carta e quello di levatoria, connesso a levis piuttosto che a levare),144 che offrono un chiarimento del termine di partenza «non nel suo contenuto semantico ma nella sua motivazione linguistica» (Barbato 2001b, 202). Una tale tipologia di glossatura potrebbe, peraltro, essere ricondotta agevolmente nel novero delle glosse enciclopediche, nella misura in cui la ricerca etimologica rappresentò, di fatto, un aspetto fondamentale e fondativo dell’enciclopedismo medievale:145 142 In entrambi i testi si legge la glossa borsa loro (altresì oseo), che compare nella tavola finale degli argomenti (senza numerazione). 143 Praticamente nulla, invece, la casistica offerta da R, ridotta al solo noli me tangere > «noli me tangere, cioè non mi toccare». 144 È paretimologica anche l’interpretazione che Bruno offre del termine bubo («dicitur autem bubo ad similititudinem cuiusdam avis quae sic vocatur quia sicut illa avis grossum caput videtur habere»). 145 Cf. Dardano (1994, 505): «Per l’uomo medievale l’origine della cosa si ritrova spesso nella forma della parola [...]. La pratica ricorrente della ‹etimologia› è un mezzo per penetrare nell’opacità della parola [...]. L’etimologia determina a tratti la tassonomia medievale». Per il rapporto della medicina medievale (in particolare dell’anatomia) con l’etimologia e la ricerca delle parole cf. Jacquart/Thomasset (1985, 15–66): «La précaution nécessaire à qui aborde l’étude des sciences au Moyen Age consiste à refuser une quelconque solution de continuité entre le langage, tel qu’il a plu à Dieu de le donner aux hommes, et le langage scientifique permet toujours de trouver un argument qui confirme la conception qu’un médecin se fait d’un organe» (ivi, 29).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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Tabella 25: Glosse etimologiche e metalinguistiche. V

cartillago > cartilazine, si è uno menbro sotille senza sangue lo qual è quasi a modo de una charta (4v) formica ambulativa > formicha ambulativa, zoè che va (25r) cum instrumentis quae dicuntur levatoriis > con instrumento che à nome levadori, zoè l’è lieve (33r) annexae > inradichade, zoè che averà la so radixe (58r)

B

tunicae > tunici, zoè vesti (3v) nitrosa > nitrosa, zoè habiando sapore de sale (4v) oxizacara > oxizachara, zoè syrupo facto cum aceto e cum zucaro (9r) mellicrate > mellicrate, zoè melle et aqua (9r) ydrozacara > ydrozachara, zoè aqua e zucharo (9r) grando > grando, zoè tempesta (49v) clavus > clavo, zoè lo chiodo (68r) emigranea > micranea, zoè dolore de la testa de meza (72v)

Diverse glosse etimologiche dipendono direttamente dal testo latino (dove sono introdotte solitamente dalla forma verbale dicitur),146 rispetto al quale si procede solo di rado a una riduzione del gruppo originale a un solo termine: Tabella 26: Glosse etimologiche dipendenti dall’originale latino. Hall (1957)

R

V

B

Dicitur autem cyrurgia a cyros grece, quod est manus, et agia, quod est actio, inde cyrurgia, id est operatio manualis

Dice cirugia a ciros, che è a dire mano, et ygia, ch’è adoperatione, onde cirugia tanto è a dire operatione di mano (2r)

Zirogia se dixe esere la man, zoè adrovrare manualmente, inperzò che la soa operacione è intrigada e si sta in ovrare delle mane (2v)

E cyrugia fi dicta a cyros greco, che è mane latino, et agia che è actione, e però cyrugia vale tanto como operatione manuale (1v)

Dicitur autem fistula ad instar illius instrumenti habentis os strictum et fundum amplum

è detta la fistola ad instar di quello medesimo strumento avente la boccha stretta e l fondo anpio (55r)

Adoncha è dito fistolla e simianza de l’instrumento che à la bocha streta e’l fondi anpio (26r)

E fi dicta fistula a similitudine de quello instrumento che ha la bocha stricta e profonda et larga (25v)

146 Si mantengono i segni paragrafematici dell’edizione Hall, che talvolta ricorre alle parentesi proprio per segnalare la presenza di glosse.

444 

 5 Appunti linguistici

Tabella 26 (continua) Hall (1957)

R

V

B

dicitur squinantia, quae quasi suffocatio interpretatur

squinantia che quasi fa l’uomo fioco (116r)

squinancia, la qual sofega in brieve tenpo (50r)

squinancia, el quale fi interpretato, zoè exponuto, quasi suffocatione (52r)

dicitur ydropisis ab ydros quod est aqua et ptisis quod est passio, inde ydropisis, id est aquosa passio

sono detti gl’idruopichi a uno odore ch’è acqua e sicheza ch’è de passione nelgli idruopichi qua[si] passione d’acqua (139v)

et è dita idropexia ab idroch, aqua, e pisis, ch’è pasion, ed ela vien dita idropexia quaxi pasion d’aqua (60r)

e fi dita ydropisia ab ydros che è dire aqua e tisis che è dire passione, e però fi dita ydropisia, quase passione aquosa (63r)

empistomus (id posterior, quasi tenens posteriora)

epistonos, cioè dalla parte di fuori, quasi tiene la parte di fuori (173r)

inpistotum, zoè dalla onpicosmo, zoè de [parte] de driedo, dreto, lo quale tiene li perzò ch’el tiene pur la parti de dreto (73v) parte de driedo (69v)

enprotostonus (id est anterior, quia tantum anteriorem partem tenet)

pronostico, cioè dalla parte dinanzi, inperciò cha tanto tiene dalla parte dinanzi (173r)

inpostrocon, zoè dalla parte davanti, perzò che tiene pur davanti (69v)

fractura occulta in osse, quae apud antiquos dicitur capillaris quia fit in subtilitate capilli

Infra quelle rotture arotura chapillar, zoè è alcuna oculta la arotura sotil a modo quale è detta capilare de chavello (31r) la quale è sottile più che’l capello (67v)

la rotura occulta in l’osso, la quale secondo li antiqui fi dicta capilare, perché ella fi facta in la subtilitate del capilo (31v)

tetanus (quasi totum tenens in corpore)

tetanus, che quasi tiene tutto in [corpo]147 (173r)

onpicosmo zoè de dreto, lo quale tene li parti de dreto (73v)

[tetanus], tanto quaxi che tiene tuto (69v)

emprostono zoè denanze, lo quale pertocha solamente la parte denanze (73v)

c) dittologie sinonimiche147 Tra i mezzi di amplificazione didascalica assimilabili alle glosse si annoverano anche, soprattutto in B (decisamente scarso, al contrario, è l’apporto di R e V), alcuni casi di dittologia sinonimica. Al pari delle perifrasi, le dittologie

147 Ms.: corpe tray.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 445

testimoniano l’assenza, nella lingua di arrivo, di un corrispettivo in grado di rimpiazzare efficacemente il lemma di partenza;148 oltre a contribuire alla «chiarificazione dell’originale», però, esse possono anche rappresentare uno strumento di «caratterizzazione espressiva».149 Non sono numerosi gli esempi nei quali uno dei due termini che compongono la dittologia sia ripreso direttamente dal testo fonte: dominante appare, infatti, la formazione della dittologia per mezzo di due voci sinonimiche egualmente estranee al testo latino; è questo anche il caso di alcune dittologie usate con funzione di glossa lessicale del termine originale (esempi da B): apoplexia > apoplesia, zoè perdimento overo cadimento (32r) attritio > atritione, zoè tridare overo schizare (67v) climia > climia, zoè vena de tera o cathimia (17r) coagulat > coagula, zoè aduna overo cagia (15r) concutiatur > fiza concusso, zoè secutito e torto (7v) eminentia > grosseza, over elevatione (43r) foramen > via, o tana (27v) (intestina) minuta > (budelli) magri, zoè setili (11v) opillati > serati, e instopati (53v) orificium > buso e principio (5v)/principio e buso (6v) pruritus > splurimento e puntura (35v) venit iterum attritio > fizeno triti, zoè smichi overo conquassati (11r) Le dittologie sinonimiche, tuttavia, manifestano una discreta vitalità già all’interno del testo latino, rispetto al quale B opera come di consueto in direzione strettamente conservativa, riproponendo entrambi gli elementi dell’endiadi originale, nella quale essi sono disposti ai lati della congiunzione sive: si noti in particolare, nel secondo degli esempi riportati, il mantenimento della dittologia all’interno di un forte iperbato, generato dall’interposizione del pronome relativo tra i due elementi (zima de lo quale overo punctura); al contrario, R e V sembrano più indirizzati verso una semplificazione della dittologia latina, pur non mancando delle oscillazioni in senso opposto (si osservi come, nel terzo esempio, il traduttore di V crei addirittura una trilogia sinonimica):

148 Cf. Casapullo/Policardo (2003, 168–169). 149 Giovanardi (1994, 448).

446 

 5 Appunti linguistici

Tabella 27: Dittologie sinonimiche. Hall (1957)

R

V

B

in actione sive operatione manuum

nella opera della mano (2r)

in ovrare delle mane (2v)

operatione overo perfectione de le mane (1v)

instrumento cuius acuitas sive punctura in rotundum tendit

con strumento lungo pilzuto et ritondo e stretto (6v)

con instrumento la ponta del quale è anpla (5r)

cum instrumento la zima de lo quale overo punctura è rotonda (3v)

consolidationem sive curationem facilius recipiunt

riceverà più debole curatione (17v)

più lezieramente se sana e churase e chonsollidase (5v)

consolidatione (8r)

perforetur locus perforatione lunari sive rotunda

sia perforato il luogo per lungo overo ritondo (138r)

taia a modo de luna, over aredonda (59v)

fiza perforato de buso a modo de luna overo rotunda (62r)

oportet ut senex medicetur sive curetur

Abisogna all’uomo vecchio di medicarlo (147v)

non à logo de medegar vechi (63v)

lo vegio fiza medegato se ello non fi curato (66r)150

d) perifrasi nella traduzione dei verbi Si è già parlato piuttosto diffusamente, nelle pagine precedenti, della perifrasi quale importante strumento adoperato nella traduzione e nella glossatura di lessemi cólti. Abbiamo fin qui fatto riferimento, però, alla sola resa di sostantivi e aggettivi: va ancora brevemente analizzato il caso particolare delle perifrasi impiegate nella restituzione di alcuni verbi tecnici. Ai casi di conservazione del verbo originario, al quale si aggiunge semplicemente un altro elemento verbale con valore aspettuale (es.: constringere > R: andare costrignendo), si accostano quegli interventi di restituzione, più numerosi, nei quali si rinuncia al lessema latino di partenza procedendo verso una riformulazione che fa leva piuttosto sul lessico comune (cf., ad esempio, il comune ricorso di V e B al verbo cazere per restituire perifrasticamente il cultismo sincopizare);151 altrove, all’introduzione di un verbo più generico si accompagna quella di un elemento nominale corradicale del lessema originale (cf., in V: continuare > tegnire de chontinuo; eradicare > chavare la radixe; infrigidare > metere arefrezativi):

150 Errore di traduzione indotto presumibilmente da uno scambio, presente già nell’antigrafo latino, di sive con si non. 151 Analogamente, il ms. F1, adottando una soluzione di compromesso, usa la locuzione cazere sincopizato, che nel participio garantisce la conservazione del lemma originale.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 447

aequare > R: cercare dirittamente (72r), cercare diritto (86v) assellare > B: andare del chorpo (68v) assiduare > B: continuare fazando (36r) constringere > R: andare costrignendo (64v) continuare > V: tegnire de chontinuo (6v) eradicare > V: chavare la radixe (30v) infrigidare > V: metere arefrezativi (54r)152 resupinare (vb.tr.) > V: conzare in suvino (38r); B: reponere a iacere (65v) resupinare (vb.intr.) > V: stare chon lo chorpo in su (61v), stare in sora (61r), stare in suino (63r) sincopizare > V: chazere in angosa (5v); B: cazere per terra (58v), sopravenire sincopis (8r) Un altro aspetto degno d’interesse è, in questo campo, la resa dei verbi che in latino presentano un valore medio-passivo (non sempre, peraltro, facilmente distinguibile da quello propriamente passivo). I tre volgarizzatori oscillano tra l’adozione di un corrispondente verbo pronominale e il ricorso a forme perifrastiche o strutture passivanti del tipo essere (in R e V)/fir (in B) + participio passato; in alternativa, si ricorre al verbo di partenza usato con valore intransitivo (es. dislocari > R: disluogare) o a un verbo intransitivo più comune (es. augmentari > R: crescere; V: chresere):153 augmentari ‘ingrossarsi’ > R: crescere (110r); V: chresere (9r), farse grando (47v); B: augmentarse, zoè crescere (7v), doventare grande (49v) coagulari ‘coagularsi, rapprendersi’ > R: raunarsi (19v); V: agiazarse (10v), esere asunado (14r), sferdire vb.intr. (10v); B: esere cagiato (12v), inspessirse (9r) consolidari ‘rimarginarsi, cicatrizzarsi’ > R: saldare vb.intr. (26v); V: chonsolidarse (13v), saldarse (8v); B: guarire (69r), saldarse (3v) consolidari ‘aderire, attaccarsi’ > V: chonsolidarse (46r), esere chonsollidato (62v); B: consolidarse (48r); essere saldato (67r) constringi ‘condensarsi, coagularsi’ > V: andarse strenzando (30r) dislocari ‘slocarsi’ > R: disvolgersi (92v), disluogare vb.intr. (100v), disluogarsi (93r); V: deslocharse (41r), deslusarse (41r), esere deslusado (41r); B: dislocarse (42v), fir dislogato (44r)

152 Cf. la resa di F1: essere con cose infrigidative (7v). 153 Le forme che seguono, latine e volgari, si offrono in forma tipizzata.

448 

 5 Appunti linguistici

evaporari ‘trasformarsi in vapore’ > R: evaporare vb.intr. (62v); B: incire fora (29r) inspissari ‘ispessarsi’ > R: essere spesso (31r), rasedersi (172r); V: vegnire speso (15v); B: inspesarse (14r) maturari ‘di un processo infiammatorio, raggiungere lo stato più acuto’ > R: essere maturato (115r), maturarsi (122v); V: maturarse (49v), madurire vb.intr. (52v); B: maturarse (52r) relaxari ‘rilassarsi, perdere tono cutaneo’ > R: essere lassata (150v); V: rellasarse (63r); B: fir largada (67r) ulcerari ‘ulcerarsi, impiagarsi’ > V: ulzerarse (30v); B: fir ulcerato (30b) Accanto agli esempi menzionati bisognerà ricordare il ruolo, già emerso in altri volgarizzameti medici medievali,154 delle perifrasi costruite ricorrendo al generico fare in unione a sostantivi, aggettivi e, più raramente, a infiniti, per tradurre verbi semplici della fonte latina: – fare + sostantivo/aggettivo o infinito:155 abscindere > R: fare ristare (164v) accidere > V: fare venire (41v) agregare > V: fare arpiare (16r) augmentare > R: fare acrescimento (82r); B: fare lo cresimento (38r) clisterizare > V: fare uno chrestiero (27v) embrocare > R: fare la inbroca (148v) emplastrare > V: far inpiastro (62r) flebotomare > R: fare la forbottomia (114r)156 foedare > V: avere bruta figura (37r), fare bruto (40v) gargarizare > B: fare lo gargarismo (52r) generare > V: fare vignire (34v) ledere > V: fare lexion (46r), fare mal (36r), fare noximento (32v); B: fare danno (44v) liquefacere > R: fare liquido (28r); V: ~ (14r) magnificare > R: fare grande (70v); V: ~ (32r) penetrare > B: fare passamento (54r)

154 Per i tipi di perifrasi elencati qui sotto, si vedano anzitutto le testimonianze offerte da Casapullo/Policardo (2003, 170) e Zarra (2018, 457); ulteriori esempi, che confermano la sistematicità del fenomeno, sono analizzati in Ineichen (1966, 315–317) e Casapullo (1999, 165). 155 Le forme che seguono, latine e volgari, si offrono in forma tipizzata. 156 Di contro, B ricorre sempre a salassare e V a signar.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 449

perforare > R: fare la perforatione (130r); V: fare chonchavità (8r); B: fare la perforatione (57v) putrefacere > R: fare putore (5r), fare puzza (22r); B: fare marzire (10r) vesicari > R: fare bolloline (124v) La struttura causativa di fare + verbo all’infinito, tuttavia, rappresenta talvolta una diretta eredità del testo latino, rispetto al quale si osserva solo di rado una semplificazione della perifrasi (esempi tratti dal solo ms. B): facit accidere apostema > fare venire lo apostema (40r) facit accidere morbum > à fato venire la infimitade (68v) facit accidere nocumenta > fa venire molti nocimenti (35r) facit accidere spasmus > fa venire lo spasmo (9v) facit adhaerere > fa tegnire (58v) facit eam assimilari > fa quello asimilare (28r) facit eas submergere > fa submergere quelli (17r) facit aegritudinem redire > fa retornare la infirmitade (67r) facit nasci carnem > faceno nascere la carne (22v), fa nascere la carne (29r) faciunt eos lacrimari > li faceno lacrimare (47r) faciunt expuere > fano sputare (53r) faciunt nasci pus > fazeno la puza (4r) faciunt putredinem augmentari > faceno crescere la putredine (5r) Il ricorso alle perifrasi si mostra oscillante in corrispondenza dei pochi verbi incoativi presenti nel testo latino: a una struttura basata sui verbi diventare, venire (indicanti un cambiamento di stato) e, limitatamente al ms. B, fir + aggettivo, si accosta talvolta l’uso di verbi pronominali:157 evanescere > R: fare la forma (124r); B: deslenguarse (53v) indurescere > R: indurare (75r); B: indurarse (35r) rubescere > V: fare rosso (14r), vegnire rosso (8v); B: deventare roso (7r), fir rosso (36v)158 tumescere > V: vegnire speso (24r); B: fir infiato (36v)

157 Le forme, sia latine sia volgari, si offrono in forma tipizzata. Per una casistica analoga, cf. Casapullo/Policardo (2013, 170). 158 (29v).

450 

 5 Appunti linguistici

Del tutto isolati, nei tre volgarizzamenti, appaiono i casi di «perifrasi personalizzate», costruite cioè col pronome relativo quello che/colui che + verbo designante (eventualmente assieme a un complemento oggetto) la patologia in questione: esse sono di solito adottate nella traduzione di aggettivi sostantivati e participi presenti con valore verbale.159 È il caso tipico, evidente nell’analisi di Casapullo/ Policardo su Belcalzer (2003, 170), della resa di patiens + nome della patologia: nel testo latino di Bruno, però, il participio presente patiens è usato esclusivamente col valore di sostantivo (‘il paziente, l’infermo’). Tanto più interessante apparirà allora la traduzione del participio in R, nel quale, accanto ai traducenti amalato, malato, infermo, patiente, si ricorre per sei volte alla perifrasi colui che sostiene in senso assoluto, come sinonimo di ‘ammalato’ e senza l’apposizione di un oggetto concernente la patologia. Al caso di patiens si possono allegare i participi febricitans > quello che ha la fevera (B, 73v) e percutiens > colui che percuote (R, 68v); cholu’ che à dado la bota (V, 31v). Degno di attenzione per il lessico tecnico è, più in generale, il trattamento dei participi presenti, sia con valore verbale sia aggettivale,160 per i quali si osserva una situazione complessivamente oscillante (eccezion fatta per i casi, indicati dai tre asterischi, in cui si ricorre a una completa riformulazione del periodo). La conservazione del participio (peraltro non sempre diretto continuatore del lemma latino: cf., in B, i casi di abscidens > tollante, lenificans > mollificante, lubricans > discorrente, ecc.) mostra una certa vitalità soprattutto nei casi in cui esso riveste una funzione attributiva: i picchi di accoglienza si rinvengono in B, che conferma anche in tal caso la sua maggiore aderenza alla fonte. D’altro canto, al mantenimento del participio si oppone il più frequente ricorso alla costruzione esplicita corrispondente (soprattutto in R e V) o ad aggettivi. Da rimarcare, per quanto concerne quest’ultima strategia, è anche l’adozione non episodica, e notevole proprio perché indipendente dal testo latino, del tipico suffisso terapeutico -ivo (chorelativo, desechativo, molifichativo in V, disecchativo e mollificativo in R, lavativo, mitigativo, mollificativo, seccativo in B: cf. 5.6.3), che ben si presta, come del resto accade già in latino, a svolgere il ruolo originariamente rivestito dal participio:161162

159 Un ricorso sistematico a tale strategia si osserva, al contrario, in Casapullo/Policardo (2003, 170); cf. anche Zarra (2018, 458). 160 Per la sostituzione dei costrutti participiali, cf. Librandi (1995 I, 97); per la conservazione del participio presente in funzione verbale all’interno della lingua letteraria e poetica, cf. Segre (1953, 97), Ageno (1964, 178), Buck/Pfister (1978, 76).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 451

Tabella 28: Trattamento dei participi presenti. Hall (1957)

R

V

B

medicinis abscindentibus ipsum

***

medexine che strenza la sangue (58r)

medicini tollante via quelli (60v)

propter debilitatem suam superfluitates membrorum adhaerentium

***

per la so debellitade e superfluitade di menbri che è apreso (22v)

per la debilitade sua la superfluitade de li membri adherenti (21v)

est necessarium ut fiant viscosae adhaerentes

acciò che ssia fatto vescoso acostante (48v)

***

è necessario che al fizeno facti medicini viscosi adherenti (22v)

de cura spinae vel ossis adhaerentium in gutture

***

Quando in la golla serano fite osse over spine (50v)

De l’osso o de la spina che se tene in la gola (52v)

ambo sunt de colera et proprie citrina adurente

***

è tuti do’ de chollora propia zitrina che bruxa (54r)

tuti doy sono de colera e propriamente citrina adhurente (56v)

causa, [...] duplex est, scilicet antecedens et primitiva

la chui ragione [...] è doppia cioè che va inanzi ed è primitiva. (120r)

la chaxon de la qual [...] è per ii muodi, zoè antezedente e premitiva (51v)

la casone de lo quale [...] è de doy modi, zoè antecedente e primitiva (54r)

quin eius causa sit primitiva aut antecedens

la quale sua cagione si è primetiva overo si è antecedente (120r)

non può esere che non sia o antezedente o primitiva (52r)

perché la sua casone non sia primitiva o antecedente (54r)

Cum autem causa flegmonis fuerit antecedens

Conciosiacosaché in quello che viene inanzi sia quello flemon (121v)

Ma quando la chaxone del flemone serà antezedente (52r)

E quando la casone de flegmon serà antecedente (54v)

sufficit illud satis in regimine cursus virus humiditatum currentium a fistula

e basti assai quello medesimo nel reggimento del corso della vertù e della humidità che corrono alle fistole (55v)

E zà avemo dito pluxor chaxone da far la marza e de le umiditade che viene fuora de la fistolla (26v)

quello basta asay in lo regimento del curso de lo veneno e de li humiditati currenti a li fistuli (26r)

secundum quantitatem necessitatis tuae ita ut sit currens

di necessità tua cos’ che lla medicina sia fatta che corra (59v)

***

secondo la quantitate de la tua necessitate cossì che ella sia currente (27v)

452 

 5 Appunti linguistici

Tabella 28 (continua)1 2 Hall (1957)

R

V

B

cum prohibitione luctus et vociferationis, motus et similium rupturam dilatantium

***

guardallo de pianzere e da chridare e da chosse che allarga la rotura (62r)

cum prohibitione, zoè devedamento, de pianzere e de cridare e de moverse e de simili cosi che largeno la rotura (65r)

embrocationes ex aquis infrigidantibus et exsiccantibus

le medicine sono queste da disecchare (50r)

quele chose che fa pro a quelle si è lavacione da quelle che refreda e secha (24v)

Embrocatione, zoè distillatione, de li aqui infrigidanti et exiccanti (24r)

administratio stipticorum et exsiccantium et infrigidantium

è d’aparecchiare quando sono stitiche e disecchative et inflattive161 (52r)

la mior chura si è a metere suxo chosse stitiche desechative che refrede

la administratione de li cosi stiptici exiccanti et infrigidanti (24v)

tanquam a causa materiali et ex natura, tanquam a causa efficienti

sì come della cagione materiale della natura sì come della cosa che ssi die fare (78v)

sì chomo per chaxon materialle da la natura, sì chomo de la chaxone che fa (35v)

cossì como da casone materiale e per la natura, como da la casone efficiente (36v)

Sitque cibus eius sorbilis et lavans

***

***

E lo suo cibo sia sorbille e lavativo (70v)

propter humiditatem lubricantem

per humidità lubrigante (169v)

per umiditade che chore (68v)

per la humiditade discorrente (72v)

cum aqua calida in qua coctae sint herbae mollificantes

coll’acqua calda nella quale sono cotte l’acque162 da mollificare (93v)

con aqua chalda in la qual sia chote erbe che molificha (41r)

cum aqua calda in la quale siano coti herbi molificanti (43r)

de regimine omnium aliorum vulnerum ad interiora corporis penetrantium

della cura di tutte l’altre piaghe che passa dentro al corpo (3v)

lo rezimento de tute le altre plage che passa entro dal chorpo (3v)

de lo rezimento de li altri piagi che passeno a li interiori del corpo (2v)

omnibus vulneribus penetrantibus maxime praebent adiutorium

tutte quante le ferite che toccano dentro maggiormente danno aiutorio (20r)

a le piage che passa dentro si dà gran utelle (10v)

dano grande adiutorio ad ogni piaga penetrante (9r)

161 Errore per il lat. infrigidantium. 162 Errore per il lat. herbae.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 453

Tabella 28 (continua) Hall (1957)

R

V

B

aliae medicinae flegma purgantes

altre con che la frema sia purgata (57v)

altre chosse che purga la flema (27r)

altri che purgi la flegma (26v)

aliud purgans melancoliam

altre cose con che si purghi la malanconia (57v)

***

altra cosa che purgi la melancolia (27r)

est hoc emplastrum probatissimum valde, resolvens duritiem

è questo inpiastro probatissimo molto da risolvere la durezza (134r)

è questo inpiastro provado, lo qual aresollve (57v)

è questo emplastro molto resolvente (60r)

Come si vede anche nella tabella sovrastante, per il ms. R andrà segnalata l’alta ricorrenza (non sconosciuta agli altri volgarizzamenti, compresa l’editio princeps cinquecentesca) di perifrasi verbali basate su una struttura consecutiva del tipo sost. + da + infinito,163 adottata per rendere un corrispondente participio o aggettivo latino (soprattutto col suffisso terapeutico -ivus), come accade in particolare negli attributi apposti ai nomi indicanti le varie tipologie dei medicamenti (talvolta con l’introduzione del sostantivo generico cosa al posto del lat. medicina/medicamen);164 più raramente la stessa costruzione si può osservare in corrispondenza di sostantivi (mollificatio, nocumentum) e participi presenti sostantivati (lenificans, mollificans):165 causa efficiens > cosa che ssi die fare (78v) emplastrum mollificans > inpiastri da mollificare (81r) emplastrum restaurativum > inpiastro da ristorare (96r) est eius natura exsiccatio et mundificatio > della sua natura da disecare e mondificare (34r) exsiccativus > cose da sichare (149r) herba lenificans > erbe da mollificare (161v) lenificans > cose da llenificare166 (134r) medicamen carnis nascens > cosa da fare nascere la carne (48v) 163 Per l’impatto della perifrasi da + infinito nell’italiano antico, cf. l’ampia trattazione offerta da Mastrantonio (2017, 109–163). 164 Cf. D’Anzi (2012, 240–241). 165 Le voci latine si offrono in forma tipizzata. Si veda anche in B la resa del sost. exitura > li cosi da insire (46r)/exitura, zoè da insire (57v). 166 Ms.: lleficare.

454 

 5 Appunti linguistici

medicamen incarnativum > medicina da incarnare (13r) medicamen conglutinativum > medicine da conchiudere (32r) medicamen consolidativum > medicine da consaldare (32r), medicina da consolidare (33v) medicamen sigillativum > medicine da sigillare (32r) medicina aperitiva > medicine da aprire (160v) medicina carnis creativa > cose da ingenerare la carne (122r) medicina consolidans > medicina da consaldare (38r) medicina desiccativa > medicina da diseccare (34v) medicina exsiccativa > medicina da diseccare (50r) medicina incarnativa > medicina da fare incarnare (37r) medicina infrigidans > medicine da infridare (171r) medicina mollificativa > medicine da mollificare (24r) mollificatio > cose da mollificare (40r) mollificans > cose da mollificare (121r) nocumentum > cose da nuocere (89r) Mostrano una complessiva conservazione i participi passati in funzione aggettivale, anche laddove si ricorre a un sinonimo popolare del cultismo latino (es.: pars vulnerata > parte ferita: B, 8r); più rare si presentano le riformulazioni dirette a uno scioglimento del participio tramite perifrasi (es.: pars vulnerata > parte de la piaga: V,  9v), semplificazioni (nervis vulneratis > a le piage: V, 12v), frasi subordinate (es.: pars vulnerata > parte ov’è la ferita: R, 17v; quae omnia simul incorporata > le quali sieno insieme incorporate: R, 31r; quanto che tute queste cose mete insenbre: V, 15v):167168 Tabella 29: Trattamento dei participi passati in funzione aggettivale. Hall (1957)

R

V

B

est apostema melancolicum de melancolia adusta

***

***

è apostema calida de melancolia adhusta (30r)

Nervi enim sunt de materia humida creati a frigiditate congelata et conglutinata

sono i nervi di materia umida creati a ’nfermitade167 congelata et raunata (21v)

nervi è chrevadi de meteria umida conglutinadi168 (11r)

materia frigida humida, zoè de sperma, congelata et unita da la frigiditade (9v)

167 Errore per il lat. frigiditate. 168 Il participio è qui direttamente coordinato con nervi, mentre si omette il lat. a frigiditate congelata et.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 455

Tabella 29 (continua) Hall (1957)

R

V

B

altera [scil.: ungula] est non nervosa similis humiditati congelatae albae

l’altra non nervosa ed è [...] d’umidità e gelata insieme ed è bianca (105r)

l’altra è simille a una umidità ozelata biancha (45v)

l’altra non è nervosa simile a la humiditade congelata biancha (47v)

et dislocationis istius significatio est [...] diversitas inter humerum dislocatum et sanum

e la dislogatione di questa si è [...] grande diversità intra l’omero dislogato e a fatica si può sanare (93r)

ed è una conchavitade in chavo de l’umero, sano e deslusado (41r)

e la significatione de questa dislocatione si è [...] la diversitade inter la spala dislocata e la sana (43r)

tota preparationis intentio est ut pars vulnerata sit altior altera

l’apparechiamento della intentione et è che lla parte ov’è la ferita sia alta più che ll’altre (17v)

la parte de la piaga stia da la parte de fuora, zoè pì ad alto che la parte contraria (9v)

la parte ferita sia più alta cha l’altra (8r)

nihil nocibilius et deterius est nervis vulneratis quam illud quod est frigidum

una cosa è nocevole et dirittamente ne’ nerbi feriti come quello medesimo (24v)

nesuna chosa che sia pì nociva e pezor a le piage che la chossa ch’è freda (12v)

niente è più nocivele né pezore a li nervi impiagati cha quella cosa che è frigida (11r)

sufficit medicamen incarnativum et agregatio partium disgregatarum

basta la medicina da incarnare et da congiugnere le parti partite (13r)

***

basta la medicina incarnativa et agregatione de li parti disiuncti (6r)

ponenda sunt desiccativa sicut oleum mirtinum et rosatum, cinis ramorum vitis cum aceto distemperatus

si pongano le cose da disechare sì come oglio di mortina e oglio rosato e cenere di viti distenperato coll’aceto (153r)

La chura d’ese si è [...] chosse desechative chomo è oio roxado, oio de smartela, zenere de rami de vide, con axedo destenperadi (64v)

fizano ponuti li cosi exiccativi, como è [...] la cendere de li rami de la vite cum aceto distemperata (68r)

quae omnia simul incorporata tamdiu coquantur quousque inspissentur

le quali cose sieno insieme incorporate, tanto sieno cotte che ssieno bene spesse (31r)

quanto che tute queste chose mete insenbre e tanto se die chuoxer (15v)

li quali tuti incorporati bene insiema tanto se coseno fina che se inspisseno (14r)

456 

 5 Appunti linguistici

Tabella 29 (continua) Hall (1957)

R

V

B

Medicamen incarnativum, ut dicit Avicenna, est illud quod agregat inter duo labia elongata

La medicina incarnativa, sì come dice Avic, è quella cosa la quale rauna infra due [labra] ellungata (33r)

La medexina incharnantiva, chomo dixe Avizena, se conzonze in ii parte deslongade (16r)

medicina incarnativa, como dice Avicena, è quella che congrega inter doy cosi elongati (14v)

deinde conficiantur cum melle dispumato

col mele grandemente dischiumato si conficia (144v)

e può se confiza con melle despumado (29r)

e poy fizano confecti cum melle schiumata (29v)

fit in ossibus dislocatis

e si fa nell’ossa dislogate dal loro propio luogo (3r)

se fa in osse deslonchade (3r)

overo che la fi fata in li ossi dislocati da la sua propia zonctura (2r)

Inquit Avicenna quod rana excoriata superposita est mirabilis attractionis

Cerca Avicenna che ranocchi scoiati e postivi suso fanno maravilgle del trarrere (46r)

Dixe Avizena che la rana schortegada è de mirabelle atracione (22v)

El dice Avicena che la rana scortegata sopra metuda è de mirabile attractione (21r)

Recipe axungiae porcinae liquefactae vel olei partes i

Ancora: et sugna de porco liquida, overo una parte d’olio (31v)

Anchora un altro inpiastro con sonza de porcho desfato over ollio una parte (15v)

Recipe asongia de porco deslenguata parte una (14r)

Terminiamo questa breve rassegna sulle tecniche di divulgazione segnalando alcuni interessanti fatti sintattici (che si riflettono a pieno sul lessico specialistico) concernenti l’impiego delle forme verbali, indirizzate, soprattutto in R, verso un sensibile incremento a discapito dei nomi: anzitutto andrà rilevata la tendenza, emergente in tutti e tre i manoscritti oggetto della nostra analisi, a rendere degli originari sostantivi latini (riguardanti soprattutto il lessico della fisiologia e della patologia, da cui si traggono gli esempi che seguono) tramite l’infinito sostantivato delle corrispettive forme verbali corradicali o, più spesso, attraverso l’infinito di verbi più comuni. Una tale nominalizzazione del verbo si coglie con particolare evidenza nel caso di «unità lessicali superiori» designanti oggetti astratti, dove il nominativo, rappresentante l’elemento a più alto grado di tecnicità, è rimpiazzato dall’infinito sostantivato di un verbo solitamente più generico o di livello popolare (cf., ad esempio, il ricorso al comune ┌perdere┐ in sostituzione del lat. amissio):

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 457

Tabella 30: Infiniti sostantivati.169 R

V

B

adhaerentia > acostare (130r) ambulatio > andare (100r), andare inançi (53r) amissio intellectus > perdere lo ’ntendimento (69r) aptatio > aconciare (55v) conglutinatio > conchiudere (18r); coniunctio > congiugnere (2v) cursus sanguinis > uscire del sanghue (8r) declinatio > declinare (122r) decursus > correre (42r) digestio > digestire (131r) dilatatio > rralargare (173r) ebullitio > bollire (5r) effusio > spargere (72r) extirpatio > rimuovere (2v) incisio > talglare (135r) intollerantia > non potere tollere (139v) pulsatio > polseggiare (122r) pulsus > polseggiare (118v) resolutio > risolvere (133v) separatio > dispartire (2r) solutio > discioglere (165v) sternutatio > starnutare (102v) subtiliatio > sottilglare (81r) tollerantia > tollere (107r) tussis > stossire (144r) unctio > ungere (21v) vomitus > dispurgare lo stomaco (53r), spurgare lo stomaco (53r)

abscisio vocis > perdere la voxe (31v) amissio intellectus > aperdere l’inteleto (31v) capacitas > tignire (14r) conglutinatio > chonzare (7v) coniunctio > conzonzere (3r) ebullitio > bollire (5r); bollir (4r) effusio > gitar suxo (31r) operatio > adovrare (45v) pruritus > pichàr (48v), pizàr (48v) pulsatio > batere (59r), sbatere (54v) pulsus > bater (52r) scarificatio > schiarifichar (3r) sollicitudo > eser solizito (34r) subtiliatio regiminis > manzar sottile (57r) suitio > chuxir (3r)

amissio intellectus > perdere lo intellecto (32r) claudicatio > zopegare (41v) detruncatio > taliare via (12v) digestio > paylire (5r) emanatio > insire (8r) emissio > aspandere (44v) exitura > insire (55v) exsiccatio > exiccare (16r) indigestio > non paylire (59r) rasio > radere (33r) sincopis > strangossare (32r)169

I fenomeni appena illustrati, che in tale sede ci interessano soprattutto per la loro funzione di aggiramento dei tecnicismi originali, possono essere ricondotti alla più generale propensione a far uso di costrutti verbali laddove il latino si serve, invece, di costrutti nominali. Si osservi l’esempio che segue, tratto da R, nel

169 Voce adottata come glossa del cultismo sincopis, passivamente accolto dal traduttore.

458 

 5 Appunti linguistici

quale l’originaria sequenza nominale introdotta da sicut lascia il posto a due frasi temporali, entrambe introdotte da quando:170 Et ex accidentibus malis est sicut amissio intellectus, sincopis, abscisio vocis > li accidenti rei sono sì come quando perde lo ’ntendimento e quando la boce è fioca (69r)

Una siffatta strategia non è insolita, e riguarda soprattutto i mss. V e R, nei quali la traduzione è solitamente meno letterale di quanto avvenga in B, la cui resa ad verbum tende invece a rispettare molto fedelmente il ruolo sintattico di ciascun elemento del periodo. Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di riformulazioni che garantiscono anzitutto la sostituzione di sostantivi astratti del lessico medicochirurgico: la sostituzione avviene talvolta per mezzo dei corrispondenti verbi corradicali (ad dilatationem > a dilatare; administratio > dei aministrare; compositio > chonponerlle; ecc.), ma più spesso tramite verbi appartenenti al lessico comune (per separationem > per sceverare; collectione > asunarlle; ad reductionem > a rrimettere; ecc.): Tabella 31: Estensione dei costrutti verbali (a). R

– de modo administrationis > come tu le [scil.: medicine] dei aministrare (4r) – vulnera sunt difficilis mundificationis > le ferite sono malagevoli a mondificare (19r) – Dico ergo ad reductionem intestinorum > io dirò a rrimettere le budella (16r) – Et illud quod melius est de suitione eius est ut docet Galienus > Et miglore a chucire che tu possa fare allo sifac èt quello che dice Galieno (17r) – cognoscuntur per [...] separationem carnium > si cognosce per [...] sceverare la carne (68v) – adiuvat ad dilatationem gutturis > aiutano molto a dilatare la gola (116v) – modum operationis cum incisione scrophularum > lo modo ad operare è ’l talglare delle scruofole (135r)

V

– de modo administrationis et collectione et compositione ipsarum > et adovrare quelle medexine e de asunarlle e de chonponerlle (3v) – intentio cyrurgicorum est operans circa [...] coniunctionem solutorum > La intencione delli medexi si è [...] de conzare insenbre le parte sollude (3v) – Intentio cyrurgicorum est operans circa extirpationem superflui > La intencione delli medexi si è [...] tuor via le chosse superflue (3r) – vero est ut ex vehementia constrictionis > si è che tu die forte strenzere (7r) – vulnera sunt difficilis mundificationis > quelle piage è mollto inbrigoxe da mondificare (10r)

170 Per analoghi fenomeni di incremento verbale, cf. Casapullo (2011, 20–21) e Gualdo (2001, 36–37).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 459

Tabella 31 (continua) – Et cum nervis venit iterum attritio sine ruptura carnis > Quando a li nervi viene alteracione senza ronper charne (12v) – acciditque patienti sudor et frigiditas extremitatum > el vignerà a quelo infermo sudore e fridirase in le estremitade (13r) – secundum tollerantiam membri > chomo lo menbro può sostignire (34v) – Quando vides ergo apostema in via resolutionis > quando vederai la postiema in via de resollver (52v) – ex [...] evacuatione loci > evachuando lo logo (59r) – si remanserit aliquid de pinguedine propter intollerantiam infirmi > se lo romagnise del grasso per lo infermo che non possa soffrire (60r) – Et indiget iterum perforatione [...] post perforationem et evacuationem suam > sì che anchora à luogo de taiar lo luogo e de svudar l’acqua (62v) B

– diversificatur in earum abstractione modus ingeniorum > è diversificato lo modo e lo inzegnio in tirarli fora (20r) – curatio vero eius est ut incipias a mundificatione corporis > la sua curatione si è che ti comenzi a mondificare lo corpo (56v)

Altri casi analoghi concernono la parziale o totale rinuncia a un’originaria struttura latina basata su un termine tecnico (sostantivo e più raramente aggettivo) retto da un verbo comune (soprattutto esse o fieri): si assiste dunque a una riformulazione del periodo tramite la sostituzione del sostantivo cólto latino (frequentemente rappresentato da un termine astratto in -tio) con un verbo, ricavato per lo più dal lessico comune. Il processo di riduzione dello stile nominale, tipico della trattatistica scientifica mediolatina, si osserva anche qui in modo nitido, e comporta in parecchi casi una diminuzione complessiva degli elementi che compongono il periodo (come avviene nei passaggi da una struttura del tipo nome/parte nominale + verbo al solo verbo, spesso di natura pronominale: sit currens > esca; est conversio > si converte; fiat coagulatio > ssi leghi; dissolutionem operatur > desollve; fit reductio > se restaura, ecc.): Tabella 32: Estensione dei costrutti verbali (b). R

– sanguis ab eo non sit currens > non esca d’essa sangue (4v) – tunc est conversio humoris in nutrimentum > allora si converte i’ nodrimento (8v) – ut fiat agregatio partium non permittunt > conciosiacosaché non lascia sanare (10r) – fiat involutio usque ad medietatem fasciae > invollevi infino allo mezzo (10v) – dissolutionem vulneris operatur > perciò che essa lo fa partire (12r) – timendo ne membrum putrefactionem incurrat > acciò che lo membro ne possa putrefare (13r)

460 

 5 Appunti linguistici

Tabella 32 (continua) – precipiunt antiqui ut fiat clisterizatio cum vino pontico > comandano gli antichi che esso sia cristerizato con vino pontico (17v) – possibilis est restauratio disruptionis intestinorum > è possibile a ristorare la rompidura (18r) – prohibeatur assiduatio mollificationum > non si pongano le cose molli (19r) – super locum fit doloris sedatio > sopra el luogo ove il dolore risiede (23r) – non est deperditio substantiae > non è perduto niente di carne (40v) – quod provenit ex liquefactione > tanto che perviene a farsi lequida (50r) – caveat a repletione cibi > guardisi di non pilglare troppo cibo (74v) – ut fiat ex eo coagulatio fracturae > acciò che sia fatto di quello che ssi leghi la ronpitura osamente (78v) – membrum a tortuositate non evacuabitur > el membro non si torcesse né non si votasse (89v) – sit cibus infirmi sorbilis et levis ut non indigeat masticatione > E sia fatto cibo dello infermo [...] che none abisogni masticare (92v) – abstineat etiam a locutione superflua > guardisi che non favelli troppo (133v) – si patiens non tolleraverit sectionem > sse llo infermo non volesse che tu gli il tagliassi (153r) V

– sanguis ab eo non sit currens > azò che la sangue non chora (5v) – fiat dilatatio pororum > largando li pori (6r) – dissolutionem vulneris operatur > inperzò che desollve le parte (7r) – timendo ne membrum putrefactionem incurrat > temando ch’el menbro non se putrefaca (8r) – fiat flebotomia ex contraria parte > se faza signar da le parte contrarie (8v) – omnis cui accidit evacuatio sanguinis [...] accidit ei spasmus > zaschuno che de sangue se vachuase [...] spaxemerà (20v) – si fuerit sincopis cum singultu > s’el chaze in angossa con senglozo (20v) – indigent tantum ut consolidentur cum eo quod mordicationem non habet > chonvien sollamente saldare con chose che non mordicha (23r) – cyrurgicis sunt qui ponunt ii 33 mellis et 33 i viridis eris, ut allevietur mordicatio > è altri maistri che mete ii parte de mielle e una de verderame, azò che non morde chuxì forte (24v) – ut fiat ex eo coagulatio fracturae > azò che la rotura se strenza (35v) – stude in reductione eius > tornallo al sò luogo (39v) – sit cibus infirmi sorbilis et levis ut non indigeat masticatione > manzi lo infermo chosse da forbire azò ch’elo no mastega (41r) – fit eius reductio difficilis > se restaura più gravemente (41v) – quando descendit per venas subteriores tunc sternutatio fit cum eo > quando desende da le vene de soto alora se stranuda con eso (44v) – quorum signum est [...] spiritus attractio > l’amalado apena ch’el può arefiadare (49v) – est ad citrinitatem declivis > declina a zalura (54r) – curatio localis eius est cum eo quod agregat resolutionem simul et mollificationem > la qual chura si è quella [...] che mollificha e resolve (57r) – ut prohibeatur vesicatio loci > che non se lassa visigare lo luogo (69r)

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 461

Tabella 32 (continua) B

– sanguis ab eo non sit currens > e lo sangue non discoria da quella (4r) – Non est ergo excusatio quin velociter fiat flebotomia > Adoncha el non g’è excusatione perché el non se debia salassare presto in la contraria parte (7r) – cum evaporatione [...] fit doloris sedatio > Alcuna volta etiamdeo fi mitigato lo dolore cum evaporationi (10r) – cum facilitate in eius extractione studium impendatur > se studij bene a tirarlo fora cum facilitade (13v) – non est sanatio > non se sana (44v) – sit cibus infirmi sorbilis et levis ut non indigeat masticatione > E lo cibo de lo infirmo sia sorbille e lezero, azò che al non besogni fir biasato (42v) – quando descendit per venas subteriores tunc sternutatio fit cum eo > quando elli descendeno per li veni più setili, alora cum quello se sternuta (46v)

5.6.2 Greco, arabo, latino e volgare: confini e sovrapposizioni Introducendo la questione del rapporto tra Bruno e le sue fonti (le auctoritates dell’antichità), nonché quella degli importanti riflessi linguistici che inevitabilmente ne derivano (cap. 2.7), si è già avuto modo di accennare al fondamentale intreccio che lega le lingue (latino, greco, arabo) alla base della letteratura medica medievale. Il sovrapporsi di strati terminologici differenti costituisce notoriamente un livello d’indagine prioritario nella conoscenza del lessico volgare,171 oltre a sollevare problemi di carattere filologico spesso risolvibili solo qualora si disponga di un’edizione critica del testo originale (cf. il caso della ricordata variante adiafora sephiros/scliros, alla base della quale c’è proprio, già all’interno della tradizione latina, la contesa linguistica tra il lessico di tradizione araba e quello di derivazione greca). Una tale interferenza linguistica assume un interesse ancora maggiore al cospetto di un testo e di un autore, come Bruno, la cui formazione fu sicuramente imbevuta di dottrina araba (e arabe sono le maggiori auctoritates cui Bruno si richiama, a cominciare da Avicenna: cf. cap. 1):172 arabo, greco e latino sperimentano dunque, nel suo trattato, un interscambio particolarmente fertile. Si è anche visto, infatti, parlando dei fenomeni di glossatura

171 Per gli intrecci linguistici alla base dei testi scientifici medievali, si vedano le riflessioni di Jacquart/Troupeau (1981); più nello specifico, per la situazione all’interno dei testi volgari, cf. Gualdo (1999, 223), Vitale-Brovarone (2006). 172 Per i contatti tra il mondo scientifico arabofono e quello latino-italiano, cf. Gleßgen (1998) e Jacquart/Micheau (1990). Per la coesistenza di greco e arabo nel lessico medico, si veda Jacquart (1988).

462 

 5 Appunti linguistici

(cf.  5.6.1), come una complessa fluidità lessicale si rifletta, già all’interno del testo originale, nella giustapposizione della terminologia latina su quella araba o greca, a dimostrazione di una comprensibilità probabilmente tutt’altro che scontata, anche in ambienti cólti, di alcuni grecismi e arabismi di particolare rarità: colcotar, id est vitreolum rubeum; cotum, id est bombacem; colophonia, id est pix graeca; escara, id est crusta; glutinum albotim, id est gummi cuiusdam albori; merdasengi, id est litargirium; ziniar, id est flos eris. Se il rapporto tra greco, arabo e latino si fonda di per sé su un notevole grado di continuità, in particolare alla luce dei tanti grecismi (ma anche arabismi) che, qui come in altri testi medici medievali, sono accolti in forma più o meno adattata in latino, il massimo grado di sovrapposizione linguistica risiede ovviamente nel vincolo strettissimo che quest’ultimo instaura col volgare. Tale vincolo, anche dal punto di vista lessicale, opera in entrambe le direzioni: come rilevato da Dardano (1994, 510), infatti, è un’ «operazione arbitraria separare la terminologia latina da quella volgare fondandosi unicamente sul fatto che la prima appare in opere scritte in latino, la seconda in opere scritte in volgare. L’affinità tra le due lingue è tale che non è sempre facile, soprattutto nei testi scientifici, distinguere tra vocabolo colto, semicolto e volgare». La sostanziale diglossia che contrassegna la scienza medievale, e in modo particolare proprio il sapere medico, come si è più volte rammentato anche all’interno di questo lavoro, è un fenomeno che agisce in maniera pervasiva su tutti gli aspetti della lingua volgare, a cominciare, ovviamente, dal lessico: «nei volgarizzamenti dei testi medici l’atto traduttorio non va concepito sempre e soltanto nei modi netti di un passaggio da una L1 di partenza a una L2 di arrivo, quanto piuttosto in termini, specie a livello lessicale, di un continuum diafasico, ove latino e volgare possono però alternarsi imprevedibilmente e senza una linea traduttoria programmaticamente definita o un preciso orientamento verso il destinatario» (Rapisarda 2001, LXI).173

Va sempre tenuta presente, dunque, la possibilità di trovarsi di fronte a «forme ‹miste› in cui a separare latino e volgare c’è soltanto la sottile veste esterna della terminazione» (Aprile 2014, 88). Un esempio paradigmatico in tal senso ci è offerto dalle forme volgari che, nei volgarizzamenti della Chirurgia, sono adottate per rendere il lat. pecten ‘pube’ (calco del gr. κτείς: DEI IV, 2884): accanto a pectine (B, 10r), e pettignone (R, 21v; < *pectiniōne(m)), leggiamo anche le voci pectinaculo (B, 10r) e petenechio (V, 11r), per le quali si può presupporre una derivazione dalla base latina pectinĭcŭlu(m)/-aculu(m) (REW §6331: solo nel significato di ‘piccolo pettine’). La perfetta sovrapposizione tra latino e volgare,

173 Per il concetto di continuum diafasico usato da Rapisarda (2001), cf. Trotter (1999, 306).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 463

e soprattutto l’ipotesi che, ancor prima del latino, vi sia alla base una forma dialettale, ci viene confermata già da Du Cange (VI, 237a), il quale registra il lemma latino pectenegium facendolo derivare da una corrispondente voce settentrionale («ab Italico Petteneggio»), che coincide per l’appunto con la forma attestata dal codice veneziano V (petenechio). Troviamo qui, pertanto, una conferma diretta del fatto che «moltissime prime attestazioni di forme volgari vanno cercate non in contesti volgari ma latini» (Aprile 2014, 88): una simile indagine andrebbe ovviamente estesa alle tanti voci, provenienti dal lessico comune e rifunzionalizzate nel loro valore semantico, che non sono registrate nei tradizionali strumenti lessicografici (ThLL, Du Cange e Forcellini), o che il MLW attesta solo molto tardi (in un’epoca prossima a Bruno stesso; anche se l’assenza di Avicenna dal corpus accolto nel dizionario ci priva di un confronto essenziale).174 Potremmo citare voci come botium175 ‘gozzo, aumento di volume della ghiandola tiroide’ (MLW: prima attestazione nella Chirurgia di Ruggero Frugardo, dalla quale Bruno l’avrà direttamente ricavata); cortex ‘escara’ (MLW: prime attestazioni in Bruno e nella Chirurgia di Teodorico Borgognoni); l’agg. crudus ‘di ferita che non ha ancora generato pus’ (MLW: prima attestazione in Bruno); exitura ‘ascesso’ (MLW: prima attestazione in Bruno); folium ‘malattia dell’epiglottide’ (MLW: prime attestazioni nelle Glosse dei Quattro Maestri Salernitani e in Bruno); fontanella ‘incavo alla base del collo’ (MLW: prima attestazione nella Chirurgia di Ruggero Frugardo); lupus ‘tipologia di cancro’ (accezione assente in ThLL, Du Cange e Forcellini); pannus ‘pterigio’ (lemma assente in ThLL, Du Cange e Forcellini), ecc. Un altro esempio indicativo di tale interferenza, anche sotto il profilo semantico (in direzione di una certa polisemia: cf. infra), è offerto dalla voce patologica lupa (cf. glossario s.v., sezione 2), che per Guglielmo da Saliceto, contemporaneo di Bruno, è forma da evitare, in quanto l’herpes esthiomenus «appellatur a laycis, ex modo suae corrosionis et deambulationis, lupa». Per Bruno, invece, la forma maschile lupus, evidentemente accostatasi a quella greca anche in ambiente cólto, è voce usata dagli stessi magistri, e designa più nello specifico una par-

174 Non c’è dubbio che il MLW rappresenti un passo in avanti notevole, rispetto al Novum Glossarium Mediae Latinitatis, per la sua estensione cronologica (fino al 1280, morte di Alberto Magno), e soprattutto per la considerazione tenuta nei confronti della letteratura scientifica. Nelle fonti del MLW ci sono i Pantegni di Costantino Africano, ma non è presente Gerardo da Cremona. Oltre a Bruno c’è, per es., un testo di Pietro Ispano (Diaetae super chirurgiam), oltre alla Chirurgia di Guglielmo da Saliceto. 175 La cui etimologia è peraltro molto incerta. È voce dell’Italia non toscana secondo il DELIN, 241 (s.v. bozzo), riconducibile a una base onomatopeica che vale ‘scoppiare’ o ‘gonfiare’; l’etimologia del DELIN è poco convincente, tuttavia, per il LEI (VI, 799), che parte da un base *BOKKY-: cf. 1.a.ε. (VI, 667–673: ‘parti umane tondeggianti’).

464 

 5 Appunti linguistici

ticolare tipologia di cancro:176 «Et cancer etiam distinguitur a magistris secundum diversitatem specierum, quoniam, ut volunt, alius dicitur noli me tangere et alius lupus»; sia la forma maschile sia quella femminile (che mettono in luce, in modo analogo, l’aspetto estremamente corrosivo delle due patologie) si ritrovano ancora nei testi medici e nei dizionari ottocenteschi (oltre che nel GDLI), entrambi nella prima delle due accezioni illustrate.177 Tentativi analoghi di disciplinamento terminologico sono ricorrenti nei trattati latini, proprio col fine di prendere le distanze da un lessico connotato in senso popolare (cf. cap. 3.3.1): è abituale, anche in Guglielmo da Saliceto, la propensione a distinguere la terminologia cólta da quella dei laici, che si servono di una lingua volgare e a basso livello di tecnicità (Altieri Biagi 1970, 12). In tali frangenti si può dunque osservare con chiarezza come «la diversa collocazione della chirurgia razionale, universitaria», alla quale anche Bruno rivendica con convinzione la propria appartenenza, determini delle inevitabili conseguenze sul piano linguistico (cf. Sosnowski 2014, 19), a cominciare dalla necessità di tracciare un confine quanto più possibile netto nei confronti della medicina popolare e della sua terminologia (con, però, alcuni evidenti sconfinamenti, come il caso di lupus/lupa ha appena dimostrato). Nella trattatistica scientifica del Medioevo, le voci da evitare sono tradizionalmente segnalate tramite i cosiddetti «riguardi verbali»,178 una strategia di tipo metalinguistico (assimilabile alle glosse) che tende ad accomunare originali e volgarizzamenti, rispettivamente con finalità per lo più peggiorativa (in latino) e neutra (nei volgarizzamenti, ma talvolta anche in latino: cf. tabella 33). I volgarizzamenti della Chirurgia, però, in controtendenza rispetto a quanto si osserva di frequente nella letteratura medica coeva,179 ne sono quasi del tutto privi: gli unici esempi rintracciabili dipendono (laddove restituiti) già dal testo latino, dove si designano come propri dell’uso comune i termini plaga (come iperonimo di vulnus e ulcus) e nacta ‘cisti’ (per la famiglia settentrionale-fiorentina si riporta la sola lezione di L):

176 Per la non perfetta identificabilità delle patologie in questione, cf. il glossario s.vv. herpes hestiomenus e lupus. 177 Cf. s.v. lupo ‘affezione della cute caratterizzata da piccoli rigonfiamenti o ulcerazioni rosse (da identificarsi probabilmente con il lupus eritematoso), la cui prima attestazione è registrata dal GDLI solo in Della Croce (1583); di lupa si offre, poi, la stessa definizione data per lupo (prima attestazione nel Fasciculo di medicina in vulgare: 1494). 178 Cf. Altieri Biagi (1965, 12–13). 179 Cf. Camillo (1991), Palmero (1997), Sboarina (2000, 149–150), Casapullo/Policardo (2003, 164), D’Anzi (2012, 253–254).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 465

Tabella 33: «Riguardi verbali». Editio princeps volgare

Hall (1957)

R

V

B

L

plaga vero secundum usum comuniter sumitur ab utroque (15)

ma piaga si chiama la nuova e l’antica(7v)

vien dito piaga e l’una e l’altra (5v)

piaga secondo comune usanza se dice da l’uno e da l’altro (4r)

piaga segondo *** comu[n]o parlar si à nome comuna a la piaga fata novamente a la piaga vegia (4r)

de quadam della natta superfluitate (101v) quae comuni usu gentium dicitur nacta  (190)

de una superfluitade la qual chomunamente vien dita nata (44r)

de alcuna superfluitade la quale comunamente fi dita nata (46r)

de una superfluitade la quale comunamente fi apelata nata (45v)

De la apostema cioè natta (24v)

Plerumque accidit in quibusdam hominibus superfluitas quaedam quae vulgari nomine dicitur nacta (265)

Mollte fiade aviene ai homeni una superfluitade che se chiama nata (59v)

Molti volti vene in alcuni homini una superfluitade la quale secondo lo comune volgare fi dita nata (62v)

Più volti avene in alchuni homini una superfluitade, la quala per vulgare fi domandata nacta (63r)

***

Alquanti huomini èe alcuna superfluità che volgarmente per nome è detta [natta] (138v)

I cultismi di origine greca e araba180 formano un gruppo nutrito nella terminologia tecnica della Chirurgia latina: anche nei nostri volgarizzamenti, che innovano solo di rado in direzione popolare, essi rappresentano perciò, in via pressoché esclusiva, un’eredità del testo latino; in alcuni casi, si assiste allo sviluppo di forme semidotte o alla conservazione di voci scarsamente o per nulla adattate, per le quali è legittimo sospettare un’effettiva circolazione e comprensibilità all’interno del mondo volgare. Parecchi arabismi rimandano al lessico

180 L’attributo «arabo» va inteso, con Gualdo (1999, 228), lato sensu, «tenendo conto della complessità dell’apporto terminologico fornito all’Occidente dalla cultura ‘multinazionale’ islamica tra il IX e il XVII secolo»; cf. anche Mancini (1992, 64). Per una panoramica introduttiva sugli arabismi in area romanza, si veda Pellegrini (1972) e Schweickard (2017). Sulla ricezione araba della medicina greca, si vedano i saggi raccolti in Ullmann (2016).

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 5 Appunti linguistici

botanico e chimico,181 direttamente connesso con i trattamenti farmacologici; ne riportiamo la maggior parte dei casi rintracciabili (si dà in corsivo il termine latino, in tondo i rispettivi adattamenti offerti dai volgarizzamenti; si adotta il corsivo anche per questi ultimi in situazioni di evidente conservazione della morfologia latina):182 – (glutinum) albotim > R: glutinum alboti (37r); V: glutino albotino (18r) – aluthel > R: allutello (62r), lutella (62r); B: aluthel (29r) – colcotar > R: cocotar (42v); V: cholchotar (21r); B: colcotar (19v); – curcuma > B: curcuma (23v) – memite > R: memitte (39r); V: memite (53r); B: menuti († 55r) – merdasengi > R: merdasengi (39r) – (nux) moscata > R: (noce) moscada (112r); V: (noxe) muschada (48v); B: (nuce) muscata (50v) – mumia > R: mumia (70v); V: ~ (32v); B: ~ (33r) – nenufar > R: neufai (38v) – nigella183 > R: nigella (118r); B: ~ (53r) – penidium > R: penniti (111v); V: peneti (48r); B: penidij (50r) – realgar > R: risalgallo (135v); V: arixegallo (58r); B: redalgar (61r) – sandalum > R: sandalis (122 v); V: sandalo (53r), sandallo (19r); B: sandalo (17v) – sisamum > V: sisamo (37v); B: ~ (38v) – sirupum > R: siro (52r); V: siropo (25r); B: siropo (24r) – sumac > R: sumac (42v), summac (20r), sumaco (116v); V: sumac (53v), sumachi (10v); B: sumac (9r), sumach (19v) – turbit > R: turbit (57v), turbitti (133r); V: turbiti (27r); B: turbit (26v), turbiti (59v) – ziniar > R: ziniar (51r) – zinziber > R: gengiovo (57v); V: zenzero (27r); B: zinziber (27r) Per lo stesso gruppo vanno segnalate le voci zafaran (V, 16r) e sofrano (R, 14r) ‘zafferano’, di particolare interesse dal momento che esse sono adottate, in modo autonomo rispetto alla fonte, per tradurre il lat. crocus; in V (24r)184 compare poi,

181 Cf. Gualdo (1999, 228) per la forte presenza degli arabismi tra i «semplici» del corpus di M. Savonarola. 182 Alla voce latina si fanno seguire i corrispondenti volgari, riportando in successione le forme (tipizzate) dei mss. R, V e B. Qui e più avanti si indica tra parentesi soltanto il numero di carta della prima occorrenza; le voci sono poi restituite al singolare nei rari casi in cui siano attestate solo al plurale all’interno dei singoli volgarizzamenti. 183 Si tratta di un calco, corrispondente al gr. μελάνθιον e all’ar. kammūn aswad ‘comino nero’ (cf. Gualdo 1999, 231). 184 Cf. Gualdo (1999, 231).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 467

forse per un guasto della tradizione, l’arabismo zedoaria come traducente del lat. centaurea. Più ridotto è il drapello degli arabismi anatomici,185 rappresentati principalmente da calchi, oltre che da qualche termine di altissima frequenza in tutta la trattatistica medievale (mirac, siphac, zirbus):186 – adiutorium (calco dell’ar. al-‘aḍud ‘omero’) > R: aiutorio (13v); V: ~ (20v); B: adiutorio (6v) – basilica (vena) (calco dell’ar. al-bāsilīq) > R: basilica (6v); V: baxilicha (5r); B: basilica (62r) – dura mater (calco dell’ar. umm ad-dimāg ‘madre’ e ‘protettrice’) > R: dura matre (69r); V: dura mare (31v); B: dura mater (32r) – focile (calco dell’ar. zand) > R: forcilla († 88r),187 forcille († 90v); V: focil (39r), fozil (39v), fozille (39v); B: focile (40v) – mirac > R: mirach (17r); V: mirac (9v); B: ~ (8r) – nucha > R: nuca (97r); V: nucha (28v); B: ~ (29r) – pecten pedis (calco dell’ar. muschṯ al-kaff, a sua volta calco del gr. κτείς ‘metacarpo’) > R: petto del piè (101r) – syphac > R: sifac (17v), sifach (16v); V: sifac (9v); B: siphac (2v), syphac (8r) – zirbus > R: çirbo (141r); V: zirbo (9v); B: ~ (7v), zirbi (2v) I riflessi degli arabismi sulla terminologia volgare sono quindi considerevoli, per quanto, già nel corso del Quattrocento, abbia ormai preso chiaramente le mosse il processo che porterà, entro la fine del secolo successivo (o poco oltre), all’abbandono pressoché completo dei tecnicismi di derivazione araba. Ricchissimo si presenta, com’era del resto prevedibile, il gruppo dei grecismi in àmbito botanico e farmaceutico. Se ne offre solo uno specimen (si noti la spiccata polimorfia presente soprattutto nelle rese di R):188 – ana189 > R: ana (39r); V: ~ (15v); B: ~ (14r) – anacardium > R: acardo (31r); V: anachardino (56r); B: anacardo (59r) 185 Rarissimi sono quelli della patologia, per la quale si ricorda il termine sebel > V: sibel (46r). 186 Si rimanda al glossario per osservazioni di carattere storico-etimologico e per i riferimenti bibliografici. 187 Uso la crux per segnalare le forme frutto, con ogni probabilità, di un errore della tradizione manoscritta: stessa soluzione sarà adattata all’interno del glossario. 188 La maggior parte di questi grecismi consiste, più nello specifico, in termini di derivazione greca pienamente acclimate nel lessico scientifico latino: non si opera qui, tuttavia, la distinzione tra grecismi veri e propri e «grecismi latini» adottata, ad esempio, da Montinaro (2016, 96). Le voci, sia latine sia volgari, si offrono in forma tipizzata nei rari casi in cui siano attestate solo al singolare: analoga soluzione si adotta anche nelle liste collocate alle pagine che seguono di 5.6.2. e 5.6.3. 189 Cf. Folena (1960), Gualdo (1999, 239).

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 5 Appunti linguistici

arnoglossa > R: anoglosa (116v), arnoglossa (37r); V: arnagloxa (18r); B: arnoglosa (52v) aristologia > R: arestiloggia (134r), aristologgia (63v), aristologia (38r);190 V: arestollogia (17v), aristollogia (17v); B: aristologia (15v) balaustia > R: ballaustria (20r), balustia (50r); V: balaustia (10v), ballaustia (19r); B: balaustia (9r) bdellium > R: bedelio (133v), delio (134r); V: dellio (55r); B: bdelio (57v) bolus armenicus/bolus > R: bolio armenico (78r), bolo armenico (126r), bolio arminico (144v), bolo armonico (52r); V: bollo armenicho (15r), bollo arminicho (20v); B: bollo armeno (19v), bolo armeno (33r) camomilla > R: camamilla (150v), cammamilla (73v); V: chamamilla (33v); B: camomilla (34v) cassia lignea > R: cassia liega († 160v); V: chasia linea (66v); B: cassia lignea (70v) cinamomum > cennamo (112r); V: zenamomo (48v), zinamomo (48v); B: cinamomo (50v), zinamomi (50v) colloquintida > R: colloquintida (113r); V: cholloquintida (48r); B: coloquintida (51r) diadragantum > R: daganti (144r), dagranti (62r), diedraganti (20r), dragante (78r), draganti (29r); V: indragantum (10v); B: dyadraganti (9r) embroca > R: imbroca (31v); B: embroca (14r) euforbium > R: euforbio (23r); V: ~ (11v); B: euforbi (10v), euforbio (10r) gerapigra > R: gerapighera (103v); V: giera (45r); B: yerapigra (47r) mellicras > R: melicrate (19r); V: melicrato (10v); B: mellicrate (9r) olibanus > R: alibano (81r), libano (39r), olibano (37v), olibanum (37v), ulibano (37v) oximellum > R: osimel (57v), osimile (57v), ossimelo (117v); V: ossevel (27r); B: oximelle (26v) oxizacara > R: ozizachera (57v); V: oxizachara (27r); B: ~ (9r), oxizachera (27r) pentafilon > R: pentafilon (37r); V: pentafillo (18r); B: pentafilon (16v) sansuco > R: sansuci (174v); V: ~ (62r); B: sansuco (74r) sarcocolla > R: sacorcolla (130v), sarcocolla (39r), sercocolla (39v), socorcolla (104v); V: sarchachola (19r), sarchacholla (19v); B: sarcacola (18v), sarcocola (18r)

190 Si segnalano anche le forme (forse delle semplici teratologie create dal copista: cf. Glossario s.v. aristologia) aristoglogia (39r), astologia (37v), astrilogia (39v), astrologia (46r, 51r), ristrolagia (74r), stiriloggia (39r), strologia (35r).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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serapinus > R: serapino (23r), serapin (39v); V: sarapin (11v), sarapino (19v); B: serapino (10v) trociscum > R: torcisco (62r), torsicco (63r); V: torziso (29r); B: trocisco (29r) ydrozacara > R: ydrochachera (19v); B: ydrozachara (19r) zimia > R: zimea (120r); V: zimera (51v); B: zimia (54r)

Dal termine latino embroca, adattamento del gr. ἐμβροχή ‘infusione’, derivano anche il sost. embrocatio (R: brocatione 28r, enbrocatione 52v, inbroccatione 92v; B: embrocatione 34v) e il verbo embrocare (R: fare la inbroca 148v; B: embrocare 66v). I grecismi costituiscono poi, rispetto agli arabismi, una rappresentanza considerevole anche nel campo dell’anatomia e della patologia. Se ne riporta anche qui un gruppo esemplificativo, rinviando al glossario per una trattazione distesa delle singole voci: – amigdala > R: amidola (115r), amigdala (52r), amindola (115v); V: amidalla (49v), amidolla (49v); B: amandola (51v) – apoplexia > V: apoplexia (31v); B: apoplexia (32r) – apostema > R: apostema (8r); V: apostema (9r), apostiema (29v); B:  apostema (4r) – arteria > R: artia (18r), artitia (41v); V: artaria (4v); B: artaria (21r), arteria (3v) – cephalica (vena) > R: vena cefalica (116v); V: vena zefalicha (48v), vena zefallich (46r); B: vena cephalica (48r) – emigranea > B: micranea (72v) – emoroys > R: emorroide (154v), morroide (154r); V: vene moroides (65r); B: emoroyda (68v), hemoroyda (46r) – epar > R: epar (25r) – epilensia > R: epilenzia (168v), pilensia (169r); V: pillexia (68v); B:  epilensia (72v) – escara > R: ascara (145v), escara (104r); V: eschara (25r); B: escara (28r) – flebotomia > R: flobottomia (134v), forbottomia (28r), forbottonia (29r); V: flobotomia (3r) – flegma > R: flemma (57r), flema (57v), frema (58r); V: flema (27r); B: flegma (26v) – nausea > V: nausia (13r); B: nausea (11v) – ptisis > R: tisico (155v); V: tisis (13r), tixego (65r); B: tisica (12r) – quinantia > R: quinançia (116r); B: quinanzia (52r) – paralisis > B: paralisia (72v) – reuma > R: rema (20v); V: rema (11r), riema (56v) – scotomia > V: schotomia (31v); B: scotomia (32r) – sephiros > R: sefiros (127r), senfiros (127r), sephyros (120r); V: sefiros (55r); B: sephiro (57r), sephiros (57r) – sincopis > B: sincopis (32r), sincopismo (19r), sincopo (55v)

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 5 Appunti linguistici

sperma > R: sperma (5v); V: ~ (4v); B: ~ (3v) squinantia > R: squinanzia (116r); V: squinancia (50r); B: squinancia (52r), squinantia (52r) stipticus > R: stitico (52r); V: stiticho (10v); B: stiptico (24r), stitico (9r) ydropicus > R: idruopico (49v), itrupico (101v), ydruopico (139v); V: idropizo (44v), itropexo (23v), itropixo (60r); B: ydropico (23r) ydropisia > V: idropexia (60r), idropixia (60v), itropexia (65r); B: idropisia (63r), ydropisia (63r) yposarca > R: iposarca (139v); V: ipoxarcha (60r); B: yposayca (63r)

Tra le innovazioni apportate dai volgarizzamenti al testo originale si può citare il caso del grecismo catharo (B, 59v), adottato in un’unica occasione come traducente della voce reuma (anch’essa un grecismo). Pur nella continuità strettissima che unisce il lessico latino e quello volgare, si potrà poi individuare un ampio gruppo di latinismi (talvolta formati a partire da voci greche, soprattutto per aggiunta di suffissi: es. apostematio, cauterizatio, ecc.), entrati con ogni probabilità in volgare per tramite esclusivamente dotto,191 come mostra anche il contemporaneo e frequente ricorso, nella resa di questi termini, a traducenti che appartengono al lessico comune. Anche in tal caso se ne offre solo un saggio molto ridotto,192 circoscritto ad alcuni sostantivi (spesso astratti) della fisiologia, della patologia e della terapeutica. Una tendenza marcata alla conservazione di latinismi anche piuttosto accusati (alcuni dei quali annoverabili nella categoria dei «tecnicismi collaterali»: cf. 5.6.4) si nota in modo peculiare nel ms. B: – abstersio > R: abstersione (172r), asterzio (34r), astresio (33r), istrassione (53v), straxione (58r); V: asterxione (13v), estexione (13r), sterxione (25v); B: abstersione (14v) – albugo oculi > R: albugine dell’occhio (108r) – alienatio > V: alienacione de mente (13v); B: alienatione de la mente (13v) – ambulatio > B: ambulatione (24r) – apostematio > R: postematione (5r); V: postumacion (5v), postumacione (6v); B: apostematione (4r), postematione (8r) – cauterizatio > B: cauterizatione (72v) – conglutinatio > R: conglutinatione (37v); B: ~ (8v) 191 Quanto alla forma grafico-fonetica delle voci dotte, Gualdo (1999, 240) ricorda che talvolta «i latinismi non corrispondono a forme più popolari, nè risultano adattati nella morfologia, forse perché non erano percepiti come cultismi: è il caso di voci come mondificare, abstergere, clarificare ‘purificare, detergere’ o dei sinonimi dislocazione e lussazione». 192 Cf. il glossario per altri termini afferenti allo stesso gruppo.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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combustio > B: combustione (73r) dislocatio > R: dislogatione (4v), dilogatione (91v); V: deslogacion (4r), dislocacion (40v), dislogacione (41r), dislongaxon (42r), deslongacion (42v), deslosacione (40v); B: dislocatione (2v) evacuatio > R: evacatione (58r), evaucatione (149v); V: evachuacione (53r), evachuacion (57r); B: evacuatione (19r) evaporatio > R: evaporatione (23r); V: evaporacion (49r), vaporacion (11v); B: evaporatione (10r) fistula > R: fistola (4v); V: ~ (4v), fistolla (10v); B: fistula (2v) gargarizatio > B: gargarizatione (53r) grando > R: grando (109v); V: ~ (47v); B: ~ (49v) lesio > R: lesione (56v), lexione (79v); V: lexion (32r), lexione (36r); B: lesione (26v) mordicatio > R: mordicatione (23v); V: mordichacione (23v); B:  mordicatione (10v) mortificatio > R: mortificatione (79r); V: mortifichacion (28v); B:  mortificatione (37r) mundificatio > R: mondificatione (9v), mundificatione (40v); V: mondifichacione (16v); B: mondificatione (5r) opillatio > R: oppilatione (8r); V: opilacion (5v), opilacione (47v); B:  opilatione, opillatione (4r, 49v) permixtio rationis > R: permistio di ragione (27v); B: permixtione de la rasone (12v) plenitudo > R: pienitudine (173v) pulsatio > B: pulsatione (53r) purpureitas > V: purpuritade (20v); B: ~ (19r) putrefactio > R: putrefatione (15r); V: putrefacion (9v), putrefacione (6v); B: putrefactione (5r) refrenatio > R: rafrenatione (121r); B: refrenatione (4r) suffumigatio193 > B: subfumigatione (53r), suffumigatione (53r) ulceratio > R: olceratione (110v), ulceratione (67r); V: olzeracione (30r), ulzeracione (31r); B: ulceratione (30r) ungula > B: ungula (46v) vesicatio > R: vescicatione (171r); B: vesicatione (73r)

193 Per il concetto latino del suffumigare, cf. Montero Cartelle (2004).

472 

 5 Appunti linguistici

Un caso del tutto particolare di sovrapposizione latino-volgare, al quale è necessario almeno accennare, concerne i fenomeni di commutazione di codice,194 saltuari nei nostri manoscritti, ma abbastanza significativi nell’editio princeps del 1510: all’interno di un testo quasi interamente volgare assistiamo infatti al frequente inserimento di sezioni latine (senza qui considerare le rubriche di capitolo o di paragrafo, spesso lasciate a loro volta nell’originaria veste latina). Talvolta si ha a che fare con inserti di scarsa entità (es.: «fa’ che habia la dieta buona, e che se guarde da le cose che fa gonfiare il corpo, id est cibis inflativis»: 4v; «se tu non sai cavare per lo sudore, o per la medicina inançi che comencie troppo a incarnarse. Et dicitur ydropisia ab hydro quae est aqua, et tisis quae est passio»: 33r), che non lasciano intravedere una scelta coerente (o immediatamente intuibile) operata dal traduttore. Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, il fenomeno riguarda la trascrizione di preparati farmacologici, dove, più che in altri luoghi, «si afferma l’esigenza di serbare intatta la voce di un’auctoritas o dove, più semplicemente, si avverte la difficoltà del tradurre» (Dardano 1994, 511): – Polvere leçiera d’Avicen. Tolli cerusa, merdasengi, cioè litargiri, scorie plumbi, myrre, gallarum, ana once .ſ., omnia terantur, e de quelle se facia polver (9r) – Un’altra polver d’Avicen. Tolli rube, ossium combustorum, merdasengi, ana once ii, thuris, aloes, sarcocole ana once iii (9r) – Polvere commune in generar la carne. Tolli olibano, aloes, sanguis draconis, sarcocole ana once iij, aristologie aduste, litargirij, ceruse, corticis arboris pini, centauree minoris ana once j, gallarum, balaustiarum ana once ii. Hic pulvis mirabiliter exercet (9r) – Unguentum ad removendum caliditatem vulnerum. Recipe litargirij subtilissime pulverizati dramme i, olei rosati, aceti, quilibet de per se once 1.5., litargirium in mortario paulatim incorpora cum oleo et aceto, per fina che comencia a crescere (9r) – Un’altra medicina. Recipe plumbi usti, eris usti, ceruse, thuris, masticis, litargiro, armoniaco, oppoponaco ana dramme ii, adipis renum vacce, rasine, olei mirtini, cere ana dramme i, e queste cose che se possono mollificare metti a molle nel’aceto (11v)

194 L’uso dell’etichetta ‘commutazione di codice’/code-switching, introdotta da Blom/Gumperz (1972) e Gumperz (1982), è stata indagata soprattutto come conversational code-switching: le ricerche si sono infatti concentrate principalmente sulla dimensione orale del fenomeno. I contributi di Baglioni (2006, 151–160) e soprattutto Baglioni (2016), al quale si rimanda per una dettagliata bibliografia sul tema, sono invece dedicati espressamente all’analisi del fenomeno nella sua dimensione scritta. Un’introduzione al tema del code-switching è offerta dal recente Müller (2017). Per un’indagine condotta, nello specifico, su un testo medico medievale, cf. Zarra (2018, 463–467).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 



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L’altra medicina d’Avicen. Tolli limatura de metallo e de ferro, ana conficiant cum aqua aluminosa, deinde addatur argilla rubea et aduret ad furnum, deinde extrahetur et administretur pulveriçata, aut fiat ex eis et ex litargiro et oleo mirtino emplastrum quod est multum utile (12r)

Pur nella sostanziale conservazione del testo latino, andrà qui sottolineata la frequente rinuncia (anche se con qualche eccezione) alla formula introduttiva Recipe,195 sostituita da Tolli/Tuogli; il titolo della ricetta, poi, oscilla tra casi di mantenimento e altri di traduzione. Come si ricava dal penultimo esempio, si può constatare una sostanziale convivenza tra latino e volgare, anche all’interno dello stesso periodo (intrasentential code-switching).196 Situazioni analoghe, ma decisamente meno evidenti, si rinvengono talvolta anche nei testimoni manoscritti (soprattutto in R; molto scarso è l’apporto di V e B). In particolare, però, non si assiste quasi mai alla conservazione di ricette interamente latine, come spesso accade nella letteratura medica coeva (e come avviene anche nell’editio princeps volgare), dove agisce quasi la volontà di salvaguardare l’efficacia terapeutica del medicamento rispettando rigidamente l’auctoritas del testo originale; siamo piuttosto in una zona di transizione che sconfina nel code-mixing o ‘enunciazione mistilingue’ (che si differenzia dal code-switching poiché ricorre «all’interno della frase e manca in genere di una funzione pragmatico-discorsiva specifica»: Baglioni 2016, 9), nella quale gli elementi latini sono limitati a singole tessere, rappresentate quasi sempre dai genitivi latini di ingredienti semplici all’interno di più vaste prescrizioni farmacologiche in volgare: – Et alquante cose conposte s’usano consuevolemente nelle ferite, et queste medicine sono buone. Recipe suci appi, suci ebuli, vini mellis, sunge di porco, butiro (R, 31r) – Recipe calcina viva e sangue di dragone, gipsi, aloe, oncenso, vitrioli ana partes equale (R, 42v) – pigla floris eris e limatura eris ana dramme ii, schiuma limata d’oro ragunata ana dramme viii, gummi cipressi dramme iiii, salgemme dramme ii, astrologia minuta adusta minuta, oncenso ana dramme v cera et oglo di mortina quanto basti (R, 54v) – Uno medicamento mirabile Recipe limatura ferri, arsenici citrini, calcecumerio id est eris usti, coppette di rose (R, 62v)

195 «Latinismo dotto delle prescrizioni mediche [...]. Il signif[icato] medico-farmaceutico risale al periodo medioev[ale] in cui fu usato anche per sinon[imo] di recepta» (Marcovecchio 1993, 735). 196 Cf. Zarra (2018, 464–465), MacSwan (1999).

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 5 Appunti linguistici

la arsura è cotale medicina, zoè Recipe draganti, amidi, penidij, ana parti equali (B, 50r) E cotali medicini sono como è [...] succo de morella, de endivia e de virga pastoris e de simili (B, 73r) questa medexina si lli fa pro: Recipe draganti, amidi, peneti, ana le parte valide (V, 38r)

Il solo ms. R testimonia qualche caso di sensibile permeazione della nomenclatura latina, in contesti che peraltro sembrano palesare non tanto una scelta deliberata del volgarizzatore, quanto la sua scarsa confidenza con la terminologia farmaceutica originale, come si evince dall’esempio seguente: E medicine da fare incarnare delle quali la ragione è la bontia e llo sperimento e lla testimonanza delgli antichi, sono conficiati insieme sì come cortecce palpe, folia arnoglosse, folia caulis, folia arborum malorum, folia cipressi et i rama eius, follula pentasilon cum melle, glutinum alboti, id est gummi d’alcuno arbore, nux recen[s] geta cum aqua et sale overo bollita in vino et foliis acetose, pulvis molendini, ordeum adustum, e propriamente incorporate senum, flox sorbe, herba caude equine, lac etiam accessum mirabiliter magna congluttimit le ferite (R, 37r)

Alla commistione dei due registri linguistici, come si è visto, non è affatto immune il ms. B, la cui traduzione è il frutto, come si è detto in più occasioni, di un volgarizzatore sorretto quasi certamente da una solida cultura latina (oltre che medica). La presenza di elementi latini passivamente accolti all’interno del volgarizzamento lascia quindi pensare come non sempre alla base del fenomeno vi fosse soltanto la scarsa comprensione di un traduttore poco ferrato nel lessico botanico-farmaceutico (sicuramente di alta complessità anche per i non profani), ma che potesse anche intervenire un atteggiamento non dissimile da quello normalmente tenuto, in larga parte della letteratura medica medievale, verso formule stereotipe come Item (che nei nostri volgarizzamenti appare però quasi sempre sostituito da ancora) e Recipe (molto presente soprattutto in R e B): queste, usate già in latino per marcare la successione dei diversi preparati medicamentosi, rappresentano nei volgarizzamenti i casi più consueti di code-mixing. In B il Recipe compare solo due volte in forma intera, mentre si ricorre normalmente all’abbreviazione R:197 Recipe succo de api, succo de ebulo (14r) Recipe asongia de porco deslenguata parte una, oleo parti v (14r) Recipe de la melle parti iiij, de asungia parte j (14r) 197 Identica situazione si osserva in V. Cf. Dardano (1994, 511).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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Recipe farina de orzo cum aqua e cum melle e confinzelli (14r) Recipe panno de lino lavato e bello e biancho (17v) Tra le molteplici componenti che contribuiscono alla stratificazione del lessico medico volgare, il ms. B ci testimonia anche la permanenza di alcune interessanti voci di origine germanica: accanto a un termine ampiamente diffuso come anca (proprio già del latino di Bruno e degli altri due testimoni volgari: < alto-ted.a. anka), sono notevoli soprattutto i sostantivi schena/schiena (41v) nell’accezione etimologica di ‘gamba’ (< longob. skëna; cf. ted. das Schienbein ‘tibia’), e bludone ‘muscolo’, forse dal b.franc.a. *brādo ‘pezzo di carne’ (se non è dal lat. mediev. brado ‘prosciutto’: cf. LEI-Germanismi I, 1194); sempre di origine longobarda è il sost. biacha (< *blaich ‘sbiadito’; cf. ted. bleich ‘pallido’) ‘pigmento bianco costituito da carbonato basico di piombo’ (voce attestata anche nei mss. R e V). I popolarismi,198 laddove consentano di aggirare la forma latina (o greca/ araba), sono usati con una certa frequenza in tutti e tre i testimoni al centro della nostra indagine. Di particolare interesse appaiono alcune voci, molto connotate in senso regionale, presenti nel ms. B (e poco o per nulla documentate in testi lombardi antichi): ai ricordati germanismi schiena ‘gamba’ e bludone ‘muscolo’, si possono associare voci verbali come paylire ‘digerire’, apadimare ‘sedare, mitigare’ (e il corrispondente sostantivo apadimamento), borfare ‘bagnare, aspergere’, trangotare ‘deglutire’, ecc., nonché sostantivi quali biusgamento ‘lubricità, viscidità’, crapa ‘craneo’, pelsinela/pelsinella ‘pellicola, membrana (anatomica)’, pos capister ‘occipizio’, splurimento ‘prurito’, ecc. Pur essendo complessivamente molto vivo il ricorso a dialettismi marcati e a voci del lessico comune (anche in V e R), la rinuncia ai termini dotti non è sempre perseguita sino in fondo. Si rinvengono, infatti, in tutti e tre i volgarizzamenti, gruppi di termini sinonimici che ben attestano l’oscillazione (segno di una loro sostanziale vitalità e interscambiabilità), a quest’epoca, fra traducenti di estrazione cólta, semicolta e popolare (in alcuni casi si tratta di una convivenza a strettissimo contatto, perché la forma popolare funge da glossa di quella cólta o semicolta). Seguendo il consiglio di Gualdo (1999, 240), ne offriamo un congruo gruppo di esempi (limitati al solo

198 A proposito delle espressioni popolari, Gualdo (1999, 224, nota 80) rileva opportunamente come sarebbe preferibile non parlare di forme «dialettali», fatto che indirezzerebbe «troppo in prospettiva moderna i criteri classificatòri», tanto più che «per l’opera scientifica è arrischiato postulare un ancoraggio all’àmbito regionale»: cf. Altieri Biagi (1984, 191) e Gleßgen (1993, 192), che parla invece di «internazionalismi» per identificare quei termini popolari di larga diffusione areale («un testo di ambito scientifico, per di più tradotto dal latino, tende facilmente a lessemi ad alta espansione areale anziché a un inventario lessicale nutrito da una varietà regionale fortemente circoscritta ed esclusiva»).

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 5 Appunti linguistici

lessico anatomico), disponendoli in serie parallele, così da poter anche osservare, laddove possibile, «le distinzioni areali tra i traducenti dialettali di determinate forme latine»:199 – adiutorium > V: aiutorio (20v)/umero (41v) – anca > B: anca (41v)/galone (45r) – anus > R: ano (102r)/culo (97r) – arteria > R: artia (18r), artitia (41v)/polso (6r) – craneum > V: chraneo (4r)/osso de la testa (4r) – crus > B: crus (41v)/gamba (3v), schena (41v) – cutis > R: cute (125v)/carne (40v), cotenna (135v), cuoio (11v) – diafragma > B: dyafragma (11v)/panno del core (2r) – digitus minor > R: dito minore (68r)/dito piccolino (88r); B: dito minore (31v)/ dito pizeno (40v) – frustrum (ossis) > R: frustolo (83r)/osso piccholo (72r), osso stritolato (73r), osso trito (30v); B: frustro (33v)/partessella (41v), pecio (31v), pezola (34r), pezoletta (13v), zoncholo (41v) – humerus > V: umero (13v)/spala (41v), chomedo (59v) – inguen > B: inguine (10r)/pectinaculo (45r) – intestinum > R: intestine (17v)/ stetine (140r), testine (26r)/budella (16r), mazzo (3v); V: intestini (60v)/testin (61r), testidine (60v)/budelle (3v) – iunctura > R: giuntura (4v)/coniunctura (75r)/chiavatura (96r) – lacertus > R: lacerto (27r)/stracciatura (27r); B: lacerto (12r)/bludone (12r) – mamilla > V: mamella (44r)/tetina (13r) – meatus > R: meato (164r)/via (59v); V: meato (67r)/andamento (65v), buxo (67v) – musculus > B: musculo (12r)/bludone (12r) – orificium > R: orificio (48r)/bocca (13v) – pecten > B: pectine (10r)/pectinaculo (10r) – pellicula > R: pellicola (27v)/cotenna (71r), pelle (71r); V: pilicholla (14r)/pelle (58r), pellexella (32v) – pollex > R: pollice (93v)/dito grosso (97r) – porus > B: poro (4v)/buso pizeno (19r) – pupilla > B: pupilla (47v)/lume de l’ogio (47v) – radix > R: radice (105v)/barba (153r) – rotula > B: rotulla (45v)/patella (45v)

199 Sulla tendenza dei testi medici volgari a servirsi di ben precise serie lessicali, si veda anche Motolese (2004, 70–71). Per questa lista e per le successive, cf. il glossario per le percentuali di distribuzione dei singoli traducenti.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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spina > B: spinale (10r)/schiena (74v) splen > V: splenza (14v)/milza (60v) spondilium > B: spondilio (28v)/gropo (28v), nodo de lo spinale (44v) subascella > V: subasella (11r)/soto el schaio (52v) testiculus > V: testichollo (64r)/choione (19r) thorax > V: toraze (10r)/fondi del peti (10r) titillicus > B: titilico (42v)/tirtilico (39v)/lesena (39v), leseno (39v) tunica > B: tunica (115v)/pelle (52r), veste (3v) unbilicus > R: unbilico (141r)/bellico (140r), unbilco (170r) uvea > B: uvea (48r)/concavitade de l’ogio (47r) uvula > B: uvula (51v)/ulula (51v), uvla (51v)/lunella (51v) velamen > R: velame (85v)/panno (67v); V: velame (31v), panichollo (31v) (vena) basilica > V: baxilicha (5r)/vena chomuna (63r), vena del figado (5r); B: basilica (65r)/vena de la testa (3v) vulva > B: vulva (67v)/natura (67v) zirbus > R: çirbo (141r)/ventre (26r); V: zirbo (9v)/rede (3v); B: zirbi (2v)/grassa de li budelli (8r), panniculo de li budelli (11v)

Molti sono, in ogni caso, i cultismi di partenza che i tre volgarizzatori restituiscono esclusivamente per mezzo di forme semicolte e popolari, oppure afferenti al lessico più comune. Se ne traggono anche qui degli esempi dal campo anatomico e, in minor misura, da quello fisiologico-patologico: – ala > V: schaio (38r); B: seya (39r) – albedo > R: biancheçça (114r); V: biancheza (52r); B: ~ (51v) – albugo oculi > V: biancho de l’ogio (47r); B: ~ (49r) – albumen oculi > R: biancheçça dell’occhio (106v); V: biancho de l’ochio (46r); B: biancho de l’ogio (48r); – anus > V: chul (42v), chullo (44v); B: chulo (17v) – ardor > B: brusore (18r) – arena > B: preda (70v) – ascella > V: schaio (41r); B: seya (43r) – botium > B: gosso (59r) – caverna > R: cavatura (48r) – cervix > V: chollo (33v), chulo (46v), chullo de driedo (46v); B: copa (10r), coppa (48v) – citrinitas > R: giallezza (124r); V: zalura (54r) – craneum > R: capo (67r), coccia (4v), osso (69r); B: crapa (2v) – cutis > V: charne (63r), chodega (6v), pelle (58r); B: codega (3r) – digitus index > B: dito secondo (38v) – dilatatio > B: largamento (52v)

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egestio > V: merda (66r), nossa (13r); B: brutura (11v), stercora (44v) emigranea > R: migrana (169r); V: magranza (68v); B: micranea (72v) guttur > V: golla (48r), gllotidor (44r), guzo (50r) humerus > B: coppa (62v), dosso (72v), spala (11v) lumbus > V: nonbollo (68v); B: rognone (73r) mamilla > R: popola (25v), poppola (138v) mandibula > R: mascella (82r); V: choramella (40v), gramolla (37v), masella (37v); B: ganassa (38v) meatus > B: passamento (69r), via (27v) mentum > V: barbuzo (48r); B: barbozo (30v) orificium > B: bocca (11r), buso (5v), principio (5v) palpebra > V: palpiera (46r), palpiero (45r) paralisis > R: parlasino (169r); B: paralisia (72v) pecten > R: pettignone (21v), pettegnone (162v); V: petenechio (11r), peteneio (64r) pellicula > B: pelsinella (12v) rotulla > V: padella (43v) scia > B: galone (73r) subascella > R: soditello (121v), sotto il ditello (121v) titillicus > R: soditello (84v), toccatura (84v); V: chantone (38r), schaio (38r) umbilicus > V: bolligollo (61r), bonigollo (60v); B: biguello (63r) uvula > V: urla (49r) vulva > V: chono (68r)/natura (64r)

Tra le voci di carattere popolare vanno anche annoverati alcuni casi interessanti di eufemismo, alla base dei quali si pone un processo di denominazione notoriamente molto rilevante anche nell’italiano contemporaneo, soprattutto al fine di designare patologie e organi sessuali:200 vulva è reso con natura sia in V (64r) sia in B (67v bis, 72r), ma in quest’ultimo volgarizzamento il termine natura è sempre usato come glossa di vulva; coitus è restituito col termine luxuria da B (35r, 65r, 67v: in due casi come glossa della voce coyto); V adotta analogamente loxuria (34r), ma anche il generico femena (E vardase da masa andar e da fadiga [...] e da femena). Molto marcata, in questa prospettiva, è la resa offerta da R al cospetto del lat. anus, per il quale si ricorre 5 volte (128v, 154v, 162v, 163r, 166v) a fondamento (attestato in questa accezione anche nel GDLI), ben 11 alla perifrasi fondamento della persona (154v ter, 155v ter, 156r, 158r, 159v, 160r, 161v) e una a fondo 200 Per la designazione degli organi genitali maschili e femminili nell’anatomia medievale, cf. Jacquart/Thomasset (1985, 32–44); la riluttanza nella designazione del corpo femminile appartiene già alla medicina di Celso (cf. von Staden 1991). Per gli eufemismi medici nell’italiano moderno e contemporaneo, cf. Galli de’ Paratesi (1964, 87–97) e Reutner (2009, 53–56; 69–74).

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della persona (129v); nella stessa direzione si muove anche la singola adozione (55v), in V, di postiron (< *posteriō-ōnis, e da confrontare con l’a.fr. poistron). Di là dal triplice livello terminologico individuato sopra (cólto, semicolto, volgare), va sottolineato come la proliferazione sinonimica rappresenti un fenomeno vistoso e avvertibile anzitutto sul piano esclusivo del volgare (cf. 5.6.3): si assiste, cioè, alla moltiplicazione di traducenti afferenti alla lingua comune e adottati per aggirare un singolo tecnicismo di partenza (non mancano, peraltro, casi significativi di sinonimia al cospetto di termini latini molto comuni: cf., ad esempio, la resa di caput e foramen). Tra gli obiettivi principali del glossario (cap. 6) si è posto, pertanto, quello di mostrare in modo efficace il livello di sviluppo, all’interno dei tre volgarizzamenti, non soltanto delle oscillazioni verticali (rapporto tra termine latino e singolo traducente volgare), ma anche di quelle orizzontali (quantità di traducenti diversi adottati per rendere una singola voce latina). Se ne riportano alcuni esempi istruttivi, provenienti ancora dal lessico dell’anatomia e della fisiologia/patologia (in parte già citati negli elenchi stilati appena sopra). Al termine di partenza, in alcuni casi accolto in volgare, può accostarsi un’ampia rosa di traducenti derivati dal lessico comune: paradigmatica è, in tal senso, la restituzione del sostantivo latino eminentia (‘sporgenza, rilievo fisiologico o patologico sulla superficie di organi o tessuti’), per il quale il ms. B ricorre a ben nove traducenti diversi, cui si aggiunge la continuazione volgare eminentia (44r): – anus > R: ano (102r), culo (97r), fondamento (128r), fondamento della persona (154v), fondo della persona (129v) – caput > V: busto (64r), chavo (31r), testa (31r) – craneum > R: capo (67r), coccia (4v), osso (69r) – cutis > R: carne (40v), cotenna (135v), cuoio (11v), cute (125v), pelle (139v); V: charne (63r), chodega (6v), pelle (58r) – dorsum > V: chorpo (9r), dosso (28v), osso (35r) – eminentia > B: alteza (43r), dosso (39r), elevatione (43r), eminentia (44r), gobba (44v), grosseza (43r), inflatura (64v), inflatione (63v), levamento (63v), sumitade (59v) – escara > R: escara (104r), crosta (59v), scabbia (141v), scavitola (135v) – foramen > R: buco (120v), forame (108r), foro (166r); V: buxo (48v), forame (47r), piaga (60v); B: buso (27v), tana (27v), via (27v) – frustrum (ossis) > R: frustolo (83r), osso piccholo (72r), osso stritolato (73r), osso trito (30v); V: oxexello (38r), pezeto (15r); B: partessella (41v), pecio (31v), pezola (34r), pezoletta (13v), zoncholo (41v) – guttur > V: golla (48r), gllotidor (44r), guzo (50r) – humerus > B: coppa (62v), dosso (72v), spala (11v) – mandibula > V: choramella (40v), gramolla (37v), masella (37v)

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 5 Appunti linguistici

orificium > B: bocca (11r), buso (5v), principio (5v) passio > V: infirmitade (4r), malicia (11r), pasion (44r) pellicula > V: panichollo (32v), pelle (58r), pellexella (32v), pilicholla (14r) pruritus > V: picor (39v), piza (45r), pizor (51r), plurito (39r) pus > R: marcia (4r), pus (30v), puzza (30v) sanies > R: cosa malsana (19v), fastiggio (109r), marcia (8r), sanie (35r) sordities > R: fastiggio (129r), gattività (62v), puzza (36v), sordezza (51r), sorditie (34r) virus > R: marcia (11r), materia (14r), materia rea (13v), putritudine (13v), puzza (79r), virus (48r)

Un grado decisamente alto di sinonimia si riscontra nella resa di voci verbali dotte, che solo raramente sono continuate da forme volgari pienamente corrispondenti: si tratta infatti, per lo più, di una sinonimia con uno scarso grado di tecnificazione, largamente fondata sul lessico comune. È il caso, tra i molti che si potrebbero presentare, del lat. adhaerere (tr. e intr.) ‘aderire, essere attaccato’, per il quale R ricorre ai corrispettivi volgari acostare (130r, 131r), acostarsi (100v, 110r, 117r bis), costringnere (33r); V usa astallarse (50v), azonzere insenbre (16r), chonstrenzere (56r) e tochare (22r); B presenta la forma dotta adherire (45v), accanto ad apozare (14v), piliarse (52v), tegnirse (20v, 53v, 58v ter). Analogo trattamento si osserva per putrefacere (vb.tr. ‘far andare in putrefazione’; vb.med. ‘essere putrefatto, putrefarsi’), restituito da R soprattutto con fare puzza (22r, 22v bis, 24r, 27v bis, 45r, 55r, 135v, 141v), ma anche con fare putore (5r) e guastare (74r); V è l’unico dei tre manoscritti a conservare il tecnicismo di partenza, sia con uso transitivo sia pronominale (putrefare: 4v, 11v ter, 14r, 61v, 64v; putrefarse11v, 14r, 26r, 33v, 58r), accanto alle forme apostumare (12v) e dispartirse (22r); duplice è invece la resa di B, che ricorre a fare marzire (10r bis) e marcire/-zire (3r, 3r, 8r, 10r bis, 11r, 12v bis, 20v, 25v, 34v, 61r, 64r, 68r). Particolarmente indirizzato in direzione sinonimica si mostra il ms. R: per il lat. sedare (‘sedare, mitigare’), ad es., si fa ampio ricorso a corrispettive voci del lessico comune, senza mai conservare il cultismo di partenza: assedere (122v), chetare (123r), dispartire (172v), mitigare (8r, 10r, 25v), posare (113v), riposare (150v, 163v, 164r), riposarsi (52r, 122r), rasedersi (77r), sanare (55r); un’identica situazione si rinviene di frequente: cf. il lat. incidere, tradotto quasi sempre col comunissimo talglare (15r, 21v, 27r, 30r, 51v, 52r, 61v, 65r e passim), ma anche con fendere (103r), ricidere (105r), segare (111r); per il ms. V. si veda, per es., la resa di conglutinare, per il quale si adottano i verbi volgari consolidare (23v), conzonzere (11v), incharnare (11r), saldare (18r), e ancora di perforare, restituito con averzire (58v), fare conchavità (8r), forare (21r, 32v, 44v, 45v, 61r, 62v), perfondare zoxo (55v), taiare (49v, 55v bis, 56r, 59v). A tale tendenza non si sottrae neppure il ms. B, per quanto solitamente incentrato su

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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un maggiore rispetto dell’originale e dei relativi tecnicismi di partenza: si vedano ancora le rese del lat. perforare > busare (46v, 52r, 57v, 58v, 67r), fare la perforatione (57v), forare (33v), perforare (6v, 33v, 37r, 47v, 58r, 58v, 59r, 61v, 62r, 63r, 63v). Nella lingua medica antica non mancano, infine, come già visto per lupus/ lupa, alcuni casi di tecnicismi caratterizzati da una spiccata polisemia, talvolta indicanti designata anche piuttosto diversi tra loro: è per esempio il caso, presente già nel testo originale, delle polirematiche albumen oculi/albugo oculi, adottate da Bruno nell’accezione di ‘sclera’, ma ancor più frequenti, in epoca medievale, in quella patologica di ‘leucoma, macchia biancastra che si forma sulla cornea’; analoga è la situazione di arteria, i cui significati, già latini e accolti in volgare, sono ‘trachea’ e ‘vaso sanguigno’, nonché il già ricordato focile, che in connessione con gli attributi magnum e parvum poteva indicare rispettivamente ‘tibia’ e ‘perone’ se riferito alla gamba, ma l’ ‘ulna’ e il ‘radio’ se usato in rapporto al braccio. Ci troviamo, come è noto, su uno dei piani che più contribuiscono a distanziare la terminologia medica medievale da quella moderna e contemporanea, tra i cui capisaldi c’è il principio di univocità nel rapporto tra significante e significato.201 Altri casi istruttivi ricavabili dai nostri volgarizzamenti sono: schiena, che in B è usato come traducente di crus, ma anche di ren e di spina, con la triplice accezione, dunque, di ‘gamba’, ‘rene’ (un uso rarissimo di schiena nel senso affine di ‘animella’ è segnalato dal DEI solo dal XVIII sec.) e ‘spina dorsale’. Più in generale, l’ampio ricorso a traducenti derivati dal lessico comune, spesso a carattere iperonimico, determina l’adozione estesa di un medesimo termine volgare in corrispondenza di più tecnicismi latini: così il sostantivo gamba, oltre a tradurre il lat. crus, è impiegato in tutti e tre i manoscritti anche come traducente di tibia (e in V ganba è usato anche per il lat. coxa); la voce schaio compare in V come traducente di ala, subascella e titillicus; sempre in V, il sost. zontura è adottato tanto per tradurre il lat. iunctura, dunque nell’accezione di ‘connessione delle ossa tra loro, articolazione’, ma anche in corrispondenza del lat. coniunctiva ‘congiuntiva, membrana mucosa che riveste internamente la palpebra’; il generico capo, in R, continua il lat. caput, ma è anche usato per rendere il più specifico craneum; in B, galone restituisce sia anca sia scia, termine che però indica, più precisamente, l’ osso ischio e non l’intero osso iliaco; sia in R sia in V, si traduce con l’iperonimo verga (già continuatore del lat. virga) il lat. praepucium; il popolarismo cotenna è presente in R, al pari del comunissimo pelle, sia come traducente di cutis, sia di pellicula, che designa più nello specifico una ‘membrana anatomica molto sottile’.

201 Ma una tendenza alla sinonimia non è del tutto inesistente nella lingua medica contemporanea: cf. Gualdo (1999, 226) e la bibliografia ivi indicata.

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 5 Appunti linguistici

5.6.3 Formazione delle parole Come già rilevato nella maggior parte degli studi dedicati alla lingua medica medievale negli ultimi decenni,202 lo studio delle strategie di formazione delle parole rappresenta uno dei punti focali nella misurazione del grado di autonomia con il quale un traduttore si muove nei confronti del latino. I volgarizzamenti della Chirurgia di Bruno si mostrano ampiamente solidali con i tratti morfologico-lessicali più comuni nella lingua medica medievale. Anzitutto, la suffissazione degli aggettivi di relazione («buon indice della progressiva cristallizzazione terminologica»: Motolese 2004, 68), già matura nei testi latini, tende a essere in gran parte conservata, e anzi spesso corroborata da fenomeni di estensione. È particolarmente indicativa, per esempio, l’adozione del suffisso -ivo203 (designante soprattutto le proprietà terapeutiche dei medicinali, ma anche stati fisiologici e patologici) in situazioni di completa autonomia rispetto al testo latino: di fronte a una costruzione cum + sostantivo, infatti, il ms. F1 risponde spesso col ricorso al corrispondente attributo con suffisso -ivo, mostrando dunque con chiarezza l’assimilazione attiva di un tale strumento nomenclatorio: cum attractione > attractiva (9v), cum humiditade > humectativi (20v), cum refrenatione > refrenativo (55v), cum unctuositade > molitivo (20v), ecc.; un’analoga strategia si coglie, poi, anche in altri testimoni, nella resa dei participi presenti con valore attributivo: confortans > chonfortativo (V, 53r); exsiccans > disecchativo (R, 52r), desechativo (V, 24v), esechativo (V, 6r), seccativo (B, 4v); lavans > lavativo (B, 70v); mitigans > mitigativo (B, 10r; F1, 10v); restaurans > restaurativo (V, 35v). Più in generale, il suffisso -ivo, soprattutto come continuatore del lat. -ivus, mostra il più alto grado di produttività nella formazione degli aggettivi di relazione: – abstersivus > V: astrexivo (23v); B: abstersivo (22v) – (formica) ambulativa > V: (formicha) ambulativa (25r); B: (formica) deambulativa (24r) – attractivus > R: atractivo (21r); V: atrativo (52v) – cicatrizativus > Z: zichatrizativo (16r); B: cicatrizativo (14v) – confortativus > R: confortativo (140v); V: chonfortativo (60v); B:  confortativo (63v) – conglutinativus > V: conglutinativo (16r); B: conglutinativo (14v) 202 Cf. Gualdo (1999, 170–176; 217–223), Sboarina (2000, 111–123), Casapullo/Policardo (2003, 175–176), Motolese (2004, 68–71), D’Anzi (2008, 141–143; 2012b, 244–249), Sosnowski (2014, 93– 95), Zarra (2018, 467–470); per gli stessi procedimenti terminologici nel campo affine della mascalcia, cf. Aprile (2001a, 98–113). Più in generale, per la formazione delle parole in italiano, cf. Dardano (1978; 1988; 2009), Grossmann/Rainer (2004). 203 Cf. Rohlfs (1966–1969, §1151), Altieri Biagi (1970, 24).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

– – – – – – – – – – – – – – – –

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consolidativus > R: saldativo (143r); V: chonsolidativo (34v); B:  consolidativo (64v) consumptivus > B: consuptivo (61r) corrosivus > R: corosivo (153r); V: choroxivo (14v); B: corosivo (68r) desiccativus > R: diseccativo (18v); V: desechativo (19v); B: desiccativo (18v) exsiccativus > R: diseccativo (14v); V: desechativo (6v), esechativo (26v); B: exiccativo (22v), siccativo (4v) (virtus) imaginativa > R: vertù imaginativa (70r); V: vertude imaginativa (32r); B: (virtude) ymaginativa (32v) incarnativus > R: incarnativo (36v); V: incharnativo (16v); B: carnativo (14v), incarnativo (5v) inflativus > R: inflativo (17v); V: ~ (9v); B: ~ (8r) maturativus > R: maturativo (12v); V: madurativo (14r) mollificativus > R: mollificativo (110v); V: molifichativo (10r); B:  mollificativo (8v) mordicativus > V: mordichativo (65r) mundificativus > B: mondificativo (22v) putrefactivus > V: putrefativo (6v) relaxativus > R: relassativo (46r); V: arelasativo (22r) restaurativus > V: restorativo (38r) sigillativus > R: siggellativo (33v); V: chonsolidativo (5v); B: sigillativo (4r)

Gli altri suffissi caratterizzati da una certa vitalità, e anche in tal caso dipendenti, per massima parte, da un corrispondente suffisso latino, sono -oso (usato quasi esclusivamente nel lessico patologico e fisiologico; < lat. -osus),204 e, seppur con una rappresentanza molto più ridotta (e oggetto di una netta sostituzione almeno in V), -ibile (relativo soprattutto a stati fisiologici; < lat. -ibilis),205 -ico (anch’esso appartenente soprattutto all’àmbito patologico e fisiologico; < lat. -icus)206 e -ale (D’Anzi 2012a, 247: «registrato compattamente negli aggettivi formati a partire da sostantivi indicanti una parte del corpo», ma vivo anche in settori non propriamente medici; < lat. -alis):207

204 Cf. Rohlfs (1966–1969, §1125), Tekavčić (1980, §1583–1584). 205 Cf. Rohlfs (1966–1969, §1035). 206 Cf. Rohlfs (1966–1969, §1054), Tekavčić (1980, §1572–1573). 207 Cf. Rohlfs (1966–1969, §1079), Tekavčić (1980, §1521–1522). Sulla base di Mazzini (1989, 22), Gualdo (1999, 221) ricorda come la diffusione del suffisso -ale sia anche collegata, già nel latino medievale, alla «traduzione della nisba araba (al- con il significato di ‘simile a’)».

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 5 Appunti linguistici

Tabella 34: Suffissi specialistici (a). – osus – apostemosus > R: apostemoso (7v); V: apostumoso (19r); B: apostematoso (4r), apostemoso (17v) – (hernia) aquosa > R: ernia acosa (149r); V: ernia achoxa (62v), ernia aquoxa (62v); B: (hernia) aquosa (67r) – cartillaginosus > R: cartilaginoso (6r); V: chartilazinoxo (4v); B: cartilaginoso (3v) – callosus > R: calloso (5v); V: challoxo (64v); B: caloso (36v) – cancrosus > V: chanchroxo (60r) – carnosus > R: carnoso (7r); V: charnoxo (5r); B: carnoso (4r) – gibbosus > R: genboso (16v), giomboso (17r); V: goboxo (34v); B: gobboso (58r) – lacertosus > B: lacertoso (12r) – nervosus > R: nervoso (27v); V: nervoxo (5r); B: nervoso (4r) – nitrosus > R: nitroso (9r); B: ~ (4v) – ossuosus > R: ossoso (56r); V: osuoxo (5r); B: ossoso (4r) – (lapis) ramosus > R: (pietra) ramosa (160v); V: (piera) ramoxa (66v); B: preda ramosa (70r) – saniosus > R: sanioso (33v); V: marzoxo (17v); B: sanioso (15r) – spumosus > R: spumoso (25v); B: ~ (11v) – viscosus > R: viscoso (42r); V: vischoxo (23v); B: viscoso (19v) – ibilis – cursibilis > B: cursibile (72r) – dissolubilis > B: dissolubile (10r) – fluxibilis > B: decorivile (53r) – insensibilis > R: insensibile (114r); B: ~ (51r) – intollerabilis > B: intollerabile (35v) – nocibilis > B: nocivele (11r) – sensibilis > R: sensibile (56v); B: ~ (26v) – susceptibilis > B: susceptibile (23r) – visibilis > V: vexibele; B: visibile (26r) – icus

– colericus > V: cholericho (54r); B: colerico (30r) – cronicus > R: cronico (169r) – flegmaticus > R: flametico (126r), flematico (132v); V: flematicho (54v); B: flegmatico (56v) – melancolicus > V: mellenchonicho (49r); B: melancolico (30r), melanconico (51r) – plectoricus > B: pletorico (56v) – stipticus > R: stitico (52r); V: stiticho (10v); B: stiptico (24r), stitico (9r) – ydropicus > R: idruopico (49v), itrupico (101v), ydruopico (139v); B: ydropico (23r)

– alis

– accidentalis > R: accidentale (138r); V: azidentalle (26v); B: accidentale (26r) – animalis > V: animalle (60v); B: vitale (58v) – arterialis > R: artiçiale (41v) – capitalis > R: capitale (73v); V: chapitalle (33v) – essentialis > R: esentiale (55v); V: sencial (26v); B: essenziale (26r)

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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Tabella 34 (continua) – inguinalis > R: anguignale (145v) – intestinalis > R: entestinale (146v) – materialis > R: materiale (78v); V: materialle (35v); B: materiale (36v) – mineralis > B: minerale (17r) – pluvialis > V: ploviale (10v), pluviale (45r); B: pluviale (9r) – radicalis > R: radicale (33r); B: radicale (15r)

Abbastanza solida in volgare si mostra anche la permanenza del suffisso -ino (< lat. inus), adottato per specificare la natura di molte sostanze medicinali, soprattutto olii o unguenti ricavati da piante: alumen zucarinum > alume zuccarino (R, 112v), alume zucharina (V, 48v), ~ (B, 50v); oleum laurinum > oglio laurino (R, 174r), oleo laurino (B, 74r); oleum mirtinum > oglo mirtino (R, 37r), oleo mirtino (B, 17r); oleum muscellinum > oglo muscellino (R, 118r), oio musollino (V, 51r), oleo muscalino (B, 52v), muscellino (B, 53r); oleum sambucinum > oglio sanbucino (R, 174r), oio sanbusino (V, 69v), oleo sambucino (B, 74v), oleum sisaminum > oglio sissamino (R, 174r), oio sisamino (V, 37r). Non sono pochi, però, i casi di esplicitazione dell’attributo per mezzo del nome corrispondente al genitivo: oleum camomillinum > oglo di camamilla (R, 116v), oleo de camomilla (B, 36r); oleum masticinum > oglio (de) masticie (R, 54v), oleo de mastice (B, 25v); oleum mirtinum > oglo di mortina (R, 38v), oleo de mirto (B, 24v). In qualche caso, però, alla struttura latina oleum + genit. corrisponde in volgare quella formata da olio + agg. di relazione, a conferma dello sviluppo autonomo del suffisso in esame: oleum pulegii > oglio pulegino (R, 174r), viscus quercinus > vescovo di quercia (R, 143v), visco de rovere (B, 64v). Nella resa degli aggettivi di relazione, complessivamente indirizzati, come appena visto, all’accoglienza dei suffissi latini originari, non mancano alcune strategie divulgative che apportano un distanziamento dalla base originaria. Particolarmente interessante per la sua frequenza appare l’esplicitazione degli attributi latini, soprattutto quelli in -alis (arterialis, inguinalis, intestinalis, ecc.), -icus (colericus, melancolicus, plectoricus, ecc.) e -osus (ventosus, ecc.), resi con il genitivo del nome corrispondente, o per mezzo di una struttura perifrastica: – accidentalis > V: per azidente (26v) – arterialis > B: de le arterie (19r) – capitalis > B: de la testa (34v) – colericus > R: di collera (125r) – intestinalis > R: dello intestinale (149r); V: chon la qualle va zò le budelle (62v); B: de li budelli (66v) – inguinalis > B: che vene in li pectinaculi (64v), de li inguini (65r); V: delle inguinaie (61v)

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 5 Appunti linguistici

localis (cura, medicina) > R: del luogo (133v); B: de li logi (60r), de lo loco (27r); lunaris > V: a modo de luna (60r); B: ~ (63r) melancolicus > R: formato di malanconia (114r); V: de la melanchonia (30r) plectoricus > R: pieno di magli omori (126r)208 pluvialis > R: che piove (19v) ventosa > B: piena de vento (67r)

In altri casi, tale distanziamento avviene semplicemente grazie all’uso di suffissi che si pongono in un rapporto di discontinuità rispetto a quello latino (da notare, ad esempio, è la sostituzione di -ivus con i corrispondenti suffissi participiali): es. ambulativus > discorrant (B, 56r); apostemosus > apostumado (V, 5v); memorialis > memorativa (B, 32v); pluvialis > piovana (R; 103v); nocibilis > nocivo (V, 12v), ~ (B, 19r); putrefactivus > putrefaciente (B, 5r); tortuosus > torto (R, 59v), ~ (B, 27v). Anche nel campo dei suffissati nominali i nostri testi si accodano alle tendenze generali visibili in larga parte della letteratura medica medievale in volgare. Di grande rilevanza, soprattutto in B, è l’apporto (avvertibile principalmente nel lessico patologico e fisiologico) del suffisso ┌-zione┐, da intendersi anzitutto come eredità dell’originale latino, ma anche come innovazione in seno al volgare (es.: apostema > R: appostematione 149r, V: postumacion 5v; emplastrum > B: emplastratione 30v; ligatura > B: ligatione 5r; siccitas > V: esechacione 23r; ulcus > B: ulceratione 25r; vulnus > B: vulneratione 3r; ecc.): – adhustio > B: adhustione (30r) – agregatio > B: congregatione (22r) – alienatio (mentis) > V: alienacione (de mente) (13v); B: alienatione de la mente (12v) – alteratio > B: alteratione (18v) – apostematio > R: postematione (8r); V: postumacion (5v); B: apostematione (4r), postematione (5r) – coagulatio > B: adunatione (36v) – consumptio > B: consumptione (34v) – conversio > B: conversione (4v) – continuatio > B: continuatione (9v) – crepitatio > B: crepatione (39v) – declinatio > V: declinacione (52v); B: declinatione (54v) – dilatatio > R: dilatatione (146v) – dissolutio > B: dissolutione (5v) – distillatio > R: distillatione (161r); B: ~ (70v)

208 Una perifrasi analoga si ha anche in F1: pieno de humori cativi (57r).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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ebullitio > B: ebulitione (3r) egestio > R: digestione (158v) evacuatio > R: evacatione (58r), evaucatione (149v); V: evachuacione (53v), vachuacione (53v); B: evacuatione (19r), vacuatione (59v) excreatio > R: discreatione (115r); B: sguratione (51v) gurgulatio > R: gurguttatione (147r); B: gorgulatione (66r), gurgulatione (63v) indignatio > V: indegnacione (20v); B: indignatione (20v) inflammatio > R: infiamatione (124v); B: inflamatione (34v) inflatio > R: enfiatione (16v); V: inflaxone (9r); B: inflatione (7v) mordicatio > R: mordicatione (23v); V: mordichacione (12r); B: mordicatione (10v) opillatio > R: oppilatione (8r); V: opilacion (5v); B: opillatione (4r) punctio > R: punzione (57v); V: ponsione (27r) putrefactio > R: putrefatione (10r); V: putrefacione (6v); B: putrefactione (5r) retentio > B: retentione (23r)

Pur in una situazione di sostanziale continuità con la base latina, non mancano casi di innovazione suffissale, osservabili soprattutto nei mss. R e V: constrictio > constrinzimento (B, 20v); continuatio > chontinuanza (V, 36v), chontinuitade (V, 10v); corruptio > corronpimento (R, 46v); inflatio > infiadura (V, 34v), inflatura (B, 7v); mordicatio > mordicamento (R, 50r); punctio > ponzimento (B, 26v); retentio > retignimento (V, 23v), ecc. Meno produttivi, ma comunque ben attestati, sono i suffissi: -tura, frequentissimo nel lessico patologico e traumatologico, e spesso indipendente dalla base latina di partenza: Tabella 35: Suffissi specialistici (b). R

arostitura (43r; lat. escara), ammachatura (4r; lat. contusio), cavatura (48r; lat. caverna), chiavatura (96r; lat. iunctura), coniunctura (75r; lat. iunctura), cucitura (17r, 11r; lat. suitio, sutura), exitura (101v; lat. exitura), fenditura (111v; lat. scissura), fessura (68r; lat. scissura), giontura (4v; lat. iunctura), maccatura (7v; lat. contusio), puntura (84r; lat. punctura), rotura (67v; lat. fractura), scisura (109v; lat. scissura), segatura (148v; lat. sectio), stracciatura (27r; lat. lacertus), taglatura (3r; lat. sectio), toccatura (84v; lat. titillicus), ecc.

V

cuxidura (3r, 7r; lat. suitio, sutura), deslongadura (43r; lat. dislocatio), deslusadura (43r; lat. dislocatio), esitura (44r; lat. exitura), enfiadura (12r; lat. tumor), fendedura (4v; lat. scissura), fessura (3r; lat. scissura), fratura (36r; lat. fractura), pontura (38r; lat. punctura), rotura (32v; lat. fractura), sfendedura (14r; lat. scissura), situra (55r; lat. exitura), stretura (13r; lat. strictura), zalura (54r; lat. citrinitas), zontura (4r; lat. iunctura), ecc.

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 5 Appunti linguistici

Tabella 35 (continua) B

brutura (11v; lat. egestio), cusitura (2r, 5v; lat. suitio, sutura), exitura (57v; lat. exitura), fissura (33r; lat. sectio), fractura (2v; lat. fractura), infiatura (36r; lat. tumor), partitura (2r; lat. sectio), punctura (39r; lat. punctura), puntura (35v; lat. pruritus), puzura (2v; lat. pus), strentura (51v, 39v; lat. attractio, strictura), taliatura (39r; lat. sectio), tortura (41r; lat. tortuositas), tractura (51v; lat. anxietas), zontura (2v; lat. iunctura), ecc.

-ezza, tipico nella descrizione di stati fisiologici, colori e qualità dei medicamenti (in forte concorrenza con il suffisso -ità/-itade): Tabella 36: Suffissi specialistici (c). R

caldezza (24r; lat. calor), cupezza (14v; lat. concavitas), debolezza (46v; lat. debilitas), freddezza (29r; lat. frigiditas), frigideçça (78r; lat. frigiditas), giallezza (124r; lat. citrinitas), grasseçça (36r; lat. pinguedo), gravezza (90r; lat. gravitas), grossezza (78v; lat. grossities), humidezza (26v; lat. humiditas), larghezza (41v; lat. elargatio), leneçça (60r; lat. lenitas), lieveçça (128r; lat. lenitas), nereçça (46v; lat. nigredo), polseza (112v; lat. pulsus), rossezza (24r; lat. rubor), tostezza (5v; lat. durities), ecc.

V

aroseza (48v, 14v; lat. rubedo, rubor), aspreza (14v; lat. asperitas), debelleza (62v; lat. debilitas), dureza (3r; lat. durities), foscheza (52r; lat. nigredo), graseza (60r; lat. pinguedo), graveza (41v; lat. gravitas), grosseza (47r; lat. grossities), molleza (3r, 55r; lat. lenitas, mollities), negreza (22v; lat. nigredo), secheza (17v; lat. siccitas), ecc.

B

dureza (2r; lat. durities), graveza (42v; lat. gravitas), grasseza (16v; lat. pinguedo), grosseza (43r, 21v; lat. eminentia; grossities), humiditade (3r; lat. humiditas), ingualeza (42v; lat. aequatio), legereza (44r, 63v; lat. lenitas, levitas), nigreza (22v; lat. nigredo), pleneza (13r; lat. plenitudo), rosseza (52v, 10v; lat. rubedo, rubor), tenereza (13r; lat. mollities), ecc.

-ità/-itade, di carattere più generico, ma designante per lo più stati fisiologici (si pensi ai quattro della teoria umorale); Tabella 37: Suffissi specialistici (d). R

aguità (128r; lat. acuitas), calidità (22r; lat. caliditas), capacità (27v; lat. capacitas), carnosità (36r; lat. carnositas), debilità (54r; lat. debilitas), fumusità (31r; lat. fumositas), gattività (159v; lat. aegritudo), giobbosità (97v; lat. gibbositas), gobosità (76r; lat. gibbositas), humiditade (5v; lat. humiditas), lievezza (96r; lat. lenitas), lividità (65r; lat. lividitas), lubrigità (96r; lubricitas), sottilità (23r; lat. subtilitas), superfluità (26v; lat. superfluitas), ventosità (5r; lat. ventositas), veredità (125r; lat. viriditas), ecc.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 489

Tabella 37 (continua) V

achuitade (55r; lat. acuitas), chaliditade (10r; lat. caliditas), charnoxitade (56v; lat. carnositas), chavitade (41v; lat. concavitas), chonchavitade (7v; lat. concavitas), chontinuitade (10v; lat. continuitas), debellitade (22v; lat. debilitas), friziditade (9r; lat. frigiditas), fumositade (15v; lat. fumositas), goboxitade (39r; lat. gibbositas), liquiditade (10r; lat. liquiditas), livitade (21v; lat. levitas), sotillitade (11v; lat. subtilitas), superfluitade (26v; lat. superfluitas), umidità (4v; lat. humiditas), ventuxitade (4v; lat. ventositas), ecc.

B

acuitade (57v; lat. acuitas), asperitade (13r; lat. asperitas), caliditade (3r; lat. caliditas), capacitade (12v; lat. capacitas), carnositade (16v; lat. carnositas), concavitade (6r; lat. concavitas), debilitade (51v; lat. debilitas), frigiditade (3r; lat. frigiditas), fumositade (14r; lat. fumositas), gibbositade (35v; lat. gibbositas), gravitade (41v; lat. gravitas), humiditade (3r; lat. humiditas), lenitade (20v; lat. levitas), lividitade (30v; lat. lividitas), lubricitade (44r; lat. lubricitas), superfluitade (5r; lat. superfluitas), sutilitade (10r; lat. subtilitas), ventositade (3r; lat. ventositas), viriditade (25r; lat. viriditas), ecc.

Da notare è anche il frequente ricorso (soprattutto in B) al suffisso -mento, vivo in tutti i principali settori del lessico specialistico e, con una discreta percentuale, usato in corrispondenza di un termine latino in -tio: abscisio > ascondimento (B, 32r); adhaerentia > azonzimento (V, 16r); agregatio > ragunamento (R, 137v), asunamento (V, 59r); ambulatio > andamento (R, 51v), ~ (V, 25v), discorimento (B, 25r); aptatio > aconzamento (6v); apoplexia > cadimento (B, 32r), perdimento (B, 32r); collectio > racolglimento (R, 133r), sunamento (V, 54v); constrictio > constrinzimento (B,  20v); corrosio > roxegamento (V, 24v); corruptio > corronpimento (R,  46v); decursus > decorimento (B, 19r); defectus > manchamento (V, 31v); dilatatio > largamento (B, 52v); effusio > discorrimento (B, 67r), sugamento (B, 34r); eminentia > levamento (B, 63v); evacuatio > votamento (R, 41v); fervor > sboyentamento (B, 56v); lubricitas > biusgamento (44r); meatus > andamento (V, 65v), passamento (B, 69r); morbus > nogumento (V, 17r); pruritus > spulirimento (B, 35v); sectio > taliamento (B, 31v); velamen > covatamento (B, 70r), velamento (B, 32r); ecc. È in buona parte un’eredità del latino l’occasionale coniazione di nuovi termini specialistici per mezzo di suffissi alterativi (per lo più diminutivi),209 che consentono la sostanziale tecnificazione, principalmente in àmbito anatomico e patologico, di parole provenienti dal lessico comune: – ampulla > B: ampula (56v) – carbunculus > R: carpuncolo (123r), incarbuncolo (123r); V: charbonchulo (53r), B: carbonculo (55r) 209 Cf. André (1991, 238–240) e Gualdo (1999, 219), oltre alla bibliografia ivi riportata.

490  – – – – – – – – – – – – – – –

 5 Appunti linguistici

cellula > V: zillola (32r); B: celula (32v) fontanella > R: fontanella (169r); V: ~ (73r); B: ~ (68v) furcula > R: forcola (83v); V: forcholla (38r), forzella (38r); B: furcella (39r) glandula > R: gangola (132r), grandula (131v); V: glandolla (56v) macula > V: machulla (45r); B: macula (47r) panniculus > R: pannicolo (3r); V: panichollo (3r); B: paniculo (2r) pellicula > R: pellicola (27v); V: pilicholla (14r) pilula > R: pillola (57v); V: pirolla (27r); B: pillula (26v) pupilla > R: popilla (105r); V: ~ (45v); B: pupilla (47v) ranula > R: ranula (113v); V: ranulla (49r); B: ranula (51r) rotula > R: ruotola (100v); B: rotulla (45v) sacculus > R: sacolo (135r); V: sachadello (58r), sacheto (59v); B: sachetto (61v), saculo (60v) ungula > V: longulla (46r), onglela (45v), ongulla (45v); B: ungula (46v) uvula > R: uvola (114r); B: ulula (51v), uvula (51v) ventriculus > R: ventricolo (69v); V: ventrichollo (32r)

Sul piano precipuo del volgare, peraltro, si osserva un incremento del fenomeno, anche in situazioni di discontinuità rispetto alla base etimologica di partenza: barbozo (B, 30v; lat. mentum), barbuzo (V, 48r; lat. mentum), bissola de l’ancha (B, 73r; lat. piscis anchae), bossolo dell’anca (R, 170r; lat. piscis anchae), bozin (V, 56v; lat. botium), bugnone (B, 54r; lat. tumor), buso pizinino de la pelle (B, 10r; lat. porus), chusinello (V, 35r; lat. pulvinar), dedo menemelo (V, 31r; lat. digitus minor), dito piccolino (R, 88r; lat. digitus minor), frustolo (R, 83r; lat. frustrum), lunella (B, 51v; lat. uvula), moietine (V, 53v; lat. piczicarolus), oxexello (V, 38r; lat. frustrum); padella (V, 43v; lat. rotula), panichollo (V, 32v; lat. pellicula), partesella (B, 41v; lat. frustrum), patella (B, 45v; lat. rotula), pectinaculo (B, 10r; lat. pecten), pellexella (V, 32v; lat. pellicula), pelsinela (B, 12v; lat. pellicula), petenechio (V, 11r; lat. pecten),210 poppola (R, 25v; lat. mamilla), tetina (V, 13r; lat. mamilla), ecc. Un’analoga situazione si coglie nel dizionario botanico e in quello della strumentistica medico-chirurgica, dove però, già sul fronte latino, i suffissi alterativi appaiono almeno in parte cristallizzati e privi di una connotazione specifica (cf. Gualdo 1999, 219–220): cannula/canellum > R: cannella (111r); V: chanella (48r); B: canella (20v), canelleta (68v), caneta (53v); nigella > R: nigella (118r); B: nigella (53r); piczicarolus > R: pizzicarole (71r); V: pizicarole (53v); B: pizicaroli (33r); plumaceolus > R: piumacciolo (72v); V: pimazuolo (33v); B: piumazolo (33r); pulvillus >

210 La forma pettignone, attestata in R, è da considerarsi invece già lessicalizzata secondo Gualdo (1999, 219).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 491

R: piumacciolo (86r); V: pimazollo (6v); B: piumaiolo (5r), piumazoleto (40r); terbentina > R: termentina (23r); V: trementina (11v); B: terbentina (55v); ecc.211 Non mancano innovazioni volgari che corroborano il fenomeno: aluthel > V: vasello (29r); anacardium > V: anachardino (56r); cantaris > R: cantarella (131v); V: chantarella (56r); forceps/forfex212 > R: mollette (44v), tanalgluzze (71r); V: forfexete (74v); B: forvecini (47v), tanaliola/tanalioli (20v); licinium > R: lucignolo (19r); B: stupino (9r); mirtus > R: mortina (114v); V: smartella (24v); pix > V: pegola (18r); B: ~ (17r); pulegium > V: porizuol (48v); B: pilizolo (51r); solatrum > B: morella (30v); stuellus > R: tasticiuolo (14r); B: stupino (5v); ecc. Alcuni sostantivi sono invece il risultato della sostantivizzazione di originari aggettivi, in linea con un fenomeno appartenente alla lingua medica medievale così come a quella moderna e contemporanea.213 Si possono citare i seguenti casi, già propri del testo latino:214 artetica > arteticha (R, 170v), arteticha (V, 68v), artetica (B, 73r); (vena) basilica (già in latino il termine è usato sia come attributo di vena, sia come sostantivo indipendente) > basilica; (vena) cephalica (già in latino usato sia come attributo di vena sia come sostantivo indipendente) > zefalicha (V, 49r); coniunctiva > coniunctiva (B, 49r); cornea (in latino si alterna con la forma polirematica tunica cornea) > chornea (V, 45v), cornea (B, 48v); cristallinum > cristallina (R, 104v), christallina (V, 45r), cristalina (B, 47r); lacrimalis > lagremal (V, 45v), lacrimale (B, 47v), lagrimale (R, 105r); menstrua > menstrui (B, 23r); uvea (in latino si alterna con la polirematica tunica uvea) > uvea (V, 46v), ~ (B, 48r). Indipendenti dal latino sono poi termini volgari come digestiva (R, 26r; lat. digestio), glandoxa (V, 59r; lat. glandula), (hernia dello) intestinale (R, 149r; lat. hernia intestinalis), ecc.; particolarmente significativa, in quanto oggetto di convergenza nel trattamento dei mss. R, V e B, è la voce ptisis, tradotta con l’originario attributo femminile tisica da B (12r), con i maschili tisico e tixego rispettivamente da R (155v) e da V (65r). Quanto osservato fin qui si pone in una linea di sostanziale continuità con uno dei principali caratteri distintivi del lessico medico medievale, notoriamente contrassegnato da un alto grado di «sinonimia inerziale» (Motolese 2004, 63–65) e

211 Cf., in F1, il lat. spatumil, reso con lanzeta (46v) e rasoreto (46v). 212 Le due varianti latine indicano, in realtà, strumenti non del tutto coincidenti, come illustrato da Elena Artale e Ilaria Zamuner in una recente giornata di studi torinese (Artale/Zamuner 2019), e come mostrano anche le nostre rese volgari. 213 Cf. Serianni (2005, 199–200) e D’Anzi (2012a, 246). 214 Non si considerano in questa sede i casi, molto frequenti, di aggettivi che indicano le proprietà dei medicamenti, e che in latino ricorrono sia in unione a medicamen, sia come attributi sostantivati (es.: medicamen consolidativum/consolidativum, medicamen incarnativum/incarnativum, medicamen sigillativum/sigillativum, ecc.).

492 

 5 Appunti linguistici

da una «debole marcatezza formale» (Dardano 1994, 507). Un primo livello, meno interessante, del fenomeno (cf. gli elenchi di voci riportati nel corso di questo e del precedente paragrafo), riguarda l’alto tasso di polimorfia, che si coglie con particolare evidenza tra i termini di derivazione greca e araba, la cui riproduzione grafica presenta un apprezzabile livello di oscillazione: limitandoci solo a qualche esempio, si può pensare a varianti come sefiros (127r)/senfiros (127r)/ sephyros (120r) in R; idropizo (44v), itropexo (23v), itropixo (60r) in V, ecc. Una situazione analoga, in cui le forme semicolte possono anche sfociare nella teratogenia, si rinviene per alcuni latinismi, a riprova di una circolazione che in àmbito volgare doveva talvolta essere piuttosto scarsa o limitata ai piani più alti della medicina non ufficiale: in corrispondenza del lat. abstersio, troviamo dunque abstersione (172r), asterzio (34r), astresio (33r), istrassione (53v), straxione (58r) in R; V presenta a sua volta le forme asterxione (13v), estexione (13r), sterxione (25v); il grado di oscillazione è massimo in R, come ben si ricava dalle tredici varianti grafico-fonetiche usate per rendere il lat. corruptio: corruttione, corottione, corrotione, corruptione, corruttione, corruxione, currutione, corruzione, corruzzione, coruptione, coruttione, curratione, currutio. Il ms. B si mostra, rispetto a R e V, ben più maturo nel processo di semplificazione di questa ipertrofia grafico-fonetica, motivo per cui, ad esempio, al lat. dislocatio corrisponde esclusivamente il volgare dislocatione, laddove V accoglie le forme deslogacion (4r), deslongacion (42v), deslosacione (40v), dislocacion (40v), dislogacione (41r), dislongaxon (42r), senza qui considerare quelle che presentano un cambio di suffisso (es.: deslusadura 41r).215 Il secondo livello, decisamente più rilevante (e in parte già segnalato: cf. 5.6.2), concerne la proliferazione dei traducenti, per cui al cospetto di un singolo tecnicismo latino si rinvengono spesso più termini volgari. Resta qui da sottolineare come la stessa moltiplicazione dei suffissi,216 favorita da una morfologia «ben lontana dall’assumere caratteri di rigorosa stabilità» (Casapullo/Policardo 2003, 172), determini talvolta un’allotropia molto accentuata, generando serie nominali fondate su una medesima base, ma su desinenze diverse, che molto raramente appaiono portatrici di una reale differenziazione semantica. Un caso istruttivo, in tale ottica, ci è offerto dall’atteggiamento tenuto dai traduttori verso forme stereotipe come quelle

215 Talvolta, peraltro, pur nell’àmbito di un uso morfologicamente consapevole dei singoli suffissi, non mancano casi di rese «improprie», che finiscono per accostare terminazioni tutt’altro che coincidenti: un fatto, questo, che può riguardare il settore suffissale nella sua interezza. Si pensi, ad esempio, a una resa come coagulans > choagulado (V, 45r), la quale, se si esclude un errore (non impossibile) indotto da una variante deteriore del testo, implicherà un passaggio del significato da attivo a passivo in virtù dell’adozione di un participio passato. 216 Si veda, per un quadro generale del fenomeno in italiano, Coletti (2012, 89–102).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

 493

afferenti alla terminologia umorale (cf. ivi, 166), le quali, accolte solitamente in maniera piuttosto passiva (qui come nella maggior parte dei testi medici medievali), testimoniano lo sviluppo di termini volgari accomunati dal tema e dal significato, ma rinnovati grazie all’impiego di suffissi differenti (di ognuna si riportano qui sotto le singole occorrenze, che offrono un dato concreto sulla percentuale dell’alternanza; si noti, in aggiunta, come la stessa polimorfia grafica non arretri neppure nel caso di termini ad altissima frequenza come quelli qui elencati): Tabella 38: Serie nominali. Edizione Hall (1957)

R

V

B

caliditas

– caldeçça, caldezza (29r, 30v bis, 39r, 43r, 64v, 74r, 77v, 78r, 114r, 137v) – calidità (22r, 23v) – caldo (5r)

– chaldeza (15v) – chaliditade, challiditade, chalidità (11v, 12r, 14v, 19r, 21r, 30r, 30v, 35v bis, 49r) – chaldo (59r) – challura/chalura (4r, 30v, 59r) – chalor (34r)

– caliditade (3r, 10r, 10v, 13r bis, 14r bis, 18r, 19v, 30r, 31r bis, 34v, 36r, 36v, 38v, 51v, 56r, 62r, 67r)

frigiditas

– freddezza, freddeçça, – friziditade (9r, 19v, fredeçça (29r, 56v, 26v, 35v) 112v), frigideçça (78r) – fredura (4v, 14v, 15v)

humiditas

– humidezza (26v) – humidità, humiditade, umidità (5r, 26v, 29v, 30v, 33r, 34v ter, 38v, 47r, 49r, 49v bis, 50r bis, 50v, 56r, 58r, 61v, 63r, 94v, 105r, 111r bis, 137r bis, 149r, 155r, 167r, 167v bis, 169v, 170v)

– umidità, umiditade (4v, 12r, 13r, 13v, 14v bis, 15v, 16v, 17r ter, 19r, 22v bis, 23v ter, 24r ter, 24v, 26v, 28v, 33r, 41v, 43v, 45v, 48r bis, 49r, 59r, 61r, 64v, 65r, 66r, 68r bis, 68v ter)

– humiditade (3r, 11r, 12r bis, 13r bis, 14r, 15r ter, 15v, 17v, 21v bis, 23r quinquies, 23v bis, 26r, 27v, 28v, 29r, 29v, 31v bis, 34r, 43v, 45v, 47v, 50r bis, 51v, 61v, 62r, 63v bis, 67r, 68v, 70r, 72r bis, 72v, 73r)

siccitas

– seccità, siccità, sictietade (5r, 29r bis, 35v, 39v, 47v, 49v, 154r)

– esechacione (23v) – secheza (17v) – sicitade, sezitade (14v, 17v, 19v, 23v, 65r)

– siccitade, sicitade (3r, 13r bis, 16r, 18r, 22r, 23r, 68v)

– frigiditade (7v, 9v, 11v, 13r bis, 14r, 18r, 19v, 26r, 36v, 50v)

Limitatamente ai quattro termini umorali, il ms. B si mostra perfettamente aderente alla fonte latina (ma non mancano affatto casi di oscillazione suffissale: cf. infra), laddove R varia tra i suffissi -tà/-ade e -ezza, mentre V testimonia un

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 5 Appunti linguistici

notevole grado di alternanza (soprattutto nei 5 traducenti adottati in corrispondenza di caliditas), sebbene la forma di derivazione latina sia sempre maggioritaria. Il ridotto grado di innovazione di B andrà piuttosto inteso come esito della spiccata deferenza verso l’auctoritas originale e non come frutto di una reale «maturità» linguistica del volgarizzatore: quasi certamente non si ha a che fare, cioè, con uno stadio lessicale considerabile come precorritore di tendenze ancora di là da venire. Per altri casi indicativi di sinonimia inerziale fondata su varianti presumibilmente adiafore, possiamo ancora citare: – ablutio > R: lavagione (48r)/lavatura (48v); B: lavamento (13v)/lavatione (22v) – aequatio > B: ingualamento (38v)/ingualeza (42v) – alleviatio > B: aleviatione (12v)/aleviamento (70v) – apostema > R: apostema (8r)/appostematione (149r); V: postiema (5v)/postumacion (5v) – calor > R: caldezza (24r)/caldo (31r)/calore (8r) – commotio > B: commotione (49r)/commovimento (38v) – consolidatio > B: saldamento (4v)/saldatione (4r) – continuatio > V: chontinuanza (36v)/chontinuitade (10v) – corruptio > R: currutione (54r)/corronpimento (46v) – currens > V: chorente (24r)/chorelativo (23v) – dilatatio > B: largamento (52v)/largeza (4v) – dislocatio > V: deslogacion (4r)/deslongadura (43r) – disruptio > B: disruptione (68v)/disruptura (8v) – ligatio > B: ligame (34r)/ligamento(38r)/ligatione (3r)/ligatura (64v) – medicamen > R: medicagione (43r)/medicame (36v)/medicamento (40r) – nigredo > V: negreza (22v)/negrura (27r) – operatio > V: opera (49r)/operacione (2v) – relaxatio > B: largatione (5v)/largamento (5v) – rubedo > R: rossore (114r)/rossezza (50r); V: arossore (61r)/aroseza (48r) – sectio > B: taliamento (31v)/taliatura (39r) Come si vede già in alcune delle voci volgari elencate sopra, una porzione saliente dell’alternanza suffissale riguarda il rapporto tra forme a suffisso zero e forme ampliate (cf. Gualdo 1999, 217): apostema/appostematione (R, 8r/149r; lat. apostema); postiema/postumacion (V, 5v/5v; lat. apostema); clisterio/clisterizatione (B, 8r/27v; lat. clisterizatio); inbrocca/inbroccatione (R, 81r/92v; lat. embrocatio), embroca/embrocatione (B, 14r/14r; lat. embrocatio); emplastro/emplastratione (B, 9r/30v; lat. emplastrum); gargarismo/gargarizatione (B, 52r/53r; lat. gargarizatio); ligame/ligamento (B, 34r/38r; lat. ligatio); medicame/medicamento (R, 36v/40r; lat. medicamen); opera/operatione (R, 2r/1v; lat. operatio) ecc.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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Uno sguardo alla prefissazione ci consente infine di riscontrare una discreta variabilità rispetto all’elemento latino di partenza:217 una siffatta variabilità non sembra apportare, come visto già per i suffissi, alcuna connotazione semantica, ma potrebbe talvolta rimandare a tradizioni volgari differenti o connotate a livello locale (cf. Gualdo 1999, 218). In parecchie occasioni, non a caso, i prefissi mostrano una labile sopravvivenza,218 o quantomeno vanno incontro a una certa interscambiabilità (anche nel conservativo ms. B); talvolta, invece, si assiste allo sviluppo di forme aferetiche (es. il documentatissimo apostema/postema), verosimilmente oggetto di diffusione popolare: – abstractio > R: extrassione (44r); B: abstractione (2v)/extractione (2v)/ tractione (20v) – agregatio > B: agregatione (2v)/congregatione (5r) – apostemari > R: apostemare (150r)/inpostemare (73r) – attractio > B: attractione (8v)/extractione (21r) – coadunari > R: adunarsi (166r); V: adunarse (55v); B: adunarse (6r) – comburere > R: cuocere (36r)/inchuocere (65r) – concavare > R: cavare (46r)/concavare (130r); B: cavare (21r)/concavare (58v) – concavitas > V: chavitade (41v)/chonchavitade (7v) – congelatus > R: congelato (21r)/gelato (105r); V: ozelato (45v) – conglutinatio > V: azonzimento (18r)/chonzonzimento (16v) – coniungere > V: azonzere (18r)/chonzonzere (7v)/zonzere (6v); B: conzonzere (5v)/zonzere (45v) – consolidatio > B: consolidatione (3r)/solidatione (2r) – constringere > R: costringere (5r)/strignere (110r); V: chonstrenzere (4v)/strenzere (21r); B: chonstrinzere (3r)/strinzere (49v) – debilitatus > V: debelitado (46r)/indebilitado (37r) – dilatare > R: allargare (44v)/dilargare (21e); V: alargar (21v)/largare (9r) – dilatatus > B: alargato (10v)/largato (26r) – dissolvere > V: desolvere (37r)/solvere (37r) – epilensia > R: epilenzia (168v)/pilensia (169r) – eradicare > V: deradigare (58v)/radegare (30v)

217 Cf. Cassandro (1996, 295–342) per la prefissazione nella lingua medica contemporanea. 218 Fenomeno già ben visibile nella tradizione del testo latino: es. dissolutionem (Hall 1957, 22) > solutionem (ms. lat. G); dissolvatur (Ead., 31) > resolvatur (mss. lat. E, G); declinatio (Ead., 33) > inclinatio (ms. lat. O); unctio (Ead., 40) > inunctio (ms. lat. B); embroca (Ead., 56) > broca (ms. lat. O); regenerativi (Ead., 57) > generativi (mss. lat. B, E, G); incarnativum (Ead., 57) > carnativum (mss. lat. B, E); desiccat (Ead., 59) > exsiccat (ms. lat. B); exsiccativa (Ead., 91) > desiccativa (ms. lat. B); grossitudinem (Ead., 99) > ingrossitudinem (ms. lat. B); conglutinationis (Ead., 100) > glutinationis (ms. lat. E); ecc. Sulla Praefixeinmischung in latino, cf. Hofmann/Szantyr (1977, 194 e 563).

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 5 Appunti linguistici

exitura > V: esitura (44r)/situra (55r) exsiccatio > R: diseccagione (9v)/seccatione (23r); V: desechacione (10r)/esechacione (16r); B: desiccatione (57v)/exiccatione (8v) extendere > R: distendere (89v)/extendere (84r)/stendere (86v); B: destendere (44r)/extendere (39r) extractio > B: abstractione (33r)/extractione (20v) infrigidatio > B: frigidatione (5v)/infrigidatione (16r) nectere > V: gropare (7r)/ingropare (44v)

La situazione dei prefissi offre inoltre una panoramica sul ruolo che, nella formazione delle parole, possono esercitare alcuni fenomeni di calco linguistico: prescindendo qui dai calchi semantici, già evidenziati parlando delle «unità lessicali superiori» (le quali, in molti casi, altro non sono che dei calchi semantici di corrispettive locuzioni latine: es. meatus urinales > B, 70v: via de la urina; nodus pedis > V, 68v: nodo del pe’; R, 170v: nodo del piede; B, 73r: nodo de lo pede; orificium fistulae > B, 27v: buso de la fistula; R, 59r: orificio della fistola; os vesicae > B, 71r: bocha de la vesicha), merita un cenno il gruppo dei calchi grammaticali, che rispondono al tentativo di riprodurre il valore dei prefissi latini (particolarmente evidente è il caso dei verbi formati col prefisso e-/ex-, resi piuttosto compattamente tramite avverbi di luogo: cf. Casapullo/Policardo 2003, 173): abstractio > B: tirare fora (infin. sostantivato; 20r); V: trare fuora (infin. sostantivato; 3v); emittere > R: mettere di fuori (116v); evellere > B: strepare fora (47r), tirare via (13v); V: trare fuora (45r); excutiere > V: chachare fuora (54r); B: cazare fora (48v); expellens > R: che caccia via (35v); V: che chaza via (62r); expellere > R: cacciare via (113v), mandare fuori (152v); V: chachare fuora (55r), chazare via (33r), chazare fuora (32r), tirare fuora (32v); B: butare fora (32v), cazare fora (32v); exradicare > R: cavare fuori (154r); extirpare > V: taiare fuora (64v), tuor via (15r); extirpatio > V: tuor via (infin. sostantivato; 3r); V: vegnire fuora (13v); B: mandare fora (11v); indigestibilis > B: non paylivele (62v); indigestio > B: non paylire (infin. sostantivato; 59r); ecc. In definitiva, pur nella precoce canonizzazione di specifici elementi suffisali (soprattutto nel gruppo degli aggettivi relativi), l’uso degli affissi nei nostri volgarizzamenti, soprattutto sul piano dei sostantivi, conferma la distanza rispetto agli sviluppi che contrassegneranno la lingua medica in epoca moderna. Bisognerà attendere ancora diversi decenni per far sì che l’impositio nominum e la necessità di una corrispondenza univoca tra significante e significato vengano percepite, per la prima volta, come un fatto ineludibile, preliminare alla fondazione di qualunque sapere scientifico.219

219 Cf. Giovanardi (1987, 52–87).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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5.6.4 Ai confini del lessico specialistico: voci comuni, tecnicismi «collaterali», paretimologie, «teratogenie», «parole fantasma» L’esatta delimitazione della terminologia medica costituisce un punto essenziale nella valutazione del materiale raccolto durante lo spoglio lessicale: può trattarsi, talvolta, di un’operazione rischiosa, durante la quale è facile cadere in sovrainterpretazioni.220 È nota in particolare la difficoltà, per un lettore moderno, d’individuare con un ragionevole margine di sicurezza il confine tra lessico specialistico e lessico comune laddove ci si trovi di fronte a tecnicismi poco trasparenti, la cui natura è ben lontana da quella delle voci d’origine greca e araba (o anche dei latinismi più accusati), immediatamente riconoscibili nel loro particolare status terminologico (ma sul cui effettivo uso in ambiente volgare è in molti casi lecito dubitare). In una prospettiva più generale, poi, un ostacolo rilevante è dato dalla necessità di limitare, per la lingua medica medievale, l’applicazione di schemi classificatori che valgono piuttosto per situazioni moderne e contemporanee: va dunque sempre tenuto a mente che le «gerarchie lessicali», le quali siamo indotti a riconoscere nel patrimonio linguistico dei testi medici volgari (e ancor più dei volgarizzamenti), «vanno [...] ricostruite recuperandole da un amalgama dove si confondono materiali eterogenei per origine e per aspetto formale» (Gualdo 1999, 226). Nel tentativo di sceverare il lessico propriamente settoriale da quello comune (ovvero le «parole» dai «termini»: cf. Altieri Biagi 1970, 30),221 sarà necessario anzitutto considerare come anche i vocaboli afferenti a quest’ultimo possano rivelare, nella loro ricorsività, un grado piuttosto alto di tecnificazione. Un esempio emblematico del fenomeno è rappresentato da alcuni avverbi i quali, tanto negli originali latini quanto nei corrispettivi volgari, si palesano come elementi nient’affatto periferici, anzi caricati, con buona probabilità, di una valenza propriamente tecnico-scientifica, che è testimoniata dal loro impiego capillare e comprovata dal riscontro con altri glossari di medicina medievale: si possono citare (esempi tratti da B) avverbi come equalmente (per indicare l’uso di stesse quantità di ingredienti nella composizione di medicamenti; 19v, 23v, 30r e passim), lezeramente (in relazione alla particolare accortezza da adoperare in alcune

220 Per una panoramica sugli ostacoli insiti nella delimitazione delle caratteristiche fondanti del linguaggio scientifico antico, cf. Gleßgen (1998, 432–433), Gualdo (1999, 168–169; 225–226), Coluccia (2001), Serianni (2005, 91–95); il rapporto tra lingua comune e lingua scientifica nei secoli scorsi (anche con una prospettiva rivolta all’epoca post-medievale) è indagato da Giovanardi (1987), Dardano (1994, 508–510), Motolese (2004, 60–65), Serianni (2002). 221 Operazione rilevante soprattutto al fine di costruire un glossario selettivo del lessico medico: cf. le riflessioni apposte in apertura del cap. 6.

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 5 Appunti linguistici

operazioni chirurgiche; 10r, 20r, 33v e passim), manifestamente (per sottolineare l’evidenza di un processo fisiologico o patologico emerso nel corso di un’operazione chirurgica; 49r bis), prestamente (per connotare l’urgenza di un intervento sul paziente; 52v, 53v, 56v), sutilmente (quasi coincidente con lezeramente;222 10v, 38v).223 Una situazione analoga si osserva anche negli altri settori del lessico specialistico: si pensi, già in dipendenza da corrispettive voci latine, a un gruppo corradicale come caro-carnositas-carnosus, restituito in maniera molto conservativa dai nostri volgarizzamenti (R: carne 3r, carnosità 36r, carnoso 7r; V: charne 2v, charnoxitade 61r, charnoxo 5r; B: carne 2r, carnositade 16v, carnoso 4r); altrettanto fedele è la resa del gruppo incarnare/incarnatio/incarnativus, anch’esso di diffusione molto ampia nella letteratura medica medievale, con un’accezione circoscritta (‘cicatrizzare’: cf. TLIO) e lontana da quella più consueta, di àmbito religioso: R: incarnare (84v), incarnatione (79v), incarnativo (36v); V: incharnare (14v), incharnacion (4v), incharnativo (16v); B: incarnare (3v), incarnatione (3v), incarnativo (2v). Più significativi sono i casi in cui le traduzioni generano, in maniera autonoma rispetto ai tecnicismi di partenza (e anzi in sostituzione di essi), alcune serie corradicali molto ben codificate, che consentono di presupporre uno statuto essenzialmente tecnico e un’accezione ben specifica dei singoli componenti (oltre a confermare l’alto grado di produttività suffissale, del quale si è detto nel precedente paragrafo: cf. Gualdo 1999, 170). Di particolare interesse sono, in tale prospettiva, i traducenti adottati per restituire alcuni tecnicismi del lessico chirurgico e terapeutico. Ci limitiamo a un paio di esempi notevoli: pressoché sistematica è la resa del lat. incidere per mezzo del comune ┌tagliare┐: R: talglare (15r); V: taiare (11r), taiare via (15r); B: taiare (7r), taiare via (39r); nessuno dei tre volgarizzatori ricorre al latinismo incidere, che nell’accezione chirurgica è infatti di diffusione cinquecentesca (ante 1561, Marmitta, GDLI §8). Che però non si tratti di una sostituzione indirizzata esclusivamente a una radicale semplificazione (tecnicismo latino > parola volgare comune), e che al contrario il verbo tagliare possa aver acquisito una connotazione molto più precisa, sembra ricavabile dalla resa delle due forme corradicali incisio e incisus, in perfetta sintonia con quella del verbo incidere: R: taglatura (3r), taglare (infin. sostantivato; 13v); V: taiadura (31r), taio (3r) B: taliatura (2r)/R: taglato (21v); V: taiado (11r); B: taliato

222 Anche diligentemente e saviamente ricorrono di frequente per descrivere le varie fasi di un’operazione chirurgica. 223 Avverbi di tal genere «possono sembrare indulgenze ad un tipo di espressione generica. In realtà acquistano, attraverso la fissità dell’impiego, il valore di indicazioni precise sulla maniera di condurre l’intervento» (Altieri Biagi 1970, 26).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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(9v).224 Nello stesso campo semantico, il verbo lat. scindere, sinonimico di incidere, è reso principalmente con taliare da B e taiare da V, mentre in R talglare è in sfavorevole concorrenza con fendere; analogamente, taliadura è in B il secondo traducente (leggermente meno usuale rispetto a fissura) adottato per restituire il lat. scissura, al pari di quanto si vede in R, dove taglatura è molto ben rappresentato accanto al traducente principale fessura. Notevoli, data la loro ricorrenza, sono poi alcuni aggettivi che, pur appartenenti in buona parte al lessico comune (già in latino), conferiscono una connotazione molto specifica al sostantivo di riferimento:225 – accidentalis ‘di stato patologico non naturale, non congenito’ > R: accidentale (8v); V: azidentalle (6r); B: accidentale (4v) – acutus 1. ‘di stato patologico violento e a rapida evoluzione’ > R: acuto (68v); V: achuto (31v); B: acuto (32r) – acutus 2. ‘caratterizzato dalla prevalenza di umore bilioso’ > R: aguto (28v); V: ~ (14v); B: acuto (13r) – aquosus ‘di elemento fisiologico e patologico che contiene acqua’ > R: acquidoso (42v); V: achoxo (22v); B: aquoso (21v) – asper ‘di patologia (nello specifico: calcolo renale) che corrode i tessuti circostanti’ > R: aspero (160v); V: aspro (66v); B: aspero (70r) – crudus ‘di umore o altra sostanza non smaltita efficacemente dall’organismo’ > R: crudo (56v); V: chrudo (26v); B: crudo (26v) – extraneus ‘che non appartiene, o è eccessivo, rispetto al normale stato fisiologico dell’organismo’ > R: strano (45r); V: stranio (16v); B: extraneo (20v) – grossus ‘molto denso, viscoso’ > R: grosso (29v); V: ~ (14v); B: ~ (13r) – naturalis ‘fisiologico, congenito’ > R: naturale (2v); V: ~ (2v); B: ~ (2r) – occultus ‘di patologia (nello specifico: cancro) di cui si ignora l’esistenza o che non è direttamente visibile’ > R: oculto (67v); B: occulto (31v) – ramosus ‘di patologia (nello specifico: calcolo renale) costituito da ramificazioni’ > R: ramoso (160v); V: ramoxo (66v); B: ramoso (70r) – spissus ‘denso, coagulato’ > R: spesso (78r); V: speso (35v); B: spesso (20r) – subtilis ‘poco denso’ > R: sottile (22v); V: sotille (14v); B: subtile (10r) – superfluus ‘eccessivo rispetto al normale bisogno dell’organismo’ > R: superfluo (35v); V: ~ (20r); B: ~ (59v)

224 Per incisio, le forme citate sono in alternanza con la voce dotta ┌incisione┐, dominante in B, ma minoritaria in R e V. 225 Qui e più avanti, sia le voci latine sia quelle volgari sono restituite in forma tipizzata.

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 5 Appunti linguistici

Ci troviamo qui su un piano contermine a quello dei cosiddetti «tecnicismi collaterali», classificazione nata in seno alla lingua contemporanea della medicina e certamente di più complessa applicabilità in rapporto a quella antica:226 siamo infatti di fronte a «quella zona grigia fatta di scelte legate al registro espressivo che è molto difficile da valutare per il passato» (Motolese 2004, 61). Di là dalle doverose cautele preliminari, si può quantomeno tentare di isolare un gruppo di termini aventi caratteristiche analoghe, a cominciare dall’alta frequenza d’uso.227 Si tratta, in via pressoché esclusiva, di parole derivanti da corrispondenti voci latine; tra gli aggettivi andranno annoverati: alteratus ‘che ha perso la consistenza o l’aspetto fisiologico originario’ > V: alterado (7v), B: alterato (6r); ambulativus ‘di infiammazione o sostanza patologica che si diffonde rapidamente nell’organismo’ > V: ambulativo (25r), B: deambulativo (24r); B: confirmatus 1. ‘consolidato, rafforzato (detto di una frattura o una dislocazione)’ > R: confermato (100r), V: chonfermado (43v), B: confirmato (45v); confirmatus 2. ‘di elemento radicato nell’organismo e difficilmente estirpabile’ > R: confermato (107v), V: chonfermado (46v), B: confirmato (48v); patiens ‘infermo, ammalato’  > R: patiente (65v);228 subiectus ‘agg. interessato da una manifestazione patologica’ > R: soggetto (56r), V: sozeto (3r), B: subiecto (2r);229 ecc. A questi si possono accostare alcuni verbi e sostantivi che, almeno in qualche caso, testimoniano una trafila pressoché ininterrotta fino all’epoca contemporanea: – aproximare ‘avvicinare, apporre (una sostanza medicamentosa)’230 > R: approssimare (14r); V: aprossimare (36r) – attratio ‘proprietà di attirare a sé, di assorbire altre sostanze’ > R: attratione (22r); V: atracione (11v); B: attractione (8v) – alterare ‘far degenerare una sostanza originaria’ > V: alterare (36r) – alteratio ‘degenerazione di una sostanza’ > V: alterado (agg.; 19v); B: alteratione (18v) – ambulatio ‘propagazione di uno stato patologico’ > B: ambulatione (24r) – coagulare ‘raddensare, rapprendere’ > B: coagulare (15r)

226 Cf. Serianni (1989, 102–108; 2005, 127–128). Per l’applicabilità del concetto ai testi antichi, cf. anche Dardano (1994, 514), Gleßgen (1993, 192–194), Gualdo (1996, 36–39; 1999, 168–169). In particolare, Gualdo (1996, 224–291) dedica un’ampia sezione del glossario ai termini considerabili come tecnicismi collaterali: molti di essi (tra i quali alcuni frequenti avverbi in -mente: es. equalmente, essenzialmente, ecc.) si rinvengono anche nei nostri tre volgarizzamenti. 227 La frequenza è «uno degli indici di individuazione dei tecnicismi collaterali» (Motolese 2004, 61, nota 18). 228 Cf. Motolese (2004, 62). 229 Cf. ibid.; Gualdo (1996, 283). 230 Cf. Gualdo (1996, 229).

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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compressio ‘pressione, compressione esercitata su una parte dell’organismo’ > R: conpressione (19v); B: compressione (9r) comprimere ‘sottoporre a pressione’ > R: conpremere (107r); V: chonpremer (60v); B: compremere (63r) confirmare ‘consolidare (una frattura)’ > R: confirmare (76v); V: confermare (39r); B: confirmare (35v) confirmatio ‘consolidamento (di una frattura)’ > R: confermare (infin. sostantivato; 80r); V: confermacione (36v); B: confirmatione (37v) confortare ‘rinvigorire’ > R: confortare (8r); V: chonfortare (6r); B: confortare (4v) declinatio ‘fase di regresso di una malattia’ > V: declinacione (52v); B: declinatione (54v) desiccare ‘sottrarre umidità all’organismo o a sue parti’ > R: diseccare (30r); V: desechare (10r); B: desiccare (9r) inducere ‘provocare; causare’ > B: indurre (55v) ingrossare ‘aumentare in quantità o densità’ > R: ingrossare (36r); V: ingrosar (17v); B: ingrossare (16r) rectificare ‘sanare, purificare’ > R: retificare (53v); V: retifichare (34v); B: rectificare (25r) refrigerare ‘abbassare la temperatura corporea’ > R: raffiggerare (78r); B: refrigerare (36v) resolvere ‘dissolvere umori, spiriti vitali’ > R: risolvere (16r); V: resolvere (9r); B: ~ (7v) retentio ‘accumulo di liquido nel condotto destinato alla sua evacuazione o nel serbatoio dove è normalmente contenuto’ > B: retentione (23r) retinere ‘trattenere una sostanza liquida impedendole di fuoriuscire o disperdersi’ > R: ritenere (49r); V: retegnir (3v); B: retegnire (4r) subtiliare ‘ridurre in densità’ > R: sottiglare (28r); V: sotiare (35v); B: subtiliare (10r)

Ai confini del lessico propriamente tecnico ci conducono anche le svariate forme paretimologiche rintracciate nel corso dello spoglio lessicale: in pochi settori come nella medicina (e nelle branche ad essa limitrofe, con un ruolo rilevantissimo della botanica)231 si riesce a cogliere, in tutta evidenza, quel «bisogno

231 Il settore botanico è quello che, nell’àmbito della lingua medica intesa nel suo complesso, desta il maggiore interesse in prospettiva di uno studio paretimologico: la posizione trasversale della farmacologia, il suo legame profondo con tutti i livelli del mondo sanitario, ne fanno infatti il ramo più soggetto a una larga circolazione anche tra gli strati sociali più bassi, laddove

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 5 Appunti linguistici

degli esseri umani, presente da sempre, di motivare il segno linguistico» (Pfister/ Lupis 2001, 163), bisogno che è alla base di molti sviluppi popolari giunti fino a noi.232 Se la già ricordata polimorfia del lessico (non solo quello di carattere tecnico-scientifico) è la testimonianza più diretta di una lingua ancora lontana dall’essere incanalata in un sistema di rigida normalizzazione, i fenomeni di paretimologia ne costituiscono, per certi versi, uno sviluppo ulteriore: voci cólte e appartenenti a tradizioni linguistiche (come quella greca e araba) estranee alla maggior parte dei parlanti,233 infatti, non solo favoriscono il proliferare di semplici varianti, di incidenza tutto sommato trascurabile sul lessico, ma soprattutto forniscono l’humus ideale per la nascita di forme paretimologiche, i cui adattamenti grafico-fonetici mirano ad avvicinare semanticamente la parola di partenza ad una più vicina all’esperienza quotidiana, ma con la quale non esiste, se non nell’immaginario del parlante o dello scrivente, un vero rapporto etimologico (cf. Lupis/Pfister 2001, 166: «si determina, attraverso l’etimologia popolare, una sorta di autorassicurazione semantica del parlante»).234 Casi notevoli di paretimologia si registrano già nell’originale latino: un esempio per tutti, del resto abbastanza noto, è rappresentato dalla voce liquiritia, travestimento del gr. γλυκύρριζα per influsso del lat. liquor (cf. Glossario s.v.); un’associazione di carattere paretimologico sarà da presuppore anche per il sostantivo merdasengi (conservato nel ms. R), voce di origine persiana giunta in latino (dov’è sinonimo di litargirium) per tramite arabo (murdāsanğ, mardāsanğ:

remedia e consilia in volgare la facevano da padroni e potevano avere un impatto determinante anche in termini di circolazione linguistica. Cf. Pfister-Lupis (2001, 167): «Denominazioni dotte di piante e di farmaci, che risalgono per esempio ad etimi greci, sono spesso state travestite dall’etimologia popolare». 232 Per non cadere in equivoci da più parte evidenziati, l’attributo «popolare» s’intende qui nel senso più ampio possibile, cioè come frutto di deformazioni e rielaborazioni che possono avvenire anche in ambienti dotti di una data società umana: cf. Lupis/Pfister (2001, 164). Un’introduzione al fenomeno della paretimologia, insieme ad esempi provenienti da settori affini a quello qui considerato, sono, oltre al citato Lupis/Pfister (2001), anche Bertolotti (1958), Hristea (1968), Baldinger (1971), Olschansky (1996), Bernhard (2004; 2011), Schweickard (2008). 233 Cf. Pfister (2011, 673): «Verständlicherweise tritt eine solche vor allem bei griechischlateinischen Fremdwörtern oder bei Entlehnungen aus anderen Sprachen auf». 234 Cf. Baldinger (1973, 34): «Bei der Volksetymologie handelt es sich um eine (wissenschaftlich falsche) Verbindung von zwei verschiedenen Wortfamilien»; Pfister (2001, 674): «solche isolierten Relikte werden semantisch einer größeren, besser verankerten Wortfamilie angeschlossen, sofern von der Ausdruckweise her eine phonetische Anschlußmöglichkeit gegeben ist». Tra i primi e più celebri documenti di sviluppi popolari e paretimologici del lessico medico volgare si può citare la lauda di Iacopone da Todi O Signor, per cortesia/Manname la malsanìa!, dove leggiamo forme come fernosìa, parlasia, fistelle, carvuncilli, podraga, bisinteria, morroide, pasmo ecc.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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cf. Gleßgen II, 859).235 Il fenomeno, però, assume dimensioni rilevanti soprattutto nel passaggio dal latino al volgare. In taluni casi, il confronto con strumenti lessicografici antichi e moderni, ma soprattutto con glossari e repertori informatici (nello specifico i corpora OVI e ReMediA) offre informazioni decisive sul grado di vitalità dei singoli popolarismi (cf. 5.6.2): è il caso di alcuni dei traducenti adottati per rendere il lat. emoroys. Le voci presenti in R, morece (154v) e moreci (154v), al pari di maroeda, sostantivo usato sistematicamente in V (44v), e morena, attestato in F1 (69v), trovano infatti ampia conferma nelle testimonianze di epoca più o meno coeva: inoltre, almeno per morena è stato ipotizzato (cf. Cipolla/ Malacarne 2006, 350), un legame con Mauru(m), per indicare dunque il colore particolarmente scuro del designatum in questione (cf. Glossario, sezione 2, s.v. emoroys). È già tardo-latino, ma diviene prevalente soprattutto in volgare, l’uso di malinconia al posto del termine dotto melancolia, con evidente avvicinamento paretimologico del gr. μέλας ‘nero’ a male. Le voci diaflegma/dyaflegma, presenti nei mss. F1, L, Bre al cospetto di diafragma, subiscono sicuramente l’influsso di flegma, e trovano conforto nelle varianti diaflemma/diaflema, attestate in Maestro Bartolomeo (cf. OVI);236 parallelamente, il passaggio di -fr- a -fl- nelle forme diaflamma (in R)/diaflamma (in V) potrebbe aver risentito anche dell’associazione a flamma (cf. OVI: diaflamma, attestato ancora in Maestro Bartolomeo, e diaflagmate, in CrescenziVolg). La voce magranza (68v), che in V continua il lat. emigranea, collima con le molte attestazioni antiche di magrana (cf. OVI), sulle quali può aver fatto leva la prossimità con l’aggettivo comune magro. Sempre in V, è sistematico, al cospetto del verbo latino scarificare (‘incisione superficiale della cute o delle mucose a scopo terapeutico o diagnostico’) e del sostantivo derivato scarificatio, l’uso delle voci schiarifichar e schiarificatione, che sembrano rimandare a un incrocio del lat. caro ‘carne’ con l’agg. chiaro (un’attestazione antica del verbo è in Piero Ubertino da Brescia: cf. OVI). Un esempio istruttivo, proveniente dal lessico botanico, è poi rappresentato dal termine terbentina, che conduce alla formazione di volgarismi come tormentina (R, 23r; B, 10v) e trementina (V, 11v), i quali rimandano verosimilmente ai sostantivi comuni tormento e tremare (secondo uno sviluppo evidenziato anche nel portoghese antico da de Vasconcellos 1911, 272). Tornando poi alla voce latina liquiritia, ulteriori sviluppi paretimologici si possono osservare sul piano del volgare: in particolare, la forma regolizia (R, 20r), collegabile al verbo regolare ‘mettere in ordine l’organismo disturbato’, è già segnalato in studi precedenti (cf. Lupis/Pfister 2001, 167); requilizia di V (10v) 235 Cf. Lupis/Pfister (2001, 167). Più in generale, si impongono anche in ambienti cólti forme popolari come scia (‘osso ischio’), la quale altro non è che una denominazione alterata, propria già del latino medievale, per restituire il gr. ἰσχίον. 236 Si ricorre, qui e oltre, alle abbreviazioni adottate anche nel glossario e riprese dal LEI.

504 

 5 Appunti linguistici

potrebbe invece avere a che fare con il sostantivo requie (cf. AntidotNicolaiVolg, nel quale si parla di una magna medicina, non meglio identificata, detta requies «inperciò che presta requie agl’infermi»). Nella maggior parte delle voci interessate da deformazioni popolari, come appena visto, l’etimologia resta del tutto trasparente, al pari dell’accostamento semantico che è alla base delle «teratogenie» («le forme dotte, cioè, la cui errata trasmissione determina un guasto codicologico il quale, migrando all’esterno della tradizione scritta, produce una nuova parola che si afferma con una sua propria particolare storia e vitalità»: Lupis/Pfister 2001, 168). Ben più complesso risulta invece, anche considerando le conoscenze attuali sul lessico medico medievale, il tentativo di decifrare la reale natura di una parola e il suo grado di penetrazione nella lingua parlata. Che la forma regolizia di R sia stata, almeno in una precisa fase storica, viva e circolante, ci è confermato dai molti riscontri offerti da altri testi antichi e più moderni, anche di carattere non squisitamente scientifico. Molto spesso, al contrario, si ha a che fare con voci dubbie o molto dubbie, sulla cui effettiva diffusione è difficile avanzare ipotesi certe: la disponibilità di un numero sempre maggiore di edizioni sarà dunque essenziale per fornire informazioni dirimenti in merito. Uno degli esempi più rappresentativi, in quest’ottica, si legge nel ms. R, dove la voce latina flebotomia ‘flebotomia, salasso’ è regolarmente tradotta dalle varianti forbottomia/forbotomia/forbottonia (per un totale di 14 occorrenze contro l’unica di flobottomia),237 per le quali si può presupporre, oltre al verosimile rotacismo della laterale, un accostamento al verbo forbire, tecnicismo estremamente ricorrente all’interno del nostro testo. Il corpus OVI non ci restituisce attestazioni di forbottomia, ma una forma come fobrottonia (ante 1361, UbertinoBrescia) potrebbe indirizzarci sulla medesima strada.238 Le voci passibili di osservazioni analoghe, che risultano scarsamente o per nulla attestate, sono presenti in un discreto numero, e riguardano soprattutto le molte varianti grafico-fonetiche che fioriscono in corrispondenza di termini botanici. Si prenda, a mo’ d’esempio, il caso del lat. staphisagria: accanto alle più conservative rese di R (stafisagra 113r; stafisage 174v) e B (stafisagia 51v; stafisagria 74v), il ms. V restituisce la forma strafuxaria, ben attestata in testi a stampa più tardi, e adottata anche da F1 (strafusaria); lo stesso F1 (50v) presenta però anche una forma trasfusaria (presumibilmente metatetica rispetto a strafusaria, ma forse anche influenzata dal suffisso trans-), per la quale si è rinvenuta un’unica traccia ottocentesca, per di più con un uso del sostantivo al maschile (unguento di trasfu237 Cf. anche le rese perifrastiche del corrispondente verbo flebotomare: fare la forbottomia (114r), fare la forbottonia (30v), fare per forbottomia (107r). 238 La forma fobrottonia potrebbe costituire la base, per metatesi, delle varianti forbot- attestate in R.

5.6 Il lessico medico nei mss. R, V e B 

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sario).239 È evidente come, in entrambi i casi, si giunga alla distorsione del medesimo tecnicismo: la distinzione fondamentale tra le due forme risiederà pertanto nella diversa fortuna cui esse sono incorse (almeno stando alle testimonianze a nostra disposizione). Sempre in àmbito botanico, possiamo ancora ricordare le voci come benedio (associata a bene?) di F1, (50v), in corrispondenza del lat. penidium ‘penidio, zucchero d’orzo’, e regalicia di B (9r), per la quale non si può escludere una connessione con regale (attributo non popolare ma sicuramente adatto, tanto più in un contesto scritto, a evocare le nobili proprietà della pianta); il cuprum rosarum ‘rosa di rame, nome di varie specie di solfati’, diviene cuporosso in B (29v) e capo de le rose in F1 (28r), convergendo in entrambi i casi verso una soluzione «chiarificatrice» del primo elemento (l’ediz. Hall 1957 segnala peraltro già nella tradizione latina le varianti deteriori, frutto di univerbazione, cupperosi e cuperosae); altro esempio indicativo, tratto invece dal lessico patologico, è il sostantivo fralaxia, presente in V (68v) quale traducente di paralisis, ma non attestato altrove: in tal caso saremmo pertanto indotti a ipotizzare un’accostamento del grecismo originale all’aggettivo frale. Come appare evidente dalle voci fin qui elencate, il rischio con cui bisogna confrontarsi, tanto più in assenza di riscontri puntuali, è dunque quello di scambiare per voci popolari le varie forme che, a una più attenta analisi, potrebbero risultare delle semplici «parole fantasma», creazioni del tutto isolate e prive di vita propria (al pari di tutte quelle forme che i traduttori tendono a conservare in una veste latina o parzialmente latina, per incomprensione o perché in situazioni di code-mixing).240 Un gradino al di sotto delle tante forme dubbie andranno infine collocate tutte quelle alterazioni popolari (nel glossario appositamente segnalate con il simbolo †) che si presentano, in maniera ancor più immediata, come il frutto di banalizzazioni ed errori sorti per mano di volgarizzatori e copisti (talvolta già di quelli latini)241 poco ferrati nella materia trascritta: la locuzione hernia fredita (44r)/hernia frodita (64r), usata in V per tradurre il lat. hermofrodita, sarà evidentemente il prodotto di un isolato processo reinterpretativo, da imputare a un copista di scarsa cultura, per chiara associazione del primo elemento al termine (ben più comune all’interno del testo) ernia; in R, peraltro, ernia frondiosa (152r) e hernia frondito (102r). rappresentano la medesima riformulazione del grecismo di

239 Atti delle Adunanze dell’I. R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, Presso la Segreteria dell’Istituto, 1855, 426. 240 Per le «parole fantasma» e il loro trattamento a fini lessicografici, cf. le considerazioni di Aprile (1999, 68–74), oltre a quanto si dirà nell’introduzione al nostro glossario (cap. 6). 241 Esempi paradigmatici di deformazioni prodottesi già all’interno di una tradizione latina sono offerte da Herrero Ingelmo (2004, 285–293) e Herrero Ingelmo/Montero Cartelle (2007, 315–337).

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 5 Appunti linguistici

partenza. Ancora in R, tra i traducenti del lat. abstersio si legge una forma istrinzione (33r), che sarà da accostare a un verbo come istringnere (presente a c. 167r in corrispondenza del lat. restringere). Esempi analoghi sono presenti in discreto numero all’interno dei nostri volgarizzamenti, con una forte rappresentanza, anche in tal caso, delle voci di area botanica e farmacologica: così la pianta del mellilotus diviene milleloto in R (93v), con un verosimile avvicinamento, almeno nella prima parte, a una parola comune come il numerale mille; le locuzioni, presenti in F1, confectione operiata (25v) e medesina operiata (25v), costituiranno una chiara banalizzazione (indotta dal sostantivo operazione) nella resa del tecnicismo opiata ‘sostanza oppioide’; ancora in F1, la voce multilagine (53v) risentirà di un improprio accostamento all’avverbio multo. Demandando ad altra sede un’analisi particolareggiata incentrata sul lessico botanico (dove, come detto, si concentra una notevole percentuale di paretimologie), sarà opportuno ribadire come solo la strada intrapresa negli ultimi decenni, che ha garantito un sostanziale incremento di edizioni e di glossari specialistici, potrà forse consentire di dissipare i dubbi che nascono davanti a forme poco o per nulla attestate (cf. l’esempio di forbottomia), sulle quali grava il sospetto di essere soltanto «parole fantasma», frutto della scarsa preparazione di volgarizzatori e copisti succedutisi nella trasmissione del testo. In tale prospettiva, restano attualissime le considerazioni formulate da Ineichen (1966, 333–334) nel suo pioneristico studio sul Serapiom volgare: «La corruttela degli elementi terminologici è un fenomeno che caratterizza tutta la tradizione medica del Medioevo [...]. Effettivamente un esame teratologico più approfondito della terminologia scientifica medievale allo scopo di stabilirne la trasmissione e la relativa cronologia agevolerebbe di molto anche l’interpretazione dei testi».

6 Glossario 6.1 Per un glossario sinottico latino-volgare La fortuna lessicografica della Chirurgia magna,1 tanto in latino quanto in volgare, è estremamente scarsa, e va di pari passo con la ridotta considerazione goduta da Bruno nel campo degli studi medievistici e di storia della medicina. L’unica possibilità di confronto risiede nel recente, ma putroppo ancora parziale, Mittellateinisches Wörterbuch bis zum ausgehenden 13. Jahrhundert (d’ora in avanti: MLW), nato negli anni ’60 del secolo scorso con l’obiettivo di fornire un nuovo dizionario del latino medievale in grado di sostituire l’ancor oggi fondamentale Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis di Du Cange (d’ora in avanti: Du Cange).2 Il MLW, oltre a coprire un arco cronologico più ampio dei suoi predecessori (fino al 1280, morte di Alberto Magno), presta grande attenzione anche ai linguaggi scientifici e, in particolare, tra le diverse fonti di carattere medico spogliate, ricorre proprio alla Chirurgia magna di Bruno (l’edizione usata per lo spoglio è l’ultima delle ristampe cinquecentesche realizzate a Venezia, quella del 1546): esso è stato, pertanto, pur nei limiti imposti dal suo stato in fieri, uno strumento importante per osservare la circolazione di certi termini, soprattutto di quelli la cui diffusione appare chiaramente tardo-medievale e la cui presenza è piuttosto rara nei testi dell’epoca.3 In tal senso, si è rivelata talvolta infruttuosa, al contrario, la consultazione del suddetto Du Cange o degli altri grandi dizionari latini, quali il Thesaurus Linguae Latinae (d’ora in avanti: TLL) e il Totius Latinitatis Lexicon (d’ora in avanti: Forcellini), sistematicamente consultati per saggiare la vitalità lessicografica dei lemmi latini accolti nel glossario. Accanto al MLW, va considerato poi l’apporto, più ridotto, del Novum Glossarium Mediae Latinitatis (d’ora in avanti: NGML), i cui volumi sono consultabili in rete.4 Per il resto, però, non disponiamo di apporti specifici su Bruno: non si hanno, infatti,

1 Parti di questa introduzione sono state già affrontate in Ventura (2017), al quale si rinvia. 2 L’opera, finanziata dalla Bayerische Akademie der Wissenschaften, è giunta, con l’ultima pubblicazione (IV, 46), alla voce initium (ultima consultazione: ottobre 2018). 3 A tal riguardo, osservando ad esempio la voce botium, si può notare come, oltre che in Bruno, essa sia presente in Ruggero da Parma, in Iohannes Iamatus, contemporaneo di Bruno stesso, nella Chirurgia di Bamberga edita da Sudhoff (1918a) e nelle Glosse dei Quattro maestri salernitani: sono, in buona parte, proprio le fonti moderne di cui Bruno tacitamente si serve nella sua Chirurgia e delle quali si è parlato nel cap. 2.7. 4 Sono per ora consultabili, in buona sostanza, i soli lemmi compresi tra L e P: rispetto al MLW, inoltre, il Novum Glossarium ha un’estensione cronologica più limitata (800–1200) e prende in scarsa considerazione, all’interno del proprio corpus, i testi marcatamente scientifici. https://doi.org/10.1515/9783110624595-006

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 6 Glossario

studi sul lessico medico-chirurgico della Chirurgia magna, che pure si mostra di grande interesse già nella sua veste originale, collocata, al pari di altri testi coevi, al confine tra mondi linguistici apparentemente lontani (latino, greco, arabo), ma sostanzialmente paralleli e parimenti essenziali nella formazione di una lingua condivisa della medicina. Il presente glossario vorrebbe dunque contribuire a colmare almeno in parte questa lacuna, agendo principalmente sul piano del lessico volgare, ma senza tralasciare il rapporto con quello originale. Si presenteranno qui tre distinte sezioni:5 1) anatomia; 2) fisiologia e patologia; 3) botanica e farmacologia.6 Muovendo dal lemma latino, si è scelto di prendere in esame tre delle versioni oggi note, presentando, secondo una visuale sinottica, i diversi traducenti adottati dai tre volgarizzatori. Abbiamo dunque a che fare con un arco cronologico che va dalla metà del Trecento alla metà del Quattrocento, e con uno spazio linguistico che riguarda l’area lombarda, la Toscana e l’area veneta: i manoscritti considerati sono infatti, rispettivamente, il bergamasco B, il toscano R e il (presumibilmente) veneziano V; solo saltuariamente, quando esso offre utili riscontri, ci si è serviti anche di F1. Nella prospettiva di un’estensione del glossario anche ad altri testimoni della tradizione, l’obiettivo sarà proprio di inglobare nel glossario anche la famiglia rappresentata, oltre che dai settentrionali F1, L, Bre, dal fiorentino F2. Il fine è di osservare da vicino il diverso debito maturato verso il lessico originale dai singoli traduttori (conservazione o eliminazione del tecnicismo greco-latino-arabo, perifrasi, adozione di forme volgari o di termini generici e banalizzanti, ecc.), ma anche gli eventuali punti di contatto tra loro: si potrà ad esempio verificare come, di fronte a voci dotte come sincopis e sincopizare del testo latino, accanto alle forme più o meno adattate sincopismo, sincopis, sincopi, i vari volgarizzamenti ricorrano anche, in maniera autonoma, alla comune immagine della caduta del corpo, associando quindi la patologia

5 Resta esclusa, con l’eccezione di alcune forme volgari di confine (usate come traducenti di lemmi latini presenti nelle sezioni 1 e 2), la sezione dedicata al lessico del settore chirurgico, tramautologico e terapeutico: ci proponiamo di colmare in futuro questa lacuna, dato il sicuro interesse lessicografico che tali settori specifici hanno palesato a una prima (e del tutto parziale) indagine. 6 Nello specifico, in questa sezione ci limiteremo essenzialmente a trattare i nomi degli ingredienti, semplici e composti, usati per la composizione di medicamenti; a questi si aggiungono alcune voci relative alle proprietà chimico-fisiologiche delle sostanze e alle loro modalità di applicazione; si escludono, invece, i termini più comuni e i moltissimi attributi (per lo più in -ivus: cf. cap. 5.6.3.) adottati correntemente in unione ai sostantivi medicina e medicamen (es. abstersivus, consolidativus, incisivus, inflativus, mundificativus, mollificativus, regenerativus, resolutivus, ecc.).

6.1 Per un glossario sinottico latino-volgare 

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alla sua conseguenza più visibile, e aggirando così il tecnicismo d’origine greca (B: cazere per terra; V: cazere in angosa).7 Sarà utile menzionare tre questioni preliminari di grande rilevanza, che si ripercuotono a pieno su una tale impostazione di glossario dedicato al lessico medico-chirurgico volgare: a) la difficile delimitazione tra latino e volgare, da ultimo sottolineata da Frosini (2014, 49), diviene particolarmente complicata proprio nel campo della terminologia e nell’allestimento di un glossario che ponga in diretta correlazione le due lingue; si è già ricordato, con Dardano (1994, 519), il carattere arbitrario insito in una separazione rigida tra una terminologia latina e una terminologia volgare: la continuità tra le due lingue, infatti, è per buona parte sostanziale,8 e spesso l’unica differenza va còlta nelle desinenze delle parole. La scelta di far corrispondere al dato lemma latino tutti i traducenti volgari presenti nei tre manoscritti esaminati risponde proprio alla necessità di non considerare latino e volgare come blocchi a sé stanti, bensì di trattarli come due vasi comunicanti, attraverso i quali si muove, in maniera fluida, un unico sistema lessicale. In tal modo si è cercato di osservare l’effettivo grado di reazione dei tre traduttori davanti al singolo tecnicismo dell’originale; non si è pertanto rinunciato a registrare anche quelle soluzioni traduttive che, prese singolarmente, non avrebbero trovato accoglienza all’interno di un glossario impostato su base volgare, ma che costituiscono, tuttavia, un repertorio indispensabile per apprezzare a pieno il rapporto del volgarizzatore rispetto alla fonte latina. Limitandoci qui a un unico esempio piuttosto semplice, di fronte a un aggettivo non particolarmente raro come ossuosus sarà possibile ottenere un riscontro istantaneo delle diverse strategie di traduzione messe in atto, comprese quelle riformulazioni sintattiche e morfologiche che incidono a pieno sulla connessione tra latino e volgare: si potrà vedere, perciò, come alla soluzione dominante, che in tutti e tre i testimoni è rappresentata dal corrispettivo volgare ┌ossoso┐, i mss. R e B accostino le rese perifrastiche ch’è nell’osso (R, 56v), de l’osso (B, 26v), pieno de ossi (B, 20r). In tale prospettiva, si è ritenuto opportuno destinare anche alle glosse una sostanziale accoglienza: in un glossario che avesse avuto alla base le forme volgari, infatti, le glosse avrebbero certamente rappresentato delle singole entrate. Nel nostro

7 Il ms. F1 (c. 4r), invece, pur adottando la medesima metafora, mantiene un elemento corradicale del verbo di partenza sincopizare: cazere sincopizato. 8 Si tratta, peraltro, di una continuità che, soprattutto in epoca più recente (tra Quattro e Cinquecento), andrà considerata tanto nel suo aspetto diacronico, più ovvio, quanto in quello sincronico, decisamente meno scontato eppure essenziale in un momento storico (da cui non siamo troppo lontani almeno per quanto concerne il ms. B), nel quale i dibattiti avvengono esclusivamente in latino: cf. Motolese (2004, 51).

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 6 Glossario

caso, invece, dove il punto di partenza è il lemma latino, si sarebbe rischiato di ometterle nel caso in cui avessimo circoscritto l’osservazione a una corrispondenza terminologica 1 : 1 tra lingua di partenza (voce tradotta) e lingua di arrivo (traducente). Le glosse sono dunque considerate alla stregua di normali traducenti: sono state ovviamente escluse le glosse di carattere marcatamente esplicativo o addirittura enciclopedico (che sono comunque riportate in nota), ma sono state sempre ospitate, accanto agli altri traducenti, tutte le glosse lessicali. Si tratta di un aspetto la cui rilevanza si comprenderà facilmente considerando che, il più delle volte, proprio la glossa ci testimonia, con ogni probabilità, il reale traducente della voce latina, l’unico termine, cioè, di provenienza per lo più popolare, che doveva essere davvero familiare ai volgarizzatori, laddove invece le forme cólte, solo passivamente adattate, rappresenteranno piuttosto un residuo non troppo comprensibile, cui il traduttore decide di non rinunciare in ossequio al testo originale. b) quale grado di selezione esercitare nell’accoglienza dei singoli lemmi: già M. L. Altieri Biagi rilevava opportunamente la difficoltà di distinguere talvolta tra «parole» e «termini»,9 cioè le voci realmente specialistiche. Fermo restando che anche gli avverbi, apparentemente generici, possono invece rivelare, nel loro uso sistematico, una codificazione ben precisa e assimilabile a quella di veri tecnicismi collaterali,10 un glossario impostato sulla base latina vorrebbe far emergere le varianti più notevoli, anche tra le voci più diffuse, proprio in virtù della possibilità d’instaurare confronti a livello diatopico e diacronico tra i diversi volgarizzamenti. Così, l’eventuale rinuncia ai termini anatomici della lingua comune (es. brachium, oculus, lingua, os, pes, ecc.), la cui resa è solitamente prevedibile, andrà vagliata caso per caso. Va osservato, infatti, come anche questi possano talvolta offrire informazioni rimarchevoli ai fini della presente indagine lessicale: ad esempio, di fronte a un uso dominante di gamba per tradurre il lat. crus, il ms. B testimonia ancora una forte convivenza della forma panitaliana con quella settentrionale e di derivazione germanica schiena,11 che pure, nel corso del Quattrocento, sembra ormai consolidata nell’accezione oggi usuale (a gamba e schiena è peraltro affiancato il crudo latinismo crus). Sappiamo, inoltre, quanto l’accumulo di traducenti sinonimici in uno stesso testo sia di per sé uno dei principali caratteri distintivi della lingua medica medievale rispetto a quella moderna (una sinonimia che riguarda in primo luogo le forme corradicali: es. caliditas > V: chaldo, chalor, challura, chaliditade, chalidità: cf. cap. 5.6.3). La

9 Altieri Biagi (1970, 30). 10 Cf. le considerazioni offerte nel cap. 5.6.4. 11 Cf. ted. das Schienbein ‘tibia’.

6.1 Per un glossario sinottico latino-volgare 

 511

struttura adottata vorrebbe garantire, in tale prospettiva, una valutazione puntuale delle distinte possibilità espressive di cui il volgare dispone per rendere il singolo tecnicismo latino: l’ampliamento della visuale ha dunque il fine di far emergere tanto le oscillazioni verticali (rapporto latino-volgare), quanto quelle orizzontali, riguardanti cioè la compresenza di più traducenti per una stessa voce latina.12 c) quale credito dare alle forme semidotte, talvolta sconfinanti nella paretimologia, e quale facoltà correttiva esercitare nell’edizione di un testo: bisogna chiedersi, cioè, tanto più in presenza di un trattato che attinge a piene mani dai testi dei grandi medici arabi e dunque dalla loro terminologia, quali siano state delle forme realmente vive e quali siano, invece, solo delle teratogenie, a loro modo notevoli, prodotte dal singolo volgarizzatore o dal singolo copista. Un ausilio fondamentale giunge ovviamente da un confronto con altri testi e glossari (e dunque, anzitutto, con i corpora OVI e ReMediA) pubblicati in anni recenti. Se, per es., le varie forme popolari e vagamente paretimologiche che traducono il lat. umbilicus (B: biguello; V: bonigollo, bolligollo, voci discretamente note al veneziano; F1: bigolo) e emoroydis (V: maroeda; F1: morena, anche nel Baldus di Folengo; R: f. pl. morece/m. pl. moreci) risultano ben attestate altrove, non sempre il confronto coi maggiori repertori offre informazioni dirimenti: due casi istruttivi sono offerti dalle voci, già menzionate precedentemente (cf. cap. 5.6.4) forbottomia (< lat. flebotomia e associata probabilmente a forbire), presente in R (dove è impiegata in maniera costante rispetto alle varianti forbottonia e flobotomia: rapporto 18 : 3), e diaflegma/dyaflegma, presente nei mss. F1, L, BRE (probabile associazione a flemma) e attestata nel corpus OVI solo in un volgarizzamento trecentesco toscano della Chirurgia di Ruggero di Giovanni Frugardo: dobbiamo in tal caso pensare a un semplice errore di trasmissione testuale, da attribuire ai singoli copisti, o al contrario essa corrisponde a una reale forma paretimologica, esistita a livello popolare in aree linguistiche differenti? Si tratta ovviamente di una questione spinosa, che induce a considerare con particolare attenzione i singoli casi, verificandone di volta in volta l’attendibilità alla luce di vari fattori (la ricorrenza nel testo, il confronto con gli strumenti lessicografici e con altri glossari, le caratteristiche fono-morfologiche della voce interessata, ecc.). Ci sembrano molto istruttive, a tal proposito, le parole di Aprile (2001b, 72), che hanno qui indirizzato la scelta di accogliere quasi tutte le forme incerte, avanzando delle spiegazioni dove possibile, ma limitandoci a segnalare lo statuto di forme dubbie o molto dubbie laddove non vi siano interpretazioni plausibili: «Gli errori sono importanti, per la storia culturale, quanto le parole «vere». Resta intatta la

12 Casapullo/Policardo (2003, 172).

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 6 Glossario

necessità di riconoscerli. Una volta riconosciutili, la soluzione a mio avviso più rispettosa della realtà storica e culturale è quella di non cercare di emendarli. Si tratterebbe di un’operazione ad ampio margine di arbitrarietà»;13 solo per errori palesi si è perciò proceduto alla loro esclusione dal glossario, rendendone solitamente conto in nota. In definitiva, l’obiettivo primario del glossario è stato di offrire una panoramica efficace sulla tensione tra latino e volgare fra Tre e Quattrocento, in tre volgarizzamenti di uno stesso testo, ma di diversa provenienza e per questo indicativi anche dei rapporti tra varianti geosinonimiche di un medesimo referente. L’adozione dei parametri sin qui illustrati è parsa utile per cercare di ovviare il più possibile al rischio, sempre incombente nello studio dei linguaggi scientifici medievali, di «appiattire sull’opposizione volgare-latino un ventaglio di possibilità espressive infinitamente più sfumato nel Due e Trecento, e di attribuire un illusorio spessore diacronico a linee di sviluppo che costituivano all’epoca dei rami secchi: molte delle opere che ci sono giunte non segnano l’inizio di tradizioni espressive di lunga durata, ma rappresentano piuttosto episodi, quasi sempre isolati e comunque discontinui» (Casapullo 1999, 151).

In particolare, l’accostamento di tre distinti volgarizzamenti all’unica fonte latina14 dovrebbe costituire un primo strumento per distinguere, dove possibile, voci caratterizzate da una sicura diffusione, dotate dunque di uno spessore diacronico e diatopico, da quelle che, al contario, paiono riconducibili a episodi linguistici isolati o, per usare l’efficace metafora di Casapullo (1999), a veri e propri «rami secchi», da attribuire piuttosto all’azione personale di un singolo volgarizzatore (o copista).15 Per provare a marcare più distintamente un tale confine, perciò, tutte le forme volgari registrate sono state sottoposte a un confronto sistematico sia con i più tradizionali strumenti lessicografici (dizionari storici e corpora informatici, a cominciare dai già ricordati OVI e ReMediA), sia con alcuni glossari di materia medica apparsi, per buona parte, nell’ultimo ventennio (cf. 6.2). Per alcune voci si offre poi, essenzialmente sulla 13 Cf. le riflessioni di Rapisarda (2001, 134–135) sui problemi di metodo che inevitabilmente insorgono nell’intervento emendatorio. 14 La quale è considerata, quasi certamente, sulla base di antigrafi differenti: di eventuali discordanze derivanti dalla tradizione latina del testo si darà conto all’interno dei singoli lemmi. 15 Come nota Gualdo (1999, 172) tuttavia, la nostra facoltà di gettar via i rami secchi resta nel complesso limitata, anche quando un determinato tecnicismo sia testimoniato in epoche diverse e anche distanti tra loro: la documentazione odierna, sicuramente ben più sostanziosa che in passato, e un auspicabile incremento futuro nell’edizione di nuovi testi volgari, potranno ovviamente consentire di distinguere con sicurezza sempre maggiore le tradizioni espressive davvero durature.

6.2 Struttura dei lemmi 

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base dei dati ricavabili da GoogleLibri,16 un’osservazione relativa anche alla loro fortuna posteriore e agli sviluppi nel lessico moderno e contemporaneo della medicina: è un confronto che può rivelarsi molto utile per far emergere con efficacia la continuità di certi termini, ma che va ovviamente condotto tenendo sempre bene a mente che tale continuità riguarda anzitutto i significanti, «mentre la convergenza dei significati va valutata con prudenza caso per caso».17

6.2 Struttura dei lemmi Dopo aver illustrato rapidamente i presupposti alla base della macro-struttura del glossario, sarà necessario chiarire l’impalcatura interna di ciascun lemma. Va anzitutto anticipato che, per qualche lemma latino, si è inevitabilmente incorsi in una certa sovrapposizione tra i distinti settori del glossario precedentemente identificati: sotto caput, nella sezione 1 dedicata all’anatomia, ad esempio, si troverà anche l’espressione polirematica dolor capitis, afferente ovviamente all’àmbito della patologia; in casi del genere, comunque, si offriranno dei rimandi puntuali nelle due direzioni, secondo quanto s’illustrerà tra poco. All’interno delle voci si possono riconoscere tre sezioni principali: 1) il punto di partenza è rappresentato, come anticipato, dai lemmi latini, che si trovano in maiuscoletto, corsivo e grassetto, e sono distribuiti in ordine alfabetico all’interno delle tre sezioni qui presentate (accompagnati talvolta da sottolemmi, rappresentati da locuzioni e collocazioni). Essi possono essere talvolta oggetto di una suddivisione su base semantica o morfologica: in questi casi, i singoli blocchi saranno introdotti da una lettera greca (α, β, γ, ecc.); ulteriori ripartizioni interne sono segnalate tramite numeri romani in maiuscoletto (es.: α.i, α.ii, ecc.). Ai lemmi latini segue la definizione e, tra parentesi, il numero di occorrenze presenti nel testo latino (edizione Hall 1957), con relativa indicazione della pagina nella quale è possibile rintracciare la prima occorrenza assoluta. Il criterio di selezione dei lemmi latini è stato ovviamente selettivo, e ha prediletto le voci che presentassero un certo interesse o permettessero di sostanziare alcune differenze notevoli nella resa dei tre volgarizzamenti: ciò è stato fatto tenendo conto di quanto detto poco fa (cf. supra il punto b) sulla possibilità che indicazioni rilevanti possano giungere talora anche da voci piuttosto comuni; da queste sono stati comunque esclusi termini quali caro, os, pes, digitus, brachium, oculus,

16 Per l’utilità ormai imprescindibile di un tale strumento nelle ricerche di carattere linguistico e precipuamente lessicografico, cf. Gomez-Gane (2008). 17 Serianni (2005, 159).

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 6 Glossario

capillus, pilus, lingua, dens, frons, ungula, pectus, ecc. (alcuni sono poi recuperati all’interno di polirematiche considerate in maniera indipendente). La classe grammaticale non è indicata per i lemmi latini: si fa eccezione soltanto per i verbi che sono classificabili come medio-passivi, o che abbiano un valore differente a seconda del loro uso attivo, medio e passivo. Nella riga sottostante si pone, tra parentesi quadre, il riferimento ai maggiori dizionari latini, i già ricordati TLL, Du Cange, Forcellini: ci si limita al riscontro col solo TLL quando la voce vi si trova registrata, altrimenti si ricorre a Du Cange e, in caso di assenza in quest’ultimo, a Forcellini; quando un dato lemma è assente in tutti e tre i dizionari, se ne fornirà la relativa segnalazione. Sempre all’interno delle parentesi quadre si appongono talvolta dei rimandi ad altri lemmi latini trattati in una delle sezioni del glossario (ad esempio, alla voce acuitas si troverà il seguente rinvio: cf. → s.v. acumen): tali rinvii dipendono in buona parte dalla stretta vicinanza semantica di due o più voci (come il caso di acumen/acuitas); in alternativa, essi possono essere collocati in corrispondeza di voci polirematiche (cf. punto 2), per segnalare al lettore l’utilità di confrontare anche il lemma relativo al secondo componente (ad esempio, per la locuzione calor accidentalis, che poniamo sotto il lemma accidentalis, si rimanderà al sostantivo di riferimento calor). È bene tener presente che tali rinvii riguardano per l’appunto il lemma latino nella sua interezza, e non vanno confusi con quelli riferiti alle singole voci volgari, che si trovano invece all’interno delle sezioni dedicate al commento e non sono mai accompagnate dal segno →. 2) Al lemma latino e ai rispettivi riferimenti lessicografici (oltre agli eventuali rinvii ad altri lemmi latini) segue la seconda sezione, che rappresenta il cuore dello spoglio lessicale condotto sui volgarizzamenti: si riportano qui, infatti, tutti i traducenti che, all’interno delle tre versioni, sono adottati per rendere il singolo lemma latino. Essi sono distribuiti in ordine rigorosamente alfabetico e in corrispondenza di numeri differenti, e sono riconoscibili dall’uso del grassetto. Onde evitare un’eccessiva dispersione del materiale, si è cercato di accorpare il più possibile le voci etimologicamente comuni, che compaiono perciò in corrispondenza di un medesimo numero:18 ciò avviene quando si tratta di forme del tutto coincidenti, oppure contrassegnate semplicemente da una distinta veste grafico-fonetica, dovuta anzitutto, com’è ovvio, alla diversa provenienza dei tre volgarizzamenti (es. aiutorio, adiutorio). Si è invece ricorso a un’ulteriore ripartizione interna (del tipo 1.a., 1.b., 1.c., ecc.), riconducibile a uno stesso numero principale, quando esse presentano etimi identici o affini, ma sviluppi

18 In rarissimi casi nei quali sarebbe stata fruttuosa una trattazione comune, si sono unite nel commento due forme etimologicamente distinte (es. pichàr e pizàr: cf. s.v. pruritus).

6.2 Struttura dei lemmi 

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diversi, soprattutto nel profilo morfologico. Un esempio istruttivo è dato dal lemma latino caliditas, i cui traducenti sono stati così distribuiti: 1.a. caldeçça f. ; 1.b. calidità f.; 1.c. caldo agg.; 1.d. chaldo m.; 1.e. challura f.; 1.f. chalor m.; in questo caso specifico, dunque, l’adozione di sottogruppi del numero 1. ha permesso di conservare il ruolo morfologico e la specificità dei suffissi delle singole voci, pur inserendole all’interno di un più vasto gruppo etimologico comune (costituito dagli etimi, diversi ma riconducibili ovviamente alla stessa famiglia, caliditas, calidus, calor, *calura). Tutte le forme raccolte entro uno stesso numero sono state distribuite a loro volta in ordine alfabetico; ciascuna voce è seguita dall’indicazione di tutte le occorrenze presenti nel singolo manoscritto (con relativo numero di carta), citato secondo la consueta sigla in grassetto (R, V, B). Per non appesantire eccessivamente i riferimenti relativi ai luoghi esatti dei testi, ci si limita a riportarne la carta,19 ed eventualmente il numero di occorrenze del traducente tra parentesi, quando esso compare in più di un’occasione: ad esempio, la dicitura 1r (4) segnalerà la presenza dello stesso traducente per quattro volte all’interno della carta 1r. S’indica in grassetto il primo traducente in ordine alfabetico; sono poi riportate, in corsivo (ma senza grassetto) e tra parentesi, le varianti grafico-fonetiche minime presenti all’interno di uno stesso manoscritto. Per le varianti minime dei singoli manoscritti si tiene conto anche della frequenza di una data forma: la precedenza è data, pertanto, alla variante testimoniata dal maggior numero di occorrenze (ma si ricorre sempre all’ordine alfabetico in caso di varianti equamente rappresentate);20 seguono, fuori dalle parentesi e in corsivo, le varianti registrate negli altri due testimoni. Si usa il grassetto per tutte le forme graficamente o foneticamente più notevoli, che mostrano, perciò, delle differenze sensibili rispetto a quelle elencate in corrispondenza dello stesso numero (è il caso, per esempio, di forme come epilensia di B e pilensia di R, dove anche la seconda appare in grassetto vista la presenza di un fenomeno significativo come l’aferesi vocalica). Nei rari casi in cui la forma grafico-fonetica di un traducente fosse identica per tutti e

19 Per il ms. V non si specifica la colonna (A, B) della singola carta, diversamente da quanto fatto nei precedenti capitoli. 20 Non per tutti i lemmi latini, ovviamente, si hanno le corrispettive forme volgari di ciascuno dei testimoni volgari oggetto di spoglio: può capitare, infatti, che alcune voci non siano confrontabili a seguito di tagli, riscritture o cadute di testo nei volgarizzamenti; in qualche raro caso, perciò, il traducente può essere offerto anche da uno solo dei testimoni volgari.

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 6 Glossario

tre i manoscritti, si porrà per prima quella presente nel ms. R, più antico, seguìto da quelle di V e B indicate da una tilde (~). Del primo traducente in grassetto si offrono sempre il contesto, coincidente con la prima attestazione assoluta all’interno del singolo testimone, e la marca grammaticale (tranne nei casi di polirematiche). Il contesto, sia in volgare sia in latino (quest’ultimo in nota), è poi allegato a tutti quei casi in cui il traducente necessiti di un chiarimento, a séguito di una riformulazione del lemma di partenza: è il caso, soprattutto, di alcune variazioni di ordine morfologico nel passaggio dal latino al volgare (es.: sostantivo in latino > verbo sostantivato in volgare). I sostantivi (sia latini sia volgari) sono lemmatizzati al singolare, a meno che non si tratti di plurali lessicalizzati; se il singolare non è attestato, essi sono tipizzati, ponendo la terminazione tra parentesi quadre. Allo stesso modo si opera per gli aggettivi, restituendo il suffisso dell’agg. sg. maschile. Le conservazioni sicure dei genitivi latini originari (situazione ricorrente, soprattutto in R, per gli ingredienti delle ricette: cf. cap. 5.6.2) sono seguite dalla sigla genit.lat., anche quando al genit. si ha soltanto il secondo componente di una locuzione (es.: aloe epatici). I verbi (classificati grammaticalmente in transitivi, intransitivi, pronominali, sintagmatici e fraseologici) sono lemmatizzati all’infinito, e se questo non è attestato si ricorre alla ricostruzione, segnalata dalle solite parentesi quadre. Come anticipato al punto 1), alcune voci possono contenere una sezione minore e indipendente rispetto alla principale, dedicata a locuzioni e collocazioni e introdotta dal simbolo ♦ seguito dal titolo «Loc. e collocazioni»: questa riguarderà soprattutto molti aggettivi di carattere tecnico, che solitamente accompagnano sostantivi più generici e per lo più ben noti al lessico medico antico e moderno. In tali casi, perciò, si è preferito porre in rilievo l’aggettivo stesso, seguito dalle varie locuzioni nominali; tuttavia, un collegamento tra lemma-base e rispettive collocazioni sarà garantito, come al solito, dal già illustrato sistema dei rimandi. Per fare un esempio indicativo, al lemma corrosivus si allegheranno le collocazioni più significative ove l’attributo risulta impiegato (ulcus corrosivum, medicina corrosiva, medicamen corrosivum), con le rispettive rese dei volgarizzamenti. Alla voce ulcus corrosivum si rimanderà tra parentesi quadre al più generico sostantivo ulcus; in modo corrispondente, sotto la voce ulcus si rimanderà alla locuzione ulcus corrosivum, con indicazione tra parentesi tonde del lemma principale sotto il quale la locuzione è stata accolta: es. [Cf. → ulcus corrosivum (s.v. corrosivus)]. Laddove si rinviasse a una voce contenuta in una sezione del glossario diversa da quella del lemma in questione, si specificherà tra parentesi anche il numero della sezione.

6.2 Struttura dei lemmi 

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Alcuni sostantivi molto comuni (es. aqua, oleum, ecc.), normalmente accompagnati da un aggettivo che ne specifica la natura, sono messi a lemma seguìti direttamente dalla sezione dedicata alle locuzioni e collocazioni: della forma semplice non si indica neppure il numero di occorrenze nel testo latino, tantomeno le rispettive rese volgari, che prevedibilmente non aggiungerebbero nulla rispetto alla forma latina. Un identico trattamento riguarda anche alcuni aggettivi (es. siccus, ecc.), di cui allo stesso modo si offriranno soltanto le forme polirematiche più ricorrenti. Infine, va segnalato che alcune lezioni molto incerte o presumibilmente errate, nelle quali appare probabile l’azione peggiorativa del copista e la conseguente distorsione della forma originaria, saranno seguite dal simbolo (†). Le lezioni certamente errate (frutto di svista del copista o forse già di una variante erronea dell’antigrafo, latino o volgare) saranno invece menzionate soltanto in nota, quando significative. 3) La sezione finale, segnalata dal simbolo ▲, è dedicata al commento dei singoli traducenti volgari, qui richiamati attraverso il numero in grassetto già usato per la seconda sezione del lemma.21 Le considerazioni che qui si offrono sulle voci volgari prevedono solitamente, tranne per quelle abbastanza note, un chiarimento più o meno approfondito sulla storia della parola, ricostruibile seguendo le indicazioni dei principali dizionari etimologici (DEI, DELIN, Nocentini, LEI, REW; in aggiunta, il Dizionario etimologico storico dei termini medici di Marcovecchio 1993). S’intendono tacitamente consultati i principali dizionari storici ed etimologici, quando non esplicitamente citati all’interno della voce. Una particolare attenzione è riservata alla presenza delle voci all’interno del Vocabolario degli Accademici della Crusca (le cui cinque edizioni sono indicate come Crusca1,2,3,4,5),22 in modo da poter valutare, seppur superficialmente, l’impatto del lessico qui considerato all’interno della lessicografia tradizionale non specialistica. Ai dati etimologici seguono in genere quelli riguardanti la prima attestazione (o, in qualche caso, le prime attestazioni) della voce e la sua diffusione nell’italiano antico:23 gli strumenti fondamentali per realizzare un tale raffronto sono stati,

21 Si rinuncia all’apposizione del commento solo in qualche raro caso di traducenti estremamente generici e poco indicativi nella prospettiva di un lessico specialistico. 22 Le cinque edizioni del Vocabolario sono consultabili in rete all’indirizzo http://www.lessicografia.it/ (ultima consultazione: 15 gennaio 2019). 23 È opportuno rilevare sin d’ora la presenza, non irrilevante, di prime attestazioni che il GDLI, seguendo evidentemente Crusca e TB, colloca in Bencivenni (in particolare nel suo volgarizzamento La santà del corpo), ma anche in altri testi notoriamente confluiti nelle falsificazioni re-

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 6 Glossario

anzitutto, il corpus OVI, il TLIO e il GDLI,24 con l’aggiunta del corpus ReMediA, ma solo per un numero minore di casi.25 A parte qualche rara eccezione, operata a vantaggio di una più immediata identificazione, i testi antichi presenti in questi repertori sono citati seguendo i criteri e le abbreviazioni tradizionalmente adottate dal LEI; ad esempio: mant.a. ~ (1299/1309, Belcalzer, TLIO/OVI).26 Per maggiore comodità, si possono talvolta invertire o considerare in un unico blocco le delucidazioni di carattere etimologico e le informazioni sulle prime tracce della voce in volgare. Ai tradizionali strumenti lessicografici e ai repertori informatici appena ricordati si associano spesso, all’interno del commento, altri riferimenti bibliografici, che possono fornire utili riscontri lessicali o informazioni di qualunque altro genere. La parte conclusiva del commento è solitamente occupata dal rimando ad alcuni dei principali glossari di materia medica editi negli ultimi decenni, per lo più acclusi alle edizioni dei rispettivi testi; quelli consultati regolarmente sono: Ernst (1966), Ineichen (1966), Altieri Biagi (1970), Tomasoni (1986b), Nystedt (1988), Gleßgen (1996), Gualdo (1996), Sboarina (2000), Barbato (2001a), Aprile (2001a), Motolese (2004), Tomasin (2010), Mazzeo (2011), D’Anzi (2012a), Castrignanò (2014), Sosnowski (2014), Elsheikh (2016), Zarra (2018), Piro-LeMMA.27 Si tratta di glossari che, nel loro complesso, interessano la lingua medica in una fase che va dal primo Trecento fino alla metà del Cinquecento, e sono perciò utili a garantire una copertura cronologica tale da rendere attendibili i riscontri relativi alla «storia» del singolo lemma. Almeno per tre delle edizioni elencate (Ineichen 1966, Altieri Biagi 1970, Tomasin 2010), data la loro contemporanea presenza nei corpora OVI e ReMediA o nel TLIO, va segnalata la possibilità di un duplice criterio di citazione: si adottano infatti le consuete sigle-LEI quando i testi sono citati come fonti di prime attestazioni ricavabili dai suddetti repertori informatici. Si usa invece il rimando bibliografico all’autore quando il riscontro è stato condotto direttamente sulla base dei singoli glossari, e ciò è avvenuto nella quasi totalità

diane: tali casi di mancata corrispondenza con i risultati offerti da OVI e TLIO saranno comunque sempre segnalati. Cf. Mosti (2008). 24 Gli ultimi controlli condotti su corpus OVI e TLIO sono stati effettuati nel dicembre del 2019. 25 Il corpus ReMediA è costituito, in data 30 agosto 2019, da un repertorio di 31 testi, la quasi totalità dei quali presente anche nel corpus OVI. 26 A tal proposito, cf. il Supplemento bibliografico (2009) contenente il Repertorio delle fonti antiche e moderne citate. 27 A quest’ultimo si associa il confronto diretto con il testo dell’Almansore nell ediz. Piro (2011). Si è poi tenuto conto dei glossari latini contenuti in André (1985), André (1991), García Gonzáles (2007), Green (2009), Ventura (2009): per quest’ultima e per André (1985) il confronto è limitato alle voci botaniche e farmaceutiche.

6.2 Struttura dei lemmi 

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dei casi in cui i lemmi volgari delle tre edizioni ricordate non compaiono tra le primissime attestazioni presenti nel corpus OVI. Per il ms. B non si dà conto di eventuali interventi editoriali, poiché già esposti nelle note al testo, alle quali pertanto si rimanda per eventuali dubbi. Si pongono invece delle osservazioni in nota per le questioni riguardanti R e V (eventuali errori, correzioni o altre difficoltà insite nel testo restituito dai due manoscritti). I lemmi e i relativi contesti (quando riportati) di tutti e tre i volgarizzamenti sono sempre trascritti senza segnalare gli scioglimenti delle abbreviazioni. A tal riguardo, un’ultima importante osservazione va riservata alle regole di trascrizione seguite per i mss. V e R, anche qui strettamente conservative: esse coincidono in gran parte, soprattutto per quanto concerne gli scioglimenti delle abbreviazioni, con quelle esposte nei criteri di edizione del ms. B (cf. cap. 4.2). Talvolta, però, sono state adottate delle scelte divergenti sul piano grafico, che qui di seguito è necessario motivare: ci limiteremo ai fatti essenziali. Non presenta particolari problemi il ms. R, per il quale basterà ricordare le seguenti operazioni: – si scioglie con et (concordemente all’uso più diffuso nelle forme non abbreviate) oppure è la nota tironiana simile a 7, indicante qui sia la congiunzione sia, ma più raramente, la terza persona del verbo essere; si scioglie con n il titulus indicante nasale davanti a p/b, seguendo il criterio più ricorrente nelle scritture piene; si scioglie con cum (quando corrisponde alla preposizione o congiunzione latina cum) oppure con con (quando rappresenta l’inizio di una parola) la nota tironiana simile a 9, rispettando anche in tal caso l’abitudine grafica riscontrabile nelle scritture non abbreviate. – i casi dubbi di trascrizione degli articoli (nelle forme grafiche chel, sel) sono stati risolti come segue: gli articoli maschili sg. sono sicuramente sia el che il; spesso, in corrispondenza di un et latino, troviamo in R una forma el, che legittima lo scioglimento di congiunzione coordinante e + art. ’l. Per questo, tutti i casi dubbi di chel e sel sono stati sciolti come che ’l e se ’l. Più complessa la situazione del ms. V: – come per R, anche qui si scioglie con n il titulus indicante nasale davanti a p/b, alla luce dell’uso regolare di n nelle scritture piene. – Per le c velari: data la presenza sistematica della grafia ch davanti ad a, o e u, si scioglie con ch anche la nota tironiana indicante con, come peraltro si ricava anche da alcune scritture piene (chon, chonsollidacione, ecc.). – Un problema rilevante è anche in tal caso, come già visto per B, la resa dei pronomi clitici. I dubbi riguardano soprattutto le forme grafiche chel, perchel, sel, che potrebbero essere rese come ch’el, perch’el, s’el, oppure come che ’l, perchè ’l, se ’l: si è seguìto in questi casi il criterio più adottato nelle edizioni di testi settentrionali, ovvero ch’el quando si tratta del pronome e che ’l

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 6 Glossario

quando si tratta dell’articolo. Va tenuta presente, però, la situazione, notoriamente più complessa,28 del pronome in sede prevocalica (particolarmente frequente davanti alla terza p. del verbo essere): per il maschile sono molti i casi certi in cui il pronome, davanti a vocale, compare nella forma aferetica l’ (es. Quando la rotura è granda l’è pluxor che mete suxo ligamenti: c. 40r), quasi sempre accompagnata da elisione (ci sono solo due casi di lo: lo è posibelle c. 13v, lo è chomo velleno c. 54r); al contrario, si registra un unico caso, in tutto il testo, nel quale il pronome davanti a vocale è el (perché el è più apreso: c. 10r): contrariamente a quanto fatto per B, si è perciò optato per la grafia aferetica nei casi dubbi in posizione prevocalica (es.: che l’è, se l’è, ecc.). La situazione appare ancora più complicata per il pronome femminile singolare. La 3a p., infatti, presenta tre forme distinte: ela, ella e la. Troviamo molti casi sicuri della forma aferetica davanti a vocale (es.: o la è in charne o la è in ossa: c. 3r): peraltro, proprio dinanzi alla terza p. del verbo essere, si hanno casi di ella è (mai, però, quando esso viene dopo che, perché, se), ma non di ela è. In ogni caso, per tutte le posizioni dubbie scegliamo la grafia piena ch’ell’è/s’ell’è in presenza di laterale intensa,29 mentre ci affidiamo alla grafia del manoscritto per le forme con laterale scempia, e dunque per distinguere di volta in volta ela e la (i gruppi grafici chela, sela si renderanno con la forma piena: ch’ela/s’ela). Il plur. f. mostra, accanto alla forma piena elle, anche casi sicuri di quella aferetica le (in zaschuna parte che la sia gran profonditade e gran tignire le serà spauroxe: c. 14r): in tutto il testo, però, non abbiamo casi certi del pronome plur. f. con laterale scempia ele. In tal caso, dunque, riduciamo l’opposizione pronominale alla coppia ele/le: per tutte le grafie dubbie con laterale scempia si ricorre perciò al pronome aferetico le. I verbi sono normalizzati come segue: quando si ha sia la forma piena sia quella apocopata, si mette a lemma la forma piena, senza tenere conto del numero di occorrenze complessive di ciascuna. Allo stesso modo, quando la forma del verbo all’infinito non è presente, si normalizza tra parentesi offrendo la forma piena dell’infinito. Si porrà a lemma l’infinito apocopato solo quando esso rappresenti l’unica forma documentata nel testo.

28 Cf. le scelte operate da Bertoletti (2005, 221–222). 29 Anche questa soluzione è tutt’altro che dirimente, visto il frequente raddoppiamento della laterale osservabile a inizio di parola, soprattutto con gli articoli e anche dopo consonante (es.: in lli).

I Anatomia 

I Anatomia adiutorium ‘osso del braccio, omero’ (15 occ.; 26) [TLL I, 716]

1. adiutorio m.: B («li membri in li quali è aconzamento de la figura possibile sono como lo adiutorio, lo brazo [...]») 6v, 39r, 40r (2), 40v (2), 41r, 41v, 43r (3), 44v, 58r;1 aiutorio: R 13v, 86v (2), 87r, 87v, 88v, 90r, 94r, 97v, 129v;2 ~ V: 20v, 34v (2), 35r (2), 38r, 39v, 40r, 42v 2. umero m.: V («meta lo suo umero soto lo schaio da quella parte e lieva lo schaio su chon forza») 41v ▲ 1. Variante sinonimica di ┌omero┐: per numero di occorrenze, quest’ultima prevale di poco su adiutorium all’interno dell’originale latino. In particolare, adiutorium rappresenta il calco dell’ar. al-‘aḍud ‘omero’, deverbale da ‘aḍad ‘aiutare’ (cf. Altieri Biagi 1970, 45; Altieri Biagi 1998, 88; LEI I, 738). Della forma dotta, con conservazione della dentale, non si rintracciano attestazioni nel corpus OVI; nel corso del Quattrocento, però, essa si può leggere in Mondino de’ Liucci (D’Anzi 2012a, 266: adiutorio) ed è attestata anche in Leonardo (GDLI s.v. adiutorio §2); LEI: it.sett., dal 1474, GuglielmoPiacenzaVolgB (Altieri Biagi 1970, 45); voce registrata in Crusca4,5. La forma semidotta aiutorio è già testimoniata nel Trecento ed è presente nel TLIO (s.v. aiutorio2) con due attestazioni: a) it.sett., pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA (cf. LEI I, 737); b) pad.a., fine sec. XIV, Serapiom. Cf. Altieri

1 A carta 40r, la voce adiutorio è accompagnata dalla glossa zoè l’osso del brazo. 2 Alle cc. 87v e 94r il lat. adiutorium ‘omero’ è tradotto con soditello («poni e’ piumacciuoli molli sotto el soditello»), per il quale cf. s.v. subascella e titillicus: non lo poniamo sotto la voce adiutorium nel glossario, poiché dal passo citato pare evidente il riferimento, più generico, alla zona dell’ascella.

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Biagi (1967, 11; 1970, 46), D’Anzi (2012a, 266), Elsheikh (2016 II, 76). 2. Cf. s.v. humerus (5.).

ala ‘ascella, parte inferiore e concava dell’articolazione della spalla’ (158)

[TLL I, 1463; cf. → s.v. ascella, subascella, titillicus] 1. ala f.: R («poni sotto l’ala una grande pila») 84r 2. schaio m.: V («metere su lo schaio una pelle talle chomo te chonviene») 38r, 41r 3. seya f.: B («Et se ti ay besognia de più extensione, alora pone sotto la seya una balla grande») 39r ▲ 1. Il significato di ‘ascella’ è presente già nel lat. class. ala (dal cui dimin. axilla si ha ascella: cf. DEI I, 315; André 1991, 80; Marcovecchio 1993, 35): esso «continua unicamente nelle zone laterali [...]; come latinismo nel fr. medio aile» (LEI I, 1416). Voce non registrata in tale accezione nel DELIN; presente invece nel DEI (I, 103) e registrata nel GDLI (s.v. ala §6) con una sola testimonianza seicentesca (ante 1643, Ricasoli Rucellai). La prima e unica attestazione registrata dal TLIO (§3) è il pis.a. ale (pm. sec. XIV, OvidioVolgArteAm [ms. A]). Il LEI (I, 1413) aggiunge tre testimonianze moderne, tutte di area meridionale, relative a sic., salent. e cal.merid. (ma attesta anche il valore di ‘scapola’ nel friul.), a conferma della scarsa fortuna di questo specifico valore semantico. Più viva risulta l’accezione di ‘estremità laterali dello spondile’, attestata dal Quattrocento (sec. XV, Mondino de’ Liucci, D’Anzi 2012a, 268; LEI I, 1403). 2. Voce di etimologia controversa (il GDLI, che la considera di area veneta, ricorda a tal riguardo anche la forma dello sp.a. escalio ‘solco’): si è inizialmente pensato a una base scap(u)la (cf. Ascoli 1901, 402), con successivo metaplasmo di genere. La non perfetta coincidenza semantica tra ascella e scapola era così spiegata dall’Ascoli (ivi): «soccorre il

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 6 Glossario

venez. sottoscagio, [...] dove non vedrei semplicemente una preposizione concresciuta, quasi a dire ‘sotto l’ascella’, ma propriamente un composto con sotto, per significare la ‘sotto-scapola’, cioè l’ascella. Tramontato l’uso di scajo per ‘scapola’, il ‘sotto’ parve poi superfluo»; a tal proposito va anche tenuta in conto la già ricordata testimonianza di ala nel senso di ‘scapola’, propria del friul. (LEI I, 1403), che confermerebbe una certa sovrapponibilità semantica tra le due zone del corpo. Il DEDI (s.v. scaio) contesta l’origine latina, proponendo una derivazione dal greco (sulla scorta del REW §5391): «non deriva dal latino *scapulu, ma dal greco maschálē con caduta della sillaba iniziale, attraverso il derivato maschálion ‘cestello fatto di virgulti’, con un significato traslato». Nel corpus OVI se ne rinviene un’unica testimonianza: venez.a. soto li scaii (1348, IscrizioneSMariaCarità, OVI): nel ms. V, soto el schaio è la voce che traduce, più nello specifico, il lat. subascella (cf. s.v.). Oltre che in àmbito veneto (scàgio, scàjo, scàio: Zambon 2008, 326; Boerio 1856; Cortelazzo 1970, 214; Cortelazzo 2007, 1181), la forma è attestata in istr. e triest. (cf. rispettivamente Cavalli 1892, 364 e Ascoli 1901, 402), ma anche in area lombarda (cf. Marazzini 1983, 205; nel ms. F1, poi, il m. pl. scai è adottato per tradurre il lat. sinus dell’originale, dunque a indicare per estensione il ‘petto’, nel seguente contesto di c. 46v: «meta lo suo cavo in de li toy scai»). Cf. Altieri Biagi (1970, 121). 3. Cf. s.v. ascella (1.)

albugo oculi ‘sclera, bianco dell’occhio’ (203) [TLL I, 1499]

1. albugine dell’occhio: R («priemi lo strumento e rivolli quello colla mano tua infino a tanto che ttu truovi l’albugine3 dell’occhio») 108r

3 Ms.: abugine.

2. biancho de l’ogio: V («ficha lo instrumento arevolzandollo chon toa man tanto ch’el pasa lo biancho de l’ochio») 47r; ~: B 49r ▲ 1., 2. La loc. bianco delli ochi, per indicare la ‘sclera’, si legge già in BencivenniSantà (fior.a., 1310, TLIO §14.1): il suo uso è ampiamente attestato ancora nell’Ottocento, anche nei testi specialistici (cf. Cappelletti 1846 II, 224), e giunge fino all’epoca contemporanea (Palastanga/Field/Soames 2007, 671: «Sclera: parte anteriore ricoperta dalla congiuntiva che forma il ‹bianco› dell’occhio»). La voce dotta albugine, al pari di albume, è testimoniata già nel Trecento; prime attestazioni: sen.a. albugine de li occhi (metà sec. XIV, RicettarioLaurenziano, TLIO); tosc.a. albume d’occhi (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO s.v. albume §2): entrambe, però, posseggono il valore, specifico del lessico patologico, di ‘leucoma, macchia biancastra patologica sulla cornea’ (cf. Crusca3: ‘sorta di malattia, che viene agli occhi, e impedisce il vedere’; ma in Crusca4 si registra anche il valore di ‘per la cornea stessa dell’occhio’). Va osservato che, nell’accezione di ‘leucoma’, il TLIO riporta anche un’attestazione del Sacchetti («la albugine o’l bianco de l’occhio») nella quale il senso potrebbe piuttosto essere quello, qui in esame, di ‘sclera’ (come peraltro segnalato già dal DELIN, 79). Anche il LEI (I, 1507) offre soltanto la definizione di ‘macchia bianca dell’occhio; leucoma’ (a lato di albugine si registra, però, l’agg. albugineo ‘che pertiene all’albugine o cornea dell’occhio’). Quella presente in Sacchetti (fior.a. 1378–81, SacchettiVangeli), se interpretata nell’accezione di ‘sclera’, ne rappresenterebbe la prima attestazione rintracciabile; le altre due testimonianze di albugine presenti in OVI si riferiscono a patologie assimilabili al leucoma, a testimonianza di un’originaria maggiore vitalità del termine proprio nel campo della patologia corneale: un fatto verificabile anche nel gr. λεύϰωμα (GI s.v.: «macchia bianca, nell’occhio, per l’ispessimento della cornea»). Proprio il corrispettivo greco è da presupporre come modello del lat.

I Anatomia 

 523

▲ Loc. sinonimica, già in lat., per albugo oculi (cf. s.v.). La polirematica ┌albume dell’occhio┐ non è segnalata dal DELIN e dal GDLI. Cf. TLIO (s.v. bianchezza §2), dove però il termine è registrato soltanto col significato patologico di ‘leucoma’, che si ritrova anche in altri testi medievali.

▲ 1. Cf. LEI-Germanismi (I, 66: alto-ted.a. anka ‘nuca; arto’): «Il lemma entra in italiano dall’area galloromanza [...] dove è attestato con il significato di ‘collo (di bottiglia), restringimento’ già dal Trecento [...]. È [...] possibile che il lemma sia entrato da un dialetto francone nelle varietà settentrionali del francese». Prima attestazione: aret.a. anche (1282, RestArezzo, TLIO). Cf. Altieri Biagi (1970, 47), Nystedt (1988, 202), André (1991, 107), Marcovecchio (1993, 57), Gleßgen (1996, 518), Aprile (2001a, 245), Green (2009, 387), D’Anzi (2012a, 269). 2. DEI (III, 1755 s.v. gallone4): «da un gallico *calōn- coscia, femore» (cf. REW §1523) e da porre forse in connessione col gr. κωλέα ‘coscia, gamba’ (GDLI); Pagani (2006, 1166– 1167): «La voce galón (con sonorizzazione di knon rara, com’è noto, davanti ad a nell’italiano e nei dialetti settentrionali) è diffusa un po’ ovunque nel Nord Italia, e anche in Lunigiana, ed è poi passata nel toscano»; per un contributo sull’etimo della parola si veda anche Weinrich (1961). Prima attestazione: pav.a. galon (1274, Barsegapè, TLIO s.v. gallone1); la voce è propria anche dell’area veneta (ver.a. galoni: sm. sec. XIII, GiacVeronaBabilonia, TLIO). Il DEI, per ciò che concerne l’area toscana, segnala anche la forma lucchese galone. La voce è presente in Crusca3,4. Cf. Boerio (1856 s.v. galòn), Tiraboschi (1873 s.v. galù), Cortelazzo (2007, 599: galón).

ancha ‘anca, prominenza del fianco tra le costole e la coscia’ (6 occ.; 115)

anus ‘ano, tratto terminale dell’intestino retto’ (25 occ.; 69)

1. anca f.: R («osso che fusse scoppiato dell’anca overo della coscia») 62r, 90r, 98v (2), 100r; ancha: B 41v; ~: V 28v, 43r (2), 43v 2. galone m.: B («De la dislocatione de lo galone») 45r (2), 45v, 73r4

1. ano m.: R («delgli accidenti nell’ano») 102r,5 128v6 2. chul (chullo) m.: V («delle fistole le qual adevien in lo chullo») 44v, 65r (4), 65v (6), 66r

(DEI I, 315). Va infine segnalato che il tecnicismo contemporaneo sclera appartiene al gruppo dei neologismi d’origine greca introdotti dalla medicina solo nel corso dell’Ottocento (GRADIT: 1829); sclirotica si legge invece già nel Trecento (fior.a., ante 1334, Ottimo, OVI). Cf., ma sempre con riferimento al ‘leucoma’, Altieri Biagi (1970, 46 e 54 s.vv. albugine e biancheza), Gualdo (1996, 45 s.v. bianco di l’ochio), Aprile (2001a, 240 e 263), Elsheikh (2016 II, 80 s.v. albugine e 101 s.v. bianco delli occhi).

albumen oculi ‘sclera, bianco dell’occhio’ (200) [TLL I, 1501]

biancheçça dell’occhio: R («Inperciò c’aviene in alquanti huomini che lla palpebra si consalida colla biancheçça dell’occhio») 106v; biancho de l’ochio: V 46r; biancho de l’ogio: B 48r, 49r

[Du Cange I, 240c]

4 La voce galone è qui usata come glossa lessicale di ancha (cf. 1.).

[TLL II, 200]

5 Ms.: an(n)o. 6 Qui accompagnato dalla seguente glossa esplicativa: «cioè fondamento di sotto dell’uomo o della femmina»: cf. 3.a. e 3.b.

524 

 6 Glossario

(2), 66v, 67r (3), 68r) 42v (2); culo: R 97r; ~: B 17v, 44v, 46r, 57v (2), 58r, 68v (2), 69r (4), 69v (3), 70r (3), 70v, 71r (2), 72r 3.a. fondamento m.: R («ll’esciture del fondamento la cui perforatione d’aspettare infino al tempo della perfetta digestione») 128v, 154v, 162v, 163r, 166v; fondamento della persona: R 154v (3), 155v (3), 156r, 158r, 159v, 160r, 161v 3.b. fondo della persona: R («apresso al fondo della persona sia fatta la perforatione») 129v 4. postiron m.: V («in luoghi nervoxi o veramente intorno al postiron») 55r ▲ 1. Prima attestazione: tosc.a. ano (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO). DEI (I, 214): «v. dotta, attinta alla terminologia medica lat. medioev. [...]; il significato di orifizio dell’intestino è già latino». Termine che, per tradizione dotta, passa a quasi tutte le zone della Romània (cf. LEI II, 1687; FEW 24, 665). Cf. André (1991, 148), D’Anzi (2012a, 270). 2. Prima attestazione: fior.a. culo (seconda metà sec. XIII, RustFilippi, OVI). Cf. Marcovecchio (1993, 240), Sboarina (2000, 201), Green (2009, 388), D’Anzi (2012a, 301), Zarra (2018, 575). 3.a. Voce assente in tale accezione in DEI e DELIN, ma registrata dal GDLI (§12 ‘deretano, con valore di eufemismo’) e dal TLIO (prima attestazione: sab.a. fundamentu, fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, TLIO §3; cf. anche AlmansoreVolg, dove, oltre alla voce semplice, si adotta spesso la polirematica fondamento di sotto: Piro 2011, 501 e passim); attestazioni si rinvengono anche nei secoli successivi, e ancora nella letteratura del Sette- e dell’Ottocento (in Alfieri, Botta e De Roberto: cf. GDLI); voce presente in tutte le edizioni di Crusca. Cf. Gleßgen (1996, 528), Rapisarda (2001, LVIII), Elsheikh (2016 II, 162). 3.b. La voce fondo può indicare ‘la parte terminale di un organo cavo’ (GDLI §6: prima attestazione registrata in Dalla Croce, 1583). Più nello specifico, essa può designare proprio il ‘deretano’, al pari del termine fondamento: in tale accezione, il GDLI ne riporta due testimonianze, nelle quali fondo costituisce una

forma polirematica con i genitivi delle reni (ante 1535, Berni) e delle natiche (fior.a., 1383, LibroSidrach; cf. OVI). Della polirematica fondo della persona, però, al pari di fondamento della persona, non sono rintracciabili ulteriori testimonianze antiche all’interno del corpus OVI. 4. DEI (IV, 3039 s.v. postione): sec. XIV, da una base latina *posteriō-ōnis, con normale caduta della vocale (postrione) e successiva riduzione del gruppo str- (postione); da confrontare con l’a.fr. poistron. Prima attestazione: pis.a. postrione (fine XIII sec., MascalciaRuffoVolg, TLIO s.v. postione). Voce ancora adottata nella letteratura del Novecento (E. Cecchi, GDLI s.v. postione, postirone). Cf. André (1991, 149), Zarra (2018, 583). ♦ Loc. e collocazioni: − circuitus ani ‘circuito, perimetro dell’­ ano’ (293) cerchio del fondamento: R («morroyde sono cinque vene e’ quagli terminano nel cerchio del fondamento») 154r; circuito de lo culo: B 68v; zirchulo del chullo: V 65r ▲ Una simile polirematica si rintraccia anche nei secoli successivi: nei Secreti medicinali di Bairo (1561, 222v), si legge cerchio del buco dal culo; ancora nell’Ottocento (cf. Boyer 1835: «allorché il tumore è strangolato dal cerchio dell’ano»; Theile 1857, 89: «il muscolo sfintere esterno dell’ano [...] consiste in uno strato di fibre carnose [...] situato immediatamente sotto la cute del circuito dell’ano»). – margo ani ‘margine anale; intestino retto’ (3 occ.; 296) 1. budelo del chullo: V («tute queste che passa, zeto quelle che le passa al budelo del chullo, no è da churare») 65v 2. chullo m.: V («la chura de le fistolle che va apruovo lo chullo se fa per ii muodi») 65v 3. margine del culo: B («de li penetranti [scil.: fistuli] alcuni passeno appresso lo margine, zoè spacio, del culo») 69r; margine del chullo:

I Anatomia 

V 65v; margine7 del fondamento (margino8 del fondamento): R 156r (2), 156v 4. spacio del culo: B («in tuti questi fistuli penetranti se no quelli che passeno verso lo spacio del culo») 69r (3) ▲ 1. Della perifrasi ┌budello del culo┐ si rintraccia almeno un’attestazione trecentesca, formata però con l’agg. culare piuttosto che col sost. culo: fior.a. budello chulare (1337–61, LibroDrittafede, OVI); un’identica forma si ha più tardi in un sonetto del Burchiello: budel culare (Rime, CCCXXXIII, 1–2: «Ho inteso che hai fatto una steccata,/che ti ha ristretto sì el budel culare»: cf. LEI VI, 1256); cf. GDLI (s.v. budello §1), che registra anche ultimo budello in Tassoni, sempre a indicare ‘l’ultimo intestino, l’intestino retto’). In Mattioli (cf. Sboarina 2000, 199) si ha budello del sedere («è utile la decottion loro alle relassationi [...] del budello del sedere»); ancora, nel Vocabulario español e italiano di Lorenzo Francionsino (1645), la loc. budello del culo traduce la corrispondente espressione spagnola tripa cular. Cf. LEI (VI, 1263): budello culare, registrato, in vari dialetti italiani, col valore più specifico di ‘parte dell’intestino retto dei maiali (utilizzato per confezionare salumi)’. È interessante segnalare, infine, tra gli usi del sost. budello in àmbiti differenti da quelli tradizionali, la polirematica ┌budello del bellico┐ (assente in GDLI; prima attestazione: fior.a., ante 1383, LibroSidrach, OVI), che si ritrova ancora in molti dizionari ottocenteschi, italiani e dialettali (cf., per l’area bergamasca, Tiraboschi 1873 s.v. Bödel: Bödel dol bigol), per designare il ‘cordone ombelicale’ (cf., in tale accezione, Gualdo 1996, 46; LEI VI, 1257).

7 La forma magine sarà qui un chiaro errore di trascrizione (dovuto forse all’assenza del titulus normalmente adottato per r) per margine. Si noti poi che a c. 156v si legge imargino, a dimostrazione, dunque, di una probabile confusione tra il lat. margo e immago. 8 Ms.: imargino.

 525

2. Cf. s.v. anus (2.). 3. La loc. margine del culo si può leggere in alcuni testi di epoca successiva: nel Cinquecento, la si ritrova, ad esempio, in una traduzione della Chirurgia di Guy de Chauliac (1505, LXXXr); ancora nell’Ottocento: margine dell’ano in Boyer (1835, 40). 4. In una delle tre occorrenze di c. 69r, spacio è adottato come glossa per margine.

arteria ‘arteria, vaso sanguigno che trasporta il sangue dal cuore agli organi periferici’ (30 occ.; 12) [TLL II, 686]

1. artaria f.: V («questo non adevien se non solamente a le artarie») 4v (3), 5r (4), 9v, 10r, 15v, 20v (2), 21r (2), 21v, 23r, 26v, 28r, 28v, 53r, 55v, 59v, 61r, 61v; ~: B 21r, 26v, 28r, 28v, 55v, 58v, 61r, 64r; arteria: B 3v (7), 8r, 14r, 19r (2), 19v (2), 20v, 22v, 58r, 61r, 62v, 63v (2); artia: R 18r, 43r (2), 60r, 61r, 123r, 130r; artitia (artizia): R 41v, 56v, 129r; vena artia: B 44v, 135v, 141r; vena artitia (vena artizia): R 45v, 136r, 138r 2. polso m.: R («le vene e i polsi sono medij fra duro e molle») 6r (5), 6v 3. vena pulsante f.: B («de li nervi e de li veni e de li arterij, zoè vene pulsante, Avicena [...] non se saneno per la via de la prima intentione») 3v, 8r, 8v ▲ 1. Prime attestazioni: roman.a. artere (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO §1.1); mant.a. artarie (1299/1309, Belcalzer, OVI). La forma artaria presente nel ms. B di Andrea Cirambello è registrata anche dal LEI. Cf. Gentile (1979, 69): «la forma artaria convive con arteria nei testi medievali latini e volgari». Non si rintracciano altrove le forme presenti in R, che appaiono difficilmente spiegabili se non s’intendono come distorsioni popolari della voce dotta, oppure come errori personali e sistematici (visto il notevole numero di occorrenze) del copista (cf. anche l’agg. artiziale, s.v. arterialis). Per le polirematiche vena artia, vena artitia (-zia), cf. tosc.a. vene arterie (ante

526 

 6 Glossario

1361, UbertinoBrescia, OVI), Tomasoni (1986b, 239: vena artaria). Cf. Altieri Biagi (1970, 49), André (1991, 122), Marcovecchio (1993, 84), Gualdo (1996, 44), Tomasin (2010, 45), Mazzeo (2011, 264), D’Anzi (2012a, 274), Castrignanò (2014, 162), Valenti (2014, 759–763), Elsheikh (2016 II, 92), Zarra (2018, 571). 2. La prima attestazione di polso col valore di ‘arteria o vena superficiale’ si registra in Dante (1292–93, DanteVitaNuova, TLIO §1.2; si ricordi poi il celeberrimo «mi fa tremar le vene e i polsi» di Inf. I). Cf. nel DEI (IV, 3006) il valore di ‘ripercussione dell’onda di sangue nelle arterie’, alla base poi di quello di ‘arteria’ e, più in generale, a indicare ogni tipologia di vaso sanguigno (cf. GDLI). Cf. D’Anzi (2012a, 369), Zarra (2018, 620). 3. La distinzione tra vena e arteria risale già alla medicina ippocratica: anche nel testo latino di Bruno si esplicita chiaramente la diversa natura dei due vasi sanguigni («Nam venarum aliae sunt pulsu carentes et sunt facilioris curationis et minoris timoris, aliae pulsatiles quae dicuntur arteriae»: Hall 1957, 75). L’uso di vena pulsante in B, per tradurre il lat. arteria, è perciò legato proprio a questa distinzione (la denominazione «era stata introdotta dagli arabisti. L’aggettivo doveva distinguere i vasi addetti al movimento degli spiriti vitali da quelli addetti alla distribuzione del sangue»: Gentile 1979, 69), che, come spesso accade nella terminologia medica medievale, si rifà a una caratteristica fisiologica particolarmente evidente (in tal caso la pulsatilità delle arterie come conseguenza dell’onda sfigmica del cuore; cf. la forma polso di R, che ha alla base la medesima immagine, oltre che lo stesso etimo): non a caso, nelle tre occorrenze segnalate, vena pulsante è sempre adottata come glossa di arteria. L’agg. pulsante riferito agli organi circolatori è registrato dal GDLI (s.v. pulsante1, §1) a partire dal Landino (ante 1498; anche per l’agg. pulsatile, con lo stesso valore di pulsante, il GDLI registra la prima attestazione in Landino), in un passo indicativo, peraltro, nel quale ritornano proprio i diversi termini anticamente affiancati ad arteria e che

qui si sono osservati: «alcune [vene] hanno assai sangue e meno spirto, alcune hanno men sangue e più spirto: e queste in latino sono chiamate arterie o vero vene pulsatili, e noi le chiamiamo polsi perché pulsanti battono». Cf. Gentile (1979, 68: pulsatele vene), D’Anzi (2012a, 301: vena pulsatrice).

arterialis ‘arterioso, delle arterie’ (75) [Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini]

1. artiçiale agg.: R («spetialmente per le vene artiçiali») 41v 2. de le arterie: B («a chi vene evacuatione de sangue, e propriamente de le arterie, e superfluo») 19r ▲ 1. Cf. s.v. arteria (1.) per la forma artiziale di R. Le attestazioni dell’agg. ┌arteriale┐ nei principali dizionari sono molto più tarde (LEI: dal 1601, Caporali, Bergantini; GDLI: ante 1597, G. Soderini; solo in Crusca5), ma cf. già D’Anzi (2012a, 301) e Sboarina (200, 198); esso giunge fino all’epoca contemporanea, come variante sinonimica dell’agg. arterioso: alla derivazione dalla voce it. arteria andrà dunque associata quella diretta proveniente dal lat. mediev. arterialis, che pure non si registra nei principali dizionari latini. Per arterioso, il GDLI fissa la prima attestazione in A. F. Bertini (1711), per la polirematica vena arteriosa già nel Seicento (O. Rucellai). 2. Cf. s.v. arteria.

ascella ‘ascella’ (4 occ.; 174)

[axilla TLL II, 753; Du Cange I, 416b; cf. → s.v. ala, subascella, titillicus] 1. asella f.: R («sotto la so asella»)9 93r; seya: B 43r (4) 2. schaio m: V («meti li to dedi grossi over lo pugno soto lo schaio») 41r, 41v (2)

9 Ms.: sotto la lo so’ asella.

I Anatomia 

▲ 1. Le forme ascilla e ascella appartengono già al lat. tardo, in sostituzione del lat. class. axĭlla (cf. André 1991, 81); DEI (I, 315): «dal lat. axĭlla con cambio del suffisso (già lat. tardo ascella); panromanzo, ma non rum. e sardo»; LEI III-2, 2705: «continua nella Galloromania e nell’Italia». L’it. ascella data dal 1313ca. (it.a. ascelle, ante 1321, DanteCommedia, TLIO; LEI III-2, 2694). La forma asella di R presenterebbe uno sviluppo con assimilazione (-ss- per -ks- < lat. axĕlla: cf. Baglioni 2001) che non si ritrova in OVI, ma è comunque attestabile nel fior. del Trecento (1313, I Fatti dei Romani, in Marroni 2004, 100; cf. ivi, nota 98 «si tratta verosimilmente d’un latinismo. Sia assella sia ascella cominciavano proprio allora [...] ad affacciarsi a Firenze come alternative all’usuale ditello»). Non va oltretutto dimenticata la testimonianza di asella anche nel lat. volg. (fine sec. XIII: cf. LEI III-2, 2694 nota 1). La forma con discrezione dell’articolo si ritrova in molti altri dialetti: per la forma seya (e relative varianti grafico-fonetiche), tipica dell’area lombarda, cf. LEI (III-2, 2696: dal 1429; Contini 1934, 233); in area propriamente bergamasca, cf. Tomasoni (1986b, 238). In particolare, il lomb. seya «sembra rifatto a partire dal pl.: poiché si parla normalmente di ‘ali’ al pl., il sg. sarebbe stato ottenuto rideterminando il plur. regolare s > y (con palatalizzazione della liquida davanti a -i, morfema di f. pl.» (LEI III-2, 2705; si veda anche Rohlfs 1966–1969, §221 e §362). Cf. Altieri Biagi (1970, 49–50), Marcovecchio (1993, 104), Green (2009, 389). 2. Cf. s.v. ala (2.)

bursa/bursa testicolorum ‘scroto’ (4 occ.; 281) [Du Cange I, 790a; cf. s.v. testiculus]

1.a. borsa f.: B («descende subito cum grande dolore fina a lo profondo de la borsa») 66r; borrsa: V 63v;10 bursa: R 146v

10 «Quando le budelle va in li choioni, zoè in la borssa, quello aviene per lexion del sifac».

 527

1.b. borsa de li choioni: V («Le spetie de l’ernia che viene in la borsa de li choioni [...] zeneralmente è tre spezie») 62v; borsa agli intesticugli (borsa degli intesticogli): R 146v, 149r; borsa negli stesticugli: R 146v; borsa de li testiculi: B 66r (2), 66v ▲ 1.a. Marcovecchio (1993, 133): «nel linguaggio med[ico] è probabile che il primo uso metaforico si riferisca allo scrotum». Prima attestazione: fior.a. borsa (1310ca., Bencivenni cit. in Crusca, GDLI s.v. borsa1 §7), non confermato dal corpus OVI e che potrebbe rappresentare un falso rediano; cf. DEI (I, 569 s.v. borsa3); LEI (VIII, 305). Voce presente da Crusca1 (‘E borsa si dice anche la coglia, cioè il ripostiglio de’ testicoli. Lat. scrotum’). Cf. André (1991, 180), D’Anzi (2012a, 279), Sboarina (2000, 199). 1.b. Anche le forme sintagmatiche, al pari del sost. borsa, si rintracciano già dal Trecento: it. sett.a. borsa deli coioni (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, LEI VIII, 306), pad.a. borsa dey testicolli (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO s.v. borsa §1.4), ma anche fior.a. borsa della vergha (1341ca., LibriAlfonso, TLIO s.v. borsa §1.4), ecc.; DELIN, 236 (s.v. borsa1). Cf. Altieri Biagi (1970, 55), Tomasoni (1986b, 233: borsa d’i coyoni, borsa d’i testicoli).

calcaneum ‘calcagno, tallone’ (8 occ.; 175) [TLL II, 127]

calcaneo (calcagnio) m.: B («pone lo calcaneo apresso lo principio de lo adiutorio») 43r, 44v, 45r, 45v, 46r, 66v; calcangno: R 93v, 98r, 99r, 100v (3), 101r, 147v; chalchagno: V 42v, 43r, 43v (4), 63v ▲ Prima attestazione: mil.a. calcanio (1270–80, BonvesinDeCruce, TLIO s.v. calcagno). DEI (I,  671): «panromanzo». Voce presente da Crusca1. Cf. André (1991, 116), Marcovecchio (1993, 139), Sboarina (2000, 199), Aprile (2001a, 269), Mazzeo (2011, 264), D’Anzi (2012a, 280), Elsheikh (2016 II, 107).

528 

 6 Glossario

caput ‘testa’ (35 occ.; 13) [TLL III, 384]

1. busto m.: V («sia li piedi plù alto che lo busto») 64r 2. capo m.: R («tu fa’ stare lo capo dello amalato basso») 17r, 67v (4), 69v, 70r, 74v, 97r, 103v, 105r, 109r, 110r, 119r, 132v, 137r (4), 147v, 169r (3); ~: B 7r; chavo: V 8v, 9v, 31v, 32r, 33v, 42v (2), 44v (2), 45r, 45v, 47r, 47v, 48r, 51v (2), 55v, 57r (2), 59r, 63v, 68v (3) 3. testa f.: B («li gambi de lo infirmo siano più alti che la sua testa») 8r, 29r, 31v (3), 32v (3), 33r, 34r, 34v, 35r, 44v (2), 46v (2), 47r, 47v, 49r, 49v, 50r, 53v (2), 58r, 59v, 60r, 61v, 62r (3), 66r, 66v, 72v (3); ~: V 31r, 32r ▲ 1. Da un gall. *būstis, forse corrispondente al lat. fūstis (LEI VIII, 350). Non si sono rintracciati altrove usi di busto per indicare nello specifico la ‘testa’: anche in V, in ogni caso, si tratta di una singola occorrenza nel complesso poco significativa e da intendersi piuttosto come una traduzione non particolarmente puntuale del volgarizzatore. 2. Prima attestazione: march.a. capu (sm. sec. XII, RitmoSAlessio, TLIO s.v. capo), ma il lat. mediev. capo è già documentao nel GlossarioMonza (sec. X, TLIO s.v. capo). Cf. Ineichen (1966, 286), Nystedt (1988, 217), André (1991, 27), D’Anzi (2012a, 283). 3. Per la distribuzione dei tipi capo e testa nei dialetti italiani, cf. AIS (I 93). Prima attestazione: venez.a. teste (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). ♦ Loc. e collocazioni: – cornu capitis ‘corno dell’osso ioide’ (313) corn[o] m.: B («Contra lo dolore longo che è portato longo tempo fiza lo cauterio sopra li doy corni») 72v; corno di capo: R 169r; chorn[o] del chullo: V 68v ▲ Il GDLI (§34) regitra il lemma corno col valore generico di ‘prolungamento, estremità di un organo’; sempre in contesto anatomico, il termine è attestato dal TLIO (s.v. corno §6.1)

col significato, diverso da quello qui discusso, di ‘tuba di Falloppio’ (fior.a. corna: pq. sec. XIV, AlmansoreVolg); ancora nell’Almansore volgarizzato, peraltro, la loc. corna del çucolo del capo di dietro è usata anche per indicare le ‘corna occipitali, estremità posteriore dell’emisfero cerebrale’ (cf. Elsheikh 2016 II, 133 s.v. corno). Nella Chirurgia di Bruno, tuttavia, il riferimento è piuttosto alle «corna» dell’osso ioide, conservatosi nel lessico medico contemporaneo, nel quale si parla di «piccole corna» e «grandi corna» in riferimento alle quattro appendici dell’osso ioide. Per la possibilità di leggere chollo per chullo in V, cf. s.v. cervix (3.). – dolor capitis ‘mal di testa’ (2 occ.; 173) 1. dolore ┌del┐ capo: R («sopraverebbe pessimo nocimento sì come frebbe spartito e  dolore del capo») 92v; dolore de la testa: B 42v 2. mal de chavo: V («el vignerà mali azidenti a lo infermo, sì chomo [...] mal de chavo chontinuo») 41r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. dolori di capo (ante 1292, GiamboniLibroViziVirtudi, OVI). Cf. Ineichen (1966, 257: doia de testa), Nystedt (1988, 217), Motolese (2004, 151: dolore di capo), Tomasin (2010, 53), D’Anzi (2012a, 312), Elsheikh (2016 II, 112 s.v. capo), Zarra (2018, 599). 2. Prima attestazione: tod.a. mal de capo (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, OVI). Cf. Nystedt (1988, 241), Elsheikh (2016 II, 201 s.v. male: male del capo). – ossa capitis ‘craneo’ (3 occ.; 131) 1. capo m.: R («della ronpitura del capo») 70r 2. chraneo m.: V («de la rotura del chraneo, zoè de l’osso de la testa») 32r 3. crapa f.: B («de la cura de la rotura de la crapa») 32v 4. osso del capo (ossa del capo): R («la ronpitura dell’osso del capo [...] alle cure d’altri ossi sono disimiglanti») 70r (2), 73r; ossi de

I Anatomia 

la testa (osso de la testa): B 32v (2); osso del chavo: V 32r; osso de la testa: V 32r11 ▲ 1. Cf. supra (2). 2. e 3. Cf. s.v. craneum. 4. Prima attestazione: sen.a. osso del capo (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI); in area sett.: pad.a. osso del cavo (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Cf. Elsheikh (2016 II, 234 s.v. osso).

cartillaginosus ‘cartilagineo, che ha consistenza di cartilagine’ (2 occ.; 12) [cartilaginosus TLL III, 500]

cartilaginos[o] (cartillaginos[o]) agg.: R («lo polso si è conposto di due tonache et l’una è cartilaginosa») 6r, 158r; cartilaginoso: B 3v, 69v;12 chartilazinoxo: V 4v, 66r ▲ Prima attestazione: cartilaginoso (1310ca., Bencivenni cit. in Crusca, GDLI; LEI XII, 832), forma che però non è confermata dal corpus OVI e che potrebbe rappresentare un falso rediano; TLIO: fior.a. cartilaginoso (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg); voce presente da Crusca3. Più tarda, seicentesca stando al GDLI (1684, F. Redi), è l’introduzione dell’agg. cartilagineo (voce presente da Crusca4), che sositituirà cartilaginoso nel lessico della medicina moderna. Cf. Marcovecchio (1993, 152), D’Anzi (2012a, 284), Elsheikh (2016 II, 114).

cartillago ‘cartilagine’ (12) [cartilago TLL III, 500]

cartilagine f.: R («la cartilagine non si sana») 6r; cartilagine: B 3v;13 chartilazine: V 4v14

11 Glossa di chraneo (cf. 2.) 12 Con l’accompagnamento della glossa seguente: «zoè pleno de ossi teneri». 13 Voce accompagnata dalla seguente glossa: «zoè l’osso tenero». 14 Voce accompagnata dalla seguente glossa enciclopedico-etimologica: «si è uno menbro

 529

▲ DEI (I, 786): «v. tecnica di origine sconosciuta»; cf. LEI (XII, 834). Si noti la glossa paretimologica offerta da V, che collega il termine al sost. carta (cf. infra in nota). Prima attestazione: aret.a. cartillagine pl. (1282, RestArezzo, TLIO). Voce presente da Crusca3. Cf. Altieri Biagi (1970, 60), André (1991, 209), Marcovecchio (1993, 152), Aprile (2001a, 274), D’Anzi (2012a, 284), Elsheikh (2016 II, 114).

cavilla ‘caviglia’ (187) [Du Cange II, 239a]

chavechia f.: V («ligallo fortemente con ligamento che una parte vada soto la planta del pe’ e l’altro a la chavechia») 43v; cavigia B 46r; cavilgla: R 101r ▲ DEI (II, 830): dal lat. clāvīcula, dissimilato in cāvīcla; direttamente dal prov. cavilha (a sua volta dal lat. tardo cāvīcla) per DELIN, 317 e Nocentini (2010, 205). Prima attestazione: fior.a. chaviglie f. pl. (1310, BencivenniSantà, TLIO §1 s.v. caviglia). Cf. Altieri Biagi (1970, 61–62), Tomasoni (1986b, 234), Marcovecchio (1993, 159), Gleßgen (1996, 523), Sboarina (2000, 200), Green (2009, 392), D’Anzi (2012a, 285), Elsheikh (2016 II, 116).

cellula ‘ciascuna delle tre parti in cui era diviso il cervello secondo le conoscenze dell’epoca’ (130)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange, Forcellini] celula f.: B («elli àno veduti molti fir liberati non solamente per dannamento de la medula, ma anchora vacuare una celula») 32v; zillol[a]: V 32r ▲ Con il termine cellula ci si riferisce qui, nello specifico, ai ventricoli cerebrali (concepiti, a

sotille senza sangue lo qual è quasi a modo de una charta».

530 

 6 Glossario

loro volta, come una delle tre componenti fondamentali del cervello). Si legga, a tal riguardo, la descrizione anatomica offerta da Bruno sulla base di Avicenna: «cerebrum, secundum Avicennam, dividitur in tres partes, scilicet in substantiam velativam, medullarem et ventres. Ventres autem sunt tres, scilicet anterior, medius et posterior. In anteriori virtus imaginativa complectitur, cogitativa in medio, memorialis autem in posteriori» (Hall 1957, 130). Voce assente in questa accezione nel DEI (II, 846 s.v. cellula), dove la più antica attestazione è segnalata in Galilei col senso di ‘piccola cavità (della spugna)’. Il TLIO (s.v. cellula §2) ci offre invece una doppia testimonianza del fior.a. cellola (ante 1340, Ottimo sec. red.), col significato qui discusso (nell’Ottimo, peraltro, la ripartizione delle tre facoltà mentali è la medesima prospettata da Bruno: «Memoria è una doppia naturale, la quale così si vede nella cellola dirietro del celabro, però che in quella dinançi si forma la ymaginaçione, e nella meçana la ragione overo ingengno»); cf. GDLI (§3: ‘ciascuno degli scompartimenti in cui si credeva che fosse diviso il cervello, e che era ritenuto sede di una facoltà intellettuale’); DELIN, 320; LEI (XIII, 784). Voce presente solo in Crusca5 (‘Uno dei tre spartimenti, nei quali supponevasi anticamente che fosse diviso il cervello, come sede di alcune facoltà dello spirito’). Cf. D’Anzi (2012a, 286), Gualdo (1996, 48).

cerebrum ‘cervello’ (28 occ.; 3)

[TLL III, 859; cf. → ventriculus cerebri (s.v. ventriculus)] 1.a. celabro m.: R («nello luogo pauroso sì come è lo celabro») 2r, 10r, 25r (2), 27r, 43v, 69r (3), 69v (2), 70r (3), 71r, 71v, 72r (2), 72v, 74r, 102v, 121v, 132v, 169r; zelabro: V 21v; zellebro (zelebro): V 10v, 11r, 13r, 13v, 21v, 31v, 32r (4), 32v, 33r (2), 33v, 44v, 52v, 56v; 1.b. cervello (cervelo) m.: B («siano suavissimi e cautissimi in operare, e maximamente in logi timorosi como è in lo cervello») 1v, 5r, 9v (2), 11r (2), 11v, 12r, 20r, 32r (3), 32v (3), 33r, 33v (2),

34r, 34v, 46v, 54v, 59v, 72v; zervello: V 2v, 6v, 12v, 31v, 33r 2. substantia de crappa: B («la testa se dividisse in trey parti, zoè in substantia carnosa, ossuosa e de crappa») 32v; sustancia del chraneo: V 32r ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. celebro (1271/75, FioriFilosafi, TLIO s.v. cerebro). La forma semidotta dissimilata celabro (< lat. cerebrum; DEI II, 841: «conservato nel latino balcanico [rum.; maced.; alb.] e sostituito altrove dal dimin. cerebellum»; LEI XIII, 1098: «Il lat. cerebrum pare continuare unicamente in alcuni relitti dell’Italoromania e dell’Iberoromania») è diffusa sostanzialmente in tutta l’area toscana già dalla fine del Duecento. Per il passaggio, tipicamente toscano, di e > a in posizione postonica nei proparossitoni, cf. Tekavčić (1980, §127). Il venez. çelebro è presente con due attestazioni in OVI, entrambe da PaolinoMinorita (1313–15). Come voce aulica, celabro sarà ancora ampiamente presente nella lingua letteraria ottocentesca e anche oltre (ante 1939, A. Panzini, GDLI): si vedano a tal proposito le interessanti rimostranze puriste del Gherardini (1843, 251), che stigmatizza la voce celabro come corrotta, al pari di celebro («per tutte l’Ombre de’ Crusconi, dacché abbiamo Cerebro e Cervello, qual bisogno ci può essere di storpiar questi due nobilissimi vocaboli, e ridurli in Celabro e Celebro?»). Cf. Ineichen (1966, 286), André (1991, 34), Aprile (2001a, 279), Barbato (2001a, 342), Green (2009, 392), Tomasin (2010, 49), D’Anzi (2012, 286), Elsheikh (2016 II, 117), Zarra (2018, 572). 1.b. La prima attestazione di ┌cervello┐ (< lat. cerebellum; «dimin. di cerebrum ‘cervello usato come termine culinario, che nella lingua popolare (Petronio) prende il posto del positivo»: DEI II, 874; André 1991, 34; Marcovecchio 1993, 165), col valore generico di ‘testa, capo, scatola cranica’, rimanda alla metà del Duecento (roman.a. cerviello: uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO §2); della fine del sec. XIII, invece, è la prima testimonianza

I Anatomia 

nell’accezione più specifica, propria anche dei nostri volgarizzamenti, e riferita all’organo o ai tessuti contenuti nella scatola cranica (fior.a. cervello: ante 1292, GiamboniOrosio, TLIO). 2. La resa del lat. cerebrum con una locuzione è favorita qui dal contesto latino (Hall 1957, 130: «caput dividitur in tres partes, scilicet in substantiam carnosam, craneatam et cerebrum»), che induce i volgarizzatori di B e V all’adozione di una strategia identica e fondata analogicamente sui primi due elementi della terna riguardante la composizione anatomica della testa. Per crappa (una sola volta con questa grafia in B al cospetto del frequente crapa), cf. s.v. craneum. Per substantia/sustancia cf. s.v. substantia.

cervix ‘parte posteriore del collo, nuca’ (6 occ.; 39) [Du Cange II, 277b]

1. cervice f.: R («le fogle della cervice, della spina, stropiccia coll’olio tiepido») 21v, 107r,15 107v, 174r 2. coppa (copa) f.: B («nuy unzemo spesse volte lo collo, la copa, lo spinale, e soto li aselli») 10r, 34v, 48v (2), 52v, 74r 3. chollo (chulo) m.: V («oncione de ollio rosado [...] al chavo e ’l chollo») 33v, 46v; chullo de driedo: V 46v, 69v ▲ 1. Prime attestazioni: fior.a. cervice (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); nap.a. ~ (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO §1). DEI (II, 875 s.v. cervice): «panromanzo»; DELIN, 326: dalla stessa radice indoeuropea da cui deriva anche cerebrum. Voce presente da Crusca1 (con la presenza, nella relativa definizione, del sost. coppa, per il quale cf. 2: ‘parte deretana del collo, detta anche, coppa, con l’o stretto, onde accoppare uccidere col percuo-

15 Ms.: cevici (con ogni probabilità sarà stato omesso nella trascrizione il titulus solitamente indicante la vibrante).

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ter la coppa’). Cf. André (1991, 70), Marcovecchio (1993, 166), Aprile (2001a, 281). 2. Prima attestazione: it.a. coppa (ante 1321, DanteCommedia, TLIO coppa3 §1); voce attestata dal TLIO esclusivamente in testi di area toscana; ancora in Nievo e Svevo (GDLI §1). 3. Con il valore specifico di ‘cervice’, la prima attestazione è il roman.a. collo (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO s.v. collo1 §2). Cf. s.v. collum (α.). È da notare come, in tre delle quattro occorrenze riportate, si legga la forma con voc. chiusa chu-: si potrebbe ipotizzare un errore del copista (per confusione con chullo, traducente normalmente adottato per tradurre il lat. anus: cf. s.v.), a meno che non si voglia accettare una trafila -ŏ- > -uo- > u, sulla base di quanto Rohlfs (1966–1969, §115) attesta in Ruzzante per l’area padovana, dove si ha una situazione di dittonghi tanto in sillaba aperta quanto in sillaba chiusa, e dove si attesta anche la forma ridotta u- per -uo- (es. urti di fronte a huorti, tulti di fronte a tuolti, ecc.); cf. Tomasin (2004, 105–107); Videsott (2009, 33) per esiti di ŏ > u in area padana; Bertoletti (2005, 37) per alcuni isolati esempi di dittongo ridotto in testi veronesi; già Corti (1962, XLVIII) s’interrogava, a tal riguardo, sulla possibilità di pensare, più che a monottongazione, «a un fenomeno di oscuramento della vocale, autonomo rispetto alla dittongazione». Nel nostro caso si tratta, nel complesso, di un’ipotesi poco economica, tanto più perché andrebbe presupposta in un contesto non metafonetico e in sillaba implicata, e oltretutto senza corrispondenza con casi analoghi nel resto del ms. (sono tutte da riferire a culo ‘ano’ le testimonianze di cullo registrate in OVI, molte delle quali nel pad.a. di Serapiom): in più, tra i traducenti del lat. collum (cf. s.v.), si trova soltanto la forma attesa chollo. D’altra parte, che non sia da escludere del tutto la correttezza di tali forme oscurate, ci è confermato da Sattin (1986, 65), la quale registra alcuni casi simili di oscuramento ŏ/ō > u, pur reputandoli «di difficile spiegazione». Ad ogni modo, la polirematica chullo de driedo si ritrova tre volte in corrispondenza del lat. cervix e, in un unico

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 6 Glossario

chollo m.: V («signemo [...] lo chollo e la parte del chavo de driedo») 11r, 38r (3), 39v, 41v (2), 42r, 50r (2), 52v (2), 56r, 58r, 67r, 69v; collo: R 83v, 84r, 84v (2), 89r, 94v, 96r, 97v, 103r, 116v, 121v (2), 131v, 135r, 162v, 174r; ~: (colo): B 10r, 39r (2), 39v (2), 41r, 43v, 44r, 44v, 46v, 54v (2), 59r, 60v, 71r, 74r

non trova conferma in OVI e potrebbe rappresentare un falso rediano. Nello specifico, per collo della vescica, cf. fior.a. collo dela vescica (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI: 9 occorrenze nel testo); sab.a. collo de la vescica (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI). Voce presente da Crusca3 (s.v. collo ‘Collo: la Parte più stretta della vescica degli animali, onde si manda fuori l’orina’; in Crusca4 viene registrata proprio la loc. collo della vescica). Locuzione ampiamente riscontrabile anche nei secoli successivi, fino a giungere al lessico contemporaneo dell’anatomia, con l’affiancamento, almeno dal secondo Ottocento, di quella con agg. di relazione collo vescicale (cf., tra gli altri, Amabile 1872, 26). Cf. Altieri Biagi (1970, 66), André (1991, 159), Marcovecchio (1993, 201), Gualdo (1996, 48), Sboarina (2000, 201), Aprile (2001a, 285), D’Anzi (2012a, 290), Elsheikh (2016 II, 127).

▲ Prima attestazione: crem.a. colo (inizio sec. XIII, UguccLodi, TLIO s.v. collo1 §1); già lat. mediev. colo (sec. X, GlossMonza, TLIO). Cf. André (1991, 27), Aprile (2001a, 288), D’Anzi (2012a, 290).

coniunctiva ‘congiuntiva, sottile membrana mucosa trasparente che riveste internamente la palpebra’ (205)

caso, di collum (fontana del chullo de driedo: lat. fontanella colli, cf. s.v.) e caput (chorno del chullo: lat. cornus capitis), sempre, dunque, per designare una zona coincidente col ‘collo’: è probabile, dunque, che la perifrasi sia del tutto corretta, ma resta il dubbio se il primo termine vada letto come chullo.

collum

[TLL III, 1658] α. ‘collo’ (16 occ.; 39)

β. ‘zona ristretta tra due parti contigue di un organo’ [Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange, Forcellini] ♦ Loc. e collocazioni: – collum vesicae ‘insieme al fondo, una delle due parti costituenti l’ampolla vesci­ cale’ (7 occ.; 301) [Cf. → s.v. vesica]

chollo de la vesicha: V («in la vesiga lo qual chollo si è streto») 66r, 66v, 67r (3), 67v; collo de la vesica: B 70r, 70v (2), 71r (3), 71v; collo della vescica: R 159v, 161v, 162r, 162v, 164r, 166r ▲ Nel significato generale di ‘parte assottigliata o ristretta di un membro o di un organo del corpo’, il GDLI (s.v. collo1 §3) segnala in Bencivenni (Crusca) la prima attestazione (nella loc. collo della matrice), che tuttavia

[Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini]

1. coniunctiva f.: B («ti talij [...] in lo loco unde se continua la coniunctiva cum la cornea») 49r 2. zontura f.: V («taia sulla toniga chornea [...] in lo logo o’ se chontinua chon la zontura chon la tonega chornea») 47r ▲ 1. Le prime testimonianze latine sono registrate dal MLW (II, 1449) nella Practica oculorum del salernitano Benvenuto Grafeo (1200ca.) e nella Chirurgia di Bruno da Longobucco. Il DEI (II, 1060) attesta l’it. congiuntiva solo dal XVII sec., segnalando però il corrispettivo fr. conjonctive (cf. GRADIT, che considera la voce italiana di derivazione francese) già dal secondo Trecento (ante 1372). L’unica testimonianza offerta dal TLIO (s.v. congiuntiva) è il tosc.a. coniunçiva (ante 1361, UbertinoBrescia), e ciò conferma una scarsa presenza del termine nel corso del XIV sec. L’attestazione

I Anatomia 

rintracciata dal GDLI in Bencivenni non trova conferma in OVI. Voce presente da Crusca3 (s.v. congiuntivo). Cf. Marcovecchio (1993, 212), D’Anzi (2012a, 294), Elsheikh (2016 II, 129). 2. Non si sono rintracciate altrove testimonianze di ┌giuntura┐ con riferimento alla ‘congiuntiva dell’occhio’ (l’unico significato anatomico registrato dal TLIO s.v. è quello più diffuso di ‘Punto in cui due ossa si congiungono, articolazione’).

corda ‘tendine, fibra nervosa’ (244) [chorda TLL III, 1017]

cord[a] f.: R («quando si talgla guardisi che non si toccasse le vene, artiçie e nervi e lle corde») 129r; cord[a]: B 58r ▲ DEI (II, 1104): nell’accezione di ‘legamento muscolare’, la voce è attestata a partire da Leonardo. DELIN, 396: 1480–93 (Guy de Chauliac; cf. Altieri Biagi 1968, 292). GDLI (§25): Bencivenni (Crusca), ma si tratta di una testimonianza non confermata dal corpus OVI, e che potrebbe costituire un falso rediano; TLIO (§7): it.sett.a. corde (it.sett.a. pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA). Termine registrato a partire da Crusca3 (nello specifico: corda del collo) e giunto al lessico contemporaneo dell’anatomia e della medicina per indicare, sempre in forme polirematiche, parti anatomiche diverse o fenomeni patologici (es.: corda del collo, corda del timpano, corda venerea, corda vocale, ecc.). Cf. Ineichen (1966, 288), Gentile (1979, 71), Tomasoni (1986b, 235), Mazzeo (2011, 265), D’Anzi (2012a, 298).

cornea ‘cornea, membrana trasparente che riveste l’estremità anteriore del globo oculare’ (203)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. tunica] 1. chorona f. V («aprovo la chorona de l’ochio») 47r

 533

2. cornea f.: B («apresso la cornea de l’ogio») 48v ▲ 1. Più che a un errore di trascrizione dovuto al volgarizzatore/copista, si può facilmente presupporre una dipendenza dall’antigrafo latino (corona è infatti variante dei mss. lat. B ed E); anche F1 attesta la forma corona (c. 48r). È probabile che, già in latino, con corona ci si riferisse piuttosto alla ‘corona ciliare’: cf. s.v. corona. 2. La forma semplice del lat. mediev. cornea (< lat. corneus ‘corneo, di corno’: DEI II, 1114) è un originario attributo che sottintende il sost. membrana o tunica (cf. infra 2.), prevalente anche nel testo latino di Bruno rispetto all’unica occorrenza dell’agg. sostantivato cornea. TLIO: prima attestazione nell’Ottimo (fior.a., ante 1334); DELIN, GDLI: XIV sec. (Pietro Ispano Volgar.). Voce registrata a partire da Crusca3. Cf. Altieri Biagi (1970, 70), Marcovecchio (1993, 222), D’Anzi (2012a, 298), Ineichen (1966, 288), Quaglino (2013, 55–56). ♦ Loc. e collocazioni: – tunica cornea/cornea tunica ‘cornea’ (4 occ.; 196) [Cf. → s.v. tunica]

chornea f.: V («el se à paura ch’el non se tochi la chornea») 45v; cornia tunica: R 109v; tonega chornea (toniga chornea): V 47r (3); tunica cornea: R 105r; ~: B 47v, 49r (2), 49v;16 tonica dalla parte della cornia: R 108v; tonica della cornea: R 109v ▲ Cf. tosc.a. tonica cronea vel cornea (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO); Altieri Biagi (1970, 69), García Gonzáles (2007, 392 s.v. chimosis), Elsheikh (2016 II, 322 s.v. tunica: cornea tunica).

16 In tre delle quattro occorrenze segnalate, tunica è glossata col sost. pelle («zoè pelle»).

534 

 6 Glossario

corona ‘corona ciliare’ (205) [TLL IV, 988]

chorona f.: V («se chontinua chon la zontura chon la thonega chornea in la chorona») 47r ▲ TLIO: voce non attestata in tale accezione. GDLI (s.v. corona §29): voce registrata senza attestazioni; il sost. è normalmente accompagnato dall’agg. ciliare in età moderna (le prime testimonianze ricavabili da GoogleLibri rimandano al secondo Settecento; cf., tra gli altri, de Bomare 1766–1771, vol. 12, 114: «La Corona ciliare, che altro non è essa stessa, che una parte dell’espansione della Pia-madre, tiene sospeso in faccia alla pupilla»). Cf. André (1991, 247), Marcovecchio (1993, 222).

(2), 99v, 100v, 129v, 147v, 156r, 162v (2), 163v, 166v, 167r (2), 171r; coxia: B 10r 2. ganba f.: V («ligase le ganbe de l’infermo») 67r ▲ 1. Prima attestazione: roman.a. cossa (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO s.v. coscia §1); DEI (II, 1129 s.v. coscia): «Il significato originario di coxa è espresso dal germ. hanka ‘anca’». Cf. Ernst (1966, 166), Nystedt (1988, 217), André (1991, 105), Marcovecchio (1993, 228), Aprile (2001a, 300), Green (2009, 394), D’Anzi (2012a, 300), Elsheikh (2016 II, 134). 2. Cf. s.v. crus (3.).

craneum ‘craneo’ (7 occ.; 8) costa ‘costola’ (9 occ.; 46)

[TLL IV, 1084; cf. → spondilium costarum (s.v. spondilium)] chosta f.: V («lo cholpo serà fato aprovo le choste pizolle») 13r, 28v, 38r, 38v (4); costa: R 25v, 84r, 85r, 86r (2), 86v, 130r; ~: B 11v, 28v, 39r, 39v, 40r (2), 58r (2) ▲ Prima attestazione: crem.a. costa (inizio sec. XIII, UguccLodi, TLIO s.v. costa2 §1); già lat. mediev. costa (sec. X, GlossMonza, TLIO). Voce presente a partire da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 71), Tomasoni (1986b, 235), Nystedt (1988, 217), André (1991, 90), Aprile (2001a, 300), Green (2009, 394), D’Anzi (2012a, 300), Elsheikh (2016 II, 134).

coxa ‘coscia, anca’ (24 occ.; 25) [TLL IV, 1095]

1. chossa (chosa) f.: V («la bocha d’esa [scil.: piaga] era in la chosa») 8r (2), 11r (2), 28v, 40r (3), 40v, 43r (2), 43v, 55v, 65v, 67r, 68r, 69r; coxa (cossa): B 6v (2), 29r (2), 41r, 41v (3), 42r, 45r (3), 45v, 58r, 65v, 66v, 69r, 71r (2), 72r (3), 73r; coscia: R 13v, 62r, 89v (2), 90r (2), 91r, 99r

[Du Cange II, 605b]

1. capo m.: R («ronpitura del capo») 67r 2. coccia f.: R («della natura della coccia») 4v 3. crapa f.: B («de la fractura de la crapa») 2v, 11v, 31v (2), 32r (2), 46v 4. chraneo m.: V («della rotura17 del chraneo») 4r, 13r, 31v (2) 5. osso m.: R («pia mater si è sotto l’osso») 69r (2); osso de la testa: V 4r18 ▲ 1. Cf. s.v. caput (2.). 2. DEI (II, 992): «probabilmente da un lat. *coccia (derivato dall’incrocio di cochlea con coccum)», ante 1440, a Teramo; questa testimonianza teramana è segnalata come lat. volg. dal DELIN, 352, che attesta la forma it. coccia solo dal 1726 in A. M. Salvini; allo stesso modo il GDLI s.v. coccia1 §7; LEI (XV, 366 s.v. coc(h)lea: «la vasta estensione geolinguistica dei presunti continuatori romanzi parla a favore dell’esistenza della variante *coccja già nel lat.»). La voce è già attestata alla fine del Duecento: tosc.a. coça (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO s.v. coccia §1.1), tosc.sud-or.a.

17 Ms.: ratura. 18 Voce adottata come glossa di chraneo (cf. 4).

I Anatomia 

coccia (ante 1298, Questioni, TLIO); presente solo in Crusca5 (in Crusca1,2,3,4 è invece registrata col significato di ‘piccola enfiatura’). 3. Forma di notevole interesse, non attestata nel corpus OVI (dove crapa compare solo come forma metatetica di ‘capra’). Un’attestazione di crapa ‘cranio’, significativa poiché ci riconduce proprio all’ambiente bergamasco, è registrata da Salvioni (2008e II, 346), nel vocabolario latino-bergamasco (Vocabolarium breve) dell’umanista Gasparino Barzizza (1370–1430); nel bergamasco cinquecentesco, la forma è attestata anche in Tomasoni (1986b, 235). DEI (II, 1146 s.v. crappa): «pietra, roccia [...], anche col senso evoluto di cranio, teschio [...], molto diffuso nella toponomastica; relitto medit., *crappa»; lemma assente in Crusca, DEDI, GDLI. Cf. Tiraboschi (1873 s.v. crapa; forme derivate: crapì ‘testolina’; crapù ‘testone’, ecc.) la connette al gr. κράς. Il GRADIT registra la forma crapa nel senso scherz. di ‘testa’ e quindi di ‘persona testarda’ (cf. anche, negli stessi significati, il termine crapone), ma attestandola solo dal secondo Novecento (1964) e ipotizzando una connessione con l’a.ted. Krappa ‘uncino’. Si noti, infine, come in B crapa sia il traducente non solo di craneum, ma anche della loc. ossa capitis (cf. s.v. caput) e di cerebrum (nella loc. substantia de crappa: cf. s.v. cerebrum 2.). 4. È solo cinquecentesca la prima attestazione registrata da DELIN, 410 e GDLI (s.v. cranio): Garzoni (1585). La voce, in realtà, è già trecentesca: fior.a. craneo (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); di là dalle numerose occorrenze presenti in ChirurgiaFrugardoVolg e in altri due testi medici come Serapiom e MaestroBartolomeo, l’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è l’it.a. craneo (1373/74, BoccaccioEsposizioni; TLIO s.v.). Voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 288), Marcovecchio (1993, 228), Gualdo (1996, 50), D’Anzi (2012a, 300), Elsheikh (2016 II, 136). 5. L’uso antonomastico di osso ‘craneo’ non si registra in DEI, DELIN, ma è segnalato dal GDLI (1552, Ortensio Lando), rispetto al quale è dunque retrodatabile di almeno due secoli.

 535

La polirematica osso della testa potrebbe dipendere già dalla tradizione latina (per il ms. lat. E, ad esempio, Hall 1957, 125 segnala in apparato la forma ossium capitis proprio in sostituzione della lezione rappresentata dal genit. cranei).

cristallinum ‘parte dell’occhio a forma lenticolare situata tra l’iride e il corpo vitreo, avente la funzione di accomodamento della vista’ (195)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange, Forcellini] christallina f.: V («una christallina logada e choagulada, ela se può churare») 45r; cristallina: R 104v; cristalina: B 47r ▲ Voce registrata molto tardi dal DEI (s.v. cristallino: XVIII sec.) e dal DELIN, 416 (1679, D. Bartoli). La prima attestazione è però già primotrecentesca (fior.a. cristallino, ante 1334, Ottimo, TLIO §2.2), e ancora precedente è l’uso di cristallino in qualità di attributo: tosc.or.a. homore cristallino (ante 1298, Questioni, TLIO §1.2). Anche per la forma f., presente nei nostri volgarizzamenti, si registra una testimonianza già nel corso del Trecento, epoca nella quale appare nettamente prevalente quella m.: tosc.a. cristellina (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO s.v. cristallina). Cf. André (1991, 55), Marcovecchio (1993, 238), D’Anzi (2012a, 301: cristallino).

crus

[TLL IV, 1247] α. ‘gamba’ (30 occ.; 13) 1. coscia f.: R («una piaga grande che avea il fondo nel ginocchio e lla bocca nella coscia»)19 13v

19 Ms.: e lla bocca ella della coscia.

536 

 6 Glossario

2. crus f.: B («quando tuti doy insiema se rompeno al è pezore, et alora la crus, zoè la schiena, se convertisse ad ogni parte») 41v 3. gamba f: B («l’arterie de la tempia et de la gamba») 3v, 6v, 8r, 10r, 29r, 37v, 40v, 41v (2), 42r, 44v, 45r (4), 45v (4), 58r, 66r, 71r; ganba (gamba): R 6v, 13v, 21v, 61v, 87v, 90v (4), 97r, 98v, 99r, 99v (3), 100r, 100v, 129v, 147v, 162v; ganba: V 5r, 8r (2), 9v, 11r, 28v (2), 35r, 36v, 40r (6), 40v, 42v, 43r (4), 43v (3), 55v, 63v, 67r 4. schena (schiena) f.: B 41v (cf. supra 2.),20 42r (5) ▲ 1. Cf. s.v. coxa (1.). 2. Il crudo latinismo crus (cf. André 1991, 111; Marcovecchio 1993, 236) non è attestato in OVI e nei dizionari storico-etimologici consultati. Con alcuni valori specifici, il termine è stato adottato dalla terminologia anatomica contemporanea, non solo in italiano: si designano infatti con crus diverse formazioni anatomiche mostranti un prolungamento a mo’ di gamba; cf. OED (§2) per l’uso del termine in ingl.: a) ‘the part between the knee and the ankle, the shank’; b) ‘applied to various parts occurring in pairs or sets and resembling or likened to legs’. Nel testo latino di Bruno, il sost. crus designa anche il ‘perone’: cf. infra (β.). 3. DEI (III, 1757): XIV sec.: «lat. tardo gamba e, nei codici, più spesso, camba [...]; la voce latina si diffuse nelle due forme, sonora g- e sorda c-, in tutta la Romània orientale e centrale e nel catal. (canna) e a.spagn. (cama, campa)». Nocentini (2010, 479: il gr. καμπή «è stato introdotto nel latino come termine della veterinaria e si è affermato nell’ambiente degli allevatori fino ad essere esteso all’anatomia umana», in sostituzione del lat. crus, senza continuatori nelle lingue romanze); DELIN, 633. Prima attestazione: sangim.a. gabba (ante 1253, LetteraGuiduccio, TLIO s.v. gamba); già lat. volg. gamba (sec. X, GlossMonza, TLIO). Cf. Marcovecchio (2013, 383).

20 Voce adottata come glossa di crus («crus, zoè la schiena»: cf. 2.)

4. Termine non attestato dal DEI in tale accezione: si tratta della forma etimologica originaria, di derivazione germanica, dal longob. skëna (cf. DEI V, 3388 s.v. schiena). Non è così sicura la provenienza specificamente longobarda per il DELIN, 1468, che segue Castellani (2000, 74: «il dittongo ie è verosimilmente dovuto all’inserzione di un ’l nella forma primitiva»). Cf. it.sett.a. schena della gamba (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, Altieri Biagi 1970, 121: è l’unica attestazione riportata dal GDLI in questa accezione), che si può confrontare soprattutto con il ted. moderno Schienbein ‘tibia’, oltre che con l’it. schiniere. Si tratta evidentemente di una forma penetrata soltanto in alcuni dialetti settentrionali, in area lombardo-veneta, senza lasciare tracce in altri contesti italo-romanzi. β. ‘osso della gamba corrispondente al perone’ (169) chius m.: V («in la ganba è ii osse, l’uno è grando e l’altro è pizollo, lo grando à nome chius») 40r; crus: R 90v (2), 91r; ~: B 41v ▲ Cf. supra (α., 2.).

cubitus ‘gomito’ (13 occ.; 48) [TLL IV, 1274]

1. chomedo m.: V («sora lo chomedo e su l’omero») 13v, 34v (3), 38r (2), 40v, 41r, 41v (3), 42r, 43v, 59v (2); gomito: R 27r; gobito: R 86v; gombeto (gombetto): B 12r, 40r (4), 42v, 43v (4), 45v, 65v; gonbito (conbito): R 84r, 86v, 87r (2), 92r, 95r (3), 95v, 100v, 145r 2. umero m.: V («El dixe li savij ch’el chomedo, zoè l’umero, se deslusa per iij modi») 41r21 ▲ 1. Di notevole interesse sono le diverse forme presenti in R, che ci testimoniano l’intera trafila dal lat. cubitum alla forma volgare

21 Voce adottata come glossa di chomedo («chomedo, zoè l’umero»: cf. 1.).

I Anatomia 

poi divenuta panitaliana (forse anche attraverso un lat. mediev. gombetus, che però è segnalato soltanto nel 1402 da Marcovecchio 1993, 399): di lato alla forma con caduta della labiale (gomito), comune anche a V, si ha quella intermedia con epentesi della nasale (gonbito, conbito) e contemporanea conservazione della labiale successiva (più propriamente, forse, tali forme si devono a reazioni ipercorrette, che portano all’introduzione, e in tal caso alla restituzione, di un gruppo -mbin luogo di una geminata -mm-, frutto di una precedente assimilazione: cf. Rohlfs 1966– 1969, §236), al pari di quanto accade in B; la forma gombito è ben attestata, all’interno del corpus OVI, in alcuni testi fiorentini. Inoltre, si legge, seppur in una sola occorrenza, la forma semidotta gobito (alcune attestazioni in OVI, ma solo con riferimento all’antica unità di misura: l’attestazione più antica si rintraccia nel roman.a. gobita f. pl. (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Cf. André (1991, 93), Marcovecchio (1993, 238), D’Anzi (2012a, 330), Tomasoni (1986b, 236: forma con dentale sonora gombedo), Elsheikh (2016 II, 171). 2. Il sost. umero è qui adottato, per estensione rispetto al suo senso stretto, per indicare una parte specifica dell’osso del braccio. Cf. s.v. humerus (5.).

cutis ‘tessuto che riveste esternamente il corpo umano’ (47 occ.; 19)

[TLL IV, 1578; cf. → cutis relaxata (s.v. relaxatus)] 1. carne f.: R («nelle piaghe nuove [...] nele quagli è perduta la carne») 40v (2); charne: V 63r 2. chodega f.: V («Se la piaga serà tanto pizola che nì charne nì chodega non sia taiada via») 6v, 7r, 8r, 8v (4), 12r, 16v (2), 18v, 20r (2), 33v, 39v, 53v, 54r, 55v, 59r (2), 59v, 60r, 60v, 62v (2), 63r (3), 64r (2), 67v, 68v; codega: B 3r, 5r, 5v, 6v, 7r (4), 11r, 15r (2), 16v (2), 18v (2), 28r, 34r, 41r,

 537

46r, 56r (3), 58v, 61r (2), 61v, 62r (3), 63r (2), 64r, 64v, 66v, 67r (2), 67v (3), 71r, 71v (2), 72v (2), 73r 3. cotenna (codenna) f.: R («inprima pongano alcuna cosa da rompere infino a tanto che sia scoiato la cotenna») 135v, 137r (3), 138r, 140r, 141v, 142r, 148v, 149r, 150r, 150v, 151r (2), 152r (2), 163r, 165v, 169v, 170r (2) 4. cuoio22 m.: R («cuci lo cuoio di sopra con uno ago sottile») 11v, 14v (4), 135v, 149v 5. cute m.: R («tutte quante le posteme che vanno nel cute sono sença largheçça») 125v 6. pelle f.: R («poscia la pelle ch’è infra’nbedune le fenditure sia scoiata») 139v; ~: V 58r, 61v, 62v ▲ 1. e 6. È qui di particolare interesse la spiccata tendenza alla sinonimia presente in R, che ricorre a ben cinque traducenti diversi per restituire il lat. cutis: tra questi, carne e pelle, per quanto isolati rispetto alle altre voci, si ritrovano anche in V. 2. DEI (II, 1137) e DELIN, 408: XIV sec., dal lat. tardo cutica ‘buccia di un frutto’. Il primo significato registrato dal TLIO (s.v. cotica §1) è quello specifico di ‘parte superiore della pelle della testa, cuoio capelluto’, che si ha anche per cotenna (cf. infra 3.): nel caso di cotica, però, tale valore circoscritto è ben attestato sin dalla fine del Duecento (roman.a., StorieTroiaRomaVolg [ms. A]), e mostra una netta precedenza rispetto a quello generico di ‘pelle umana’ (tosc.a. cotica, XIV-XV sec., BibbiaVolg, TLIO §2). GDLI (§2): voce connotata come ‘per lo più scherz.’, in maniera simile a cotenna; non mancano affatto, tuttavia, usi anche posteriori in testi altamente tecnici (cf. Dalla Croce 1583, I, 71: «quelli mostruosi tumori, che nascono nella gola, fra la cotica e l’aspera arteria»). Voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 287), Nystedt (1988, 212), Tomasoni (1986b, 235).

22 A c. 10r sarà da correggere in cuoio la scrittura cuore in corrispondenza del lat. cutis. In 36v e 37r (probabilmente anche a c. 102r) troviamo guardia.

538 

 6 Glossario

3. Dal lat. *cutinna (DEI II, 1137; DELIN, 408). Prima attestazione: grosset.a. cotenna (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, TLIO s.v. cotenna §1). In particolare, con riferimento alla pelle umana, il termine cotenna sarà anche usato per designare, in modo più specifico, il ‘cuoio capelluto’ (DEI II, 1137; GRADIT; TLIO). Il GDLI (§2) la denota come voce ‘spreg. e scherz.’: ciò vale solo in parte, come si vede dai nostri mss., per i primi secoli della lingua italiana (cf. infra, 2. e 4. per le situazioni analoghe dei termini cotica e cuoio); voce registrata già da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 227: «vocabolo del linguaggio med[ico] colloquiale per designare in patologia un ispessimento duro e coriaceo di una struttura anatomica»), D’Anzi (2012a, 300), Elsheikh (2016 II, 135, nell’accezione di ‘cuoio capelluto’), Zarra (2018, 574). 4. Dal lat. cŏrium (cf. DEI II, 1191; DELIN, 424). Al pari di cotica e cotenna, anche cuoio è riferito già dal primo Trecento alla ‘pelle’ dell’uomo: la prima attestazione ricavabile dal TLIO è il sen.a. cuoio (fine sec. XIII, Angiolieri), il che potrebbe lasciar presupporre una penetrazione nella lingua comune attraverso uno stadio iniziale connotato in direzione comica (cf. i versi dell’Angiolieri: «ch’egli ha su’ cuoio sì ’nferigno e duro,/che chi per torre al ciel volesse gire,/in lui fondar si converrebbe il muro»); tanto più che appaiono ancora precedenti le prime testimonianze del termine con riferimento alla pelle animale (1282, RestArezzo, TLIO). GDLI (§3): anche cuoio, al pari di cotenna viene connotato come ‘spreg. scherz.’ in riferimento alla pelle umana (voce ancora adottata, nel verso, da D’Annunzio). Voce presente da Crusca1. 5. La prima attestazione indicata dal TLIO è il pad.a. cute (sm. sec. XIV, RimeFrVannozzo): quella presente in R potrebbe costituire, dunque, una testimonianza anteriore. Voce presente da Crusca3. Cf. André (1991, 199), Marcovecchio (1993, 243), Aprile (2001a, 303), Mazzeo (2011, 265), D’Anzi (2012a, 302). 6. DEI (IV, 2826): dal lat. pellis, panromanzo. Prima attestazione: mil.a. pelle (1270–80, BonvesinVolgari, OVI).

diafragma ‘diaframma, muscolo che separa la cavità toracica da quella addominale’ (6 occ.; 5) [diaphragma TLL V 1, 953]

1. diaflamma (diafiamma) f.: R («lla diaflamma e gli pannicoli») 3r, 25r; diaflama m.: V 3r, 10r, 12v, 13r, 38v; flamate f.: R 25v; diaframma m.: R 25r, 86r; dyafragma: B 11v 2. panno del core: B23 («avegnadio che in lo dyafragma, zoè in lo panno del core, o in li paniculi fiza dita ruptura») 2r. ▲ 1. Dal gr. διάϕραγμα; DEI (II, 1277): da confrontare col fr. diaphragme (ante 1314). Prime attestazioni: fior.a. diafremate (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. diaframma); it. sett.a. diafragma (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO). Falsa l’attestazione in Bencivenni riportata da Crusca3,4,5, TB, GDLI (§3). Per le forme di B (diaflamma e conseguente esito diafiamma) e di V (diaflama), è possibile ipotizzare un certo influsso paretimologico nel passaggio a -fl- del gruppo originario -fr-, con accostamento del secondo componente -fragma a fiamma: cf. anche tosc.a. diaflamma (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI) e la stessa forma aferetica flamate di R, che non si registra altrove (ma si veda la forma piena diaflagmate: sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). La voce è registrata a partire da Crusca3 (s.v. diaflagma, diaflagmate, e nella definizione, ‘dicesi anche diaframma’). Cf. Altieri Biagi (1970, 73), André (1991, 139), García Gonzáles (2007, 430 s.v. fren), D’Anzi (2012a, 306), Elsheikh (2016 II, 142). 2. Non si sono rintracciate altre testimonianze della loc. presente in B, ma il diaframma era, tra gli organi interni, quello maggiormente accostato alla natura di un panno: non a caso,

23 Cf. le glosse più generiche panno e panniculo de dentro (quest’ultima ricorrente quattro volte): «l’osso ponze lo dyafragma, zoè quello panno» (c. 40r); «in li piagi de lo pulmone, overo de lo dyafragma, zoè de quello panniculo de dentro» (cc. 9r, 11v bis).

I Anatomia 

il DEI (IV, 2749) registra il dimin. pannicolo col preciso valore di ‘diaframma’, al pari del GDLI (§2: CrescenziVolg); allo stesso modo già in Crusca1 (s.v. pannicolo ‘diaflammate’). A tal riguardo, cf. s.v. panniculus.

didimus ‘testicolo’; più spec. ‘epididimo’ (8 occ.; 281)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] didamo m.: R («cuscie il didamo apresso all’anguinagla») 148r (2), 150r; didimo: R 148r (2); ~: V 62v, 63r (2), 64r (3); ~: B 65v (3),24 66v (3), 67r; dindimo: B 66v ▲ Il lat. tardo didymus ‘gemello’ viene dal gr. δίδυμος ‘doppio, gemello’: voce non attestata in tale accezione nel DEI (II, 1292 s.v. didimo); presente in GDLI, ma registrata solo dal Cinquecento (1585, T. Garzoni); LEI (XX, 331); assente in Crusca. Prima attestazione: tosc.a. didimo (sec. XIV, MaestroBartolomeo, TLIO s.v. didimo §1). Nel TLIO (s.v. didimo §2) si testimonia anche l’it.sett.a. dindimo, con epentesi della nasale (al pari di quanto si osserva in B), ma col significato di ‘funicolo spermatico’ (GuglielmoPiacenzaVolgA). La forma didamo, non attestata in OVI, e di cui non si sono rintracciate testimonianze seriori, sarà l’esito del passaggio di e/i > a, fenomeno non insolito, nei dialetti toscani, per le vocali mediane di nomi proparossitoni (cf. Rohlfs 1966–1969, §139). Cf. Altieri Biagi (1967, 14; 1970, 74), André (1991, 178), D’Anzi (2012a, 306).

digitus ‘dito’ ♦ Loc. e collocazioni: – digitus index ‘secondo dito della mano’ (6 occ.; 155) [index TLL VII 1, 1143]

24 In una delle tre occorrenze di c. 65v accompagnato dalla glossa seguente: «zoè la pelle che sostene li testiculi».

 539

dito secondo m.: B («Et alora pone dentro lo dito secondo de la mane dextra») 38v (2), 58v, 64r, 69v ▲ Cf. fior.a. secondo dito (1373, LeggendeSacreMagliabech, OVI); fior.a. ~ (sm. sec. XIV, LeggendaAurea, OVI). – digitus minor ‘mignolo’ (126)/digitus parvus (165) [digitus TLL V 1, 1127] 1. dedo menemelo m.: V («tochandola chon lo dedo menemelo») 31r; dito minore: R 68r; ~: B 31v 2. dito piccolino m.: R («sotto el dito piccolino dalla parte di sotto») 88r; dito pizeno: B 40v ▲ 1. Prime attestazioni: lomb.a. ded menore (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, TLIO s.v. dito §1.1.4); venez.a. dedho menem’ (1313/15, PaolinoMinorita, dito §1.1.4): identica forma si legge in Altieri Biagi (1970, 72). Per il berg.a., Tomasoni (1986b, 235) attesta la forma dito marmello. Cf. André (1991, 103), Aprile (2001a, 318). 2. Prime attestazioni: mess.a. digitu piczulu (1315ca., LibruSGregoriu, TLIO s.v. dito §1.1.4); fior.a. picholo dito (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. dito §1.1.4).

dorsum ‘parte posteriore del torace’ (16 occ.; 31)

[TLL V 1, 2037; cf. → spondilium dorsi (s.v. spondilium)] 1. chorpo m.: V («sì ch’el chorpo faca pleto») 9r 2. dorso m.: R («sia el suo dormire sopra il dorso») 84v, 129v; ~: B 8r, 43r, 64r;25 dosso: R 16v, 17r, 18v, 87v, 93v, 132r, 141r, 141v, 142r,

25 Alle cc. 8r e 43r, la voce è accompagnata dalla glossa: «zoè lo spinale» (cf. 4.). A c. 39v si legge invece la glossa con avverbio «zoè indrieto» («lo suo dormire sia sopra lo suo dosso, zoè indrieto»).

540 

 6 Glossario

143r, 145r, 146r (2); ~ (doso): V 9v, 10r, 56v, 62r; dosso: B 7v, 8v, 58r, 64r (2), 64v (3), 65v (5)26 3. osso m.: V («dorma lo infermo sora l’osso») 35r, 39v 4. spinale m.: B («lo infirmo dorma sopra lo suo spinale») 7v, 8r, 8v, 40v, 41r, 43r, 58r, 59r, 64r, 64v, 65v ▲ 1. e 3. Forme piuttosto isolate anche in V (in particolare chorpo, che presenta una singola attestazione come traducente di dorsum). Per osso, cf. la locuzione del fior.a. osso della sua schiena (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI). 2. Prime attestazioni, rispettivamente per le due forme volgari dosso (< *dŏssum) e dorso ( ver.a. glotò: fine sec. XIII, LeggendaSMargherita; venez.a. glotir: 1313–15, PaolinoMinorita, OVI), della quale glotidor rappresenta il relativo sost.: ‘esofago, luogo attraverso il quale si ingerisce il cibo’; la stessa forma glotidor si può leggere, per il friul. del Seicento, nei versi del Di Colloredo (Pellegrini 1994, 21). Nel suffisso agentivo -tor(e), la dentale intervocalica subisce sonorizzazione e successivo dileguo in glotior(e) (cf. Rohlfs 1966–1969, §201). Cf. FEW (4, 172); von Ettmyer (1902, 600). 3. DEI (III, 1850): «forma abbreviata di ‘gorgozza’». Prima di indicare l’ ‘aumento di volume della ghiandola tiroide’ (anche in tal senso voce già trecentesca), come accade ancora nella

medicina contemporanea, il termine gozzo designava la zona della gola (detto di persone o animali): proprio in tale accezione se ne trovano diverse occorrenze in OVI (prima attestazione: fior.a. gozzo: sm. sec. XIII, RustFilippi), molte delle quali fiorentine (anche in Dante, Inf. IX, con riferimento alla gola di Cerbero: prima attestazione, questa, riportata dal GDLI s.v. gozzo §2). Cf. Boerio (1856 s.v. gosso), Gleßgen (1996, 531), Elsheikh (2016 II, 172 s.v. gorgozule e goço), Zarra (2018, 577 s.v. gosso).

humerus ‘spalla, parte superiore del braccio; osso lungo esteso dalla spalla al gomito’ (20 occ.; 46) [Du Cange IV, 262c]

1. chomedo m.: V («Zà vene uno homo da mi che avea una nata in lo chomedo») 59v 2. coppa f.: B («E una volta venne a mi uno homo che aviva la nata in la sua spalla, overo coppa») 62v30 3. dosso m.: B («Contra lo dolore de lo dosso e de li spali fiza lo cauterio per tri unci sotto lo dosso de sotto») 72v (3) 4. spala (spalla) f.: B («e spesso serà lo fiato cum grande dolore e suspirij e commovimento de l’una spala e de l’altra») 11v, 12r, 39r (2), 40r (2), 42v (2), 43r (3), 43v (3), 44r, 62v; spala: V 41r31 5. omero (homero) m.: R («con dolore et con guai et nel commuovere di ciascuno omero sospirando») 25v, 27r, 84r (2), 86v, 87r, 93r (3), 94r, 94v, 95r, 95v (2), 138v (2), 169v (3); umero: V 13v, 34v, 38r (2), 41r (2), 41v (4), 42r (2), 68v (3); ▲ 1. Cf. s.v. cubitum (1.). Qui, come per i punti 2. e 3., l’indicazione precisa dell’osso dell’omero (o quantomeno della zona della spalla), è sostituita da una voce comune e più generica, indicante una zona confinante a quella dell’omero.

30 Voce adottata come glossa di spalla (cf. 4.) 31 Voce adottata come glossa di umero (cf. 5.).

I Anatomia 

2. Cf. s.v. cervix (1.). In B coppa è usato normalmente come traducente del lat. cervix. In quest’unica occorrenza la voce è adottata in corrispondenza del lat. humerus, ma come glossa di spalla (cf. Dante, Inf. XXV, 22 per un accostamento delle due voci: «sovra le spalle, dietro da la coppa»), per la quale cf. infra 4. 3. Cf. s.v. dorsum (2.). Anche qui, come per coppa (2.), il volgarizzatore ricorre a una voce piuttosto generica, relativa a una zona contermine, evitando così l’adozione del latinismo omero, che non è mai accolto in B. 4. e 5. L’adozione di spalla per indicare l’omero, molto più che per le voci viste ai punti 1., 2., 3., risente dell’uso del lat. tardo humerus, il quale, se in senso stretto indicava l’osso dell’omero come oggi è inteso (cf. Forcellini II, 686 §1, che lo attesta per la prima volta in Celso), in senso lato si riferiva piuttosto alla parte superiore del braccio o, con un significato generico ma ancor più frequente, alla zona superiore del corpo da cui l’omero si diparte, dunque la spalla (cf. Forcellini II, 687 §2 e 3). Già in lat. tardo, perciò, humerus indicava perlopiù la ‘spalla’, fatto che vale probabilmente anche per il testo latino di Bruno,32 dove pure non è sempre immediata una distinzione tra i due significati: ciò non solo motiva l’adozione ricorrente, visibile in B e V, di ┌spalla┐ quale traducente di humerus, ma lascia intendere come anche la voce dotta ┌omero┐, normalmente adottata in R e V, indichi piuttosto la ‘spalla’ che non l’ ‘osso dell’omero’. Anche le attestazioni ricavabili dal corpus OVI confermano l’originario e più comune significato volgare di ‘spalla’ (prima attestazione: sen.a. omero, 1309–10, Costituto, OVI). Non a caso, la voce omero è registrata in Crusca1,2,3,4 esclusivamente col valore di ‘spalla’ (cf. GDLI s.v. omero §2 ‘spalla; parte alta della schiena’). In età medievale, solo in alcuni testi medici si

32 Se si eccettua il passo di Hall (1957, 313), in cui humerus e spatula indicano evidentemente due distinte realtà anatomiche «Contra dolorem humerorum et spatularum».

 547

osserva una distinzione tra omero ‘osso dell’omero’ e spalla; si veda, ad esempio, il seguente passo in ChirurgiaFrugardoVolg, OVI: «Se ll’omero si disgiungne dala spatula, così soliamo sovenire». Cf. Altieri Biagi (1970, 132), André (1991, 83), Marcovecchio (1993, 430), Elsheikh (2016 II, 178 e 231 s.v. homero e omero).

ieiunum ‘digiuno, secondo tratto dell’intestino tenue, compreso tra il duodeno e l’intestino crasso’ (34) [TLL VII 1, 252]

dezuno m.: V («quello budello à nome dezuno») 10r; gegiunio: R 17v; ieiunio: B 8r ▲ Il termine ieiunum è un calco dell’ar. aṣ‒ ṣā’im (Elsheikh 2016 II, 180 s.v. yeiunum); DEI (II, 1300); DELIN, 463. Prima attestazione: fior.a. jeiuno (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg, TLIO s.v. digiuno3). La forma dezuno è anche in GuglielmoPiacenzaVolgA (Altieri Biagi 1970, 73) e Nystedt (1988, 221). Solo cinquecentesca la prima attestazione ricavabile dal GDLI (1587, F. Baldelli). Cf. Altieri Biagi (1967, 14), Marcovecchio (1993, 445), Aprile (2001a, 309), García Gonzáles (2007, 465 s.v. lien), D’Anzi (2012a, 327).

inguen ‘regione del corpo corrispondente al punto in cui termina l’addome e iniziano le cosce’ (21 occ.; 39) [TLL VII 1, 1580]

1. anguina f.: V («lo pe’ deslusado streta, e aviene la anguina») 43r, 59r, 60v, 64r; angui­ naia: R33 99r (6); anguinagla (anguignalla; anguignagli m. pl.): R 142r (2), 145r, 148r (2);

33 In diversi casi (cf. cc. 132v, 137v e passim) si trova l’errore gengie (‘gengive’: cf. s.v. gingiva) in corrispondenza del lat. inguines.

548 

 6 Glossario

anguinai[a]: V 55v,34 56r; anguini[a]: V 52v, 56v; enguin[a] (inguini[a]): V 52v, 56v; ingui­ naia: V 43r (5), 61r (2), 61v; inguine m.: B 10r, 45r, 54v (2), 58r, 59r, 59v, 59v, 62r, 63v, 64r, 64v 2. pectinaculo m.: B («non è possibile che lo infirmo duplichi lo suo pede verso lo pectinaculo») 45r (6), 54v, 58r, 59v, 62r, 63v, 64r (2), 66v35

è normalmente il traducente del lat. pecten ‘pube’, ed è qui esteso semanticamente per indicare la regione inguinale.

▲ 1. La forma ┌anguinaia┐ (dal lat. inguinālia, neutro pl. dell’agg. inguinālis: DEI I, 206; cf. REW §4433), presente in R e V, «potrebbe derivare da un incontro di inguen ‘enfiagione, tumore’, con anguen [...] forma secondaria di anguis ‘serpente’, che prende l’accezione di ‘antrace’» (DEI I, 206). La distribuzione geografica di ┌anguinaia┐ appare piuttosto ampia, trattandosi di una forma testimoniata in area sett. come in area merid. e siciliana, oltre che in Toscana (cf. OVI). Prima attestazione: fior.a. anguinaia (ante 1313, OvidioVolgArteAm [ms. B], OVI). Cf. GDLI (s.v. anguinaia); voce presente già in Crusca1, mentre inguine è registrato solo da Crusca3. La forma non anafonetica ┌ enguina┐, presente in V, si registra anche nel fior.a. enguina di ChirurgiaFrugardoVolg, OVI e nel pad.a. enguinaie (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); cf. Aprile (2001a, 369). La forma inguinaia, che si registra in V, è attestata, sempre in area veneta, nel pad.a. (Serapiom, OVI). Scarse sono invece le attestazioni della forma inguine, costantemente adottata da B, ma presente con sole due testimonianze (fior.a.: pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; tosc.a.: XIV–XV sec., BibbiaVolg; GDLI). Cf. Ineichen (1966, 290), Altieri Biagi (1970, 46), Tomasoni (1986b, 236), André (1991, 161), Marcovecchio (1993, 463), Gualdo (1996, 52), Sboarina (2000, 198), Aprile (2001a, 369), Barbato (2001a, 315), García Gonzáles (2007, 535 s.v. scropha), Castrignanò (2014, 187), Elsheikh (2016 II, 87). 2. Cf. s.v. pecten (2.). Il termine pectinaculo presente in B, dove esso si alterna con inguine,

[TLL VII 1, 1581]

34 Accompagnato dalla glossa: «zoè le chosse». 35 In nove dei tre passi indicati, pectinaculo è glossa di inguine (cf. 1.).

inguinalis ‘relativo all’inguine’ (3 occ.; 275) 1. anguignale agg.: R («se lla anguignale non sana co’ modi delle medicine [...], allora è a ricorrere alla cerogia») 145r36 2. che vene in li pectinaculi: B («De la cura de la rotura che vene in li pectinaculi») 64v; de li inguini: B 65r;37 delle inguinaie: V 61v ▲ 1. Al cospetto delle diverse forme (con a oppure e/i iniziali) di sost. derivate dal lat. inguen (cf. s.v. inguen 1.), non si rintracciano in OVI attestazioni dell’attributo relativo ┌ inguinale┐, la cui diffusione sembra consolidarsi solo nei secoli successivi. La prima attestazione è registrata dal GDLI nel Settecento (Vallisneri), ma è sicuramente retrodatabile di oltre un secolo (hernia inguinale si legge già in Falloppio 1603, 264r); voce presente solo in Crusca5. Cf. Sboarina (2000, 202: inguinale). 2. Cf. s.v. inguen (1.) per ┌inguine┐; s.v. pecten (2.) per ┌pectinaculo┐.

interiora corporis ‘insieme degli intestini e degli organi contenuti nella cavità toracica e addominale’ (6 occ.; 7) [TLL VII 1, 2214]

1. cose dentro f. pl.: R («quando vengono le ferite nelle parti del petto [...] et sono presso

36 Lat.: si ruptura inguinalis non sanatur cum modis medicinarum. 37 Con l’accompagnamento della glossa: «zoè pectinaculi».

I Anatomia 

alle cose dentro») 18v; parte de dentro: V 10r38 2. dentro al corpo (entro allo corpo 16r): R («della cura di tutte l’altre piaghe che passa dentro al corpo») 3v, 10r; dentro lo chorpo: V 6v, 9r; entro dal chorpo: V 3v 3. interiori del corpo m. pl.: B («lo rezimento de li altri piagi che passeno a li interiori del corpo») 2v, 5r, 7v ▲ 1., 2. Sia R sia V non ricorrono mai alla voce di derivazione latina ┌interiori (del corpo)┐: in entrambi, la strategia di traduzione più adottata consiste nell’adozione di perifrasi, costruite da sost. + avv. dentro (1.) o in forma avverbiale, senza l’adozione di un sost. corrispondente al lat. interiora (2.). Cf., in contesto medico, fior.a. dentro dal corpo (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). 3. Prima attestazione: venez.a. entiriori (1250ca., Panfilo, TLIO s.v. interiore §2). Per la loc. interiori del corpo presente in B, si vedano, tra le più antiche attestazioni rintracciabili in OVI, fior.a. interiora dentro al corpo (1310, BencivenniSantà), bol.a. interiora del corpo (1324–28, JacLana). In DEI (III, 2064) e Crusca1,2,3,4 la voce è registrata soltanto con riferimento ai ‘visceri degli animali’. Cf. GDLI (s.v. interiora §2), Ineichen (1966, 290), Nystedt (1988, 237), Marcovecchio (1993, 473), Sboarina (2000, 203), Aprile (2001a, 372), Elsheikh (2016 II, 151).

intestinum/intestina sg. e pl. ‘tratto del tubo digerente compreso tra lo stomaco e l’apertura anale’ (47 occ.; 7) [intestinus TLL VII 2, 7]

1. budella f. pl.: R («io dirò a rrimettere le budella») 16r (3), 17r, 17v (2), 61r, 133r, 142r, 162r; budello (m. pl. budelli): B 2v (2), 7v (7), 8r (4), 8v (3), 11v (2), 28v, 59v, 63r (3), 63v (2),

38 Con l’accompagnamento della glossa: «zoè parte da driedo».

 549

64r (4), 64v (2), 65v (3), 66r (6), 66v (2), 70v; ~ (budelo; f. pl.: budelle, budela): V 3v (2), 9r (9), 9v (4), 10r (4), 13r (2), 28v, 57r, 60v (2), 61r (3), 61v (3), 63v (7) 2. interiore m.: B («etiamdeo perch’el è proximo a lo fidego più cha altro interiore») 8v (4)39 3. intestine (antistine f. pl.; intestina; ’ntestine) f. pl.: R («Alcuno la ferita ne le intestine verrà») 17v, 18r (6), 142r, 145v, 146r, 146v (2),40 147r, 147v, 148r (2); intestini m. pl.: V 60v; intestino m.: R 26r, 141r, 148r; stetine f. pl.: R 140r, 145v; testine: R 26r, 140r (2), 141r; testin: V 61r; testidine f. pl.: V 60v 4. mazzo m. (mazzi m. pl.): R («delle piaghe che si fa nello mazzo») 3v (2)41 ▲ 1. DEI (I, 626): «lat. botellus (dimin. di botulus ‘salsiccia’), d’area it. sett. e romanza occid.»; DELIN, 257. Prima attestazione: venez.a. budele (1250 ca., Panfilo, TLIO §1; LEI VI, 1267). Cf. Ineichen (1966, 286), Tomasoni (1986b, 234), André (1991, 142), Marcovecchio (1993, 131), Gualdo (1996, 46), Barbato (2001a, 332), Tomasin (2010, 46), D’Anzi (2012a, 280), Castrignanò (2014, 165), Elsheikh (2016 II, 105). 2. Cf. s.v. interiora corporis (3.). 3. DEI (III, 2068): il lat. intestīnum è «traduzione del gr. énteron o calco del gr. éntosthe all’interno, entósthia intestini». Prima attestazione: fior.a. ’ntestine (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. intestino2). La voce intestini è registrata già in Crusca1, con ulteriore rimando, però, al lemma interiori (il lemma sg.m. intestino, invece, è introdotto solo in Crusca3). Non si sono rintracciate attestazioni delle varie forme aferetiche presenti in R e V, testine, testin, per le quali andrà presupposta una fase intermedia ’ntestine (davanti all’articolo) e successiva caduta dell’intera sillaba (forse

39 Accompagnato in un caso dalla glossa «zoè budelli». 40 Ms.: intestetine. 41 Le forme marcia (pl. marce) di c. 16r sembrerebbero degli errori per mazzo.

550 

 6 Glossario

anche per influsso paretimologico di testa). Va peraltro ricordato che, nel breve glossario apposto da uno dei copisti di R in fondo al testo della Chirurgia, si può leggere la glossa testinis, cioè budella, dove il dat./abl. testinis testimonia la presenza di una forma aferetica già in un possibile antigrafo latino (anche se verosimilmente non legato in maniera diretta al testo latino della Chirurgia). Di notevole interesse è poi la forma metatetica stetine: cf. Rohlfs (1966–1969, §325), il quale attesta una forma napoletana stentina ‘intestina’ (si veda anche Ledgewey 2009, 148). Più in generale, si tratta di una forma diffusa in diversi dialetti meridionali, ma anche in Toscana (cf. Aprile 2001, 373; Barbato 2001a, 415; Zarra 2018, 587); DEDI, s.v. stentina (che riporta attestazioni anche dal luc., calabr., pugl., molis. e sardo): «Dal latino stentina, forma attestata dalle glosse, per intestina, diffusa anche in area iberoromanza, con metatesi dovuta all’influsso del greco éntera di analogo significato sul quale s’è formato un latino parlato *extenterāre ‘sbudellare’». La forma m. pl. stentini si può leggere in due testi siciliani del Trecento: mess.a. ~ (1321/37, ValMaximuVolg, OVI) e sic.a. ~ (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg, OVI: qui in un contesto di code-mixing latino-volgare che parrebbe confermare la vitalità di una forma metatetica già nel lat. volgare: «Cura ad exitu di stentini. Et cura efficacior de fundamento»); per la stessa forma in cal. antico e moderno, cf. Falcone (1986, 146) e De Rose (2012). Cf. GDLI (s.v. stentina e stentino, con attestazioni più tarde); Ineichen (1966, 290), Nystedt (1988, 237), André (1991, 142), Marcovecchio (1993, 474), Gualdo (1996, 52), Aprile (2001a, 373), Barbato (2001a, 415), García Gonzáles (2007, 479 s.v. meson), Mazzeo (2011, 267), D’Anzi (2012a, 327), Elsheikh (2016 II, 151). 4. Da un lat. tardo matĭa ‘interiora’ (cf. Du Cange V, 305c), a sua volta dal gr. ματτύη ‘leccornia’ per il DEI (III, 2396); cf. DEDI (s.v. mazza, le cui rispettive forme vengono attestate anche nel laz., molis., abr., sardo campid., logud.). Ma per Nocentini (2010, 687) il sost. mazzo è un der. di mazza, a sua volta

dal lat. *mattia(m) ‘bastone’ (per l’espressione farsi il mazzo, «il contesto in cui è avvenuto il traslato potrebbe essere il gesto che accompagna le loc. come farsi un mazzo così e che consiste nel congiungere indici e pollici a formare un cerchio, con allusione simbolica evidente, lo stesso gesto che si fa per indicare le dimensioni di un mazzo»). Si tratta senz’altro della forma più interessante delle quattro adottate nei nostri mss. per tradurre il lat. intestinum: non solo, infatti, non se ne rintracciano attestazioni tre-quattrocentesche, ma, soprattutto, la voce mazzo ‘intestino’ sembrerebbe essere voce marcatamente meridionale, e in particolare del nap. (cf. D’Ambra 1873 s.v. intestino retto), tanto più nella variante maschile. Il GDLI non registra il f. mazza in tale accezione; il m. mazzo3 (sempre interpretato come proveniente dal lat. matĭa ‘intestini’), invece, è presente nel senso di ‘deretano’ (si rimanda soprattutto alle loc. farsi il mazzo e fare il mazzo a qualcuno), con un’unica attestazione tratta dal Dizionario del Panzini, dove è considerata voce napoletana. ♦ Loc. e collocazioni: – intestina gracilia ‘intestino tenue’ (2 occ.; 35) 1. budelli magri m. pl.: B («se la piaga serà grande e larga e maximamente in uno de li budelli magri, alora el non g’è ingeminatione né subtiliatione») 8v 2. intestini gentili m. pl.: R («se la ferita fosse grande et ampia et maggiormente in uno degli intestini gentili») 18v, 25r 3. budelli setili m. pl.: B («lo core, o li reni, o lo dyafragma o alcuno de li budelli magri») 11v;42 budeli sotilli (budelli sotilli): V 10r, 12v ▲ Nessuno dei tre mss. testimonia la conservazione dell’agg. gracile (con riferimento agli intestini), che è attestato, per es., in Altieri Biagi (1967, 14; 1970, 85), così come in D’Anzi (2012a, 337). 42 setili glossa sinonimica per magri.

I Anatomia 

1. Loc. di cui non si rinvengono attestazioni in OVI (non registrata nel LEI s.v. botellus). Cf., in epoca molto più tarda, intestini magri (Saraceni 1715, 409: «si viene in chiaro che la ferita degl’intestini magri sia più pericolosa di quella de’ grassi, perch’e’ son men carnosi, e men densi»). 2. Non si rinvengono testimonianze analoghe nel corpus OVI, ma la loc. ┌budello gentile┐ è registrata dal LEI (VI, 1256) in molti dialetti settentrionali (prima attestazione: 1460ca., M. Savonarola, Gualdo 1996, 46), oltre che nel march.; essa è però registrata, assieme alla loc. sinonimica ┌budello culare┐, col senso di ‘intestino retto’ (si veda, ad es., la definizione offerta da Banfi 1870, 100 per il lemma milanese buell: ‘il retto, intestino retto, budello gentile, budel culare’). Si nota, nel complesso, una certa assenza di univocità semantica già nei testi dei trattatisti medievali: cf. Penso (2002, 127: «Gl’intestini che dal duodeno raggiungono il cieco, vengono indicati dagli Anatomici medioevali con nomi diversi. Nel loro insieme Cofone li chiama intestina gracilia o lateralia; Alberto Magno intestina longa et gracilia»). La loc., poi, è ben attestata, all’interno di dizionari e trattati sei-settecenteschi, come termine culinario (Frugoli 1631, 61: «Trippe, budello gentile, e sangue di vitella, e loro cucina»); nell’it. di oggi, peraltro, con budello gentile o culare s’intende anche l’involucro, ricavato dagli intestini dell’animale, usato per rivestire i salumi.43 3. Cf. infra (s.v. intestina subtilia). – intestina grossa ‘intestino crasso; in partic. il colon’ (33) budelle grosse f. pl.: V («se la piaga fose fata in le budelle grosse») 9v; budelli grossi m. pl.: B 8r; (intestine) grosse f. pl.: R 17v

43 Cf. la seguente pagina web https://www. lorenzorizzieri.it/2018/03/02/budello-saluminaturale-sintetico/: «Budello gentile (o culare) viene impiegato per insaccare salami da stagionare».

 551

♦ L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI (con riferimento, però, alle interiora del maiale) è l’assis.a. budella grosse (d’uno puorco) (1354–62, ContiFraternitaSStefano). Cf. LEI (VI, 1257) per forme analoghe (prima attestazione registrata: budellu grossu, 1519, ScobarLeone). – intestina minuta ‘intestino tenue; ileo’ (45) budelle sotille menude f. pl.: V («lo polmone, e le budelle sotille menude») 12v; budelli minuti m. pl.: B 11v; intestine minute f. pl.: R 25r ▲ Della loc. ┌budelli minuti┐ non si rinvengono attestazioni in OVI. Cf., in epoca molto più tarda, intestini minuti (Pivati 1747 VI, 869: «Siccome le parti esterne erano simili a quelle degli altri fanciulli dalla testa fino alla parte bassa del ventre, così lo eran pure le parti interne; il fegato, la milza, il pancreas, lo stomaco ed il canale degl’intestini minuti»). – intestina subtilia ‘intestino tenue; ileo’ (33) budelle sotille f. pl.: V («s’el vignise piaga in le budelle sotille») 10r; budelli setilli m. pl.: B 8r; (intestine) sottili f. pl.: R 17v ▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI. Cf. budelo sotil (1474, GuglielmoPiacenzaVolgB; LEI VI, 1257: unica attestazione riportata). Cf. Altieri Biagi (1970, 57).

introitum ‘entrata, orifizio’ (270)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange, Forcellini] introito m.: B («alcuna volta apresso lo introito se ode la gurgulatione de lo budello») 63v ▲ DELIN, 808: «nel senso generico di ‘entrata’ era in uso fin dal sec. XIV». Si tratta probabilmente di un latinismo del tutto occasionale (almeno in epoca antica), assente in tale accezione anatomica anche in TLIO

552 

 6 Glossario

e GDLI; tuttavia, non mancano delle riprese nel lessico medico moderno e contemporaneo (cf., ad es., una polirematica come introito vaginale).

iunctura ‘articolazione’ (27 occ.; 9) [TLL VII 2, 77]

1. chiavatura f.: R («se ttu conosci che lla chiavatura, overo giuntura, essere fermata nel luogo suo») 96r44 2. coniuntur[a] f.: R («alcuna volta la postema s’aparechia nelle coniucture») 75r 3. giuntura (giontur[a]) f.: R («della dislocatione delle gionture») 4v, 10r, 27r, 61r, 81r, 91r, 92r (4), 93v, 95v, 96r (2), 96v (4), 99v (2), 128v, 129r, 132r, 173v; zontura: V 4r, 13v, 28v, 37r, 40v (3), 41r, 42r (6), 43r, 47r, 55v, 56v, 68r, 68v, 69v; ~ (zonctur[a]): B 2v, 12r, 42v (4), 43r, 43v, 44r (6), 45r, 45v, 57v (2), 58r, 59r, 73r, 73v; iunctura: B 5r, 28v, 35r, 38r ▲ 1. Voce non registrata nei maggiori dizionari storici in questa accezione, e non rintracciata altrove. 2. Nella presente accezione (non segnalata dal TLIO), è voce attestata nel GDLI (s.v. congiuntura §2), con prima attestazione in un Trattato di Astrologia trecentesco, riportato da Crusca1 («testo a penna») e contenuto in un codice non rintracciabile, appartenuto a Giovanni Battista Strozzi.45 Che il termine presenti una certa vitalità già nel lessico medico trecentesco ci è dimostrato dalle due testimonianze

44 Con l’accompagnamento della glossa: «overo giuntura». 45 Cf. la nota storica presente nella versione in rete delle edizioni del Vocabolario della Crusca: «Si può ipotizzare che il Trattato di astrologia derivi da una compilazione astronomica di Alfonso X re di Castiglia tradotta dallo spagnolo nel 1352 da Cione di Guerruccio Federighi» (http://www.lessicografia.it/refview. jsp?key=2163).

di area toscana ricavabili dal corpus ReMediA (fior.a. congiuntura: pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; tosc.a. ~: sec. XIV, MaestroBartolomeo) e dalle ulteriori testimonianze, anch’esse toscane, presenti in OVI (fior.a. ~: 1341ca., LibriAlfonso; pm. sec. XIV, CrescenziVolg; sm. sec. XIV, LeggendaAurea; tosc.a. congiunture: sec. XIV–XV, BibbiaVolg). Si noti, in pieno Cinquecento, l’interessante nota linguistica apposta da Valverde (1559, 3v-4r), che usa congiuntura come corrispettivo del lat. articulatio: «Quest’ossa si legano o congiungono [...] per congiuntura, e questa chiamano i Latini articulatio [...]. Articulatione è una natural congiuntura di due ossa mediante una legatura che l’abbraccia sempre amendue»; in particolare, la congiuntura è il termine volgare adottato dal Valverde per indicare l’articolazione mobile, come si specifica poco oltre con l’introduzione del corrispettivo gr. διάρϑρωσις (voce a sua volta passata alla lingua medica in epoca moderna: dal 1771 secondo il GRADIT): «La congiuntione si fa in un de tre modi, o in modo che manifestamente si muovono l’ossa di lei, per non legarsi molto strettamente, e questa chiamano li Greci Diartrosis, i Latini Articulatio, noi altri Congiuntura». Cf. Elsheikh (2016 II, 129). 3. Prima attestazione: tod.a. iontura (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO §2). Cf. Altieri Biagi (1970, 84), Gentile (1979, 72), Tomasoni (1986b, 239 s.v. zontura), Nystedt (1988, 238), André (1991, 79), Marcovecchio (1993, 485), Sboarina (2000, 202), Aprile (2001a, 377), Barbato (2001a, 397), Mazzeo (2011, 268), D’Anzi (2012a, 330), Elsheikh (2016 II, 170), Zarra (2018, 577).

labia α. ‘labbra della bocca’ (6 occ.; 190) [labium TLL VII 2, 774] labra f. pl.: R («delle passione delle labra») 111v (3); labri m. pl.: R 101v, 111v; lavri (labri: f. pl. labre) 44r, 48r (5); lavri: B 46r, 50r (3), 50v

I Anatomia 

▲ Prima attestazione: march.a. labru (metà sec. XIII, CarmenPierMedicina, OVI). β. ‘ciascuno dei due margini di una ferita, di un’ulcera ecc.’ (7 occ.; 58) [labium TLL VII 2, 777; cf. → labia ulceris (s.v. ulcus); labia vulneris (s.v. vulnus)]

 553

3. musculo m.: B («in li musculi [...] la perforatione fiza secondo la longeza») 42v, 44v, 47r, 58r, 58v, 69v, 70r (2), 73v 4. stracciatur[a] f.: R («le parti delle ferite che caggiono sopra la stremità delle stracciature») 27r

1. bludone m.: B («non reciveno curatione, como dice Avicena, s’el non fi taliato lo lacerto, zoè lo bludone») 12r,46 12v 2. lacerto m.: R («si tagla e’ lacerto per lato») 27r (2), 97r, 104r (2), 130r (2), 159r, 159v, 173r; ~: B 12r, 42v, 44v, 47r, 58v, 73v;47 lazerto: V 13v (3), 41r, 42v, 45r, 66r (2), 69v

▲ 1. Voce di grande interesse, usata anche come traducente del sinonimo musculus: alla base c’è il b.franc.a. *brādo ‘pezzo di carne’ o il lat. mediev. brado ‘prosciutto’. In particolare, il «termine in area germanica si riferiva alla carne sottoposta a preparazione per l’alimentazione umana» (LEI-Germanismi I, 1194); cf. FEW (15/1, 234). Da questa accezione di base, il termine è passato a indicare, in alcune aree ristrette dell’Italo- e della Galloromania, una ‘parte carnosa del corpo’ e il ‘muscolo’: cf. il berg.a. bledó (del braz) ‘parte carnosa del corpo’ (Contini 1934, 233), bludo (Lorck 1893, 99). 2. Prima attestazione: it.a. lacerto (ante 1321, DanteCommedia, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 88), Gentile (1979, 70), André (1991, 203), Marcovecchio (1993, 492), Mazzeo (2011, 268), D’Anzi (2012a, 338), Elsheikh (2016 II, 191). 3. Cf. s.v. musculus (2.). 4. Il GDLI registra stracciatura (§3) col valore di ‘lacerazione della pelle’, in maniera analoga, dunque, a straccio (s.v. §16 ‘grave ferita, squarcio nelle carni’). La forma di R, pur presente in un’unica occorrenza, pare confermata dal corrispettivo attributo stracciat[o], usato come traducente di lacertosus (cf. s.v.). Potrebbe pertanto trattarsi di un calco semantico del lat. lacertus, nel significato di ‘brandello, cencio’, esteso a designare anche i muscoli. Con riferimento ai difetti di panni e tessuti, alcune attestazioni di stracciatura si rinvengono nel corpus OVI (prima attestazione fior.a. stracciatura, pm. sec. XIV, Pegolotti, OVI).

46 Glossa di lacerto. 47 A c. 12r accompagnato dalla glossa «zoè lo bludone», negli altri casi da «zoè musculo».

Sempre a c. 12r si legge anche la seguente glossa: «la zima de li lacerti, zoè de li brazi».

labra f. pl.: R («farebbe molto fastiggio et per la ventura le labra indurrebbero») 129r, 135r, 139r; labri m. pl.: R 64v; ~: B 30r, 57v, 60v, 63r, 71r; lavri: V 58r, 60r ▲ La prima attestazione documentata dal GDLI (s.v. labbro §7) è il fior.a. labbri (pm. sec. XIV, CrescenziVolg), presente anche in OVI, ma il cui contesto, afferente piuttosto al mondo agricolo («aperta la fessura con alcuno conio: e de’ labbri della fessura tolta via ogni lanuggine [...], ficcheravi entro il rampollo in tal maniera, che la corteccia s’agguagli alla corteccia dalla parte di fuori, e ’l legno al legno dalla parte di dentro»), esclude evidentemente che ci possa riferire al ‘margine di una ferita’, come il GDLI invece riporta. Nello specifico valore medico qui esaminato, dunque, la prima testimonianza utile presente nel GDLI è quella attestata nel Fasciculo di medicina volgare (1494). Cf. Marcovecchio (1993, 490), Aprile (2001a, 378 s.v. labro).

lacertus ‘muscolo’ (14 occ.; 49) [TLL VII 2, 828; cf. → s.v. musculus]

554 

 6 Glossario

lacertosus ‘che riguarda, che sorge sui muscoli’ (49)

ligamentum ‘formazione fibrosa che ha la funzione di tenere saldamente uniti due segmenti ossei’ (4 occ.; 48)

1. lacertos[o] agg.: B («quando lo spasmo vene a cossì fatti piagi lacertosi, zoè de li bludoni, non reciveno curatione») 12r48 2. stracciat[o] agg.: R («viene lo spasimo per questo modo nelle ferite stracciate») 27r

legamento m.: R («moscoli sono composti di carne et di nerbo uno legamento») 27r, 27v, 129r; ligamento: V 13v, 14r, 41v; ~: B 12r, 12v, 43v, 58r

[TLL VII 2, 829]

▲ 1. Non si rintracciano testimonianze nel corpus OVI. Il GDLI registra la voce nel senso di ‘muscoloso, vigoroso’ (prima attestazione soltanto in G. B. Morgagni: ante 1771), e non in quello di ‘costituito da muscoli’. 2. Al pari del sost. stracciatura (cf. s.v. lacertus 4.), non si sono rintracciate attestazioni del termine in questa accezione.

lacrimalis ‘ghiandola responsabile della secrezione delle lacrime’ (7 occ.; 197) [Du Cange V, 7b]

lacrimale f.: B («poy talia l’avanze apresso la radice de la lacrimale») 47v (2), 48r, 48v, 72v; lagremal (lagremalle; lagrimal; lagrimalle) m.: V 45v (3), 46r, 46v, 68v; lagrimale (lacrimale): R 105r, 105v (2), 106r, 107r, 169v ▲ Voce assente in DEI; documentata solo come agg. dal DELIN, 841 e dal GDLI; è invece presente come sost. nel TLIO, dove è però registrata in relazione a un altro elemento dell’apparato lacrimale, ovvero il ‘serbatoio dove confluiscono le lacrime prima dell’escrezione, sacco lacrimale, lacrimatoio’, la cui prima attestazione è il fior.a. lagrimale (ante 1361, UbertinoBrescia). Cf. Ineichen (1966, 290), Sboarina (2000, 203), Elsheikh (2016 II, 191).

48 Accompagnato dalla glossa «zoè de li bludoni».

▲ Non si rintracciano testimonianze in tale accezione in OVI e ReMediA: il GDLI (§8) attesta il termine a partire dal Quattrocento (Leonardo); solo in Crusca5 nel significato anatomico. Cf. Altieri Biagi (1970, 90), D’Anzi (2012a, 339), Elsheikh (2016 II, 194).

lumbus ‘fianco, parte inferiore della schiena’ (314)

[TLL VII 2, 1807] 1. nonboll[o] m.: V («contra lo dollor de li nonbolli fa’ chauterio») 68v 2. rognon[e] m.: B («Contra lo dolore de li rognoni fiza lo cauterio sopra quelli in la fontanella») 73r ▲ 1. La forma nonboll[o] di V è frutto di dissimilazione dalla voce, di diffusione settentrionale, lombolo, corrispondente al lat. lumbolus (per il quale cf. DuCange V, 151b), a sua volta dimin. di lumbus (cf. DEI III, 2265 s.v. lombolo, che attesta analoghe forme dissimilate: «cf. emil. nómbel, nómbal, bresc. mómbol, friul. ómbul e il fr. nomble»). Il TLIO registra proprio il lemma lombolo ‘lo stesso che lombo’ (prima attestazione: venez.a. lomboli, sec. XIII–XIV, TrattatiUlrich); il GDLI lo testimonia, invece, solo nel senso di ‘piccola lombata’ (prima attestazione fissata nel Libro per cuoco di Anonimo Veneziano, XIV–XV sec.). Cf. Ineichen (1966, 291: lumbo, lumbolo), André (1991, 230), Marcovecchio (1993, 515), Sboarina (2000, 203: lombi), Zarra (2018, 578 s.v. lonbi), Elsheikh (2016 II, 198). 2. DEI (V, 3277: ‘rene delle bestie da macello’): «la voce è quasi pandialettale, con esclusione della Toscana centro-settentrionale. Forse è

I Anatomia 

direttamente dall’a.prov. renhó, il fr.a. rognon; ma la presenza del sardo rinhão suggerisce di partire da un lat. *rēniō da rēn rene, che però manca nelle glosse». Cf. DELIN, 1406 («La diffusione in tutte le lingue romanze, tranne il rum. e il dalm., esclude una dipendenza dal fr.»): voce registrata solo in riferimento ai reni animali; Nocentini (2010, 1017: «i continuatori del lat. rēn-rēnis, reintrodotti attraverso il lessico della medicina, hanno limitato il sign[ificato] dell’it. rognone e del fr. rognon a quello di ‘rene degli animali’»). GDLI: in riferimento ai reni umani, la prima attestazione è segnalata in D. Romoli (1560). Le poche testimonianze di rognone rintracciabili in OVI sono tutte riferite ai reni animali (prima attestazione: pis.a. rignoni, ante 1327, BreveVillaSigerro, TLIO). Il TLIO segnala anche un uso isolato del termine nell’accezione di ‘intestini’ (sic.a. rogioni: sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Cf. Nystedt (1988, 265), Gualdo (1996, 61). Un uso analogo a quello testimoniato da B, con riferimento, dunque, alla zona lombare e non all’organo, si osserva anche per il sost. sinonimico reni (cf. Sboarina 2000, 207); in generale, sulla sinonimia tra rene e lombo, cf. Ineichen (1966, 291).

mamilla ‘mammella; capezzolo’ (8 occ.; 46) [TLL VIII, 245]

1. mamella f.: V («della inflaxon la qual apar in le mamelle») 44r, 59v, 60r (4); ~: (mamilla, mamil[a]): B 11v, 46r, 62v, 63r (4) 2. poppola (popola) f.: R («ferita quasi adpresso a la popola sinistra») 25v, 138v, 139r (3), 139v (2) 3. tetina f.: V («siando la piaga apreso la tetina senestra») 12v ▲ 1. DEI (III, 2338): «panromanzo occidentale». Prima attestazione: bol.a. mammelle (1279–1300, Memoriali, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Tomasoni (1986b, 236), Nystedt (1988, 242), André (1991, 222), Gualdo (1996,

 555

54), Sboarina (2000, 204), Barbato (2001a, 429), Green (2009, 401), Mazzeo (2011, 268), D’Anzi (2012a, 342). 2. DEI (s.v. poppola, con rimando a poppa1: IV, 3018): «lat. *puppa, forma volgare di pupa [‘fanciulla’], accanto a pūpa, passato ad indicare il capezzolo [...]. Nel significato originario la voce ha una diffusione maggiore». Prima attestazione: sen.a. pópole (1288. EgidioColonnaVolg, TLIO); Crusca1,2,3,4,5 registra solo la forma base poppa. Cf. Sboarina (2000, 206), Zarra (2018, 584). 3. Dal lat. *titta ‘capezzolo’, voce del lessico infantile: cf. DEI (V, 3781); DELIN, 1692; Nocentini (2010, 1231); Castellani (2000, 74), invece, ipotizzava un’origine germanica del termine («prestito dal gotico, o un germanismo d’età imperiale»). André (1991, 223) segnala già il lat. tardo titina. Mancano testimonianze in OVI; GDLI (s.v. tettina ‘mammella piccola’), ne segnala la prima attestazione nella commedia La Venexiana (inizio XVI sec.). La forma base tetta si attesta per la prima volta nell’it.a. di DanteConvivio (1304–07). Crusca1,2,3,4,5 registra solo la forma base tetta.

mandibula ‘parte inferiore della mascella’ (12 occ.; 155)

[TLL VIII, 261]

1. choramell[a] f.: V («se prenda intranbi li chavj delle choramelle soto le orechie») 40v; gramolla: V 37v (2), 40v, 41r (2) 2. ganassa f.: B («de la rotura de li ganassi de soto») 38v (3), 42v (6), 58r 3. mascella (masella) f.: R («della ronpitura dell’ossa e delle ronpiture delle mascelle») 82r (2), 82v (2), 83r, 92r (2), 92v, 129v; masela (masella): V 37v (2) ▲ 1. La voce gramolla è di etimologia molto dibattuta. LEI (XII, 188): «*carm-/*garm‘cardare’, già prelatina, è attestata in latino sotto la forma carmināre»: tale base continua nell’Italoromania e nello sp.a.; analogamente, il DELIN, 684 rimanda ai suoni imitativi

556 

 6 Glossario

*cram-/*gram (ma la voce gramola è qui registrata solo nei significati di ‘arnese dei pastai per rendere solida la pasta’ e ‘macchina per separare le fibre tessili della canapa e del lino dalle legnose’). Si rinvia al commento della voce nel LEI per le interpretazioni, ancora differenti, offerte da Johannes Kramer e Clemente Merlo. La voce è attestata in molti dialetti settentrionali, ed è già rintracciabile nel Trecento: pad.a. gramole, gramolle si leggono in sette occorrenze, tutte nello stesso testo (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); cf. LEI (XII, 183); Boerio (1856 s.v. gramola). La forma choramell[a] di V non risulta attestata altrove: alla base ci sarà lo stesso etimo *carm-/*garm, con lo sviluppo di una vocale di appoggio al posto del gruppo iniziale con velare sorda cr- e cambio di suffisso. Cf. Altieri Biagi (1970, 85: gramola), Ineichen (1966, 289 ‘fauci’: «il termine rende il lt. fauces»). 2. DEI (III, 1759 s.v. ganascia): XVI sec., «dal biz. e gr. gnáthos mascella [...] probabilmente attraverso un lat. medioev. *ganathia dal lat. tardo ganathus [...]. La v. letterale è adattamento di voce sett. [...]; il centro di diffusione va probabilmente ricercato nell’Esarcato di Ravenna, da dove è giunto nel Mezzogiorno» (cf. DELIN, 634 e Nocentini 2010, 480). Voce indicante inizialmente la mascella dei cavalli, poi quella di altri animali e dell’uomo; dall’it. è poi passata anche al fr. (DIFIT), oltre al port. e al pol. (cf. DEI III, 1760). La prima attestazione è fissata dal GDLI nel fior.a. ganascie (1325 ca., PistoleSeneca) ma non se ne ritrovano attestazioni in OVI. L’unica testimonianza offerta dal TLIO (s.v. ganascia ‘lo stesso che fauci’) è il fior.a. ganascie (sq. sec. XIV, SenecaProvidentiaVolg). Presente da Crusca1 (con rimando al vb. smascellare). Cf. Tiraboschi (1873 s.v. ganassa), Tomasoni (1986b, 236). 3. DEI (III, 2381): il lat. maxilla è a sua volta «dimin. di māla [...], panromanzo [...]. Nella voce ital. si ha cambio di suffisso» (cf. DELIN, 941). Prima attestazione: venez.a. masele (1250ca., Panfilo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 291), Altieri Biagi (1970, 93), André (1991, 40), Marcovecchio

(1993, 532), Aprile (2001a, 395), Barbato (2001a, 432), Mazzeo (2011, 268), D’Anzi (2012a, 343), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 206).

meatus ‘corto canale o orifizio che collega la cavità di un organo con l’esterno o con un altro organo’ (5 occ.; 109) [TLL VIII, 514]

1. andamento m.: V («infina a l’andamento de la verga») 65v 2. meato m.: R («acciò che larghi [...] il meato») 164r; meat[o]: V 67r 3. passamento m.: B («lo so signo si è quando la pervene fina lì se la tortuositade non è in lo passamento») 69r, 72v 4. via f.: R («quella medesima via [...] va torta») 59v; ~: B 27v (2), 71r ▲ 1. Voce assente in tale accezione in DEI, GDLI (dove si registra solo col senso generico di ‘percorso, via’ §4) e TLIO. 2. La prima attestazione rintracciabile con il valore anatomico qui esaminato è il tosc. sud-or.a. meato (ante 1298, Questioni, OVI); cf. GDLI (§9). Voce registrata già da Crusca1 e che giunge al lessico anatomico contemporaneo. Cf. André (1991, 150), Marcovecchio (1993, 533), Sboarina (2000, 204), Green (2009, 402), Mazzeo (2011, 268), Tomasin (2010, 59), Elsheikh (2016 II, 207). 3. Voce assente in tale accezione in DEI, GDLI (dove è presente col senso generico di ‘passaggio, apertura’ §12) e TLIO. 4. Voce registrata dal GDLI (§16) anche nel suo valore specificamente anatomico di ‘condotto, canale dell’organismo’, giunto al lessico contemporaneo: la prima attestazione riportata è il fior.a. vie (dell’orina) (XIV sec., CrescenziVolg), ma già ampiamente riscontrabile all’inizio del secolo, in BencivenniSantà (cf. OVI). Diversi esempi antichi di via in tale accezione si possono rintracciare anche in MascalciaRusioVolg (sab.a., fine sec. XIV, OVI). Cf. Ineichen (1966, 297: anche qui il sost. via è adottato come

I Anatomia 

traducente del lat. meatus), Nystedt (1988, 283), André (1991, 158), Marcovecchio (1993, 919), Sboarina (2000, 209), Aprile (2001a, 528), Elsheikh (2016 II, 333). ♦ Loc. e collocazioni: – meatus urinales ‘diverse sezioni dell’o­ rifizio attraverso cui l’uretra comunica con l’esterno’ (304) via de la urina: B («azò che li vij de la urina fizano largati») 70v ▲ Proprio la locuzione vie dell’orina, quasi sempre col sost. al plur. vie (per il sg. cf. fior.a. via della orina, 1337–61, LibroDrittafede, OVI), mostra una certa diffusione già dal Trecento, confermata anche dalla consultazione del corpus OVI; cf. in area sett.: pad.a. vie de la urina (1390 ca., Serapiom, OVI). Il DEI (III, 2399) registra la loc. meato urinario, che, con cambio di suffisso -ale > -ario, appartiene ancora ai tecnicismi dell’anatomia contemporanea (al pari di vie urinarie). Cf. Nystedt (1988, 283: vie dela urina), André (1991, 158), Elsheikh (2016 II, 333 s.v. via). Per l’agg. urinale, cf. Gualdo (1996, 144). – meatus virgae ‘meato uretrale, uretra’ (2 occ.; 296) [Cf. → s.v. virga]

1. andamento de la verga: V («altre passa [...] infina a l’andamento de la verga») 65v 2. buxo de la verga: V («traversa avanti lo buxo de la verga») 67v 3. meato della verga: R («infino al meato della verga») 156r 4. passamento de la virga: B («fina a la vesica o a lo passamento de la virga») 69r 5. via de la virga: B («quando la preda è pizena, va a la via de la virga») 71v ▲ 1., 2., 3., 4., 5. Non si rintracciano locuzioni analoghe in àmbito anatomico. Cf. GDLI (s.v. meato §9) per la loc. contemporanea meato uretrale ‘orifizio attraverso il quale ciascun uretere sbocca nella vescica’).

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medulla ‘midollo osseo presente nelle ossa dei vertebrati’ (7 occ.; 114) [TLL VIII, 598]

medolla (medola) f.: V («se taja l’osso chon la medolla defina a la chorucion») 28v (2), 32r (4), 37r, 37v; medula: B 29r (2), 32v (5), 37v, 39r; medulla: R 83v; mirolla (merolla 81r, 128r): R 61v, 62r, 69v (5), 123r ▲ REW (§5463); DEI (IV, 2455): «panromanzo»; in particolare la forma mirolla, presente in R, è per il DEI «d’area tosc. merid., emil., march., umbra, roman., napol. e parzialmente sicil.». Al pari di B e V, anche in R troviamo ancora, dinanzi alla forma dominante mirolla, le due varianti medulla e merolla, con la conservazione della voc. protonica e, destinata a passare a i in buona parte della Toscana (cf. Rohlfs 1966– 1969, §130). Per il passaggio di d intervocalico a r, cf. Rohlfs (1966–1969, §216): Nocentini (2010, 707), al contrario, ipotizza che il sost. mirolla rappresenti la forma originaria (con conservazione della vibrante attestata anche nell’a.irl. smiur ‘midolla’ e nell’alto-ted.a. smero ‘grasso’), rispetto alla quale il lat. medŭlla costituirebbe, invece, l’esito di un accostamento paretimologico all’agg. mĕdĭus ‘che sta in mezzo’. Cf. GDLI (s.v. midollo §3: Landino, fine XV sec.), ma ampiamente retrodatabile (fior.a. midolle: ante 1292, GiamboniOrosio, OVI); Altieri Biagi (1970, 94), Nystedt (1988, 243: medulla, midollo), André (1991, 196), Marcovecchio (1993, 536), Aprile (2001a, 397), Green (2009, 402), D’Anzi (2012a, 346), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 214).

membrum ‘ciascuna delle parti in cui si articola il corpo umano’ (156 occ.; 5) [TLL VIII, 634]

1. loco m.: B («lo loco fiza cataplasmato cum oleo rosato») 36r 2. membro (m. pl. membri) («la substantia de lo membro fiza conservata secondo la sua sanitade»): B 2v (3), 3r, 3v, 5v (3), 6r, 6v, 7r,

558 

 6 Glossario

9v, 10v, 11r (2), 11v, 12r (3), 12v, 13v (2), 14r, 15r (6), 15v (5), 18r, 19r (3), 20r (3), 20v (2), 21r, 21v (4), 22r (2), 22v (2), 23r, 24r (3), 24v (2), 25v (4), 26r (4), 26v (3), 28r (2), 29r, 30r (5), 30v (2), 31r, 35r (3), 35v (6), 36r (5), 36v (3), 37r (4), 37v (6), 38r (8), 38v (2), 40v (4), 41r (3), 41v (2), 42r (2), 43v (2), 44v, 48v, 54r, 54v, 56r (2), 58r (3), 61r, 72r (3), 72v (2), 73r; menbro (membro; venbro; f. pl. menbra; m. pl. menbri): R 3r, 3v (2), 4r, 6v, 7r, 11v, 13r, 13v, 15r, 21r, 24r (2), 25r (2), 26r, 26v (3), 27r, 27v, 29r, 29v (2), 34r (3), 34v (3), 35r, 40r, 41r, 42r (2), 43v, 44r, 44v, 45r, 46r, 46v (2), 47v (2), 48r, 48v, 49r, 49v, 51v (2), 54r (2), 55r (2), 55v (2), 56r, 56v (3), 57r, 59v, 60r (2), 64r (2), 64v (4), 65r, 66r, 66v, 75r, 75v (3), 76r (4), 76v (3), 77r (4), 77v (3), 78r, 79r (2), 79v (2), 80r (4), 80v (2), 81r (2), 81v (3), 82r (3), 83r, 87r (2), 87v, 88r, 88v, 89r, 89v (2), 90r, 91r, 91v, 94v (2), 97r, 101r, 107v, 120r, 121v, 125r (4), 129r (3), 167r, 167v (2), 168r (2), 170v; menbro (menbr;49 m. pl. membri): V 3r (2), 3v (3), 4v, 5r (2), 7r (2), 8r (3), 8v, 11r, 12r (2), 12v, 13r, 13v (3), 14r, 14v (2), 15r, 16r, 16v, 17r (5), 19v, 20r, 20v (3), 21v (2), 22r, 22v (4), 23r (3), 23v (2), 24r, 24v (2), 25r (2), 26r (4), 26v (2), 27r, 27v, 28r, 30r (5), 30v, 34v (2), 35r (4), 35v (2), 36r (4), 36v (4), 37r (6), 39r (9), 39v (2), 40r, 40v (2), 42v, 43v, 46v, 51v, 52v, 54r (3), 55v, 58v, 68r (5), 68v ▲ 1. Cf. Gualdo (1996, 262) per loco col valore specifico di ‘parte del corpo da trattare con medicamenti’. 2. Già in lat. class., il valore principale di membrum è quello di ‘pars corporis animantium’ (TLL VIII, 634). Da segnalare, per il ms. R, è la presenza, seppur ridotta, della forma dissimilata toscana venbro (prima attestazione: tosc.a. vembro, inizio sec. XIV, MPolo, OVI). Cf. Nystedt (1988, 244), Marcovecchio (1993, 540), Aprile (2001a, 398), Tomasin (2010, 57), D’Anzi (2012a, 346), Elsheikh (2016 II, 210), Zarra (2018, 578).

49 Si legge un unico caso di questa forma (c. 68r).

♦ Loc. e collocazioni: – membrum durum (5 occ.; 5) 1. membro duro m. B («in li membri duri como è in ossi e simili») 2r (2), 26r, 30r, 59r; membro duro: R 56r, 64v, 132r; ~: V 3r (2), 26v, 56v 2. membro tosto m.: R («nelli membri tosti sì come è osso e simili») 3r ▲ 1., 2. Cf. il pad.a. membri duri (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); D’Anzi (2012a, 346). – membrum ignobile (2 occ.; 229) menbro ignobil[e] m.: R («non lasciamo le medicine nel menbro ignobili») 121v (2); membro meno nobile: B: 54v; membro non nobile: B 54v; menbro che non è nobelle: V 52v ▲ Non si rintracciano in OVI attestazioni di membro ignobile┐, ma in epoca più tarda cf. Da Vigo (1560, Compendio 25r: «da’ membri ignobili al membro principale»); D’Anzi (2012a, 347).



– membrum molle (4 occ.; 5) membro molle m.: B («una contrarietade fi facta in li membri molli, como è in carne et in nervi») 2r (2), 26r, 30r; menbro molle: R 3r (2), 56r, 64v; ~: V 3r (2), 30r ▲ Non si rintracciano in OVI attestazioni di ┌ membro molle┐ con accezione peculiarmente medica; ma cf., in epoca più tarda, Da Vigo (1560, 60v: «ne’ membrio molli, come carne, nervo [...]»). – membrum nobile (4 occ.; 23) 1. membro nobile (menbro nobile) m.: R («lo membro è più dilicato et più nobile»)50 12r, 16r, 45v; menbro nobelle: V 7v, 9r, 21v; membro nobile: B 6r, 21r 2. membro principale m.: B («el non vegnia inflatione in alcuni de li membri principali») 7v 3. menbro zentille m.: V («chon taio alguno zentille menbro o nervo se porà vastare») 22r 50 Ms.: mobile.

I Anatomia 

▲ 1. Cf. già il fior.a. nobile membro (1260–61, LatiniRettorica; OVI; GDLI s.v. nobile §15); D’Anzi (2012a, 347), Elsheikh (2016 II, 227). 2. Cf. infra (s.v. membrum principale). 3. Non si rintraccia, almeno in contesti espressamente specialistici, quest’uso dell’agg. gentile, in riferimento ai membri principali o nobili dell’organismo.

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‘regione della testa del cavallo tra le ganasce e il mento’ (DELIN, 182). Il GDLI registra barbotto come voce antica, ma senza riportarne testimonianze; attesta poi la forma barbozzo, ma solo dal Novecento (1955, Moravia). Per il berg. barbozo di B, cf. Tiraboschi (1873 s.v. barbós) e Tomasoni (1986b, 233); per il venez. barbuzo di V, cf. Boerio (1856 s.v. barbuzzo).

– membrum principale (7 occ.; 229) logo principale m.: B («per la propinquitade de li logi principali») 55v; membro princi­ pale (venbro principale): R 121v, 123r, 123v, 125r (2), 137v; membro principale: B 54v (2), 55v, 56r, 62r; menbro prinzipale (menbro principal; menbro prinzipalle): V 53r (2), 54r) 52v, 59r (2) ▲ Loc. ampiamente attestata nel corpus OVI. Prima attestazione: aret.a. membri principali (1282, RestArezzo, OVI); cf. D’Anzi (2012a, 347). Per l’adozione di ┌luogo┐ a indicare il ‘membro’ di un corpo, cf. quanto detto supra. – membrum principale vel nobile (4 occ.; 79) menbro nobile m.: R («che ttu non nocessi alcuno menbro nobile») 61r; menbro nobelle: V 28v; membro principale overo nobile: B 20r, 28v (2), 31r; menbro principale overo nobile: R 43v, 61r, 67r; menbro nobelle prinzipalle: V 31r; menbro prinzipale over nobelle: V 21r ▲ Cf. supra (s.vv. membrum nobile, membrum principale).

mentus ‘parte inferiore del volto, corrispondente alla parte mediana della mandibola’ (2 occ.; 121) [TLL VIII, 783]

barbozo m.: B («elli dicono che noli me tangere fi facto da lo barbozo in suso, e lupo in li parti inferiori») 30v, 50v; barbuzo: V 48r ▲ DEI (I, 435 s.v. barbotto): XIV sec. ‘parte inferiore della faccia’. Si veda anche la v. barbozza

mirac ‘parete del ventre inferiore’ (2 occ.; 32) [myrach Du Cange V, 563c]

mirac m.: V («chuxidura che chonzonza lo sifac chon lo mirac») 9v (2);51 mirac: B 8r (3);52 mirach f.: R 17r (2) ▲ Voce assente in DEI. Arabismo di grande fortuna nella lingua medievale della medicina (Pellegrini 1972, 84); dall’ar. marāqq (la forma al-mirāq che si legge in Atieri Biagi 1970 è una ricostruzione fondata sulle testimonianze europee, che muovono tutte da un lat. mirach, presente nel Liber Canonis di Avicenna, dove è frutto, però, di un’errata vocalizzazione operata nell’atto di tradurre il testo arabo). Il TLIO (s.v. mirach) ne registra solo due attestazioni: a) it.sett.a. mirac (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA) b) pad.a. mirach (fine sec. XIV, Serapiom). GDLI: l’ultima attestazione viene registrata in Dalla Croce (1583), a testimonianza dell’abbandono progressivo dell’arabismo alle soglie del Seicento (è ancora usata, nel XVI sec., da Da Vigo 1560). Cf. Altieri Biagi (1967, 15; 1970, 97), Mazzeo (2011, 269), D’Anzi (2012a, 350), Elsheikh (2016 II, 215).

51 In una delle due occorrenze di c. 9v con l’accompagnamento della seguente glossa: «mirac si è la pelle de fuora dal chorpo del ventre». 52 In una delle tre occorrenze di c. 8r con l’accompagnamento della seguente glossa esplicativa: «zoè quella parte de dentro che è appresso a lo pectinaculo».

560 

 6 Glossario

musculus ‘muscolo’ (2 occ.; 48) [TLL VIII, 1699; cf. → s.v. lacertus]

1. bludone m.: B («li musculi, zoè li bludoni, sono componuti de carne, de nervo e de ligamenti») 12r, 58r53 2. moscol[o] m.: R («moscoli sono composti di carne et di nerbo») 27r; muscholl[o]: V 13v, 55v; musculo: B 12r, 58r ▲ 1. Cf. s.v. lacertus (1.) 2. Prima attestazione: fior.a. moscoli (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); DEI (IV, 2535). Cf. Tomasoni (1986b, 237), Nystedt (1988, 247), André (1991, 203), Aprile (2001a, 409), Mazzeo (2011, 269), D’Anzi (2012a, 353), Elsheikh (2016 II, 222).

naris ‘narice’ (8 occ.; 64) [TLL IX 1, 56]

1. buso de lo naso: B («fiza la sternutatione serati e instopati li busi de lo naso») 53v (2), 54r 2. anari m. pl.: R («homore grosso o vescoso el quale viene dal capo e discende al naso a’ suoi anari») 110r; nare f. pl.: R 110v 3. narise (narisse) f.: B («E la sua significatio si è la opilatione de li narise e lo male odore che vene da quelli») 49v (2); narixe: V 18r, 47v (2), 51v (2), 69v 4. naso m. B («quelli membri sono sicci [...] como è li oregie, li ogi, li nervi, li digiti, lo naso e lo membro») 16v, 49v, 74r; ~: R 110r; naxo: V 47v, 69v ▲ 1. In OVI non si rintracciano attestazioni analoghe alla loc. in esame; ma cf., ancora nell’Ottocento, Boerio (1856), s.v. narise, di cui si offre la seguente definizione: ‘Meati e Buchi del naso’ (s.v. naso, oltretutto, si registra proprio la polirematica busi del naso).

53 In entrambe le occorrenze la voce è adottata come glossa di musculo (cf. 2.).

2. Direttamente dal lat. nāris, con probabile concrezione dell’art., come confermerebbe la presenza della forma femminile nar[a]. Prima attestazione: tosc.a. anar (XIII–XIV, Intelligenza, OVI). Cf. André (1991, 41), García Gonzáles (2007, 487), Green (2009, 403), D’Anzi (2012a, 353), LeMMA (s.v. nari), Elsheikh (2016 II, 223). 3. Dal lat. nārīces (DEI IV, 2547). Voce ancora scarsamente attestata nel Trecento, come si ricava dalla presenza di sole tre occorrenze nel corpus OVI: la prima attestazione è il mess.a. narichi (1315ca., LibruSGregoriu). Cf. Ineichen (1966, 291), Nystedt (1988, 247), Marcovecchio (1993, 573), Aprile (2001a, 410), Barbato (2001a, 441). 4. Comune a tutti e tre i mss. è l’uso sineddotico del sost. naso per indicare le ‘narici’.

natis ‘natica’ (2 occ.; 26) [TLL IX 1, 138]

natic[a] f.: R («si puote aconciare in questa forma la mano et lo piede e lla verga et le natiche») 13v; nadega: B 45r; nadeg[a]: V 8r ▲ Da un lat. volg. *natĭca(m), der. di natis. Prima attestazione: aret.a. nateche f. pl. (1282, RestArezzo, TLIO s.v. natica). Cf. Ineichen (1966, 293: nège), Nystedt (1988, 247), André (1991, 232), Marcovecchio (1993, 573), Sboarina (2000, 205), Barbato (2001a, 442), Mazzeo (2011, 269), Castrignanò (2014, 194).

nervus ‘nervo, struttura anatomica che trasmette gli impulsi nervosi e le sensazioni a tutto il corpo’ (52 occ.; 5)

[Du Cange V, 589b; cf. → vulnus nervorum (s.v. vulnus sezione 2)] 1. luogo nervoso m.: R («ne’ luoghi nervosi») 129r 2. nervo (nerbo) m.: R («Nelle universali cure delle ferite de’ nervi») 22r, 23r, 24v (2), 25r (2), 27r, 27v, 118v; V: 3r (2), 5v, 10r, 14r, 18r, 20v (4),

I Anatomia 

21r, 21v (2), 23v, 24r, 25r, 27v, 36v, 43v, 44v (2), 45v, 48r, 56r (2), 56v (3), 60r, 61r (2), 64v, 79v, 93r, 101r, 129r, 129v, 130r, 135v, 136r, 138r; ~: V 3r (2), 4v, 5v, 6v, 8r (2), 10r, 10v, 11r (3), 11v (2), 12r (2), 12v (4), 13v (2), 14r, 18r, 21r, 21v (2), 22r, 23r, 26v (4), 28r, 28v (2), 35v, 36r, 43v, 51r, 55v, 58r, 58v, 59v; ~: B 2r (2), 3v, 5r, 6v (2), 8v, 9v (7), 10r (3), 10v (2), 11r (4), 12r, 12v (2), 16v, 20v, 22v, 26r (3), 26v (2), 28r, 28v (2), 30r, 36v, 37r, 43r, 46r, 53v, 57v, 58r (2), 61r (2), 62v ▲ In certi casi, il lat. nervus potrebbe anche significare ‘tendine, legamento’: non sempre il contesto consente di distinguere le due accezioni con sicurezza. Tuttavia, il contemporaneo ricorso, nel testo originale, alle due voci ligamentum e tenon, fa pensare a una distinzione terminologica piuttosto precisa tra i due campi, come si ricava anche da un passo come il seguente, in cui nervus assume chiaramente il valore qui considerato: «solutio continuitatis in nervis, propter plurimum sensum ipsorum et continuationem eorum cum cerebro, spasmum velociter commovet» (Hall 1957: 37–38). 1. Cf. le analoghe loc. testimoniate in OVI: pav.a. loghi nervosi (1342, ParafrasiGrisostomo); fior.a. luoghi nervosi (pm. XIV sec., CrescenziVolg; pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); bol.a. loghi nervosi (pm. sec. XIV, RicetteMediche); tosc.a. luoghi nervosi (sec. XIV, MaestroBartolomeo). 2. Prima attestazione: lomb.a. nervo (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, OVI: ma anche in tal caso è sempre complicato distinguere con sicurezza i due valori di ‘nervo’ e di ‘tendine’). Cf. Ernst (1966, 170), Altieri Biagi (1970, 100), Gentile (1979, 70), Nystedt (1988, 248), André (1991, 204), Marcovecchio (1993, 577), Gualdo (1996, 56), Aprile (2001a, 412), Green (2009, 403), Mazzeo (2011, 269), D’Anzi (2012a, 354), Castrignanò (2014, 194), Zarra (2018, 582).

 561

nodo de la cova: B («altri [scil.: fistuli] passeno fina a l’osso de la coxa e fina a lo nodo de la cova») 69r; nodo caude: R 156r ▲ L’uso di nodus col significato di ‘vertebra’ appartiene già al lat., come attesta Du Cange (cf. André 1991, 198), il quale non registra, però, quello di cauda in riferimento specifico al ‘coccige’, umano o animale (segnalando però una forma gall. semanticamente vicina: «A Cauda, Pars extrema cujusvis rei, originem habet vox Gallica Cauduns, qua animalium partes extremae, seu etiam intestina designantur»). La loc. ┌nodo della coda┐ si rintraccia in OVI in almeno quattro testi, ma sempre con riferimento alla coda di animali, in particolare al cavallo: cf. fior.a. nodi della coda (XIV sec., MPolo, OVI), di cui vale la pena citare il contesto, atto a chiarire come il significato fosse proprio quello di ‘vertebra (del coccige)’: «càvali due o tre nodi de la coda, acciò che no meni la coda quand’altre cavalca». La stessa accezione si rinviene in diversi trattati veterinari cinque-seicenteschi (cf., tra gli altri, Ruini 1618, 261; e in riferimento al ‘coccige’ umano, è possibile che si tratti proprio di un trasferimento dal lessico veterinario). D’altra parte, l’uso, nei nostri mss., di voci come nodo e groppo per tradurre il lat. spondilium ‘vertebra’ (cf. s.v. spondilium), conferma la frequenza dell’associazione metaforica del nodo alle ‘vertebre’, tanto umane quanto animali. Voce registrata anche dal GDLI (§33) e dal TB (III, 494 s.v. nodo) nell’accezione specifica qui considerata, oltre che in quella più generale di ‘congiunture delle mani e de’ piedi’. Nel DEI (IV, 2594 s.v. nodo), per l’àmbito anatomico, nodo è registrato solo nel significato di ‘giuntura del collo col capo’ (e in tale accezione è già presente in Crusca1). Cf. Altieri Biagi (1970, 65–66: coda; 104: osso dela coda), Gualdo (1996, 48: coda).

nodus ‘vertebra’

– nodus pedis ‘malleolo’ (315)

♦ Loc. e collocazioni: – nodus caudae ‘coccige’ (296)

nodo del pe’: V («chauterio sul nodo del pe’») 68v; nodo del piede: R 170v; nodo de lo pede: B 73r

[Du Cange V, 601c]

562 

 6 Glossario

▲ Cf. fior.a. nodi de’ piedi (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; metà sec. XIV, PistoleSeneca, OVI); si veda anche una formula analoga come il fior.a. nodo del tallone (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI). Loc. assente nel GDLI (che registra però forme simili, come nodo della mano ‘polso’) in tale specifica accezione. Baldinucci (1681, 108 e 122: «Il piè dell’uomo composto, di collo, di noci dette nodelli, di talloni, di calcagno, di dita, d’ugne, di pianta») pone invece a lemma la polirematica noce del piede, attestando anche un dimin. nodello come suo sinonimo.

nucha ‘regione cervicale posteriore del collo’ (2 occ.; 115) [Du Cange V, 619b]

nuca f.: R («la prima spondole del collo la quale sequita la nuca») 97r (2); nucha: V 28v, 42v; ~: B 29r, 44v ▲ Il significato primitivo è quello di ‘filo delle reni’, passato nel lat. tardo nucha attraverso l’ar. nuḫā ‘midollo spinale’ e, successivamente, diffusosi anche nell’accezione moderna ‘collottola’ come termine anatomico nella scuola salernitana: cf. DEI (IV, 2608), DELIN, 1050; Pellegrini (1972, 83–84), Serianni (2005, 102). Prima attestazione: nuca (ante 1321, DanteCommedia, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 101), Marcovecchio (1993, 585), Sboarina (2000, 205), D’Anzi (2012a, 355), Elsheikh (2016 II, 228).

occipitium ‘occipite, osso occipitale’ (2 occ.; 313) [TLL IX 2, 356]

1. ocipicio m.: R («nella stremità dello ocipicio») 168v, 169r 2. pos capister m.: B («al fiza fato in lo pos capister, e questi cotali cauterij se conveneno a la paralisia») 72v (2)

3. parte de dreto de la testa: B («in la extremitade de la parte de dreto de la testa») 72v ▲ 1. Voce dotta ancora poco attestata nel corso del Trecento: in OVI se ne rinvengono appena due occorrenze (tosc.a. ocipiçio e occipiccio, ante 1361, UbertinoBrescia); presente solo in Crusca5. A partire da Crusca3, tuttavia, si registra una forma cipresso nel senso di ‘parte posteriore del capo’, dal lat. occipitium, sulla base di una testimonianza presente in un volgarizzamento del Thesaurus pauperum: in realtà, come dimostrato da Zarra (2014), si tratta di una banalizzazione della forma cipesso, normale esito popolare (con discrezione dell’articolo), in area pisana, del lat. occipitium. Cf. André (1991, 32), D’Anzi (2012a, 357). 2. Non si rintracciano attestazioni: il secondo componente della polirematica non sarà tanto il latinismo non adattato capister, variante di capistrum (cf. Du Cange II, 138), quanto un esito volgare derivato dal lat. capistrum, con epentesi di voc. irrazionale come conseguenza della caduta della vocale finale dopo consonante più r (fenomeno per il resto quasi assente in B, ma tradizionalmente individuato fra i tratti caratterizzanti del bergamasco: cf. Tomasoni 1986b, 230; Rohlfs 1966–1969, §338). Il primo componente è invece la preposizione pos (molto ricorrente in B come esito del lat. post, con mancato sviluppo s > i: cf. Tiraboschi 1873 s.v. pós; Rohlfs 1966–1969, §308): pos capister indicherebbe dunque la regione occipitale, secondo un’accezione che non appartiene, però, alla voce latina capister/capistrum ‘capestro, cavezza’ (cf. REW §1631).54 Non si ritrovano forme analoghe neppure nel LEI (X, 1712 s.v. capistrum): si tratterebbe, allora, di uno sviluppo semantico che accosta capistrum alla forma base caput, e che, con l’aggiunta della preposizione pos, diviene una tradu-

54 Cherubini (1839–1856 I) registra capèster: ‘dicono nell’Alto Mil. e verso il Comasco per Tirapée’ (scil.: la correggia usata dal calzolaio).

I Anatomia 

zione perifrastica del lat. occipitium (cf. 3. per la perifrasi, anch’essa in B, parte de dreto de la testa). 3. Cf. le loc. analoghe testimoniate in OVI: tosc. parte di dietro del capo (1318–20, FrBarberinoReggimento); fior.a. ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); fior.a. parte dietro del capo (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg).

orificium ‘apertura di una ferita o di una cavità del corpo con funzione di sbocco o di comunicazione’ (16 occ.; 21) [TLL IX 2, 977]

1. bocca f.: R («dicie Avicenna che sanò una piaga grande che avea il fondo nel ginocchio e lla bocca nella coscia»)55 13v;56 bocha: V 8r (2), 23r, 27v (2), 28r, 36r; ~: B 11r 2. buso m.: B («azò che [...] per lo largamento in lo buso e principio de la piaga, lo veneno corra de fora») 5v, 6v (3), 22r, 22v, 27r, 27v (3), 28r (2), 28v, 37r, 69r; buxo: V 65v 3. orificio (horificio) m.: R («suoi horifici sono più e più») 59r (3), 59v (2), 60v, 79r, 156v 4. principio m.: B (cf. 1) 5v, 6v57 ▲ 1. DEI: voce assente in tale accezione. GDLI (§11): voce registrata col valore, più generico, di ‘apertura, orifizio’; una situazione analoga si osserva nel TLIO (§7 ‘via naturale d’accesso o di passaggio’; solo in §8.2.6 si registra la loc. nom. bocca dello stomaco); è invece presente nel LEI (VII, 1205: CrescenziVolg) col significato di ‘apertura di una ferita’: che esista, infatti, un uso di bocca proprio in tale accezione può essere anche confermato da una doppia occorrenza, per il tosc.a., della loc. bocca della ferita (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI; sempre nello stesso testo si

55 Ms.: e lla bocca ella della coscia. 56 Ms.: onorificio. 57 In entrambe le occorrenze si tratta di una dittologia: al lat. orificium corrispondono buso e principio (5v) e principio e buso (6r).

 563

legge anche la loc. bocca della fistola, per la quale cf. infra); la stessa loc. si rintraccia facilmente anche in trattati medici dei secoli successivi (si veda, tra gli altri, James 1753 XI, 752: vi si leggono bocca della ferita e orifizio della ferita). 2. Cf. s.v. foramen (1.). 3. Forma dotta scarsamente documentata nel corso del Trecento. Prima attestazione: fior.a. orifitio (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); grazie al corpus OVI si possono aggiungere quindici occorrenze presenti nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV), dove è molto frequente soprattutto la polirematica orifitij de le vene, e due nel pis.a. (1385/95, FrButi). Voce presente solo da Crusca3. Cf. Gentile (1979, 70), Marcovecchio (1993, 613), Green (2009, 404), D’Anzi (2012a, 360), Elsheikh (2016 II, 233). 4. Cf. GDLI (§3 ‘punto del corpo umano in cui s’individua una particolare struttura anatomica’): prima attestazione in Dante (ante 1313). ♦ Loc. e collocazioni: – orificium fistulae ‘orifizio fistoloso’ (2 occ.; 109) [Cf. → s.v. fistula (sezione 2)]

1. bocha f.: V («se la bocha serà streta [...] fa’ lo taio sì che larga») 27v 2. buso de la fistula: B («se lo buso de la fistula serà stricto como è de sua usanza, fiza largato cum lo rasore») 27v, 69r; buxo de la fistolla: V 65v 3. orificio della fistola: R («se llo orificio della fistola serà stretto [...] sia allargata») 59r, 156r ▲ 1. Cf. supra (1.) 2. Cf. fior.a. bocca dela fistola (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); tosc.a. bocca della fistola (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). 3. Cf. pad.a. orifitio de le fistolle (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). – orificium vulneris ‘orifizio della ferita’ (2 occ.; 38) 1. bocha de la piaga: B («la figura fiza conza in tale modo che la bocha de la piaga sia de

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 6 Glossario

sotto») 22r; bocha della piaga: V 11r; bocha della ulzera: V 23r 2. buso de la piaga: B («la putredine [...] non pò discorere de fora per la seratura de li busi de la piaga») 9v ▲ 1. Cf. fior.a. bocca della piaga (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI) oltre al già ricordato (cf. supra) tosc.a. bocca della ferita (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Anche la loc. ┌buco dell’ulcera┐ si può leggere in molti trattati posteriori, almeno dal Cinquecento (cf. Dalla Croce 1583, VI, 15r: bocca dell’ulcera) fino all’Ottocento. Cf. Elsheikh (2016 II, 102 s.v. bocca de la fedita). 2. Non si rintracciano attestazioni in OVI, ma non mancano forme analoghe nei secoli successivi: cf., tra gli altri, Da Vigo 1560, 83r (buco della piaga).

os ‘apertura di un organo cavo o di una patologia interna’ [TLL IX 2, 1077]

♦ Loc. e collocazioni: – os (cancri) ‘principio della massa tumo­ rale’ (120) [Cf. → s.v. cancer (sezione 2)]

boccha f.: R («el cancro e pute molto [...] e lla sua boccha molto scianpia infino al fondo») 64v; bocha: V 30r; ~: B 30r ▲ Non si rintracciano usi analoghi di bocca con riferimento alla conformazione di patologie tumorali. – os vesicae ‘orifizio vescicale’ (306) [Cf. → s.v. vesica]

1. bocha de la vesica: B («comanda Albucasis che ti calchi in prima la grande a la bocha de la vesica») 71r 2. chollo de la vesiga: V («soavemente li removj dal chollo de la vesiga») 66v ▲ 1. Nel LEI (VII, 1205: bocca ‘bocca dello stomaco o altre parti del corpo umano’) non si

trovano locuzioni analoghe con riferimento alla vescica. La polirematica bocca della vescica è però registrata, in epoca moderna, da Tramater (1829–1840, I, 658 s.v. bocca: ‘l’orifizio, l’apertura della vescica’) e risulta ampiamente adottata nel corso dell’Ottocento. Cf. André (1991, 159: osculum vesicae, in Celio Aureliano). 2. Cf. s.v. collum (β.). – os (vulneris) ‘apertura esterna della ferita’ (25) bocha f.: V («da la bocha se strenza puocho, azò che la marza vegna fuora») 8r; ~: B 6v ▲ Cf. s.v. orificium (1.).

palatum ‘parete superiore del cavo orale’ (3 occ.; 208) [TLL X 1, 109]

palado (pallado) m.: V («quella umiditade non pasa al pallado») 48r (3); palato: R 111r, 112r; ~: B 50r (2), 50v ▲ Prima attestazione: grosset.a. palato (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI). L’unica testimonianza con dentale intervocalica sonorizzata presente in OVI è il venez.a. palado (1313–15, PaolinoMinorita, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 293), André (1991, 59), Marcovecchio (1993, 623), Aprile (2001a, 424), Barbato (2001a, 450), Green (2009, 405), D’Anzi (2012a, 362), Elsheikh (2016 II, 236).

palma ‘superficie ventrale della mano’ (4 occ.; 178) [TLL X 1, 141]

pallma f.: V («fracha la zontura chon li dedi grossi, over chon la radixe de la so pallma») 42r (2); palma: R 95v (2), 96v; ~: B 43v, 43v, 44r, 44v ▲ Prima attestazione: tosc.sud-or.a. palma (ante 1298, Questioni, TLIO s.v. palma §2). Cf. DEI (IV, 2733 s.v. palma); DELIN, 1118 (s.v.

I Anatomia 

palmo). Voce presente da Crusca1. Cf. Fanini (2015) per una storia del termine, di genere femminile sin dalle origini, ma diffusosi per lo più al genere maschile a partire dall’Ottocento; André (1991, 95), Marcovecchio (1993, 624), Elsheikh (2016 II, 236).

palpebra ‘ciascuna delle due pieghe cutanee mobili che proteggono l’occhio’ (14 occ.; 194) [palpebra, palpebrum TLL X 1, 160]

palpebra f.: R («aviene in alquanti huomini che lla palpebra si consalida colla biancheçça dell’occhio») 106v (3), 107v, 109v (3); ~: B 47r (2), 48r (4), 49v (5); palpebrea: R 104r; palpebria: B 47v, 48v; papelbra: R 105r; palpier[a]: V 46r, 47v; palpiero m.: V 45r (2), 45v, 46r, 46v (3), 47v (3) ▲ Prima attestazione: roman.a. palpebra f. pl. (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Nel lat. tardo prevale il neutro palpebrum (DEI IV, 2737), da cui sarà direttamente derivata la forma m. palpiero di V (al pari di palpiera con riduzione del gruppo -br-, attraverso una probabile fase intermedia palpevrio, secondo il consueto esito della labiale in venez.: cf. Sattin 1986, 79). La forma palpiera è attestata dall’OVI soltanto nel pad.a. di Serapiom (con trenta occorrenze, ma di lato alle forme palpebra e palpira: cf. Ineichen 1966, 293). Non si attestano in OVI occorrenze della voce con la desinenza -ea/-ia, né della forma metatetica papelbra (presente con un’unica occorrenza in R). Cf. Altieri Biagi (1970, 105), Tomasoni (1986b, 237: palpera), André (1991, 45), Marcovecchio (1993, 625), Aprile (2001a, 424), García Gonzáles (2007, 502), D’Anzi (2012a, 362), Elsheikh (2016 II, 235). ♦ Loc. e collocazioni: – palpebra inferior (206) palpebra de soto: B («Alcuna volta advene che la palpebra de soto se inversi») 49v; palpebra di sotto: R 109v; palpier de soto: V 47v

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▲ Cf., nel corpus OVI, tosc.a. palpebre di sotto (ante 1361, UbertinoBrescia); tosc.a. palpebra di sotto (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Più in generale, le locuzioni comuni ┌palpebra di sopra┐ e ┌palpebra di sotto┐ sono largamente presenti anche nei secoli successivi, accostate alle forme di derivazione dotta (cf., tra gli altri, James 1753 IX, 12: «Ognuno degli occhi ha due palpebre, una superiore, l’altra inferiore. Quella di sopra è maggiore, e delle due nell’uomo la più mobile. Più picciola e meno mobile è la palpebra di sotto»).

panniculus ‘membrana che avvolge la cavità di un organo’ (8 occ.; 5)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. panno m.: R («che non guastasse e’ panni del celabro») 74r; ~: B 32r 1.b. panichollo m.: V («in profondo è dita pontura, quanvis deo che in diaflama e in lli panicholli se dicha ronpidura») 3r, 31v (2), 33v (2), 46r, 58r, 60v, 68v; pannicolo (panicolo): R 3r, 73r, 105v, 135v, 169v; panniculo (paniculo): B 2r, 34r, 34v, 47v, 61r, 63v, 72v ▲ 1.a. DEI, DELIN: voce non attestata in tale accezione, ma presente nel GDLI (§20): Cavalca (‘panno del cervello’). Cf. Sboarina (2000, 205: pannicoli del cervello), D’Anzi (2012a, 363). 1.b. Prima attestazione: pis.a. > fior.a. panniculi (1309, GiordPisaPredGenesi, OVI). DEI (IV, 2749); DELIN, 1124. La voce giunge fino alla lingua contemporanea dell’anatomia (Cf. GRADIT); già presente in Crusca1 con riferimento specifico al ‘diaframma’ (cf. s.v. diafragma 2.); da Crusca3 col valore più generico qui discusso. Cf. Ineichen (1966, 293), Gentile (1979, 68), Tomasoni (1986b, 237), Nystedt (1988, 252), Marcovecchio (1993, 628), Gualdo (1996, 57), Aprile (2001a, 424), Tomasin (2010, 64), Mazzeo (2011, 270), D’Anzi (2012a, 363), Elsheikh (2016 II, 235).

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 6 Glossario

pecten ‘pube’ (5 occ.; 39) [TLL X 1, 904]

1. pectine m.: B («dovemo unzere simelmente lo pectine, zoè lo pectinaculo, e lo inguine che è apresso lo membro occulto») 10r 2. pectinaculo m.: B (cf. 1.) 10r, 63r, 65v, 68r, 70r, 71r; petenechio: V 11r, 66v, 67r; peteneio: V 64r 3. pettignone (pettegnone) m.: R («nell’ossa delle gambe, overo negli piedi, o nello pettignone») 21v, 160r, 162r, 162v; pettognone: R 145r ▲ 1. Voce non attestata in TLIO e Crusca in tale accezione; il GDLI (s.v. pettine §15) la registra, invece, dalla fine del Quattrocento (Fasciculo di medicina volgare). Cf. André (1991, 227), Marcovecchio (1993, 641: «La prima attestaz[ione] in senso anatomico risale a Cels[o]»), García Gonzáles (2007, 505), Green (2009, 405). 2. Andrà presupposta una base latina pectinĭcŭlu(m) (REW §6331 ne registra soltanto l’accezione di ‘piccolo pettine’; DEI IV, 2885 s.v. pettinicchio lat. *pectiniculus: «adattamento del venez. petenécio»); il berg. pectinaculo, nello specifico, deriverà da una forma con suffisso -aculu(m) piuttosto che -iculu(m). Qui come altrove, però, risalta con evidenza la sovrapposizione tra latino e volgare nella formazione di una lingua della medicina nel Medioevo: il Du Cange VI, 237a, infatti, registra la forma latina pectenegium come derivata da una corrispondente voce settentrionale volgare: «ab Italico Petteneggio». Voce assente in Crusca (che registra, però, il sost. pettignone: cf. infra 3.). Nel corpus OVI se ne rintracciano quattro testimonianze, tutte di area veneta: la più antica è il trevig.a. peteneclo (pm. sec. XIV, Lapidario). Cf. Ineichen (1966, 294), Altieri Biagi (1970, 109), Nystedt (1988, 255), Gualdo (1996, 59), Sboarina (2000, 206). 3. Dal lat. *pectiniōne(m), calco del gr. κτείς secondo il DEI (IV, 2884). Prima attestazione: fior.a pettingnone (1310, BencivenniSantà, OVI); voce presente già in Crusca1 e attestata ancora nei versi di Monti, Imbriani e, nel Nove-

cento, di Cesareo (cf. GDLI). Cf. Gleßgen (1996, 521), Elsheikh (2016 II, 241), Zarra (2018, 583).

pecten pedis ‘metatarso’ (187) [Du Cange VI, 237a]

1. planta del pe’: V («con ligamento che una parte vada soto la planta del pe’ e l’altro a la chavechia») 43v; planta del pede: B 46r 2. petto del piè: R («co llegamento el quale l’una parte atenda al petto del piè e ll’altra vada alla caviglia») 101r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. piante di piedi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); cf. GDLI (s.v. pianta §11); voce presente da Crusca1 (s.v. pianta2). Cf. Tomasoni (1986b, 237), Zarra (2018, 583). 2. In lat. si usava tanto la loc. pecten pedis, quanto pecten manus ‘metacarpo’ (cf. Marcovecchio 1993, 641). Altieri Biagi (1970, 108): «gli arabi ‹calcano› il greco kteís con muschṯ al-kaff [scil.: mušṯ al-kaff] e i traduttori rendono questo termine [...] con pecten (manus e pedis)». Prima attestazione: fior.a. petten (pq. sec. XIV., AlmansoreVolg, TLIO s.v. piede §5). Voce non registrata in tale accezione in Crusca e DEI. Cf. Elsheikh (2016 II, 241 e 243 s.vv. pettene, petten e piè).

pellicula ‘membrana che ha l’aspetto di una pelle molto sottile’ (6 occ.; 49) [TLL X 1, 1000]

1. cotenna f.: R («guardati che ttu [...] non tocchi la cotenna») 71r 2. panicholl[o] m.: V («guarda che tu non tochi li panicholli») 32v 3.a. pelle f.: R («né pelle né llo celabro si dannasse») 71r, 135r (2); ~: V 58r (2) 3.b. pellexell[a] f.: V («che tu non fazi noximento a le pellexelle58 nì al zellebro») 32v

58 Ms.: pelle pellexelle.

I Anatomia 

3.c. pelsinela (pelsinella) f.: B («in li logi carnosi in li quali sono pochi nervi, vene, pelsinelli») 12v, 33r (2), 60v, 66v 4. pellicol[a] (pellicol[a]) f.: R («ne’ luoghi carnosi ne’ quali sono pochi nerbi, vene, pellicole») 27v, 148r; pilicholl[a]: V 14r ▲ 1. Cf. s.v. cutis (3.). 2. Cf. s.v. panniculus (1.b.). 3.a. Cf. s.v. cutis (6.). 3.b. Prima attestazione: fior.a. pellicella (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); cf. GDLI (s.v. pellicella §2) e Crusca1. Il GDLI (§1) attesta come primo significato quello di ‘placenta’ (in B. Giamboni). Cf. Sosnowski (2014, 226: pelexina ‘pellicina, membrana che copre il nervo’). 3.c. Voce non attestata altrove: si tratterà probabilmente di una forma metatetica da *pellisella, con la successiva epentesi di n (cf. Rohlfs 1966–1969, §334) a separare le due vocali venutesi a trovare in iato. 4. Prima attestazione: fior.a. pellicola (pm. sec. XIV, CrescenziVolg [ed. Santa Eugenia], OVI); voce presente già da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 294), Gentile (1979, 68), André (1991, 200), Marcovecchio (1993, 643), Aprile (2001a, 430), Mazzeo (2011, 270), D’Anzi (2012a, 365), Elsheikh (2016 II, 238).

pia mater ‘il più interno ed esile dei tre foglietti delle meningi’ (3 occ.; 128) [Du Cange V, 303; cf. → s.v. dura mater]

pia mare f.: V («li velami si è li panicholli, l’uno viene dito pia mare e l’altro dura mare») 31v (2), 32r (2); pia mater: B 32r (2), 32v; pia matre: R 69r (2), 69v ▲ Al pari di duramadre (cf. s.v. dura mater), si tratta di un calco dell’originaria voce araba umm ad-dimāg-ar-raqīqa («perché protegge il cervello come una madre protegge il figlio»: DELIN, 1183; DEI IV, 2892). Poche le testimonianze trecentesche: fior.a. pia madre (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI);

 567

it.sett.a. pia mare (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO s.v. piamadre); tosc.a. pia madre (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Voce registrata a partire da Crusca3 (s.v. madre). Cf. Altieri Biagi (1970, 109; 1998, 110), García Gonzáles (2007, 431 s.v. fren), D’Anzi (2012a, 366).

piscis (anchae) ‘cavità cotiloidea, acetabolo’ (315)

[Assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. bissola f.: B («cauteriza [...] poy che ti abia signato cum incostro in lo circuito de la bissola») 73r (2); bissola de l’ancha: B 73r59 1.b. bossolo m.: R («cauteriça sopra lo bossolo dell’anca») 170r (2); bossolo dell’anca: R 170v ▲ 1.a., 1.b. La voce lat. piscis è una variante di pyxis (gr. πυξίς) ‘scatola’ (Du Cange VI, 335b; cf. REW §6892); già in epoca imperiale, poi, a pyxis si associa anche la forma buxis, -idis (cf. LEI VIII, 557), da cui, evidentemente, provengono le forme volgari più comuni boss-/buss-. Il GDLI non attesta un valore simile a quello qui presente per il sost. bossolo, che pure è rintracciabile ancora in Gherardini (1852–1857 I, 346 s.v. anca): «Ne’ quali (ossi) sono i bossoli, cioè le concavitadi dell’anche; nelle quali concavitadi entrano i capi dell’ossa che sono nelle cosce». Il LEI (VIII, 542) testimonia come la voce ┌bossolo┐ sia passata a indicare differenti ‘parti del corpo umano’: più nello specifico, poi, vi si registra proprio il valore qui esaminato di ‘cavità delle anche’, la cui prima attestazione è però fissata soltanto alla fine del Seicento (ante 1698, Redi); voce assente in Crusca in tale accezione. Cf. Altieri Biagi (1970, 107), D’Anzi (2012a, 368: pisside), Elsheikh (2016 II, 245 s.v. pisside: pisside dell’ancha).

59 Con l’accompagnamento della glossa: «zoè del galone», per la quale cf. s.v. ancha.

568 

 6 Glossario

pollex ‘primo e più grosso dito della mano’ (6 occ.; 165) [TLL X 1, 2541]

1. dito grosso m.: R («s’aconci il dito piccolino col grosso») 97r, 107v; ~: (digito grosso): B 40v, 43r, 43v, 44r (2), 48v 2. pollic[e] m.: R («poni i pollici tuoi overo el pugno») 93r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. dito grosso (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI). La stessa polirematica, molto diffusa in epoca antica e moderna (cf. Sboarina 2000, 151: «variante popolare di pollice, costruita allo stesso modo che in greco (ὁ μέγας δάκτυλος), in latino (digitus minor) e in tedesco (Daumen ‘il grosso’, dalla radice di tumeo ‘essere gonfio’, tumor ‘l’essere gonfio, rigonfiamento’»), ricorre, ancora nel corso dell’Ottocento, in molti testi specialistici di anatomia (cf., tra gli altri, Boyer 1835, 363: «il dito grosso del piede è la sede ordinario di questa malattia»). Cf. Altieri Biagi (1970, 72), Tomasoni (1986b, 235), Sboarina (2000, 198), D’Anzi (2012a, 311), Elsheikh (2016 II, 146). 2. Prima attestazione: mil.a. polex (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. pollice); voce registrata a partire da Crusca3. Cf. Altieri Biagi (1970, 111), André (1991, 101), Marcovecchio (1993, 688), D’Anzi (2012a, 346), Elsheikh (2016 II, 246).

porus ‘orifizio, foro di dimensioni per lo più microscopiche’ (9 occ.; 16)

[Assente in tale accezione in Du Cange; Forcellini III, 770]

2. poro (poros) m.: R («rompitura sia curata bene, imperciò che il poros strigne e ’ngenera spasimo») 22r, 38r, 41v, 102r, 167r; poro: V 6r, 11v, 15v, 18v, 20r, 44v, 64r, 64v, 68r; ~: (porro): B 4v, 10r, 12v, 14r, 19r (2), 72r ▲ 1. In OVI non si rintracciano formule perifrastiche analoghe in contesto anatomico. Più in generale, per il sost. buco ‘orifizio’, cf. s.v. foramen (1.). 2. Prima attestazione: tosc.or.a. pori (ante 1298, Questioni, TLIO s.v. poro); voce presente già in Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 112), André (1991, 201), Marcovecchio (1993, 692), Gleßgen (1996, 540), Sboarina (2000, 206), García Gonzáles (2007, 517), Mazzeo (2011, 271), D’Anzi (2012a, 369), Castrignanò (2014, 198), Elsheikh (2016 II, 249).

praepucium ‘piega della cute che riveste il glande del pene’ (292) [TLL X 2, 788]

1. prepucio m.: B («quando vene in lo capo del prepucio, zoè de la parte de lo membro de l’homo, sempre sono molli») 68r62 2. verga f.: R («quando vengono el capo della verga, senpre sono molli») 153r; ~: V 64v ▲ 1. Prima attestazione: pis.a. prepuzio (ante 1342, Cavalca, OVI). La corrispondente forma prépuce del fr. e dell’ingl. è attestata dal DEI già nel XII sec.; voce presente da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 114), André (1991, 176), Marcovecchio (1993, 697), Sboarina (2000, 207), Green (2009, 406), D’Anzi (2012a, 371). 2. Cf. s.v. virga.

1. buso pizeno m.: B («la largatione de li porri, zoè de li busi pizeni») 19r;60 buso pizeno de la pelle (buso pizin[o] de la pelle, buso pizinin[o] della pelle): B 10r, 12v, 14r61

60 Glossa di porro. 61 In tutte le occorrenze la voce è adottata come glossa di poro (cf. 2.).

62 Si noti la glossa «zoè de la parte de lo membro de l’homo».

I Anatomia 

pulmo ‘polmone’ (7 occ.; 36) [TLL X 2, 2595]

pollmone (polmone, polmon, pollmon) m.: V («in le piage del pollmone e del diaflama») 10r, 12v, 13r (3), 13v, 21v, 68v; polmone: R 19r, 25v, 26r (2), 43v; pulmone: B 9r, 11v (2), 12r, 20r, 72v ▲ Prima attestazione: aret.a. polmone (1282, RestArezzo, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 256), André (1991, 119), Marcovecchio (1993, 718), Sboarina (2000, 205), Aprile (2001a, 451), Green (2009, 407), Mazzeo (2011, 271), D’Anzi (2012a, 371), Elsheikh (2016 II, 246).

pupilla ‘apertura posta al centro dell’iride dell’occhio, che regola il passaggio dei raggi luminosi’ (4 occ.; 196) [TLL X 2, 2665]

1. lume de l’ogio: B («perch’el’è paura [...] che la pupilla, zoè la lume de l’ogio, non fiza perforata») 47v63 2. popilla f.: R («avegna a llui ruttura64 et perforassesi65 la popilla») 105r (2), 107v (2); ~ (popila, pupila): V 45v (3), 46v (2); pupilla (pupila): B 47v (2), 48v ▲ 1. È di notevole interesse la polirematica ┌ lume dell’occhio┐, che, pur ricorrendo una sola volta in B, non rappresenta una coniazione personale del volgarizzatore: la ritroviamo, infatti, proprio nel contesto linguistico bergamasco, all’interno del glossario pubblicato da Lorck (1893), dove si legge la lum de-l og. Si tratta, in ogni caso, di una formula diffusa già dalla fine del Duecento,

63 Glossa di pupilla. 64 Ms.: nuttura. 65 Ms.: perpeforassesi.

 569

in Toscana e altrove: fior.a. lume degl’occhi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Cf. Sboarina (2000, 203: lumella dell’occhio), Quaglino (2013, 120). 2. Prima attestazione: tosc.or.a. pupilla (ante 1298, Questioni, TLIO); voce presente già da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 294), Altieri Biagi (1970, 114), Tomasoni (1986b, 238), André (1991, 154), Marcovecchio (1993, 720), Sboarina (2000, 207), Aprile (2001a, 452), Barbato (2001a, 472), García Gonzáles (2007, 520), D’Anzi (2012a, 372), Elsheikh (2016 II, 248 e 253).

radix ‘parte di un organo impiantata nei tessuti circostanti; per estens.: parte inferiore di un membro’ (8 occ.; 197) [TLL XII 2, 41]

1. barba f.: R («si ponga il medicame aguto a tanto che consumi la barba») 153r, 154r 2. radice f.: R («ricide quello che rimane apresso alla radice lagrimale cogli spatimogli») 105v, 110v, 115r, 125v, 132v, 139r (2), 151v, 155r (2), 166v, 167r (2), 169v, 170r; ~: B 47v, 67v, 68v (2), 72r (3), 72v; radixe: V 23r, 45v, 63r, 65r (3), 68r ▲ 1. Cf. DEI (I, 429 s.v. barba2) col significato di ‘insieme delle radici sottili e filamentose delle piante’, da cui, per estensione, sarà passato a indicare anche altre tipologie di radice, come quella degli organi corporei (cf. usi figurati di barba ‘radice’ in TLIO §2.1.). Per l’àmbito anatomico, il GDLI registra barba (§11) come ‘radice del dente’ con un’unica attestazione (ante 1571, B. Cellini); con lo stesso significato è già in Crusca1 (‘A questa similit. diciamo anche, barba di nascenza, di dente, e di simili cose’: cf. infra, s.v. radix dentis). 2. Nel corpus ReMediA si possono leggere alcune occorrenze di àmbito specificamente anatomico: fior.a. radice (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg). Cf. D’Anzi (2012a, 374).

570 

 6 Glossario

♦ Loc. e collocazioni: – radix dentis (2 occ.; 212) radice de lo dente: B («fi ponuta la tyriacha maiore in la radice de li denti») 51r (2); radice de’ denti: R 113r; radixe del dente: V 48v, 49r ▲ Loc. attestata già nei testi trecenteschi: tosc.a. radici de’ denti (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Le attestazioni del GDLI partono soltanto dal Cinquecento (cf. supra, s.v. radix 1.). Cf. André (1991, 62).

ren ‘ciascuno dei due organi situati nella parte posteriore dell’addome e deputati a depurare l’organismo’ (6 occ.; 45) [Du Cange VII, 122c]

1. rene f./f. pl.: V («le rene, e lo figado, e lo stomego») 12v (2), 25r, 66r (3); reni f. pl.: R 25r, 159v (2); ~: B 11v (2), 24v, 70r (2) 2. schiena f.: B («La preda alcuna volta fi generata in li reni, zoè in la schiena»)66 ▲ 1. Prima attestazione: grosset.a. reni f. pl. (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI). Voce presente solo da Crusca3, per quanto essa si rintracci all’interno di esempi d’autore accolti sotto altri lemmi. Cf. Nystedt (1988, 263), André (1991, 157), Marcovecchio (1993, 738), Gualdo (1996, 61), Sboarina (2000, 207), Aprile (2001a, 462), Green (2009, 408), Mazzeo (2011, 271), D’Anzi (2012a, 378), Castrignanò (2014, 202), Elsheikh (2016 II, 261), Zarra (2018, 584). 2. Voce non registrata in tale accezione dal GDLI. Il DEI (V, 3388 s.v. schiena) registra anche il valore di ‘animella’ (XVIII sec.), con riferimento, dunque, alle interiora commestibili degli animali. Per la spiccata polisemia della voce schiena, riscontrabile in B, cf. anche s.v. crus (per l’uso di schiena nel senso di ‘gamba’).

66 Glossa di reni.

rotula ‘osso breve, spugnoso, situato nella parte anteriore del ginocchio’ (187)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. padella f.: V («el zenochio [...] da la parte davanti non se deslusa per la padella che lo devieda») 43v (2); patella: B 45v67 2. rotulla f.: B («lo zinogio […] may non se disloca denanze, e questo è per la rotulla, zoè patella, la quale lo deveda») 45v; ruotola: R 100v ▲ 1. Dal lat. patĕlla, che è già in Celso e Celio Aureliano (André 1991, 109; Marcovecchio 1993, 638: «Solo al tempo di Cels[o] appare anche con valore metaforico anatomico»): cf. DEI (IV, 2802 s.v. patella1); REW (§6286). Prima attestazione: it.sett.a. padela (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO s.v. padella §5); voce presente da Crusca3. Cf. Altieri Biagi (1967, 16; 1970, 105), Aprile (2001a, 424); anche in area toscana (XIV sec., MaestroBartolomeo, TLIO; D’Anzi 2012a, 364). 2. Voce di trafila dotta; DELIN, 1414: «solo in Italia merid. ha avuto dei continuatori pop.». Prima attestazione: it.sett.a. rotula (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, GDLI; Altieri Biagi 1970, 117; nello stesso testo si trovano anche le varianti rotola e rodella, oltre alla forma sinonimica, già citata in 1., padela). Voce presente solo da Crusca4, ma nella forma rotella.

sacculus ‘piccola cavità anatomica o patologica contenente ghiandole o altri elementi’ (4 occ.; 257)

[Assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. saccho m.: R («talgla el saccho della scruofola») 135r; sacho: V 59r (2)

67 Glossa di rotulla (cf. 2).

I Anatomia 

1.b. sachadello m.: V («azò che tu non tai lo sachadello de la schrovolla») 58r; sacheto: V  59v; sachetto: B 61v, 62v; sacolo (saculo): R 135r, 137r, 138r; saculo: B 60v ▲ 1.a. È molto più tarda la prima attestazione registrata nel GDLI (s.v. sacco, §13 ‘ciascuna delle formazioni anatomiche cave, con pareti sottili, che racchiudono organi o sono deputate alla raccolta di secreti o di materiali nutritivi o di rifiuto’: ante 1758, Cocchi). Cf. Altieri Biagi (1970, 119: sacco), D’Anzi (2012a, 385). 1.b. Nel GDLI, per il dimin. sacchetto, non si registrano accezioni relative al campo anatomico.

scia ‘ischio’, uno dei tre elementi scheletrici, assieme a ilio e pube, costituenti l’osso iliaco’ (315) [Du Cange VII, 353c]

1. galone m.: B («Contra la siatica passione, zoè contra lo dolore overo la gota de li galoni, firà lo cauterio sopra lo galone») 73r 2. scia f.: R («sia fatto il cauterio sì come detto e sopra scia quando aviene che ssi disluoghi») 170v ▲ 1. Cf. s.v. ancha (2.). 2. La letteratura medica tardo-latina usa le forme, di derivazione greca, ischia e scia (< τὰ ἰσχία ‘le anche’: cf. André 1991, 106–107). Voce assente in DELIN e DEI, che registra (III, 2111), però, il sost., oggi comune nel linguaggio medico, ischio ‘osso del bacino’. Du Cange (VII, 353c) attesta il solo sost. scia, che può indicare sia l’osso dell’ischio sia la ‘sciatica’. Alcune testimonianze di scia si possono rintracciare in area toscana consultando il corpus OVI (fior.a., pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; tosc.a., sec. XIV, MaestroBartolomeo: cf. anche TLIO s.v. scia). Il GDLI (s.v. scia2) registra due sole attestazioni, la seconda delle quali nel Fasciculo di medicina volgare (1494); voce assente in Crusca (mentre il sost. ischio è registrato solo in Crusca5). Nei secoli successivi la voce scia è sostanzialmente rimpiazzata

 571

dalla polirematica osso scio (cf. Crusca3 s.v. sciatica), frequentemente adottata nei trattati anatomici sei-settecenteschi (cf., tra gli altri, Petrioli 1742, CXVII: «si sgrava imediatamente il sangue della gamba, e non quello dell’osso scio»). Cf. D’Anzi (2012a, 388).

spatula ‘spalla; scapola’ (3 occ.; 174) [Du Cange VII, 546a]

spalla f.: R («el soditello [...] non si disvolga e quello è per le spalle») 93r, 93v, 169v; ~: V 41r, 68v; spala (spalla): B 43r, 72v; spatula: B 42v ▲ L’esito popolare spalla si attesta già nel secondo Duecento (1282, RestArezzo, OVI); il latinismo spatula si rintraccia in alcuni testi medici trecenteschi presenti in OVI: fior.a. spatula (pm. sec. XIV ChirurgiaFrugardoVolg); tosc.a. ~ (sec. XIV, MaestroBartolomeo); sic.a. ~ (XIV sec., ThesaurusPauperumVolg); sab.a. ~ (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Cf. Altieri Biagi (1967, 18), Nystedt (1988, 272), André (1991, 84), Marcovecchio (1993, 799 e 800), Green (2009, 411), Elsheikh (2016 II, 296). ♦ Loc. e collocazioni: – caput spatulae ‘capo omerale’ (162) capo de la spala: B («Lo adiutorio, como dice Albucasis, è quello che è inter lo gombeto fina a lo capo de la spala») 40r; capo delle spalle: R 86v68 ▲ Cf. fior.a. capo della spalla (1341 ca., LibriAlfonso, OVI).

spina ‘colonna vertebrale’ (2 occ.; 39) [Du Cange VII, 555a]

1. schiena f.: B («la curatione del spasmo per repletione si è ch’el fiza unta la coppa e lo collo e la schiena») 74v

68 Ms.: e lle spalle.

572 

 6 Glossario

2.a. spina (espina) f.: R («le fogle della cervice, della spina stropiccia coll’olio») 21v, 174r 2.b. spinale m.: B («nuy unzemo spesse volte lo collo, la copa, lo spinale, e soto li aselli») 10r; spinal della schena: V 69v ▲ 1. Prima attestazione: aret.a. schiena (1282, RestArezzo, OVI). DEI (V, 3388): XIV sec. «ha soppiantato dorsum ‘dosso’ nella massima parte dei dialetti it.». Cf. Elsheikh (2016 II, 280). 2.a. Voce assente nel DEI in tale accezione: molte attestazioni si possono leggere in OVI e ReMediA, a partire dal fior.a. spina (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); spina si trova anche in F1 (cc. 10r, 74v); lemma registrato già in Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 126), André (1991, 117), Marcovecchio (1993, 806); D’Anzi (2012a, 398) attesta più specificamente la loc. spina del dorso. 2.b. Cf. s.v. dorsum (4.).

splen ‘milza’ (5 occ.; 51) [Forcellini IV, 455]

1. milza f.: V («per pasion del figado e della milza») 60v; ~: B 13r (2), 63r (2), 73r 2. splen m.: R («per lo splen sia fatto [scil.: segatione] nel lato diritto») 140r; splene: R 140r, 170r; splenza (spllenza) f.: V 14v (2), 60v, 68v ▲ 1. Dal termine longobardo milzi (cf. DEI III, 2462). Prima attestazione: fior.a. milza (1271/75, FioriFilosafi, OVI); presente in Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 292), Nystedt (1988, 271 s.v. smilza), Marcovecchio (1993, 553), Sboarina (2000, 204), Barbato (2001a, 434), Mazzeo (2011, 269), D’Anzi (2012a, 350), Castrignanò (2014, 192), Elsheikh (2016 II, 214). 2. Il lat. splēne(m) viene dal gr. σπλήν, σπληνός. DEI (V, 3597 s.v. splene): «sostituito in quasi tutti i dialetti da milza»; cf. Alessio (1967, 190): «*splena, che troviamo anche in Sicilia, rappresenta senza dubbio un antico grecismo diffuso dalla Magna Grecia»; anche

per incrocio con spongia secondo il GDLI (s.v. spienza): voce assente in Crusca. Della forma di area veneta splenza si rintraccia una sola occorrenza in OVI (trevig.a. pm. sec. XIV, Lapidario, OVI). Cf. Altieri Biagi (1970, 125), André (1991, 157), Marcovecchio (1993, 807), García Gonzáles (2007, 465 s.v. lien), Mazzeo (2011, 272), D’Anzi (2012a, 399), Zarra (2018, 586 s.v. spiena).

spondilium ‘vertebra’ (7 occ.; 138) [spondilia n.pl. Du Cange VII, 561c]

1. gropo m.: B («in alcuni spondilij, zoè gropi, de lo dorso, zoè de lo spinale») 28v69 2. nodo de lo spinale: B («La dislocatione de li spondilij, zoè de li nodi de lo spinale, è molto timorosa») 44v70 3. spondile m.: R («della dislogatione delgli spondili») 97r (2), 98r (2); ~: B 44v (4), 73v; spondille: V 42v (4), 69v; spondilio: R 97v, 173v; ~: B 28v, 44v ▲ 1. L’uso del termine groppo ‘nodo’ per designare la ‘vertebra’ è in linea con tanta parte della lessicografia e del lessico (anche moderno) dell’anatomia, che associa al termine dotto spondile/-io proprio la definizione di ‘nodo’. Cf. DEI (V, 3599 s.v. spondilo): ‘nodo della spina dorsale’; il GDLI (s.v. groppo §6) registra diverse accezioni anatomiche (‘giuntura delle dita, articolazione’; ‘pomo d’Adamo’; ‘grumo; rilievo nodoso’), ma non quella qui esaminata di ‘vertebra’. 2. Non si rintracciano polirematiche analoghe in OVI; ma cf., ancora nel Settecento, nodi dello spinale (Graziani 1726, 36: «tosse sopraggiunse un dolore sì fiero, la cui violenza può facilmente arguirsi del rompersele tre nodi dello Spinale»). 3. Il lat. spondylus (già in Plinio) deriva dal gr. σπόνδυλος ‘vertebra’: cf. DEI (V, 3599). La

69 Glossa di spondilio. 70 Glossa di spondilio.

I Anatomia 

prima e unica attestazione rintracciabile in OVI è l’aret.a. spondile (1282, RestArezzo); voce assente in Crusca. Cf. Altieri Biagi (1967, 18; 1970, 126), Nystedt (1988, 273), Marcovecchio (1993, 808), Gualdo (1996, 63), Green (2009, 411), D’Anzi (2012a, 399), Elsheikh (2016 II, 299). ♦ Loc. e collocazioni: – spondilium colli ‘vertebra del collo’ (2 occ.; 181) spondil del chollo: V («s’el primo spondil del chollo che seguita la nucha non può retifichare») 42v; spondile del collo: R 97r; spondile del collo: B 44v (2); spondole del collo: R 97r71 ▲ Cf. spondilij del chollo nei codici di Leonardo (Sabachnikoff 1901, 145); diverse attestazioni si rinvengono anche nei trattati del Cinquecento (cf. tra gli altri, Bairo 1561, 43r: «Fa ancho bene l’unger la nuca e gli spondili del collo con olio d’artemisia»). – spondilium costarum ‘vertebra delle coste’ (113) spondilio de li costi: B («quando ella [scil.: fistula] vene in alcuni spondilij, zoè gropi, de lo dorso, zoè de lo spinale, o de li costi o ad alcuni de li zoncturi, [...] ella è incurabile») 28v72 ▲ Cf. spondilij delle coste nei codici di Leonardo (Sabachnikoff 1898, 103). – spondilium dorsi ‘vertebra del dorso’ (4 occ.; 113) 1. spond[a] del dosso: R («dell’anca overo della coscia overo delle sponde del dosso») 62r 2. spondile del dosso: R («serà la dislogatione delli spondigli del dosso») 97v, 170v;

71 Ms.: spondole. 72 Con l’accompagnamento della glossa gropo (cf. s.v. spondilium 1.).

 573

spondile ┌de lo┐ dosso (spondile de lo dorso): B 28v, 29r, 44v (2), 73r; spondille del dosso (spondil del dosso): V 42v, 68v (2) ▲ 1. Non si rintracciano altrove usi del sost. f. sponda (che qui potrebbe rappresentare una semplice banalizzazione di copista) col significato di ‘spondile’. 2. Loc. ben attestata nei trattati medici cinque-seicenteschi (cf., tra gli altri, Sansovino 1550, 41v: «Dell’ossa, alcune sono a sostentamento del corpo come sono i focili delle braccia e delle gambe gli spondili del dorso»).

stomachus ‘organo dell’apparato digerente posto tra l’esofago e l’intestino’ (5 occ.; 45) [Forcellini VII, 499]

stomaco m.: R («Membri secondo più e più significationi della morte [...] sono sì come vescica, celabro, cuore, epar, diaframma, stomaco») 25r, 25v, 43v, 87v, 117r; ~ (stomacho): B 11v (2), 20r, 40v, 52v; stomego (stomecho): V 12v, 21v, 35r ▲ DEI (V, 3640): «dovunque è voce dotta». Prima attestazione: grosset.a. stomacho (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, TLIO). Cf. Ineichen (1966, 296), Nystedt (1988, 274), André (1991, 132), Marcovecchio (1993, 821), Aprile (2001a, 496), García Gonzáles (2007, 550), Tomasin (2010, 75), Mazzeo (2011, 272), D’Anzi (2012a, 401), Elsheikh (2016 II, 302), Zarra (2018, 587).

subascella ‘parte inferiore della cavità ascellare’ (8 occ.; 39)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1. asell[a] (assell[a]) f.: B («se la infirmitade non serà in li logi evacuatorij, como è in lo collo, sotto li aselli et in li inguini») 54v (2), 59r 2. schaio m.: V («Lo chollo è vachuator del zellebro e i schai del chuor») 52v, 56v

574 

 6 Glossario

3. soditello m.: R73 («nel collo e sotto el soditello») 121v; sotto il ditello: R 121v 4. sotoasell[a] f.: B («la perforatione fiza secondo la longeza, [...] in sotoaselli») 58r, 59v, 62r; soto la asell[a] (soto la assell[a]): B 10r (2), 59v; subasella: V 11r74 5. soto el schaio m.: V («in lo chollo e soto i schai e in l’anguinie») 52v, 55v (2), 56r, 56v, 59r ▲ 1. Cf. s.v. ascella (1.) 2. Cf. s.v. ala (2.) e ascella, di cui schaio è l’unico traducente nel ms. V: qui, dunque, per estensione, è adottato anche a indicare la subascella, voce non particolarmente diffusa nei testi latini medievali, ma che in Bruno designa evidentemente una zona più circoscritta rispetto alla cavità ascellare nel suo complesso. 3. Dal lat. titillicus ‘ascella’ (cf. DEI II; 1362 s.v. ditello: XIV sec.; DEI V, 3804 s.v. titillare): soditello sarà una forma composta da ditello (cf. Sboarina 2000, 201: ditella f. pl. ‘ascelle’) e dall’avverbio sotto, come si dedurrebbe peraltro dalla forma analitica sotto il ditello, anch’essa presente in R. Potrebbe però anche derivare direttamente da una forma lat. *subtitillicus, secondo la ricostruzione prospettata da Flechia (1873, 320: «Il sub-titillicus, che qui si congettura come base del sot-tatilleco napolitano, verrebbe anche a corroborare vieppiù la deduzione di solleticare, solletico da * sub[til]liticare, *sub[til]liticus, *subtitillicare, *subtitillicus»). Dal TLIO si ricavano anche attestazioni duecentesche della forma base ┌ ditello┐ (registrata già in Crusca1; cf. Elsheikh 2016 II, 146; Zarra 2018, 575): la più antica è il grosset.a. ditella f. pl. (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto). Di soditello si leggono invece quattro occorrenze nel fior.a. di Libri Alfonso

73 In diversi casi (cf. cc. 132v, 137v e passim) si legge l’errore mascelle in corrispondenza del lat. subascellae. 74 Accompagnata dalla glossa: «zò i schai» (cf. 2.).

(1341ca., OVI). Il GDLI registra soditello, ma nel significato di ‘ghiandola ascellare ingrossata’, oggetto dunque di un allargamento semantico, dal luogo anatomico alla patologia che in esso si sviluppa. Cf. s.v. titillicus (punti 4. e 5.). 4. Non si rintracciano attestazioni del sost. ┌ sottoascella┐/┌sottascella┐. L’attributo relativo sottoascellare è però attestabile almeno dall’Ottocento nel significato di ‘situato sotto l’ascella’ (già usato da O. Targioni Tozzetti in quello botanico di ‘situato sotto l’ascella di una foglia’: 1802, GDLI). Cf. André (1991, 81). 5. La forma soto li scaii si legge in venez.a. (1344, IscrizioneSMariaCarità, OVI). Cf. la forma base schaio (s.v. ala).

syphac ‘peritoneo’ (32 occ.; 32) [Du Cange VII, 495b]

1.a. panno m.: B («alcuna volta penetra, zoè passa, fina a lo siphac, zoè a lo panno») 31v, 40r75 1.b. panichollo m.: V («chonserva el panichollo ch’el non se ronpa») 38r, 38v; panniculo: B 28v, 33v, 34r (2), 46r; panniculo che è apresso li budelli: B 8r;76 panichollo che choverze le budelle: V 9v;77 paniculo de dentro: B 2v 2. sifac (sifach) m.: R («cuci lu sifach tenendo la piaga collo dito») 16v, 17r (2), 19r, 61r, 72r, 73r (3), 74r (5), 84r, 86r, 102r, 104v, 140r (2), 142r (2, 146v (4); ~: V 9v (2), 10r, 28v, 31r, 33v (3), 34r (4), 44r, 45v, 60v (5), 61v (2), 63v (2); siphac (syphac): B 7v, 8r (3), 28r, 31v, 33v, 34r (3), 34v (5), 39r, 46r, 47v, 63r (3), 63v (2), 64v (2), 66r (4) ▲ 1.a., 1.b. Per l’adozione dei sostantivi generici panno e pannicolo al fine di indicare vari

75 In entrambe le occorrenze la voce è adottata come glossa di siphac (cf. 2.). 76 Voce adottata come glossa di siphac (cf. 2.). 77 Cf. nota supra.

I Anatomia 

tipi di membrane del corpo, cf. s.v. panniculus. In particolare, un certo uso antonomastico di panno si registra in B anche per tradurre la voce dotta diafragma (ma con l’aggiunta del complemento di specificazione del core: cf. s.v. diafragma 2.). Allo stesso modo, si osservi in V e B l’uso antonomastico di ┌pannicolo┐, maggioritario rispetto alle formule perifrastiche panniculo che è apresso li budelli, paniculo de dentro (in B), e panichollo che choverze le budelle (in V). Il GDLI conferma questa tendenza, registrando (s.v. pannicolo) anche il significato di ‘ciascuno dei due foglietti che costituiscono il peritoneo’ (ante 1568, L. Tansillo). 2. Arabismo (ṣifāq) di grande fortuna nella lingua anatomica medievale in latino (Pellegrini 1972, 84): la forma mediolatina syphac è adottata nel 1087 da Costantino Africano (cf. Du Cange VII, 495b: «Unde spatia inter intestina et pelliculam, quae Syphac dicitur, implentur»). La testimonianza più antica rintracciabile è il fior.a. siphac presente nell’Almansore (1330ca.: cf. Piro 2011, 4-2492; Elsheikh 2016 II, 290). Sono scarse le attestazioni trecentesche ricavabili da OVI e ReMediA. Attestazioni parallele nel XIV sec. si possono rintracciare non solo in francese (cf. Tittel 2004, 393), ma anche in spagnolo (cifaque: DRAE). Voce registrata dal GDLI fino al pieno Cinquecento (1561, A. Citolini), ma assente in Crusca; cf. Ineichen (1966, 295), Altieri Biagi (1967, 17; 1970, 123–124), Gualdo (1996, 63), García Gonzáles (2007, 495 s.v. omentum), Mazzeo (2011, 265), D’Anzi (2012a, 393).

tempus ‘regione della testa situata lateralmente alla fronte’ (7 occ.; 13)

 575

2. tenpano (tinpano) m. (†): R («nelle vene della fronte e del tenpano») 103r (2);78 tenparo: R 104r ▲ 1. Dal n.pl. tempora, quasi certamente attraverso un lat. pop. *tempŭla (DELIN, 1675). Prima attestazione: fior.a. tempia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Cf. André (1991, 31), Marcovecchio (1993, 852), Aprile (2001a, 509), Barbato (2001a, 510), Green (2009, 412), D’Anzi (2012a, 407), Elsheikh (2016 II, 311), Zarra (2018, 588). 2. La forma ┌timpano┐ indurebbe a ipotizzare un errore di copista, per quanto frequente all’interno del volgarizzamento nelle tre diverse forme attestate (tenpano, tinpano, tenparo). Restano tuttavia dei dubbi, almeno per ciò che riguarda l’ipotesi di un’impropria associazione al termine timpano: quest’ultimo, infatti, nel significato ancora attuale di ‘membrana timpanica’, sembra essere un termine d’introduzione posteriore, di cui non si rintracciano attestazioni in OVI e ReMediA (cf. GDLI: 1583, Dalla Croce; DEI: ante 1574, ma sempre col valore di ‘cavità dell’orecchio’; Marcovecchio 1993, 889: «non è mai stato usato in senso med[ico] nell’antichità gr.-lat. Soltanto dal XVI è stato introdotto per metafora come termine tecnico, dall’anatomista it. G. Falloppio»).

tenon ‘tendine’ (38) [Forcellini IV, 692]

1. chorda f.: V («la pontura del nervo, per chomunacione ch’el à con la chorda, è ato a muoverse el spaxemo») 10v; cord[a] grande: B 9v 2. tenitos m. (†): R («la puntura del nervo e tenitos è apparecchiato a chiamare lo spasimo») 20v

[timpus Du Cange VIII, 107c]

1. tempia f.: R («dice che à veduto molti polsi sanare sì come [...] delle tempie») 6v, 103v; ~: B 3v, 46v (3), 47r (2), 72v; tenpia (tenpla): V 5r, 44v, 45r (4), 68v

78 A c. 169r si legge la dittologia tinpera, overo tempana.

576 

 6 Glossario

▲ 1. Cf. DEI (II, 1104). Nel senso di ‘legamento muscolare’, il termine è attestato dal primo Trecento: it.sett.a. corde (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO §7). Voce presente già in Crusca1, ma con un riferimento specifico ai nervi del collo (‘E corde del collo, diciamo a’ nervi del collo, detti da’ Greci τένοντες’). Cf. Altieri Biagi (1970, 69), D’Anzi (2012a, 298), Elsheikh (2016 II, 132). 2. Dal gr. τένων (cf. André 1991, 208). Si tratterà di una deformazione del genit. tenantos, presente nell’originale latino, ed evidentemente non compreso dal volgarizzatore alla base del testo di R.

testiculus ‘ciascuna delle due ghiandole genitali maschili contenute nello scroto’ (35 occ.; 69)

[Forcellini IV, 712; cf. → s.v. bursa testiculorum] 1. borsa f.: V («quando la rotura aviene a l’inguinaie, el budello non desende a la borsa») 61v79 2. choion[e] (choion) m.: V («se chonvien anchora aloe, propiamente de li choioni») 19r, 44r, 55v, 60r, 61r, 62v (6), 63r (9), 63v, 64r (4), 67r (2) 3. intesticu[lo] (intestico[lo]) m.: R («sia il segare secondo la quantità la quale sia possibile acciò che tornino per quella gli intesticogli») 148r, 148v, 149r (3), 149v, 150r, 150v (2), 152r; testichollo: V 64r; testiculo: B 17v, 46r, 58r, 62v, 64r, 64v, 66v (4), 67r (8), 67v (12), 68r, 71r (2); ~ (testicolo): R 102r, 129v, 139r, 141r, 142r, 147r, 149v, 150r (3), 151r, 151v (2), 152r (5), 152v, 163r (3) ▲ 1. Cf. s.v. bursa testiculorum. 2. Dal lat. cōleō (DEI II, 1003: «panromanzo, ma né rum. né sardo»). Forma panitaliana ampiamente diffusa già dal secondo Ducento: la prima attestazione è il roman.a. colgoni m.

79 In corrispondenza del pl. lat. testiculi.

pl. (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 66), Tomasoni (1986b, 235: coyo, coyone), D’Anzi (2012a, 408), Elsheikh (2016 II, 126), Zarra (2018, 574). 3. Prima attestazione: aret.a. testicoli m. pl. (1282, RestArezzo, OVI); DEI (V, 3775 s.v. testicolo); voce presente da Crusca1. Non si rintracciano forme con prostesi di in- analoghe a quelle testimoniate da R, dove sono peraltro in numero significativo, per quanto inferiore al consueto testicolo: è forse lecito ipotizzare che possa aver agito anche una certa interferenza con le forme derivate da intestinum. Cf. Tomasoni (1986b, 239), Nystedt (1988, 273), André (1991, 178), Marcovecchio (1993, 856), Gualdo (1996, 63), Sboarina (2000, 208), Aprile (2001a, 511), García Gonzáles (2007, 487 s.v. orcis), Green (2009, 412), Mazzeo (2011, 273), Castrignanò (2014, 208), Elsheikh (2016 II, 315).

thorax ‘parte superiore del tronco, compresa tra il diaframma e la radice del collo’ (2 occ.; 35) [Forcellini IV, 726]

1. arca del peyto: B («quando vene li piagi in li parti del peyto o de l’arca del peyto [...]») 8v 2. fondi del peti: V («in le parte del peti over del toraze, zoè in lo fondi del peti») 10r80 3. torace m.: R («nelle parti del petto overo nel torace») 18v; toraze: V 10r ▲ 1. La loc. ┌arca del petto┐ non trova corrispondenze nel corpus OVI e ReMediA, né è registrata dal GDLI (s.v. arca) in tale accezione: non mancano, tuttavia, alcune testimonianze posteriori. Si veda, ad es., il Dittionario volgare et latino di Toscanella (1568, 71), dove arca del petto è posto a lemma proprio in corrispondenza del lat. thorax.

80 Glossa di toraze (cf. 3.).

I Anatomia 

2. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA, ma qualche testimonianza si può leggere in alcuni testi sette-ottocenteschi: cf., tra gli altri, A. Vallisneri 1733, 10: «Il simile fa l’ultimo pajo, ch’esce dal fondo del petto, ch’è alquanto più lungo degli altri»). Per la forma veneziana peti, cf. Stussi (1965, LXII) e Formentin (2004), che da ultimo propone di ricondurre questo sost. sg. m. a forme protoromanze del tipo *latos, *fondos, rianalizzate come plurali di 2a declinazione. 3. DEI (V, 3825): voce attestata solo dal XVII sec.; assente in Crusca (pur comparendo, in alcuni esempi d’autore, da Crusca3: cf. s.v. notomista); tre-quattrocentesca è la prima attestazione registrata nel GDLI (prat.a., ante 1432, Domenico da Prato). Dalla consultazione del corpus OVI se ne ricavano appena due occorrenze (entrambe in MaestroBartolomeo: tosc.a., sec. XIV), che consentono di retrodatare la voce al Trecento. Cf. André (1991, 220), Marcovecchio (1993, 861), D’Anzi (2012a, 409).

tibia ‘tibia’ (283) [Forcellini IV, 729]

gamba f.: B («ligelo a la tavola cum li fassi in tri logi, zoè cum una in li gambi appresso lo calcagnio [...]») 66v; ganba: R 147v; ~: V 63v ▲ Sia B sia V ricorrono all’uso parzialmente sineddotico di gamba (di per sé indicante anzitutto il segmento, sorretto da tibia e perone, compreso tra ginocchio e caviglia) per designare la ‘tibia’. La voce dotta tibia, difatti, appare decisamente poco testimoniata nel Trecento: in OVI se ne trovano appena due attestazioni (fior.a., pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; tosc.a., sec. XIV, MaestroBartolomeo); voce non registrata in Crusca (ma da Crusca3, al lemma anatomico focile si accompagna la seguente definizione: ‘Il focile maggiore della gamba, il dicono gli Anatomici tibia, ed il minore fibula). Cf. André (1991, 111), Marcovecchio (1993, 382), Green (2009, 413).

 577

titillicus ‘ascella’ (5 occ.; 159)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1. chantone m.: V («liga al chollo chon una fasa longa e redulla da ogni parte da zaschauno chantone») 38r 2. lesena f.: B («sotto la lesena fiza locato uno piumazo») 39v, 42v, 43v, 72v;81 leseno m: B 39v82 3. schaio m.: V («liga lo brazo de lo infermo al chollo e soto lo schaio meti uno chuxinello») 38r, 41r, 41v 4. soditello (sodditello 169v) m.: R («sia legato il braccio dello infermo al collo suo e sotto el soditello sia allogato el piumacciuolo») 84v, 93r, 94v 5. titilico m.: B («Li savi àno dicto che la spala se disloga in tri modi […], lo terzo a la parte inferiore verso lo titilico, zoè la lesena») 42v, 43v, 72v; tirtilico: B 39v 6. toccatura f.: R («riduci quella da ogni parte di ciascheduna della toccatura») 84v ▲ 1. Non si rintracciano altrove attestazioni di cantone per designare, nello specifico, l’ ‘ascella’ (con riferimento, evidentemente, alla forma angolare della cavità ascellare): si tratta, comunque, di un hapax anche all’interno di V. 2. Voce di etimo incerto: il DEI (III, 2208), registrando il senso di ‘pilastro incasato’ (presente anche in Tiraboschi 1873, s.v. leséna), richiama una forma laseina dell’emil. (1286, Chronicon Mutinense), che può assumere il valore di ‘cavo dell’ascella’; essa deriverebbe da un lat. region. *láxeuma, a sua volta dal gr. láxeuma-atos ‘lavoro o scultura in pietra’, grecismo dell’Esarcato di Ravenna. La connessione tra l’accezione architettonica e quella di ‘ascella’ resta incerta per il DELIN, 865, che avanza però, analogamente al DEI, l’ipotesi di una derivazione da una forma lat.

81 In tre occorrenze (42v, 43v, 72v) la voce è adottata come glossa di titilico (cf. 5.). 82 Glossa di tirtilico (cf. 5.).

578 

 6 Glossario

reg. *láxeuma. Cf. DEDI (s.v. leṡéna): «per il Belli 1930 si tratta invece del lat. axĭlla, con agglutinazione dell’articolo, cioè *lassel(l) a > laṡéna, con dissimilazione di l-l in l-n, ma rimane non spiegata la ṡ invece di s nei dialetti odierni». Nocentini (2010 s.v. lesèna) propende per una diversa base di partenza, che permetterebbe di spiegare le difficoltà fonetiche (spostamento dell’accento, passaggio x > s sonora e quello di m > n) che s’incontrano muovendo da láxeuma: «queste difficoltà scompaiono se si parte da *alasare come esito del lat. volg. *allatiāre, da cui il der. *alasèna, *alasìna (la variante lasina è documentata nel XIII sec.) con successivo assorbimento della a- iniziale da parte dell’art. det. e assimilazione della vocale pretonica a quella tonica». Ancora diversa è la spiegazione offerta dal LEI (III-2, 2774), che collega la voce al lat. *agina ‘foro in cui passa l’ago della bilancia’, registrandone le due accezioni fondamentali in volgare, di ‘ascella’ e ‘risalto di muro’, coincidenti «cronologicamente e semanticamente con l’it. ala ‘ascella’ [...] e ‘parte laterale di una costruzione’ [...]. L’estensione semantica di ala alla terminologia architettonica avrà permesso analogamente il passaggio dell’emil. ┌leséna/ laséna┐ da ‘ascella’ a ‘risalto di un muro’, con successiva introduzione dell’emilianismo nell’it. tecnico del Seicento». La soluzione più convincente, e forse definitiva, è stata recentemente offerta da Parenti (2017), che la fa piuttosto derivare da un dimin. *ālicīna ‘aletta’, da cui, come primo esito volgare, le forme *aležìna o *alesìna, a seconda delle zone. Come testimonia il LEI, la voce, diffusa pressoché in tutti i dialetti settentrionali col significato proprio dell’architettura, fino a trovare una dimensione nazionale, appare invece confinata all’area emiliana e lombarda occidentale in quello di ‘ascella’. Prima attestazione: mant.a. laxena (1299/1309, Belcalzer, OVI). Cf. Angeli (1821 s.v. lesèna ‘ascella, ditello’); Altieri Biagi (1970, 89). 3. Cf. s.v. ala (2.). 4. Cf. s.v. subascella (3.).

5. Il latinismo titilico è presente nei volgarizzamenti di Guglielmo da Saliceto considerati da Altieri Biagi (1970, 129). Si vedano poi i primi due esiti dialettali registrati da Flechia (1873, 319: cf. s.v. subascella) con mantenimento della sillaba iniziale, che normalmente va incontro ad aferesi: «l’ ‘ascella’, come parte del corpo dove principalmente ha luogo il solletico, viene dai Tarantini chiamata titiddeco (= titillico), dai Napolitani tetelleca». La forma tirtilico, testimoniata da B, sarà frutto dell’inserimento di un suono dissimilativo all’interno della coppia iniziale titi-. Cf. Castrignanò (2014, 208). 6. Voce non attestata altrove in quest’accezione: al pari di stracciatura ‘muscolo’ (cf. s.v. lacertus), anche toccatura lascerebbe ipotizzare una sorta di calco semantico derivato dai valori originari delle forme lat. titillicus e titillare ‘solletico’ e ‘fare solletico, suscitare il solletico toccando’.

trachea arteria ‘trachea’ (218) [trachia Forcellini IV, 758]

artaria f.: V («squinancia [...] se fa in isofago, epigloto, in l’artaria») 50r; ~: B 52r ▲ I due significati già latini di arteria sono a) ‘trachea’ e b) ‘arteria, vaso sanguigno’ (quest’ultimo è secondario ed è un’estensione semantica del primo: LEI III-1, 1476; Serianni 2005, 101). L’uso di ┌arteria┐, con l’omissione di trachea, risponderà dunque al valore semantico originario della voce latina: in tale forma (arteria), la prima attestazione è il roman.a. artere (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Non si trovano attestazioni di ┌trachea┐ in OVI e ReMediA; voce assente anche in Crusca; GDLI: con uso aggettivale (trachea artaria), il termine si registra già in GuglielmoPiacenzaVolgA (pm. sec. XIV; Altieri Biagi 1970, 130); come sost., a partire da Leonardo. Ancora nei testi dell’Ottocento si rinviene talvolta la polirematica trachea arteria al posto del sost. semplice trachea (cf.,

I Anatomia 

tra gli altri, Ganz 1836, 354). Cf. Altieri Biagi (1967, 18), André (1991, 122), Marcovecchio (1993, 84 e 872), Aprile (2001a, 254), García Gonzáles (2007, 561), D’Anzi (2012a, 274), Elsheikh (2016 II, 317).

tunica ‘membrana che svolge funzione di rivestimento degli organi’ (2 occ.; 12) [Forcellini IV, 831]

1. pelle f.: B («guarda bene che li tunici, zoè pelli, che sono appresso a quelli non fizano damnati») 52r83 2. tonac[a] f.: R («dicono che lo polso si è composto di due tonache et l’una è cartilaginosa») 6r; tunic[a]: B 115v; tonega (toniga): V 4v, 49v 3. veste f.: B («una de li doy tunici, zoè vesti, de l’arteria è cartilaginosa») 3v84 ▲ 1. Cf. s.v. cutis (6.). 2. Voce assente in tale accezione nel DEI (V, 3816 s.v. tunica), ma registrata dal GDLI (§3). La prima attestazione è in DanteConvivio (1304–07, OVI; GDLI). Nel significato di ‘buccia, membrana’ è già in Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 130), Gentile (1979, 68), Nystedt (1988, 279), Marcovecchio (1993, 857), Gualdo (1996, 64), Sboarina (2000, 209), Aprile (2001, 518), Mazzeo (2011, 273), D’Anzi (2012, 413). 3. DEI (V, 4038): voce assente in tale accezione; il GDLI (§12) la registra invece, per l’àmbito anatomico, soltanto col valore più specifico di ‘placenta’ (ante 1564, L. Domenichi).

umbilicus ‘ombelico’ (5 occ.; 268) [Forcellini IV, 855]

1. bellico m.: R («sia perforata la cotenna [...] di sotto al bellico») 140r, 141r; bolligollo (boli-

83 Glossa di tunica. 84 Glossa di tunica.

 579

gollo): V 61r (3); bonigollo: V 60v, 68v; unbi­ lico: R 141r; unbilco: R 170r 2. biguello m.: B 63r, 64r (3), 72v ▲ 1. Dal lat. umbilicus: mostrano ampia diffusione gli sviluppi aferetici, prevalenti anche nei nostri mss. Cf. DEI (I, 479 s.v bellico): «il tipo con -ll- che è toscano, meridionale e sardo non è stato ancora spiegato soddisfacemente»; prima attestazione: aret.a. belico (1282, RestArezzo, TLIO s.v. ombelico); bellico è registrato già da Crusca1. La forma di partenza di bolligollo (V) è, più propriamente, il dimin. lat. *umbiliculus (REW §9044), con successiva palatalizzazione della vocale atona (cf. Sattin 1986, 69) nell’originaria forma bellicolo, di ampia diffusione italiana (cf. già il bol.a. beligolo/biligolo, 1324–28, JacLana, OVI). Il successivo sviluppo per dissimilazione bolligollo > bonigollo, in area veneziana, è attestato anche in Boerio (1856), che pone a lemma proprio la forma bonigolo, e in Cortelazzo (2007, 203); cf. GDLI (s.v. bellico). Solo R testimonia, dei tre mss., la forma dotta unbilico, anche nella variante semidotta unbilco, con caduta della voc. postonica, che non risulta attestata altrove. Cf. Ineichen (1966, 293), André (1991, 226), Marcovecchio (1993, 895), Gualdo (1996, 56), Aprile (2001a, 520), Green (2009, 414), D’Anzi (2012a, 413), Elsheikh (2016 II, 100), Zarra (2018, 571). 2. Per la forma biguello di B, cf. DEDI (s.v. bìgol, ‘membro virile’, ma anche ‘ombelico’, voce attestata esclusivamente in area settentrionale, oltre che nel marchigiano): «anche se non del tutto sicura, è attendibile la proposta derivazione dal grecismo latino bombyx ‘verme’ [...] attraverso il supposto diminutivo *bombicŭlus ‘vermicello’. Il significato secondario di ‘ombelico’ è probabilmente dovuto ad un incrocio con qualche continuatore di umbilīcus da cui l’italiano bellico e bellicolo»; il LEI (V, 876 e 885) registra il termine in alcuni dialetti lombardi ed emiliani, presupponendo a sua volta un incrocio con *umbiliculu ‘ombelico’ (poi anche ‘membro virile’), ma riconducendo

580 

 6 Glossario

piuttosto a una «base fonosimbolica *bak/*bek-/*bik-/*buk-, che deve risalire gia all’epoca tardo-latina, data l’evoluzione fonetica popolare di -k- nell’ltalia settentrionale». Cf. già il mant.a. bigol (1299/09, Belcalzer, TLIO s.v. ombellico); Tomasoni (1986b, 233: bigolo). ♦ Loc. e collocazioni: – circuitus umbilici ‘cerchio dell’ombe­ lico’ (2 occ.; 272) 1. cerchio del bellico: R («segna collo incostro overo col carbone in tutto el cerchio del bellico») 141r, 141v; circo de lo biguello: B 64r (2) 2. dentorno lo bonigollo (intorno lo bonigollo): V («segna chon lo ingiostro over chon charbon dentorno lo bonigollo») 61r, 61v ▲ 1. Non si rinvengono locuzioni analoghe in OVI; tuttavia, da una consultazione di GoogleLibri si ricava una discreta presenza di ┌ cerchio dell’ombelico┐ anche in testi specialistici dell’Ottocento (cf., tra gli altri, Capuron 1841, 265: «Il cerchio dell’ombellico si unisce in modo così intimo col funicolo che lo traversa, che non esiste più separazione alcuna tra gli integumenti dell’uno e la guaina dell’altro»), fino a giungere all’epoca contemporanea.

lo ochio (1369–73, MaramauroExpositione). Entrambe le forme (concavo/concavità dell’occhio) si possono rintracciare anche in testi moderni, almeno tra Settecento e Ottocento (cf., tra gli altri, Pace 1729, 312: «La Camera scura è la concavità dell’occhio: il foro della finestra è la pupilla: il Vetro convesso è l’umor cristallino»). 2. Prima attestazione: fior.a. uvea (ante 1334, Ottimo, OVI); voce non registrata in Crusca (ma presente da Crusca3 s.v. cornea in alcuni esempi d’autore); cf. Marcovecchio (1993, 903), Quaglino (2013, 320), Elsheikh (2016 II, 326). ♦ Loc. e collocazioni: − tunica uvea ‘uvea’ (200) [Cf. → s.v. tunica]

tonega che à nome uvea: V («aviene alguna vollta che una tonega che à nome uvea se ronpe sì che la pende fuora») 46v; tunca che ssi chiama uvea: R 106v; tunica uvea f.: B 48r86 ▲ In OVI si rintraccia una sola attestazione della loc.: tosc.a. uvea tunicha (ante 1361, UbertinoBrescia); ampiamente attestata nei secoli successivi, fino all’età contemporanea.

uvula ‘ugola’ (7 occ.; 215) uvea ‘tunica del globo oculare’ (3 occ.; 195)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1. concavitade de l’ogio: B («quando fi facto per humore locante e adunante inter la uvea, zoè concavitade de l’ogio, e la cristalina, pò ben fir curato») 47r85 2. uvea f.: V («meti l’ago in la raixe de l’uvea de zoxo in suxo») 46v (3); ~ B 48r, 48v (2) ▲ 1. L’unica locuzione analoga ricavabile dall’OVI è il nap.a. > pad.a.-ven.a. concavo de

85 Glossa di uvea.

[Du Cange VIII, 397b]

1. lunella f.: B («Ma in prima è da considerare diligentemente che la lunella non sia sanguinolenta») 51v (4)87 2. ulula f.: B («Alcuna volta advene che la ulula, zoè lunella, fi elongata e se sconfia») 51v; urla (urlla): V 49r (4), 49v; uvla: B 51v (3); uvola: R 114r, 114v (3), 115r; uvula: B 51v, 52r

86 Con l’accompagnamento di una doppia glossa: «tunica, zoè pelle, uvea, zoè cornea». 87 In tre occorrenze la voce è adottata come glossa di ulula/uula (cf. 2).

I Anatomia 

▲ 1. DEDI (s.v. lunèla): «dal lat. tardo lūna ‘ugola’ cosiddetta per la forma lunata». Non si rintracciano testimonianze in OVI e ReMediA: si tratta di una forma la cui diffusione è particolarmente ben documentata nei dialetti della Lombardia orientale, antichi e moderni: cf. anzitutto Ghinassi (1965, 149) per il mant. lunella (1299/09, Belcazer), che costituisce con ogni probabilità la più antica attestazione. Il DEI (III, 2285 s.v. lunella2) la registra, nelle sue varianti fonetiche, come forma dialettale propria di bresc., berg., piem. e corso (lunétta), sulla base di quanto già attestato dal REW (§51632); GDLI e TB la attestano piuttosto nel significato di ‘pupilla’ (con una sola attestazione, del XIV sec.); lemma assente in Crusca. Cf. Nicolli (1832 s.v. lunella) per il piac.; Altieri Biagi (1970, 134: luneta). 2. Prima attestazione: fior.a. uvola (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. ùgola). In OVI non si rintracciano forme analoghe a quelle di V, con dissimilazione della laterale (urla, urlla), fenomeno ben attestato in area veneziana (cf. Stussi 1965, LX; Settin 1986, 90): per urla si veda anche Bertoni (1925, 85), che la registra in area modenese, e soprattutto il DEDI, che pone a lemma la forma ven., triest. e friul. gùrla, la cui trafila è illustrata attraverso la successione ūvula > ulula > urula > urla > gurla. B testimonia la forma assimilata (che elimina lo iato uvu-) ulula (attestata dall’OVI nel mant.a. di Belcalzer e nel pad.a. di Serapiom: cf. Ineichen 1966, 297), di lato a quella con conservazione della labiodentale uvula (prima attestazione: nap.a., sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, OVI), quest’ultima anche nella variante, con caduta della voc. postonica, uvla, di cui non si sono rintracciate altre attestazioni; la forma uvola è registrata già da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 133), André (1991, 68), Marcovecchio (1993, 904), Sboarina (2000, 209), Green (2009, 414), D’Anzi (2012a, 416), Elsheikh (2016 II, 326), Zarra (2018, 578 s.v. lucqula).

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velamen ‘membrana o strato di tessuto (anche artificiale) che funge da copertura di un organo o di una cavità del corpo’ (7 occ.; 125)

[Assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. panniculus]

1. acovatamento m.: B («la piaga fiza coverta cum alcuno acovatamento») 37r; covatamento: B 70r (2) 2.a. panno m: R («talgla tanto dell’osso che viene al panno») 67v (2), 69r (2); ~: B 31v (2), 32r, 39v88 2.b. panichollo m.: V («se de tute queste specie de ronpidura li panicholli del zervello serà lexi, zoè inpiagadi, sapi che quella serà pizolla inpiagadura») 31v, 38v 3.a. velame m.: R («inperciò che ll’osso pugne il velame») 85v, 159r; ~: V 31v, 66r 3.b. velamento m.: B («Li panni overo li velamenti de lo cervello sono doy») 32r, 31v, 39v89 ▲ 1. Voce di etimo non accertato: REW (§2351 s.v. cubare) registra le seguenti forme col significato di ‘coprire’: bellun. koatare, parm. e lomb. kuatá, piem. kuaté. Cf. Boerio (1867): coatarse ‘accovacciare e più frequentemente accovacciarsi’. Il TLIO registra la forma verbale covatare ‘coprire’, con una singola attestazione di area veneziana: covata (uq. sec. XII, ProverbiNatFem); non se ne rintracciano ulteriori testimonianze nel corpus OVI, tantomeno del sost. derivato acovatamento, con consueta prostesi vocalica. 2.a. Cf. s.v. panniculus (1.a.). 2.b. Cf. s.v. panniculus (1.b.). 3.a., 3.b. Le testimonianze presenti nell’OVI indicano genericamente qualcosa che funge da copertura (prime attestazioni, rispettivamente: 1304–07, DanteConvivio; ante 1321, Commedia). Entrambe le forme sono registrate

88 In due casi (c. 31v e 39v) dei quattro registrati, la voce panno è usata come glossa di velamento (cf. 3.b.). 89 Cf. nota supra.

582 

 6 Glossario

a partire da Crusca1, ma sempre nell’accezione più generica di ‘coprimento, coperta’. Il GDLI registra anche l’accezione di ‘membrana anatomica’ per la voce velame (§4), attestandola nel solo Dalla Croce (1583); cf., però, Marcovecchio (1993, 912 s.v. velamentum: «usato più volte anche da Cels[o], come termine med[ico], per metafora, nel senso di tunica»). Da una consultazione di GoogleLibri, entrambi i termini risultano ancora ben diffusi nella lingua anatomica moderna (cf., tra gli altri, Levi, 1834–1842, I, 396: «Internamente, si scorge evidentemente derivare da essa quel sottilissimo velamento che cuopre la faccia superiore o ventricolare del corpo striato»; «Quel sottile velame che si distende sulla sostanza cinerea dei corpi striati sarebbe forse una continuazione dell’aracnoidea che si distacchi a questo luogo, della lamina stessa?»).

vena ‘vaso sanguigno che porta il sangue dagli organi periferici al cuore’ (46 occ.; 5) [Du Cange VIII, 265a]

vena f.: R («altra è li membri molli come è la carne nervi o et vene et simili») 3r, 5v, 14r, 16v, 18r, 27v, 29r, 31r, 41v (3), 42v, 43r (2), 56r, 56v, 57v, 61r, 64r, 64v, 66v, 103r (5), 103v, 106r, 116r, 116v, 127r, 129r, 141r, 154r; ~: V 3r, 4v, 5r, 8r, 9v, 10r, 14v, 15v, 20r, 20v (4), 21r (3), 26v, 30r (2), 44v (6), 45r, 45v, 46r (2), 50r, 54v, 55v, 58v, 59v, 61r (2), 61v, 65r; ~: B 2r, 3v (2), 6v, 8r, 8v, 12v, 13r, 14r, 19r (4), 19v (3), 26r, 26v (2), 30r (2), 31r, 46v (8), 48r (2), 52v (2), 58r, 61r, 62v, 63v (2), 64r, 68v (3) ▲ Prima attestazione: roman.a. vene (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Cf. Marcovecchio (1993, 912). ♦ Loc. e collocazioni: – vena basilica/basilica ‘vena basilica, una delle due grandi vene dell’arto supe­ riore’ (4 occ.; 13)

1. basilica f.: R («esso dice che à veduto molti polsi sanare sì come quello che è sotto la basilica») 6v; baxilicha: V 5r; vena baxilicha: V 59r, 65r; vena basilica: B 62r, 67r, 68v; vena basilicha (vena basilica): R 137v, 154v 2. vena chomuna f.: V («La chura de la postiema challda si è de segnar della vena chomuna») 63r 3. vena del figado: V («baxillicha si è a dir la vena del figado») 5r90 4. vena de la testa: B («al disse che al à zà vezuto molte arterie essere solidate, como è quella che è sotto la vena de la testa») 3v ▲ 1. Secondo Altieri Biagi (1970, 54), l’agg. basilica non sarebbe da collegare in modo diretto al gr. βασιλικός, per quanto questa relazione s’impose presto: secondo la studiosa avrebbe agito, piuttosto, il tramite dell’ar. al-bāsilīq, reso con basilica nella traduzione latina del Liber Canonis di Avicenna (cf. DEI I, 450 s.v. basilica, vena): la forma greco-latina basilica s’impose decisamente nel corso del Medioevo, laddove quella araba restò periferica. Prima attestazione: fior.a. basilica (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg: LeMMA s.v. basilica); TLIO (s.v. basilico2 §1 e §1.1.); voce registrata solo da Crusca4,5. Cf. Marcovecchio (1993, 111), D’Anzi (2012a, 418), Castrignanò (2014, 212), Elsheikh (2016 II, 329 s.v. vena). 2. La ┌vena comune┐ costituisce, in realtà, un elemento anatomico differente dalla vena basilica: presumibilmente si fa qui riferimento ai due vasi che insieme costituiscono la ‘vena cava’, il maggiore vaso sanguigno dell’organismo. Non si rintracciano attestazioni in OVI e ReMediA; la loc., però, si ritrova spesso in testi posteriori, generando peraltro una certa confusione nomenclatoria, dovuta alla sua estrema genericità, nelle definizioni dei dizionari: cf. Crusca4 (s.v. comune), dove si registra altrettanto genericamente come ‘una delle vene del corpo dell’uomo così detta’. Cf. Altieri Biagi (1970, 67–68), Elsheikh (2016 II, 329 s.v. vena).

90 Glossa di baxillicha (cf. 1.).

I Anatomia 

3. Che non si tratti di una perifrasi del solo volgarizzatore di V, bensì di una formula comunemente diffusa in sostituzione del tecnicismo d’origine greca, ci viene confermato ancora nel Settecento da Winslow (1746, III, 49: «Gli antichi chiamavano la Basilica del Braccio destro Vena del fegato o Vena Epatica del Braccio»). Cf. fior.a. vena del fegato (1310, BencivenniSantà, OVI); vene del fegato (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). La corrispondente voce dotta vena epatica è comunque già attestabile dal Trecento: cf. fior.a. vena epatica (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO s.v. epatico §3): come segnalato nella definizione dal TLIO (‘vena del braccio che si credeva corrispondesse a quella del fegato’), si trattava di una designazione impropria, accolta anche da Crusca3 (‘Basilica diciamo per una delle vene del braccio, altrimenti detta Epatica, che anche si dice, e si scrive bassilica’), ma che non ha nulla a che vedere con le ‘vene epatiche’ come esse sono intese nell’anatomia contemporanea. Cf. Altieri Biagi (1970, 77), Elsheikh (2016 II, 330 s.v. vena). 4. Si tratterà di un probabile errore, indotto da sovrapposizione, forse già a livello dell’antigrafo latino, tra vena basilica e vena cephalica: cf. infra (s.v. vena cephalica 3.) – vena cephalica/cephalica ‘vena cefa­ lica, una delle due vene dell’arto superiore’ (6 occ.; 199) 1. vena cefalica f.: R («fagli la forbottomia della vena cefalica») 116v, 118v, 133r; ~: B (vena cephalica) 48r, 50v (2), 51v; vena zefalicha (vena zefallich; vena zefallicha): V 46r, 48v, 50r (2), 51r, 57r (2); zefalicha: V 49r 2. vena del capo: R («nel principio scemisi el sangue della vena del capo») 106r 3. vena de la testa: B («lo infirmo fiza salassato da la vena cephalica, zoè de la testa») 51v,91 52v, 53r, 59v

91 Glossa di vena cephalica.

 583

▲ 1. Il lat. vena cephalica («il nome sarebbe derivato dal fatto che gli antichi flebotomi solevano aprirla nelle ‘cefalee’; cf. anche l’arabo qīfāl»: DEI II, 838 s.v. cefalica, vena) è a sua volta un rifacimento del gr. ϕλέψ μεγάλη, sul quale si era già formato un lat. vena capitalis, poi soppiantato dal grecismo cephalica sulla base dell’equivalenza semantica tra capitalis e il gr. κεϕαλικός. L’agg. dotto cefalico è registrato dal TLIO (ma nel significato di ‘atto a curare il mal di testa’, con riferimento alla proprietà delle medicine): della loc. ┌vena cefalica┐ si rintracciano tre attestazioni fra OVI e ReMediA: la più antica è il fior.a. vena cefalica (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; cf. anche il tosc.a. vena ceffalea: ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); voce presente da Crusca3. Cf. Altieri Biagi (1970, 62), Pellegrini (1972, 85), Marcovecchio (1993, 163), D’Anzi (2012a, 418), Castrignanò (2014, 212), Elsheikh (2016 II, 117), Zarra (2018, 573). 2. e 3. Per perifrasi analoghe, vòlte a sostituire l’agg. cólto di origine greca, cf. già nel Trecento: fior. vene dela testa (1310, BencivenniSantà, OVI); sab.a. vena dellu capu (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI); Elsheikh (2016 II, 329 s.v. vena). – vena pulsatilis ‘vena pulsante, arteria’ (2 occ.; 5) 1. vena batant[e] f.: B («overo che la fi fata in le vene non batante e fi dicta salasso, o in le vene batante e fi dicta salasso overo sectione, zoè partitura») 2r; vena che bate: V 3r 2. vena che à pollso: V («Inperzò ch’è iii vene che non à polso e de pluj lieve chura e de mazor paura, altre si è che à pollso») 20v; vena che ha lo pulso: B 19r92 ▲ 1., 2. Si veda quanto già esposto alla voce arteria (3.) sull’aggiunta frequente, già in latino, di un attributo (in tal caso batante), vòlto a distinguere la fisiologia delle vene da quella delle arterie. Cf. fior.a. veni che battono 92 Con l’aggiunta della glossa «zoè che bate».

584 

 6 Glossario

(pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). GDLI e GRADIT registrano dal 1481 (Landino) il latinismo pulsatile (presente solo da Crusca4), sostituito da tutti e tre i nostri mss. con una perifrasi verbale: vene pulsatili, però, si legge già in CrescenziVolg (cf. TLIO s.v. pulsatile). – vena non pulsatilis ‘vena, vaso sangui­ gno distinto dalle arterie’ (5) 1. vena non batante: B («overo che la fi fata in le vene non batante e fi dicta salasso») 2r; vena che non bate: V 3r 2. vena che non à polso: R («fassi nelle vene che non àno polso») 3r ▲ Cf. supra (s.v. vena pulsatilis).

venter

[Du Cange VIII, 273b] α.‘ventre, parte cava del corpo dell’uomo o di un animale contenente l’intestino, lo stomaco e altri visceri’ (23 occ.; 30) 1. peyto m.: B («lo infirmo de’ fir cibato cum cibi generanti grande inflatione fina che lo suo ventre, o lo peyto, se infli») 39v93 2. stomacho m.: B («E quello che ha la piaga in lo ventre, zoè in lo stomacho, el ge vene nausea») 11v94 3. ventre m.: R («delle piaghe dello ventre») 15v, 16r, 16v (2), 17r (2), 25r, 26r, 78v, 85v, 93v, 94r, 102r, 129v, 141r, 142r, 146r, 147v; ~: V 9r (2), 9v (3), 12v, 13r (2), 35v, 38v (2), 41v, 42v, 44r, 60v (4), 61r (2), 61v; ~ (ventro): B 7v (2), 8r (4), 11v, 36v, 43r (2), 44v, 46r, 58r, 63r (2), 63v, 64r (3), 64v, 65v ▲ 1. Si tratta del normale esito galloromanzo del nesso -ct- > it: la forma peito, oltretutto, è «largamente diffusa negli antichi testi settentrionali anche all’esterno dell’area che ha regolarmente -ct- > it» (Bertoletti 2005, 190, nota 475; cf. Ghinassi 1965, 109; Stussi 1965, XXXIV; 1995b, 132).

93 Glossa di ventre. 94 Glossa di ventre.

2. L’uso sineddotico di stomaco, pur presente in una sola occorrenza in V, non è affatto insolito, soprattutto in area settentrionale, tanto da essere registrato anche dal GRADIT (§2); analogamente, il GDLI ne registra un uso esteso, ma con riferimento a ‘petto, addome, torace’ (prima attestazione registrata in Galilei). Cf. s.v. stomachus. 3. Prima attestazione: venez.a. ventre (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). Cf. Nystedt (1988, 282), André (1991, 132), Marcovecchio (1993, 913), Gualdo (1996, 65), Aprile (2001a, 526), Green (2009, 413), Mazzeo (2011, 274), D’Anzi (2012a, 419), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 331). β. ‘ventricolo cerebrale’ (130) [Assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini] 1. ventre m.: R («celabro [...] si divide in tre parti, in substantia velata e la mirolla e ’l ventre») 70r; ~: B 32v 2. ventricholl[o] m.: V («li ventricholli si è iii, zoè la parte dananti e de mezo e da driedo») 32r; ventricul[o]: B 32v (2)95 ▲ 1. DEI, GDLI: voce non registrata in tale accezione. In D’Anzi (2012a, 419), ventre è registrato anche col valore di ‘ventricolo cardiaco’; cf. Gualdo (1996, 66), Elsheikh (2016 II, 331). 2. Cf. s.v. ventriculus.

ventriculus ‘cavità all’interno di un organo con particolari caratteri morfologici e funzionali’ [Forcellini IV, 940]

♦ Loc. e collocazioni: – ventriculus cerebri ‘ventricolo cere­ brale’ (129) [Cf. → s.v. venter β.] 95 In un caso la voce è adottata come glossa di ventre (cf. 1).

I Anatomia 

ventricholl[o] del zervello: V («s’el taio va infina a li ventricholli del zervello, senza dubio lo infermo muore») 32r; ventricolo del celabro: R 69v; ventricul[o] del cervelo: B 32v ▲ Prima attestazione: fior.a. ventricolo del cervello (ante 1334, Ottimo, OVI; GDLI §2); DEI (V, 4014). Voce già registrata in Crusca1, ma come ‘dim. di ventre’, definizione che permane pressoché identica nelle successive edizioni: anche le occorrenze antiche desumibili dall’OVI sono in buona parte da collocare sotto questa accezione, nello specifico con rapporto allo stomaco degli animali (cf. anche DELIN, 1799); in FrButi (pis.a., 1385/95), invece, si registra l’uso del sost. semplice ventricolo con esplicito riferimento al cuore. Cf. Marcovecchio (1993, 914), D’Anzi (2012a, 420), Castrignanò (2014, 213), Valenti (2014, 763–765).

vesica ‘vescica urinaria’ (23 occ.; 45)

[Forcellini IV, 964; cf. → collum vesicae (s.v. collum 2.), os vesicae (s.v. os)] vescica (vescicha; vesica) f.: R («Membri [...] sono sì come vescica, celabro») 25r (2), 25v, 61r, 97r, 102r, 156r, 159v (3), 160r (3), 161r, 162v (2), 164r, 164v, 165v, 167r; vescia: R 162v; vesica: B 11r, 28v, 44v, 46v, 69r, 70r (6), 70v (2), 71r (3), 71v (3), 72r; vesiga (vesicha; visiga): V 12v (2), 13r, 28v, 42v, 44v, 65v, 66r (5), 66v (2), 67r (3), 67v (3), 68r ▲ Prima attestazione: fior.a. vescica (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Ernst (1966, 173), Altieri Biagi (1970, 137), Nystedt (1988, 282), André (1991, 158), Gualdo (1996, 66), Sboarina (2000, 209), Aprile (2001a, 528), Barbato (2001a, 524), Mazzeo (2011, 275), D’Anzi (2012a, 421), Castrignanò (2014, 213), Zarra (2018, 588).

 585

▲ Prima testimonianza: it.sett. villi (pm. sec. XIV sec., GugliemoPiacenzaVolgA, GDLI); la voce è attestata dal GDLI fino al Dalla Croce (1583). Dal corpus OVI si rintracciano soltanto due occorrenze del pad.a. villi m. pl. (fine sec. XIV, Serapiom); voce assente in Crusca. Cf. Altieri Biagi (1970, 138), Nystedt (1988, 282: ‘ciascuna delle piccole sporgenze presenti nella mucosa dell’intestino tenue’), Marcovecchio (1993, 920), D’Anzi (2012a, 416: ‘formazione allungata’).

virga ‘organo genitale maschile’ (14 occ.; 26)

[Assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini] verga (virga) f.: R («si puote aconciare in questa forma la mano, et lo piede, e lla verga») 13v, 102r, 129v, 151v (2), 152v (3), 160r (2), 161v, 163r, 165r, 165v; ~: V 8r, 44v, 55v, 63r, 64r (2), 64v, 66v (2), 67r, 67v (2); virga: B 6v, 46r, 58r, 67v (2), 68r (2), 70r (2), 70v, 71r, 71v (2) ▲ Prima attestazione: aret.a verga (1282, RestArezzo, TLIO §4); cf. DEI (V, 4020 s.v. verga2); presente già da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 297), Altieri Biagi (1970, 135), Tomasoni (1986b, 239), Nystedt (1988, 283), André (1991, 174), Marcovecchio (1993, 921), Sboarina (2000, 209), Aprile (2001a, 527), Green (2009, 413), Mazzeo (2011, 275), D’Anzi (2012a, 420), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 332), Zarra (2018, 588).

virilia ‘parti sessuali dell’uomo’ (290) [Forcellini IV, 1009]

[Forcellini IV, 992]

1. choioni m. pl.: V («le budelle vano in li choioni») 63r 2. membri de l’omo: B («in lo pectinaculo dependeno li membri de l’homo como de uno masculo pizeno») 68r

vill[o] m.: R («el talglare della carne e de’ villi») 130r (2); vill[o]: V 55v; vil[o]: B 58v

▲ 1. Cf. s.v. testiculus (2.). 2. Col valore specifico di ‘membro virile’, la prima attestazione è il fior.a. membro (1260–61

villus ‘fibra muscolare’ (2 occ.; 246)

586 

 6 Glossario

ca., LatiniRetorica, OVI; GDLI §3); voce presente da Crusca1. Cf. Altieri Biagi (1970, 94: membro de l’homo).

vulva ‘insieme degli organi genitali esterni femminili’ (4 occ.; 290) [Forcellini IV, 1046]

1. conno m.: R («infra quegli due testicugli la figura quasi sia come il conno della femmina») 152v, 167r (2); chono: V 68r (2) 2. natura f.: V («una figura sì chomo è la natura de una femena») 64r; ~: B 67v (2), 72r96 3. vulva f.: B («talia sopra quella secondo la operatione de la medietade de la vulva») 67v (2), 72r (2) ▲ 1. Dal lat. cunnus (cf. DEI II, 1065). In base alla consultazione di TLIO e OVI, la voce conno risulta attestata dal secondo Trecento, in due testi di area fiorentina, in: a) ante 1388, PucciTreFiglie; b) ante 1390, Pataffio; presente da Crusca2. Cf. André (1991, 185), Nystedt (1988, 215 s.v. conno). 2. Questo uso sostanzialmente eufemistico di natura, presente sia in V sia in B, è registrato anche dal GDLI (§26), che specifica nella definizione come il riferimento fosse legato soprattutto agli organi genitali femminili, ‘considerati sia nel loro complesso sia limitatamente a singole parti, come la vulva, la vagina e lo stesso utero’ (prima attestazione: tosc.a., inizio sec. XIV, MPolo). Si tratta di una risorsa già adottata dal latino classico e risalente nello specifico a Cicerone, che nel De divinatione usa il termine in riferimento agli organi sessuali sia maschili sia femminili (cf. Jacquart/Thomasset 1985, 32); più specificamente, poi, Baader (1967, 44) segnala la polirematica natura feminea come innovazione (ma dipendente dalla corrispondente forma araba) di Costantino Africano. Sembrerebbe trattarsi di un uso particolarmente diffuso nei testi di area settentrionale: cf. Inei-

96 In tutti i casi come glossa di vulva (cf. 3.).

chen (1966, 292), Altieri Biagi (1970, 99: natura dela femena), Tomasoni (1986b, 237), Marcovecchio (1993, 574), Gualdo (1996, 55), André (1991, 162), Sboarina (2000, 203: natura delle donne, luoghi naturali delle donne), Aprile (2001a, 411), Elsheikh (2016 II, 224), Zarra (2018, 581). 3. Prima attestazione: fior.a. vulva (1310, BencivenniSantà, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 297), André (1991, 185), Marcovecchio (1993, 929), Green (2009, 414), D’Anzi (2012a, 424), Elsheikh (2016 II, 339), Zarra (2018, 589).

ysmon ‘epiglottide’ (218)

[Forcellini IV, 992; cf. → s.v. epiglottis]

ismon m.: V («quando l’è ria spezia la qual se fa [...] in lo luogo ch’è dito ismon over enpligoto») 50r; ysmon: B 52r; ysmonam: R 116r ▲ La voce ysmon, glossata da Bruno con epiglottis («in loco qui dicitur ysmon vel epiglottis»), è una distorsione del gr. ἰσϑμός, che in italiano ha dato la forma ismo, variante largamente attestata di istmo. Il GDLI (s.v. istmo, ismo §3) registra sia il significato anatomico più generico (‘parte stretta di un organo che collega due formazioni più ampie’: 1630, N. Villani), sia la locuzione istmo delle fauci, presente ancora nel lessico contemporaneo dell’anatomia e corrispondente alla voce latina qui esaminata. Cf. Altieri Biagi (1970, 77: epigloto); Norri (2016, 557) attesta ismon anche nella lingua inglese antica dell’anatomia.

ysophagus ‘tratto del tubo digerente compreso tra la faringe e lo stomaco’ (218) [Du Cange IV, 429b]

isofago m.: V («e masimamente quando l’è ria spezia, la qual se fa in isofago, epigloto, in l’artaria») 50r; ysofago: B 52r; oisofago: R 116r ▲ Dal gr. οἰσοϕάγος. Sono molto tarde le prime attestazioni registrate dal DEI (II, 1538: XVI sec.)

I Anatomia 

e dal GDLI (s.v. esofago: 1590, Varchi). Si tratta, evidentemente, di un grecismo ancora poco vivo nel Trecento, e oggetto di un’accoglienza stabile nella lingua medica solo dalla prima età moderna: nei corpora OVI e ReMediA, infatti, se ne rintraccia un’unica testimonianza: fior.a. isofago (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); voce accolta solo a partire da Crusca3. Molto interessante è la forma contenuta in R, la quale, se non rappresenta un errore del copista, potrebbe ricalcare quella del dittongo greco οἰ-. Cf. Altieri Biagi (1970, 88), Marcovecchio (1993, 596), D’Anzi (2012a, 425).

zirbus ‘epiploon, omento’ (10 occ.; 7) [Du Cange VIII, 432a]

1. grassa de li budelli: B («se lo zirbo, zoè la grassa de li budelli, venisse fora cum li budelli») 8r97 2. panniculo de li budelli: B («alcuna volta insisse fora lo budello overo lo zirbo, zoè quello panniculo de li budelli») 11v98 3. rede f.: V («de redur le budelle e ’l zirbo, zoè la rede, et la plaga la qual adevien al budelo») 3v, 9r99 4. ventre m.: R («dello intestino overo del ventre») 26r 5. çirbo m.: R100 («se ttu truovi c’al çirbo sia giunta supefluità») 141r, 147r (2); zirbo: V 9v (2), 13r, 60v, 61v; ~: B 7v, 8r, 63v, 64r, 66r (2); zirbi: B 2v ▲ 1. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. Per il sost. grassa, cf. Nystedt (1988, 232).

97 Glossa di zirbo. 98 Cf. anche le generiche glosse, rispettivamente alle cc. 2v e 64r: «zoè uno paniculo», «zoè quello paniculo». 99 In entrambi i casi registrati, la voce è adottata come glossa di zirbo (cf. 5.). 100 Saranno degli errori di copista le forme ilorbo, c. 3v, e zembo, c. 16v (2).

 587

2. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA; ma si veda la loc. pannicolo degli intestini, che è la definizione adottata in alcuni dizionari latino-italiano del Settecento e dell’Ottocento per tradurre proprio l’arabismo zirbo (cf., tra gli altri, Roisecco 1763 I, s.v. zirbo); già in Crusca1, peraltro, s.v. rete (cf. infra 3.), si adotta la seguente definizione: ‘rete diciamo anche a quella cartalagine grassa, o pannicolo, che cuopre gl’intestini degli animali. Lat. omentum’. 3. In tale accezione, si tratta di una voce di provenienza veneta. DEI (V, 3235 s.v. rete2): «nel ven. redesèla [...]; in questo significato non è latino». Il DELIN, 1352 registra il significato di ‘omento usato per ravvolgervi fegatelli di maiale da friggere o arrostire allo spiedo’ (XIV sec.), oltre a quello propriamente anatomico qui esaminato (cf. Altieri Biagi 1970, 115: rede, redesella, redisella). Cf. GDLI (§21 ‘omento del maiale e di altri animali’); voce presente già da Crusca1. 4. Si tratta di un diffuso uso sineddotico del sost. ventre per indicare piuttosto un organo specifico in esso contenuto (cf. GDLI s.v.: ‘parte centrale e cava del corpo umano [...] e può indicare sia i visceri in essa contenuti, in partic. lo stomaco, l’intestino, sia la corrispondente parte esterna’); cf. s.v. venter. 5. DEI (V, 4117): il lat. mediev. zirbus viene dall’ar. ṯarb ‘intestini’; il REW (§8570a), al pari di FEW (19, 182) e Pellegrini (1972, 84), collega alla stessa forma araba ṯarb gli allotropi italiani trippa e zirbo (quest’ultima registrata dal REW anche per il port.). Il GDLI pone in Bencivenni (Crusca) la prima attestazione, non confermata però dalla consultazione del corpus OVI; le ultime attestazioni sono invece registrate nei versi di Pindemonte e Monti. Voce presente in Crusca3,4. Il ┌zirbo┐ rappresenta uno degli arabismi medici di maggiore diffusione e, soprattutto, di più lunga conservazione nella lingua specialistica italiana: da una consultazione di GoogleLibri, esso risulta ancora correntemente adottato nei trattati dell’Ottocento, oltre a essere accolto nei dizionari medici (cf., tra gli altri, Bégin 1834 s.v. zirbo). Cf. Altieri Biagi (1970, 64), García Gonzáles (2007, 574), D’Anzi (2012a, 425), Elsheikh (2016 II, 340).

588 

 6 Glossario

II Fisiologia e patologia abreviari ‘diventare più corto, ridursi’ (2 occ.; 184) [Forcellini I, 5]

1. abrevi[arsi] vb.pronl.: R («el piè dislogato s’abrevia») 99r (2) 2. ascurta[rse] vb.pronl.: B («lo pede dislocato se ascurta, e in lo pectinaculo vene la profunditade») 45r; schurta[rse]: V 43r ▲ 1. Prima attestazione: abr.a. abrevïare (sec. XIII, Proverbia, OVI). Cf. LEI (VII, 367). 2. DEI (V, 3419): «la v. è molto diffusa nei dial[etti] it[aliani]». Prima attestazione: mil.a. ascurtare (inizio sec. XIV sec., ElucidarioVolg, OVI; cf. TLIO s.v. ascortare); nel corpus OVI si leggono principalmente testimonianze di area lombarda, veneta ed emiliana, sia nella forma base sia in quella con prostesi vocalica settentrionale; scortare è già presente in Crusca1.

abscisio vocis ‘raucedine’ (129) [TLL I, 152]101

1. ascondimento de la voce: B («E de li mali accidenti sono como è perdere lo intellecto, sincopis zoè strangossare, ascondimento de la voce [...]») 32r 2. perdere la voxe: V («Li rei azidenti si è a perdere l’inteleto e chazere in angosa e perdere la voxe») 31v 3. la boce è fioca: R («li accidenti rei sono sì come quando perde lo ’ntendimento e quando la boce è fioca») 69r ▲ 1. Non si rintracciano locuzioni analoghe. Per la voce ascondimento, cf. TLIO (§1 ‘nascondimento, celamento’); GDLI (‘lo stare nasco-

101 ‘de voce rauca’: loc. attestata nel De medicamentis di Marcello Empirico (IV-V sec. d.C.).

sto’: l’unica attestazione riportata si registra in Segneri, 1686; LEI I, 145). 2. Prime attestazioni: fior.a. boce perduta (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); pis.a. avere perduto la voce (inizio sec. XIV, BestiaireAmours, OVI). 3. Cf. già il fior.a. voce fioca (ante 1292, FioreRett [red. beta], OVI); per l’uso dell’agg. fioca in unione al sost. voce, si trovano in OVI soltanto testimonianze toscane (cf. anche TLIO s.v. fioco §1).

absconsio ‘fistola in cui la carne non si è indurita’ (3 occ.; 85)

[Voce assente in tale accezione in TLL e Forcellini] 1. absconsione f.: B («overo che la carne non è indurata e fi dicta absconsione overo caverna») 21v, 22r, 22v; ascunsione: R 48r; aschonsione (aschoxion): V 23r, 23v 2. cosa niscosta f.: R («overo ch’ella non sia indurata è nominata cosa niscosta et cavata») 47r ▲ 1., 2. La voce absconsione nel significato del testo latino non è registrata dai maggiori dizionari storici; tale denominazione rimane tuttavia ben nota all’interno dei testi specialistici, anche nei secoli successivi, come testimonia il Dalla Croce (1583, III, 43v: «ogni ulcera profonda, quando s’indura la carne, che la cinge, si dimanda fistola, e è a guisa di canna penetrante nello membro. Ma se la carne s’indura, dimandasi absconsione, overo secretezza, o secreta, e caverna»), che ne offre peraltro una triplice glossa sinonimica. Va a tal proposito rilevato come la voce caverna, accostata dal Dalla Croce ad absconsione, indichi piuttosto in Bruno l’opposto dell’absconsio, dunque una fistola la cui carne non è indurita (cf. s.v. caverna). Ancora nel Settecento, cf. Melli (1717a, 13: «asconsione, secreta, o rilascio, è quell’ulcera che s’estende sotto alli soli integumenti, nella quale vi è marcia fermata»).

II Fisiologia e patologia 

accidens ‘manifestazione rapida e improvvisa di un male; più gener., sintomo’ (9 occ.; 55) [TLL I, 290]102

1.a. accidente m.: R («infino a tanto che lgli accidenti si rimuovano») 40r, 68v (2), 69r (2), 69v, 76v, 77r, 84v, 102r; ~: B 14r, 32r (2), 32v (2), 34r, 36r, 39v; azidente: V 15v, 19v, 31v (3), 32r, 35r, 38r, 39r 1.b. malo accidente: B («tanto che li soy mali accidenti se parteno») 18r ▲ 1.a. Cf. DEI (I, 27 s.v. accidente2): «v. dotta della med[icina] medioev., in cui accidēns -entis, che già in lat. poteva avere il significato di ‘disgrazia’, è stato portato nel campo delle infermità»; Marcovecchio (1993, 11: nel lat. tardo di Celio Aureliano la voce è stata assunta come calco del gr. σύμπτωμα). TLIO (s.v. accidente §2 ‘stato di malessere, malanno’): ante 1327, CeccoAscoli (cf. LEI I, 277; GDLI §3); già in Crusca1 col valore specifico di ‘caso repentino di malattia’. Cf. Tomasoni (1986b, 233), Gleßgen (1996, 612), Motolese (2004, 91), D’Anzi (2012a, 264), Elsheikh (2016 II, 74). 1.b. Cf. infra (s.v. accidens malum 1.). ♦ Loc. e collocazioni: – accidens animae ‘complicazione psi­ chica o stato di forte turbamento che ha effetti negativi sulla salute dell’organismo’ (3 occ.; 140) accidente de l’anima: B («se guardi [...] da lo tropo parlare, et da tuti li accidenti de l’anima») 35r, 38v, 66v; accidente dell’animo (accidente d’anima): R 74v, 82r, 148v; azidente de l’anima: V 34r, 37r, 64r ▲ Prima attestazione: fior.a. accidenti d’anima (ante 1334, Ottimo, OVI). Cf. Mazzeo (2011, 277), Motolese (2004, 91), Nystedt (1988, 199).

102 Cf. Forcellini I, 37: «a Medicis morbi symptomata vocantur accidentia».

 589

– accidens malum ‘grave infermità’ (8 occ.; 49) 1. mall[o] azidente (mal[o] azidente) m.: V («da può questo aviene malli azidenti a lo infermo») 33v, 34r, 64r; malo accidente: B 12v, 32r (2), 34v, 65v, 66v, 69r; mal[o] accidente: R 148v, 155r 2. accidente reo m.: R («molte volte seguitano quegli accidenti re’») 27v, 69r, 145v; rio azidente (ari[o] azidente): V 13v, 31v (2) ▲ 1. Alcune loc. analoghe si rintracciano nel corpus OVI: cf. pad.a. accidenti mali (fine sec. XIV, Serapiom); anche con l’accompagnamento dell’agg. di relazione accidentale (pis.a. > fior.a. mali accidentali, 1306, GiordPisaQuaresimale), per il quale cf. infra (s.v. accidentalis). Cf. Elsheikh (2016 II, 201 s.v. male). 2. Cf. gen.a. accidente molto re’ (ante 1311, AnonimoGenovese, OVI); tosc.a. reo accidente (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI).

accidentalis ‘non naturale, non congenito e dovuto soprattutto a stati patologici’ (6 occ.; 17) [TLL I, 289]

1.a. accidentale agg.: R («di quelgli sono che sono naturali overo accidentale») 138r (2); ~: B 26r (2), 62r (2); azidentalle (azidental): V 26v, 59v (2) 1.b. per azidente: V («se chognose per azidente però che mostra la so marza indiesta») 26v ▲ 1.a. La voce accidentalis è usata nel testo latino in opposizione a naturalis. Prima attestazione: fior.a. accidentali (1260–61, LatiniRetorica, TLIO s.v. accidentale §2); GDLI (§4 ‘sintomo che si manifesta nel corso della malattia, senza avere con essa alcun legame necessario’); LEI (I, 283); presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 199), Gualdo (1996, 224), Motolese (2004, 90); D’Anzi (2012a, 263), Elsheikh (2016 II, 74). 1.b. Cf. s.v. accidens.

590 

 6 Glossario

♦ Loc. e collocazioni: – calor accidentalis (2 occ.; 17) [Cf. → s.v. calor]

calore accidentale m.: R («overo che aopera lo calore naturale solamente [...] o parte lo naturale o parte l’accidentale103») 8v; ~: B 4v (2); chalor azidentale (chalor azidentalle): V 6r (2) ▲ 1. Cf. it.a. calor accidentale (1373–74, BoccaccioEsposizioni, OVI); sab.a. calore accidentale (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI). 2. Cf. s.v. accidens (1.a.).

acuitas α. ‘acidità, potere corrosivo’ (242) [Voce assente in tale accezione in TLL e Du Cange; cf. → s.v. acumen]

achuitade f.: V («sapi che le xé de materia sotille e achuta la qual non è profonda e in la qualle è achuitade e levacion») 55r; acuitade: B 57v; aguità: R 128r ▲ Prima attestazione: fior.a. acuità (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI), dove il termine è però riferito, nello specifico, all’azione corrosiva di un veleno; cf. LEI (I, 536 s.v. acŭere: it.sett.a. acuitade, pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA). In relazione a situazioni patologiche, molte delle attestazioni contenute nel corpus OVI appartengono al pad.a. di Serapiom (acuitè), a conferma della natura marcatamente specialistica del termine. Assente in Crusca (s.v. acutezza non si registrano significati assimilabili a quello qui discusso) e DELIN. Cf. Nystedt (1988, 199), Gualdo (1996, 69), Motolese (2004, 94), Tomasin (2010, 43). β. ‘stato del sangue in cui prevale l’umore bilioso’ (212) [Voce assente in tale accezione in TLL e Du Cange] 103 Ms.: occidentale.

acuità f.: R («Molte volte aviene el dolore ne’ denti ed è quando l’apostema nelle gengie per acuità di sangue») 112v; acuitade: B 50v ▲ Cf. pad.a. acuità del sangue (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Voce assente in Crusca (e anche s.v. acutezza non si registrano significati assimilabili a quello qui discusso) e DELIN.

acutus α. ‘detto di stato patologico violento e a rapida evoluzione (contrario di cronicus)’ [Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] ♦ Loc. e collocazioni: – febris acuta (2 occ.; 128) [Cf. → s.v. febris]

febre acuta f.: B («de li accidenti significanti tale rotura alcuna volta sono [...] febre acuta e simili cosi») 32r (2); fievre achuta (fievre aguta): V 31v (2); frebbe aguta: R 68v, 69r ▲ TLIO (s.v. acuto §7 ‘[detto della febbre:] che ha un decorso breve ma violento’; prima attestazione: fior.a. agute, ante 1292, GiamboniOrosio). Cf. GDLI (§10); LEI (I, 586); Crusca1, sotto la definizione ‘delle malattie maligne e crudeli, perchè vanno a ferire le parti più vitali’, riporta proprio un esempio della loc. febbre acuta (Dante, Inf., XXX, 99). In particolare, la febbre acuta era considerata un’afflizione il cui sviluppo avveniva all’interno dell’apparato circolatorio. Cf. Nystedt (1988, 199), Gualdo (1996, 69), Motolese (2004, 94), Mazzeo (2011, 297), Elsheikh (2016 II, 76, 78, 167), Zarra (2018, 603). β. ‘caratterizzato da prevalenza della com­ ponente biliosa’ [Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. acuitas β.] ♦ Loc. e collocazioni: – materia acuta (244)

II Fisiologia e patologia 

 591

materia acuta f.: B («alcuni exituri fanno l’apertura per sì, e sono quelli in li quali è la materia sutile e acuta») 57v; materia aguta: R 128r

humore acuto m.: B («per li humori acuti vene in li labri ulceratione») 50r; omore aguto: R 111v

▲ Nel TLIO non si registra un valore affine a quello qui discusso, riferito alla particolare composizione della materia fisiologica; si veda, però, in OVI, il tosc.a. materia acuta (ante 1361, UbertinoBrescia); l’agg. acuto indica nello specifico la prevalenza di bile gialla che è alla base della complessione collerica (cf. infra la traduzione di B per sanguis acutus, reso come sangue colerico).

▲ Il significato di acuto coincide in tal caso con quello registrato dal TLIO (§5) di ‘pungente e fastidioso al gusto, acre, irritante’, la cui prima attestazione è registrata nel fior.a. aghuti (1310, BencivenniSantà: anche qui, peraltro l’agg. accompagna il sost. omori). Cf. GDLI (§2 ‘che dà una sensazione acre, viva, penetrante; doloroso, violento, intenso’). Cf. Motolese (2004, 95), Elsheikh (2016 II, 76).

– sanguis acutus (2 occ.; 51) 1. sangue acuto m.: B («lo sangue acuto non solamente damna la carne vulnerata, ma etiamdeo la carne bona») 13r (2); sangue aguto: R 28v; ~: V 14v 2. sangue colerico m.: B («se lo sangue serà acuto, zoè colerico, o corosivo, o grosso, zoè melanconico, o sutile») 13r104

adhaerere ‘aderire, essere attaccato’ (10 occ.; 34) [TLL I, 634 (adhaereo)]

♦ Loc. e collocazioni: – humor acutus (209) [Cf. → s.v. humor]

1.a. acostare vb.intr.: R («el suo acostare èe col luogo anpio») 130r, 131r 1.b. acost[arsi] vb.pronl.: R («lla ganba non s’acosta colla coscia») 100v, 110r, 117r (2) 2. adher[ire] vb.intr.: B («la gamba non se adherisse cum la coxa») 45v 3. apozare vb.tr.: B («fazando apozare quelli cum la rosata che è in la substantia de tuti doy») 14v 4. astall[arse] vb.pronl.: V («Alguna fiada s’astalla in golla ose o spine e simelle») 50v 5. azonzere insenbre vb.tr.sint.: V («el non bexogna adovrare so non in le piage de sovra, fazando azonzere tute ii le parte insenbre») 16r 6. chonstrenzere vb.tr.: V («el vino e ’l mielle fa chonstrenzere e mondificha la piaga») 56r; costringnere: R 33r 7. pili[arse] vb.pronl.: B («l’osso se piliarà con la spongia») 52v 8. tegnir[se] vb.pronl.: B (tenir[se]) («inzeniate ad recivere quelli barbuli overo rami inter li canelli de ramo o altri, azò che non se possano tenire cum la carne») 20v, 53v, 58v (3) 9. tochare vb.tr.: V («ebi inzegno de far vignir quelle barbolle dentro chanale de rame over altro azò che tu non tochi la charne») 22r

104 L’agg. colerico è qui usato come glossa di aguto (cf. 1.).

▲ 1.a., 1.b. Prima attestazione: fior.a. s’accostano (ante 1292, GiamboniVegezio, TLIO s.v.

▲ 1. Non si rintracciano polirematiche analoghe all’interno del corpus OVI: sangue acuto si può però leggere nell’Almansore volgarizzato (cf. Elsheikh 2016 II, 275 s.v. sangue) e in molti testi dei secoli successivi (cf. tra gli altri Dalla Croce 1583, I, 40r e passim). Cf. supra (s.v. materia acuta). 2. Si veda già il fior.a. sangue collerico (1310, BencivenniSantà, OVI: «il sangue che nn’è ingienerato si è chaldo e collerico»); cf. supra (s.v. materia acuta) per il valore più generale di acutus. Nello specifico, l’espressione sangue collerico trova anche corrispondenza, all’interno del testo di Bruno, nella loc. latina sanguis colericus (cf. s.v. colericus). γ. ‘acido, corrosivo (di liquidi fisiologici)’

592 

 6 Glossario

accostare §1). Cf. Nystedt (1988, 199), D’Anzi (2012a, 266), Elsheikh (2016 II, 75). 2. La voce dotta ┌aderire┐, sempre sostituita (fatta eccezione per l’unica testimonianza presente in B) nei nostri mss. da voci più comuni, sembra trovare una certa diffusione soltanto dal Quattrocento (nel GDLI e nel DELIN, 60, la prima attestazione è registrata addirittura in Galilei, 1642). In OVI e TLIO si attestano quasi esclusivamente le forme di agg./sost. aderente, ma nel significato di ‘sostenitore, seguace’; della forma verbale aderire ‘essere aderente, unirsi, attaccarsi’, si ha nel TLIO un’unica testimonianza (LaudePseudoiacoponica). Voce presente in Crusca1 (con rimando all’agg. aderente). Cf. LEI (I, 652): «senza continuatori diretti nell’italiano; le forme it[aliane] sono latinismi, però con cambio di coniugazione». 3. Prima attestazione: fior.a. apogiava (1271/75, FioreFilosafi, TLIO s.v. appoggiare §1); cf. DEI (I, 256); LEI (III-1, 279). 4. Voce verbale derivante da stallo o stalla (cf. DEI I, 337: ‘collocare in stalla’ e rifl. ‘installarsi’; GDLI: ‘collocarsi, sistemarsi nel proprio posto’): nel significato principale di ‘fermarsi, indugiare’, la prima attestazione registrata dal TLIO è il pav.a. astalé (1274, Barsegapè); registrata in Crusca1,2,3,4 (s.v. astallare ‘da stallo, posarsi, fermarsi, stanziarsi’). 5. Cf. TLIO (s.v. aggiungere §3 ‘accostare o unire entità distinte’, spesso nella loc. verbale aggiungere/-rsi insieme; prima attestazione: pis.a. aiungeroe, fine sec. XIII, Bestiario). Cf. LEI (I, 706). 6. Cf. TLIO (s.v. costringere §4 ‘raccogliere in un luogo (più persone), stringere insieme, riunire’); prima attestazione: fior.a. costrinse (1260–61, LatiniRetorica). 7. Cf. GDLI (s.v. pigliare §61 ‘attecchire, allignare’). 8. Cf. GDLI (s.v. tenere §109 ‘restare unito, mantenersi compatto’: fior.a., fine sec. XIII, TesoroVolg). 9. Cf. GDLI (s.v. toccare §40 ‘essere a contatto con una persona o con un altro oggetto’: fior.a., sec. XIV, CrescenziVolg).

adhaerens ‘che aderisce, che si salda a una superficie (detto di un tessuto dell’organismo)’ (4 occ.; 85)

[TLL I, 634, s.v. adhaereo]

1. acostante agg.: R («è necessario in alquante ferite antiche acciò che ssia fatto vescoso acostante») 48v 2. aderente agg.: B («li membri adherenti a quelli fizeno tracti verso quella») 21v, 22v 3. che è apreso: V («per la so debellitade e superfluitade di menbri che è apreso») 22v 4. che se tene: B («la spina che se tene in la gola») 52v 5. fit[o] agg.: V («Quando in la golla serano fite osse over spine») 50v ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. accostante §1. ‘che sta a contatto, aderente’): fior.a. acostante (pm. sec. XIV, CrescenziVolg; cf. GDLI §1); voce presente da Crusca1 (‘che accosta bene’). Cf. s.v. adhaerere (1.a. e 1.b.) 2. Voce assente nel TLIO col significato qui discusso (vi si registra soltanto l’accezione di ‘adesione, consenso’), e di più tarda introduzione in italiano, in analogia con la forma verbale aderire e il sost. aderenza: è solo tardo-cinquecentesca, infatti, la prima attestazione registrata dal DELIN, 60 (1597, G. Soderini; cf. GDLI e LEI I, 649: Galilei, 1642), ma una testimonianza quattrocentesca si trova in M. Savonarola (Gualdo 1996, 225). Cf. s.v. adhaerere (2.) 4. Cf. s.v. adhaerere (8.) e s.v. adhaerentia (4.) 5. Part. del vb. figgere. Cf. DEI (III, 1661: ‘posto a poca distanza’); Cortelazzo (2007, 558).

adhaerentia ‘l’aderire, lo stretto contatto tra due superfici o due tessuti dell’organismo’ (3 occ.; 58) [TLL I, 633]

1. acostare vb.tr.: R («el suo acostare èe co lluogo ampio»)105 130r

105 Lat.: eius adhaerentia cum loco amplius.

II Fisiologia e patologia 

2. adherentia f.: B («la codega [...] el è necessario fir concavata et in tuto et in tuto fir taliata, perché la sua adherentia non fi separata più cum lo loco per la subtilitade e corruptione ») 58v 3. azonzimento m.: V («la intencione d’ese è de far nudrigamento e azonzimento») 16r 4. la che se tiene: V («può taja la che se tiene chon alguno instrumento») 46r; quella che se tene: B 48r ▲ 1. Cf. s.v. adhaerere (1.a. e 1.b.). 2. Cf. DELIN, 60 (prima attestazione fissata nel 1540–41): «il lat. tardo adhaerĕntia(m), registrato nei lessici, non pare attes[tato] nei codici, né il LEI I 652 gli assegna un lemma, ma solo un rinvio al lat. parl. *harentia». Il TLIO (s.v. aderenza) ne registra solo il significato di ‘adesione, consenso’, ma con l’aggiunta della loc. verbale far aderenza ‘aderire, installarsi’ (pis.a, sm. sec. XIII, PanuccioBagno); voce presente da Crusca3. La prima attestazione è fissata dal GDLI solo nel Seicento (T. Boccalini, 1612–13). Cf. Gleßgen (1996, 610). 3. TLIO (§3 ‘unione di due o più entità distinte’): fior.a. agiungimento (1284–87, Sommetta, OVI). Cf. GDLI (s.v. aggiungimento §2 ‘congiungimento’); LEI (I, 710); voce presente solo in Crusca5. Cf. s.v. adhaerere (5.). 4. Cf. s.v. adhaerere (8.) e adhaerens (4.)

adurere ‘seccare; provocare bruciore, corrodere’ (3 occ.; 11) [TLL I, 897 (adūro)]106

1. ardere vb.tr.: R («la sictietate per lo assottiglare che essa fa et per lo ardere») 5r 2. brusare vb.tr.: B («la sicitade la quale fende la codega brusando e rarificando») 3r, 17v, 56r; bruxar vb.tr.: V 18v, 53v

106 Il TLL (§4 ‘de medicamentis acribus’) ne registra anche il valore proprio del lessico farmaceutico (in Celso).

 593

▲ 1. Cf. le definizioni offerte dal TLIO (§1.1. ‘[detto di veleni o di malattie dermatologiche o di fetori penetranti:] provocare un’ustione, corrodere’; §1.4. ‘far inaridire, seccare col calore eccessivo’; §1.7. ‘provocare un forte senso di bruciore o di arsura’): almeno dalla fine del Trecento (fior.a., TesoroVolg). 2. Nel TLIO (s.v. bruciare) si registrano valori più generici, non assimilabili a quello fisiologico qui esaminato; il DELIN, 253 attesta invece le accezioni di ‘corrodere, intaccare’ (av. 1537, V. Biringuccio) e ‘inaridire, seccare’ (av. 1566, A. Caro); cf. LEI (VII, 912: ‘provocare una sensazione intensa di bruciore’). È interessante rilevare come l’unico esempio del latinismo ┌adurere┐ ricavabile dal corpus OVI, oltretutto all’interno di un testo medico come il Serapiom, sia glossato proprio ricorrendo al verbo ┌bruciare┐ (pad.a. adhure over bruxa, fine sec. XIV, Serapiom: cf. s.v. adhurens 1.).

adurens ‘di sostanza che brucia, che corrode’ (2 occ.; 238) [TLL I, 897 s.v. adūro]

1. adhurente agg.: B («tuti doy sono de colera e propriamente citrina adhurente») 56v 2. che bruxa: V («è tuti do’ de chollora propia zitrina che bruxa») 54r ▲ 1. Se, in corrispondenza del verbo adurere, in B si ricorre sempre alla voce comune brusare (cf. supra s.v. adurere 2.), per il part. pres. adurens (oltre che per il sost. adustio e l’agg. adustus: cf. infra) si impiega invece il marcato latinismo adhurente, scarsamente testimoniato nel Trecento. Il TLIO ne registra un’unica attestazione, al pari del GDLI: pad.a. adurenti (fine sec. XIV, Serapiom); cf. anche OVI, dove si attesta, sempre in Serapiom, un’identica forma con h paretimologica (ma costituente già una variante grafica del lat. mediev.) adhurente, oltre alla 3a p. adhure; il lat. adurere «continua nella forma del part. pres. nel fr. medio adurent (1495, FEW 24, 187b) e nell’it., latinismi della terminologia scientifica medie-

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 6 Glossario

vale con sporadiche attestazioni successive in epoche colte» (LEI I, 885). Voce registrata solo da Crusca5. Elsheikh (2016 II, 77). 2. Cf. s.v. adurere (2.).

adustio ‘disseccamento per privazione di umore’ (120) [TLL I, 901]

adhustione f.: B («altro fi facto de melancolia, la quale è adhustione de la sol colera pura») 30r ▲ Latinismo che, al contrario delle relative forme verbali adurere e adurente (cf. supra), mostra una discreta vitalità già dal Trecento: cf. nel TLIO il fior.a. adustione (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, §2 ‘stato di estrema secchezza’; GDLI; LEI I, 888) e il pad.a. adhustiom/adhustion (Serapiom: rispettivamente nelle accezioni più specifiche di §3 ‘innalzamento della temperatura corporea’ e §4 ‘proprietà irritante’; cf. Ineichen 1966, 248); la prima attestazione è ancora precedente: mant.a. adustion (1299/1309, Belcalzer, OVI; DELIN, 62). Voce registrata già da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 69), Motolese (2004, 96), Castrignanò (2014, 159), Elsheikh (2016 II, 77). Si veda, nella stessa accezione, il fr. adustion (FEW 24, 188a).

adustus agg. ‘di sostanza dell’organismo che è diseccata, priva di umore fluido’ (119)

[TLL I, 897 s.v. adūro; cf. → s.v. adustus (sezione 3)] adhust[o] agg.: B («Cancer, como dice Avicena, è apostema calida de melancolia adhusta da la materia colerica») 30r ▲ Come testimonia il TLIO (§1; prima attestazione: it.sett.a. adusto, pm. sec. XIV, Guglielmo da Piacenza cit. in Crusca5), l’agg. adusto è normalmente usato con riferimento agli umori del corpo (alla melancolia nell’e-

sempio tratto dalla Chirurgia di Bruno); cf. DEI (I; 67); DELIN, 62; GDLI (§3); LEI (I, 888); voce presente già in Crusca1 (con l’accezione generica di ‘riarso, arido, diseccato’). Cf. Gualdo (1996, 69), Motolese (2004, 96), Castrignanò (2014, 159), Elsheikh (2016 II, 77).

aegritudo ‘malattia, infermità’ (28 occ.; 4)

[TLL I, 951; cf. → aegritudo sicca (s.v. siccus), aegritudo nervosa (s.v. nervosus)] 1. infermità f.: R («cognosca il luogo e dispositione della infermità») 136r, 136v, 137r, 138v, 144v, 147r, 167v (2), 176r; infirmitade: V 4r, 47r; ~ (infermità): B 2r, 3r, 42r (3), 46v, 49r (2), 49v, 50v, 54v (2), 59v, 60r, 61r (3), 61v (2), 62v, 65r, 66r, 67r, 72r, 72v 2.a. cosa agiunta f.: R («a quella cosa agiunta non curata per la ventura lo spasimo sopra lo infermo verrebbe») 91v 2.b. cosa sopra avenuta f.: R («sia curata la cosa sopra avenuta») 91v 3. egretitudine f. (†): R («abisogna a tte inprima considerare overo sia senplice overo sia conposta con alcuna egretitudine») 91v, 109r 4. fastiggio m.: R («Alcuna volta è fatto nelgl’occhi per fastiggio alquanti insieme») 109r 5. gattività f.: R («averrà sopra lo infermo la gattività») 159v 6.a. mal m.: V («à paura in lo taiare che non avegna [...] a l’infermo pezor mal») 66r; male: R 168r 6.b. malachia f.: B («el è paura [...] ch’el non vegnia a lo infirmo pezore malachia cha la prima») 70r; malattia: R 2r, 2v, 4v; mallatia (malatia): V 3r, 40v, 45r, 47r, 47v, 52r, 56v, 58v, 59v, 62v, 63v 6.c. malicia f.: V («se die churare quella malicia») 40v ▲ 1. Cf. s.v. infirmitas (1.). 2.a., 2.b. In OVI non si rintracciano simili perifrasi per indicare una ‘malattia, infermità’; si noti come la forma verbale soprav-

II Fisiologia e patologia 

venire sia poi divenuta essa stessa (e rimane tuttora), se non un tecnicismo collaterale (tale la considera Gualdo 1996, 281 per il lessico medico di M. Savonarola), quantomeno una voce caratteristica della lingua medica, per indicare l’insorgere di una patologia e dei suoi sintomi; cf. TLIO §4.1. ‘[rif. alla sintomatologia di un danno fisico]: comparire (come conseguenza)’; GDLI (§9): ‘prodursi nell’organismo, anche senza segni premonitori (una malattia); insorgere (sintomi, accessi dolorosi)’. 3. Da una consultazione di OVI e TLIO, la voce dotta egritudine (di cui egretitudine di R costituirà un errore per diplologia) risulta attestata nel corso del Trecento soltanto in due testi: col significato di ‘malattia’ nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV); in quello più specifico di ‘malessere interiore, risentimento’ già nel fior.a. di FioriFilosafi (1271/75); voce registrata solo in Crusca5. Cf. Nystedt (1988, 224), Gualdo (1996, 87), D’Anzi (2012a, 314). 4. Il TLIO (s.v. fastidio §3) registra un’accezione medica più specifica di quella qui presente (‘malessere fisico di origine gastroenterica che provoca un senso di nausea o pesantezza’; cf. Elsheikh 2016 II, 156), con prima attestazione nel nap.a. fastidio (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis). Cf. Aprile (2001a, 334). 5. Non si rintracciano nel corpus OVI attestazioni di ┌cattività┐ nel significato proprio di ‘infermità’; cf. DEI (I, 817 s.v. cattività2), che registra il termine anche col valore antico di ‘cosa spregevole; vizio; difetto’; analogamente GDLI (§6) e LEI (XI, 966), che riporta anche un significato secondario di ‘miseria, sofferenza’; voce assente in Crusca. 6.a. Almeno dalla prima metà del Duecento (tosc.a. male: 1230/50, GiacLentini, OVI); cf. GDLI (§5). 6.b. Prima attestazione: tosc.a. malatia (1230/50, GiacLentini, OVI). 6.c. Cf. s.v. malitia (1.a.). ♦ Loc. e collocazioni: – aegritudo calida ‘malattia caratteriz­ zata da forte calore corporeo’ (311)

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infermità calda f.: R («èe inconovenevole di sanare quella infermità ch’è calda e secca») 167v; infirmitade calda: B 72r; mallatia chalda: V 69v ▲ Cf. in OVI loc. analoghe quali: tosc.a. infermità calde (ante 1361, UbertinoBrescia); sen.a. maladia calda (pm. sec. XIV, BestiarioVolg).

aeger ‘malato, infermo’ (28 occ.; 4)

[TLL I, 937; cf. → s.vv. aegrotans, infirmus, patiens] 1.a. ammalato m.: R («fa’ l’ammalato da riempimento soperchio delli cibi et dello vino») 15r 1.b. uomo malato m. R («s’ingenerano le malattie pessime [...] per li quali muoiono107 gl’uomini malati») 2v 2. infermo (’nfermo) m.: R («avegna iddio che llo infermo sia flebotomato108 sanza considerazione di vertù») 21v, 59r, 114v, 130v; infermo: V 3r, 8v, 10r, 11r, 15r, 27v, 49v; infirmo: B 2r, 7r, 8v, 13r, 13v, 27v, 51v, 54v, 58v ▲ 1.a. Prima attestazione: lomb.a. amalato (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, TLIO s.v. ammalato agg. e sost.). 1.b. Cf. fior.a. uomini malati (inizio sec. XIV, BencivenniSantà, OVI). 2. Cf. s.v. infirmus (2.a.).

aegrotans ‘chi è malato, chi cade in malattia’ (218)

[TLL I, 954 (aegrōto); cf. → s.v. aeger, infirmus, patiens] infermo m.: R («squinançia che quasi fa l’uomo fioco e costringne el fiato dello infermo») 116r; infirmo: B 52r ▲ Cf. s.v. infirmus (2.a.).

107 Ms.: muoio. 108 Ms: af..mato.

596 

 6 Glossario

agregatio ‘accumulo, agglomerazione (detto di materia fluida o gassosa in un punto dell’organismo)’ (3 occ.; 87) [TLL I, 1321 (aggregatio)]

1.a. asunamento m.: V («lo bubone è asunamento de umori de li menbri prinzipalli») 59r 1.b. asun[arse] vb.pronl.: V («se chonviene [...] a vedar che non se asuna marza»)109 23r 2. congregatione f.: B («la prohibitione de la congregatione de lo veneno in li ulcerationi») 22r, 62r, 67r 3.a. ragunamento m.: R («El bubo è alcuno ch’è duro e grande e profundo ragunamento di materia») 137v 3.b. ragunare vb.intr.: R («quello luogo dunque da vedere a ragunare alla força»)110 48r, 149r ▲ 1.a. Non si rintracciano in OVI attestazioni della forma sett. asunamento (assente anche nel GDLI; nei secoli successivi la si può rintracciare nei Diari di Marin Sanudo, Fulin et al. 1879, 789: «haveva facto asunamento di danari»), e adunamento è presente con sole cinque occorrenze; prima attestazione: fior.a., ante 1334, Ottimo, nel significato, però, di ‘accumulo, ammasso (di beni preziosi)’: cf. TLIO (s.v. adunamento §1); LEI (I, 867); Sallach (1993, 212 s.v. sunanza). 1.b. Prima attestazione: venez.a. assunadi (1301, CronicaImperadori, TLIO s.v. asunare, di cui si registrano tre accezioni, tutte lontane da quella qui presente: ‘radunare un gruppo di persone’, ‘raccogliere le energie’ e ‘accumulare denaro’); cf. DEI (I, 343): «prov. azunar [...], insieme con l’it. sett. (as)sunar, arsunar

109 Lat.: Est ergo prohibitio agregationis virus. 110 Lat.: Est ergo prohibitio agregationis virus. Sembra qui evidente il doppio errore di traduzione: a) forza sarà indotta probabilmente da confusione, già nell’antigrafo latino, di virus con vis; b) vedere sarà invece una corruttela per un originario vetare (o simili) per il lat. prohibitio.

(incrocio con l’endemico ardunàr ‘radunare’) e col senese asciunare dove sci rende la sibilante sonora»; REW (§209); Cortelazzo (2007, 109: assunàr); Sallach (1993, 213 s.v. sunare); per il LEI (I, 880; identica spiegazione si trova anche nel DEDI), però, «nel Veneto il prefisso ad- fu probabilmente sostituito da ex- rafforzativo [...], forse sotto l’influsso del sinonimo ven.a. asenbler ‘raccogliere’ [...]. Un influsso del lat. mediev. assummare (BibbiaFolena) convince meno, perché assommare non è attestato nel ven.a.». 2. Prima attestazione: tosc.a. congregassione (ante 1294, GuittArezzoLettereProsa, TLIO §2 ‘atto del raccogliere insieme’). Cf. Aprile (2001a, 293). 3.a. Prima attestazione: grosset.a. ragunamenti (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI: ‘accumulo; assembramento’); LEI (I, 870–871 s.v. adunāre); voce presente da Crusca1 (ragunamento, raunamento). Cf. Elsheikh (2016 II, 257). 3.b. Prima attestazione (‘radunare; assembrare’): grosset.a. raguna (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI); voce presente da Crusca1 (ragunare, raunare). Cf. DELIN, 1310: «le forme più antiche (ed anche recenti, almeno in Toscana [...]) mostrano tutte la caduta della consonante -d- [...] spesso poi sostituita con -g- per evitare lo iato»; Rohlfs (1966–1969, §339); LEI (I, 870 2.b.α. ‘raggrumare’). Cf. Elsheikh (2016 II, 258).

albedo ‘bianchezza, colore bianchiccio’ (3 occ.; 214) [TLL I, 1488]

1.a. biancheçça f.: R («se none aparisse in quella rossore, anzi diclina a biancheçça, alora gargarizi coll’alume») 114r; biancheza: V 52r; ~: B 51v (2), 54r; chollor de blancheza: V 49r 1.b. biancho agg.: V («S’ela non è arossa, ela parà biancha»)111 49r 111 Lat. declinat ad albedinem.

II Fisiologia e patologia 

▲ 1.a. Prima attestazione: blancheza (1270– 80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. bianchezza). 1.b. Prima attestazione: savon.a. blancho (1178–82, DichiarazionePaxia, TLIO s.v. bianco).

alienatio ‘perdita della ragione’ (2 occ.; 49)112 [TLL I, 1559]

1. alienacione de mente: V («molte fiade li viene arij azidenti a lo infermo, chomo è spaxemo e alienacione de mente») 13v; alienatione de la mente: B 12v, 19r 2. alteracione de la mente: V («s’el chaze in angossa chon senglozo la morte li aspeta, ed alteracione de la mente») 20v 3. vanezare vb.intr.: B («molti volti seguiscono li mali accidenti, como è lo spasmo, la alienatione de la mente, zoè lo vanezare, et permixtione de la raxone») 12v, 19r113 ▲ 1. Prima attestazione: fior.a alienazione (metà sec. XIV, PistoleSeneca, TLIO s.v. alienazione §2 ‘smarrimento delle facoltà mentali, svenimento’); DEI (I, 123); DELIN, 82; LEI (II, 60); voce presente solo in Crusca5 (‘Alienazione di mente, ed anche semplicemente Alienazione, vale l’esser fuori de’ sensi). Di poco successive sono le testimonianze della polirematica: venez.a. alienation de la mente (sq. sec. XIV, LibroSanitate, OVI; in Cavalca con il sost. m. alienamento); già nel secondo Duecento si può leggere, però, il tod.a. mente alienata (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, OVI). Cf. Ineichen (1966, 249), Altieri Biagi (1970, 47: «si tratta [...] di una definizione patologica precisa, non generica: opposta, per esempio, ad alteratio che indica ogni modificazione

112 In R (c. 27v), si legge la forma allenatio, che sarà una distorsione del nominativo latino. 113 In entrambe le occorrenze riportate, la voce è adottata come glossa della polirematica alienatione de la mente (cf. 2.).

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patologica (ma non soppressione) di una facoltà o funzione»), Marcovecchio (1993, 39 s.v. alienus), Aprile (2001a, 240), García Gonzáles (2007, 503 s.v. paracope), Elsheikh (2016 II, 82). 2. Non mancano polirematiche analoghe all’interno del corpus OVI (cf. s.v. alteratio per il primo componente): tosc.occid.a. mentale alteratione (ante 1330, PanzieraTrattati, OVI); tosc.a. alteratione nela mente (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI); cf. anche it.a. alterazione del cerebro (1304–07, DanteConvivio, TLIO). Lo stesso significato può essere indicato anche dalla forma semplice alterazione: cf. LEI (II, 316: dal 1308, Dante). 3. Prima attestazione: it.a. (aveano) vaneggiato (1292–93, DanteVitaNuova, OVI), nel senso di ‘fantasticare’; cf. DELIN, 1784, che attesta solo dalla fine del sec. XV (ante 1484, L. Pulci) l’accezione, più vicina a quella qui esaminata, di ‘pensare e parlare in modo sconnesso, dire cose senza senso’. Voce presente da Crusca1.

alterare ‘cambiare, far degenerare la sostanza originaria (detto di una ferita a contatto con l’aria)’ (149)

[TLL I, 1758 (altero)]

1. alter[are] vb.tr.: V («può choverzi la piaga che la non se altera da l’aiere») 36r 2. turbare vb.tr.: B («la piaga fiza coverta cum alcuno acovatamento, azò che lo aere non turbi la piaga») 37r ▲ 1. Contrariamente a quanto si osserva per il sost. alterazione (cf. s.v. alteratio), il TLIO non registra un significato specificamente medico per il verbo alterare; LEI (II, 310). Cf. Nystedt (1988, 201), Gualdo (1996, 71), Motolese (2004, 99), D’Anzi (2012a, 269), Castrignanò (2014, 160). 2. Cf. GDLI (§7 ‘alterare una funzione fisiologica’: l’unica attestazione riportata è di inizio Novecento: ante 1907, Carducci); cf. Crusca1 (‘guastare’).

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 6 Glossario

alteratio ‘degenerazione di una sostanza’ (72) [TLL I, 1749]

1.a. alteratione f.: B («quella medesma cosa convene fir facta molti volti in alcuni altri piagi li quali specialmente reciveno l’alteratione de l’aero») 18v 1.b. alterad[o] agg.: V («se chonviene [...] masimamente quelle [scil.: piage] ch’è alterade da l’ajere»)114 19v ▲ 1.a. Il termine ┌alterazione┐ è da annoverare tra i tecnicismi collaterali più antichi del linguaggio medico, ed è registrato dal TLIO (§1.1 ‘degenerazione delle funzioni di un organo, malattia’; prima attestazione: tosc. sud-or.a. alteratione, ante 1298, Questioni); LEI (II, 315). Cf. Nystedt (1988, 201), Gualdo (1996, 72), Motolese (2004, 100), Mazzeo (2011, 278), D’Anzi (2012a, 269). 1.b. Cf. s.v. alteratus (1.).

alteratus ‘che ha perso la consistenza o l’aspetto fisiologico originario’ (23) [TLL I, 1758 (altero)]

1. alterad[o] agg.: V («quando la piaga è alterada da l’aiere, zoè sferdida») 7v; alterato: B 6r 2. mutato agg.: R («la cucitura facciasi quando la piaga [...] non è mutata dall’arie») 12v 3. sferdid[o] agg.: V (cf. supra, 1.) 7v ▲ 1. Il TLIO (s.v. alterato ‘in condizione fisica o psichica diversa dal normale’) ne registra un’unica attestazione: it.a. alterato (1336–38, BoccaccioFilocolo); LEI (II, 311). Cf. Gualdo (1996, 72), Motolese (2004, 99). 2. Cf. GDLI (s.v. mutare §24). 3. Non si registrano testimonianze nel corpus OVI; Boerio (1856) pone a lemma la forma

metatetica sfredir, ‘o per idiotismo sferdir [...] far divenir freddo’ (cf. anche Patriarchi 1775 s.v. sferdire: ‘infreddare, freddare’). Il DEDI attesta la forma salent. sfërdèscë ‘raffreddarsi, sentir freddo’ (probabilmente da un lat. *frigēscere ‘raffreddarsi’ per incrocio con frīgidum ‘freddo’). Nel nostro caso, l’agg. sferdida, usato come glossa di alterada, non costituisce tanto un sinonimo del primo termine, ma descrive piuttosto le conseguenze più dirette dell’alterazione prodotta dal contatto della ferita con l’aria; analogamente, sempre in V, si registra l’uso del verbo sferd[ire] per tradurre il lat. coagulari ‘coagularsi, rapprendersi’ (cf. s.v. coagulare α.ii., 6.).

ambulare ‘(detto di stati patologici) diffondersi nell’organismo’ (236) [TLL I, 1870 (ambulo)]

1. andare vb.intr.: R («La formicha è postula piccola [...] e per la ventura va ssì che il luogo ulcera») 125r 2. discorr[ere] vb.intr.: B («Formica si è pustula pizena [...] e forse discorre et ulcera li logi») 56r ▲ 1., 2. Cf. TLIO (s.v. discorrere §3: ‘[Con rif. a liquidi o a sogg. assimilati a un fluido:] espandersi o spostarsi in ogni direzione non (sufficientemente) impedita da q[ualco]sa che faccia da argine’; prima attestazione: fior.a. discoronvi, ante 1292, GiamboniTrattato). Il latinismo ambulare (cf. Marcovecchio 1993, 45 s.v. ambulans) non è conservato dai tre volgarizzamenti della Chirurgia e non è registrato dal TLIO nella presente accezione. Mostra invece una certa vitalità l’agg. derivato ambulativo (cf. infra s.v. ambulativus), che è attestato anche nel fr.m. ambuler dal FEW (24, 425b: con particolare riferimento all’estensione delle ulcere).

ambulatio [TLL I, 1869]

114 Lat.: in quibusdam [...] convenit quae aeris alterationem specialiter recipiunt.

α. ‘deambulazione, locomozione’ (5 occ.; 184)

II Fisiologia e patologia 

andare vb.intr.: R («non sia fretta nell’andare»)115 100r, 101r, 153v; ~: B 45r, 45v, 68r; ~: V 43r, 43v (2), 64v ▲ Prima attestazione: venez.a. vada (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, TLIO s.v. andare) β. ‘diffusione, propagazione di una sostanza patologica all’interno dell’orga­ nismo’ (2 occ.; 94) 1. ambulatione f.: B («molti volti la ambulatione de la corosione ne constrinze a taliare lo membro») 24r 2.a. andamento m.: R («l’andamento del corrodere costringne noi a talglare») 51v;116 ~: V 25v 2.b. andare inançi vb.intr.: R («alcuna volta è da none andare inançi»)117 53r; andare: V 24v 3. discorimento m.: B («Li ulcerationi de grave consolidatione, como dice Avicena, sono absolutamente tuti, se no li corosivi e li putridi, [...] e cum questi alcuna volta non è discorimento») 25r ▲ 1. Non si rintracciano attestazioni di ┌ ambulazione┐ in un’accezione affine a quella qui esaminata: il TLIO registra soltanto i significati letterali di 1) ‘ambulacro, passeggio’; 2) cammino. Voce assente in GDLI e Crusca; il LEI (II, 750), sulla base del solo Chambers (1771), ne registra il significato contermine di ‘diffusione della cancrena’: in tal senso si tratterebbe di un prestito dall’ingl. ambulation (1541: OED), a sua volta dal fr.a. ambulation ‘propagation d’un mal’ (FEW, 24, 426b). Seppur episodica (e indotta verosimilmente da un semplice trascinamento dal latino al volgare del termine), dunque, la testimonianza offerta da B permette di risalire direttamente al valore originario presente nel lat. mediev. ambulatio, parallelamente a quanto si vede nel fr.a.

115 Lat.: non sit festinatio in ambulatione. 116 Ms.: andamente. 117 Lat.: quandoque non est ambulatio.

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2.a. Cf. TLIO (s.v. andamento §4 ‘fig. diffusione’: ante 1334, Ottimo); cf. LEI (II, 712–713). 3. Cf. TLIO (s.v. discorrimento §3 ‘movimento fluido e ininterrotto, atto o effetto dello scorrere’; prima attesazione: venez.a. discurrimento, 1301, CronicaImperadori). Cf. anche il sost. corrimento in TLIO s.v.; Elsheikh (2016 II, 133).

ambulativus ‘di infiammazione o sostanza patologica che si diffonde rapidamente nell’organismo’

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] ♦ Loc. e collocazioni: – apostema ambulativum (237) 1. apostema discorrant m.: B («ogni apostema discorrant in la codega senza latitudine è formica») 56r 2. postema che va: R («le posteme che vanno nel cute sono senza larghezza») 125v; postiema la qual va: V 54r ▲ 1., 2. Per l’agg. ┌discorrente┐, cf. TLIO (§3 ‘che si trova in circolo [all’interno di un sistema chiuso]’); prima attestazione: roman.a. discurente, uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A]). – formica ambulativa (95) [Cf. → s.v. formica]

1.a. formicha ambulativa f.: V («Sapi che Gallieno queste ulzere chorosive si le anomina fuogo persigo e per formicha anbulativa») 25r118 1.b. formica deambulativa f.: B («sapia che Galieno domanda cotali ulcerationi corosivi focho persico overo formica deambulativa») 24r ▲ L’agg. ambulativo è registrato dal TLIO proprio in àmbito patologico (‘che tende a estendersi in più parti del corpo’) con un’unica 118 Con l’aggiunta della glossa etimologica: «zoè che va».

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 6 Glossario

attestazione: pad.a. (apostematiom) ambullative (fine sec. XIV, Serapiom); esso mostra una discreta diffusione anche nei secoli successivi, ma non è registrato dal GDLI; cf. Motolese (2004, 100: ulcera ambulativa), Norri (2016, 441). Per il valore patologico del sost. formica, cf. s.v. formica. – ulcus ambulativum (98) [Cf. → s.v. ulcus]

1. ferita antica d’andare inançi: R («le ferite antiche è malagevole a curare [...] inperciò che quelle medesimo abendune sono d’andare inançi») 53r 2. ulceratione discorrant[e] f.: B («Li ulcerationi de grave consolidatione, como dice Avicena, sono absolutamente tuti, se no li corosivi e li putridi [...]. Però che quelli doy sono discorranti») 25r 3. ulzera anbulando: V («Le ulzere è de grieve churacione, [...] chon zò sia chosa ch’è intrambe119 anbulando») 25v ▲ 1., 2., 3. La loc. ulcera ambulativa si legge in testi più tardi (cf. Motolese 2004, 300); si veda anche supra s.v. apostema ambulativum. Per i sostantivi qui impiegati come traducenti del lat. ulcus, cf. s.v. ulceratio e ulcus. Per 3., cf. s.v. ambulare.

amigdala ‘apostema, ascesso che si genera nelle tonsille’ (6 occ.; 216)

[TLL I, 2029; Forcellini I, 230: voce presente solo nell’accezione primaria di ‘frutto del mandorlo; albero del mandorlo’] 1.a. amandol[a] f.: B («De li apostemi che nasceno in la gola che àno nome brancile e amandole») 51v (3), 53r;120 amindola: R 115v 119 Ms.: intrabe. 120 A carta 51v, la voce amandola è usata come glossa lessicale per amigdala («li amigdali, zoè amandoli, sono logi in la superficie, zoè sumitade, de la gola»: cf. 1.b.).

(3); aminde f. pl. (†): R 115r; mandoll[a] f.: V 51r; mandorl[a]: R 118r 1.b. amigdal[a] f.: R («li amigdali a chi se convene la cyrugia sono rotundi») 52r (4); amidall[a]: V 49v, 50r; amidola: R 115r (2); amidoll[a]: V 49v (3) ▲ 1. Dal lat. amandŭla(m), variante popolare di amygdala, ricalcato invece sul greco (cf. 1.b.) Nel TLIO la forma amandola è registrata nel significato primario di ‘mandorla’ (oltre che in riferimento alle tonsille di cavallo), ma non in quello proprio del lessico medico qui esaminato (cf. DEI I, 150: «v. d’area centr. e sett. che ritorna nella Francia del Nord»); allo stesso modo nel GDLI, dove peraltro la prima e unica attestazione registrata è in Panzini (ante 1939). La forma amindola di R sembrerebbe costituire un incrocio tra le varianti latine amigdala e amandula (amendole ‘mandorle’ ricorre tre volte nel RegimenSanitatis: nap.a., sec. XIII-XIV, OVI). 1.b. Il lat. amigdala viene dal gr. ἀμυγδάλη: cf. LEI (II, 1022); DEI I, 162; DELIN, 94: dalla fine del sec. XV nel senso esteso di ‘tonsilla’. Nel significato patologico presente anche in Bruno si tratterebbe di un calco dall’ar. al-lauza ‘mandorla’ (Altieri Biagi 1967, 12, nota 2). Il significato patologico qui presente è quello che il TLIO (§1.1 ‘infiammazione delle tonsille’) registra in Serapiom (pad.a., fine sec. XIV), ipotizzando però che si tratti di un fraintendimento dell’originale; la testimonianza offerta dal testo lat. di Bruno da Longobucco, invece, ci conferma la correttezza della resa presente nel Serapiom: l’amigdala è infatti una tipologia di apostema che nasce nella gola («Nascuntur multotiens in gutture apostemata quaedam quae branci vel amigdalae nuncupantur»: Hall 1957, 216).

amissio intellectus ‘perdita della ragione’ (129) [Cf. TLL I, 1917 (amissio)]

1.a. aperdere l’inteleto: V («li rei azidenti si è a perdere l’inteleto e cazere in angosa») 31v; perdere lo intellecto: B 32r

II Fisiologia e patologia 

1.b. perdere lo ’ntendimento: R («li accidenti rei sono sì come quando perde lo ’ntendimento e quando la boce è fioca») 69r ▲ Il lat. amissio ‘perdita, mancanza’ (cf. TLIO s.v. amissione ‘perdita, mancanza’: pis.a. > fior.a. amissione, 1304–05, GiordPisaPrediche) è sostituito in maniera condivisa dai tre volgarizzamenti, tramite il ricorso alla voce verbale comune e sostantivizzata ┌perdere┐. Cf. alcune locuzioni analoghe nel corpus OVI: fior.a. perdi intendimento (sm. sec. XIII, Davanzati); bolog.a. perden l’intelletto (1324–28, JacLana).

ampulla ‘vescica sierosa’ (238)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange, Forcellini] ampul[a]121 f.: B («la perforatione fiza alta in li ampuli, ampuli, azò che tuto lo veneno che è in quelli constrito fiza cazato fora») 56v ▲ DEI (I, 176: «l’it. merid. ampudda dice bolla sulla pelle, significato che doveva essere già latino, come ci attesta il berbero, dove la stessa voce è passata come prestito»; REW (§431); LEI (II, 968); TLIO (s.v. ampolla §3): tosc.a. ampolla (sec. XIV, MaestroBartolomeo); sic.a. impulla (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Con lo stesso significato, la voce giunge fino al lessico moderno della patologia: cf., tra gli altri, Bégin (1834: ‘bolla, tumore formato da spandimento di sierosità tra l’epidermide ed il corpo mucoso della pelle delle mani, e dei piedi’). L’unica attestazione registrata dal GDLI è soltanto novecentesca (1943, C. E. Gadda).

angustia ‘dolore, sofferenza fisica’ (141) [TLL II, 59]

1. angoscia f.: R («se nela conpressione è sforçata, maggiormente genera angoscia») 75v; angustia: B 35r

121 In R, c. 126r, si conserva il dat.pl. lat. ampulis.

 601

2. dollor m.: V («per lo frachare superfluo tu porà far vignir mazor dollor») 34v ▲ 1. Prima attestazione: lomb.a. angossa (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, OVI); LEI (II, 1253). Cf. Nystedt (1988, 202), Gualdo (1996, 72), Motolese (2004, 104), Castrignanò (2014, 161; in questo testo si registra, peraltro, anche il verbo angustiarse ‘subire un restringimento delle vie respiratorie’). 2. Prima attestazione: crem.a. dolor (inizio sec. XIII, UguccLodi, OVI).

annexus ‘di organo o altro elemento strettamente connesso a una struttura principale’ (2 occ.; 35)

[TLL II, 777 (adnecto)]

1. anex[o] agg.: B («quando la scrophula serà anexa, zoè se tegniarà, cum li nervi o cum li veni o cum li arterij») 61r122 2. apiccat[o] agg.: R («mozza lo ’mbusto e lascia stare i capi apiccate alle ferite») 18v 3. commess[o] agg.: R («quando la scruofola serà commessa co’ nervi [...] allora non è da churare») 136r 4. gropat[o] agg.: B («quelli testi remaneno gropati a lo budello fina che al se liberi») 8v 5. inradichad[o] agg.: V («le schrovolle le qual serà inradichade, zoè che averà la so radixe, chon nervi e chon vene, el non è da medegare») 58v123 ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. anesse (1321– 23, LibroGialloVelluti, TLIO s.v. annesso ‘unito in modo sostanziale, congiunto’). Il DELIN, 106 ne registra anche, dal 1892, il valore anatomico contemporaneo (come sost.) di ‘formazione aggiunta ad alcuni organi o apparati principali’. Cf. LEI (II, 1401), Marcovecchio (1993, 25 s.v. adnexa). 122 Si noti la glossa etimologica che accompagna l’agg. anexa. 123 Si noti la glossa che accompagna l’agg. inradichade.

602 

 6 Glossario

2. Prima attestazione: fior.a. appiccato (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO §1.1. ‘tenuto insieme con qualcosa cui si aderisce’; prima attestazione: fior.a. appiccato, fine sec. XIII, TesoroVolg; anche in TesoroVolg, peraltro, si nota una relazione esplicita a un organo: «fiele, cioè il veleno che hanno gli altri animali appiccato al fegato»); per la dibattuta etimologia del vb. appiccare cf. DELIN, 117. 3. Part. del verbo commettere ‘mettere insieme, congiungere’ (cf. DELIN, 365). Prima attestazione: pis.a. commesse (sec. XIII-XIV, LaudaSTorpè, TLIO s.v. commesso3 ‘[detto di oggetti o parti di oggetto:] accostato, unito’). 4. Non si hanno nel corpus OVI attestazioni di un agg./part. ┌gropato┐, né di una forma verbale ┌gropare┐, entrambi evidentemente da connettere a gropo ‘nodo’, termine peraltro usato solitamente in B come traducente del lat. spondilium ‘vertebra’ (cf. s.v. spondilium 1.: sezione 1). Il GDLI, pur non attestando un verbo groppare, registra però l’agg. groppato ‘legato’, con un’unica attestazione molto più tarda (1672, L. Giuglaris), che ci riconduce proprio a un contesto medico-anatomico («Nella quarta [parte del corpo umano] vedi come sian fatte l’ossa, stese le vene, diramate le arterie, groppati i nodi, disposti i nervi»). Cf. Foresti (1836, s.v. groppà ‘annodare, aggruppare, ecc.’). 5. Nel corpus OVI si registrano soltanto attestazioni della forma base radicato: radicare è l’unica forma registrata anche da DEI (V, 3193) e DELIN, 1307: ‘attaccarsi, inserirsi profondamente’; nel GDLI inradicare è registrata soltanto con due attestazioni primo-novecentesche (1910 e 1914), in G. P. Lucini.

▲ Il lat. anthrax (cf. REW §503) viene dal gr. ἄνϑραξ, propr. ‘carbone’, da cui anche il calco lat. carbunculus (DEI I, 232; DELIN, 113: «di etimologia incerta: detto così per il colore nero»; la stessa etimologia offriva già il TB); cf. LEI (II, 1596: «come vocabolo medico si trova in tutte le lingue neolatine»). La prima attestazione ricavabile dal corpus OVI è l’asc.a antrace (ante 1327, CeccoAscoli; TLIO §2 ‘rigonfiamento tumorale della pelle’); voce presente solo da Crusca3. Cf. Ernst (1966, 168 s.v. intrace), Altieri Biagi (1970, 47–48), Marcovecchio (1993, 68), Motolese (2004, 105), García Gonzáles (2007, 351), Green (2009, 388), Castrignanò (2014, 161), Elsheikh (2016 II, 88), Zarra (2018, 590).

anxietas ‘affanno’ (216)

[TLL II, 201]

1. ans[are] vb.intr.: R («la loro significatione si è che non può favellare e ansa molto»)124 115r 2. tractura f.: B («In la gola nasceno molti volti alcuni apostemi [...] la significatione de li quali è la strentura de lo fiato, e la tractura, e la grave sguratione») 51v

[antras/antrax Du Cange I, 304b]

▲ 1. Dal lat. tardo anxiāre ‘tormentare’, a sua volta da ănxia ‘ansia’: DELIN, 108; DEI (I, 216: «foneticamente si presterebbe meglio un lat. volg. *anxāre dall’agg. anxus (attestato da Prisciano) per anxius»); LEI (II, 1689). Prima attestazione: fior.a ansando (1316, EneideVolgLancia, TLIO: ‘respirare con affanno, ansimare’); voce verbale attestata dal TLIO soltanto in area toscana e presente da Crusca.1 Cf. Ineichen (1966, 249), Marcovecchio (1993, 72). 2. La voce, evidentemente derivata dal verbo trarre nell’accezione di ‘compiere l’atto respiratorio’ (cf. GDLI §28; prima attestazione: aret.a. tragendo, 1282, RestArezzo, OVI), è assente in tale accezione nel corpus OVI e nel GDLI; allo stesso modo, Crusca4 registra il sost. trattura solo nel significato generico di ‘il trarre, il tirare’.

antrace m.: R («L’antrace overo incarbuncolo, sì come testa Costantino, è fatto di grosso sangue») 123r; antrax: B 55r; antraze: V 53r (2)

124 Lat.: signum est anxietas.

antrax ‘carbonchio, grave malattia infettiva caratterizzata dalla formazione di vescicole nerastre ed enfisema sottocutaneo’ (2 occ.; 232)

II Fisiologia e patologia 

apoplexia ‘sindrome anatomo-clinica caratteristica dell’emorragia cerebrale, che si manifesta con uno stato di coma’ (128) [TLL II, 251]

1. apoplesia f.: B («de li accidenti significanti tale rotura alcuna volta sono apoplesia, zoè perdimento overo cadimento, e scotomia, zoè vertizene») 32r; apoplexia: V 31v 2. cadimento m.: B (cf. supra 1.) 32r 3. perdimento m.: B (cf. supra 1.) 32r125 ▲ 1. Dal gr. ἀποπληξία, der. di ἀποπλήσσω ‘colpire’. LEI (III-1, 111): «cultismo dal lat. del V sec. apoplexia», attestato in tutta l’area romanza eccetto il rum.; DEI (I, 247): «v. usata da Galeno per indicare la perdita della sensibilità e motilità tolta la respirazione, mentre egli indicava con paraplēxía la paralisi parziale». Prima attestazione: apoplessia (ante 1292, GiamboniOrosio, TLIO). Cf. Ineichen (1966, 250), Altieri Biagi (1970, 48), Nystedt (1988, 203), Marcovecchio (1993, 76), Motolese (2004, 106), Tomasin (2010, 44), Mazzeo (2011, 278), D’Anzi (2012a, 271), Elsheikh (2016 II, 88). 2. Cf. TLIO (§2.2.2), che registra il significato contermine di ‘perdita della conoscenza e della posizione eretta; svenimento’ (assente, in tale accezione, nel GDLI); prima attestazione: it.a. cadimento (1373/74, BoccaccioEsposizioni); Elsheikh (2016 II, 106). 3. Il TLIO (§2) registra il valore, più generico, di ‘condizione fisica, psicologica o morale gravissima e per lo più irreparabile’ (prima attestazione: fior.a. perdimento, ante 1292, GiamboniOrosio); nel GDLI si attesta, invece, la loc. perdimento dell’animo ‘svenimento, deliquio’, con un’unica attestazione cinquecentesca (1583, Dalla Croce).

125 Sia cadimento sia perdimento sono glosse di apoplesia (cf. 1.).

 603

apostema ‘ascesso’ (81 occ.; 15) [TLL II, 253]

1.a. apostema (appostema; postema; posteme) m./f.: R126 («llo uscire del sanghue in quantitate, incontanente verrà la postema») 8r (2), 10v, 12r, 15r, 15v (2), 20v, 21v, 46v, 48v, 53r (4), 64r, 73r (3), 75v (2), 76r, 77r (3), 77v, 79r, 79v, 87r, 87v, 88v, 89r, 90r (2), 92r, 95v, 101v, 102r, 105v, 106r, 107r, 108v, 112v, 113v, 114r, 114v, 115v, 116r (3), 117r, 118v, 120r (3), 121r (3), 121r (2), 122r, 122v (2), 123r (2), 123v, 125r (3), 125v (2), 126r (2), 127r, 128r, 132v, 137r (2), 139r, 155v, 164r; apostema m.: V 9r, 22v, 41v, 51v, 53r: ~: m./f.: B 4r (2), 4v (3), 5v, 7r (3), 7v, 9v (2), 10v, 11r, 19v, 21v, 22v, 24v (3), 25r, 30r, 34r (2), 35r (2), 35v, 36r (4), 37r, 40v (2), 41r (2), 41v (2), 42r (2), 43v, 46r (3), 47v, 48r (2), 51r, 51v (2), 52r (2), 52v (2), 53r, 54r (6), 54v (3), 55r (3), 55v (3), 56r (2), 56v (4), 57r (2), 57v, 59v, 61v, 62r (2), 63r, 66v, 69r; apostiema: V 29v, 34v, 36r, 39r, 39v, 51r, 52r (2), 53r, 60r; postiema (postema) f.: V 5v (2), 8v, 11r, 12r, 25r, 25v (2), 35r (2), 40v, 41v, 44r, 46r, 46v, 49r (2), 50r (4), 51v (2), 52r, 52v (2), 54r (3), 54v (2), 55r, 59r, 65v 1.b. apostem[arse] (apostiem[arse]) vb.pronl.: V («lo menbro se apostema»)127 8v, 35v, 40r 1.c. apostumar vb.intr.: V («el se suol mollto apostumar di menbri»)128 8v 1.d. appostematione f.: R («del’ernia secondo tutte quante le sue spetie, e della appostematione») 149r; postumacion (apostumacion; apostumacione; postumacione): V 5v (2), 7r, 11r, 25v, 33v, 38v, 40r, 44r, 52r, 56v, 62v 1.e. apostumado agg.: V («quando el non è apostumado lo logo»)129 5v, 12v, 23v, 36r

126 Da un certo punto del volgarizzamento si adotta spesso una grafia apa con, sopra la p, un segno simile a quello normalmente usato per con. 127 Lat.: apostema [...] generatur. 128 Lat.: apostema quiescere consuevit (errore di traduzione). 129 Lat.: quando non accidit apostema.

604 

 6 Glossario

▲ 1.a. Grecismo di consolidata tradizione nella lingua antica della patologia (gr. ἀπόστημα, der. dal tema di ἀϕίστημι ‘andar via, separarsi’, dunque, letteralmente, ‘ciò che si separa dal corpo’); cf. a tal riguardo le prime due testimonianze registrate dal TLL: a) abscessus, quae ἀποστήματα Graeci vocant (Celso, Artes 2, 1); suppurationibus quae Graeci vocant ἀποστήματα (Plinio, Naturalis hist. 20, 16). DEI (I, 248): «sostituisce abscessus anche in scrittori del VI e VII sec. ed è usato frequentemente dai medici medievali»; REW (§529a); FEW (25, 18a); Marcovecchio (1993, 77). Per tutte le forme elencate sopra, e allo stesso modo per le locuzioni registrate di seguito, va sottolineata la difficoltà di distinguere le forme piene da quelle con discrezione dell’articolo: laddove le due varianti non siano discernibili con sicurezza grazie a elementi contermini che ne rendono palese la natura (cf. V, c. 5v: «la qual postiema»), si è cercato per lo più di rispettare la grafia presente nei singoli manoscritti, per quanto essa non possa costituire un criterio dirimente. Prima attestazione: mil.a. pustem (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO); nel GDLI, la testimonianza più tarda è settecentesca (ante 1758, A. Cocchi). Soprattutto la forma popolare aferetica continua in quasi tutta l’area romanza (fr.-prov., port., cat., sp.: cf. LEI III-1, 120); per il venez. postiema, cf. Cortelazzo (2007, 1043). Il termine, dal lessico patologico, approda poi, già nel corso del Trecento, alla lingua comune: il TLIO ne attesta, infatti, anche le accezioni figurate di ‘vizio morale’ (§2) e ‘sciagura’ (§3). Voce presente già da Crusca1, sia nella forma piena sia in quella con discrezione dell’articolo. Cf. Ineichen (1966, 250), Altieri Biagi (1970, 48), Tomasoni (1986b, 233), Nystedt (1988, 203), Gleßgen (1996, 548), Gualdo (1996, 73), Aprile (2001a, 249 e 444), Motolese (2004, 107), García Gonzáles (2007, 354), Green (2009, 388), Mazzeo (2011, 278), D’Anzi (2012a, 271), Castrignanò (2014, 161), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 88), Zarra (2018, 620). 1.b., 1.c. Cf. s.v. apostemari (1.a. e 1.b.) 1.d. Cf. s.v. apostematio (2.) 1.e. Cf. s.v. apostemosus (2.c.)

♦ Loc. e collocazioni: – apostema calidum (41 occ.; 15) apostema caldo (apostema calda; apostema chalda; apostema chaldo; apostemo caldo) m./f.: R («poi che è costretto lo sangue e sè sicuro che non venga la postema calda») 8r, 12r, 15r, 15v, 73r (2), 73v (2), 74v, 76r, 77r, 78v, 82v (2), 83r, 85r, 86r, 86v (2), 87r, 87v, 91v, 95r, 106r, 106v, 119v, 122r, 126v, 163v, 164r; apostema chalda (apostiema chalda) f.: V 12v, 33v, 34v, 38v, 39r, 43v, 53r; apostema caldo (aposteme caldo; apposteme caldo; apostema calida, aposteme calda) m./f.: B 6r, 7r, 7v, 9v, 11r (2), 30r, 34r (3), 34v (3), 35r, 35v (2), 36r, 36v, 38v (3), 39r, 39v, 40r (4), 40v (2), 43v, 46r, 47v, 48r (2), 49r, 53v, 55r (2), 56v, 67r (3), 71r, 87r, 101r, 105v; postema calda f.: B 4r; ~: R 21r; postema chalda (postiema challda, postiema challda): V 6r, 8v, 11r, 20v, 63r (2), 33v (2), 34r, 34v (2), 35r (2), 37v, 38r, 40v, 45v, 46r (2), 52v, 54v, 63r, 67r (2) 1.b. apostumacion chalda (postumacione chalda) f.: V («e temese ch’el non fose l’apostumacion chalda, alora sia la toa intencione dde vedarlla») 8v, 33v ▲ 1.a., 1.b. Cf. locuzioni analoghe in OVI, fior.a. apostemi chaldi (1310, BencivenniSantà, OVI); calde aposteme (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); tosc.a. caldi apostemi (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. apostemacion calda (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); TLIO (s.v. apostemazione: apostemazione calda). – apostema durum (8 occ.; 45) apostema duro (apostema dura; aposteme duro; postema dura) m./f.: R («se ttu vederai che ’l suo colore è foco overo nero ed è quasi apostema duro e insensibile, none apparecchiare nulla») 114r, 122v (2), 127r (2), 134v; apostema duro m.: B 11r, 51r, 55r (2), 57r (2), 60v; postiema dura f.: V 12v, 49r, 52v, 54v, 57v ▲ Molte locuzioni analoghe si possono ricavare dal corpus OVI: la più antica è il sen.a. postema dura (pm. sec. XIV, BestiarioVolg,

II Fisiologia e patologia 

OVI); TLIO (s.v. apostemazione: apostemazione dura). – apostema frigidum (3 occ.; 239) 1.a. apostema fredda (aposteme freddo 150v;130 appostema fredda 150v) f./m.: R («non è mia intençione che ssi curi l’apostema fredda») 126v, 150v (2); postiema freda f.: V 54v, 63r 1.b. apostema frigido m.: B («li apostemi frigidi fizano curati cum medicini frigidi») 56v, 67r (2) ▲ 1.a., 1.b. Cf. fior.a. fredde aposteme (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Loc. registrata dal TLIO (s.v. apostemazione: apostemazione fredda).

apostemari vb.med. ‘sviluppare un ascesso’ (3 occ.; 136) [Du Cange I, 318b]

1.a. apostem[are] vb.intr.: R («aviene ch’apostemeno quegli medesimi intesticogli») 150r; apostiem[are]: V 67v; apostumare: V 33v 1.b. apostem[arse] vb.pronl.: B («lo siphac, zoè lo panniculo, se sole apostemare per tropo grande compressione e graveza») 34r, 42r, 67r; apostiem[arse]: V 40v, 62v 1.c. inpostemare vb.intr.: R («el sifac [...] suole tostamente inpostemare») 73r, 91v ▲ 1.a., 1.b. Cf. TLIO, che ne registra sia la forma intr. sia quella pron. (prima attestazione: it.sett.a. si apostema, pm. sec. XIV, Guglielmo da Piacenza cit. in Crusca5; LEI III-1, 120). La forma con u pretonica di V (apostumare), di cui non si hanno testimonianze nel corpus OVI, potrebbe corrispondere alla variante già tardo-lat. apostōma (in Isidoro)/ apostuma (cf. EWD, 367; REW §529a); a tal riguardo cf. anche, per il fr.a., il sost. apostume e il verbo apostumer, che però, stando al FEW (25, 18a), deriverebbero piuttosto da

130 Ms.: fraddo.

 605

un incrocio con rheuma: «Hier ist es lautlich beeinflusst worden durch die lautlich und begrifflich nahe stehenden Vertreter von rheuma und phlegma. Die beiden Formen apostème und apostume leben in den Mundarten nebeneinander. In der nfr. Schriftsprache ist das Wort geschwunden und durch abcès ersetzt worden»; allo stesso modo, per l’ingl.a., cf. Norri (2016, 52); il verbo apostemare è presente solo in Crusca5. Cf. Gualdo (1996, 74), D’Anzi (2012a, 272), Elsheikh (2016 II, 89). 1.c. Il TLIO registra, al pari del GDLI, la forma verbale impostemire (di cui si offrono tre attestazioni, tutte di area toscana: la più antica è impostemi, 1354–55, BoccaccioCorbaccio), presente anche nei secoli successivi (cf. LEI III-1, 117; Florio 1611 registra impostemire e impostumare, oltre ai sostantivi impostematione e impostumatione).

apostematio ‘suppurazione, processo di formazione dell’apostema’ (4 occ.; 20)

[Du Cange I, 318b]

1.a. appostema f.: R («è fatto [...] appostema») 164r; postema: R 10v 1.b. apostiem[arse] vb.pronl.: V («la sangue s’aglaza in la vesiga e apostiemase») 67v131 2. apostematione f.: B («li meliori remedij cum li quali noy intendemo in li vulnerationi si è che noy devediamo la sua apostematione») 4r, 71v; postematione: B 5r, 50v; ~: R 8r; postumacione (postumacion): V 5v, 6v, 48v ▲ 1.a. Cf. s.v. apostema. 1.b. Cf. s.v. apostemari (1.b.). 2. Prima attestazione: it.sett.a. apostemazione (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO); voce presente ancora nel Settecento (ante 1730, Vallisneri, GDLI); cf. LEI (III-1, 118 e 120). Fra i tre mss., V è l’unico a presen-

131 Lat.: sanguis congelatur in vesica et fiat ibi apostematio.

606 

 6 Glossario

tare la variante con u pretonica, per la quale cf. quanto detto s.v. apostemari (1.a.); voce registrata soltanto in Crusca5. Cf. Tomasoni (1986b, 238), Nystedt (1988, 203), Gualdo (1996, 74), Aprile (2001a, 249), D’Anzi (2012a, 272), Castrignanò (2014, 161), Elsheikh (2016 II, 89), Zarra (2018, 621).

apostemosus ‘affetto da apostema’ (2 occ.; 16)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. apasionad[o] agg.: V («è molto dolloroxe e apasionade, zoè apostumade») 5v 2.a. apostematos[o] agg.: B («questi vulnerationi sonno dolorosi e apostematosi») 4r 2.b. apostemos[o] (postemos[o]) agg.: R («queste piaghe sono dolorose e postemose») 7v, 38v; apostemos[o]: B 17v; apostumox[o]: V 19r 2.c. apostumad[o] agg.: V (cf. supra 1.) 5v132 ▲ 1. L’unica testimonianza ricavabile dal TLIO è il superlativo appassionatissimi (GiordPisa [Redi], non confermato, però, dal corpus OVI), ma col valore di ‘preso da una forte passione, profondamente turbato’; è evidente qui, invece, l’accezione di ‘colpito da una patologia’ (< passione nel significato originario del lat. passio ‘patimento fisico, patologia’: cf. s.v. passio), che non si registra neppure nel GDLI. 2.a. Forma incrociata tra il part. ┌apostemato┐e l’agg. ┌apostemoso┐ (che ricorre un’unica volta in B: cf. infra 2.b.), o comunque derivata dal part. verbale con l’aggiunta di -oso, suffisso patologico per antonomasia nella lingua medica antica e moderna. Non si hanno attestazioni nel corpus OVI e nel GDLI; tuttavia, la presenza di un agg. apostematosus è visibile in alcuni testi medici in latino, anche posteriori ai nostri volgarizzamenti (cf., ad es., Ryff 1562, 53b: cancer apostematosus); l’it. aposte-

132 Glossa di apasionad[o].

matoso, poi, compare in qualche opera della stessa epoca (cf. Tagaultio 1570, 119r: «Il nome del cancro si toglie da’ medici, e da i chirurgici in due modi; e il suo significato a due maniere di morbi si estende; cioè al tumore cancroso (che chiamano volgarmente cancro apostematoso) tanto evidente [...]»). 2.b. Voce presente con una sola testimonianza nel corpus OVI: fior.a. apostemose, postemosi (pm. sec. XIV, CrescenziVolg; cf. TLIO: ‘affetto da apostema’ e LEI III-1, 119); registrata da Crusca2 (‘apostemato’). Cf. Sboarina (2000, 212), Elsheikh (2016 II, 89). 2.c. Part. del verbo apostumare: per la forma apostu- per aposte-, di cui non si rintracciano attestazioni nel corpus OVI, cf. quanto detto s.v. apostemari (1.a.). Prima attestazione: sen.a. apostemato (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI); LEI (III-1, 120); apostemato è presente già da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 89).

aquosus ‘che contiene acqua, che è impregnato d’acqua’ [TLL II, 381]

♦ Loc. e collocazioni: – hernia aquosa ‘versamento plasmatico dalla sacca sierosa che circonda il testicolo’ (2 occ.; 285) [Cf. → s.v. hernia]

ernia achoxa (ernia aquoxa) f.: V («zeneralmente è [scil.: ernia] tre spezie, l’una achoxa, l’altra ventoxa, la terza charnoxa») 62v (2); ernia acosa: R 149r (2); hernia aquosa: B 67r (2) ▲ Cf. TLIO (s.v. ernia §2 loc. nom. ernia acquosa): it.sett.a. ernia aquosa (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA); peraltro, si ritrova in GuglielmoPiacenzaVolgA la stessa tripartizione delle tipologie di ernia che si legge anche nel testo di Bruno («ernia ventoxa, aquosa e carnoxa in li coioni»), e che si ritrova anche nei secoli successivi (cf., tra gli altri, Masiero 1749, 109). In area bergamasca, cf. Tomasoni (1986b, 235). Cf. infra s.v. humor aquosus.

II Fisiologia e patologia 

– humor aquosus (2 occ.; 85) [Cf. → s.v. humor]

humore aquoso m.: B («veneno non fi generato se non per subtilitade de li humori aquosi») 21v, 46v; omore achoxo (umore achoxo): V 22v, 44v; omore aquidos[o] (homore aquidoso): R 46v, 102v ▲ Cf. fior.a. umore acquoso (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). La prima attestazione dell’agg. ┌acquoso┐ è il tosc.sud-or.a. acquosi (ante 1298, Questioni, TLIO); REW (§588); LEI (III-1, 671); voce presente da Crusca1. Cf. Motolese (2004, 93). – passio aquosa ‘patologia caratterizzata da presenza di liquidi (in riferimento all’idro­ pisia)’ (268) [Cf. → s.v. passio]

passione aquosa f.: B («Idropisia si è errore de la virtude digestiva in lo figato e fi dita ydropisia ab ydros che è dire aqua e tisis che è dire passione, e però fi dita ydropisia, quase passione aquosa») 63r; passione d’acqua: R 139v ▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. Cf. supra s.v. humor aquosus.

ardor ‘sensazione di bruciore fisico, causata da febbre o infiammazione di un organo’ (3 occ.; 70) [TLL II, 490]

1. ardor (ardore) m.: V («Questo si è uno onguento lo qual si è da ovrar a remover l’ardor») 19r, 47r, 67r; ardore: R 39r, 108v, 164r 2. brusore m.: B («Uno unguento da usare a removere lo brusore e caliditade de li piagi») 18r, 49r, 71r ▲ 1. Prima attestazione: trevig.a. ardore (primi decenni sec. XIV, NicRossi, TLIO §1.2); GDLI (s.v. ardore §3); LEI (III-1, 996). Cf. Ineichen (1966, 250), Gleßgen (1996, 550), Sboarina (2000, 212), Aprile (2001a, 253), Tomasin (2010, 44), Elsheikh (2016 II, 90), Zarra (2018, 591).

 607

2. Prima attestazione: gen.a. bruxor (ante 1311, Anonimo, TLIO §1. ‘dolore fisico sordo, bruciante; prurito’); è molto più tarda la prima attestazione registrata dal GDLI (ante 1642, Galilei); LEI (VII, 915); Boerio (1856 s.v. brusòr); Cortelazzo (2007, 231). Cf. Ineichen (1966, 252), Nystedt (1988, 207).

arena ‘renella, materiale calcoloso nelle vie nefritiche e urinarie’ (303)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] preda f.: B («non sente aleviamento nì se provoca la urina nì la preda insisse cum quella») 70v ▲ Per la voce dotta arena, non testimoniata dai nostri tre volgarizzamenti, cf. TLIO (§3), che attesta il nap.a. arena (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis), GDLI (§4: l’unica testimonianza è registrata in A. Cocchi, ante 1758) e LEI (III, 1046); DEI (IV, 2911 s.v. pietra4). Il sost. ┌ pietra┐ per indicare la ‘renella’ si trova anche nei secoli successivi, e corrisponde al lat. lapis (cf. s.v. lapis), voce più generica rispetto ad arena, ma sostanzialmente sinonimica per designare le concrezioni di materiale calcoloso: cf., ancora nel Settecento, James (1753 IV, s.v. calculus ‘la pietra o la renella’).

arsura ‘sensazione di inteso calore interno e secchezza’ (4 occ.; 91)

[TLL II, 678]

1. arsura f.: R («la ferita sente mordichamento et manifesta arsura») 50r, 57v, 111v; ~: V 27r, 48r; ~: B 23r, 50r 2. brusore m.: B («lo loco è citrino e se senteno ponzimenti e brusori») 26v ▲ 1. Prima attestazione: it.merid.a. arsura (CieloAlcamo, TLIO §3); DEI (I, 307): «usato da scrittori medici seriori (dallo Pseudo Apuleio in poi) nel significato di ‘bruciore di stomaco’;

608 

 6 Glossario

panromanzo, con esclusione della Penisola iberica; subì la concorrenza di ārdūra»; cf. LEI (III, 1452); voce presente da Crusca1. Cf. Gleßgen (1996, 576), Elsheikh (2016 II, 92). Si veda anche l’uso del v. ┌bruciare┐ (s.v. adurere 2.). 2. Cf. s.v. ardor (2.).

artetica ‘artrite, infiammazione acuta delle articolazioni’ (315)

[arthritis TLL II, 688; artetica gutta Du Cange I, 411a] 1. artetica f.: B («Contra la artetica zoè dolore de gotta o de zonturi [...] fiza lo cauterio sopra lo nodo de lo pede») 73r; arteticha: R 170v; arteticha: V 68v 2. dolore de gotta: B (cf. supra 1.) 73r133 3. dolore de zonturi: B (cf. supra 1.) 73r134 ▲ 1. La voce artetica (cf. in GDLI e DELIN, 131 s.v. artrite), presente nell’originale latino, è un originario agg. poi sostantivizzatosi, come si vede anche dalla forma piena messa a lemma dal Du Cange (artetica gutta); cf. DEI (I, 308: «lat. tardo arthrītica [scil.: passiō] (Isidoro), in sostituzione del più antico articulāris morbus e tramandato dal lat. dei medici medioev. Attraverso una forma dissim[ilata] artētica [gutta] a tutte le lingue neolatine»); cf. LEI (III, 1480): «il lat. arthrīticus ‘che soffre l’artrite’ [...] ha dato origine a due diverse forme; la prima semidotta ┌artetica┐, forma della scuola medica di Salerno, [...] la seconda dotta e latinizzante ┌artritico┐ [...]. Il fr.a. possiede una terminologia medica in volgare anteriore a quella it.» Prima attestazione: fior.a. artetica (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO); voce registrata già da Crusca1. Cf. André (1991, 79), Gleßgen (1996, 600), Mazzeo (2011, 279), Tomasin (2010, 45), Zarra (2018, 591).

133 Glossa di artetica. 134 Le loc. ai punti 2. e 3. sono entrambe usate come glosse di artetica.

2. La perifrasi ricorre, in via autonoma rispetto all’originale latino, al sost. gotta (< lat. gutta, «la ‘goccia’, che, scesa dal cervello, si riteneva responsabile dell’artrite»: cf. artetica gutta in Du Cange), che godrà di vita propria, senza l’accompagnamento dell’agg. artetica, anche nei secoli successivi, per indicare una ‘malattia metabolica dovuta all’aumento del tasso di acido urico nel sangue’ (contrassegnata, per l’appunto, da accessi di artrite acuta e per questo associata anche sinonimicamente all’artrite); la voce gotta è presente già in Crusca1 e ha la sua prima attestazione nel fior.a. gotta (fine sec. XIII, AntidotariumNicolaiVolg, OVI). Cf. Tomasoni (1986b, 236), Marcovecchio (1993, 402), Green (2009, 398), Elsheikh (2016 II, 172). 3. La perifrasi, che sostituisce il termine dotto tramite la descrizione dei sintomi provocati dalla patologia, non è una creazione personale e isolata del volgarizzatore di B, ma trova dei riscontri nel corpus OVI: cf. fior.a. dolore delle giunture (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); pad.a. dolore de le çonture (fine sec. XIV, Serapiom).

asclites ‘ascite, versamento di liquido nella cavità peritoneale: indicata come una delle tre tipologie di idropisia’ (3 occ.; 268)

[aschites Du Cange I, 418c; ascites Forcellini I, 341] aclites (aclite) m.: B («E li soy speci secondo la sententia de li antiqui sono trey, zoè aclites, yposayca e timpanides») 63r (2), 73r; aschires: V 60r; aschites: V 60r; asclite: R 140r; ascli­ tice: R 171r ▲ Il lat. tardo ascites (che in Bruno appare nella variante grafica asclites), viene dal gr. ἀσκίτης, der. di ἀσκός ‘otre’ (LEI III, 1567). Nel TLIO l’unica testimonianza è rappresentata dal tosc.a. ascite (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, che però costituisce una falsificazione rediana al posto delle due

II Fisiologia e patologia 

varianti asclites e asclite riportate rispettivamente dalle edizioni Volpi e Manuzzi: cf. LEI III, 1567, nota 1); nel corpus OVI si ha invece, per il pad.a., l’agg. asclitici (fine sec. XIV, Serapiom: riferito al sost. ydropisi). Il DELIN, 133 registra il lemma ascite (1493: Fasciculo di medicina vulgare), presente anche nel DEI (I, 317: «la voce greca accolta da Celio Aureliano e Oribasio è passata alla scuole mediche medioevali»), GDLI e Crusca4,5; cf. FEW (25, 462a), Marcovecchio (1993, 88), García Gonzáles (2007, 360), Elsheikh (2016 II, 92), Norri (2016, 73).

asma ‘intensa difficoltà respiratoria’ (314) [TLL II, 950 s.v. asthma]

1. asma f.: V («chontra asma e vizio del pollmon fa’ chauterio de soto dalla golla») 68v; ~: B 72v 2. manchaflato m.: B («Contra l’asma, zoè lo manchaflato, e contra lo vicio del pulmone fiza lo cauterio apresso la radice de la gola in lo loco basso») 72v135 ▲ 1. Dal gr. ἄσϑμα ‘respirazione faticosa’ (> lat. ăsthma), termine già rintracciabile in Omero, che lo usa per descrivere la difficoltà respiratoria di Ettore colpito al petto da un sasso scagliato da Aiace (Il. XV, 241): DELIN, 134; passa poi al lessico specialistico della medicina con Ippocrate (cf. Marcovecchio 1993, 92). Prima attestazione: tod.a. asmo (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO s.v. asma); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 251), Gleßgen (1996, 552), Sboarina (2000, 212), Castrignanò (2014, 162), Elsheikh (2016 II, 93), Zarra (2018, 592). 2. Voce composta (┌mancare┐ e ┌fiato┐), di scarsissima attestazione, e alla quale si affida in B il ruolo di glossa del sost. asma; l’unica testimonianza offerta dal GDLI risale al XIX sec. (1870, C. Dossi).

135 Glossa di asma.

 609

asperitas ‘asperità, ruvidezza’ (3 occ.; 52) [TLL II, 821]

1.a. asperitade f.: B («se per siccitade, el appare dureza e asperitade e pocha sanie, zoè marza») 13r, 33v, 39v 1.b. aspreza f.: V («serà a lo luogo dureza e aspreza e pocha marza») 14v, 33r; asprezz[a] (aspresa): R 72r, 85r 1.c. aspro agg.: V («lo logo è aspro»)136 38v ▲ 1.a. Nel significato qui discusso, la prima attestazione rintracciabile è il gen.a. asperitae (fine sec. XIII-1350ca., TrataoVIIPecaiMortal, OVI: «ll’aytorio de li humeri chi son pim de cilizi e de asperitae»); TLIO (s.v. asprità ‘ruvidezza al tatto’); LEI (III-2, 1738). Cf. Ineichen (1966, 251) e Gualdo (1996, 229), che inserisce il termine tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola. 1.b. Prima attestazione: pis.a. asprezza (1330, Cavalca, TLIO §2). Cf. Sboarina (2000, 212), Elsheikh (2016 II, 93). 1.c. Prima attestazione: aret.a. aspro (1282, RestArezzo, TLIO §2).

assellare ‘defecare, espellere le feci’ (294) [Du Cange I, 430b]

1.a. assell[are] vb.intr.: B («comanda a lo infirmo che ello asselli, zoè vada del corpo, e se prema fina che ay veneno fora dal culo et appara li emoroydi»); selar: V 65r 1.b. andare a ssella: R («comanda a lo infermo che vada a ssella») 154v 2. andare del corpo (cf. supra 1.): B 68v137 ▲ 1.a. La v. assellare risale al lat. tardo (cf. Du Cange I, 430b). Prima attestazione: sic.a. assella (ante 1368, MascalciaRuffoVolg, TLIO);

136 Lat.: in loco asperitatem [...] invenies. 137 Glossa di assell[are].

610 

 6 Glossario

voce assente in GDLI, Crusca, DELIN, DEI. Cf. Elsheikh (2016 II, 94), Zarra (2018, 592). 1.b. La loc. andare a sella è registrata da Crusca3 (s.v. andare: ‘andare a cacare’), ma già presente sotto il lemma sella, inserito in un esempio tratto dal Milione, che rappresenta anche l’attestazione più antica ricavabile dal corpus OVI (tosc.a. andare a sella, inizio sec. XIV, MPolo); accanto ad altre testimonianze toscane, si ritrovano in OVI alcuni esempi provenienti da area siciliana (mess.a. andari a sella, 1321/37, ValMaximuVolg, OVI; sic.a. vada a sella, ante 1368, MascalciaRuffoVolg, OVI). Cf. Elsheikh (2016 II, 285 s.v. sella), Zarra (2018, 590). 2. Sempre in area settentrionale, ritroviamo più volte la medesima perifrasi nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV, OVI): anche in tal caso, peraltro, il verbo andare regge prevalentemente la preposizione articolata del (6 occorrenze), mentre più rara si mostra la perifrasi accompagnata dalla prep. semplice de (2 occorrenze), che sembra essere di diffusione più tarda: tra le altre testimonianze: sen.a. andare del corpo (ante 1397, FilAgazzari, OVI); tosc.-ven. andassero de corpo (XIV sec., DiatessaronVeneto, OVI); cf. anche Motolese (2004, 102: andare di corpo), Tomasin (2010, 44), Mazzeo (2011, 278).

assiduus ‘di stato patologico costante, cronico’ (3 occ.; 173) [TLL II, 883]

chontinuo agg.: V («el vignerà mali azidenti a lo infermo, sì chomo fievre che non se parte, mal de chavo chontinuo») 41r, 45v, 65r; continuo: R 92v; ~: B 42v, 47v, 68v, 70v ▲ I volgarizzamenti ricorrono sistematicamente alla v. comune ┌continuo┐, che appare ben codificata nell’it.a., in particolare all’interno della loc. febbre continua. Prima attestazione: tosc.a. continua (febra) (ante 1294, GuittArezzoLettereProsa, TLIO s.v. continuo §1.2). Cf. Motolese (2004, 134).

botium ‘gozzo, aumento di volume e di peso della ghiandola tiroide, dovuto a ipertrofia di tutto il tessuto ghiandolare o di parte di esso’ (4 occ.; 250)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. botio m.: R («El botio à diferentia da tutti ch’è fatto nella gola e senpre cresce e cresce più delgl’altri») 132v; bozi (bozin): V 56v (2); bozio (bocio): V 59v (3) 2. goso (gosso) m.: B («in lo corpo fino generati altri superfluitade [...] che fino diti glandi, nodo, testudine, gosso, bubo e cancer») 59r, 59v, 62r (2), 62v; gozzo: R 131v, 138r (3) ▲ 1. Il lat. botium (e più raramente al m. botius) è registrato dal MLW (I, 1547; Bruno è tra le fonti citate). Cf. DELIN, 241 (s.v. bozzo): v. «dell’Italia non tosc. -in tosc. boccio- con vari sign[ificati] (‘enfiatura’, ‘bitorzolo’, ‘bernoccolo’, ‘tumore’, ‘gozzo’), tutti riconducibili ad una base onomat[opeica] col senso primitivo di ‘scoppiare’ e quello der. di ‘gonfiare’»; l’etimologia del DELIN è poco convincente per il LEI (VI, 799), che parte da un base *bokky-: cf. 1.a.ε. (VI, 667–673: ‘parti umane tondeggianti’), dove si registra anche l’accezione qui considerata di ‘gozzo, tumefazione della ghiandola tiroide’; con tale significato, però, le forme registrate appartengono tutte all’area meridionale (per il sic., cf. Biundi 1857 s.v. bozzi ‘gozzo’, con un uso plurale forse in forma collettiva). Altrove, il lat. botium ‘gozzo’ è considerato il termine corrispondente all’ar. buṯūr (cf. Kitt 1895 II, 456), per il quale cf. Bush et al. (1831 s.v. bothor: ‘ein bei den arabischen Ärzten gebräuchliches Wort, jede eiternde Pustel bezeichnend, daher auch für Variola gebraucht. Speziell wird es für Bläschen und Blätterchen in der Mundhöhle genommen’); diversamente, però, in James (1753 IV: ‘presso alcuni autori egli è un abscesso delle narici. Questa parola araba ha tre significati. In genere esprime qualunque tumore; in particolare un tumor con scioglimento di parti; e in significato più rigoroso, solamente de’ piccioli tumori’); cf. Ineichen (1966, 286), Altieri Biagi (1970, 56), Gleßgen (1996, 548), Elsheikh

II Fisiologia e patologia 

(2016 II, 104). Nessuna delle forme elencate in 1. si ritrova nel corpus OVI (per bozi e bozin di V si potrebbe anche ipotizzare un incrocio con bozzo ‘protuberanza, rigonfiamento; pustola’: cf. TLIO §1 e 2), e le forme derivate dal lat. botium risultano poco attestate nei secoli successivi. Tra le poche testimonianze rintracciabili, cf. Melli (1717b, 281), dove il termine in questione è affiancato da gosso (cf. infra 2.), considerato il suo corrispettivo popolare: «con proprio nome Broncocele viene chiamato, sebene al dir di Tagaultio, viene ancora detto Ernia della Gola, o del Guttore, dal Croce Bozio, dal volgo Gosso». Il Croce citato da S. Melli è sicuramente il Dalla Croce (1583, I, 71), dove infatti si legge: «quelli mostruosi tumori, che nascono nella gola, fra la cotica e l’aspera arteria, over trachea, che talhor diventano molto grandi, e che contengono in se, come dice Celso, materie diverse, dimandati bozzi, gossi, hernie della gola e dagli antichi broncoceles». Cf. Motolese (2004, 76: «il tumore di gola delle montagne di Brescia che chiamano bocio»), Castrignanò (2014, 164: bocium), Norri (2016, 111). 2. Accezione secondaria della voce gozzo ‘gola’, per la quale cf. s.v. guttur (3.: sezione 1). Va segnalato come V, che pure traduce il lat. guttur sempre con guzo, ricorra sempre, in tal caso, alle forme derivanti dal lat. botium. Voce presente già in Crusca1 (‘per un certo enfiamento di gola, a guisa di gozzo di colombo, o di pollo’), sulla base di un passo di CrescenziVolg («sotto la gola delle pecore nasce alcuna volta gozzo per abbondanza d’umori che dal capo discendono»), che è anche l’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI in tale accezione (le altre si riferiscono tutte a gozzo ‘gola’), con riferimento, però, alle pecore e non all’uomo; voce attestata dal GDLI fino alla fine del Cinquecento (1583, Dalla Croce), ma cf. ancora, nell’Ottocento, Bégin (1834 s.v. gozzo ‘botium, tumore comunemente indolente, qualche volta mobile [...] formato dall’aumento innormale del corpo tiroide’). Cf. Altieri Biagi (1970, 85), Marcovecchio (1993, 402), Sboarina (2000, 228), Sosnowski (2014, 223).

 611

brancus ‘tipo di ascesso che nasce nella gola’ (2 occ.; 216) [Du Cange I, 735b]

brancha f.: R («alcuna volta nasce nella gola una posteme la quale si chiama brancha overo amidola») 115r; branci (branzi) m.: V 49v (2); brancile: B 51v (2) ▲ Il lat. brancus corrisponde al gr. βράγχος ‘raucedine’ (non si hanno riscontri in DELIN, DEI e GDLI; nel LEI VII, 163 s.v. *branc(h) a ‘branchia’, si pone il rimando al gr. bránchos). Mentre Forcellini (I, 465) pone a lemma soltanto la forma m. branchos-i, Du Cange (I, 735b) riporta anche le forme latine brancea e brancia, da cui potrebbe essere derivato direttamente il sost. f. di R brancha, senza dover presupporre un metaplasmo di genere. A loro volta, le forme branzi e branzi di V deriveranno dalla variante brancis, anch’essa testimoniata dal Du Cange (la fonte è Gloss. Sangerman. MSS. num. 501: «Brancis a raucedine pulmonum dicta, inde et thysis (tussis) fit»; «Brancis est praefocatio faucium a frigido humore»). L’unica attestazione riportata dal TLIO (s.v. brancos) è il tosc.a. brancos (sec. XIV, TrattatoGovernoUccelli); nel corpus OVI si leggono anche le forme toscane branci/branchi f. e m. pl., brance/branche f. pl. (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg; MaestroBartolomeo); il f. ┌ branca┐, presente in R, non è registrato nel TLIO nell’accezione qui considerata.

bubo ‘linfonodo ingrossato e infiammato, spec. all’ascella e all’inguine’ (6 occ.; 250) [TLL II, 2222]

1. bolla doloros[a] f.: R («ingeneransi [...] grandula, nodo, testudo, bubo, cioè bolle dolorose») 131v138

138 Glossa di bubo.

612 

 6 Glossario

2. bubo m.: R («El bubo è diferentia di tutti gl’altri inperciò che none è spartito dalla carne») 132v (2), 137v (2); ~: B 59r, 59v (2), 62r (3); ~: V 56v (2); ~: bubone: V 56v, 59r (3) ▲ 1. Non si trovano loc. analoghe nel corpus OVI. Cf. TLIO (s.v. bolla §2) per la voce semplice bolla nel senso di ‘rigonfiamento cutaneo sieroso, vescica’. 2. Le voci bubo e bubone presentano un’unica attestazione nel TLIO (rispettivamente: mant.a. bubo, 1299/1309, Belcalzer; tosc.a. bubone, XIV-XV sec., BibbiaVolg), ma in entrambi i casi si tratta delle accezioni di ‘allocco’ e ‘gufo’ (cf. bubo in REW §1352); l’accezione medica del termine rappresenta per Bruno un valore secondario del lat. bubo ‘gufo’, vòlto a indicare metaforicamente lo sviluppo subdolo della patologia in questione («dicitur autem bubo ad similititudinem cuiusdam avis quae sic vocatur quia sicut illa avis grossum caput videtur habere, et in nocte volat et in die in cavernis degit, ita hoc apostema quasi eminentiam quandam loco capitis obtinet, et in obscuris et intricatis locis sicut in subascellis et in inguinibus nascitur, ut dictum est»: Hall 1957, 251; si veda a tal riguardo, sempre nel REW, anche la forma derivata dello sp.a. abuharse per ‘nascondersi’). Si tratta, però, di una paretimologia medievale: bubo ‘gufo’ è infatti voce onomatopeica (TLL II, 2221), laddove bubo ‘tumefazione’ deriva dal gr. βουβών-ῶνος ‘inguine, tumescenza inguinale’ (cf. s.v. bubbone: DELIN, 255; DEI I, 620; Nocentini 2010; DEI I, 620 s.v. bubo2 ‘bernoccolo’). Il LEI (VI, 357), poi, ipotizza una base probabilmente preromanza, *bob-, *bub- ‘corpo di forma tondeggiante’ (GugliemoPiacenzaVolgA, Altieri Biagi 1970, 57); la voce è presente da Crusca3 (s.v. bubbone ‘enfiato’). Cf. Marcovecchio (1993, 130), Sboarina (2000, 212), Motolese (2004, 115).

caliditas ‘qualità calda di un corpo o di una sostanza (contrario di frigiditas); calore (naturale o patologico) dell’organismo, dei suo membri’ (20 occ.; 11)

[TLL III, 151]

1.a. caldeçça (caldezza) f.: R («se della caldeçça fusse, cotali segni vanno inanzi cor rossore») 29r, 30v (2), 39r, 43r, 64v, 74r, 77v, 78r, 114r, 137v; chaldeza: V 15v 1.b. calidità f.: R («quella medesima è vera calidità et temperamento comunale») 22r, 23v; caliditade: B 3r, 10r, 10v, 13r (2), 14r (2), 18r, 19v, 30r, 31r (2), 34v, 36r, 36v, 38v, 51v, 56r, 62r, 67r; chaliditade (challiditade; chalidità): V 11v, 12r, 14v, 19r, 21r, 30r, 30v, 35v (2), 49r 1.c. caldo agg.: R («in qualitate fuori di natura, sì come quando è soperchiamento caldo») 5r,139 chaldo: V 42r, 63r 1.d. chaldo m.: V («Lo bubone è asunamento de umori de li menbri prinzipalli de chaldo») 59r 1.e. challura (chalura) f.: V («se la challura è plù che non fa bexogno, allora per lo suo bollir furioxo ronpe») 4r, 30v, 59r 1.f. chalor m.: V («el significha chalor natural manchare ed esere destruto») 34r ▲ 1.a. Cf. TLIO (s.v. caldezza §2 ‘una delle quattro ‘complessioni’ della fisica aristotelica; in part[icolare] rifer[ito] a organismo umano o animale’); prima attestazione: mant.a. caldeza (1299/1309, Belcalzer); voce registrata da Crusca1. Cf. Motolese (2004, 117), D’Anzi (2012a, 281), Elsheikh (2016 II, 107). 1.b. Prima attestazione: fior.a. calidità (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO s.v. calidità §2.1); voce presente da Crusca3. Cf. Nystedt (1988, 208), Gualdo (1996, 76), Motolese (2004, 119), Tomasin (2010, 47), Mazzeo (2011, 283), D’Anzi (2012a, 281), Elsheikh (2016 II, 108). 139 Lat.: ex qualitate sua extra cursum naturalem distemperata, verbi gratia, si caliditas sit plus quam oportet.

II Fisiologia e patologia 

1.c., 1.d. Prima attestazione: fior.a. caldi (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO s.v. caldo §2.1). Cf. Motolese (2004, 117), Mazzeo (2011, 282). 1.e. Da un lat. *calūra(m). Cf. TLIO (s.v. calura §2 ‘[Con rif. alla fisiologia umana o animale:] temperatura del corpo o di una sua parte necessaria e conseguente all’espletamento delle funzioni organiche, alla vita’), la cui prima attestazione è il fior.a. calura (fine sec. XIII, TesoroVolg); voce presente da Crusca1. 1.f. Cf. s.v. calor (1.c.).

callosus ‘che presenta un ispessimento indurito simile a calli’ [TLL III, 175]

♦ Loc. e collocazioni: – os callosum140 (147) osso calloso m.: R («la sulutione della continuitate che esso fa nell’osso non si sana per la intentione primaia, cioè sì come fue prima, anzi fa l’atione sua per uno osso calloso») 5v; osso caloso: B 36v ▲ Per l’agg. calloso, cf. TLIO (§1; prima attestazione: tosc.a. callosi, 1318–20, FrBarberinoReggimento); LEI (IX, 1463). Non si rintracciano nel corpus OVI locuzioni analoghe a quella qui riportata. – caro callosum (292) carne callosa f.: R («si è carne callosa et dura ed è ritonda») 153r; carne calosa: B 68r; charne challoxa: V 64v ▲ Cf. TLIO (s.v. calloso): sic.a. carni gallusa (ante 1368, MascalciaRuffoVolg, TLIO); sab.a. carne callosa (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, TLIO).

140 Nel testo lat. os callosus è impiegato a mo’ di glossa lessicale di porus sarcoydes.

 613

calor ‘calore (naturale o patologico) dell’organismo o di suoi membri’ (17 occ.; 17)

[TLL III, 179; cf. → calor accidentalis (s.v. accidentalis), calor vehemens (s.v. vehemens)] 1.a. caldezza (caldeçça) f.: R («la rossezza et la caldezza del membro a te sanza dubbio si porrà dichiarare») 24r, 29r, 36r 1.b. caldo m.: R («gitta fumusità a rrisolvere lo spirito così in quello modo el caldo naturale») 31r, 50r, 69v, 125r, 138r, 167v 1.c. calore m.: R («acciò che llo dolore si mitighi et lo calore naturale si conforti alla piaga») 8r, 8v (3), 28r, 30v, 116v, 120r, 120v, 122v, 124v; ~: B 4v (4), 10v, 12v, 13r, 14v, 16r, 32v, 52v, 54r (2), 55r, 56r (2), 62v, 72r; chalor (challore; challor): V 6r (3), 12r, 14r, 15v (2), 32r, 52r, 53v, 59v 1.d. chaliditade f.: V («lla medexina non pasa lo modo in chaliditade o in friziditade») 17v ▲ 1.a. Cf. s.v. caliditas (1.a.). 1.b. Cf. s.v. caliditas (1.c., 1.d.). 1.c. Prima attestazione: sen.a. calore (naturale) (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO s.v. calore §2.1). Cf. Marcovecchio (1993, 140), Motolese (2004, 119), Elsheikh (2016 II, 103). 1.d. Cf. s.v. caliditas (1.b.).

cancer ‘tumore maligno’ (44 occ.; 8) [TLL III, 231]

1.a. cancro m.: R («della somma et universale cagione et curatione dello cancro») 4v, 47r (3), 52v, 55r, 62r, 64r (2), 64v (2), 65r (4), 65v, 66r (7), 66v (2), 67r (2), 110v, 112r, 120r, 127r (5), 127v, 132r (2), 132v, 133r; ~: B 2v, 21v, 57r; chanchro: V 4r, 22v (2), 26r, 29v (2), 30r (4), 30v (6), 31r, 47v, 48v, 49v, 54v (3), 55r, 56v (2), 57r; cancer: B 21v (3), 24v, 25v, 29r, 30r (6), 30v (5), 31r (8), 49v, 50v, 52r, 57r (6), 59r (2), 59v (2); chanzer: V 51v; clanclo: R 115r; crancro: R 64r

614 

 6 Glossario

1.b. inchanchrid[o] agg.: V («quan vis dio che queste ulzere non sia infistollide nì inchanchride»)141 25r ▲ 1.a. Cf. TLIO (s.v. cancro §3), dove la prima attestazione registrata è il mil.a. cancro (1270– 80, BonvesinVolgari); LEI (X, 660). La voce crancro di R (singola occorrenza) deriverà dalla forma metatetica, propria già del lat. parl., crancus (da cui cranco: cf. LEI X, 669 e 706), con successiva epentesi assimilativa di r in sillaba finale; clanclo, a sua volta, ne rappresenterà verosimilmente una forma ipercorretta (per il passaggio l > r del nesso interno clnel tosc. popolare, cf. Rohlfs 1966–1969, §248); un fenomeno analogo si osserva, sempre in R, con forme come concravità e conclavità (cf. s.v. concavitas 2.a.). Cf. Ineichen (1966, 253), Altieri Biagi (1970, 58), Tomasoni (1986b, 234), Marcovecchio (1993, 143), Aprile (2001a, 271), Motolese (2004, 121), Green (2009, 391), Castrignanò (2014, 166), Elsheikh (2016 II, 110), Zarra (2018, 594). 1.b. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è la corrispondente forma verbale all’infinito: sab.a. incancrire (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, TLIO); cf. LEI (X, 662: incancherire, incancherito e forme affini); voce assente in Crusca. ♦ Loc. e collocazioni: – cancer absconditus ‘cancro posto nel profondo del corpo e di cui non si vedono le estremità’ (121) cancro ascoso m.: B («a zescaduno a chi veneno li cancri ascosi melio è non curarli cha curarli») 30v; chanchro aschoxo: V 30r; cancro nascos[o]: R 65r ▲ Cf. sab.a. cancri nascosi (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI); tosc.a. ~ (pm. sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Per gli attributi ascoso e nascoso, cf. Elsheikh (2016 II, 92 e 223).

141 Lat.: ista quidem ulcera, licet non sint fistulae nec cancri [...].

cancrosus ‘che ha natura di tumore’ (267)142

[Du Cange II, 82a]

1.a. chanchrox[o] agg.: V («questo perché la è apostiema melenconicha chanchroxa») 60r 1.b. de cancer: B («ella è apostema de cancer») 63r ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. cancrose (1337–61, LibroDrittafede, OVI); identica forma del f. pl. si trova anche nel pad.a. (Serapiom, OVI). Il TLIO ne riporta altre due attestazioni (tosc.a. cancroso, cancrose), entrambe tratte da MesueVolg (XIV sec.); DEI (I, 715); voce registrata solo in Crusca5. Cf. Green (2009, 391). 1.b. Cf. s.v. cancer.

capacitas ‘volume interno di un corpo cavo, disponibilità di un corpo a contenere’ (2 occ.; 49) [TLL III, 299]

1. capacità (capagità) f.: R («in qualunque luogo fussono sì grandi che abbino capagità e profuntà, sono vicini da temere») 27v (2); capacitade: B 12v (2) 2. tignire vb.tr.: V («in zaschuna parte che la sia gran profonditade e gran tignire le serà spauroxe»)143 14r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. capacitade (ante 1334, Ottimo, TLIO s.v. capacità §1.2); cf. LEI (X, 1577: in tale accezione, oltre che in it., si ritrova nelle corrispondenti forme di fr., occit.a., cat.a., sp., port.); voce registrata già da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 145), Aprile (2001a, 272).

142 In R (c. 139r) si legge carnoso, evidente errore indotto probabilmente dallo stesso antigrafo latino (carnosus è variante del ms. lat. E: cf. Hall 1957). 143 Lat.: habeant profunditatem et capacitatem.

II Fisiologia e patologia 

2. Cf. GDLI (s.v. tenere §18 ‘poter accogliere nel proprio interno una certa quantità; avere una data capienza’).

carbunculus ‘carbonchio, malattia infettiva caratterizzata dalla formazione di vescicole nerastre ed enfisema sottocutaneo (lo stesso che anthrax)’ (2 occ.; 232) [TLL III, 433]

carbonculo m.: B («Antrax overo carbonculo, come dice Constantino, fi facto de sangue grosso o corrupto») 55r (2); carpuncolo: R 123r; charbonculo (charbonchullo): V 53r (2); incar­ buncolo: R 123r ▲ Sinonimo di antrax (cf. s.v. antrax); il lat. carbunculus nasce come calco del gr. ἄνϑραξακος, propr. ‘carbone’ (Nocentini 2010, 188). Cf. TLIO (s.v. carbonculo §2 ‘bubbone, pustola cutanea’), la cui prima attestazione è il tosc.a. carbonculi (1340–60, FioriMedicina); in questa accezione, DEI (I, 756), GDLI, LEI (XI, 1475), Crusca1 registrano piuttosto la forma carboncello, accanto a quella base di carbonchio; REW (§1677). Cf. Ineichen (1966, 253), Altieri Biagi (1970, 58), Tomasoni (1986b, 234), Marcovecchio (1993, 147), Sboarina (2000, 215), Aprile (2001a, 273), Motolese (2004, 121), Tomasin (2010, 44), Castrignanò (2014, 167), Elsheikh (2016 II, 113).

carnositas ‘nel corpo umano, l’essere carnoso’ (5 occ.; 64)

[TLL III, 480; cf. → hernia ex carnositade (s.v. hernia)] carnosità f.: R («corpi humidi sono quelgli de’ fanciulgli [...] e di coloro de’ quagli la carnosità144 [...] èe presente») 36r, 132v, 150r (2);

144 Ms.: cornosità.

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carnositade: B 16v, 59v, 63v (2), 67r (3); charnoxitade:145 V 56v, 61r (2), 62v (2) ▲ Nel corpus OVI, il termine è attestato esclusivamente in tre testi medici: tosc.a. carnosità/ carnositade (pm. sec. XIV, MaestroBartolomeo: 11 occorrenze); fior.a. carnosità (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); pad.a. carnoxitè (fine sec. XIV, Serapiom); cf. anche fior.a. carnositade (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg, TLIO s.v. carnosità §2 ‘l’essere pieno di carne’). È un falso rediano, invece, l’attestazione presente in Bencivenni e segnalata da Crusca3,4,5 (LEI XI, 238, nota 4). Cf. Nystedt (1988, 209), D’Anzi (2012a, 284), Elsheikh (2016 II, 114).

carnosus ‘di parte del corpo composta principalmente da carne’ (12 occ.; 14) [TLL III, 480]

1.a. carnoso agg.: R («alla fiata viene la ferita sì per lo luogo146 carnoso») 7r, 10r, 25v, 27v, 43v, 128v (2), 137r; ~: B 4r, 11v, 12v, 20r, 57v (3), 62r (2); charnoxo: V 5r, 13r, 14r, 55r, 55v 1.b. charne f.: V («in altri luogi sì chomo charne»)147 6v ▲ 1.a. Il TLIO (s.v. carnoso) distingue l’accezione ‘che abbonda di carne’ (prima attestazione: fior.a. carnosi, ante 1292, GiamboniVegezio) da quella, più tarda, ‘fatto di carne’ (prima attestazione: tosc.a. carnose, 1340/60, FioriMedicina), registrando anche la loc., corrispondente a quella che si legge nel passo di R riportato sopra, luogo carnoso (§2.1 ‘tessuto muscolare’). Cf. LEI (XI, 241): «Per gli esiti romanzi è difficile decidere se sia voce eredi-

145 A c. 18r si ricorre alla seguente perifrasi: «d’altri li qualli à mollto grosso lo chorpo» (lat.: illorum quibus carnositas et pinguedinis adest copia). 146 Ms.: lungo. 147 Lat.: in locis aliis, utpote in carnosis.

616 

 6 Glossario

taria o forma dotta. Meyer-Lübke (§1704) opta per la prima possibiltà [...]. Von Wartburg considera fr.a. charneus [...] voce dotta di ambito medicinale. Le forme it. si trovano prevalentemente in volgarizzamenti, attestate già dal Duecento»; voce presente da Crusca1 (‘pien di carne, carnacciuto’). Cf. Nystedt (1988, 209), Motolese (2004, 124), Tomasin (2010, 48), D’Anzi (2012a, 284), Elsheikh (2016 II, 114). 1.b. Cf. TLIO (s.v. carne §1 ‘la parte muscolosa del corpo umano e animale’). ♦ Loc. e collocazioni: – apostema carnosum (3 occ.; 264) [Cf. → s.v. apostema]

apostema carnosa (apostema carnoso) f./m.: B («Lo goso è apostema carnoso e fi generato in la gola») 62r, 62v; appostema carnoso m.: R 138r; postiema charnoxa f.: V 59v ▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe all’interno dei corpora OVI e ReMediA. – hernia carnosa/hernia ex carnosi­ tade (2 occ.; 286) [Cf. → s.v. hernia]

1.a. ernia carnosa148 f.: R («l’una [scil.: ernia] è acosa, la seconda è ventosa, la terça è carnosa») 149r; ernia charnoxa: V 62v (2); hernia carnosa: B 67r 1.b. ernia di carnosità: R («Si vero serà [scil.: ernia] di carnosità, el segno suo si è graveza e grosseza») 150r ▲ 1.a., 1.b. Cf. tosc.a. hernia per carnosità (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Sono numerose le attestazioni di ernia carnosa rintracciabili nei secoli successivi, almeno fino al pieno Ottocento (cf., tra gli altri, Da Vigo 1560, 54r: «convertisce la tenerezza in durezza carnosa la quale poi Carnosa Ernia si addimanda»; Francesco Redi, Consulti, cit. in Crusca4: «Oltre lo scirro vengon prodotte [...]

148 Ms.: carnasa.

un tumore dello scroto, chiamato ramice, ed un altro pur dello scroto chiamato sarcocele, cioè a dire ernia carnosa»).

cataracta ‘perdita o diminuzione della trasparenza del cristallino’ (2 occ.; 202) [TLL III, 596]

cateratta f.: R («Della149 cateratta delgl’occhi») 107v (2); catharacta: B 48v; chatarata: V 46v ▲ Prima attestazione: fior.a cataratte/cateratte (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); il termine patologico ‘malattia degli occhi’ è già attestato nel lat. tardo, e trova corrispondenza nelle maggiori lingue europee fin dal Medioevo: fr.a. caracte, catharacte; sp.a. cataracta de ojos, port.a. cataracta, ted. Katarakt (LEI XII, 1417). Voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 253), Marcovecchio (1993, 155), Aprile (2001a, 275), García Gonzáles (2007, 387), Elsheikh (2016 II, 115), Zarra (2018, 594).

causa

[TLL III, 659; cf. → causa extrinseca (s.v. extrinsecus), causa intrinseca (s.v. intrinsecus)] ♦ Loc. e collocazioni: – causa antecedens ‘causa interna che produce un’alterazione’ (4 occ.; 226) [antecēdo TLL II, 140] 1. cagione antecedente f.: R («la quale sua cagione si è primetiva overo sia antecedente») 121r; casone antecedente: B 54r (3), 54v; chaxon antezedente (chaxone antezedente): V 51v (2), 52r (2)

149 Ms.: Dellella.

II Fisiologia e patologia 

2. cagione che va inançi: R («la chui cagione, sì come dice Avicenna, è doppia, cioè che va inançi, ed è primitiva») 120r (2); cagione che viene inanzi: R 121v ▲ 1., 2. Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI. La causa antecedens è per Bruno una causa che altera la fisiologia dell’organismo dall’interno (cf. Hall 1957, 226: «Et antecedens quidem causa est interior quae ex repletione et corruptione fit humorum. Primitiva vero est exterior quae ex casu vel percussione et similibus accidit»); LEI (II, 1561). Cf. Motolese (2004, 104). – causa efficiens ‘causa indotta dall’e­ sterno’ (148) [TLL V 2, 163] 1. chaxone che fa: V («per chaxon materialle da la natura, sì chomo de la chaxone che fa questa materia») 35v; cosa che ssi die fare: R 78v 2. casone efficiente f.: B («lo poro sarcoydes, zoè l’osso caloso, fi generato per la materia de lo nutrimento de l’osso cossì como da casone materiale e per la natura, como da la casone efficiente») 36v ▲ 1. Un’identica locuzione si rintraccia nel fior.a. causa che fa (metà sec. XIV, PistoleSeneca, OVI). 2. Prima attestazione: grosset.a. cagione efficiente (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI); l’agg. efficiente è registrato a partire da Crusca2; DELIN, 508. Cf. Nystedt (1988, 210). – causa exterior ‘causa esterna, di patologia accidentale indotta soprattutto da traumi e ferite’ (6 occ.; 47) [exterior TLL V 2, 163] cagione di fuori: R («inperciò che è della cagione dentro o è la cagione di fuori») 26r, 26v, 64r, 102v; cagione (delle cose) di fuori: R 55r, 102v; casone de fora: B 12r (2), 25v, 26r, 46v (2); chaxò da la parte de fuora: V 26v (2); chaxone de fuora (chaxon de fuora): V 13r, 13v, 44v (2)

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▲ L’agg. esteriore, aggirato dai tre mss. col ricorso a perifrasi analoghe fondate sull’avv. ┌ di fuori┐, ha la sua prima attestazione nell’it.a. exteriori (1324–28, JacLana, TLIO §1.2 ‘che si manifesta al di fuori del luogo in cui ha origine’) ed è presente da Crusca1. – causa interior ‘causa interna, di patologia naturale che nasce nell’organismo’ (7 occ.; 47) [interior TLL VII 1, 2228] cagione dalla parte dentro: R («la cagione dalla parte dentro quando discende per le vene di sotto») 102v; cagione dentro: R 26r (2); cagione delle cose dentro: R 55r, 102v (2); casone de dentro: B 12r (2), 25v, 26r, 46v (3); chaxon dentro (chaxone dentro): V 13r, 44v (3); chaxò da la parte dentro (chaxò da la parte dentro): V 13v, 26v; chaxon de dentro: V 26v ▲ In modo speculare a quanto si osserva per il suo contrario esteriore, anche l’agg. interiore non è mai usato come traducente del lat. interior nella presente loc., ed è sostituito tramite il ricorso a perifrasi fondate sull’avv. ┌di dentro┐. Per loc. analoghe, cf. fior.a. cagione dalla parte dentro/cagioni dentro (1355ca., Passavanti, OVI); l’agg. dotto interiore è presente da Crusca1. – causa materialis ‘causa dovuta alla materia interna’ (148) [materialis TLL VIII, 465] cagione materiale f.: R («sì come della cagione materiale della natura») 78v; casone materiale: B 36v; chaxon materialle: V 35v ▲ Prima attestazione: grosset.a. cagione materiale (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI); l’agg. materiale è presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 210), Motolese (2004, 219). – causa primitiva ‘causa esterna che produce alterazione’ (4 occ.; 226) [primitivus Du Cange VI, 499b] cagione primitiva (cagione primetiva) f.: R («la chui cagione, come dice Avicenna, è

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 6 Glossario

doppia, cioè che va inançi ed è primitiva») 120r (2), 120v, 121r; chaxon primitiva (chaxon premitiva): V 51v (2), 52r (2); casone primitiva: B 54r (3) ▲ Cf. tosc.a. primitiva cagione (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); l’agg. primitivo è presente da Crusca1.

caverna ‘fistola in cui la carne non si è indurita’ (3 occ.; 85)

[Lemma assente in TLL e Du Cange, e non registrato in tale accezione in Forcellini; cf. → s.v. absconsio] 1. cavatura f.: R («nella sua cavatura ne’ quale virus si possa ragunare») 48r 2. caverna f.: B («overo che la carne non è indurata e fi dicta absconsione overo caverna») 21v, 22r, 22v; chaverna: V 22v, 23v ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. cavatura), che registra l’accezione di ‘parte incavata, vuota (di una determ. struttura, di un organo). 2. Il TLIO non registra il senso metaforico proprio del lessico patologico, assente anche in Crusca; solo ottocentesca (1830, Tramater) l’attestazione del DELIN, 316 (‘cavità formata in un organo da un processo morboso’). Una testimonianza antica si potrebbe rintracciare, però, nel pad.a. (fine sec. XIV, Serapiom, OVI: «le ulceratiom, le qualle è in fistole e fate a muodo de caverne»); cf. LEI (XIII, 645: «le forme che riguardano le cavità del corpo umano costituiscono forme provenienti dal latino medicinale rinascimentale»). Si tratta di un uso non sconosciuto all’italiano dei secoli successivi: cf. Melli (1717b, 396: «Caverna è un’ulcera che s’insinua, e si piega sotto alla carne, e sostanza muscolosa»). Il termine caverna, peraltro, anche se non espressamente riferito a patologie sul tipo delle fistole, permane nel lessico contemporaneo per indicare, oltre alle ‘cavità presenti nei tessuti degli organi cavernosi’, anche le ‘cavità patologiche che si formano all’interno di un organo, spec.

in conseguenza di ascessi o focolai infiammatori necrobiotici’ (GRADIT; LEI XIII, 643: dal 1828, Omodei, Tramater; GDLI §5; Marcovecchio 1993, 160). In Mattioli, il termine assume l’accezione di ‘carie’, mentre si usa cavernosità per designare ‘cavità, ulcere’ (cf. Sboarina 2000, 212).

chimus ‘prodotto parzialmente digerito degli alimenti che si forma nell’ultima fase della digestione gastrica e nella prima di quella intestinale’ (86)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] chimo m.: B («dare a lo infirmo cibo cum abondantia del bono chimo, zoè bono humore, generativo») 22r150 ▲ Il lat. tardo chimus corrisponde al gr. χυμός ‘succo’ (dal tema di χέω ‘versare’): DELIN, 332; Nocentini (2010, 221); Marcovecchio (1993, 185). Il TLIO registra due attestazioni del termine volgare: pad.a chimo (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. chimi pl. (pm. sec. XIV, CrescenziVolg): quest’ultima è riportata anche da Crusca1 (‘dicono i medici alla massa del sangue, che si fa nel fegato, del chilo attratto dal ventriglio’); è molto più tarda (1741, Targioni Tozzetti) l’unica attestazione riportata dal GDLI.

cicatrix ‘cicatrice, tessuto fibroso che sostituisce i tessuti lesi da traumi o da processi morbosi’ (2 occ.; 65) [TLL III, 1046]

1. cecatrice f.: R («le loro ferite per força la cecatrice conducono151») 161r; cicatrice: B 70v

150 Si noti l’adozione della generica glossa esplicativa (bono) humore. 151 Ms.: condueonducono.

II Fisiologia e patologia 

2. pelle f.: V («da può metelli suxo lo chonsollidativo azò ch’el faza pelle») 18r 3. sald[arse] vb.pronl.: V («apena che se salda»)152 66v ▲ 1. Prima attestazione: tosc.a. ciecatricie (1318–20, FrBarberinoReggimento, TLIO); LEI (XIV, 88); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 183), Aprile (2001a, 283), Elsheikh (2016 II, 122). Il vb. denominale cicatrizzare è d’introduzione più tarda, «entrato nel fior.a. nel Cinquecento (cicatrizzante)» (LEI XIV, 90; GDLI, GRADIT: Dalla Croce, 1583): va però segnalata, in V, la presenza, tanto più significativa trattandosi di una glossa, e dunque senza diretta corrispondenza col testo latino, del verbo zichatrizare («in tute le piage universalmente dal chomenzamento fina a la fine, zoè quando le piage è per zichatrizare»: c. 19v), che troverebbe qui una significativa retrodatazione. 2. L’uso del più generico sost. pelle nell’accezione di ‘cicatrice’ non è attestato nel GDLI, ma è confermabile, almeno per l’area toscana, da un riscontro col corpus OVI: cf. fior.a. pelle (sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI; il senso è evidentemente quello di ‘cicatrice’ nei seguenti passi: «tosto induce la pelle sopra la fedita»; «metti nelo naso una tasta di cera, acciò che buona pelle vi crescha»). Per cute ‘epidermide’, cf. s.v. cutis (6.: sezione 1). 3. Prima attestazione: tosc.a. saldate (fine sec. XIII, TristanoRicc, OVI; cf. GDLI s.v. saldare §11 ‘rimarginarsi, cicatrizzare’).

citrinitas ‘giallezza, l’essere citrino’ (3 occ.; 104)

[Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini] 1. citrinitade f.: B («quando ella pervene a l’osso è più subtile cha l’altra, e più declive, zoè vene, a la citrinitade») 26v, 56r (2)

152 Lat.: vix cicatricem inducunt.

 619

2.a. giallezza f.: R («miscolato di colore citrino ch’è sì come gialleçça di gruogo») 124r, 125r 2.b. zall[o] agg.: V («quando la marza vien da l’osso [...] e si x’è arquanto zalla»)153 26v 2.c. zalura f.: V («declina a zalura la sustancia d’esa») 54r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. citrinitade (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI), ma con riferimento al colore di vegetali (cf. TLIO s.v. citrinità §1); in relazione al colore del corpo umano: pad.a. citrinità (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO; Ineichen 1966, 254); voce presente da Crusca1 (‘color di cedro, giallezza’). Forma dotta che, al pari dell’agg. citrino (cf. s.v. citrinus), vive nel Trecento in via pressoché esclusiva all’interno di testi medici. Cf. Elsheikh (2016 II, 124). 2.a. Prima attestazione: fior.a giallezza (pm. sec. XIV, Pegolotti, TLIO); nell’accezione medica di ‘forma di itterizia’, il termine si registra in CrescenziVolg (TLIO §2); presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 169). 2.b. Cf. s.v. citrinus (2.). 2.c. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il lucch.a. gialura (metà sec. XIII, BonagiuntaOrbicciani, OVI).

citrinus ‘citrino, di colore simile al cedro’ (7 occ.; 105)

[Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini; cf. → arsenicum citrinum (s.v. arsenicum)]

1. cetrino (citrino) agg.: R («el luogo è cetrino») 57r, 57v, 120v, 123r (2), 124r; citrino: B 26v (2), 54r, 55v (3), 56v; zitrino: V 52r, 53r, 54r 2. zall[o] agg.: V («la marza serà zalla») 27r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. citrini (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 212), Gualdo (1996, 76), Elsheikh (2016 II, 124). Cf. s.v. citrinitas (1.).

153 Lat.: declivior ad citrinitatem.

620 

 6 Glossario

2. Prima attestazione: mil.a. giald (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO); nel TLIO (§2.1) si registra anche l’accezione medica di ‘colore che prende l’incarnato in determinati stati patologici (partic. l’inedia e l’itterizia)’.

l’ancha serà rotta, pocho se liberarà dal zopegare») 41v 1.b. zoto agg.: V («cholu’ lo qual averà rota la chossa, chonviene che sia uno pocho zoto»)154 40r

♦ Loc. e collocazioni: – aqua citrina ‘liquido fisiologico gial­ lino’ (294)

▲ 1.a. Cf. DELIN, 1854 (s.v. zoppo): «è fatto comunemente risalire al lat. tardo [...] clŏppu(m) ‘claudicante’ col den[ominale] parl[ato] *cloppicāre» (per il quale cf. REW §1996 e 1997). Prima attestazione: zoppicasse (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI); zoppicare è presente da Crusca1. Il latinismo claudicazione è di diffusione ottocentesca (GRADIT: 1830). Cf. Aprile (2001a, 534). 1.b. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il tosc.-ven.a. zoto (sec. XIV, DiatessaronVeneto), forma corrispondente al tosc. ciotto: cf. TLIO (s.v. ciotto; etimo incerto: lat. *clottus da *clauditare?), dove si leggono principalmente testimonianze di area veneta (prima attestazione: ven.a. çota, sec. XIII, RainLesengrino); per GDLI, zotto sarebbe invece l’alterazione di zoppo, laddove è considerata dubbia (forse onomatopeica) l’etimologia del tosc. ciotto. Cf. EWD (394–95) per la diffusione della voce zoto in area veneta; Patriarchi (1775), Boerio (1856), Cortelazzo (2007, 1541).

aqua citrina f.: R («allora escie di quegli aqua citrina overo un poco di sangue») 154v; ~: B 68v; zitrina: V 65r ▲ Cf. pad.a. aqua citrina (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); Gleßgen (1996, 545), Elsheikh (2016 II, 124). Si hanno anche attestazioni nei secoli successivi: cf. Bairo 1561, 155v («Soldanella, e suo sugo data, mena fuori l’acqua citrina, il somigliante fa il serapino»). La loc. è usata in particolare con riferimento ai liquidi sierosi dell’organismo che hanno colore tendente al giallo. – colera citrina ‘tipo di bile che ha il colore del cedro’ (237) [Cf. → s.v. colera]

colera citrina f.: B («tuti doy sono de colera e propriamente citrina») 56v; collera citrina: R 126r; chollora zitrina: V 54r

▲ Cf. pad.a. colera citrina/collera citrina (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); fior.a. collera citrina (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Loc. ampiamente attestata anche nei secoli successivi, almeno fino alla fine del Seicento (cf., tra gli altri, da Quintiano 1675, 169: «il fegato espelle fuori la collera citrina»). Cf. Sboarina (2000, 209: cholera gialla), Elsheikh (2016 II, 125).

claudicatio ‘zoppicamento dovuto a cause anatomiche o funzionali’ (168) [TLL III, 1298]

1.a. zopegare vb.intr.: B («Avicena dice che quello lo quale sen rompe la coxa overo

clavus ‘clavo, zona corneificata della cute’ (4 occ.; 191) [Forcellini I, 652]155

1.a. chiodo m.: B («Lo clavo, zoè lo chiodo, si è carne calosa dura e rotunda simile a lo chiodo») 68r,156 68v; chold[o]: V157 64v; clodo: V 64v

154 Lat.: ille cuius coxa frangitur aut ancha parum denudabitur a claudicatione. 155 «Quod ad homines attinet, est verrucula, seu tuberculum callosum in plantis humani pedis». 156 Glossa del latinismo clavo. 157 Poco attendibile, e per questo esclusa dal glossario, è la forma chavo che si legge a c. 44v.

II Fisiologia e patologia 

1.b. clavo m.: B («Capitulo xiiijo de li brisoli e pori che veneno in la virga et in li altri parti del corpo e de li clavi e de li formici») 46r, 68r (2); clav[o]: V 64v; clava f.: R 153v158 ▲ 1.a. Cf. TLIO (s.v. chiodo §6 ‘piccolo rigonfiamento calloso’): fior.a. chiovi (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); GDLI (§4 ‘piccola callosità; enfiagione, foruncolo, tumoretto’), Marcovecchio (1993, 189), Gleßgen (1996, 567), Aprile (2001a, 282). 1.b. Nel corpus OVI, l’unica testimonianza della forma latineggiante clavo nell’accezione qui considerata è il pad.a. clavi (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 254); si possono rintracciare alcuni usi seriori: cf., ancora nel Settecento, Bosello (1724, 502: «sono molto comuni li calli (così dal volgo chiamati) da’ Greci però vengono appellati Heli, e Thili, [...] da’ Latini Clavi, e Calli. È il clavo un callo, in figura rotonda, ed in color bianco, simile alle teste de’ chiodi, che può offendere ogni parte del corpo, ma sovente i piedi, e le dita, e cagiona dolore, in forma tale, che impedisce il caminare»). Entrambe le forme (clavi, calli) citate dal Bosello sono riportate anche in James (1753 V, 484: «si formano sovente [...] dei tubercoli duri simili a dei porri lisci, i quali si dà il nome di calli, clavi, qualunque ne sia la figura e la forma»). Il GDLI registra per clavo2 l’accezione patologica di ‘piccolo tumore’, ricavandolo dal lemma corrispondente del TB (‘tumore calloso che si sviluppa sopra la sclerotica, e che ha la forma di un chiodo’).

158 Ms.: clava preceduta però dalla preposizione articolata maschile nel. In R si legge anche la forma latineggiante claus (c. 153r) e il dat.pl. latino non adattato clavis (102r).

 621

coadunare vb.tr. ‘raccogliere, accumulare (detto di sanies, putredo, ecc.)’; vb.med. ‘raccogliersi, accumularsi’ (4 occ.; 22) [coadūno TLL III, 1371]

1.a. adun[are] vb.tr.: B («al è possibile che la materia fiza adunata lì») 58r 1.b. adun[arsi] vb.pronl.: R («la materia onde la pietra si concria non s’aduna per quella medesimo») 166r; adun[arse]: B 6r, 9v; adun[arse]: V 11r; asun[arse]: V 55v, 67v 2. congregare vb.tr.: B («la materia per la quale fi generata la preda o adunata non fi congregata») 71v 3. hun[irsi] vb.pronl.: R («quando questo luogo non si perfora, così possibole che non si159 hunisca») 130r 4. mand[arsi] dentro vb.sint.pron.: V («de nezesitade la marza si manda dentro») 7v 5. ragun[arsi] (raun[arsi]) vb.pronl.: R («s’è ragunata la marcia di necessitade») 13r, 20v ▲ 1.a., 1.b. Cf. TLIO (s.v. adunare): la forma pron. (§1.3 ‘raccogliersi in un solo luogo o punto’; §2.1.1 ‘mettere insieme’), attestata più tardi rispetto a quella intr. (già all’inizio del sec. XII: RitmoSAlessio; in riferimento, però, al ‘far convenire più persone nello stesso luogo’), è qui registrata con alcune testimonianze che riconducono proprio a contesti medici («Sangue ke nd’esce, ke nde fecemo?/Gite ioso en quella balle,/lao se aduna onne sangue»: cassin.a., sm. sec. XIII, ScongiuroCassinese; «se la humidità salivare ène infecta d’amaritudine di colera el gusto iudica la cosa dolce amara, però ke se inmuta el vapore saporito et adunase cum la saliva, come ène manifesto in lo infermo»: tosc.sud-or.a., ante 1298, Questioni); LEI (I, 867); FEW (24, 187a). Cf. D’Anzi (2012a, 267). 2. Cf. TLIO (s.v. congregare §3.1 ‘produrre, generare’): gen.a. congriar bon sangue (ante 1311, AnonimoGenovese). Gualdo (1996, 238) inse-

159 Ms.: sia.

622 

 6 Glossario

risce il verbo congregarse (‘unirsi insieme’) tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola (cf. anche Nystedt 1988, 215). 5. Cf. s.v. agregatio (3.b.).

coagulans ‘che si coagula, che si rapprende’ (195) [coāg(u)lo TLL III, 1378]

1. adunante agg./part.: B («quando fi facto per humore locante e adunante inter la uvea, zoè concavitade de l’ogio, e la cristalina, pò ben fir curato») 47r 2. choagulad[o] agg.: V («christallina logada e choagulada, ela se può churare»)160 45r ▲ 1. L’unica attestazione del part. pres. adunante ricavabile dal corpus OVI ci riconduce sempre a un contesto medico, nel quale il termine è analogamente riferito al sost. ┌umore┐ («male se cria de rei humuri superflui et callidi, lontano tempo adunanti ensemura et scurrenti alequante glandule»: sab.a., fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg); registrato in Crusca5. Cf. s.v. coadunare (1.a., 1.b.). 2. La resa di V trasforma erroneamente il senso del termine da attivo a passivo. Prima attestazione: trevig.a. coagulato (primi decenni sec. XIV, NicRossi, TLIO). GRADIT, DELIN, 351: coagulante viene attestato soltanto dal 1733; voce registrata in Crusca4,5.

coagulare α.i. vb.tr. ‘raddensare, rapprendere’ (59) [coāg(u)lo TLL III, 1378] 1. adun[are] vb.tr.: B («La medicina che fa nascere la carne [...] è quella che coagula, zoè

160 Lat.: cristallinum locante et coagulante curari potest.

aduna, overo cagia, lo sangue sano veniente a la piaga in la carne») 15r;161 sun[are]: V 16v162 2. cagi[are] vb.tr.: B (cf. supra 1.) 15r 3. coagul[are] vb.tr.: B (cf. supra 1.) 15r 4. chonzel[are] vb.tr.: V («quela [scil.: medexina] che suna la sangue e si la chonzella e tosto sana la piaga») 16v163 5. raun[arsi] vb.pronl.: R («quella cosa per la quale si rauna el sangue») 33v ▲ 1. Cf. s.v. coadunare (1.a., 1.b.) e s.v. coagulatus (1.); in particolare, per la forma aferetica sun[are] di V, cf. asun[are] s.v. agregatio (1.b.). 2. Per il verbo ┌cacciare┐, il TLIO non registra un’accezione assimilabile a quella qui considerata: la forma cagia, peraltro, come si vede dal passo riportato sopra, costituisce una glossa sinonimica di aduna, a sua volta glossa della forma dotta coagula. Analogamente, in B si ricorre anche all’agg. cagiato in corrispondenza del lat. coagulatus (cf. s.v. coagulatus 3.) 3. Il lat. coagulare continua in tutta la Romania (cf. REW §2005; FEW 2, 817b). Prima attestazione: pis.a. coagola (1287–88, TrattatiAlbertanoVolg, TLIO s.v. coagulare); voce presente da Crusca1 (‘voce latina, rappigliare, e unire insieme’). Cf. Marcovecchio (1993, 195), Aprile (2001a, 285), Green (2009, 393), Elsheikh (2016 II, 124). 4. Il TLIO (s.v. congelare) registra le accezioni affini di ‘consolidarsi, divenir solido’ (§1, verbo pron.; prima attestazione: grosset.a. congiela, 1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto) e di ‘diventare solido per l’azione del freddo, diventare freddo e compatto come ghiaccio’ (generalmente vb. pron. §2); GDLI (s.v. coagulare §3

161 Il verbo adun[are] fa parte di una doppia glossa (insieme a cagi[are]), apposta alla voce dotta coagulare. 162 Si tratta qui, più propriamente, di un’endiadi sinonimica, comprendente anche il verbo chonzell[are] (cf. 4.) e impiegata per rendere il singolo verbo lat. coagulare. 163 Cf. 1., sun[are] e relativa nota.

II Fisiologia e patologia 

‘condensare, solidificare; far coagulare, far rapprendere’); Elsheikh (2016 II, 130). Cf. s.v. coagulatus (4.). 5. Cf. s.v. agregatio (3.b.). α.ii. vb.med. ‘coagularsi, raggrumarsi’ (2 occ.; 37) [coāg(u)lo TLL III, 1379] 1. agiaz[arse] vb.pronl.: V («inanzi ch’ela [scil.: sangue] sferdisa, zoè inanzi che la se agiaza») 10v164 2. esere asunado: V («se le chontuxione serà profonde e lla sangue sia asunada e chonzellada, alora non basta la flobotomia») 14r 3. essere cagiato: B («ogni piaga undo è cagiato lo sangue per botta») 12v 4. inspess[irse] vb.pronl.: B («alora inanze che al se [scil.: sangue] inspessicha, comanda a l’infirmo che al bevia vino o aqua pluviale») 9r 5. raun[arsi] vb.pron.: R («llo infermo faccia dormire in sulla ferita, che i llui non si raunasse niuna cosa malsana») 19v, 28r 6. sferd[ire] vb.intr.: V (cf. supra 1.) 10v ▲ 1. Prima attestazione: bol.a. se glazano (1324–28, JacLana, TLIO s.v. ghiacciare §1.2 ‘rapprendersi’, anche con particolare riferimento al sangue, analogamente a quanto si osserva nel passo di V riportato supra); GDLI (§2). Cf. s.v. coagulatus (2.) 2. Cf. il verbo asun[are], s.v. agregatio (1.b.). 3. Cf. supra (α.i., 2.). 4. Prima attestazione: fior.a. ispessare (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); GDLI, DELIN, 826: inspessirsi attestato solo dal 1553 (O. Lando); il lemma inspessire è assente in Crusca1,2,3,4. Si veda anche, sempre in area fiorentina, il passo di MetauraAristotileVolg (XIV sec., OVI: «il vapore che lieva sì ’l raguna e inspessa in rugiada e in piova») dove, a lato di inspessare, si ritrova in una dittologia sino-

164 Voce adottata come glossa di sferd[ire] (cf. 6.).

 623

nimica anche il verbo ragunare, traducente adottato anche da R (cf. 5.). 5. Cf. s.v. agregatio (3.b.). 6. Cf. l’agg./part. sferd[ido] (da una forma verbale sferdir/sfredir di diffusione veneziana: Boerio 1856; Cortelazzo 2007, 1239; GDLI s.v. sferdire, sfreddire), adottato, sempre in V, come traducente del lat. alteratus (cf. s.v. alteratus 3.): in questo caso, la resa del lat. coagulari è indotta dall’associazione tra il risultato fisiologico della coagulazione e una delle più evidenti cause di rapprendimento della materia fluida.

coagulatio ‘coagulazione, trasformazione di liquido organico in sostanza colloidale o semisolida’ (147) [TLL III, 1378]

1. adunatione f.: B («la adunatione de la rotura se faza prestamente») 36v 2. legare vb.tr.: R («acciò che sia fatto di quello che ssi leghi la ronpitura osamente»)165 78v 3. strenz[erse] vb.pron.: V («azò che la rotura se strenza»)166 35v ▲ 1. Il TLIO (s.v. adunazione) registra piuttosto l’accezione di ‘azione di mettere insieme, di riunire più cose e persone’ (prima attestazione: tosc.or.a. adunatione, ante 1298, Questioni); analogamente in DEI (I, 66 s.v. adunare) e Crusca. Nella specifica accezione medica di ‘accumulazione, coagulazione di una sostanza liquida organica’, il termine è registrato, però, da Aprile (2001a, 236). La v. dotta coagulazione (per l’area veneta cf. Ineichen 1966, 254), assente nei tre mss., ha la sua prima attestazione nel bol.a. coagolazione (1324–28, JacLana). 2. Cf. GDLI (s.v. legare §9; l’unica attestazione riportata è molto più tarda: ante 1630, S. Boldoni). 165 Lat.: ut fiat ex eo coagulatio fracturae. 166 Cf. nota supra.

624 

 6 Glossario

3. Cf. GDLI (s.v. stringere §59 ‘gelare, rapprendersi; condensarsi, solidificarsi’: 1282, RestArezzo).

coagulatus ‘coagulato, rappreso’ (2 occ.; 50) [coāg(u)lo TLL III, 1379; Forcellini I, 661]

1. adunato agg.: B («la grossa se domanda sordicie, zoè marza, et è cosa adunata e biancha o declinant a nigreza») 21v; asunado: V 14r 2. aglazad[o] agg.: V («è alguna chossa aglazada e blancha over che declina a negreza») 22v 3. cagiato agg.: B («se la botta serà profunda, zoè alta, e tuto lo sangue serà cagiato, alora non basta lo salasso») 12v 4. chonzellado agg.: V («se le chontuxione serà profonde e lla sangue sia asunada e chonzellada, alora non basta la flobotomia») 14r 5. raunato (ragunato) agg.: R («el sangue ch’è già raunato nella contussione mirabilemente sottigla e fallo molto liquido») 28r, 46v ▲ 1. Il TLIO (s.v. adunato §3) registra proprio l’accezione, corrispondente a quella esaminata, di ‘che ha perso umidità e fluidità, rappreso’ (sab.a. adunata, fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Per la forma ven. asunado, cf. s.v. agregatio (1.b.). Cf. Aprile (2001a, 236), D’Anzi (2012a, 267). 2. Cf. TLIO (s.v. ghiacciato §1.2 [detto di un liquido]: rappreso’): sen.a. (sangue) ghiacciato (ante 1322, BinduccioSceltoTroiaVolg). Della forma veneta aglazado (cf. Cortelazzo 2007, 30: agiazzàr), con consueto mantenimento del nesso velare + l e alveolarizzazione (nonché seguente assibilazione) dell’affricata palatale davanti a j (Rohlfs 1966–1969, §152; Sattin 1986, 82–84; Stussi 1965, LIV-LVI), si rintraccia una singola testimonianza, seppur semanticamente distinta (ven.a. > tosc.a. aglazada: sec. XIV, SBrendano, OVI); presente solo in Crusca5 (s.v. ghiacciato) in tale accezione (‘rappreso, condensato’). 3. Il TLIO non registra accezioni dell’agg. cacciato affini a quella qui presente; cagiato come

traducente di coagulatus si legge anche in F1 (c. 12r, 20v). Cf. s.v. coagulare (2.); 4. Il TLIO (§2 s.v. congelato) registra l’accezione di ‘divenuto denso, rappreso’ (prima attestazione: fior.a. congelato, fine sec. XIII, TesoroVolg); assente in Crusca in tale accezione; Nystedt (1988, 215), Elsheikh (2016 II, 128). Cf. anche s.v. coagulare (α.i., 4.). 5. Limitando la ricerca ai testi medici contenuti nel corpus ReMediA, si rintracciano due attestazioni dell’agg. raunato, entrambe con l’accezione qui esaminata di ‘coagulato, rappreso’ (fior.a., fine sec. XIII, AntidotNicolai; sec. XIV, CrescenziVolg; con lo stesso significato anche ragunata/ragunati, sempre in CrescenziVolg), a testimonianza della possibile tecnificazione di questa voce del lessico comune. Cf. s.v. agregatio (3.b.).

coitus ‘rapporto sessuale’ (3 occ.; 140) [TLL III, 1567]

1. coyto m.: B («se guardi da lo tropo manzare e da lo fredo e da lo aere molto lucido, e da lo coyto, zoè da la luxuria») 35r, 67v 2. femena f.: V («E vardase da masa andar e da fadiga [...] e da femena») 62r 3. loxuria f.: V («vardase dal fredo, e da l’aiere mollto luzido, e da loxuria e da ogni fadiga») 34r; luxuria: B 35r, 65r, 67v167 ▲ 1. Prima attesazione: aret.a. coito (1282, RestArezzo, TLIO); voce presente da Crusca1 (‘atto venereo’); DELIN, 355. Cf. Marcovecchio (1993, 198), Gualdo (1996, 78), Aprile (2001a, 301), Green (2009, 394), Mazzeo (2011, 290), D’Anzi (2012a, 289), Castrignanò (2014, 171), Elsheikh (2016 II, 125). 2. Cf. nel TLIO alcune analoghe loc. che indicano metonimicamente il rapporto sessuale: a) usare con femmina (prima attestazione: sen.a., 1288, EgidioColonnaVolg, TLIO §1.3);

167 Alle cc. 35r, 67v, la voce luxuria è adottata come glossa di coyto (cf. 1.).

II Fisiologia e patologia 

b) giacimento di femmina (fior.a., ante 1334, Ottimo, TLIO §1.4). 3. Cf. fior.a. tolgliere via la volglia della lussuria (1337–61, LibroDrittafede, OVI), dove la voce lussuria è evidentemente adottata non nell’accezione propria di ‘brama di godimento carnale’, ma per designare l’atto stesso del rapporto sessuale; GDLI (s.v. lussuria §2). Cf. Nystedt (1988, 241), Barbato (2001a, 428), Green (2009, 400), Elsheikh (2016 II, 199).

colera ‘bile, umore bilioso (ritenuto uno dei quattro componenti del sangue)’ (12 occ.; 105)

[cholera TLL III, 1014; cf. → colera citrina (s.v. citrinus)] colera f.: B («se la colera habonda, lo loco è citrino e se senteno ponzimenti e brusori») 26v, 27r (2), 30r, 32r, 42v, 52v (3), 56r, 56v (2); collera: R 58r, 64v, 124v, 125v, 126r; chollora: V 27r (2), 41r, 50r (2), 53v, 54r; collora: R 57r, 57v, 69r, 116r, 116v (2) ▲ Prima attestazione: fior.a. collera (ante 1274, LatiniTesoretto, TLIO s.v. collera §1.); anche in V, come nel tosc., con «rafforzamento tipico delle parole sdrucciole dopo la voc. iniziale» (DELIN, 358 s.v. collera). La forma assimilata ┌ collora┐, come peraltro testimoniato da R, si attesta anche in Toscana (fior.a. collora: sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; ~: 1355ca., PassavantiTrattSogni, OVI). Cf. Castrignanò (2014, 169), André (1991, 155), Marcovecchio (1993, 177), Aprile (2001a, 287), García Gonzáles (2007, 398), Green (2009, 393), D’Anzi (2012a, 289), Mazzeo (2011, 284), Nystedt (1988, 212), Sboarina (2000, 209), Zarra (2018, 597). ♦ Loc. e collocazioni: – colera ignea ‘umore bilioso provocato o caratterizzato da infiammazione’ (2 occ.; 121) 1. colera abrasata f.: B («pensano che quella specia che fi facta de colera più abrasata, como è lupo, corode più grandemente») 30v

 625

2. collora ardente f.: R («quella specie che è fatta di collora e più ardente, sì come è quella che ssi chiama lupo, maggiormente corrode») 65r 3.a. colera fogata f.: B («lo cancer fi facto de colera più fogata cha noli me tangere») 30v 3.b. chollora fogoxa f.: V («de chollora più fogoxa») 30r 4. collora rossa f.: R («dicono che ’l cancro e ’l lupo siano fatto di collora più rossa») 65r ▲ Non mancano attestazioni di colera ignea nei secoli successivi, sia in testi latini sia italiani: cf. Pleuger (2005, 205). 1. Non si rintracciano usi dell’agg. ┌abrasato┐ in locuzioni analoghe; la forma verbale ┌ abrasare┐ (< bragia; Nocentini 2010, 143 presuppone una base got. *brasa, ricostruibile sulla base delle lingue nordiche; il LEI VII, 227 pensa invece a una base prelatina *bras-/brasi-) è principalmente di area veneta e lombarda (prima attestazione è il crem.a. abrasaa, inizio sec. XIII, UguccLodi, OVI; GDLI s.v. abbraciato: due attestazioni ricavate dal Boairdo), ma non manca in Toscana: cf. TLIO (s.v. abbragiare); DEI (I, 7: v. abbragiare messa anche in relazione col fr.a. abraisier). 2. Non si hanno locuzioni analoghe nel corpus OVI; la loc. collera ardente è rintracciabile, però, in diversi dizionari sei-settecenteschi: cf. anzitutto D’Alberti di Villanova (1797 II, 72 s.v. collera). 3.a., 3.b. Non si hanno loc. analoghe nel corpus OVI: lo stesso agg. fogato, peraltro, non vi trova riscontri; di fogoxo si leggono soltanto due attestazioni: emil.a. fogoxo/fogoxi (1375, ATrovareVivoMorto, OVI), cui si aggiunge il più antico mant.a. fogosa (1299/1309, Belcalzer, OVI). 4. Cf. infra s.v. collera rubea (1.a.). – colera nigra ‘collera nera, melancolia’ (7 occ.; 122) 1. colera nigra f.: B («in tuto se guardi da li cibi generant colera nigra») 30v, 54r (2), 57r (3), 68r; chollora negra (cholora negra): V  30v, 54v (2), 55r (2); collora nera (collera nera): R 65v, 120r, 120v, 127r, 127v (2)

626 

 6 Glossario

2. mellenchonia (mellinchonia) f.: V («quella [scil.: postiema] che se fa de mellinchonia se chiama scliros») 51v, 54v,168 64v ▲ 1., 2. Prima attestazione: fior.a. colera nera (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO s.v. collera §2 ‘secondo la dottrina ippocratica, (quarto) tipo di umore biologico, malinconia’). Cf. Elsheikh (2016 II, 125). 2. Cf. s.v. melancolia (1.b.). – colera rubea ‘collera rossa, bile’ (2 occ.; 226) 1.a. colera rosa (colera rossa) f.: B («E de li apostemi sono quatro speci simplice secondo che sono quatro humori simplici; o che ella fi fata [...] per colera rosa, e fi dita erisipilla [...]») 54r (2); collora rossa: R 120v 1.b. collora rubea f.: R («fassi apostema di collora rubea») 120r

▲ 1. In tal caso, la resa del termine cólto colericus è affidata a un agg. molto comune, designante una delle caratteristiche fisiologiche fondamentali che erano assegnate alla natura della collera: cf. a tal riguardo il seguente passo di TesoroVolg (fine sec. XIII, OVI): «sono quattro umori: colera, che è calda e secca: flegma, che è fredda e umida: sangue, che è caldo e umido [...]». 2.a. Prima attestazione: fior.a. colerica (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO); voce registrata in Crusca1. La forma con caduta della voc. postonica collerc[o], testimoniata da R, non è attestata nel corpus OVI. Cf. Marcovecchio (1993, 177), Motolese (2004, 126), Nystedt (1988, 212), Sboarina (2000, 210), Mazzeo (2011, 285), D’Anzi (2012a, 289), Castrignanò (2014, 169), Elsheikh (2016 II, 125). 2.b. Cf. s.v. colera.

▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. collera rossa (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); cf. TLIO (s.v. collera §1.1.5 ‘altro nome della bile’); Elsheikh (2016 II, 125). 1.b. Cf. fior.a. colera rubea (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); García Gonzáles (2007, 398).

♦ Loc. e collocazioni: – sanguis colericus (238)

colericus ‘composto da umore bilioso’ (2 occ.; 119)

▲ 1. Cf. fior.a. sangue collerico (1310, BencivenniSantà, OVI); pad.a. sangue colerico (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). 2. Cf. le forme analoghe del fior.a. mal sanghue, malvagio sangue (1310, BencivenniSantà, OVI).

[cholericus TLL III, 1015]

1. chald[o] agg.: V («Chanchro, sì chomo dixe Avizena, è apostiema melenchonicha adusta de materia chalda») 29v 2.a. cholericho agg.: V («Formiga è una pustolla pizolla che nase per umor cholericho») 54r; coleric[o]: B 30r, 56r; collerc[o]: R 64r 2.b. di collera: R («la formicha è postula piccola e nasce di materia di collera») 125r

168 Voce adottata come glossa di chollora (cf. 1.).

1. sangue colerico m.: B («la sua curatione si è lo salasso, azò che al fiza trato fora lo sangue colerico») 56v; sangue collerico: R 126r 2. sangue malegno m.: V («quello sangue malegno vegna tuto fuora») 54v

collectio ‘il raccogliersi, l’accumularsi di materia fluida nell’organismo’ (4 occ.; 230) [TLL III, 1015]

1. adunanza f.: B («E sapia che li apostemi flegmatici puri raro fano adunanza de la materia») 56r 2. sunamento m.: V («sapi che le postieme flematiche porà far sunamento de marza») 54v

II Fisiologia e patologia 

▲ 1. TLIO (s.v. adunanza §3) registra l’accezione affine di ‘ammasso, conglomerato (di materiale organico)’ con due occorrenze del sab.a. adunança, in MascalciaRusioVolg (fine sec. XIV). 2. Cf. la forma non aferetica asunamento s.v. agregatio (1.a.).

complexio ‘costituzione fisica, disposizione del corpo’ (26 occ.; 8)

[TLL III, 2100; cf. → complexio humida (s.v. humidus), complexio sicca (s.v. siccus)] 1. chonplesione (chonplesion; chonplesione; chonplexion; chonpllesion; chonpllesione; chonpllessione) f.: V («lo menbro si chonserva in sanitade, zoè in natural chonplesione chon medexine o chon zibi») 7r (3), 7v, 11v, 14r, 14v, 16r, 16v, 17r (3), 17v, 19r, 20r (2), 23r, 23v (2), 25v, 26r (2), 30r, 35v (2), 37r, 40r; conplessione (complexione): R: 38v, 41r, 47v (2), 49r, 53v (2), 54r, 65r, 78r (2), 82r, 89v; complexione: B  5v, 6r, 10v, 13r (3), 15r, 15v (4), 16r (2), 17v, 19r (2), 22r (2), 22v, 23r, 25r (2), 25v (2), 30v, 36v (2), 38v, 41r; conpressione (conpresione 34r, 167v): R 28v (2), 29r, 31v, 34r (2), 34v (2), 35r (2), 41r, 75v 2. compositione f.: R («della compositione dello membro piagato et di tutto et della piaga putrida et come tu le dei aministrare») 4r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. compressione (ante 1274, LatiniTesoretto, TLIO s.v. complessione §1), forma popolare con rotacizzazione della laterale dopo p (cf. Rohlfs 1966–1969, §252), presente anche in Dante; DELIN, 369; voce registrata già da Crusca1. Il fr. complexion è attestato dal FEW (2, 983b) già a partire dal XII sec. Cf. Nystedt (1988, 213), Gleßgen (1996, 573: «complexio ist ein durch Constantinus Africanus konsolidierter Schlüsselbegriff der okzidentalen Elementarqualitäten»), Gualdo (1996, 78), Aprile (2001a, 290), Barbato (2001a, 351), Mazzeo (2011, 286), D’Anzi (2012a, 292), Castrignanò (2014, 169).

 627

2. Il TLIO (s.v. composizione §2) registra l’accezione affine di ‘disposizione psicologica e morale’ (nel pis.a., 1287–88ca., di TrattatiAlbertanoVolg). In tal caso, comunque, tanto più trattandosi di una singola attestazione (al cospetto del regolare uso della forma conpressione), potrebbe anche trattarsi di un semplice errore del copista. Cf. Gualdo (1996, 78).

concavitas ‘cavità, profondità interna (in partic. di un organo, di una ferita’ (15 occ.; 25)

[Forcellini I, 742; cf. → concavitas fistulae (s.v. fistula), concavitas ulceris (s.v. ulcus)] 1. chavitade f.: V («ell’è gobo da una parte e l’altra parte chon chavitade») 41v 2.a. chonchavitade f.: V («la mia intencione non è se no in le plage fate chon largo taio, e che non sia chonchavitade in lo rezimento») 7v (2), 8v, 27v, 31v, 38r, 40v, 41r, 41v, 48v, 55v; concavitade: B 6r (3), 7r, 14v, 27r, 32r, 35r, 35v, 39r, 42r, 43r, 43v (2), 51r, 58v; concavità (conchavità; conclavità; concravità): R 12v (2),169 58r, 58v, 68v,170 75r, 76r, 83v, 91v, 93r, 95r, 113r, 130v 2.b. chonchav[o] agg.: V («lla figura del menbro se storze, e [...] par chonchava»)171 34v 3. cupezza f.: R («riempiere la cupezza della carne secondo il modo convenevole») 14v ▲ 1. Dal corpus OVI si rintracciano soltanto due attestazioni: a) venez.a. cavitade (1301, CronicaImperadori); b) fior.a. ~ (ante 1340, Ottimo sec. red.); molto più tarde (solo seicentesche) le prime testimonianze restituite dal GDLI (Galilei; Redi, nell’accezione propria-

169 Nella prima attestazione di c. 12v concavitade è correzione per carnitade. 170 Ms.: cocavità. 171 Lat.: figura membri contorquetur, et [...] concavitas manifestatur.

628 

 6 Glossario

mente anatomica del termine) e dal DELIN, 317; voce registrata in Crusca3,4,5 (ma è falsa l’attestazione del Bencivenni presente nelle tre edizioni). Cf. Elsheikh (2016 II, 116). 2.a. Prima attestazione: aret.a. concavità (1282, RestArezzo, OVI); voce presente da Crusca3. Non si hanno in OVI attestazioni di una forma epentetica concravità, testimoniata da R, che restituisce anche un caso di apparente reazione ipercorretta (conclavità). Cf. Barbato (2001a, 352), Elsheikh (2016 II, 128). 2.b. Cf. s.v. concavus (2.b.). 3. Voce registrata dal TLIO (‘estensione in senso verticale; profondità’; cf. GDLI §1) in area toscana e nel perug. (prima attestazione: sen.a. cupezza, 1288, EgidioColonnaVolg); presente da Crusca1 (‘astratto di cupo, profondità’).

concavus ‘incavato, dalla superficie curva e rientrante’ (2 occ.; 18)

[Forcellini I, 742; cf. → ulcus concavum (s.v. ulcus), vulnus concavum (s.v. vulnus)] 1. cavato agg.: B («conforta e mondifica e salda e implisse li vulnerationi cavati de carne») 4v, 8r 2.a. che faza chonchavitade: V («per tal guixa che lo doso faza goboxitade per modo ch’el ventre faza chonchavitade») 9v 2.b. concavo agg.: R («llo dosso sia giomboso et lo ventre concavo») 17r; conchav[o]: V 34v 3. profondo agg.: V («quelle piage profonde se enplle de charne») 6r ▲ 1. Prima attestazione: sen.a. cavate (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO). 2.a. Per il sost. conchavitade, cf. s.v. concavitas (2.). 2.b. Prima attestazione: aret.a. concava (1282, RestArezzo, TLIO); voce presente da Crusca1 (sia come sost. sia come agg.). Cf. Elsheikh (2016 II, 127). 3. Cf. GDLI (§7 ‘medic.: che penetra in profondità nella carne’; prima attestazione: ante 1319, DanteCommedia).

congelare

[TLL IV, 273]

α.i. vb.tr. ‘far coagulare, far rapprendere’ (40) congel[are] vb.tr.: B («lo fredo à congelato et adunato li nervi») 10r; congiel[are]: R 22r; conzell[are]: V 11v ▲ Prima attestazione: grosset.a. si congiela (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, TLIO s.v. congelare, generalmente pron.); REW (§2143); voce presente da Crusca1. Cf. Sboarina (2000, 217), Elsheikh (2016 II, 128). α.ii. vb.med. (congelari) ‘coagularsi, rap­ prendersi’ (2 occ.; 30) 1. adun[arse] vb.pronl.: B («lo medico sia solicito [...] che lo sangue non se congeli, zoè aduni, in li interiori») 7v172 2. aglaz[arse] vb.pronl.: V («mollte fiade aviene che la sangue s’aglaza in la vesiga e apostiemase») 67v 3. chazere vb.intr.: V («tu sei solicito [...] e là chaze el sangue dentro») 9r 4.a. cogiel[are] vb.intr.: R («sappia che molte il sangue cogiela nella vescica») 164r 4.b. congel[arse] vb. pronl.: B (cf. supra 1.) 7v 4.c. fir congellato: B («lo sangue fi congellato in la vesica») 71v 5. riten[ersi] vb.pronl.: R («non venga nocimento alcuno nel membro nobile, cioè che ssi ritenga lo sangue da entro allo corpo») 16r ▲ 1. Cf. s.v. coadunare (1.a., 1.b.). 2. Cf. TLIO (s.v. ghiacciare §1.3 ‘[Rif. ad una sostanza liquida:] rapprendersi’; prima attestazione: bol.a. si ghiaza, 1324–28, JacLana; anche con riferimento al sangue, come nel testo di Bruno). Cf. s.v. coagulatus (2.). 3. La voce generica chazere è qui evidentemente impiegata per esprimere il ‘confluire, il

172 Voce adottata come glossa di congel[arse] (cf. 3.).

II Fisiologia e patologia 

raccogliersi’ di una sostanza (il sangue in tal caso) verso un dato luogo. 4.a., 4.b., 4.c. Cf. supra (α.i.). 5. Cf. s.v. retinēre (2.a., 2.b.).

congelatus ‘solido, rappreso’ (2 occ.; 38) 1.a. congelat[o] agg.: R («sono i nervi di materia umida [...] congelata et raunata») 21r; congelat[o]: B 9v, 47v; ozelat[o] (†): V 45v 1.b. gelat[o] agg.: R («l’unghia [...] è gelata insieme ed è bianca») 105r ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. congelato (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO §2 ‘divenuto denso, rappreso’); voce presente da Crusca1. 1.b. Prima attestazione: fior.a. gelato (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO); voce presente da Crusca1.

constrictio ‘contrazione, restringimento di parti o organi normalmente pervi’ (2 occ.; 80) [TLL IV, 540]

constrinzimento m.: B («la friza non se possa piliare per lo suo [scil.: piaga] constrinzimento, alora el se de’ largare la piaga») 20v ▲ Per la voce costringimento il TLIO registra, tra le accezioni tecniche, quelle più specifiche di ‘condensamento, coagulazione’ (§4; cf. anche GDLI §2) e ‘riduzione della secrezione di tessuti, astringimento’; il senso qui esaminato coincide, però, con quello registrato sotto il lemma costrizione (§2 ‘restringimento fisico di un passaggio’: fior.a. costrizione, Regime du corps volg. [Crusca5]), secondo il valore, dunque, presente nel lat. constrictio (si veda anche Gualdo 1996, 241); voce presente da Crusca1 s.v. costrignimento). Cf. Ineichen (1966, 255), Marcovecchio (1993, 214), Elsheikh (2016 II, 135).

 629

constringere ‘condensare’; ‘coagulare, astringere’; vb.med. ‘condensarsi’; ‘coagularsi’ (5 occ.; 11) [cōnstringo TLL IV, 543]

1.a. andare costrignendo vb.fras.tr.: R («infino al fondo va costrignendo»)173 64v 1.b. chonstrenzere vb.tr.: V («se la challura è plù che non fa bexogno, alora per lo suo bollir furioxo ronpe, osia la fredura chonstrenzando») 4v, 61r, 65r; constrinz[ere]: B 3r, 19v, 30r, 33r, 63v, 68v; costrignere (costringere): R 5r, 43r, 71r, 154r 2.a. and[arse] strenzando vb.fras.intr.: V («lo fondi se va strenzando») 30r 2.b. strenzere vb.tr.: V («ligala bene con la seda per modo che la sangue se strenza») 21r, 32v; strignere: R 110r; strinzere: B 49v ▲ L’accezione tecnica del vb.lat. constringere, propria del lessico medico, è già registrata dal TLL (IV, 543: ‘apud medicos i.q. contrahere, durare’). 1.a., 1.b. Cf. TLIO (s.v. costringere), che registra sia l’accezione di ‘ridurre in un volume minore, rendere più denso’ (§6; prima attestazione: aret.a. constringe, 1282, RestArezzo; cf. GDLI §6) sia quella, più specifica, di ‘coagulare, astringere’ (§6.3; prima attestazione: tosc.a. costrigne, inizio sec. XIII-XIV, Intelligenza); voce presente da Crusca1 (costrignere/ costringere ‘sforzare, violentare, tenere a freno, astrignere’). Cf. Sboarina (2000, 272), Aprile (2001a, 295), Elsheikh (2016 II, 135). 2.a., 2.b. Cf. GDLI (§9 ‘congelare, far rapprendere, condensare, indurire’: ante 1313, DanteCommedia); Gualdo (1996, 282) pone il verbo strenzere (’fermare, bloccare’; in partic. ‘arrestare il flusso del sangue’) tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola; Elsheikh (2016 II, 303).

173 Lat.: sinus constringitur.

630 

 6 Glossario

consumptio ‘consumazione, esaurimento di forze vitali’ (139) [TLL IV, 618]

1. consumatione f.: R («abisongni che ttu disperi della salute di questo infermo al postutto, inperciò che dimostra consumatione de caldeçça») 74r 2. consumptione f.: B («ella significa la consumptione de la caliditade naturale e de la sua destructione») 34v 3. manchare vb.intr.: V («alora te desparti da la salude de lo infermo ch’el significha chalor natural manchare»)174 34r ▲ 1. Prima attestazione: pis.a. consumassione (1270–90, QuindiciSegni, TLIO s.v. consumazione1 §1); DELIN, 383; voce presente da Crusca1. 2. Prima attestazione: bol.a. consumptione (1243ca., ParlamentiFaba, TLIO s.v. consunzione §1); DELIN, 383; DEI (II, 1072: «detto specialmente di malattia che logora lentamente»); consumptione si legge anche in F1 (33v); voce registrata soltanto da Crusca4. Cf. Nystedt (1988, 215), Marcovecchio (1993, 215), Mazzeo (2011, 288), Elsheikh (2016 II, 130).

continuatio ‘contiguità, congiunzione (tra organi o parti dell’organismo)’ (2 occ.; 38) [TLL IV, 721]

1.a. chontinuanza f.: V («taja lo logo de sovra la chontinuanza soa») 36v 1.b. chontinuitade f.: V («per lo gran sentimento d’esi i quali à chontinuitade chon el zellebro») 10v 1.c. continuatione f.: B («per la sua continuatione cum lo cervello comove tosto lo spasmo») 9v, 37v

174 Lat.: quoniam significat consumptionem caliditatis innatae.

▲ 1.a. Voce assente in accezioni affini in TLIO, GDLI, DEI, DELIN. 1.b. Forma ancora scarsamente attestata nel corso del Trecento, come dimostrano le sole otto testimonianze rintracciabili nel corpus OVI. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. continuitade (ante 1298, Questioni, OVI); voce presente da Crusca1 (continuità, ma nel senso generico di ‘continuazione’). Cf. Marcovecchio (1993, 216), Elsheikh (2016 II, 130). 1.c. Cf. TLIO (s.v. continuazione §2 ‘rapporto di prossimità fisica e logica’); voce presente da Crusca1 (continuità, nel valore generico di ‘continuazione’).

conversio ‘mutamento, trasformazione di una sostanza’ (2 occ.; 98) [Forcellini II, 856]

1.a. conversione f.: B («al è operante lo calore naturale, et alora è conversione de lo humore in lo nutrimento») 4v, 25r; corvessione (†): R 53r 1.b. convert[irsi] vb.pronl.: R («allora si converte i’ nodrimento») 8v;175 chonvert[irse]: V 6r, 25v ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. conversione (sec. XIV, MetauraAristotileVolg, TLIO §2.1); DELIN, 392; GDLI (§2); nell’accezione di ‘mutazione, trasmutamento’ la voce è registrata solo in Crusca4,5 (in particolare, Crusca1,2 rileva l’unica accezione di ‘rivolgimento di pensiero, e di mente da male a bene, il convertirsi’). Cf. Nystedt (1988, 216), D’Anzi (2012a, 297). 1.b. Cf. s.v. convertere (2.b.).

175 Lat.: tunc est conversio humoris in nutrimentum.

II Fisiologia e patologia 

conversus ‘di sostanza mutata, che ha cambiato natura (soprattutto in relazione a processi degenerativi)’ (154) [converto Forcellini I, 857]

convertid[o] agg.: R («quando el nodo è duro nella sustantia di pietra già convertita, allora è necessario di sopra sia legato et disoluto») 81v; chonvertid[o]: V 37r; convertito: B 38v ▲ L’agg. convertito è registrato dal TLIO soltanto con accezioni religiose: in quella qui esaminata, si registra però la forma verbale convertire, per la quale cf. s.v. convertere (2.).

convertere vb.tr. ‘tramutare, cambiare natura (soprattutto in relazione a processi degenerativi)’; vb.med. (converti) ‘tramutarsi’ (5 occ.; 84) [converto Forcellini I, 857]

1. avegnire vb.intr.: V («schiros aviene del flemon e da rixipilla») 55r 2.a. convert[ire] vb.tr.: B («lo cibo el quale fi mandato a quella fi convertito a la corruptione per la debilitade de lo membro») 21v, 57r 2.b. convert[irsi] vb.pronl.: R («acciò che non si convertisse in corronpimento per la deboleçça del menbro») 46v, 110r, 127r, 127v, 137r; convert[irse]: B 49v, 57r, 62r; chonvert[irse]: V: 22v, 47v ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. avvenire §2 ‘[Con significato fondamentale di mutamento in una nuova condizione:] farsi, diventare’); prima attestazione: tosc.a. avenne (ante 1292, FioreRettorica [red. delta1]). 2.a., 2.b. Prima attestazione: grosset.a. convertisi (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosset, TLIO s.v. convertire §1); DELIN, 392; GDLI (§10); a differenza del sost. conversione, il verbo convertire è registrato nell’accezione di ‘trasmutare, trasformare’ già in Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 216), Gualdo (1996, 80), D’Anzi (2012a, 297).

 631

corrosio ‘corrosione, lenta distruzione di un tessuto dell’organismo’ (8 occ.; 68) [TLL IV, 1048]

1.a. chorod[ere] vb.tr.: V («basta a choroderla chon sponza marina lavada»)176 34r; corrodere: R 51v 1.b. choroxione (choruxion) f.: V («quando se bruxa se fa de mazor man cha la choruxion d’ese») 18v, 36r; corrosione (corrossione; corrussione): R177 38v, 51v, 79r; corrosione: B 17v (2), 24r (2), 37r 2.a. rodere vb.tr.: R («se è poca, basta a rodere quella spungna marina»)178 74v 2.b. roxegamento m.: V («è meio che tu tai lo menbro azò che tu taj l’avanzo de lo roxegamento e de la putrefacione») 24v, 30r ▲ 1.a. Prima attestazione: pis.a. corrodeno (1287–88ca., TrattatiAlbertanoVolg, TLIO s.v. corrodere §1); DEI, 403; REW (§2257); voce registrata a partire da Crusca2. Cf. Elsheikh (2016 II, 133). 1.b. Prima attestazione: coresione (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO s.v. corrosione §1); le attestazioni ricavabili dal corpus OVI appartengono a quattro testi, tutti di carattere scientifico o medico (oltre al citato UbertinoBrescia, in: aret.a., FioriMedicina; sic.a., MascalciaRuffoVolg; pad.a., Serapiom; fior.a., CrescenziVolg), a testimonianza dello statuto tecnico del termine, almeno nella fase più antica; DELIN, 403; voce presente già in Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 224), García Gonzáles (2007, 407 s.v. diabrosis), Elsheikh (2016 II, 133).

176 Lat.: sufficit ad eius corrosionem spongia marina. 177 Saranno errori del copista le forme corrotione e corruzione (c. 38v), così come l’agg. corrotto (c. 65r), usato analogamente per rendere il lat. corrosio. 178 Lat.: sufficit ad eius corrosionem spongia marina.

632 

 6 Glossario

2.a. Prima attestazione: fior.a rodersi (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI); DELIN, 1406; REW (§7358). Confinando la ricerca ai testi presenti nel corpus ReMediA, si può constatare un ampio uso del vb. rodere proprio nell’accezione tecnica qui considerata; voce presente già in Crusca1. 2.b. Dal lat. parl. *rosicāre (REW §7359), tratto dal part. pass. del vb. rōdere (DELIN, 1406). Non si hanno attestazioni della forma ┌rosicamento┐ all’interno del corpus OVI (ci sono invece quattro attestazioni di rodimento); la forma veneta rosegamento è attestata solo nel 1552 da Sallach (1993, 183: «Bei rosegar, rosigar handelt es sich um ein im ganzen Veneto und auf Istrien verbreitetes, etymologisch eindeutiges Dialektwort»), ed è registrata in Boerio (1856; cf. qui anche la loc. rosegamento de stomego) e Cortelazzo (2007, 1132); in Patriarchi (1775) si legge la forma sinonimica rosegaura (ma rosegamento è accolto dalla seconda edizione postuma del 1796). Cf. FEW (10, 486b-487b).

corrosivus ‘che ha la proprietà di corrodere (detto di sostanze fisiologiche e di medicamenti)’ (291) [Forcellini I, 877]

chossa choroxiv[a] f.: V («l’è da metere chosse achute e choroxive») 64v; cosa corosiv[a]: R 153r; cosa corosiva: B 68r ▲ Prima attestazione: fior.a. corrosiva (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Al pari del sost. corrosione, si tratta di un termine meramente tecnico, riscontrabile soltanto in tre testi specialistici all’interno dei corpora OVI e ReMediA (oltre al citato CrescenziVolg, lo si ritrova, infatti, in ChirurgiaFrugardoVolg, Serapiom e MascalciaRusioVolg). Cf. TLIO (s.v. corrosivo §1); DEI (I, 1123: posto a confronto col fr. corrosif, forma del XIII sec., per la quale si veda anche FEW 2, 1226b); DELIN, 403 (attestato solo dal 1542, Dioscoride). Cf. Gualdo (1996, 80), Sboa-

rina (2000, 218), Motolese (2004, 136), Elsheikh (2016 II, 133). ♦ Loc. e collocazioni: – medicina corrosiva (199) medexina chorosiv[a] f.: V («può meti dentro da l’ochio delle medexine choroxive sì chomo lo sal») 46r; medicina corosiva: B 48r; medicina corrosiva: R 106r ▲ Il termine corrosivum, come agg. sostantivato, indica già nell’originale latino un tipo di farmaco con proprietà corrosive: cf. sab.a. corrosivo (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, TLIO §2). Come agg. usato in riferimento a una specifica sostanza medicamentosa, si veda, sempre in MasclaciaRusioVolg, pulve corrosiva. Locuzioni analoghe si leggono nell’Almansore in volgare (Elsheikh 2016 II, 133 s.v. corrosivo: medicamento corrosivo e medicina corrosiva). – medicamen corrosivum (2 occ.; 53) medicina corrisiv[a] f.: R («le medicine agute et corrisive179 è d’aparecchiare») 30r; medicina corosiva: B 13v, 61r; medexina chorosiva: V 15r, 58r ▲ Cf. supra s.v. medicina corrosiva. – sanguis corrosivus (51) sangue choroxivo m.: V («s’el sangue serà aguto over choroxivo o grosso o sotille») 14v; sangue corosivo: B 13r ▲ Non si rinvengono locuzioni analoghe nel corpus OVI, ma non mancano testimonianze nei secoli successivi, soprattutto in epoca moderna: cf., tra gli altri, Fabbri (1741, 42 «Ma un Sangue sì fattamente corrosivo, in

179 L’agg. corrisive (presente anche a c. 53r) andrà presumibilmente corretto in corrosive, come si ricava anche dalla forma medicina corrosiva che si legge a c. 106r (cf. supra s.v. medicamen corrosivum).

II Fisiologia e patologia 

 633

lacerando di continuo que’ condotti, per ove diramasi, dovrà senza fallo moltiplicarne gli ulceri»).

racion putride), tutte provenienti dal pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV).

– sanies corrosiva (17) [cf.→ s.v. sanies]

corrugari vb.med. ‘incresparsi, piegarsi’ (313)

marcia corrosiva f.: R («la marcia è nitrosa e corrossiva») 9r ▲ Non si rintracciano loc. analoghe nel corpus OVI: sono numerose, tuttavia, le testimonianze seriori, almeno fino all’Ottocento (cf., tra gli altri, Morgagni 1828, vol. 13, 75: «una delle parti del cervelletto era [...] offesa da uno stravaso di sangue entro questo viscere, ovvero da una marcia corrosiva»). – ulcus corrosivum (4 occ.; 86) [cf.→ s.v. ulcus] 1.a. ferita antica corrossiv[a] (ferita antica corrissiv[a]) f.: R («le ferite antiche [...] sono asolute cioè le corrisive») 53r (2); ferita antica molto corros[a]: R 51v; ferita corrosiva: R 47r, 52r, 126r 1.b. ulceratione corosiva f.: B («de quelli [scil.: ulcerationi] sono alcuni violenti e sono sordidi, zoè puzulenti, [...] e sono corosivi e sono de grave curatione») 21v, 24r, 25r, 56v 1.c. ulzera choroxiva f.: V («Gallieno queste ulzere chorosive si le anomina fuogo persigo») 25r, 25v, 54v 2. ulzera putrida f.: V («El ge n’è [scil.: ulzere] de quelle che non è monde [...] e altre putride de grieve consolidacione») 22v ▲ 1.a. Cf. piage putride antige coroxive (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Per il ricorso alla loc. ferita antica come traducente del lat. ulcus, soluzione adottata di frequente in R, cf. s.v. ulcus (1.b.). 1.b., 1.c. Cf. fior.a. ulcerazion corrosive (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); pad.a. ulceracion corosive e ulcere corosive (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); Motolese (2004, 136). 2. Nel corpus OVI si rintracciano almeno dieci attestazioni analoghe (ulceraciom putride, ulce-

[corrūgo TLL IV, 1049]

1. astrenz[erse] vb.pronl.: V («quando se fa chauterio, in lo chavo non lli die mollto demorare suxo, sì chomo dixe Avizena, azò che lo zellebro non boia e li panicholli se astrenza») 68v 2. retir[arse] vb.pronl.: B («lo ferro non de’ molto indusiare sopra l’osso, como dice Avicena, azò che lo cervello non bolia e li soy panniculi non se retiri») 72v ▲ L’unica attestazione della v. dotta ┌corrugare┐ (con valore tr.) presente all’interno del corpus OVI si ritrova proprio in àmbito medico: pad.a. coruga (fine sec. XIV, Serapiom: «Le olive selvège incoria, çoè aduna, e coruga el stomego»; cf. TLIO s.v.), che, pur isolata, permette di retrodatare ampiamente la documentazione dei dizionari (DELIN, 403: av. 1698, F. Redi); voce presente soltanto in Crusca4,5. 1. Cf. GDLI (s.v. stringere §9 ‘congelare, far rapprendere, congelare, indurire’). 2. Cf. GDLI (s.v. ritirare §27 ‘diminuire di superficie, rimpicciolirsi’). A partire da Crusca3 si registra la loc., affine ma riferita nello specifico ai nervi, retirare de’ nervi (‘dicesi del perdere essi la loro naturale flessibilità’).

corrumpere vb.tr. ‘guastare, mandare in putrefazione’; vb.med. (corrumpi ) ‘guastarsi, andare in putrefazione’ (5 occ.; 38) [corrumpo TLL IV, 1049]

1.a. corromp[ere] (corronpere) vb.tr.: R («quando la puza è raunata nella ferita [...] fa putrefatione et corrompe il membro») 21r, 63r

634 

 6 Glossario

1.b. choronp[erse] vb.pronl.: V («fase putrefacione e choronpese lo menbro») 11r, 14r, 29r; corromp[ersi]: R 27v, 101r, 125r (2); corrump[erse]: B 9v, 12v, 29v, 56r ▲ 1.a., 1.b. DEI (II, 1123 s.v. corrompere: «adattamento dotto del lat. conrumpere»); REW (§2260a). Cf. TLIO (§4 ‘guastare ciò che è sano per infezione, contagio; rendere malato, infetto’; §3.1.1 pron. ‘subire un processo di disfacimento o di alterazione organica’; prime attestazioni, rispettivamente: nap.a. corrompino, sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis; pis.a. > fior.a. si corrompe, 1308, GiordPisaPredGenesi2); voce presente da Crusca1. Cf. Gleßgen (1996, 576), Gualdo (1996, 78), Motolese (2004, 135), Mazzeo (2011, 288), Castrignanò (2014, 170), Elsheikh (2016 II, 134).

corruptio ‘l’andare in putrefazione, il decomporsi’ (19 occ.; 84) [TLL IV, 1066]

1.a. chorucione (chorucion; choracione; chorupcion; choruxione) f.: V («se chonverte in chorupcion per le debellitade del menbro») 22v, 26r (3) 27r, 28v (4); corruttione (corottione; corrotione; corruptione; corruttione; corruxione; currutione; corruzione; corruzzione; coruptione; coruttione; curratione; currutio): R  54r (2), 56r, 57r, 61r, 61v (2), 62r (2), 120r, 130r, 149v, 164v, 167r; corruptione (coruptione): B 21v, 25r (3), 26r, 26v, 28v (3), 29r (3), 37r, 56r, 58v, 67r, 71v, 72r 1.b. choroto agg.: V («sì ch’el non de romagna niente del choroto»)180 28v (2) 1.c. corronpimento m.: R («acciò che non si convertisse in corronpimento per la deboleçça del menbro») 46v ▲ 1.a. Prima attestazione: aret.a. corruzione (1282, RestArezzo, TLIO); voce presente da

180 Lat.: ita ut non dimittatur in eo obfuscatio aut corruptio.

Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 255), Gleßgen (1996, 576), Gualdo (1996, 80), Aprile (2001a, 299), Motolese (2004, 138), Mazzeo (2011, 290), Castrignanò (2014, 171), Elsheikh (2016 II, 133). 1.b. Cf. s.v. corruputus (1.). 1.c. Prima attestazione: fior.a. corrompimenti (1292, GiamboniLibroViziVirtudi, TLIO §2.1.1); voce presente da Crusca1.

corruptus agg. ‘marcio, imputridito’ (13 occ.; 51) [corrumpo TLL IV, 1049]

1. choroto agg.: V («el qual sangue si è choroto in qualitade e in quantitade») 14r (2), 26r, 48v, 53r; corrotto (coropt[o], corropto): R 53v, 55r, 58v, 60v, 64r, 123r, 149v; corrupto (coroto): B 13r, 21v, 25r (2), 26r, 30r, 27v, 28r, 50v, 55r, 67r (3) 2. vasto agg.: V («varda ch’el choion non sia vasto; e s’ell’è vasto, tuollo fuora chon fero chaldo») 62v (2) ▲ 1. Prima attestazione: mess.a. corructu (1315ca., LibruSGregoriu, TLIO s.v. corrotto §2.1); voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 299), Motolese (2004, 136), Mazzeo (2011, 289), Castrignanò (2014, 171), D’Anzi (2012a, 299), Elsheikh (2016 II, 133). 2. Cf. TLIO (s.v. guasto §4 ‘ridotto in uno stato di disfacimento, di corruzione organica’; prima attestazione: fior.a. guasta, sm. sec. XIII, FinfoNeriAmoroso).

cortex ‘strato di sangue o pus secco che si forma su una ferita’ (2 occ.; 59)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. crosta f.: B («La medicina consolidativa [...] è quella che exicca la superficie de la piaga fina che al fiza facta la crosta») 15r 2. schorza f.: V («la medexina chonsollidativa si è quella che desecha la sumitade de la piaga defina tanto ch’ela faza schorza sora la piaga») 16v, 28v; scorza: B 28v

II Fisiologia e patologia 

▲ 1. Cf. s.v. crusta. 2. Il TLIO (s.v. scorza §1.2), al pari degli altri dizionari (cf. GDLI §6), registra piuttosto l’accezione di ‘tessuto che ricopre la superficie del corpo degli esseri umani e degli animali, pelle, cuoio’: pis.a., 1345–67, FazioUbertiDittamondo; cf. anche Marcovecchio 1993, 225, Aprile 2001a, 476; ┌scorza┐ non compare, peraltro, tra i traducenti del lat. cutis nei tre mss. (cf. s.v. cutis: sezione 1). Cf., però, Elsheikh (2016 II, 282), che attesta le accezioni di ‘escara’ e, per la loc. scorza rustica, di ‘crosta nera delle ferite’.

crepitatio ‘fitta serie di rumori secchi, crepitio delle ossa fratturate’ (160) [crepito TLL IV, 1169]

1.a. crepare vb.intr.: R («per la ventura oderai crepare l’osso»)181 85r 1.b. crepatione f.: B («forse che al se olde la crepatione de l’osso») 39v ▲ 1. Non si registrano nel TLIO e nel GDLI attestazioni della forma base crepare col significato proprio della forma intensiva derivata crepitare (REW §2316); l’accezione di ‘crepitare, scoppiettare’ appartiene però già al lat. crepāre (cf. Nocentini 2010, 293: «il lat. crepāre è di origini imitativa e il nesso iniziale kr- ricorre in numerosi verbi che esprimono rumore [...],. Il sign. primario si riferisce a rumori emessi da oggetti che si rompono, che scoppiano, come nel der. crepitare»). La prima attestazione di crepitare è invece l’it.a. crepitavano (1339–41?, BoccaccioTeseida, TLIO s.v. crepitare §1; presente soltanto in Crusca4,5). 2. Voce non attestata nel corpus OVI e nel GDLI, ed evidentemente derivata dal verbo crepare (presente in R); analogamente, non si hanno in OVI neppure attestazioni della voce ┌ crepitazione┐ (assente in Crusca); una singola testimonianza si ha, invece, per il sost. crèpito

181 Lat.: auditur ossis crepitatio.

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‘il crepitare, fragore’ (fior.a., metà sec. XIV, LivioVolgDecaTerza). Il sost. crepitazione trova diffusione in epoca moderna: il DELIN, 412, ne registra proprio l’accezione, qui considerata, di ‘rumore prodotto dalle osse fratturate’, attestandola dall’Ottocento (1828, Fantonetti), analogamente al GDLI (anche qui l’unica attestazione è solo ottocentesca: Tramater); tuttavia, la si può retrodatare almeno al secondo Settecento (cf. Petit 1786, I, 77: «quando si fanno l’estensione per riavvicinare, come si è detto, le parti separate la crepitazione è muta, perché le ossa non si toccano, che a traverso una cartilagine; laddove quando v’è frattura, la crepazione è chiara, e netta, perché l’ossa si toccano immediatamente»).

cronicus ‘di patologia a decorso lento e con scarse probabilità di guarigione’ (313) [TLL IV, 1030]

1. cronico agg.: R («Contra al cronico dolore del capo sia fatto il cauterio sopra ogni corno di capo») 169r 2. longo agg.: B («Contra lo dolore longo che è portato longo tempo fiza lo cauterio sopra li doy corni») 72v ▲ 1. Il lat. cronicus è attestato dal TLL a partire dal IV sec. (Teodoro Prisciano). Il TLIO registra cronico soltanto nel significato astronomico di ‘che avviene subito dopo il tramonto (inteso come inizio del giorno astronomico)’, e con un’unica attestazione: fior.a. cronico (1314–15, BencivenniSfera); molto tarda la prima attestazione fissata dal DELIN, 419 (av. 1729, A. M. Salvini); voce presente solo in Crusca4,5, ma i due esempi tratti da Bencivenni e Giordano da Pisa, che non trovano corrispondenza nel corpus OVI, sono con ogni probabilità due falsi da attribuire al Redi. Cf. Elsheikh (2016 II, 137). 2. Cf. fior.a lungo dolore (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI: «il lungo dolore, per beneficio della prestezza, s’abbrevia»).

636 

 6 Glossario

crudus ‘di umore, secrezione o altra sostanza (anche nociva) non digerita o non smaltita efficacemente dall’organismo’ (3 occ.; 104) [TLL IV, 1236]

chrud[o] agg.: V («la marza serà vischoxa e grossa e torbeda e chruda») 26v, 55v; crud[o]: R 56v, 131r; crud[o]: B 26v, 57v, 58v ▲ Prima attestazione: fior.a. cruda (1310, Bencivenni, §TLIO 2).

crusta ‘strato di sangue o pus secco che si forma su una ferita’ (311) [TLL IV, 1253; cf. → cortex]

chrosta f.: V («Aida a strenzere lo fluxo del sangue fazando la chrosta spesa e grossa») 68r; crosta: R 167r; ~: B 72r ▲ Prima attestazione: pis.a crosta (1385–95, FrButi, TLIO §3); REW (§2345); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 236), Gualdo (1996, 82), Sboarina (2000, 219), Aprile (2001a, 302), Motolese (2004, 140), Elsheikh (2016 II, 137).

currens ‘di liquido fisiologico o medicina che scorre, che fluisce rapidamente nell’organismo’ (4 occ.; 15) [curro TLL IV, 1514]

1.a. che corre: R («basti assai quello medesimo nel reggimento del corso della vertù e della humidità che corrono alle fistole») 56r, 59v 1.b. chorelativ[o] agg.: V («le medexine incharnative no fa naser charne in ese s’el non fose chorelative») 23v 1.c. chorente agg.: V («s’ela passa el modo l’aroxega el menbro e desollve la charne ad umiditade chorente») 24r; currente: B 23r, 26r, 27v

1.d. chorere vb.intr.: V («è da churare che la sangue non chora da essa»)182 5v 2. che viene fuora: V («E zà avemo dito pluxor chaxone da far la marza e de le umiditade che viene fuora de la fistolla») 26v 3. discor[ere] vb.intr.: B («trey cose se deno attendere principalmente, se [...] lo sangue non discoria da quella») 4r 4. uscire vb.intr.: R («non esca d’essa sangue»)183 7v ▲ 1.a., 1.c., 1.d. Cf. TLIO (s.v. correre §4.2. ‘[Di un sogg. assimilato ad un fluido:] espandersi o procedere, entro un mezzo o una via det.’; prima attestazione: it.a. corre, 1304–07, DanteConvivio). 1.b. Voce (derivata forse per incrocio con la forma corsivo, consueta in tal senso) non attestata nel corpus OVI e assente in questa accezione nel GDLI. 1.c. Prima attestazione: crem.a. corrente (primi decenni sec. XIII, PatecchioSplanamento, OVI); cf. GDLI (§3); voce presente da Crusca1. 3. cf. s.v. ambulare (2.).

cursibilis ‘di liquido fisiologico o medicina che scorre, che fluisce rapidamente nell’organismo’ (311)

[Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini; cf. → s.v. currens]

cursibile agg.: B («ayda ch’el fiza aperta la via e li porri, azò che la sua superfluitade non naturale e non cursibile corra») 72r ▲ Il TLIO registra corsibile solo nell’accezione di ‘[rif. ad un’unità monetaria:] che circola, corrente’ (pm. sec. XIV, Pegolotti); voce assente in GDLI e Crusca.

182 Lat.: sanguis ab eo non sit currens. 183 Per i traducenti discorere (3.) e uscire, cf. nota supra.

II Fisiologia e patologia 

♦ Loc. e collocazioni: – cursibilem facere (41) 1.a. fare chorer: V («l’oio si à propiatade de mitigar el dollore e de sotiare le medexine e farle chorer per tute le parte del chorpo») 11v; fare currere: B 10r 1.b. fare corsiv[o]: R («è d’assottiglare le medicine et da fare quelle che sieno corsive») 22v ▲ 1.a. Cf. la loc. analoga, riferita al sangue, presente nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV: «fa nocumento a quilli che ha maroele, perché ela si avre le vene del culo e fa più corere fuora el sangue»). 1.b. Due attestazioni di ┌corsivo┐ si hanno in SacchettiRime (sm. sec. XIV, OVI), forma registrata anche dal TLIO (§2 ‘[rif. specif. a corsi d’acqua:] che scorre, corrente’) e presente da Crusca1.

cursus ‘flusso di un liquido corporeo o di altro genere’ (7 occ.; 36) [TLL IV, 1534; cf. → s.v. decursus]

chorso m.: V («lo chorso de l’oio le fa andare dentro infina là che nuj volemo») 18v, 19r; corso: R 55v, 128v; curso: B 9r, 14v, 17r, 26r (2), 68v

 637

1.a. chorso della sangue: V («ben porave eser, chomo dixe Avizena, ch’el chorso della sangue intenperada si fa prode a le piage e deveda la postumacion») 5v; curso de lo sangue: B 4r (2) 1.b. uscire del sanghue: R («dice Avicenna che llo uscire del sanghue in quantitate incontanente verrà postema») 8r ▲ 1.a. Non si rinvengono loc. analoghe nel corpus OVI, ma sono numerose le testimonianze risalenti ai secoli successivi, fino all’epoca contemporanea (cf., tra le opere dedicate esplicitamente alla circolazione sanguigna, Spallanzani 1773, 191: «per votamento d’aria si risente cotanto il fluire del sangue polmonare, così per votamento di fiele si risente medesimamente il corso del sangue irrorante la borsetta»). Cf. GDLI (s.v. corso §5 ‘circolazione del sangue, flusso di sangue o altri umori organici’: l’ultima attestazione è registrata in Foscolo, ante 1813), Marcovecchio (1993, 243), Aprile (2001a, 303 s.v. curso), Motolese (2004, 175, nota 114). 1.b. Per loc. analoghe, con uso sostantivato del verbo uscire, cf. sen.a. uscire del sangue (1288, EgidioColonnaVolg, OVI).

▲ Cf. TLIO (s.v. corso §9 ‘il fluire delle acque o di liquidi organici’; prima attestazione: venez.a. corso, 1253, DesignazioneTerre, OVI).

debilitari vb.med. ‘indebolirsi, fiaccarsi’ (181)

♦ Loc. e collocazioni: – cursus lacrimarum (2 occ.; 197)

1. debilit[arse] vb.pronl.: B («Et alcuna volta se debilita alcuni membri, como è lo brazo, li gambi e li pedi») 44v 2. indebol[ire] vb.intr.: R («alcuna volta è che indeboliscono alquante menbra») 97r

chorso de lagreme (chorsso de lagreme): V («de questo seguiterave chorso de lagreme chontinuo») 45v, 46r; corso delle lagrime (corso alle lagrime): R 105v, 106r; curso de li lacrimi: B 47v, 48r ▲ Per loc. analoghe, cf.: nap.a. > pad.a.-ven.a. corso de queste lacrime (1369–73, MaramauroExpositione, OVI); pad.a. corso de le lagreme (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). – cursus sanguinis ‘circolazione sanguigna’ (2 occ.; 15)

[dēbilito TLL V, 111]

▲ 1. Prima attestazione: debilitare (1282, RestArezzo, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 308), Motolese (2004, 142), D’Anzi (2012a, 303), Castrignanò (2014, 172), Elsheikh (2016 II, 140). 2. In àmbito specificamente medico, la prima attestazione è il fior.a. indeboliamo (1275, TrattatoAlbertanoVolg, OVI); voce presente da Crusca1 (verbo trans. e intr.). Cf. Elsheikh (2016 II, 183).

638 

 6 Glossario

debilitas ‘debolezza, fiacchezza fisica’ (9 occ.; 84) [TLL V 1, 109]

Narducci) tanto l’agg. indebilitato quanto il verbo indebilitare, ma l’ediz. Morino, accolta nell’OVI, legge al contrario debilitato; voce assente in Crusca. Cf. Aprile (2001a, 364 s.v. indebiliti).

1.a. debelleza f.: V («L’ernia aquoxa non è so no axunamento de umiditade e la chaxon d’esa si è debelleza de li choioni») 62v; debolezza: R 46v, 76v, 97r, 149r 1.b. debellitade (debelitade) f.: V («può se chonverte in chorupcion per le debellitade del menbro») 22v (2), 26r, 42v; debilità: R 54r, 81v; debilitade: B 21v (2), 25v, 35v, 38r (2), 44v, 67r

declinare

▲ 1.a. Prima attestazione: pis.a. debilessa (1287–88ca., TrattatiAlbertanoVolg, TLIO s.v. debolezza §1.); voce presente da Crusca1. Cf. D’Anzi (2012a, 303), Elsheikh (2016 II, 140). 1.b. Prima attestazione: venez.a. debilitade (1250ca., Panfilo, OVI); voce registrata in Crusca3,4,5. Cf. Ineichen (1966, 257), Nystedt (1988, 219), Marcovecchio (1993, 252), Aprile (2001a, 307), Motolese (2004, 142), García Gonzáles (2007, 560 s.v. tonoticon), Mazzeo (2011, 290), Castrignanò (2014, 172), Elsheikh (2016 II, 140).

1. declin[are] vb.intr.: V («quanvis deo lo biancho si è fredo, lo chaldo declina a chaliditade») 21r, 22v, 53v; declin[are]: B 19v, 51v, 55r (2), 55v (2), 57r; diclinare: R 43r, 114r, 122r, 122v, 123r, 124r, 127r 2. esere vb.intr.: V («lo plù salvo di mortalli è el rosso e può lo zitrino, e quello ch’è negro185 non de schanpa nesuno») 53r 3. parere vb.intr.: V («S’ela non è arossa, ela parà biancha») 49r

debilitatus ‘(detto di un organo o di un membro) indebolito, che non è in perfetta efficienza’ (2 occ.; 154) [dēbilito TLL V 1, 111]

1.a. debelitato agg.: V («alora bexogna, se l’ochio non è mollto debelitato per esse, chon essa altra malatia, che tu toi quelle vene chon anzino») 46r; debilitato (debilitado): B 38r, 48r 1.b. indebilitado agg.: V («chonviene, in lo medegamento de questo menbro sotiado e indebilitado, lo infermo se restaure chon zibo molto grosso») 37r ▲ 1.a. Prima attestazione: it.a. debilitato (1304–07, DanteConvivio, TLIO §2); voce registrata solo in Crusca4,5. Cf. Motolese (2004, 142), Mazzeo (2011, 291), Elsheikh (2016 II, 140). 1.b. La forma lat. indebilitatus è registrata da Du Cange (IV, 337c). L’unica attestazione riportata dal TLIO è il fior.a. indebilitata (ante 1334, Ottimo), il GDLI attesta già in RestArezzo (ed.

α. ‘tendere a, essere caratterizzato da una determinata proprietà fisiologica (soprat­ tutto in riferimento ai colori)’ (6 occ.; 77) [dēclino TLL V 1, 193]184

▲ 1. Il TLIO (s.v. declinare §8 ‘[di un colore:] assumere una determinata sfumatura’) ne registra un’attestazione nel mant.a declina (1299/1309, Belcalzer); LEI (D4, 582). Gualdo (1996, 242) annovera il verbo declinare e l’agg. declinante tra i tecnicismi collaterali della lingua medica di M. Savonarola (cf. anche Nystedt 1988, 219). Cf. Castrignanò (2014, 172). 2., 3. Il ms. V è l’unico dei tre volgarizzamenti ad adottare due voci comuni per aggirare il tecnicismo di partenza, conservato però nelle restanti tre occorrenze (e sempre conservato da R e B). β. ‘essere inclinato; piegarsi, tendere verso (di osso o altro elemento all’interno dell’or­ ganismo)’ (6 occ.; 150) [dēclino TLL V 1, 190]

184 Il TLL la registra espressamente come voce medica. 185 Lat.: quod ad nigredinem declinat.

II Fisiologia e patologia 

1. chorere vb.intr.: V («se die chonpremer lo ventre chon la mane azò che tuta l’aqua chora de soto») 60v 2. declin[are] v.intr: B («quando la rotura advene a quello, como dice Avicena, non declina secondo la più parte se no a la parte de fora») 40r, 45v, 63r; diclinare (declinare): R 86v, 100v, 140r 3. esere pleto: V («lo segno d’esa si è inflaxone del chalchagno inver la parte a la qual è pleto») 43v 4. pendere vb.intr.: V («Adoncha quando ronpe, sì chomo dixe Avizena, non pende segondo lo più, so no inver la parte de fuora») 34v, 36r 5. volt[arse] vb.pronl.: B («pezora è quella rotura che se volta de dentro cha quella che se volta de fora») 37r (2) ▲ 1. Cf. l’accezione medica (affine a quella riscontrata in V) segnalata dal TLIO (s.v. correre §4.4.1 ‘scivolare via dalla propria ubicazione fisiologica’). 2. Cf. TLIO (s.v. declinare §2 ‘muoversi dall’alto verso il basso, inchinarsi’ e §3 ‘muoversi in una determinata direzione’); LEI (D3, 576); REW (§2505). Cf. D’Anzi (2012a, 303). 3. Dell’agg. di area veneta pleto ‘piegato, ricurvo’ (< plicitus, part. perf. di plicare, oppure da un analogico *plĕctus: cf. Beltramo 2002, XXXVII), si rintraccia un’unica attestazione nel corpus OVI e nel GDLI (ven.a. > tosc.a. pleti, sec. XIV, SBrendano). Cf. Tomasin (2010, 65: pliecto).

declinatio ‘fase di regressione di una malattia’ (2 occ.; 230) [TLL V 1, 189]

1.a. declinacione f.: V («in lo stado e in la declinacione se die meter puro aresolutivo e mollifichativi») 52v (2); declinatione: B 54v, 55r 1.b. declinare vb.intr.: R («apresso lo stato, dinanzi el fine e a declinare»)186 122r 186 Lat.: Apud statum autem et finem, id est declinationem.

 639

▲ 1.a. L’accezione propria del lessico patologico è registrata già in latino dal TLL (‘remissio’), che la considera come termine contrario a initium e status (e proprio in contrapposizione a status, declinatio è usata anche nel testo di Bruno: cf. s.v. status). Cf. James (1753 X, 541), che conferma, ancora nel Settecento, lo statuto tecnico del termine, al pari di principio e stato: «Non si possono impiegare i rimedi esterni, se non dopo considerato se la malattia è nel suo principio, nel suo stato o nella declinazione»). Voce assente in tale accezione nel TLIO; presente da Crusca3 sulla base dell’anonimo Libro della cura delle febbri; la stessa testimonianza è riportata come attestazione più antica dal TB (s.v. declinazione §9 ‘stato e tempo di una malattia, di un parossismo’),187 GDLI (§7), LEI (D4, 594). Cf. Gualdo (1996, 82). 1.b. Voce assente in tale accezione nel TLIO; presente in Crusca4,5 (‘Declinare, si dice anche di chi essendo in buono stato di sanità, di roba, o simili comincia a mancarne’), TB (§14) e GDLI (§25)

declivis α. ‘che è caratterizzato, che tende a una determinata proprietà’ (6 occ.; 68) [Assente in tale accezione in Forcellini; lemma assente in TLL e Du Cange] 1. andare vb.intr.: V («zeneral segno arossore e andare a negreza»)188 61r; che va: V 49r

187 TB appone la seguente nota al testo in questione, poi edito dal Manuzzi nell’Ottocento: «Libr. cur. febbr. F. R. Libro della Cura delle febbri. Firenze, nella Stamperia del Vocabolario, e dei Testi di Lingua, 1863, in-8°, a cura dell’ab. Giuseppe Manuzzi. Testo a penna di Francesco Redi, oggi Laurenziano, coi numeri 73, 172, 1°, del quale si valsero i passati Compilatori della Crusca, che citarono pure un altro Testo a noi rimasto ignoto». 188 Lat.: generale signum est rubedo eius ad nigredinem declivis.

640 

 6 Glossario

2.a. declinante (declinant): B («la grossa se domanda sordicie, zoè marza, et è cosa adunata e biancha o declinant a nigreza») 21v, 51v, 56r, 63v 2.b. declin[are] vb.intr.: V («declina a zalura la sustancia d’esa»)189 54r; ~: B 35v; che declina: V 22v 2.c. declive agg.: B («è più subtile cha l’altra, e più declive, zoè vene, a la citrinitade») 26r ▲ 2.a. Voce assente in questa accezione nel TLIO, ma due attestazioni affini (in rapporto, però, all’allontanamento dalle virtù umane: «declinante da valore», «declinante dalla vertù») si ritrovano nell’Ottimo (fior.a., ante 1334); un uso identico a quello di B si rintraccia in M. Savonarola, ed è ritenuto un tecnicismo collaterale del lessico medico da Gualdo (1996, 242); cf. LEI (XIX, 584). 2.b. Cf. s.v. declinare (α., 1.). 2.c. Prima attestazione: it.a. declivo (ante 1321, DanteCommedia, TLIO, ma nell’accezione di ‘che è caratterizzato da pendenza’); voce presente da Crusca1, mentre declive è registrata solo in Crusca4,5. Cf. LEI (D4, 596). β. ‘che è inclinato, che tende verso’ (4 occ.; 161) [Forcellini II, 21] 1. bassato agg.: B («lo zinogio appare quasi bassato de dentro») 45r 2.a. declinante agg.: B («se la rotura serà più declinante a li cosi de dentro, più conveniente è la natura») 39v 2.b. declivat[o] agg.: R («se lla ronpitura fusse dalla parte dentro declivata») 85v 2.c. decliv[are] vb.intr.: R («acciò che tutta la vescica declivi»)190 162v 2.d. diclinat[o] agg.: R («lle ginocchia mostrano quasi diclinate dalla parte dentro») 92r

189 Lat.: ad citrinitatem declivis. 190 Lat.: ut tota vesica sit declivis.

3. descendente agg.: B («li soy coxi fizano ligati [...] azò che tuta la vesica sia descendente in zoso») 71r 4. pend[ere] vb.intr.: V («se la ronpidura penderà dentro»)191 38v, 67r ▲ 1. Agg. e part. perf. del verbo bassare (< basso). Prima attestazione: mess.a. bassatu (1321–37, ValMaximuVolg, TLIO s.v. bassato); voce presente da Crusca3. 2.a. Il TLIO registra piuttosto l’accezione specifica, di àmbito astronomico, ‘che è lontano rispetto ad un punto di riferimento (l’equatore celeste, l’orbita fissa o altro), di una determinata angolazione’; il GDLI (s.v. declinante §1) accorpa le due accezioni; voce presente solo in Crusca5. Cf. D’Anzi (2012a, 303). 2.b. Agg. e part. pass. del verbo declivare (cf. infra 2.c.); voce assente in TLIO, GDLI e Crusca. 2.c. Forma verbale derivata dall’agg. declive. Il Du Cange (III, 28c) pone a lemma una forma lat. declivare, sottolineando però come l’unica attestazione riportata (Papias, ms. Bituricense) sia forse da correggere in declinare. Il TLIO ne riporta un’unica testimonianza: tosc.a. > ven.a. decliva (1381– 82ca., Leandreride); voce assente in GDLI e Crusca. 2.d. L’unica attestazione presente nel TLIO offre l’accezione astronomica (analoga a quella di declinante: cf. supra 2.) di ‘che è lontano da una determinata angolazione rispetto ad un dato punto di riferimento’ (1341ca., LibriAlfonso), accezione che si legge in molte occorrenze già in RestArezzo (1282, OVI); cf. GDLI (s.v. declinato §1), che registra la prima attestazione in Leonardo (ante 1519); voce presente in Crusca4,5. Cf. Gualdo (1996, 243). 3. Prima attestazione: fior.a. discendenti (ante 1334., Ottimo, TLIO s.v. discendente §1.; cf. GDLI §1); voce presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 245: discendere).

191 Lat.: si fuerit fractura ad interiora declivis.

II Fisiologia e patologia 

decrepitus ‘estremamente vecchio, in decadenza fisica’ (2 occ.; 247) [TLL V 1, 218]

1. decrepito agg.: R («quando lo ’nfermo è fanciullo overo vecchio decrepito») 140v; ~: B 58v, 63v 2. trapassato agg.: R («se llo infermo serà di debole natura overo trapassato») 130v ▲ 1. Prima attestazione: mess.a. decrepitu (1321–37, ValMaximuVolg, TLIO s.v. decrepito §1); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 254), Elsheikh (2016 II, 141). 2. Il GDLI registra la voce (§3) nell’accezione più comune di ‘morto, defunto’ (presente anche da Crusca1), segnalandola come eufemistica (prima attestazione: trapassati, 1270– 90, QuindiciSegni, OVI).

decursus ‘corso, deflusso di un liquido corporeo’ (75) [TLL V 1, 234; cf. → s.v. cursus]

1.a. chorsso m.: V («li menbri dal principio si se drezi suxo azò che la sangue non abia chorsso») 20v 1.b. correre vb.intr.: R («acciò che ’l sangue libertà non abbia del correre»)192 42r 2. decorimento m.: B («azò che lo sangue non habia cossì lezero decorimento») 19r ▲ 1.a. Cf. s.v. cursus. 1.b. Cf. TLIO (§4.2): ‘[Rif. ad un liquido:] espandersi o spostarsi nei limiti e nella direzione det[erminata] da ciò che fa da argine’; prima attestazione: roman.a. currea (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A]). 2. Sost. deverbale da decorrere. Le due attestazioni ricavabili dal corpus OVI, entrambe di area settentrionale, riconducono proprio al contesto medico, riferendosi in partico-

192 Lat.: ut sanguis liberum non habeas decursum.

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lare al fluire del sangue: a) mant.a. decoriment del sangue (1299/1309, Belcalzer); b) venez.a. decorimento de sangue (pm. sec. XIV, Vangeli); cf. TLIO (s.v. decorrimento); LEI (D4, 630).

defectus appetitus ‘mancanza di appetito’ (128)

[dēfectus TLL V 1, 291; cf. → virtus in appetendo (s.v. virtus)] 1. difetto allo apitito: R («bisogna a tte gli accidenti [...] considerare [...] sì come elgli è el barbettare, la distructione e llo scortare della boce e da difetto allo apitito») 68v 2. manchamento d’apetito: V («el te bexogna chonsiderar li azidenti che mostra quello, si è sì chomo apoplexia, schotomia, destrucione de voxe e manchamento d’apetito») 31v ▲ 1. Un’identica locuzione si rintraccia, sempre in area toscana e in un contesto patologico, in CrescenziVolg (fior.a., sec. XIV: «vagliono contro alla terzana [...] e contro alla giallezza e contro al difetto dell’appetito»). Non mancano usi analoghi anche nei testi specialistici di epoca successiva: cf., tra gli altri, Mattioli (1568, 333: difetto dell’appetito). Per defectus ‘mancanza’, cf. LEI (D4, 669); Gualdo (1996, 244) inserisce il termine difetto tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola. 2. Non si rintracciano loc. analoghe all’interno del corpus OVI. Alcune testimonianze seicentesche si possono trarre, però, dalla consultazione di GoogleLibri (cf., tra le prime, Fonseca 1603, 139: «sono indizi di ricadute [...] il mancamento dell’appetito, la sete, se in bocca sarà rimasto alcun sapore fastidioso»; Fra Donato d’Eremita 1624, 46: «seguendo a dirne le virtù di lei [scil.: angelica] dice, che ella consolida le vicere [sic!] intestinali; fortifica lo stomaco, rimedia à i defetti, e a gli smarrimenti del core, e al mancamento dell’appetito»).

642 

 6 Glossario

deglutire ‘inghiottire’ (2 occ.; 220) [dēglūtino, -āre TLL V 1, 384]

1. inghiot[ire] (ingiost[ire] ) vb.tr.: R («inghiotisca lo infermo uno frustolo di pane duro») 117r (2); inglotire: V 50v (2) 2. trangot[are] v.tr.: B («una peciola de sponga marina sicca fiza ligata cum filo forte e lo infirmo la trangoti fina zoso») 52v (2) ▲ 1. DELIN, 780 (s.v. inghiottire): dal lat. tardo ingluttīre (REW §4423), composto di in- rafforzativo e gluttīre (di origine espressiva). Prima attestazione: fior.a. inghiotte (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI). Non si hanno nel corpus OVI testimonianze di una forma verbale ingiost[ire], testimoniata da R, al cospetto di alcune della forma ingiottire. 2. Corrispondente bergamasco del tosc. trangugiare, a sua volta di derivazione settentrionale, anche se l’etimo resta discusso. Il DELIN, 1721 la considera una forma derivata da gogio, adattamento toscano, e specificamente lucchese (cf. DEI V, 3860), del sett. gos ‘gozzo’ (per il quale cf. s.v. botium 2.), «con tra- ‘attraverso’ e l’intrusione di -n-. forse di altra vc.» (l’intrusione di n è il frutto, per Nocentini 2010, 1254, dell’accostamento ai sinonimi ingoiare, ingozzare). Proprio la forma trangotare di B induce a non considerare così peregrina l’ipotesi, avanzata da Pascal (1899, 24; ricusata però dal DELIN), che presupponeva invece un originario *tra(i)ngutiāre ‘bere tutto l’orciuolo’ (guttus); si veda il DELIN per le ulteriori ipotesi, ancora diverse, ma meno convincenti, proposte da Vittore Pisani e Harri Meier. La forma trangotare è posta a lemma, con rimando al corrispettivo tosc. tranguggiare, nel Dictionnaire Italien et François di Nathanael Duez; è poi accolta, sempre assieme a tranguggiare, anche da Veneroni (1749).

densus ‘denso, coagulato (sangue)’ (124)

[TLL V 1, 545; cf. → sanguis spissus (s.v. spissus)] spisso agg.: B («tuto quello sangue spisso e melanconico vegnia fora») 31r

▲ Prima attestazione: fior.a. spesso (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI; GDLI §1); voce presente da Crusca1.

digerere α. ‘trasformare gli alimenti in sostanze nutritive per l’organismo’ (2 occ.; 129) [dīgero TLL V 1, 1116] 1. diger[ire] v.tr.: B («in prima fiza digesta, zoè paylita, la materia cum oximelle composito») 27r 2. pad[ire] vb.tr.: V («avanti che lo zibo se padise») 50v; paylire: B 27r ▲ 1. Prima attestazione: nap.a. > pad.a.-ven.a. digerir (1369–73, MaramauroExpositione,  TLIO s.v. digerire §2); voce presente da Cusca1. Cf. Nystedt (1988, 307), Marcovecchio (1993, 278), Gualdo (1996, 83), Aprile (2001a, 314), Motolese (2004, 140), Mazzeo (2011, 291), D’Anzi (2012a, 307), Castrignanò (2014, 173), Elsheikh (2016 II, 143). 2. Per le forme padire (V) e paylire (B), sia nell’accezione qui esaminata, sia nel significato β., si rimanda anzitutto alla trattazione offerta in Giuliani/Lubello/Piro (2014, 24–35), dove si dedica un’accurata analisi (concernente la rispettiva diffusione nell’Italoromania) alla coppia cuocere/digerire (fondata a sua volta su quella già latina concuoquere/ digerere), cui si è più tardi affiancata la voce padire (nel Serapiom, il verbo padire non ha ancora acquisito questa sfumatura semantica, presente invece in M. Savonarola: cf. Gualdo 1999, 242); padire è la forma sett. del tosc. patire (presente da Crusca1 in tale accezione), che ha la sua prima attestazione in DanteConvivio (1304–07, TLIO: ‘lo stesso che digerire’; cf. DEI IV, 2717): la forma originaria è però paidire (REW §6151; cf. il lemma in TLIO: prima attestazione nel tosc.sud-or.a., Questioni, ante 1298), da un lat. parl. *pagidire/-āre (considerato dal DEI IV, 2723 di dubbia origine), andato incontro al dileguo di -g- davanti a voc. palatale (fenomeno proprio già del latino volg.: Rohlfs 1966–1969, §218), e successivamente a quello dell’intera sillaba pretonica; nella forma berg.

II Fisiologia e patologia 

paylire, (il REW §6151 registra palí), va presupposto, invece, un passaggio di d intervocalica (generalmente conservata nel ms., anche se di per sé tendente alla caduta in area settentrionale, soprattutto nelle zone occidentali: Rohlfs 1966–1969, §216) a l, suono di transizione che evita lo iato vocalico. Cf. Nystedt (1988, 252), Gleßgen (1996, 605), Gualdo (1996, 113), Aprile (2001a, 423), Barbato (2001a, 449), Motolese (2004, 239), Castrignanò (2014, 196). β. ‘smaltire, assimilare completamente una sostanza (anche nociva); accelerare la risoluzione di un processo morboso’ (5 occ.; 17) [dīgero TLL V 1, 1116] 1.a. dierer vb.intr.: V («largando li nodrigamenti defina tanto che la materia ch’è in esa posa dierer») 6r, 27r; dizerere (degier[ere]): V 6r (2), 56r 1.b. digestire vb.intr.: R («la loro virtù è193 di tenere el caldo naturale confortando e lla materia argomentando infine a tanto ch’elle digestisca») 31r, 131r 2. maturare vb.tr. e pronl.: R («acciò che lla materia che è in essa si maturi») 8v, 9r (2) 3. paylire vb.tr.: B («lo calore naturale se conforti [...] domentre che la materia la quale è in quella fiza paylita cum debito modo») 4v (3), 14r, 32v, 58v 4. uscire fuore vb.intr.: R («in quel medesimo luogo niuno caldo vi possa ascendere overo uscire fuore») 69v ▲ 1.a. Cf. supra (α., 2.) per l’opposizione digerire/padire. Prima attestazione: aret.a. digerendolo (1282, TLIO s.v. digerire §1). Nel corpus OVI si rintraccia un unico caso di inf. in -ere (cf. le forme di V), antecedente al metaplasmo di coniugazione (tosc.sud-or.a., ante 1298, Questioni); non si sono invece rintracciati, neppure in epoche più tarde, esempi della forma dierer, con dileguo di g; il lemma dige-

193 Ms.: et.

 643

rire è presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 278). 1.b. La forma digestire (dal part. perf. digesto < lat. digestus; cf. DEI II, 1299), stando alle attestazioni registrate nel TLIO (s.v. digestire; prima attestazione: sen.a. digestire, EgidioColonnaVolg), appare, almeno nel Trecento, di diffusione prettamente toscana; è in G. Gazola (ante 1715) l’ultima attestazione registrata dal GDLI, ed è segnalata come voce desueta dal TB. 2. Cf. GDLI (s.v. maturare §3; prima attestazione: fior.a. maturare, sec. XIV, CrescenziVolg). Cf. Aprile (2001a, 396), Elsheikh (2016 II, 207). 3. Cf. supra (α., 2.) per l’opposizione digerire/ padire e per la rara forma bergamasca paylire.

digestio α. ‘insieme dei processi chimici e mecca­ nici che rendono gli alimenti utilizzabili ai fini della nutrizione’ (6 occ.; 3) [TLL V 1, 1121] 1.a. deistion (deistione 6v) f.: V («lo rezimento si requiere chontra la chaxone e faza deistion») 2v; digestione: R 9v; ~: B 5r, 57v (2), 58r, 69r; gestione (†): R 57v 1.b. digestire vb.tr.: R («lla malitia viene per non digestire»)194 131v 2. paylire vb.tr.: B («le quale superfluitade, como ello dice, nasceno per la fece de la tercia digestione, zoè paylire») 5r195 3. maturare vb.tr.: R («no llo curiamo con altra provisione perciò che lla dieta matura»)196 1v ▲ 1.a. Prima attestazione: digestione (EgidioColonnaVolg, TLIO §2). La forma dubbia gestione torna anche come traducente del lat. egestio (cf. s.v. egestio α., 1.a.): in tale accezione non se ne trovano testimonianze nel corpus OVI (dove si leggono solo cinque

194 Lat.: ex digestionis malitia [...] generantur. 195 Voce adottata come glossa di digestione (cf. 1.a.). 196 Lat.: Quod regimen [...] facit digestionem.

644 

 6 Glossario

occorrenze del termine, sempre però col significato di ‘amministrazione’, l’unico registrato anche dal GDLI). Al pari di quanto osservato per il verbo dierer (cf. s.v. digerere 1.a.), non si rintracciano attestazioni della forma deistione (deistione) con dileguo di g; il lemma digestione è registrato a partire da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 220), Marcovecchio (1993, 278), Gualdo (1996, 84), Aprile (2001a, 314), Motolese (2004, 146), García Gonzáles (2007, 507 s.v. pepsis), Mazzeo (2011, 291), D’Anzi (2012a, 307), Castrignanò (2014, 173), Elsheikh (2016 II, 143). 1.b. Cf. s.v. digerere (β., 1.b.) 2. Cf. s.v. digerere (α., 2.). 3. Non si registra nel GDLI l’accezione specifica di ‘digerire, smaltire le sostanze destinate alla nutrizione’. Cf. s.v. digerere (β., 2.) β. ‘smaltimento di sostanze nocive; fase suppurativa di un ascesso, di una manife­ stazione eruttiva cutanea, di un’infiamma­ zione delle vie respiratorie’ (5 occ.; 55) [TLL V 1, 1121] 1.a. degistione f.: V («Le medexine che fa naser marza si è la propietà delle qual ch’è a queste degistione per umiditade») 15v, 23v; digestione: R 30v, 60r, 128v, 155v; ~: B 14r, 23r 1.b. digestire vb.tr.: R («è da conseguitare el conpimento del digestire»)197 49r 1.c. digiest[o] agg.: V («masimamente quando la speta che s’è digieste»)198 65v 2.a. maturacion f.: V («s’ela [scil.: postiema] serà in questi luogi el non se die aspetar perfeta maturacion») 55v 2.b. maturarsi vb.pronl.: R («si lassi tanto stare che da ssé medesimo si maturi e ronpa»)199 128v, 129r

197 Lat.: consecuta est complementum digestionis. 198 Lat.: maxime quando exspectatur in eis complementum digestionis. 199 Lat.: si expectaveris digestionem.

3. paylire vb.tr.: B («Li medicini fazant nascere la puzura sonno quelli la proprietade de li quali è che la aquisti la digestione, zoè lo paylire»)200 14r, 23r, 27r, 28r ▲ 1.a. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. digestione (ante 1298, Questioni, TLIO §1 ‘processo di trasformazione’); solo in Crusca5 in tale accezione. 1.b. Cf. s.v. digerere (β., 1.b.). 1.c. Cf. s.v. digestus (1.). 2.a. Il GDLI (s.v. maturazione §2) registra la prima attestazione in Bencivenni, con due occorrenze che però non trovano riscontro nel corpus OVI e potrebbero costituire dei falsi rediani. Cf. Elsheikh (2016 II, 207 ‘accelerazione della risoluzione di un processo morboso’). 2.b. Cf. s.v. digerere (β., 2.) 3. Cf. s.v. digerere (β., 3.)

digestus ‘di sostanza (anche nociva) o processo morboso che sono smaltiti, risolti dall’organismo’ (3 occ.; 105)

[TLL V 1, 1120; cf. → indigestus, digerere (α.)]

1. diesto agg.: V («primamente diesta materia chon ossevel, prenda benedeta osia pirolle aure») 27r (2); digest[o]: V 28r; digest[o]: B 27r; digest[o] (digestit[o]): R 57v (2) 2. digno agg.: B («quando la marza, la quale era denanze indigna, vene fora digna [...] el è significanza de la mordicatione de la fistula») 28r 3.a. paylire vb.intr.: B («fa’ in prima paylire la materia cum oximelle»)201 26v 3.b. paylit[o] agg.: B («in prima fiza digesta, zoè paylita, la materia cum oximelle»)202 27r

200 Nei primi due casi registrati (14r, 23r), la voce è adottata come glossa del sost. digestione (cf. 1.a.). 201 Lat.: prius digesta materia cum oximelle. 202 Voce adottata come glossa di digesta (cf. 1.).

II Fisiologia e patologia 

▲ 1. Part. perf. di digerire; prima attestazione: it.a. digesta (1304–07, DanteConvivio, TLIO §1). Contrariamente al verbo digestire, l’agg. e part. perf. non è segnalato come desueto dal TB. La forma diesto di V (con dileguo di g davanti a voc. palatale e in protonia: cf. Stussi 1965, LIV) non trova riscontri nel corpus OVI, analogamente all’inf. dierer (cf. s.v. digerere 1.); voce presente da Crusca1 (‘smaltito’). Cf. Gualdo (1996, 84), Mazzeo (2011, 292), D’Anzi (2012a, 307), Elsheikh (2016 II, 143). 2. Voce assente nel GDLI e nei principali dizionari in tale accezione. 3.a. Cf. s.v. digerere (α., 2.) 3.b. Agg. e part. perf. del verbo paylire, per il quale cf. s.v. digerere (α., 2.). Cf., nel corpus OVI, tod.a. paidito (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi); tosc.a. > lomb.a. padita (sec. XIV, TrattatoGovernoMalattie).

dilatare ‘rendere più largo, aprire un organo cavo, un canale, un orifizio del corpo umano’ (5 occ.; 30) [dīlāto TLL V 1, 1163]

1.a. alargar vb.tr.: V («Ma se lle tenaie non pò intrare in la piaga [...], alora la piaga se vuol alargar») 21v; allargare: R 44v 1.b. dilarg[are] vb.tr.: R («Adunque sia sollecito che lla203 taglatura apra et dilarghi se fusse stretta») 21r, 144r 1.c. largare vb.tr.: V («azò che la piaga se larga») 9r; ~: B 7v, 9v, 12v, 20v, 65r 2. dilatare vb.tr.: R («el sangue ch’è già raunato nella contussione, mirabilemente sottigla e fallo molto liquido, dilatando») 28r ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Nessuno dei tre verbi corradicali è registrato nel TLIO con un valore specifico (presente invece nel GDLI §3 per dilatare), riferibile espressamente alla fisiologia di organi o altri elementi anatomici. Prime attestazioni, rispettivamente: fior.a. allargare

203 Ms.: che lla che lla.

 645

(1310–12, DinoCompagniCronica, TLIO); sen.a. dilargare (1280–97, StatutoMontagutalo, TLIO); solo cinquecentesca la prima testimonianza di largare nel GDLI (1521, Alamanni); la forma dilargare è presente in Crusca1,2, ma con l’accezione di ‘diradare’; è assente, invece, in Crusca3,4. Cf. Castrignanò (2014, 173: dilargare), Elsheikh (2016 II, 83). 2. Prima attestazione: sen.a. dilatando (fine sec. XIII, FattiCesareVolg, TLIO §2 ‘estendere, estendersi in lunghezza o in largezza’: «dilatando la piaga»). Cf. Marcovecchio (1993, 279), Gualdo (1996, 244), D’Anzi (2012a, 308), Castrignanò (2014, 173).

dilatans ‘che rende più largo, che dilata un organo, un canale, ecc.’ (279) [dīlāto TLL V 1, 1163]

1.a. che allarga: V («guardallo de pianzere e da chridare e da chosse che allarga la rotura») 62v 1.b. che larga: B («cum prohibitione, zoè devedamento, de pianzere e de cridare e de moverse e de simili cosi che largeno la rotura») 65r ▲ 1.a., 1.b. Per i verbi ┌allargare┐ e ┌largare┐ cf. s.v. dilatare (1.a. e 1.c.). Dell’agg. e part. pres. dilatante (voce registrata senza attestazioni nel GDLI e presente da Crusca1), non conservato dai tre volgarizzamenti, si leggono due attestazioni nel corpus OVI, entrambe in GiovVillani (fior.a., ante 1348).

dilatatio ‘allargamento di un organo cavo, di un canale o di un orifizio del corpo umano per cause patologiche o naturali’ (5 occ.; 16) [TLL V 1, 1161]

1.a. dilatare vb.tr.: R («aiutano molto a dilatare la gola»)204 116v

204 Lat.: adiuvat ad dilatationem gutturis.

646 

 6 Glossario

1.b. dilatatione f.: R («per dilatatione del detto sifac») 146v 2.a. largamento m.: B («la ventosa ponuta in la coppa zova in lo largamento de la gola») 52v, 66r (2) 2.b. largare vb.tr.: V («largando li pori lo dollor si mitiga»)205 6r, 50r, 63v 2.c. largeza f.: B («al fiza facta la largeza de li pori») 4v 2.d. ralargare vb.tr.: R («inobedientia i’ rralargare»)206 173r ▲ 1.a. Cf. s.v. dilatare (2.). 1.b. Prima attestazione: dilataçione (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO); voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 257), Marcovecchio (1993, 280), D’Anzi (2012a, 308). 2.a. Sostantivo non attestato nel corpus OVI e assente in Crusca e GDLI. Per allargamento cf. TLIO (s.v. §1.2), che registra una loc. di àmbito medico (fior.a. allargamento del ventre, sec. XIV, CrescenziVolg); Elsheikh (2016 II, 82). 2.b. Cf. s.v. dilatare (1.c.). 2.c. Cf. GDLI (§2 s.v. larghezza). 2.d. Prima attestazione: fior. rallargando (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI); la voce rallargare è presente da Crusca1.

dilatatus ‘che ha subito una dilatazione’ (2 occ.; 42) [dīlāto TLL V 1, 1163]

1.a. alargato agg.: B («se li piagi siano molti alargati overo no») 10v; allargahat[o]: R 23r 1.b. largad[o] agg.: V («Ma l’è da chonsiderare chon bona chonsideracione s’el nervo è deschoverto a la piaga largada o non») 11v; largato: B 26r 1.c. largo agg.: V («sia la bocha streta e la profonditade larga») 26v

205 Lat.: fiat dilatatio pororum. 206 Lat.: inobedientes in dilatatione.

2. dilatat[o] agg.: R («la loro carne intorno [...] è indurata e lla sua boccha stretta et alla sua profondità dilatata») 55v ▲ 1.a. Cf. s.v. dilatare (1.a.); TLIO (s.v. allargato). 1.b. Cf. s.v. dilatare (1.c.). 1.c. Cf. GDLI (§2). 2. Prima attestazione: pis.a. > fior.a. dilatata (1306, GiordPisaQuaresimale, TLIO s.v. dilatato); voce presente da Crusca1. Cf. s.v. dilatare (2.).

dissolutio ‘dissolvimento, disfacimento (di elementi organici)’ (2 occ.; 22) [TLL V 1, 1503]

1.a. dissolutione f.: B («la medicina humida si fa la dissolutione de la piaga») 5v, 69r 1.b. desollv[ere] vb.tr.: V («non meta medexina umida inperzò che inperzò che desollve le parte»)207 7r; disolvere: R 156r 2. far partire vb.tr.: R («poni in essa medicamento umido perciò che essa lo fa partire»)208 12r ▲ 1.a. Prima attestazione: pis.a. dissolutione (1309, GiordPisaPredGenesi, TLIO §2.2); DEI (II, 1354); GDLI (s.v. dissoluzione §1). Cf. Marcovecchio (1993, 286), Elsheikh (2016 II, 145). 1.b. Con riferimento al disgregarsi di fluidi organici, il TLIO (s.v. dissolvere §2) riporta un’unica attestazione: sic.a. dissolvinu (ante 1368, MascalciaRuffoVolg; cf. anche TLIO §1.1 ‘far passare una sostanza allo stato liquido’); DEI (II, 1355); GDLI (s.v. dissolvere §1). Cf. Elsheikh (2016 II, 145).

207 Lat.: dissolutionem vulneris operatur. 208 Cf. nota supra.

II Fisiologia e patologia 

distillare ‘stillare, mandar fuori goccia a goccia’ (192) [dēstillo TLL V 1, 754]209

1. destill[are] vb.tr.: V («se fa alguna chonstrinzione in lo zellebro sì che se destilla aqua») 44v; distill[are]: R 102v 2. venire zoso vb.intr.: B («fi facta una compressione in lo cervello dondo vene zoso l’aqua») 46v ▲ 1. Prima attestazione: sen.a. distillato (metà sec. XIV, RicettarioLaurenziano, TLIO s.v. distillare §4); GDLI (s.v. distillare §3); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 266), Tomasin (2010, 52).

distillatio ‘flusso, fuoriuscita di un liquido (in partic.: con riferimento all’urina)’ (303) [destillatio TLL V 1, 754]

distillatione f.: R («paura èe che non si tagli alcuna cosa nella vescica e muia lo infermo, avenga a llui distillatione d’urina») 161r;210 ~: B 70v ▲ Prima attestazione: fior.a. distillazione (1375, ChioseFalsoBoccaccio, TLIO §2); la seconda delle due testimonianze registrate dal TLIO presenta un analogo uso del termine, con specifico riferimento all’escrezione urinaria (sic.a. distillationi di la urina, ThesaurusPauperumVolg); cf. GDLI (s.v. distillazione §2 ‘emissione lenta’, e §3 ‘med.: anormale secrezione delle mucose’); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 266), Sboarina (2000, 220: distillazione d’orina ‘stranguria’), Motolese (2004, 145).

209 ‘Speciatim in re medica de destillatione morbosa’. 210 Ms.: distallatione.

 647

durities ‘rigidità fisiologica o patologica dei tessuti del corpo’ (18 occ.; 5) [TLL V 1, 2292]

1.a. dureza f.: V («à in sì chontrariatade, molleza e dureza») 3r, 4v, 5r, 12v, 26r, 27r, 30r (2), 41r, 52r (2), 52v, 62v; ~: B 2r, 3r, 3v (2), 11r, 13r, 25v, 26v, 30r, 30v, 42v (2), 52r, 54r, 54v, 55r, 67r; durezza: R 3r, 57r, 64v, 65r, 92v (2), 121r, 122v, 134r, 150r 1.b. duro sost.: R («le vene e li polsi sono medii fra duro e molle») 6r 2. tostezza f.: R («questo avviene per la tostezza sua») 5v ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a.: dureze (1310, QuatroPartiteCorpo, TLIO §1.4). Cf. Ineichen (1966, 258), Altieri Biagi (1970, 75–76), Tomasoni (1986b, 235), Nystedt (1988, 224), Gleßgen (1996, 586), Aprile (2001a, 323), Mazzeo (2011, 294), D’Anzi (2012a, 312). 1.b. Prima attestazione: aret.a. duro (1282, RestArezzo, TLIO §1.15). 2. Nel corpus OVI si rintracciano due sole attestazioni, entrambe di area toscana: grosset.a. tosteza, tostezza (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto; è la medesima testimonianza riportata anche dal GDLI s.v. tostezza2); fior.a. tostezza (ante 1336, ValMassimoVolg [red. V1]); voce assente in Crusca.

ebullitio ‘stato patologico di calore eccessivo dell’organismo o di sue parti’ (11)

[TLL V 2, 18]

1. bollire vb.intr.: R («per lo soperchio bollire che esso fa rompe)211 5r; ~: V 4r 2. ebulitione f.: B («se la caliditade sia plù che non besognia, rompe per movimento de la sua grande ebulitione») 3r

211 Lat.: motu suae impetuosae ebullitionis.

648 

 6 Glossario

▲ 1. Cf. TLIO (s.v. bollire §3) per l’accezione affine di ‘essere sottoposto a un forte calore, essere ardente’); prima attestazione: mil.a. buie (1270–80, BonvesinVolgari). Cf. Elsheikh (2016 II, 103). 2. Il termine ebollizione (DEI II, 1408) è registrato nel TLIO, per ciò che concerne l’àmbito medico, nell’accezione specifica, affine a quella qui esaminata, di ‘[Del sangue:] stato patologico dovuto alla febbre’: pad.a. ebullitiom (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 258); analogamente, la voce è registrata a partire da Crusca3 sulla base di una citazione tratta ancora da un contesto medico (il volgarizzamento di Bencivenni della Consolazione delle medicine di G. Mesue),212 sempre con riferimento al sangue (cf. GDLI s.v. ebollizione ‘sommovimento, riscaldamento [di umori, di sangue]’). Cf. Nystedt (1988, 224), Marcovecchio (1993, 301), Aprile (2001a, 323), Motolese (2004, 151), Mazzeo (2011, 294), Castrignanò (2014, 165), Elsheikh (2016 II, 148 e 188).

effusio ‘versamento, spargimento di un liquido (solitamente verso il basso)’ (3 occ.; 127) [TLL V 2, 228]213

1. discorrimento m.: B («la sua casone si è la effusione, zoè discorrimento, de la materia a li testiculi»)214 67r 2. effusione f.: R («effusione della sua materia a’ testiculi») 150r; ~: B 31v (2), 67r

212 Cf. anche TB (Autori): «Si ritiene lo spoglio dei passati Accademici fatto su un Testo Redi, ora smarrito. I Compilatori della quinta impressione del Vocabolario della Crusca citano anche un esemplare della loro Libreria, cartolato a mano» 213 Voce registrata dal TLL anche con riferimento specifico agli umori del corpo. 214 Voce adottata come glossa di effusione (cf. 2.).

3. gitar suxo vb.sint.tr.: V («se chognose per gitar suxo dello ingiostro»)215 31r, 33r 4. immoll[are] vb.tr.: R («si conosce per immollalla collo incostolo»)216 68r 5. sugamento m.: B («fiza certificato per la ultima raditura de quello e sugamento de la humiditade nigra») 34r 6. spargere vb.tr.: R («per lo spargere dello ’ncostolo»)217 72v ▲ 1. Cf. s.v. ambulatio (β., 3.). 2. Prima attestazione: efusione (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO §1.1 ‘spargimento di liquidi o umori corporei’); voce presente da Crusca1. Il DEI (II, 1428) ne registra anche un’accezione specificamente medica (in particolare la loc. effusione del sangue), ma attestandola soltanto dal XVIII sec. Cf. Marcovecchio (1993, 306: «è mantenuto per lo meno dal XVI nel linguaggio med[ico] col signif[icato] di ‘travaso’ di liquidi: sangue, linfa etc. nei tessuti o anche in cavità»). 3. Cf. s.v. emittere (5.). 4. Prima attestazione: fior.a. immollare (1292, GiamboniVegezio, TLIO §1; GDLI §1); DEI (III, 1951); voce presente da Crusca1. 5. Voce non attestata in OVI, GDLI e Crusca: si tratta evidentemente del sost. deverbale tratto dal vb. sugare (voce di origine settentrionale: DEI V, 3673): il TLIO registra per sugare/ asciugare (§3) anche l’accezione prettamente medica di ‘prosciugare gli umori dell’organismo’ (prima attestazione: fior.a. asciuga, ante 1334, Ottimo). Diverse attestazioni di sugamento si rintracciano in trattati medici successivi: cf., tra gli altri, nel Seicento, Zacchia (1644, 333: «può far quello effetto, che fa il sugo malinconico tramandato, come dicono, dalla milza allo stomaco per eccitar l’appetito, facendolo in se stesso riunire, e ritirare, onde poi si cagiona

215 Lat.: cognoscitur per effusionem humiditatis nigrae sicut est encaustrum. 216 Cf. nota supra. 217 Lat.: per [...] effusionem humiditatis nigrae.

II Fisiologia e patologia 

un tal sugamento, ch’altro non è ch’il senso del difetto del nutrimento»). Ancora nell’Ottocento, si veda Riccardi (1852, 252: «i globetti, che nell’elementazione del pus tengon bene il principato, di molto soperchino in amplitudine gli esilissimi pori al sugamento deputati»). Cf. Elsheikh (2016 II, 303: faccia sugamento ‘faccia seccare’). 6. Cf. GDLI (§6).

egestio ‘evacuazione, defecazione; feci’ (5 occ.; 46) [TLL V 2, 248]

1. brutura f.: B («E se la piaga serà in li budelli la brutura vene fora per la piaga») 11v 2.a. digestiva f.: R («per la piaga gitta la digestiva») 26r 2.b. digestione f.: R («per inpedimento della digestione») 158v, 159v 2.c. gestione f. (†): R («la sua significatione è per la missione della gestione e dell’orinare») 97r 3. insire vb.intr.: B («la significatione de li passant si è quando alcuna cosa insisse de quelli per insire o per ventositade») 69r, 70r 4. merda f.: V («per inpedimento della merda e della umidità che se retiene dentro») 66r (2) 5. nossa (nosa) f.: V («la nosa vien fuora per la piaga») 13r, 42v, 54v (2), 65v 6. stercora f.: B («La sua significatione si è aspandere la stercora e la urina senza voluntade») 44v, 70r ▲ 1. Il TLIO (§1) ne registra il senso più generico di ‘cosa sporca o immonda, sudiciume, rifiuto; veleno’, ma si veda il terzo degli esempi riportati («in alcuna bruttura di sterco son sommersi»: fior.a., 1322, JacAlighieri), che contiene un esplicito riferimento alle feci. Il GDLI registra, d’altro canto, la loc. fare bruttura ‘fare i propri bisogni’, attestandola in Buonarroti il Giovane (1612) e L. Lippi (1676). Cf. Ineichen (1966, 252), Aprile (2001a, 266), Castrignanò (2014, 165).

 649

2.a. Appare probabile, in questa resa di R, l’avvenuta sostantivizzazione dell’attributo digestiva, che spesso si trova accompagnato, anche nel testo di Bruno, al sost. virtus (cf. virtus digestiva s.v. virtus): la voce digestiva, come sost. che sottintende virtus, è infatti registrata anche dal TLIO (s.v. digestivo §1.1). Per associazione semantica, il termine passa in tal caso a designare il prodotto finale del processo digestivo, con un ampliamento del significato di cui non si rintracciano ulteriori testimonianze nel corpus OVI; in modo analogo, in R si usa anche il traducente digestione (cf. 2.b.). Cf. Gualdo (1996, 84). 2.b. Cf. supra (2.a.) e s.v. digestio (β., 1.a.). 2.c. La forma dubbia gestione è adottata in R anche per tradurre il lat. digestio (cf. s.v. digestio α., 1.a.): non se ne rintracciano usi analoghi in tale accezione. Per egestione, cf.: Castrignanò (2014, 176), Gualdo (1996, 87), Mazzeo (2011, 294), Motolese (2004, 153), Elsheikh (2016 II, 148). 3. Cf. s.v. emanatio (2.). 4. Prima attestazione: tod.a. merda (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO); REW (§5220); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 545). 5. La voce non è attestata nel corpus OVI, né la si trova in Cortelazzo (2007). Il DEI (IV, 2601) ricorda la voce venez. noxa ‘letame’ sotto il lemma nòssa ‘rissa di parole, alterco’, considerandola però indipendente da quest’ultima: noxa ‘letame’ viene infatti connessa etimologicamente a nausea (DEI IV, 2554 s.v.: «la v. latina [nausea] ebbe sviluppo popolare nell’a.ven. noxa letame»). Diversa l’ipotesi offerta da Crevatin (1978, 127), che lemmatizza nosa in uno studio dedicato ad alcune voci istriane: «‘escremento dei neonati’. Probabilmente forma dissimilata da costrutti del tipo la *losa: dall’aggettivo luteu- ‘dal colore del fango, fangoso, fangoso, escrementizio’ [...]. A giudicare dai riflessi dialettali italiani, il termine sembra di origine preveneziana». 6. Del sost. stercora (si tratta solitamente di una forma di f. pl. nell’it. antico: cf. GDLI s.v. sterco), ricavato dal pl. n. latino (cf. REW

650 

 6 Glossario

§8245), si hanno soltanto due attestazioni nel corpus OVI: tosc.a. stercora (metà sec. XIV, LeggendaSElisabettaUngheria); pad.a. stercore, stercori pl. (fine sec. XIV, Serapiom).

emanatio ‘fuoriuscita (di sangue)’ (32) [TLL V 2, 440]

1. fluxo m.: V («non seria seguro ch’el ventre non se putrefase per fluxo de sangue») 9v 2. insire vb.intr.: B («lo ventre non vegnia a la putrefactione per lo insire de lo sangue»)218 8r ▲ 1. Cf. s.v. fluxus. 2. Cf. GDLI (s.v. uscire §3 ‘venir secreto [un liquido fisiologico]; fuoriuscire, defluire da una ferita [il sangue, un umore alterato])’; prima attestazione: crem.a. ensì (inizio sec. XIII, UguccLodi, OVI).

emigranea ‘emicrania, cefalea’ (313) [hēmicrānia TLL VI 3, 2601]

magranza f.: V («Chontra smania e mellenchonia fazase chauterio sul chavo, lo qualle val alla magranza e pillexia») 68v; migrana: R 169r; micranea: B 72v219 ▲ REW (§4104). La forma magranza di V trova corrispondenza, nel corpus OVI, con le molte attestazioni di magrana (appartenenti soprattutto ad AntidotNicolaiVolg, fine sec. XIII), che presuppone uno stadio intermedio con e in sillaba iniziale, passata ad a secondo la tendenza tipica di molte aree anche al di fuori della Toscana (Rohlfs 1966–1969, §130): è plausibile che, accanto allo sviluppo descritto, possa aver agito anche una certa influenza paretimo-

218 Lat.: non est tutum quin venter putrefactionem incurrat propter sanguinis emanationem. 219 Con l’accompagnamento della glossa etimologica: zoè dolore de la testa de meza.

logica di magro; magrana, attestata anche in altri testi fior. antichi (PassavantiTrattScienza e LibroDrittafede, OVI; la registrano come forma toscana il DEI III, 2319 e il GDLI), gode di ampia diffusione, ed è già messa a lemma in Crusca1. Essa appare perfino più frequente, sin dal Trecento, della variante, con semplice discrezione dell’articolo, micranea (micranea e migranea si leggono nel pad.a. di Serapiom: Ineichen 1966, 258; cf. il fr. micraine: FEW 4, 401a); Tiraboschi (1873) registra, per il berg., il lemma micrania ‘emicrania’, aggiungendo: «le sue storpiature sono Emigrania, Micrania, Magrana»; Patriarchi (1775, 119 s.v. dolor forte ed acuto de testa ‘magrana, emicrania’). Cf. Tomasoni (1976, 180: magranica), André (1991, 30 e 245), Marcovecchio (1993, 313), Gualdo (1996, 87), García Gonzáles (2007, 414 s.v. ema), Mazzeo (2011, 295), D’Anzi (2012a, 314), Elsheikh (2016 II, 149 e 214), Zarra (2018, 612 e 614).

eminentia ‘sporgenza, rilievo fisiologico o patologico sulla superficie di vari organi o tessuti’ (29 occ.; 171) [TLL V 2, 489]

1. alteza f.: B («sapia che rara volta se disloga de sopra per alteza de la spalla») 43r, 44r (2),220 45r 2. dosso m.: B («in quello non sia dosso né concavitade») 39r, 42r221 3. elevatione f.: B («la significatione de questa dislocatione si è la rotunditade cum grosseza, over elevatione, soto la seya») 43r222 4. eminencia f.: V («de ogni eminencia la qual adeviene in lo sifac del ventre») 44r, 56v,

220 In un caso la voce è adottata come glossa di eminentia (cf. 4.). 221 Voce adottatta come glossa di eminentia (cf. 4.). 222 Voce adottata in una dittologia sinonimica con grosseza (cf. 6.), primo traducente del lat. eminentia.

II Fisiologia e patologia 

60v (4), 61r (6), 61v (2); eminentia: B 44r, 46r, 48r, 63v (6), 64r (3), 65v,223 66r; ~: R224 83v, 101v, 141r, 141v, 142r, 145r, 146r, 146, 152v 5.a. gobba f.: B («la gobba de dentro fina che ella retorni a lo suo loco») 44v 5.b. goboxitade f.: V («avaliza la ronpidura chomo se chonviene, per modo che non sia goboxitade in la chonchavitade») 38r, 42r 6. grosseza f.: B (cf. supra 3.) 43r 7.a. infiadura f.: V («chomanda a l’infermo che tegna lo fiado e vederà l’infiadura») 63r; inflatura: B 64v, 65v (2)225 7.b. inflatione f.: B («de ogni eminentia, zoè inflatione, che vene in lo siphac de lo ventre») 63v226 7.c. infiado agg.: V («e infiado el zenochio pende quaxi alla parte de fuora»)227 43r 8. levamento m.: B («Molti volti vene una eminentia, zoè levamento, in syphac») 63v228 9. sumitade f.: B («questo apostema ha quasi una sumitade in loco de testa») 59v 10. vegnire infuora vb.sint.intr.: V («la universale deslochacione si è chonchavitade de una parte e de l’altra viene infuora»)229 40v ▲ 1.,2., 3., 5.a., 5.b., 8. Voci piuttosto comuni e non attestate nel TLIO e nei maggiori dizionari con accezioni specifiche affini a quelle del lat. eminentia. Per le voci gobba e goboxitade, cf. s.v. gibbositas (3.a. e 3.b.). Per eleva-

223 La voce segue, a mo’ di glossa, la forma inflatura («inflatura, overo eminentia»). 224 Spesso tradotto con l’evidente errore menovanza (c. 99r e passim), che non accogliamo nel glossario. 225 Voce adottata come glossa di eminentia (cf. 4.). 226 Cf. nota supra. 227 Lat.: accidit [...] eminentia et genu videtur quasi ad interiora declive. 228 Voce adottata come glossa di eminentia (cf. 4.). 229 Lat.: significatio dislocationis universalis est concavitas insolita ex una parte et ex altera eminentia.

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tione, cf. Gualdo (1996, 247), Motolese (2004, 155). Per levamento, cf. le accezioni rilevate da Elsheikh (2016 II, 196: ‘sollevamento del capo’ e ‘dilatazione, o periodo di dilatazione del cuore o delle arterie’). 4. Che si tratti di un termine tecnico della medicina ci è confermato dal TLIO, che registra come prima accezione quella di ‘[Rif. a un organo del corpo o a una sua parte:] rigonfiamento anomalo, edema’ (pad.a. eminencia, fine sec. XIV, Serapiom). Altieri Biagi (1970, 76: «eminencia specializza [...] il significato generico di ‘protuberanza’, per indicare l’ernia»). Voce presente da Crusca1, dove l’unico esempio d’autore riportato appartiene a Guglielmo da Saliceto e anche la definizione chiarisce lo statuto prevalentemente medico del termine (‘Rilevato, rialto. Lat. eminentia. Qui per simil. val tumore, o rilevamento di carne. Lat. tumor’); cf. Ineichen (1966, 259), Marcovecchio (1993, 313), Mazzeo (2011, 295), D’Anzi (2012a, 315), Elsheikh (2016 II, 149). 6. Prima attestazione: fior.a. grosezza (1313, FattiRomani, TLIO §1.1 ‘gonfiore o ispessimento patologico del corpo’); cf. GDLI (§6 ‘gonfiore, turgidezza’). 7.a., 7.b., 7.c. Cf. s.v. inflatio. 9. Cf. GDLI (§3 s.v. sommità ‘superficie della pelle’).

emissio ‘il mandar fuori, l’espellere dall’organismo’ (181) [TLL V 2, 499]

1. aspandere vb.tr.: B («La sua significatione si è aspandere la stercora e la urina senza voluntade») 44v 2. missione f.: R («per la missione della gestione e dell’orinare») 97r 3. vegnire fora vb.intr.: V («El segno d’esa si è che la nosa viene fuora del chul»)230 42v

230 Lat.: significatio eius est emissio egestionis.

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 6 Glossario

▲ 1. Cf. GDLI (s.v. spandere §8 ‘cospargere di un liquido, bagnare, spruzzare, irrorare’; §10 ‘effondere, versare il sangue’); Sallach (1993, 206) registra, per il veneziano, la loc. spandere acqua per ‘urinare’. Cf. Tomasin (2010, 73: spandere ‘espandersi, disperdersi’, detto del vapore acqueo), Elsheikh (2016 II, 297 s.v. spandere). 2. Se non si tratta di un errore del copista per un’originaria forma emissione, quale adattamento della corrispettiva v. latina, il sost. missione costituirebbe una testimonianza piuttosto precoce e molto rara in tale accezione: nel corpus OVI si rintraccia un esempio affine (nel quale si usano a breve distanza le voci missione ed emissione nello stesso significato), in rapporto all’emissione di sangue menstruo («Ed è questo sangue corrotto, ed è la missione di quello sì abominevole, che nella legge di Moisè era proibito che alcuna femina, la quale questa emissione patisse, non entrasse in luogo sacro»: fior.a., 1363–74, ToriniCollezzione); con identica accezione la registrano, solo a partire dal Seicento, il DEI (IV, 2477) e il GDLI (F. Pona, 1622). Cf. Gualdo (1996, 88), D’Anzi (2012a, 315). 2. Cf. s.v. emittere (4.).

emittere ‘far uscire, espellere qualcosa dall’organismo’ (4 occ.; 15) [TLL V 2, 503]

1.a. mand[are] vb.tr.: B («poy che la vulneratione è antiqua e non recive saldatione, anze sempre manda puza») 4r 1.b. mand[are] fora vb.sint.tr.: B («lo cibo fi mandato fora per la piaga») 11v, 28v, 52r 2. mettere di fuori vb.sint.tr.: R («squinanzia [...] mette di fuore e parte n’esca dentro»)231 116r 3. uscire vb.intr.: R («e lla ferita el cibo n’esce»)232 25v

231 Lat.: squinantia quae partem materiae foras emittit et partem interius retinet. 232 Lat.: cibus per vulnus emittitur.

4. vegnire fuora vb.sint.intr.: V («lo zibo viene fuora per mezo la piaga») 13r 5. zet[are] vb.tr.: V («la plaga da poi che la è fata vechia et non rezeve chonsollidacion, anzi senpre zeta marza») 5v, 28v ▲ La voce emettere nell’accezione qui considerata è registrata nel TLIO (§1 ‘far fuoriuscire dal corpo’; tosc.a. emesso, 1324–28, JacLana). 1.a., 1.b. Si vedano le numerose occorrenze di ┌mandare fuori┐ in contesto medico all’interno del corpus ReMediA; prima attestazione: fior.a. manda fuori (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). 2. Cf., tra gli altri testi medici presenti nel corpus OVI, alcuni esempi provenienti da Serapiom (pad.a., fine sec. XIV: «mette de fuora del corpo»; «mette de fuora dal corpo»). 3. Cf. s.v. emanatio (2.). 4. Tra i testi medici trecenteschi, numerose occorrenze di ┌venire fuori┐ in tale accezione si possono leggere, nel pad.a. di Serapiom (OVI: «vene fuora brutura saniosa»; «ven fuora soçura a muo’ de mielle»). 5. Cf. TLIO (s.v. gettare §6.6; anche nella loc. verbale gettare di fuori); prima attestazione: roman.a. gectao (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI); GDLI (s.v. gettare §9 ‘espellere dal corpo [umori, calcoli, escrementi]’). Cf. Nystedt (1988, 232).

emorosagia ‘emorragia, perdita di sangue’ (16) [(ha)emorr(h)agia TLL VI 3, 2491]

fluxo del sangue: V («chonviene che, zesado lo fluxo del sangue, lo logo sia segoro») 6r; fluxo de lo sangue: B 4v ▲ Prima attestazione: fior.a. flusso di sangue (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI). Per la forma mediolatina emorosagia, molto diffusa in epoca medievale in luogo di emoragia, cf. Mandrin (2008: 110–111); Altieri Biagi (1970, 77 e 81) attesta sia le forme semidotte emorsagia e emorsaia, sia la loc. qui esaminata fluxo del sangue.

II Fisiologia e patologia 

emoroys ‘vena emorroidaria; dilatazione delle vene emorroidarie’ (14 occ.; 191) [(ha)emorr(h)ois TLL VI 3, 2492]

1.a. emoroyda (hemoroyd[a]) f.: B («Capitulo xv de li hemoroydi») 46r, 68v (7), 69r (3), 73r; emorroyde (emorroide): R233 154v, 155r, 155v (3); emorreis (emorrios; emorroys): R 154r, 154v, 155r; morroyde: R 154r; vene moroides f. pl.: V 65r 1.b. morece f. pl.: R («se morece sono dentro [...] sieno extracti colle ventose, overo comanda allo infermo che vada a ssella») 154v; moreci m. pl.: R 154r,234 170v; omoreci: R 154r 1.c. maroeda f.: V («Capitollo quinto dezimo delle maroede») 44v,235 65r (9), 65v, 68v ▲ 1.a. Dal gr. αἱμορροΐς, comp. di αἷμα ‘sangue’ e tema di ῥέω ‘scorrere’. Cf. TLIO (s.v. emorroidi): tra le forme dotte, la prima attestazione è il sen.a. emoroidas (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, TLIO); la voce emorroide è presente da Crusca3, al pari della forma aferetica moroide (per le forme aferetiche di emorroide, cf. Serianni 2005, 69–70), attestata nel corpus OVI in due testi: a) mant.a., 1299/1309, Belcalzer; b) tosc.a., sec. XIV, MaestroBartolomeo. Cf. Altieri Biagi (1970, 76: emoroide, moroede), Gleßgen (1996, 587), Sboarina (2000, 229), Motolese (2004, 155), García Gonzáles (2007, 414 s.v. ema), Green (2009, 395), Castrignanò (2014, 177), Elsheikh (2016 II, 149), Zarra (2018, 615). 1.b. Forma di diffusione toscana, per la quale il GDLI ipotizza una derivazione da [hae] mor[rh]oicae, f. pl. di hemorrhoĭcus ‘emorroidale’, per accostamento o sul modello di varice; prima attestazione: fior.a. moreci (fine

233 Cf., a c. 102r: dat.pl. emorroydibus. 234 Glossa di omoreci (cf. infra). 235 Con l’aggiunta della seguente glossa enciclopedica: «zoè son V vene le qual son atorno al zerchio del chullo».

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sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Tra le varie forme derivanti dal greco, morice è l’unica posta a lemma già in Crusca1,2. Si veda anche la forma morena, presente in F1 (c. 69v) e registrata da Cipolla/Malacarne (2006, 350), i quali ipotizzano un accostamento paretimologico con Mauru(m) («voce popolare che, come morello e moretto [‘che tende al colore scuro’] ma con diverso suffisso, discende dal latino Mauru(m) ‘abitante della Mauritania’»), forse più difficile da ipotizzare per il tosc. morece, già duecentesco, al cospetto della diffusione più tarda di moro, morello, moretto; REW (§3976). Cf. Tomasoni (1986b, 236: moreni), Gleßgen (1996, 587: morene), Gualdo (1996, 109: morene), Motolese (2004, 224: morici), D’Anzi (2012a, 352: morice), Elsheikh (2016 II, 219), Zarra (2018, 614). 1.c. Forma di area veneta; prime attestazioni: trevig.a. maroede (pm. sec. XIV, Lapidario, Tomasoni 1976, 180: «forma di vasta diffusione veneta nelle varianti principali di maroidi, meroide, maroele»); pad.a. maroele, maroelle f. pl. (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 268). Cf. Cortelazzo (2007, 784; maroèle); GDLI (s.v. maroella: prima attestazione registrata in Burchiello, ante 1449); DEI (III, 2512 s.v. moroidi): «la voce passò dal ven. maroèle al serbo croato maravele»; Gleßgen (1996, 587, nota 162).

empistomus ‘spasmo posteriore’ (318)

[opisthotonus TLL IX 2, 730]

epistonosos agg.: R («Lo spasimo, sì come dice Avicenna, è marcia nervosa [...] al quale tre sono le spetie, cioè el pronostico, cioè dalla parte dinançi [...], epistonos, cioè dalla parte di fuori [...] e tetanus che quasi tiene tutto in corpo236») 173r; inpistotum: V 69v; onpico­ smo: B 73v

236 Ms.: corpe tray.

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 6 Glossario

▲ La voce lat. empistomus non si rintraccia altrove e rappresenterà già in latino una forma scorretta del termine originario opisthotonus (cf. NGML Od-Opertorium, 557: opisthotonos ‘maladie dans la quelle la téte se renverse en arrière’), dal gr. ὄπισθεν ‘dietro’: il MLW (III 8, 1251) registra un’ulteriore variante, empitostonos, rimandando però a opisthotonus (gr. ὀπισϑότονος), che è già in Celso (cf. TLL) e che si afferma poi nell’it. opistotono, indicante uno stato di esagerata estensione dei segmenti articolari, dovuta al prevalere dei muscoli estensori su quelli flessori (dal 1563 per il GRADIT; assente nel GDLI). È verosimile, date le forme restituite dai tre mss., che le voci siano state del tutto sconosciute ai volgarizzatori/copisti che hanno approntato i rispettivi mss.; si noti, peraltro, come la voce empistomus sia accompagnata da una glossa etimologica già nel testo di Bruno («empistomus, id est posterior»), a testimonianza della sua comprensibilità, verosimilmente ridotta, anche in ambienti dotti. Cf. Sboarina (2000, 234), Aprile (2001a, 325).

enprotostonus ‘spasmo anteriore’ (318) [emprosthotonos TLL V 2, 534]

emprostono agg.: B («Spasmo, como dice Avicena, è una infirmitade nervosa [...]. De lo quali sono tri speci, uno è emprostono [...] l’altro si è onpicosmo [...] lo terzo si è tetano») 73v; inpostrocon (†): V 69v; pronostico (†): R 173r ▲ La forma posta a lemma dal MLW (III 8, 1253; si cita anche dal testo latino della Chirurgia di Bruno) è emprosthotonus (accompagnata però da molte varianti: empo-, empto-, pr-, -(ot)ost-, -tot-, -tin-, -tos-, -n(i)os), largamente attestata ancora nei dizionari medici dell’Ottocento: cf., tra gli altri, Dungliton 1866, 344 (‘a variety of tetanus, in which the body is drawn forwards by the permanent contraction of the muscles’). Anche in tal caso, le forme restituite

dai mss. (eccezion fatta per B) lasciano intuire la mancata comprensione del termine originario. Come per il suo contrario empistomus (cf. s.v.), anche enprotostonus è accompagnato da una glossa etimologica già nel testo di Bruno («enprotostonus, id est anterior»). Cf. Marcovecchio (1993, 315).

epilensia ‘malattia del sistema nervoso caratterizzata da crisi con perdita di coscienza e convulsioni’ (2 occ.; 313)

[epilēpsia TLL V 2, 534]

epilensia f.: B («Contra la epilensia fiza lo cauterio in la fontanella del collo in la extremitade de la parte de dreto de la testa») 72v (2); epilenzia: R 168v; pilensia: R 169r; pillexia: V 68v (2) ▲ La v. latina epilensia è la variante più tarda e meno comune («il latino medievale aveva già epilempsia, probabilmente in seguito alla trascrizione siriaca e poi araba della base greca»: Gualdo 2000, 282) di epilepsia (< gr. ἐπιληψία). Tecnicismo ben testimoniato nella lingua medica medievale; prima attestazione: nap.a. epilensia (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO); LEI (E3, 489); cf. anche il fr.a. epilensie, dal XIV sec. (FEW 3, 231a). Un’identica forma aferetica pilensia di R si rintraccia, sempre in area toscana, nel fior.a. di AntidotariumNicolaiVolg (fine sec. XIII, OVI); Crusca3,4 pone a lemma sia la forma pilensia sia epilessia. Cf. Ineichen (1966, 259), Nystedt (1988, 225), Marcovecchio (1993, 325), Sboarina (2000, 222), Aprile (2001a, 325), García Gonzáles (2007, 347 s.v. analempsia), Mazzeo (2011, 295), D’Anzi (2012a, 316), Elsheikh (2016 II, 88 e 151), Zarra (2018, 602). La perifrasi mal caduco, attestata in diversi testi volgari, rappresenta il nome popolare della malattia (DEI II, 1497; DELIN, 526; cf. Gualdo 1996, 104; Mazzeo 2011, 309; Motolese 2004, 211; Sboarina 2000, 232).

II Fisiologia e patologia 

erigi ‘aumentare di volume e consistenza (detto degli organi erettili, spec. dell’organo genitale maschile)’ (301) [TLL V 2, 778]

drizare vb.intr.: B («lo puto se tene la virga cum li soy mani e frega e se fatica cum quella, e spesse volte driza la virga») 70r ▲ Il TLIO (s.v. dirizzare §1.2) registra l’accezione di ‘[Rif. a parti del corpo umano:] portare in posizione verticale o sollevare rispetto ad una posizione china, raccolta o rilassata; alzare, raddrizzare’; allo stesso modo, nel GDLI, non si hanno riferimenti specifici all’inturgidimento dell’organo sessuale maschile, per il quale è più comune l’uso del verbo rizzare: cf. GDLI (§5), che registra proprio l’accezione ‘far inturgidire il pene’ (prima attestazione: 1370ca., BoccaccioDecam). Un’identica loc. si ritrova, però, in Elsheikh (2016 II, 144 s.v. dirizçare: dirizçare la verga); si veda D’Anzi (2012a, 317), invece, per la forma dotta erigere.

escara ‘parte morta di un tessuto leso che viene sostituita dalla cicatrice’ (9 occ.; 78) [eschara TLL V 2, 856]

1. arostitura f.: R («sia arso in tal modo profonda che faccia arrostitura grossa e spessa») 43r 2. ascara f.: R («poscia sicuri il cauterio col bituro, infino a tanto che caggia l’ascara») 145v; escara: R 104r; ~: B 28r, 61r;237 eschara: V 25r, 27v, 45r, 61v

237 A c. 47r di B si adotta il traducente foro (unica occorrenza in assoluto di tale voce nel ms.: «ge fiza administrato lo botero o altra simile cosa fina che lo foro caza fora»): l’uso esteso del termine sembra indotto dal contesto, dove si parla di effettuare un cauterio, il

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3. crosta f.: R («soccorri colla medicina che metichi [...] fino a tanto che ongni caldo reo n’esca fuore e che lla crosta che fusse fatta vada via») 59v, 110v; ~: B 20r, 61r (2),238 64r, 65v 4.a. scabbia f.: R («sia curato il luogo col bituro infino a tanto che caggia la scabbia») 141v 4.b. scavitola f.: R («aparecchia el bituro tanto che lla scavitola caggia») 135v ▲ 1. Voce non attestata nei corpora OVI e ReMediA, e assente in Crusca e GDLI in tale accezione; per il sost. corradicale arrostimento, il TLIO registra solo l’accezione di ‘il cuocere un cibo direttamente sul fuoco’. 2. Dal gr. ἐσχάϱα si ha il medio lat. eschara (cf. DEI s.v. aschero2, escara; MLW III, 1387; REW §2915a; FEW 21, 434). Prima attestazione: tosc.a. escara (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO); voce presente da Crusca3 (ma sono probabilmente false le prime attestazioni tratte dal Libro della cura delle malattie: cf. Volpi 1915–1916, 73–76). Della variante ascara non si individuano testimonianze nel corpus OVI: si attesta però il m. ascaro, avente alla base sempre il lat. tardo eschara (cf. DEI I, 316 s.v. aschero2; lo stesso DEI II, 1531 s.v. escara, segnala i riflessi popolari aschero, scaro, scareggio), ma che ha assunto sin dal Trecento il significato specifico di ‘dolore dell’animo, sofferenza spirituale’ (cf. TLIO; prima attestazione: sen.a. ascaro, ante 1367, GiovColombini); il Gigli, nel suo Vocabolario Cateriniano (1717, LVI s.v. ascaro), ne lamenta l’esclusione dal Vocabolario della Crusca, testimoniandone poi la sopravvivenza, nella forma f. ascara, a Lucca, ma col senso di ‘desiderio di veder cosa cara’. Il Gigli aggiunge poi il seguente augurio: «egli è però da sperare, che a poco a poco, se ne tornerà questa voce a godere gli onori del parlare nobile, tanto in Siena che in Firenze,

cui risultato era una sorta di foro dei tessuti del paziente. 238 In un caso la voce è adottata come glossa di escara (cf. 1.).

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 6 Glossario

per mezzo di un’espressione sua sorella, che sta nel Vocabolario ad intercedere per essa: dico la Escara, che vi si legge a spiegare crosta di piaga». Pare dunque probabile che anche la forma ascara, pur non rintracciata altrove, abbia avuto una sua seppur labile sopravvivenza (come testimoniato da R) nell’accezione propria di ‘crosta’. Cf. Marcovecchio (1993, 334), Sboarina (2000, 223), Motolese (2004, 160), García Gonzáles (2007, 420), Castrignanò (2014, 205), Sosnowski (2014, 227), Elsheikh (2016 II, 92). 3. Cf. s.v. crusta. 4.a. Voce adottata, evidentemente, nell’accezione generica di ‘crosta’: come già registrato in Crusca1, infatti, la scabbia indicava, prima che la patologia normalmente designata anche come rogna, proprio le ‘croste di lebbra, o rogna’ (Altieri Biagi 1970, 71 registra invece crosta nell’accezione di ‘rogna’). Cf. Chambers (1770–1775 XVII, 233 s.v. scabbia): «Queste [scil.: ulcerette] si rammarginano per se medesime in tratto cortissimo di tempo e dietro di sé non lasciano escara. Questa spezie di rogna, o scabbia benigna non occupa altra parte, se non la sola cute». Cf. Altieri Biagi (1970, 121), Motolese (2004, 277), Sboarina (2000, 242), Mazzeo (2011, 318), Castrignanò (2014, 204), Elsheikh (2016 II, 278). 4.b. Voce non altrimenti attestata: andrà forse presupposta la medesima base di scabbia (lat. scabĭam), cui si ricorre, sempre in R, per rendere il lat. escara, con l’aggiunta di un suffisso dimin.; va però anche ricordata l’esistenza della forma verbale scavitolare (per il GDLI, variante di area aretina e pistoiese per scavizzolare), dal lat.tardo excavitiāre ‘scavare’.

▲ Prima attestazione: tosc.sud-or.a. essentiale (ante 1298, Questioni, TLIO s.v. essenziale); voce presente da Crusca2. Cf. Motolese (2004, 162).

eunuchus ‘uomo che non ha i genitali, per cause naturali o in seguito a evirazione’ (2 occ.; 64) [TLL V 2, 1050]

1. castrat[o] agg.: B («li corpi umidi sono como de li puti zoveni, de li doni e de li unichi, zoè de li castrati che sono senza testiculi») 16v, 67v239 2. heunuc[o] agg.:240 B («el è licito alcuna volta a li potenti de la terra avire homini heunuci, zoè castrati, per guarda de li soy virgini») 67v; unic[o] (†): B 16v ▲ 1. Prima attestazione (con riferimento all’evirazione degli uomini) pis.a. crastai (ante 1327, BreveVillaSigerro, TLIO s.v. castrare); LEI (XII, 1298, anche nell’accezione specifica di ‘eunuco’); voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 275), Elsheikh (2016 II, 115: con riferimento agli animali). 2. Prima attestazione: venez.a. eunuchi (1301, CronicaImperadori, TLIO); eunuco è presente da Crusca3 (sono false, però, le attestazioni riportate da Bencivenni e Fra’ Giordano: DELIN, 549). Cf. Marcovecchio (1993, 339), Elsheikh (2016 II, 151).

essentialis ‘che concerne, che è conforme alla fisiologia’ (2 occ.; 102) [TLL V 2, 864]

esential[e] agg.: R («quelle che sono esentiali») 55v; essenzial[e]: B 26r (2); sencial: V 26v (2)

239 Voce adottata come glossa di heunuci (cf. 2.). 240 Un evidente errore sarà la forma chunichi presente a c. 63r di V.

II Fisiologia e patologia 

evacuare ‘svuotare, espellere (in riferimento all’apparato digerente); far uscire una sostanza (liquida o solida) da una cavità organica’241 (10 occ.; 50) [TLL V 2, 983]242

1. churar vb.tr.: V («non se pò churar quello umor in le schrovolle») 57r 2. evachuar vb.tr.: V («Adoncha à lo logo evachuar lo chorpo chon quelle chosse che resollve la chollora») 53v, 60v; evacu[are]: B 21v, 24r, 60r, 63r; vachu[are]: V 47r, 57r; vacuare: B 32v, 56r, 61v 3. purgare vb.tr.: R («quattro intentioni si richengiono, delle quali la prima è che ’l chorpo si purghi per forbotomia») 28r 4. trazere vb.tr.: V («trade quella [scil.: aqua] segondo la vertude de l’amallado») 60v 5. votare vb.tr.: R («infino a tanto che lla mirolla ançi è votata») 69v, 109v, 120v, 124v, 133r, 133v, 140r, 140v; voyd[are]: B 12v, 49v, 59v, 63r; vuod[are]: V 14r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. curare (1260– 61ca., LatiniRetorica, TLIO §3 ‘restituire la sanità fisica a una persona o a un animale’). 2. Prima attestazione: nap.a. evacuare (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO); DEI (II, 1570); DELIN, 550; voce presente da Crusca1 (ma nell’accezione generica di ‘votare, cavare, far vacuo’). Cf. Nystedt (1988, 225), Marcovecchio (1993, 340), Gualdo (1996, 90), Aprile (2001a, 328), Motolese (2004, 166), D’Anzi (2012a, 317), Castrignanò (2014, 178), Elsheikh (2016 II, 154). 3. Nella maggior parte delle attestazioni antiche presenti in OVI, il termine è usato col valore di ‘purificare, liberare da colpe di

241 Sia per evacuare sia per il sost. evacuatio risulta talvolta difficile operare una distinzione netta tra il valore di ‘evacuzione, defecazione’ e quello di ‘fuoriuscita di liquido o altra materia, liquida o solida’. 242 Si registra anche l’accezione propriamente medica: ‘de vacuefaciendo corpore’.

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natura morale’. Tuttavia, anche l’accezione scientifica di ‘liberare da impurità e da elementi che alterano, corrompono’ è molto ben documentata nei testi antichi, soprattutto con riferimento alla purificazione degli umori (prima attestazione: fior.a. purga, fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Cf. anche TLIO (s.v. espurgare). 4. Cf. GDLI (s.v. trarre §12 ‘eliminare dal corpo concrezioni o umori dannosi o corrotti’; prima attestazione: pis.a. > fior.a. trarrelne, GiordPisaAvventuale, 1304–05, OVI). Gualdo (1996, 289) pone trazere tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola. 5. Limitando la ricerca ai testi contenuti nel corpus ReMediA, la prima attestazione del termine in un’accezione propriamente medica è il fior. vota (il sangue) (1310, BencivenniSantà); cf. GDLI (s.v. votare §4 ‘evacuare il ventre’); Elsheikh (2016 II, 339).

evacuatio ‘fuoriuscita (naturale o indotta chirurgicamente), espulsione di liquidi, rifiuti alimentari e altre sostanze nocive’ (12 occ.; 75) [TLL V 2, 982]243

1.a. evacatione f.: R («sia fatta l’evacatione per forbottomia») 58r; evachuacione (evachuacion 57r): V 53r, 53v (2), 57r, 69v; evacuatione: B 19r, 27r, 49r, 55v, 56r (2), 59v, 61v, 62r, 67r, 73v; evaucatione: R 149v; vachuacione: V 53v; vacuatione: B 59v, 73v 1.b. evachuar vb.tr.: V («evachuando lo logo dove la iera, molte fiade torna»)244 59r; vachuar vb.tr.: V 20v 2.a. svudar vb.tr.: V («à luogo de taiar lo luogo e de svudar l’acqua»)245 62v

243 Si segnala come tecnica l’accezione di ‘de exonerando corpore’. 244 Lat.: ex [...] evacuatione loci. 245 Lat.: Et indiget iterum perforatione [...] post perforationem et evacuationem suam.

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 6 Glossario

2.b. votamento m.: R («el votamento del sangue spetialmente per le vene artiçiali») 41v, 123v 2.c. votare vb.tr.: R («el votare d’alchuno corpo si246 fa in due modi»)247 133r, 137v 2.d. votagione (votatione) f.: R («doppo la sua votatione istilla nell’occhio un poco di latte») 109v, 133r, 173v (2) ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. vacuazioni (primi decenni sec. XIV, LibroCuraFebbriManuzzi, TLIO; cf. GDLI s.v. vacuazione); voce presente solo da Crusca3 (ma sono false le attestazioni tratte da Bencivenni: cf. DELIN, 550 s.v. evacuazione). La forma evacatione di R è verosimilmente un errore del copista, indotto forse da un incrocio con vacazione. Cf. Nystedt (1988, 225), Marcovecchio (1993, 340), Gualdo (1996, 90), Motolese (2004, 167), Castrignanò (2014, 177), Elsheikh (2016 II, 154 e 327). 1.b. Cf. s.v. evacuare (2.). 2.a. Della forma svotare/svuotare (con prostesi di s, notoriamente un tratto tipico di molti dialetti settentrionali: Ascoli 1873, 415; Arcangeli 1990, 21–22) non si rintracciano attestazioni nel corpus OVI; cf. GDLI (s.v. svotare §1 ‘sottoporre a cura depurativa, purgare l’apparato digerente, in partic. di animali’: l’unica attestazione riportata è soltanto novecentesca: Bacchelli, 1938–40); voce assente in Crusca. 2.b. Nell’accezione esaminata, la voce è attestata nel corpus OVI in tre testi fiorentini (ante 1334, Ottimo; 1364, RicetteRubertoBernardi; sec. XIV, CrescenziVolg); presente da Crusca1. 2.c. Cf. s.v. evacuare (5.). 2.d. La v. ┌votazione┐ si trova nel GDLI, ma la prima attestazione, tratta da Bencivenni cit. in Crusca, non trova conferma nel corpus OVI, dove peraltro non si rintraccia alcuna testimonianza del termine; la forma votagione

246 Ms.: si si. 247 Lat.: evacuatio quidem corporis facienda est.

è registrata a partire da Crusca3 (sulla base del Volgarizzamento della Consolazione delle medicine di Mesue, per il quale cf. la nota relativa apposta s.v. ebullitio).

evacuatorius ‘di luogo o organo che consente l’espulsione di materia proveniente da altre zone dell’organismo’ (4 occ.; 229)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini]248 1.a. evachuatori[o] agg.: V («meti inprima li reperchusivi puri uno pocho stitichi se la postema non è in logi evachuatori») 52v, 53r; evacuatorio: B 54v (2), 55v (2); vachuatorio: V 53r 1.b. vachuator agg.: V («Lo chollo è vachuator del zellebro») 52v 2.a. votatione f.: R («inperciò ch’è [scil.: collo] votatione del celabro»)249 121v 2.b. voto agg.: R («è [scil.: antrace] troppo da temere quando viene ne’ luoghi voti») 123r, 123v ▲ 1.a. Voce non attestata nel corpus OVI, in DEI, DELIN, GDLI, Crusca (da Crusca3 si registra invece evacuativo, per il quale cf. GDLI). 1.b. Voce non attestata nel corpus OVI e assente in Crusca. GDLI e GRADIT registrano l’agg. evacuatore (‘di farmaco che favorisce l’evacuazione’) dal 1766. 2.a. Cf. evacuatio (2.d.). 2.b. L’adozione di voto non consente, evidentemente, di restituire il significato del lat. evacuatorius (si noti come R rinunci peraltro, in tutte e tre le occorrenze presenti, all’adozione in volgare del termine ┌evacuatorio┐, presente invece negli altri due mss.).

248 I tre dizionari registrano il sost. evacuator. 249 Lat.: collum enim est evacuatorium cerebri.

II Fisiologia e patologia 

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evomere ‘vomitare, mandar fuori’ (173)

al fiza desiccato et asperato da la humiditate e fiza facto aspero») 29r

1. arendere vb.tr.: V («furssi che l’amalado averà anchora solucion de ventre e vomirà, zoè arenderà, chollora pura») 41r250 2. butare fora vb.sint.tr.: B («forse advene solutione del ventro de lo infirmo, e buta fora colera pura») 42v 3.a. vomic[are] vb.tr.: R («si disolva il ventre dello infermo e vomichi lo stomaco») 92v 3.b. vom[ire] vb.tr.: V (cf. supra 1.) 41r

▲ Prima attestazione: pis.a. asprare (1287– 88ca., TrattatiAlbertanoVolg, TLIO s.v. asperare); DEI (I, 324); LEI (III 1, 1723); voce presente da Crusca1, ma nell’accezione di ‘inasprire, irritare’.

▲ 1. Prima attestazione: fior.a. rendesse (1310, BencivenniSantà, OVI; GDLI s.v. rendere §18); accezione non registrata in Crusca. Cf. Elsheikh (2016 II, 261). 2. Cf. TLIO (s.v. buttare §2.2 ‘mandar fuori cibo ingerito, lo stesso che vomitare’); prima attestazione: grosset.a. butti (dinanzi) (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI). 3.a. Da un lat. *vomicāre, forma parallela del tardo vomitāre, e derivato dal lat. tardo vomicus, agg. ‘che provoca il vomito’ e sost. ‘ciò che è vomitato’ (DEI V, 4089). Prima attestazione: vomichi (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI); entrambe le forme frequentative del lat. vomere (vomicare e vomitare) sono presenti già in Crusca1 (cf. s.v. vomitus per i rispettivi sostantivi vomico e vomito). Cf. Aprile (2001a, 532), Barbato (2001a, 529), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 338). 3.b. Forma verbale metaplasmatica dal lat. vŏmĕre: cf. REW (§9449). Prima attestazione: fior.a. vomire (1310, BencivenniSantà, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 928), Green (2009, 414), Elsheikh (2016 II, 339).

1. discreatione f.: R («non può favellare e ansa molto ed è malagevole discreatione») 115r 2. sguratione f.: B («In la gola nasceno molti volti alcuni apostemi [...] la significatione de li quali è la strentura de lo fiato, e la tractura, e la grave sguratione») 51v

[ēvomo TLL V 2, 1070]

excreatio ‘espettorazione’ [exscreātio TLL V 2, 1829]251

asper[are] vb.tr.: B («El dice Avicena quello che fa più nascere la carne in l’osso si è che

▲ 1. Voce non attestata, derivata evidentemente dal lat. excreatio ma con cambio di prefisso. Anche la voce escreazione non risulta nel corpus OVI e non è registrata nel GDLI: essa è però attestata ancora in qualche testo specialistico dell’Ottocento (cf., tra gli altri, Pozzi 1831, 99: «L’azione con cui rigettansi le mucosità giunte nella bocca, o esalate in questa cavità, è particolarmente distinta col nome di escreazione»); inoltre, cf. il verbo screare ‘scatarrare, espettorare’ in Sboarina (2000, 281) e il lat. excreare in Marcovecchio (1993, 342). 2. Voce di area lombarda (dal lat. tardo excurare: REW §2991) non attestata nel corpus OVI, dove però si rintracciano quattro testimonianze della forma verbale ┌sgurare┐ ‘pulire a fondo’ (tutte nel pav.a. di ParafrasiGrisostomo, 1342; cf. GDLI s.v. sgurare). Cf. Tiraboschi (1873): sgürà ‘spurare, arrenare, renare, lucidare fregando’, oltre che ‘nettare gore o canali d’acqua’; Malaspina (1859, IV): sgurar ‘strofinare, stropicciare, fregare’; voce assente in Crusca (cf., a tal riguardo, Muratori

250 Il verbo arendere è qui glossa del verbo vom[ire] (cf. 3.b.).

251 Voce segnalata come propria del lessico medico.

exasperare ‘rendere aspro, ruvido’ (114) [TLL V 2, 1186]

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 6 Glossario

1751, 333: «il Menagio dal latino Excurare lo dedusse, trovandosi in Fausto Rejense Excurare rubiginem. E veramente usa la lingua franzese Escurer nel medesimo significato [cf. FEW 3, 283a] che il nostro Sgurare. Dissi nostro; perché sebbene tal verbo non sia riferito nel Vocabolario della Crusca, pure appartiene alla Lingua Italiana, e spezialmente se ne servono i Lombardi»).

exitura ‘ascesso che viene a suppurazione’ (27 occ.; 190)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. cosa che debe venire fora: B («de la significatione de la maturatione de li cosi che debeno venire fora secondo lo complemento de lo regimento») 46r 2.a. cosa da insire: B («lo regimento de tuti li cosi da insire pos la sua maturatione») 46r; da insire: B 57v252 2.b. insire vb.intr.: B («lo apostema declina a lo insire») 55v 3. esitura f.: V («de li segni della maduracion chonplida de la esitura e de lo rezimento de tute le esiture») 44r (2), 55r (4), 55v (2); escitura (exitura; exscitura; iscitura; isitura; ’scitura): R 101v, 128r (2), 128v (3), 129v (2), 130r (3), 131r (3), 136r, 138r 128v, 131r; exitura: B 57v (9), 58r (2), 58v (6), 59r (2), 61v, 62r; situra: V 55r, 55v (4), 56r (3), 58v, 59v 4.a. postiema f.: V («E li savij vechi dixe che la postiema del luogo charnoxo, zoè dalli luogi charnoxi, tu può aspetar de taiarlla») 55r 4.b. postumacione f.: V («quelle postumacione che se ronpe per elle instese sapi che le xé de materia sotille») 55r (2)253

252 Glossa di exitura («Poy che lo apostema se matura et in quello comenzi fir fata la adunatione de la sanie, alora se domanda exitura, zoè da insire»). 253 In un caso la voce è adottata come glossa di exitura (cf. 3.).

▲ 1., 2.a., 2.b. B è l’unico dei tre mss. a presentare come traducenti delle perifrasi, formate per lo più col ricorso al verbo insire, forma settentrionale con estensione analogica del prefisso (cf. cap. 5.2.2, §31). 3. Il lat. exitura è registrato dal MLW (III 11, 1608: ‘Abzeß, Eiterbeule’; Bruno è la prima fonte citata). La voce volgare è assente in GDLI, DEI, DELIN, Crusca, ma è registrata dal TLIO (s.v. escitura), di cui si offrono due testimonianze: fior.a. escitura (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg); pad.a. exitura (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 261); non si rinvengono tracce, neppure posteriori, della forma di V situra, con probabile discrezione dell’articolo. Cf. James (1753 VI, 480): «Alcuni autori barbari si valgono di questa parola per significar un abscesso venuto a suppurazione. Ma Paracelso lo applica a ogni sorta di escrementi putridi». Cf. Altieri Biagi (1970, 79), Mazzeo (2011, 295), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 153 e 326). 4.a. Cf. s.v. apostema (1.a.). 4.b. Cf. s.v. apostematio (2.).

expuere vb.tr. ‘espellere dalla bocca, rimettere’ (221) [exspuo TLL V 2, 1908]

spudar vb.tr.: V («Molte volte quando alguno beve in fontana, loro inglote sansuge le qual fa spudar sangue») 50v; sputare: R 117v; ~: B 53r ▲ DELIN, 1597: «il lat. spūtus, part. pass. di spŭere ‘sputare’ (d’orig. indeur.) ha dato orig. a sputāre (da cui l’it. sputare)’. Prima attestazione: pis.a. sputaro (fine sec. XIII, LaudeCort [cod. ASP], OVI); voce presente da Crusca1.

extenuatus ‘assottigliato, magro (detto di un membro)’ (154) [extenuo TLL V 2, 1984]

1. extenuato agg.: B («el besognia in cotale curatione de lo membro extenuato, zoè

II Fisiologia e patologia 

magrato, e debilitato che lo infirmo fiza refacto cum cibo de asé nutrimento e grosso») 38r 2. magrato agg.: B (cf. supra 1.) 38r254 3. sotiado agg.: V («se chonviene, in lo medegamento de questo menbro sotiado e indebilitado, lo infermo se restaure chon zibo molto grosso») 37r ▲ 1. Il verbo lat. extenuāre è parasintetico di tĕnuis (cf. DELIN, 542; REW §3085). Il TLIO (s.v. estenuato §1) registra l’accezione ‘di struttura esile’, segnandola però come incerta: l’unico esempio riportato è il pad.a. extenuà (fine sec. XIV, Serapiom), anch’esso, dunque, proveniente da un contesto medico. Più comune è solitamente l’accezione di ‘deperito fisicamente’ (TLIO §2; prima attestazione: tosc.a. estenuatissimi, primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie), con riferimento all’intero organismo; in quest’ultimo senso la voce è presente da Crusca3. Cf. Gualdo (1996, 89), Sboarina (2000, 273: estenuare), Motolese (2004, 162), Mazzeo (2011, 297: extenuare). 2. Non si rintracciano attestazioni nel corpus OVI, né la voce è attestata in Crusca; il GDLI ne riporta un’unica testimonianza (ante 1536, M. Sanudo). Della forma verbale ┌smagrare┐ (presente da Crusca3), si hanno invece tredici occorrenze in OVI: la prima attestazione è già della fine del Duecento (it.a. smagrato, uq.  sec. XIII, FioreDettoAmore). Cf. Gualdo (1996, 132). 3. Cf. TLIO (s.v. sottigliare §3 ‘dimagrire o far dimagrire’; prima attestazione: tosc.a. sottigliare, inizio sec. XIV, TrattatoFalconi; si veda anche s.v. assottigliato §2.1 ‘esile, magro’); GDLI (s.v. sottigliato §2); voce presente da Crusca1 (sottigliare). Cf. D’Anzi (2012a, 276).

 661

extraneus agg. ‘che non appartiene, o è eccessivo, rispetto al normale stato fisiologico dell’organismo’ (81) [TLL V 2, 2070]

extraneo agg.: B («si trova nova operatione et novo instrumento apresso lo descendimento de li cosi extranei») 20v; stran[o]: R 45r ▲ Cf. TLIO (s.v. estraneo §4.1 ‘[Nel linguaggio scient.:] che ha diversa natura o complessione’); prima attestazione: fior.a. straini (1287–88, TrattatiAlbertanoVolg). ♦ Loc. e collocazioni: – caliditas extranea (111) caldeçça extrana f.: R («quando pute [...] significa signoria di caldeçça extrana») 60r; caliditate extranea: B 28r ▲ Cf. tosc.a. calore straneo (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); fior.a. calore strano/calore istrano (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); Motolese (2004, 164: calore estraneo). – humiditas extranea (2 occ.; 59) humiditade estranea f.: B («exiccando la humiditade estranea e radicale grandamente») 15r, 23r; umidità strania: R 33v; umiditade strania: V 16v, 23v ▲ Mancano attestazioni nel corpus OVI e ReMediA, ma una loc. analoga è registrata da Nystedt (1988, 226 s.v. extraneo).

extrinsecus ‘che è relativo o si manifesta dall’esterno (detto soprattutto di stati patologici e di parti del corpo)’ (6 occ.; 11) [exspuo TLL V 2, 2088]255

1. de fora avv.: B («la sua conservatione [...] è devedamento de la materia al loco e de li cosi

254 Voce adottata come glossa di extenuato (cf. 1.).

255 In senso proprio, il termine è indicato come afferente al lessico medico.

662 

 6 Glossario

de fora») 6r, 11r, 46r, 53r, 53v; de fuora: V 4v, 12v, 51r (2); di fuori: R 101v 2. extrinsec[o] agg.: B («ala vene per alcuna cosa extrinseca rompendo incontinente lo corpo») 3r ▲ 1. Sono numerose le loc. analoghe all’interno del corpus ReMediA, spesso con opposizione di fuori/dentro (cf., tra gli altri, «per la natura ch’è dentro e di fuori»: ante 1361, UbertinoBrescia). La definizione di Crusca per la voce estrinseco è proprio ‘di fuora’. 2. Prima attestazione: fior.a. estrinseco (1322/32, AlbPiagentinaBoezio, TLIO s.v. estrinseco §3); DELIN, 545; DEI (II, 1551); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 349), Motolese (2004, 165). ♦ Loc. e collocazioni: – causa extrinseca (2 occ.; 10) 1. casone de fora: B («Lo cancer venne in doy modi, overo da la casone de dentro overo da la casone de fora») 30r (2); cagione di fuori: R 5r (2); chaxon dalla parte de fuora: V 4r (2), 30r (2) 2. casone extrinseca f.: B («Le generale casone de la solutione de la continuitade sonno doy, de li quali una è intrinseca, l’altra è extrinseca») 3r (2) ▲ 1. Cf. fior.a. cagion di fuori (1322ca., AlbPiagentinaBoezio, OVI). 2. Cf., tra gli altri, il fior.a. cagione estrinseca (ante 1334, Ottimo, OVI; sec. XIV, CrescenziVolg, OVI).

faex ‘materiale di rifiuto eliminato dall’intestino, ultimo prodotto dei processi digestivi’ (3 occ.; 19) [TLL VI 1, 170]

1.a. fece f.: B («le quale superfluitade, como ello dice, nasceno per la fece de la tercia digestione») 5r 1.b. feza f.: V («non se porave mai incharnar in la piaga per le qual superfluitade [...] che

nase de la feza della terza deistione») 6v; ~: B 21v, 26v 2. fele m.: R («molte volte è sì come fele») 56v 3. superfluità f.: R («non si mondifica le loro superfluitate, cioè la marcia et lo sudore, il quale n’esce, et non della superfluità della terza digestione») 9v ▲ 1.a. Voce registrata solo al plur. feci in DEI (III, 1611) e DELIN, 567; il GDLI ne segnala (sempre però s.v. feci) l’uso antico al sg.; Crusca registra fin dalla prima ediz. la voce feccia (anche nel senso qui considerato di ‘escremento del ventre, sterco’), ma non fece/feci. Prima attestazione: tosc.a. feci (sec. XIV-XV, BibbiaVolg, TLIO s.v. feci). Cf. Ineichen (1966, 289: feçe), Marcovecchio (1993, 352), D’Anzi (2012a, 324), Castrignanò (2014, 180), Elsheikh (2016 II, 157: con riferimento al sangue). 1.b. Dal un lat. tardo *faecĕa(m), derivato da faex (cf. 1.a.); prima attestazione: lucch.a. feccia (1330–84, Ingiurie, TLIO §1.3); DELIN, 567; DEI (III, 1611); Cortelazzo (2007, 543: fezza); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 228), Marcovecchio (1993, 352: «Nell’antichità ha tardato ad assumere il signif[icato] odierno [scil.: ‘residuo del vino o dell’olio’] perché era usato abitualmente nel senso di excrementum»), Motolese (2004, 168), Mazzeo (2011, 298). 2. Se non è un errore indotto da semplice assonanza, come sembra probabile, si tratterebbe di un uso non attestato del sost. ┌fiele┐ ‘bile’ (voce già testimoniata alla fine del Duecento: fior.a. fiele 1275ca., FioriFilosafi, TLIO) per rendere il significato del lat. faex. 3. Cf. s.v. superfluitas (1.a.). ♦ Loc. e collocazioni: – faex arenosa (301)256 1. feccia arrenosa f.: R («ll’urino si sparge per la vescica e bianca e sottile e come feccia arrenosa») 160r 256 In V si legge l’agg. arenoxa, ma esso è riferito al precedente sost. orina; non è invece tradotto il sost. lat. faex.

II Fisiologia e patologia 

2. feza plena de sabia: B («la urina insisse per la vesica blancha e sutile cum feza plena de sabia») 70r ▲ 1., 2. Il TLIO (§1.2) registra un’analoga testimonianza dell’agg. arenoso in riferimento all’urina (‘che ha la consistenza della sabbia’): tosc.a. arenosa (ante 1361, UbertinoBrescia); DELIN, 124; LEI (III, 1055); l’agg. arenoso è presente solo da Crusca4 (ma non nel valore fisiologico qui esaminato). Cf. Elsheikh (2016 II, 90: agg. di superfluitade).

febris ‘febbre’ (6 occ. 16)

[TLL VI 1, 408; cf. → febris acuta (s.v. acutus)] febre f.: R («incontanente verrà la postema e lla oppilatione et la febre») 8r, 118v, 124v; ~: B 53r, 56r; fevera: B 4r, 73v (2); fievre (fievra): V 5v, 41r, 51r, 53r, 55r, 69v; frebbe: R 92v, 128r, 173v ▲ Prima attestazione: roman.a. frebe (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Per la forma di area lombarda fevera (con sviluppo epentetico della cosiddetta e irrazionale: cf. Rohlfs 1966–1969, §338; Tomasoni 1986b, 230), assente nel corpus OVI, cf. Cherubini (1839– 1856 II s.v. féver, févera); per il berg., Tiraboschi (1873) pone invece a lemma la forma fibra. Cf. Ernst (1966, 167), Ineichen (1966, 262), Nystedt (1988, 227), Marcovecchio (1993, 356), Aprile (2001a, 334), Barbato (2001a, 385), Motolese (2004, 167), Mazzeo (2011, 297), D’Anzi (2012a, 323), Elsheikh (2016 II, 156), Zarra (2018, 603).

febricitans ‘che ha la febbre’ (319) [febricito TLL VI 1, 406]

quello che ha la fevera: B («lo infirmo fiza covatato como quello che ha la fevera») 73v257

257 Nella seconda occorrenza di 73v, fevera è preceduta da feb depennato.

 663

▲ Il termine dotto febbricitante, in B sostituito da una perifrasi (e senza corrispondenza in R e V), è già trecentesco (registrato a partire da Crusca1): fior.a. febricitanti (ante 1334, Ottimo, TLIO); lo si trova anche in Nystedt (1988, 228), Aprile (2001a, 334), Motolese (2004, 168), Mazzeo (2011, 297),

feculentus ‘che presenta un sedimento simile a feccia’ (119) [TLL VI 1, 162]

1. feculent[o]: B («Cancer, como dice Avicena, è apostema calida [...] in la quale è brusata la materia melancolica non da pura non da feculenta, zoè piena de feza») 30r 2. pieno de feza: B (cf. supra 1.)258 ▲ 1. Nel corpus OVI si rintraccia un’unica attestazione: tosc.a. feculento (pm. sec. XIV, PalladioVolg, TLIO; qui l’agg. è però usato con riferimento al vino); il GDLI aggiunge le testimonianze di Savonarola (1460ca.) e Tramater (che però offre una definizione più specifica: ‘dicesi de’ liquidi alterati dalla fecola amidacea o dalla clorofilla’); l’agg. feculent[o] è adottato anche in F1 (c. 28v); voce presente soltanto in Crusca5. Sono numerose le attestazioni moderne, soprattutto ottocentesche, ricavabili da una consultazione di GoogleLibri, a conferma dell’adozione tecnica del termine (cf., tra gli altri, von Ziemssen 1876 II, 428: «il carattere feculento delle medesime [scil.: evacuazioni] si dilegua rapidamente»); il GRADIT segnala l’accezione presente del termine come propria del lessico medico. Marcovecchio (1993, 352: «vocab[olo] agricolo, poi da Cels[o] anche come termine medico»). 2. Cf. s.v. faex (1.b.).

258 Glossa di feculent[o].

664 

 6 Glossario

fervor ‘gran calore, bruciore dovuto a infiammazione’ (237) [TLL VI 1, 600]

1. bruxor m.: V («Molte volte viene una postiema che à nome fogo persicho, e fase picor chon essa e bruxor»)259 54r 2. fervore m.: R («molte volte aviene una apostema ch’è apellato fuoco persico ee fae prudore e con quello è fervore») 125v 3. sboyentamento m.: B («Molti volti advene uno apostema che se domanda ignis persicus, et cum quello fi lo splurimento e sboyentamento non temperato») 56v ▲ 1. Cf. s.v. ardor (2.). 2. Prima attestazione: lomb.a. fervore (sec. XIII, Disputatio, TLIO §1 ‘grande calore’); in àmbito medico, il TLIO (§1.2) registra anche l’accezione più specifica, e più affine a quella qui esaminata, di ‘calore (del sangue)’ (tosc.a., sec. XIV, MesueVolg); voce presente da Crusca1. Cf. Motolese (2004, 168), Castrignanò (2014, 180). 3. Sost. derivato dalla corrispettiva forma verbale sboglientare (cf. s.v. DEI V, 3355), a sua volta da bogliente (cf. LEI VIII, 86–88; 143–144 s.v. bullire): nell’accezione qui esaminata, con riferimento al calore dell’organismo o di sue parti, nel corpus OVI e nel GDLI si rintraccia una singola attestazione: fior.a. sboglientamento (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, TLIO §1.3 ‘lo stesso che infiammazione’: «In aqua cotte il calor febbrile refrigerano, e lo sboglientamento, e l’enfiamento dello stomaco maravigliosamente cessano»); voce presente da Crusca1 (s.v. sboglientamento) ma nel significato di ‘quasi bollimento, lo sboglientare’. In Motolese (2004, 285), con accezione analoga, si rintraccia il sost. corradicale sobbollimento.

259 Ms.: picor chon essa e picor bruxor.

fistula ‘soluzione di continuità consistente in un condotto, caratterizzato da secrezioni per lo più patologiche; più generic.: piaga, ferita’ (66 occ.; 8)

[TLL VI 1, 828; cf. → orificium fistulae (s.v. orificium)] 1.a. fistola (fistula) f.: R («della universale cura delle fistole») 4v, 20r, 30r, 47v (4), 52v, 53r (2), 55r (4), 55v, 56r (3), 56v (3), 57r, 58r (4), 58v (3), 59r, 59v (3), 60r (2), 60v (2), 61r (4), 61v, 62r, 63v, 67r, 102r, 112r, 128v, 130r, 133r, 155v, 156v, 157r, 157v, 158r, 159r (3), 169v (2); fistolla (fistola): V 4r, 10v, 15r, 22v (2), 25v, 26r (4), 26v (5), 27r (5), 27v (6), 28r (6), 28v (4), 29v, 31r, 44v, 48v, 55v (2), 57r, 65v (4), 66r, 68v; fistula: B 2v, 9r, 13v, 21v (5), 24v, 25r (2), 25v (4), 26r (4), 26v (4), 27r (6), 27v (5), 28r (3), 28v (7), 29r, 29v, 31v., 46r, 50v, 57v, 58r, 59v, 69r (3), 69v (4), 70r (2), 72v (2) 1.b. ulzera fistoxa f.: V («alora à nome [scil.: ulzera] fistoxa inperzò che la è sì chomo una chana che pasa entro lo menbro»)260 22v 1.c. infistollid[o] agg.: V («quan vis dio che queste ulzere non sia infistollide nì inchanchride [...]»)261 25r ▲ 1.a. Prima attestazione: sen.a. fistol (inizio sec. XIV, MeoTolomei, TLIO s.v. fistola); voce presente da Crusca1 (‘piaga incurabile, per essersene trasandato il medicamento’). Cf. Ineichen (1966, 263), Altieri Biagi (1970, 80), Tomasoni (1986b, 235), Marcovecchio (1993, 364), Gleßgen (1996, 638), Aprile (2001a, 339), Motolese (2004, 172), Green (2009, 396), Elsheikh (2016 II, 161), Zarra (2018, 604). 1.b. Non si hanno locuzioni analoghe nel corpus OVI, così come non si attesta altrove un agg. ┌fistoso┐ per ┌fistoloso┐: quest’ultimo è invece registrato con un’unica testimonianza nel TLIO: tosc.a. fistolose (sec. 260 Lat.: tunc nominatur fistula. 261 Lat.: ista quidem ulcera, licet non sint fistulae nec cancri [...].

II Fisiologia e patologia 

XIV, MesueVolg); fistoloso è presente in Crusca5. Numerose testimonianze di ┌ulcera fistolosa┐ si rintracciano, grazie a GoogleLibri, in epoca moderna, soprattutto nei testi specialistici ottocenteschi, ma anche nel Settecento (cf., tra gli altri, Grima 1760, 25: «vermi, o bachi, cagione primaria di tale ulcera fistolosa»). 1.c. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il fior.a. infistoliti (1355ca., Passavanti, TLIO); ma si hanno anche alcune testimonianze del verbo di 1a coniugazione ┌infistolare┐, nel medesimo significato (cf. TLIO s.v. infistolare e infistolato); voce presente da Crusca1. Cf. Tomasoni (1986b, 236). ♦ Loc. e collocazioni: – concavitas fistulae (108) [cf. s.v. → concavitas]

chonchavità de la fistolla: V («la chonchavità de la fistolla se sana chon medexine che fa naser charne») 27v ▲ Cf. le analoghe locuzioni, presenti nel testo lat., concavitas ulceris (s.v. ulcus) e concavitas vulneris (s.v. vulnus). – fistula penetrans ‘fistula penetrante in profondità’ (9 occ.; 295) 1. fistola che va dentro: R («altre [scil.: fistole] sono che vanno dentro infino alla coscia») 156r, 156v, 158v; fistolla che va: V 65v; fistola dentro: R 158v (2) 2.a. fistula passant f.: B («Molti volti veneno li fistuli in lo culo [...]. Et de quelli alcuni sono passant et alcuni sono non passant») 69r (2), 69v (2) 2.b. fistula che passa (fistula la qual pasa) f.: V («De quelle [scil.: fistole] che passa altre passa le margine del chullo e plù e men») 65v (4), 66r (2) 3. fistula penetrant f.: B («la casone per la quale non guarisse la fistula penetrant senza totale incisione de la carne non fi assignata da li autori») 69v

 665

▲ 1., 2.a., 2.b., 2.c. Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI (cf., però, espressioni come «se la fistola à passato il ventre», «la fistola è passata al capo di longaone»: fior.a., XIV sec., ChirurgiaFrugardoVolg; «se la fistula arà passato il ventre»: tosc.a., XIV sec., MaestroBartolomeo). Sono numerose, stando alla consultazione di GoogleLibri, le testimonianze di fistola penetrante nei manuali sette-ottocenteschi (cf., tra gli altri, Melli 1717a, 13: «seguono le differenze della fistola [...], poiché alcune sono penetranti, alcune no»). Cf. Marcovecchio (1993, 645). – fistula non penetrans ‘fistola superfi­ ciale’ (3 occ.; 295) 1.a. fistula che non passa f.: V («quelle [scil.: fistule] che non passa è leziere da churare») 65v; ~: B 69v 1.b. fistula non passant f.: B («Molti volti veneno li fistuli in lo culo [...]. Et de quelli alcuni sono passant et alcuni sono non passant») 69r 2. fistula non penetrant f.: B («alcuna volta vene che la fistula non è penetrant») 70r 3. fistola che non va dentro: R («di quegli [scil.: fistole] che non vanno dentro e di quegli che non vanno dentro») 155v, 159r ▲ 1.a., 1.b., 2., 3. Cf. supra s.v. fistula penetrans.

flegma ‘secondo la teoria umorale ippoctatica, uno dei quattro umori dell’uomo, ritenuto responsabile della debolezza e della pigrizia’ (15 occ.; 105)

[phlegma TLL X 1, 2042; cf. → flegma grossum (s.v. grossus)] flegma f.: B («avigna deo che la flegma habondi più in la fistula») 26v (4), 52v (3), 54r (2), 56v (2), 59r, 59v (2), 68r; flema: V 27r (3), 50r (3), 51v,

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 6 Glossario

54v (2), 56v (2), 57r, 64v; flemma (flema): R 57r (2), 57v, 116r, 117r, 120r, 120v, 126r (2), 132r, 132v, 133r, 152v; frema: R 58r, 116v ▲ Dal gr. ϕλέγμα, derivato di ϕλέγω ‘ardere, essere infiammato’; REW (§6468); FEW (8, 391a); Marcovecchio (1993, 663). Prima attestazione: fior.a. frema (ante 1274, LatiniTesoretto, TLIO s.v. flemma); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 229), Marcovecchio (1993, 663), Gleßgen (1996, 592), Aprile (2001a, 340), García Gonzáles (2007, 429), Green (2009, 396), Mazzeo (2011, 298), D’Anzi (2012a, 325), Castrignanò (2014, 180), Elsheikh (2016 II, 160), Zarra (2018, 605).

flegmaticus ‘provocato da flemma, che produce flemma’ (3 occ.; 238) [phlegmaticus TLL X 1, 2043]

flametic[o] (flematic[o]) agg.: R («Della cura dell’apostema molle e flametica») 126r, 132v; flegmatico: B 56v, 57r, 59v; flematich[o]: V 54v, 56v ▲ Prima attestazione: pis.a. > fior.a. flemmatici (1306, GiordPisaQuaresimale, TLIO; DELIN, 592); Marcovecchio (1993, 663). Una locuzione analoga a quella registrata nel testo di Bruno si legge anche in Serapiom (pad.a apostematiom flamatice). Il passaggio e > a della voc. pretonica iniziale (presente anche in Serapiom) è, come noto, un fatto non insolito anche fuor di Toscana (Rohlfs 1966–1969, §130): nella forma flametic[o] di R sembra però operare soprattutto un processo di metatesi vocalica. Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 229), Marcovecchio (1993, 664), Sboarina (2000, 210), Aprile (2001a, 340), Motolese (2004, 172), Green (2009, 396), Mazzeo (2011, 299), Castrignanò (2014, 181), Elsheikh (2016 II, 160). Si veda anche il fr.a. fleumatique (FEW 8, 392a).

flegmon ‘processo infiammatorio settico del tessuto sottocutaneo o di quello interstiziale di vari organi’ (18 occ.; 226) [phlegmōn TLL X 1, 2044]262

flegmon m.: B («E de li apostemi sono quatro speci simplice secondo che sono quatro humori simplici; o che ella fi fata per sangue, e fi dita flegmon [...]») 54r (4), 54v (2), 55v (3), 56r (7), 56v, 57r; flemon (flemone, flemmone): R 120r (2), 120v (2), 121r, 121v, 124r (2), 124v (5), 127r; flemon (flemone): V 51v (2), 52r (3), 53v (10), 54r, 55r; fremon (fremone): R 124v, 125v ▲ Il lat. flegmon, e la variante phlegmŏne-es sono dal gr. ϕλεγμονή ‘infiammazione’ (cf. TLL X 1, 2044: «φλεγμονή mutata est in formam masc. *φλεγμων, quae non nisi latine invenitur»); DEI (III, 1666); DELIN, 592; Nocentini (2010, 444); cf. fr. fleugmon (FEW 8, 392b: «Es ist von der mittelalterlichen Medizin entlehnt worden»). Prima attestazione: fior.a. flegmoni (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg; solo cinquecentesca la prima testimonianza registrata dal GDLI: 1561, A. Citolini); voce presente solo in Crusca5 (s.v. flemmone). Cf. Marcovecchio (1993, 664), Sboarina (2000, 225), García Gonzáles (2007, 429), Elsheikh (2016 II, 161).

fluxus ‘secrezione o emissione di liquidi e di umori all’interno o all’esterno dell’organismo’ (293) [TLL VI 1, 985]

fluxo m.: R («fluxo per le parti di sotto») 154v; ~: V 65r; ~: B 68v ▲ Prima attestazione: nap.a. fluxu (sec. XIIIXIV, RegimenSanitatis, TLIO s.v. flusso §3); voce presente da Crusca1 (‘significa anche scorri-

262 ‘Terminus technicus artis medicae inflammationem (tumidam), tumorem (fervidum) sim. significans (cf. vocem vetustiorem flemina)’.

II Fisiologia e patologia 

mento di sangue, e di catarro, detto da’ medici Flussione’). Cf. Ineichen (1966, 263), Nystedt (1988, 229), Gualdo (1996, 93), Sboarina (2000, 225), Motolese (2004, 174), Mazzeo (2011, 299), D’Anzi (2012a, 326), Castrignanò (2014, 181). ♦ Loc. e collocazioni: – fluxus humorum (264) fluxo de li humori: V («meti stopa chon biancho d’uovo, chon aqua e axedo, azò che se strenza lo fluxo de li umori») 59v; ~: B 62v; fluxo delli omori: R 138r ▲ Cf. pad.a. fluxo de humore/fluxo de li humori (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); fior.a. flusso degli umori (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; loc. registrata anche dal TLIO s.v. flusso §3). – fluxus lacrimarum (2 occ.; 192) fluxo de le lagreme: V («s’el fluxo de le lagreme è dalla chaxon dentro») 44v; fluxo de li lacrimi: B 46v, 72v; fluxo delle lagrime: R 102v, 169r ▲ Cf. venez.a. fluxo de lagreme (sq. sec. XIV sec., LibroSanitate, OVI); tosc.a. fluxo delle lagrime (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); sab.a. fluxu delle lacrime (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI; loc. registrata anche dal TLIO s.v. flusso §3). – fluxus sanguinis ‘circolazione sangui­ gna; perdita di sangue’ (16 occ.; 8) [Cf. → cursus sanguinis (s.v cursus)]

fluxo del sangue (flusso del sangue; flusso del sanghue; frusso del sangue; frusco del sangue; frussu di sangue): R («de’ flussi del sanghue della piaga») 4r, 41v (3), 42r, 69r, 70v, 79v, 89v, 115r, 130v, 139r, 167r; fluxo del sangue (fluxo de sangue): V 3v, 20r, 20v (3), 36r, 39v, 49v, 55v, 60r, 65r, 68r, 68v, 69v; fluxo de lo sangue (fluxu de lo sangue): B 2v, 19r (4), 33r, 37r, 41r, 52r (2), 58v, 62v, 72r, 73v ▲ Prima attestazione: flusso di sangue (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI; loc. registrata

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anche dal TLIO s.v. flusso §3, e dal GDLI s.v. flusso §5). Cf. Gleßgen (1996, 594), Gualdo (1996, 94), Sboarina (2000, 226), Aprile (2001a, 340), Barbato (2001a, 390), Motolese (2004, 174), Mazzeo (2011, 299), D’Anzi (2012a, 326), Elsheikh (2016 II, 161 e 275 s.vv. fluxo e sangue), Zarra (2018, 605). – fluxus ventris ‘dissenteria’ (129) fluxo de lo ventro: B («E de li mali accidenti sono como è [...] lo fluxo de lo ventro, e lo vomito de la colera») 32r; fluxo de ventre: V 31v ▲ Prima attestazione: fior.a. flusso di ventre (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI; loc. registrata anche dal TLIO s.v. flusso §3.2, e dal GDLI s.v. flusso §5). Già in Crusca1, la prima accezione registrata per il sost. semplice flusso è in tutto corrispondente a quella del lat. fluxus ventris (‘Mal di pondi, soccorrenza, dissentéria, il qual cagiona, che con gli escrementi del ventre, si mandi anche fuora del sangue, ed escano con grave dolore. Gr. λειεντερία. E Celso la dice intestinorum levitas’). Allo stesso modo, cf. FEW (3, 645b): al lemma lat. fluxus corrisponde come primo significato quello di ‘Durchfall’ (si veda l’analoga locuzione del fr.a. flux dou ventre ‘dysenterie’). Cf. Marcovecchio (1993, 243), Gleßgen (1996, 594), Gualdo (1996, 94), Aprile (2001a, 340), Barbato (2001a, 390), Motolese (2004, 174), García Gonzáles (2007, 347 s.v. anatropha), Tomasin (2010, 55), Mazzeo (2011, 299), Elsheikh (2016 II, 161), Zarra (2018, 597 s.v. corso del ventre e 605 s.v. flusso del ventre).

fluxibilis ‘che scorre facilmente all’interno dell’organismo’ (224) [TLL VI 1, 982]

decorivele agg.: B («al è cosa decorivele como è aqua») 53v ▲ Voce non attestata in OVI, GDLI, Crusca (ma cf. il sost. corradicale decorimento s.v. decur-

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 6 Glossario

sus 2.). Da una consultazione di GoogleLibri non si ricavano attestazioni affini a quella esaminata (il termine sembra trovare diffusione nell’Ottocento, ma esclusivamente nel lessico burocratico, nell’accezione di ‘che decorre, che ha effetto a partire da’).

fluxibilitas ‘fluidità, scorrevolezza’ (262) [TLL III, 529b]

1. discorenza f.: B («questo è per la habondantia de lo sangue e per la discorenza de la codega») 62r 2. fluxo m.: R («sono di quelle [scil.: aposteme] che vegnono nel capo de’ fanciulli e questo è per l’abondança di sangue e ’l fluxo della codenna») 137r ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. discorrenza §1 ‘med. atto o effetto dello scorrere di liquidi, flusso’); prima attestazione: tosc.a. discorrenza (terzo quarto XIV sec., ThesaurusPauperumVolg2); il GDLI (s.v. decorrenza §1) la registra senza testimonianze e segnalandola come forma disusata; voce presente solo in Crusca5. 2. Voce non attestata in tale accezione nel TLIO e nel GDLI; cf. s.v. fluxus (α.).

formica ‘piccola pustola piena di pus’ (10 occ.; 191)

[TLL VI 1, 1092; cf. → formica ambulativa (s.v. ambulativus)] formica (formicha) f.: R263 («la formicha è postula piccola e nasce di materia di chollera») 125r (2), 125v (2), 153v (2), 154r; formica (formicha): B 46r, 56r (3), 68r (2), 68v (3); formiga (formicha): V 44v, 54r (4), 64v (3), 65r ▲ Prima attestazione: fior.a. formiche (inizio sec. XIV, AlmansoreVolg, TLIO s.v. formica §2 ‘vescicola cutanea che provoca un fastidioso pizzicore, lo stesso che mirmicia’); la prima attestazione segnalata dal GDLI in Bencivenni cit. in Crusca non trova conferme nel corpus OVI e sarà probabilmente da aggiungere al gruppo dei falsi rediani; accezione registrata a partire da Crusca3 (‘vale ancora una Spezie di malattia. Latin. herpes’). Cf. Ineichen (1966, 263), Altieri Biagi (1970, 83), Sboarina (2000, 222), Mazzeo (2011, 300), Elsheikh (2016 II, 163), Zarra (2018, 606).

frigiditas ‘qualità fredda di un corpo o di una sostanza (contrario di caliditas)’ (10 occ.; 11) [TLL VI 1, 1324]

folium ‘malattia dell’epiglottide’ (218)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] foio m.: V («fase anchora in lo guzo una altra pasion che à nome foio») 50r; folio: B 52r ▲ Voce assente in tale accezione in OVI, GDLI, Crusca. Si tratta di una forma raramente attestata anche nel lessico latino della patologia: è però registrata dal MLW (IV, 356: ‘de carbuncolo iuxta epiglottim nascente’), che tra le prime fonti cita le Glosse dei Quattro Maestri Salernitani e la Chirurgia di Bruno. Cf. Penso (2002, 249).

1.a. freddezza (freddeçça, fredeçça) f.: R («se della caldezza fusse, cotali segni vanno innanzi cor rossore e caldezza [...]; se della freddezza appare al contrario») 29r, 56v, 112v 1.b. frigideçça f.: R («si conviene o nelle complexione e spetialmente nelle femine e ne’ fanciugli egualemente nella loro caldezza e nella loro frigidezza») 78r 1.c. frigiditade f.: B («como la frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e corrodendo») 3r, 7v, 9v, 11v, 13r (2),

263 A c. 102r si conserva il dat.pl. dell’originale lat. formicis.

II Fisiologia e patologia 

14r, 18r, 19v, 26r, 36v, 50v; friziditade: V 9r, 19v, 26v, 35v 1.d. fredura f. (fridura): V («se la challura è plù che non fa bexogno, allora per lo suo bollir furioxo ronpe, osia la fredura chonstrenzando») 4v, 14v, 15v 1.e. frid[irse] vb.pronl.: V («el vignerà a quelo infermo sudore e fridirase in le stremitade»)264 13r ▲ 1.a. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. fredeçça (ante 1298, Questioni, TLIO §1; voce registrata dal TLIO §2.1 anche nell’accezione specificamente medica di ‘[Secondo la dottrina fisiologica di tradizione aristotelica, con rif. all’essenza costitutiva del corpo o di un organo o ad un loro stato temporaneo (dovuto a cause patologiche):] la qualità sensibile del freddo’). Cf. Elsheikh (2016 II, 164). 1.b. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. frigideçça (ante 1298, Questioni, TLIO §1 e §1.1); voce presente da Crusca1. 1.c. Prima attestazione: aret.a. frigidità (1282, RestArezzo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 375), Gualdo (1996, 94), Sboarina (2000, 227), Aprile (2001a, 345), Green (2009, 396), Tomasin (2010, 55), Elsheikh (2016 II, 164). 1.d. Prima attestazione: tosc.a. freddura (ante 1280, GuidoColonne, TLIO). Come avviene per il lat. caliditas (tradotto con chalura/challura), V è l’unico dei tre mss. a ricorrere al suffisso -ura anche nella resa di frigiditas; la voce freddura è presente da Crusca1 (‘Lo stesso, che freddo, ma pare, che alquanto abbia più forza, e dinoti più rigore’). 1.e. Si tratterà di una forma verbale di terza coniugazione, in corrispondenza con quanto si è visto per la classe del verbo sferd[ire] ‘freddare’, anch’esso presente in V (fra i traducenti di coagulare: cf. s.v. coagulare α.ii., 6.); la voce freddare è presente da Crusca2.

264 Lat.: acciditque patienti sudor et frigiditas extremitatum.

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gibbatus ‘incurvato, piegato’ (31) [Du Cange IV, 65a]

1. ingobbato agg.: B («per so lo dosso, zoè spinale, ingobbato lo ventre se concavi») 8v 2. pleto agg.: V («lo infermo se meta in bagno in le estremitade, zoè per le man e per li piedi, sì che ’l chorpo faca pleto») 9r ▲ 1. Il lat. mediev. gibbatus è attestato nella sua accezione medica e anatomica nel MLW (IV, 698) con una testimonianza tratta proprio dal testo latino di Bruno. La voce volgare ingobbato è assente nel corpus OVI; la forma ingobbito è registrata nel DEI (III, 2030) e in Crusca5 (la voce verbale ingobbire è anche in Crusca4 ed è datata dal GRADIT già dal 1294, ma non trova corrispondenze in OVI); è solo contemporanea l’unica attestazione riportata dal GDLI (s.v. ingobbito2 ‘che presenta protuberanze, rigonfiamenti’: 1958, C. Sbarbaro). 2. Cf. esere pleto (s.v. declinare β., 3.).

gibbositas ‘convessità, protuberanza (dovuta soprattutto a fratture e dislocazioni)’ (7 occ.; 141) [Du Cange IV, 65b]

1. dosso m.: B («questa dislocatione è asé manifesta, imperò che uno dosso appare da una parte e la concavitade da l’altra») 43v 2. gibbositade f.: B («la gibbositade overo la concavitade non remagnia in quello se in lo loco non serà apostema e inflatione») 35v, 38v; gimbositade: B 35r; giobbosità: R 97v; gio­ bolità: R 82v; giobolo m.: R 75r; gionbosità f.: R 95r, 98v 3.a. gobba f.: B («quella [scil.: dislocatione] che fi facta verso la parte de fora fi dicta gobba») 35r,265 44v (2), 45r

265 Voce adottata come glossa di gimbositade (cf. 2.).

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 6 Glossario

3.b. gombosità f.: R («il menbro si ritifichi né gobosità266 overo concravità in quello medesimo rimanga») 76r, 98r; goboxitade: V 39r, 42v (2) 3.c. gobo agg.: V («Lo segno è manifesto perché ch’ell’è gobo da una parte»)267 41v, 42v 3.d. gobox[o] agg.: V («lla figura del menbro se storze, e fase goboxa da una parte e da l’altra parte par conchava»)268 34v 4. inflado agg.: V («s’el romagnerà su lo logo inflado, uxa su li mollifichativj»)269 42v ▲ 1. Cf. GDLI (s.v. dosso §2 ‘parte posteriore o superiore o esterna o rilevata di una cosa’). Cf. s.v. dorsum (2.) per il valore primario di dosso ‘dorso, parte posteriore del corpo’. 2. Nel corpus OVI si rintracciano 14 attestazioni di ┌gibbosità┐, 13 delle quali nell’aret.a di RestArezzo (1282), una nel fior.a. di BencivenniSfera (1313–14); il termine è usato anche nell’Almansore (Piro 2011, 555; Elsheikh 2016 II, 169); cf. GDLI; voce assente in Crusca (ma da Crusca3 si registra l’agg. corispondente gibboso). La variante gimbositade di B, assente in OVI e GDLI, corrisponde all’agg. gimboso (da una forma dissimilata *gimbum per gibbum: cf. REW §3755; il sost. gimbo è attestato da Barbato 2001a, 397; per il GDLI, s.v. gimboso, esso sarebbe frutto di nasalizzazione attraverso la forma meridionale jimmu), che presenta un’unica attestazione nel corpus OVI (it.a. gimbosa, 1341–42, BoccaccioAmeto), e che è considerata come forma meridionale accolta da Boccaccio (cf. Manni 2003, 259; per la stessa forma, cf. Aprile 2001a, 105). Difficilmente spiegabili (e forse da ritenere dubbie, per quanto usate con una certa sistematicità) le diverse forme presenti in R (giobbosità, giobolità, giobolo, gionbosità), ma non rintracciate altrove, con sviluppo di vocale velare

266 Ms.: gobosità bosità. 267 Lat.: significatio est [...] manifesta ex eo quod apparet gibbositas. 268 Lat.: figura membri contorquetur, et [...] gibbositas manifestatur. 269 Lat.: si remanserit aliquid gibbositatis.

(per incrocio con gobba?) e conseguente dittongo. Cf. Marcovecchio (1993, 393). 3.a. Da un lat. *gŭbba(m), variante di gibba. Prima attestazione: pad.a. gobba (sm. sec. XIV, RimeFrVannozzo, TLIO §1 ‘protuberanza anormale sulla schiena di una persona’); è solo del 1563 la prima attestazione fissata dal GRADIT (il GDLI riporta invece una testimonianza da Bencivenni cit. in Crusca, che sarà presumibilmente da annoverare tra i falsi rediani); voce presente da Crusca3. Nel senso più generico qui presente, cf. GDLI (s.v. gobba §3 ‘rigonfiamento, rilievo, prominenza, curva’). 3.b. Non si hanno attestazioni di ┌gobbosità┐ in OVI, GDLI e Crusca: forma evidentemente derivata dal lat. gibbositas per incrocio con la variante *gŭbba(m). La voce gobbosità si rinviene, tramite GoogleLibri, in diversi trattati medici sette-ottocenteschi, con un’accezione analoga a quella qui considerata (cf., tra gli altri, Giornale per servire alla storia ragionata della medicina di questo secolo, Venezia, B. Pasquali, 1795, tomo X, 178: «Il male arrestò ben presto i suoi progressi , in seguito disparve la distorsione delle ceste e dell’omero, ed in capo a una cura di tre mesi il ragazzo era del tutto ristabilito, tranne l’insuperabile primiera gobbosità»). 3.c. Cf. s.v. gibbosus (1.b.). 3.d. Cf. s.v. gibbosus (1.c.). 4. Cf. s.v. inflatio (2.b.).

gibbosus ‘che presenta una gobba, una convessità’ (2 occ.; 32) [TLL VI 2, 1974]

1.a. genboso (zemboso) agg.: R («lo ventre stia sì come cavo e llo dosso zemboso») 16v, 129r; giomboso: R 17r 1.b. gobbo agg.: B («lo infirmo iacendo supino cossì se aconzi, che lo dorso, zoè spinale, sia gobbo») 8r 1.c. gobboso agg.: B («la perforatione fiza fata in lo loco più gobboso et in loco più maturo lo quale se cognosce cum lo tochare del dito») 58r; gobox[o]: V 34v

II Fisiologia e patologia 

1.d. fare goboxitade: V («lo infermo stia in suino e chonzase per tal guixa che lo doso faza goboxitade») 9v 2. pendente agg.: V («tu die far lo taio in lo luogo plù maduro che tu possi e della parte plù pendente che tu porà») 55v ▲ 1.a. Cf. s.v. gibbositas (2.); Marcovecchio (1993, 393), Aprile (2001a, 349), Piro (2011, 39 e passim), D’Anzi (2012a, 316: gibboso), Elsheikh (2016 II, 169 s.v. gibboso). 1.b. Prima attestazione: venez.a. goba (pm. sec.  XIV, Vangeli, TLIO); cf. GDLI (s.v. gobbo §4 ‘che presenta rilievi, protuberanze, escrescenze’). 1.c. Nel corpus OVI e nel GDLI si attesta soltanto l’agg. gibboso (per il quale cf. anche D’Anzi 2012a, 329), con tre occorrenze del f. gibbosa, tutte provenienti da FrButi (pis.a., 1385/95); voce presente da Crusca3, dove manca, invece, il lemma gobboso, che sarà frutto di incrocio con le forme derivate dalla variante *gŭbba(m). 1.d. Cf. s.v. gibbositas (3.b.).

glandula ‘infiammazione del sistema linfatico’ (8 occ.; 250) [TLL VI 2, 2030]

1.a. gland[a] f.: B («in lo corpo fino generati altri superfluitade [...] che fino diti glandi, nodo, testudine, gosso, bubo e cance») 59r 1.b. gangol[a] f.: R («Dico adunque che lle scruofole è diferentia delle gangole inperciò che lle scruofole stanno molto insieme») 132r (3), 136v (3); glandoll[a]: V 56v (4), 58v (2); glandula (glandulla): B 59r (4), 61v (4); gran­ dula: R 131v, 137r 1.c. glandox[a] f.: V («sapi che la testudine sta in uno sacho sì chomo glandoxe e schrovolle») 59r ▲ 1.a. Non si attestano accezioni patologiche di ghianda (nel senso del der. ghiandola) in TLIO, GDLI e Crusca. 1.b. Il TLIO (s.v. ghiandola §1–1.6) attesta almeno sei accezioni contermini, tutte di

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àmbito veterinario, per indicare varie tipologie di infiammazione presenti negli animali, e in particolare nei cavalli: analoga a quella qui discussa dovrebbe essere la patologia descritta in TLIO §1.4 (‘infiammazione del sistema linfatico del cavallo denominata volgarmente scrofola’). Si tratterebbe, dunque, di una terminologia condivisa con il lessico veterinario (anche l’associazione della patologia alle scrofola si riscontra già nel testo latino di Bruno, come si vede nel passo citato in 1.b.). La forma gangola, distorsione popolare di area toscana (cf. TB: ‘Gangola chiamano con voce corrotta i Toscani la glandula’; REW §3777; DEI III, 1761: «allotropo popolare per contaminazione col gr.-lat. ganglion tumoretto della testa»), è registrata già in Crusca1 nel suo valore primario (‘Quelli noccioletti, che sono appiccati sotto la lingua’), e a partire da Crusca3 anche nell’accezione patologica (‘Malóre a guisa d’un certo noccioletto, che viene altrui sotto il mento, intorno alla gola, per iscesa’; al contrario, tale accezione non si registra, invece, per le forme dotte ghiandola e glandula, accolte peraltro soltanto a partire da Crusca3). Nel corpus OVI, la forma è attestata in due testi fiorentini: CrescenziVolg (sec. XIV) e LeggendaAurea (sm. sec. XIV); cf. GDLI (s.v. gangola §2). Boerio (1856), registrando il lemma glandole, rimanda a dragoncei (che Guglielmo da Saliceto usa per indicare il ‘bubbone inguinale’: cf. Altieri Biagi 1970, 74), offrendone una variegata lista di forme e varianti nella definizione (‘Gongola; Gonga; Gangola; Gavine e Stranguglioni’). Infine, la forma grandula (assente in OVI e GDLI), che compare due volte in R, sarà esito di dissimilazione, senza bisogno d’ipotizzare la rotacizzazione della laterale intervocalica: il TLL (VI 2, 2029) segnala, infatti, già per il lat., l’esistenza di una forma dissimilata grandula (cf. sab.a. grandule, fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI). Cf. Tomasoni (1986b, 236), Aprile (2001a, 351), Motolese (2004, 182), Green (2009, 398). 1.c. Si tratterà di un aggettivo sostantivato, non attestato nel corpus OVI, dove l’unica testimonianza dell’agg. ghiandoso è anch’essa di area

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 6 Glossario

veneta e di àmbito medico: pad.a. glandoxe (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO ‘ricco di ghiandole’). Non si rintracciano neppure testimonianze posteriori: un sost. f. ghiandosa è però registrato dal GDLI (anche in tal caso in veste di agg. sostantivato), con un’unica attestazione ottocentesca (1853, Proverbi Toscani) e con il significato specifico, non coincidente con quello qui esaminato (ma sempre indicante dei rigonfiamenti patologici), di ‘peste bubbonica’.

grando ‘orzaiolo, infiamazione delle ghiandole sebacee della palpebra’ (206) [TLL VI 2, 2191]270

1. grando f.: R («molte volte per grossa superfluità nelle palpebre alcuna infermità nasce la quale è chiamata grando») 109v; ~: V 47v; ~: B 49v 2. tempesta f.: B («Molti volti per grossa superfluitade in li palpebri vene una infirmitade che se domanda grando, zoè tempesta») 49v ▲ 1. Il lat. grando, in tale accezione, è un calco del gr. χάλαζα secondo il DEI (III, 1859 s.v. grandine2). Prima attestazione: tosc.a. grandine (XIV sec., CuraOcchiPietroIspano, TLIO s.v. grandine §2); voce presente da Crusca3. L’uso letterario del nominativo grando (nel senso primario di ‘grandine’) si attesta già in DanteCommedia (ante 1321). 2. Voce adottata in B come glossa del latinismo non adattato grando (cf. 1.); una glossa identica si ritrova anche in F1 (c. 49r: «grando, zoè tempesta») e ciò lascerebbe ipotizzare che la voce non sia una semplice glossa esplicativa, ma possa aver goduto di vita propria anche nel lessico comune della patologia. Come attesta il GDLI (s.v. tempesta §2), peraltro, il sost. tempesta poteva assumere, nel senso letterale, proprio l’accezione di ‘grandinata, grandine o anche chicco di grandine’, in corrispondenza 270 ‘de tumore qui grandinis formam habet’.

con le glosse di B e F1 (cf. DEI III, 1859 s.v. grandine1: «nei dial[etti] it[aliani] sett[entrionali] si hanno, nella stessa accezione, continuatori del lat. tempestās»).

gravitas ‘sensazione di pesantezza, debolezza del corpo o di suoi membri, malessere’ (9 occ.; occ.; 169)

[TLL VI 2, 2309]

1. fadiga f.: V («non metere le stelle, ché lo infermo non abia fadiga») 40r 2.a. graveza (greveza) f.: V («da può ch’ell’è sano e vienlli greveza») 41v, 42r (2), 62v, 63v; graveza: B 43v (3), 44r, 67r (2); gravezza: R 90r, 94v (2), 95v, 96r, 96v, 149r, 150r 2.b. gravitade f.: B («al è gravitade e faticha sopra lo infirmo») 41v, 44r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. faticha (fine sec. XIII, Cronica, TLIO §1.4 s.v. fatica ‘stato di esaurimento delle energie o di logoramento’). 2.a. Prima attestazione: fior.a. gravezza (1260– 61, LatiniRetorica, OVI); voce presente da Crusca1 (‘lassezza, stracchezza’). Cf. Gualdo (1996, 252), Aprile (2001a, 354), Barbato (2001a, 400), Motolese (2004, 185), Tomasin (2010, 57), Elsheikh (2016 II, 174). 2.b. Cf. TLIO (s.v. gravità §2.1 ‘ciò che è pesante, difficile da sopportare; pena, sofferenza’): it.a. gravitate (1292–93, DanteVitaNuova); voce presente da Crusca1 (gravità). Cf. Gualdo (1996, 252), Motolese (2004, 186), Elsheikh (2016 II, 174).

grossities ‘alta densità, viscosità di una sostanza fluida’ (7 occ.; 85)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini]271 1.a. grosseza (groseza) f.: V («da può che la marza è chazada zoxo, non torna più per la

271 Voce registrata piuttosto come sinonimo di crassitudo.

II Fisiologia e patologia 

grosseza») 47r, 56v, 62v; grossezza: R 78v, 109r, 132v (2), 134v, 150r; grosseza (groseza): B 21v, 36v, 49r, 59v (2), 60v, 67r 1.b. grosso agg.: R («quelgli sorditi sono generati per homori grossi»)272 46v; gross[o]: V 22v, 35v; ▲ 1.a. Prima attestazione: aret.a. grossezza (1282, RestArezzo, OVI); cf. GDLI (s.v. grossezza §8); in tale accezione è voce presente solo in Crusca5 (‘densità e gravità di sostanza corporea’). Cf. Gualdo (1996, 96), Motolese (2004, 187), Elsheikh (2016 II, 174). 1.b. Cf. s.v. grossus (2.).

grossus agg./agg.sost. ‘molto denso, viscoso’ (16 occ.; 52) [TLL VI 2, 2336]

1. de molta quantitade: B («la putredine che vene da la fistula è un pocho biancha o rossa e de molta quantitade») 26v 2. grosso agg.: R («per l’umidità o per molta molleza e grossa») 29v, 30r, 55v, 56v, 57r, 124v, 133v, 167r; ~ (groso): V 14v, 15r, 23r, 22v, 26v (2), 27r, 53v, 57v (2), 68r, 134r (2); grosso (crosso): B 13r, 13v, 22r, 26r, 26v, 56r, 57v, 60r (3), 72r ▲ 1. Accezione non registrata nel GDLI, che segnala piuttosto quella di ‘volume di liquidi o gas’ (s.v. quantità §2). 2. Cf. GDLI (s.v. grosso §12): ‘che è poco fluido, denso, viscoso (un umore dell’organismo vivente, il sangue, ecc.)’; prima attestazione: fior.a. grosso (1310, BencivenniSantà, GDLI); accezione presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 96; 253), Motolese (2004, 186), Elsheikh (2016 II, 174). ♦ Loc. e collocazioni: – cibus grossus/cibaria grossa ‘cibi densi, corposi’ (2 occ.; 147/2 occ.; 28)

272 Lat.: sordities autem generatur ex humorum grossitie.

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cibaria grossa f.: B («se guardi da tuti li cibarij grossi e che fano ventositade») 65r; cibo grosso (cibo crosso) m.: R 15r, 78v, 87v, 133v, 144r; ~: B 7r, 36v, 40v; zibo groso (zibo grosso): V 35r, 35v, 57r, 62r) 8v ▲ Prima attestazione: fior.a. cibi grossi (sec. XIV, MetauraAristotileVolg, OVI). Cf. Gualdo (1996, 253), Elsheikh (2016 II, 174 s.v. grosso). – flegma grossum (2 occ.; 252) flegma grossa f.: B («lo ventre fiza curato cum quello che mena fora la flegma grossa») 59v, 62v; flema grossa: V 57r, 59v; flemma grossa: R 133r, 138r ▲ Prima attestazione: fior.a. flemma grosso (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI); numerose sono le attestazioni rintracciabili nel Serapiom (pad.a., fine sec. XIV). Cf. Elsheikh (2016 II, 174 s.v. grosso). – humor grossus (3 occ.; 207) homore grosso (omore grosso) m.: R («el polipo si è superfluità di carne [...] e lla cagione sua si è homore grosso») 110r, 113r, 160r; humore grosso: B 49v, 50v, 70r; umor grosso: V 48v, 66v ▲ Prima attestazione: mant.a. humor grosso (1299/1309, Belcalzer, OVI). Cf. Elsheikh (2016 II, 231 s.v. omore). – regimen grossum (148) 1.a. chossa grossa f.: V («se chonviene lasar stare le chosse grosse, zoè i zibi grossi») 35v 1.b. regimento grosso m.: B («è necessario a lassare lo regimento grosso e retornare a li cosi subtilianti») 36v; reggimento grosso: R 78v 1.c. zibo grosso m.: V (cf. supra 1.) 35v273 ▲ 1.a. Non mancano locuzioni analoghe nel corpus OVI, col ricorso al sost. generico cosa; prima attestazione: aret.a. cosa grossa (1282, 273 Glossa di chossa grossa.

674 

 6 Glossario

RestArezzo, OVI; qui la loc. è adottata in opposizione a cosa sutile: «come lo foco, che non rescalda sì forte la cosa sutile come la grossa»). 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe. 1.c. Cf. supra s.v. cibus grossus. – sanguis grossus (5 occ.; 51) 1. sangue grosso m.: R («l’osso si notrica di sangue grosso») 78v, 123r, 154r; sangue grosso (sangue grossa f.): V 14v, 53r, 65r; sangue grosso: B 13r, 36v, 55r, 68v 2. sangue melanconico m.: B («se lo sangue serà acuto, zoè colerico, o corosivo, o grosso, zoè melanconico, o sutile») 13r274 3. sangue speso m.: V («L’osso se noriga de sangue speso») 35v ▲ 1. Sono numerose le locuzioni analoghe ricavabili dal corpus OVI; prima attestazione: sen.a. sangue grosso (1288, EgidioColonnaVolg, OVI). La polirematica giunge fino all’epoca moderna: in particolare, il TB offre, per sangue grosso, la definizione di ‘immalinconito’, in analogia con la resa di B (cf. 2.). Cf. D’Anzi (2012a, 386). 2. Prima attestazione: fior.a. sangue malinconoso (1310, BencivenniSantà, OVI). Cf. D’Anzi (2012a, 387), Elsheikh (2016 II, 275 s.v. sangue). 3. Cf. sanguis spissus (s.v. spissus).

gurgulatio ‘gorgogliamento, brontolio prodotto dagli intestini’ (2 occ.; 270)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. gorgulatione (gurgulatione) f.: B («alcuna volta apresso lo introito se ode la gurgulatione de lo budello e la eminentia cresce per tropo fadiga e caliditade de bagnio») 63v, 66r; gur­ guttation[e]: R 147r

274 L’agg. melanconico è adottato come glossa di grosso (cf. 1.).

1.b. grongollar vb.intr.: V («se olde le budelle grongollar e fase grande eminencia») 61r275 ▲ 1.a. Il corpus OVI offre un’unica attestazione: sab.a. gurgulgiatione (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Un’ulteriore testimonianza si ha della voce con suffisso -mento, che è anche l’unica forma riportata generalmente dai dizionari: fior.a. gorgogliamento (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO); GDLI (s.v. gorgogliamento §2 ‘brontolio dell’intestino’); Crusca3,4,5. La forma gurguttation[e] di R trova corrispondenza, nel corpus OVI, con un’unica testimonianza della voce verbale gorgottare, variante di gorgogliare (grosset.a. gorgottate: 1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto). Cf. Gleßgen (1996, 648). 1.b. Forma dissimilata di gorgogliare (GDLI §3 ‘barbugliare, emettere borborigmi’; DEI III, 1847; presente da Crusca1), cui si aggiunge lo sviluppo di una n epentetica. Un’identica forma si attesta, in area veneziana e in pieno Settecento, nell’incipit di un sonetto dell’abate A. M. Barbaro («Prego ’l Ciel che i me lassa grongolare»: cf. Donaggio 1990, 77): in tal caso, però, il senso è piuttosto quello di ‘annegare’, che si ritrova anche in Bacco 1856, 15: «benché colle loro barche peschereccie sieno poco lungi, sicché potrebberlo soccorrerlo, non si muovono punto, ed usano questo proverbio tra loro –lasciamolo grongolare (annegare) che è veneziano–»); Boerio (1856: alla voce grongolàr si rimanda a sgrongolàr ‘bollire a scroscio’). Nel corpus OVI si attesta, limitatamente all’accezione medica, il sab.a. gorgollare (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg; cf. TLIO §1.1 s.v. gorgogliare ‘produrre un suono simile al ribollire dell’acqua’). Cf. Gleßgen (1996, 648 s.v. gorgogliare), Elsheikh (2016 II, 172 s.v. gorgolliare).

275 Lat.: auditur gurgulatio. Segnaliamo anche la forma verbale, di notevole interesse, barboiare di F1 (c. 64v), per la quale cf. DEDI (s.v. borboràre).

II Fisiologia e patologia 

hanelitus ‘respiro’ (5 occ.; 181) [anhēlitus TLL II, 65]

1. anelito m.: R («E alcuna volta èe che indeboliscono alquante menbra [...] e priva l’anelito dell’animale che muore inmantanente») 97r 2. fiado m.: V («l’amallado stia destexo e aretegna lo fiado più ch’el può») 61r, 61v, 63r; fiato: R 145r; ~: B 11v, 44v, 63v, 64r, 65v ▲ 1. Prima attestazione: mant.a. hanelit (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. anelito); voce presente da Crusca1 (‘ansamento’). Cf. Nystedt (1988, 202), Gleßgen (1996, 553), Gualdo (1996, 72), Aprile (2001a, 246), Motolese (2004, 103), Mazzeo (2011, 278), D’Anzi (2012a, 270), Elsheikh (2016 II, 87). 2. Prima attestazione: mil.a. flao (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. fiato). Cf. Aprile (2001a, 337), Elsheikh (2016 II, 159). ♦ Loc. e collocazioni: – hanelitus frequens ‘respiro frequente, affannoso’ (46) 1. anelitus tremante m.: R («se nel polmone fusse la ferita, esce el sangue spumoso e fi com’anelitus tremante») 25v 2. fiato spesso m.: B («lo fiato fi facto spesso, e lo colore de lo infirmo se muta») 11v 3. refiadare forte: V («s’ela serà in lo pollmone [...] forte refiaderà»)276 13r ▲ 1., 3. Non si rinvengono attestazioni analoghe nel corpus OVI. Cf. Motolese (2004, 103: anelito frequente) 2. Cf. infra s.v. hanelitus spissus. – hanelitus spissus ‘respiro frequente, affannoso’ (46)

276 Lat.: fit hanelitus frequens.

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1.a. arfiadare speso: V («quello infermo arefiaderà277 spesso e quello arfiadar li serà chon gran dollore»)278 13r 1.b. fiato spesso m.: B («la ferita è facta apresso a li costi pizinini, e grando e spesso serà lo fiato») 11v ▲ 1.a., 1.b. Non si rinvengono locuzioni analoghe nel corpus OVI; alcune testimonianze utili si ricavano, però, da GoogleLibri (cf., tra gli altri, Della Porta 1598, 102: «L’anelito forte, veloce, spesso»). Con la conservazione del termine dotto anelito, cf. tosc.a. spesso anelito (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI); Motolese (2004, 103: anelito grande e spesso; 292: anelito spesso). – strictura hanelitus ‘affanno, difficoltà respiratoria’ (2 occ.; 47) 1.a. astretura de refiadare (stretura a lo refiadar): V («Se la piaga è fata in lo profondi del peti, lo spirito li viene fuora, a cholui li vignerà tremito de chuore e stretura a lo refiadar») 13r, 38v 1.b. strentura de lo fiato: B («la propria significatione si è [...] la strentura de lo fiato, la tosse, e lo vomito, e lo sputo de sangue») 39v ▲ 1.a., 1.b. Cf. il sen.a. strettura di petto (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI); pad.a. stretura del pieto (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 279); una locuzione identica a quella riportata in 1.b. si può rintracciare, tramite GoogleLibri, in diversi trattati medici cinque-seicenteschi, tra cui quello del Mattioli: strettura di fiato (cf. Sboarina 2000, 244 s.v. strettura); cf. anche Gualdo (1996, 137), Motolese (2004, 294), Mazzeo (2011, 324), Castrignanò (2014, 208), Elsheikh (2016 II, 303 s.v. strettura: strettura de l’alito), Zarra (2018, 627 s.v. strectura di polmone).

277 Ms.: arefrederà; da correggere in arefiaderà, testimoniato anche a c. 49v, o arfedierà, come suggerisce l’infinito arfiadar che segue immediatamente dopo. 278 Lat.: magnus et spissus est hanelitus, cum dolore vehementi.

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 6 Glossario

herisipila ‘infezione acuta della pelle causata da streptococchi e caratterizzata da forti arrossamenti e tumefazioni della pelle’ (15 occ.; 226) [erysipĕlas TLL V 2, 852]

erisipilla (erisipila) f.: B («E de li apostemi sono quatro speci [...] o che ella fi fata per sangue, e fi dita flegmon, o per colera rosa, e fi dita erisipilla, o per flegma [...]») 54r, 55v (5), 56r (8), 57r; erisipilia: R 127r; erixipilla: V 51v, 53v (2); orisipila (†): R 120r; resipilia (resepilia; risipilia): R 124r (5), 124v (8); rixipilla: V 53v (11), 55r ▲ Dal lat. tardo erysipĕlas (cf. MLW III, 1385; REW §2911), a sua volta dal gr. ἐρυσίπελας ‘infiammazione della pelle’, composto dal tema di ἐρεύθω ‘arrosso, divengo rosso’ e da un secondo membro dubbio, cui il DELIN, 530 attribuisce il senso di ‘pelle’, e che Nocentini (2010, 387) lega al gr. πέλμα ‘pianta del piede’. Prima attestazione: fior.a. erisipila (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI; solo cinquecentesca, invece, la prima attestazione registrata dal GDLI: 1563, Mattioli). Sarà probabilmente da correggere la forma orisipila di R; le forme aferetiche resipilia, resepilia, risipilia, invece, trovano conferme nel fior.a. risipila (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI) e in diversi testi più tardi; già Crusca1, d’altro canto, pone a lemma soltanto la voce aferetica risipola (anche nelle successive edizioni). Le forme con aferesi (per le quali si veda anche Serianni 2005, 69) sono dominanti anche nel fr. (cf. FEW 3, 243). Cf. Ineichen (1966, 259), Altieri Biagi (1970, 78), Tomasoni (1986b, 238), Nystedt (1988, 225), Marcovecchio (1993, 332), Sboarina (2000, 222), Motolese (2004, 158), García Gonzáles (2007, 419), Mazzeo (2011, 295), Piro (2011, 558), Sosnowski (2014, 222), Elsheikh (2016 II, 152).

hermofrodita ‘chi possiede gli organi riproduttivi di entrambi i sessi’ (3 occ.; 191)

[hermaphroditus Du Cange IV, 202a; Forcellini II, 652] 1.a. ernia f.: V («Ernia, chomo se dixe, è una pasion ch’è, dixe Alli, mollto bruta in li homeni») 64r 1.b. ernia fredita f.: V («de una pasion mollto turpisima la qual vien dita ernia fredita»)279 44r; ernia frodita: V 64r; ernia frondiosa: R 152r;280 hernia frondito m.: R 102r 2. hermafrodita (hermofrodita; hermofrodito) m.: B («Hermafrodita si è una passione non naturale e molto sozissima in li homini») 46r, 67v (2) ▲ 1.a., 1.b. Evidenti forme paretimologiche, frutto di associazione della voce greca al sost. ernia (cui si aggiunge la facile confusione grafica del nesso finale -ma con -nia), presente anch’esso nel testo come traducente del lat. hernia (cf. s.v.): se il primo elemento della forma composta (herma-, ma già hermo- nel lat. di Bruno) è analogamente reinterpretato da V e R, il secondo dà adito a soluzioni differenti, sostanzialmente conservative in V (fredita, frodita), reinterpretative in R (con accostamento a fronda/frondoso?; cf. il fr.m. Hermofronditus, attestato dal FEW 4, 415b nel XIV sec.; in fr., peraltro, la voce hermaphrodite è considerata un prestito dall’italiano: cf. FEW e Nocentini 2010, 388). 2. Dal gr. ῾Ερμαϕρόδιτος, lat. Hermaphroditus, figlio di Ermete e di Afrodite. La variante hermo- è già tardo latina (cf. MLW IV, 995). Prima attestazione: bol.a. ermafroditi (1324– 28, JacLana, TLIO s.v. ermafrodito); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 421).

279 Lat.: de hermofrodita. 280 Sempre a c. 152r, si legge anche una forma arma frondiosa.

II Fisiologia e patologia 

hernia ‘fuoriuscita di un organo o di un viscere dalla sua cavità naturale’ (3 occ.; 190) [TLL VI 3, 2658]

ernia f.: R («dell’ernia secondo tutte le sue spetie e delle posteme che nascono ne’ testiculi») 102r, 149r (2); ~: V 44r, 62v (2); hernia: B 46r, 66v, 67r ▲ Prima attestazione: mant.a. hernia (1299/ 1309, Belcalzer, TLIO); voce presente da Crusca3. In V (c. 44r) si offre una glossa enciclopedica molto precisa: «Ernia si è rotura del sifac et infiaxon de l’oseo per lo desender de le budelle; oseo si è la borsa de li choioni». Cf. Altieri Biagi (1970, 78), Marcovecchio (1993, 421), Sboarina (2000, 229). ♦ Loc. e collocazioni: [Cf. → hernia aquosa (s.v. aquosus), hernia carnosa (s.v. carnosus)] – hernia intestinalis (2 occ.; 281) 1. ernia chon la qualle va zò le budelle: V («Le spezie de l’ernia che viene in la borsa de li choioni, zeto l’ernia chon la qualle va zò le budelle, zeneralmente è tre spezie») 62v; hernia de li budelli: B 66v 2. hernia entestinale f.: R («Della cura della rottura quando discende l’antistine alla borsa negli stesticugli ed è detta hernia entestinale») 146v; ernia dello intestinale: R 149r ▲ 1., 2. Non si rintracciano attestazioni analoghe nel corpus OVI; numerose sono, invece, le testimonianze più tarde, soprattutto ottocentesche, di ernia intestinale (cf., tra gli altri, Cooper 1830–1832, 251: «La riduzione poi d’una semplice ernia intestinale (cateris paribus) è sempre più facile che quella di una semplice ernia omentale»). B e V ricorrono a perifrasi fondate sulla voce comune budelli/ budelle (cf. s.v. intestinum: sezione 1): dal corpus OVI si ricava, infatti, un’unica testimonianza dell’agg. dotto intestinale ‘relativo all’intestino’ (pad.a., fine sec. XIV, Serapiom),

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a conferma della scarsissima diffusione del termine almeno fino al secondo Trecento. – hernia ventosa/hernia ex ventosi­ tade ‘fuoriuscita di gas intestinale dall’ori­ fizio anale’ (2 occ.; 285) [Cf. → s.v. ventositas]

1.a. ernia ventosa f.: R («l’una [scil.: ernia] è acosa, la seconda è ventosa, la terça è carnosa») 149r; ernia ventoxa: V 62v (2) 1.b. ernia per ventosità: R («Quando serà l’ernia per ventosità la quale si conoscie per extrassione senza incarco e a tocarlla è llieve») 149v; hernia per ventositade: B 67r 1.c. hernia piena de vento: B («Li speci de la hernia che vene in la borsa de li testiculi [...] sono trey, una de li quali è aquosa, l’altra è piena de vento, e l’altra si è carnosa») 67r ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Cf. it.sett.a. ernia ventoxa (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO §2.1); DELIN, 531 (s.v. ernia). Per l’agg. ventoso ‘che provoca gas intestinali’, cf. DEI (V, 4013), GDLI (§7). Cf. s.v. ventositas.

herpes estiomenus ‘erpete estiomeno, corrodente’ (149)

[herpēs TLL VI 3, 2666; la voce estiomenus è assente in TLL, Du Cange e Forcellini] herpes estiomeno m.: B («la mortificatione de lo membro e herpes estiomeno, zoè putrefactione e corrosione») 37r ▲ Dal gr. ἐσϑιόμενος ‘mangiato, corroso’. Prima attestazione: estiomenon (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO s.v. estiomeno). L’adozione della polirematica herpes estiomenus manca di univocità già nei testi latini, e anzi va incontro a una certa confusione nomenclatoria, finendo per indicare anche patologie piuttosto diverse tra di loro: quella di cui parla Bruno dovrebbe coincidere con la patologia oggi definita come lupus eritematoso sistemico; la voce f. lupa costituirebbe poi, per Guglielmo da Saliceto, la forma popo-

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 6 Glossario

lare adottata in sostituzione del termine dotto herpes estiomenus (cf. s.v. lupus per una più particolareggiata discussione sul termine); differisce certamente dal cosiddetto ‘fuoco di Sant’Antonio’, anch’esso un tipo di herpes, talvolta accostato all’herpes estiomenus, ma corrispondente piuttosto al cosiddetto herpes zoster; voce assente in Crusca (che non registra neppure il sost. herpes); cf. DEI (II, 1549 ‘ulcera cronica cancrenosa’): «v. della vecchia medicina ora limitata all’ulcera della vulva, introdotta nel 1848 da P. Ch. Huguier» (in tale accezione cf. anche GDLI s.v. estiomene); Altieri Biagi (1970, 79), Marcovecchio (1993, 335 s.v. esthiomenos), García Gonzáles (2007, 453 s.v. yomenon), Sosnowski (2014, 222), Elsheikh (2016 II, 152).

humiditas ‘qualità umida di un corpo umano o di altre sostanze (contrario di siccitas); sostanza liquida’ (49 occ.; 11)

2.c. materia umida f.: V («taiase per modo che le se possa churare, e masimamente quele postumacione che serà de materia umida») 59r ▲ 1. Cf. s.v. frigiditas (1.c.). 2.a. Prima attestazione: fior.a. umidezza (inizio sec. XIV, AndrCappellanoVolgRuffini); voce presente da Crusca1. 2.b. Prima attestazione: aret.a. umidità (1282, RestArezzo, OVI). Cf. Gualdo (1996, 143), Motolese (2004, 307), Mazzeo (2011, 302), Castrignanò (2014, 184), Elsheikh (2016 II, 324). 2.c. Locuzione testimoniata con diverse attestazioni nel corpus OVI: la più antica è il fior.a. materia umida (sec. XIV, MetauraAristotileVolg). Cf. Elsheikh (2016 II, 206: il sost. semplice materia vale qui ‘umore’).

humidus agg. ‘umido: una delle quattro qualità fondamentali dell’organismo’

[Forcellini II, 687; cf. → humiditas extranea (s.v. extraneus), humiditas putrida (s.v. putridus), humiditas radicalis (s.v. radicalis), humiditas subtilis (s.v. subtilis)]

[Forcellini II, 687]

1. frigiditade f.: B («Unguento a removere la frigiditade e la sicitade de la piaga») 18r 2.a. humidezza f.: R («la curatione non riceve per la humidezza ch’è in quello») 26v 2.b. humiditade f.: B («como la frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e corrodendo») 3r, 11r, 12r (2), 13r (2), 14r, 15r (2), 15v, 17v (2), 21v (2), 23r (5), 23v (2), 26r, 27v, 28v, 29r, 29v, 31v (2), 34r, 43v, 45v, 47v, 50r (2), 51v, 61v, 62r, 63v (2), 67r, 68v, 70r, 72r (2), 72v, 73r; umidità (humidità, humiditade): R 5r, 26v, 29v, 30v, 34v (3), 38v (2), 47r, 49r, 49v (2), 50r (2), 50v, 56r, 58r, 61v, 63r, 94v, 105r, 111r (2), 137r (2), 149r, 155r, 167r, 167v (2), 169v, 170v; umiditade (umidità): V 4v, 12r, 13r, 13v, 14v (2), 15v, 17r (3), 18v, 19r, 22v (2), 23v (3), 24r (3), 24v, 26v, 28v, 33r, 41v, 43v, 45v, 48r (2), 49r, 59r, 61r, 64v, 65r, 66r, 68r (2), 68v (3)

complesion humida f.: V («propiamente quando lo chorpo no è pieno, la chonplesion non è umida») 26v, 68r; complexione humida (compressione humida): R 34v, 55v;281 complexione humida: B 15v, 26r, 72r

♦ Loc. e collocazioni: – complexio humida (3 occ.; 61) [Cf. → s.v. complexio]

▲ Prima attestazione: fior.a. umida complessione (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Cf. Motolese (2004, 307), Mazzeo (2011, 303), Elsheikh (2016 II, 324 s.v. umido). – corpus humidus (6 occ.; 64) chorpo umido (chorpo umedo) m.: V («sapi che li chorpi umidi si è de li fantollini zoveni

281 Ms.: humana.

II Fisiologia e patologia 

e de le femene») 18r, 18v, 23v, 29v (2); corpo umido: R 35r, 36r, 63v; ~: B 16r, 17r, 23r, 30r ▲ Prima attestazione: aret.a. corpo umido (1282, RestArezzo, OVI); cf. Elsheikh (2016 II, 324 s.v. umido: corpo d’umida natura). – materia humida (2 occ.; 38) materia humida f.: B («li nervi sono creati de materia frigida humida») 9v, 10r; materia umida (materia humida): R 21r, 22r; materia umida: V 11r282 ▲ Prima attestazione: fior.a. materia umida (sec. XIV, MetauraAristotileVolg, OVI). – medicamen humidum (22) medexina umida f.: V («vardasse non meta medexina umida inperzò che desollve le parte») 7r; medicina humida: B 5v (2); medicamento humido m.: R 11v ▲ Cf. pad.a. medexine humide (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). – vulnus humidum (2 occ.; 63) 1.a. ferita humida f.: R («se la ferita fusse sençialmente molto humida, allora le medicine s’apparecchino sicche») 34v, 35v 1.b. piaga humida f.: B («se li piagi serano essentialmente molto humidi, alora la medicina sicca più forte fiza aconza») 15v, 16r; piaga umida: V 17v

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humor ‘sostanza liquida; più specif., ognuno dei quattro fluidi organici ritenuti vitali per l’organismo (sangue, flemma, bile bianca, bile nera’ (16 occ.; 10)

[Forcellini II, 689; cf. → humor grossus (s.v. grossus), humor viscosus (s.v. viscosus)] homore (omore) m.: R («i due modi, cioè de homore et di ventusitade») 5r (2), 15r, 46v, 47r, 57r, 118r, 118v, 120r (2); humore: B 3r (2), 4v, 7r, 14r, 21v (2), 26v, 47r, 53r (3), 54r (2), 67r, 68r (2); umor (umore): V 4r (2), 6r, 8v, 22v, 26v, 27r, 50v, 51r (2), 51v (2), 63r, 64v, 65r ▲ Prima attestazione: crem.a. umori (primi decenni sec. XIII, PatecchioSplanamento, OVI); voce presente da Crusca1 (omore, umore). Cf. Marcovecchio (1993, 430), Green (2009, 399), D’Anzi (2012a, 414), Elsheikh (2016 II, 178 e 231 s.vv. homore e omore), Zarra (2018, 616).

ignis persicus ‘infiammazione virale dei nervi con comparsa di vescicole dolorose sulla pelle’ (5 occ.; 95) [Du Cange IV, 289c]

▲ 1.a., 1.b. Prima attestazione: fior.a. umide piaghe (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Numerose occorrenze si leggono anche in Serapiom (pad.a., fine sec. XIV, OVI).

1.a. focho persico m.: B («sapia che Galieno domanda cotali ulcerationi corosivi focho persico overo formica deambulativa») 24r; fuoco persico: R 125v (2), 126r; fuogo persigo (fogo persicho; fogo persigo): V 25r, 54r (4) 1.b. ignis persicus m.: B («Molti volti advene uno apostema che se domanda ignis persicus, et cum quello fi lo splurimento e sboyentamento non temperato») 56v (4)

282 Ms.: meterla umida.

▲ 1.a., 1.b. Prima attestazione: it.sett. fuogo persicho (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, OVI); sempre nel Trecento si registra anche la locuzione latineggiante igne persico (MesueVolg, GDLI); l’etnico persico ‘persiano’ ha trovato proprio in questa locuzione del lessico patologico uno dei primissimi usi in italiano (DELIN, 1174; DI III, 709a). Termine

680 

 6 Glossario

ampiamente attestato anche nei trattati medici dei secoli successivi, ed indicante una tipologia di apostema probabilmente corrispondente a quello designato altrove col nome greco di herpes zoster (cf. GDLI s.v. fuoco §33, con rimando alla voce zoster). Cf. Ineichen (1966, 265), Altieri Biagi (1970, 83), García Gonzáles (2007, 419 s.v. erisipila).

ingrossare ‘aumentare in quantità o densità’ (3 occ.; 63) [Du Cange IV, 363c]

1. ingrosar vb.tr.: V («De quelle chosse ch’azonzi in la sechacione si è che se ingrosi e inspesadi e manchase in esse de la soa ontuoxitade») 17v, 57r; ingross[are]: R 36r, 133v, 134r; ingross[are]: B 16r, 60r (2) 2. inspes[ire] vb.tr.: V («può lo mena tanto ch’el se inspesa e ch’el sia choto») 57v ▲ 1. Prima attestazione: aret.a. engrosato (l’aere) (1282, RestArezzo, OVI). Cf. GDLI (s.v. ingrossare §4 ‘rendere fitto, denso); voce presente solo in Crusca5 nell’accezione specifica qui considerata. Cf. Nystedt (1988, 236), Aprile (2001a, 371), Elsheikh (2016 II, 185). 2. Cf. s.v. inspissare. ♦ Loc. e collocazioni: – regimen ingrossare ‘aumentare le porzioni e la densità dei cibi di una dieta’ (3 occ.; 29) 1. ingrosar lo rezimento: V («se die ingrosar lo rezimento de lo infermo») 14v, 34r; ingross[are] lo regimento: B 7v, 13r, 35r; ’ngrossare (lo) regimmento: R 29r, 74v 2. manzare chose grosse: V («de’ chomandar a l’infermo che manzi chose grosse») 9r ▲ 1. Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI, ma si veda Elsheikh (2016 II, 185 s.v. ingrossare: ingrossare il reggimento). 2. Cf. fior.a. mangiare grosse vivande (1310, BencivenniSantà, OVI).

inanitio ‘indebolimento progressivo dell’organismo dovuto a mancato nutrimento’ (3 occ.; 318a) [TLL VII 1, 830]

1. enacione (innacione) f. (†): V («lo spaxemo se distingue segondo la chaxone, perzò ch’altro se fa per enacione») 69v (3) 2. magrictione f.: R («lo spasimo [...] altro è per ex repleçione e altro è ex magrictione») 173r, 173v (2)283 3. vacuatione f.: B («lo spasmo fi distinguito secondo la casone, perché alcuno è per repletione, alcuno è per vacuatione») 73v (3) ▲ 1. Le due forme presenti in V sono verosimilmente frutto di errore per aplologia del copista, che non ha compreso il termine dotto inanizione, molto raro almeno nel Trecento, e segnalato come proprio del lessico medico (in opposizione a replezione, al pari di quanto accade anche nel testo latino di Bruno: cf. s.v. repletio) nella lessicografia moderna (cf. DELIN, 744; DEI III, 1976; fr. inanition: FEW 4, 615a): se ne trova una sola testimonianza nel corpus OVI (bol.a. inanitione, 1324–28, JacLana, TLIO). Cf. Nystedt (1988, 235), Gleßgen (1996, 680), Gualdo (1996, 97), Elsheikh (2016 II, 182). 2. Non si rintracciano attestazioni di magrizione, probabile forma incrociata tra ┌magrezza┐ e il suffisso -tione(m) del lat. inanitio. 3. Cf. s.v. evacuatio (1.a.). Una forma affine si adotta anche in F1 (c. 74v: vodasone).

indigestibilis ‘di cibo che si digerisce con difficoltà’ (265) [TLL VII 1, 1178]

1. duro agg.: V («stegnase da bever aqua e de tanti zibi fredi e duri») 59v 2. malagevole a digestire: R («astenersi è da tutti cibi freddi e che sieno malagevoli a digestire») 138v

283 Ms.: inagrizione.

II Fisiologia e patologia 

3. non paylivel[e] agg.: B («E lo devedamento ch’el non se generi si è [...] la abstinentia de l’aqua e de tuti li cibi frigidi e che non siano payliveli») 62v ▲ La voce dotta indigestibile, che continua il lat. indigestibilis, non è accolta come traducente nei tre mss. Si tratta chiaramente di un termine molto raro nel Trecento: lo si ritrova, all’interno del corpus OVI, solamente nel fior.a. indigestibile di CrescenziVolg (XIV sec.: 4 occorrenze); per usi immediatamente posteriori, cf. Nystedt (1988, 234), Gualdo (1996, 98). 1. Cf. pad.a. duro da paire (fine sec. XIV, Serapiom; OVI); sab.a. cibo duro (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). 2. Cf., nel corpus OVI, locuzioni come il fior.a. mala digestione (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); bol.a. male digesto (1324–28, JacLana, OVI); Elsheikh (2016 II, 201 s.v. male: mala digestione). Nella trattatistica più tarda, si veda, tra gli altri, de Orta (1597, 210: «La scorza del frutto è di sapore del melone, ma è malagevole assai da digerire»); Bertolotti (1828, 94: «Le rampogne sono un cibo malagevole a digerire»). Cf. Mazzeo (2011, 305: indigestibile). 3. Non si hanno attestazioni di un agg. ┌patibile/padibile┐ nel corpus OVI; il GDLI registra patibile, ma non nella presente accezione. Cf. Alunno, 1556, 175 (nella sezione dedicata al lessico del corpo, s.v. padire: ‘o smaltire, lat. concotio, pepsis, e indigestio, il non padito, o smaltito. T. Credime, ch’ogni vin non è padibile’). Per la forma verbale paylire ‘digerire’, cf. s.v. digerere (2.).

indigestio284 ‘indigestione, riduzione delle funzioni digestive’ (249) [TLL VII 1, 1178]

1. indigestione f.: B («Li scrophuli fino generati in li parti del colo e soto li aselli e de li

284 Variante dei mss. O e B per digestio.

 681

inguini e per malicia de la indigestione, zoè del non paylire») 59r; ingistione (†): V 56v 2. non paylire (cf. supra 1.) 59r285 ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. indigestione (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; dal XIII sec. è attestato anche il fr. indigestion: FEW 4, 646b); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 235), Gleßgen (1996, 605), Gualdo (1996, 98), Aprile (2001a, 365), Mazzeo (2011, 305), Castrignanò (2014, 185), Elsheikh (2016 II, 183). È molto dubbia la forma ingistione di V, che potrebbe anche dipendere da un errore presente già al livello dell’antigrafo latino (ingestio per indigestio). 2. Cf. s.v. digerere (2.).

indigestus ‘di sostanza non smaltita, non assimilata dall’organismo’ (2 occ.; 102)

[TLL VII 1, 1179; cf. → digestus, digerere (β.)] 1. indiest[o] agg.: V («se chognose [scil.: fistolla] per azidente però che mostra la so marza indiesta e pude oribelmente») 26v 2. indigno agg.: B («la marza è indigna cum horribilitade del fetore») 26r, 28r

▲ 1. Della forma di V indiesto, con dileguo di -g- davanti a voc. palatale analogamente a quanto visto per il suo contrario diesto (cf. s.v. digestus), non si hanno testimonianze in OVI. Prima attestazione: bol.a. indigesti (1324–28, JacLana, OVI); DELIN, 763; FEW (4, 646b); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 456), Gualdo (1996, 98), Aprile (2001a, 365), D’Anzi (2012a, 334), Castrignanò (2014, 185), Nystedt (1988, 236). 2. La voce indigno trova corrispondenza, in B, nell’uso del suo contrario digno, adottato come traducente di digestus (cf. s.v.): anche in tal caso, però, la voce non risulta attestata nei dizionari in questa accezione.

285 Glossa del sost. indigestione (cf. punto 1.).

682 

 6 Glossario

indignatio ‘irritazione, infiammazione’ (76) [TLL VII 1, 1181]

indegnacione f.: V («nesuna chosa è pluj noxevolle a prevochar lo fluxo del sangue de quel che xé lo dolore e la indegnacione del menbro») 20v; indignatione: B 19v ▲ Prima attestazione: fior.a. ’ndegnazione (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; GDLI s.v. indignazione §4); accezione non registrata in DEI, DELIN, Crusca, e che si può ritrovare nel fr.a. (cf. FEW 4, 647b; lo stesso verbo indignare può assumere anche il valore semantico di ‘infiammarsi’ [cf. GDLI §2], analogamente al fr.a. s’endaignier ‘s’enflammer’). Cf. Ineichen (1966, 265), Altieri Biagi (1970, 87), Aprile (2001a, 365).

infirmitas ‘malattia, infermità’ (9 occ.; 3)

[TLL VII 1, 1432; cf. → s.v. aegritudo]

1. fermità f. (†): R («el medico sia dall’uno lato dal quale èe la fermità») 99v; infermità: R 94r, 101v, 103r, 106r, 107v, 109v, 121v (2), 123v, 134r, 135v (2); infirmitade: V 60v, 68r; ~: B 1v, 2r, 43r, 46r, 48r, 48v, 49v, 63v 2. malattia f.: R («s’ingenerano le malettie pessime») 2v; mallatia (malatia): V 2v, 43r, 46r, 46v ▲ 1. Prima attestazione: march.a. infirmitate (inizio sec. XII, RitmoSAlessio, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 236), Aprile (2001a, 367), Barbato (2001a, 411), Elsheikh (2016 II, 184). 2. Cf. s.v. aegritudo (6.b.).

infirmus sost./agg. ‘malato, paziente’ (128 occ.; 23)

[TLL VII 1, 1441; cf. → s.v. aeger, aegrotans, patiens] 1.a. amalado (amallado) m./agg.: V («lo sai per dito de lo amalado lo tenpo ch’el’è stada

llà») 26v, 41r, 41v, 42v (3), 43r, 44v, 45r, 55r, 60v; amalato: R 10v, 15v, 16v, 17r, 17v 1.b. malato agg.: R («sempre si cominci dallo luogo malato et vadi inverso la parte di sopra») 10r, 10v 2.a. infermo (’nfermo) m./agg.: R («reggimento degl’infermi conviene che ssi sottigli») 17v, 19r, 19v (2), 26r, 44r, 56r, 68v, 69r (4), 69v, 70r, 70v, 72r, 73r, 74r (2), 76v, 82r, 83v, 84r (2), 84v, 85v, 86r, 86v, 87v, 89r, 89v, 90r, 91v, 92v (2), 93r (2), 93v (4), 94r (4), 94v (2), 95r, 95v (2), 96r, 97r (2), 98r (2), 98v (2), 99r, 99v, 100r (3), 101r, 103r, 104r (2), 107v, 109r (2), 110v, 111r, 113v, 117v (2), 118r, 127v, 133r, 139v, 140r (2), 140v (2), 141r, 143r, 145r, 145v, 146r (2), 147r (3), 147v (3), 153v, 154v (3), 155r, 155v, 157r, 158r, 159v, 161r (2), 161v, 162r (2), 164v, 167r; infermo: V 6v (3), 9r (2), 9v, 10v (2), 13r, 21v (2), 23r, 31v (3), 32r, 32v, 33r, 33v, 34r (2), 35r, 37r, 37v, 38r (3), 38v (2), 39r, 39v (2), 40r, 40v, 41r (4), 41v (7), 42r (2), 42v, 43r (2), 43v (3), 45r, 46v (2), 47r (3), 49r, 50v (3), 57r, 60v (3), 61r (2), 63r (2), 63v (7), 64v, 65r (2), 66v (2), 67r (2), 69v; infirmo: B 5r (3), 6r, 7v (2), 8r (2), 8v, 9r (2), 11v (2), 20r (2), 22r, 26r, 26v, 32r (4), 32v (2), 33r (2), 33v (2), 34r (2), 34v (2), 38v, 39r (3), 39v (2), 40r (2), 40v, 41r (2), 41v (2), 42r, 42v (2), 43r (9), 43v (4), 44r, 44v (4), 45r (4), 45v (3), 46r, 46v, 47r (2), 48v (3), 49r (5), 51r, 52r, 53r (3), 57r, 59v, 63r (4), 63v (3), 64r, 64v, 65v (4), 66r (6), 68r, 68v (3), 69r, 69v, 70r, 70v (3), 71r, 71v, 72r, 73v 2.b. infirmato agg.: B («fiza locata supro lo loco infirmato») 5v ▲ 1.a. Cf. s.v. aeger (1.a.). 1.b. Prima attestazione: venez.a. malata (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, TLIO). 2.a. Prima attestazione: berg.a. infirmi (metà sec. XIII, ParafrasiDecalogo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 236), Marcovecchio (1993, 460), Aprile (2001a, 366), Barbato (2001a, 411), Mazzeo (2011, 306), Elsheikh (2016 II, 184). 2.b. Prima attestazione: fior.a. infermato (ante 1292, GiamboniLibroViziVirtudi, OVI); voce presente da Crusca1.

II Fisiologia e patologia 

inflammatio ‘reazione difensiva del corpo a stimoli nocivi, che si manifesta tramite arrossamento, tumefazione, irritazione locale’ (3 occ.; 147)286 [TLL VII 1, 1452]

infiammagione (infiamatione) f.: R («El cibo287 dello infermo sia sottile dimostrante infiamagione infino a tanto che ttu serai sicuro dell’apostema caldo») 78r, 124v; inflamatione: B 36v, 56r ▲ Il lat. inflammatio è un calco del gr. φλεγμασία (DEI III, 2017). Col valore prettamente patologico qui esaminato (vivo anche nel fr.a.: FEW 6, 671b), la prima attestazione ricavabile dal corpus OVI è il pad.a. inflamatiom (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 266), ma una forma infiamamento si legge già in AntidotNicolaiVolg (fior.a., fine sec. XIII). Cf. Marcovecchio (1993, 460), Gualdo (1996, 100), Sboarina (2000, 230), Aprile (2001a, 367), Motolese (2004, 197), Mazzeo (2011, 307), Castrignanò (2014, 186).

inflatio ‘gonfiore, tumefazione di un organo o di una zona cutanea’ (16 occ.; 31) [TLL VII 1, 1456; cf. → s.v. tumor]

1. eminentia f.: B («ti comandi a lo infirmo che al retegnia lo fiato fina ch’el apparia la inflatura, overo eminentia») 65v288 2.a. enfiatione f.: R («poi che è rimossa l’enfiatione») 16v, 29r; infiazzone (infiazone; infiactione; infiatione) 76r, 85v (2), 99r, 101v, 104r, 112v, 120r, 127r, 138v, 139r, 154r; inflatione: B 7v, 13r, 35v, 39v (2), 45v, 46r, 46v, 50v, 54r, 57r, 62v, 63r, 68v; inflaxone (inflaxon): V 9r, 39r, 43r, 43v, 44r, 44v, 45r, 54v, 59v, 60r, 65r

286 In Hall (1957, 147) il lat. inflammatio è variante del ms. lat. B per inflatio. In V, c. 53v, si ha due volte la forma inflaxone (sia in corrispondenza del lat. inflatio sia del lat. inflammatio). 287 Ms.: cibi. 288 Voce adottata come glossa di inflatura (cf. 2.b.).

 683

2.b. infiadura f.: V («se dia a lo infermo zibi inflativi azò che lo suo ventre enfla fortemente, perché la infiadura si chaca fuora la rotura») 38v, 48v; inflatura: B 7v, 45r, 65v 2.c. infiado agg.: V («tu vederà che lo infermo serà plenazo e lle vene li serà infiade»)289 14v ▲ 1. Cf. s.v. eminentia (4.). 2.a. Prima attestazione: pis.a. enfiassione (fine sec. XIII, Bestiario, TLIO s.v. enfiazione §1.1); REW (§4407); FEW (4, 675a); voce presente da Crusca.1 Cf. Ineichen (1966, 265), Nystedt (1988, 236), Marcovecchio (1993, 460), Gleßgen (1996, 611), Gualdo (1996, 100), Sboarina (2000, 222), Aprile (2001a, 367), Barbato (2001a, 411), Motolese (2004, 196), Green (2009, 399), D’Anzi (2012a, 316), Castrignanò (2014, 185), Elsheikh (2016 II, 150), Zarra (2018, 601). 2.b. Der. del verbo enfiare (DEI II, 1478). Prima attestazione: fior.a. enfiature (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. enfiatura §1 e §1.1). Cf. Nystedt (1988, 236), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 150). 2.c. Dal lat. inflatus, part. di inflāre. Prima attestazione: fior.a. enfiati (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. enfiato1 §1.1). Cf. Aprile (2001a, 367), Elsheikh (2016 II, 184).

insensibilis ‘che è privo di sensibilità a impressioni esterne, in particolare al dolore’ (214)

[Forcellini II, 863; cf. → s.v. sensibilis, sensibilitas]

1.a. che non sente: V («se tu vederà lo chollor foscho over negro, e quaxi una postiema dura che non sente al postuto, non li aprosumar medexina nesuna») 49r 1.b. insensibile agg.: R («vederai c’el suo colore è foco overo nero ed è quasi apostema duro e insensibile») 114r; ~: B 51r

289 Lat.: quod scitur ex plenitudine corporis et venarum inflatione.

684 

 6 Glossario

▲ 1.b. Prima attestazione: lucch.a. insensibile (fine sec. XIII, Lucidario, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 468), Gualdo (1996, 101), Motolese (2004, 200), Nystedt (1988, 237).

inspissare vb.tr. ‘rendere più denso’; vb.med. ‘diventare denso’ (5 occ.; 56) [īnspisso TLL VII 1, 1962]

1.a. essere spesso: R («le quali cose sieno insieme incorporate, tanto sieno cotte che ssieno bene spesse») 31r; vegnire speso: V 15v, 69r 1.b. inspes[are] vb.tr.: B («fiza ingrossato et inspissato e la sua virtude se minuisca») 16r; spess[ire] vb.tr.: R 36r, 138r 1.c. inspes[arse] (inspis[arse]) vb.pronl.: B («tuti incorporati bene insiema tanto se coseno fina che se inspisseno») 14r, 62v, 73v 2. ras[edersi] vb.pronl.: R («sança intervallo non si muova tanto che ssi rasegga») 172r ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Prima attestazione: fior.a. ispessare (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); GDLI (s.v. ispessire §3); voce presente da Crusca1 (nella forma spessare). Cf. Nystedt (1988, 235), D’Anzi (2012a, 336), Elsheikh (2016 II, 186 e 189). 2. L’infinito da presupporre sarà rassedere (suffisso r[e]- iterativo + assedere ‘mettersi a sedere’: per quest’ultimo, cf. GDLI s.v. assedere),290 presente in OVI con un’unica attestazione, nella quale si legge il significato letterale

290 La desinenza in -a e la velare intensa sono dirimenti nel preferirlo al verbo rassegare, semanticamente ben aderente ai casi presenti in R, ma non attestato in OVI e registrato dal GRADIT (voce segnalata come toscana, da sego con prefisso ra- e desinenza -are) solo dal 1738 (‘di brodo, condimento e sim., rapprendersi e solidificarsi’); addirittura novecentesca (1905, De Amicis) la prima testimonianza che ne offre il GDLI.

del termine: sen.a. rasedea (ante 1322, BinduccioSceltoTroiaVolg: «sì si rasedea l’aquila»); il GDLI registra rassìdere (con un’unica testimonianza in Alamanni, ante 1556). Neppure nel LEI (III 2, 1849) si attestano accezioni assimilabili a quella qui discussa. Un’identica forma di cong. rasegga compare peraltro, all’interno di R, in altri due contesti analoghi, nei quali, però, il verbo è usato come traducente delle forme latine sedare e abscindi.

intollerantia ‘incapacità di sopportare un dolore’ (267) [TLL VII 2, 25]

1. intollerantia f. B («Et s’el ge fosse romasa alcuna cosa de la grasseza per la intollerantia de lo infirmo») 63r 2.a. non poter soffrire: V («se lo romagnise del grasso per lo infermo che non possa soffrire o per abondancia de sangue, meti suxo medexina achuta») 60r291 2.b. non potere tollere: R («se rimanesse alcuna cosa di quella grasseçça per non potere tollere allo infermo»)292 139v ▲ 1. Prima attestazione: tosc.a. intolleranzia (sm. sec. XIV, LotarioDiaconoVolg, OVI: «intolleranzia delle infermità»); cf. GDLI (s.v. intolleranza §3 ‘stato o condizione di chi non può subire una determinata azione esterna senza danno o alterazione dell’organismo’); voce presente solo in Crusca5. Cf. Marcovecchio (1993, 474). 2.a., 2.b. Cf. alcune espressioni analoghe nei testi medici contenuti in OVI: fior.a. potrà sofferire (1310, BencivenniSantà: «così chaldo come l’uomo il potrà sofferire»); ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg: «calde, quanto potrà sofferire, si pongano sopr’a quella callositade»).

291 Lat.: si remanserit aliquid de pinguedine propter intollerantiam infirmi. 292 Cf. nota supra.

II Fisiologia e patologia 

intrinsecus ‘che è relativo o si manifesta dall’interno (detto di stati patologici e di parti del corpo)’ (189) [TLL VII 2, 53]

de dentro avv.: B («me propono [...] de drizare lo meo corso a la cura de li altri infirmitade, vegniando cossì de dentro como de fora») 46r; dentro avv.: R 101v ▲ La voce dotta ┌intrinseco┐ risulta ben testimoniata nel corpus OVI (prima attestazione: sen.a. intrinseco, 1288, EgidioColonnaVolg), ed è già accolta in Crusca1 (s.v. intrinsico). Cf. Marcovecchio (1993, 475). ♦ Loc. e collocazioni: – causa intrinseca (4 occ.; 10) 1. cagione dello lato dentro: R («le generali cagioni [...] l’uno è dallo lato di rietro, l’altra è [...] dello lato dentro») 5r; casone de dentro: B 30r (2); chaxon dalla parte (de) dentro: V 4r (2), 30r (2) 2. casone intrinseca f.: B («Le generale casone de la solutione de la continuitade sonno doy, de li quali una è intrinseca, l’altra è extrinseca») 3r (2) ▲ 1., 2. Cf. bol.a. casone intrinseca (1324–28, JacLana, OVI); pad.a. caxom intrinsecha (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); cf. la loc. causa intrinseca nel GDLI (s.v. intrinseco §9); REW (§1513a); FEW (4, 781a). Cf. Motolese (2004, 205).

lapis ‘calcolo, concrezione solida di sali minerali o materiale organico, che si forma in un organo cavo o in un condotto anatomico’ (47 occ.; 87) [TLL VII 2, 952]

piera f.: V («el bexogna che la soa resollucione non sia chon molta esechacione, azò che non te solva quello sotil dentro, quello ch’è grosso se faza piera») 23r, 44r, 59r, 66r (6), 66v (5), 67r (5), 67v (10), 68r (2); pietra: R 47v,

 685

102r, 134r, 137r, 159v (6), 160r, 161r (2), 161v (2), 162r (4), 162v, 163r (2), 163v (2), 164r, 164v (3), 165r (2), 165v (4),293 166r (5), 166v, 167r; preda: B 22r, 46r, 60r, 61v, 70r (6), 70v (9), 71r (7), 71v (17), 72r (2) ▲ Prima attestazione: fior.a. pietra (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; per definire la patologia in generale, si ricorre in AntidotNicolaiVolg alle perifrasi vitio dela pietra e male dela pietra; cf. anche D’Anzi 2012a, 342: male di pietra); voce presente da Crusca1 (‘Per quella rena pietrificata, che si genera nella vescica’). L’attestazione più tarda registrata nel GDLI (§29) appartiene a Targioni Tozzetti (1752). Cf. Altieri Biagi (1970, 110), Tomasoni (1986b, 238), Marcovecchio (1993, 495), Gleßgen (1996, 596), Sboarina (2000, 222), Aprile (2001a, 436), Green (2009, 400), Mazzeo (2011, 314), Elsheikh (2016 II, 243), Zarra (2018, 619). ♦ Loc. e collocazioni: – lapis asper ‘calcolo che corrode i tessuti circostanti’ (302) piera aspra f.: V («le spezie delle piere è mollte e diverse, che altra è pizolla e altra è granda, e altra è pullida e altra è aspra») 66v (2); pietra asper[a]: R 160v; preda aspera: B 70r ▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI. Tramite la consultazione di GoogleLibri, però, alcune attestazioni di calcolo aspro si possono leggere nei secoli successivi (cf., tra gli altri, Christini 1680, 419: «Potrassi effondere ancora sangue dalla vessica, benché sia esangue, come se da calcolo aspro serà escoriata»). – lapis ramosus ‘calcolo ramificato’ (2 occ.; 302) piera ramoxa f.: V294 («quela ch’è aspra e longa, ramoxa, grievemente vien fuora») 66v; pietra ramos[a]: R 160v; preda ramosa: B 70r

293 Ms. (quarta occorrenza): piotra. 294 Un probabile errore di copiatura sarà piera arognoxa di c. 66v.

686 

 6 Glossario

▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI. Analogamente a quanto osservato supra per la loc. calcolo aspro, anche per calcolo ramoso si possono rintracciare alcune testimonianze in epoca moderna (tra gli altri, cf., ancora nella trattatistica dell’Ottocento, Giovan P. Frank 1825, 152: «Nel calcolo ramoso si deposita attorno alla corteccia spinosa del nucleo una materia bianca»).

lenitas ‘morbidezza, scarsa consistenza’ (2 occ.; 111) [TLL VII 2, 1148]

1.a. levitade f.: B («la sua levitade se requere azò che al fiza significato che la virtute paylita operi in quella») 28r 1.b. lieveçça f.: R («sengno di maturarsi secondo il suo conplimento sono inperciò ch’aparirà lieveçça apresso al luogo») 128r 1.c. ljeve agg.: V («requiere [scil. la marza] d’esere ljeve, azò che segnificha che la vertude deistiva uovra in esa»)295 28r 2. leneçça f.: R («la natura à potençia sopra quella et adomanda a quella leneçça») 60r 3.a. molleza f.: V («li segni de la maduracione par molle molleza in lo luogo della postumacione») 55r 3.b. mollificatione f.: B («apresso lo loco apparirà mollificatione e diminutione de la rosseza») 57v ▲ 1.a. Tale accezione non è attestata nel GDLI; voce presente da Crusca1, ma nell’accezione generica di ‘leggerezza’. Cf. Gualdo (1996, 261). 1.b. L’unica attestazione presente nel corpus OVI in tale accezione è il tosc.a. lievezza (d’umori) (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); voce presente da Crusca1. 1.c. Cf. GDLI (s.v. mollezza §6). 2. L’unica attestazione presente nel corpus OVI e nel GDLI (ma con un’accezione figurata) è il fior.a. lenezza (della vita) (ante 1334, Ottimo);

295 Lat.: requiritur eius lenitas.

voce presente solo in Crusca5. Cf. Elsheikh (2016 II, 194 s.v. lenità). 3.a. Prima attestazione: aret.a. mollezza (1282, RestArezzo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 217). 3.b. Prima attestazione: fior.a. mollificazione (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); voce presente da Crusca1. L’accezione primaria del termine, afferente piuttosto al ramo della terapeutica (‘l’atto di mollificare, di ammorbidire dei tessuti e parti dell’organismo’), è anch’essa documentata nel testo lat. di Bruno.

liquiditas ‘sostanza liquida’ (36) [TLL VII 2, 1482]

1. humiditade f.: B («se guardi da la assiduatione, zoè apositione, de li cosi molificativi, azò che la humiditade non se congregi in lo profundo») 9r 2. liquiditade f.: V («guardate de meter suxo molifichativi chontinuamente, azò che la so liquiditade no se suna in lo profondo») 10r ▲ 1. Cf. s.v. humiditas (2.b.). 2. Prima attestazione: venez.a. liquiditate (sq. Sec. XIV, LibroSanitate, TLIO s.v. liquidità); tre delle cinque occorrenze presenti in OVI provengono da contesti esplicitamente medici (appartenenti a CrescenziVolg e LibroSanitate), che confermano la dimensione prevalentemente specialistica del termine. Cf. la situazione del francese, dove il lat. liquidus «ist zuerst durch die Medizin entlehnt worden, ist aber bald allgemein gebräuchlich worden» (FEW 5, 371b); voce presente da Crusca1 (liquidità ‘astratto di liquido’). Cf. Tomasin (2010, 59).

livēre ‘illividire, avere colore scuro’ (105) [līveo TLL VII 2, 1543]

esere livido: V («lo luogo serà livido e atenderà a negrura chon dureza») 27r; essere livido: R 57r; venire livido: B 26v ▲ Cf. s.v. lividus.

II Fisiologia e patologia 

lividitas ‘lividezza, l’essere livido’ (121)

[Lemma assente in TLL e Forcellini; in Du Cange non registrata in tale accezione] lividità f.: R («cancro antico congnoscesi per la diversità del tempo per grande lividità e nereça») 65r; lividitade: B 30v ▲ Nel corpus OVI si rintracciano due sole occorrenze della voce: pad.a. lividitè (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 267); ben attestata è invece la forma corradicale lividore (cf. TLIO §1 ‘Colorito bluastro, pallore mortale. Colorito violaceo assunto dalla pelle (gen. come conseguenza di una contusione). Estens. Macchia di colore livido, ecchimosi’); voce assente in Crusca. Cf. Motolese (2004, 210), Elsheikh (2016 II, 198 s.v. livideza e lividore).

lividus ‘livido, di colore fosco, scuro’ (3 occ.; 83) [TLL VII 2, 1545]

livido agg.: R («el colore della carne dimostra miscolato overo livido») 46r, 57r; ~: V 22r, 27r; ~: B 21r, 26v ▲ Prima attestazione: tosc.a. livido (fine sec. XIII, TristanoRicc, TLIO §2); voce presente da Crusca1. Cf. FEW (5, 381a s.v. lividus: «Ins Gallorom. ist lividus nur als medizinisches Lehnwort aufgenommen werden»). Cf. Marcovecchio (1993, 510), Sboarina (2000, 231: termine attestato col valore di sost.).

lubricans ‘che scorre (detto delle humiditates dell’organismo)’ (2 occ.; 314) [lūbrico TLL VII 2, 1685]

1.a. che chore: V («S’el aviene che l’umero se deslongasse per umiditade che chore») 68v (2) 1.b. discorrente agg.: B («se al vegnia che lo dosso fiza dislocato per la humiditade discorrente [...]») 72v, 73r

 687

2. lubricante (lubrigante) agg.: R («aviene che ssi disluogli l’omero per l’umidità lubrigante») 169v, 170v ▲ 1.a. Numerose sono le perifrasi analoghe rintracciabili nel corpus ReMediA, fondate sul verbo correre e riferite allo scorrere di sostanze e liquidi fisiologici o patologici all’interno dell’organismo: cf., tra le altre, pad.a. (humidità) che core (fine sec. XIV, Serapiom; ancora, sempre in Serapiom: humore che core, anche all’interno di glossa esplicativa: humori fluidi over che core); tosc.a. (humori) che correno (sec. XIV, MaestroBartolomeo). 1.b. Cf. s.v. ambulare (2.) e apostema ambulativum (2., s.v. ambulativus). 2. Nel corpus OVI non si rintracciano attestazioni della forma participiale usata col ruolo di aggettivo: con accezioni affini si hanno però gli agg. ┌lubrico┐ e ┌lubricativo┐; voce presente solo in Crusca5. Il GDLI registra lubricante nell’accezione specifica e più tarda di ‘emolliente, lassativo’ (ante 1771, G. Morgagni). Cf. Motolese (2004, 210: lubrico).

lubricitas ‘l’essere lubrico, scivoloso’ (179) [TLL VII 2, 1685]

1. biusgamento m.: B («lo medico unza le sue mane cum alcuno oleo azò che ello lo aydi in la lubricitade, zoè biusgamento») 44r296 2. lubricitade f.: B (cf. supra 1.) 44r; lubrigità: R 96r 3. menar vb.tr.: V («onza lo miedego chon la man con alguno oio azò che sia utelle a lo menar del brazo»)297 42r ▲ 1. Voce non attestata nel corpus OVI e di probabile diffusione quattrocentesca in area

296 Voce adottata come glossa di lubricitade (cf. 2.). 297 Lat.: inungat restaurator manus suas cum oleo aliquo ut siat adiutorium in lubricitate.

688 

 6 Glossario

lombarda. IL LEI (VI, 291) ricostruisce una base di partenza *blic-/*bric-; *blidz-/*biz-; *blöts-/*brots-/*bluts-/*bruts- ‘scivolare’, e aggiunge: «Meyer-Lübke aveva gia supposto la base onomatopeica bliš- per le forme italiane e friulane» (VI, 298); sempre il LEI registra anche il sost. emil.or. (ferrar.) sblisgament m. ‘sdrucciolamento’. Si veda ancora: biuscha (Lamento Bernabò Visconti, in Musatti 1985, 42); Tiraboschi (1873): bisgà, bösgà, biösgà, blisgà ‘sdrucciolare, scorrere’; per il bresc., cf. Pellizzari (1759): biuscà (‘sguizzare’); biusgà si legge anche nel glossario latino-bergamasco quattrocentesco edito da D’Agostino (1983, 90). 2. L’unica attestazione (anch’essa proveniente, peraltro, dall’àmbito medico) ricavabile dal corpus OVI è il pad.a. lubricitè (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); cf. anche tosc.a. lubricità (sec. XIV, MesueVolg, TLIO s.v. lubricità); voce registrata a partire da Crusca3. 3. Cf. GDLI (s.v. menare §22 ‘lasciare defluire, far scorrere, fare passare o entrare [un liquido, una massa d’acqua ecc.]; far scorrere o muovere in un senso determinato’).

lupus ‘uno dei tre tipi fondamentali di cancro’ (5 occ.; 121)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. herpes esthiomenus] lupo m.: V («lo chanchro anchora [...] altri si dixe nolli me tangiere, l’altro è dito lupo») 30r (3); ~: R 65r (3), 65v; ~: B 30v (5) ▲ Voce usata con accezioni diverse nel lessico patologico medievale, e incorsa presto in una sostanziale confusione terminologica: è spesso considerato termine comune per indicare l’herpes estiomenus (cf. s.v.), a sua volta di complessa identificazione, ma corrispondente probabilmente alla patologia oggi definita ‘lupus eritematoso sistemico’ (GDLI §16). Cf. Guglielmo da Saliceto, che considera popolare la forma femminile lupa (per la quale, cf. GDLI §10): l’herpes esthiomenus, infatti, «appellatur a laycis,

ex modo suae corrosionis et deambulationis, lupa» (Altieri Biagi 1970: 12). Per Bruno, invece, la forma maschile lupus, evidentemente accostatasi a quella greca anche in ambiente cólto, è voce usata dagli stessi magistri: «Et cancer etiam distinguitur a magistris secundum diversitatem specierum, quoniam, ut volunt, alius dicitur noli me tangere et alius lupus»; come si ricava dal passo citato, tuttavia, Bruno rientra tra quelli che assimilano il lupus a una tipologia particolare di cancro. Analogamente, tra le tipologie tumorali, il termine è adottato ancora nel corso del Settecento (cf.: de Lisle 1775, 14: «il cancro [...] che viene alle gambe si chiama lupo oppure il cancro acquatico degli Olandesi; quest’ultima specie s’osserva più frequentemente nei vecchi»). Cf. McVaugh (1997, 72), che riporta le discordanti terminologie adottate dai maggiori medici del tempo (si osservi, in particolare, il passo di Lanfranco da Milano ivi citato, ove affiora la spiccata sovrapposizione semantica del termine: «hanc [aliam] egritudinem quidam vocant cancrum, quidam lupum, quidam Franci malum nostrae Domine, quidam vero Lumbardorum ignem sanctii Antonii, quidam herisipilam manducantem»). Il TLIO non segnala accezioni mediche per il sost. f. lupa, mentre per il m. lupo (§3) registra anche l’accezione patologica ‘sorta di ulcera’ (venez.a. lupo: sq. sec. XIV, LibroSanitate); voce assente anche in Crusca. Cf. fr.a. leu ‘ulcère rongeant’, in FEW (5, 460b s.v. lupus). Cf. Altieri Biagi (1970, 91), Marcovecchio (1993, 516), Tomasin (2010, 59).

macula ‘maglia, alterazione circoscritta del colorito della pupilla’ (194) [TLL VIII, 25]

machulla f.: V («quando l’aviene li hochi rossi o machulla o inflaxon, alora aduovra chotal zirogia») 45r; macula: B 47r ▲ Prima attestazione: fior.a. macule (degl’occhi) (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI);

II Fisiologia e patologia 

voce presente da Crusca1 (s.v. maglia ‘per quella macchia ritonda a guisa di maglia, generata nella luce dell’occhio, alla quale i medici dicono in lat. onyx’, gr. ὄνηξ ὄνυξ’). Cf. GDLI (s.v. macula §2), DEI (III, 2305), FEW (6/1, 13a: maille ‘taie qui se forme sur la prunelle de l’oeil’), Ineichen (1966, 267), Marcovecchio (1993, 521), Zarra (2018, 613 s.v. maqula).

malitia ‘malattia, patologia’ (13 occ.; 51) [TLL VIII, 187]

1.a malicia (malicie; mallicia; mallizia) f.: V («se die tornare a churare la soa malicia del figado e de la splenza») 14v, 25v (2), 26r (2), 27v, 53r, 56r; malicia: B 13r (3), 24v, 25r (2), 25v (2), 27v, 55v, 59r, 66r, 66v; malitia (malizia): R 28v (2), 52r, 53r, 53v, 54r (2), 58v, 123r, 131v, 147r, 149r,298 170r 1.b. mallatia f.: V («la qual chossa se chognose per la mallatia dell’enfiaxon del chorpo per la soa malla forma») 14v ▲ 1.a. Le attestazioni più antiche ricavabili dal corpus OVI hanno per lo più l’accezione di ‘azione malvagia, malvagità’; in quella di ‘infermità, malattia’, il termine è testimoniato almeno dalla fine del Duecento (fior.a. malizia, TesoroVolg); presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 242), Gleßgen (1996, 615), Gualdo (1996, 104), Motolese (2004, 215), Tomasin (2010, 59), Castrignanò (2014, 190), Elsheikh (2016 II, 202). 1.b. Cf. s.v. aegritudo (6.b.).

mania ‘alterazione mentale’ (2 occ.; 295) [Forcellini III, 172]

1.a. mania f.: V («azò che a l’infermo non vegna azidente nesuno, sì chomo è itropexia o tixego o mania») 65r; ~: B 69r, 72v

298 Ms.: nalitia.

 689

1.b. smania f.: V («Contra smania e mellenchonia fazase chauterio sul chavo») 68v ▲ 1.a. Il lat. tardo mania viene dal gr. μανία. Prima attestazione: mant.a. mania (1299/1309, Belcalzer, TLIO); voce presente da Crusca3. Cf. Marcovecchio (1993, 526). 1.b. Deverbale da smaniare, per il quale si tende oggi a escludere una derivazione da mania o da un lat. tardo *exmanīare, com’era ipotizzato dal DEI (V, 3515); cf. DELIN, 1541 e Nocentini (2010, 1123), che propendono per la seconda ipotesi di G. Alessio, presupponendo cioè una derivazione dal lat. *imagināre. Prima attestazione: venez.a. smania (1310/30, ZibaldoneCanal, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 278), Zarra (2018, 613).

masticatio ‘movimento ritmico delle mascelle per la triturazione del cibo’ (173)

[TLL VIII, 432]

1. bias[are] vb.tr.: B («E lo cibo de lo infirmo sia sorbille e lezero, azò che al non besogni fir biasato»)299 42v 2. masteg[are] vb.tr.: V («manzi lo infermo chose da sorbire azò ch’elo no mastega»)300 41r; masticare: R 92v ▲ 1. Da un probabile lat. parl. *blassiāre, di natura onomatopeica, si ha l’it. biasciare (DELIN, 210; Nocentini 2010, 120; TB: ‘È il masticar di chi non ha denti, che non può romper il cibo’), qui oggetto di consueta assibilazione della fricativa postalveolare. Prima attestazione: mil.a. biassan (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO); cf. LEI (s.v. *blassiare); biasciare è presente da Crusca1, ma con rimando a masticare. Pellizzari (1759): biasà.

299 Lat: sit cibus infirmi sorbilis et levis ut non indigeat masticatione. 300 Lat.: ut non indigeat masticatione.

690 

 6 Glossario

2. Prima attestazione: mastegar (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 530), D’Anzi (2012a, 343).

melancolia ‘secondo la teoria umorale ippocratica, uno dei quattro umori dell’uomo, caratterizzato da eccesso di bile nera e ritenuto responsabile della tristezza’ (13 occ.; 105)

[melancholia TLL VIII, 611; cf. → melancolia adusta (s.v. adustus)]

1.a. homore malanconico m.: R («non bisongna pilglare la tua cura col ferro inperciò che sono d’omore malanconico») 115r 1.b. malanconia f.: R («sia data geralogodyon vero altre cosa con che si purghi la malanconia») 57v (2), 64v, 66v, 116r, 126r (2), 132r, 132v, 133r, 155v, 169r; melancolia: B 27r, 30r (2), 56v, 59r, 59v (2), 69r, 72v; melanconia: B 26v, 52r, 52v, 56v; mellenchonia (melenchonia, melinchonia): V 27r (3), 30r, 50r, 54r, 56v (2), 57r, 65r, 68v ▲ 1.a. Locuzione ampiamente attestata nel corpus OVI. Prima attestazione: mant.a. humor melanconic (1299/1309, Belcalzer, OVI). 1.b. Il lat. di Bruno presenta solo la forma dotta melancolia (dal gr. μελαγχολία): l’accostamento paretimologico di μέλας ‘nero’ a male è però già tardo latino (Du Cange registra entrambi i lemmi separatamente); REW (§5470); FEW (6/1, 655a); DELIN, 916: «il passaggio dalla terminologia della medicina all’uso comune non è così preciso e attraversa una serie fittissima di sfumature fino ad arrivare, in epoca preromantica e romantica, al senso attuale». Prima attestazione: fior.a. malinconia (ante 1274, LatiniTesoretto, TLIO); malinconia è già in Crusca1, melancolia solo in Crusca4,5. Cf. Nystedt (1988, 244), Marcovecchio (1993, 539), Sboarina (2000, 210), Aprile (2001a, 391), García Gonzáles (2007, 477), Mazzeo (2011, 309), D’Anzi (2012a, 346), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 202).

melancolicus ‘caratterizzato dalla prevalenza di umore melancolico’ (2 occ.; 119)

[melancholichus TLL VIII, 611]

1.a. de la melanchonia: V («da la parte dentro si è per l’umor de la melenchonia adusta») 30r 1.b. formato di malanconia: R («none apparecchiare nulla, inperciò ch’è formata di malanconia e none riceve cura») 114r 1.c. melancolic[o] agg.: B («Cancer [...] è apostema calida de melancolia adhusta da la materia colerica o in la quale è brusata la materia melancolica») 30r; melanconico: B 51r; mellenchonicho: V 49r ▲ 1.a., 1.b. Cf. s.v. melancolia (1.b.). 1.c. Il lat. melancholicus (§REW §5471; FEW 6/1, 655b) viene dal gr. μελαγχολικός. Prima attestazione: mant.a. melanconica (Belcalzer, TLIO); parimenti a quanto si osserva per i rispettivi sostantivi malinconia e melancolia (cf. s.v. melancolia), malinconico è già in Crusca1, mentre la forma dotta melancolico è solo in Crusca4,5. Cf. Nystedt (1988, 244), Marcovecchio (1993, 539), Sboarina (2000, 211), Aprile (2001a, 391), Gleßgen (1996, 618), Mazzeo (2011, 309), D’Anzi (2012a, 341), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 202). ♦ Loc. e collocazioni: – apostema melancolicum (2 occ.; 119) 1. apostema calida f.: B («Cancer, como dice Avicena, è apostema calida de melancolia adhusta da la materia colerica») 30r 2.a. aposteme malinconico m.: R («Della cura dell’aposteme caldo malinconico») 127r; apostema melanconico: B 57r; apostiema melenchonica f.: V 29v ▲ 1. Cf. apostema calidum (s.v. apostema). 2. Cf. fior.a. postema melanconica (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); pad.a. apostematiom mellancolica (fine sec. XIV, Serapiom, OVI).

II Fisiologia e patologia 

– humor melancolicus (119) 1.a. humore melanconico m.: B («quello humore melanconico corrupto mandato a lo membro») 30r; umore malinconico: R 64r 1.b. umor de la melenchonia: V («da la parte dentro si è per l’umor de la melenchonia adusta») 30r ▲ 1.a. Cf., tra le più antiche attestazioni ricavabili dal corpus OVI, tosc.sud-or.a. humore malencolico (ante 1298, Questioni); mant.a. humor melanconic (1299/1309, Belcalzer). Cf. Motolese (2004, 220). 1.b. Cf. s.v. melancolia (1.b.). – sanguis melancolicus (2 occ.; 124) sangue melanconico m.: B («tuto quello sangue spisso e melanconico vegnia fora») 31r, 68v; sangue melenchonicho (sangue mellenchonica f.): V 30v, 65r; sangue melenconico: R 154r ▲ Cf., tra le più antiche attestazioni ricavabili dal corpus OVI, fior.a. sangue malinconoso (1310, BencivenniSantà, OVI); sen.a. sangue malinconico (pm. sec. XIV, BestiarioVolg). Locuzione discretamente attestata anche nei secoli successivi, come si ricava da GoogleLibri (cf. tra gli altri, ancora nel Settecento, Rotario 1762, 102: «ho perduto quanto fin’ora ho detto, se per ultimo non dimostro, che queste bestiole [scil.: sanguisughe] non cavano fuori il sangue malinconico»). Cf. Motolese (2004, 220), Tomasin (2010, 59), D’Anzi (2012a, 341). – ulcus melancolicum (2 occ.; 99) 1.a. ferita antica malanconic[a] f.: R («le ferite antiche [...] malanconiche non si possono sanare») 54r; ferita de malanconachi: R 54r 1.b. ulceratione melanconica f.: B («la carne dura fi facta per la più parte in li ulcerationi melanconici») 25r (2) 1.c. ulzera melenchonicha f.: V («Fursi le ulzere melenconiche non se saneno301») 25v

301 Ms.: saseno.

 691

▲ 1.a. Per la loc. ferita antica come traducente del lat. ulcus, cf. s.v. ulcus. 2.a., 2.b. Non si rinvengono locuzioni analoghe nel corpus OVI e ReMediA; cf., più tardi, Dalla Croce (1583, III, 34v: «suole nascere nella faccia [...] un tumoretto [...] e divien ulcera melancolica»).

menstrua ‘ciclo mestruale, mestruazioni’ (90)302 [TLL VIII, 756]

menstrui f. pl.: B («li altri doni in li quali fizeno retenuti li menstrui») 23r ▲ Il lat. dotto mĕnstruum ‘mensile’ (sottinteso ‘flusso’) è propriamente agg. di mēnse(m) (DELIN, 969); FEW: 6/1, 716a: «Es wird seit Plinius (besonders auch in der Vulgata und bei Augustin) adjektivisch auch auf die Menstruation bezogen». Prima attestazione: fior.a. menstrue (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); voce presente da Crusca1 (mestruo). Cf. Altieri Biagi (1970, 95), Nystedt (1988, 254), Marcovecchio (1993, 543), Gualdo (1996, 106), Motolese (2004, 221), García Gonzáles (2007, 478), Green (2009, 402), Mazzeo (2011, 310), D’Anzi (2012a, 349), Elsheikh (2016 II, 213).

mollities ‘mollezza, morbidezza (di membri, di tessuti organici)’ (8 occ.; 5)

[Du Cange V, 448b]

1. dolceza f.: B («una è per la remanentia de la virtude de lo sperma, zoè de la somenza virile, l’altra è per la dolceza de l’osso») 3v (2) 2.a. moleza (molleza) f.: V («chusì à in si contrariatade, molleza e dureza») 3r, 4v, 5r, 14v, 27r, 31r, 52r, 61r; mollezza (molleçça): R 3r, 29v, 56v, 67v 302 R restituisce la lezione cose mescolate (c.  49v), che sembrerebbe essere un errore indotto dall’incrocio (forse già nell’antigrafo latino) con le forme del verbo miscēre.

692 

 6 Glossario

2.b. molle agg.: R («le vene e i polsi sono medij fra duro e molle») 6r 2.c. mollicie f.: B («enno differente in la contrarietade de le qualitate, zoè in mollicie e dureza») 2r, 13r, 26v, 31v, 54r, 63v 3. tenereza f.: B («el appare mollicie, zoè tenereza, et asé marza e grossa») 13r, 54r303

3. morbo m.: R («non si cura né non sana al postutto, ançi la sua curatione si testifica Ypocras overo sono modis overo è morbo») 97v; ~: B 15v 4. nogumento m.: V («tu die aidar el menbro chon lo suo simille [...] azò ch’el possa pì potentemente defenderse dal suo nogumento») 17r

▲ 1. Non si attesta nel TLIO (s.v. dolcezza) l’accezione qui considerata. 2.a. Prima attestazione: aret.a. mollezza (1282, RestArezzo, OVI); voce presente da Crusca1. 2.b. Prima attestazione: venez.a. molle (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI); voce presente da Crusca1 (‘morbido’). 2.c. Prima attesazione: fior.a. molliçie (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); voce presente da Crusca3 (s.v. mollizie). Cf. Marcovecchio (1993, 558), Aprile (2001a, 405), D’Anzi (2012a, 351), Elsheikh (2016 II, 217). 3. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. tenereçça (ante 1298, Questioni, OVI); voce presente da Crusca1. Gualdo (1996, 287) pone tenereza tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola.

▲ 1. Cf. s.v. infirmitas (1.). 2.a. Cf. s.v. aegritudo (6.a.). 2.b. Cf. s.v. aegritudo (6.c.). 2.c. Cf. s.v. aegritudo (6.b.). 3. Prima attestazione: mil.a. morbi (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); voce presente da Crusca1 (ma nell’accezione di ‘peste’ e come corrispettivo del lat. foetor; solo da Crusca3 si appone anche la definizione di ‘malattia’, e il corrispettivo lat. morbus). Cf. Marcovecchio (1993, 560), Gleßgen (1996, 615), Aprile (2001a, 406), Barbato (2001a, 438), Green (2009, 402), D’Anzi (2012a, 352). 4. Prima attestazione: nap.a. nocumento (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, OVI); voce presente da Crusca1.

morbus ‘malattia, grave affezione’ (4 occ.; 2) [TLL VIII, 1478]

1. infirmitade f.: B («lo medico cum summa diligentia può subvenire a le casone de le infirmitade») 1v, 6v (2), 15v,304 44v, 68r 2.a. male m.: R («inperciò ch’è lla intençione nostra acciò che ’l male sia curato») 35r (2), 153r 2.b. malitia f.: R («puote lo medico sovenire alle cagioni delle malitie») 1v, 14v 2.c. mallatia f.: V («podemo remover la mallatia») 2v, 64v

303 In entrambi i casi come glossa di mollicie (cf. 2.c.). 304 Voce adottata come glossa di infirmitade (cf. 1.).

mordicatio ‘proprietà corrosiva o disseccativa di certe sostanze; bruciore o forte prurito’ (18 occ.; 42) [TLL VIII, 1487]

1. coroditade f.: B («maximamente se lo infirmo sente coroditade et arsura manifesta») 23r 2.a. mord[ere] vb.tr.: V («mete ij parte de mielle [...] azò che non morde chuxì forte»)305 24v 2.b. mordicamento m.: R («la ferita sente mordicamento et manifesta arsura») 50r 2.c. mordicatione f.: R («le ferite non si lavano per altra ragione se none acciò che l’acquosità e la mordicatione si perdano») 23v (2), 34r (2), 40v, 47r, 51r (3), 63v, 73v, 74r, 158r, 172r; ~ B 10v (2), 15r (3), 18v, 22r (2), 23v (2), 24r, 29v, 34v (3), 73v; mordichacione: V 12r, 16v (2), 17r, 20r, 23r, 24r, 24v, 29v, 33v (2), 69r

305 Lat.: ut allevietur mordicatio.

II Fisiologia e patologia 

2.d. mordich[are] vb.tr.: V («convien sollamente saldare con chose che non mordicha»)306 23r 2.e. mordichativo agg.: V («non sia tropo mordichativo la dieta dello infermo»)307 34r ▲ 1. Voce assente nei repertori consultati e non rintracciata altrove. 2.a. Cf. GDLI (s.v. mordere §3 ‘intaccare, corrodere, attaccare’ e §10 ‘irritare, infiammare’). 2.b. Deverbale da mordicare con suffisso -mento. Prima attestazione: fior.a. mordicamento (uq. sec. XIII, RicettariMedici, TLIO §1 ‘sensazione di irritazione, bruciore o prurito su una parte del corpo’; ma cf. anche §2 ‘azione corrosiva’, accezione documentata in CrescenziVolg); voce presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 219: ‘corrosione’). 2.c. Le prime attestazioni registrate dal TLIO (s.v. mordicazione, rispettivamente nelle due accezioni di §1 ‘azione o proprietà corrosiva di un umore, di un semplice o composto, di un decotto’ e §1.2 ‘sensazione dolorosa, corrosiva e pruriginosa su una parte del corpo’) sono: venez.a. mordicacion/mordicatiom (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. mordicatione (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg); voce attestata dal GDLI fino al Dalla Croce (1583), ma rintracciabile ancora in molti dizionari ottocenteschi (cf., tra gli altri, Palma 1875, 190: «Morsura, per Mordicazione o Acrimonia che provano certe parti del corpo a cagione di malattia»); presente da Crusca1; FEW (6/3, 129b). Cf. Ineichen (1966, 253), Motolese (2004, 224), Tomasin (2010, 61), Elsheikh (2016 II, 219). 2.d. Dal lat. mordicāre (TLL VIII, 1487); sia il verbo mordicāre sia la forma base mordēre sono «usati ancora nel VI, VII sec. solamente in senso medico» (DEI IV, 2507), e sempre l’accezione medica rimane primaria anche per l’it.a. mordicare. Cf. pad.a. mordica (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO §1 ‘provocare un’azione

306 Lat.: indigent tantum ut consolidentur cum eo quod mordicationem non habet. 307 Lat.: sit ex medicinis mordicationis levioris.

 693

astringente sulla lingua’ e §2 ‘provocare un’azione astringente su una parte del corpo a scopo terapeutico’); pis.a. > fior.a. mordicate (1302/08, BartSConcordio, TLIO §2.1 ‘esercitare un’azione dolorosa su una ferita per risanarla’); voce presente da Crusca1. Cf. Sboarina (2000, 277), Elsheikh (2016 II, 219). 2.e. Le 18 occorrenze rintracciabili nel corpus OVI appartengono tutte al Serapiom (pad.a., fine sec. XIV; cf. anche TLIO s.v. mordicativo); voce presente da Crusca3; cf. Gualdo (1996, 105). Si veda il fr.a. mordicatif ‘corrosif, irritant’ (FEW 6/3, 130a). Cf. s.v. mordicativus (1.b.).

mordicativus ‘che provoca bruciore’ (294) [TLL VIII, 1487]

1.a. che mord[a]: R («cristeriza lo infermo cogli cristeri un poco che mordano») 154v 1.b. mordifichativo agg.: V («christeriza chon chosse mordifichative dentro») 65r ▲ 1.a. Cf. pad.a. che mordica (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). 1.b. Al pari del sinonimo mordicativo (cf. s.v. mordicatio 2.e.), l’unica testimonianza presente nel corpus OVI (con una singola occorrenza) è il pad.a. mordificativi (fine sec. XIV, Serapiom); voce registrata solo in Crusca5.

motus involontarius ‘movimento non controllabile dall’individuo e indotto da stati naturali o patologici’ (320) [involontarius Forcellini II, 931]308

movimento no voluntario m.: B («lo movimento non voluntario de li denti sopravegniarà per la constrictione») 74v

308 I due esempi riportati da Forcellini rimandano entrambi al lessico medico: Urinae involuntaria emissio; Involuntaria lacrimatio.

694 

 6 Glossario

▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI. La polirematica giunge al lessico contemporaneo della fisiologia.

motus voluntarius ‘movimento indotto da meccanismi neurali che permettono all’individuo di scegliere i muscoli atti a espletare una specifica funzione’ (48)

[La voce voluntarius è assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini] 1.a. movimento de vollontade: V («li muscholli è chonponudi de charne e de nervi e de ligamenti, e si è instrumenti de movimento de vollontade») 13v 1.b. movimento voluntario m.: B («li musculi, zoè li bludoni, [...] sono instrumenti de li movimenti voluntarij») 12r 1.c. volontà nei movimenti: R («moscoli sono composti di carne et di nerbo uno legamento, e sono stremità di volontà ne’ movimenti») 27r ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Non si rintracciano locuzioni analoghe nel corpus OVI, se si esclude il fior. voluntari movimenti dell’anima, che presenta però un’accezione figurata (1322/32, AlbPiagentinaBoezio; cf. anche volontario movimento d’animo: ante 1334, Ottimo). Nel Quattrocento e in contesto medico, cf. D’Anzi (2012a, 424: moto voluntario). La polirematica giunge al lessico contemporaneo della fisiologia.

ritenuta poco persuasiva dal DELIN, 1027; DEI (IV, 2553): «la v. è d’area settentrionale, dove ebbe naturale sviluppo semantico». L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il fior.a. natta (1390, Pataffio, OVI); voce presente da Crusca1, ma con rimando al termine giarda (‘Malattia, che vien nella giuntura, sopra l’unghia al cavallo, che noi oggi appelliam giardoni’). Entrambe le voci, peraltro, accanto al senso patologico sviluppano anche quello di ‘beffa, burla’ (TB s.v. natta ‘Beffa, Burla. Forse dal dolore e dallo sfregio che portano le nascenze’). La voce natte entra solo molto più tardi in francese, anche per possibile tramite dell’italiano (FEW 21, 425a s.v. tumeur). Cf. Altieri Biagi (1970, 99), Tomasoni (1986b, 237).

nausea ‘sensazione di malessere che si manifesta tramite desiderio di vomitare, sudorazione e salivazione eccessiva’ (47) [TLL IX 1, 247]

nausea f.: B («E quello che ha la piaga in lo ventre, zoè in lo stomacho, el ge vene nausea, zoè appetito de butare suso e non buta»)309 11v; nausia: V 13r

nata f.: V («de una superfluitade la qual chomunamente vien dita nata») 44r, 59v (3), 60r; ~: B 46r, 62v (5); natta: R 101v, 138v (2), 139r (2)

▲ Voce di derivazione greca (ναυσία ‘mal di mare’), scarsamente attestata nel corso del Trecento. Prima attestazione: pad.a. nausea (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; la forma nausia si ha nel pad.a. di Serapiom e nel sic.a. di ThesaurusPauperumVolg: cf. TLIO s.v. nausea); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 270), Nystedt (1988, 247), Gualdo (1996, 111), Motolese (2004, 231), Green (2009, 403), Mazzeo (2011, 310), D’Anzi (2012a, 354), Castrignanò (2014, 194), Elsheikh (2016 II, 224).

▲ Il lat. nacta presente in Bruno deriva da un precedente lat. volg. *apta(m), a sua volta dal gr. ἄϕϑα ‘pustola’, con n- iniziale proveniente dall’art. indet., secondo la proposta di G. Alessio accolta da Nocentini (2010, 744), ma

309 Si noti la glossa esplicativa «zoè apetito de butare suso e non buta».

nacta ‘cisti’ (6 occ.; 190) [Du Cange V, 566a]

II Fisiologia e patologia 

 695

nervosus ‘relativo ai nervi; costituito da nervi’ (16 occ.; 14)

nero (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI).

nervoso (nerbos[o] 27v, 78v) agg.: R («alla fiata viene la ferita sopra lo suo osso nervoso») 7r, 17r, 43v, 44v, 56r, 63r, 66v (2), 67r, 104v (2), 105r, 105v, 128v, 142v; ~: B 4r, 8r, 11v, 12v, 20r, 20v, 26r, 29v, 31r (3), 47v (4), 57v, 64v; nervoxo (nervuox[o]): V 5r, 9v, 13r, 13v, 21v (2), 26v (2), 29r, 29v, 30v, 31r (2), 45v (3), 55v, 61v

nigredo ‘colorazione nera, molto scura, fosca’ (19 occ.; 85)

[Forcellini III, 362]

▲ Prima attestazione: mil.a. nervosa (1270– 80, BonvesinVolgari, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Motolese (2004, 231), D’Anzi (2012a, 355), Elsheikh (2016 II, 225 s.v. nerboso e nervoso). ♦ Loc. e collocazioni: – aegritudo nervosa ‘malattia che inte­ ressa i nervi’ (318) 1.a. infirmitade nervosa f.: B («Spasmo, como dice Avicena, è una infirmitade nervosa») 73v 1.b. chossa che viene dai nervi: V («Spaxemo è una chossa che viene, chomo dixe Avizena, dai nervi») 69v ▲ Nel corpus OVI non si rinvengono testimonianze dell’uso dell’agg. ┌nervoso┐ in relazione ai sostantivi infermità, malattia, morbo (e simili); cf., però, Nystedt (1988, 248 s.v. nervoso: egritudine nervose); in epoca contemporanea s’imporrà il riferimento agli aspetti psichici e mentali della patologia.

niger ‘di colore fosco, molto scuro’ [Du Cange V, 592b]

♦ Loc. e collocazioni: – sanguis niger (45) sangue nero m.: R («La ferita ch’è nel cuore ch’è ferito n’esce sangue nero») 25v; sangue negro: V 12v; sangue nigro: B 11v ▲ Cf. tosc.occid.a. sangue nero (1290–1310, PiangereAmoroso, OVI); fior.a. sangue (n’uscerà)

[Forcellini III, 368]

1.a. chollor negro m.: V («lo rossor del flemone o declina310 in chollor verde o in chollor negro») 53v 1.b. negro agg.: V («quello ch’è negro»)311 53r, 54r (2) 2. foscheza f.: V («chanzer si è gran dureza e foscheza e negrura senza sentimento») 52r312 3.a. negreza f.: V («è alchuna chossa aglazada e blancha over che declina a negreza») 22v; nigreza: B 21v, 25r, 26v, 28v, 30v, 32r (3), 34v (3), 54r, 55v (2), 56r, 57r, 63v 3.b. negrura (anegrura) f.: V («lo luogo serà livido e atenderà a negrura chon dureza») 27r, 31v, 34r (3), 52r 3.c. nereçça f.: R («sorditia [...] è cosa ragunata e biancha overo à nereçça») 46v, 57r, 61v, 65r, 68r (2), 68v, 74r (3), 120v, 123r, 124r, 125r, 127r 3.d. nero agg.: R («è da essere nera»)313 54r ▲ 1.a. Prima attestazione: tosc.a./faent.a. negro color (sm. sec. XIII, TommFaenzaTenzoneCino, OVI). 2. Non si hanno attestazioni di foschezza nel corpus OVI e in ReMediA; voce assente in Crusca. La prima testimonianza riportata dal GDLI risale soltanto al Seicento (1665, G. D. Cassini). Cf. Gualdo (1996, 95: fusco). 3.a. Prima attestazione: mil.a. negreza (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); voce presente solo in Crusca5. Cf. Sboarina (2000, 234), Aprile (2001a, 413).

310 Ms.: o del declina. 311 Lat.: quod ad nigredinem declinat. 312 Voce costituente una dittologia insieme a negrura (cf. 3.b.). 313 Lat.: est tendens ad nigredinem.

696 

 6 Glossario

3.b. Nel corpus OVI si leggono due sole attestazioni di area settentrionale: a) lomb.a. negrura (sec. XIII, Disputatio); venez.a. negrura (sq. sec. XIV, LibroSanitate; Tomasin 2010, 62); voce assente in Crusca. 3.c. Prima attestazione: pis.a. > fior. nerezza (1302/08, BartSConcordio, OVI); voce presente da Crusca1.

nitrosus ‘nitroso, contenente nitro’ (2 occ.; 17) [Forcellini III, 377]

1. nitros[o] agg.: R («la marcia è nitrosa e corrossiva») 9r; nitros[o]: B 4v314 2. sals[o] agg.: V («la marza è salsa, choroxiva e chossa molto chontraria la chonsolidacion») 6r ▲ 1. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il fior.a. nitrose (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI; peraltro, l’agg. nitrose forma qui un’endiadi con salse [«acque salse e nitrose»], traducente usato da V: cf. 2.); DEI (IV, 2590): «il fr. nitreux risale a Brunetto Latini» (cf. FEW 7, 152b); voce presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 127), Mazzeo (2011, 317), Castrignanò (2014, 203). 2. Prima attestazione: lucch.a. salse (metà sec. XIII, BonagiuntaOrbicciani, OVI); voce presente da Crusca1.

nocumentum ‘il nuocere e il suo risultato’ (17 occ.; 18)

[Du Cange V, 600c; cf. → nocumentum extrinsecum (s.v. extrinsecus)] 1. cosa da nuocere: R («inançi ch’avengnano cose da nuocere») 89r 2. insurimento m.: V («lo fuogo [...] non fa insurimento ad altri menbr») 68r 3.a. male m.: B («al non ye vegnia quello male che non se possi emendare») 54v

314 Con l’accompagnamento della seguente glossa: «zoè habiando sapore de sale».

3.b. malo azidente m.: V («el vignerà mali azidenti a lo infermo») 41r 4. nocimento m.: R («essa [scil.: medicina] sana la piaga et ingenera la carne perduta sanza niuno nocimento») 9r, 16r, 29v, 50v, 72r, 87r, 92v, 106r, 107r, 137v, 168r; nocumento (nocimento): B 4v, 8v, 13v, 15r, 23v, 28r, 28v, 33r, 33v, 34v (2), 39v, 40v, 42v, 46r, 48r, 48v, 59r, 62r, 72r; noximento: V 6r, 15r, 16v, 24r, 24v, 27v, 28r, 33r, 34v (2), 39v, 46r, 59r ▲ 1. Cf. fior.a. cose che nuocere potese (1310, BencivenniSantà, OVI); fior.a. cose che nuocere possono (ante 1292, GiamboniLibroViziVirtudi, OVI). 2. Voce di etimo incerto: Spitzer (1920, 128), registrando il sost. insurimento ‘tedio, noia, rincrescimento’ a Rovigno, nonché la voce verbale del venez. insurir ‘annoiare’, collegava entrambi i termini al lat. esurire ‘aver fame’ (cf. REW §2918a; FEW 3, 247b: «lebt sonst noch in Oberitalien und Sardinien»), da cui si sviluppa il senso più generico di ‘procurare fastidio’. Prima attestazione: rag.a. insurimento (1292–1305, LetteraPietroBerco, OVI); molte occorrenze si trovano poi in EsopoVolg (ven.a., XIV sec., OVI). Cf. Boerio (1856 s.v. insurimento ‘noia, fastidio’), Cortelazzo (2007, 667 s.v. insorìr ‘infastidire, annoiare’), Dotto (2008, 467: insurire ‘patire la fame’). 3.a. Cf. s.v. aegritudo (6.a.). 3.b. Cf. accidens malum (s.v. accidens). 4. Prima attestazione: lucch.a. nocimento (metà sec. XIII, BonagiuntaOrbicciani, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 414), Elsheikh (2016 II, 227).

nodositas ‘aspetto nodoso di un organo o di una sua parte; nodulo’ (5 occ.; 101)

[Assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. nodus]

1.a. nodo m.: V («Fistolla si è ulzera profonda e streta chon nodi e chon dureza») 26r, 37r (2), 59r

II Fisiologia e patologia 

1.b. nodosità (nodisità) f.: R («La fistola si è nella ferita anticha molto al profondo molto angoscevole con nodosità») 55r, 136v (2); nodositade: B 25v, 38r, 61v (2) ▲ 1.a. Cf. s.v. nodus. 1.b. Nel corpus OVI si rintraccia un’unica attestazione, in cui il termine è adottato, però, con riferimento al legno delle piante (fior.a. nodosità: pm. sec. XIV, CrescenziVolg): nello stesso significato la voce è presente da Crusca3 (‘la durezza del legno, ch’è intorno al nodo’), dove si riporta anche un contesto medico, affine al nostro e indicato come frutto di similitudine rispetto al valore primario («Impiastro del figliuolo di Zaccaría, che ammorbida la durezza, e la nodosità delle giuntúre»: Volgarizzamento della Consolazione delle medicine semplici del Bencivenni, in un ms. appartenuto al Redi; potrebbe dunque trattarsi di un falso rediano); DEI (IV, 2594: ‘callosità per concrezioni calcaree alle giunture); cf. Marcovecchio (1993, 582).

nodus ‘nodulo, tumefazione circoscritta’ (7 occ.; 250)

[Voce assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. nodositas]

nodo m.: R («doppo la restoratione della rottura aviene che alcuna volta el menbro nel suo nodo pute») 81r, 81v, 131v, 132r, 136v (4), 137r; ~: V 56v (2), 58v (4), 59r; ~: B 59r (2), 61v (5)

 697

noli me tangere: R («el cancro avengna iddio dimostrasi da’ maestri secondo la diversità delle spetie, inperciò, acciò sì come volglono, uno altro detto noli me tangere, cioè non mi toccare»)315 65r (3); ~: B 30v (3); nolli me tangiere: V 30r (2) ▲ Mancano attestazioni nel corpus OVI. La locuzione latina risale alla Vulgata (parole di Gesù risorto a Maria Maddalena), e continuerà a designare una particolare tipologia tumorale anche nei secoli successivi: cf. Dalla Croce (1583, 34v), che usa la forma italiana non mi toccare («è chiamato communemente lupo, o bordello, o non mi toccare»), a sua volta presente in Falloppio (1603, 199r) con il ruolo di glossa della locuzione latina («quel cancro, il quale per la sua malignità, e horrore, è chiamato da’ Medici noli me tangere, cioè non mi toccare»); numerose sono le testimonianze ancora nel corso dell’Ottocento: cf., tra gli altri, Omodei (1815, 273: «Il noli me tangere del volto, dice Howard, comincia con una pustuletta, o picciolo porro formato probabilmente da una glandula miliare cutanea in istato morboso»). Cf. GDLI (s.v. nolimetangere §2 ‘cancro ulcerato’: prima attestazione registrata in Trattati dell’arte del vetro, sec. XIVXV); Nocentini (2010, 758 s.v. noli me tangere). In epoca moderna (GDLI: O. Targioni Tozzetti), nolimetangere passa anche al lessico botanico, per indicare l’ ‘erba impaziente o balsamina’ (DEI IV, 2595).

▲ Prima attestazione: fior.a. nodi (de’piedi) (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; GDLI §45). Cf. Altieri Biagi (1970, 101: il termine «indica vari generi di tumori e di ‘tufi’ delle articolazioni»), Gleßgen (1996, 567).

noli me tangere ‘tipologia di cancro che si sviluppa sulla faccia, dal mento in su’ (3 occ.; 121)

[Locuzione assente in TLL, Du Cange e Forcellini]

315 Si noti l’accompagnamento della glossatraduzione, di stampo metalinguistico, «cioè non mi toccare»; allo stesso modo si procede anche in F1 («noli me tangere, zoè non me voia tochare»).

698 

 6 Glossario

occultus ‘di aspetto patologico non direttamente visibile o di cui si ignora l’esistenza’

OVI); it.a. ~ (1357, PetrarcaTrionfoEternità, OVI). Per l’agg. ascoso in àmbito medico, si veda Elsheikh (2016 II, 92 e 223).

♦ Loc. e collocazioni: – fractura occulta (2 occ.; 126)

opillare ‘otturare, ostruire completamente (una cavità, un poro, ecc.)’ (6 occ.; 40)

[Forcellini III, 461]

1. ferita celata f.: R («mostra che lla ferita è celata sotto quella, allora bisongno di farla grande») 70v 2. rotura aschoxa f.: V («se la piaga serà pizolla e che la rotura de l’osso sia aschoxa, alora el te chonviene ch’ela se faza granda») 32v 3. rotura occulta f.: B («de quelli el g’è la rotura occulta in l’osso, la quale secondo li antiqui fi dicta capilare») 31v, 33r; rottura oculta: R 67v ▲ 1., 2., 3. Cf. tosc.a. rottura (del craneo) occulta (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Da una ricerca su GoogleLibri, le loc. ┌frattura occulta┐ e ┌rottura occulta┐ risultano scarsamente attestate nei secoli successivi; nella stessa accezione, peraltro, sono ben codificate nel lessico della traumatologia contemporanea (cf., tra gli altri, Martino/ Defilippi/Caudana 2009, 122: «deve essere rivolta particolare attenzione alla valutazione dei segni indiretti, utili nella diagnosi di fratture occulte»). Cf. GDLI (s.v. occulto §8): ‘privo di sintomi o di manifestazioni esteriori (una malattia)’; Motolese (2004, 232; qui con la compresenza della voce nascosto), D’Anzi (2012a, 357), Castrignanò (2014, 194). Per l’agg. ascoso, cf. Elsheikh (2016 II, 92 e 223). – vulnus occultum (126) 1. ferita oculta f.: R («infra quelle rotture è alcuna oculta la quale è detta capilare») 67v; rotura ochulta: V 31r 2. piaga ascosa f.: B («la sua piaga sempre è pizena et ascosa») 31v ▲ 1., 2. Cf., anche in testi poetici e dunque con accezione non strettamente medica, tosc.a. occulta piaga (pm. sec. XIV, TommGiunta,

[oppilare Du Cange VI, 49b;316 Forcellini III, 501]317 1. aclugere vb.tr.: B («inanzi se de’ aclugere li oregi de lo infirmo cum lana») 33v; chiudere: R 58v; cluz[ere]: B 28r318 2. astropar (stropar) vb.tr.: V («E dixe Ali e Avizena tu die astropar le orechie a l’infermo») 33r, 60v 3. opil[are] (opill[are]) vb.tr.: V («non se meta su chose frede inperzò ch’elo si opilla li pori») 11v, 15v; opil[are]: B 10r, 27r, 14r, 28r, 33v, 63r; oppil[are] (opil[are]): R 31r, 71v, 140r 4. serare vb.tr.: B («in nusuno modo non ge fizano administrati li cosi frigidi, perché ay opileno, zoè sereno, li pori») 10r, 27r319 5. strignere vb.tr.: R («lla rompitura sia curata bene, inperciò che il poros strigne e ’ngenera spasimo») 22v ▲ 1. Forma con prostesi vocalica settentrionale; in aclugere di B (accanto a cluz[ere]), la presenza di g davanti a e si spiegherà come probabile ipercorettismo: di fronte all’esito cluzere (cf. la forma cluze a c. 28r), si restituisce un’affricata palatale (il cui esito è normalmente z in area settentrionale, e dunque coincidente con quello di cluzere), piuttosto che la dentale originaria. Per la presente accezione del vb. chiudere, cf. TLIO (s.v. chiudere §2.7 ‘rif. a cavità del corpo interne o esterne’; nel primo passo riportato, il verbo è usato con

316 ‘celare’. 317 ‘Oppilare est occludere’. 318 Glossa di opillare (cf. 4.) 319 In entrambi i casi la voce è adottata come glossa di opilare (cf. 4.).

II Fisiologia e patologia 

riferimento ai pori del corpo, al pari di quanto accade nel testo di Bruno: «nel verno [...] i pori del corpo chiudee il naturale calore discendere dentro costrigne»: fior.a., ante 1313, OvidioVolgRimAmComm [ms. B]). 2. Da un lat. *stuppare (derivato a sua volta dal lat. stuppa), con epentesi di r; REW (§8321) risale invece a un lat. strŏppus, da cui l’it.a. stroppa. Voce attestata in buona parte dell’area veneta (cf. Sallach 1993, 206). Prima attestazione: stropado/-a (1370ca., LeggendaSPieroPolo, TLIO s.v. astropar; cf. s.v. opillatus 4.); 5 occorrenze di ┌astropar/stropar┐, sempre con riferimento all’azione del sigillare contenitori farmaceutici, si registrano nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV). Cf. Patriarchi (1775 s.v. stropare ‘turare, intasare’); Boerio (1856 s.v. stropàr ‘turare, riturare, zaffare’); Cortelazzo (2007, 1337 s.v. stropado e stropàr); GDLI (s.v. stroppare ‘turare un’apertura, un’orifizio’: prima attestazione registrata in M. Sanudo, ante 1536). 3. Prima attestazione: fior.a. opilato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Tecnicismo di grande fortuna nei testi medici medievali in latino (cf. REW §6076: ŏppīlāre) e poi anche in volgare, ma che lascia poche tracce in epoca moderna; DEI (III, 2663 s.v. oppilare); FEW (7, 375b: «Im Gallorom. kommt es in der im spätern Lt. Entwickelten speziellen medizinischen Bed. als Lehnwort vor»); voce presente da Crusca1 (oppilare). Cf. Nystedt (1988, 251), Gualdo (1996, 113), Sboarina (2000, 235), Aprile (2001a, 420), Barbato (2001a, 447), Motolese (2004, 236), D’Anzi (2012a, 358), Elsheikh (2016 II, 231). 4. Cf. GDLI (s.v. serrare §9); D’Anzi (2012a, 392); Gualdo (1996, 277) pone il verbo serare tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola. 5. Cf. GDLI (s.v. stringere §22, 23).

opillatio ‘otturazione, ostruzione completa’ (2 occ.; 16) [Forcellini III, 501]

opilacion (opilacione) f.: V («ben porave eser, chomo dixe Avizena, ch’el chorso della

 699

sangue intenperada si fa prode a le piage e [...] devieda la fievra e la opilacion») 5v, 47v; opilatione (opillatione): B 4r, 49v; oppilatione: R 8r ▲ Voce ben attestata nei testi medici contenuti nel corpus OVI (al pari del verbo opillare: cf. supra); Nocentini (2010, 786); GDLI (s.v. oppilazione); presente da Crusca1, dove è accompagnata da definizione esplicitamente medica (s.v. oppilazione ‘rituramento, e riserramento de’ meati del corpo’). Cf. Ineichen (1966, 270), Altieri Biagi (1970, 103), Nystedt (1988, 250), Gleßgen (1996, 624), Gualdo (1996, 113), Sboarina (2000, 235), Aprile (2001a, 420), Motolese (2004, 236), Tomasin (2010, 63), Mazzeo (2011, 311), D’Anzi (2012a, 359), Castrignanò (2014, 195), Elsheikh (2016 II, 232), Zarra (2018, 617).

opillatus ‘otturato, ostruito’ (4 occ.; 202) [Forcellini III, 501]

1.a. instopato agg.: B («fiza la sternutatione serati e instopati li busi de lo naso») 53v320 1.b. stropad[o] agg.: V («fa’ stranudar lo infermo chon le narixe del naxo stropade») 51v (2) 2. opilato agg.: B («la pupilla appare opilata quando ella fi guardata») 48r, 53v, 54r; opillat[o]: R 107v; opillad[o]: V 46v 3. serat[o] agg.: B (cf. supra 1.) 53v 4. turato agg.: R («sia fatto strumento nel naso sì che sia turato») 119r, 120r ▲ 1.a. Nel corpus OVI non si hanno attestazioni di una forma verbale prostetica ┌istoppare┐, ma è ben attestato il sost. istoppa (per il quale cf. anche la definizione di Crusca1 s.v. stoppare: ‘riturar con istoppa’). 1.b. Cf. s.v. opillare (2.). 2. Cf. s.v. opillare (3.).

320 L’agg. instopato è usato in una dittologia sinonimica insieme a serato (cf. 3.) per tradurre il lat. opillatus.

700 

 6 Glossario

3. Prima attestazione: venez.a. serata (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI); cf. GDLI (s.v. serrato §5); voce presente da Crusca1. 4. Prima attestazione: turate (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, OVI); cf. GDLI (s.v. turato §5); voce presente da Crusca1.

ossuosus ‘osseo, composto da ossi’ (4 occ.; 14) [TLL IX 2, 1120]

1.a. ch’è nell’osso: R («la fistola ch’è nell’osso sia dimostrato molte volte per la molleçça della carne») 56v 1.b. de l’osso: B («la fistula de l’osso te fi notificata molti volti per la molicie de la carne») 26v 1.c. ossoso agg.: R («il luogo [...] alcuna volta è carnoso tanto, alcuna volta è nervoso») 43v, 56r; ossoso (ossuos[o]): B 4r, 26r; osuoxo: V 5r, 21v, 26v 1.d. pieno de ossi: B («lo loco undo elli feriscono alcuna volta è carnoso solamente, alcuna volta nervoso, et alcuna volta pieno de ossi») 20r ▲ 1.a., 1.b., 1.d. Cf. pis.a. piene di nervi e d’ossa (1308, GiordPisaPredGenesi2, OVI); tosc.a. piena d’ossa (ante XIV-XV sec., BibbiaVolg, OVI). 1.c. Le uniche attestazioni ricavabili dal corpus OVI sono le due occorrenze del fior.a. ossoso (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg). Cf. D’Anzi (2012a, 362), Elsheikh (2016 II, 233).

pannus (oculorum) ‘pterigio, malattia degli occhi caratterizzata da ispessimento circoscritto della congiuntiva del bulbo’ (4 occ.; 192)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] pano m.: V («Molte sono e diverse le pasion di hochi, sì chomo lagreme e inflaxone, rosseza, e è pano over onglella») 44v, 45r, 45v; panno:

R 102v, 104r, 104v; ~: B 46v, 47r (3); pano de li hochi: V 45r ▲ Prima attestazione: fior.a. panno d’ochi (1310, BencivenniSantà, OVI); DEI (IV, 2749); GDLI (s.v. panno §23); voce presente da Crusca1 (‘Per quella macchia, o maglia, a guisa di nugola, che si genera nella luce dell’occhio’). Cf. Ineichen (1966, 272), Altieri Biagi (1970, 106), Marcovecchio (1993, 627), García Gonzáles (2007, 555 s.v. tenigiam), Elsheikh (2016 II, 235).

paralisis ‘perdita della sensibilità e della mobilità volontaria’ (313)

[paralīpsis TLL X 1, 305]

1. fralaxia f.: V («E chontra dollore choitigo fazase chauterio sora li chorni del chullo; e questi chauteri fa bene alla fralaxia») 68v 2.a. paralisia f.: B («se ben al fiza fato in lo pos capister, e questi cotali cauterij se conveneno a la paralisia») 72v 2.b. parlasino m.: R («Contra al cronico dolore del capo sia fatto il cauterio sopra321 ogni corno di capo; e [...] questi ed alquanti cauterii bastano al parlasino») 169r ▲ 1. Voce non attestata altrove, possibile frutto di incrocio con l’agg. frale: cf., a tal riguardo, il fior.a. fraleza (ante 1383, LibroSidrac, OVI), ma nel senso più generale di ‘assenza di forze, stato di malessere fisico’. 2.a. Dal gr. παράλυσις ‘allentamento, rilassamento’, tradotto in lat. anche con la perifrasi nervorum resolutio o col termine remissio (DEI IV, 2768; REW §6227). Prima attestazione: roman.a. paralisia (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO s.v. parlasia §1); è predominante la forma con caduta della voc. pretonica parlasia (DEI IV, 2778). Nel complesso, la voce paralisia/ parlasia dimostra nel corpus OVI una distribuzione geolinguistica prevalentemente toscana (registrata fin da Crusca1); non mancano, tut-

321 Ms.: sopa.

II Fisiologia e patologia 

tavia, diverse attestazioni settentrionali (tra cui il Serapiom: Ineichen 1966, 272). Cf. Altieri Biagi (1967, 16; 1970, 106), Nystedt (1988, 252), Marcovecchio (1993, 630), Aprile (2001a, 425), Motolese (2004, 240), Tomasin (2010, 64), Mazzeo (2011, 313), D’Anzi (2012a, 364), Elsheikh (2016 II, 236 s.vv. paralasia, paralisi, parlasia), Zarra (2018, 617). 2.b. L’unica occorrenza presente in OVI è sempre di area toscana: sen.a. parlasino (pm. sec. XIV, BestiarioVolg).

passio ‘patologia, infermità’ (17 occ.; 10)

[TLL X 1, 618; cf. → s.v. sciatica passio]

1. infirmitade f.: V («io digo che la solucion de chontinuitade, la qual infirmitade è chomuna, se parte in do’ modi») 4r (2) 2.a. malattia f.: R («allora corre in essa due generationi di malattie») 5r, 14v; mallatia: V 44v 2.b. malicia f.: V («la malicia va al zellebro e fali vegnir spaxemo») 11r 3. pasion (pasione) f.: V («Alturiandome la devina grazia intendo de ditar lo mio groso e dir inprima de la pasion di hochi») 44r (3), 44v (2), 48r (2), 50r, 60r, 60v, 64r; passione: R 101v (3), 102v (3), 111v, 139v, 140r, 152r; ~: B 3r (2), 6v, 9v, 46r (3), 46v (3), 50r (2), 52r, 63r (2), 67v ▲ 1. Cf. s.v. infirmitas (1.). 2.a. Cf. s.v. aegritudo (6.b.). 2.b. Cf. s.v. aegritudo (6.c.). 3. Prima attestazione: passione (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Cf. Marcovecchio (1993, 636), Gleßgen (1996, 615), Aprile (2001a, 428), Mazzeo (2011, 313), D’Anzi (2012a, 364), Elsheikh (2016 II, 237).

patiens ‘paziente, malato’ (72 occ.; 13)

 701

(amalado): V 30v, 33v, 45v, 49v, 61r, 61v, 62r, 65v, 69v 1.b. malato m.: R («lo corpo dello malato è humido e lieve e non si sana») 6v, 19v 2. colui che sostiene: R («la ferita quasi adpresso a la popola sinistra; la quale dà a colui che sostiene sudore») 25v (3), 27v, 55r, 57r 3. infermo (’nfermo) m.: R («se llo infermo sia debole [...] sia purgato con medicina») 57v (2), 60v, 73v (2), 74v, 78v, 81v, 82r, 105r, 107r, 108v, 111r, 115v (2), 116r, 116v, 117r (4), 118r, 119r, 127v, 130r, 132v, 133v, 135r, 141r, 141v (2), 142r, 142v (2), 143r, 144r, 153r, 154v, 162v, 163v, 173v, 174v (3); ~: V 5r, 5v, 7v, 8r, 9v, 10v, 13r (2), 13v, 24r, 27r (3), 28r, 31r, 32v, 34r, 35v, 37r, 46r, 46v, 47r, 50v (4), 51v (2), 55r, 58r, 61v, 64v, 65r, 67r (3); infirmo: B 3v, 4r, 6r. 6v, 8r, 9r, 11v (2), 12v, 23r, 26r, 26v, 27r, 28r, 30v, 31r, 33r, 34v (2), 35r, 36v, 38v, 43r, 47v, 48r, 48v, 50r, 52r, 52v (3), 53r (3), 53v (2), 57v, 58v, 60r, 60v, 63v (2), 64r (3), 64v (4), 65r, 66v, 68r, 68v, 69r, 69v, 70v, 71r (3), 74r (3) 4. patiente m.: R («e ll’aiuto di quello è che ’l patiente della vena media flobottomia»)322 65v, 67r, 70v ▲ 1.a. Cf. s.v. aeger (1.a.). 1.b. Cf. s.v. infirmus (1.b.). 2. Non si attestano in OVI e ReMediA locuzioni analoghe di questa perifrasi in àmbito espressamente medico. 3. Cf. s.v. infirmus (2.a.). 4. Prima attestazione: fior.a. patiente (1310, BencivenniSantà, OVI); voce presente da Crusca1, ma, anche nelle successive edizioni, registrata solo nella generica accezione di ‘Che ha pazienza, Sofferente, Tollerante, Che patisce’, non in quella specifica di ‘infermo, affetto da una malattia’ (cf. REW §6292; FEW 8, 15a). Cf. Marcovecchio (1993, 637), Aprile (2001a, 429), Mazzeo (2011, 312), Castrignanò (2014, 172).

[TLL X 1, 735; cf. → s.v. aegrotans, aeger, infirmus] 1.a. amalato m.: R («non sopravegna llo amalato il sincopis») 8r, 12v, 14r, 17r; amallado

322 Traduzione incongruente: la forma verbale flebotometur è resa col sost. flebotomia.

702 

 6 Glossario

pinguedo ‘grassezza, adiposità’ (7 occ.; 64) [TLL X 1, 2160]

1.a. graseza f.: V («Anchora aviene alguna volta inflaxon in le mamelle di homeni [...] e quella è graseza») 60r; ~: B 16v (2), 58v, 63r (4); grasseçça: R 36r, 36v, 130v, 139r (2), 139v (2) 1.b. grasso m.: V («taiase via quel grasso e chura tanto che sia sano») 60r (2) 2. groseza f.: V («Similemente in li menbri sechi in li qualli à puocha charne e groseza») 18r, 60r ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. grassezza (1310, BencivenniSantà, TLIO); voce presente da Crusca1 (grassezza ‘astratto di grasso’). Cf. Aprile (2001a, 350), Tomasin (2010, 56). 1.b. Prima attestazione: venez.a. grasa (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). 2. Il valore registrato dal TLIO (s.v. grossezza) è piuttosto quello di ‘gonfiore o ispessimento patologico del corpo’ (§1.1); GDLI (s.v. grosseza §1).

plectoricus ‘che è affetto da pletora’ (238) [plēthōricus TLL X 1, 2437]

1. arepleno agg.: V («asolvi lo ventre chon flobotomia s’el chorpo serà mollto arepleno») 54v 2. pieno di magli omori: R («è necessità di disolvere il ventre, e ispetialmente s’egl’è pieno di magli homori») 126r 3. pletorico agg.: B («el è necessaria la solutione del ventre e forse anchora lo salasso se lo corpo sia stato molto pletorico») 56v ▲ 1. Prima attestazione: venez.a. replen (sq. sec. XIV; LibroSanitate, OVI). 2. Cf. locuzioni come: it.a. pieno d’omori venenosi (1304–07, DanteConvivio, OVI); fior.a. pieni d’omori (1310, BencivenniSantà, OVI); ecc.; un’analoga perifrasi si rintraccia anche in F1: pieno de humori cativi (c. 57r)

3. Il Lat. plethoricus viene dal gr. πληϑωρικός, der. di πληϑώρα ‘pletora’ («termine introdotto in medicina per indicare una costituzione corpulenta e sanguigna»: Nocentini 2010, 892); FEW (9, 63a: plectorique ‘surabondant en sang et en humeurs’). Voce non attestata nel corpus OVI e non registrata in alcuna edizione di Crusca; DELIN, 1214 e GRADIT: prima attestazione datata al 1493 (soltanto della fine del Seicento quella fissata dal GDLI: ante 1684. F. Redi). La testimonianza di B è dunque piuttosto precoce; da GoogleLibri si ricavano alcune occorrenze cinquecentesche (cf., tra gli altri, Bairo 1561, 235r: «S’il corpo è pletorico, fora la vena del braccio, e poi la vena sciatica»). Cf. Marcovecchio (1993, 680), Castrignanò (2014, 198); in Motolese (2004, 251) si legge il sost. pletora.

plenitudo ‘pienezza indotta da eccessivo nutrimento’ (2 occ.; 52)

[TLL X 1, 2402]

1. inpieçça f.: R («El sengno è la fattura del sangue e la rossezza e de le vene e inpieça del corpo») 116r 2.a. plenazo agg.: V («tu vederà che lo infermo serà plenazo»)323 14v; pleno: V 50r 2.b. pleneza f.: B («se lo sangue sia più o meno che al non besogni; se al serà più, la quale cosa se cognosce per pleneza del corpo et inflatione de li veni») 13r, 52v, 73v; plleneza: V 69v 2.c. pienitudine f.: R («segni dello spasimo ex replexione sono inperciò che viene subbito cum pienitudine del corpo») 173v ▲ 1. Il TLIO registra empiezza2 (< vb. empire) solo nell’accezione di ‘stato di ciò che ha raggiunto il suo compimento’; qui, però, il senso è piuttosto affine a quello che, sempre nel TLIO (s.v. empimento §1), è registrato per la voce empimento (‘azione con cui si colma la capacità

323 Lat.: scitur ex plenitudine corporis.

II Fisiologia e patologia 

 703

di un contenitore’; prima attestazione: fior.a. empimento, 1341ca., LibriAlfonso); il GDLI (s.v. empiezza2 ‘ripienezza, sazietà’) ne riporta un’unica testimonianza cinquecentesca (ante 1563, G. B. Gelli). Cf. Castrignanò (2014, 177: empimento ‘riempimento dello stomaco’). 2.a. Non si rintracciano attestazioni di un agg. ┌ pienazzo┐ nel corpus OVI e nel GDLI; nel venez. quattrocentesco, cf. Marin Sanudo, Le vite dei Dogi (Caracciolo Aricò 2004, 2, 158– 159: «Erra di statura grande e grosso, brutto di faza, homo pienazo»). 2.b. In OVI non si rintracciano attestazioni del termine nell’accezione qui considerata. Cf. GDLI (s.v. pienezza §1; prima attestazione: 1563, P. Mattioli); voce presente da Crusca1. Cf. Gleßgen (1996, 628), Aprile (2001a, 438), Motolese (2004, 250), Elsheikh (2016 II, 243). 2.c. Il lat. plenitudo corrisponde semanticamente al gr. πλησμονή. L’unica occorrenza con un’accezione espressamente medica rintracciabile nel corpus OVI è il pad.a. plenitudine (fine sec. XIV, Serapiom); DEI (IV, 2910); GDLI (s.v. plenitudine ‘condizione dello stomaco pieno di cibo o bevande’, ma anche ‘pletora sanguigna’); FEW (9, 58b).

681), Sboarina (2000, 237), D’Anzi (2012a, 368), Elsheikh (2016 II, 245), Zarra (2018, 617). Si veda anche il fr.a. pleurésie (FEW 9, 64a: la forma del lat. tardo pleuritis è «seit dem 4. Jh. nach den vielen Krankheitsnamen auf -isis umgebildet zu pleurisis»).

pleuresis ‘pleurite, infiammazione acuta o cronica della pleura’ (161)

[Du Cange VI, 428b]326

[pleurĭsis TLL X 1, 2438]

pleuresia f.: B («la punctura sua si è como punctura de pleuresia, zoè de quella infirmitade»)324 39v ▲ Dal gr. πλευρά ‘fianco’ (DELIN, 1214). Prima attestazione: fior.a. pleuresim (fine sec. XIII, AntidotariumNicolaiVolg, OVI); voce assente in Crusca. Almeno dal Cinquecento si diffonde la forma pleuritide; solo in epoca contemporanea s’impone pleurite. Cf. Altieri Biagi (1967, 16), Nystedt (1988, 256), Marcovecchio (1993,

324 Con l’accompagnamento della generica glossa: «zoè quella infirmitade».

polipus ‘tumore sotto forma di escrescenza carnosa che sporge dalla mucosa nasale’ (4 occ.; 190) [Du Cange VI, 395b]325

polipo m.: R («Capitolo secondo de polipo») 101v, 110r (2), 111v; pollipo (polipo): V 44r, 47v (2), 48r; polipo: B 46r, 49v (2), 50r ▲ Prima attestazione: mant.a. polip (1299/ 1309, Belcalzer, TLIO §2); DEI (IV, 3000); FEW (9, 140); GDLI (§2); voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 273), Altieri Biagi (1970, 111), Tomasoni (1986b, 237), Sboarina (2000, 237), García Gonzáles (2007, 516), Tomasin (2010, 65), Elsheikh (2016 II, 246).

porus sarcoydes ‘callo osseo’ (5 occ.; 12)

1. osso calloso m.: R («fa l’atione sua per uno osso calloso, [...] et questo avviene per la tostezza sua») 5v 2. poro sarchoides (poro sarchoidos; poro sorchoidos) m.: V («la segonda intencion si è lo ligamento lo qual se fa intravegnando lo poro sarchoides») 4v,327 34r (2), 35v (2); poro

325 ‘Fetor; fedatio naris’. 326 s.v. porus: ‘Sarcoydes, dicitur ligamentum a natura creatum ad convertenda capita fractorum ossium, et est ejus expositio durities carnea: nam sarx, Gaece caro, similiter et kreas’. 327 Con l’aggiunta della seguente glossa esplicativa: «poro sarchoides si è lo ligamento

704 

 6 Glossario

sarcoide (porro sercoides) 78v (2): R328 75r,329 78v (2); poro sarcoide (poro sarcoyde; porro sarcoides): B 3r,330 35r (2), 36v (2), 37v ▲ 1. Non si rintracciano locuzioni analoghe a quella presente, nella quale, peraltro, si osserva una collocazione dei due elementi sost. + agg. inversa rispetto a quella moderna callo osseo. Per il sost. callo, cf. TLIO (s.v. callo §2 ‘[detto del cavallo]: escrescenza di tessuto che si forma per saldare una frattura ossea’), che lo segnala però nel lessico della mascalcia. 2. Dal gr. σαρκοειδής ‘simile a carne’. Voce assente in OVI e Crusca. L’attestazione più tarda registrata dal GDLI (s.v. sarcoide2) appartiene al Dalla Croce (1583); grazie a GoogleLibri si possono però leggere diverse testimonianze ancora tra Settecento e Ottocento (cf., tra gli altri, la nota linguistica offerta da De Visiani 1852, 72 s.v. poro: «I chirurghi chiamano questa materia Poro sarcoide, il quale epiteto è inesatto, perché in essa nulla vi ha di carnoso»). Cf. Altieri Biagi (1970, 113), Marcovecchio (1993, 763), García Gonzáles (2007, 532 s.v. sarcos).

pruna ‘tipologia di apostema caratterizzato da melancolia e pustule scure (ignis persicus)’ (3 occ.; 237)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] pruna f.: R («èa alcuna apostema la quale è detta pruna, e non è diferençia intra ’l fuoco

chreado da la natura a zonzer insenbre le osse rote». 328 A c. 74v si legge la forma latina porus arcoides. 329 Ms.: poro sarconde, con segno per (er) sopra n. 330 Con l’accompagnamento della seguente glossa esplicativa: «zoè la toffatura che fi facta sopra li ossi rotti».

persico e lla pruna») 125v (2), 126r; ~: V 54r (2); ~: B 56v; pruno m.: V 54r ▲ L’unica attestazione ricavabile da OVI e ReMediA è il pad.a. pruna (fine sec. XIV, Serapiom: «cura le alcule e le ulceratiom che ven in la bocca, che ven chiamà pruna»; Ineichen 1966, 274); GDLI (s.v. pruna2 §2); voce assente in Crusca. Nota McVaugh (2006, 139) come «ignis persicus and pruna, which Avicenna had also distinguished, Bruno treats as identical, both involving immoderate heat, blackness, itching, and blistering». Sulle differenti tipologie di apostema (antrax, carbunculus, flegmon, herisipila, scrophula, ecc.) di cui parlano i medici medievali, originando non poche contraddizioni, si è occupato lo stesso McVaugh (2000).

pruritus ‘prurito’ (12 occ.; 144) [TLL X 2, 2392]

1.a. pichàr vb.intr.: V («el segno si è pichar, zoè pizar, delle zenzive»)331 48v 1.b. picor m.: V («avanti che llo i vegna noximento a la piaga; sì chomo fluxo de sangue e altra alteracione e machadura, dollor, e picor») 39v, 54r 1.c. piççicore m.: R («se serà in quello luogo piççicore, sia polveriççato l’aloe patico») 103v, 125r 2.a. pizàr vb.intr.: V (cf. supra 1.a.) 48v 2.b. pizor (pizore) m.: V («lo segno de la qualle è pizor e movimento non uxado») 51r, 54r 2.c. piza f.: V («se lo infermo a lo logo averà piza, pollveriza l’aloe paticho in pollvere») 45r 3.a. plurito m.: V («s’el serà plurito in lo luogo, bagna lo luogo con aqua chalda») 39r (2); prurito (prurico): V 77r, 84v; purito (porito): R332 77r (2), 89r

331 Lat.: signus eius est pruritus. 332 A carta 118r si legge la forma latina (col solo passaggio ŭ > o) proritus.

II Fisiologia e patologia 

3.b. prudere vb.intr.: R («ella sua significatone si è che prudeno le gengie»)333 113v, 125v 4. puntura f.: B («al fiza considerato se in lo membro sia dolore inquieto, e splurimento e punctura intollerabile») 35v334 5. splurimento m.: B (cf. supra 4.) 35v, 36r (3), 38v, 39v, 41r, 47r, 51r, 53r, 56r, 56v ▲ 1.a., 2.a. La forma pichàr deriva da un lat. *piccare, ma risente probabilmente anche dell’influenza del fr. piquer (cf. DEI IV, 2900); pizàr è invece concordemente considerata come forma di derivazione onomatopeica da una radice romanza pitt-, pits- (REW §6545; DEI IV, 2962; Nocentini 2010, 887), indicante qualcosa di piccolo e appuntito, e sembra essere una voce meno diffusa, in tale accezione, dell’intensivo pizzicare: cf. TLIO (s.v. pizzare ‘produrre un’irritazione o gen[eralmente] una situazione di fastidio’: pad.a. pizza, sm. sec. XIV, RimeFrVannozzo; pizzicare §1.1 ‘produrre un’irritazione’: perug.a. pizzich’, metà sec. XIV, PietroPerugia); picàr è assente in Boerio (1867), che registra invece pizzàr (‘prurire, prudere, pizzicare [...]. Si dice del mordicare che fa la rogna o cosa simile che induce a grattare’) e picegàr ‘pizzicare, mordicare’. Cf. Sallach (1993, 168: pizar ‘pizzicare’); Cortelazzo (2007, 1020) registra l’intensivo pizzegàr, ma non pizàr, e attesta picàr solo nell’accezione di ‘impiccare’. 1.b., 2.b. Voci non attestate in OVI, GDLI, Boerio: si tratta, evidentemente, delle forme deverbali rispettivamente dei verbi picàr e pizàr, per i quali cf. 1.a. 1.c. Sost. deverbale da pizzicare. Prima attestazione: fior.a. pizicore (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. pizzicore §1.1 ‘stato infiammatorio di un organo di un essere vivente’); voce presente da Crusca1 (‘Quel mordicamento, che per la

333 Ms.: signum eius est pruritus gingivarum. 334 La voce puntura forma qui una dittologia con splurimento (cf. 5.), per tradurre il lat. pruritus.

 705

vita fa altrui la rogna, o altro simil malóre’). Cf. Elsheikh (2016 II, 245). 2.c. Sost. deverbale derivante, al pari di pizòr (cf. 1.b.) dal vb. pizàr (cf. 1.a.); GDLI (s.v. pizza2). Cf. Boerio (1867 s.v. pizza ‘prurigine, prudore’), Gualdo (1996, 116), Cortelazzo (2007, 1020: pizza), Sosnowski (2014, 226). 3.a. Prima attestazione: venez.a. prurito (sq. sec. XIV, LibroSanitate, OVI); voce presente da Crusca3. Cf. Ineichen (1966, 274), Marcovecchio (1993, 711), Gleßgen (1996, 577), Aprile (2001a, 450), Motolese (2004, 259), Elsheikh (2016 II, 245 e 252). 3.b. Prima attestazione: pis.a. > fior.a. prudono (1302/08, BartSConcordio, OVI); voce presente da Crusca3. 4. Cf. s.v. punctura. 5. Voce non attestata altrove, corrispettivo di un sost. prudimento (a sua volta non attestato in OVI e GDLI), con prostesi di s e sviluppo r > l.

ptisis ‘tubercolosi polmonare’ (2 occ.; 47) [pthisis TLL X 2, 2392]

1.a. tisica f.: B («la vulneratione de lo pulmone fi cognoscuta in doy modi [...]. Da la casone de dentro fi dicta tisica») 12r; tisico m.: R 155v;335 tixego: V 65r 1.b. tisis f.: V («el se die chonsiderar de la chaxone dentro e de quella de fuora. Da la parte dentro se chiama tisis») 13r 2. tosse f.: B («azò che li mali accidenti non vegniano forse sopra lo infirmo, como è ydropisia, o tosse») 69r ▲ 1.a. Dal gr. ϕϑισικός ‘tisico’. L’uso sostantivato dell’agg. tisica/tisico (con il sost. passione sottinteso), trova conferma nelle attestazioni presenti nel corpus OVI (si veda anche Altieri

335 Sarà da annoverare tra gli errori la forma partisis (c. 26r).

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 6 Glossario

Biagi 1970, 128): cf. pis.a. > fior.a. tisica (1302–08, BartSConcordio, TLIO s.v. tisica: «cadde in tisica»); fior.a. tisico (1310, TrattatoVirtùRamerino, OVI: «s’alquno sentisse di tisico»); da Crusca1 si registrano l’agg. tisico e il sost. tisichezza. Cf. Nystedt (1988, 260), Gleßgen (1996, 589), Gualdo (1996, 119), Aprile (2001a, 450), Tomasin (2010, 78), Mazzeo (2011, 315), D’Anzi (2012a, 409), Elsheikh (2016 II, 316 s.v. tisico). 1.b. Dal gr. ϕϑίσις, propr. ‘deperimento, consunzione’, der. di ϕϑίω o ϕϑίνω ‘consumarsi, deperire’. Voce scarsamente attestata nel corpus OVI (cf. TB s.v. ptisi: «Ptisi è parola greca affatto, ma che non ha l’equivalente in toscano»); prima attestazione: mant.a. ptisi (1299/1309, Belcalzer, OVI). La forma tisis presente in V, al pari delle forme aggettivali (tisica, tisico, tixego: cf. 1.a.), mostrano già l’adattamento popolare (phth- > t-) che s’imporrà nell’it. tisi. Cf. FEW (8, 404b), Marcovecchio (1993, 668), Gualdo (1996, 119), Aprile (2001a, 450), D’Anzi (2012a, 410), Elsheikh (2016 II, 315 s.v. thysis). 2. Prima attestazione: mil.a. tosse (1270–80, BonvesinVolgari, OVI). Cf. Ineichen (1966, 281), Marcovecchio (1993, 888), Aprile (2001, 514), Motolese (2004, 302), Green (2009, 413), D’Anzi (2012a, 410), Castrignanò (2014, 210), Elsheikh (2016 II, 317), Zarra (2018, 628).

la challura e el batere, alora sapi che la marza s’asuna»)337 59r, 59v, 63r; sbatere: V 54v 2.a. pulsatione f.: B («alora lo dolore serà maiore in l’oregia e maiore inflatione e pulsatione e la febre») 53r, 62r, 62v, 67r (2) 2.b. polseggiare vb.intr.: R («maggiore è’l polseggiare e febre, facciasi la forbottomia»)338 118v, 122r (2), 122v, 127r, 128r, 137v, 138v, 150v

pulsatio ‘battito cardiaco, spec. ad alta frequenza’ (10 occ.; 223)

[TLL X 2, 2614]

[TLL X 2, 2603]

1.a. abatimento (batimento) m.: V («el dollor è plù grando in la orechia e mazor inflaxone e mazor abatimento e fievre») 51r, 52v, 55r; batimento: B 55r (3), 57r, 57v, 67r336 1.b. batere vb.intr.: V («Se da po’ queste chosse non se aresollve l’umor, e ch’el chressa

336 Voce adottata come glossa di pulsatione (cf. 2.a.).

▲ 1.a. Prima attestazione: it.a. battimento (1370ca., BoccaccioDecam, TLIO §2.1 ‘battito cardiaco accelerato’; GDLI §1); voce presente da Crusca3 nell’accezione considerata (‘palpitamento’). Cf. Ineichen (1966, 252). 1.b. Prima attestazione: fior.a. batte (ante 1292, GiamboniLibroViziVirtudi, TLIO s.v. battere §1.1.). 2.a. Prima attestazione: sen.a. pulsatione (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, TLIO s.v. pulsazione); voce presente da Crusca3; FEW (9, 557b). Cf. Ineichen (1966, 274), Gualdo (1996, 119), Motolese (2004, 260). 2.b. Verbo denominale da polso, con suffisso proprio dei verbi frequentativi. L’unica attestazione presente in OVI è il sen.a. pulseggiare (ante 1340, EneideVolgUgurgieri); DEI (IV, 3146); voce assente in Crusca.

pulsus ‘battito, pulsazione, soprattutto ad alta frequenza’ (3 occ.; 212)

1.a. bater vb.intr.: V («i segni de quella [...] si è rosor e bater»)339 52r 1.b. batimento m.: B («E li signi de flegmon [...] sono questi: zoè calore, rosseza, pulso, zoè batimento, dolore») 54r340

337 Lat.: si post hoc non resolvatur materia, immo augetur caliditas et pulsatio, tunc scias quod sanies agregatur. 338 Lat.: maior tumor et pulsatio et febris. 339 Lat.: Et signa [...] sunt: calor, rubor. 340 Voce adottata come glossa di pulso (cf. 2.d.).

II Fisiologia e patologia 

2.a. polsatio f.: R («El sengno di questo flemone secondo Giovanniçio e altri antichi si è calore e rossore e polsatio») 120v 2.b. polseza f.: R («el sengno è c’à molto dolore e polseça») 112v 2.c. polso m.: R («lle vene altre per polso abisongnasi e si sono di debogli guardia et di minore tenore») 41v; ~: V 20v; ~ (pulso): B 50v, 54r ▲ 1.a. Cf. s.v. pulsatio (1.b.). 1.b. Cf. s.v. pulsatio (1.a.). 2.a. Cf. s.v. pulsatio (2.a.). 2.b. Non si rintracciano attestazioni del sost. ┌ polsezza┐, evidentemente derivato da polso (cf. 2.c.) per aggiunta del suffisso -ezza. 2.c. Soprattutto nell’it. antico il significato primario di polso è quello fisiologico qui presente, relativo al battito ritmico prodotto dalla dilatazione delle arterie (cf. s.v. arteria 2.: sezione 1), non quello, comunque già trecentesco, designante la regione anatomica dell’avambraccio; GDLI (§1); voce presente da Crusca1 (‘moto dell’arterie’). Cf. Marcovecchio (1993, 718), Gualdo (1996, 120), Motolese (2004, 252), Green (2009, 407), Castrignanò (2014, 198), Elsheikh (2016 II, 246). ♦ Loc. e collocazioni: – pulsus cordis ‘battito del cuore’ (258) 1. batimento del core: B («per quello vene lo vomito, lo batimento del core e lo sincopo») 55r 2. polseggiare al cuore (polseggiare il cuore): R («seguita et bomito e’l polseggiare al cuore») 123v, 126r 3. tremore del chuore: V («el vien chon esso lo vomito e tremore del chuore») 54r ▲ 1. Per il sost. batimento, cf. pulsatio (1.a.). 2. Per il verbo polseggiare, cf. s.v. pulsatio (2.b.). 3. Cf. fior.a. tremore di cuore (pm. sec. XIV, LivioVolg, OVI); ~ (ante 1372, AndrCappellanoVolg, OVI); pad.a. tremore de cuore/tremore del core (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 281); Elsheikh (2016 II, 298 s.v. spesso: triemito, tremore del cuore).

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punctio ‘fitta improvvisa di dolore acuto o forte bruciore, localizzati e di breve durata, che sono sintomi di malattie o conseguenza di traumi e ferite’ (2 occ.; 105) [TLL X 2, 2638; cf. → s.v. punctura]

1.a. ponsione f.: V («a lo luogo dito siando la ponsione e arsure e la marza serà zalla») 27r; punzione: R 57v 1.b. ponzimento m.: B («se la colera habonda, lo loco è citrino e se senteno ponzimenti e brusori») 26v, 37r ▲ 1.a. Prima attestazione: tosc.a. ponçione (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); voce presente da Crusca1 con un’attestazione tratta da Bencivenni e accolta anche da TB e GDLI, ma che non trova riscontro in OVI e potrebbe costituire un falso rediano; DEI (IV, 3153), Ineichen (1966, 274), Gualdo (1996, 116). Si veda anche il fr. ponction (FEW 9, 584b). 1.b. Le attestazioni di ┌pungimento┐ presenti in OVI hanno piuttosto l’accezione figurata di ‘compunzione’ o quella di ‘pungere, puntura (procurata con un oggetto appuntito)’; sempre in tali accezioni, la voce è presente da Crusca1. Cf., però, GDLI (s.v. pungimento §2 ‘sensazione, per lo più breve e frequente, di forte irritazione o di bruciore’); Motolese (2004, 261), Elsheikh (2016 II, 252 s.v. pugnimento).

punctura ‘fitta improvvisa di dolore acuto, localizzata e di breve durata’ (5 occ.; 158) [TLL X 2, 2640; cf. → s.v. punctio]

pontura f.: V («Se l’infermo sentirà pontura tochando lo chomedo, alora sapi che l’è alguno oxexello») 38r, 38v (2); punctura: B 39r, 39v, 40r, 56r; puntura: R 84r, 85v, 86r, 125v ▲ Prima attestazione: venez.a. pontura (sq. sec. XIV, LibroSanitate, OVI); REW (§6848); DEI (IV, 3152); voce presente da Crusca1 (ma

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 6 Glossario

piuttosto nell’accezione generica di ‘Ferita, che fa la punta’). Il valore tecnico del termine era già evidenziato da Altieri Biagi (1970, 112: «pontura [...] ha anche un significato specifico, meritevole di essere registrato come precisa indicazione patologica. Si tratta di un dolore ‘pungitivo’, proveniente da cause interne, provocante spasmi e crampi»); Ineichen (1966, 273), Gleßgen (1996, 631), D’Anzi (2012a, 372 ‘pleurite’), Elsheikh (2016 II, 253). Cf. anche fr. pointeur ‘douleur lancinante’ (FEW 9, 596b).

purpureitas ‘l’essere di color porpora (in riferimento al sangue)’ (75)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] purpuritade f.: V («El segno del sangue che vegna dalle artarie si è quando lo sangue viene fuora e può torna, e torna fora tostamente, ed è mazor purpurità de sangue») 20v; ~: B 19r ▲ TLL, Du Cange e Forcellini pongono a lemma il solo agg. purpureus. Voce non attestata in OVI e Crusca; il GDLI (s.v. purpurietà), registra un’unica testimonianza tratta da Bencivenni. Cf. FEW (9, 617b: pupuréité).

pus ‘pus’ (16 occ.; 7) [TLL X 2, 2731]

1. aquaregna f.: V («El dixe anchora che quela aquaregna se chiama virus e quela ch’è grosa se chiama sordizes, zoè marza») 22v (2) 2. marcia f.: R («Della natura delle medicine che ingenerano la marcia») 4r, 7r, 7v, 8r, 9v; marza: V 3v, 5v (3), 6r (2), 6v, 15v (3), 22v, 25r, 58r, 58v 3. pus m.: R («de difinitione et natura medicinarum a fare nascere pus») 30v 4. putredine f.: B («questo fanno cum medicina siccativa e non generativa de la putredine») 5r 5.a. puza f.: B («poy che la vulneratione è antiqua e non recive saldatione, anze sempre manda puza») 4r (3), 4v (2), 13v, 21v (3), 24v, 28r, 61r; puzza: R 30v, 31r, 46v, 59v

5.b. puzura f.: B («de la natura de li medicini fazando nascere la puzura») 2v, 14r (2) ▲ 1. Voce non attestata altrove, che ricorre in V anche come traducente del lat. virus (cf. s.vv. virus e virulentus), a indicare, dunque, in entrambi i casi, un accumulo di materia suppurativa liquida nell’organismo. 2. L’agg. marcio è dal lat. marcidu(m), attraverso un’evoluzione settentrionale che si manifesta nella caduta della dentale intervocalica (DELIN, 934; REW §5345). Prima attestazione: tosc.a. marcia (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); voce presente da Crusca1 (‘umor putrido, che si genera negli enfiati, e negli úlceri’). Cf. Ineichen (1966, 268), Tomasoni (1986b, 236), Marcovecchio (1993, 526), Gleßgen (1996, 619), Gualdo (1996, 105), Aprile (2001a, 394), Motolese (2004, 218), Elsheikh (2016 II, 205). 3. Voce non attestata in OVI e Crusca. L’adozione del termine latino pus (cf. REW §6865) è infatti molto più tarda: attestata dal primo Ottocento (GRADIT: 1818; DELIN, 1289: «ci è giunta dal fr. o dall’ingl., ov’è attest[ata] rispettivamente nel 1520 e nel 1541»), ma retrodatabile almeno al primo Settecento (cf. Bosello 1724, 191: «Altri Moderni poi assegnando più da presso la causa dell’Abscesso, dicono aver il suo natale da un copioso pus»). Come si vede dal passo di R riportato supra, peraltro, la voce pus è contenuta all’interno di un titolo di paragrafo in cui è presente una situazione di code-mixing latino-volgare, che potrebbe aver favorito in maniera decisiva l’inserimento del latinismo in forma non adattata. Cf. Marcovecchio (1993, 721). 4. Cf. s.v. putredo (2.a.). 5.a. Da un lat. volg. *putia(m) (Nocentini 2010, 953). Prima attestazione: fior.a. puzza (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); GDLI (s.v. puzza §3); voce presente da Crusca1 (‘Umor corrotto, che si genera nelle bolle, o piaghe’). Cf. Ineichen (1966, 274), Gleßgen (1996, 619 e 641), Elsheikh (2016 II, 254). 5.b. Le quattro testimonianze del termine rintracciabili nel corpus OVI hanno tutte l’acce-

II Fisiologia e patologia 

zione di ‘puzza’; analogamente, la voce è presente da Crusca1, ma sempre nell’accezione di ‘Puzzo. Qui sporcizia, immondizia, bruttura’. Il GDLI (s.v. puzzura §3), invece, ne registra anche l’accezione qui esaminata (prima attestazione: sec. XIV, Trattato del governo degli uccelli).

pustula ‘piccola vescicola dell’epidermide con contenuto purulento’ (4 occ.; 84) [TLL X 2, 2741]

postula f.: R («sia fatto per le ferite overo postule da non curare sì come testa Costantino») 104r, 118v, 125r; pustolla: V 45r, 51r, 54r; pustula: B 21v, 47r, 53r, 56r ▲ Prima attestazione: mant.a. pustole (1299/ 1309, Belcalzer, OVI); REW (§6867); FEW (9, 621a); voce registrata solo in Crusca4. Cf. Ineichen (1966, 274), Marcovecchio (1993, 721), Gleßgen (1996, 548), Gualdo (1996, 120), Motolese (2004, 261), Green (2009, 407), Mazzeo (2011, 315), Castrignanò (2014, 200), Zarra (2018, 622).

putredo ‘putrefazione’ (16 occ.; 16)

[TLL X 2, 2773; cf. → putredo subtilis (s.v. subtilis)] 1.a. marza f.: V («Adoncha chon chosse desechative se chonple da saldar la plaga e non per olio nì per sonza [...] che quelli tal inzenera marza in la piaga») 6v, 10v, 11r, 26v, 27r (8), 32r 1.b. marza putrida f.: V («quando l’aduovra solamente el chalor azidentalle alora se inzenera la marza putrida») 6r 2.a. putredine f.: R («allora s’ingenerano la putredine poi che lla piaga è sì marcia tanto che basta») 8v; ~: B 4v, 5r, 9r, 9v, 12v, 26r, 26v (4), 32v 2.b. putritudine f.: R («questo fanno colle medicine disecchtative et non con quella che ingenera la marcia, conciosiacosaché esse achrescono la putritudine») 9v, 14r

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3.a. puza f.: V («ogna chontuxione de charne se chontiene putrefare, la qual puza atraze a la piaga») 14r; ~: B 26r;341 puzza: R 19v, 20v, 56v (3), 57r (2), 57v, 69v 3.b. puzura f.: B («se lo veneno né asé puzura lì non se contegnia, alora la curatione non fiza mutata») 6v ▲ 1.a. Cf. s.v. pus (2.). 1.b. Non si leggono locuzioni analoghe nel corpus OVI. Alcune testimonianze si possono rintracciare in epoca moderna: cf. tra gli altri, Plenck (1785, 73: «Febbre putrida è quella che viene da marcia putrida assorbita»). 2.a. Prima attestazione: mil.a. putredine (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); GDLI (§2); voce presente da Crusca1 (‘corruzion d’umori’). Cf. Gleßgen (1996, 619), Aprile (2001a, 453), Motolese (2004, 262), Castrignanò (2014, 200), Elsheikh (2016 II, 254). 2.b. Da un lat. tardo putritudo, variante sinonimica di putredo (cf. TLL X 2, 2773). Voce non attestata in OVI, GDLI, DEI, DELIN, Crusca. 3.a. Cf. s.v. pus (5.a.). 3.b. Cf. s.v. pus (5.b.).

putrefacere ‘far andare in putrefazione’; vb.med. (putrefieri) ‘essere putrefatto, putrefarsi’ (15 occ.; 42) [putrefacio TLL X 2, 2775]

1. apostumare vb.intr.: V («si li mete suxo uno inpiastro de farina de formento e ollio e aqua, per la qual chossa la man li apostuma ed è morto infra vii dì») 12v 2. dispart[irse] vb.pronl.: V («el te bexogna a lasarla stare arquanti dì tanto che lla charne d’intorno se disparta») 22r 3. fare marzire: B («l’olio caldo non fa marzire como fa l’aqua») 10r (2)

341 Voce adottata come glossa di putredine (2.a.).

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 6 Glossario

4.a. fare putore: R («per lo costrignere et humiditate, per lo putorefare et per lo corrodere») 5r 4.b. fare puzza (fare puçça): R («per questo riscaldare troppo humido potrebbono fare puzza») 22r, 22v (2), 24r, 27v (2), 45r, 55r, 135v, 141v 5. guastare vb.tr.: R («in cotal cura nella marcia al tutto non si lassi nella ferita acciò che no si rauni, che non guastasse e’ panni del celebro») 74r 6. marc[ire] (marzire) vb.intr.: B («como la frigiditade constrinzendo, o como la humiditade marciscando e corrodendo») 3r, 3r, 8r, 10r (2), 11r, 12v (2), 20v, 25v, 34v, 61r, 64r, 68r 7.a. putrefare vb.tr.: V («la umidità putrefazando e roxegando») 4v, 11v (3), 14r, 61v, 64v 7.b. putref[arse] vb.pronl.: V («se putrefà per chaldo e umido») 11v, 14r, 26r, 33v, 58r ▲ 1. Cf. s.v. apostemari (1.a.). 2. Verbo adottato nell’accezione (non registrata da TLIO e GDLI) di ‘putrefarsi, guastarsi, andare in rovina (detto di sostanze organiche)’. 3. Cf., in OVI, fior.a. faccialo marcire (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); tosc.a. fae marcire (XIV-XV sec., BibbiaVolg, OVI). 4.a., 4.b. Cf. fior.a. faccia puzza (con valore figurato: 1355ca., Passavanti, OVI); facea puzza (1385, LionFrescobaldi, OVI); numerose, in contesto specificamente medico, sono le occorrenze contenute in MaestroBartolomeo (tosc.a., sec. XIV). Per il sost. puzza, cf. s.v. pus (5.a.); per il sost. putore, TLIO e GDLI registrano piuttosto l’accezione primaria di ‘cattivo odore, puzzo’ e quelle figurate di ‘sensazione sgradevole’ e ‘sozzura morale’. 5. Prima attestazione: mil.a. guasta (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. guastare §2.3). Cf. GDLI (s.v. guastare §2 ‘contaminare, far putrefare’); Gleßgen (1996, 577), Aprile (2001a, 394), Castrignanò (2014, 183), Elsheikh (2016 II, 177). 6. DELIN, 934: «il vb. marcire può essere tanto den[ominale], quanto più probabilmente rifarsi direttamente al corrisp[ondente] lat. marcēre con passaggio di coniug[azione], come avve-

nuto in altre lingue romanze». Prima attestazione: pav.a. marciva (1274, Barsegapè, OVI); voce presente da Crusca1 (‘putrefarsi, divenir marcio’). Nel passo di B riportato supra, il gerundio potrebbe essere derivato dal verbo intensivo lat. marcescĕre, con successivo metaplasmo di coniugazione, o forse, più semplicemente, andrà ipotizzata un’estensione del tema -isco, fenomeno notoriamente non insolito nella diatesi verbale italiana (cf. Rohlfs 1966–1969, §523–524) e perfettamente in linea col valore incoativo del verbo ‘marcire’. 7.a., 7.b. Prima attestazione: fior.a. putrefacendosi (1322, JacAlighieri, OVI); DEI (IV, 3160); putrefare è presente a partire da Crusca3. Cf. Gualdo (1996, 120), Castrignanò (2014, 200).

putrefactio ‘processo di infiammazione accompagnato dalla formazione di materia purulenta’ (28 occ.; 19) [putrefacio TLL X 2, 2775]

1.a. putredine f.: B («de li ulcerationi corosivi sono cum li quali non è la putrefactione, e sono quelli che non fizeno evacuati da la putredine») 24r 1.b. putrefacione (putrefacion) f.: V («la putrefacione è mazore la instade che lo inverno») 6v, 9v, 11r (2), 12v, 24v, 25r (2), 28r, 36r (2), 48r, 48v; putrefactione: B 5r, 6r, 7r, 8r (3), 9r, 9v (2), 11r, 24r (3), 24v (2), 28r, 37r (2), 50v (2), 58r, 71v; putrefatione (putrifatione): R 10r, 15r, 17v, 21r (2), 51v, 52r, 52v, 79r, 129r 1.c. putrefare vb.intr.: R («acciò che llo membro ne possa putrefare»)342 13r; ~: V 9v, 11v 1.d. putref[arse] vb.pronl.: V («temando ch’el menbro non se putrefaca»)343 8r, 8v, 9v, 10v, 67v

342 Lat.: timendo ne membrum putrefactionem incurrat. 343 Come supra.

II Fisiologia e patologia 

1.e. putrido agg.: R («conciosiacosaché esso rimanesse, diverrebbe putrido»)344 16v (2); putrefatto: R 112r (2) 2.a. puzza f.: R («lla legatura non tocchi la ferita per cagione che non facesse puzza») 19v, 51v, 60r (2), 79v, 164v 2.b. puzura f.: B («temendo che lo membro non incorra in la putrefactione, zoè puzura») 6r345 ▲ 1.a. Cf. s.v. putredo (1.a.). 1.b. Il lat. putrefactio è un derivato tardo del vb. putrefacere: DEI (IV, 3160); DELIN, 1290. Prima attestazione: aret.a. putrefazione (1282, RestArezzo, OVI); voce presente da Crusca3 (‘il putrefare’; in Crusca1,2 solo nel significato di ‘corruzione’); FEW (9, 642b). Cf. Ineichen (1966, 274), Nystedt (1988, 260), Marcovecchio (1993, 721), Gualdo (1996, 121), Aprile (2001a, 453), Motolese (2004, 264), D’Anzi (2012a, 375), Castrignanò (2014, 200), Elsheikh (2016 II, 254). 1.c. Cf. s.v. putrefacere (7.a.). 1.d. Cf. s.v. putrefacere (7.b.). 1.e. Cf. rispettivamente s.vv. putridus e putrefactus. 2.a. Cf. s.v. pus (5.a.). 2.b. Cf. s.v. pus (5.b.).

 711

▲ 1.a. Dal part. lat. putrefaciens: non si hanno attestazioni nel corpus OVI. L’unica testimonianza riportata dal GDLI è invece tardo-cinquecentesca (1583, Dalla Croce); voce assente in Crusca. Cf. Marcovecchio (1993, 721), Motolese (2004, 263). 1.b. Prima attestazione: venez.a. putrefactivo (sq. sec. XIV, LibroSanitate, OVI; Tomasin 2010, 67); voce assente in Crusca. Cf. Motolese (2004, 263). Si veda anche il fr. putréfactif ‘qui cause la putréfaction’ (FEW 9, 642b). ♦ Loc. e collocazioni: – medicamen putrefactivum (258) medicina putrefactiva f.: B («ge fiza ponuta la medicina acuta putrefactiva e consumptiva, como è calcina viva e cendere cum savone») 61r ▲ Cf. pad.a. medexine putrefactive (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); GDLI (s.v. putrefattivo §2 ‘medicamento che provoca la putrefazione della parte malata’).

putrefactus ‘putrefatto’ (259) [Forcellini III, 981]

putrefactivus ‘che porta alla putrefazione’ (19)346

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. putrefacient[e] agg.: B («altri putrefacienti de li quali li predicti ignoranti fazeno li soy pulti») 5r 1.b. putrefativ[o] agg.: V («con chosse desechative se chonple da saldar la plaga e non per olio nì per sonza né per altri putrefative») 6v

putrefact[o] agg.: B («quando la scrophula serà putrefacta e consumpta, lo loco de’ fir curato cum lo butero») 61r; putrefat[o]: V 58v; putrefatt[o]: R 136r ▲ Prima attestazione: tosc.a. putrefatto (ante 1294, GuittArezzoRime, OVI); GDLI (§2); voce presente da Crusca3 (in Crusca1,2 solo nell’accezione di ‘corrotto’). Cf. Gualdo (1996, 121), Motolese (2004, 263), Elsheikh (2016 II, 254).

putridus ‘in stato di putrefazione’ 344 Lat.: putrefactio fieret. 345 Voce adottata come glossa di putrefactione (1.b.). 346 Non poniamo tra i traducenti la forma putrefatte di R (c. 9v), che conferisce un significato passivo al lat. putrefaciens.

[TLL X 2, 2779]

♦ Loc. e collocazioni: – caro putrida (111) 1.a. carne che pute: R («sia portata via cola navacola la carne che pute ed è corropta») 60v

712 

 6 Glossario

1.b. carne putrida f.: B («fiza liberata e tolta fora cum lo rasore la carne putrida e corrupta») 28r; charne putrida: V 28r ▲ 1.a., 1.b. Cf., in OVI, ascol.a. putrida carne (ante 1327, CeccoAscoli); fior.a. putrida e corrotta carne (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); sen.a. carne putrida (pm. sec. XIV, BestiarioVolg); pad.a. carne putrida (fine sec. XIV, Serapiom). Cf. Elsheikh (2016 II, 254). – humiditas putrida (210) [Cf. → s.v. humiditas]

humiditade putrida f.: B («fiza fregato fina che lo sangue e la humiditade putrida fiza trata fora») 50v; umidità putrida: R 112r ▲ L’unica locuzione affine rintracciabile in OVI è il fior.a. umidità putrefatta (pm. sec. XIV, CrescenziVolg). – plaga putrida (15) 1. piaga putrida f.: R («la piaga antica non si sana, anzi s’assempra marcia. Alora si chiama piaga putrida») 7v 2. piaga puzulenta f.: B («ella non è vulneratione, ma fi dicta ulceratione, imperò ulceratione fi chiamata piaga puzulenta») 4r ▲ 1., 2. Cf. pad.a. piage putride (fine sec. XIV, Serapiom [nove occorrenze], OVI); anche la loc. ┌piaga puzzolente┐, non attestata nel corpus OVI, risulta invece ben testimoniata nei secoli successivi sulla base di una ricerca su GoogleLibri (cf., tra gli altri, Fioravanti 1568, 243v: «farassi cenere bianca, mondificherà tutte le sorti di piaghe puzzolenti, e marcie, spolverizandone sopra un poco»; si veda anche il proverbio, registrato già in Crusca1 [s.v. medico] e accolto in larga parte della lessicografia successiva, ‘Medico pietoso fa la piaga puzzolente, e dicesi di chi eccede nella compassione’). Per l’impiego dell’agg. ┌puzzolente┐ in àmbito medico, cf. Nyestedt (1988, 260), Elsheikh (2016 II, 255). – ulcus putridum (6 occ.; 73) [Cf. → s.v. ulcus]

1. ferita antica che pute: R («le ferite antiche è malagevole a curare [...] cioè quelle che puteno») 53r 2.a. ferita antica putrida f.: R («la formica che va sia nominata nella chura delle ferite antiche et putride») 52r, 53r; ferita putrida: R 47r 2.b. ulceratione putrida f.: B («In li ulcerationi putridi e mali la meliore curatione si è che lo corpo fiza mondificato») 24r, 25r (2) 2.c. ulzera putrida f.: V («S’el serà ulzere putride a le qual la medexina non faza prode, a quelle aduovra lo chontrario») 20r, 22v, 25r 3. ulcera puzolenta f.: B («se li ulcerationi siano puzulenti [...], ge de’ fir administrato lo focho») 18v ▲ 1. Per la loc. ferita antica, adottata come traducente del lat. ulcus, cf. s.v. ulcus. Per il vb. putire, cf. Elsheikh (2016 II, 254). 2.a. Cf. fior.a. ferite putrefatte (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); tosc.a. ferita putrefatta (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI); Dalla Croce (1583, II, 23v: «Mirra posta nelle ferite putride, consuma le putredini») 2.b. Cf. pad.a. ulceracion putride (fine sec. XIV, Serapiom [10 occorrenze], OVI); Elsheikh (2016 II, 254 s.v. putrido: ulceragioni putride). 2.c. Diverse testimonianze più tarde si possono ricavare dai testi contenuti in GoogleLibri (cf., tra gli altri, Melli 1717b, 383: «Per le Cause in altra occasione le abbiamo esposte, parlandosi dell’Ulcera putrida»). 3. Non si hanno locuzioni analoghe nel corpus OVI. Si rintracciano, però, alcune testimonianze posteriori (cf., tra gli altri, Fioravanti 1568, 175r: «detta solutione vale a mondificare le ulcere puzzolenti»). Per l’impiego dell’agg. ┌ puzzolente┐ in àmbito medico, cf. Nyestedt (1988, 260), Elsheikh (2016 II, 255). – vulneratio putrida (47) [Cf. → s.v. vulneratio]

1.a. ferita putrida f.: R («lla intentione di Serapione [...] non fu se non della ferita putrida et antica») 26v

II Fisiologia e patologia 

1.b. vulneratione putrida f.: B («la intentione de Serapione in questa autoritade non fo se no de la vulneratione putrida antiqua») 12r 1.c. vulnera putrida f.: V («La intencione del Serapione fo questa de vulnera putrida e antiga») 13v347 ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Cf. s.v. ulcus putridum (2.a.). Per il sost. vulneratione di B, cf. s.v. vulneratio (4.). – vulnus putridum (63) [Cf. → s.v. vulnus]

1. ferita puççolente f.: R («la ferita pura e secca [...] l’appare puççolente») 35v 2. piaga putrida f.: V («se la piaga serà marzosa e putrida e umida, alora sapi che la medexina è puocho secha») 17v; ~: B 16r ▲ 1. Cf. fior. ferita puzolente (sm. sec. XIII, GarzoProverbi, OVI); Della Croce (1583, II, 24r: «Platano, la cenere di quello, nella ferita puzzolente»). Per l’uso dell’agg. ┌puzzolente┐ in àmbito medico, cf. Nyestedt (1988, 260). 2. Cf. s.v. plaga putrida (1.).

quinantia ‘tipologia di squinantia, che si forma tra la trachea e l’esofago’ (218)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. sinantia, squinantia] 1. quinançia f.: R («nela gola nasce una postema che ssi chiama squinançia [...] dele quali l’una è detta quinançia348») 116r; quinanzia: B 52r 2. squinancia f.: V («le spezie de questa postema è iij, l’una de le qual è dito squinancia») 50r ▲ 1. Voce non attestata nei repertori consultati. Si tratta della forma corrispondente al 347 Con l’aggiunta della seguente glossa: «zoè delle piage marze e antige». 348 Ms.: a quinançia.

 713

gr. κυνάγχη ‘tosse canina, angina’ (alla base anche del termine squinantia, per il quale cf. s.v.), composto di κύων-κυνός ‘cane’ e ἄγχω ‘soffocare’; cf. FEW (2, 1612b s.v. kynanché: fr.a. quinancie ‘inflammation de la gorge, angine’). È ritenuta da Bruno la tipologia più pericolosa e spesso mortale di squinantia, in quanto latente nell’organismo («quinantia, cuius materia intus ex toto latet, et tunc est mortalis»: Hall 1957, 218). Analogamente la considera Plateario, rifacendosi probabilmente ai versi del Flos medicinae «Quinantia latet, squinantia patet Sinantia manet intus et extra» (Penso 2002, 248). Cf. García Gonzáles (2007, 521). 2. Cf. s.v. squinantia.

radicalis ‘che concerne l’intima essenza di qualcosa’ (2 occ.; 59) [TLL XI 2, 20]

♦ Loc. e collocazioni: – humiditas radicalis ‘insieme degli umori e dei fluidi che costituiscono la natura intima di un organismo’ (59) [Cf. → s.v. humiditas]

humiditade radicale f.: B («al è necessario che ella recuperi la codega la quale è per natura de maiore exiccatione, exiccando la humiditade estranea e radicale grandamente») 15r; umidità radicale: R 33v349 ▲ Prime attestazioni: venez.a. radicale humiditade (sec. XIV, LibroSanitate, OVI; Tomasin 2010, 67); tosc.a. umiditade radicale (1340–60, FioriMedicina, OVI); ma cf. già il tosc.sud-or.a. umido radicale (ante 1298, Questioni, OVI), locuzione ben più frequente all’interno del corpus OVI e registrata dal GDLI (s.v. radicale §1); la voce radicale è presente da Crusca1 (in Crusca4, poi, si registra separatamente la loc. umido radicale: ‘si dice quello, che è nella sostanza de’ corpi’). Cf. Motolese (2004, 268), Mazzeo (2011, 303). Si veda anche il fr. humide radical (FEW 10, 17a). 349 Ms.: radicare.

714 

 6 Glossario

– membrum radicale ‘membro princi­ pale, fondamentale’ (111) membro radicale m.: B («lo colore de li membri radicali è biancho») 28r ▲ Cf. sen.a. membra radicali (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI); pad.a. membri radicale (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); Motolese (2004, 268).

radix ‘punto di sviluppo di una formazione patologica (detto di apostemi, fistole, ulcere, ecc.)’ (15 occ.; 87)

PiacenzaVolgA (sulla base di tale testimonianza il termine ranella è accolto anche in Crusca4: ‘per sorta di malore’); mancano attestazioni in OVI e ReMediA. Il termine appartiene anche al lessico della veterinaria (cf. FEW 10, 53: «Lt. rana wurde auch verwendet zur Bezeichnung einer Geschwulst am untern Teil der Zunge des Rindviehes, im gleichen Sinn auch das Dimin. ranula»). Cf. Altieri Biagi (1970, 114–15), Tomasoni (1986b, 238), Aprile (2001a, 457).

rarificare ‘rarefare, rendere meno denso’ (11)

[TLL XI 2, 41]

[rārēfacio TLL XI 2, 128]

radice f.: R («vengna dalla sua radice il diseccare della ferita in cotale modo») 48r (3), 61r; ~: B 22r (2), 22v, 28v, 49v, 52r (2), 59r, 62v (2), 68r, 72v; radixe: V 23r (3), 47v, 49v (2), 56v, 60r (2), 64v, 65r, 68v

1. assotiglare vb.tr.: R («per lo assottiglare che essa fa et per lo ardere») 5r 2. rarific[are] vb.tr.: B («la sicitade la quale fende la codega brusando e rarificando») 3r

▲ Cf. GDLI (§7 ‘punto iniziale di un fenomeno naturale’). Cf. Aprile (2001a, 456), Elsheikh (2016 II, 256). Il significato più diffuso del termine in àmbito medico è, tuttavia, quello anatomico di ‘elemento morfologico che dà fissità a un organo’, per il quale cf. Marcovecchio (1993, 731).

ranula ‘cisti a contenuto sieromucoso che si sviluppa sotto la lingua ai lati del frenulo linguale’ (3 occ.; 213) [TLL XI 2, 74]

ranolla (ranulla) f.: V («alguna volta aviene soto la lengua una postiema che se chiama ranulla inperzò che la se fa chusì chomo una rana pizolla») 49r (2); ranula: R 113v, 114r; ranula (ranulla): B 51r, 51v ▲ Il lat. ranula è un calco del dimin. gr. βατράχιον (DEI V, 3207; REW §7047; cf. anche il fr. ranule ‘tumeur sous la langue’: FEW 10, 53). Voce assente nel corpus OVI, dove si ritrova, però, la forma ranella, attestata in Guglielmo-

▲ 1. Prima attestazione: aret.a. asutiliarese (1282, RestArezzo, TLIO §5). 2. Voce dotta, che si mostra ancora piuttosto rara (al pari di rarefare) nel corso del Trecento; DEI (V, 3209); DELIN, 1322 (s.v. rarefare). Le sei occorrenze ricavabili dal corpus OVI appartengono rispettivamente a Ottimo (fior.a., ante 1334) e CrescenziVolg (it.a., sec. XIV); il lemma rarificare è presente già in Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 261).

relaxari vb.med. ‘rilasciare la tensione muscolare; perdere tono cutaneo’ (288)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. relaxatus]

1. essere lassata: R («Di sopra molte si è lassata la codenna degli intesticugli sança quegli medesimi testicugli») 150v 2. fir largada: B («molti volti fi largata la codega de li testiculi senza quelli testiculi e pende in zoso sozamente») 67r 3. rellas[arse] vb.pronl.: V («molte fiade se rellasa la chodega dalli choioni») 63r

II Fisiologia e patologia 

▲ 1., 2. Per i verbi lasciare e largare non si registrano nel GDLI accezioni assimilabili a quelle del lat. relaxari; per 2., cf. anche s.v. dilatatus (1.b.). 3. Sono molto scarse le testimonianze trecentesche nell’accezione qui considerata: tra le prime attestazioni si rintracciano il fior.a. si rilassa (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI) e il pad.a. relasè (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Voce presente da Crusca1 (ma, fino a Crusca4, il lemma è sempre registrato nell’accezione più generica di ‘Straccare, Dissolver le forze, Allentare’). Cf. Nystedt (1988, 262), Gualdo (1996, 123), Elsheikh (2016 II, 260).

relaxatus agg. ‘di tessuto disteso, rilasciato; che ha perso tono cutaneo’ (2 occ.; 288)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. relaxari]

arellasad[o] agg.: V («taia tuta la charne arellasada defina a la chodega natural») 63r (2); rilassat[o]: R 151r ▲ In tale accezione non si registrano attestazioni del part./agg. ┌rilassato┐ in OVI e ReMediA. La prima testimonianza offerta dal GDLI (s.v. rilassato) appartiene a Buonarroti il Giovane (ante 1646). Nel Serapiom (fine sec. XIV, OVI), si rintraccia il sost. relaxatiom, relaxation. Cf. s.v. relaxari (3.).

repletio ‘riempimento indotto dal troppo cibo, indigestione’; più specif.: ‘eccesso di umori’ (8 occ.; 28) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]350

1. implirse vb.pronl.: B («lo infirmo se guardi da implirse») 59v

350 In Forcellini solo nell’accezione di ‘adimpletio, complementum’.

 715

2. pilglare troppo: R («guardisi di non pilglare troppo cibo»)351 74v 3.a. repietione (replectione; replexione; replezione; ripletione) f.: R («alcuna [scil.: apostema] è per cagione dentro e per repietione e per corrutione») 120r, 121v, 173r (2), 174r; repletione: B 7r, 54r, 54v, 73v (2), 74r; repllecione: V 54r, 57r, 69v (2) 3.b. replleto agg.: V («solvase el ventre s’el chorpo è tropo replleto»)352 52r 3.c. riempimento m.: R («Inperciò fa’ l’ammalato da353 riempimento soperchio delli cibi») 15r ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. impire §1.3 ‘introdurre cibo o bevande nell’apparato digerente per soddisfare la fame o la gola’; prima attestazione: pav.a. implir, 1274, Barsegapè). 2. Cf. GDLI (s.v. pigliare §40 ‘mandare giù nello stomaco, ingoiare; in partic.: bere, mangiare’; prima attestazione registrata in GiamboniLibroViziVirtudi, ante 1292). 3.a. Prima attestazione: fior.a. reprezione (1310, BencivenniSantà, OVI); DEI (V, 3230); voce presente da Crusca3. Cf. Nystedt (1988, 263), Marcovecchio (1993, 738), Gualdo (1996, 124), Motolese (2004, 269), Tomasin (2010, 68), Mazzeo (2011, 316), D’Anzi (2012a, 379), Castrignanò (2014, 202), Elsheikh (2016 II, 261). Si veda anche il fr. réplétion, attestato in entrambe le accezioni segnalate supra (‘surcharge d’aliments’ e ‘abondance de sang et d’humeur, excès d’embonpoint’: FEW 10, 268). 3.b. Cf. s.v. repletus (2.). 3.c. Nell’accezione di ‘quantità eccessiva di umori’, il GDLI (§6) riporta una sola attestazione (fior.a. riempimento), tratta da LibroCuraMalattie (primi decenni sec. XIV). Voce presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 264).

repletus ‘ben nutrito, ripieno (per la presenza di molto cibo negli organi 351 Lat.: caveat a repletione cibi. 352 Lat.: si necessitas nimiae repletionis [...] provocat te. 353 Andrà evidentemente integrato un aggettivo come lontano.

716 

 6 Glossario

deputati al suo smaltimento’; più specif.: ‘caratterizzato dall’eccessiva presenza di umori’ (4 occ.; 102)

[Forcellini III, 92354]

1.a. pieno (pleno) agg.: V («quando lo chorpo no è pieno») 26v, 52r (2) 1.b. repleno agg.: B («trova lo corpo o mondificato o repleno») 54r, 54v (2); ripieno: R 55v, 121r (3) 2. repleto agg.: B («questo è propriamente quando lo corpo non è repleto») 26r ▲ 1.b. Cf. GDLI (§3). 1.b. Cf. aret.a. ripieno in FioriMedicina (1340– 60, OVI), nel quale si ritrovano entrambi gli usi ricordati nella definizione del presente lemma: a) «ripieno di mangiare»; b) «ripieno d’omori». Cf. Elsheikh (2016 II, 266). 2. Prima attestazione: anagn.a. repleto (sec. XIII-XIV, CatenacciDistichaCatonis, OVI); DEI (V, 3230); FEW (10, 268: «Seit ca. 1300 durch die Mediziner dazu das Subst. repletio, besonders in der Bed. ‘Übersättigung’ , die es bereits im spätern Latein hatte»). Voce assente in Crusca. Cf. Nystedt (1988, 263), Aprile (2001a, 463), Mazzeo (2011, 316), D’Anzi (2012a, 383), Castrignanò (2014, 202).

retentio ‘accumulo di liquido nel condotto destinato alla sua evacuazione o nel serbatoio nel quale è normalmente contenuto’ (90) [Forcellini III, 124]

1.a. retignimento m.: V («la cura de li itropexi è greve però ch’eli è pieni de umiditade strania, chuxì è le ulzere delle gravede per lo retignimento delle superfluitade») 23v 1.b. retentione f.: B («la curatione de li ydropici è grave [...] e simelmente de li doni gravedi per la retentione de li superfluitade») 23r

354 ‘Che ha mangiato a crepapancia’.

1.c. ritenere vb.tr.: R («el corso delgli idruopichi è malagevole per la superfluità della humidità et [...] similglantemente quelle che sono pregne per lo ritenere della superfluità»)355 49v ▲ 1.a. In OVI e ReMediA, le uniche attestazioni del termine nella presente accezione sono le tre occorrenze del fior.a. ritenimento in CrescenziVolg («ritenimento d’orina»; in relazione alle piante: «ritenimento dello homore»; «ritenimento del nutritivo sugo»). Cf. GDLI (s.v. ritenimento §6); Sboarina (2000, 241: ritenimento dell’orina), Elsheikh (2016 II, 262 e 268). 1.b. In OVI e ReMediA, le uniche attestazioni del termine nella presente accezione sono il tosc.a. retençione (ante 1361, UbertinoBrescia) e il sab.a. retentione (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). In Crusca3,4 si registra il lemma ritenzione nell’accezione generica di ‘il ritenere’, al pari di quanto si osserva nel DEI (V, 3265). L’accezione medica è segnalata, invece, dal DELIN, 1397 (così come dal FEW 10, 336 per il fr.m. rétention ‘accumulation d’une substance solide ou liquide dans le conduit destinés à son excrétion’). Cf. Gualdo (1996, 124), Motolese (2004, 273), D’Anzi (2012a, 381), Elsheikh (2016 II, 262). 1.c. Cf. s.v. retinēre (2.a.).

retinēre vb.tr. ‘trattenere una sostanza liquida o gassosa impedendole di fuoriuscire o disperdersi’; vb.med. ‘accumularsi di una sostanza che non segue il normale processo d’evacuazione’ (9 occ.; 15) [Voce assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini]

1. costringere vb.tr.: R («La prima cosa è che tu costringhi») 7v 2.a. retegn[ere] (reten[ere]) vb.tr.: B («lo primo remedio de quelli è che al se retegna lo

355 Lat.: propter retentionem superfluitatum.

II Fisiologia e patologia 

curso de lo sangue») 4r, 14r, 22r, 23r, 45v, 52r, 70r; retegnir: V 3v; ritenere: R 49v, 58v, 99r 2.b. retign[irse] (retign[irse]) vb.pronl.: V («azò che, segondo che dixe li savij homeni de questa arte, lo sangue se retignirave in lo profondo») 10r, 23r, 43r, 66r (2); retegn[erse]: B 8v; riten[ersi]: R 158v 3. stare vb.intr.: V («getala [scil.: acqua] chon lo chrestiero e lasala stare una ora») 27v356 4. strenzere vb.tr.: V («la prima chossa che tu faci si è che tu strenzi la sangue») 5v 5.a. tenere vb.tr.: R («la loro virtù è di tenere el caldo naturale confortando») 30v 5.b. ten[ersi] vb.pronl.: R («sì come cercano li savi huomini di questa arte tengonsi il sangue per sì fatto modo che non vada dentro al corpo») 18v ▲ 1. Cf. s.v. constringere (1.a., 1.b.). 2.a., 2.b. Cf., nel corpus OVI, aret.a. si ritiene ne’ pori (1340–60, FioriMedicina, OVI); fior.a. la galanga ritiene l’orina (1337–61, LibroDrittafede, OVI); tosc.a. ritiene li homori (ante 1361, UbertinoBrescia). Nelle edizioni 3a e 4a di Crusca si registra l’accezione medica qui considerata di ‘Ritenere in corpo, nello stomaco, o simili; e anche Ritenere assolutamente’ (valore segnalato, per il latino e per i suoi esiti gallo-romanzi, anche dal FEW 10, 336). Cf. Nystedt (1988, 264), Gualdo (1996, 126 e 276), D’Anzi (2012a, 383), Elsheikh (2016 II, 262 e 268). 3. Cf. GDLI (§2 ‘essere immobile (l’aria); non scorrere, ristagnare’). 4. Cf. s.v. constringere (2.b.). 5.a., 5.b. Cf. GDLI (s.v. tenere §16 e §17).

reuma ‘flusso di umori che provoca dolore’ (2 occ.; 38)

 717

anchora per lo catharo dal cervello a la gola») 59v 2. humore m.: B («Anchora ogni dolore provoca la reuma, zoè lo humore, dondo fi facta la infiatura e lo apostema») 9v357 3. rema (riema) f.: V («anchora ogno dollore produxe tosto la rema») 11r, 56v; rema: R 20v ▲ 1. DEI (I, 808): «termine usato da Ippocrate per indicare la defluenza degli umori dalla testa; poi essudato derivato dall’infiammazione della mucosa»; DELIN, 312; Nocentini (2010, 201); LEI (XII, 1418); REW (§1761a); FEW (2, 493). Prima attestazione: mant.a. catar (1299/1309, Belcalzer, TLIO). Voce registrata già in Crusca1 (‘superfluità d’umore, che stilla dalla testa’). Cf. Ineichen (1966, 253), Nystedt (1988, 210), Marcovecchio (1993, 156), Gleßgen (1996, 564), Gualdo (1996, 76), Sboarina (2000, 215), Aprile (2001a, 275), Motolese (2004, 124), García Gonzáles (2007, 387), Mazzeo (2011, 284), Elsheikh (2016 II, 115). 2. Cf. s.v. humor. 3. Dal gr. ῥεῦμα; DELIN, 1355 («dal sign[ificato] orig[inario] di ‘corrente’ [...] si specializzò fin da Aristotele nella sfera med[ica] e passò anche nel lat. r(h)ēuma(m) col doppio sign. di ‘corrente’ e ‘catarro’»); DEI (V, 3238); Nocentini (2010, 994); REW (§7288); FEW (10, 377). Prima attestazione: tod.a. regoma (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO s.v. reuma). Crusca1,2 registra solo la forma rema, mentre da Crusca3,4 viene lemmatizzata anche la variante dotta reuma. Cf. GDLI (s.v. rema2 e reuma); Nystedt (1988, 264), Marcovecchio (1993, 744), Sboarina (2000, 240), García Gonzáles (2007, 524), Tomasin (2010, 69), Elsheikh (2016 II, 260). Per le forme (rema, riema) di V cf. anche s.v. reumatizare (1.).

[Du Cange VII, 181c]

1. catharo m.: B («El goso è differente da tuti, però che sempre fi in la gola [...] et descende

356 Lat.: stude ut retineatur intus per horam.

357 Voce adottata come glossa di reuma (cf. 3.).

718 

 6 Glossario

reumatizare ‘fluire, scorrere (di liquidi e umori dell’organismo)’ (207) [Du Cange VII, 177b]

1. desend[ere] per riema: V («la so chaxone si è umore vischoxo lo qual per riema desende dal chavo») 47v 2. inc[ire] vb.intr.: B («la sua casone si è humore grosso e viscoso che incisse da la testa e descende a lo naso») 49v ▲ 1., 2. Il lat. tardo rheumatizare ricalca il gr. ῥευματίζομαι (der. di ῥεῦμα). La voce verbale dotta ┌reumatizzare┐, aggirata dai nostri tre mss., presenta un’unica attestazione nel corpus OVI (venez.a. rematiçare: sq. sec. XIV, LibroSanitade) e appare molto rara anche nei secoli posteriori (cf., tra gli altri, Da Vigo 1581, 327: «il cauterio giova [...] per divertir le materie che reumatizano»). La prima attestazione offerta dal DELIN, 1355 è solo del 1891; cf. fr.m. reumatiser (FEW 10, 380). Per il sost. riema di V, cf. s.v. reuma (3.).

reumatizans part. pres. ‘che fluisce, che scorre (di liquidi e umori dell’organismo)’ (287) [Du Cange VII, 177b: reumatizare]

1. che chore: V («se apostema de una postiema chalda, over per umori che chore là») 63r 2. discorrando: B («alcuna volta quelli testiculi se apostemeno de apostema calda o frigida, o per humore discorrando a quelli») 67r 3. rossicante agg. (†): R («alcuna aviene ch’apostemeno quegli medesimi intesticogli d’aposteme calda overo freddo e gli homori a quegl medesimo rossicanti») 150v ▲ 1., 2., 3. Prescindendo dalla forma evidentemente deteriore (e probabilmente indotta per via paretimologica dall’accostamento al verbo rossicare, per il quale cf. s.v. rubescere) di R, sia V sia B rendono il termine greco tramite il ricorso al verbo comune correre (e il suo derivato discorrere, per il quale cf. Gualdo 1996,

245); cf. s.v. reumatizare (1., 2.). Il participio ┌reumatizante┐ conosce un’antica seppur isolata attestazione nel fior.a. reumaticanti (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); il GDLI ne rileva la prima testimonianza solo nel 1899 (L. Ferrio), ma in epoca moderna il termine risulta ampiamente documentato già nei primi decenni dell’Ottocento (cf., tra le varie testimonianze presenti in GoogleLibri, Configliachi/Brugnatelli 1824, VII, 50: «Venendo ora a dire alcuna cosa sulla qualità di questa singolare affezione, ei pare che provenisse in prima da cagioni reumatizzanti»); si veda anche il fr.m. (humeur) reumatizante (1534: FEW 10, 380).

ros ‘essudato sieroso presente sulle ferite’ (58) [Forcellini III, 157]

rosata f.: B («fazando apozare quelli cum la rosata che è in la substantia de tuti doy») 14v; roxada: V 16r ▲ In OVI e ReMediA non si rintracciano testimonianze del sost. f. rosata in questa accezione, che manca anche in DEI (IV, 3283) e GDLI; voce assente anche in DELIN e Crusca.

rubedo ‘rossezza, arrossamento per lo più dovuta a infiammazioni’ (11 occ.; 91) [Du Cange VII, 228c]

1.a. aroseza (roseza, rosseza) f.: V («Molte sono e diverse le pasion di hochi, sì chomo lagreme e inflaxone, rosseza») 44v, 48v, 55r;358 rosseza: B 46v, 50v, 51v (2), 55v (2), 56r (2), 57v, 63v, 67r; rossezza: R 50r, 124r (2), 128r 1.b. arossore (arosor; rossor) m.: V («el dollor, el rossor, e la umidità sotille») 24r, 53r, 61r; rossore: R 114r (2)

358 Voce adottata come glossa di rosso (cf. 1.b.).

II Fisiologia e patologia 

▲ 1.a. Con riferimento a parti del corpo, la prima attestazione è l’it.a. rossezza («occhi infiammati di laida rossezza»: 1336–38, BoccaccioFilocolo, OVI). Cf. Sboarina (2000, 241), Elsheikh (2016 II, 270). 1.b. Prima attestazione: pis.a. rossore (1302–08, BartSConcordio, OVI). Cf. Motolese (2004, 274), D’Anzi (2012a, 384), Elsheikh (2016 II, 270). ♦ Loc. e collocazioni: – rubedo faciei (2 occ.; 219) 1.a. rosseza de la facia: B («lo signo de lo sangue si è la rosseza de la facia») 52v (2) 1.b. rossor de la faza (rossore in la faza): V («Lo suo segno de quella [scil.: postiema] ch’è de sangue si è rossor de la faza») 50r (3) ▲ 1.a., 1.b. Molte delle occorrenze di ┌rossore┐ e ┌rossezza┐ presenti in OVI e ReMediA sono esplicitamente riferite al colorito del volto: il primo dei due termini si mostra nel complesso più diffuso rispetto alla forma con suffisso -ezza.

rubescere ‘diventare rosso, arrossarsi’ (5 occ.; 28) [Forcellini III, 163]

1.a. arrossic[are] vb.intr.: R («se tu vedrai che gli omori abondi e che luogo arrossichi [...], allora ài la intentione tua in nettare») 15r 1.b. devent[are] roso (dovent[are] roso): B («E se ti vederay crescere li humori e che lo loco deventi roso e se sconfli, overo se infli, alora debi temere che al non fiza facto lo apostema caldo») 7r, 13v, 40v; fir rosso: B 36v; vegnire rosso (vegnire arosso; vignir rosso): V 8v, 14v, 35r, 35v 1.c. fare rosso vb.tr.: V («el menbro s’enfia e fazando rosso lo luogo») 14v 1.d. rossicare vb.pronl.: R («el luogo è da fummentare359 coll’aqua calda e’l detto membro enfiato et se rossica») 29r, 29v, 77v, 87r

359 Ms.: summentare.

 719

▲ 1.a., 1.b., 1.c., 1.d. Si noti come i mss. V e B ricorrano sempre a costruzioni perifrastiche per rendere il valore incoativo del lat. latino rubescere. Al contrario, R usa le forme incoative arossicare (dal lat. *russicare, sul modello di albicare, o direttamente dall’agg. rosso: cf. DEI I, 305 s.v. arrussicare) e rossicare, le cui prime attestazioni sono rispettivamente il sen.a. s’arrosicano (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO) e il tosc.a. rossicano (ante 1333, Simintendi, OVI; altre tre occorrenze si hanno, in contesto medico e con riferimento all’arrossamento degli occhi, all’interno di ChirurgiaFrugardoVolg); arrossicare è assente in Crusca, mentre rossicare è registrato a partire da Crusca2.

rubor ‘rossore, arrossamento provocato da infiammazione’ (9 occ.; 43) [Forcellini III, 164]

1.a. aroseza (roseza) f.: V («alguna fiada chon chotal segno te aparerà aroseza e zalura») 14v, 17v; rosseza (roseza): B 10v, 13r, 16r, 23r, 32r, 47r, 54r (2), 59v; rosseza (rossezza): R 24r, 104r 1.b. rossich[are] vb.intr.: R («li accidenti rei sono sì come [...] quando la boce è fioca e rossicha nela faccia»)360 69r 1.c. rosor (rossor; rossore) m.: V («tu la vederà per questi segni, per lo rosor e per lo chalor del menbro») 12r, 24r, 51v, 52r, 53v; rossore: R 29r, 36r, 50r, 112v, 120r, 120v, 124r, 133r ▲ 1.a. Cf. s.v. rubedo (1.a.). 1.b. Cf. s.v. rubescere (1.d.). 1.c. Cf. s.v. rubedo (1.b.). ♦ Loc. e collocazioni: – rubor oculorum (2 occ.; 129)

360 Lat.: Et ex accidentibus malis est sicut [...] abscisio vocis, rubor.

720 

 6 Glossario

arosura delli ochi: V («Li rei azidenti si è [...] arosura delli ochi e lo vignir de li hochi infuora») 31v

Barbato (2001a, 483), Motolese (2004, 275), D’Anzi (2012a, 387), Elsheikh (2016 II, 275). 1.c. Cf. s.v. sanguinolentus (1.b.).

▲ Cf., tra le più antiche testimonianze rintracciabili in OVI: tosc.a. rossore agli occhi (ante 1333, Simintendi); rossore d’occhi (ante 1333, UbertinoBrescia); fior.a. ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); Elsheikh (2016 II, 229 s.v. occhio: rosseza delli occhi).

sanguinolentus ‘che sanguina, che non si rimargina (di ferite); che contiene sangue’ (7 occ.; 24)

saliva ‘liquido che inumidisce il cavo orale’ (219) [Forcellini IV, 202]

saliva f.: R («el sengno della fremma si è poco dolore e poca rosseçça et di fare molta saliva») 116v; ~: V 50r; ~: B 52v ▲ Prima attestazione: mil.a. saliva (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); DELIN, 1430; REW (§7541); FEW (11, 99). Cf. André (1991, 62), Marcovecchio (1993, 759), Aprile (2001a, 471), D’Anzi (2012a, 385), Elsheikh (2016 II, 273).

sanguineus ‘che contiene sangue’ (3 occ.; 215) [Forcellini IV, 216]

1.a. de sangue: V («inprima se vuol vedere che lla urla non sia de sangue o redonda») 49r, 57r; di sangue: R 133r 1.b. sanguineo agg.: R («alcuna scruofola è di quelle ch’è di maggiore materia sanguinea») 136r; sanguine[o]: B 59v, 61r; sanguino: V 58v 1.c. sanguinolento agg.: B («Ma in prima è da considerare diligentemente che la lunella non sia sanguinolenta») 51v ▲ 1.b. La prima attestazione della forma dotta, priva di palatalizzazione, è il fior. sanguinea (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI); DEI (V, 3332); DELIN, 1436; REW §7572; FEW (11, 164). Voce presente già in Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 761), Gleßgen (1996, 635), Aprile (2001a, 472),

[Forcellini IV, 217]

1.a. pieno de sangue: B («quando la piaga è frescha e piena de sangue») 6r 1.b. sanguenolent[o] agg.: B («l’adunatione de la piaga renovata fi elongata da la facilitate et adunatione de la piaga fresca e sanguenolenta») 6r (2), 18v 1.c. sanguinente agg.: R («la puçça serà sanguinente e corrente contra flema») 57v 1.d. sanguinos[o] agg.: R («sappi amico che lla piaga rinovata non si sana sì leggiermente come la piaga ricente e sanguinosa») 12v, 37r, 40v, 58v; ~: B 16v, 26v, 27r; sanguinox[o] (sanguanox[o]; sanguenox[o]): V 7v (2), 18r, 20r, 27r, 27v ▲ 1.a. Cf. locuzioni simili di àmbito medico presenti in ReMediA: tosc.a. vena piena di sangue (ante 1361, UbertinoBrescia); fior.a. gengie piene di sangue e vesciche piccole piene di sangue (XIV sec., CrescenziVolg); sab.a. vessice plene de sangue (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). 1.b. Prima attestazione: bol.a. sanguinolento (1324–28, JacLana, OVI); DEI (V, 3332): «suffisso -ŭlĕntus (composto di -ul- e -entus-) sul modello di cruentus»; DELIN, 1436; FEW (11, 168). La voce sanguinolente è presente in Crusca2,3,4, ma con la definizione di ‘vago di far sangue, crudele’. Cf. Nystedt (1988, 266), Marcovecchio (1993, 761), Green (2009, 409). 1.c. Prima attestazione: mil.a. sanguanenta (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); DELIN, 1436; il lemma sanguinante è presente solo in Crusca4, mentre il corrispondente verbo sanguinare è accolto a partire da Crusca3. Cf. Nystedt (1988, 266).

II Fisiologia e patologia 

1.d. Lat. sanguinosus (REW §7572; FEW 11, 169). Dei tre attributi qui registrati come traducenti del lat. sanguinolentus, sanguinoso è di gran lunga quello più diffuso all’interno del corpus OVI, anche in contesti non strettamente medici. Prima attestazione: fior.a. sanguinosa vita (ante 1292, GiamboniOrosio); DELIN, 1436; voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 472), Elsheikh (2016 II, 275).

sanies ‘materia sierosa che fuoriesce da ferite infette, pus’ (63 occ.; 16)

[Forcellini IV, 218; cf. → sanies corrosiva (s.v. corrosivus), sanies subtilis (s.v. subtilis)] 1. cosa malsana f.: R («che llo infermo faccia dormire in sulla ferita, che i llui non si raunasse niuna cosa malsana») 19v 2. fastiggio m.: R («alcuna volta è fatto nelgl’occhi per fastiggio») 109r (3), 133r 3.a. marcia f.: R («tu disecchi la marcia, lo sangue si debe ristringere») 8r, 8v (4), 9r (2), 11v, 13r, 109r (2), 109v, 118v (2), 122r, 128r, 136r (2), 137r (2), 137v; marza: V 5v, 6r (6), 7r, 7v, 10v (2), 12r (2), 13v, 14r, 14v (4), 16v (3), 17r, 20r, 22v, 23v (3), 26v (2), 28r (3), 28v, 33r (2), 47r (5), 49v, 50r, 51r (2), 52v, 53r, 53v, 55r, 56r, 58v (2), 59r (2), 59v, 64r; ~: B361 5v, 6r, 10v, 12r, 12v, 13r (2), 15r (2), 15v, 18v, 21v, 22v, 26r, 28r (3), 28v, 33v (2), 49r, 55r (2), 55v, 66v 3.b. marz[irse] vb.pronl.: V («una malatia ch’è simel a l’aqua che vien da l’ochio e se marzise»)362 47r 4.a. puza f.: B («Lo terzo remedio è che la puza generata fiza desiccata») 4r, 4v (8),363 5r, 10v; puzza: R 60r, 115r, 117r, 122r, 122v, 124r, 127r, 130r (2), 131r

361 A c. 5v, 6r, 9r, 12r, 12v, 13r (2), 15v, 18v, 22v (2), 28v, 33v, 49r, 66v, la voce marza è adottata come glossa di sanie (cf. 5.). 362 Lat.: est sanies. 363 In una delle otto occorrenze di c. 8v, la voce è adottata come glossa di sanie (cf. 5.).

 721

4.b. puzura f.: B («la postema de li quali convene venire a puzura») 4r 5. sanie f.: R («La quale cosa se ii ferite si mostrano exemplum in sanie avere modo di qualità») 35r; sanie (sania): B 4v, 5v, 6r, 9r (2), 12r, 12v, 13r (2), 15v, 18v, 22v (2), 23r, 28v, 33v, 49r (5), 49v, 52r, 52v, 53r (2), 55r, 55v, 57v, 58v (3), 59v, 61r, 61v (2), 62r (3), 66v ▲ 1. La prima attestazione dell’attributo malsano è il mil.a. malsan (1270–80, BonvesinVolgari, OVI); la voce entra in Crusca solo dalla 4a edizione. 2. Dal lat. fastidium (REW §3217; FEW 3, 432). Cf. TLIO §1.1 (‘materia residuale inutile o nociva’) e, più nello specifico, §1.2.1 (‘materia, spec. fecale, espulsa dal corpo umano o animale che sporca, degrada e suscita repugnanza’). In quest’ultima accezione, prossima a quella del lat. sanies, la prima testimonianza è il sen.a. fastigi (1288, EgidioColonnaVolg, OVI); cf. GDLI (s.v. fastidio §8 ‘in senso concreto o per eufemismo: sporcizia, sudiciume, sozzura di materie organiche in decomposizione’); voce presente da Crusca1 (‘per ogni sorta di sporcizia, e di porcheria’). 3.a. Cf. s.v. pus (2.). 3.b. Cf. s.v. putrefacere (6.). 4.a. Cf. s.v. pus (5.a.). 4.b. Cf. s.v. pus (5.b.). 5. Cf. DEI (V, 3333); REW (§7577); FEW (11, 184). Voce scarsamente attestata nel corso del Trecento: dalla consultazione dei corpora OVI e ReMediA si ricavano appena due testimonianze di sanie: fior.a. sanie (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg: 24 occorrenze); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 275: 5 occorrenze). La forma sania è testimoniata, oltre che in ChirurgiaFrugardoVolg, anche in MascalciaRusioVolg (sab.a., fine sec. XIV) e ThesaurusPauperumVolg (XIV sec., sic.a.); cf. TLIO (s.v. sanie). Lemma accolto in Crusca3,4. Cf. Nystedt (1988, 266), Marcovecchio (1993, 761), Motolese (2004, 276), Green (2009, 409), D’Anzi (2012a, 387).

722 

 6 Glossario

saniosus ‘purulento: detto di ferite e ulcere’ (3 occ.; 59) [Forcellini IV, 218]

1.a. che geta asà marza: V («in le piage che geta asà marza nuj schivemo questa deta medexina») 16v; che geta molta marza: V 20r 1.b. pieno de marza: B («noy se guardemo de ponere questa medicina in tuti li piagi saniosi, zoè pieni de marza») 15r, 16r, 18v364 2. marzox[o] agg.: V («se la piaga serà marzosa e putrida e umida, alora sapi che la medexina è puocho secha») 17v 3. sanios[o] agg.: R («nelle ferite saniose noi vietamo che non v’è da ponere medicine») 33v, 35v; sanioso: B 15r, 16r, 18v ▲ 1.a. Cf. tosc.a. fistola [...] che getti marcia (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI). 1.b. Cf. mess.a. plini di marza (1316–37, EneasVolg, OVI). 2. Non si rintracciano attestazioni in OVI e ReMediA; DEI (III, 2362); voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. marcioso). Cf. Elsheikh (2016 II, 205). 3. REW (§7577); FEW (11, 184). Prima attestazione: it.sett.a. saniossa (pm. sec. XIV, GuglielmoPiacenzaVolgA, TLIO s.v. sanioso); voce presente in Crusca3,4. Cf. Motolese (2004, 276), Green (2009, 409).

sciatica passio ‘sindrome dolorosa del nervo sciatico’ (315) [Du Cange VII 353c: sciaticus; Forcellini IV, 251: sciaticus]

1. dollore della chossa: V («E chontra dollore della chossa schota sora essa chon chauterio triangullado») 68v 2. gota de li galoni: B («Contra la siatica passione, zoè contra lo dolore overo la gota de li galoni, firà lo cauterio sopra lo galone») 73r

364 In tutte e tre le occorrenze, la perifrasi è adottata come glossa di sanioso (cf. 3.).

3. siatica passione f.: B (cf. supra 2.) 73r ▲ 1. Non si rinvengono locuzioni analoghe in OVI e ReMediA, fatta eccezione per un passo di AntidotNicolaiVolg («dele braccia e dele coscie caccia il dolore»; cf. anche il punto 3. per la testimonianza di Aldobrandino presente in Crusca1). 2. Dal lat. gutta(m): DELIN, 681 («la ‘goccia’ che, scesa dal cervello, si riteneva responsabile dell’artrite»); DEI (III, 1849); Nocentini (2010, 518: «gotta ha continuato solo il sign. traslato di ‘artrite uricemica’»); REW (§3928); FEW (4, 350). Prima attestazione: fior.a. gotta (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 264), Altieri Biagi (1970, 85), Nystedt (1988, 232), Marcovecchio (1993, 402), Gleßgen (1996, 600), Sboarina (2000, 228: gotte f. pl.), Zarra (2018, 607–608). Per il sost. galone ‘coscia, anca’, cf. s.v. scia (sezione 1). 3. Il lat. tardo sciaticus corrisponde al lat. class. ischiadĭcus, che è l’adattamento del gr. ἰσχιαδικός (a sua volta da ἰσχίον ‘ischio’): cf. REW (§4549); DEI (V, 3397); DELIN, 1473; Nocentini (2010, 1068); Marcovecchio (1993, 481); per il sost. scia, il FEW (4, 819) cita come prima testimonianza del fr.a. quella contenuta in una traduzione di Bruno da Longobucco. La prima attestazione si legge nella forma latina sciaticis (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); poi, mant.a. sciatica (1299/1309, Belcalzer, OVI). Voce presente da Crusca1 (con un’unica testimonianza proveniente dal volgarizzamento, opera di Maestro Aldobrandino, de Le régime du corps, nella quale la perifrasi qui esaminata è accompagnata da quella popolare, osservata al punto 1: «Passione sciatica, cioè dolor della coscia, è nata da umori, che discendono in quel grosso nervo della coscia»). Cf. Ineichen (1966, 277), Nystedt (1988, 267), Marcovecchio (1993, 771), Mazzeo (2011, 319), D’Anzi (2012a, 388), Elsheikh (2016 II, 280), Zarra (2018, 623).

II Fisiologia e patologia 

scliros/sephiros (sephiros è la lezione del ms. lat. G) ‘secondo le teorie dell’epoca, tipo di cancro caratterizzato dall’addensamento di collera nera’ (8 occ.; 226)

[Du Cange VII, 383c: scyrosis; Forcellini IV, 255: scirros] 1. sefiros (senfiros; sephyros) m.: R («fassi apostema di collora nera e è detta sephyros») 120r, 127r (5), 127v; sefiros: V 55r; sephiros (sephiro): B 54r, 57r (7), 57v 2. schiros (scliros) m.: V («quella che se fa de mellinchonia se chiama scliros over chanzer») 51v, 54v (3), 55r (3) ▲ 1. La tradizione del testo latino di Bruno oscilla tra le varianti sephiros e scliros, fatto che testimonia significativamente la vitalità di entrambe le varianti all’interno degli ambienti dotti: sephiros rappresenta la forma araba per indicare il greco σκῖρος (cf. 2.). Nella trattatistica cólta se ne rinvengono delle tracce ancora alle soglie del Seicento, come si può osservare nel seguente passo di Dalla Croce (1583, I, 79r), che accosta il termine latino ai corrispettivi greco e arabo: «Questo tumore detto da Greci scirro, da Arabi sephiros, & da Latini durezza, & tumor duro, sta talmente attaccato alla particella, dove ci nasce, che in niun modo si muove». Cf. Tomasoni (1986b, 238), Sosnowski (2014, 228). 2. Cf. quanto detto supra (1.). Dal gr. σκῖρος ‘durezza, callosità’ (DEI V, 3403), ma anche, più specificamente, ‘tumore’; il lat. scliros, presente in Bruno come in altri testi medici medievali, è variante del più corretto sciros, e dipende da un probabile incrocio con l’adattamento latino del gr. σκλήρωσις ‘durezza’ (dove la -i- presuppone una pronuncia conforme a quella del gr. bizantino: FEW 11, 316 s.v. scleroticus), sulla base di una radice comune che rimanda al verbo σκέλλομαι ‘disseccarsi, indurire’ (cf. Nocentini 2010, 1072 s.v. sclero-). Cf. a tal riguardo le parole di Tagaultio (1570, 111v), per il quale il termine scliro è «non perfetto» («da la melancolia naturale

 723

[...] si genera il vero e legittimo scirrho, chiamato dagli Arabi Sephiro: e dai Greci, Scirro, e Scliro non perfetto»). L’associazione tra le forme sciros e scliros permane anche nella lessicografia: Forcellini (IV, 257), ad esempio, pone a lemma, oltre a scirros, anche sclirosis, dandone la definizione ‘idem ac scirosis’, e rimandando al lemma scirrhosis. Non si rinvengono attestazioni in OVI e ReMediA; la voce scirro è lemmatizzata in Crusca3,4 e GDLI (in entrambi i casi, la prima e unica attestazione pre-cinquecentesca appartiene al ms. rediano contenente il Libro della cura delle malattie). Cf. Altieri Biagi (1970, 122), Marcovecchio (1993, 771), Motolese (2004, 277: agg. scirroso), García Gonzáles (2007, 534), Sosnowski (2014, 228).

scotomia ‘scotodinìa, vertigine apoplettica, associata a improvvisa diminuzione o perdita della vista’ (128) [Du Cange VII, 365c]

1. schotomia f.: V («li azidenti che mostra quello, si è sì chomo apoplexia, schotomia») 31v; scotomia: B 32r 2. vertizene f.: B («de li accidenti significanti tale rotura alcuna volta sono apoplesia, zoè perdimento overo cadimento, e scotomia, zoè vertizene») 32r365 ▲ 1. Dal gr. σκότωμα ‘oscuramento’, der. di σκότος ‘oscurità’ (cf. scotoma in DEI V, 3422; DELIN, 1486; Nocentini 2010, 1077; FEW 11, 330: «Die Mediziner haben es als Fachausdruck in die meisten romanischen Sprachen eingeführt»). Nei corpora OVI e ReMediA se ne rintracciano solo tre testimonianze: fior.a. scotomia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); mant.a. ~ (1299/1309, Belcalzer); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 276). Voce

365 Voce adottata come glossa di scotomia (cf. 1.).

724 

 6 Glossario

presente in Crusca3,4. Cf. Altieri Biagi (1970, 122), García Gonzáles (2007, 535 s.v. scotosis), D’Anzi (2012a, 389), Elsheikh (2016 II, 282), Zarra (2018, 624). 2. Dal lat. vĕrtīgo (REW §9256; FEW 14, 326). Prima attestazione: fior.a. vertigini (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); voce poco diffusa nel corso del Trecento (appena tre testimonianze complessive in OVI), ma presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 283), Altieri Biagi (1970, 137), Nystedt (1988, 282), Marcovecchio (1993, 916), Sboarina (2000, 248), Motolese (2004, 318), Mazzeo (2011, 328), D’Anzi (2012a, 421), Elsheikh (2016 II, 333), Zarra (2018, 629).

scrophula ‘infiammazione cronica, degenerazione tubercolosa dei gangli sottocutanei’ (30 occ.; 190)

[Du Cange VII, 372b: scrofula; Forcellini IV, 266: scrofulae] schrovolla (schrovola) f.: V («delle schrovolle et delle altre superfluitade le qual se moia ad esse») 44r, 55r, 56r (3), 56v (3), 57r (5), 58r (10), 58v (4), 59r, 59v; scrophula: B 46r, 57v, 59r (6), 59v (3), 60r (2), 60v (8), 61r (5), 61v (2), 62v; scruofola: R 101v, 131v (4), 132r (2), 133r (3), 133v (2), 135r (10), 135v, 136r (3), 136v, 137r, 138r. ▲ Da scrōfa (DEI V, 3427: «rapporto semantico che ricalca quello greco choirás-ádos scrofola con chȏiros maialetto»; DELIN, 1488: «perché assomiglia ad una malattia dei maiali»; Nocentini 2010, 1079); REW (§7750); FEW (11, 343: «Die semantische Übertragung ist bereits für scrofa belegt in der Mulomedicina Chironis und bei Plinius Valer. (6. Jh.)»). Prima attestazione: fior.a. scrofola (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); voce presente già in Crusca1 (scrofola). Cf. Ineichen (1966, 276), Altieri Biagi (1970, 123), Marcovecchio (1993, 776), Sboarina (2000, 242), Aprile (2001a, 478), Barbato (2001a, 489), García Gonzáles (2007, 535 s.v. scropha), Mazzeo (2011, 318), Sosnowski (2014, 228), Elsheikh (2016 II, 282).

sebel ‘dilatazione varicosa dei vasi della congiuntiva’ (2 occ.; 199) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

sibel m.: V («E molte fiade è in li hochi vene rosse le qual viene dite sibel e fa noximento alla vista») 46r ▲ Arabismo poco diffuso nel corso del Trecento (il lat. sebel rappresenta l’ar. sabal; ma è collocato tra gli etimi sconosciuti dal FEW 21, 435 s.v. maladie des yeux): l’unica attestazione rintracciabile in OVI e ReMediA è il tosc.a. sebel (ante 1361, UbertinoBrescia); una testimonianza anteriore si legge poi nell’Almansore (Elsheikh 2016 II, 283). La voce è assente in DEI e Crusca, ma la si ritrova ancora nella lessicografia del Settecento: cf., tra gli altri, James (1753 X, 550: ‘nome arabo della malattia di occhi chiamata Pannus’). Cf. Altieri Biagi (1970, 122).

sensibilis ‘che è ricettivo alle impressioni esterne, in particolare al dolore’ (104) [Forcellini IV, 312]

sensibile agg.: R («quando tu tocchi el prifondo colla tenta, la quale cosa è nel nervo e molto sensibile») 56v; sensibile: B 26v ▲ Prima attestazione (anche se con un’accezione più generica e piuttosto di stampo filosofico): tosc.a. sensibile (ante 1294, GuittArezzo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. D’Anzi (2012a, 391).

sensibilitas ‘sensibilità, facoltà di percepire stimoli esterni’ (2 occ.; 49) [Forcellini IV, 312; cf. → s.v. sensus]

1.a. sensibiltà f.: R («i lloro è troppo sensibilità e parte da celabro e parte dal cuore») 27r,366 56v; sensibilitade: B 12r, 26v

366 Ms.: sesabilita.

II Fisiologia e patologia 

1.b. sentimento m.: V («sapi che in esi si è tropo sentimento») 13v, 26v ▲ 1.a. Prima attestazione: pis.a. sensibilità (1308, GiordPisaGenesi, OVI); voce presente da Crusca1. 1.b. Cf., tra le più antiche attestazioni presenti nel corpus OVI, fior.a. sentimenti del corpo (ante 1292, GiamboniLibroViziVirtudi, OVI). Cf. Aprile (2001a, 469), Motolese (2004, 281), D’Anzi (2012a, 391), Elsheikh (2016 II, 287).

siccitas ‘qualità secca di un corpo, scarsezza di umidità nell’organismo o in sue parti (contrario di humiditas)’ (8 occ.; 11) [Forcellini IV, 355]

1.a. esechacione f.: V («quando la ulzera è pì granda e più profonda, tanto vuol mazor esechacione») 23r 1.b. secheza f.: V («tu die smenuire quella secheza o in quantitade o in qualitade») 17v 1.c. seccità (siccità) f.: R («troppo è sottile a sanare se della fredezza appare, al contrario se della seccità») 29r (2), 35v, 39v, 47v, 49v, 154r; siccitade (sicitade): B 3r, 13r (2), 16r, 18r, 22r, 23r, 68v; sicitade (sezitade): V 14v, 17v, 19v, 23v, 65r; sictietade: R 5r ▲ 1.a. Il TLIO registra, oltre all’accezione con valore attivo (in linea con quella più consueta per i sostantivi astratti in -tio), ben più comune, di ‘capacità, azione di rendere asciutto’, anche quella (§2) indicante piuttosto il processo del ‘diventar secco’ (pad.a. exsiccacion: fine sec. XIV, Serapiom). Il lemma essiccazione è accolto solo in Crusca5. Cf. Nystedt (1988, 226). 1.b. In contesto propriamente medico, cf. le loc. secchezza del petto, secchezza de’ membri (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); voce presente in Crusca3,4. Cf. Elsheikh (2016 II, 283). 1.c. Prima attestazione: aret.a. siccità (1282, RestArezzo, OVI); DEI (V, 3489); REW (§7896); FEW (11, 583). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 270), Gualdo (1996, 131), Sboa-

 725

rina (2000, 267), Aprile (2001a, 485), Motolese (2004, 282), Mazzeo (2011, 319), D’Anzi (2012a, 393), Castrignanò (2014, 206).

siccus ‘privo di umidità’ [Forcellini IV, 355]

♦ Loc. e collocazioni: – aegritudo sicca ‘malattia caratterizzata da umori secchi’ (311) 1.a. infermità secca f.: R («èe inconovenevole di sanare quella infermità ch’è calda e secca») 167v; infirmitade sicca: B 72r 1.b. mallatia secha f.: V («non se chonviene che se sane chon essa alguna mallatia chalda e secha») 68r ▲ 1.a., 1.b. Cf. fior.a. malatie calde e seche (1310, BencivenniSantà, OVI). Tra le poche attestazioni di epoca più tarda ricavabili da GoogleLibri, cf. (anche se in contesto veterinario): secca infermità (Caracciolo 1589, 711). – complexio sicca (2 occ.; 61) complexione sicca f.: B («Adoncha se la complexione de lo membro serà sicca, el se convene administrare la medicina desiccativa») 15v, 72r; compressione seccha (conplessione secca): R 34v, 167v; conplesion secha: V 17r ▲ Tra le più antiche attestazioni della locuzione ricavabili dal corpus OVI, cf.: it.a. secca complessione (1361, BoccaccioEpistola); pad.a. secca complexion (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. complession secca (fior.a., CrescenziVolg). Cf. Motolese (2004, 278). – corpus siccum (4 occ.; 66) chorpo secho m.: V («per la livitade de la esechacion li corpi sechi non zenererave charne») 18v, 23v; corpo secco: R 35r (2), 37v (2); corpo sicco: B 17r (2), 23r ▲ Cf. fior.a. corpo secho (1310, BencivenniSantà, OVI); pad.a. corpo secco (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Cf. Motolese (2004, 278).

726 

 6 Glossario

– membrum siccum (2 occ.; 64) membro secco (menbra seche f. pl.) m.: R («s’el membro fusse secco e la ferita fusse di molta humidità») 34v, 161r; membro sicco: B 16v, 70v; menbro secho (menbre seche f. pl.): V 18r, 66v ▲ Cf. tosc.-ven.a. membra secche (XIV sec., DiatessaronVeneto, OVI); in epoca più tarda, cf. Da Vigo (1560, 84: «dicemmo [...] che sì corpi, sì membri secchi, robusti, e densi, per incarnare le ferite loro hanno più bisogno di essere disseccati che non corpi, e membri deboli, teneri, e molli»).

sinantia ‘tipologia di squinantia ritenuta meno pericolosa della quinantia’ (218)

[Du Cange VII, 688a: synanticus morbus] sinancia f.: V («Le spezie de questa postema è iii, l’una de le qual è dito squinancia, la qual è tuta aschoxa dentro, alora si è mortalle; e l’altra è dita sinancia») 50r; ~: B 52r; sinanzia: R 116r ▲ Dal gr. συνάγχη ‘angina’ (cf. s.v. squinantia); cf. FEW (12, 494 s.v. synanche); voce assente in DEI, DELIN e Crusca. L’unica attestazione ricavabile dai corpora OVI e ReMediA è il tosc.a. sinantia (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Cf. García Gonzáles (2007, 541), Elsheikh (2016 II, 291).

sincopis ‘sospensione improvvisa dell’attività cardiocircolatoria e respiratoria, accompagnata da perdita di coscienza’ (6 occ.; 75) [Du Cange VII, 689c: syncope]

1. angossa f.: V («se li vignise vomito e angossa, abatimento al chuor, li qual è tuti rei segni») 53r 2.a. cadimento m.: B («questo apostema è molto timoroso, e specialmente quando cum

quello vene lo vomito, lo sbatimento del core e lo cadimento») 56v 2.b. chazere in angossa: V («s’el chaze in angossa con senglozo,367 li aspeta la morte») 20v, 31v, 32v, 54r, 60v 3.a. perdimento m.: B («in lo dì de la percussione tu non di’ fare la incisione, azò che per questo tropo fluxo de sangue non vegnia, overo sincopis, zoè perdimento») 33r, 55v, 63r368 3.b. perditione del core: B («ma se al ge vene sincopismo, zoè perditione del core, cum lo sangloto, alora la morte si se afreza») 19r369 4.a. sincopis m. (?): B («E de li mali accidenti sono como è perdere lo intellecto, sincopis, zoè strangossare») 32r, 55v; sincopo: B 55v 4.b. sincopismo m.: B («e al ge vene sincopismo, zoè perditione del core, cum lo sangloto, alora la morte si se afreza») 19r 5. spasimo m.: R («sopra avenisse a lluj lo spasimo e apresserebesi alla morte») 140v 6. strangossare vb.intr.: B («E de li mali accidenti sono como è perdere lo intellecto, sincopis, zoè strangossare, ascondimento de la voce [...]) 32r370 ▲ 1. Prima attestazione: mil.a. angoxa (1270– 80, BonvesinVolgari, TLIO §1.2 s.v. angoscia); cf. GDLI (s.v. angoscia §1); LEI (II, 1254). Solo nella 5a ediz. di Crusca è registrata la loc. venire in angoscia ‘vale venir meno, svenire’. Cf. Motolese (2004, 104), Elsheikh (2016 II, 87 s.v. angoscia ‘difficoltà a respirare’). Si veda anche s.v. sincopizare (1.a.). 2.a. Prima attestazione: it.a. cadimento (1373– 74, BoccaccioEsposizioni, TLIO §2.2.2 ‘perdita della conoscenza e della posizione eretta; svenimento’); voce assente in tale accezione nel GDLI e in tutte le edizioni di Crusca.

367 Lat.: si fuerit sincopis cum singultu. 368 Voce adottata sempre come glossa di sincopis (cf. 4.a.). 369 Perifrasi adottata come glossa di sincopismo (cf. 4.b.). 370 Voce adottata come glossa di sincopis (cf. 4.a.).

II Fisiologia e patologia 

2.b. Cf. s.v. sincopizare (1.a.). 3.a., 3.b. In TLIO e Crusca non si registrano accezioni di natura propriamente medica assimilabili a quella di ‘mancamento, svenimento’. Cf. in GDLI (s.v. perdimento §5) la loc. perdimento dell’animo ‘svenimento, deliquio’ (1583, Dalla Croce); Aprile (2001a, 433 ‘danno irreparabile e mortale’). Cf., sempre in B, anche il corrispettivo verbo perderse usato come traducente di sincopizare (cf. s.v., 2.). 4.a. Dal gr. συγκοπή, der. di συγκόπτω ‘spezzare’ (cf. DEI V, 3503; DELIN, 1531; Nocentini 2010, 1115; REW §8498; FEW 12, 495). Prima attestazione: mess.a. sincopi (1302–37, LibruSGregoriu, OVI). Voce registrata solo da Crusca3,4 (sincope/sincopa). Cf. Ineichen (1966, 277), Altieri Biagi (1970, 124), Nystedt (1988, 270), Marcovecchio (1993, 840), Gleßgen (1996, 637), Gualdo (1996, 131), Motolese (2004, 283), García Gonzáles (2007, 467 s.v. lipotomia), Green (2009, 410), Mazzeo (2011, 320), D’Anzi (2012a, 393), Castrignanò (2014, 206), Elsheikh (2016 II, 292). 4.b. In OVI non si registrano attestazioni del grecismo con aggiunta del suffisso -ismo. Voce assente in DEI, DELIN, Crusca e GDLI. 5. Cf. s.v. spasmus (1.a.). 6. Dalle testimonianze presenti in OVI e ReMediA, la voce (frutto di incrocio tra i verbi angustiare e strangolare; cf. REW §469) risulta ben documentata in area settentrionale; prima attestazione: lomb.a. strangosa (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, OVI). Cf. anche, in area toscana, il sen. strangosciato (fine sec. XIII, FattiCesareVolg, OVI); LEI (II, 1254); Boerio (1856 s.v. strangossàr); Tiraboschi (1873 s.v. strangossà); Verlato (2009, 744). La forma toscana strangosciare è registrata in Crusca3,4.

sincopizare ‘essere colpito da sincope’ (2 occ.; 16)

 727

1.b. cazere per terra: B («tuta la sanie non de’ fir trata fora, azò che per la resolutione de lo spirito vitale lo infirmo non sincopizi, zoè caza per terra») 58v371 2. perd[erse] vb.pronl.: B («azò che per la desmesurata quantitade de lo sangue lo infirmo non se perda») 4r 3. sincopiz[are] vb.intr.: B (cf. supra 1.b.) 58v 4. sopravenire sincopis: R («acciò che [...] non sopravenga allo amalato sincopis»)372 8r 5. venire meno vb.sint.: R («non è da subbitare che [...] per la resulutione lo spirito dell’animale ch’è infermo venisse meno») 130r ▲ 1.a. Come segnala il TLIO (§1.2), angoscia assume anche l’accezione di ‘improvviso mancamento, perdita dei sensi’. La locuzione qui esaminata è testimoniata da: fior.a. d’angoscia cadde (ante 1316, DinoFrescobaldi, OVI), ven.a. > tosc.a. cadde in angoscia (sec. XIV, SBrendano, OVI); cf. LEI (II, 1254); in D’Anzi (2012a, 280: cadere in sincopi), al verbo cadere si accompagna la conservazione del grecismo sotto forma di sostantivo: analoga strategia si ritrova anche in F1 (cazere sincopizato 4r). Un uso verbale analogo si ritrova nella forma settentrionale non composta strangossare (cf. s.v. sincopis 6.). 1.b. Perifrasi che, in modo simile alla precedente (1.a.), restituisce il termine dotto esplicitandone non tanto l’aspetto sintomatico, quanto la sua naturale e più immediata conseguenza (cf. D’Anzi 2012, 255). Prima attestazione: roman.a. cade in terra (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. L], OVI), dove, peraltro, si riscontra anche l’accompagnamento dell’attributo angossata («cade in terra colle blacza refrede quasi angossata»). 2. Cf. GDLI (s.v. perdere §7). 3. Dal sost. sincope con aggiunta del suffisso verbale (cf. DEI V, 3503; FEW 12, 495). Prima attestazione: nap.a. sincopizò (1369–73, MaramauroExpositione, OVI); voce presente

[Du Cange VII, 689c: syncopizare]

1.a. chazere in angosa: V («chon zò sia chosa che lo fluxo de la sangue fose in tropo gran quantitade lo infermo chazerave in angosa») 5v

371 Perifrasi adottata come glossa del verbo sincopiz[are] (cf. 4.). 372 Lat.: ut ne [...] patiens sincopizet.

728 

 6 Glossario

da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 270), Aprile (2001a, 487), Motolese (2004, 284), Castrignanò (2014, 206). 4. Per il sostantivo sincopis, cf. s.v. sincopis (4.a.). Per l’uso del verbo sopravvenire, assimilabile a un tecnicismo collaterale, cf. quanto esposto s.v. aegritudo (2.b.). 5. Anche la loc. venire meno, al pari delle due basate sul verbo cadere (1.a. e 1.b.), traduce il termine dotto descrivendo le conseguenze più dirette della patologia. Cf. GDLI (s.v. venire §36 ‘sentirsi mancare, perdere le forze’; prima attestazione: vengano meno, ante 1373, DiatessaronToscano).

singultus ‘singhiozzo’ (3 occ.; 47) [Forcellini IV, 383]

sangloto (singloto) m.: B («quello che ha la piaga in lo ventre, zoè in lo stomacho, el ge vene nausea, zoè appetito de butare suso e non buta, o singloto») 11v, 19r (2); sengiozo (senglozo): V 13r, 20v; singhiozzo (singhiozo): R 26r, 42r (2) ▲ La voce ┌singhiozzo┐ è deverbale da singhiozzare, a sua volta proveniente da un lat. tardo singultiare, attraverso una forma metatetica *singluttiare (< singultus; per quest’ultimo non è da escludere, secondo Nocentini 2010, 1117, un accostamento a singŭlus: «l’avv. singultim ‘ a singhiozzi’ potrebbe essere interpretato come der. di singŭlus nel senso di ‘un po’ alla volta, a singole riprese’»). Prima attestazione: fior.a. singhioçço (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); singloto si legge anche in Serapiom (OVI; Ineichen 1966, 276; cf. DEI V, 3505: «il ven. sangiut(o) presuppone un *singluttus per singultus»; FEW 11, 647: «Sonst ist überall die Silbe -gŭlt- zu -glŭt- umgestellt worden, im Subst. wie in den Verben, wobei wohl gluttire mitgewirkt hat»). La forma sangloto di B trova corrispondenza, in OVI, con un’unica testimonianza del mant.a. sanglot (1299/1309, Belcalzer): cf. le forme sanyoto/ sanioto/sangyoto presenti in Serapiom (OVI;

Ineichen 1966, 277), nonché il fr.a. sanglot (FEW 11, 646). Il lemma singhiozzo è presente da Crusca1, mentre la forma dotta singulto è accolta solo in Crusca3,4. Cf. Ineichen (1966, 275), Nystedt (1988, 270), Marcovecchio (1993, 792), Motolese (2004, 284), D’Anzi (2012a, 386), Elsheikh (2016 II, 292).

sinus ‘concavità, rientranza (soprattutto di natura patologica o traumatica)’ (3 occ.; 120) [Forcellini IV, 386]

1. fondi m.: V («si à la bocha larga e lo fondi se va strenzando») 30r; fondo: R 64v 2. sino m.: B («ello puza molto, e li labri fizeno crossi e verdi e conversi de fora, la sua bocha se larga e lo sino se constrinze») 30r, 58r, 58v (2) ▲ 1. Cf. in ReMediA l’uso del sost. fondo in relazione a ferite, fistole ecc. e in locuzioni come fior.a. fondo dela fistola (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); fondo della ferita (pm. sec. XIV, CrescenziVolg). Per la forma veneziana fondi, cf. Formentin (2004). 2. Cf. GDLI (s.v. seno §15), André (1991, 135), Marcovecchio (1993, 792).

solicitudo ‘preoccupazione, affanno’ (140) [Forcellini IV, 410]

1.a. eser solizito: V («li azidenti de l’anima sì chomo è [...] eser solizito») 34r 1.b. solicitudine f.: B («se guardi [...] da tuti li accidenti de l’anima, como è ira, tristeza, solicitudine, zoè rencura») 35r; sollecitudine: R 74v 2. rencura f.: B (cf. supra 1.b.) 35r373 ▲ 1.a., 1.b. Sia il sost. ┌sollecitudine┐ sia il part. ┌sollecito┐ (cf. REW 8077) sono ampia-

373 Voce adottata come glossa di solicitudine (cf. 1.b.).

II Fisiologia e patologia 

mente testimoniati nei testi (già duecenteschi) presenti in OVI. In contesti medici del tutto analoghi a quello qui esaminato cf., ad es., LibroSanitate (venez.a., sq. sec. XIV: «aver gran sollicitudine genera infermitade»); FioriMedicina (tosc.a., 1340–60: «grande sollicitudine genera infermitadi»; «si conviene guardare da fatiche et da sollicitudini»). Cf. Nystedt (1988, 270 s.v. sollicito). 2. La variante ren- non è attestata in OVI, dove è invece largamente documentata la voce rancura (< lat. rancore(m); REW §7041). Prima attestazione: crem.a. rancura (inizio sec. XIII, UguccLodi), registrata già in Crusca1 (‘affanno, doglienza, compassione’).

sordities ‘pus ruvido e viscoso’ (8 occ.; 60) [Forcellini IV, 425]

1. fastiggio m.: R («ss’el corso della puçça non si dilungasse, in quelle farebbe molto fastiggio») 129r 2. gattività f.: R («lla gattività ch’è nel fondo sia gittata via») 62v 3. marza f.: V («el non bexogna ch’el sia tropo esechacione, [...] ma pur tanto che forbe la marza») 16v, 22v (2),374 24v, 55v; ~: B 21v375 4.a. puza f.: B («fina che la sordicie, zoè la puza, serà mondificata») 23v;376 puzza: R 36v 4.b. puzura f.: B («in tanta quantitade che la extirpi, zoè forbia, la puzura senza mordicatione») 15r, 16v, 29v, 57v 5.a. sordezza f.: R («infino a tanto che ssia mondificata la sordeçça») 51r 5.b. sordicie f.: B («la sordicie ha besognia de abstersione») 21v (2), 23v; sorditia (sorditie): R 34r, 46v; sordizes: V 22v

374 In un caso la voce è adottata come glossa di sordizes (cf. 5.b.) 375 Voce adottata come glossa di sordicie (cf. 5.b.). 376 Cf. nota supra.

 729

▲ 1. Cf. s.v. sanies (2.). 2. In OVI non si rinvengono attestazioni della voce cat-/gattività in accezioni affini. Cf. GDLI (s.v. cattività §8 ‘sozzura’), che riporta due attestazioni antiche, rispettivamente in Giordano da Pisa [Crusca] e L. Frescobaldi (ante 1406). 3. Cf. s.v. pus (2.). 4.a. Cf. s.v. pus (5.a.). 4.b. Cf. s.v. pus (5.b.). 5.a., 5.b. Prima attestazione: pad.a. sorditia/-e (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). La forma sordizia è registrata solo nella 4a ediz. di Crusca. Col suffisso -ezza, la voce non presenta attestazioni in OVI e ReMediA (cf. DEI V, 3556: «se non è da sordidezza, si dovrà congiungere col lat. sordities di Fulgenzio»), e non è registrata dal GDLI. Il REW (§8097), però, pone a lemma sorditia (e non sordities), registrando, quale unica continuazione romanza, l’it.a. sordezza. Analogamente, per il fr.m. sordicie, contrassegnato come termine medico, il FEW (12, 108) presuppone una base latina sorditia. In Crusca, il lemma sordezza è invece registrato nella sola accezione di ‘sordaggine’ (lat. surditas). Cf. Aprile (2001a, 490 s.v. sordicze).

spasmus ‘spasimo, dolore acuto’ (29 occ.; 17) [Du Cange VII, 543b]

1.a. spasimo m.: R («le piaghe inverse non ingenerano marcia, non sono sicure dallo spasimo») 8v, 20v (4), 21r, 21v (4), 22v, 23v, 24r, 27r (2), 27v (2), 41v, 91v, 102r, 119v, 158r, 173r (4), 173v (2); spasmo (spasimo): B 4v (2), 9v (8), 10r (2), 10v, 11r, 12r (2), 12v (2), 19r, 42r, 46v, 53v, 69v, 73v (5), 74r; spaxemo: V 6r, 10v (3), 11r (5), 11v, 12r, 12v, 13v (3), 31v, 44v, 51v, 66r, 69r, 69v (5) 1.b. spaxemar vb.intr.: V («zaschuno che de sangue se vachuase [...] spaxemerà»)377 20v, 40v

377 Lat.: omnis cui accidit evacuatio sanguinis [...] accidit ei spasmus.

730 

 6 Glossario

▲ 1.a. Dal gr. σπασμός (cf. DEI V, 3580; DELIN, 1578; REW §8127; FEW 12, 137). Prima attestazione: tosc.a. spasmo (sec. XIII, RimeAnonScuolaSic, OVI). Voce presente da Crusca1, ma la forma non epentetica spasmo è registrata solo in Crusca3,4. Cf. Ineichen (1966, 278), Altieri Biagi (1970, 125), Nystedt (1988, 272), Marcovecchio (1993, 800), Gleßgen (1996, 640), Gualdo (1996, 133), Sboarina (2000, 243), Aprile (2001a, 491), Motolese (2004, 291), García Gonzáles (2007, 546), Mazzeo (2011, 320), D’Anzi (2012a, 397), Castrignanò (2014, 207), Elsheikh (2016 II, 297), Zarra (2018, 625). 1.b. Prima attestazione: tosc.a. spasimoe (fine sec. XIII, TristanoRicc, OVI). Voce presente da Crusca1.

sperma ‘liquido organico contenente i prodotti di secrezione dell’apparato genitale maschile’ (2 occ.; 12) [Forcellini IV, 425]

1.a. somenza virile f.: B («per la remanentia de la virtude de lo sperma, zoè de la somenza virile») 3v378 1.b. somenza de l’omo: B («la materia de la codega si è lo sperma, zoè la somenza de l’omo») 7r379 2. sperma f.: R («per la rimarezza della forza della sperma») 5v, 14v; ~: V 4v; ~ m.: B 3v, 7r ▲ 1.a., 1.b. Per la voce semenza (< lat. sementia: REW §7804) ‘liquido organico maschile responsabile della fecondazione; sperma’, cf. TLIO (§2); prima attestazione: it.a. semenza (uq. sec. XIII, FioreDettoAmore); in particolare, per la loc. segnalata in 1.b., cf. pis.a. semensa d’omo (primi decenni sec. XIV, BarlaamIosafas, OVI). accezione non registrata da Crusca (s.v. semenza).

378 Perifrasi adottata come glossa di sperma (cf. 2.). 379 Perifrasi adottata come glossa di sperma (cf. 2.).

2. Il lat. tardo sperma viene dal gr. σπέρμα ‘seme’ (DEI V, 3585; DELIN, 1584; FEW 12, 168). Prima attestazione: asc.a. sperma (ante 1327, CeccoAscoli, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 273), André (1991, 180), Marcovecchio (1993, 802), Gualdo (1996, 133), García Gonzáles (2007, 546), Green (2009, 411), Mazzeo (2011, 320), Castrignanò (2014, 207), Elsheikh (2016 II, 298).

spiritus α. ‘fiato, respiro’ (47) [Forcellini IV, 452] 1. fiato m.: B («se per la piaga facta in la profunditade del peyto lo spirito, zoè lo fiato, vene fora») 11v380 2.a. spirito m.: V («Se la piaga è fata in lo profondi del peti, lo spirito li viene fuora») 13r; ~: B 11v. 2.b. spiro m.: («se lla ferita è fatta nella profondità del petto, lo spiro si parte») R 26r ▲ 1. Prima attestazione: mil.a. flao (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. fiato); voce presente da Crusca1. 2.a. Prima attestazione: grosset.a. spirito (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto); voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 807: il sost. spiritus, al pari del vb. spirare, è usato da Celso per indicare l’atto della respirazione). 2.b. Sostantivo deverbale (< lat. spirare), ben documentato, ma per lo più nell’accezione di ‘spirito, soffio vitale’ (cf. β), nei testi toscani contenuti nel corpus OVI, e presente da Crusca1. ♦ Loc. e collocazioni: – spiritus attractio ‘mancanza di respiro’ (216)

380 Voce adottata come glossa di spirito (cf. 2.a.).

II Fisiologia e patologia 

1. arefiadare apena: V («l’amalado apena ch’el può arefiadare»)381 49v 2. strentura de lo fiato: B («In la gola nasceno molti volti alcuni apostemi [...] la significatione de li quali è la strentura de lo fiato») 51v. ▲ 1., 2. Cf. strictura hanelitus (s.v. hanelitus). β. ‘fluido mobile e sottilissimo possessore di funzioni vitali per l’organismo’ (55) [Forcellini IV, 452] spirito m.: V («la soa fredura [...] devieda la fumoxitade e li spiriti della resolucione») 15v; ~: B 14r ▲ L’accezione di ‘soffio vitale’ (erede del valore insito nel gr. πνεῦμα) è ben documentata tra le testimonianze presenti all’interno del corpus OVI, ma è registrata solo a partire da Crusca3 (‘per lo senso vitale’). Cf. Nystedt (1988, 273), Mazzeo (2011, 321), Elsheikh (2016 II, 299). ♦ Loc. e collocazioni: – spiritus animalis ‘spirito vitale’ (2 occ.; 247) 1. spirito animalle m.: V («azò che lo infermo no mora per la debellitade del spirito animalle») 60v; spirito dell’animale: R 130r 2. spirito vitale m.: B («tuta la sanie non de’ fir trata fora, azò che per la resolutione de lo spirito vitale lo infirmo non sincopizi») 58v, 63r ▲ 1. Cf., in OVI, it.a. spirito animale (1292– 93, DanteVitaNuova); mant.a. spirit animal (1299/1309, Belcalzer); asc.a. spirto animale (ante 1327, CeccoAscoli). 2. Cf., tra le più antiche attestazioni presenti in OVI, fior.a. spiriti vitali (ante 1292, GiamboniOrosio); tosc.a. spirito vital (ante 1314, FrBarberino); mess.a. spiriti vitali (1315ca., LibruSGregoriu); ecc.

381 Lat.: quorum signum est [...] spiritus attractio.

 731

spissitudo ‘spessore di un corpo, di un membro’ (137) [Forcellini IV, 455]

spissitudine f.: B («lo siphac supera la spissitudine de l’osso de la testa et etiamdeo la codega») 34r ▲ Prima attestazione: tosc.sud-or.a. spessitudine (ante 1298, Questioni, OVI); GDLI (§1); REW (§8159a); FEW (12, 98). Voce presente da Crusca1. Cf. D’Anzi (2012a, 398), Castrignanò (2014, 207), Elsheikh (2016 II, 298).

spissus ‘denso; coagulato’

[Forcellini IV, 455; cf. → s.v. densus e s.v. confectio (sezione 3)] ♦ Loc. e collocazioni: – confectio spissa (147) 1. confectione grossa f.: B («la confectione sia equale, zoè non sia molto grossa») 36v 2. confectione spessa f.: R («lla confectione sia fatta agualemente, cioè né molto spessa né molto sottile») 78r ▲ 1., 2. Non si rintracciano attestazioni analoghe in OVI e ReMediA. – materia spissa (241) materia spessa f.: R («el bagno risolve la materia sottile e spessa e indura») 127v; ~: B 57v ▲ In OVI e ReMediA non si rintracciano locuzioni analoghe, ma cf. un’espressione come il fior.a. spessando la materia (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). – sanguis spissus (148) sangue speso m.: V («L’osso se noriga de sangue speso») 35v; sangue spesso: B (36v) ▲ L’unica locuzione analoga ricavabile da OVI e ReMediA è il pad.a. sangue spesso (fine sec. XIV, Serapiom, OVI).

732 

 6 Glossario

spumosus ‘che produce, che è composto da schiuma’ (46)

status ‘periodo di stazionarietà di una patologia’ (3 occ.; 230)

spumoso agg.: R («se nel polmone fusse la ferita, esce el sangue spumoso») 25v ~: B 11v; spimox[o] (†): V 13r

stado m.: V («Ma in lo stado e in la declinacione se die meter puro aresolutivo») 52v; stato: R 122r (2); ~: B 54v (2), 55r

▲ Nella sua unica attestazione all’interno del testo latino di Bruno, l’agg. spumosus (< spuma: cf. DEI V, 3606; DELIN, 1597; REW §8191; FEW 12, 214) è adottato come attributo di sanguis. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. spumosa (ante 1298, Questioni, OVI); in particolare, cf. tosc.a. sangue spumoso (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Cf. Gualdo (1996, 135), Castrignanò (2014, 207).

▲ Forcellini (VII, 479 §7) rileva la presente accezione già nel latino di Celso (‘in re medica videtur esse vis, impressio, vel stabilitas affectionis seu morbi’). La prima attestazione volgare è tardo-duecentesca: fior.a. stato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI: soprattutto nella loc. primo stato, che si rinviene anche in MascalciaRusioVolg, fine sec. XIV). Voce registrata in tal senso dal GRADIT (§12), ma non dal GDLI; presente già in Crusca1, dove si registra, nello specifico, la loc. stato di febbre (‘termine di medicina, e si dice, quando la febbre è in colmo’). Cf. Gualdo (1996, 135).

[Forcellini IV, 464]

squinantia ‘ascesso che si forma nella gola provocando tosse laringea spastica e difficoltà di respirazione’ (3 occ.; 218) [Du Cange VII, 566c]

squinancia f.: V («una postiema che se fa in lla golla la qual à nome squinancia») 50r (3); ~ (squinantia): B 52r (3); squinanzia: R 116r (2) ▲ Voce composta, al pari di quinantia (cf. s.v.), da κύων-κυνός ‘cane’ e ἄγχω ‘soffocare’, ma frutto di incrocio con συνάγχη ‘angina’ (cf. DEI V, 3610; FEW 2, 1612; si veda anche, nel presente glossario, il lemma sinantia). Prima attestazione: tod.a. squinanzia (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, OVI). Il grecismo è ben documentato in OVI e ReMedia, e la sua circolazione è confermata dall’ingresso del lemma già in Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 279), Tomasoni (1986b, 239), Nystedt (1988, 273), Gualdo (1996, 135), Sboarina (2000, 242: schirantia, come traducente del gr. συνάγχη), Aprile (2001a, 495), Barbato (2001a, 501), Motolese (2004, 293), García Gonzáles (2007, 541 s.v. sinancis), Tomasin (2010, 74), Mazzeo (2011, 321), D’Anzi (2012a, 400), Castrignanò (2014, 207), Sosnowski (2014, 229), Elsheikh (2016 II, 300), Zarra (2018, 626).

[Forcellini VII, 479]

sternutatio ‘lo starnutire e il suo risultato’ (7 occ.; 192) [Du Cange VII, 596a]

1.a. starnutare (starnatare; strarnutare) vb.intr.: R («quando discende per le vene di sotto allora lo starnutare è fatto con esso»)382 102v, 144r, 174v; sternut[are]: B 46v; stranu­ dare: V 44v, 47r, 51v (2); stranuare: V 62r 1.b. starnuto m.: R («guardisi nel suo remuovere da tossa e da starnuto») 108v, 119v, 120r; stranudo: V 51v 1.c. sternutatione f.: B («Se in l’oregia cazerà predella o specia de predella, fiza la sternutatione serati e instopati li busi de lo naso») 53v (2), 54r, 65r, 74r; stranutacione: V 69v ▲ 1.a. Dal lat. sternutare (REW §8250; FEW 12, 261). Prima attestazione: fior.a. starnutire (1310, BencivenniSantà, OVI). Non si registrano in OVI casi della variante starnatare

382 Lat.: tunc sternutatio fit cum eo.

II Fisiologia e patologia 

testimoniata da R (con passaggio ad a anche della seconda voc. pretonica), che potrebbe essere un errore grafico del copista. La forma con metatesi di V (ravvisabile anche nei sostantivi stranudo e stranutatione) è documentata in OVI anche in area lombarda (Bonvesin e Belcalzer), oltre che nel sic.a. di MascalciaRuffoVolg, nel tosc.a. di TrattatoFalconi e soprattutto nel pad.a. di Serapiom, dove si attesta esclusivamente il verbo, con caduta della dentale intervocalica, stranuare (23 occorrenze), di cui si osserva un singolo caso anche in V. Sia starnutare sia starnutire sono accolti da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 136), Aprile (2001a, 496), Green (2009, 411), Elsheikh (2016 II, 301). 1.b. Dal lat. sternutus (REW §8252). Prima attestazione: tosc.a. starnuto (inizio sec. XIV, MPolo, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 136), Elsheikh (2016 II, 301). Per la forma stranudo di V, cf. Boerio (1856 s.v. stranuo/stranudo). 1.c. La presente forma è documentata in soli cinque testi (con sei occorrenze nel Serapiom) all’interno del corpus OVI, ai quali vanno aggiunte le testimonianze presenti nell’Almansore (Piro 2011, 278 e passim): l’attestazione più antica è il mant.a. stranutacion (1299/1309, Belcalzer); il lemma starnutazione è presente da Crusca1, dove non si registra, invece, la variante dotta sternutazione (assente anche in DEI e DELIN). Cf. fr.m. esternutacion, sternutacion, sternuation (FEW 12, 263); Ineichen (1966, 245), Marcovecchio (1993, 818), Green (2009, 411), Elsheikh (2016 II, 301).

substantia ‘materia organica dotata di proprietà specifiche’ (13 occ.; 10) [Du Cange VII, 638b]

sustancia f.: V («la sinplize sollucion de chontinuitade è quella in la qual non è persa de la sustancia») 4r, 4v, 12v (2), 18r, 20r; substantia: B 3r (2), 3v, 5v, 9v, 11r, 14v, 16v, 18v, 25v, 62v, 72v; sustanza (sustantia; sustanzia): R 20v, 24v, 33r, 36v, 40v, 55r, 138v, 168v

 733

▲ Prima attestazione: sen.a. sostanza (1288, EgidioColonnaVolg, OVI). Cf. Nystedt (1988, 275), D’Anzi (2012a, 402). ♦ Loc. e collocazioni: – substantia carnosa ‘componente carnosa della testa’ (130) [Cf. → s.v. carnosus]

1.a. substantia carnosa f.: B («la testa se dividisse in trey parti, zoè in substantia carnosa, ossuosa e de crappa») 32v; substanzia carnosa: R 70r 1.b. sustancia de charne: V («L’è da savere che lo chavo se parte in tre parte, in sustancia de charne e del chraneo e de la medolla») 32r ▲ 1.a., 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. – substantia craneata ‘componente della testa consistente nel craneo’ (130) [Il lemma craneatus è assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. substantia ossuosa f.: B («la testa se dividisse in trey parti, zoè in substantia carnosa, ossuosa e de crappa») 32v 2.a. craneo m.: R («el capo si dovide in tre parti, cioè in substançia carnosa e craneo») 70r 2.b. sustancia del chraneo: V («L’è da savere che lo chavo se parte in tre parte, in sustancia de charne e del chraneo e de la medolla») 32r ▲ 1. Cf., ma con un’accezione più generica del sost. osso, fior.a. substança dell’osso (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI); tosc.a. substantia dell’osso (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). 2.a., 2.b. Cf. s.v. craneum (4.: sezione 1). – substantia lapidea ‘materia patologica che ha sostanza simile a una pietra’ (2 occ.; 154) [TLL VII 2, 943: lapideus] substantia de preda: B («la nodatione è dura et in substantia de preda è zà convertita») 38r, 57r; sustantia di pietra (sustanzia della pietra): R 81v, 127v

734 

 6 Glossario

▲ Per la resa del lat. lapis ‘calcolo’, cf. s.v. La prima attestazione dell’attributo dotto, aggirato da tutti e tre i volgarizzamenti tramite la perifrasi ┌di pietra┐, è l’it.a. lapidea (1359/62, BoccaccioTrattatelloChig, OVI); DEI (III, 2166); DELIN, 848 (in generale, al cospetto del sost. lăpide(m), «l’agg. der. lapideu(m) ‘di pietra’, ha conosciuto [...] una certa fortuna»); GDLI (s.v. lapideo §3 ‘medic. che è molto duro e rigido’). – substantia medullaris ‘sostanza bianca posta nello strato interno della cor­ teccia del cervello’ (130) [TLL VIII, 602: medullaris] 1.a. mirolla f.: R («quello medesimo celabro [...] si divide in tre parti, in substantia velata e la mirolla e ’l ventre») 70r 1.b. sustancia de la medolla: V («lo chavo se parte in tre parte, in sustancia de charne e del chraneo e de la medolla») 32r 2.a. substantia medulare f.: B («lo cervello, secondo Avicena, se dividisse in trey parti, zoè in substantia vellativa, medulare, zoè de medula, e ventri, overo ventriculi») 32v ▲ 1.a., 1.b. Cf. s.v. medulla (sezione 1). 2.a. L’unica testimonianza presente in OVI è il fior.a. medollare (sm. sec. XIII, GarzoProverbi); DEI (IV, 2455); DELIN, 977; il lemma midollare è accolto solo in Crusca5. Cf. Marcovecchio (1993, 537), D’Anzi (2012a, 403). – substantia velativa ‘pia madre’ (130) [Il lemma velativus è assente in Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. pia mater]

1.a. substantia velata f.: R («quello medesimo celabro [...] si divide in tre parti, in substantia velata e la mirolla e ’l ventre») 70r 1.b. substantia vellativa f.: B («lo cervello, secondo Avicena, se dividisse in trey parti, zoè in substantia vellativa, medulare, zoè de medula, e ventri, overo ventriculi») 32v ▲ 1.a., 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA, nei quali repertori non si attesta neppure il singolo attributo ┌ velativo┐, assente anche in GDLI e Crusca.

subtiliare α. vb.tr. ‘rarefare, ridurre in densità’ (3 occ.; 41) [Du Cange VII, 641b] 1.a. asottiglare (assotiglare) vb.tr.: R («adunque è d’assottiglare le medicine et da fare quelle che sieno corsive») 22v, 78v 1.b. sotilare (sotiare) v.tr.: V («l’oio si à propiatade de mitigar el dollore e de sotiare le medexine») 11v, 35v; sottigl[are] (sottilglare): R 28r, 130r; subtiliare: B 10r, 12v, 36v ▲ 1.a. Derivato del verbo sottigliare (1.b.) con aggiunta del prefisso a(d)-. Prima attestazione: venez.a. assetyade (1301, CronicaImperadori, TLIO); voce presente da Crusca1. Cf. Sboarina (2000, 270). 1.b. REW (§8398). Prima attestazione: tosc.a. sottigliò (ante 1333, Simintendi, TLIO §8); voce presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 140), Nystedt (1988, 275), Tomasin (2010, 72), Cf. Elsheikh (2016 II, 295). ♦ Loc. e collocazioni: – regimen subtiliare ‘ridurre la dieta ricor­ rendo a cibi facilmente digeribili’ (5 occ.; 33) 1.a. asoti[are] lo rezimento (asotiare lo arezimento): V («lo rezimento sia asotiado quanto se può») 11r, 59r; assottigl[are] lo reggimento (assottilglare (lo) riggimento; asottiglare (lo) riggimento; asottiglare (lo) rigimento; sottiglare (lo) riggimento): R 17v, 21r, 123v, 133r, 137v, 138v. 1.b. sotiar lo rezimento: V («la soa chura si è prima de far flobotomia, e sotiar lo suo rezimento») 53r; subtili[are] lo regimento: B 8r, 9v, 55v, 59v, 62r 2. manzar sotille: V («In le chure delli antixi tuti li antixi si se achorda che inprima che lo chorpo s’evachue e ’l so manzar sotille») 57r ▲ 1.a., 1.b. Non si rintracciano attestazioni analoghe in OVI e ReMediA; ma cf. sottilliare il regimento nell’Almansore volgarizzato (Elsheikh 2016 II, 295 s.v. sotiliare). 2. Cf. ven.a. mangiare molto sotile (sec. XIV, EsopoVolg, OVI); fior. mangiava sottilmente (sm. sec. XIV, SacchettiNovelle, OVI).

II Fisiologia e patologia 

β. vb.tr. ‘rendere sottile o più sottile’ (246) [Du Cange VII, 641b] sutiliare v.tr.: B («se la codega de li exituri serà sutiliata [...] alora, como dice Albucasis, el è necessario fir concavata») 58v ▲ Prima attestazione: ven.a. sottiade (1388, OvidioVolg [ms. D], TLIO s.v. sottigliare); voce presente da Crusca1. Cf. D’Anzi (2012a, 275), Elsheikh (2016 II, 295).

subtiliatio ‘il ridurre una sostanza in quantità o densità’ (3 occ.; 38) [Du Cange VII, 641b]

1.a. sottilglare (suttigliare) vb.tr.: R («cull’ultima strettura e sottilglare383 el cibo e lli impiastri istitici») 81r, 167v 1.b. subtilitade f.: B («avemo dicta la sua curatione cum la fine de la strictura e subtilitade de lo cibo») 38r 1.c. subtiliatione f.: B («lo regimento se subtili de ultima, zoè grande, subtilitione») 9v, 72r ▲ 1.a. Cf. s.v. subtiliare (α., 1.b.). 1.b. Cf. s.v. subtilitas. 1.c. L’unica attestazione rintracciabile in OVI è il bol.a. sutigliationi (1324–28, JacLana), ma l’accezione è piuttosto quella, registrata dal TLIO (e indicata come incerta), di ‘l’azione di aumentare la propria luminosità’; il DEI (V, 3565) registra dal Seicento (ante 1612) l’accezione, propria della chimica, di ‘risoluzione in cui le parti grasse si separano dalle sottili’. Cf. FEW (12, 367: pr.a. subtiliació ‘fait de devenir moins dense’; subtilisation ‘action de rendre fluide ou volatil’). ♦ Loc. e collocazioni: – subtiliatio regiminis ‘riduzione del regime alimentare a scopi terapeutici’ (2 occ.; 253)

383 Lat.: cum ultima strictura et subtiliatione.

 735

1. manzar sotille: V («Lo suo manzar sia sotille e che l’infermo se revarda da repllecion») 57r 2.a. sotiar lo rezimento: V («la qual medexina è pollvere de turbiti, e sotiar lo rezimento e stegnase da bever») 59v 2.b. subtiliatione de lo regimento: B («la subtiliatione de lo regimento si è che lo infirmo se guardi da implirse») 59v, 62v ▲ 1. Cf. regimen subtiliare (2.; s.v. subtiliare). 2.a., 2.b. Cf. regimen subtiliare (s.v. subtiliare).

subtilis α. ‘che ha scarsa viscosità, fluido’ (6 occ.; 41) [Forcellini IV, 561] 1.a. sotil agg.: V («Della medexina che se chonviene a la piaga de li nervj, chonviene che sia de chalda e secha natura e de sotil sustancia») 11r, 23r; sottile: R 22v, 47v, 127v, 133v, 134r; subtile (sutile): B 10r (2), 21v, 60r (2) 2. molle agg.: V («E inpastase in biancho d’uovo sì che non sia tropo dura nì tropo molle») 35v ▲ 1. Cf. TLIO (§5 e §5.2); REW (§8399); Nystedt (1988, 275), Gualdo (1996, 140), Barbato (2001a, 507), Mazzeo (2011, 324), Elsheikh (2016 II, 295). 2. Cf. GDLI (§71 e §72). ♦ Loc. e collocazioni: – humiditas subtilis (92) [Cf. → s.v. humiditas]

humidità sottile f.: R («è significatione che [...] che lla ferita sia maggiormente cava per costume soluto di caldo et di rossore e mostra humidità sottile») 50r; humiditade subtile: B 23r; umidità sotille: V 24r ▲ Cf. loc. analoghe in OVI: venez.a. humiditade fumosa e settile (sq. sec. XIV, LibroSanitade), pad.a. humiditè sotille (fine sec. XIV, Serapiom), fior.a. sottile e fredda umidità (pm. sec. XIV, CrescenziVolg).

736 

 6 Glossario

– materia subtilis (241) materia sotille f.: V («li bagni si resolve la materia sotille») 55r (2); materia sottile: R 127v, 128r; materia sutile: B 57v (2) ▲ In un’accezione prettamente scientifica, cf. in OVI: fior.a. materia ch’è sottile (sec. XIV, MetauraAristotileVolg); tosc.a. materia sottile (ante 1361, UbertinoBrescia); ecc. Cf. Motolese (2004, 289). – putredo subtilis (2 occ.; 103) [Cf. → s.vv. humiditas, putredo]

1.a. marza sotille f.: V («la marza serà sotille e tignerà de gran puza») 26v (2); marza subtile: B 26r (2) 1.b. puzza sottile f.: R («farà puçça e sse serà sottile terrai molte volte») 56v (2) ▲ 1.a., 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. – sanguis subtilis (3 occ.; 51) sangue sotille m.: V («s’el sangue serà aguto over choroxivo o grosso o sotille») 14v, 57r; sangue sutile: B 13r (2), 60r; sangue sottile: R 28v (2), 133v ▲ 1.a., 1.b. Locuzione ben attestata nei testi del Trecento. Cf. in OVI: fior.a. sangue sottile (1310, BencivenniSantà); sen.a. ~ (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI). Si vedano anche Gualdo (1996, 140), Motolese (2004, 289), Mazzeo (2011, 318), D’Anzi (2012a, 387), Elsheikh (2016 II, 296 s.v. sottile). – sanies subtilis (2 occ.; 52, 102) [Cf. → s.v. sanies]

1.a. marza sotille f.: V («alguna fiada con chotal segno te aparerà aroseza e zalura, e tropo marza averà la piaga e sotille marza») 14v, 26v; marza subtile: B 13r384 384 La voce marza è qui usata come glossa di sanie (cf. infra 1.b.).

1.b. sanie subtile f.: B («el fi facta la roseza, e lo calore, et troppo sanie, zoè marza, [...] subtile») 13r, 26r ▲ 1.a. Cf. supra (s.v. putredo subtilis 1.a.). 1.b. In OVI e ReMediA non si rintracciano locuzioni analoghe. In epoca più tarda, cf. Motolese (2004, 289); James (1753 IV, 623: «Quanto alla sanie sottile, acre, fetida e cadaverosa [...]»). Per il sost. sanie, cf. s.v. sanies (5.). – urina subtilis (301) [Cf. → s.v. urina]

orina sotille f.: V («l’orina soa è biancha e sotille e arenoxa») 66v; urina385 sottile: R 160r; urina sutile: B 70r ▲ Cf. tosc.a. orina sottile (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI; si veda anche, in BencivenniSantà: «l’orina sarae rossa e chiara e de sottile sustanzia»). Cf. Gualdo (1996, 140), Motolese (2004, 290), Elsheikh (2016 II, 296 s.v. sottile). β. ‘di fenomeno fisiologico di scarsa entità’ ♦ Loc. e collocazioni: – caliditas subtilis (35) [Cf. → s.v. caliditas]

caliditade subtile f.: B («ogni cosa in la quale è la caliditade subtile [...] non se voyda da la attractione») 8v; chaliditade sotille: V 10r ▲ Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. Per il sost. caliditade, cf. s.v. caliditas (1.b.).

subtilitas ‘levità, scarsa densità (di una sostanza fisiologica o medicamentosa)’ (6 occ.; 39) [Forcellini IV, 562]

1.a. sottiglezza f.: R («reggimento s’assottigli con grandissima sottiglezza») 21r, 24v, 79r

385 Ms.: urino.

II Fisiologia e patologia 

1.b. sotillitade f.: V («sovra lo luogo si mitiga lo dollore lo solfere vivo per la soa sotillitade») 11v, 36r; sottilità (sottilitade; suttilità): R 23r, 78r, 82r, 168r; subtilitade (sutilitade): B 10r, 21v, 36v, 38r, 58v ▲ 1.a. Cf. TLIO (§7; prima attestazione: tod.a. suttigliezza, ultimi decenni sec. XIII, JacTodi); GDLI (s.v. sottigliezza §2); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 275), Elsheikh (2016 II, 296). 1.b. Voce ampiamente attestata in OVI e presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 275), Gualdo (1996, 141), Barbato (2001a, 507), Elsheikh (2016 II, 296); per i vari significati assunti dal termine nel lessico tecnico medievale, cf. Librandi (1995 II, 63–64).

suffocatio ‘asfissia, mancato apporto di ossigeno ai tessuti’ (218) [Forcellini IV, 578]

1.a. sofeg[are] vb.intr.: V («Anchora se fa una postiema in bocha zoè in la golla che à nome squinancia, la qual sofega in brieve tenpo») 50r 1.b. suffocatione f.: B («molti volti in la gola vene uno malo apostema che fi dito squinancia, il quale fi interpretato, zoè exponuto, quasi suffocatione») 52r 2. fare fioco: R («nela gola nasce una postema che ssi chiama squinançia, che quasi fa l’uomo fioco»)386 116r ▲ 1.a. La forma di area veneziana testimoniata da V è già documentata alla fine del XII sec.: sofeghe (ProverbiaNatFem, OVI); DEI (V, 3526); DELIN, 1550; REW (§8431); FEW (12, 413). Altre attestazioni si rintracciano nel venez.a. di Vangeli (pm. sec. XIV) e nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV; Ineichen 1966, 280); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 271 e 275), D’Anzi (2012a, 404), Castrignanò (2014, 209).

386 Lat.: quasi suffocatio interpretatur.

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1.b. Sostantivo attestato soltanto in quattro testi (tutti di argomento medico) in OVI e ReMediA: la prima testimonianza è il fior.a. soffocazione (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); DEI (V, 3526); DELIN, 1550; FEW (12, 414). Voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 831), Gualdo (1996, 138), Aprile (2001a, 501), Motolese (2004, 285), Zarra (2018, 625). 2. Per l’agg. fioco, cf. TLIO (§1 e §1.2).

superfluitas ‘quantità superflua di una sostanza rispetto al reale bisogno dell’organismo’ (29 occ.; 19)

[Forcellini IV, 603]

1.a. superfluitade (superfluità) f.: V («per le qual superfluitade, segondo chomo dixe Gallieno, che nase de la feza della terza deistione») 6v, 22v (2), 23v, 27r, 37r, 38v, 44r (2), 47v, 48r, 56v, 57r (2), 59v (2), 60v, 67r, 68r; superfluità (superfluitate; superfruità): R 9r, 26v, 46v, 47r, 49v, 57r, 77v, 81r, 81v, 86r, 89r, 101v, 109v, 110r (2), 111r, 123r, 131v (2), 136r, 138v (2), 140r, 141r, 147v, 164r, 167r; superfluitade: B 5r (2), 12r, 21v (2), 23r, 26v, 36r, 38r (2), 40r, 41r, 46r (2), 49v (2), 50r, 59r (2), 59v (2), 61r, 62v, 63r, 64r, 66r, 71r, 72r (2) 1.b. superfluo agg.: V («el te bexogna da esere solicito chontra quele chose ch’aviene a la rotura [...] sì chomo [...] dollor e picor poro superfluo»)387 39v ▲ 1.a. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. superfluità (ante 1298, Questioni, OVI); DEI (V, 3679); DELIN, 1643; FEW (12, 441); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 275), Gualdo (1996, 138), Sboarina (2000, 244), Motolese (2004, 296), Mazzeo (2011, 324), D’Anzi (2012a, 405), Castrignanò (2014, 208), Elsheikh (2016 II, 306). 1.b. Cf. s.v. superfluus.

387 Lat.: superfluitas pori.

738 

 6 Glossario

superfluus ‘eccessivo rispetto al bisogno o allo stato fisiologico dell’organismo’ (5 occ.; 5) [Forcellini IV, 603]

1. masa avv.: V («E vardase da masa andar e da fadiga») 62r 2. superfluo agg.: R («con ciosiacosaché lla ferita fusse superflua troppo per caldo, cerca intorno a quella cosa ove apparisce rossore») 36r, 81v, 144r; ~: V 3r; ~: B 2r, 10r, 16r (2), 38r, 65r 3. superchio agg.: R («el superchio caccia via») 35v 4. tropo avv.: V («astegnase da tropo parllare») 57r; ~: B 59v, 64r; troppo: R 133v ▲ 1. Dal lat. massa, a sua volta dal gr. μάζα: l’uso avverbiale, molto ben attestato in V, è tipico dell’area veneta (cf. Boerio 1856 s.v.; Durante/ Turato 1975, 289 s.v. massa2; Cortelazzo 2007, 791 s.v. massa2): non se ne registrano attestazioni nei testi pre-quattrocenteschi contenuti in OVI. Cf. Nyestedt (1988, 243). 2. Prima attestazione: tosc.sud-or.a. superflua (ante 1298, Questioni, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 275), Gualdo (1996, 139), Aprile (2001a, 503), Motolese (2004, 297), Elsheikh (2016 II, 306). 3. Dal lat. *superculus (REW §8460). Prima attestazione: march.a. superchia (fine sec. XIII, GiostraVirtùVizi, OVI); voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 503). ♦ Loc. e collocazioni: – caro superflua ‘callosità’ (7 occ.; 73) 1.a. carne superchia f.: R («se lla carne nascesse superchio più che non bisongna») 41r 1.b. carne superflua f.: R («delle medicine le quali la carne superflua si menovi») 63v, 105v, 112v, 152v 74r; ~: B 18v, 29v (2), 34v, 47v, 50v, 68r; charne superflua: V 20r, 29v, 46r, 48v, 64r 2. charne ria f.: V («Molte fiade è uxanza de nasere charne ria su lo sifac») 34r ▲ 1.a., 1.b. Cf., in àmbito medico, tosc.a. superflua carne (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI);

pad.a. carne superflua (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); fior.a. ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); Aprile (2001a, 273 e 503), Zarra (2018, 594). 2. Cf., in àmbito medico, trevig.a. ria carne (pm. sec. XIV, Lapidario, OVI); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); tosc.a. ~ (inizio sec. XIV, TrattatoFalconi, OVI). – caliditas superflua (43) [Cf. → s.v. caliditas]

1.a. caliditade superflua f.: B («la caliditade superflua sia minuita») 10v; chalidità superflua: V 12r 1.b. caldezza grande f.: R («lo membro enfia infino a tanto che la caldezza grande non viene meno») 24r ▲ 1.a., 1.b. Cf. fior.a. superflua caldezza (1322, JacAlighieri, OVI). Cf. Motolese (2004, 297: calidità superflua).

testudo ‘patologia tumorale che sorge dietro la nuca (nota anche come «talpa»)’ (7 occ.; 250)

[Voce assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini] testudine f.: R («della cura delle testudine») 137r (4); ~: B 59r (2), 61v (3), 62r (2); ~: V 59r (5); testudo m.: R 131v, 132r, 137r; testudo (tesudo) f.: V 56v (2) ▲ Da OVI e ReMediA si ricavano soltanto due attestazioni del termine con valore patologico, entrambe, peraltro, in àmbito veterinario: fior.a. testudini (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); sab.a. testudine (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg); il GDLI (s.v. testudine §6), infatti, sulla base di CrescenziVolg, ne dà la definizione specifica di ‘escrescenza tumorale che si forma sulla testa degli equini’; cf. DEI (V, 3777); accezione non rilevata in DELIN, Nocentini (2010, 1230), REW (§8687), FEW (13/1, 28), Crusca (s.v. testuggine).

II Fisiologia e patologia 

tetanus ‘contrazione morbosa e continua dei muscoli di tutto il corpo’ (2 occ.; 129) [Du Cange VIII, 89b]

1.a. spaxemo m.: V («Li rei azidenti si è [...] fluxo de ventre, vomito, fievre achuta, spaxemo») 31v388 1.b. spasmo dopio m.: B («E de li mali accidenti sono como è [...] lo fluxo de lo ventro, e lo vomito de la colera, febre acuta, tetano, zoè spasmo dopio») 32r 2. tetano m.: B (cf. supra 1.b.) 32r, 73r; tetanus: R 173r ▲ 1.a. Cf. s.v. spasmus (1.a.). 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. 2. Dal gr. τέτανος, ‘tensione, rigidezza delle membra’ (da un tema affine a quello del verbo τείνω ‘tenere’, a sua volta da una radice indeur. *ten-: cf. DEI V, 3777; Nocentini 2010, 1230); si veda anche il fr.m. tétanos (FEW 13/1, 288: «Im 16. Jh. entlehnte die Medizin gr. τέτανος zur Bezeichnung des Starrkrampfs und ebenso das zugehörige Adj. τετανικός»). L’unica testimonianza rintracciabile in OVI e ReMediA è il pad.a. tetano (fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 281); voce assente in Crusca. Cf. Marcovecchio (1993, 856), Motolese (2004, 302), Mazzeo (2011, 326).

tollerantia ‘capacità fisica di tollerare un dolore, un fastidio’ (2 occ.; 201) [Forcellini IV, 742]

1. sofriscanza f.: B («strinzelo [...] cum grande strinctura secondo la sofriscanza de lo membro») 48v

388 Accanto a spaxemo si rinviene la forma tanto (69v), quasi certamente frutto di incomprensione da parte di un copista.

 739

2. sostignire vb.tr.: V («chomo lo menbro può sostignire»)389 46v 3. tollere vb.tr.: R («strenzillo suxo [...] secondo el tollere del menbro»)390 107r, 124v ▲ 1. Voce non attestata in OVI, GDLI e negli altri repertori consultati. 2. Voce presente da Crusca1 (‘sofferire, comportare, patire’). Gualdo (1996, 282) pone il verbo sostenere ‘sopportare’ (al pari di tollerare) tra i tecnicismi collaterali del lessico medico di M. Savonarola. 3. Tra le accezioni registrate dal GDLI (s.v. togliere), non si legge quella qui esaminata di ‘tollerare, sopportare (un dolore)’.

transglutire vb.tr. ‘inghiottire’ (221) [Du Cange VIII, 153c]

1.a. inglot[ire] vb.tr.: V («molte volte quando alguno beve in fontana, loro inglote sansuge le qual fa spudar sangue») 50v 1.b. tranghiot[ire] vb.tr.: R («molte volte che lgli uomini beiono nelle fonti e tranghiotiscono in tale modo») 117v 1.c. trangot[are] vb.tr.: B («Anchora molti volti li homini quando biveno in li fontani trangoteno li sanguisugi li quali fano sputare sangue») 53r ▲ 1.a. Dal lat. tardo inglutire (DEI III, 2028; REW §4423). Prima attestazione: fior.a. inghiotte (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI); voce presente da Crusca1. 1.b. Prima attestazione: sic.a. tranglutissi (1347– 82, LibruVitiiVirtuti, TLIO s.v. tranghiottire); ma cf. già il fior.a. tranghiottire (ante 1292, GiamboniOrosio, TLIO §1.1) nell’accezione di ‘far scomparire qualcosa in modo completo e subitaneo (mediante assorbimento, sommersione o caduta verso il basso)’; DEI (V, 3860 s.v. tranghiottire); cf. fr.a. transglotir (FEW 4, 172). Voce presente da Crusca1. 1.c. Cf. s.v. deglutire (2.).

389 Lat.: secundum tollerantiam membri. 390 Cf. nota supra.

740 

 6 Glossario

tumor ‘tumefazione, rigonfiamento’ (8 occ.; 23) [Du Cange VIII, 207b; cf. → s.v. inflatio]

1. bugnone m.: B («Apostema si è tumore, zoè bugnone, overo inflatione de lo membro oltra la natura») 54r 2.a. enfiadura (infiadura) f.: V («la soa achuitade e mordichacione inzenererave postiema e infiadura») 12r, 14r; infiatura (inflatura): B 9v, 12v, 36r, 54r 2.b. inflatione f.: B («la mordicatione genera apostema et inflatione») 10v, 53r; inflaxone (inflaxon): V 11r, 51r, 51v, 52r 3. tumore m.: R391 («se la strettura sarà sì forte che ingeneri dolore, farà venire l’apostema caldo e llo tumore») 12r, 28r ▲ 1. Il DEI (I, 631) registra i lemmi bugno2 ‘bernoccolo, escrescenza’ e bugnone ‘foruncolo’, ricondotti etimologicamente alla voce sett. bugna1 ‘bozza, pietra sporgente, risalto nel muro’ («da un *būnia forse relitto ligure preindoeuropeo»); il LEI (VIII, 156), che presuppone una base prelatina di origine sconosciuta (cf. ivi, 170), attesta bugnone ‘bernoccolo, bitorzolo, gonfiore’ dal 1443ca.; REW (§1396); FEW (1, 566). L’unica attestazione rintracciabile in OVI è il tosc.a. bugnoni (XIV-XV sec., BibbiaVolg), posta a lemma dal TLIO (s.v. bugnone ‘escrescenza della pelle, foruncolo’); voce assente in DELIN, Nocentini (2010), Crusca. Cf. Gualdo (1996, 76; 1999, 235, nota 142), Motolese (2004, 115–116, s.vv. bugnocello e bugnone).

391 Per rendere il lat. tumor, in R si ricorre anche a puzza (120r) e alla perifrasi ragunare di puzza («el segno [...] si è [...] dolore e ragunare di puzza»): entrambe le soluzioni connettono direttamente il nome della patologia all’addensamento della materia tumorale. Va dunque evidenziato che l’interpretazione del lat. tumor, che indica generalmente un rigonfiamento, una tumefazione, è qui indirizzata piuttosto verso la patologia più comune, che Bruno, invece, indica puntualmente come cancer.

2.a. Cf. s.v. inflatio (2.b.). 2.b. Cf. s.v. inflatio (2.a.). 3. Da una radice *tum- ‘gonfiarsi, ingrossare’ deriva il significato primario di ‘rigonfiamento, gonfiezza’, ben distinto nel testo latino da quello di ‘neoformazione patologica, tumore maligno’, designato invece dal termine cancer: cf. DEI (V, 3928); DELIN, 1751; Nocentini (2010, 1275); FEW (13/2, 411). Prima attestazione: fior.a. tumore (1310, BencivenniSantà, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 282), Nystedt (1988, 279), Marcovecchio (1993, 887), Sboarina (2000, 246), Motolese (2004, 304), Aprile (2001, 518), García Gonzáles (2007, 495 s.v. onchus), D’Anzi (2012a, 412).

turbidus ‘di liquido fisiologico che contiene impurità’ (104) [Forcellini IV, 833]

torbed[o] agg.: V («la marza serà vischoxa e grossa e torbeda e chruda») 26v; torbid[o]: R 56v; turbid[o]: B 26v ▲ Prima attestazione: fior.a. torbida (1260– 61, LatiniRetorica, OVI); DEI (V, 3921); REW (§8994). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 279), Gualdo (1996, 143), Motolese (2004, 302), D’Anzi (2012a, 413).

tympanites ‘specie di idropisia caratterizzata da un forte rigonfiamento del ventre’ (268) [Forcellini IV, 842]

antipanize m. (†): V («E le spezie delle qualle, segondo la sentencia de li antixi,392 è in iii modi, zoè aschires, ipoxarcha, antipanize») 60r; timpanides: B 63r ▲ Dal gr. τυμπανίτης. Forcellini (IV, 842: ‘Est species hydropis’) attesta il grecismo già nel

392 Ms.: segue segondo, da espungere.

II Fisiologia e patologia 

latino di Celso. La forma volgare non presenta testimonianze in OVI e ReMediA; DEI (V, 3793 s.v. timpanismo); GDLI (s.v. timpanite ‘idropisia ventosa’: prima attestazione registrata nel Fasciculo di medicina volgare, del 1494); FEW (13/2, 452). Il lemma timpanite è registrato da Crusca4. Cf. Marcovecchio (1993, 890), Aprile (2001, 519), Mazzeo (2011, 326), D’Anzi (2012a, 409), Castrignanò (2014, 210), Mosti (2014, 70: timpanite), Elsheikh (2016 II, 310).

ulcerare α.i. vb.tr. ‘ledere producendo un’ulcera’ (236) [Forcellini IV, 848] ulcerare vb.tr.: R («il luogo ulcera e ’l suo colore diclina a gialleçça») 125r; ulcer[are]: B 56r ▲ Prima attestazione: tosc.a. ulcerar (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); TLIO (s.v. ulcerare); DEI (V, 3945); DELIN, 1760; FEW (14, 4). Voce accolta in Crusca3,4. Cf. Gualdo (1996, 143), Sboarina (2000, 282), Elsheikh (2016 II, 323). α.ii. vb.med. (ulcerari) ‘ulcerarsi, piagarsi’ (3 occ.; 122) [Forcellini IV, 848] 1.a. fir ulcerato: B («poy che al serà cresuto, semper cossì permanirà, e si è pezor se al fi ulcerato») 30v, 31r 1.b. ulcerare vb.intr.: R («inanzi che [...] ulceri, osamente sia soccorsa») 65v, 66r 1.c. ulzera[rse] vb.pronl.: V («aidallo ananzi ch’el se ulzere») 30v 1.d. ulceratione f.: B («anze che al fiza azonto in la ulceratione, prestamente ye fiza secorso»)393 30v ▲ 1.a. Per il part. ulcerato, cf. s.v. ulceratus (2.).

393 Lat.: antequam addatur et ulceretur velociter succurratur.

 741

1.b., 1.c. Cf. supra (α.i.); il verbo ulcerare è registrato anche con valore intransitivo in Crusca3,4. 1.d. Cf. s.v. ulceratio (1.b.).

ulceratio ‘processo di formazione di un’ulcera’; più gener.: ‘lo stesso che ulcera’ (9 occ.; 120) [Forcellini IV, 848]

1.a. ulcera f.: R («allora è piccolo dolore et piccola ulcera») 64v (2), 65v; ulcero m.: R 172r 1.b. ulceratione (olceratione) f.: R («se fusse nel cominciamento dell’ulceratione, per quello poterave subvenire con quelgli che lle fistole si sovengono») 67r, 110v, 112r; ulzeracione (olzeracione): V 30r (2), 31r, 48r (2), 65v, 69r; ulceratione: B 30r (2), 30v, 31v, 50r (2), 50v, 73v ▲ 1.a. Cf. s.v. ulcus (3.a.). 1.b. Prima attestazione: fior.a. ulceragione (pq. sec. XIV, AlmansoreVolg, OVI); TLIO (s.v. ulcerazione 1 ‘il formarsi di un’ulcera’ e 1.1 ‘lo stesso che ulcera’); DEI (V, 3945 s.v. ulcera); DELIN, 1760; FEW (14, 4). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 282), Nystedt (1988, 280), Gualdo (1996, 143), Sboarina (2000, 246), Motolese (2004, 306), Mazzeo (2011, 327), Elsheikh (2016 II, 323).

ulceratus ‘che presenta ulcere’ (9 occ.; 97) [Forcellini IV, 848]

1. ch’à la ferita antica: R («a colui c’ha la ferita antica e el cancro, e pute molto [...], il cancro dimostrasi in tre modi») 64v 2. ulcerato agg./part.: R («sì vero il cancro serà ulcerato al postutto per le cose fredde, non sanerà») 66r (2), 66v, 125v, 127r (2), 127v; ~: B 24v, 30r, 31r (3), 56v, 57r (3); ulzerado: V 25r, 30r, 30v (4), 55r ▲ 1. Per la perifrasi ferita antica adottata come traducente di ulcus, cf. s.v. ulcus (1.b.).

742 

 6 Glossario

2. Prima attestazione: pad.a. ulcerà (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO s.v. ulcerato); DEI (V, 3945 s.v. ulcera). Cf. Sboarina (2000, 246), Motolese (2004, 306), Elsheikh (2016 II, 323).

ulcus ‘soluzione di continuità con perdita di sostanza della superficie cutanea’ (80 occ.; 8) [Du Cange IV, 261b: hulcus]

1.a. ferita f.: R («la ferita sia stretta colla legatura») 48r (2), 48v (2), 49r (4), 50r, 52r, 53r, 54r, 55r (3) 1.b. ferita antica f.: R («de sua universale churagione delle ferite antiche») 46v (3), 47r (2), 47v, 48v (2), 49r (3), 49v, 50r, 51v, 52v (2), 53r, 53v, 54r (4), 54v (3), 55r (2), 58v 1.c. ferita antica concavat[a] f.: R («nelle ferite nuove e antiche concavate, nele quagli è ’l perdimento della substantia») 40v 1.d. ferita vecchia f.: R («tutte quante le ferite, nuove e vecchie, universalmente dal cominciamento infino alla fine sono nicessarie a disecchare») 40r (4), 63v (2), 64r 2.a. piaga f.: V («dentro è mala charne over charne dura dentro o suli labri della piaga») 25v 2.b. piaga antica f.: R («comune curatione delle piaghe nuove et antiche») 4r, 47r 2.c. piaga che vene de fora: B («de li medicini fazando nascere la carne in le piage che veneno de dentro e de fora») 2v; piaga de fora: B 2v (2) 2.d. piaga mal curata f.: B («de la summa et universale curatione de li ulceri, cioè piagi mal curati») 2v394 2.e. piaga vecchia f.: R («fanno nascere la carne nelle piaghe nuove e nelle vecchie») 40v, 41r 2.f. piaga putrida f.: R («della piaga putrida et come tu le dei aministrare») 4r (2), 11r

394 Perifrasi adottata come glossa di ulceri (cf. 3.a.).

3.a. ulcera f.: R («medicine che fanno nascere la carne nelle piaghe e ulcere») 4r, 30v, 34r, 34v, 38v, 125v, 126r; ulzera (ulcera): V 3v (3), 4r,395 5v (2), 16r (2), 19r (2), 19v (3), 20r (2), 22v (5), 23r (6), 23v (4), 24r, 24v (2), 25r, 25v (5), 26r (8), 29v, 40v, 48r, 54r (2); ulcera: B (2v), 4r, 30v, 34r, 34v, 38v, 125v, 126r 3.b. ulceratione f.: B («ella non è vulneratione, ma fi dicta ulceratione, imperò ulceratione fi chiamata piaga puzulenta») 4r, 5v, 13v, 14r (2), 15v (2), 17v (2), 18r (2), 18v (2), 19r, 21v (7), 22r (6), 22v (8), 23r (4), 23v, 24r, 24v (3), 25r (7), 25v (8), 26r, 27r (2), 29v (2), 30r, 42r, 56v (3), 58v ▲ 1.a. Prima attestazione: volt.a. ferite (1219, BreveMontieri, TLIO s.v. ferita). Voce presente da Crusca1. 1.b., 1.c., 1.d. Le presenti locuzioni, che R usa con frequenza (soprattutto ferita antica) per distinguere, in volgare, il senso del lat. ulcus da quello del lat. vulnus, non trovano riscontri analoghi in OVI e ReMediA (se si eccetua la testimonianza di OvidioVolgRimAm [ms. B], pis.a., pm. sec. XIV: «patì lo scontrar della donna sua, e la mal sana cicatrice tornò in dell’antica ferita e le mie arti non ebbono buoni avenimenti»). Cf. infra (2.b) e s.v. vulnus (1.b. e 2.c.) per le loc. contrarie ferita fresca, ferita nuova, piaga nuova. 2.a. Prima attestazione: lomb.a. plaga (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, OVI). Voce presente da Crusca1. 2.b. Nel fior.a. di AntidotNicolai si rinviene una locuzione analoga (ad ogne piaga ricente ed antica), la cui testimonianza può essere estesa all’espressione sinonimica ferita antica (cf. supra: 1.b.), a dimostrazione di come le perifrasi scelte dal traduttore di R per rendere

395 A conclusione del periodo nel quale s’introduce la voce ulzera, viene apposta la seguente glossa esplicativa: «ulzera si è a dir la plaga putrida e antiga» (3v), che ricalca le locuzioni frequentemente adottate da R (ferita antica/ferita vecchia/ferita putrida).

II Fisiologia e patologia 

il lat. ulcus non costituiscano, con ogni probabilità, solo una scelta individuale vòlta all’aggiramento del termine dotto ulcera, ma siano caratterizzate da un certo grado di lessicalizzazione. In epoca più tarda, ritroviamo un’identica locuzione (in opposizione a piaga fresca) anche in una traduzione autorevole come Dalla Croce (1583 VI, II, 32: «Bacche di lauro consolidano le piaghe vecchie»; «lo sterco di quello con il mele [...] è buono per le piaghe vecchie»). 2.c. Cf. tosc.a. piaga di fuori (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI). L’uso in B della presente locuzione costituisce un parallelismo impiegato per sottolineare la differenza tra i termini latini ulcus e vulnus (al pari di quanto accade in R con le loc. ferita vecchia e ferita nuova): si vedano, dunque, le loc., di significato opposto a quella presente, piaga che vene de dentro e piaga de dentro, con le quali si rende talvolta il lat. vulnus (cf. s.v. 2.b.). 2.d. In OVI e ReMediA non si rintracciano locuzioni analoghe. Alcune testimonianze utili si trovano invece in testi posteriori: cf., nel corso del Settecento, Melli (1724, 291), che proprio riguardo alle ulcere scrive: «Di due sorti d’ulceri trovasi, o prodotta da causa interna, che s’intende, mentre alterata sia la simetria de’ liquori [...]. O da causa esterna, che s’intende, una ferita mal curata, una fontanella, e simile». 2.e. Sempre in area toscana, cf. in OVI locuzioni analoghe come: piagha vecchia (ante 1361, UbertinoBrescia); piaghe vecchie (sec. XIV, MaestroBartolomeo); fior.a. ~ (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); pis.a. vecchie piaghe (fine sec. XIV, SimCascina, OVI). 2.f. Cf. pad.a. piage putride (fine sec. XIV, Serapiom, OVI: 7 occorrenze); pis.a. le vecchie piaghe risani, le putride liberi (fine sec. XIV, SimCascina, OVI). 3.a. Prima attestazione: mant.a. ulcere (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. ulcera); DEI (V, 3945); DELIN, 1760; FEW (14, 4: «Die ganze Wortgruppe [scil.: comprendente i sostantivi ulcère e ulcération, oltre al verbo ulcérer] wurde durch die Medizin aus dem Lt. ent-

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lehnt»). Il lemma ulcera è accolto in Crusca3,4. Cf. Altieri Biagi (1970, 131), Marcovecchio (1993, 853), Sboarina (2000, 246), Motolese (2004, 305), García Gonzáles (2007, 501 s.v. oxima), Mazzeo (2011, 327), Castrignanò (2014, 211), Elsheikh (2016 II, 323). 3.b. Cf. s.v. ulceratio (1.b.). ♦ Loc. e collocazioni: [Cf. → ulcus corrosivum (s.v. corrosivus); ulcus melanconicum (s.v. melanconicus); ulcus putridum (s.v. putridus)] – concavitas ulceris (91) [Cf. → s.v. concavitas]

1.a. concavitade de la ulceratione: B («la significatione [...] si è la concavitade de la ulceratione maiore che ella non è usata») 23r 1.b. ferita cava f.: R («è significatione che quella humidità sia di forte natura») 50r ▲ 1.a., 1.b. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. Per 1.a. cf., però, alcune istruttive testimonianze di epoca contemporanea, che si ricavano dalla consultazione di GoogleLibri (Szerlecki 1844, 75: «torna di molta utilità l’empire tutte le concavità dell’ulcere col fosfato di ferro»; Cooper 1823 IV, 563: «il fondo dell’ulcera è formato di concavità di varie grandezze»). Cf. vulnus concavum (s.v. vulnus). – labia ulceris ‘bordi dell’ulcera’ (98) [Cf. → s.v. labium β.]

1.a. labra della ferita: R («la sua complessione [...] fa indurare la carne sopra le labra della ferita») 53v 1.b. labri de li ulcerationi: B («ella è carne azonta o carne dura sopra li labri de li ulcerationi») 25r ▲ 1.a. Nel testo latino di Bruno una loc. analoga è rappresentata da labia vulneris (cf. s.v. vulnus). 1.b. Per il sost. ulceratione, cf. s.v. ulceratio (1.b.).

744 

 6 Glossario

– ulcus concavum ‘ulcera cava (caratteriz­ zata da perdita di carne)’ (2 occ.; 72) 1.a. ferita concava f.: R («lle ferite o sono da parere o sono profonde cioè concave») 47r 1.b. ulceratione concav[a] f.: B («in li piagi et ulceratione concavi in li quali è perditione de substantia») 18v; ulceratione concavata: B 21v 1.c. ulzera chonchava f.: V («in le piage e in le ulzere choncave») 20r ▲ 1.a. Cf. vulnus concavum (s.v. vulnus). 1.b., 1.c. Non si rintracciano locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. In epoca moderna e contemporanea, però, è numerosa la casistica offerta da una consultazione di GoogleLibri: tra le varie testimonianze, cf. ulcera concava (James 1753 IV, 166); ulcerazione concava (Levi 1860, 1046). – ulcus corrodens ‘ulcera che corrode i tessuti circostanti’ (94) [Cf. → s.v. corrosio, corrosivus]

ulceratione corodente f.: B («In la curatione de li ulcerationi corodenti la regola è che lo corpo e lo membro fiza mondificato») 24r ▲ In OVI e ReMediA non compaiono attestazioni dell’agg./part. corrodente. Cf., però, le numerose attestazioni del pad.a. ulceracion corosive in Serapiom (fine sec. XIV, OVI); fior.a. ulcerazion corrosive (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); TLIO (s.v. corrodere). Si veda anche la loc. latina ulcus corrosivum (1.a., s.v. corrosivus). – ulcus profundum ‘ulcera che penetra in profondità’ (2 occ.; 85) 1.a. ferita profonda f.: R («lle ferite o sono da parere o sono profonde cioè concave») 47r; ferita antica profonda: R 48v 1.b. ulceratione profunda f.: B («li ulcerationi o che ay sono apparenti, o che ali sono profundi») 21v (2), 22v 1.c. ulzera fina su lo fondi: V («le ulzere fina su lo fondi non se perlonga con la charne») 22v

1.d. ulzera profonda f.: V («e ulzere profonde in le qual è aschoxion e chaverna, non la mondifichar») 23v ▲ 1.a., 1.b., 1.c., 1.d. Per locuzioni analoghe cf., tra le più antiche testimonianze rintracciabili: sen.a. profunda ferita (ante 1340, EneideVolgUgurgieri, OVI); pad.a. ulceratiom profunde (fine sec. XIV, Serapiom, OVI: 5 occorrenze). Per la perifrasi ferita antica come traducente del lat. ulcus, cf. supra (1.b., 1.c., 2.b.). – ulcus sordidum ‘ulcera caratterizzata dalla presenza di pus’ (4 occ.; 74) [Cf. → s.v. sordities]

1.a. ferita antica sorda f.: R («abisongna che lle ferite antiche sorde s’apparecchi medicina che tragha co’ mordicatione») 51r (2); ferita sordida: R 47r 1.b. ulceratione sordid[a] f.: B («li medicini che abstergeno li ulcerationi sordidi») 23v 2.a. piaga puzulent[a] f.: B («in li piagi puzulenti, zoè pieno de marza, è necessaria la medicina più abstersiva, zoè che forbe») 18v 2.b. ulceratione puzulenta: B («besognia in li ulcerationi puzulenti ch’el fiza administrata la medicina abstersiva») 23v396 3.a. piaga piena de marza: B (cf. 2.a.) 18v;397 ulzera che geta marza grosa: V 22v 3.b. ulzera marzox[a] f.: V («in le ulzere marzoxe el bexogna medexina più asterxiva») 20r ▲ 1.a., 1.b. Le uniche locuzioni analoghe ricavabili da OVI e ReMediA appartengono al pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV): ulceratiom sordide e sordide piage. L’agg. sordido (cf. REW §8096) è registrato solo in Crusca3,4 (in contesto medico, cf. Elsheikh 2016 II, 295). In R, l’agg. sorda per sordida (con due occorrenze

396 A c, 21v e 22v, l’agg. puzulenta è adottato come glossa di sordida (cf. 1.b.). 397 La perifrasi pieno de marza è glossa di puzulenti.

II Fisiologia e patologia 

contro una) sarà da attribuire alla scarsa preparazione di un copista e alla possibile associazione paretimologica all’attributo sordo. Cf. Motolese (2004, 287: ulcera sordida). 2.a., 2.b. Cf. plaga putrida (s.v. putridus). 3.a., 3.b. Non si leggono locuzioni analoghe in OVI e ReMediA. Diverse testimonianze si rintracciano, invece, in epoca moderna: cf., tra gli altri, James (1753 VI, 387: «trovai un simile ammasso di materia marciosa somministrata da un’ulcera marciosa»); l’agg. marcioso è registrato in Crusca3,4,5.

unctuositas ‘l’essere untuoso, oleoso’ (2 occ.; 63)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini]398 ontuoxitade f.: V («De quelle chosse ch’azonzi in la sechacione si è che se ingrosi e inspesadi e manchase in esse de la soa ontuoxitade») 17v; unctuositade: B 21v; untosità: R 36r ▲ Le poche attestazioni presenti in OVI appartengono a contesti medici: fior.a. untosità (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI), pad.a. untuositè (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); DEI (V, 3955); DELIN, 1765. Voce presente da Crusca1. Cf. Castrignanò (2014, 211), Elsheikh (2016 II, 231 e 325).

ungula ‘sottile membrana che si stende sulla tunica dell’occhio’ (11 occ.; 192)

[Voce assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini] 1.a. longulla f.: V («se la no se porà metere intra la longulla e non se aficha in essa inperzò ch’ela è tenera, fursi ch’ela se churerà con medexina») 46r

398 Du Cange (VIII, 367) registra l’agg. unctuosus.

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1.b. onglela (onglella; unglela) f.: V («Molte sono e diverse le pasion di hochi, sì chomo lagreme e inflaxone, rosseza, e è pano over onglella») 44v, 45v (7); ongulla (ungolla 45v): V 45v; ungla: R 102v; unghia: R 104v, 105r (4), 105v (3); ungula: B 46v, 47v (9) ▲ 1.a. La rara forma longulla di V trova corrispondenza in un’unica testimonianza presente in UbertinoBrescia (dove essa appare, però, accanto a sei casi di ungula). Al contrario di quanto fa il GAVI (19/2, 224: «Sieff a sanare la iscabbia delli occhi che ssì consuma e ’l panno e lla lungula»), però, in OVI la parola interessata è trascritta con una mancata concrezione dell’articolo, evidentemente in ragione della presenza certa di ungula nelle rimanenti sei occorrenze del testo. Una tale lettura, però, costringe poi a leggere un doppio articolo femminile prima del sost. ungula («lla l’ungula»). È abbastanza verosimile, invece, che ci si trovi, al pari di quanto si osserva in V, di fronte a un forma lungula, frutto di concrezione dell’articolo. 1.b. Il termine ungula, già nella sua accezione primaria, rappresenta l’allotropo dotto di unghia; DEI (V, 3952); DELIN, 1765; lemma assente nel GDLI. Il GAVI (19/2, 224 s.v. ungula) segnala la presenza, nel corpus OVI, di «alcune occorrenze impreviste per contenuto», nelle quali la parola designa la patologia dell’occhio qui discussa: si tratta delle sei occorrenze del tosc.a. ungula rintracciabili in UbertinoBrescia (cf. quanto esposto supra 1.a.); a queste si può aggiungere il pad.a. ungula de l’oyo (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Per le varianti onglela/ onglella/unglela di V, cf. pad.a. ongela/ongella (Serapiom; Ineichen 1966, 282). Sempre in OVI, si attesta anche la variante angula, usata da UbertinoBrescia (3 occorrenze), ma documentata anche nel sic.a. di ThesaurusPauperumVolg (sec. XIV). Voce presente da Crusca1 (ungola). Cf. FEW (14, 38: fr. ongle ‘épanchement de pus en forme de croissant, dans la chambre antérieure de l’ œil’); Altieri Biagi (1970, 133), Gleßgen (1996, 558), Elsheikh (2016 II, 325 s.v. unghiella de l’ochio e ungula), Zarra (2018, 629 s.v. unghia dell’occhio).

746 

 6 Glossario

urina ‘prodotto finale dell’escrezione renale’ (19 occ.; 46)

[Du Cange; cf. → urina subtilis (s.v. subtilis); meatus urinalis (s.v. meatus)] 1.a. orina f.: V («Ma s’è la ferida in la vesiga, tuta l’orina vien fuora») 13r, 29v (2), 43r, 50v, 57v, 64r (3), 65v (2), 66v, 67r; urina (orina): R 63r, 99r, 118r, 134v, 152v, 156r, 161r (2), 164r (3), 164v, 165r; urina: B 11v, 29v (2), 44v, 45r, 53r, 60v, 67v (2), 68r, 69r (2), 70v, 71r (2), 71v (3) 1.b. orinare vb.intr.: V («la sangue s’aglaza in la vesiga e apostiemase che non se può orinare»)399 67v (2); ~: R 97r ▲ 1.a. Prima attestazione: sen.a. orina (1288, EgidioColonnaVolg, OVI). Cf. Ineichen (1966, 224), Nystedt (1988, 280), André (1991, 59), Marcovecchio (1993, 900), Aprile (2001a, 522), Barbato (2001a, 519), Motolese (2004, 311), Green (2009, 414), Castrignanò (2014, 211), Elsheikh (2016 II, 233). 1.b. Prima attestazione: fior.a. hurinare (fine sec. XIII AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. orinare). Cf. Motolese (2004, 311), Elsheikh (2016 II, 233 e 326).

variola ‘pustola’ (54) [Du Cange VIII, 245c]

1.a. narvoll[a] f.: V («alguna fiada el viene narvolle a la piaga») 15r 1.b. variol[a] f.: B («Ma li varioli alcuna volta veneno sopra la piaga, alora lo infirmo de’ fir salassato») 13v ▲ 1.a. Voce non attestata: se non si tratta di un errore del copista, la base di partenza da presupporre sarà sempre il lat. variola, giunto verosimilmente a narvolla per epentesi di n e successiva metatesi consonantica. 1.b. L’unica attestazione ricavabile da OVI e ReMediA è il venez.a. variole (sq. sec. XIV, LibroSanitate); DEI (V, 3991: ma nell’acce399 Lat.: urinae prohibitio consequatur.

zione moderna di ‘vaiuolo’); GDLI (s.v. vaiola); REW (§9156); FEW (14, 182). Voce assente in Crusca. Cf. Ineichen (1966, 283), Altieri Biagi (1970, 134), Marcovecchio (1993, 909), Gualdo (1996, 145), Motolese (2004, 312), Castrignanò (2014, 212).

ventositas ‘accumulo di gas nello stomaco o negli intestini’ (13 occ.; 10)

[Forcellini IV, 940; Cf. → hernia ex ventositate/hernia ventosa (s.v. hernia)] ventosità (ventusitate): f. R («i due modi cioè de humore e de ventusitate») 5r (2), 16r, 16v, 143r, 144r, 146v, 147r (2), 149v, 155v; ventositade: B 3r (2), 7v (3), 63v (3), 64v, 65r, 66r, 67r, 69r; ventuxità (ventosità; ventuxitade): V 4r, 4v, 9r (2), 61r (3), 62r, 62v, 63v) ▲ Prima attestazione: fior.a. ventosità (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); DEI (V, 4013); DELIN, 1798; GDLI (s.v. ventosità §2); FEW (14, 254: fr. ventosétei ‘flatulence’, dal 1256). Voce presente da Crusca1 (ventosità ‘Indisposizione cagionata da materia indigesta, e si genera nel corpo degli animali, vento’). Cf. Ineichen (1966, 283), Nystedt (1988, 282), Gleßgen (1996, 650), Gualdo (1996, 146), Sboarina (2000, 247), Aprile (2001a, 526), Motolese (2004, 317), García Gonzáles (2007, 564), Green (2009, 413), D’Anzi (2012a, 419), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 331), Zarra (2018, 629).

vermis ‘parassita dell’organismo (ritenuto in particolare la causa delle carie ai denti)’ (12 occ.; 212)

[Voce assente in tale accezione in Du Cange e Forcellini nella presente accezione] verm[e] m.: R («alcuna volta è fatto el dolore per cagione di vermi generati in quello luogo») 113r, 113v, 156r; ~: B 51r (5), 53r, 53v (3), 69r; vermio: R 113r (2), 118r, 118v (4), 119v; vermo: V 48v (4), 49r, 51r (5), 51v

II Fisiologia e patologia 

▲ Prima attestazione: fior.a. verme (1310, TrattatoVirtùRamerino, TLIO §1.2). Voce assente in Crusca nell’accezione specifica qui esaminata. Cf. Ineichen (1966, 226), Nystedt (1988, 282), Gleßgen (1996, 653), Aprile (2001a, 527), Mazzeo (2011, 328), D’Anzi (2012a, 420), Green (2009, 413), Elsheikh (2016 II, 332).

veruca ‘piccola escrescenza cutanea di forma tondeggiante’ (4 occ.; 191) [Du Cange VIII, 289a]

1. brisol[a] f.: B («Capitulo xiiijo de li brisoli e pori che veneno in la virga») 46r 2. porro m.: B («Li veruci, zoè li porri, molti volti veneno in la virga et in ogni parte del corpo, et maximamente in li mane et in li pedi») 68r (2)400 3. verola f.: B («E se altra superfluitade de carne venisse in lo naso, come è vesica overo verola, fiza curata per quello modo che è dicto del polipo») 50r 4. verruca f.: R («Capitolo xiijo delle verruche e de’ porri») 102r, 111r, 152v (2);401 veruc[a]: B 50r, 68r (2); verucha (veruca): V 44v, 48r, 64r, 64v 5. vesica f.: B (cf. supra 3.)402 ▲ 1. Del lemma briciola il TLIO registra solo l’accezione comune di ‘frammento residuo di cibo’, al pari di quanto fa il DEDI per la forma base brisa ‘briciola’ (< lat. volg. * brīsia, der. di *brīsiāre ‘schiacciare, frantumare’: Nocentini 2010, 147; LEI VII, 529; REW §1310; FEW 1, 531). 2. Prima attestazione: tosc.a. porri (1318–20, FrBarberinoReggimento, TLIO §2 ‘piccola escrescenza cutanea’); DEI (IV, 3026); REW

400 In entrambe le occorrenze, la voce porro è adottata come glossa di veruca (cf. 4.) 401 Ms. (prima delle due occorrenze di c. 152v): vernuche. 402 La voce vesica forma una dittologia sinonimica con verola (cf. 5.).

 747

(§6670); FEW (9, 196). Sul passaggio dal lessico vegetale a quello medico, cf. Nocentini (2010, 906): «Il confronto del lat. pŏrrum col gr. práson porta a concludere che si tratta di due prestiti paralleli da una lingua di sostrato, come si verifica di solito con i nomi delle specie vegetali; il sign. di ‘verruca’, escrescenza che si forma spesso sulle mani, è un’estensione che rientra nella mentalità popolare per cui queste patologie sono interpretate come la crescita di un corpo estraneo». Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 273), Marcovecchio (1993, 693), Gleßgen (1996, 568), Sboarina (2000, 237), Elsheikh (2016 II, 249). 3. Voce non attestata in OVI e ReMediA, ma presente nel GDLI (s.v. verola2): si tratta, con ogni probabilità, dell’adattamento del fr.a. vérolle (< lat. vairola). Il FEW (14, 182) segnala, a tal riguardo, l’it. verola m. (ma nell’accezione specifica di ‘syphilis’; cf. analogamente il DEI V, 4029 s.v. verola1: ‘mal francese’) come prestito seicentesco dal francese. Il GDLI (s.v. verola2) attesta il termine in A. Cravaliz (1556) e S. Maffei (ante 1755). Cf. anche s.v. variola (1.b.). 4. Dal lat. verrūca(m) ’ («dove la geminata -rr- deriva dall’assim[ilazione] del nesso -rs-»: Nocentini 2010, 1312), con il significato originario di ‘altura’, «poi specializzatosi nel senso di ‘escrescenza’» (DELIN, 1805); REW (§9241); FEW (14, 306). Prima attestazione: pad.a. veruce (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 283). Voce presente da Crusca1 (con rimando a porro). Cf. Altieri Biagi (1970, 137), Gleßgen (1996, 568), Sboarina (2000, 248), Green (2009, 413), Elsheikh (2016 II, 332). 5. Prima attestazione: fior.a. vesciche (ante 1292, GiamboniOrosio, OVI); DEI (V, 4036); DELIN, 1808; REW (§9276); FEW (14, 342). La presente accezione è registrata a partire da Crusca2 (‘quel Gonfiamento di pelle cagionato da cottura, o altra simile infiammagione’). Cf. Marcovecchio (1993, 917), Motolese (2004, 318), Green (2009, 413), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 333), Zarra (2018, 630).

748 

 6 Glossario

verucalis403 ‘che ha la sostanza di una verruca’ (236) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

1.a. a modo de verucha: V («la sustancia d’esa è a modo de verucha e redonda la so’ radise») 54r 1.b. verucale agg.: B («Formica si è pustula pizena nascente de materia colerica, [...] e la sua substantia si è verucale, zoè de brisoli, e la radice rotonda») 56r 2. de brisoli: B (cf. supra 1.b.) 56r404 ▲ 1.a., 1.b. La prima attestazione dell’attributo dotto è il pad.a. verucale (fine sec. XIV., Serapiom), che rappresenta anche l’unica testimonianza ricavabile da OVI e ReMediA. DEI (V, 4030), DELIN, 1805, GDLI e Nocentini (2010, 1312) attestano soltanto l’agg. di relazione verrucoso (1640, Oudin). Voce è assente in Crusca. Cf. Sboarina (2000, 248). 2. Per la voce metaforica brisola ‘verruca’, cf. s.v. verruca (1.).

vesicatio ‘il vescicare e il suo risultato’ (2 occ.; 315)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1.a. vescicatione f.: R («fatta ogni prohibitione405 la vescicatione del luogo») 171r; vesicatione: B 73r 1.b. vesiga f.: B («al fiza devedati li vesigi del loco») 73r406 1.c. visig[arse] vb.pronl.: V («che non se lassa visigare lo luogo»)407 69r ▲ 1.a. Voce non attestata in OVI e ReMediA; non registrata in DEI, DELIN, Nocentini (2010) e Crusca; cf. fr.m. vésication (FEW 14, 342). Sulla base di una consultazione di GoogleLibri, 403 Variante dei mss. lat. B e G per vermicalis. 404 Il genit. de brisoli è adottato come glossa dell’attributo dotto verucale (cf. 1.b.). 405 Ms.: prohitione. 406 Lat.: ut prohibeatur vesicatio loci. 407 Cf. nota supra.

dove le testimonianze appaiono comunque in numero esiguo, la prima attestazione del cultismo vescicazione si potrebbe rintracciare in Da Vigo (1581, 169: «la giandussa pestilenziale, fatta prima la vescicatione sudetta ne predetti luoghi, maturisi con l’impiastro infrascritto»). 1.b. Cf. s.v. veruca (5.). 1.c. Cf. s.v. vesicare (2.b.).

vesicari vb.med. ‘vescicarsi’ (2 occ.; 235) [Forcellini IV, 964]

1. fare bolloline: R («el calore della resipilia quando elle viene aguçça e fa bolloline intorno») 124v 2.a. vescicare vb.intr.: R («se none si soccorre osamente, vescica el luogo») 125v 2.b. vesig[arse] vb.pronl.: B («Et forse che per lo calore de la erisipilla fi brusata la codega e lo loco circondante se vesigarà») 56r; visig[arse] (avesig[arse]): V 53v, 54r ▲ 1.a. In OVI e ReMediA non si rinvengono attestazioni della forma diminutiva bollolina. Cf. TLIO (s.v. bollicina ‘piccola bolla’), che registra il tosc.a. bollicine in un contesto medico affine (sec. XIV, MesueVolg: «Nella bocca sua saranno bollicine, o esulcerazioni putredinose»); Crusca1,2 (s.v. bollicola) e Crusca3,4 (s.v. bollicina). 2.a., 2.b. In OVI e ReMediA non si rinvengono attestazioni della forma verbale vescicare/ vescicarsi; DEI (V, 4036 s.v. vescica); Nocentini (2010, 1314: prima del 1577); REW (§9277). Voce assente in Crusca. Sia in V sia in B si osserva la conservazione dotta (almeno grafica) di -si- (al posto dell’esito consueto con palatalizzazione -sc-). Cf. Elsheikh (2016 II, 333).

vesicatus agg./part.p. ‘coperto di vesciche’ (316) [Forcellini IV, 964: vesico]

vescicato agg.: R («conciosiacosaché già troverai il luogo vescicato allora è necessario d’aparechiare le medicine ne le quagli è alcuna astersione») 172r; vesicato: B 73v

II Fisiologia e patologia 

▲ In OVI e ReMediA non si rinvengono attestazioni dell’agg./part. vescicato. Cf. s.v. vesicari (2.a., 2.b.).

viriditas ‘colorazione verde’ (4 occ.; 99) [Du Cange VIII, 351b]

1.a. chollor verde m.: V («lo rossor del flemone o408 declina in chollor verde o in chollor negro») 53v; verde agg.: R 54r 1.b. veredità (vereditate; veridità) f.: R («il flemone overo che declina verso la veridità overo verso la nereçça») 124r, 125r, 127r; viriditade: B 25r, 55v, 56r, 57r ▲ 1.b. Prima attestazione: it.a. viridità (1351– 55, BoccaccioTrattatelloToled, OVI); voce accolta in Crusca3,4 (viridità, viriditade/-ate).

virtus α. ‘proprietà, facoltà dell’organismo’ (11 occ.; 12) [Forcellini IV, 964] ♦ Loc. e collocazioni: – virtus cogitativa ‘pensiero, capacità di ragionare’ (130) [TLL III, 1454: cogitativus] 1. vertude chogitativa f.: V («li ventricholli si è iii, zoè la parte dananti e de mezo e da driedo. Da la parte dananti se chonprende la vertude imaginativa, e in lo mezo la chogitativa») 32r; virtude cogitativa: B 32v 2.a. pensare vb.tr.: R («ventriculi sono tre, entro el meçço e doppo quello e dentro la vertù imaginativa, la complexione del pensare, istà in meçço la memoria») 70r 2.b. virtude pensativa f.: B («In lo ventriculo denanze se contene la virtude ymaginativa, in

408 Ms.: segue , espunto.

 749

mezo la cogitativa, zoè pensativa, in quello de dreto la memorativa») 32v ▲ 1. L’unica attestazione dell’agg. cogitativo ricavabile da OVI e ReMediA si ritrova all’interno della locuzione in esame: it.a. virtù cogitativa (1373–74, Boccaccio; TLIO s.v. cogitativo); DEI (II, 1003); DELIN, 355; Nocentini (2010, 244). Il lemma cogitativo è accolto solo in Crusca4,5. Cf. D’Anzi (2012a, 288; 422). 2.a., 2.b. Per l’agg. pensativo (assente in Crusca) il TLIO registra solo l’accezione di ‘presentato come vero pur non essendo tale’ (attestazioni presenti solo in LeggendaAurea). In tal caso sarà soprattutto da rimarcare il ricorso al suffisso -ivo (cf. cap. 5.6.3) aggiunto, in modo autonomo rispetto alla base latina, al traducente (pensare) più comune del lat. cogitare. – virtus digestiva ‘facoltà dell’organismo che regola i processi di digestione’ (3 occ.; 111) [Forcellini II, 126: digestivus] 1.a. digestione f.: R («dirò delgli idruopichi ch’elgl’è errore di digestione») 139v 1.b. vertù digestiva f.: R («acciò che singnifichi che vertù digestiva sia aporerata409 in essa») 60r; vertude deistiva (vertude diestiva): V 28r, 31v, 60r; virtute digestiva: B 32r, 63r 1.c. vertù di digestire: R («non à vertù di digestire e ’l polso forte de febbre aguta») 68v 2. virtute paylita f.: B («la sua levitade se requere azò che al fiza significato che la virtute paylita operi in quella») 28r ▲ 1.a. Cf. s.v. digestio (β., 1.a.). 1.b. Prima attestazione: fior.a. virtù digestiva (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI; cf. TLIO §1.1). Per l’agg. ┌digestivo┐ cf. DEI (II, 1299); DELIN, 463; Nocentini (2010, 332). L’agg. digestivo è presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 221), Gualdo (1996, 84; 147), Mazzeo (2011, 292; 329), D’Anzi (2012a, 422), Elsheikh (2016 II, 336 s.v. virtù).

409 Verosimilmente da correggere in adoperata.

750 

 6 Glossario

1.c. Per la forma verbale digestire, cf. s.v. digerere (β, 1.b.). 2. Per il verbo paylire ‘digerire’, cf. s.v. digerere (α., 2.); per l’agg./part. paylito, cf. s.v. digestus (3.b.).

2. vertude apetitiva f.: V («Li rei azidenti si è [...] defeto de vertude apetitiva e spulsiva») 31v 3. virtute in recivere: B («E de li mali accidenti sono como è [...] lo defecto de la virtude in recivere et in paylire et in cazar fora») 32r

– virtus expulsiva ‘facoltà dell’organi­ smo che regola i processi di espulsione delle sostanze’ (128) [Forcellini II, 377: expulsivus]

▲ 2. Cf., in OVI: fior.a. virtude apetitiva (fine sec. XIII, TesoroVolg), virtù appetitiva (ante 1334, Ottimo); mant.a. vertù apetitiva (1299/1309, Belcalzer). Anche in tal caso, come altrove, è da rimarcare il ricorso, in modo autonomo rispetto alla fonte latina, al suffisso -ivo (cf. cap. 5.6.3; un’identica soluzione si ritrova in F1: virtude apetitiva 31r). L’agg. appetitivo (cf. DEI I, 253; LEI III/1, 255) è presente da Crusca1. Cf. Mazzeo (2011, 329), D’Anzi (2012a, 422), Elsheikh (2016 II, 336 s.v. virtù). 3. Per il verbo ricevere nell’accezione di ‘assumere un alimento, un medicinale’, cf. GDLI (§19).

virtude expulsiva f.: B («de li accidenti significanti tale rotura alcuna volta sono [...] appetito e defecto de la virtude digestiva et expulsiva») 32r; vertude spolsiva: V 31v ▲ Prima attestazione: fior.a. virtute espulsiva (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI). Il lemma espulsiva è presente come sostantivo femminile in Crusca1,2: all’agg. espulsivo (cf. DELIN, 541; Nocentini 2010, 396) è destinato un lemma indipendente solo nella 3a ediz. di Crusca. Cf. Nystedt (1988, 226), Gualdo (1996, 147), Motolese (2004, 161), Mazzeo (2011, 329), D’Anzi (2012a, 319; 422), Elsheikh (2016 II, 336 s.v. virtù). – virtus imaginativa ‘immaginazione’ (130) [Forcellini II, 717: imaginativus] vertù imaginativa f.: R («ventriculi sono tre, entro el meçço e doppo quello e dentro la vertù imaginativa, la complexione del pensare, istà in meçço la memoria») 70r; vertude imaginativa: V 32r; virtude ymaginativa: B 32v ▲ Cf. fior.a. virtù imaginativa (ante 1334, Ottimo, OVI). Il lemma immaginativa è presente come sostantivo femminile in Crusca1,2: l’agg. immaginativo (cf. DEI III, 1947; DELIN, 727; Nocentini 2010, 550) è accolto con un lemma indipendente solo nella 4a ediz. di Crusca. Cf. Mazzeo (2011, 329), D’Anzi (2012a, 332; 422). – virtus in appetendo ‘virtù appetitiva, appetito’ (129) [TLL II, 283: appeto] 1. poter mangiare: R («li accidenti rei sono sì come quando [...] non può né mangiare né smaltire») 69r

– virtus in expellendo ‘virtù espulsiva’ (129) [TLL V 2, 1629: expello] 1. vertude spulsiva f.: V («Li rei azidenti si è [...] defeto de vertude apetitiva e spulsiva») 31v (2) 2. virtude in cazar fora: B («E de li mali accidenti sono como è [...] lo defecto de la virtude in recivere et in paylire et in cazar fora») 32r ▲ 1. Cf. supra, virtus expulsiva. 2. Per il vb.sint. cazar fora quale traducente del lat. expellere, cf. TLIO (s.v. cacciare §3.5 ‘espellere al di fuori dell’organismo’, in part. nelle loc. cacciare fuori e cacciare via), oltre a quanto esposto sui calchi grammaticali delle forme verbali latine costruite con l’apposizione di prefissi (cap. 5.6.3). Cf. Elsheikh (2016 II, 106 s.v. cacciare). – virtus memorialis ‘memoria’ (130) [TLL VIII, 684: memorialis] 1.a. memoria f.: R («la complexione del pensare istà in mezzo, la memoria da capo in quello [scil.: ventricolo] di poscia») 70r; ~: V 32r 1.b. virtude memorativa f.: B («In lo ventriculo denanze se contene la virtude ymagina-

II Fisiologia e patologia 

tiva, in mezo la cogitativa, zoè pensativa, in quello de dreto la memorativa») ▲ 1.a., 1.b. Cf. fior.a. virtù memorativa (ante 1334, Ottimo, OVI). Sulla distribuzione delle facoltà mentali nel cervello, cf. l’analoga descrizione offerta da FrButi (pis.a., 1385–95: «ànno queste virtù luogo appropriato nel capo umano; cioè nel cerebro; cioè [...] l’immaginativa, o vero estimativa nel zuccolo; e la ritentiva, o vero memorativa, nella cottola»). L’agg. memorativo (cf. DEI IV, 2420) è presente da Crusca1. Cf. D’Anzi (2012a, 422: virtù memorativa). β. ‘forza, efficacia di un medicinale o di una cura’ (4 occ.; 44) [Forcellini IV, 1010] vertude f.: V («chon aqua sinplize in la qual sia la vertude del serapino») 12v, 15v; virtù: R 24v; virtude: B 12r, 14r, 28v ▲ Forcellini (IV, 1010) registra l’accezione specifica qui esaminata, attestandola già nel latino di Celso (§II, 4). Cf. GDLI (s.v. virtù §13 ‘effetto di un cibo, di una bevanda, di una pozione’: prima attestazione registrata in BoccaccioDecam, 1370ca.). Cf. Elsheikh (2016 II, 336).

virus ‘pus, materia suppurativa’ (31 occ.; 21) [Forcellini IV, 1011]

1. aquaregna f.: V («El dixe anchora che quela aquaregna se chiama virus e quela ch’è grosa se chiama sordizes, zoè marza») 22v (2) 2. marcia f.: R410 («per lo allentare di sopra non si tiene la marcia nella piaga») 11r, 74v; marza: V 7r (2), 8r (3), 8v, 11r, 23r (4), 24r, 25v, 26v, 27v (2), 32r, 33r, 33v, 36r (3), 55v

410 In diversi casi si trova forza in corrispondenza del lat. virus: cf. c. 47v, 48r ecc. A c. 50r, invece, si usa isforzate per tradurre il lat. virulenta (cf. s.v. ulcus virulentum).

 751

3. materia f.: R («si tagla [...] acciò che bene esca la materia») 14r; materia rea: R 13v 4. putritudine f.: R («in tal modo che non possa uscire la putritudine allo strignere colla fascia lo fondo della piaga») 13v 5. puçça f.: R («sia mundificata acciò che la puçça non vi si possa ragunare») 79r, 128v 6. veneno m.: B («azò che [...] per lo largamento in lo buso e principio de la piaga, lo veneno corra de fora») 5v (2), 6v (5), 7r, 9v, 21v (3), 22r (6), 23r (2), 23v, 25r, 26r (2), 27v (2), 32v, 33v, 34v, 37r (3), 57v 7. virus m.: R («nella sua cavatura ne’ quale virus si possa ragunare») 48r (3), 58v, 70r, 79v; ~: V 22v (2),411 23r ▲ 1. Cf. s.v. pus (1.). 2. Cf. s.v. pus (2.). 3. Cf. GDLI (§6 ‘secrezione putrida o infetta emessa dal corpo umano o da un organismo animale; pus, marcia’: prima attestazione registrata nel ms. rediano contenente il Libro della cura delle malattie). 4. Cf. s.v. putredo (2.b.). 5. Cf. s.v. pus (5.a.). 6. Forma dotta dal lat. venēnum. Voce assente in Crusca (s.v. veleno) e GDLI (s.v. veleno e veneno) in tale accezione. 7. Forcellini (IV, 1011: I.2, b) registra, nello specifico, l’accezione ‘radix seu principium morbi’, non del tutto assimilabile a quella presente nel testo di Bruno: qui, infatti, rifacendosi ad Avicenna, Bruno designa piuttosto come virus una tipologia particolare di materia suppurativa («Inquit etiam, illud quod est de genere pus subtile nominatur virus et quod est grossum nominatur sordities»: Hall 1957, 85). Il latinismo virus non è registrato in Crusca ed è attestato dai repertori tradizionali soltanto come tecnicismo della lingua medica contemporanea (dal 1853 per Nocentini 2010, 1325 e per DELIN, 1822), nella quale acquisisce l’accezione mantenuta fino ad oggi (‘agente

411 In un caso la voce è adottata come glossa di aquaregna (cf. 1.)

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 6 Glossario

infettivo di dimensioni submicroscopiche [...] che vive e si riproduce all’interno di cellule viventi’: DELIN). Cf. Marcovecchio (1993, 922).

virulentus ‘pieno di materia suppurativa’ (3 occ.; 86) [Forcellini IV, 1011]

1. che geta aquaregna (ulzera che zeta aquaregna): V («El ge n’è [scil.: ulzere] [...] de quelle che geta aquaregna, zoè virus, e de quelle che geta marza grosa») 22v, 24r 2. venenos[o] agg.: B («Li piagi virulenti, zoè venenosi, àno besognia che in prima ye fiza administrata la medicina exiccativa») 23r,412 23v 3. violent[o] agg.: R («lle medicine alquante le quagli diseccano le ferite antiche violenti sono sicome è balaustie») 50v; ~: B 21v 4. virolent[o] agg.: R («poniamo ch’alquante volte non sieno rie [scil.: ferite] e di quelle sono che sono virolenti et sono sordida») 47r; virulent[o]: B 23r ▲ 1. Per il sostantivo (non attestato) aquaregna, cf. s.v. pus (1.). 2. In OVI e ReMediA non si attestano usi nell’accezione qui esaminata; il GDLI (§4 ‘contagioso, infettivo, particolarmente virulento, di un morbo’) ne registra la prima testimonianza nel Cinquecento (Piccolomini). Sia venenoso sia velenoso sono presenti da Crusca1 (ma nell’accezione generica di ‘che, per sua natura, ha veleno’). Cf. Motolese (2004, 314–317), Elsheikh (2016 II, 329). 3. L’agg. violento come traducente del lat. virulentus è probabilmente di natura paretimologica e potrebbe dipendere già dalla tradizione latina (anche se, nell’ediz. Hall 1957, un lat. violentus non compare tra le varianti deteriori dei testimoni presi in considerazione nell’apparato critico). 4. Voce non attestata in OVI e ReMediA, e non registrata in Crusca; solo dall’Ottocento per

412 A c. 23r, l’agg. venenosi è glossa di virulenti.

DEI (V, 4065) e DELIN, 1822; documentata nel 1765 da Nocentini (2010, 1325) e ulteriormente retrodatabile almeno di un cinquantennio (Bosello 1724, 191: «il sangue è obligato ad uscire, e fare il pus virulento»). Cf. FEW (14, 519: fr.m. virulent); Motolese (2004, 318).

viscositas ‘l’essere viscoso’ (6 occ.; 147)

[Du Cange VIII, 355a]

vescosità f.: R («sia messo [scil.: vescovo] nell’orecchie per quella vescosità») 119r, 132v, 134v; vischoxitade: V 35v, 51v, 56v; viscositade: B 36v, 53v, 59v, 60v; vescosività: R 132v ▲ Prima attestazione: fior.a. viscosità (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); DEI (V, 4067); DELIN, 1823; FEW (14, 524). Voce presente da Crusca1. Non si rintracciano testimonianze della forma con doppio suffisso vescosività, testimoniata da R (dall’agg. viscoso, ma con aggiunta del suffisso aggettivale -ivo dinanzi a quello sostantivale -ità). Cf. Nystedt (1988, 283), Gleßgen (1996, 658), Gualdo (1996, 147), Mazzeo (2011, 329), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 333).

viscosus ‘vischioso, colloso’ (3 occ.; 77) [Du Cange VIII, 355a]

vescoso (viscoso) agg.: R («Recipe oncenso bianco et viscoso») 42r, 48v, 56v; vischoxo: V 23v, 26v; viscoso: B 19v, 22v, 26v ▲ Prima attestazione: fr.-piem. viscosa (sec. XIII, SermSubalp, OVI); DEI (V, 4067); DELIN, 1823; REW (§9375); FEW (14, 524). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 283), Gualdo (1996, 148), Aprile (2001a, 530), Motolese (2004, 319), D’Anzi (2012a, 423), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 336). ♦ Loc. e collocazioni: – cibus viscosus (2 occ.; 147)

II Fisiologia e patologia 

cibo vescoso m.: R («sia el cibo crosso e vescoso») 78v, 87v; cibo viscoso: B 36v, 40v; zibo vischoxo: V 35r, 35v ▲ Molti degli esempi di viscoso presenti in OVI e ReMediA sono riferiti ad alimenti, in particolare alla carne (cf., ad es., BencivenniSantà: «La charne del porciello giovane di latte è più umida e più viscosa e più freda d’altra charne»; «Charne di castrone e di montone giovane si è meno viscosa e meno umida»). – humor viscosus (2 occ.; 207) [Cf. → s.v. humor]

homore vescoso m.: R («El polipo si è superfluità di carne [...] e lla cagione sua si è homore grosso») 110r, 160r; humore viscoso: B 49v, 70r; umore vischoxo: V 47v, 66v ▲ Cf. pad.a. humori grossi viscoxi/humori viscoxi (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); Motolese (2004, 319). – medicina viscosa (89) medicina viscosa f.: B («è necessario che al fizeno facti medicini viscosi adherenti, overo liquidi o corosivi») 22v; medexine vischox[e]: V 23v ▲ In OVI e ReMediA non si rintracciano locuzioni analoghe, ma cf. Serapiom («in queste medexine è viscositè»).

vomitus ‘vomito, espulsione di contenuto gastrico dalla bocca per contrazione dei muscoli addominali’ (8 occ.; 97) [Du Cange VIII, 1037]

1. arendere vb.tr.: V («l’è bona chossa avanti che lo zibo se padise, che tu lo fazi arendere»)413 50v

413 Lat.: bonum est ut, assumpto cibo, antequam in stomacho digeratur vomitus provocetur.

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2. bomito m.: R («seguita et bomito e ’l polseggiare al cuore») 123v; movico: R 117r; movito: R 133r; vomico: R 69r, 173v; vomito: V 31v, 38v, 53r, 54r, 57r, 69v; ~: B 24v (2), 32r, 52v, 55v, 56v, 59v 3. dispurgare lo stomaco (spurgare lo stomaco): R («con disolvere el ventre e similglante cose overo dispurgare lo stomaco»)414 53r (2) 4. movimento m.: V («lo movimento fa gran prode a quello») 25r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. rendere per bocha (1310, BencivenniSantà, OVI); identica locuzione si ritrova, sempre in area fiorentina, anche in PistoleSeneca e RicetteRubertoBernardi. Cf. GDLI (s.v. rendere §18 ‘vomitare’). 2. Prima attestazione: fior.a. vomito (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); nello stesso AntidotNicolaiVolg si rinviene anche la variante vomico (usato come agg. in Elsheikh 2016 II, 338: ‘che provoca il vomito, emetico’). Delle due forme metatetiche movico e movito, quest’ultima è l’unica a trovare una corrispondenza nel corpus OVI (pad.a. movito, fine sec. XIV, Serapiom; Ineichen 1966, 283). Anche della variante bomito, da associare forse alle testimonianze toscane del passaggio antico v > b (cf. Rohlfs 1966–1969, §167), non si rinvengono attestazioni: il DEI (I, 557), però, mette a lemma il verbo bomire, ricordando anche il ven.a. bòmito. In OVI, poi, si hanno 5 testimonianze della forma verbale bomicare, tutte appartenenti al sen.a. di Santa Caterina (1367–77, SCaterinaSienaEpist). Cf. GDLI (s.v. bomire/bomicare); Ernst (1966, 174 s.v. vomaco), Nystedt (1988, 284), Marcovecchio (1993, 928), Gualdo (1996, 147), Aprile (2001a, 532), Barbato (2001a, 529), Green (2009, 414), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 339), Zarra (2018, 630). 3. In OVI e ReMediA non si rintracciano locuzioni analoghe. Per il vb. spurgare con accezione medica, cf. TLIO (§1.1 ‘eliminare,

414 Lat.: cum ventris solutione [...] aut vomitu.

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 6 Glossario

per mezzo di fuoriuscita dal corpo, sostanze nocive per la salute’; prima attestazione: 1310, BencivenniSantà). 4. Cf. GDLI (s.v. movimento §) ♦ Loc. e collocazioni: – vomitus sanguinis (161) 1. movito del sangue: R («vera propria singnificatione è il dolore cheto e lla pontura [...] e lla tussa e ’l movito del415 sangue») 85v;416 vomito de sangue: V 38v 2. sputo de sangue: B («la propria significatione si è [...] la strentura de lo fiato, la tosse, e lo vomito, e lo sputo de sangue») 39v ▲ 1., 2. Cf. fior.a. sputo del sangue (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 278); Nystedt (1988, 273), Sboarina (2000, 243), Tomasin (2010, 74: spudar sangue), Elsheikh (2016 II, 275 s.v. sangue: sputare sangue e vomito di sangue).

vulneratio ‘piaga, ferita’ (5 occ. > 46)

[Forcellini IV, 1043; cf. → vulneratio putrida (s.v. putridus)] 1. ferida f.: V («digo che feride del pollmone se die chonsiderare per ii muodi») 13r; ferita: R 25v, 26r, 68v 2. piaga f.: V («quando avignerà a le piage di nervj apostema chalda, sia studio in mitigar quello») 12v 3. ronpidua de charne: V («se la ronpidua de l’osso serà zenza ronpidura de charne zoè zenza piaga, alora li suo segni è per ii muodi») 31v417 4. vulneratione f.: B («li medici ànno rasonati et anchora rasoneno de la vulneratione de lo pulmone») 11v, 32r

415 Ms.: el. 416 Ms.: el sangue. 417 Con l’accompagnamento della glossa «zoè piaga».

▲ 1. Cf. s.v. vulnus (1.a.). 2. Cf. s.v. vulnus (2.a.). 3. Cf. fior.a. rompitura dell’osso e dela carne (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI). 4. L’unica attestazione presente in OVI è il tosc.a. vulnerazioni (sec. XIV-XV, BibbiaVolg). Voce assente in Crusca.

vulnus ‘ferita, piaga’ (288 occ. > 7)

[Forcellini IV, 1043; cf. → orificium vulneris (s.v. orificium, sezione 1); vulnus putridum (s.v. putridus)] 1.a. ferida f.: V («Questa figura dita de sovra die far far el medego a tute le feride a le qual viene fuora le budelle») 9v (2); ferita: R 7r, 17v (2), 18r (3), 18v, 19r (3), 19v (3), 20r, 21v, 23r (2), 23v (2), 25r (2), 25v (3), 26r (2), 26v, 27r (3), 27v (5), 28r (2), 28v (3), 29r (3), 29v (2), 30v (4), 31r, 31v (3), 33v (4), 34r (2), 34v (2), 35r, 36r (2), 36v (4), 37r, 38v, 39r (2), 39v (4), 40r, 41v, 42r, 44r (2), 44v (4), 45v, 46r (3), 47v (2), 48r (2), 51v, 53r, 53v, 54r, 55r, 68r, 68v, 70r, 70v, 71r, 72v (4), 74r (2), 79r (4), 79v (2), 81v (2), 83v, 84v, 86r, 89r, 91v (2), 102r, 103r (2), 104 (2), 109v, 119v, 135r, 135v, 136r, 138r, 139r, 140v, 141v (2), 142r, 146r, 146v, 148v, 149r (2), 149v, 150r, 151r (2), 152r (2), 152v, 155r, 157v, 161r, 164r (3), 164v (2), 165v (2), 173r 1.b. ferita fresca f.: R («lle ferite antiche sono generate dalle ferite fresche e corrotte e inpostemate») 46v 1.c. ferita nuova: R («della comune disputatione delle ferite nuove e vecchie») 40r (4), 63v (2), 64r 2.a. piaga (piagha) f.: R («Capitolo de riducere li mazzi e ilorbo418 et delle piaghe che si fa nello mazzo») 3v (2), 4r (4), 7r (4), 7v (4), 8r (2), 8v (2), 9r, 9v (4), 10r (2), 10v (2), 11r (3), 11v, 12r (3), 12v (3), 13r, 13v (3), 14r (4), 14v, 15r (2), 15v, 16r, 16v, 17r (2), 17v (2), 79r, 149r; piaga (plaga; pllaga): V 3v (10), 5r (6), 5v (14), 6r (7),

418 Probabile errore nella resa del lat. zirbus.

II Fisiologia e patologia 

6v (7), 7r (6), 7v (8), 8r (6), 8v (6), 9r (4), 9v (5), 10r (5), 10v (5), 11r, 11v (2), 12r (3), 12v (2), 13r (7), 13v (5), 14r (7), 14v (3), 15r (6), 15v (2), 16r (3), 16v (7), 17r (3), 17v, 18r (3), 19r (2), 19v (8), 20r (5), 20v, 21v (6), 22r (3), 22v, 23r, 24v, 25v (2), 26v, 29v, 30r, 32v (2), 33v (3), 36r (7), 37v (2), 38r, 38v, 39v, 40v (2), 44v, 45r (3), 47v (2), 51v, 58v, 59v, 60v, 61v, 62v (2), 63r (2), 64r, 65r, 65v, 67r, 67v (5), 69v; ~ (pia’): B 2v (5), 4r (2), 5r, 5v (3), 6r (10), 6v (10), 7r (5), 7v (4), 8r (7), 8v (6), 9r (7), 9v, 10r (2), 10v (5), 11r, 11v (6), 12r (4), 12v (9), 13r (4), 13v (7), 14r (3), 14v, 15r (5), 15v (3), 16r, 16v (4), 17r, 17v, 18r (6), 18v (6), 19r (2), 20r (2), 20v (3), 21r (3), 21v, 22r, 24r, 24v, 25r, 26r, 29v (2), 30r, 31v (3), 33r (4), 34r (5), 34v, 37r (6), 38r (2), 38v (2), 39r, 40r (2), 41r, 42r (2), 46v (3), 47r (2), 49v (2), 52r, 53v (2), 61r, 61v, 62v, 63r, 63v (2), 64r (2), 64v, 65v (2), 66r, 66v (3), 67r (2), 67v (4), 68r, 68v, 69r, 69v, 71r (3), 71v (5) 2.b. piaga che vene de dentro: B («de li medicini fazando nascere la carne in le piage che veneno de dentro e de fora») 2v; piaga de dentro: B 2v (2) 2.c. piaga nuova f.: R («Capitolo di comune curatione delle piaghe nuove et antiche») 4r, 7v, 11r, 40v 3. vulneratione f.: B («Alcuni vulnerationi sono pizeni, alcuni mezani, alcuni grandi») 3v (3), 4r (13), 4v (8), 5r (7), 5v (6) 4. talglatura f.: R («le quagli talglature alcuna è grande e alcuna è picola») 67v ▲ 1. Cf. s.v. ulcus (1.a.). 1.b., 1.c. Cf. s.v. ulcus (1.b., 1.c., 1.d.). 2.a. Cf. s.v. ulcus (2.a.). 2.b. Cf. s.v. ulcus (2.c.). 2.c. Cf. s.v. ulcus (2.b.). 3. Cf. s.v. vulneratio (4.). 4. Prima attestazione: fior.a. taglatura (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. tagliatura §1.1 ‘lo stesso che ferita; lesione di un organo o di un tessuto’). ♦ Loc. e collocazioni: – concavitas vulneris (26) [Cf. → s.v. concavitas]

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chonchavità f.: V («el bexogna che in le piaghe chonchavità se taia») 8r; concavitade de la piaga: B 6v; conclavietà (†) della piaga: R 14r ▲ Cf. sab.a. concavitate della plaga (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI). Si veda anche la loc. concavitas fistulae (s.v. fistula). – labia vulneris/labia ‘ciascuno dei due margini di una ferita’ (10 occ. > 20) [Cf. → s.v. labium β. (sezione 1)]

labra f. pl.: R («raguna colla cuscitura le sue labra») 164r; labri: B 5v, 30r; labra della ferita (labbra della ferita): R 30r, 37r, 109v, 151r; lapri m.pl. (lavre; lavri) 7r, 7v, 18r, 63r, 67v; labri de la piaga: B 5r, 8v (2), 5v, 6r, 13v, 16v, 49v, 67v; lavri de la piaga (labri della piaga; lapri de la piaga): V 6v, 7r, 15r, 25v, 47v ▲ Cf. la loc. affine labia ulceris e le rispettive rese volgari (s.v. ulcus). – vulnus concavum (5 occ. > 24) [Cf. → s.v. concavus; ulcus concavum (s.v. ulcus)] 1.a. ferita cav[a] f.: R («nnelle ferite che son cave ne le quali è la diminutione de la carne») 36v 1.b. piaga cavata f.: B («Et sapia che la piaga cavata, como dice Galieno si ne demonstra non solamente simplice infirmitade») 6v, 7r, 16v 1.c. piaga chonchava f.: V («Si è in la piaga conchava, la soa conchavitade se enpla de carne») 8v, 18r, 20r; piaga concava: B 6r, 18v 1.d. ferita nuova concavat[a] f.: R («nelle ferite nuove e antiche concavate ne le quagli è ’l perdimento della substantia») 40v; piaga concavata: B 6r 2. piaga cupa f.: R («la medicina incarnativa non si conviene alla piaga cupa») 13r, 14v 3. piaga profonda f.: R («la piaga profonda significa due malitie») 14v; ~: V 8r ▲ 1.a., 1.b., 1.c., 1.d. Cf. le locuzioni analoghe contenute nel corpus OVI: fior.a. fedite cavate

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 6 Glossario

(pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); tosc.a. ferite concave (sec. XIV, MaestroBartolomeo); pad.a. piage concave (fine sec. XIV, Serapiom). Per la loc. ferita cava di R, si veda anche concavitas ulceris (s.v. ulcus). 2. Cf. TLIO (s.v. cupo §2 ‘vuoto all’interno, cavo’). 3. Cf. le locuzioni analoghe contenute nel corpus OVI: sen.a. piaga grande e profonda (ante 1322, BinduccioSceltoTroiaVolg); ven.a. grande plaga et profonda (sec. XIV, Tristano); pad.a. piage profunde (fine sec. XIV, Serapiom); sab.a. plaga profunda (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). – vulnus crudum (2 occ. > 17) 1.a. piaga chruda f.: V («la piaga diesta è bona, la piaga chruda si è ria») 6r (2) 1.b. vulneratione cruda f.: B («La vulneratione larga è bona, ma la cruda è mala») 4v (2) ▲ Non si rinvengono usi analoghi nel corpus OVI. Cf. TLIO (s.v. crudo §2 ‘detto di un umore, di una secrezione, del cibo ingerito: che non può essere digerito o trasformato’) per l’accezione medica dell’agg. crudo, che nella loc. vulnus crudum si riferisce verosimilmente a una ferita caratterizzata da un difficoltoso processo di rimarginazione. – vulnus nervorum (11 occ. > 7) [Cf. → s.v. nervus (sezione 1)]

1.a. ferita de’ nervi (ferita ne’ nervi): R («lo spasimo nelle ferite de’ nervi s’ingenerano») 20v (2), 22r (2), 23r, 24v (2), 40r 1.b. piaga de li nervi («de la curatione de li piagi de li nervi»): B 2v, 9v (2), 10r (2), 10v, 11r, 18v; piaga delli nervi: R 3v, 7v; plaga de li nervi (piaga di nervi; pllag[a] di nervj): V 3v, 10v (2), 11r (3), 11v, 12v, 20r (2) 1.c. vulneratione de li nervi: B («al fiza ministrati li medicini [...] se no in la vulneratione de li nervi») 4r ▲ 1.a., 1.b., 1.c. Cf. pad.a. piage de li nervi (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); tosc.a. ferite de’ nervi (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI).

ydropicus ‘chi è affetto da anasarca’ (3 occ.; 90) [Forcellini II, 691: hydropicus]

idropiz[o] (itropex[o]; itropix[o]) agg.: V («La cura de li itropexi è greve però ch’eli è pieni de umiditade strania») 23v, 44r, 60r; ydropic[o]: B 23r, 46r; idruopico (ydruopic[o]; itrupic[o]): R 49v, 101v, 139v, 140r ▲ Dal gr. ὑδρωπικός. Nel testo originale come nei volgarizzamenti, il termine è sempre adottato in funzione di sostantivo. Prima attestazione: bol.a. ydropico (sm. sec. XIII, MatteoLibri, TLIO §2); DELIN, 716; Nocentini (2010, 545); REW (§4249a); FEW (4, 523). Voce presente da Crusca1 (idropico). Cf. Ernst (1966, 171 s.v. retrolico), Nystedt (1988, 234), Marcovecchio (1993, 433), Sboarina (2000, 229), Aprile (2001a, 533), Mazzeo (2011, 330), D’Anzi (2012a, 332), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 180).

ydropisis ‘anasarca, edema diffuso del tessuto sottocutaneo’ (6 occ.; 268) [Forcellini II, 691: hydropisis]

1.a. idropexia (itropexia; idropixia) f.: V («Idropexia si è erore de la virtude deistiva in lo figado») 60r (2), 60v, 65r, 69r; ydropisia (idropisia): B 63r (3), 63v, 69r, 73r 1.b. ritruopico agg.: R («magli accidenti sì come ritruopico o tisico»)419 155v, 171r 1.a. Il lat. hydropisis/ydropisis viene dal gr. ὕδρωψ -ωπος, composto da ὑδρο- ‘acqua’ e ὤψ-ὠπός ‘aspetto’. Prima attestazione: tod.a. etropesia (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO); DEI (III, 1925); DELIN, 716; FEW (4, 523); Nocentini (2010, 545) presuppone per l’it. idropisia una derivazione dal fr. hydropisie, che forse non è necessario ipotizzare date le numerose testimonianze già duecente419 Lat.: accidentia mala sicut ydropisis aut ptisis.

II Fisiologia e patologia 

sche, e soprattutto del primo Trecento, documentate in OVI. Voce presente da Crusca1 (idropisia). Il termine, che va annoverato tra i grecismi di maggiore diffusione del lessico medico medievale, è considerato da Dardano (1994, 511) tra i casi paradigmatici oggetto di numerose deformazioni popolari. Cf. Ineichen (1966, 265), Altieri Biagi (1970, 86), Nystedt (1988, 234), Sboarina (2000, 229), Aprile (2001a, 533), Barbato (2001a, 406), Motolese (2004, 188), Mazzeo (2011, 330), D’Anzi (2012a, 425), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 180). 1.b. Le forme ritro-/ritruop- sono ben attestate in area toscana (prima attestazione: pis.a. ritruopiche, fine sec. XIII, Bestiario, OVI; ritruopichi si legge anche in BoccaccioArgomenti, 1353/72, OVI). Cf. s.v. ydropicus.

yposarca ‘specie di idropisia in cui il liquido si trova nella sostanza del tessuto cellulare e anche al di sotto di questa’ (268) [Du Cange IV, 273b: hyposarcha]

iposarca f.: R («la cui spetie [scil.: dell’idropisi] secondo la sentençia dellgli antichi sono tre, cioè asclite,420 e cioè iposarca, e c’ànno grande tenpano») 139v; ipoxarcha: V 60r; yposayca: B 63r ▲ Il lat. mediev. yposarca viene dal gr. ὑπόσαρκα (formato da ὑπό e σάρξ-σαρκός ‘carne’: DEI III, 2099). Voce non attestata in OVI e ReMediA, ma presente in Crusca3,4 (iposarca) sulla base di una testimonianza derivata dal Trattato della cura delle malattie di Bencivenni (ms. appartenuto al Redi), e accolta anche da TB e GDLI. Cf. García Gonzáles (2007, 532 s.v. sarcos), D’Anzi (2012a, 425), Mosti (2014, 63), Elsheikh (2016 II, 188).

420 Ms.: assoliti. Nella carta seguente si legge la forma corretta asclite (cf. s.v. asclites).

 757

zimia ‘edema, eccesso di liquido nei tessuti’ (226) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

çimea f.: R («fassi apostema di sangue e è detto flemon, fassi apostema di collora rubea ed è detta orisipila, e fassi di flema, è detta çimea») 120r; zimera: V 51v;421 zimia: B 54r ▲ Voce non attestata in OVI e ReMediA, e non registrata in DEI, DELIN, GDLI e Crusca. Nel latino di Lanfranco da Milano si legge la dittologia sinonimica zimia vel undimia, che è conservata anche nel volgarizzamento veneto edito da Sosnowski (2014, 134 [zimia over undemia] e 231). Sia zimia sia undimia costituiscono degli adattamenti latino-medievali (entrambi con terminazione -ia e, nel caso di undimia, con la presenza di una -n- anetimologica) dell’ar. ūḏima (forma documentata in Avicenna), che a sua volta rappresenta la voce greca originaria οἴδημα (cf. Vázquez de Benito/Herrera 1989, 145). La forma undimia sembra progressivamente soppiantare zimia in età moderna; tuttavia, quest’ultima si ritrova in alcuni trattati del XVI sec. (cf. tra gli altri, Dalla Croce 1583, IV, 67, che pone a confronto le diverse terminologie antiche usate per designare la medesima patologia: «hora fa bisogno che trattiamo la materia delle aposteme fredde, cominciando dalle flemmatiche, fra le quali essendo l’edema, come dicono i Greci, overo idema, ò undimia, come lo chiamano gli Arabi, ancor che propriamente si dica treheli in lingua Arabica, ò tumor lasso, ò molle, come l’addimandano i Latini, ò zimia, che così vien detto da molti volgari [...]»), e ancora nei secoli successivi (Masiero 1707, 302: «Undimia, Zimia, Idema, ò Edemate, significa l’Edema, Tumor molle, pituitoso»). Cf. Tomasoni (1986b, 239), García Gonzáles (2007, 573), Castrignanò (2014, 211), Sosnowski (2014, 230), Norri (2016, 1140).

421 A carta 52r si usa anche la forma cimar, senza corrispondenza col lat. zimia.

758 

 6 Glossario

III Botanica e farmacologia abrotanum ‘abrotano (Artemisia abrotanum L.),422 piccola pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteraceae’ (68) [habrotonum TLL VI 6, 2487]

abrodeno m.: B («Li medicini consolidativi [...] sono como è [...] abrodeno rostito, incenso, balaustie, gallete, alume zucharina, folij de figo») 17v; abrotanum: R 38r; anbrotano: V 18v ▲ Dal gr. ἀβρότονον si ha il lat. abrotonum, ma è ben attestata anche la forma abrotanum: cf. DEI (I, 14 s.v); DELIN, 42; LEI (I, 140–141) e, per una terza forma concorrente aprotonum, si veda LEI (III, 371–372: «Probabilmente si tratta di una forma già del lat. popolare, forse rimotivata etimologicamente»). Prima attestazione: fior.a. abrotina (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. abrotano). Voce presente in Crusca3,4,5 (falsa l’attestazione tratta dal Libro delle segrete cose delle donne e riportata da Crusca4,5). La forma anbrotano di V testimonia un’epentesi della nasale presente anche nella documentazione del LEI (I, 141), che ipotizza a tal riguardo un possibile influsso di ambrosia. Cf. André (1985, 115), Nystedt (1988, 198), Marcovecchio (1993, 7), Gleßgen (1996, 698 s.v. abruotino), Gualdo (1996, 192), Aprile (2001a, 228), García Gonzáles (2007, 330), Green (2009, 386), Tomasin (2010, 46), Castrignanò (2014, 161), Sosnowski

422 Qui e nelle altre voci relative alle piante, si adottano alcune delle abbreviazioni convenzionali della tassonomia botanica: Falc. = Hugh Falconer; Hayne = Friedrich G. Hayne; Lam. = Jean-Baptiste de Lamarck; L. = Linneo; Mill. = Philip Miller; R. Br. = Robert Brown; Schimper = Wilhelm P. Schimper; Scop. = Giovanni A. Scopoli; Trevir. = Gottfried R. Treviranus.

(2014, 219), Elsheikh (2016 II, 73 s.v. abruotino), Zarra (2018, 535 s.v. nabrotano).

absinthium ‘assenzio maggiore, pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteraceae (Artemisia absinthium L.)’ (4 occ.; 222)

[absynthium Du Cange I 37b]

asenço (absciticihio †) m: R («sia soffummicato lo infermo coll’asa overo co’ nigella o asenço») 118r, 118v, 126v, 123r; asenzo: V 50v, 51r, 53r, 54v; assenzo: B 53r (2), 55r, 57r ▲ Il lat. absinthium viene dal gr. ἀψίνϑιον (DEI I, 330; DELIN, 136; LEI I, 177). Prima attestazione: ansintio (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO s.v. assenzio). Voce presente da Crusca1. È interessante ricordare come, nell’it.ant., a causa della particolare amarezza della pianta e del suo succo, il termine abbia sviluppato presto anche l’accezione di ‘amarezza, tormento fisico e morale (in tal senso, già testimoniato in GiordPisaQuaresimale, 1306; cf. TLIO §1.1.1). Cf. Ineichen (1966, 50), André (1985, 1), Nystedt (1988, 204), Marcovecchio (1993, 7), Gleßgen (1996, 712: sono qui segnalate tre varietà di assenzio, definito rispettivamente marino, romano e sansonico), Aprile (2001a, 229), García Gonzáles (2007, 533 s.v. saxidonicum), Green (2009, 386), Ventura (2009, 234), Castrignanò (2014, 157), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 94), Zarra (2018, 493).

acatia ‘acacia (pianta della famiglia delle Fabaceae: Robinia pseudoacacia L.)’ (10 occ.; 147) [Forcellini I, 30]

acaccie (acaçe; acaçie; acatie; acaççie) genit. lat.: R («Recipe aloe, mirra, bolio armenico, oncenso, acatie, nox cipressi, dragante») 78r, 103v (2), 143v, 144r; acacia (achacia; achazia) f.: B 36v, 38r, 46v, 48v, 55r, 57r, 61v, 65r, 68r;

III Botanica e farmacologia 

acaçia (acaççia): R 81r, 107r, 122v, 127r, 136v, 153r; achacia: V 35v, 37r, 45r, 46v, 54v, 58v, 62r, 64v; archana: V 62r

acetosus ‘che sa di aceto, che contiene aceto’

▲ Dal gr. ἀκακία (DEI I, 16: «un albero spinoso egiziano (Dioscoride) [...]. L’origine egiziana del gr. akakía è suggerita, oltre che dall’indicazione del ruolo d’origine, dal confronto col nome d’altra pianta anch’essa egiziana akakalís»; cf. DELIN, 42; LEI I, 231). Du Cange I, 39a, s.v. acacia, offre la definizione di ‘Succus prunellarum agrestium’; Forcellini rileva una certa ambiguità nell’uso della voce, testimoniando peraltro, al pari di Du Cange, che col medesimo termine «veteres succum eodem nomine exprimebant, cujus varios in medicina usus recensent»: il riferimento al succo appartiene piuttosto, come rileva Ineichen (1966, 51), alla corrispondente forma araba aqāqiyā derivata sempre dal gr. ἀκακία. Voce presente da Crusca1. Cf. André (1985, 2), Nystedt (1988, 198), Gleßgen (1996, 698), Aprile (2001a, 230 s.v. acatia rossa), García Gonzáles (2007, 331), Green (2009, 386), Ventura (2009, 222), Elsheikh (2016 II, 74).

♦ Loc. e collocazioni: – granatum acetosum (233)

acetosa ‘pianta della famiglia delle Poligonaceae (Rumex acetosa L.), dal sapore acidulo’ (2 occ.; 66) [Du Cange I, 54a]

acetosa f.: B («Li medicine incarnative [...] sono come è sale boiuta in vino et folij de la acetosa») 17r, 24r; acetose genit.lat.: R 37r; azetoxa: V 18r, 24v ▲ DELIN, 53; LEI (I, 380: il termine acetosus «attraverso la lingua dei medici continua nel galloromanzo, nel fr.a., nell’occit.a. acetos ‘acido [...], nel cat. acetόs, nello sp. e port. acetoso»); FEW (24, 101). Prima attestazione: nap.a. acitosa (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO s.v. acetosa). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 52), Gleßgen (1996, 699), Ventura (2009, 71), Mazzeo (2011, 340), Castrignanò (2014, 158), Elsheikh (2016 II, 74).

 759

[TLL I, 379]

mel[a] granat[a] acetos[a] f.: R («cose fredde [...] sì come sono mele grane acetose») 123v; pom[a] ingranad[a] agr[a]: V (53r) ▲ Per l’agg. acetoso ‘agro, acidulo, amaro, che sa d’aceto’ e ‘fatto con aceto, contenente aceto’, cf. TLIO (§1 e §2); voce presente da Crusca1. Per la loc. in oggetto, testimonianze analoghe desumibili dal corpus OVI sono: aret.a. poma acetoso (1282, RestArezzo); due occorrenze del tosc.a. granate acetose (ante 1361, UbertinoBrescia). Cf. Sboarina (2000, 267), Elsheikh (2016 II, 248 s.v. poma: pome acetose). – lac acetosum (66) lacto acetoso m.: B («lacto acetoso mirabilmente aduna li piagi grandi») 17r; late azetoxo: V 18r ▲ Per l’agg. acetosus, cf. supra s.v. granatum acetosum. L’unica loc. analoga ricavabile da OVI e ReMediA è il pad.a. late accetoso (fine sec. XIV, Serapiom); cf. García Gonzáles (2007, 432 s.v. galac), Elsheikh (2016 II, 191 s.v. latte). – sirupum acetosus (2 occ.; 95) siro acetoso m.: R («lo ’mpiastro con boilo armonico cum aceto vel siro acetoso») 52r, 114r; siropo acetoso (sirupo acetoso): B 24r, 51v; siropo azetoxo: V 25r, 49r ▲ Per l’agg. acetosus, cf. supra s.v. granatum acetosum. Attestazioni analoghe desumibili dal corpus OVI sono: fior.a. sciroppo acetoso (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI); tosc.a. siropo acetoso (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Per il sost. ┌sciroppo┐, noto arabismo (< šarāb ‘bibita’), cf. Ineichen (1966, 244), Nystedt (1988, 270), Marcovecchio

760 

 6 Glossario

(1993, 793), Gualdo (1996, 183), Sboarina (2000, 264), García Gonzáles (2007, 543), Green (2009, 410), Tomasin (2010, 72), Mazzeo (2011, 338), Castrignanò (2014, 206), Elsheikh (2016 II, 281).

acetositas ‘acidità, sapore aspro’ (233) [Du Cange I, 54a]

1. acetosità f.: R («colle cose fredde [...] sì come sono mele grane acetose e ll’acetosità423 del cederno») 123v; acetositade: B 55v 2. sugo m.: V («darlli ad eso [...] sugo delli zotroni e charne de polastri») 53r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. acetosità (1310, BencivenniSantà, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 198), Elsheikh (2016 II, 75). 2. Il sost. sugo (‘succo, liquido ricavato da frutti e piante usate a fini farmaceutici’) è largamente attestato nei testi medici presenti nel corpus ReMediA (prima attestazione in campo strettamente farmacologico: fior.a. sugo, fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Sulle voci sugo, succhio, suco, succo, e sull’assenza di succo nel fior.a. (al cospetto del predominante sugo), cf. Castellani (2003).

acorus ‘pianta erbacea (Iris pseudacorus L.) appartenente alla famiglia delle Araceae’ (302) [Du Cange I, 59a]

acori m.: B («de cotali medicini sono como è acori, spica, calamo aromatico [...]») 70v ▲ Dal gr. ἄκορον (DEI I, 44; DELIN, 54; LEI I, 451–452: «il termine, originariamente, indicava il calamo aromatico e, successivamente, fu attribuito all’iride, per la proprietà diuretica ed astringente dei rizomi di entrambe le piante»). Il TLIO (s.v. àcoro) registra soltanto

423 Ms.: acetosica.

due testimonianze: fior.a. aguri (sm. sec. XIV, DocMonetieri); lomb.a.-ven.a. acori (fine sec. XIV, GuasparinoVinexia); a queste si possono aggiungere: fior.a. (ma all’interno di una ricetta in cui gli ingredienti sono conservati al genit.lat.) acori (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); pad.a. acoro (fine sec. XIV, Serapiom). Voce presente in Crusca3,4,5; LEI (I, 451). L’acoro è generalmente associato all’acorus calamus (cf. s.v. calamus), come se si trattasse di un’unica tipologia di pianta. In Bruno, però, il contesto, che associa le due piante nella stessa ricetta, suggerisce piuttosto di identificare l’acoro con quello oggi designato anche come acoro falso (Iris pseudacorus: tale denominazione si deve, infatti, proprio all’uso di questo come succedaneo dell’acoro vero, cioè il calamo aromatico; un’analogo accostamento si registra, peraltro, sempre in area settentrionale, nel Serapiom padovano: cf. Ineichen 1966, 53). Cf. André (1985, 4), Gleßgen (1996, 699), Aprile (2001a, 232), García Gonzáles (2007, 332), Green (2009, 386), Ventura (2009, 230), Castrignanò (2014, 158), Elsheikh (2016 II, 75), Zarra (2018, 487).

adeps ‘grasso sottocutaneo (per lo più animale e usato nella composizione di unguenti e medicamenti); pinguedine’ (11 occ.; 55) [TLL I, 630]

1. adipe m.: R424 («cum adipe gallimatio fatto lequido») 73v, 81r; ~: B 14r, 24v 2. aleffo m. (allef; alleffo; alefo): B («humecta, zoè unze, la testa, la copa e lo spondile cum

424 A c. 134v si trova per due volte la loc. pane porcino in corrispondenza del lat. adeps porci (Hall 1957, 256): il pane porcino o panporcino è una pianta del genere Ciclamino, ed è dunque probabile che ci si trovi di fronte a una corruttela, che potrebbe risalire già all’antigrafo latino (adipe > pane).

III Botanica e farmacologia 

aleffo de galina delenguato») 34v, 37v, 55r, 57v, 60r (2), 60v (2) 3.a. grassa f.: B («Recipe [...] adipe, zoè grassa, de li reni de la vacca») 24v 3.b. grasso m.: R («grasso è utile al presente quello dell’orsa e del leone») 133v; ~ (graso): V 25r, 33v, 55r, 57r (3) 4. sonza f.: V («la medexina che fa naser marza si è sì chomo [...] sonza de porcho e simelle ad esse») 15v, 36v, 53r, 57v (2); sonzia: B 14r425 ▲ 1. Voce dotta, che risulta scarsamente attestata in it.a.: l’unica testimonianza offerta dal TLIO, peraltro in un contesto metaforico, è il tosc.a. adipe (sec. XIV, OmelieSGregorioVolg: «Siccome d’adipe e di grassezza sia ripiena l’anima mia»). Voce registrata solo in Crusca5. Cf. André (1991, 211), Marcovecchio (1993, 24), García Gonzáles (2007, 549 s.v. stear), Green (2009, 386), Elsheikh (2016 II, 76). 2. Voce bergamasca di grande interesse: per Tiraboschi (1873, s.v. alèf) si tratta di una forma derivata per via diretta dal gr. ἄλειφαρ ‘olio, unguento’ («Chiamano così quel Grasso che i polli hanno all’ano. Fra noi è adoperato come rimedio efficace all’asma»); il LEI (II, 29), invece, riconduce il termine al lat. tardo aleps, che è peraltro già presente nell’Appendix Probi e che si conserva soltanto «in zone conservatrici dell’Italia settentrionale»; cf. REW (§161), Formignani (1978, 195: «quel grasso che i volatili da cortile presentano in prossimità dell’ano») e Bulitta (1999), che segnala nell’a. ted. la «parola fantasma» alapi. Come testimoniato dai dizionari ottocentechi, il termine è più vicino, anche semanticamente, al gr. ἄλειφαρ, dal momento che designa non tanto il grasso animale in generale, nel senso del lat. class. adeps, ma un grasso animale usato specificamente a scopi farmaceutici. 3.a. Prima attestazione: fior.a. grassa (1310, BencivenniSantà, OVI). Crusca registra solo il sost. m. grasso (cf. 3.b.). Cf. Ineichen (1966, 135), Sosnowski (2014, 223).

425 Voce usata come glossa di adipe (cf. 1.).

 761

3.b. Prima attestazione: fior.a. grasso (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO §6). 4. Cf. s.v. axungia (2.).

adustus ‘riarso al sole, diseccato; fuso (detto di vari ingredienti usati per comporre medicamenti)’ (12 occ.; 66)

[TLL I, 898 s.v. adūro; cf. → s.v. adustus (sezione 2)] 1. adust[o] agg.: R («Queste cose sono più forti da capo sì come [...] climia adusta») 37v, 39r; adusto (aust[o]): V 19r, 19v, 24r 2. arso agg.: R («Pilgla libano, aloe [...] stiriloggia arsa») 39r, 39v, 42v (2); arso: V 19r 3.a. brusato agg.: B («Li medicine incarnative [...] sono come è orzo brusato») 17r (2), 17v (3), 18r, 19v (2), 23r (2), 25v; bruxado: V 19r (2), 20v, 26r 3.b. brustolado agg.: V («trida chon aqua e chon salle over chon [...] pollver da mollino, orzo brustolado») 18r ▲ 1. Voce attestata dal TLIO essenzialmente nell’accezione di ‘acre, tendente all’infiammazione (detto degli umori del corpo)’, per la quale si veda quanto detto s.v. adustus (sezione 2); accanto a questa, il TLIO (§2) riporta un’unica testimonianza del termine nell’accezione di ‘bruciato’ (tosc.sud-or.a. adoste: ante 1298, Questioni); cf. LEI (I, 888). Voce presente da Crusca1 (ma con l’accezione generica di ‘riarso, arido, diseccato’). 2. Prima attestazione: pis.a. arsa (fine sec. XIII, Bestiario, TLIO §1.1 s.v. arso ‘trattato artificialmente ad alte temperature’). 3.a. Prima attestazione: lomb.a. bruxao (sec. XIII, Disputatio, s.v. bruciato TLIO §2.1). 3.b. Da un lat. *brustulāre, ritenuto generalmente il frutto di un incrocio tra *brusiāre e *ustulāre, anche se non mancano altre proposte (per le quali cf. DELIN, 255 s.v. brustolino). Nel corpus OVI se ne trovano cinque occorrenze, tutte appartenenti al pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV). Voce presente in Crusca4 (s.v. brustolare e brustolato). Cf. Nystedt (1988, 207 s.v. brustolare).

762 

 6 Glossario

aematites ‘ematite, ossido di ferro, di colore grigio scuro, ridotto in polvere a fini terapeutici’ (194)

1105) e di diffusione già duecentesca. Prima attestazione: fior.a. ottone (1262–75, LibriccioloBencivenni, OVI). Voce presente da Crusca1.

ematithes m.: B («Recipe incenso, mastice, aloes epatico, preda, emathites») 46v; ematitis genit.lat.: V 45r

agresta ‘uva acerba; succo, olio ricavato da uve acerbe’ (3 occ.; 122)

[haematites TLL VI 3, 2491]

▲ Dal gr. αἱματίτης (λίϑος) ‘(pietra) sanguigna’, termine (da cui anche l’it. matita) derivato da αἷμα -ματος ‘sangue’ (cf. DEI II, 1456; DELIN, 515); in it.a. è diffusa anche la loc. pietra ematite, perfetto calco del corrispondente greco (cf. TLIO §1.1). Prima attestazione: mant.a. emathides (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. ematite). Voce presente solo in Crusca5 (ma in Crusca4 s.v. polverizzare il termine si ritrova all’interno di una testimonianza proveniente dal Ricettario fiorentino quattrocentesco). Cf. Aprile (2001a, 324), García Gonzáles (2007, 414 s.v. ema), Ventura (2009, 425), Elsheikh (2016 II, 149).

aes ‘rame’ (4 occ.; 68) [TLL I, 1071]

1. arame m.: V («lo arame arso, se se lava, lo se chonvien in le chonsollidacione») 19r, 25r, 29r; ramo: R 17v, 24v, 29v; eris genit.lat.: R 52v, 63r 2. ottone m.: R («sia presa la canella della penna sì come d’aquila o d’avoltoio overo di ferro overo d’ottone») 153v ▲1. Prima attestazione: venez.a. rame (sm. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). L’unica testimonianza della forma arame (con prostesi vocalica settentrionale) attestata in OVI appartiene a MaramauroExpositione (nap.a. > pad.a.ven.a., 1369–73). Voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 457), Elsheikh (2016 II, 258). 2. Voce ricondotta solitamente all’ar. lāṭūn ‘rame’ (G. Alessio si distaccava da questa ricostruzione, avanzando piuttosto una derivazione dal gr. optón ‘fucinato, temperato, detto di metalli’, ipotesi non del tutto convincente, per la quale si veda il commento del DELIN,

[Du Cange I, 147c]

agresta f.: R («sia fatta unguento coll’oglio rosado, agresta») 66r (2); ~: V 30v (2), 53r; agresto m.: R 123v; ~: B 30v, 31r, 55v ▲ Dall’agg. lat. agrestis (DEI I, 95: «Dall’it. la voce è passata ad altre lingue romanze, alle lingue slave e da queste al lituano»; DELIN, 75 (s.v. agresto: «La var[iante] agresta è forma tipica dell’Italia centr.»); LEI (I, 1375). Prima attestazione: pad.a. agresta (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO). Voce assente in Crusca (che registra, a partire da Crusca2, solo l’agg. agreste nel senso di ‘selvatico’). Il TLIO (§1.1) attesta anche la loc. uva agresta (tosc.a., XIV sec., LibroCocina). Cf. Ineichen (1966, 55: «La pianta in questione [...] è la κληματίτις di Dioscuride; il suo frutto si chiama uva aserba»), Nystedt (1988, 200 s.v. agresto), Gualdo (1996, 193: agresto), Aprile (2001a, 239), Castrignanò (2014, 159), Elsheikh (2016 II, 78 s.v. agresto).

aloes ‘aloe, purgante ricavato da piante del genere Aloes’ (14 occ.; 67) [Forcellini I, 195]

aloe m.: R («Pilgla libano, aloe, sangue di dragone») 39r, 42r, 42v (2), 78r, 107r, 143v; ~ (alloe): V 18v, 19r (3), 20v (2), 21r, 35v, 45r, 46v, 54v, 58v, 62r, 69v; ~: B 17r; aloes: R 37v, 39r, 103v, 127r, 136v, 174r; ~: B 17v, 18r, 19v (3), 36v, 46v, 48v, 57r, 61v, 64v ▲ Dal gr. άλόη (DEI I, 140; DELIN, 87–88; LEI II, 203–209). Prima attestazione: nap.a. caloe (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO s.v. aloe). Voce presente da Crusca1 (s.v. aloè). L’accentazione antica è oscillante, con una triplice possibilità

III Botanica e farmacologia 

di pronuncia: a) ossitona aloè, secondo l’uso medievale invalso per le parole di origine greca; b) piana alòe; c) sdrucciola àloe, secondo l’uso latino (cf. Zarra 2018, 488 e LEI II, 208–209), come si ricava anche dalle forme messe a lemma dai dizionari (es.: aloè in Crusca1; aloe in Crusca2,3, di nuovo aloè in Crusca4; entrambe le forme in Crusca5, ma con aloe posto come lemma principale). Il termine indica sia la pianta sia il suo estratto, proverbialmente amarissimo (cf. la definizione di Crusca1,2,3: ‘erba amarissima medicinale’). Cf. Ernst (1966, 164 s.v. alove), Ineichen (1966, 57), André (1985, 11), Marcovecchio (1993, 41), Gleßgen (1996, 703), Aprile (2001a, 242), García Gonzáles (2007, 340), Green (2009, 387), Ventura (2009, 201), Castrignanò (2014, 160), Elsheikh (2016 II, 83). ♦ Loc. e collocazioni: – aloes epaticum ‘tipo di aloe (Aloe vulga­ ris Lam.)’ (2 occ.; 194) [Forcellini I, 195] aloes epatico m.: B («Recipe incenso, mastice, aloes epatico, preda, emathites, litargiro») 46v, 47r; aloe epatici genit.lat.: V 45r; aloes epatici: R 103v; aloe paticho m.: V 45r; aloe patico: R 103v ▲ La connessione tra l’aloe e l’agg. epatico sarebbe dovuto al colore delle foglie, simile a quello del fegato (DEI II, 1492; LEI II, 205). Prima attestazione: venez.a. aloè paticho (1310/30, ZibaldoneCanal, TLIO s.v. aloe §2.1). La loc. aloe epatico è registrata in Crusca4,5 (s.v. epatico). Cf. Ernst (1966, 169 s.v. patico), André (1985, 12), Nystedt (1988, 225 s.v. epatico), Gleßgen (1996, 703), García Gonzáles (2007, 340 s.v. aloe), Green (2009, 387), Ventura (2009, 201).

altea ‘pianta appartenente alla famiglia delle Malvaceae (Althea officinalis L.)’ (3 occ.; 137) [Du Cange I, 206a]

altea f.: R («s’aparecchi in tal modo che non si rauni apostema caldo e sicome enbrecatio con olio rosado tiepido overo con acqua ove

 763

bullita fusse altea») 73v; ~ (althea): B 34v, 37v, 43r; altee genit.lat.: R 80v, 93v ▲ Dal gr. ἀλϑαία (DEI I, 144; DELIN, 89; LEI II, 331–332). Prima attestazione: tosc.a. altéa (pm. sec. XIV, PalladioVolg, TLIO s.v. altèa). Voce presente in Crusca3,4,5. L’althea officinalis è nota anche col nome di malvavisco/malvavischio (oltre che con quelli di malvaccione, bismalva, buonvischio, benevischio: cf. TLIO s.v. altea), come testimoniato anche dal ms. F1 (malvavisgio 33r) e dagli altri volgarizzamenti della famiglia lombarda: cf. s.v. malvaviscus. Le foglie, le radici e i fiori hanno proprietà emollienti ed espettoranti. Cf. André (1985, 12), Marcovecchio (1993, 42), García Gonzáles (2007, 341), Green (2009, 387), Ventura (2009, 251), Castrignanò (2014, 160), Elsheikh (2016 II, 85).

alumen ‘minerale monometrico, detto comunememente «allume di rocca», solfato doppio di alluminio e potassio, usato come astringente ed emostatico’ (10 occ.; 68) [TLL I, 1792]

allume (alume) m.: R («apresso tolgli dell’alume et draganti arsi») 39v, 114r, 50r, 50v, 113v, 126v; alume: V 19v, 24r (3), 25r, 49r; ~: B 18r, 23v (3), 24v, 51r, 51v, 57r; allum: R 50v; alumen: R 38r; lume: V 49r, 54v ▲ Prima attestazione: fior.a. alume (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. allume §2.16). Voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 43), Gleßgen (1996, 844), Aprile (2001a, 243), García Gonzáles (2007, 341), Green (2009, 387), Ventura (2009, 214), Elsheikh (2016 II, 83). ♦ Loc. e collocazioni: – alumen iameni ‘miscela di allume, urina e nitro calcinata’ (3 occ.; 94) allime gameno m.: R («Recipe [...] allime gameno, radici di cappari e pane porcino») 134v;

764 

 6 Glossario

allume gameni (allumis gameni) genit.lat.: R 51r, 62r; alume iameni: B 29r; ~: V 28v, 57v; lume iameni: V 24v; alume (de) iameno: B 24r, 60v ▲ Il genit.lat. è il nome di relazione ar. yamānī (Elsheikh 2016 II, 83), toponimo riferito allo Iamen (odierno Yemen), regione di provenienza di questo tipo di allume, ritenuto particolarmente efficace dagli arabi: cf. LEI (II, 429). Il TLIO (s.v. iameno §2.16) riporta due attestazioni della presente loc.: tosc.a. allume yameno (ante 1361, UbertinoBrescia) e la conservazione della forma latina alumen iameni (fine sec. XIV, Serapiom). Cf. Ineichen (1966, 58); in Gleßgen (1996, 705) invece, lo stesso toponimo si usa in relazione al sost. aloe (aloe giameni). – alumen zucarinum ‘specie di allume simile all’allume di rocca’ (211) alume çuccarino m.: R («Recipe il cennamo, gherofani [...] allume çuccarino») 112v; alume zucharina: V 48v; ~: B 50v ▲ Il TLIO registra tre testimonianze: fior.a. allume zuccherino (pm. sec. XIV, Pegolotti, TLIO s.v. allume §2.16); fior.a. allume zuccarino (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); sic.a. alumi czucarignu (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). L’agg. zuccherino è registrato in Crusca3,4 (sulla base di un esempio contenente la presente loc.). Cf. LEI (II, 425).

aluthel ‘tipo di ampolla usata nella composizione di medicinali’ (2 occ.; 115) [Lemma assente in TLL, Du Cange, Forcellini]

1. allutella f.: R («sappia che quella allutella et vasello col collo stretto») 62r; aluthel m.: B 29r (2); lutella f.: R 62r 2. anpolla f.: V («quando la serà sulimada metilla in una anpolla») 29r 3. vasello m.: V («lo vasello sia fato chomo queli de alchimia») 29r ▲ 1. Dallo sp. aludel, che costituisce il probabile tramite romanzo dell’ar. al-uṯāl (cf. DEI I, 147), passato anche al fr. aludel (FEW 19, 197b);

MLW (I, 524); Corriente (2008, 172). Voce non attestata nel corpus OVI, e non registrata in Crusca. Cf. Elsheikh (2016 II, 85). 2. Dal lat. ampulla (dimin. di amphora, nella pronuncia pop. ampora). Prima attestazione: sen.a. lanpolla (1277–82, LibroMerc, TLIO s.v. ampolla). Voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 49), Castrignanò (2014, 160), Elsheikh (2016 II, 86). 3. Dal lat. mediev. vasellum, dimin. di vas. Prima attestazione: crem.a. vassieg (inizio sec. XIII, UguccLodi, TLIO s.v. vasello). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 281), Elsheikh (2016 II, 328).

amigdalatum ‘latte di mandorle’ (139)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. oleum amigdaleon → s.v. oleum]

1.a. armigodolato m.: B («La dieta sia cotale: in principio lo infirmo manzi farine, armigodolato, herbi») 35r 1.b. mandoll[a] f.: V («lo infermo manza fara chon le mandolle, e erbe frede») 34r 1.c. mandorlato m.: R («lo’nfermo mangi farre, mandorlato») 74v ▲ 1.a. Il lat. amigdalatum (MLW I, 601 s.v. amygdalatus ‘condimentum ex amygdalis confectum’; termine attestato anche nella Chirurgia latina di Guglielmo da Saliceto) è forma derivata dalle varianti amygdala (TLL I, 2029), amygdalum, amygdalus (TLL I, 2029), a loro volta dal gr. ἀμυγδάλη ‘albero del mandorlo’; già nel lat. mediev. si registrano, per indicare l’albero, anche le varianti grafico-fonetiche amy-/amie amigdal-/amigdol-, oltre a quelle relative al genere della parola (-a, -um, -us): cf. Du Cange e Forcellini s.vv. Voce non attestata in OVI e Crusca. Cf. LEI (II, 1006: amandolata ‘bevanda ottenuta dal latte delle mandorle pestate e filtrate con acqua, o da altro seme’, prima metà del sec. XIV) e LEI (II, 1021: amygdalato ‘latte artificiale o emulsione fatta con mandorle pelate’, 1748), Green (2009, 399 s.v. lac amigdalarum), Mazzeo (2011, 331: amendolate ‘bevande ottenute con le mandorle pestate’).

III Botanica e farmacologia 

1.b. Prima attestazione: fior.a. mandorle (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO s.v. mandorla). Voce presente da Crusca1. 1.c. Il TLIO registra il sost. f. mandorlata nell’accezione di ‘dolce di mandorle macinate e zucchero’: il corrispettivo sost. m. mandorlato non trova attestazioni nel corpus OVI, e non è registrato in Crusca.

anacardium ‘anacardo, frutto dell’omonima pianta (Semecarpus anacardium L.)’ (248) [anacardis TLL II, 13]

acardo (†) m.: R («Recipe il mele, dell’acardo, l’oglo del ginepro») 131r; anacardo: B 59r; anachardino: V 56r ▲ Dal gr. ἀνακάρδιον o ἀνάκαρδος, alla lettera ‘simile a un cuore’, per la forma del frutto (DEI I, 178; DELIN, 87–88; LEI II, 1034), ma il termine greco è «un adattamento, rimotivato da kardía ‘cuore’, del nome originario indiano in quanto l’India è la sua terra di provenienza» (Nocentini 2010, 39). Con riferimento alla pianta, la prima attestazione è il pad.a. anacardi (fine sec. XIV, Serapiom, TLIO s.v. anacardo); di un secolo precedente è quella relativa al frutto omonimo da cui si ricava un olio: fior.a. anacardi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO §1.1). Voce presente in Crusca3,4,5. La forma acardo di R va ricondotta, con buona probabilità, a un errore della tradizione manoscritta. Cf. Ineichen (1966, 60), Gleßgen (1996, 891), García Gonzáles (2007, 346), Green (2009, 387), Ventura (2009, 236), Castrignanò (2014, 161), Elsheikh (2016 II, 86), Zarra (2018, 489).

anetum ‘aneto, erba annua della famiglia delle ombrellifere (Anethum graveolens L.)’ (2 occ.; 232) [anethum TLL II, 41]

anedo m.: V («E li mollifichativj e resolutivi lizieri è questi: farina d’orzo, farina de fava,

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[...] anedo e simille») 53r, 54v; aneto: R 123r, 126v; ~: B 55r, 57r ▲ Dal gr. ἄνηϑον, voce di origine preindeuropea ed estesa in tutto il territorio romanzo (DEI I, 197: «ombrellifera simile al finocchio, naturalizzata e coltivata in Italia dall’era romana»; DELIN, 103; LEI II, 1165). Prima attestazione: nap.a. anite (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis, TLIO s.v. aneto). Voce presente da Crusca1 (‘pronunziato con l’e stretta, pianta, che si cultiva negli orti, e tanto simile al finocchio, che difficilmente, se non s’assapora, non si conosce da esso’). Cf. André (1985, 17), Gleßgen (1996, 707), Aprile (2001a, 246), García Gonzáles (2007, 349), Green (2009, 387), Ventura (2009, 225), Sosnowski (2014, 219), Elsheikh (2016 II, 87).

anisum ‘anice comune (Pimpinella anisum L.), pianta appartenente alla famiglia delle Apiaceae’ (271) [anesum TLL II, 41]

anexi m.: V («meti chosse chontra ventuxitade, sì chomo ruda, anexi e chomino») 61r; aniso: B 63v ▲ Dal gr. ἄνισον, voce di probabile origine egiziana (DEI I, 209; DELIN, 105; LEI II, 1388); allotropo dotto del pop. anice («il metaplasmo si deve al frequente uso al plur. ànisi, con successivo adattamento in ànici»: Nocentini 2010, 45). Prima attestazione: fior.a. anici (1310, BencivenniSantà, TLIO). Nel TLIO si attestano soltanto forme con l’uscita -i; la forma etimologica ┌ aniso┐ appare complessivamente meno documentata rispetto ad ┌anice┐ (sempre per l’area fiorentina, cf.: anisi, pm. sec. XIV, Pegolotti, TLIO §1.1; aniso: 1310, RicetteLattovari, OVI). Voce presente da Crusca1 (nella forma anice). Cf. Ineichen (1966, 62), André (1985, 17), Nystedt (1988, 202 s.v. anesi e aniso), Gleßgen (1996, 708), Aprile (2001a, 247), García Gonzáles (2007, 349), Green (2009, 388), Ventura (2009, 233), Tomasin (2010, 44), Sosnowski (2014, 219), Elsheikh (2016 II, 87).

766 

 6 Glossario

antimonium ‘elemento chimico metallico, con numero atomico 51’ (4 occ.; 91) [Du Cange I, 300c]

antimonio m.: R («Ricevi l’antimonio, la calcina») 50v; ~: V 24r (2), 28v, 45v; ~: B 23r, 23v, 29r, 47r; antimonium (antimonii genit. lat.): R 49v, 62r, 104v ▲Il lat. mediev. antimonium (attestato per la prima volta in Constantino Africano: cf. FEW 24, 656 e MLW I, 710) di etimologia non sicura, rappresenta forse l’adattamento, con conglutinazione dell’articolo, dell’ar. iṯmid, che, al pari del lat. stibium e del gr. στίβι/στίμμι ‘antimonio’, ricondurrebbe al copto stēm quale etimo remoto (cf. DEI I, 226; Nocentini 2010, 49: «il passaggio dall’arabo al latino medievale comporta un adattamento fonetico molto forte»). Prima attestazione: fior.a. antimonio (1310, BencivenniSantà, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. André (1985, 18), Marcovecchio (1993, 69), García Gonzáles (2007, 351), Green (2009, 388), Ventura (2009, 220), Elsheikh (2016 II, 88).

apium ‘appio, specie erbacea appartenente alla famiglia delle Apiaceae (Apium graveolens L.)’ (302) [Du Cange I, 312a]

apio m.: B («ti administri la embrocatione de [...] suco de apio») 58v, 70v; appio: R 131r, 160v; epo: V 15v, 56r, 66v (2); api: B 14r; appi genit.lat.: R 31r ▲ DEI (I, 255: «panromanzo, ma non rumeno, passato per tempo anche nelle lingue germaniche [...] perché la pianta fu importata in Germania nell’alto Medio Evo»). Prima attestazione: fior.a. appio (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente in Crusca1,2,3,4,5 (s.v. appio). In particolare, l’erba era usata per ricavarne il succo: in tre delle quattro occorrenze presenti nella Chirurgia bruniana, il termine ricorre, infatti, nella loc. succus apii. La v. sedano, di

cui appio è spesso sinonimo nei testi antichi, è di diffusione più tarda, e compare solo dal Cinquecento. Per le numerose varietà della piante si vedano quelle registrate da Ineichen (1966, 63); cf. André (1985, 20), Nystedt (1988, 203), Gleßgen (1996, 708), Castellani (2000, 202), Aprile (2001a, 251), García Gonzáles (2007, 352), Green (2009, 388), Ventura (2009, 215), Castrignanò (2014, 157 s.v. acchio), Sosnowski (2014, 219), Elsheikh (2016 II, 89), Zarra (2018, 490).

aqua ‘acqua, liquido’ ♦ Loc. e collocazioni: – aqua aluminis/aqua aluminosa ‘acqua contenente allume’ (2 occ.; 88/2 occ.; 92) [aluminosus TLL I, 1793; cf. → s.v. alumen]

1.a. acqua d’allume: R («siano confecte con acqua d’allume») 54v, 126v; aqua de alume: B 22v, 25v, 57r; acqua d’allumisa (†): R 50v; aqua aluminis: R 48v; aqua de lume: V 24r, 26r, 54v 1.b. aqua aluminosa f.: B («Et ablutione de aqua del mare e de aqua aluminosa se conveneno a la exiccatione de lo veneno») 23v ▲ 1.a., 1.b. Nel corpus OVI si rintraccia un’unica attestazione analoga: fior.a. acqua alluminosa (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); più in generale, l’agg. alluminoso è presente con due sole testimonianze (oltre a quella citata, cf. tosc.a. alluminoso in UbertinoBrescia, TLIO s.v. alluminoso). In epoca moderna, sono numerose le attestazioni sette-ottocentesche della locuzione ricavabili da GoogleLibri, in particolare con riferimento al preparato noto come acqua alluminosa del Falloppio (cf. Fumagalli 2000, 19: «soluzione contenente acqua distillata di rose, allume e sublimato corrosivo. Si usava in chirurgia per lavare le piaghe»). Cf. Mazzeo (2011, 340). – aqua cineris ‘acqua mescolata alla cenere, liscivia’ (8 occ.; 43) 1. acqua della cenere (acqua della cennere, acqua di cenere; aqua di cennere): R («è necessario

III Botanica e farmacologia 

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che sia el lavare [...] con vino o con acqua di cennere») 48v, 51v, 52v, 58r, 62r 63r, 126v; aqua de (la) cendere (aqua de la cinere): B 11r, 22v, 24r (2), 24v, 27r, 29r, 29v (2), 57r; aqua de zenere: V 12v, 27v, 29r (2), 54v 2. lesia f. (lisia): V («de quelle chosse che se lava, sì chomo mielle chon vino o chon lesia») 23r, 24v, 25r, 29r

1.a. acqua rosa f.: R («sia polveriççata coll’acqua rosa stenperata») 111v; aqua ruoxa: V 45r, 48v, 53r, 69r 1.b. acqua rosada (aqua rosada) f.: R («sieno polveriçate cioè con aqua rosada overo piovana») 103v (2), 112v, 114r, 114v, 122v; aqua rosata: B 24r, 46v, 47r, 50r, 50v, 51v (2), 55r, 73r; aqua roxada: V 24v, 45r, 48r, 49r, 49v

▲ 1. La loc. aqua cineris rappresenta un calco dell’ar. mā’ ar‒ramād (Elsheikh 2016 II, 75 s.v. acqua de la cenere). Non si rinvengono locuzioni analoghe nei corpora OVI e ReMediA, anche se, in alcuni contesti, i due ingredienti sono associati nella produzione di composti (cf. Pegolotti: «empi lo vasello d’acqua e mena la cenere nell’acqua colla mano»; CrescenziVolg; «si lasci tanto che la cenere e l’aqua raffredate saranno»). Cf. Ineichen (1966, 234). 2. Dal lat. lixīvia, pop. lixīva, a sua volta da lixa ‘ranno’: soluzione di acqua bollente trattata con la cenere del legno, usata in passato anche come detergente per i panni (cf. l’accezione moderna del fr. lessive; FEW 5, 386). Nel corpus OVI si registrano due attestazioni: sen.a. lisciva (pm. sec. XIV, BestiarioVolg); sab.a. lesia e lisciva (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg): Voce presente in Crusca4,5 (s.v. lasciva, lisciva). Cf. Ineichen (1966, 240), Gleßgen (1996, 894), Aprile (2001a, 383), Green (2009, 400), Castrignanò (2014, 189 s.v. lixivia).

▲ 1.a., 1.b. Loc. molto ben documentata all’interno del corpus OVI (nella duplice forma acqua rosa e acqua rosata); prima attestazione: fior.a. aqua rosatta (1272–78, LibroIacopi). La loc. acqua rosata è accolto in un lemma indipendente in Crusca4,5, al pari di acqua rosa, che è però già registrata nella terza ediz. del vocabolario. Cf. Ineichen (1966, 234 s.v. aqua), Nystedt (1988, 203), Gleßgen (1996, 889 s.vv. acqua rosata e acqua rosa), García Gonzáles (2007, 527 s.v. rosa), Green (2009, 388), Castrignanò (2014, 158 e 161), Elsheikh (2016 II, 76 s.vv. acqua rosa e acqua rosata).

– aqua fistularis ‘liquido usato per disinfettare le fistole’ (107) [fistularis Forcellini II, 490; cf. → s.v. fistula (sezione 2)] aqua fistulare f.: B («li aqui propriamente fistulari, zoè cum li quali fi lavata la fistula») 27r ▲ Non si rinvengono locuzioni analoghe. L’agg. fistolare (cf. Marcovecchio 1993, 364) non è attestato nei corpora OVI e ReMediA; è invece presente in Crusca3,4,5 e in Aprile (2001a, 340). – aqua rosata/aqua rosarum ‘acqua rica­ vata per distillazione delle rose’ (8 occ.; 194)

– aqua salismarina ‘acqua di mare’ (200) aqua salmacina f: B («distila in l’ogio aqua salmacina») 48r; aqua salmacinia: R 106v; aqua salsa marina: V 46r ▲ L’agg. salmacino/salmacinio, testimoniato dai mss. R e B, non trova corrispondenza all’interno del corpus OVI. Locuzioni similari, all’interno dello stesso corpus, sono formate quasi sempre associando al sost. acqua gli agg. salsa (cf. Ineichen 1966, 234 s.v. acqua; Aprile 2001a, 469 s.v. salsa; Green 2009, 388; Elsheikh 2016 II, 274 s.v. salso) e salata, in due soli testi con salmastra.

argentum vivum ‘antico nome usato per indicare il mercurio’ (115) [TLL II, 528]

argento vivo m.: B («Recipe sale armoniacho [...]; argento vivo oncia j») 29r (2); argenti vivi genit.lat.: R 62r; arzento vivo: V 28v

768 

 6 Glossario

▲ Prima attestazione: aret.a. argentovivo (1282, RestArezzo, TLIO s.v. argento §3); LEI (III, 1098: «Il costrutto sintagmatico lat. [...] è coniazione pliniana legata al colore argenteo del metallo [...]. Sicuramente le forme it. procedono dai primi testi alchemici ed ermetici mediolatini e vivono parallelamente nella lingua poetica e letteraria e in quella scientifica, finché in quest’ultima, in età umanistica, prevale il tipo mercurius»). Loc. presente da Crusca1 (s.v. vivo). Cf. Ernst (1966, 164), Gleßgen (1996, 844), Green (2009, 388), Ventura (2009, 208), Elsheikh (2016 II, 90).

argillare ‘mescolare ad argilla, aggiungere argilla in un composto’ (100)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. argill[are] vb.tr.: R («sieno argillate con argilla rossa et sieno messe al fuoco») 54v; argill[are]: B 25v 2. metere vb.tr.: V («posa si lo meta con archilla rossa») 26r

♦ Loc. e collocazioni: – argentum vivum extinctum ‘mercurio triturato molto finemente’ (115)

▲ 1. Nel MLW (I, 936) il vb. argillo è registrato tramite un’unica testimonianza tratta proprio dalla Chirurgia di Bruno. Nei corpora OVI e ReMediA si attesta soltanto il sost. argilla. Voce assente in Crusca, GDLI e LEI. 2. Cf. s.v. assiduatio (3.a.).

1. argento vivo morzato m.: B («argento vivo morzato cum salina fiza mesedato cum quelli») 29r 2. argento vivo studado m.: V («pollveriza sotilmente lo arzento vivo studado chon salivo») 29r

aristologia ‘aristolochia (Aristolochia L.), pianta del genere delle Aristolochiaceae’ (11 occ.; 62)

▲ Per l’uso dell’agg. extinctus in àmbito farmacologico, cf. anche la loc. calx extincta (s.v. calx). 1. La voce morzato è part. di morzare, forma senza prefisso di ammorzare, da un lat. *admortiare, formato su mortuus (LEI I, 770; Nocentini 2010, 37). Prima attestazione: lomb.a. amorça (pm. sec. XIII, PseudoUgucc, TLIO s.v. ammorzare); nel corpus OVI, tuttavia, non si rinvengono esempi analoghi dell’agg. usato in connessione con elementi chimico-farmaceutici. La voce ammorzare, al pari della forma smorzare (derivata dalla prima per cambio di prefisso) è presente da Crusca1. Cf. Castrignanò (2014, 159). 2. Il part. studado è dal verbo astutare/stutare, da un lat. volg. *extutare (DEI I, 343 s.v. astutare, considerata come voce soprattutto meridionale, proprio in luogo del sinonimico ammorzare: cf. DEI I, 171 s.v. astutare e DEI V, 3664 s.v. stutare), per il quale il TLIO (s.v. stutare §1.2) registra anche l’accezione di ‘far raffreddare una fusione metallica’, con un’unica attestazione (sic.a. astuta, sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Cf. Tomasin (2010, 75).

[aristolochia TLL II, 584]

arestiloggia (aristologia, aristologgia) f.: R («medicine [...] sono sì come [...] aristologia conbusta») 38r, 63v, 134r; aristologia: B 15v, 17r, 17v (3), 18r (2), 23v, 29v, 55r; aristollogia (arestollogia, arestologia): V 17v (2), 18v (2), 19r (3), 19v, 24r, 25r, 29v, 52v; aristoglogi[a]: R 39r; astologia: R 37v; astrilogia (astrelogia): R 39v, 52v; stiriloggia: R 39r; astrologia426 (strologia): R 35r, 46r, 51r, 122r; ristrolagia: R 74r ▲ Dal gr. ἀϱιστολοχία, letteralmente ‘(erba) ottima per il parto’, poiché ritenuta efficace contro le infezioni da parto (Marcovecchio 1993, 93; DEI I, 290 s.v. aristolochia e aristologia). La diretta continuazione latina del termine greco è la forma aristolochia, per la quale il TLL (II, 584) segnala anche le varianti aristolocia e aristologia: da quest’ultima, più tarda,

426 È difficile distinguere le due grafie astr- e stro-: si ha un caso certo di astro- (c. 51r) e uno di stro- (c. 35r).

III Botanica e farmacologia 

derivano le diverse forme di area romanza (cf. LEI III, 1183). Voce presente da Crusca1. Prima attestazione: mant.a. aristologia (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. aristolochia). Delle varie distorsioni popolari testimoniate da R, astrologia trova conferma in testi coevi (MascalciaRusioVolg, TLIO; Ernst 1966, 164: cf. infra); è peraltro verosimile che la presente forma possa aver risentito di un’associazione paretimologica al sostantivo, anch’esso di provenienza greca, ma di diffusione senz’altro più ampia, astrologia (per il quale è ben documentata, nel corpus OVI, anche la forma aferetica strologia). Cf. Ineichen (1966, 67), André (1985,  25), Marcovecchio (1993, 83), Gleßgen (1996, 770), Gualdo (1996, 194), Aprile (2001a, 253), García Gonzáles (2007, 357), Green (2009, 388), Ventura (2009, 241), Castrignanò (2014, 162), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 91), Zarra (2018, 491). ♦ Loc. e collocazioni: – aristologia longa ‘aristolochia lunga (Ari­ stolochia longa L.) pianta erbacea apparte­ nente alla famiglia Aristolochiaceae’ (5 occ.; 83) [aristolochia TLL II, 584] aristologia longa (aristollogia longa) f.: V («tuo’ [...] aristologia longa, lume iamini, irios») 24v, 57v; aristologia longa: B 21r, 24r (2), 24v, 60r; astrologia longa: R 51r; strolongia longa: R 51r; restologia longa: V 24v ▲ La distinzione tra aristolochia lunga e rotonda è ben testimoniata nei testi medici medievali (cf. CrescenziVolg, esempio riportato già da Crusca1: «L’Aristologia è di due maniere, cioè lunga e ritonda, e catuna è calda e secca»); LEI (III, 1183). Prima attestazione: it.a. astrologia lungna (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg, TLIO s.v. aristolochia). La forma aferetica restologia, presente in V con un’unica occorrenza, trova conferma in due testimonianze presenti nel corpus OVI: tosc.a. ristologia (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI); sic.a. ~ (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Cf. André (1985, 25), Ventura (2009, 241), García Gonzáles (2007, 357), Zarra (2018, 491).

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– aristologia rotunda ‘aristolochia rotonda (Aristolochia rotunda L.), pianta erbacea appartenente alla famiglia Aristo­ lochiaceae’ (2 occ.; 94) [aristolochia TLL II, 584] aristologia redonda f.: V («l’arestologia longa se chonviene plù in le ulzere cha la redonda») 24v (2); aristologia rotunda: B 24r (2); strolon­ gia rotunda (†): R 51v ▲ Cf. quanto detto supra. Prima attestazione: arestoloxia retonda (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO s.v. aristolochia); LEI (III, 1183). Cf. Ernst (1966, 164), André (1985, 25), Gleßgen (1996, 710), García Gonzáles (2007, 357), Zarra (2018, 491).

armoniacum ‘ammoniaco, gomma resina che si trae da una specie di Ferula’ (8 occ.; 83)

[ammoniacum Forcellini I, 219]

armoniaco m.: R («cose relassative [...] sono sì come armoniaco miscolato col mele overo cipolla») 46r, 52v, 133v, 134r, 134v (2), 143v; ~: B 21r, 24v, 57v, 60r (2), 60v (2), 64v; armoniago: V 22r, 32v, 57r, 57v (2), 62r; armonicho: V 55r; orminiaco (†): R 128r ▲ L’interpretazione più comune muove dal gr. ἀμμωνιακός ‘di Ammone’, attributo riferito, di consueto, al sale ammoniaco (cf. infra la loc. sal armoniacum), dal momento che esso veniva raccolto presso il tempio del dio egiziano Ammone, in Libia: se tale etimo riguarda sicuramente i due sostantivi ammoniaca e (sale) ammoniaco (DEI I, 170; LEI II, 837–838), non altrettanto condivisa è la sua relazione con il sost. ammoniaco ‘gomma resina’. Ineichen (1966, 68), sulla base di Dioscoride, offre infatti una diversa interpretazione: «Nella terminologia l[a] t[ina] sc[ientifica] moderna si è petrificato un equivoco esistente già nell’antichità classica. Dioscuride credette che questa resina

770 

 6 Glossario

provenisse dalla Libia. Cf. Diosc. (Saraceno): Est hammoniacum ferualae liquor, quae in ea gignitur Africae parte quae est iuxta Cyrenem; in questo modo l’armoniago si confuse col salammoniaco, secondo quanto risulta anche dal Serapion carrarese [...]; il latino medievale armoniacum invece indica la vera provenienza del lisciadro, per cui esso e un Άρμενιακόν e non un Άμμονιακόν»: si veda DEI (I, 295: < lat. Armeniacus); il LEI (II-828) accoglie, tuttavia, la testimonianza di Dioscoride, riconducendo anche ammoniaco ‘gommoresina’ al gr. ἀμμωνιακός ‘di Ammone’, e considerando piuttosto la forma armoniaco in luogo di ammoniaco come frutto del riaccostamento paretimologico ad armeniacus. Prima attestazione: fior.a. armoniaco (AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. armoniaco). La forma armonicho di V è confrontabile con il sab.a. armonico (sec. XIV, MascalciaRusioVolg, OVI). Cf. Gleßgen (1996, 867), Aprile (2001a, 253), Green (2009, 388), Ventura (2009, 232), Castrignanò (2014, 162), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 91). ♦ Loc. e collocazioni: – sal armoniacum ‘cloruro di ammonio’ (4 occ.; 107) [ammoniacum Forcellini I, 219] sal armoniago m.: V («A la fiada chon quelle aque se meseda sal armoniago o verderame») 27v, 28v, 49r, 56r; sale armoniaco: R 58r, 62r, 114r, 131v; ~: B 27r, 29r, 51v, 59r; sale ormi­ niaco (†): R 114r ▲ Per l’etimologia dell’agg. lat. armoniacum, e per il suo rapporto col sost. armoniacum ‘ammoniaco, gomma resina’, cf. quanto detto supra. Prima attestazione: fior.a. sale armoniaco (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. salarmoniaco). Voce presente da Crusca1 (s.v. armoniaco: ‘per una spezie di sale, che si cava sotto la rena’). Cf. García Gonzáles (2007, 528), Green (2009, 408), Ventura (2009, 735), Tomasin (2010, 70), Elsheikh (2016 II, 273).

arnoglossa ‘piantaggine minore’ (2 occ.; 65)

[TLL II, 625]

1. arnagloxa f.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo schorzi de palma, foie de arnagloxa») 18r, 50r; arnoglosa: B 52v; arnogloss[a] (anoglosa): R 37r, 116v 2.a. piantazene f.: V («gargarizi aqua e axedo chon diamoron o sugo d’uva chanina e de arnagloxa, zoè de piantazene») 50r427 2.b. plantana f.: B («Li medicine incarnative [...] sono come è scorze de palma, folia de plantana, folij de verzo») 16v ▲ 1. Dal gr. ἀϱνόγλωσσον, letteralmente ‘lingua d’agnello’ (cf. DEI I, 296). Prima attestazione: pad.a. arneglosa (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Voce registrata solo in Crusca5 (ma già in Crusca3 s.v. piantaggine si riporta un esempio da Pietro Ispano contenente la trilogia sinonimica piantaggine, ovvero petacciuola, ovvero arnoglossa). È documentata, per l’it.a., anche una più rara forma maschile arnoglosso (cf. LEI III, 1342), termine usato oggi solo nel campo della nomenclatura ittica per designare un genere di pesci teleostei affine ai rombi. Cf. Ineichen (1966, 68), André (1985, 26), García Gonzáles (2007, 358), Ventura (2009, 663 s.v. de plantagine), Castrignanò (2014, 162), Zarra (2018, 492). 2.a., 2.b. Cf. s.v. plantago (1.a. e 1.b.).

aromacitas ‘insieme delle caratteristiche proprie dei composti aromatici’ (233)

[aromaticitas Du Cange I, 398a]

1. aromacità f.: R («sia data osamente ongna cosa da confortare il chuore colle cose fredde e aromacità») 123v; aromaticitade: B 55v

427 La voce piantazene è usata come glossa di arnagloxa (cf. 1.).

III Botanica e farmacologia 

2. odorifer[o] agg.: V («chosse chonfortative ch’è refredade ed è odorifere»)428 53r ▲ 1. Du Cange registra il lemma aromaticitas (DEI I, 297: «l’astratto arōmaticitās-ātis si legge nel Dioscoride latino»), ma non la forma aromacitas, che è presente nell’ediz. Hall (1957) del testo di Bruno (a meno che non si tratti di un errore della studiosa), e si continua forse nel corrispettivo volgare aromacità di R. Le uniche due attestazioni desumibili dal corpus OVI e dal TLIO (s.v. aromaticità) continuano ancora il primo tipo (che si legge anche in B), e sono il pad.a. aromaticitè (fine sec. XIV, Serapiom) e il fior.a. aromaticità (CrescenziVolg, sec. XIV). Voce assente in Crusca. 2. Prima attestazione: mil.a. odorifera (1270–80, BonvesinVolgari, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 250), Sboarina (2000, 262: misture odorifere), Aprile (2001a, 417), Castrignanò (2014, 195), Elsheikh (2016 II, 230).

arsenicum ‘elemento con numero anatomico 33, esistente in natura in svariati minerali’ (4 occ.; 77) [Forcellini I, 329]

arsenico m.: B («Recipe [...] arsenico non sublimato dramme iiij») 19v, 27r, 29v; arsinicho: V 21r, 29v; arsidico: R 42v; arsindaco (†): R 58r, 63v ▲ Dal gr. ἀρσενικόν, a sua volta da una forma più antica ἀρρενικόν (lat. arrhenĭcum: DEI I, 305: «minerale usato dagli alchimisti dal IV sec. [...], ma diffuso dopo che Alberto Magno ne aveva divulgata la preparazione»; DELIN, 130; LEI III-1, 1442), di provenienza persiana (medio pers. *zarnīk ‘colore dell’oro’) e anche frutto di associazione etimologica ad ἀρσενικός, ἀρρενικός ‘maschio’ (cf. Frisk 1960–1972, I, 132; Nocentini 2010, 67). Prima attestazione: fior.a. arsenico (sec. XIV,

428 Lat.: cum infrigidatione et aromacitate.

 771

MetauraAristotileVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 204), Marcovecchio (1993, 84), Gleßgen (1996, 844), García Gonzáles (2007, 358), Elsheikh (2016 II, 91), Zarra (2018, 329). ♦ Loc. e collocazioni: – arsenicum citrinum ‘solfuro giallo d’ar­ senico’ (7 occ.; 115) arsenicho citrino m.: B («Recipe sale armoniacho, arsenicho citrino, solfero vivo») 29r, 29v (3), 30r, 51r, 61r; arsinicho citrino (arsinicho zitrino): V 28v, 29r (2), 29v (2), 49r, 58r; arsenici citrini (arsinici citrini; arsineci citrini) genit.lat.: R 62v, 63r (2), 64r; arsindaco citrino m.: R 62r, 135v; arseneci gialli genit. lat.: R 113v ▲ Cf. TLIO (s.v. arsenico §1.1): fior.a. arsenico citrino (1310, BencivenniSantà); tosc.a. arsenico citerino sublimato (ante 1361, UbertinoBrescia); Elsheikh (2016 II, 124). Forcellini (I, 329) segnala le loc. arsenicum candidum (quello propriamente detto) e arsenicum flavum (noto anche come auripigmentum), per il quale cf. anche Elsheikh (2016 II, 91: arsenico giallo s.v. arsenico). – arsenicum rubeum ‘disolfuro d’arse­ nico’ (214) arsenico rosso m.: B («Recipe arsenico rosso e citrino, dramme .ſ.») 51r; arsinicho rosso: V 49r; arseneci rossi genit.lat.: R 113v ▲ Cf. TLIO (s.v. arsenico §1.2): tosc.a. arsenico rosso/arsenicho rosso solimato (ante 1361, UbertinoBrescia); Gleßgen (1996, 846).

arundo ‘canna comune (Arundo donax L.)’ (84) [Forcellini I, 334]

1. arundine f.: R («fatto lo ’npiastro colla radice della arundine») 46r 2. canna f.: B («cum aristologia longa e radice de canna e cigo de narcisco») 21r

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 6 Glossario

▲ 1. L’unica attestazione riportata dal TLIO è il tosc.a. arundine (sec. XIV-XV, ZanobiStradaMoralia); LEI (III-1, 1511: ante 1503). Voce assente in Crusca. Il termine appartiene soprattutto al lessico ecclesiastico, dove indica la canna adoperata in passato nella liturgia cattolica del sabato santo. 2. Prima attestazione: fior.a. canna (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO). Voce presente da Crusca1. La classificazione tradizionale di epoca medievale prevedeva quattro distinte specie (nella denominazione usata da Serapione esse sono denominate rispettivamente astos, biblas, singias, raucas: cf. Ineichen 1966, 88). Cf. André (1985, 47), Ventura (2009, 386).

asa ‘pianta della famiglia delle Apiaceae (Ferula assa-foetida L.) e resina da essa ricavata’ (2 occ.; 221)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. asa (asam) f.: R («disse da capo che ll’asam è buona se di quella sia fatto el mangiare») 23r, 118r; assa: B 10v; ~: V 50v 1.b. assa fetida f.: B («lo infirmo fiza subfumigato cum assa fetida») 53r ▲ 1.a., 1.b. Il lat. mediev. asa (cf. MLW I, 1012: prima attestazione in Costantino Africano) è di derivazione persiana (azā ‘mastice’: cf. DEI I, 327 s.v. assa; Nocentini 2010, 72 s.v. assafetida), e designa una particolare resina ricavata dalla pianta omonima: a questo sarebbe stato associato l’agg. fetida, dato il suo odore intenso e sgradevole. Le prime attestazioni ricavabili dal TLIO (s.v. assa e assafetida) sono rispettivamente: fior.a. assa (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO); fior.a. assa fetida (primi decenni XIV sec., LibroSegreteCoseDonne). Il lemma assa è presente da Crusca1, laddove assafetida è assente in tutte le edizioni (in Crusca4 s.v. sorbire, però, il termine si ritrova all’interno di un esempio proveniente da un volgarizzamento del Thesaurus pauperum). Cf. Ineichen (1966, 69), Gleßgen (1996, 710), Aprile (2001a, 255), García Gonzáles

(2007, 359), Green (2009, 389), Ventura (2009, 210), Tomasin (2010, 45), Elsheikh (2016 II, 92 e 159), Zarra (2018, 493).

assiduatio ‘applicazione continua di medicamenti’ (2 occ.; 36)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. apositione f.: B («E se guardi da la assiduatione, zoè apositione, de li cosi molificativi») 8v429 2. assiduatione f.: B (cf. supra 1.) 8v 3.a. meter suxo vb.sint.tr.: V («meti suxo medexina che chonzonza le parte insenbre») 10r 3.b. porre vb.tr.: R («non si pongano le cose molli»)430 19r ▲ 1. Voce assente in tale accezione in TLIO (s.v. apposizione; di là dal significato più generale di ‘aggiunta’, il termine mostra un uso afferente soprattutto all’àmbito giuridico: ‘atto di convalida’; ‘imposizione di una pena, condanna’; ‘attribuzione di una colpa, imputazione’), Crusca, ma il GDLI (‘l’apporre, l’essere apposto’) segnala un uso analogo in LibroSegreteCoseDonne, citato anche in Crusca4 («per apposizione del rimedio»). 2. In tale accezione si potrebbe parlare di un tecnicismo collaterale (cf. cap. 5.6.4), in dipendenza diretta dall’originale lat. assiduatio (MLW I, 1068). L’unico confronto desumibile dal TLIO (s.v. assiduazione ‘rif. all’assunzione di cibi: assuefazione, consumo abituale’) è il fior.a. assiduassione (1310, BencivenniSantà). Voce assente in Crusca, GDLI e LEI. Cf. Elsheikh (2016 II, 93–94: sost. asiduatione e vb. assiduare). 3.a., 3.b. Il vb. metere (anche con l’aggiunta dell’avv. suxo e, in un caso, intorno: cf. s.v. epithimare 3.) è quello più ricorrente, all’interno del ms. V, per restituire i corrispettivi verbi latini (per lo più i corradicali apponere, ponere,

429 Glossa di assiduatione (cf. 2.). 430 Lat.: prohibeatur assiduatio mollificationum.

III Botanica e farmacologia 

superponere, oltre ad administrare) indicanti l’aggiunta di un ingrediente per la formazione di composti farmaceutici (cf. Gualdo 1996, 263); la stessa considerazione vale per il vb. porre in R, per il quale cf. Elsheikh (2016 II, 249 ‘applicare un medicamento’).

assumptio ‘introduzione nell’organismo (di medicinali, pozioni, ecc.)’ (37)

[Lemma assente in TLL e non registrato in tale accezione in Du Cange e Forcellini] 1. assumptione f.: B («se ti voray mondificare la sania per assumptione de bevandi, daye como è dyapenidion») 9r 2. ricevere vb.tr.: R («se tu il vogli sanare per ricevere beveraggio [...] gli sia dato sì come è diapenidion»)431 20r ▲ 1. Per quanto da collocare tra i numerosi latinismi marcati (per il lat. assumptio, cf. MLW, 1096) adottati dal volgarizzatore di B, questa testimonianza rappresenta una delle prime nell’accezione (non registrata dal TLIO e dal LEI) propria del tecnicismo collaterale usato anche oggi nella lingua della posologia farmaceutica. 2. Prima attestazione: fior.a. ricevere (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); cf. GDLI (§19 ‘assumere un alimento, un medicinale’).

aurea ‘aurea alessandrina, tipo di oppioide composto da molti ingredienti’ (106)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] aurea f.: V («si li dà [...] tiraca osia aurea») 27r; ~: B 27r; auree genit.lat.: R 57v432 431 Lat.: per assumptionem potus. 432 Dato il contesto (teriacce vel auree) dovrebbe trattarsi della semplice conservazione del gen.sing. latino (tyriacae vel aureae).

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▲ Per il lat. aurea, cf. MLW (I, 1248; voce documentata per la prima volta in Matteo Plateario). Le tre testimonianze riportate dal TLIO, tutte di area toscana, documentano la loc. aurea alessandrina; prima attestazione: fior.a. aurea alexandrina (1310, RicetteLattovari); cf. LEI (III-2, 2370). Voce assente in DEI, GDLI (in entrambi si registra il lemma aurea nell’accezione, segnalata come ottocentesca, di ‘preparato chimico per l’alimentazione bovina’), Crusca.

axungia ‘sugna, grasso animale usato per la preparazione di unguenti e medicamenti’ (6 occ.; 19) [TLL II, 1642]

1. grasso m.: R («confincielo con [...] grasso dell’anitra») 81r 2. asongia (asungia, azongia) f.: B («el se fa la sua restauratione, non zà per olio nì per azongia et altri putrefacienti») 5r, 14r, 38r; sonza: V 6v, 15v (4), 28r; sugna (sunge, sungna): R 9v, 31r (2), 31v; sonzia: B 14r, 28r; usungna: R 59v ▲ 1. Cf. s.v. adeps (3.b.). 2. Dal lat. axungia, che secondo il DEI (V, 3674) è voce composta dai temi di axis e ungĕre, poiché il grasso era usato anticamente per spalmare l’asse e le ruote dei carri (derivazione non confermata dal LEI III, 2763). Voce presente in Crusca1,2,3,4 (s.v. sugna). Prima attestazione: fior.a. sugna (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, OVI). La forma veneta sonça, sonza di V (cf. Boerio 1856, 674: ‘Grasso per lo più di porco, che serve per medicine e per unger cuoi ed altre’; Cortelazzo 2007, 1271) è ben attestata nel corpus OVI, soprattutto all’interno del Serapiom (Ineichen 1966, 206: «Questo termine indica propriamente il grasso di animali non ruminanti», in opposizione a sevo, per il quale cf. s.v. sebum). I significati principali già latini del termine rimandano all’uso tecnico-medicinale e a quello culinario (LEI III, 2764). Le forme di B, che conservano

774 

 6 Glossario

la a etimologica (o la restituiscono in virtù del diffuso fenomeno settentrionale di prostesi di a) si possono confrontare con il pis.a. assungia (1304, BreveArteLana, OVI); sic.a. ~ (ante 1368, MascalciaRuffoVolg, TLIO); tosc.a. ~ (sec. XIV, MaestroBartolomeo, OVI). Non si rintracciano, infine, forme analoghe a usungna di R. Cf. Ernst (1966, 164), Marcovecchio (1993, 105), Aprile (2001a, 257), Barbato (2001a, 323), Green (2009, 388), Castrignanò (2014, 163), Sosnowski (2014, 227: sonza), Elsheikh (2016 II, 305 s.v. sugna).

balaustia ‘balausta (anche balausto, balaustio), frutto e fiore del melograno’ (11 occ.; 37) [balaustium TLL II, 1692]

balausti[a] (ballausti[a]) f.: V («alguna vollta se chuoxe balaustie e sumachi») 10v, 18v, 19r (2), 19v, 24r (3), 49r, 50r, 62r; balausti[a]: B 9r, 17v (2), 18r (2), 23v (3), 51v, 52v, 65r; ballau­ str[a] (ballaustri[a]): R 20r, 30r, 114r, 116v, 143v; balusti[a]: R 50r, 50v (2) ▲ Dal lat. balaustium, di genere neutro, a sua volta dal gr. βαλαύστιον ‘fiore del melograno’ (DEI I, 411 s.v. balausta; LEI IV, 583). Prima attestazione: fior.a. balausti (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); cf. TLIO (s.v. balaustia). Voce ben attestata nel corpus OVI: la forma epentetica balaustra, testimoniata da R, si ritrova in due testi fiorentini (Pegolotti e CrescenziVolg) e costituisce il lemma principale in Crusca1,2,3,4 (scomparendo, però, in Crusca5, dove si pone a lemma la forma dotta balausta). Il sost. m. balausto è assente in OVI ed è di diffusione più tarda (in Crusca3,4,5). In R (39v) la voce è accompagnata in un singolo caso dalla glossa cioè fiori di mele grane. Cf. Ineichen (1966, 74), Gualdo (1999, 232), García Gonzáles (2007, 365), García Gonzáles (2007, 365), Green (2009, 389), Ventura (2009, 278), Motolese (2012, 72), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 98), Zarra (2018, 495).

bdellium ‘bdellio, gommoresina usata per impiastri e cerotti’ (4 occ.; 242) [TLL II, 1793]

bdelio m.: B («E li medicini in li quali è la resolutione e la molificatione insiema sono [...] bdelio, storace») 57v, 60r, 60v; bedelio: R 133v; delio: R 134r; dellio: V 55r, 57v ▲ Dal gr. βδέλλιον, di origine semitica; cf. DEI (I, 470): «Non mancano nell’antichità tentativi di adattare la v. alla fonetica latina, sintomo che il vocabolo ebbe una certa risonanza: bedella (Marcello Empirico), bidilium (Oribasio), ebidellium (Dioscoride)»; LEI (V, 635). Prima attestazione: mant.a. bdeliy (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. bdellio). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. bdellio). Cf. Ernst (1966, 173 s.v. videlio), Ineichen (1966, 77: «nei testi arabizzanti si distinguono, secondo l’uso della farmacologia araba, due tipi di bdellio, quello proveniente dall’India (bdelio iudaico), e l’africano (bdelio de Mecha)»), André (1985, 34), Gualdo (1996, 195), Aprile (2001a, 261), García Gonzáles (2007, 369), Green (2009, 389), Ventura (2009, 304), Tomasin (2010, 51), Castrignanò (2014, 164), Sosnowski (2014, 220), Elsheikh (2016 II, 99).

benedicta ‘benedetta, elettuario lenitivo con effetto purgante’ (105) [Forcellini I, 439]

benedeta f.: V («Adoncha chontra la flema [...] prenda benedeta») 27r; benedetta: R 57v; benedita: B 26v ▲ Prima attestazione: fior.a. benedetta (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO §2); DEI (I, 484: «a base di pepe, garofano, carvi e agarico»); LEI (V, 1133). Voce presente in Crusca3,4,5. Con lo stesso nome s’indicavano anche varie specie di piante (cf. André 1985, 35), e in particolare la garofanella selvatica (Geum urbanum L.), detta popolarmente benedetta perché benedetta da S. Benedetto

III Botanica e farmacologia 

in virtù dei poteri terapeutici a essa attribuiti (DELIN, 202 s.v. benedettino). Cf. Gualdo (1996, 154), Green (2009, 390), Castrignanò (2014, 164 s.v. benedicto), Elsheikh (2016 II, 101).

bolus armenicus/bolus ‘argilla friabile e untuosa con proprietà colorante e adesiva’ (12 occ.; 76/53) [bolus TLL II, 2068]

boleo (bolo) m.: R («sia curata colle cose secche, cioè [...] boleo et aceto») 29v, 70v; bolio arminico (bolo armenico; boli armenico; bolio armenico; bolo arminico; bolo armonico): R 52r, 78r, 126r, 127r (2), 144v (2); bollo armenicho (bollo arminicho): V 15r, 20v, 25r, 35v, 45r, 54v (3), 62r (2), 64v, 69r; bolo armenico: B 24r, 56v, 57r; bolo armeno (bollo armeno): B 19v, 33r, 36v, 46v, 57r, 65r (2), 68r, 73r ▲ Dal gr. βῶλος ‘zolla, cumulo’ (anche nella loc. βῶλος ἀρμενία): cf. DEI (I, 551 e 554 s.vv. bolarmeno e bolo); DELIN, 231; LEI (III-1, 1303 e VI, 826: «la distribuzione areale, quasi panromanza, di questa voce, si spiega con la conoscenza della trattatistica»). Nel TLL (II, 2068) si registra la voce bolus, ma non si fa menzione dell’agg. armenicus. In it.a. il sost. semplice bolo convive con la loc. bolo armenico, quest’ultima spesso nelle forme univerbate bolarmenico e bolarmeno (cf. TLIO s.vv. bolo, bolarmenico e bolarmeno). Prima attestazione: tosc.occid.a. bolio ermenio (sec. XIII, RicetteMedicheTosc, TLIO s.v. bolarmeno). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. bolo), ma già in Crusca1 per il lemma univerbato bolarmenico (in Crusca4 anche nella forma non univerbata bolo armeno). Sulla provenienza di quest’argilla nella storia, e soprattutto in epoca settecentesca, cf. James (1753 IV, 73 s.v. bolus armeno: ‘Nasce nelle mine di Turchia, d’onde ci vien trasportata; attualmente ella è assai rara; perocché quella, che si vende nelle boteghe de’ nostri Speziali sotto di questo nome, viene dalla Spagna, e dalla Normandia’). Cf. Ineichen (1966, 82), Marcovecchio

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(1993, 122), Gleßgen (1996, 850), Gualdo (1996, 195), García Gonzáles (2007, 373), Green (2009, 390), Ventura (2009, 277), Mazzeo (2011, 341), Castrignanò (2014, 164), Sosnowski (2014, 221), Elsheikh (2016 II, 103).

butirum ‘burro’ (14 occ.; 56) [butyrum TLL II, 2261]

1. bituro (butiro; buturo) m.: R («Recipe suci appi, suci ebuli [...], buturo») 31r, 52r, 59v, 81r, 96r, 104r, 110v, 116v, 135v, 136r (2), 141v, 145v, 161v; botero (butero; butiro): B 14r, 24v, 28r, 38r, 44r, 47r, 50r, 52v, 61r (2), 61v, 64r, 65v; botiro: V 45r, 47v, 58r, 58v, 63v, 66v 2. onto sotille m.: V («Tuo’ epo, zoè sugo d’epo, e sugo d’ebulli [...] onto sotille») 15v, 42r, 50r ▲ 1. Dal gr. βούτυϱον, letteralmente ‘formaggio di bue’, si hanno le varianti latine buturum/butirum/butrum (cf. DEI I, 644 s.v. butirro; DELIN, 265; LEI VIII, 503). Prima attestazione: mant.a. boter (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. butirro). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. butirro). La forma metatetica bituro/ biturro di R trova conferma, all’interno del corpus OVI, in diversi testi toscani, per lo più di area fiorentina (AntidotNicolaiVolg; Bencivenni; Pegolotti; Sacchetti; UbertinoBrescia; CrescenziVolg), ed è, peraltro, l’unica a essere presente già in Crusca1 (oltre che nelle successive edizioni). Diverse attestazioni presenta, sempre in OVI, anche la forma buturo, con cui però s’indicava, più nello specifico, una ‘sostanza oleosa e appiccicosa, pece o bitume, contenente acido butirrico’ (TLIO s.v. butirro §2; Crusca3,4). Cf. Ernst (1966, 165 s.v. boturo), Ineichen (1966, 82 e 84), Nystedt (1988, 208 s.v. buthero), Marcovecchio (1993, 133), Aprile (2001a, 267), Green (2009, 390), Ventura (2009, 296), Mazzeo (2011, 343), Castrignanò (2014, 165), Elsheikh (2016 II, 102). 2. Non si hanno attestazioni della loc. in OVI e ReMediA. Il termine onto è principalmente usato in funzione di agg.: decisamente più

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 6 Glossario

rare, ma comunque ben testimoniate, sono le attestazioni del sost. all’interno del corpus OVI. Voce presente da Crusca1.

calamentum ‘calaminta o nepitella (Clinopodium nepeta L.), detta anche mentuccia, erba aromatica della famiglia delle Lamiaceae’ (319) [calamintha TLL III, 117]

calamenti genit.lat.: R («El vino della dicottione del castorio [...] pepe, calamenti») 174v; calamento: B 74v; challamento: V 69v ▲ Dal gr. καλαμίνϑη si hanno le forme latine calamintha e calamentum: se la prima è essenzialmente una ripresa dotta cinquecentesca (in Mattioli), dalla seconda dipende gran parte della tradizione volgare (DEI I, 667 s.vv. calamento e calaminta; LEI IX, 769). Per il sost. m. calamentum, TLL (III, 117) e Forcellini (I, 489) riportano rispettivamente le accezioni, diverse da quella in esame, di ‘lignum ad vites applicatum arefactum’ e ‘lignum aridum, et igni destinato’. Prima attestazione: fior.a. calamento (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente da Crusca2. Cf. Ineichen (1966, 85: «La specie significata da questo termine [...] subisce nel medioevo un raccostamento a polleçuolo» [per il quale cf. s.v. pulegium]), André (1985, 44), Nystedt (1988, 208), García Gonzáles (2007, 378), Green (2009, 390), Ventura (2009, 325), Tomasin (2010, 47), Castrignanò (2014, 166), Elsheikh (2016 II, 106), Zarra (2018, 500).

calamus aromaticus ‘pianta erbacea palustre e perenne della famiglia delle Araceae (Acorus calamus L.)’ (302) [calamus TLL III, 122]

calamo aromatico m.: B («de cotali medicini sono como è acori, spica, calamo aromatico [...]») 70v; calamus aramatico: R 160v; chal­ lamo ramaticho: V 66v

▲ Dalla corrispondente loc. gr. κάλαμος ἀρωματικός, presente in Dioscoride (DEI I, 667 s.v. calamo3: «originario dell’Asia, la cui droga era già conosciuta dai Romani»; DELIN, 272; LEI IX, 784). Il TLL (III, 122) offre la definizione di ‘herba, frutex palustris odoratus’. Prima attestazione: mant.a. calam aromatich (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. calamo §4.1). Voce presente da Crusca1 (s.v. calamo). Col termine calamo «furono designate almeno 6 piante» (Marcovecchio (1993, 138). Cf. Ineichen (1966, 86), André (1985, 45), Aprile (2001a, 268 s.v. calamo syriaco), García Gonzáles (2007, 378), Green (2009, 390), Ventura (2009, 351), Castrignanò (2014, 166), Elsheikh (2016 II, 107).

calx ‘ossido di calcio’ (4 occ.; 66) [TLL III, 195]

1.a. calce f.: B («quando non hay presenti lo incenso né lo sangue de drago, la sola calcina fa quello») 17r 1.b. calcina f.: R («quando non sono in presençia tua l’olibano e’l sangue dragone, sola la calcina a quella medesima cosa») 37v, 50v, 63r, 134v, 172v; ~: B 29v, 73v; chalzina: V 29r, 29v, 57v, 69r ▲ 1.a. Il lat. calx è affine al gr. χάλιξ. Prima attestazione: fior.a. chalcie (1277–96, LibriccioloBencivenni, TLIO s.v. calce). In Crusca, il termine entra solo nella quarta ediz. (‘per Calcina’). Cf. Marcovecchio (1993, 141), Gleßgen (1996, 855), Aprile (2001a, 269), Ventura (2009, 368). 1.b. Da un lat. tardo calcina(m), originario aggettivo (DEI I, 674; DELIN, 273; LEI IX, 1204). Prima attestazione: crem.a. calcina (inizio sec. XIII, UguccLodi, TLIO). Voce presente da Crusca1 (a differenza di calce: cf. supra). Sull’accostamento tra calce e calcina, si veda Rohlfs (1965, 83); cf. Ineichen (1966, 86: «a stare all’indicazione che si trova nella rispettiva rubrica del Serapiom lt., questo termine rende l’ar. nūra ‘calce viva’» [cf. infra s.v. calx

III Botanica e farmacologia 

viva]), Marcovecchio (1993, 141), Gleßgen (1996, 855), Green (2009, 390), Sosnowski (2014, 221), Elsheikh (2016 II, 107). ♦ Loc. e collocazioni: – calx abluta ‘calcina lavata, antimoniato di potassio’ (3 occ.; 42) calcina lavata f.: R («bisogna medicina di minore calidità sì come tutia lavata o calcina lavata») 23v, 172v; ~: B 73v (2); chalcina lavada: V 12r ▲ Cf. Testi (1980, 56). Non si rintracciano loc. analoghe all’interno del corpus OVI. Sono tuttavia numerose le attestazioni della loc. in testi medici e farmacologici moderni contenuti in GoogleLibri, soprattutto dal Settecento: cf., tra gli altri, Fabricio (1711, 256: «giova anco la propoli, il sagapeno, opopanace, il solfore vivo, e la calcina lavata»). – calx non extinta ‘calce viva, non idrata’ (2 occ.; 66) 1.a. calcina non extinta f.: B («Recipe [...] calcina non extinta, zoè non morta, parti iij») 17r 1.b. calcina viva f.: B («Recipe calcina viva, zoè non morta») 29r433 1.b. calcina non spenta f.: R («Recipe calcina none spenta») 37v, 62r 1.c. chalzina non studada f.: V («Rezipe [...] chalzina non studada iii parte») 18r, 28v ▲ Per l’uso dell’agg. extinctus nel lessico chimico-farmaceutico, cf. anche la loc. argentum vivum extinctum (s.v. argentum vivum). 1.a., 1.b., 1.c., 1.d. Per 1.b. cf. infra s.v. calx viva. Il TLIO (s.v. calcina §1.2) riporta un’attestazione del fior.a. chalcina spenta (1353–58, RicordanzeMarsili). Tra le altre loc. analoghe ricavabili dal corpus OVI, cf., sempre in area

433 L’espressione non morta è usata come glossa di viva.

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toscana, fior.a. calcina none spenta (XIV sec., CrescenziVolg); lucch.a. calcina spenta (1373– 1416, MemorialeBonavia, OVI). La loc. calcina spenta è presente da Crusca1 (s.v. calcina). Per l’agg. studada di V, cf. quanto detto in corrispondenza della loc. argentum vivum extinctum (2., s.v. argentum vivum). Di calcina estinta sono numerose le testimonianze in epoca posteriore: cf., tra gli altri, Lacombe de Prezel (1763, 107: ‘La calcina estinta è la calcina stemperata o disciolta con acqua in una fossa’). – calx viva ‘protossido di calcio, privo d’acqua e di acido carbonico’ (10 occ.; 41) calcina viva f.: R («calcina viva con acqua dolce») 23r, 42v, 52v, 63r (3), 135v (2), 153r; ~: B 10v, 24v, 29r, 29v (3), 30r, 61r (2), 68r; calcis vive genit.lat.: R 62r, 64r; chalzina viva: V 20v, 25r, 29r, 29v (2), 58r (2), 64v ▲ Cf. le locuzioni analoghe presenti in TLIO (s.v. §1.1 s.v. calcina; si veda anche la loc. calce viva s.v. calce §1.1); prima attestazione: fior.a. chalcina viva (1310, BencivenniSantà). Loc. presente da Crusca1 (s.v. calcina). Cf. García Gonzáles (2007, 338 s.v. albestum).

camomilla ‘nome di varie specie di piante della famiglia delle Composite dotate di proprietà officinali’ (3 occ.; 137) [TLL III, 207]

cammamilla (camamilla) f.: R («con acqua ove bullita fusse altea, cammamilla e fieno greco») 73v, 76r, 113r, 123r, 150v; camomilla: B 34v, 51r, 52v, 55r, 67r; chamamilla: V 33v, 48v, 53r, 63r ▲ Il lat. tardo camomilla è un adattamento del gr. χαμαίμηλον, alla lettera ‘melo a terra, melo nano’, così denominata per il suo odore, simile a quello di alcune specie di mele (DEI I, 704; DELIN, 281; LEI X, 259). Prima attestazione: it.a. camamilla (uq. sec. XIII, FioreDettoAmore, TLIO s.v. camomilla). Voce

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 6 Glossario

presente da Crusca1 (nella forma camamilla; il lemma camomilla entra solo in Crusca5). Cf. Ineichen (1966, 87 e 88), André (1985, 60), Marcovecchio (1993, 142), García Gonzáles (2007, 381), Green (2009, 390), Ventura (2009, 377), Elsheikh (2016 II, 110), Zarra (2018, 500).

camphora ‘sostanza cerosa, bianca o trasparente estratta dall’albero di Laurus Camphora L.’ (5 occ.; 70) [canfora Du Cange II, 86c]

canfora (chanphara; canfera) f.: R («mettevi della biacha polvereccata once i, et chanphara») 39r, 104v, 122v, 123v, 172r; ~ (camfora; camphora; canphora): B 18r, 47r, 55r, 55v, 73v; chanfora: V 19r, 45v, 53r (2), 69r ▲ Dall’ar. kāfūr, da cui anche l’allotropo cafura, per il quale s’ipotizza, però, una mediazione dell’a.fr. cafour (DEI I, 661 e 719 s.vv. cafura e canfora: «il suo prodotto importato da noi al principio del IX sec. col commercio arabo»; DELIN, 285). Prima attestazione: tosc.a. canfora (inizio sec. XIV, MPolo, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ernst (1966, 165 s.v. canfara), Ineichen (1966, 90), Marcovecchio (1993, 142), Gleßgen (1996, 724), Green (2009, 390), Ventura (2009, 314), Castrignanò (2014, 166), Elsheikh (2016 II, 110)

cantaris ‘nome comune di alcuni coleotteri della specie della famiglia dei Meloidi e del genere Litta, spec. la Lytta vesicatoria (usata in farmacologia)’ (3 occ.; 249) [TLL III, 280]

1.a. cantarell[a] f.: R («riceva le cantarelle e sieno tritati coll’aceto») 131v, 135v, 168r; chantarell[a]: V 56r, 58r, 68r 1.b. cantaride f.: B («E de li medicini forti convene che al se tolia cantaridi e fizano triti cum aceto et oleo anticho») 59r

▲ 1.a., 1.b. Dal gr. ϰανϑαϱίς, dimin. di κάνθαρος ‘scarabeo’ (DEI I, 726 e 727 s.vv. cantaride e canterella; DELIN, 287; LEI X, 1409). Per la forma cantarella, derivata per aggiunta del suffisso alterativo, cf. le diverse attestazioni offerte dal TLIO (§1 ‘insetto dei coleotteri’ e §1.1 ‘usato per le sue virtù terapeutiche’; prima attestazione: mess.a. ~, 1321–37, ValMaximuVolg). La voce dotta cantaride, invece, mostra un uso decisamente più raro in epoca antica: l’unica testimonianza riportata dal TLIO è il tosc.a. (con metaplasmo di genere) cantarido (ante 1336, ValMassimoVolg [red. Va]; si annota, però, che la forma non è attestata nelle altre edizioni del volgarizzamento). Tale scarso uso è confermato anche da Crusca, che accoglie canterella già nella prima ediz. (anche cantarella da Crusca4), laddove cantaride compare solo in Crusca5. La polvere ricavata dal corpo dell’insetto finemente triturato, contenente il principio attivo della cantaridina, era usata per la cura di alcune malattie. Cf. Ineichen (1966, 90 s.v. cantarela), García Gonzáles (2007, 383), Castrignanò (2014, 166), Sosnowski (2014, 221 s.v. chanttarele), Elsheikh (2016 II, 111 s.v. canterella).

capparis ‘piccolo arbusto del genere Cappero (Capparis spinosa L.)’ (3 occ.; 212) [TLL III, 354]

capari m.: B («e la sua cura si è tenire in bocha aceto in lo quale sia cota la pulpa de la coloquintida, e radice de capari») 51r (2), 60v; cappari: R 113r (2), 134v; chapari: V 48v, 57v ▲ Dal gr. ϰάππαϱις (cf. DEI I, 742: «forse voce mediterranea, passata in tutte le lingue di cultura»; DELIN, 293; LEI XI, 479). Prima attestazione: fior.a. cappero (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 91), André (1985, 48), Gleßgen (1996, 728), Aprile (2001a, 282), García Gonzáles (2007, 383), Ventura (2009, 323), Castrignanò (2014, 166), Elsheikh (2016 II, 112), Zarra (2018, 502).

III Botanica e farmacologia 

cassia lignea ‘corteccia della Cinnamomum cassia, albero aromatico appartenente alla famiglia delle Lauraceae’ (302)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] cassia liega f.: R («lle medicine sono così spica, calamus, [...] cassia liega, cipero») 160v; cassia lignea: B 70v; chasia linea: V 66v ▲ Il lat. cassia (MLW II, 326) viene dal gr. κασία, voce di origine orientale (DEI I, 795: «pianta [...] originaria dell’Egitto, introdotta e coltivata da noi dagli inizi del Cinquecento»; DELIN, 310; LEI XII, 1153). Il TLIO (s.v. cassia §1.2) riporta due testimonianze della loc., entrambe in area fiorentina (1310, BencivenniSantà; pm. sec. XIV, Pegolotti). Voce presente da Crusca1 (s.v. cassia). Accanto al sost. generico cassia e alla presente loc. cassia lignea (dall’odore simile a quello della cannella e nota anche come cassia odorosa), è ben attestata dal TLIO la loc. cassia fistola, caratterizzata da azione lenitiva o lassativa. Il termine cassia è usato in it.a. come sostanziale sinonimo di cinnamomo e di cannella: «erst die Neuzeit unterscheidet zwischen dem ‘Kassienzimt’ (cassia) und dem jüngeren und beliebteren ‘Ceylon-Zimt (cinnamomo)» (Gleßgen 1996, 725). Cf. Brieger (1929,  51), Ineichen (1966, 96), André (1985, 52), Marcovecchio (1993, 154), Aprile (2001a, 275), García Gonzáles (2007, 385), Green (2009,  391), Ventura (2009, 330), Castrignanò (2014, 167), Elsheikh (2016 II, 114).

 779

Voce presente da Crusca1. In una delle cinque occorrenze presenti nel testo originale, il termine è usato all’interno della loc. oleum castorei. Il liquido, secreto dalle ghiandole prepuziali del castoro, è caratterizzato da un odore molto sgradevole, ed era usato in medicina come emmenagogo, antispasmodico e antiemetico. Cf. Ineichen (1966, 97), Gleßgen (1996, 876: «Das Pharmakon fand, sporadisch noch bis ins 20. Jh., als Antispasmotikum Verwendung [...] und wurde mit ein Grund für die Ausrottung des Bibers»), Aprile (2001a, 275), Barbato (2001a, 339), Green (2009, 392), Ventura (2009, 332), Elsheikh (2016 II, 115).

cataplasma ‘impacco di sostanze vegetali applicato a scopo curativo’ (50) [TLL III, 592]

1. cataplasma f.: R («la cataplasma che mollifichi et maturi») 28r; ~ m.: B 12v 2. medexina f.: V («el se meta suxo medexina molifichativa e madurativa») 14r 3. pulthia f.: B («al fiza administrato cataplasma, zoè pulthia mondificativa e maturativa») 12v434

castoreo m.: B («Recipe castoreo, euforbio, ana once ij») 74r (4); castorio (castoreij genit. lat.; castoro): R 174r (3); chastorno: V 69v (4)

▲ 1. Dal gr. ϰατάπλασμα, sost. derivato dal vb. καταπλάσσω ‘spalmare’ (DEI I, 807; LEI XII, 1401). L’unica testimonianza rintracciabile in OVI è il fior.a. cataplasmo (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); per quanto la documentazione in it.a. risulti molto ridotta, si può forse pensare a una derivazione diretta dal latino, senza dover presupporre il tramite del fr. cataplasme, che non è da escludere secondo il DELIN, 312. Voce assente in Crusca. Cf. Marcovecchio (1993, 155), García Gonzáles (2007, 513 s.v. plasma). 2. Prima attestazione: sen.a. medicina (1233– 43, MattasalàSpinello, OVI). 3. Cf. s.v. puls.

▲ Dal gr. καστόριον (DEI I, 799; LEI XII, 1279). Prima attestazione: fior.a. kastorio (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO s.v. castorio).

434 Voce usata come glossa lessicale di cataplasma (cf. 1.).

castoreum ‘castoreo, secrezione ghiandolare del castoro’ (5 occ.; 319) [TLL III, 543]

780 

 6 Glossario

cataplasmare ‘applicare un cataplasma’ (3 occ.; 144) [cataplasmo TLL III, 593]

1. cataplasm[are] vb.tr.: R («el menbro coll’oglo rosado e aceto sia cataplasmata435») 77r; cataplasm[are]: B 36r (2), 52v 2. inpiastr[are] vb.tr.: R («sia inpiastrato il luogo di fuori») 117r 3. metere suxo vb.sint.tr.: V («metase suxo lana non lavada bagnada in oio roxado») 39r 4. onzere vb.tr.: V («da può onzillo chon oio roxado e ligallo») 39r ▲ 1. Dal sost. cataplasma (cf. supra s.v. cataplasma): non si hanno attestazioni in OVI e ReMediA. Voce assente in Crusca, DEI, GDLI. 2. Prima attestazione: fior.a. inpiastrata (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. impiastrare). Voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 361), Elsheikh (2016 II, 181). 3. Cf. s.v. assiduatio (3.a.). 4. Per l’accezione medica del verbo, cf. GDLI (s.v. ungere §2 ‘medicare una parte del corpo contusa o dolorante, una ferita aperta, un’ustione ecc. spalmando di unguenti, sostanza medicamentose, ecc.’). Voce presente da Crusca1 (s.v. ugnere). Cf. Elsheikh (2016 II, 324).

catarticum imperiale ‘elettuario purgativo composto da vari ingredienti’ (2 occ.; 106) [catharticum TLL III, 611]

catharaico inperiale m.: B («poy che al sia paylita la materia cum oxizachera, ye fiza dato catharaico inperiale») 27r; catartico imperiale: B 30v; catarticum inperiale: R 57v; chatarticho inperialle: V 27r, 30v; chatarchico inperiale: R 65v ▲ Dal gr. ϰαϑαϱτιϰός ‘atto a purificare’ (cf. DEI I, 809 e DELIN, 312 s.v. catartico, registrato

435 Ms.: sia cataplarata.

solo come agg.: ‘che ha effetto purgativo’). TLL (III, 611) e Du Cange (II, 222a) registrano il solo sost. catarticum, con l’accezione più generica di ‘medicamentum’ e ‘potio medica’, ma non segnalano la loc. in esame. Il TLIO (s.v. catartico) registra due testimonianze di area fiorentina: keltartico imperiale (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); catartico imperiale (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie). Voce presente solo in Crusca5. L’agg. imperiale, stando a quanto riporta proprio l’Antidotarium Nicolai, deriverebbe dall’uso che ne fecero gli imperatori e altri uomini illustri («Keltartico imperiale. Catartico, ciò viene a dire ‘laxativo imperiale’, cioè per l’imperadori o per altri dilicati huomini»). Cf. Green (2009, 399).

cauda equina ‘equiseto dei campi (equisetum arvense L.), pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Equisetaceae’ (66) [caballinus TLL III 3, 30]

choda chavalina f.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo [...] herba de choda chavalina, azetoxa») 18r; cova cavalina: B 17r; caude equine genit.lat.: R 37r ▲ Il TLIO (s.v. cavallino §3.4) riporta due testimonianze di coda cavallina tratte dal Tesoro dei poveri volgarizzato e dal Serapiom volgarizzato, citati rispettivamente in Crusca3 e Crusca4: come si ricava dal secondo testo, il nome si deve al fatto che le foglie della pianta sono «siccome zazzera, cioè, che pare quasi come coda di cavallo». Loc. registrata in Crusca3,4,5 (s.v. coda cavallina). Cf. Ineichen (1966, 98), André (1985, 53), García Gonzáles (2007, 446 s.v. hyrema).

caulis ‘cavolo’ (4 occ.; 65)

[TLL III, 652]

1. caulis genit.lat.: R («sono conficiati insieme sì come cortecce [...] folia caulis, folia arborum malorum») 37r; cavolo (pl. cavogli): R 65v, 126v, 127r

III Botanica e farmacologia 

2. verz[a] f.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo schorzi de palma, foie de arnagloxa, foie de verze») 18r, 30v, 54v (2); verzo m.: B 16v, 30v, 57r (2) ▲ 1. Prima attestazione: mug.a. cavoli (metà sec. XIII, DecimeMugell, TLIO s.v. cavolo). Voce presente da Crusca1 (s.v. cavolo). Cf. André (1985, 54), Aprile (2001a, 275), García Gonzáles (2007, 375 s.v. brasica), Green (2009, 392), Ventura (2009, 368), Castrignanò (2014, 167), Elsheikh (2016 II, 116), Zarra (2018, 503). 2. Da un lat. *vĭrdia (neutro pl. di *vĭrdis, forma sincopata tarda e pop. per il lat. class. vĭrĭdis ‘verde’: voce dei dialetti lomb., ven., emil. per il DEI V, 4035; DELIN, 1808). Voce assente in OVI, Crusca. Cf. Ineichen (1966, 227).

celidonia ‘erba perenne con fiori gialli del genere Chelidonio (Chelidonium maius L.)’ (117) [chelidonia s.v. chelidonius TLL III, 1003]

celidonia f.: B («Recipe succo de radice de celidonia, urina de li puti, ana dramme iij») 29v; cidonia: R 63r; zendonia: V 29v ▲ Dal gr. χελιδόνιος, letteralmente ‘delle rondini’. Il nome si deve forse alla credenza che le rondini curassero con quest’erba gli occhi dei loro piccoli (LEI XIII, 1462): a tal riguardo si veda, ad esempio, il passo di TesoroVolg («quando li suoi figliuoli perdono la veduta per alcuna cagione, ella porta loro d’un’erba che ha nome celidonia, e danne loro a beccare, e ricoverano la veduta»), che costuisce anche la prima attestazione del termine in volgare (cf. TLIO); l’associazione a tale credenza si riflette esplicitamente, tra l’altro, anche nel corrispettivo nome ted. Schwalbenkraut. Secondo DELIN, 320 e Nocentini (2010, 208), però, il riferimento potrebbe essere dovuto, più semplicemente, al colore grigio della pianta, che ricorda quello delle penne delle rondini, tenendo in conto che il gr. χελιδόνιος ha anche il significato di

 781

‘del colore della rondine’. Voce presente da Crusca1. Il volgarizzamento padovano del Serapiom distingue tra una celidonia maggiore e una celidonia minore (cf. TLIO §1.1 e §1.2). Le forme cidonia di R e zendonia di V sono verosimilmente frutto di confusione fra celidonia e cydonia, termine che designa piuttosto l’albero del cotogno (Cydonia oblonga Mill., 176), per il quale si veda TLIO s.v. cidonio (sost. e agg.) e Nieri (2017, 440). Cf. Ineichen (1966, 99), Gleßgen (1996, 734), Aprile (2001a, 278), Barbato (2001a, 341), García Gonzáles (2007, 388), Green (2009, 392), Ventura (2009, 364), Castrignanò (2014, 167), Elsheikh (2016 II, 117), Zarra (2018, 504).

centaurea ‘genere di piante appartenenti alla famiglia delle Compositae o Asteraceae’ (2 occ.; 90) [TLL III, 812]

1. centaura (centaurea) f.: R («abisongna che noi favelliamo d’alquante cose di quelle le quagli per la migliore parte sono elette, e per quelle è centaurea») 49v, 63v; zentaura: V 29v 2. zedoaria f.: V («mo vollemo dire de altre medexine e de quelle sì chomo zedoaria») 24r ▲ 1. Dal gr. κενταύρειον, a sua volta da κένταυρος ‘centauro’ (DEI II, 853; DELIN, 322; LEI XIII, 840), perché a una pianta di questo genere si attribuiva la guarigione del centauro Chirone ferito da Ercole; da Dioscoride deriva la tradizionale distinzione, assente nella Chirurgia di Bruno, in centaurea maggiore e centaurea minore. Prima attestazione: mant.a. centaurea (1299/1309, Belcalzer, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 100), André (1985, 55), Aprile (2001a, 279), García Gonzáles (2007, 389), Green (2009, 392), Ventura (2009, 327), Elsheikh (2016 II, 118). 2. Dal pers. zadwār/ǧadwār, attraverso l’ar. zadwār/ǧadwār, pop. zidwār (cf. Elsheikh 2016 II, 340), approdato a un lat. mediev. cetoārium (DEI V, 4110). Con zedoaria (Du Cange VIII, 428c), termine qui usato per confusione o per

782 

 6 Glossario

allontanamento dalla tradizione latina del testo, s’indica nello specifico un’erba rizomatosa della famiglia delle zingiberaceae (Curcuma pallida, genere Curcuma L.), proveniente dall’India e usata come aromatico e stomatico. Prima attestazione: mant.a. çedoara (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. zettovario). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. zedoaria), mentre la forma zettovario, derivata dalla variante del lat. mediev. cedoarium, è già in Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 231 e 232), Gualdo (1996, 222), García Gonzáles (2007, 573), Green (2009, 415), Ventura (2009, 809), Castrignanò (2014, 215), Sosnowski (2014, 230), Elsheikh (2016 II, 340 s.v. zedoario, zetovario). ♦ Loc. e collocazioni: – centaurea minor ‘pianta erbacea, annuale o biennale, appartenente alla famiglia delle Genzianaceae (Centaurium erythraea Rafn., 1800)’ (2 occ.; 68) centaura minore f.: R («medicine [...] sono sì come litargirio, centaura minore») 38r, 39r; centaurea minore: B 17v, 18r; zentaurea menore (zentauria menore): V 18v, 19r ▲ Prima attestazione: fior.a. centaura minore (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. centaurea §1.1). La loc. è contenuta in un passo all’interno del quale si evidenzia la particolare amarezza della pianta (nota oggi anche con i nomi di biondella, cacciafebbre, erba amara, erba chironia: Debuigne 2004, 85) e si distingue tra centaurea maggiore e centaurea minore («Centaura sì è chalda e seccha in terzo grado, e è erba amarissima. E altra è magiore e altra è minore, ma la magiore sì è di magiore efficacia»). Voce presente da Crusca1. Cf. André (1985, 55).

cepa ‘cipolla’ (3 occ.; 45) [TLL III, 846]

cigola (zigola) f.: B («lo malvavisco coto e pesto metuto sopra ge dà mirabile zovamento, etiamdeo la zigola cota») 11r, 24v, 52v; cipolla: R 52v, 116v; zevola (zevolla): V 25r, 50r; cipolla verde: R 25r

▲ Le diverse forme volgari testimoniate dai mss. muovono tutte da un lat. tardo cēpulla, dimin. di cepa (cf. DEI II, 953). Prima attestazione: roman.a. cipolla (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO). Per la forma settentrionale cigola/zigola di B, l’unica testimonianza presente nel corpus OVI è il lomb.a. zigola (sm. sec. XIV, Matazone); essa è viva anche nei dialetti contemporanei ed è ben attestata nei dizionari dialettali ottocenteschi: cf. Gambini (1850, 282); Malaspina (1859 IV, 442). La presenza di -g- intervocalica si spiega come inserzione secondaria che elimina lo iato venutosi a creare per la caduta di -v- intervocalica (a sua volta derivante dall’originaria -p- intervocalica: cf. Rohlfs 1966–1969, §207) Voce presente da Crusca1 (s.v. cipolla). Cf. André (1985, 56), Nystedt (1988, 211), Gleßgen (1996, 736), Aprile (2001a, 279), Green (2009, 392), Ventura (2009, 382), Castrignanò (2014, 167), Sosnowski (2014, 230), Elsheikh (2016 II, 123), Zarra (2018, 506).

cerotum ‘impiastro, unguento, garza imbevuta di liquidi medicamentosi’ (4 occ.; 67) [TLL III, 878]

1. ceroto m.: R («è fatto ceroto del corpo dell’oglio») 38r (2), 77r; cerot[o] (zerot[o]): B 17r (2), 17v, 36r; zerot[a] f.: V 18v; zeroto (zirot[o]) m.: V 18v, 41r 2. onguento m.: V («quando se fano onguento d’ese, lo chorso de l’oio le fa andare dentro») 18v 3. spalladrapo m.: V («alguna fiada bexogna che tu meti suxo uno spalladrapo») 39r ▲ 1. Dal gr. κηρωτόν (DEI II; 871: «probabilm[ente] grecismo dell’Esarcato»; LEI XIII, 1153). Prima attestazione: fior.a. cerotto (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI; cf. TLIO s.v. cerotto2). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 237), Tomasoni (1986b, 234), Gualdo (1996, 154), Sboarina (2000, 256), Aprile (2001a, 281), García Gonzáles (2007, 391), Green (2009, 392), Elsheikh (2016 II, 120).

III Botanica e farmacologia 

2. Prima attestazione: venez.a. onguento (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). Voce presente da Crusca1. 3. Da un lat. mediev. sparadrapus, che secondo il DEI (V, 3577) costituisce in origine una forma di imperativo composto dal vb. (s)parare e dal sost. drappo; come termine semidotto lo si ritrova anche in altre lingue: fr. sparadrap (TLFi: dal 1314), ingl. sparadrap, per tramite del francese (cf. OED: dal 1543), sp. esparadrapo (DEL) e port. esparadrapo (DhouLP). Stando alle testimonianze presenti nel corpus OVI, la voce risulta di chiara provenienza toscana nel significato principale di ‘contenitore in tessuto entro il quale si conservavano o si spedivano lettere o documenti’ (e, per estensione, ‘l’insieme dei documenti contenuti’), così come in quello secondario di ‘striscia di tessuto imbevuto di impiastro medicamentoso’ (cf. TLIO s.v. sparadrappo), del quale, però, si rinvengono solo due testimonianze tra OVI e ReMediA: fior.a. spadadrappo (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg) e tosc.a. sparadrappo (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Voce assente in Crusca. Cf. Marcovecchio (1993, 799).

cerusa ‘biacca, pigmento bianco costituito da carbonato basico di piombo’ (12 occ.; 69) [cerussa TLL III, 951]

1. biacha f.: R («pilgla libano, aloe [...] ceruse, cioè biacha») 39r;436 ~ (blacha): V 19r (2), 24v, 25r, 30v, 45v, 69r (2); ~: B 17v (2), 18r (2), 24r, 24v, 31r, 47r, 56v, 73r; 2. cerusa f.: R (cf. supra 1.) 39r, 51r, 66r, 104v, 172r; ~: B 73r, 73v 3. spicha f.: V («Tuo’ spicha e litragiro, de tute do una parte») 19r ▲ 1. Il termine deriva dal longob. *blaich ‘sbiadito’, confrontabile col ted. bleich ‘pallido’

436 Voce usata come glossa lessicale di cerusa (cf. 2.).

 783

(cf. DEI I, 504: «L’Italia merid. ha conservato invece il class. cērussa»; DELIN, 208; Nocentini 2010, 120). Prima attestazione: sen.a. biacca (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. biacca). Cf. Ineichen (1966, 80), Elsheikh (2016 II, 101). 2. Il lat. cerussa potrebbe essere un der. del gr. κηρός ‘cera’ secondo DEI (II, 874 s.v. cerussa) e DELIN, 326 (s.v. cerussa), ma la presunta dipendenza dal gr. non è rilevata dal LEI (XIII, 1222). Prima attestazione: fior.a. ceruse (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. cerussa). Voce presente da Crusca1 (s.v. cerussa). Cf. Ernst (1966, 166 s.v. cerossa), Ineichen (1966, 101), Marcovecchio (1993, 166), García Gonzáles (2007, 391), Green (2009, 392), Ventura (2009, 322), Elsheikh (2016 II, 120). 3. L’uso del termine spicha potrebbe essere frutto di un errore della tradizione, latina o volgare. Nel tradurre il lat. spica dell’originale, peraltro, in V si adotta come traducente il sost. m., e con sonorizzazione della velare, spigo (69v).

cicer ‘pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae (Cicer arietinum L.)’ (3 occ.; 119) [TLL III, 1048]

cece m.: R («si viene per mala cura, a le quagli significationi sono queste, aviene a modo di cece») 64r; cesero (cisero): B 30r, 70v; cicero: R 160v; zefer: B 53v; zexere: V 30r, 66v ▲ Prima attestazione: aret.a. ceci (1282, RestArezzo, TLIO s.v. cece e cecero1); DEI (II, 877) registra il lemma cesaro, segnalandolo come forma di area settentrionale; la forma cecero è attestata dal TLIO (cf. s.v.) solo in testi di area non toscana: molto interessante è, perciò, in tale prospettiva, la testimonianza offerta dal ms. R. Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 102), André (1985, 65), Nystedt (1988, 211), Gleßgen (1996, 733), Aprile (2001a, 283), García Gonzáles (2007, 392), Green (2009, 392), Ventura (2009, 373), Castrignanò (2014, 168), Elsheikh (2016 II, 117 s.v. cece).

784 

 6 Glossario

cicorea ‘pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, che presenta molte specie e sottospecie (qui si tratta probabilmente della cicoria comune = Cychorium intybus L.)’ (122) [cichoreum TLL III, 1049]

cicorea f.: B («E sopra lo loco se faza emplastratione cum [...] psilio, cicorea, portulaca e simili») 30v; cicoria: R 66r; zocharea: V 30v ▲ La forma f. cicorea rappresenta in origine il n. pl. di cichoreum, derivato dal gr. κιχόριον e reinterpretato come f.sing. (cf. DEI II, 931; DELIN, 338; LEI XIV, 143). La voce mostra ancora una diffusione molto circoscritta nel corso del Trecento: il TLIO (s.v. cicoria) ne riporta due sole testimonianze, entrambe di area toscana: cicorea (ante 1361, UbertinoBrescia) e cicoria (ante 1383, LibroSidrach); tale tendenza è confermabile sulla base di Crusca, che accoglie il lemma cicorea/cicoria soltanto dalla terza edizione. Cf. Ernst (1966, 166), André (1985, 65), Gleßgen (1996, 819), García Gonzáles (2007, 453 s.v. intiba), Ventura (2009, 723 s.v. sponsa solis), Castrignanò (2014, 168), Sosnowski (2014, 231), Zarra (2018, 505).

ciminum ‘cumino, noto anche come «cumino romano», pianta erbacea originaria del bacino del Mediterraneo (Cuminum cyminum L.)’ (3 occ.; 198) [cuminum Du Cange IV, 1778]

chomin (chomino) m.: V («metasi [...] delli boni inpiastri che resollve zoè chomin trido») 46r, 61r; comino: R 106v, 108v; cimine: R 105v; cimino: B 47v, 48r, 49r, 63v ▲ Dal gr. ϰύμινον si hanno le varianti latine cuminum e cyminum, alla base delle rispettive forme volgari cumino e cimino (cf. DEI II, 939; DELIN, 424). Prima attestazione: tosc. occid. chomino (sec. XIII, RicetteMedicheTosc,

TLIO s.v. cumino). Voce presente da Crusca1 (s.v. cimino). Cf. Ineichen (1966, 108), André (1985, 81), Gleßgen (1996, 737), Aprile (2001a, 304), Ventura (2009, 344), Baglioni (2010, 426), Green (2009, 393), Ventura (2009, 344), Sosnowski (2014, 222), Elsheikh (2016 II, 126), Zarra (2018, 507).

cimolea ‘miscuglio fangoso usato come ingrediente di medicamenti’ (2 occ.; 317) [cimol(i)a TLL III, 1059; O II, 444]

1. chimomia (chimonia) f.: V («medexine asterxive [...] chomo è chimonia e smartella») 69r (2); cimolea: R 172r, 173r; cymolea: B 73v; cymolena: B 73r 2. luto de terra: B («è necessario administrare [...] cymolea, zoè luto de terra, folij de mirto e simili») 73v437 ▲ 1. Dal gr. Κίμωλος ‘isola di Cimolo’, perché originariamente ricavata nell’isola delle Cicladi. Le uniche tre testimonianze ricavabili dal corpus OVI sono: fior.a. cimolee (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg: in un contesto di genitivi latini); tosc.a. chimolea (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom). Voce assente in Crusca, DEI. In OVI non si rinvengono attestazioni delle forme chimomia e chimonia testimoniate da V. Cf. García Gonzáles (2007, 392), Elsheikh (2016 II, 121). 2. Dal lat. lutum: la voce loto è molto ben attestata nell’it.a., nelle sue varie accezioni (cf. TLIO s.v.). Prima attestazione: tod.a. loto (ultimi decenni sec. XIII, JacTodi, TLIO). In OVI, l’unica loc. affine a quella presente in B è il fior.a. loto de la terra (sm. sec. XIV, LeggendaAurea). Il termine loto è presente da Crusca1 (‘loto, terra inumidita’), mentre la forma dotta luto entra solo in Crusca4. Cf. Aprile (2001a, 437 Perifrasi usata come glossa di cymolea (cf. 1.).

III Botanica e farmacologia 

388 e 389 s.vv. luta e luto), Barbato (2001a, 427), Castrignanò (2014, 190), Elsheikh (2016 II, 199).

cinamomum ‘cinnamomo o cannella (Cinnamomum verum J.Presl)’ (3 occ.; 210) [cinnamomum TLL III, 1076]

1. cennamo m.: R («Recipe il cennamo, gherofani, noci moscade») 112r (2), 174v438 2. cinamomo (zinamomi, zinamomo) m.: B («Recipe consolida maiore, garofoli, zinamomo») 50v, 74r; zenamomo (zinamomo): V 48v (2), 69v (2) ▲ 1., 2. Dai due sost. greci κίνναμον/ κιννάμωμον, attraverso il lat. cinnămum e cinnămomum, si hanno rispettivamente le due varianti volgari, testimoniate anche dai nostri mss., cennamo e cennamomo (DEI II, 851 s.vv.; LEI XIV, 415 e 418; André 1985, 67 rimanda alla voce semitica qinnāmōm). In it.a., la forma cennamo risulta meglio attestata rispetto a cennamomo, stando alla documentazione riportata dal TLIO, che dedica lemmi distinti alle due forme (prime attestazioni rispettivamente in: sen.a. cienamo, 1269, LetteraAndrTolomei; fior.a. cennamomo, ante 1274, LatiniTesoretto), le quali, tuttavia, non sono sempre identificate tra loro e, anzi, sono talvolta associate a specie diverse, seppur ricavate entrambe da piante appartenenti al genere Cinnamomum (cf. TLIO s.v. cennamo, pianta che è ‘talvolta esplicitamente identificata con la cannella; altre volte invece contrapposta alla stessa cannella’); sulla duratura associazione sinomica, in it.a., tra i termini cannella, cinnamomo e cassia, cf. s.v. cassia lignea. La forma cinnamomo entra già in Crusca2 (e giunge fino a Crusca5), laddove cennamo è presente soltanto in Crusca3,4. Cf. Ernst (1966, 166), Ineichen (1966, 104), André (1985, 67), Nystedt (1988,

438 Ms.: cenuamo.

 785

211 s.vv. cinamo e cinamomo), Marcovecchio (1993, 184), Gleßgen (1996, 725), Aprile (2001a, 284), García Gonzáles (2007, 393), Green (2009, 394), Ventura (2009, 337), Tomasin (2010, 49), Mazzeo (2011, 344), Castrignanò (2014, 168), Elsheikh (2016 II, 118 e 122: cennamo, cinnamo, cennamomo, cinnamomo), Zarra (2018, 504).

ciperus ‘zigolo dolce, tubero prodotto da una pianta erbacea (Cyperus esculentus L.); la pianta stessa’ (3 occ.; 240) [Du Cange II, 334b]

cipari m.: R («sia preso aloes e gruogo e belo arminico overo acaçia e cipari e mirra») 127r; zipari (cipari): V 62r, 66v; ciperi genit.lat. (cipero): R 144r, 160v; cipero m.: B 57r, 65r, 70v; zipero: V 54v ▲ Dal κύπερος (lat. cyperus/ciperus: cf. DEI II, 953). Prima attestazione: fior.a. ceperi (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. cipero). Voce presente da Crusca1 (s.v. cipero). Non si hanno, in OVI, attestazioni della forma, testimoniata da R e V, con passaggio di -er- postonico ad -ar-. Cf. Ineichen (1966, 105), André (1985, 85), García Gonzáles (2007, 395), Green (2009, 393), Ventura (2009, 349), Castrignanò (2014, 168), Elsheikh (2016 II, 123), Zarra (2018, 505).

cipressus ‘albero sempreverde del genere Cipresso (cupressus sempervirens L.)’ (8 occ.; 65) [cupressus TLL IV, 1436]

anzipreso m.: V («foie de arnagloxa, foie de verze, foie d’arbori e de pomeri, e de anzipreso») 18r, 26r, 35v, 62r (4); cipresso (cipressi genit.lat.): R 37r, 54v, 78r, 143r, 143v, 144r (2), 144v; ~: B 16v, 36v, 64v, 65r (3) ▲ Prima attestazione: sen.a. cipressi (fine sec. XIII, FattiCesareVolg, TLIO). Prati (1968, 4) confronta il venez. anzipreso con le forme di area pistoiese anciprèsso, acciprèsso, arci-

786 

 6 Glossario

prèsso, considerandole «forme di ragione sconosciuta» (cf. Cortelazzo 2007, 74). Voce presente da Crusca1 (s.v. cipresso). Cf. André (1985, 82 s.v. cupressus), Ventura (2009, 336), Castrignanò (2014, 168), Elsheikh (2016 II, 123).

citrum ‘specie appartenente al genere Citrus, della famiglia delle Rutaceae (Citrus medica L.)’ (233) [TLL III, 1207]

1. cederno m.: R («sia data osamente ongna cosa da confortare il chuore [...] sì come solo mele grane acetose e ll’acetosità439 del cederno») 123v 2.a. citro m.: B («fizano dati [...] li pomi granati, li acetosi e la acetositade de lo citro») 55v 2.b. zotron[e] m.: V («darlli ad eso [...] pome ingranade agre, el sugo delli zotroni») 53v

successiva. Cf. Ineichen (1966, 106), Nystedt (1988, 212 s.v. citrone).

climia ‘fuliggine che si crea nel processo di purificazione dei metalli’ (3 occ.; 67) [Du Cange IV, 489c]

1. climia (chimia) f.: R («queste cose sono più forti da capo sì come astologia conbusta, climia adusta») 37v, 38v; ~ (chimia): V 18v (2), 24r, 26r; ~: B 17r, 23v, 25v 2. cathimia f.: B («li più forti [scil.: medicini] sono como è aristologia conbusta, climia, zoè vena de tera o cathimia») 17r440 3. vena de tera f.: B (cf. supra) 17r

▲ 1. Di etimo incerto, forse da ricollegare al lat. citrus; cf. DEI (II, 836: «o relitto etrusco, per il suffisso caratteristico [...] o formazione analogica. Possibile anche che si debba leggere céderno dall’agg. *citrinus»). La voce, indicante tanto la pianta quanto il frutto, è ben testimoniata nei testi toscani del Trecento; prima attestazione: fior.a. ciederni (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. cederno). Voce presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 117). 2.a. Prima attestazione: sen.a. cedro (fine sec. XIII, RuggApugliese, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 99), André (1985, 68), Green (2009, 393), Aprile (2001a, 278). 2.b. Dal lat. tardo citron (DEI II, 968 s.v. cedrone3). Prima attestazione: aret.a. cidroni (fine sec. XIII-1336, CenneChitarra, TLIO s.v. cedrone). Voce presente solo in Crusca5. Della forma di V, con probabile assimilazione vocalica della pretonica, non si sono rintracciate attestazioni nel corpus OVI né in epoca

▲ 1. Cf. Du Cange (IV, 489c: ‘apud Avicennam, est fumus seu fuligo adaerens superioribus fornacis in purificatione cujuscumque metalli’). All’interno del corpus OVI si registrano solo due testimonianze: tosc.a. climia (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom; TLIO). Cf. Ineichen (1966, 106). 2. Il termine catimia, dall’ar. qadmiyā attraverso il lat. mediev. cathimia, è usato di solito, nel lessico chimico antico, come sinomimo di litargirio (per il quale cf. s.v. litargirum). Prima attestazione: tosc.a. catimie (ante 1361, UbertinoBrescia, TLIO s.v. catimia). Voce assente in Crusca, DEI. Cf. Aprile (2001a, 275) ed Elsheikh (2016 II, 106), che ne rileva un uso assimilabile a quello del ms. B («‘ossido di zinco’ che si scavava vicino all’acropoli di Tebe, detta Cadmia (Kadméa) da Cadmo, che l’aveva fondata; abbinato ai minerali, indica la spuma che si forma sulla loro superficie, cadimya de l’argento, come appunto spiega lo stesso traduttore [...], quindi ‘ossido o fuliggine d’argento’»). 3. Nel corpus OVI si rinvengono quattro locuzioni analoghe: tosc.a. vena di terra (inizio

439 Ms.: ella cetosica (lat.: acetositas).

440 Voce usata come glossa di climia (cf. 1.).

III Botanica e farmacologia 

sec. XIV, MPolo); fior.a. ~ (ante 1334, Ottimo); pis.a. ~ (1385–94, FrButi); ven.a. vena di tera (sec. XV, MPoloBarbieri-Andreose). All’interno dell’Alphita la loc. vena terrae è accostata proprio al termine cathimia («cathimia est vena terre de qua elicitur aurum aut argentum»: García Gonzáles 2007, 387).

colcotar ‘colcotar, ossido di ferro’ (2 occ.; 68) [Du Cange II, 399c]

cholchotar m.: V («Anchora un’altra medexina chonponuda: tuo’ cholchotar [...]») 21r; colcotar: B 19v; cocotar: R 42v ▲ Riproduzione dell’ar. qulqaṭār (cf. DEI I, 1008). L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il tosc.a. colcotar (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI: 3 occorrenze). Cf., in epoca più recente, la nota linguistica di Mattioli (1568, 1427), che mette a confronto la nomenclatura greca, latina e araba («Chiamano i Greci il Chalciti χαλκίτις i Latini, Chalcitis: gli Arabi, Colcotar, e Cholchotar»). Voce assente in Crusca. Cf. Elsheikh (2016 II, 125).

collirium ‘medicamento, spec. liquido, usato per medicare infiammazioni e piccole patologie degli occhi’ (3 occ.; 194) [collyrium TLL III, 1626]

chollerio m: V («È questo anchora uno bono chollerio») 45r (2), 45v; collirio: R 103v (2); colirio: B 46v, 47r (2) ▲ Dal gr. ϰολλύϱιον (DEI II, 1014; DELIN, 359). Prima attestazione: fior.a. collirio (inizio sec. XIV, LibroPietrePreziose, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 237), Marcovecchio (1993, 201), Sboarina (2000, 256), García Gonzáles (2007, 468 s.v. lirion), Mazzeo (2011, 332), Elsheikh (2016 II, 126).

 787

colloquintida ‘pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae (Citrullus colocynthis L.)’ (212) [colocynthis, colocynthida TLL III, 1712]

cholloquintida f.: V («La soa chura si è a tignir in bocha axedo in lo qual sia boido polpa de cholloquintida») 48v; colloquintida: R 113r; coloquintida: B 51r ▲ Dal gr. ϰολοϰυνϑίς, presente in Dioscoride (cf. DEI II, 1020; DELIN, 360). Prima attestazione: coloquintida (1299/1309, Belcalzer, TLIO; il TLIO registra anche la forma coloquinta). Voce presente da Crusca1 (che indica, quale corrispettivo lat. del termine greco, la loc. cucurbita sylvestris). Cf. Ineichen (1966, 108), André (1985, 71), Marcovecchio (1993, 201), Gleßgen (1996, 736), Gualdo (1999, 232), Aprile (2001a, 288), García Gonzáles (2007, 399), Green (2009, 393), Ventura (2009, 315), Elsheikh (2016 II, 126), Zarra (2018, 506).

colophonia ‘resina vegetale gialla solida, trasparente, residuo della distillazione delle trementine (detta anche «pece greca»)’ (2 occ.; 67) [TLL O II, 536]

cholofonia (chollofonia) f.: V («se die adovrar le medexina lieve sì chomo [...] cholofonia, pegola grecha») 18v, 62r; colofonia: B 17r, 64v; colofonie (coloponia): R 37v, 143v ▲ Dal gr. κολοϕωνία ‘resina di Colofone’, antica città della Lidia (cf. DEI II, 1018; DELIN, 359). Termine attestato nel corpus OVI in tre testi di area toscana: fior.a. colofonia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); ~ (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); tosc.a.~ (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 108), García Gonzáles (2007, 399), Green (2009, 393), Ventura (2009, 361), Elsheikh (2016 II, 126).

788 

 6 Glossario

conglutinatio auri ‘conglutinazione di oro’ (2 occ.; 100)

[Voce assente in tale accezione in TLL e Forcellini] 1. conglutinatione de oro: B («de li medicini [...] è limatura de ferro, limatura de ramo, fiore de ramo brusato, e conglutinatione de oro») 25v; glutinatione de oro: B 25v; glutinacionis aurj: genit.lat. V 26r 2. marchaxita f.: V («de le medexine [...] si è limadura de rame, limadura de fero, verderame bruxado e glutina zoè auri, zoè marchaxita») 26r (2)441 3. schiuma limata d’oro: R («le medicine [...] sì come schiuma limata d’oro») 54v; schiuma limata d’oro ragunata: R 54v ▲ 1. Nel testo latino di Bruno, i termini conglutinatio, conglutinare e conglutinativus (agg. usato in relazione a medicamen e medicina) sono usati principalmente nel lessico terapeutico, per indicare la congiunzione salda di piaghe e ferite di vario genere: in tale accezione, in OVI, se ne ritrovano numerose occorrenze all’interno del Serapiom e di MaestroBartolomeo. Non si rinvengono, invece, attestazioni afferenti al lessico chimico e analoghe alla loc. conglutinatio auri qui usata. Per entrambe le accezioni, cf. MLW (II, 1403). 2. Dal lat. mediev. marchasita, che è dall’ar. marqašīṯā, a sua volta dal pers. marqašīšā, forse voce di provenienza aramaica (cf. DEI III, 2361 s.v. marcassita, «nome accettato da Haidinger nel 1845»; DELIN, 993; Nocentini 2010, 672); il lat. mediev. marchasita si rintraccia per la prima volta nelle traduzioni di Gerardo da Cremona, che fu probabilmente un tramite decisivo per la diffusione della parola in Europa. Col termine odierno marcasite s’indica

441 In entrambe le attestazioni, la voce è usata in funzione di glossa (rispettivamente della forma latina al genit. glutinacionis aurj, e, nel passo riportato, di una forma deteriore glutina zoè auri)

principalmente un ‘minerale metallico simile alla pirite, di colore giallo o tendente al bianco’ (TLIO), ma il termine è riferito anche ad altri minerali; prima attestazione: tosc.a. marchassita (XIV sec., MesueVolg, TLIO s.v. marcassita); in àmbito farmacologico cf. anche tosc.a. marcasita argentea (ante 1361, UbertinoBrescia), per la quale non è chiaro se l’agg. si riferisca a una specifica varietà del minerale o, semplicemente, al colore di esso (Elsheikh, curatore dell’ediz. del testo, glossa ‘perite bianca’). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. marcassita). 3. Non si rintracciano attestazioni analoghe in OVI, ReMediA e in epoca posteriore.

confectio ‘preparato medicinale’ (2 occ.; 146)

[TLL IV, 171; cf. → s.v. spissus (sezione 2)]

confectione (confetione) f.: R («si conviene [...] nella qualità della loro confectione») 78r, 143v; ~: B 36v, 64v ▲ Prima attestazione: fior.a. confezione (1310, RicetteLattovari, TLIO §3). Voce presente da Crusca1, ma la definizione di ‘composizione medicinale’ compare solo da Crusca3. Cf. Nystedt (1988, 214), Marcovecchio (1993, 210), Gualdo (1996, 157), Aprile (2001a, 293), Sboarina (2000, 257), Castrignanò (2014, 169), Elsheikh (2016 II, 128).

confectus ‘di sostanza (solida) sminuzzata e mescolata con sostanze liquide’ (9 occ.; 41) [conficio TLL IV, 198]

chonfeto agg. e part.: V («la tuzia in questo insteso modo lavada e chonfeta mollto è utelle») 11v, 25r (2), 37v, 49r, 57v, 62r; confect[o]: B 10v (2), 24r, 38v, 60v, 61r, 65r; con­ fettato: R 52r (2) ▲ Le prime attestazioni delle due forme testimoniate dai nostri mss. sono rispettivamente

III Botanica e farmacologia 

il sen.a. confette (1304–08, DocMercGallerani, TLIO s.v. confetto §3) e il fior. confettata (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Gualdo (1996, 157), Elsheikh (2016 II, 128).

conficere ‘preparare (medicamenti, unguenti e simili), mescolando generalmente sostanze solide a sostanze liquide’ (42 occ.; 41) [conficio TLL IV, 198]

1.a. chonfiz[ere] vb.tr. (chonfic[ere]): V («Anchora uno altro inpiastro chon farina d’orzo e chonficille chon mele e chon aqua») 16r, 19v, 20v, 21r, 25r, 29r (2), 29v, 45r (2), 48r, 48v, 49r (2), 54v (2), 56r (2), 57v, 58r, 58v, 62r (2), 62v, 69r (3); conficere: R 31v, 39v, 42v, 52v, 54v, 62r, 63r, 78r, 81r (2), 111v, 113r (2), 113v, 125v, 126r, 127r, 131v, 134v (2), 136v (2), 144v, 171v (3), 172r, 172v (2), 173r, 174r; confinzere: B 10v, 14r, 18r, 19v (2), 24v, 25v, 29r, 29v (2), 31r, 36v, 37v, 46v, 47r, 50r, 51r (3), 56v, 57r (2), 59r (2), 60v (2), 61r, 61v (2), 64v, 65r (2), 73r (4), 73v (3); confici[are]: R 62r, 63r, 66r 1.b. confett[are] (confeti[are]) vb.tr.: R («con uno poco d’olio a modo d’unguento si confetti») 23r, 42v, 103v, 131v, 135v, 143v (2), 144r 2. chonponer vb.tr.: V («chonponi chon aqua de lume e posa si lo meta») 26r 3. fare vb.tr.: V («falo in modo de onguento») 30v 4. inchorpor[are] vb.tr.: V («inchorporase chon sonza de gallina») 36v, 37r 5. mesed[are] vb.tr.: V («mesedalo chon biancho d’uovo e zonzi chon esso un pocho de vollativa») 35v, 69r (2) ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. confetto (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. conficere §2.1). Voce assente in Crusca (in Crusca3,4 solo con la seguente definizione: ‘Usata da’ Canonisti in sentimento di Consecrare, e propriamente del Sagramento dell’Altare’), che accoglie, fin dalla prima ediz., la forma confettare, per la quale cf. infra (1.b.). La forma conficiare

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di R, forse il frutto di un metaplasmo di coniugazione, trova conferma nelle quattro testimonianze, non solo di area toscana, offerte dal TLIO (s.v.; prima attestazione: fior.a. conficiano, 1310, RicetteLattovari, TLIO s.v. conficiare). Cf. Tomasin (2010, 49), Elsheikh (2016 II, 128). 1.b. Da un lat. *confectare, derivato di conficĕre (cf. DELIN, 376). Prima attestazione: fior.a. confettare (1310, BencivenniSantà, TLIO). Voce presente da Crusca1. 2. Prima attestazione: conpuose (1310, RicetteLattovari, TLIO s.v. comporre §1.4 ‘rif. alla preparazione di ricetti alimentari o medicinali’). Voce presente da Crusca1 (anche se l’accezione non è posta esplicitamente tra le varie definizioni, alla prima di queste [‘porre e mescolare insieme varie cose per farne una’] segue il seguente esempio da BoccaccioDecam: «E quasi degli atti degli huomini dovesse le medicine, che dar dovea a’ suo’ infermi, comporre, a tutti poneva mente, e raccoglievagli»). 3. Cf. GDLI (s.v. fare §8 ‘preparare cibi, bevande, medicine, ecc.’). 4. Prima attestazione: fior.a. incorporato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO §3.3 ‘mescolare formando un unico impasto’). Voce presente da Crusca1. Cf. Aprile (2001a, 364), Elsheikh (2016 II, 183). 5. Dal lat. tardo miscitare, iterativo di miscēre ‘mescolare’. Prima attestazione: venez.a. mesedando (1312–14, MonumentiLioMazor). Cf. Nystedt (1988, 245).

consolida maior ‘pianta erbacea perenne della famiglia delle Boraginaceae (Synphytum officinale L.)’ (4 occ.; 210)

[TLL IV, 478]

1. aleganego (alleganego) m.: V («De inpiastri boni: tuo’ [...] mastixi, inzenso, aleganego») 62r; laleganego: V 62r 2. chonsollida maiore f.: V («può meti suxo polvere desechativa che se fa chossì: Rezipe

790 

 6 Glossario

chonsollida maiore [...]») 48r; consolida maggiore (consolica maggiore; consalica maggiore): R 112r, 143v, 144v (2); consolida maiore: B 64v, 65r (2) ▲ 1. Di etimo incerto, probabilmente da un lat. alum gallicum (cf. André 1985, 12), indicante il Synphytum officinale. Il TLIO (s.v. lugànigo) restituisce un’unica attestazione, anch’essa di area settentrionale: lomb.-ven. aleganego (inizio sec. XV, GuasparinoVienexia). Appare meglio testimoniata la forma rigàligo (prima attestazione: fior.a. rigàligo, fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. rigàligo), la quale, contrariamente a quanto ipotizza il DEI (V, 3252 s.v. rigalago, rigaligo: «il nome, senza corrispondenza nei dialetti, sembra un adattamento del vecchio termine scientifico consolida regālis»), è anch’essa frutto del lat. alum gallicum, con rotacizzazione di -l- e aferesi della vocale iniziale (argallicum è già in testi medici latini; secondo il LEI II, 422 «indica ‘Delphinium ajacis’ L. Tale significato fu preso probabilmente dal TB il quale cita l’attestazione del Crescenzi che invece si riferisce alla Consolida maggiore [...]. L’errore che per la prima volta compare in Targioni Tozzetti è ovviamente causato dalla vicinanza formale tra il tipo rigaligo e la Consolida regalis ‘Delphinium ajacis’ L.»: DI II, 212 nota  2). Al pari della loc. consolida maggiore (cf. 2.), dunque, le due forme lugànigo e rigàligo indicano quello che, secondo la tassonomia linneiana, è il Symphytum officinale. Già in Crusca1 si pone a lemma la voce rigalico (cf. Crusca3: ‘La consolida maggiore, cioè il rigaligo, è di fredda, e secca complessione’). 2. Il lat. consolida è un calco del gr. σύμϕυτον, presente in Dioscoride e ripreso anche nella moderna denominazione scientifica linneana. Prime attestazioni: fior.a. (ma in una successione di genitivi latini) consolide maioris (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); sic.a. consolida maiuri (ante 1368, MascalciaRuffoVolg, TLIO s.v. consolida §1.1). Crusca pone a lemma la loc. consolida maggiore già dalla prima edizione. Cf. André (1985, 74), Aprile (2001a, 294),

García Gonzáles (2007, 401), Green (2009, 393), Ventura (2009, 388), Elsheikh (2016 II, 130), Zarra (2018, 507).

consolida minor ‘consolida più piccola delle c. maior e dai fiori violacei’ (Synphytum bulbosum Schimper)’ (276)

[TLL IV, 478]

consolica minore f.: R («la qualità della sua confetione è [...] radice di consolica maggiore e minore») 143v; consolida minore: B 64v ▲ Cf. s.v. consolida maior (2.). Il TLL (IV, 478) registra solo le loc. consolida maior e consolida mediana. L’unica testimonianza registrata dal TLIO (s.v. consolida §1.2) è il sic.a. consulta minori (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Loc. assente in Crusca (dove, però, si pone a lemma la loc. consolida maggiore già dalla prima ediz.). Cf. Ernst (1966, 166), García Gonzáles (2007, 401), Green (2009, 393), Ventura (2009, 390), Elsheikh (2016 II, 129), Zarra (2018, 507).

costum ‘costo (Saussurea costus Falc.), pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteraceae) (302) [TLL IV, 1085]

chosto m.: V («tu die trovare challamo ramaticho [...] zipari, chosto») 66v; costo: R 160v; ~: B 70v ▲ Il lat. costum, al pari dell’ar. qusṭ, deriva dal gr. κόστον o κόστος, «voce di origine sanscrita che indica, secondo Dioscoride, tre varietà, il costo detto arabico, quello d’India, e quello della Syria» (Elsheikh 2016 II, 134; cf. DEI II, 1135). Prima attestazione: fior.a. costo (1310, BencivenniSantà, TLIO). Voce presente da Crusca3 (‘sorta di radice medicinale’). Cf. Ineichen (1966, 111), André (1985, 76), Gleßgen

III Botanica e farmacologia 

(1996, 739), Aprile (2001a, 300), García Gonzáles (2007, 403), Green (2009, 394), Ventura (2009, 357).

cribellare ‘far passare attraverso un crivello, setacciare’ (3 occ.; 77) [cribello TLL IV, 1189]

1. crivell[are] vb.tr.: R («ongni cosa sia polveriççata et crivellata») 42v, 143v, 144r; crivel[are] (crivell[are]): B 19v, 65r 2. tamix[are] vb.tr.: V («tute queste chosse se polveriza e tamixalle e metele suxo») 21r, 62r (2) ▲ 1. Prima attestazione: gen.a. crivelar (ante 1311, AnonimoGenovese, TLIO s.v. crivellare). Voce presente da Crusca2 (‘nettar col crivello’). Cf. Green (2009, 394). 2. Il verbo tamisare è denominale dal sost. tamiso ‘setaccio’ (voce circoscritta all’area veneta; cf. DEI V, 3709 s.v. tamiso; Oudin 1643 s.v. tamis ‘sciamito, tamigio’ e tamiser ‘tamiggiare’; Veneroni 1749 s.v. tamigio; Bellone 2009, 33). Dal corpus OVI se ne ricava un’unica attestazione: ver.a. tamixare (sm. sec. XIV, GidinoSommacampagna, TLIO s.v. tamisare ‘passare al setaccio’).

crocus ‘zafferano’ (5 occ.; 56) [crocum, crocus TLL IV, 1215]

1. gruogo m.: R («appresso alla necessità si risolve con gruogo et colle predette cose») 31v (2), 124r, 127r 2. sofrano m.: B («alcuna volta apreso la necessitade el fi resolvuto lo sofrano») 14r (2), 55r, 57r; zafaran (zafarano): V 16r (2), 54v ▲ 1. La forma gruogo, testimoniata da R e diffusa soprattutto in area toscana, muove dal lat. mediev. grŏchum (cf. Sella 1937, 170), variante del lat. classico crocum/crocus (cf. DEI II, 1171 s.v. croco). Prima attestazione: sangim.a. grugo (ante 1238, AppuntiAcoppo, TLIO s.v. gruogo); cf. TLIO (s.vv. gruogo e croco).

 791

Voce presente da Crusca1 per la forma gruogo e da Crusca3 per croco. Cf. André (1985, 79), Marcovecchio (1993, 234), García Gonzáles (2007, 407), Green (2009, 394), Ventura (2009, 347), Elsheikh (2016 II, 137 e 175), Zarra (2018, 523). 2. Tra i principali arabismi di diffusione medievale (< ar. za῾farān: cf. DEI V, 4104; DELIN, 1844; FEW 19, 202). Prima attestazione: fior.a. zaferano (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, OVI). La voce zafferano è in Crusca2,3,4; va peraltro rimarcato che, proprio attraverso l’italiano, e in particolare tramite gli antichi traffici commerciali veneziani, essa entrerà come italianismo almeno nel ted. (cf. DIFIT s.v.; Wilhelm 2013, 210). Cf. Ernst (1966, 174), Ineichen (1966, 205 e 231), Gleßgen (1996, 839), Aprile (2001a, 534), Cortelazzo (2007, 1504), Tomasin (2010, 80), Castrignanò (2014, 215), Elsheikh (2016 II, 339).

cucurbita ‘zucca’ (3 occ.; 95) [TLL IV, 1283]

1. zucha f.: V («inpiastro de bollo armenicho [...] over zucha secha bruxada») 25r (2), 53r; ~: B 24r, 55r 2. cucurbita (chucurbite) f.: R («lo ’mpiastro cum aceto vel siro acetoso confettato overo cucurbita») 52r, 52v, 122v ▲ 1. Probabilmente da un lat. tardo cucutia, per metatesi sillabica (> *cozucca) e aferesi sillabica (DEI V, 4122); tuttavia, le difficoltà di questa interpretazione hanno spinto alla formulazione di ipotesi differenti, per le quali cf. il commento del DELIN, 1855. Prima attestazione: crem.a. çuca (sm. sec. XIII, PatecchioSplanamento, TLIO s.v. zucca). Voce presente da Crusca1. Cf. André (1985, 81 s.v. cucutia), Gleßgen (1996, 697 e 840), Elsheikh (2016 II, 341). 2. Voce scarsamente attestata nei testi antichi. All’interno del corpus OVI, il termine presenta appena due testimonianze: fior.a. cucurbite (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); pad.a. cucurbita (fine sec. XIV, Serapiom). Voce pre-

792 

 6 Glossario

sente in Crusca3,4,5. Cf. TLIO (s.v. cucurbita). Cf. André (1985, 80), García Gonzáles (2007, 407), Green (2009, 394), Ventura (2009, 361).

cuprum rosarum ‘rosa di rame, nome di varie specie di solfato’ (116) [Du Cange II, 660b]

chopi rossi genit.lat.: V («Un’altra medexina mollto mirabelle: tuo’ [...] arame bruxado, chopi rossi») 29r; cuporosso m.: R 29v ▲ Il termine lat. cuprum è la forma secondaria di cyprium, a sua volta dall’originaria loc. cyprium (aes) ‘(bronzo) di Cipro’; cf. Du Cange (II, 660b: ‘Latinis Cyprum, sive aes Cyprium, vel etiam quodlibet aes’); Marcovecchio (1993, 242: «Cuprum ha sostituito l’antichissimo aes, aeris [...] perché quest’ultimo copriva vari significati [...] ed era più equivoco»). Il DEI (II, 1097) registra la forma copparosa. Le uniche testimonianze ricavabili dai corpora OVI e ReMediA sono due forme univerbate: tosc.a. coperoso (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI); fior.a. choparossa (1364, RicetteRubertoBernardi); cf. TLIO (s.v. coperoso). Voce assente in Crusca.

curcuma ‘genere di piante appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae (Curcuma L.)’ (93) [TLL IV, 1480]

1. cocomer[o] m.: R («ricevi l’antimonio, la calcina, el cacumeneo, le balustie e cocomeri, overo corcumarum») 50v 2. curcum[a] f.: B («poy tolle antimomo, ramo brusato, balaustie, curcume») 23v ▲ 1. L’associazione tra cocomero (prima attestazione: fior.a. cochomeri, 1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO) e curcuma è un chiaro errore della tradizione, confermato dall’uso del genit.lat. corcumarum nella dittologia «cocomeri, overo corcumarum», che denota la mancata comprensione del termine originale.

2. Il lat. scientifico curcuma proviene dall’ar. kurkum (da confrontare col lat. crocus: DEI II, 1195). Nei corpora OVI e ReMediA si rintracciano soltanto due attestazioni: fior.a. curcuma/ curcumma (pm. sec. XIV, Pegolotti); pad.a. curcuma (fine sec. XIV, Serapiom); cf. TLIO (s.v. curcuma). Voce presente in Crusca3,4,5. Cf. Ineichen (1966, 114), Aprile (2001a, 303).

dactilus ‘frutto della palma da datteri (Phoenix dactylifera L.)’ (2 occ.; 153)

[dactylus TLL V 1, 3]

dactil[o] (datil[o]) m.: B («simelmente lo emplastro de figi sechi grassi o dactili, e maximamente cum letame de columbo») 38r, 50v; dattil[o]: R 81r, 112v; datall[o]: V 48v ▲ Dal gr. δάϰτυλος, con avvicinamento paretimologico, per la somiglianza della forma, all’omografo δάϰτυλος ‘dito’ (cf. DEI II, 1215, che segnala anche una forma latina mediev. datarus, «forma con r diffusa da Genova, scalo di questa merce orientale»; DELIN, 431; LEI XIX, 16); per il passaggio l > r nella forma ┌ dattero┐, cf. Rohlfs (1966–1969, §221). Prima attestazione: fior.a. datteri (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; cf. TLIO s.v. dattero). Voce presente da Crusca1 (s.v. dattero). Cf. Ineichen (1966, 116), André (1985, 86), Nystedt (1988, 219 s.v. dactillo), Aprile (2001a, 305), Barbato (2001a, 364), Ventura (2009, 406).

diapenidion ‘sorta di elettuario, a base di zucchero, usato soprattutto come rimedio per la tosse’ (37) [diapendium Du Cange III, 99c]

diapenidion m.: R («gli sia dato sì come è diapenidion, diadraganti et simile cose») 20r; dyapenidion: B 9r;442 pinidion: V 10v

442 Voce accompagnata dalla glossa e questa è una confectione.

III Botanica e farmacologia 

▲ Il lat. mediev. dyapenidium (Du Cange III, 99c: ‘Electuarium valens ad pectus’) viene dal gr. διὰ πενιδῶν (cf. DEI II, 1281 s.v. diapenidio, con rimando a pennito). Le uniche tre attestazioni citate dal TLIO (s.v. diapenidio) sono: fior.a. diapenidion (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); diapenidio (primi decenni sec. XIV, LibelloSanitàManuzzi); imol.a. diapenidion (1350–67, LibroSpezieria). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. diapenidio). Per la forma pinidion di V, cf. s.v. penidium.

diadragantum ‘elettuario a base di adragante’ (37)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. dragantum]

diedraganti m. : R («gli sia dato sì come è diapenidion, diadraganti et simile cose») 20r; dyadraganti: B 9r;443 indragantum: V 10v

▲ Il lat. mediev. dyadragantum (MLW III, 559) viene dal gr. διὰ τραγάκανϑα (cf. DEI II, 1276). Il termine diadragante indica sia la gomma adragante sia l’elettuario composto con lo stesso essudato ricavato dalla pianta dell’astragalo: in quest’ultima accezione sembra essere usato anche da Bruno. Prima attestazione: fior.a. diedragante (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. diadragante). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. diadragante). Non si rintracciano testimonianze di una forma indrag- di V. Cf. Aprile (2001a, 321), Elsheikh (2016 II, 143 s.v. diedraganto e 171 s.v. gomma adragante).

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dispumatus ‘schiumato, privato della schiuma formatasi con la cottura’ (2 occ.; 117) [despumo TLL V 1, 751]

despumado agg.: V («se chonfiza chon melle despumado») 29r; schiumat[o] (sclumat[o]): B 29v, 65r; spiumato (†): R 63r ▲ Dal lat. despumare. Prima attestazione: fior.a. dispumato (1310, RicetteLattovari, TLIO s.v. dispumato). Voce presente solo in Crusca4,5 (s.v. dispumato). Cf. Aprile (2001a, 494 s.v. spumato), Elsheikh (2016 II, 145).

distemperare ‘stemperare, sciogliere una sostanza solida in un liquido’ (5 occ.; 98) [distempero TLL V 1, 1512]

1. destenperar vb.tr.: V («tu die destenperar la toa medexina con axedo») 27v, 45r, 48v; distemper[are] (distemper[are]): B 25r, 27v, 36v, 47r, 50r; distenper[are]: R 78r, 103v; sten­ per[are]: R 53v, 111v 2. inpastar vb.tr.: V («inpastase in biancho d’uovo sì che non sia tropo dura nì tropo molle») 35v ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. distenperare (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. distemperare §1.2). Voce presente da Crusca1 (s.v. distemperare). Cf. Nystedt (1988, 221), Gualdo (1996, 199), Aprile (2001a, 318), Castrignanò (2014, 174), Elsheikh (2016 II, 145). 2. Prima attestazione: pis.a. impastare (1309, GiordPisaPredGenesi, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Nystedt (1988, 235 s.v. impastato).

distemperatus ‘di sostanza solida sciolta in un liquido’ (2 occ.; 291) [distempero TLL V 1, 1512] 443 Voce accompagnata dalla glossa zoè una [...] confectione.

destenperad[o] agg.: V («oio de smartela, zenere de rami de vide, chon axedo destenpe-

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 6 Glossario

radi») 64v (2); distemperato: B 68r (2); distenperato: R 5r,444 153r ▲ Prima attestazione: fior.a. distenperate (1310, BencivenniSantà, TLIO s.v. distemperato §2). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. distemperato). Cf. Castrignanò (2014, 174), Elsheikh (2016 II, 145).

dragantum ‘gomma adragante, gommoresina ricavata da leguminose del genere Astragalus’ (9 occ.; 67) [Forcellini II, 200; cf. → s.v. diadragantum]

draganti m.: R («Recipe [...] schiuma di pionbo, draganti, tutia») 42v; ~: V 21r, 28v, 48r, 62r (2); ~: B 17r, 18r, 19v, 36v, 50r, 64v, 65r (2); dragraganti: B 29r; draganto: R 143r; ~: V 18v, 19v, 35v ▲ Alterazione del lat. tragacantha (< gr. τραγάκανϑα, alla lettera ‘spina di capro’, nel senso di ‘spina selvatica’), nome delle piante (appartenenti alla sezione Tragacantha del genere Astragalus), da cui si estrae la gomma adragante (cf. DEI II, 1390 s.v. dragante2; DELIN, 61 s.v. adragante), che nella medicina antica è stata per lo più impiegata come emulsionante, al pari della gomma arabica. Prima attestazione: tosc.occid. traganti (sec. XIII, RicetteMedicheTosc, TLIO s.v. adragante; cf. anche s.v. gomma §1.1). Voce presente in Crusca3,4,5. Per la forma dragraganti di B cf. s.v. diadragantum. Cf. Ineichen (1966, 118), Marcovecchio (1993, 26 e 873 s.vv. adragante e tragacantha), Gleßgen (1996, 744), Gualdo (1996, 200), García Gonzáles (2007, 410 e 411), Green (2009, 395), Ventura (2009, 402), Castrignanò (2014, 175), Sosnowski (2014, 222), Elsheikh (2016 II, 77 s.v. adragante e 147 s.v. draganto). ♦ Loc. e collocazioni: – dragantum rubeum (96)

444 Ms.: difenperato.

dragaganti rosso m.: B («Recipe dragaganti rosso dramme xxxviiij [...]») 24v; draganti rossi: R 52v; ~: V 25r ▲ Non si rinvengono attestazioni in OVI e ReMediA. In epoca più tarda, la loc. si legge, invece, in qualche testo medico-farmaceutico cinque-seicentesco: tra le prime testimonianze a stampa rintracciabili da GoogleLibri, cf. Rositini (1588, 69v: «Recipe draganto rosso»).

dyaltea ‘rimedio medicamentoso a base di altea (Althea officinalis L.)’ (219)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] dialtee genit.lat.: R («unguento dialtee overo oglo di mulscelnino e di camamilla») 116v; dialtia: V 50r; dyaltea: B 52v ▲ Il lat. dialtia/dialtea (MLW III, 566) viene dal gr. δι’ἀλθείας/δι’ἀλθαίας (cf. DEI II, 1279). Voce ben attestata nei testi medici contenuti nel corpus OVI, anche nella forma m. dialteo; prima attestazione: fior.a. dialtee (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg; cf. TLIO s.v. dialtea); presente da Crusca1 (s.v. dialtea e dialteo). Cf. Green (2009, 395), Elsheikh (2016 II, 142 s.v. dialteo).

ebulus ‘ebbio, erba perenne del genere Sambuco (Sambucus ebulus L.)’ (56) [TLL V 2, 18]

1. ebuli genit.lat.: R («queste medicine sono buone, et suci appi, suci ebuli, vini mellis») 31r; ebulli: V 15v; ebulo m.: B 14r 2. enula f.: B («Recipe succo de api, succo de ebulo, zoè de enula») 14r445

445 Voce usata come glossa di ebulo (cf. 1.).

III Botanica e farmacologia 

▲ 1. Prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) ebuli (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. ebulo); LEI (E1, 76). La forma ebulo convive, in it.a., con l’allotropo ebbio (cf. TLIO s.v.). Voce presente in Crusca3,4,5 (ma già in Crusca1 nella forma popolare ebbio). Cf. Ineichen (1966, 119), André (1985, 92), Aprile (2001a, 323), García Gonzáles (2007, 380 s.v. cameactis), Green (2009, 395), Ventura (2009, 426), Elsheikh (2016 II, 148), Zarra (2018, 510). 2. Dal lat. inŭla (corrispondente al sost. gr. ἑλένιον, oggetto di metatesi, forse per accostamento al lat. inuleus ‘cerbiatto’ secondo l’ipotesi del DEI II, 1450), ‘enula, inula’, nome di varie specie di piante del genere Inula (Inula helenium L.). L’associazione di enula a ebulo, inserita in B a mo’ di glossa, appare pertanto impropria, e sarà frutto di un errore della tradizione dovuto all’assonanza tra i due termini. Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. enula). Cf. Ernst (1966, 167 s.v. gevolo, con suono palatale iniziale difficilmente spiegabile), Ineichen (1966, 121: «uno degli antidoti più importanti della farmacia medievale»), André (1985, 132 s.v. inula), Nystedt (1988, 225), Aprile (2001a, 325), Green (2009, 395), Ventura (2009, 410), Castrignanò (2014, 177), Elsheikh (2016 II, 151), Zarra (2018, 513).

electuarium ‘preparato farmaceutico ottenuto mescolando vari medicamenti con sciroppo e miele’ (3 occ.; 106)

 795

2. Il lat. tardo electuarium è di etimo incerto: potrebbe rappresentare la distorsione del gr. ἐλατήριον ‘lassativo’, ma il DEI (II, 1443) presuppone come base il gr. «ekleiktón (Ippocrate, Dioscoride) sinonimo di ékleigma medicina che si fonde in bocca [...], raccostato per etimol[ogia] popol[are] al lat. ēlēctus»; LEI (E2, 286: «Nonostante l’ambito colto medico e scientifico, nel quale la parola ha vissuto per i primi secoli, pare fuori di dubbio un intervento dal basso, probabilmente collegato alla diffusione tra il popolo di certe pratiche pseudomediche e dei ciarlatani. In questo senso vanno letti fenomeni fonetici e di ristrutturazione del corpo della parola»). Prima attestazione: ven.a. letoario (pm. sec. XIV, CinquantaMiracoli, TLIO s.v. elettuario), forma identica a quella testimoniata da V. Voce presente da Crusca1 (s.v. lattovaro; la forma cólta elettuario, invece, entra in Crusca3,4,5). Le rielaborazioni, principalmente di diffusione toscana, lattovario/lattovaro (il TLIO s.v. lattovario cita solo il sic.a. lactuariu di ThesaurusPauperumVolg al di fuori del contesto linguistico toscano), testimoniate da R, hanno probabilmente risentito di un’associazione paretimologica al sost. latte (e un accostamento al sost. lac-lactis è stata ipotizzata già per la variante latina elactuarium: cf. LEI E2, 286). Cf. Ineichen (1966, 239), Nystedt (1988, 224), Marcovecchio (1993, 309), Gualdo (1996, 160), Sboarina (2000, 259), García Gonzáles (2007, 412), Green (2009, 395), Tomasin (2010, 53), Castrignanò (2014, 176), Elsheikh (2016 II, 193 s.v. lattovario).

[electarium TLL V 2, 328]

1. chonfeto m.: V («farà questo chonfeto: tuo’ alleganego, pomelle de anzipreso») 62r, 62v 2. electuario (ellectuari[o]) m.: B («se lo infirmo fosse debile cossì che ello non potesse recivere li ellectuarij nì pilluli, fiza purgato cum questa medicina») 26v, 65r; letoario: V 27v; lattovario (lattovaro): R 57v, 144v (2) ▲ 1. Prima attestazione: mil.a. confegi (1270– 80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. confetto §4.2). Voce presente da Crusca1.

elleborus albus ‘veratro, pianta rizomatosa tossica, appartenente alla famiglia delle Liliaceae (Veratrum album L.)’ (3 occ.; 118) [TLL V 2, 395]

1. elebori albi genit.lat.: R («Recipe elebori albi, aristologgie, centaure») 63v; eleboro biancho m.: V 29v; ~: B 29v (2), 53r; elebro bianco (elleboro bianco): R 63v, 118v

796 

 6 Glossario

2. voladro m.: B («Recipe eleboro, zoè voladro, biancho, aristologie, centaurea, radice de scolependria») 29v ▲ 1. Dal gr. ἑλλέβοϱος, interpretato come ‘cibo di cervo’ (ἑλλός ‘cervo’ e βορά ‘cibo; cf. DEI II, 1450; DELIN, 514; LEI E2, 371; Nocentini 2010, 371). L’elleboro bianco era tradizionalmente distinto, anche nella farmacologia araba, dall’elleboro nero, di cui non si fa menzione nella Chirurgia di Bruno: nella medicina medievale entrambe le tipologie erano usate soprattutto come emetici, ma in Bruno ricorrono come ingredienti di composti impiegati per altri scopi. Prima attestazione: mant.a. elebor (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. elleboro); più nello specifico, per la loc. elleboro bianco, la prima attestazione registrata dal TLIO è il fior.a. elleboro albo (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie). Voce presente da Crusca1 (la distinzione tra elleboro bianco e nero è chiarita già nella definizione: ‘Erba nota medicinale, ed è di due spezie, bianco, e nero’). Cf. Ineichen (1966, 120), André (1985, 94), Marcovecchio (1993, 310 e 418), Gleßgen (1996, 738), Aprile (2001a, 324), Barbato (2001a, 377), García Gonzáles (2007, 413), Green (2009, 395), Ventura (2009, 420), Castrignanò (2014, 176), Elsheikh (2016 II, 148), Zarra (2018, 511). 2. La forma voladro sembra costituire una distorsione del sost. veratro (cf. la variante con laterale veladro segnalata dal DEI V, 4016 s.v. veratro), dal lat. veratrum ‘elleboro’. Voce non attestata in OVI e ReMediA; presente in Crusca3,4 (s.v. veratro). Cf. André (1985, 269), Marcovecchio (1993, 914 s.v. veratrum), García Gonzáles (2007, 564 s.v. vellatrum), Ventura (2009, 420).

1.b. embrocatione f.: B («la embrocatione è bona») 14r, 58v (2) 2. inpiastro m.: V («Anchora un altro inpiastro chon farina d’orzo») 16r, 56r (2) ▲ 1.a. Dal gr. ἐμβϱοχή (cf. DEI II, 1459 s.v. embroca). Non si rintracciano testimonianze della forma brocco, che andrà verosimilmente ritenuta come frutto di un errore della tradizione. Il TLIO registra, poi, due sole testimonianze del sost. embroca: tosc.a. ~ (XIV sec., MaestroBartolomeo); embrocche (XIV sec., MesueVolg); a queste si può aggiungere il fior.a. embroca (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI). Il lemma embrocca/embroca compare solo in Crusca5. Cf. García Gonzáles (2007, 415). 1.b. Cf. s.v. embrocatio (2.a.). 2. Cf. s.v. emplastrum (1.b.).

embrocare ‘medicare con embrocazioni’ (2 occ.; 173) [embroco TLL V 2, 453]

1. bagnare vb.tr.: V («bagna chon aqua chalda») 64r 2. embroc[are] vb.tr.: B («besognia che ti onzi lo loco cum oleo violato e cum bagnio, e che ti embrochi quello de aqua calda») 42v, 66v; fare la inbroca (fare la ’nbroca): R 92v (2),446 148v 3. get[are] vb.tr.: V («geta de l’aqua chalda asé, tanto che la dureza se retificha») 41r

[embroc(h)a TLL V 2, 453]

▲ 1. Cf. TLIO (s.v. bagnare §1 ‘cospargere d’acqua o di altro liquido, inumidire; immergere, spruzzare’; si veda, in particolare, l’es. tratto da MascalciaRusioVolg, dove il verbo è usato nella stessa accezione qui esaminata: «bangnare lu loco dove è la infermitate»). Cf. Aprile (2001a, 260), Elsheikh (2016 II, 98). 2. Del verbo embrocare, denominale da embroca (cf. s.v. embroca 1.a.; DEI II, 1459 s.v. embroca), il TLIO registra solo due attesta-

1.a. brocco m. (†): R («si è brocco a saldare lo dolore») 31v; embroc[a] f.: B 14r; inbroca: R 31v, 131r (2)

446 Ms.: la ’nbroc (cf. s.v. embrocatio).

embroca ‘embrocazione, preparazione a base di sostanze oleose e grasse’ (4 occ.; 56)

III Botanica e farmacologia 

zioni (tosc. embrocca, imbroccarlo), entrambe tratte da MesueVolg (XIV sec.). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. embroccare). Cf. Elsheikh (2016 II, 149 s.vv. embrocare, embroncare e 181 s.v. imbrocare). Per il sost. inbroca di R, cf. s.v. embrocatio (2.b.). 3. Cf. TLIO (s.v. gettare §1.5.7), Aprile (2001a, 348), Elsheikh (2016 II, 170).

embrocatio ‘embrocazione, preparazione a base di sostanze oleose e grasse’ (11 occ.; 45)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. embroca]

1. distillatione f.: B («al fiza administrato [...] embrocatione, zoè distillatione, de farina de formento») 12r, 24r, 24v, 37v 2.a. brocatione f.: R («s’apparechi la cataplasma che mollifichi et maturi, et sì come la brocatione della farina») 28r; embrocatione: B 11r, 12r, 24r, 24v, 34v, 37v (2), 38r, 38v, 42v, 62r; enbrocatione (enbrecatio; inbroccatione): R 52v,447 73v, 92v, 137v 2.b. inbrocca (’nbrocca; ’nbrocha) f.: R («alora abisongna la ’nbrocca448 coll’acqua calda») 80v, 81r, 82r 3. infusione f.: B («fiza curati cum li cosi che apadimeno li dolori, overo cum embrocatione, zoè infusione, alta de oleo caldo») 11r 4. inpiastro m.: V («se meta suxo medexina molifichativa e madurativa, sì chomo inpiastro de farina de formento») 14r, 59r 5. lavacione f.: V («quele chose che fa pro a quelle si è lavacione da quelle che refreda e secha») 24v; lavanda: V 25r 6. oncione f.: V («oncione de ollio roxado e oio de chamamilla») 33v; untione: R 25r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. distillationi (1324, CeffiStoriaTroia, TLIO s.v. distillazione). Voce presente da Crusca1 (s.v. distillazione). Cf.

447 Ms.: embrecatione. 448 Ms.: ’nbronca.

 797

Gualdo (1996, 200: distillato), Elsheikh (2016 II, 145). Si vedano anche le traduzioni del lat. instillatio (1.). 2.a. Il lat. mediev. embrocatio (MLW III, 1217) è un der. e sinonimo di embroca (cf. s.v.; DEI II, 1459 s.v. embroca). Prima attestazione: fior.a. embrocazione (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. embrocazione). Cf. Marcovecchio (1993, 312), Gualdo (1996, 161), Elsheikh (2016 II, 181 s.v. imbrocatione). 2.b. Cf. s.v. embroca (1.a.). 3. Nei testi trecenteschi presenti nel corpus OVI, il termine infusione ha significato principalmente teologico (‘immettere nello spirito’; cf. le prime attestazioni, tutte da DanteConvivio: «infusione della bontà divina», «celestiale infusione», «divina infusione»). Le uniche tre attestazioni nel significato qui esaminato sono: tosc.a. infusione (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. infusiom/infusion (fine sec. XIV, Serapiom); sab.a. infusione (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Voce presente da Crusca1. Cf. Sboarina (2000, 261). 4. Cf. s.v. emplastrum (1.b.). 5. Per lavanda, il TLIO registra, come significato principale, quello medico di ‘liquido in cui ci si lava o atto stesso del pulire tramite lavaggio’: tutti e tre i contesti riportati (prima attestazione: trevig.a. lavanda, pm. sec. XIV, Lapidario), ancor più precisamente, usano il termine per indicare una sostanza costituita da liquido detergente o medicamentoso. Per lavazione, le uniche testimonianze presenti in OVI e ReMediA in àmbito medico appartengono al sab.a. di MascalciaRusioVolg (fine sec. XIV). Il lemma lavanda è accolto da Crusca1 (ma con semplice rimando a lavatura limitatamente a Crusca1,2,3), al pari di lavazione. Cf. Ineichen (1966, 240), Nystedt (1988, 239), Marcovecchio (1993, 498), Gualdo (1996, 168), Sboarina (2000, 261). 6. Il termine unzione è ben testimoniato, nei corpora OVI e ReMediA, con specifico riferimento all’apposizione di impiastri e medicamenti (anche se prevalgono nettamente le testimonianze relative alle unzioni rituali

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 6 Glossario

della liturgia cattolica). Prima attestazione: unçione (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (con la definizione generica di ‘l’ugnere’). Cf. Ineichen (1966, 247).

emplastratio ‘impiastro, unguento’ (2 occ.; 95) [TLL V 2, 531]

1.a. empiastro (emplastro) m.: B («lo empiastro de li folij de la acetosa buliti cum lo vino») 24r (2); inpiastro: V 24v, 25r 1.b. inplastratione f.: R («seme di rose e similglantemente la inplastratione di fogla acetose») 52r449 ▲ 1.a. Cf. s.v. emplastrum (1.b.). 1.b. Termine scarsamente attestato nel corso del Trecento (cf. DEI III, 1962 s.v. impiastro). Il TLIO (s.v. impiastrazione) ne riporta soltanto due testimonianze: fior.a. impiastrazioni (primi decenni XIV sec., LibroSegreteCoseDonne); tosc.a. ~ (XIV sec., MesueVolg). Voce  presente solo in Crusca4,5. Cf. Gualdo (1996, 161).

emplastrum ‘preparato medicamentoso per uso esterno, consistente in un miscuglio di sostanze’ (66 occ.; 36) [TLL V 2, 531]

1.a. emplastratione f.: B («E sopra lo loco se faza emplastratione cum frigidi herbi de orto triti») 30v, 67r 1.b. emplastro (empiastro) m.: B («el se disicci, overo cum emplastri de fora metuti overo cum potioni») 9r, 10v, 11r (2), 13v, 15v, 16r, 17v (2), 21r (3), 23v, 24v (2), 25v, 34v, 36v (3), 37v (2), 38r (2), 38r, 38v, 39r, 39v, 40v, 43v, 44r (2), 44v, 45v (3), 46r, 46v, 48r, 48v (2), 52v, 449 Ms.: inplastatione.

55v, 57r, 59r, 60r (2), 60v (4), 61v (3), 64v (2), 65r (3); inpiastro (enpiastro; impiastro; ’npiastro): R 19r, 24r, 24v (2), 29v, 34v, 35r, 38v, 38v, 39r, 46r, 50v, 52r, 52v (2), 54v, 66r, 73v, 78r (2), 79r, 81r (2), 82r, 83r, 84v, 85r, 87r, 94v, 96r, 96v, 98r, 100r (3), 101r, 103v, 106v, 107r, 107v, 116v, 123v, 127r, 131v, 134r (2), 134v (5), 136v (3), 143r, 143v (2), 144r (2), 150v; ~ (enpllastro): V 10r, 11v, 12r, 12v (2), 15r, 17r, 17v, 19r (2), 22v (2), 24v, 25r (2), 26r, 30v (2), 33v, 35r, 35v (4), 36v, 37r (2), 37v, 38r, 41v, 42r (2), 42v, 43v (3), 45r, 46r (3), 46v (2), 53v, 54v, 56r, 57v (6), 58v (2), 62r (4) 2. medicina f.: B («questa medicina non fiza metuda se non tepida») 11r ▲ 1.a. Cf. s.v. emplastratio (1.b). 1.b. Prima attestazione: sen.a. impiastro (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ernst (1966, 168), Ineichen (1966, 239), Tomasoni (1986b, 235), Nystedt (1988, 225), Marcovecchio (1993, 315), Aprile (2001a, 361), Gualdo (1996, 165), García Gonzáles (2007, 418 s.v. epithima), Green (2009, 395), Castrignanò (2014, 177), Elsheikh (2016 II, 181). 2. Cf. s.v. cataplasma (2.).

endivia ‘indivia, scarola, pianta commestibile appartenente alla famiglia delle Asteraceae (Cichorium endivia L.)’ (3 occ, > 231)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] divia f.: R («Le medicine da capo repercussive sono sì come [...] divia, portulaca») 122v; endivia: B 55r, 73r (2); indivia: R 171v; ~: V 53r, 69r ▲ Il lat. endivia (MLW III, 1272) viene dal gr. mediev. ἐντύβι, gr. tardo ἐντύβιον (al pl. ἐντύβια: DEI III, 2005); cf. TLL (VII 2, 14: intibus) e Du Cange (IV, 402b: intiba); non è convincente, come notato dal DELIN, 765, l’ipotesi di una derivazione romanza del termine dalla penisola iberica, presupposta dal DECH (II, 606) poggiando, peraltro, su una prima

III Botanica e farmacologia 

attestazione registrata molto tardi (1475). Prima attestazione: fior.a. endivia (1310, RicetteLattovari, OVI). Voce presente da Crusca1 (con la definizione generica di ‘erba nota’). Per la forma aferetica divia di R, cf. tosc.a. divia (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI). Cf. Ineichen (1966, 121), Cortelazzo (1970, 117), André (1985, 94), Nystedt (1988, 225), Castellani (2000, 201), García Gonzáles (2007, 416), Ventura (2009, 407), Castrignanò (2014, 177), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 150), Zarra (2018, 513).

epithimare ‘applicare unguenti e cataplasmi sul corpo’ (3 occ. > 29)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. epithim[are] (epithem[are]) vb.tr.: B («el loco fiza epithemato cum oleo rosato e clara de ovo») 7r, 24v, 39r, 39v, 56v 2. inpiastr[are] vb.tr.: R («impiastra lo luogo con l’olio rosato e llo albume dello uovo») 15v, 126r 3. metere intorno vb.sint.tr.: V («meti intorno medexine reperchusive sì chomo bollo armenicho») 54v; metere suxo: V 8v ▲ 1. I dizionari latini registrano il sost. epithema (dal gr. ἐπίϑεμα: TLL V-2, 689), ma non la forma verbale derivata, che compare però nel MLW (III, 1329 s.v. epihemo). L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il fior.a. epittimato (pm. sec. XIV, CrescenziVolg), se questa forma va effettivamente interpretata come part. perf. del verbo epitimare e non, come invece sembra più probabile alla luce del contesto («A quel medesimo vale il sugo epittimato. E se non puoi aver le foglie, cuoci in acqua il seme dell’erba pesto»), quale agg. relativo al sost. epitimo ‘(sugo) composto con foglie di epitimo’. Voce assente in Crusca. Cf. DEI (II, 1503 s.v. epittima), LEI (E3, 546), Ineichen (1966, 122), Nystedt (1988, 225), Castrignanò (2014, 177), Elsheikh (2016 II, 150 e 151). 2. Cf. s.v. cataplasmare (2.). 3. Cf. s.v. assiduatio (3.a.).

 799

epithimum ‘pianta parassita che cresce sul timo, appartenente al genere cuscuta (Cuscuta epithymum L.)’ (122) [epithymon TLL V-2, 691]

epithimo m.: B («lo suo ventro fiza purgato cum decoctione de epithimo o catartici imperiali») 30v; epitimi: V 30v; pittamo: R 65v ▲ Dal gr. ἐπίϑυμον, «passato al Medioevo colla traduzione di Filagrio» (DEI II, 1502); LEI (E3, 548). Termine discretamente attestato nei testi medici medievali; prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) ephitimi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. epitimo). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 122), André (1985, 95), García Gonzáles (2007, 418), Green (2009, 395), Ventura (2009, 409), Tomasin (2010, 54), Sosnowski (2014, 222), Elsheikh (2016 II, 151).

euforbium ‘euforbio, gommoresina contenuta nel lattice di alcune Euforbiaceae, usata per la preparazione di vescicanti’ (5 occ.; 42) [euphorbium TLL V 2, 1075]

euforbi m.: B («ge ministrava la tormentina confecta cum un poco de euforbi») 10v (2); euforbij: R 174r; euforbio: R 23r (2), 23v (2), 174r; ~: V 11v (3), 12r, 69v (3); ~: B 10r, 10v, 74r, 174r ▲ Dal gr. εὐϕόρβιον: il lat. euphorbium designa essenzialmente la resina ricavata dalla pianta di euforbia (lat. euphorbea; TLL V 2, 1075: ‘nomen herbae cuiusdam sucosae in Mauretania imprimis nascentis, quam ex Euphorbo Iubae regis medico appellatam tradunt’; cf. DEI II, 1566 s.vv. euforbia e euforbio; DELIN, 549 s.v. euforbia): anche in it.a., il sost. m. euforbio indica la resina (più in generale, «in Europa kannte man von dieser Spezies bis ins 15 Jh. unter dem Namen euphorbium [...] nur den Milchsaft, nicht die Stammpflanze»: Gleßgen 1996, 749). Prima attestazione: fior.a. euforbio (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg,

800 

 6 Glossario

TLIO). Voce presente da Crusca1 (fino alla terza ediz. il nome è correlato etimologicamente con quello del medico Euforbio, secondo quanto osservato dal TLL; cf. la definizione di Crusca1: ‘Veleno fatto d’un sugo, o d’una gomma d’un albero, detto così da Euforbio medico del Re Iuba, che ne fu lo ’nventore’). Cf. Ernst (1966, 169 s.v. oforbio), Ineichen (1966, 124), André (1985, 99), Gualdo (1996, 201), Aprile (2001a, 327), García Gonzáles (2007, 421), Green (2009, 395), Ventura (2009, 412), Castrignanò (2014, 177), Sosnowski (2014, 230 s.v. uforbio), Elsheikh (2016 II, 153), Zarra (2018, 516).

faba ‘fava’ (7 occ.; 44) [TLL VI 1, 2]

fava f.: R («inpiastro di farina d’orzo overo di fave») 24v, 37v, 64r, 123r, 134v, 150v; ~: V 12v, 18v, 29r, 30r, 53r, 57v; ~: B 11r, 17r, 30r, 55r, 60v, 67r ▲ Prima attestazione: venez.a. fava (uq. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 125), André (1985, 101), Nystedt (1988, 227), Aprile (2001a, 334), García Gonzáles (2007, 423), Green (2009, 396), Ventura (2009, 449), Elsheikh (2016 II, 156), Zarra (2018, 516).

faex ‘deposito lasciato da varie sostanze e dalla loro lavorazione, usato per la composizione di medicamenti’ (2 occ.; 42) [TLL VI 1, 169]

feza f.: V («Anchora la feza sola della zera o chon uno pocho de euforbio alguna fiata se ne meta») 11v, 24v; ~: B 10v, 24r ▲ Il termine latino faex è usato, nella Chirurgia di Bruno, in relazione ai sostantivi cera e oleum. La forma feza di V e B, al pari del tosc. feccia, deriva dal lat. tardo faecia (DEI III, 1611). Cf. TLIO (§1.2 s.v. feccia ‘prodotto di

scarto’; il significato principale e più ricorrente è quello di ‘deposito che si forma sul fondo delle botti a mano a mano che il vino si chiarifica’). Voce presente da Crusca1.

fenugrecum ‘pianta della famiglia delle Fabaceae, sottofamiglia delle Faboidee (Trigonella foenumgraecum L.); seme della stessa pianta’ (10 occ.; 55) [faenugraecum TLL VI 1, 165]

fen greco (feno greco) m.: B («Li medicini fazant nascere la puzura sono como è formento masticato, malvavisco, semenza de lino, feno greco») 14r, 34v, 37v, 55r, 57v, 60r (2), 61v; fen griego: V 15v, 33v, 51r, 53r, 55r, 57r, 57v (2), 58v; fieno greco: R 31r, 73v, 81r, 118v, 123r, 128r, 133v, 134r, 134v, 136r ▲ DEI (III, 1635: «denomin[azione] passata dalla terminol[ogia] botanica e medica medioevale alle lingue neolatine, alle germaniche e all’a. irl[andese] (pis gregach)». Prima attestazione: sen.a. fieno greco (dopo il 1303, StatutoGabellaAdd, TLIO §1.1 s.v. fienogreco). Voce presente da Crusca4,5. Nella Chirurgia di Bruno, per quanto è possibile desumere dai contesti, non sempre sicuri, il termine è usato sia per indicare la pianta sia il suo seme. Cf. Ineichen (1966, 126), André (1985, 103), Gleßgen (1996, 750), Aprile (2001a, 335), García Gonzáles (2007, 425), Green (2009, 396), Ventura (2009, 442), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 159), Zarra (2018, 518).

feniculum ‘finocchio (Foeniculum vulgare Mill.), pianta erbacea della famiglia delle Apiaceae’ (302) [Forcellini II, 449]

feniculo m.: R («lle medicine da aprire [...] col sugo dell’appio overo del feniculo») 160v; fenochio: V 66v

III Botanica e farmacologia 

▲ La forma comune ┌finocchio┐ deriva da un lat. tardo fēnuculum per il class. fenicŭlum o foenicŭlum. Termine ben attestato fin dal Duecento; prima attestazione: abr.a. finociu (sec. XIII, Proverbia, TLIO s.v. finocchio). Voce presente da Crusca1 (s.v. finocchio). La forma dotta feniculo presente in R è testimoniata, in OVI, da soli tre testi: fior.a. (ma sempre in contesti di genitivi latini) fenicoli/feniculi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); mant.a. fenicol (1299/1309, Belcalzer, OVI); aret.a. (ma anche qui in un contesto di genitivi latini) feniculi (1340–60, FioriMedicina, OVI). Cf. Ineichen (1966, 126), André (1985, 103), Nystedt (1988, 228), Gleßgen (1996, 750), Aprile (2001a, 339), Barbato (2001a, 385), García Gonzáles (2007, 474 s.v. maratrum), Green (2009, 396), Ventura (2009, 440), Castrignanò (2014, 180), Elsheikh (2016 II, 160), Zarra (2018, 518).

fimus ‘letame, sterco, usato per preparare medicamenti’ (4 occ.; 153) [TLL VI 1, 766; cf. → s.v. stercus]

1. letame m.: R («Recipe letame di colonbo e ardelo») 172v; ~: B: 38r, 73v 2. nosa f.: V («anchora inpiastro de fige seche, e nosa de chollonbino») 37r 3. stercho m.: V («tuo’ pegolla liquida e oio antigo, stercho de cholonbo») 57v (2); sterco: R 81r, 134v; stercora f.: B 60v (2) ▲ 1. Prima attestazione: sen.a. letame (1233– 43, MattasalàSpinello, TLIO). Voce presente da Crusca1. 2. Cf. s.v. egestio (5.: sezione 2). 3. Cf. s.v. stercus. Per la forma stercora, cf. anche s.v. egestio (6.: sezione 2).

flos aeris ‘ossido di ferro o di rame, oppure di entrambi commisti’ (8 occ.; 36) [TLL VI 1, 933; cf. → s.v. viridis aes]

1. fiore de ramo: B («E guarda secondo lo tuo sapere che ti non mondifici la piaga cum medi-

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cina acuta, como è fiore de ramo e simili cosi») 9r, 17r, 24r, 25v (2), 27r, 29r, 29v, 59r; flos eris (fiori d’eris; fiori heris; floris eris genit.lat.): R 19v, 51r, 54r, 54v, 62r, 63v, 131v 2. verderame m.: V («no li meter el verderame») 10v, 19r, 24v (2), 26r (2), 27v, 28v, 29v ▲ 1. Non si registrano locuzioni analoghe all’interno dei corpora OVI e ReMediA. Cf. TLIO (s.v. fiore §2.1. ‘la parte più pura o più pregiata di una sostanza o di un prodotto’), con attestazioni relative, però, ad altri elementi chimici (tosc.a. fiore di calcina: pm. sec. XIV, PalladioVolg; cast.a. fior de l’oro: pm. sec. XIV, Moscoli). Cf. Testi (1980, 85: ‘ossido di rame capillare’). 2. Termine composto da verde e rame e ben attestato nei testi trecenteschi contenuti nel corpus OVI. Prima attestazione: fior.a. verderame (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. verderame). Cf. Ineichen (1966, 226), Gleßgen (1996, 871), Aprile (2001a, 527), Elsheikh (2016 II, 332).

galbanum ‘gommoresina ricavata da alcune piante del genere Ferula’ (5 occ.; 69) [TLL VI 2, 1670]

galbana f.: V («meti uno puocho de galbana tanto che se desolva») 19r, 55r, 57r, 62r; galbano (gabano) m.: R 128r, 133v, 134v, 143v; ~: V 57v; ~: B 17v, 57v, 60r, 60v, 64v ▲ Dal gr. χαλβάνη, voce di origine semitica (DEI III, 1749). Prima attestazione: fior.a. galbano (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Non si rinvengono, in OVI e ReMediA, testimonianze della forma femminile galbana documentata da V. Voce presente da Crusca1 (s.v. galbano). Cf. Ineichen (1966, 130), André (1985, 108), Marcovecchio (1993, 381), Gleßgen (1996, 755), Gualdo (1996, 202: galbina), Aprile (2001a, 346), García Gonzáles (2007, 433), Green (2009, 397), Ventura (2009, 462), Tomasin (2010, 56), Castrignanò (2014, 181), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 165), Zarra (2018, 519).

802 

 6 Glossario

galla ‘cecidio che si forma sulla superficie della quercia e dal quale si ricava una polvere ricca di tannino, usata per la produzione di unguenti e tinture’ (13 occ.; 68) [TLL VI 2, 1679]

galet[a] (gallet[a]) f.: B («Li medicini consolidativi [...] sono como è [...] balaustie, gallete») 17v, 51r, 51v, 65r; galla: R 38r, 39r, 50v, 52v, 114r, 126r, 143v, 144r; gall[a] (gala): B 17v (3), 18r (4), 23v, 24v, 56v; gall[a] (gala): V 18v, 19r (2), 24r (2), 25r, 54v, 62r (2) ▲ Prima attestazione: ver.a. galla (fine sec. XIII, GrammLatVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. galla: ‘Propriamente val ghianda, ma si piglia anche comunemente per ogni gallozza’). Il cecidio di quercia era usato soprattutto come astringente sulle mucose e cicatrizzante per le ferite. Quanto alla forma alterata galeta di B, va rilevato che con galleta s’indica oggi piuttosto l’erba galletta (o semplicemente galletta), erba perenne delle leguminose (Lathyrus pratensis L.), usata soprattutto come foraggio per cavalli e ovini. Cf. Ineichen (1966, 130), Gleßgen (1996, 755), Aprile (2001a, 346), García Gonzáles (2007, 433), Green (2009, 397), Ventura (2009, 470), Elsheikh (2016 II, 165).

gariofolum ‘garofano (Dianthus caryophyllus L.); bocciolo del fiore di tale albero, usato come spezia e come medicinale una volta essiccato’ (2 occ.; 210) [gariofilum Du Cange IV, 33c]

garofall[o] m.: V («Rezipe zinamomo, garofalli, noxe muschade») 48v (2); gherofan[o]: R 112r (2); garofol[o] (gariofol[o]): B 50v (2) ▲ Dal gr. καρυόϕυλλον, adottamento paretimologico di una voce indiana di origine dravidica (cf. DEI III, 1766; DELIN, 637; Nocen-

tini 2010, 482). Prima attestazione: mant.a. garofay (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. garofano). Voce presente da Crusca1 (con la definizione generica di ‘aromato noto’). Nelle due occorrenze presenti nel testo di Bruno ci si riferisce alla polvere ricavata dall’essicazione del bocciolo e mescolata insieme ad altre per la preparazione di composti. Per le varianti garofalo e garofano, cf. Zarra (2018, 520: «La forma garofalo è riconducibile al lat. med[ievale] garofalus [...] ed è documentata quasi esclusivamente in area settentrionale, mentre la forma garofano appare maggioritaria nella Toscana»). Cf. Ineichen (1966, 132), Nystedt (1988, 231), Mancini (1994, 837), Gleßgen (1996, 756), Aprile (2001a, 347), García Gonzáles (2007, 434), Green (2009, 397), Ventura (2009, 456), Castrignanò (2014, 181), Elsheikh (2016 II, 166).

gerapigra ‘specie di ellettuario composto da molti ingredienti’ (194) [Du Cange IV, 70c]

gerapighera f.: R («è necessario di purgare el capo con [...] pillole di gerapighera») 103v; yerapigra: B 47r; giera: V 45r450 ▲ Dal gr. ἱερὰ πιϰρά (voce composta dall’agg. f. ἱερὰ ‘sacra’ e dal sost. πιϰρά ‘amara’: la combinazione risale, nello specifico, a Galeno, e viene poi anche tradotta in ar.: cf. DEI III, 1789; Elsheikh 2016 II, 168). L’ediz. lat. Hall (1957) attesta, in alcuni mss. latini, anche la variante yerapigra, da cui potrebbe allora dipendere la forma analoga di B. Prima attestazione: fior.a. yera pigra (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. gerapigra). La forma con epentesi vocalica gerapighera, documentata in R, trova conferma in una testimonianza analoga di area fiorentina (1359–63, LibroSTrinita, TLIO).

450 Forse dipendente dalla variante gerapigra, che si trova in un ramo della tradizione latina.

III Botanica e farmacologia 

Della forma giera di V non si rinvengono attestazioni in OVI e ReMediA. Voce presente soltanto in Crusca5. Cf. Ineichen (1966, 239), García Gonzáles (2007, 450 s.v. yera), Green (2009, 415).

gipsum ‘gesso’ (3 occ.; 76) [gypsum TLL VI 2, 2383]

gipsi m.: R («Recipe calcina viva e sangue di dragone, gipsi, aloe, oncenso») 42v (2); gipso: B 19v (2); zeso: V 20v, 62r ▲ Dal gr. γύψος (DEI III, 1794); la forma comune ┌gesso┐ deriva dal lat. mediev. gessum, variante del class. gipsum. Prima attestazione: roman.a. gesso (metà sec. XIIIca., MiracoleRoma, TLIO); l’unica testimonianza contenuta in OVI nella quale si osserva la conservazione del nesso latino -ps- è il sic.a. gipsu (ante 1368, MascalciaRuffoVolg). Voce presente soltanto da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 392 e 409), Aprile (2001a, 350), García Gonzáles (2007, 436), Green (2009, 398), Elsheikh (2016 II, 168).

gluten ‘colla derivante da fonti diverse’ (77) [TLL VI 2, 2110]

1. cola (colla) f.: B («Recipe colcotar dramme xx; incenso minuto drame xvj; aloes, cola, pisio, ana dramme viij») 19v, 23r 2. glotino m.: V («un’altra medexina chonponuda: tuo’ [...] aloe, glotino») 21r ▲ 1. Alla base del lat. *colla c’è il gr. κόλλα (DEI II, 1010). Prima attestazione: fior.a. colla (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO s.v. colla 1). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 107), Gleßgen (1996, 672), Gualdo (1996, 156), Aprile (2001a, 287), García Gonzáles (2007, 398), Elsheikh (2016 II, 125). 2. Termine scarsamente attestato nel corso del Trecento: l’unica testimonianza registrata dal TLIO (s.v. glutine) è il pad.a. (ma si tratta di conservazione del nominativo latino) gluten (fine

 803

sec. XIV, Serapiom). Voce presente in Crusca3. Non sembra avere grande diffusione, neppure in epoca successiva, la forma metaplastica documentata in V, per la quale si veda Gleßgen (1996, 672). Cf. Ineichen (1966, 133), Marcovecchio (1993, 398), García Gonzáles (2007, 429 s.v. colla). ♦ Loc. e collocazioni: – glutinum albotim ‘resina di lentisco o di terebinto’ (66) [glutinum TLL VI 2, 2116] 1.a. glutina f.: V («altre medexine [...] chomo [...] limage, pollio, glutina de pesse») 24r; glutino m.: B 16v; gluttinum: R 49v 1.b. glutino albutino m.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo [...] foie de pantafillo chon melle, glutino albutino») 18r; glutinum alboti: R 37r ▲ 1.a., 1.b. Il lat. glutinum albotim è accompagnato nell’originale di Bruno dalla glossa generica id est gummi cuiusdam arboris. Il termine albotim (dall’ar. al-buṭm: cf. Ineichen 1966, 56: «il termine albotin [...] introduce un criterio di classificazione proprio della farmacologia araba») è attestato dal TLIO soltanto nel pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV: forme albotim e albotin); cf. Gleßgen (1996, 759). In OVI e ReMediA non si hanno attestazioni del sost. f. glutina, con metaplasmo di declinazione, né del m. glutino (per il quale cf. supra). – glutinum piscium ‘colla di pesce’ (91) [glutinum TLL VI 2, 2116] colla de li pessi: B («de quelli [scil.: medicini creativi] è [...] antimonio brusato, limace brusate, colla de li pessi») 23r; glutina de pesse: V 24r; gluttinum piscium: R 49v ▲ La loc. latina è calcata sul gr. ἰχϑυόκολλα, presente in Dioscoride; DEI (II, 1011 s.v. colla di pesce). Il TLIO (s.v. colla §2) attesta la loc. colla di pesce in due testi fiorentini del Trecento (1310, BencivenniSantà; pm. sec. XIV, Pegolotti). La colla di pesce, ricavata in origine

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 6 Glossario

dalle vesciche natatorie di alcuni pesci, è divenuto successivamente un noto addensante naturale per alimenti, mantenendo questo nome anche quando, in epoca moderna, la produzione della gelatina alimentare ha cominciato a fondarsi piuttosto sul grasso di altri animali (principalmente il maiale). Cf. Ineichen (1966, 107).

granatum/malum granatum ‘melograno, frutto dell’omonimo albero delle Punicaceae (Punica granatum L.)’ (12 occ.; 29) [TLL VI 2, 2175]

1.a. ingranato m.: R («togli lo ingranato dolce et cuoci esso nel vino acerbo») 15v; pom[a] ingranad[a] f.: V 8v, 10v, 24r, 25r, 48v (2), 49r, 49v, 53r 1.b. mel[a] gran[a] f.: R («dicotione di mele grane et simile cose») 29v, 39r, 50v, 52r, 79r, 112r, 112v, 114r, 114v, 115v, 122v; mel[a] granat[a]: 20r, 52v; pom[a] granad[a]: V 14v, 24v; pomo granato m.: B 7r, 13r, 23v, 24r, 24v, 37r, 50v (2), 51v (2), 52r, 55r ▲ 1.a. Cf. TLIO (s.vv. ingranato). Sia per la forma semplice sia per la loc., le prime attestazioni appartengono al pad.a. di Serapiom (fine sec. XIV: engranò; pomo ingranà). Voce assente in Crusca. Cf. Ineichen (1966, 183), Cortelazzo (2007 s.v. ingranào). 1.b. Le prime attestazioni registrate dal TLIO, rispettivamente per le voci melagrana e melagranata sono: tosc.a. melagrana (fine sec. XIII, Laude); pis.a. melegranate (1337ca., GuidoPisaFioreItalia). Entrambe le voci sono presenti da Crusca1. Per le varianti testimoniate da V e B, cf., nel corpus OVI, fior.a. pomegranate (pm. sec. XIV, Pegolotti); tosc.a. pomi granati (XIV-XV sec., BibbiaVolg). Nella Chirurgia di Bruno il melograno è usato soprattutto nella composizione di medicamenti atti a curare ferite e ulcere. Cf. Ineichen (1966, 183), André (1985, 113 e 152), Nystedt (1988, 257), Gleßgen (1996, 761), Aprile (2001a, 352),

García Gonzáles (2007, 473), Green (2009, 401), Ventura (2009, 567), Tomasin (2010, 66), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 209 s.vv. mela grana e mele granata), Zarra (2018, 531).

gummi ‘resina prodotta da alcune piante’ (2 occ.; 66)

[cummi TLL IV, 1379]

1. colla lavata f.: B («Li medicine incarnative [...] sono come è [...] glutino, zoè colla lavata») 16v 2. goma f.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo [...] glutino albutino, zoè goma de uno alboro») 18r, 26r; gomm[a] (gummi): R 37r, 144r; goma (guma): B 25v, 65r ▲ 1. Non si rintracciano locuzioni analoghe nei corpora OVI e ReMediA, né, per l’epoca posteriore, all’interno di GoogleLibri. 2. Dal gr. ϰόμμι (DEI III, 1842; DELIN, 678). Prima attestazione: fior.a. gomme (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. gomma). Voce presente da Crusca1. Cf. Marcovecchio (1993, 408), Gleßgen (1996, 672), Aprile (2001a, 356), García Gonzáles (2007, 442), Green (2009,  398), Castrignanò (2014, 183), Zarra (2018, 521). ♦ Loc. e collocazioni: – gummi arabica ‘gomma naturale estratta dall’acacia (per questo nota anche come «gomma di acacia»)’ (3 occ.; 277) goma arabica f.: B («Anchora uno altro bono emplastro et aprobato: Recipe [...] sarcocola, incenso, goma arabica») 65r (2); goma rabicha: V 62r (3); gomerabico (gomerabio) m.: R 144r (2); gummi arabici genit.lat.: R 144v ▲ Cf. DEI (I, 264 s.v. arabica); DELIN, 120 (s.v. arabo). La loc. è ben attestata nei testi scientifici contenuti nel corpus OVI; prime attestazioni: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) gummi arabici (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); gomma arabica (1310, BencivenniSantà).

III Botanica e farmacologia 

Voce presente da Crusca1 (s.v. gommarabica). Cf. Ineichen (1966, 133), Gleßgen (1996, 759), García Gonzáles (2007, 400 s.v. comeos), Green (2009, 398), Ventura (2009, 464), Castrignanò (2014, 183), Elsheikh (2016 II, 171 s.v. gomma arabica), Zarra (2018, 522).

hermodactilus ‘pianta erbacea del genere Ermodattilo con fiori simili all’iris (Colchicum variegatum L.)’ (2 occ.; 118)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] ermodatali (ermodatalli) m.: V («Medexine le qual aroxega la charne superflua [...] è sì chomo veriol, ermodatali, eleboro biancho») 29v, 34r; hermodactil[o]: B 29v, 34v; inadat­ tilo (†): R 63v ▲ Dal gr. ἑρμοδάκτυλος (voce composta da Ερμῆς ‘Ermete’ e δάκτυλος ‘dito’: MLW IV, 996; DEI II, 1523), formazione tarda che sostituisce la voce greca originaria κολχικόν, termine usato da Dioscoride per definire la pianta in questione (Ineichen 1966, 123). L’unica attestazione offerta dal TLIO (s.v. ermodattilo) è il tosc.a. chermodatili (ante 1361, UbertinoBrescia); altre due testimonianze si ricavano dal corpus OVI: pad.a. ermodatillo (fine sec. XIV, Serapiom, OVI); fior.a. ermodattali/ermodattili (XIV sec., ChirurgiaFrugardoVolg). Voce presente da Crusca3. Cf. André (1985, 122), Green (2009, 399), Ventura (2009, 480), Elsheikh (2016 II, 152), Zarra (2018, 515).

instillatio ‘introduzione di un medicamento goccia a goccia in strutture cave’ (222) [TLL VII 1, 1981]

1. distilatione f.: B («quando lo dolore serà per li humori frigidi, fiza reprimuto, zoè descazato, cum distilatione de muscelino») 53r; stil­ latione: R 118r

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2. metere dentro vb.sint.tr.: V («meti entro oio tievedo musollino»)451 51r ▲ 1. La forma distilatione di B, con cambio di prefisso, risentirà del lat. distillatio (per le cui traduzioni nei nostri volgarizzamenti, cf. s.v. sezione 2), presente all’interno del testo originale, ma con diverso significato: cf. s.v. embrocatio (1.). Dai corpora OVI e ReMediA si rinvengono due attestazioni della forma aferetica stillazione, testimoniata da R: tosc.a. stillatione (ante 1361, UbertinoBrescia); sic.a. stillationi (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg): ma in quest’ultimo caso nell’accezione propria, piuttosto, del lat. distillatio. Voce assente in Crusca (ma cf. il lemma instillare). Cf. Marcovecchio (1993, 469 s.v. instillatio), Elsheikh (2016 II, 145). 2. Vb.sint. ben attestato, in questa accezione (con riferimento all’introduzione di liquidi), nei testi medici presenti in ReMediA. Cf., tra gli altri, i seguenti passi da CrescenziVolg: «l’elatterio in quantità di cinque grani con poco aceto, e tiepido vi si metta dentro»; «si dee ugner dell’olio predetto il ventre e tutta la spina, e sene metta dentro un pochetto con alcuno lieve cristèo».

inviscatio ‘proprietà vischiosa, appiccicosa’ (55)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. chosa vischoxa f.: V («si s’aproxima a la chaldeza de la natura de quel chorpo che se miedega, e sia alguna chosa vischoxa») 15v 1.b. inviscatione f.: B («si fa mestera che la sua caliditade sia equale [...] et in quelli sia inviscatione alcuna») 14r452

451 Lat.: cum instillatione olei muscellini tiepidi. 452 In R (30v) si legge la forma deteriore vescicare, evidentemente influenzata da vescica/vescicare.

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 6 Glossario

▲ 1.a. Per l’agg. viscoso, cf. s.v. viscosus (sezione 2.). 1.b. Voce non attestata in OVI, ReMediA, Crusca, ma già alla fine del Duecento si registra il fior.a. viscosità (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI).

irrorare ‘aspergere, cospargere di gocce minute’ (136) [irroro TLL VII 2, 442]

1. borf[are] vb.tr.: B («E sopra lo ligame fiza borfato de aqua rosata e de aceto») 34r 2. get[are] suxo vb.sint.tr.: V («geta suxo de la pollvere d’ermodatalli tanta che basti») 34r 3. spruff[are] vb.tr.: R («sopra legame acqua e aceto spruffata acciò che alleni l’apostema») 73r ▲ 1. Voce piuttosto rara sia in epoca antica sia moderna, forse di natura onomatopeica e da connettere a sbruffare (cf. infra 3.; GDLI s.v. borfare ‘sbruffare, fremere’: prima attesazione segnalata in Boiardo). Cf. DEI (I, 614 s.v. bruffare ‘aspergere con acqua’: «v. d’area centro-sett.»); il LEI (VII, 553 s.v. *brof(f)-/*bruf(f)-) registra il lomb.a. aborfa[re] ‘spruzzare, aspergere’. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il perug.a. borfando (1342, StatutiComunePopolo). Voce assente in Crusca. 2. Cf. il verbo getare s.v. embrocare (3.). 3. Voce di origine onomatopeica (cf. DEI V, 3359 e 3605; Postille di Alessio citate nel commento del DELIN, 1448: «è considerata voce napoletana dal Panzini e dal Pellegrini [...], ma deve essere di origine lombarda [...] e tratta dal mil[anese] sbrofà ‘sbruffare’ e ‘sfoggiare, grandezzare’»; LEI VII, 551 s.v. *brof(f)-/*bruf(f)-, che avrebbe la doppia accezione di ‘spruzzare, soffiare’ e ‘rigonfiare’, oltre a quella di ‘rumore della bocca’; Nocentini 2010, 1051: da sbuffare, con inserimento di -r-); per una possibile connessione col sost. brufolo, forse derivato da un identico tema onomatopeico, cf. Ferguson (2004, 101).

In OVI, oltre alla testimonianza (non del tutto coincidente con l’accezione qui in esame) ricavabile da EneasVolg (mess.a. «intantu li sbruffava la plaga di lu pectu», 1316–37), l’unica attestazione rintracciabile è il lomb.a. sbruffa/sbruffalo (sec. XIV, MalattieFalconi), che è usato proprio nell’accezione di ‘aspergere’ («sbruffa quello con vino»; «sbruffalo de vino»). Voce presente da Crusca1 (s.v. spruffare ‘spruzzare’; anche sbruffare ‘spruzzar colla bocca’, ma solo in Crusca3,4). Cf. Aprile (2001a, 474).

iusquiamum ‘giusquiamo, pianta erbacea velenosa della famiglia delle Solanaceae (Hyoscyamus albus, Hyoscyamus aureus, Hyoscyamus niger L.)’ (213) [hyoscyamos TLL VI 3, 3145]

giusquiame m.: R («Recipe mirra, storace, el seme del giusquiame») 113r; iusquamo: B 51r; iusquiamo: V 48v ▲ Dal gr. ὑοσϰύαμος, letteralmente ‘fava di porco’ (il termine è infatti composto dai due sostantivi ὗς, ὑός ‘porco’ e κύαμος ‘fava’, perché si riteneva che il suo veleno non avesse effetto sui porci: DEI III, 1824; DELIN, 670; Nocentini 2010, 508). Sono numerose le testimonianze rintracciabili nel corpus OVI: la forma dotta, con mantenimento del gruppo iniziale ius- è del tutto prevalente su quella con esito volgare gius-; prima attestazione: aret.a. iusquiamo (1282, RestArezzo, TLIO s.v. giusquiamo). Voce presente da Crusca1 (s.v. giusquiamo). La tradizione farmacologica distingue solitamente tre varianti della pianta, a seconda del colore dei fiori (Hyoscyamus albus, aureus e niger stando alla tassonomia linneana). Cf. Ineichen (1966, 140), André (1985, 127), Nystedt (1988, 238), Marcovecchio (1993, 434), Gleßgen (1996, 767), Aprile (2001a, 377), García Gonzáles (2007, 458), Green (2009, 399), Ventura (2009, 487), Castrignanò (2014, 187), Sosnowski (2014, 224), Elsheikh (2016 II, 171), Zarra (2018, 521).

III Botanica e farmacologia 

latus ‘erba perenne conosciuta anche come erba pepa o zigolo infestante’ (Cyperus rotundus L.)’ (76)

[Voce assente in tale accezione in TLL, Du Cange e Forcellini] quadrello m.: B («Recipe [...] sponga marina brusata, quadrello brusato, solfero») 19v ▲ Dimin. da quadro: cf. DEI (V, 3165 s.v. quadrello2: «nome di alcune varietà di cyperus a Pisa»). Le uniche due attestazioni ricavabili dai corpora OVI e ReMediA sono: mant.a. quadrel (1299/1309, Belcalzer); fior.a. quadrelli (ante 1361, CrescenziVolg). Voce presente da Crusca1 (con la definizione generica ‘per ispezie d’erba’). Nell’it.a. è diffuso solamente il sost. m. quadrello: la situazione sembra permanere anche nei secoli successivi, ma molte testimonianze contemporanee453 ricorrono al sost. f. quadrella (assente nel GDLI, che registra il solo sost. m.: s.v. quadrello 3).

laudanum ‘preparazione galenica di oppio, alcol, acqua e aromatizzanti vari’ (3 occ.; 147) [Du Cange V, 40b]

laudamo m.: B («Recipe aloes, mirra, bolo armeno, incenso, achacia, nuce de cipresso, draganti, laudamo, ana parti equali») 36v; laudano (laudani genit.lat.): R 78r, 128r, 133v; ~: V 35v, 55r, 57r; ~: B 57v, 60r ▲ Il lat. mediev. laudanum è forse un’alterazione di ladanum, associato paretimologicamente al vb. laudare (< gr. λάδανον ‘resina oleosa’, voce di origine orientale, confronta-

453 Cf., ad es., tra le varie pagine web dedicate alla botanica o alle proprietà farmacologiche delle piante, la pagina web www.stefanogiannetti.it («Conusciuta anche come Erba pepa o Quadrella lo Zigolo Infestante»).

 807

bile con l’ar. lādan: cf. DEI III, 2182; DELIN, 854; Nocentini 2010, 616) da Paracelso (cf. Migliorini 1942, 85: «era il nome dato da Paracelso a una sua panacea, di cui avvolgeva nel mistero la composizione [...] il nome dev’essere proprio una variante dell’antico ladanum, scelta da Paracelso per la consonanza con il verbo laudare»). Voce attestata nei principali testi medici presenti in OVI e ReMediA: la forma laudano prevale su laudamo, testimoniata da B. Prime attestazioni: rispettivamente fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) laudani (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg) e fior.a. laudamo (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg). Voce presente in Crusca3,4,5. Cf. Ineichen (1966, 142), André (1985, 137), Nystedt (1988, 239), Marcovecchio (1993, 498), Gualdo (1996, 205), García Gonzáles (2007, 460), Ventura (2009, 504), Castrignanò (2014,  188),  Sosnowski (2014, 224), Elsheikh (2016 II, 193).

lens ‘pianta della famiglia delle Fabaceae (Lens culinaris L.)’ (3 occ.; 122) [TLL VII 2, 1155]

lente f.: V («vardase da manzar zibi che inzenera cholora negra, sì chomo è lente») 30v; lenticchi[a]: R 65v, 78v; lentigia: B 30v, 36v, 73r ▲ La v. lente è documentata prima di lenticchia (dal dimin. lentīcŭla). Prime attestazioni: rispettivamente venez.a. lente (sm. sec. XII, ProverbiaNatFem, OVI) e pis.a. lentichie (1300ca., ContrastoCristoSatana, TLIO s.v. lenticchia). Sia lente sia lenticchia sono presenti da Crusca1 (s.v. lenticchia). Cf. Ineichen (1966, 144 e 148), André (1985, 141), Nystedt (1988, 239), Marcovecchio (1993, 500), Gleßgen (1996, 683 e 770), Aprile (2001a, 383), Green (2009, 400), Ventura (2009, 525), Castrignanò (2014, 189), Elsheikh (2016 II, 195 s.vv. lenta e  lente), Zarra (2018, 526: s.v. lenticchia e lenticola).

808 

 6 Glossario

limatura ‘insieme di frammenti di metallo che si staccano dal corpo limato’ (8 occ.; 100) [TLL VII 2, 1401]

limadura f.: V («de le medexine chon le qual se chura le ulzere de grieve chonsolidazione si è limadura de rame») 26r (4), 28v, 29r, 45v; limatura: R 54r (2), 54v (2), 62v, 104v; ~: B 25v (5), 29r, 29v, 47r ▲ Nel testo latino di Bruno il termine ricorre sempre nelle loc. limatura aeris e limatura ferri. Le testimonianze presenti nel corpus OVI si ritrovano prevalentemente all’interno di ricette. Prima attestazione: fior.a. limatura (eboris)/limatura d’oro (fine sec. XIII, AntidotariumNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (‘E quella polvere, che cade dalla cosa, che si lima’). Cf. García Gonzáles (2007, 425 s.v. ferrugo), Castrignanò (2014, 189), Elsheikh (2016 II, 196 s.v. limatura del ferro e limatura d’oro).

liquefactio ‘il liquefare, il liquefarsi e il suo risultato’ (91)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1. choll[arse] vb.pronl.: V («aviene ch’ela se cholla per medexina achuta») 24r454 2. deslenguamento m.: B («humiditade subtile andante a la rosseza, la quale cosa provene per liquefactione, zoè deslenguamento, de la carne») 23r455 3. farsi lequido: R («tanto che perviene a farsi lequida per la acuta medicina»)456 50r 4. liquefactione f.: B (cf. supra 2.) 23r

454 Lat.: quod provenit ex liquefactione carnis propter acumen medicinae. 455 Voce usata come glossa di liquefactione (cf. 4.). 456 Lat.: quod provenit ex liquefactione carnis propter acumen medicinae.

▲ 1. Il TLIO (s.v. collare §2) non registra un’accezione analoga a quella presente in V; analogamente, tale uso non trova riscontri in Crusca e GDLI. 2. Per le forme settentrionali del tipo ┌delenguare┐, da un lat. delĭquare (REW §2542), si ipotizza un’interferenza col lat. delinquere (cf. Marri 1977, 81 s.v. dileguar). Nel TLIO (s.v. dileguamento), l’unica testimonianza del termine ha piuttosto l’accezione figurata di ‘struggimento, consunzione (causati da una passione)’; cf., però, sempre nel TLIO, il verbo dileguare (§2 ‘sciogliere qualcosa in altre sostanze per ottenere medicamenti’; tosc.a. dilegua: inizio sec. XIII-XIV, Intelligenza). Voce presente solo in Crusca5 (s.v. dileguamento), ma non nella presente accezione. In B si ricorre, peraltro, anche al verbo deslenguare (12v, 47v, 65r) e ai part. deleguato/deslenguato (14r, 34v, 74r) come traducenti rispettivamente del lat. liquefacere e liquefactus. 3., 4. TLL, Du Cange e Forcellini registrano soltanto il vb. liquefacio, ma non il corrispettivo sostantivo liquefactio. Nei corpora OVI e ReMediA se ne rintracciano soltanto due testimonianze: tosc.a. liquifactione (ante 1361, UbertinoBrescia); liquefactione (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. liquefazione). Cf. Elsheikh (2016 II, 197).

liquiritia ‘nome comune di varie piante erbaceae del genere Glicirriza’ (37) [glycyrrhiza TLL VI 2, 2120]

regalicia f.: B («aqua cotta cum regalicia, ysopo e uva passa») 9r; regolizia: R 20r; requilizia: V 10v ▲ Il lat. liquiritia costituisce un noto adattamento paretimologico, influenzato dal sost. liquor, del gr. γλυκύρριζα (composto di γλυκύς ‘dolce’ e ῥίζα ‘radice’): cf. Bertolotti (1958, 60), Pfister (2001, 673), Pfister/Lupis (2001, 167), Belardi (2002 I, 489), Schweickard (2008), Bernhard (2011). Prima attestazione: fior.a. liqui-

III Botanica e farmacologia 

ricia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Nello specifico, le forme regalicia di B e regolizia di R testimoniano la probabile associazione del termine rispettivamente all’agg. regale e al sost. regula (per quest’ultimo, dal momento che essa «veniva venduta in bastoncini» secondo il DEI V, 3225): entrambi, dunque, oltre a costituire un avvicinamento a una parola nota, prerogativa alla base di ogni rielaborazione paretimologica, potrebbero alludere anche all’efficacia delle doti terapeutiche attribuite alla radice. La forma regalicia non trova riscontri nel corpus OVI: se ne possono rintracciare, però, alcune testimonianze nei secoli successivi (cf., tra gli altri, Franciosino 1645: al lemma sp. orozuz ‘liquirizia’ si accosta il corrispettivo italiano ‘Regalizia, legno di sugo dolce’ [cf. anche lo sp. regaliz]; si veda anche Porru 1866, 1055 s.v. regalizia); regolizia è invece ben attestata in area toscana (prima attestazione: sen.a. regolizio, dopo il 1303, StatutoGabellaAdd, OVI), ed entra già in Crusca1 con un lemma indipendente, laddove la forma di derivazione latina liquirizia è presente solo da Crusca2. Allo stesso modo, per requilizia di V (possibile associazione a requie e, anche in tal caso, a presunte virtù terapeutiche della radice), cf. le numerose occorrenze del pad.a. requelitia/requellitia/requilitia ecc. (fine sec. XIV, Serapiom, OVI), oltre al sab.a. requilitia (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg) e a requilitia in Elsheikh (2016 II, 262). Cf. Ineichen (1966, 146 e 188), André (1985, 112), Marcovecchio (1993, 509), Gleßgen (1996, 770), Aprile (2001a, 386), García Gonzáles (2007, 468), Green (2009, 400), Ventura (2009, 505), Baglioni (2010, 474 s.v. regalisa), Castrignanò (2014, 189), Elsheikh (2016 II, 197). Zarra (2018, 552).

litargirum ‘litargirio, ossido di piombo’ (18 occ.; 67)

[lithargyrum TLL VII 2, 1503; cf. → s.v. merdasengi] litargirio (litargiro) m.: R («medicine [...] sono sì come litargirio») 38r, 39r (4), 39v (2), 52v,

 809

54v, 103v, 125v, 126r, 134r (2), 143v; litargiro (letargiro): B 17r, 17v, 18r (5), 23v (2), 24v, 25v, 46v, 56v (2), 60r (2), 64v; litirgiario: R 50v (2); litragiro (litragirio; litragirij): V 18v (2), 19r (5), 19v (2), 24r (2), 26r, 45r, 54r, 57v (2), 62r; lito­ agiro: V 25r ▲ Dal gr. λιϑάϱγυϱος (composto da λίϑος ‘pietra’ e ἄργυρος ‘argento’, per il suo aspetto particolarmente lucente: DEI III, 2250; DELIN, 882; Nocentini 2010, 635). Prima attestazione: fior.a. litargiro (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. litargirio). Non si rinvengono testimonianze, in OVI e ReMediA, della forma metatetica litragiro, ben documentata in V, e che trova peraltro conferma in alcune forme settentrionali di epoca successiva (cf. Pasquale/Piemontese 1988, 102). Voce presente da Crusca3 (s.v. litargirio). Cf. Ineichen (1966, 146), Gleßgen (1996, 859), Gualdo (1996, 205), García Gonzáles (2007, 469), Green (2009, 400), Ventura (2009, 515), Elsheikh (2016 II, 197).

lupinus ‘pianta del genere Lupino (Lupinus albus L.)’ (67)

[TLL VII 2, 1849]

lupino m.: B («li più forti sono como [...] radice de opoponaci, yreos, farina de lupino») 17r; lupinorum genit.lat.: R 37v ▲ Non è del tutto chiara la ragione dell’accostamento tra la pianta e l’agg. di relazione lupinus ‘del lupo’ (per il DELIN, 896 sarebbe la pianta ‘che divora’; per Nocentini 2010, 646 ciò indicherebbe la natura poco pregiata del legume per l’alimentazione umana; confrontabile anche col ted. Wolfbohne). Prima attestazione: prat.a. lupini (1298–99, CeppoPoveri, TLIO s.v. lupino). Voce presente da Crusca1 (definizione generica di ‘Sorta di biada nota, il quale fa i baccelli simili a que’ delle fave’). Cf. Ineichen (1966, 147), André (1985, 148), Nystedt (1988, 241), Gleßgen (1996, 771), Aprile (2001a, 388), García Gonzáles (2007, 470),

810 

 6 Glossario

Ventura (2009, 520), Sosnowski (2014, 224), Elsheikh (2016 II, 198), Zarra (2018, 528).

malva ‘malva selvatica, pianta annuale o perenne appartenente al genere delle Malvaceae (Malva sylvestris L.)’ (5 occ.; 152) [Forcellini III, 164]

malba (malva) f.: V («se lava li choioni in aqua che sia chota la malva e violla») 66v, 67r; malva: R 80v, 93v, 161v, 164r, 171v; ~: B  37v, 43r, 70v, 71r, 73r; malvavischo m.: V 41v; nalba f.: V 36v, 69r ▲ Prima attestazione: tosc.occid.a. malve (sec. XIII, RicetteMedicheTosc, TLIO s.v. malva). Voce presente da Crusca1 (s.v. malva). Per il traducente malvavischo, adottato in un singolo caso da V, va presupposta una confusione con il lat. malvaviscus (cf. s.v.); per la forma di area veneta nalba, testimoniata da V, si veda Ineichen (1966, 161: «denominazione tipicamente dialettale»). Cf. Ernst (1966, 168), Ineichen (1966, 149), André (1985, 152), Gleßgen (1996, 773), Aprile (2001a, 392), García Gonzáles (2007, 350 s.v. altea), Green (2009, 401), Ventura (2009, 550), Castrignanò (2014, 190), Sosnowski (2014, 224), Elsheikh (2016 II, 202), Zarra (2018, 529).

malvaviscus ‘malvavischio: altro nome dell’altea e della malva canapina’ (7 occ.; 45) [Du Cange V, 202a]

secondo termine rappresenta il gr. ἐβίσκος, ἰβίσκος; cf. DEI III, 2337). Prima attestazione: fior.a. malbavischio (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. malvavischio). Voce presente da Crusca1 (s.v. malvavischio). Cf. Ineichen (1966, 149), André (1985, 152), Gleßgen (1996, 773), Green (2009, 401), Ventura (2009, 551), Castrignanò (2014, 190), Sosnowski (2014, 224), Elsheikh (2016 II, 201 e 203).

mastix ‘resina ottenuta incidendo il fusto e i rami del lentisco’ (10 occ.; 67) [mastic(h)e TLL VIII, 432]

mastice (masticis genit.lat.; mastrice; maxtyx) m.: R («alquante medicine sono lievi sì come olinbanum, maxtix, mirra, aloes») 37v, 52v, 103v (2), 112v, 128r, 133v, 143v, 144v, 174r; ~: B 17r, 24v, 46v (2), 50v, 57v, 60r, 64v, 65r, 74r; mastichi (mastici; mastixi): V 18v, 45r (2), 55r, 57r, 62r (2), 69v ▲ Dal gr. μαστίχη ‘gomma di lentisco’ (der. di μαστιχάω ‘masticare’: cf. DEI III, 2386; DELIN, 946; Nocentini 2010, 682); voce passata anche all’ar. maṣṭakā (Elsheikh 2016 II, 206). Prima attestazione: tosc.occid.a. masticha (sec. XIII, RicetteMedicheTosc, TLIO s.v. mastice). Voce presente da Crusca1 (s.v. mastice; da Crusca3 anche nella forma mastrice, testimoniata da R). Cf. Ineichen (1966, 151), André (1985, 155), Marcovecchio (1993, 530), Gleßgen (1996, 776), Aprile (2001a, 395), García Gonzáles (2007, 476), Green (2009, 401), Ventura (2009, 555), Castrignanò (2014, 191), Sosnowski (2014, 225), Elsheikh (2016 II, 206).

malvavischio m.: R («untione d’olio caldo et malvavischio cotto») 25r, 31r, 81r, 118v, 123r, 133v, 134r; malvavischo (malbavischo): V 12v, 15v, 36v, 51r, 53r, 57r, 57v; malvavisco (malvavischo): B 11r, 14r, 37v, 53r, 55r, 60r

mellicras ‘melicrato, composto di acqua e miele’ (2 occ.; 36)

▲ Il termine malvaviscus è frutto dell’univerbazione di malva hibiscus ‘malva ibisco’ (il

melicrate m.: R («se fusso bisogno a lavare la ferita, sia lavata con ydrocachera, melicrate»)

[melicraton TLL VIII, 615]

III Botanica e farmacologia 

19v, 24r; mellicrate: B 9r, 11r;457 melicrato (melichrato): V 10v, 12r ▲ Dal. gr. μελίϰϱατον (composto da μέλι ‘miele’ e κεράννυμι ‘mescere’; cf. DEI IV, 2413 s.v. melicrato). Dai corpora OVI e ReMediA si rinvengono quattro attestazioni del termine: fior.a. mellicrato (pm. sec. XIV, ChirurgiaFrugardoVolg); venez.a. ~ (sq. sec. XIV, LibroSanitate); aret.a. melicrate (1340–60, FioriMedicina); pad.a. melicrato (fine sec. XIV, Serapiom). Voce assente in Crusca. Cf. Ineichen (1966, 241), Gualdo (1996, 170; 1999, 233), Aprile (2001a, 398), García Gonzáles (2007, 354 s.v. apomel), Tomasin (2010, 59).

mellilotus ‘meliloto, pianta della famiglia delle Fabaceae (Melilotus officinalis L.)’ (4 occ.; 152) [TLL VIII, 616]

meliloto m.: V («lava lo logo chon [...] radixe de malvavischo, e meliloto e simelle a queste») 36v, 53r, 66v; melioco (melliloto; mellioto; milleloto): R 80v, 93v, 123r, 161v; melliloto: B 37v, 43r, 55r, 70v

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memite ‘Glaucium Luteum (Scop.), pianta simile al papavero cornuto e appartenente alla famiglia delle Papaveraceae’ (2 occ.; 70)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] memite m.: V («le medexine areperchusive si è [...] axedo e aqua ruoxa, sandali, memite») 53r; memitte: R 39r, 122v; menuti (†):458 B 55r ▲ Dall’ar. māmīṯā. Prima attestazione: fior.a. memite (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie, TLIO s.v. memite). Voce assente in Crusca e DEI; attestata fino a Mattioli dal GDLI. Come testimonia il TLIO, col nome memite s’identificavano in it.a., oltre al Glaucium luteum, altre due piante: in alcuni testi, infatti, memite è adottato per indicare il papavero cornuto e la celidonia (cf. s.v. celidonia); Ineichen (1966, 154), cita un passo del medico veneto N. Roccabonella per evidenziare la triplice distinzione operata, al contrario, dalla scuola padovana, che contesta l’errata associazione dei termini, risalente ad Avicenna («Avicenna tamen errando apellavit celidoniam maiorem memithe et dixit etiam memithe esse papaver cornutum errando propter similitudinem foliorum»). Cf. Ernst (1966, 166 s.v. ceridonia), Gleßgen (1996, 778), Gualdo (1996, 209), García Gonzáles (2007, 478), Elsheikh (2016 II, 211).

▲ Dal. gr. μελίλωτος (composto da μέλι ‘miele’ e λωτός ‘loto’; cf. DEI IV, 2414; DELIN, 957). Prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) milleloti (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. meliloto). Voce presente da Crusca1 (s.v. melliloto). Sulla possibilità che il termine indichi non il Mellilotus officinalis, bensì il Lotus corniculatus L., si vedano le considerazioni di Ineichen (1966, 152–153), accolte da Zarra (2018, 532). Cf. anche André (1985, 158), Aprile (2001a, 398), García Gonzáles (2007, 477), Green (2009, 402), Ventura (2009, 549), Sosnowski (2014, 225), Elsheikh (2016 II, 210).

1. litargiro m: B («Recipe de biacha, de litargiro, equalmente de tuti doy parte j») 17v (2); litragiro (litragirio): V 18v (2) 2. merdasengi m.: R («Pilgla cerusa, merdasengi cioè litargirio») 39r

457 Con l’accompagnamento delle glosse melle et aqua (9r) e aqua e melle (11r).

458 Verosimilmente da correggere in memiti (lettura errata di -mi- in -nu-).

merdasengi ‘litargirio’ (2 occ.; 69)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. litargirum]

812 

 6 Glossario

▲ 1. Cf. s.v. litargirum. 2. Nel testo latino di Bruno, merdasengi è glossato, alla sua prima occorrenza, dal termine litargirum. Esso, costituisce, infatti, il termine arabo (più precisamente di origine persiana, passato al lat. per tramite dell’ar. murdāsanğ, mardāsanğ: cf. Gleßgen 1996, 859), poi sostituito, nel lessico chimico, dal lat. litargirum. Voce non attestata in OVI, ReMediA, e assente in Crusca, DEI, GDLI. Cf. Ineichen (1966, 146 s.v. litargiero: «presso Pegolotti si trova l’adattamento paretimologico mordasangue»), Elsheikh (2016 II, 212).

metridatum ‘mitridato, antidoto contro i veleni’ (106) [mithridatum Du Cange V, 426a]

metridato m.: B («ye fiza data alcuna opiata: el è conveniente la triacha o lo metridato») 27r; metridatum: R 57v; mitridato: V 27r459 ▲ Dal. gr. μιθρίδατος, che passa al lat. mithridaticum (antidotum) (cf. DEI IV, 2480). Il termine rimanda a Mitridate VI, re del Ponto: costui, temendo di essere ucciso in una congiura, avrebbe chiesto al suo medico Crautea un antidoto che lo rendesse immune ai veleni. Mitridate, reso assuefatto dalla somministrazione in piccole dosi di tutti i veleni conosciuti al tempo, potè così evitare i tentativi di avvelenamento (cf., a tal riguardo, le voci derivate mitridatismo e mitridatizzare). Dai corpora OVI e ReMediA si ricavano quattro attestazioni: fior.a. mitridato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg: qui definito «madre di tutti igl’altri antidotti»); venez.a. metridato (sq. sec. XIV, LibroSanitate); tosc.a. mitridato (ante 1361, UbertinoBrescia); lucch.a.  ~ (1376, StatutoMercanti). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. mitridato). Cf. Gualdo (1996, 170), Tomasin (2010, 60), Castrignanò (2014, 192), Elsheikh (2016 II, 216).

459 Corretto, forse da mano posteriore, su mielle tridato.

millefolium ‘millefoglio o achillea millefoglie (Achillea millefolium L.), pianta erbacea perenne della famiglia delle Asteraceae’ (278)

[milifolium TLL VIII, 950]

milfolio m.: B («fiza polvere de la radice de consolida maiore e milfolio») 65r; mille foglia f.: R 144v; millifuollia: V 62r ▲ Voce composta da mille e folium (probabile calco sul gr. μυριόϕυλλον: cf. DEI IV, 2460; DELIN 980). Le uniche due attestazioni rintracciabili dal corpus OVI e dal TLIO (s.v. millefoglie) conservano la forma latina: fior.a. millefolei (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); miliifolis (1364, RicetteRubertoBernardi). In Ottimo (ante 1334) il termine è anche identificato con l’appio selvatico (cf. TLIO). Voce presente in Crusca4,5 (s.v. millefoglie; il m. millefoglio solo in Crusca5). Cf. André (1985, 162), García Gonzáles (2007, 480), Ventura (2009,  591), Sosnowski (2014, 225), Zarra (2018, 533).

mirra ‘gommoresina aromatica di colore rosso scuro, ricavabile da alcuni alberi del genere Commifora’ (16 occ.; 67) [murra TLL VIII, 1681]

mira f.: V («Le medexine lieve sì chomo inzenso, mastichi, mira, aloe») 18v, 19r, 33v, 35v, 37r, 45r, 48v, 52v, 54v (2), 58v, 62r (2), 69v; mirra (mirre genit.lat.): R 37v, 52v, 74r, 77v, 78r, 81r, 113r, 122r, 126v, 127r, 136v, 143v (2), 144r, 174r; ~: B 17r, 17v, 36r, 36v, 38r, 46v, 51r, 55r, 57r (2), 61v, 64v (2), 74r ▲ Il lat myrrha viene dal gr. μύρρα (cf. DEI IV, 2473; DELIN, 986). Prima attestazione: fr.-piem. mirra (sec. XIII, SermSubalp, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 156), André (1985, 167), Marcovecchio (1993, 570), Gleßgen (1996, 782), Aprile (2001a, 402),

III Botanica e farmacologia 

García Gonzáles (2007, 482), Ventura (2009, 581), Castrignanò (2014, 191), Elsheikh (2016 II, 215), Zarra (2018, 534).

mirtus ‘arbusto sempreverde del genere Mirto (Myrtus communis L.)’ (9 occ.; 95) [myrtus TLL VIII, 1750]

1.a. mirto m.: B («administratione de li cosi stiptici [...] como sono li scorzi de li pomi granati, grani de mirto e semenza de rosi») 24r (2), 37r, 51v, 52r, 57r, 65r, 73v (2); mirti genit. lat.: R 52r 1.b. mortina f.: R («le medicine sono queste da disecchare sì come acqua di mortina et acqua di rose») 51v, 114v, 115v, 126v, 144r, 172r, 173r 1.c. smartella f.: V («quele chose che fa pro a quelle si è lavacione da quelle che refreda e secha, sì chomo aqua de smartela») 24v (2), 36r, 49v (2), 54v, 69r (2) ▲ 1. Il lat. class. myrtus corrisponde al gr. μύρτος (cf. DEI IV, 2473; DELIN, 986). In tre delle nove occorrenze presenti nella Chirurgia latina di Bruno, la voce è usata all’interno della loc. aqua mirti. Prima attestazione: mant.a. mirt (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. mirto). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 157), André (1985, 165), Gleßgen (1996, 783), Aprile (2001a, 409), García Gonzáles (2007, 483), Green (2009, 402), Ventura (2009, 546), Castrignanò (2014, 192). 1.b. Nome toscano del mirto: da una variante latina murta, ‘mirto’ (DEI IV, 2514). Prima attestazione: fior.a. mortina (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. mortine/mortina, accompagnata dalla definizione ‘mortella’, per la quale cf. infra 3.). Cf. Gleßgen (1996, 783), Elsheikh (2016 II, 220 s.v. mortine). 1.c. Da un lat. mediev. *murtella(m), dimin. di murta ‘mirto’ (DEI IV, 2513; DELIN, 1009; Nocentini 2010, 729). Forma di diffusione lombarda e veneta occidentale (con prostesi di s-). Il termine mortella è ben attestato nei testi

 813

toscani contenuti in OVI (prima attestazione nel pis.a.: ante 1337, GuidoPisaFattiEnea) ed è presente da Crusca1 (‘pianta nota’); la forma smortella, anch’esso con prostesi di s-, ma con la conservazione di -o- pretonica del toscano, si ritrova nel pad.a. Serapiom (fine sec. XIV, OVI). Cf. Ineichen (1966, 157 e 205 s.vv. mirtella e smertella, smortella), Aprile (2001a, 409 s.v. murtella), Castrignanò (2014, 193 s.v. mortella), Sosnowski (2014, 228).

mucillago ‘sostanza gelatinosa che si forma spontaneamente nelle piante’ (8 occ.; 152) [mucilago TLL VIII, 1554]

1. decoctione f.: B («la rotura [...] fiza restaurata cum li emplastri molificativi, como è la predicta embrocatione e lo emplastro de mucilagine, zoè decoctione, de malvavischo») 37v460 2. mucilagine f.: B (cf. supra 1.) 37v, 53r (2), 57v, 59r, 60r (2); muscilagine (mucillagine; muscellaggine; muscillaggine; mustilagine): R 81r, 118v, 128r, 131v, 133v, 134r (2); muzilazene (muzillazene): V 36v, 51r (2), 55r, 56r, 57r, 57v (2) ▲ 1. Cf. TLIO (s.v. decozione §1 ‘Ebollizione di erbe o frutti da cui si estraggono principi attivi con valore curativo’ e §1.1 ‘Prodotto dell’ebollizione di erbe o frutti che ha valore curativo, decotto’); DEI (II, 1228). Prima attestazione: fior.a. dicotione (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. decozione). 2. Voce scarsamente attestata nei testi contenuti in OVI e ReMediA. Prima attestazione:tosc.a. muccellagine (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI; altre tre testimonianze si rinvengono rispettivamente in Serapiom, CrescenziVolg, MaestroBartolomeo). Voce presente da Crusca1

460 Voce usata come glossa di mucilagine (cf. 2.).

814 

 6 Glossario

(s.v. mucilagine/mucellagine). Cf. Nystedt (1988, 247), Green (2009, 403), Elsheikh (2016 II, 221).

mumia ‘sorta di bitume usato per imbalsamare i cadaveri; lo stesso corpo imbalzamato, ritenuto fin dall’antichità una panacea’ (4 occ.; 132) [Du Cange V, 543c]

mumia f.: R («se fusse bisongno ponui [...] mumia et bolo») 70v, 144v; ~: V 32v, 62r; ~: B 33r, 65r (2) ▲ Il lat. mummia è dall’ar. mūmiyā, nome usato dagli arabi d’Egitto per designare la materia, costituita prevalentemente di bitume e pece, adoperata per l’imbalsamazione, ma impiegata anche nei preparati farmaceutici (cf. DEI IV, 2529; DELIN, 1016). Prima attestazione: fior.a. mummia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca2 (‘cadavero secco nella rena d’Etiopia’). Si veda Lugli (2013, 66): «Avicenna considerava la mummia incredibilmente efficace contro un gran numero di malanni [...]. Dioscoride nel suo trattato De materia medica del I sec d.C., sosteneva che la mummia non fosse realmente un corpo umano imbalsamato bensì il cosiddetto Pissasfalto. Questo pissasfalto era probabilmente un prodotto ottenuto dall’unione di asfalto e pece. Poteva anche essere trovato naturalmente nei pressi delle terre toccate dal Mar Caspio, portato dalle stesse correnti ed essiccato». Cf. Ineichen (1966, 159), Marcovecchio (1993, 564), Gleßgen (1996, 895), García Gonzáles (2007, 484), Green (2009, 403), Ventura (2009, 561), Elsheikh (2016 II, 221).

narciscus ‘narciso, genere di piante della famiglia Amaryllidaceae’ (248) [narcissus TLL IX 1, 50]

narcisco m.: B («cigo de narcisco mirabelmente tira fora») 21r (2), 58v; narsisci: R 46r (2), 131r; narzischo: V 22r, 56r

▲ Dal gr. νάρϰισσος (per il quale non è da escludere un avvicinamento paretimologico a νάρκη ‘sopore’: cf. DEI IV, 2546 s.v. narciso; DELIN, 1024; André 1985, 169: «la fleur cause un assoupissement très douloureux et est antispasmodique»; Nocentini 2010, 742) si ha il lat. class. narcissus. Il volgare ┌narciso┐ è scarsamente attestato nel corpus OVI, dove si rintracciano soltanto tre testimonianze: tosc.a. narcisco (pm. sec. XIV, PalladioVolg); pad.a. narcisco (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. narciso (pm. sec. XIV, CrescenziVolg). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 161), Gleßgen (1996, 784), Ventura (2009, 608), Castrignanò (2014, 194), Elsheikh (2016 II, 123 e 223 s.vv. cipolla narcisco e narcisco).

nasturcium ‘nasturzio acquatico o crescione d’acqua, pianta perenne della famiglia delle Brassicaceae (o Crucifere) (Nasturtium officinale R. Br.)’ (249) [TLL IX 1, 115]

narstrucci: R («sia confetta ongni cosa colla vitellina dell’uova overo colla muscellagine della senape overo narstrucci») 131v; nastruzo: V 56r; nasturicio: B 59r ▲ Il lat. nasturtium è di etimo incerto (DELIN, 1026); secondo una paretimologia accolta già da Varrone e Plinio (Nat. hist. XIX, 155: «nomen accepit a narium tormento»), fu reinterpretata come voce composta da nasus e tortus (part. pass. del v. torquēre), a indicare, dunque, l’odore acre emesso dalle foglie della pianta (cf. DEI IV, 2551). Il termine è discretamente attestato nel corpus OVI; prima attestazione: fior.a. nasturçi (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. nasturcio). Col termine nasturzio s’indica oggi anche il Tropaeolum majus L., pianta della famiglia delle Tropaeolaceae, originaria del Perù e importata dagli europei solo nel corso del Seicento (anch’essa, peraltro, fu

III Botanica e farmacologia 

impiegata in campo farmaceutico, per combattere lo scorbuto). Cf. Ernst (1966, 169 s.v. mastruço), Ineichen (1966, 162), André (1985, 170), Gleßgen (1996, 784), Aprile (2001a, 410), García Gonzáles (2007, 487), Green (2009, 403), Ventura (2009, 597), Tomasin (2010, 62), Elsheikh (2016 II, 224).

nenufar ‘nenufero, pianta acquatica appartenente alla famiglia delle Ninfeaceae (Nuphar luteum L.)’ (69) [Voce assente in TLL, Du Cange e Forcellini]

1. eufrasia f.: B («in li ulcerationi de la calda complexione et apostemosi li sandali e la eufrasia mirabelmente se conveneno») 17v 2. neufai m.: R («conplessioni calde et apostemose sanadalis et neufai mirabilemente sanano») 38v; neufar: V 16v ▲ 1. Il termine eufrasia adottato da B rimanda verosimilmente a un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Scrophulariaceae, usate generalmente per il mal d’occhi (dal gr. εὐϕρασία ‘ilarità’, perché si riteneva che la pianta fosse in grado d’infondere allegria), e in particolare all’eufrasia officinale (Euphrasia rostkoviana, Hayne): cf. DEI (II, 1567). La confusione con l’arabismo nenufar (cf. infra) sarà dovuta alla parziale assonanza tra le due voci. Prima attestazione: fior.a. eufragie (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. eufrasia, cui si dà la definizione generica di ‘sostanza medicinale’). Voce presente solo in Crusca5. Cf. García Gonzáles (2007, 421). 2. Dall’ar. nīnūfar, pers. nīlūfar (cf. DEI IV, 2567 s.v. nennifaro) Termine noto in numerose varianti (cf. GDLI: nenùfero, nenùfaro, nanùfero, nannùfaro, nannùfero; con diversa accentazione: nenufàro, nenufàre, nenufàr). Prima attestazione: fior.a. nenufar (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. nenufar ‘per altro nome detto Ninfea’). Cf. Ineichen (1966, 163), Gleßgen (1996, 785), Gualdo (1996, 211), García Gonzáles (2007, 488), Ventura (2009, 600), Castri-

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gnanò (2014, 194 s.v. nemifaro), Elsheikh (2016 II, 226 s.v. neufar).

nigella ‘pianta annuale della famiglia delle Ranunculaceae, detta comunemente cumino nero (Nigella sativa L.)’ (222) [Du Cange V, 592a]

nigella f.: R («sia soffummicato lo infermo coll’asa overo co’ nigella o asenço») 118r; ~: B 53r ▲ Si tratta propriamente di un originario agg. f. sostantivato (m. nigellus ‘nerastro’, dimin. di niger ‘nero’, calco del gr. μελάνθιον, presente in Dioscoride, con allusione al colore dei fiori e dei semi della pianta: cf. DEI IV, 2585). Dal corpus OVI si ricavano tre testimonianze: fior.a. (ma sempre in contesti di genitivi latini) nigelle (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO); nigella (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom). Voce presente da Crusca1 (s.v. nigella). Cf. Ineichen (1966, 164), André (1985, 172), Gleßgen (1996, 786), García Gonzáles (2007, 438 s.v. git e 477 s.v. melancium), García Gonzáles (2007, 438 s.v. git), Green (2009, 403), Ventura (2009, 607), Castrignanò (2014, 194), Zarra (2018, 536).

nitrum ‘minerale di colore bianco, costituito da nitrato di potassio’ (4 occ.; 233) [Du Cange V, 594c; cf. → s.v. sal nitrum]

1. nitro m.: R («sieno tritati col nitro») 124r (2), 131r, 134v; ~: V 56r, 57v 2. sal trido m.: V («sal trido intro chon largado [...] mondificha la marza») 53v 3. vedro (vedri) m.: B («li figi fizano triti cum lo vedro et fizano ponuti sopra») 55v (2), 59r ▲ 1. Il lat. nitrum viene dal gr. νίτρον (cf. DEI IV, 2589; DELIN, 1041). Prima attestazione: fior.a. nitro (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg,

816 

 6 Glossario

OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 164), Marcovecchio (1993, 581), Aprile (2001a, 413), García Gonzáles (2007, 489), Green (2009, 403), Ventura (2009, 599). 2. Cf., in OVI, le locuzioni analoghe (con le quali s’indicherà, più semplicemente, il sale comune triturato): sen.a. sale trito (pm.  sec.  XIV, BestiarioVolg); tosc.a. sal trito (pm. sec. XIV, PalladioVolg); pad.a. sale triado (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. sale trito (pm. sec. XIV, CrescenziVolg). È possibile che la loc. sal trido costituisca una corruzione per un originario salnitro, per il quale cf. s.v. sal nitrum. 3. Anche in F1 (c. 56r) si ritrova la forma vetro per tradurre il lat. nitrum, che dipenderà, verosimilmente, da un errata lettura del gruppo iniziale ni- già nell’antigrafo latino.

nux muscata ‘seme decorticato della Myristica fragans’ (211) [muscata Du Cange V, 555b]

noce moscad[a] f.: R («Recipe il cennamo, gherofani, noci moscade») 112r; noxe muschada: V 48v; noce muscata: B 50v ▲ Il lat. nux muscata (voce composta da nux ‘noce’ e muscata, der. di muscus ‘muschio’) è un adattamento del gr. μοσχοκάριον (cf. DEI IV, 2592; DELIN, 1010 s.v. moscato e 1043 s.v. noce). Prima attestazione: fior.a. (ma sempre usato, nelle sue numerose occorrenze, in contesti di genitivi latini) nucis muscate (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). La loc. noce moscada è presente in Crusca4,5 (nelle ediz. precedenti si ha il solo lemma moscado: ‘Materia odorifera, della qualità della quale, e che cosa la generi’). La noce moscata, proveniente dalle Isole Molucche, arrivò in Europa grazie agli arabi, che l’avevano scoperta già nell’alto Medioevo. Cf. Ineichen (1966, 165), Gleßgen (1996, 787), García Gonzáles (2007, 385 e 490, s.vv. caride e nux miristica), Green (2009, 404), Ventura (2009, 601), Castrignanò (2014, 194), Elsheikh (2016 II, 227), Zarra (2018, 537).

oleum ‘olio, sostanza liquida e untuosa usata come medicamento, unguento’ ♦ Loc. e collocazioni: – oleum amigdaleon ‘olio di mandorle’ (212) [amygdaleus TLL I, 2029; cf. → s.v. amigdalatum] oleo de amandola: B («Et in la sua oregia fiza gotato oleo de amandola tepido o oleo comune») 51r; oglo delle mandorle: R 113r; oio de mandolle: V 48v, 51r ▲ Il lat. amygdaleus (e amigdaleon, secondo la grafia usata da Bruno) viene dall’agg. gr. ἀμυγδαλεος (< sost. m. ἀμύγδαλος o f. ἀμυγδάλη). Loc. scarsamente attestata in OVI e ReMediA: fior.a. olio di mandorlle (1310, BencivenniSantà); olio di mandorle (1361, CrescenziVolg); ~ (1364, RicetteRubertoBernardi). Cf. TLIO (s.v. mandorla §1.1.1 e 1.2); Ineichen (1966, 222 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 774 s.v. mandorle: olio di mandorle), Elsheikh (2016 II, 203 s.v. mandorla: olio di mandorle dolci, olio di mandorle amare, olio di mandorle ricenti). Per la forma amandola di B, cf. quanto detto s.v. amigdala (1.a.: sezione 1). – oleum camomillinum ‘olio di camo­ milla’ (2 occ.; 145) [chamaemelinus TLL III, 987; cf. → s.v. camomilla] oglo di camamilla: R («unguento di altee overo oglo di mulscelnino e di camamilla con bituro») 116v; oio de chamamilla: V 39r, 50r; oleo de camomilla: B 36r ▲ Dal gr. χαμαιμήλινος. L’unica loc. analoga rintracciabile in OVI e ReMediA è il bol.a. olio camomillino (pm. sec. XIV, RicetteMediche; TLIO s.v. camomillino). Il lemma camomillino è in Crusca5. Cf. Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio). – oleum de alcanna ‘olio di alcanna o henna, ricavato dalla pianta appartenente alla famiglia delle Lythraceae (Lawsonia inermis L.)’ (242) [alcanna Du Cange I, 169b]

III Botanica e farmacologia 

 817

oleo de alchana: B («li medicini in li quali è la resolutione e la molificatione insiema sono [...] laudano, oleo anticho, oleo de alchana») 57v

oglio laurino m.: R («ogli caldi sì come oglio d’euforbio, castorio, laurino e simile cose») 174r (2); oio laurino: V 69v (2); oleo laurino: B 74r (2)

▲ Dall’ar. al-ḥinnā’ (cf. DEI I, 113 s.v. alcanna: «polvere tintoria per unghie e capelli usata in oriente [...]; è passato nell’uso generale per il commercio egiziano delle foglie polverizzate, usate come astringente»; DELIN, 79; Nocentini 2010, 24); le prime testimonianze certe del termine all’interno di testi latini rimandano al XII sec. Prima attestazione: fior.a. alchana (1310, BencivenniSantà, TLIO). Il lemma alcanna è presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 56 e 222 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 703), García Gonzáles (2007, 338), Green (2009, 387), Ventura (2009, 251), Elsheikh (2016 II, 80 s.v. alcanna).

▲ Prima attestazione: fior.a. olio laurino (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; testimonianze anche in Bencivenni, PalladioVolg e MaestroBartolomeo per l’area toscana, nel sic.a. di MascalciaRuffoVolg e nel sab.a. di MascalciaRusioVolg); DEI (III, 2184). Il lemma laurino è presente da Crusca1. Cf. Gleßgen (1996, 769), Aprile (2001a, 419 s.v. oglio), Green (2009, 404).

– oleum iuniperi ‘olio di ginepro (Junipe­ rus L.)’ (248) [iuniperus TLL VII 2, 662] iunipero m.: B («Recipe melle, anacardo, iunipero») 59r; oglo del ginepro: R 131r; oio de zenevro: V 56r ▲ La forma dotta iunipero è attestata solo in tre testi all’interno del corpus OVI (AntidotNicolaiVolg, Belcalzer, Serapiom; cf. DEI III, 2129). Gli esiti romanzi muovono dal lat. zinĭpĕrum (Asperti/Passalacqua 2014, 27), variante del lat. class. iuniperus (REW §4624), e la forma ginepro è molto ben documentata nel corpus OVI; non vi si leggono, invece, testimonianze della forma veneta zenevro di V, per la quale si veda Nystedt (1988, 284). Cf. Ineichen (1966, 140), André (1985, 134), Gleßgen (1996, 766), Barbato (2001a, 419), García Gonzáles (2007, 344 s.v. amifructus; 356 s.v. arceotidos), Green (2009, 399), Ventura (2009, 494), Tomasin (2010, 56), Castrignanò (2014, 187), Elsheikh (2016 II, 169), Zarra (2018, 520). – oleum laurinum ‘olio di alloro (Laurus nobilis L.)’ (2 occ.; 319) [laurinus TLL VII 2, 1059]V

– oleum liliaceum/oleum de lilio ‘olio di giglio’ (2 occ.; 153/2 occ.; 233) [liliaceus TLL VII 2, 1397] 1.a. oio de zio: V («questo resolutivo e madurativo si è sì chomo inpiastro de farina de formento [...] chon senavro e oio de zio») 53v, 55r; oglio de gilglo: R 124r; olio de lilio: B 37v (2), 55v, 57v; oio de zio biancho: V 37r 1.b. olio liliaco (oglo liliaci) m.: R («confincielo con adipe [...] overo oglo sansammo overo liliaco») 81r (2) ▲ 1.a., 1.b. Non si hanno attestazioni dell’agg. dotto liliaceo all’interno dei corpora OVI e ReMediA. Cf. tosc.a. olio del giglio (pm. sec. XIV, PalladioVolg, OVI); olio del giglio (1361, UbertinoBrescia, OVI). Il lemma liliaceo è presente solo in Crusca5; DEI (III, 2230). Cf. Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio: olio del lillio). – oleum masticinum ‘olio di mastice’ (100) [mastic(h)inus TLL VIII, 432; cf. → s.v. mastix]

masticie: R («oglo di grande valimento [...] sì come rose e mortina overo masticie») 54v; oleo de mastice: B 25v ▲ Il lat. masticinum corrisponde al gr. μαστίχινος. Il TLIO registra due testimonianze della presente loc.: tosc.a. olio masticino (pm. sec. XIV, PalladioVolg, OVI); fior.a. ~ (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie). Il lemma masticino è presente in Crusca3,4,5.

818 

 6 Glossario

– oleum mirtinum ‘olio di mirto’ (8 occ.; 66) [myrtinus TLL VIII, 1749; cf. → s.v. mirtus] 1.a. oglo di mortina (oglio di mortina): R («Ricevi l’oglo vementis quasi tiepido, sì come di mortina overo rosado») 38v, 54v (3), 153r; oleo de mirto: B 24v, 68r; oio de smartella (olio de smartela): V 18r, 18v, 19r, 64v 1.b. oglo miritino (olio meritino) m.: R («buono è ungnere dell’oglo miritino») 37r, 38r; oio mirtino: V 25r, 26r (3); oleo mirtino: B 17r, 17v (2), 25v (3)

▲ 1.a., 1.b. L’agg. mirtinus viene dal gr. μύϱτινος (cf. DEI IV, 2473). Per i vari termini indicanti la pianta del mirto (mirto, mortina, smartella), cf. s.v. mirtus. Cf. tra le prime attestazioni ricavabili dal corpus OVI: fior.a. oleo mirtino (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); bol.a. olio mirtino (pm. sec. XIV, RicetteMediche). Il lemma mirtino è presente da Crusca1. Cf. García Gonzáles (2007, 494), Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio: olio di mortine). – oleum muscellinum ‘olio preparato con il musco’ (2 occ.; 219) [muscellinus assente in TLL, Du Cange e Forcellini] oglo di mulscelnino (oglo muscellino) m.: R («unguento di altee overo oglo di mulscelnino») 116v, 118r; oio muzollini (oio musollino 51r): V 50r, 51r; oleo muscalino: B 52v; muscel­ lino: B 53r ▲ L’agg. muscellinus deriva dal sost. muscus (a sua volta dal gr. μόσχος), per il quale cf. TLL (VIII, 1701). Prima attestazione: fior.a. oleo muscellino (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. muscellino; sempre in area toscana, la loc. si legge anche in LibroCuraMalattie, CrescenziVolg, MaestroBartolomeo). Voce assente in Crusca. Cf. García Gonzáles (2007, 485 e 494), Green (2009, 403 s.v. musceleon), Artale (2014, 46), Elsheikh (2016 II, 222 e 230 s.v. muscellino e olio). – oleum pulegii ‘olio di puleggio’ (319) [puleium TLL X 2, 2576; cf. → s.v. pulegium]

1.a. oglio pulegino m.: R («Recipe oglio laurino, sanbucino, sissamino, pulegino») 174r 1.b. oio de pollizuol: V («tuo’ [...] oio laurino, sanbusino e de pollizuol») 69v; oleo de pilizolo: B 74v ▲ 1.a., 1.b. Per le varie forme del sost. ┌puleggio┐, cf. s.v. pulegium. Il TLIO (s.v. puleggio) attesta il fior.a. olio di puleggio (primi decenni XIV sec., LibroSegreteCoseDonne), ma non si rinvengono attestazioni dell’agg. pulegino, assente anche in Crusca. Cf. Green (2009, 404). – oleum rosatum ‘olio di rose’ (44 occ.; 29) [rosatus Forcellini IV, 159] oglo rosado (oglio rosado; olio rosado; olio rosato; olo rosado) m.: R («impiastra lo luogo con l’olio rosato e llo albume») 15v, 22v, 39r, 38v, 39v (2), 50v, 51r, 66r (2), 73r, 74r, 77r (3), 82v, 84v, 87v, 92v, 105v, 108v, 111r, 112v, 122r, 125v, 126v;461 oleo rosato: B 7r, 10r, 17r, 17v (2), 18r (2), 23v, 24r, 25v, 30v, 31r, 34r, 34v (4), 36r (3), 38v, 39r, 40r, 40v, 42v, 47v, 49r, 50r, 50v, 51r, 54v, 56v, 57r (2), 66v (2), 68r (2), 71r, 73r (3), 73v (3); oio roxado (oio aroxado; olio roxado; ollio roxado): V 11v, 18r, 18v, 19r, 19v (2), 24r, 26r, 24v, 30v (2), 33v (2), 34r, 34v, 35r, 37v, 38r, 39r (3), 41r, 45v, 47r, 48r, 48v, 49r, 52v, 54r, 54v, 64r, 64v (2), 67r, 69r (6) ▲ Loc. ben documentata nei corpora OVI e ReMediA. Prima attestazione: olio rosato (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, OVI). Cf. Crusca1 (s.v. rosato: ‘cioè olio dove sia messo rose in infusione’; anche in Crusca2,3,4). Cf. Ineichen (1966, 223 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 889), Aprile (2001a, 419 s.v. oglio), García Gonzáles (2007, 494), Green (2009, 404), Tomasin (2010, 63), Castrignanò (2014, 194), Elsheikh (2016 II, 230 e 269 s.vv. olio e rosato).

461 Non si considerano qui le diverse forme abbreviate (cf. oglio ro, con titulus sulla o finale: 171v), presenti soprattutto nella seconda metà del ms.

III Botanica e farmacologia 

– oleum sambucinum ‘olio di sambuca’ (319) [sambucinus assente in TLL, Du Cange e Forcellini] oglio sanbucino m.: R («Recipe oglio laurino, sanbucino, sissamino, pulegino») 174r; oio sanbusino: V 69v; oleo sambucino: B 74v ▲ Alcune testimonianaze analoghe si rintracciano nel corpus OVI: fior.a. olio sambucino (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); pad.a. ullio sambucino (fine sec. XIV, Serapiom); tosc.a. unguento sambucino (sec. XIV, MaestroBartolomeo). Il lemma sambucino è assente in Crusca. In epoca più recente si attesta l’uso del sost. f. sambucina (GDLI: ‘alcaloide che si ricava dal sambuco con analoghe proprietà terapeutiche’). Cf. Ineichen (1966, 223 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 813), García Gonzáles (2007, 494), Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio: olio del sambuco). − oleum sisaminum ‘olio di sesamo’ (2 occ.; 153) [sesaminus Forcellini IV, 340] oglio sissamino (oglo sansammo †) m.: R («confincielo con adipe [...] overo oglo sansammo overo liliaco») 174r; oio sisamino: V 37r; oleo de sisamino: B ▲ Dal gr. σησάμινος. L’unica loc. analoga rintracciabile all’interno dei corpora OVI e ReMediA è il pad.a. ullio sisamin (fine sec. XIV, Serapiom). Il lemma sesamino è assente in Crusca. Cf. Ineichen (1966, 223 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 813), Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio). – oleum violatum/oleum violae ‘olio di viole’ (173/319) [violatus assente in Du Cange e Forcellini] oglo violato m.: R («unga el luogo coll’oglo violato») 92v, 173v; oio viollado: V 41r, 69v; oleo violato: B 42v, 73v ▲ Prima attestazione: fior.a. oleo violato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); loc. ben documentata all’interno dei corpora OVI e ReMediA: altre testimonianze trecentesche,

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sempre in area toscana, si leggono, in: BencivenniSantà, PalladioVolg, LibroSTrinita, RicetteRubertoBernardi, CrescenziVolg, MaestroBartolomeo, ChirurgiaFrugardoVolg. Cf. Crusca1 (‘con infusion di viole’; a partire da Crusca3 con un esempio contenente proprio la loc. olio violato). Cf. Ineichen (1966, 223 s.v. ullio), Gleßgen (1996, 838), Sboarina (2000, 266), Green (2009, 404), Castrignanò (2014, 213 s.v. violato), Elsheikh (2016 II, 230 s.v. olio).

olibanus ‘incenso’ (17 occ.; 66) [libanum TLL VII 2, 1259]

1. alibano m.: R («inpiastri istitici [...] sì come acaçia, mirra, alibano e simile cose») 81r; libano: R 39r, 94v; olibano (olibanum; ulibano): R 37v (3), 38r, 66r, 107r, 136v 2. incenso m.: B («Recipe incenso parte j») 17r (3), 17v, 30v, 38r, 43v, 48v, 61v; inzenso: V 18r, 18v (3), 19r, 30v, 37r, 46v, 58v ▲ 1. Dal gr. λίβανος, voce d’origine semitica (cf. DEI IV, 2638). Prima attestazione: fior.a. olibano (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. olibano). Non si registrano, in OVI e ReMediA, testimonianze della forma aferetica libano, così come della forma alibano, entrambe documentate da R. Cf. Ineichen (1966, 167), Gleßgen (1996, 789), García Gonzáles (2007, 494), Green (2009, 404), Ventura (2009, 625), Elsheikh (2016 II, 230). 2. Prima attestazione: pav.a. incenso (1274, Barsegapè, TLIO). Voce presente da Crusca1. Nell’Almansore volgarizzato, il termine olibano è glossato con la loc. encenso grosso (cf. Elsheikh 2016 II, 150 s.v. oncenso grosso).

opiata/medicina opiata ‘oppioide’ (106/2 occ.; 106) [opiatus Du Cange VI, 48a]

cosa opiata f.: R («sia data alcuna cosa opiata») 57v; medicina opiata: R 57v; ~: B 27r; opiata: R 57v; ~: V 27r; ~: B 27r (2)

820 

 6 Glossario

▲ Agg. derivato dal sost. opium (cf. s.v.), gr. ὄπιον (cf. DEI IV, 2662). L’unica attestazione registrata dal TLIO (s.v. oppiato) è il fior.a. oppiate (primi decenni sec. XIV, LibroCuraMalattie), e non si rintracciano testimonianze in OVI e ReMediA. Il lemma oppiato è presente in Crusca3,4,5.

opium ‘lattice estratto per incisione dalle capsule di alcune piante delle Papaveraceae (in particolare dal Papaver somniferum L.)’ (3 occ.; 213) [TLL IX 2, 733]

opio m.: R («Recipe mirra, storace, el seme del giusquiame, opio, pepe») 113r, 171v; ~: V 48v, 69r (2); ~: B 51r, 73r (2) ▲ Dal gr. ὄπιον, a sua volta derivato dal sost. ὀπός ‘succo di pianta’ (cf. DEI IV, 2663 s.v. oppio2; DELIN, 1079). Prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) oppei (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. oppio). Voce presente da Crusca1 (‘Sonnifero fatto di latte di papaveri’). Cf. Ineichen (1966, 168), André (1985, 179), Nystedt (1988, 251), Marcovecchio (1993, 606), Gleßgen (1996, 791), García Gonzáles (2007, 496), Green (2009, 404), Ventura (2009, 613), Tomasin (2010, 63), Sosnowski (2014, 225), Elsheikh (2016 II, 232), Zarra (2018, 538).

oppoponacum ‘opopònaco o opopànaco, pianta della famiglia delle Apiaceae (Opoponax chironius L.); gommoresina ricavata dalla pianta e usata nella preparazione di medicinali’ (4 occ.; 67)

[TLL IX 2, 733]

apponaco m. (†): R («quelle medesime cose si è come el serapino e apponaco») 39v; opo­ ponaci (opoponaco): B 17r, 18r (2), 24v; opoponago: V 19v, 25r; oppoponaco (opoponaco;

oppopunacis genit.lat.): R 37v, 39v, 52v; popo­ nago: V 18v, 19v, 25r ▲ Dal gr. ὀποπάναξ (composto da ὀπός ‘succo di pianta’ e πάναξ ‘panacea’; cf. DEI IV, 2663 s.v. opoponace e oppoponaco: «Lat. opoponax di Plinio, preso da Galeno [...], diffuso dalla cultura medievale che ne fece largo uso in medicina»). Termine ben attestato nel corpus OVI; prima attestazione: fior.a. opoponaco (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. oppoponaco ‘lo stesso, che l’erba panace di gran virtù medicinale’). Nei quattro contesti della Chirurgia bruniana ci si riferisce probabilmente sia alla pianta (o alle sue radici; cf. radix oppoponacis: Hall 1957, 67) sia alla gommoresina da essa ricavata. Cf. Ineichen (1966, 169), André (1985, 179), Gleßgen (1996, 791), Gualdo (1996, 212), Aprile (2001a, 420), García Gonzáles (2007, 496), Green (2009, 404), Ventura (2009, 612), Castrignanò (2014, 195), Sosnowski (2014, 225), Elsheikh (2016 II, 232), Zarra (2018, 538).

origanon ‘pianta aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae e comprendente circa 45–50 specie (Origanum L.)’ (213) [origanum TLL IX 2, 977]

origano m.: R («quel vermio muoia o col fusto del poleggio overo dell’origano») 113r; ~: V 48v; ~: B 51r ▲ Dal gr. ὀρίγανον/ὀρίγανος, ritenuto un prestito per via della provenienza nordafricana della pianta (cf. DEI IV, 2676; DELIN, 1089; Nocentini 2010, 792). Prima attestazione: sen.a. origano (montano) (pm. sec. XIV, BestiarioVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. origano). Cf. Ineichen (1966, 169), André (1985, 181), Nystedt (1988, 251), Gleßgen (1996, 792), Aprile (2001a, 421), Barbato (2001a, 448), García Gonzáles (2007, 497), Green (2009, 404), Ventura (2009, 615), Tomasin (2010, 63), Elsheikh (2016 II, 233), Zarra (2018, 539).

III Botanica e farmacologia 

orobus ‘seme dell’orobo (Vicia ervilia L.)’ (7 occ.; 44) [TLL IX 2, 1054]

1. orobi genit.lat.: R («Queste cose sono più forti da capo sì come [...] farina lupinorum, farina [...] orobi») 37v; ~ (orbi): V 12v, 18v, 25r, 29v, 33v;462 orobo m.: B 11r, 17r, 23v, 24v, 29v463 2. orbigli[o] m.: R («Recipe la farina delgli orbigli, la farina delle fave, lo sterco della capra») 134v; roveya (rovelia) f.: B 11r, 17r, 23v, 24v, 29v, 34r, 34v, 60v; robigl[ia]: R 24v ▲ 1. Dal gr. ὄϱοβος ‘ervo’ (cf. DEI IV, 2681). Prima attestazione: fior.a. orobo (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; altre testimonianze si trovano in PalladioVolg, RicetteMediche, UbertinoBrescia, Serapiom). Voce presente in Crusca3,4,5. Legume associato ora all’ervo (cf. Porati 1816 s.v. ervo), ora alla cicerchia, con la quale, però, non coincide del tutto, come rilevava già Mattioli (1568, 456), contestando il medico ferrarese A. Brasavola: «L’ervo si chiama volgarmente nelle spetiarie Orobo, e così lo chiamano anchora i Greci [...]. Ma non sapendo forse questo il Brasavola si credette, che l’Ervo fusse il Roviglione, chiamato da Galeno [...] Ocro, ingannato forse dalla similitudine del nome. Nel che ritrovo havere errato parimente il Fuchsio,464 per haversi egli creduto [...] che l’orobo non fusse altro che la cicerchia». Cf. Ineichen (1959, 463), Ineichen (1966, 170), André (1985, 182), Aprile (2001a, 421), García Gonzáles (2007, 498), Green (2009, 404), Ventura (2009, 814).

462 A volte in associazione con farina e senza l’uso della preposizione, come se si trattasse del semplice mantenimento del gen. latino (< farina orobi). 463 Voce accompagnata, in tutte e cinque le sue occorrenze, dalla glossa roveya/rovelia (cf. 2.). 464 Il tedesco Leonhart Fuchs (1501–1566).

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2. Dal lat. ervilia: cf. DEI (V, 3292 s.v. rubiglia), Prati (1968, 146); LEI (E4, 766); Ineichen (1966, 190) ricorda, però, anche una forma latina mediev. robelia, che si rintraccia nell’Alphita (García Gonzáles 2007, 525). S’indica tuttora col termine roveja (detto anche pisello dei campi o robiglio) una specifica varietà di pisello (Pisum sativum L.; in particolare, la varietà del Pisum arvense L.) di provenienza mediorientale, ma lo stesso nome è talvolta associato anche all’Ervum ervilia L. e al Lathyrus latifolius L. (cf. Gualdo 1996, 216). Prima attestazione: fior.a. robiglie (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, OVI); altre testimonianze, sempre in area toscana, si rintracciano in: PalladioVolg, LibroSTrinita, CrescenziVolg, GoroArezzoGloss (in quest’ultimo, peraltro, il termine è associato espressamente al lat. orobus: «hoc orobum, bi, la robiglia»). Voce presente in Crusca4 (s.v. robiglia ‘Sorta di legume salvatico simile a’ piselli’). Cf. Ineichen (1966, 190 s.v. robeia: «semanticamente la voce è in conflitto con orobo»), André (1985, 97 s.v. ervilia), Nystedt (1988, 265 s.v. roveglia), Aprile (2001a, 466 s.v. reveglia), Elsheikh (2016 II, 270 s.v. rubillia).

oximellum ‘ossimele, mistura di aceto e miele’ (3 occ.; 105) [oxymeli Forcellini III, 356]

osimel (osimile; ossimelo) m.: R («contra flema imperciò è digesta inprima la medicina co l’osimile») 57v (2), 117r; ossevel: V 27r; oximelle: B 26v, 27r, 52v ▲ Dal gr. ὀξύμελι (voce composta da ὀξύς ‘acuto, acido’ e μέλι ‘miele’: cf. DEI IV, 2697 s.v. ossimieli). Termine ben documentato dai testi contenuti nel corpus OVI, dove la grafia originaria oxi- prevale su quella assimilata osi-/ ossi-; prime attestazioni: fior.a. oximel (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); ossimele (fine sec. XIII, TesoroVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. ossimele). Cf. Ineichen (1966, 242), Nystedt (1988, 251), Gualdo (1996, 172), García Gonzáles (2007, 500 s.v. oxi), Green (2009, 405), Castrignanò (2014, 195), Elsheikh (2016 II, 234).

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 6 Glossario

oxizacara ‘ossizzacchera o suzzacchera, bevanda costituita da aceto zuccherato’ (106)

inzenzo e litragiro, flor de papavaro roso») 24r, 45v; papavero rosso: B 47r; papavero ruffo: B 23v;466 papavero rufi (papaveris rubei genit. lat.): R 50v, 104v

oxizachara f.: V («chontra la chollora chon oxizachara dali chatarticho inperialle») 27r; ~ (oxizachera): B 9r,465 27r; ozizachera: R 57v

▲ Prima attestazione: aret.a. papavero (1282, RestArezzo, OVI; cf. TLIO s.v. papavero; si veda in particolare la loc. papavero rosso §2, attestata nel solo pad.a. di Serapiom). Voce presente da Crusca1 (s.v. papavero). Sono scarsissime, poi, nel corpus OVI, le testimonianze dell’agg. ruffo (fior.a. ruffo: ante 1334, Ottimo; pad.a. ~: fine sec. XIV, Serapiom; si veda anche Elsheikh 2016 II, 271), non registrato in Crusca. Nei testi antichi si ritrovano anche le varietà del papavero bianco e del papavero rosso (Zarra 2018, 542). Cf. Ineichen (1966, 173 e 174), Nystedt (1988, 252), André (1985, 188), Marcovecchio (1993, 628), Gleßgen (1996, 684 e 795), García Gonzáles (2007, 348 s.v. anemon), Green (2009, 405), Ventura (2009, 634), Sosnowski (2014, 226), Elsheikh (2016 II, 236 e 270 s.vv. papavero e rosso).

[oxysaccharum Forcellini III, 357]

▲ Dal gr. ὀξυσάκχαρον (voce composta da ὀξύς ‘acuto, acido’ e σάκχαρον ‘zucchero’: cf. DEI IV, 2697 s.v. ossizacchera). Prima attestazione: fior.a. oxiçachera (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. ossizzacchera; altre testimonianze, tutte di area toscana, sono registrate in LibroCuraFebbriManuzzi, LibroCuraMalattie, UbertinoBrescia, CrescenziVolg, SacchettiNovelle). Voce presente da Crusca1 (s.v. ossizzacchera [‘Oggi, per corrotto vocabolo, diciam suzzacchera’] e suzzacchera). Cf. Green (2009, 405).

palma ‘pianta della famiglia delle Palme’ (65) [TLL X 1, 141]

palma f.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo schorzi de palma») 18r; ~: B 16v ▲ Voce del lessico comune, ampiamente documentata già nei testi duecenteschi. Prima attestazione: fior.a. palme (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO s.v. palma). Voce presente da Crusca1 (s.v. palma). Cf. Ineichen (1966, 171), André (1985, 186).

papaver rufus/papaver rubeus ‘papavero rosso’ (92/195)

passulae/uvae passulae ‘uva passa’ (37/76) [Du Cange VI, 199b]

1. pissul[a] f.: R («gli sia dato sì come è diapenidion, diedraganti et simile cose, con decotione di regolizia, isopi, pissule») 20r; uv[a] passit[a]: R 42v;467 uva passa: V 10v; ~: B 9r 2. uva secha f.: V («tuo’ sarchachola e de li zigo, de l’uva secha sana e sumachi») 20v

papavaro roso (papavaro arosso) m.: V («Le medexine [...] si è sì chomo [...] schorze de

▲ 1. Dal lat. passus, part. perf. di pandĕre ‘stendere’ (alla lettera ‘steso a seccare, ad appassire’). L’unica attestazione della voce passula ricavabile dal corpus OVI è il sic.a. passula (1348, SenisioDeclarus); non vi si rintracciano, poi, testimonianze della forma pissula di R, né

465 Qui sulla base della variante oxizacara per ydrozacara: (cf. s.v.), e con l’accompagnamento della glossa zoè syrupo facto cum aceto e cum zucaro.

466 Con l’accompagnamento della glossa zoè rosso. 467 Ms.: passile.

[Du Cange VI, 145a]

III Botanica e farmacologia 

della loc. uva passita (< part. pass. di passire ‘appassire’); è invece molto ben documentata la loc. uva passa (prima attestazione: fior.a. uve passe, fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Cf. le varianti offerte da Boerio (1867 s.v. uva: uva passa ‘uva passula o passa o passerina o di Corinto. Uva nera piccolissima, che si secca al sole e ci vien di Levante’). I lemmi passula e passito sono assenti in Crusca, dove si registra, fin dalla prima edizione, l’agg. passo (§3 ‘Si dice dell’erbe, e delle frutte, quando, per mancamento d’umore, hanno cominciato a divenir grinze, e patíre, appassito’). Cf. Ineichen (1966, 174 e 225 s.vv. passolo e uva passa), Nystedt (1988, 253 s.v. passula e 280 s.v. uva passa), Marcovecchio (1993, 903), Aprile (2001a, 523 s.v. uva: uva passa), García Gonzáles (2007, 504), Ventura (2009, 657), Castrignanò (2014, 196), Elsheikh (2016 II, 327 s.v. uva). 2. Cf. le attestazioni della loc. presenti nel corpus OVI (le più antiche: sen.a. uve secche, ante 1303, StatutoGabellaAdd; fior.a. uve seche, 1310, BencivenniSantà).

penidium ‘penidio, zucchero d’orzo’ (210)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] peneti m.: V («Rezipe draganti, amidi, peneti, ana le parte valide») 48r; penidij: B 50r; penniti: R 111v ▲ L’unica attestazione riportata dal TLIO (s.v. penidio) è il fior.a. penidi (sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO; ma cf. anche il sinonimico e ben più documentato pinnito s.v., considerato dal TLIO di etimo non accertato). Voce assente in Crusca (il lemma pennito, invece, è presente da Crusca1); DEI (IV, 2836 s.v. pennito). Cf. Ineichen (1966, 242), Lupis (1982, 386), Nystedt (1988, 253), Gleßgen (1996, 896: «Der Zucker wurde eingekocht, bis er Fäden zog, die oft mit Stärke oder Mandelöl versetzte Masse wurde geknetet und geflochten»), Gualdo (1996, 173), Ventura (2009, 642), Tomasin (2010, 64), Elsheikh (2016 II, 238).

 823

pentafilon ‘pentafillo, cinquefoglie: pianta del genere Potentilla (Potentilla reptans L.)’ (66) [pentafolium TLL X 1, 2784]

pantafillo m.: V («Medexine incharnative [...] sì chomo schorzi de palma, [...] foie de pantafillo con melle») 18r; pentafilon: R 37; ~: B 16v468 ▲ Dal gr. πεντάϕυλλον ‘a cinque foglie’ (voce composta da πεντα ‘cinque’ e ϕύλλον ‘foglia’; in lat. si registra anche la forma ibrida greco-latina pentafolium: cf. DEI IV, 2838). Il TLIO registra soltanto due attestazioni: fior.a. pentafilon (sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO); sic.a. ~ (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg); a queste si può aggiungere la forma ibrida pentafoliom (pad.a., fine sec. XIV, Serapiom, TLIO). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. pentafilo; interessante è la nota critica di Gherardini 1843, 439, verso la grafia con laterale scempia, che rende poco chiara l’etimologia della parola: «la Crusca, in vece di Pentafillo con doppia L, vuol che si scriva Pentafilo con la L scempia; dunque ella vuole che Cinquefoglie venga significato da una parola, la quale non può significar altro in quello scambio che Del cinque amico in greco, o vero A cinque fili in greco-italiano»). Cf. Ernst (1966, 170 s.v. pentafilonne), Ineichen (1966, 176), André (1985, 191), Aprile (2001a, 431), García Gonzáles (2007, 506), Green (2009, 405), Ventura (2009, 667), Castrignanò (2014, 196), Zarra (2018, 543).

persiccaria ‘genere di piante appartenenti alla famiglia delle Polygonaceae (Persicaria Mill.)’ (2 occ.; 223)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] 1.a. persegaria f.: V («Alguna volta se meseda chon eso [...] persegaria») 51r; persiccaria: B 53r (2)

468 Con l’accompagnamento della glossa zoè de cinque folij.

824 

 6 Glossario

1.b. pesca (pl. peschie) f.: R («succhio di pesca fa buono medicame») 118v (2) ▲ 1.a. Il lat. persiccaria è un der. del sost. persĭca ‘albero di pesco’: l’associazione è dovuta alla somiglianza delle foglie tra le due piante (cf. TLL X 1, 1707: persicarius; DEI IV, 2865; DI III, 688). Prima attestazione: fior.a. persicaria (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, TLIO s.v. persicaria; altre due testimonianze rintracciabili nel corpus OVI appartengono a MaestroBartolomeo e MascalciaRusioVolg). Voce presente in Crusca1 (s.v. persicaria). Cf. Gleßgen (1996, 803), Green (2009, 406), Ventura (2009, 673), Elsheikh (2016 II, 239). 1.b. Dal lat. persica malus, alla lettera ‘melo di Persia’ (DEI IV, 2870; DELIN, 1176; l’agg. è a sua volta dal gr. περσικὸν). Prima attestazione: fior.a. pesche (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO s.v pesca). Voce presente da Crusca1 (s.v. pesca). Cf. Elsheikh (2016 II, 239).

persicum ‘pesco, albero da frutto (Prunus persica L.)’ (223) [Du Cange VI, 282c]

persege m.: V («metilli [...] sugo de foie de persege over d’asenzo») 51r; pesco: R 118v ▲ Dall’agg. lat. pĕrsĭcus ‘di Persia’ (DEI IV, 2865 s.v. persico1; DI III, 675): cf. s.v. persiccaria (1.b.). Prima attestazione: aret.a. persico (1282, RestArezzo, TLIO s.v. persico). Il lemma persico è in Crusca3,4, mentre pesco è presente già da Crusca1. Al pari di quanto rilevato per il Moamin da Gleßgen (1996, 801), anche nella Chirurgia di Bruno le foglie del pesco sono usate per la produzione di un decotto contro i parassiti, e nello specifico contro i vermi dell’orecchio. Cf. DI (III, 674), Ernst (1966, 170), Ineichen (1966, 177), André (1985, 193), Nystedt (1988, 254), Gualdo (1996, 213: persico ‘pesca’), Ventura (2009, 677), Castrignanò (2014, 197), Zarra (2018, 544).

pes corvi ‘ranuncolo comune (Ranunculus acer L.)’ (67)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] pè de chorbo: V («Jpochras lalda una erba la qual à nome pè de chorbo ») 18v; piè di corbo: R 38r; pede de corvo: B 17v ▲ Il nome della pianta si deve, secondo Alberto Magno, alla somiglianza tra la sua foglia e la zampa del corvo (cf. il passo citato in McVaugh 1997, 228: «Pes corvi habet similitudinem pedis corvi propter scissuram foliorum»). L’unica loc. analoga ricavabile dal TLIO (s.v. corvino §2) è il pad.a. pè corvino (fine sec. XIV, Serapiom), per il quale cf. anche le osservazioni offerte da Ineichen (1966, 175).

petrosilinum ‘prezzemolo (Petroselinum crispum L.)’ (302)

[petroselinum TLL X 1, 1982]

peresemollo m.: V («tu die trovare challamo ramaticho, semenza d’epo, de peresemollo») 66v; petersemo: B 70v; petersolluno: R 160v ▲ Dal gr. πετϱοσέλινον (voce composta da πέτρα ‘pietra’ e σέλινον ‘sedano’, alla lettera ‘sedano che nasce fra le pietre’: cf. DEI IV, 3077; DELIN, 1258): per una storia del termine e delle principali forme popolari latine, cf. Castellani (2000, 209–211). Prima attestazione: fior.a. pedresem (1299/1309, Belcalzer, OVI); sono complessivamente scarse le testimonianze trecentesche ricavabili dal corpus OVI (fior.a. prezzemoli/prezzemolo: sec. XIV, CrescenziVolg; lomb.a. petresemolli: sec. XIV, MalattieFalconi; fior.a. prezzemolo: fine sec. XIV, Regime du corps Crusca1). Voce presente da Crusca1 (s.v. prezzemolo/petrosemolo). Cf. Ernst (1966, 170 s.v. perdosennolo), André (1985, 195), Nystedt (1988, 255), Aprile (2001a, 436), García Gonzáles (2007, 542 s.v. sinonum), Green (2009, 406), Ventura (2009, 637), Castrignanò (2014, 197 s.v. petrosino), Elsheikh (2016 II, 250 s.v. pretosemolo).

III Botanica e farmacologia 

pilula ‘preparato farmaceutico per uso orale’ (2 occ.; 106) [TLL X 1, 2143]

pillol[a] f.: R («se llo infermo sia debole col lattovario overo pillole pilglare») 57v; pillul[a] (pilul[a]): B 26v, 47r; piroll[a]: V 27r, 45r ▲ Il lat. pillula ‘pallottolina’ è il dimin. di pila ‘palla’ (DEI IV, 2921; DELIN, 1195). Prima attestazione: fior.a. pillole (1286–90, RegistroSMariaCafaggio, TLIO s.v pillola). Voce presente da Crusca1 (s.v. pillola ‘Piccola pallottolina medicinale, composta di più ingredienti’). La forma con dissimilazione pirolla, testimoniata da V, trova conferma, per l’area veneta, nelle numerose occorrenze del pad.a. pirole/pirolle presenti in Serapiom (fine sec. XIV). Cf. Ineichen (1966, 242 s.v. pirola), Nystedt (1988, 256), Marcovecchio (1993, 673), Gleßgen (1996, 689), Gualdo (1996, 174), Aprile (2001a, 439), Green (2009, 406), Castrignanò (2014, 197), Elsheikh (2016 II, 244). ♦ Loc. e collocazioni: – pilula aurea ‘tipo di pillola ritenuta di particolare efficacia terapeutica’ (2 occ.; 105) pillol[a] aure[a] f.: R («sia benedetta overo pillole auree overo altre con che la frema sia purgata») 57v, 103v;469 pillul[a] (pillul[a] aure[a]): B 26v, 47r; piroll[a] aure[a]: V 27r, 45r ▲ DEI (IV, 2921 s.v. pillola dorata: «lat. medioev. pilula aurea [...] coperta da una leggera foglia d’oro»). Cf. le due attestazioni della loc. presenti in OVI: fior.a. pillule auree (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg; con la seguente spiegazione etimologica: «pillule son dette perk’elle son tonde, auree son dette per la grande dignitade dell’oro, ke ssì come l’oro tra gl’altri metalli è più pretioso e così queste pillule sono aprovate melliori»); tosc.a. pilole auree (ante 1361, UbertinoBrescia).

469 Ms.: pollole.

 825

piper ‘pepe, nome comune di diverse specie della famiglia delle Piperaceae’ (4 occ.; 213) [TLL X 1, 2187]

pepe m.: R («Recipe mirra, storace, el seme del giusquiame, opio, pepe») 113r, 113v, 174v (2); pevere: V 48v, 49r, 69v; pipero (pever; pevere; pevero): B 51r (2), 74r (2) ▲ Prima attestazione: sen.a. pepe (1233–43, MattasalàSpinello, OVI). Il tosc. pepe deriva direttamente dal nomin. pĭpĕr, laddove le forme di V e B sono l’esito dell’accus. pĭpĕre(m) (DEI IV, 2887 s.v. pevere): se, nel corpus OVI, è ampiamente attestato il sost. pevere (con la consueta spirantizzazione settentrionale dell’occlusiva bilabiale sorda intervocalica: cf. Rohlfs 1966–1969, §207), risulta al contrario poco documentata la forma con metaplasmo pevero (solo in tre testi toscani: LibroSTrinita, CanzoniereAnon, EsopoVolg; peraltro, tranne che in CanzoniereAnon, l’accezione non è quella di ‘pepe’, bensì quella registrata da Crusca s.v. pevero, ovvero ‘Spezie d’intintura, sì come salsa, e savore, fatto di sapa, peverada farina, e spezieríe’), mentre non è attestata affatto la forma pepero. Cf. Ineichen (1966, 178), André (1985, 200), Nystedt (1988, 254 e 256), Gleßgen (1996, 689 e 799), Gualdo (1996, 213), Aprile (2001a, 431), García Gonzáles (2007, 511), Green (2009, 406), Ventura (2009, 630), Castrignanò (2014, 196), Elsheikh (2016 II, 239), Zarra (2018, 544).

piretrum ‘piretro, radice di Anthemis pyrethrum L.’ (4 occ.; 211) [pyret(h)rum TLL X 2, 2787]

pilatro m.: R («Recipe il cennamo, gherofani [...], pilatro») 112v, 113r, 174r, 174v; ~ (piratro): V 48v, 69v (2); piretro: B 50v, 51r, 74r ▲ Dal gr. πύρεϑρον, derivato da πῦρ ‘fuoco’ per il suo effetto calorico (cf. DEI IV, 2942;

826 

 6 Glossario

DELIN, 1201). Voce ben attestata nel corpus OVI; prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) piretri (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. piretro); presente solo in Crusca4. Rimedio usato soprattutto contro il dolore dei denti. Cf. Ineichen (1966, 180), André (1985, 212), Gleßgen (1996, 804), Aprile (2001a, 439), García Gonzáles (2007, 511), Green (2009, 406), Ventura (2009, 629), Elsheikh (2016 II, 245), Zarra (2018, 546).

pix ‘pece, sostanza resinosa o bituminosa ottenuta dalla distillazione di catrami derivanti da sostanze organiche’ (4 occ.; 43) [TLL X 1, 2248]

1.a. pece f.: R («Recipe cera, ragia, euforbio e pece») 23v, 39v, 131r, 134v 1.b. pegola f.: V («Tuo’ zera e oio vischo, pegola, tanto de l’uno quanto de l’altro») 19v, 56r, 57v; ~: B 10v, 18r, 59r, 60v; pegolla navale: V 12r ▲ 1.a. Prima attestazione: pis.a. pece (pm. sec. XII, ContoNavale, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. André (1985, 202), Marcovecchio (1993, 675), Gleßgen (1996, 797), Aprile (2001a, 429), García Gonzáles (2007, 511), Green (2009, 406), Ventura (2009, 662), Castrignanò (2014, 196), Elsheikh (2016 II, 237). 1.b. Dal lat. tardo pĭcŭla, dimin. di pix (cf. DEI IV, 2822). La voce pegola è ben attestata nel corpus OVI (prima attestazione: sen.a. pegola, dopo il 1303, StatutoGabellaAdd, TLIO) ed è presente da Crusca1 (‘Materia tenace, con la quale le pecchie turano le fessure delle loro stanze’). Cf. Ineichen (1966, 175), Aprile (2001a, 437 s.v. picula), Elsheikh (2016 II, 237). Per la loc. pegolla navale di V, cf. infra. ♦ Loc. e collocazioni: – pix graeca ‘colofonia’ (3 occ.; 67) [Cf. → s.v. colophonia]

pece grecha (pece greca) f.: R («alquante medicine sono lievi, sì come [...] mirra, aloes,

coloponia, cioè pece grecha») 37v, 82r, 144v; pegola greca (pegolla greca): V 18v, 37r; ~: B 17r, 65r ▲ Prima attestazione: sen.a. pecegreca (dopo il 1303, StatutoGabellaAdd, TLIO s.v. pece §1.1). La loc. pece greca è esplicitamente segnalata solo in Crusca4 (ma già in Crusca3 è presente all’interno di uno dei passi citati); DEI (IV, 2813). Cf. Gleßgen (1996, 798), García Gonzáles (2007, 399 s.v. colofonia), Elsheikh (2016 II, 237 s.v. pece). – pix navalis ‘pece nera, usata per calafa­ tare le navi’ (2 occ.; 155) pece navale f.: R («riceve pece greca e pece navale») 82r, 143v; pegola navale: B 38v, 64v; pegolla navale: V 62r ▲ Prima attestazione: fior.a. pece navale (pm. sec. XIV, Pegolotti, TLIO s.v. pegola). Loc. assente in Crusca; DEI (IV, 2813). Usata nella farmacopea soprattutto come anticatarrale. Cf. Ineichen (1966, 175), il quale registra la lunga perifrasi pegola che se tuole da le nave ch’è stà in mare; Sosnowski (2014, 226).

plantago ‘piantaggine, pianta erbacea officinale perenne della famiglia delle Plantaginaceae (Plantago maior L.)’ (122)

[TLL X 1, 2326]

1.a. piantaggine f.: R («sia fatto inpiastro470 con fris oleribus triti sì come piantaggine») 66r; plantazene: V 30v 1.b. plantana f.: B («se faza emplastratione cum frigidi herbi de orto triti, como è plantana») 30v ▲ 1.a. Prima attestazione: fior.a. plantagine (1310, BencivenniSantà, OVI); termine ben

470 Ms.: inpiancro.

III Botanica e farmacologia 

documentato nel corpus OVI, al pari dell’allotropo piantaggine. Voce presente da Crusca1 (s.v. piantaggine ‘petacciuola’). Con il termine piantaggine si designa, nello specifico, la piantaggine minore, che coincide con l’arnoglossa (cf. supra) e va invece distinta dalla maggiore (Plantago major L.). Cf. Ineichen (1966, 179), André (1985, 202), Marcovecchio (1993, 677), Aprile (2001a, 441), García Gonzáles (2007, 358 s.v. arnoglossa), Green (2009, 406), Ventura (2009, 663), Castrignanò (2014, 198), Sosnowski (2014, 226), Elsheikh (2016 II, 245), Zarra (2018, 547). 1.b. L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il mant.a. plantana (1299/1309, Belcalzer). La voce, difficilmente rintracciabile anche nei secoli successivi e assente in Crusca, sembra essere di pretta diffusione lombarda; Ferrari (2016, 87) ne attesta la presenza nel dialetto cremonese: da un lat. «*plantana e *plantanea – da cui il termine regionale ‘piantagna’ –, tutti derivati di planta nel senso di ‘pianta del piede, orma’ per la forma delle foglie della piantaggine maggiore»; DEI IV, 2895).

polium ‘polio, erba perenne del genere Teucrio (Teucrium polium L.)’ (91) [TLL X 1, 2536]

pilium (†): R («abisongna che noi favelliamo d’alquante cose di quelle le quagli per la milglore parte sono elette, e per quelle è centaurea, sarcocolla [...] pilium e gluttinum piscium») 49v; pollio m.: V 24r; ~: B 24r ▲ Dal gr. πολιός ‘bianco, grigio’ (cf. DEI IV, 2999). L’unica attestazione presente nel corpus OVI, e registrata dal TLIO (s.v. polio), è il pad.a. polio (fine sec. XIV, Serapiom; si distingue qui fra tre differenti specie, denominate rispettivamente polio montano, polio minore e polio grande). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. polio ‘sorta di erba’). Cf. Ineichen (1966, 181), André (1985, 203), García Gonzáles (2007, 516), Green (2009, 407), Ventura (2009, 661).

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portulaca ‘pianta erbacea, detta «Porcellana comune», appartenente alla famiglia delle Portulaceae (Portulaca oleracea L.)’ (4 occ.; 122) [TLL X 2, 57]

1.a. porcelacha (porcelaga) f.: B («ti tolia nuclei, zoè garioli, de nuce brusata e polvere de la radice de la porcelacha equalmente; e cum melle fizeno confecti») 50r, 73v; porcellana: R 66r; porzellana (porzelana): V 30v, 48r, 53r, 69r 1.b. portulaca (portulace genit.lat.) f.: R («tu pilgli el guscio della noce arso e lla polvere della radice portulace») 111v, 122v, 173r; ~: B 30v, 55r ▲ 1.a. La forma porcelacha/porcelaga di B, di cui non si attestano testimonianze nei corpora OVI e ReMediA, è l’esito del lat. class. porcillāca (che a sua volta rappresenta una forma alterata del termine lat. originario portulaca: cf. TLL X 2, 57); le forme porcellana di R e porzellana di V, invece, provengono dal lat. pop. *porcillana, con cambio di suffisso, o da un lat. *porcellāgo-inis (cf. DEI IV, 3020): già per il sost. lat. porcillaca è possibile ipotizzare un accostamento paretimologico al sost. porcus, nel senso di ‘sesso della scrofa’, poiché la pianta era usata per curare i genitali femminili dopo il parto: cf. DELIN, 1231; Nocentini (2010, 904 s.v. porcellana2). Prima attestazione: fior.a. porcellana (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. porcellana 2), forma, quest’ultima, ben attestata nel corpus OVI. Voce presente da Crusca1 (s.v. porcellana). In Toscana, poi, è documentata la forma popolare procacchia, per la quale si veda Zarra (2018, 549). Cf. André (1985, 205), Aprile (2001a, 443 s.v. porchyaccha), Nystedt (1988, 257), Green (2009, 407), Elsheikh (2016 II, 248 s.v. porcellana). 1.b. Voce di trafila dotta, dal lat. class. portulaca (DELIN, 1236). La documentazione volgare rintracciabile nei corpora OVI e ReMediA è ben più ridotta rispetto alle diverse forme esaminate al punto 1.a.: fior.a. (ma, per tutte le numerose occorrenze presenti nel testo, in un contesto di genitivi latini) portulace (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); sic.a. portulaca

828 

 6 Glossario

(sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg); TLIO (s.v. portulaca). Voce assente in Crusca. Cf. André (1985, 206), Nystedt (1988, 257), Gualdo (1996, 214), García Gonzáles (2007, 347 e 517, s.vv. andrago e portacla), Ventura (2009, 649).

potio ‘preparazione farmaceutica in soluzione acquosa, somministrata per via orale’ (4 occ.; 2) [TLL X 2, 322]

1. bevanda f.: V («Lo segondo rezimento si è bevanda») 2v, 10r 2. curatione f.: B («Lo segondo rezimento è potione, cioè curatione») 1v471 3. potione f.: B (cf. supra 2.) 1v (3), 9r; R472 1v; pocione: V 2v; pozio: V 2v 4. soppost[a] f.: R («sopra ogni cosa si dee studiare quanto più si può fare diseccare, cioè con impiastri posti di fuori, overo con sopposte») 19r ▲ 1. Con riferimento a liquidi con poteri medicamentosi o magici, la prima attestazione è collocabile nel secondo Duecento (mil.a. bevanda: 1270–80, BonvesinVolgari, TLIO; cf. LEI V, 1397–1401); in àmbito specificamente medico la si trova ancora in G. Giusti (ante 1850, GDLI). Voce presente da Crusca1 (dove si specifica, peraltro, che ‘per lo più, si dice di cose medicinali’). Cf. Ineichen (1966, 235), Aprile (2001a, 263), Sboarina (2000, 256). 2. Voce adottata come glossa di potione («potione, cioè curatione»). Prima attestazione: fior.a. curazioni (1300ca., AlbertanoVolg, TLIO s.v. curazione, nell’accezione principale di ‘guarigione, risanamento fisico di un uomo o di un animale’). 3. Cf. DEI (IV, 3045: «v. dotta [...] specializzatosi ad indicare ‘bevanda medicinale’ ‘bevanda magica’ e poi ‘veleno’». Col valore specifico di ‘preparazione da bersi, con effetti medicinali,

471 Voce adottata come glossa di potione. 472 Errori: provisione (1v), puntione (2r).

magici o tossici’, la prima attestazione si registra nel roman.a. potione (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], TLIO s.v. pozione). Già all’inizio del sec. XIII il termine si rintraccia, invece, nel significato generico di ‘liquido da bere’ (crem.a. posone: UguccLodi, TLIO). La forma pozio di V, direttamente ricavata dal nomin. lat., si registra in OVI con tre occorrenze (potio) risalenti alla fine del sec. XIII (tutte in AntidotNicolaiVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. pozione). Cf. Marcovecchio (1993, 695), Aprile (2001a, 445), Barbato (2001a, 463), Tomasin (2010, 66: poto), Sosnowski (2014, 226). 4. Cf. (DEI V, 3681: «lat. suppositōrium, calco del gr. hypotithéon»). Prima attestazione: fior.a. supposta (pm. sec. XIV, CrescenziVolg; altre testimonianze si rintracciano in RicetteRubertoBernardi, Serapiom, LibroSTrinita, ThesaurusPauperumVolg, MascalciaRusioVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. supposta). Cf. Ineichen (1966, 245), Nystedt (1988, 276), Gualdo (1996, 187), Sboarina (2000, 264), Aprile (2001a, 503), Mazzeo (2011, 338), Castrignanò (2014, 209), Elsheikh (2016 II, 306).

potus ‘preparazione farmaceutica liquida’ (3 occ.; 37) [TLL X 2, 367]

1.a. bevanda f.: V («se tu vorà mondifichare la marza con bevanda, alora si li dà pinidion») 10v (2); bevand[a]: B 9r 1.b. beveraggio m.: R («se da capo tu il vogli sanare per ricevere beveraggio [...] alora si gli sia dato sì come è diapenidion») 20r ▲ 1.a. Cf. s.v. potio (1.). 1.b. Dall’a.fr. bevrage, a sua volta dal lat. (ad) biberāticum (DEI I, 503; DELIN, 208). Il significato primario registrato dal TLIO (§1) è proprio quello farmaceutico di ‘pozione dai poteri teraupeutici, magici o venefici’ e, per estensione ‘qualsiasi liquido che si beve per dissetarsi o ristorarsi’; prima attestazione: sen.a. beveraggio (1288, EgidioColonnaVolg, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Elsheikh (2016 II, 101).

III Botanica e farmacologia 

psillium ‘pianta officinale appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae (Plantago psyllium L.)’ (3 occ.; 122) [psyllium TLL X 2, 2422]

pexillij m.: V («le medexine areperchusive si è sugo de uva chanina [...], virga pastoris, sugo de pexillij») 53r; psilio: B 30v, 50v; psilium (psilii genit.lat.): R 66r, 122v; sillio: V 30v, 48r; silip: B 55r ▲ Dal gr. ψύλλιον (der. di ψύλλα ‘pulce’, per l’aspetto dei semi: cf. DEI IV, 3131). L’unica testimonianza rintracciabile nei corpora OVI e ReMediA è il pad.a. psilio (fine sec. XIV, Serapiom). Voce presente da Crusca1 (s.v. psilio). La pianta, usata come cicatrizzante in Celso, è poi impiegata nella medicina antica soprattutto contro la stipsi, per la quale è ancora indicata. Cf. Ineichen (1966, 185), André (1985, 210), Marcovecchio (1993, 714), Gleßgen (1996, 805), García Gonzáles (2007, 519), Squillacioti (2008, 41), Green (2009, 407), Ventura (2009, 643), Castrignanò (2014, 199), Elsheikh (2016 II, 252), Zarra (2018, 550).

pulegium ‘menta puleggio, pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Lamiaceae (Mentha pulegium L.)’ (213)

[puleium TLL X 2, 2576; cf. → oleum pulegii (s.v. oleum)] pilizolo m.: B («fiza brusato cum lo fusto, zoè , de pilizolo e de origano») 51r; poleggio: R 113r; porizuol: V 48v ▲ La forma poleggio di R continua direttamente il lat. pulegium (Nocentini 2010, 948: «il confronto approssimativo col gr. blḗkhōn ‘puleggio’ porta a concludere che si tratta di un prestito parallelo dalle lingue del sostrato mediterraneo, come avviene spesso per le specie vegetali spontanee»); le prime atte-

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stazioni registrate dal TLIO (s.v. puleggio) sono: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) polei (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); poleggio (1302/08, BartSConcordio). Voce presente da Crusca1 (s.v. puleggio). Per le forme di B (pilizolo, con assimilazione regressiva) e V (porizuol, con passaggio l > r in posizione intervocalica: cf. Rohlfs 1966– 1969, §221) va presupposto alla base il dimin. lat. * pulegiolum. Il GDLI considera pollézolo, attestato in Lapidario (pm. sec. XIV), «voce di area sett. derivata dal lat. pulejum con suffisso dimin.»; in particolare, il berg.a. pilizol è documentato anche in Lorck (1893, 208). Qualche altra attestazione delle due forme si rintraccia in epoca più tarda: polizuolo, in Rossello (1559, II, 83r: «Piglia polizuolo, marubio, con un poco di sale e oglio»); porizolo, in Libro dell’arte de marescalchi (trad. del De medicina equorum di Ruffo 1554, 18r: «Ad questo anchor val el predetto formento cotto con porizolo»). Cf. Ineichen (1966, 181 e 185), André (1985, 210), Nystedt (1988, 256 s.v. polezuolo, polizollo), Gualdo (1999, 248), Aprile (2001a, 451), García Gonzáles (2007, 520), Green (2009, 407), Ventura (2009, 651), Tomasin (2010, 66), Castrignanò (2014, 199), Zarra (2018, 550).

puls ‘poltiglia, intruglio medicamentoso’ (2 occ.; 18) [TLL X 2, 2602]

polte (pult[e]) f.: B («noy non trovemo più utile medicina cha la polte in li vulnerationi») 4v, 5r; pontia: V 6r ▲ Termine poco documentato in it.a. Prima attestazione: mil.a. polt (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. polta); DEI IV, 3006: «intriso di farina, polenta [...], probabilmente prestito del gr. póltos per il tramite dell’osco»; DELIN, 1224). La voce è presente fin da Crusca1 (s.v. polta), ma, in tutte le edizioni, l’unica testimonianza riportata è quella appartenente a PalladioVolg segnalata anche in OVI. Cf. Ineichen

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 6 Glossario

(1966, 243 s.v. poltiyo), Nystedt (1988, 260), Marcovecchio (1993, 719), Green (2009, 407), Castrignanò (2014, 199), Sosnowski (2014, 226), Elsheikh (2016 II, 247 s.v. polta). Si veda anche s.v. cataplasma (3.).

pulvis capitalis ‘polvere capitale o cefalica, usata per curare le fratture del cranio’ (138)

[Loc. assente in TLL, Du Cange e Forcellini s.v. capitalis] 1.a. polvere de la testa: B («questa è la polvere de la testa che fi facta de sarcocola, mumia, incenso») 34v 1.b. polvere chapitalle f.: V («meti medexina zenza mordichacione, e questa è la polvere chapitalle») 33v; pulve capitale: R 73v ▲ 1.a., 1.b. Non si registrano locuzioni analoghe all’interno dei corpora OVI e ReMediA. Per il sost. polvere nell’accezione di ‘preparato farmaceutico’, cf. TLIO (§6.2), dove non si segnala, però, per l’agg. capitale, l’accezione di ‘relativo, utile alla testa’, come fa, al contrario, Crusca3,4,5 (‘E capitale, il dicono i medici per Utile al capo’: alla definizione seguono due esempi, tratti da Ricettario Fiorentino, contenenti la loc. polveri capitali). Alcune testimonianze della loc. si rinvengono ancora in testi sette-ottocenteschi presenti in GoogleLibri: cf., tra gli altri, Donzelli (1728, 454: polvere capitale calda, polvere capitale temperata).

pulvis molendini ‘polvere del molino, avanzi di macinamento usati per la composizione di medicamenti’ (6 occ.; 66)

[Loc. assente in TLL, Du Cange e Forcellini s.v. molendinum] 1.a. farina che volla in li mollini: V («de li inpiastri boni restaurativi [...] è uno inpiastro

che uxa li antixi de la farina che volla in li molini») 35v; farina volatia f.: V 41v; volla­ tiva: V 35v 1.b. farina de mollino: V («meti su inpiastro de farina de mollino over altro restorativo») 38r; pollver da mollino: V 18r; polvere del molino (pulvis molendini): R 37r, 78r (2), 82v, 84v, 94v; polvere de molino (pulvere de molino): B 17r, 36v (2), 38v, 39r, 43v; pollver de farina de mollino: V 37v ▲ 1.a. Cf. le loc. analoghe rintracciabili nel corpus OVI: venez.a. farina che volla (1310/30, ZibaldoneCanal); sic.a. volatica farina (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Per il sost. volatia/vollativa cf., sempre in area veneta, Sosnowski (2014, 230). 1.b. Nel corpus OVI si rintraccia una sola loc. analoga: pad.a. polvere del molino (fine sec. XIV, Serapion, OVI).

rasina ‘resina’ (4 occ.; 43) [TLL XI 2, 146]

1. ragia f.: R («Recipe cera, ragia, euforbio e pere») 23v; raxa (araxa): V 18v, 25r, 37r 2. rasina: B («una medicina de Galieno mirabile [...] è quella che fi facta de cera, de rasina») 10v, 17v, 24v; resina: R 38r; ~: B 38v ▲ 1. Da un lat. *rasea, der. di rasis (cf. DEI V, 3198; DELIN, 1312), nome con cui s’indicava una specie di pece grezza. Prima attestazione: fior.a. ragia (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. ragia). Cf. Ineichen (1966, 187), Aprile (2001a, 457 s.v. rasa), Sosnowski (2014, 226: rasa, raxa), Elsheikh (2016 II, 257). 2. Dal lat. rēsīna (con ritrazione d’accento; cf. DEI V, 3232: «anormale l’accento, derivante da erronea lettura del latino»; Nocentini 2010, 991: «il confronto del lat. rēsīna col corrispondente gr. rhētínē fa supporre che si tratti di un prestito da una fonte imprecisata, entrato separatamente nelle due lingue [...] la pronuncia sdrucciola è stata sentita come più

III Botanica e farmacologia 

fine in quanto propria delle parole còlte»). Prima attestazione: fior.a. resina (ante 1292, GiamboniVegezio, TLIO s.v. resina); in OVI la forma resina prevale nettamente, per numero di occorrenze, su rasina. Voce presente solo in Crusca4 (s.v. resina). Cf. Ineichen (1966, 187 e 188), Marcovecchio (1993, 739), Aprile (2001a, 464), García Gonzáles (2007, 524), Green (2009, 408).

realgar ‘minerale di color arancio costituito da solfuro di arsenico’ (259)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini] arixegallo m.: V («Zoè proada questa medexina: tuo’ chalzina viva [...], arixegallo») 58r; redalgar: B 61r; risalgallo: R 135v ▲ Dall’ar. rahǧ al-ġār, alla lettera ‘polvere di caverna’ (cf. DEI V, 3215 e 3263 s.vv. realgar e risigallo). Le forme di V (arixegallo) e B (risalgallo), più nello specifico, muovono da un lat. mediev. risigallum, adattamento del ted.a. Reuschgeel (oggi Rauschgelb), composto da rausch (< lat. russu(m)) e *gelu- ‘giallo (cf. GDLI s.v. risigallo). La forma originaria realgar non presenta attestazioni nei corpora OVI e ReMediA; tra le testimonianze di adattamento, la più documentata è quella di area toscana risagallo (o risalgallo), testimoniata anche da R e accolta già in Crusca1; prima attestazione: pist.a. risalghallo (1300–01, LibroMinoTesor, OVI; anche in BoccaccioNinfale, Pegolotti e CrescenziVolg); accanto a queste si rintracciano: sic.a. risalgaru (ante 1368, MascalciaRuffoVolg); sab.a. resalgaro (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Le forme risalgallo e risigallo sono attestate anche in epoca successiva, soprattutto in opere lessicografiche moderne: cf., tra gli altri, Gherardini (1852–1857 V, 189 s.v. risalgallo: ‘il Vocabolario ha Risalgallo e Risigallo. Ma questa voce avendo sua origine dall’arabo, sembra che sia da preferirsi Risalgallo, perché conserva l’articolo arabico al. I chimici lo chia-

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mano ora Realgar’). Il minerale era usato anche nella pittura come colorante (cf. la testimonianza già presente in C. Cennini, che ne rilevava anche la pericolosa tossicità: «Giallo è un color giallo che ssi chiama risalgallo. Questo colore è tossico proprio, non s’adopera per noi se nonne alcuna volta in tavola; nonn’è da ttenere suo compagnia»: Ricotta 2018, 80). Cf. Marcovecchio (1993, 734), García Gonzáles (2007, 523), Sosnowski (2014, 227).

rorare ‘aspergere, cospargere di gocce minute’ (75) [Forcellini IV, 157]

balne[are] vb.tr.: B («lo loco fiza balneato in circo la piaga cum aqua frigida») 19r ▲ Dal lat. tardo balneare (da cui anche il comune bagnare, per il quale cf. TLIO s.v.). In tale forma dotta il verbo non risulta attestato in OVI, ReMediA, Crusca, GDLI. Cf. Green (2009, 389: ‘fare un bagno, bagnarsi’).

rubea ‘robbia comune (Rubbia tinctorum L.), pianta del genere Rubbia, della famiglia delle Rubiaceae’ (69) [Forcellini IV, 163]

1. arubea f.: V («Rezipe arubea, osi bruxadi, litragirio») 19r; roza: B 17v 2. herba de tinctori: B («Recipe roza, zoè herba de tinctori, ossi de galina brusati») 17v ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. rubea (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). La forma arubea di V è dovuta alla consueta prostesi vocalica di area settentrionale. L’esito popolare di area toscana, invece, è robbia (cf. DELIN, 1404), lemma accolto già in Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 191), André (1985, 220), Gleßgen (1996, 810 s.v. robbia), Aprile (2001a, 469), García Gonzáles (2007, 419 s.v. eritri-

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 6 Glossario

danum), Green (2009, 408), Ventura (2009, 692), Elsheikh (2016 II, 269 e 270 s.vv. robbia e rubea). 2. La loc. herba de tinctori, usata in B come glossa di roza, rimanda all’uso che, in epoca antica e anche più recente, si faceva delle radici della pianta, dalle quali si ricavava un colorante rosso oggi noto come alizarina: a tale consuetudine si deve il nome scientifico scelto da Linneo (cf. anche la definizione offerta da Crusca1 s.v. robbia: ‘erba, la cui radice s’adopera a tignere i panni in più colori, e in nero in particolare’). L’unica loc. analoga presente nel corpus OVI è il tosc.a. erba delli tintori (XIV-XV sec., BibbiaVolg). Cf. Ineichen (1966, 191 s.v. ruba di tentore), Gleßgen (1996, 810: rossa de tinctori). ♦ Loc. e collocazioni: – rubea trociscata ‘rubbia somministrata in forma di trocisco’ (2 occ.; 106) [Cf. → s.v. trociscus]

arubea torzischata f.: V («tosto li dà arubea473 torzischata») 27r; rubea torciscat[a] (rubea torscicata): R 58r, 65v; rubea trociscata: B 27r, 30v ▲ Il lemma trociscatus non è presente in Du Cange e Forcellini. L’unica attestazione dell’agg. trociscato offerta dal TLIO si trova proprio all’interno della loc. rubea trociscata (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg; cf., in una delle occorrenze presenti nel testo: «Rubea è detta per lo colore, trocischata da’ trocisci ke vi si mettono»). Il lemma trociscato è assente in Crusca, ma è ben documentato nei testi medici contenuti in GoogleLibri (cf., tra gli altri, Rossello 1559, II, 34v: «in altro panno lino sottile si ponga drag. ii di agarico trociscato»). Cf. Ventura (2009, 859).

473 Ms.: anubea.

ruta ‘ruta comune, pianta del genere delle Rutaceae (Ruta graveolens L.)’ (3 occ.; 222)

[Forcellini IV, 177]

ruda (aruda) f.: V («meti entro oio tievedo musollino, over [...] con sugo de ruda e late de femena») 51r, 61r, 66v, 69v; ruta: R 118r, 174v; rut[a]: B 53r, 63v, 74r ▲ Il lat. ruta deriva probabilmente dal gr. ῥυτή (DEI V, 3229; ma per DELIN, 1420 e Nocentini 2010, 1023 non è possibile stabilire una dipendenza sicura dal greco, e si potrebbe trattare di due vocaboli paralleli, presi da una lingua di sostrato). Voce ben documentata nel corpus OVI (prima attestazione: fior.a. ruta, fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg) e presente da Crusca1 (s.v. ruta: ‘pianta nota, e d’acutissimo odore’). Cf. Ineichen (1966, 191 s.v. rua), André (1985, 221), Nystedt (1988, 266), Gleßgen (1996, 811), Aprile (2001a, 470), Barbato (2001a, 482), Green (2009, 408), Ventura (2009, 693), Tomasin (2010, 69), Castrignanò (2014, 203), Sosnowski (2014, 227), Elsheikh (2016 II, 271), Zarra (2018, 554).

sal gemmae ‘minerale costituito da cloruro di sodio’ (2 occ.; 100)

[Lemma assente in TLL, Du Cange e Forcellini]

sale de gema: B («aqua in la quale sia distemperato un pocho de sale de gema claro») 49r; salgema (salzema) m.: V 26r, 49r; salgeme: B 25v; salgemme: R 54v; sale chiaro di gemino: R 108v ▲ Prima attestazione: fior.a. salgemme/salgemmo (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Nel corpus OVI, oltre alle grafie non univerbate, si rintraccia un’unica loc. analoga a quella presente in B (sale de gema), con il sost. sale usato come reggente di un genit., sul modello della corrispettiva loc. latina: sab.a. sale de gemme (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Voce presente da Crusca1 (salgemma/

III Botanica e farmacologia 

salgemmo). Cf. Ineichen (1966, 195), García Gonzáles (2007, 528), Green (2009, 408), Ventura (2009, 716), Elsheikh (2016 II, 273).

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Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 195), André (1985, 224), Gleßgen (1996, 813), García Gonzáles (2007, 529), Green (2009, 408), Ventura (2009, 739), Castrignanò (2014, 204), Elsheikh (2016 II, 274), Zarra (2018, 555).

sal nitri ‘nitrato di potassio’ (249)

[nitrum Forcellini III, 377; cf. → s.v. nitrum]

sale de nitro: B («fiza tolto sale armoniaco, sale de nitro, ana parti equali, e fiore de ramo») 59r; sale nitro m.: R 131v; salnitrio: V 56r ▲ Allo stesso modo di quanto si osserva nella resa del lat. sal gemmae, in B si adotta come traducente una loc. nella quale il sost. sale regge un genit., sul modello della corrispettiva loc. latina: non si rintracciano testimonianze analoghe in OVI e ReMediA. La forma univerbata è documentata da quattro testi all’interno del corpus OVI (prima attestazione: fior.a. salnitro, 1364, RicetteRubertoBernardi); per la forma non univerbata, cf. fior.a. sale nitro (Pegolotti, OVI; altre attestazioni in LibroSpezieria, Serapiom, MalattieFalconi). Voce presente da Crusca1 (s.v. salnitro). Cf. Ernst (1966, 169 s.v. netro), Ineichen (1966, 194), García Gonzáles (2007, 528), Sosnowski (2014, 227), Elsheikh (2016 II, 226 s.v. nitro).

salvia ‘salvia (Salvia officinalis L.), genere di piante odorose della famiglia delle Lamiaceae’ (319) [Du Cange VII, 293a]

salvia f.: R («pepe, calamenti, sansuci, salvia, ruta, semplicemente overo composta lo infermo spesse volte ine riceva») 174v; ~: V 69v; ~: B 74v ▲ L’antico uso della salvia nella farmacopea è testimoniato dalla stessa etimologia della parola, che rimanda all’agg. lat. salvus per le benefiche proprietà attribuite alla pianta (cf. DELIN, 1433). Prima attestazione: aret.a. salvia (1282, RestArezzo, OVI). Voce presente da

sandalum ‘nome comune usato per indicare una pianta della famiglia delle Santalaceae (Santalum album L.)’ (2 occ.; 69) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

sanadalis (†) (sandalis): R («sanadalis con neufai mirabilemente sanano») 38v, 122v; san­ dall[o] (sandal[o]) m.: V 19r, 53r; sandal[o]: B 17v, 55r ▲ La voce latina deriva dall’ar. ṣandal (non è ben documentato, invece, il corrispondente gr. σάνταλον: cf. DEI V, 3330; DELIN, 1435). Prima attestazione: fior.a. sandali (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. sandalo). Dei tre tipi di legno citati in molti testi antichi, sandalum album, citrinum e rubrum, è in particolare il primo a trovare impiego nella farmacopea. Cf. Ineichen (1966, 195: «la conoscenza di questo legno, che si trova menzionato in Europa per la prima volta presso Costantino Africano, è dovut[a] agli Arabi»), Pellegrini (1972, 120), Mancini (1992, 21 e 103), Gleßgen (1996, 816), Aprile (2001a, 471), García Gonzáles (2007, 530), Ventura (2009, 753), Baglioni (2010, 480), Castrignanò (2014, 204), Elsheikh (2016 II, 275).

sanguis draconis ‘resina di colore rosso ottenuta da diversi tipi di piante’ (10 occ.; 66) [Du Cange VII, 303c]

sangue de draco: B («Recipe incenso parte j; sangue de draco parte ij») 17r (2), 19v (2), 23v, 34v, 65r (2); sangue de drago: V 18r, 18v,

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 6 Glossario

19r, 20v, 24r, 33v, 62r (3); sangue di dragone (sangue dragone): R 37v (2), 39r, 42r, 42v, 50v, 74r, 143v, 144v (2) ▲ Il nome della resina è dovuto al suo colore rosso. Cf. DEI (V, 3331 s.v. sangue di dragone: «sugo rosso gommoso congelato ottenuto da una pianta, il calamus draco [...] usato come astringente ed emostatico»); cf. Elsheikh (2016 II, 275: «l’espressione, nota anche a Serapione, è un calco sul sintagma arabo damm al‒aḫawayn, letteralmente ‘sangue dei due fratelli’»); si veda anche, per le altre lingue europee, il fr. sang (de) dragon (FEW 3, 150a), lo sp. sangre de drago (cf. CORDE: prima attestazione rintracciabile nel 1381–1418), il ted. Drachenblut (DUDEN s.v.) Loc. ben documentata nel corpus OVI e registrata in Crusca4 (s.v. sangue: sangue di dragone e sangue di drago ‘Sugo gommoso congelato, ma facile a stritolarsi, di color rosso, che si trae per via d’incisione da un albero dell’Indie chiamato Draco’); prima attestazione: tosc.occid. sanque di trachone (sec. XIII, RicetteMedicheTosc, TLIO s.v. dragone 2). Cf. Ineichen (1966, 818), Gleßgen (1996, 818), Gualdo (1996, 217), García Gonzáles (2007, 531), Green (2009, 409), Ventura (2009, 714).

sansucus ‘erba detta altrimenti maggiorana, specie del genere Origanum’ (2 occ.; 277)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1. sanbugo m.: V («challamento, sanbugo, salvia, aruda, o sinplize o chonpoxite, l’amallado chontinuo gargariza») 69v 2. sansuci genit.lat.: V («Anchora uno altro inpiastro: tuo’ noxe d’anzipreso, cipari, sansuci, galle») 62r; sansucij (sansuci): R 144r, 174v; sansuco: B 74r474

474 Sul rigo si legge sambuco: nel margine destro, però, si aggiunge aliter sansuco.

▲ 1. La variante testuale di V si deve, con ogni probabilità, alla tradizione latina (un’alternanza tra le lezioni sansuci e sambuci è già visibile nell’apparato critico di Hall 1957). Col termine sambuco si designa solitamente la pianta classificata come Sambucus nigra L. (talvolta, nei testi antichi, ci si riferisce con lo stesso termine anche al Sambucus ebulus L., per il quale cf. s.v. ebulus). Di etimo incerto: cf. la ricostruzione di Austin (2012). Prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) sambuci (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. sambuco). Cf. Hubschmid (1963), Ernst (1966, 172 s.v. samuco), Ineichen (1966, 195), André (1985, 225), Gleßgen (1996, 816), Aprile (2001a, 471), García Gonzáles (2007, 530), Green (2009, 408), Ventura (2009, 745), Sosnowski (2014, 227), Elsheikh (2016 II, 274), Zarra (2018, 556). 2. Dal gr. σάμψυχον (DEI V, 3334). Prima attestazione: fior.a. sansuco (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO; altre due testimonianze, anch’esse di area toscana, si rintracciano in LibroCuraMalattie e MesueVolg). Voce presente da Crusca1 (sansuco ‘persa, o maiorana, erba notissima.’). Cf. Aprile (2001a, 472), García Gonzáles (2007, 531), Elsheikh (2016 II, 276).

sapa ‘mosto cotto e concentrato, usato per fare gargarismi’ (2 occ.; 43) [Du Cange VII, 304c]

1. diamoron m.: V («gargarizi aqua e axedo con diamoron») 50r 2. saba f.: V («e poi lavalla chon saba e chon melichrato e chon vino dolze e forte») 12r;475 sapa: R 24r, 116v; ~: B 52v476

475 Lezione non sicurissima (oggetto di una correzione poco chiara nel ms.). 476 Con l’accompagnamento della glossa zoè vino coto (cf. 3.).

III Botanica e farmacologia 

 835

3. vino cocto (vino coto) m.: B («lavella cum vino cocto, overo cum mellicrate, zoè cum aqua e melle») 11r, 52v

chola): V 19r (2), 19v, 20v, 24r, 33v, 45v (2), 46v, 56r, 58v, 62r (2); sarcocola (sarcacola): B 18r (2), 19v, 23r, 34v, 47r, 48v, 58v (2), 61v, 64v, 65r

▲ 1. Dal lat. tardo diamorum (cf. Du Cange III, 99b s.v. diamoron), a sua volta dal gr. διὰ μώρων (cf. DEI II, 1280; LEI XX, 256). Il corpus OVI ne offre tre attestazioni di area toscana: la più antica è il fior.a. diamoron (fine sec. XIII, AntidotariumNicolaiVolg; le altre due si rintracciano in PalladioVolg e MaestroBartolomeo). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. diamoron). Il diamoron era, in realtà, uno sciroppo ottenuto dal sugo delle more, dunque una bevanda differente rispetto alla sapa (cf. infra). Cf. Nystedt (1988, 266 s.v. sabba), Mazzeo (2011, 345), Castrignanò (2014, 204). 2. Col lat. sapa (forse affine al vb. sapĕre ‘aver sapore’) s’indicava il mosto cotto, usato ancora oggi, in alcune regioni, come condimento: cf. DEI (V, 3336). Prima attestazione: fior.a. sapa (fine sec. XIII, AntidotariumNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1. Cf. Ineichen (1966, 243), Aprile (2001a, 473 s.v. sappa), García Gonzáles (2007, 384 s.v. carenum). 3. Il vino costituisce uno degli ingredienti più usati nella produzione medievale di medicamenti, come si può vedere anche nelle ricette testimoniate dalla Chirurgia di Bruno. Tra le prime attestazioni della loc. vino cotto, cf. tosc.a. vino cotto (pm. sec. XIV, PalladioVolg, OVI: in questo testo, peraltro, la sapa, insieme al defrito e al careno, è definita come una delle «generationi di vino cotto»: infatti, «il modo diverso del cuocere fa aver diversi nomi, e diverse virtudi»).

▲ Dal gr. σαρκοκόλλα (voce composta da σάρξ ‘carne’ e κόλλα ‘colla’, con allusione alle sue proprietà cicatrizzanti: cf. DEI V, 3340). Prima attestazione: fior.a. sarcocolla (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. sarcocolla). La forma con assimilazione regressiva sorcocolla, documentata in R, si rintraccia anche nel fior.a. sorcocolo (pm. sec. XIV, Pegolotti, OVI), mentre Vanková (2004, 73) la attesta anche in un testo medievale in lingua tedesca: essa potrebbe dunque risalire già a una variante tardo-latina. Cf. Ineichen (1966, 192 e 196), André (1985, 227), Gleßgen (1996, 818), Gualdo (1996, 218), García Gonzáles (2007, 532), Ventura (2009, 718), Castrignanò (2014, 204), Sosnowski (2014, 227), Elsheikh (2016 II, 277), Zarra (2018, 557).

sarcocolla ‘gommoresina ricavata dal lattice della Sarcocolla squamosa, usata come cicatrizzante’ (13 occ.; 70) [Forcellini IV, 224]

sarcocolla (sacorcolla; sercocolla; socorcolla; sorcocolla) f.: R («Pilgla cerusa [...], sarcocolle, memitte») 39r (2), 39v, 42v, 49v, 73v, 104v, 107r, 130v (2), 136v, 143v, 144r; sarchacholla (sarcha-

scolopendria ‘lingua cervina, felce sempreverde appartenente alla famiglia delle Aspleniaceae (Phyllitis scolopendrium L.)’ (118) [scolopendrion Forcellini IV, 258]

scholopendria f.: V («Anchora un altro: tuo’ eleboro biancho, aristollogia, zentaura, zoè la radixe scholopendria») 29v; scolopendi[a]: R 63v; scolopendria: B 29v ▲ La forma originaria è il sost.n. scolopendrion (o scolopendrium), dalla corrispondente forma greca σκολοπένδριον (cf. DEI V, 3409: «Secondo il Mattioli il moderno scolopendrio si identifica colla fillitide di Dioscoride (Valeriana phu); secondo altri corrisponde alla prionitis, indicata da Oribasio come antinefritico»; DELIN, 1479). Le uniche due attestazioni ricavabili dai corpora OVI e ReMediA sono: fior.a. scolopendria (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg); pad.a. ~ (fine sec. XIV, Serapiom). Voce assente in Crusca (in Crusca4 si registra il lemma cetracca, cui si fanno corrispondere

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 6 Glossario

i termini latini asplenum e scolopendria). Cf. Ineichen (1966, 198), André (1985, 230), Barbato (2001a, 487), García Gonzáles (2007, 399 e 534), Ventura (2009, 759), Elsheikh (2016 II, 281), Zarra (2018, 559).

semperviva ‘genere di pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Crassulaceae Sempervivum Tectorum L.)’ (2 occ.; 231) [Forcellini IV, 306]

semperviva f.: R («pilgla aceto e senpervive e sia intinto in quella la spungna e fatto quello buono ripercossivo») 122v (2); ~: B 55r (2); senpreviva: V 53r (2) ▲ Il lat. semperviva è formato sul modello del corrispondente sost. gr. ἀείζωον, come si ricava anche da Celio Aureliano («Semperviva herba, quam ἀείζωον vocant»: cit. in Forcellini IV, 306); cf. DEI (V, 3452 s.v. semprevivo), DELIN, 1501. Prima attestazione: fior.a. sempervive (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. sempreviva). Voce presente da Crusca1 (s.v. sempreviva). Il sost. f. ┌sempreviva┐ vive in concorrenza con il m. ┌semprevivo┐. Cf. Ineichen (1966, 201), André (1985, 235), García Gonzáles (2007, 338 s.v. ayzon), Green (2009, 409), Ventura (2009, 709), Sosnowski (2014, 228), Elsheikh (2016 II, 294), Zarra (2018, 562: sopravivolo).

sepum ‘grasso animale, sego’ (179) [Du Cange VII, 431b]

1. alefo m.: B («E se al te piase, pone sopra lo alefo de la aneda cum botero de temperata caliditade») 44r 2. sevo m.: V («se vol meter sevo de chastron chon onto sotile tenperadamente chaldo») 42r ▲ 1. Cf. s.v. adeps (2.). 2. Il lat. sepum è variante di sebum (cf. Du Cange VII, 431b: ‘ita dicitur vulgo quod olim

Sebum’). Termine ampiamente documentato nel corpus OVI, che indica soprattutto «il grasso che si trova intorno alle reni, ai polmoni, al cuore e al peritoneo di ruminanti» (Ineichen 1966, 203). Prima attestazione: sen.a. sevo (1277–82, LibroMerc, OVI); un’unica attestazione, invece, si rintraccia per la forma, con conservazione della labiale intervocalica sepo (lomb.a., sec. XIV, MalattieFalconi). Voce presente da Crusca1 (s.v. sevo ‘Grasso d’alcuni animali che serve per far candele’; da Crusca3 anche nella forma sego, prodottasi per successivo passaggio -v- > -g-: cf. Rohlfs 1966–1969, §215). Cf. Ernst (1966, 172), André (1991, 201), Marcovecchio (1993, 778), Aprile (2001a, 483), García Gonzáles (2007, 538), Elsheikh (2016 II, 289 s.v. sevo).

serapinum ‘tipo di gommoresina (nota anche come ‘segapeno’)’ (4 occ.; 42)

[sagapenum Forcellini IV, 193]

sarapin (sarapino) m.: V («in li durisimi e in li sechisimi chorpi lo sarapino chon trementina over ollio metase suxo») 11v, 12v, 19v (2); serapino (serapin): R 23r, 24v, 39v (2); ~: B 10v, 11r, 18r (2) ▲ Dal gr. σαγάπεινον/σαγάπηνον: il lat. mediev. serapinus rappresenta una variante di sagapenum (cf. Gualdo 1999, 234: «alterazione, di non certissima trafila, dell’ar. sakabīnah, d’origine persiana, che attraverso il gr. σαγάπηνον e il lat. sagapenum (Plinio) giunge fino al sagapeno ben attestato in testi medici in volgare»; DEI V, 3309); secondo Gleßgen (1996, 822), alla base della forma serapinum potrebbe esserci una sostituzione fonetica dovuta al fatto che il neogr. -γ- «sich einem Zäpfchen-[r] annähert». Prima attestazione: fior.a. serapino (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. serapino). Sono di diffusione più tarda le forme, rispettose del termine greco originario, segapeno e sagapeno (entrambi non attestati in OVI, ma presenti rispettivamente in Crusca3

III Botanica e farmacologia 

 837

e Crusca4). Cf. Ineichen (1966, 202), Gualdo (1996, 219), Aprile (2001a, 482), García Gonzáles (2007, 528), Green (2009, 410), Ventura (2009, 708), Tomasin (2010, 71), Elsheikh (2016 II, 288).

sisamum ‘pianta erbacea del genere Sesamo (Sesamum indicum L.)’ (156)

sinapis ‘nome con cui si indicano diverse specie di piante erbaceae appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae’ (6 occ.; 215)

▲ Dal gr. σήσαμον, voce di origine orientale (cf. DEI V, 3465; DELIN, 1509). Nei corpora OVI e ReMediA si rintracciano soltanto due attestazioni: tosc.a. sisamo (pm. sec. XIV, PalladioVolg); pad.a. sisamo e sisamin (fine sec. XIV, Serapiom). Voce presente da Crusca1 (s.v. sisamo; da Crusca3 si registra anche la forma sesamo). Cf. André (1985, 237), Gleßgen (1996, 824), Green (2009, 410), Ventura (2009, 774), Castrignanò (2014, 206), Elsheikh (2016 II, 292).

[Forcellini IV, 379]

senape (sinapin) f.: R («gargariçi coll’alume e senape») 114r, 124r, 131r, 131v, 134r, 174v; sena­ vera (senavra): B 51v (2), 55v, 59r, 60r, 74r; senavro m.: V 49r, 53r, 56r, 57v, 69r ▲ Dal gr. σίναπι(ς) (cf. DEI V; 3452; DELIN, 1501; Nocentini 2010, 1090: «il lat. sĭnāpi indicava prima di tutto la pianta e il suo tubero [...] e si è trasmesso secondo due tradizioni: una con l’accento sdrucciolo alla greca, come in italiano e in galloromanzo, e una con l’accento piano alla latina, come nello sp. jenabe e nei dialetti italiani sic. senàpu, napol. senàpe, milan. senàvra»). Termine ben attestato nel corpus OVI, anche nelle forme settentrionali, testimoniate da B e V (per le quali va presupposta un’accentazione piana), con epentesi di r (cf. Rohlfs 1966–1969, §303) e metaplasmo di declinazione (ma non vi si registrano testimonianze caratterizzate dal successivo sviluppo di una e epentetica che evita il gruppo -vr-); il m. senavro si rintraccia, sempre in area veneta, nel DiatessaronVeneto (sec. XIV). Prima attestazione: mil.a. senavre (1270–80, BonvesinVolgari, TLIO s.v. senape). Cf. Ineichen (1966, 202 e 204), André (1985, 240), Nystedt (1988, 270), Marcovecchio (1993, 791), Gleßgen (1996, 820), Gualdo (1996, 219), Aprile (2001a, 506), García Gonzáles (2007, 541), Green (2009, 410), Ventura (2009, 717), Castrignanò (2014, 206 s.v sinapo), Elsheikh (2016 II, 286), Zarra (2018, 560).

[sesamum Forcellini IV, 340]

sisamo m.: V («meti ad eso su la piaga la pollver de farina de mollino, farina de sisamo chonfeta chon biancho d’uovo») 37v; ~: B 38v

solatrum ‘nome comune di alcune piante della famiglia delle Solanaceae’ (2 occ.; 55) [solanum Forcellini IV, 402]

1. morella f.: B («la calda piaga fi curata cum [...] lo sugo de la morella») 13r, 14r, 30v, 55r477 2. solatro (solatrum) m.: R («le contrarie per lo contrario sia curate, cioè [...] con sugo di solatro») 29v, 31r, 66r, 116v, 122v, 171v; solatro (sollatro): V 14v, 15v478 3. uva chanina f.: V («le chalde se die churar chon [...] sugo de sollatro, zoè uva chanina») 14v,479 30v, 50r, 53r, 69r (2) ▲ 1. Agg. f. di morello, dimin. di moro, relativo al colore scuro delle bacche della pianta (cf. anche la loc. sinonimica erba mora); DEI (IV, 2508). Termine di origine toscana, precocemente diffusosi anche in area settentrionale,

477 In 14r e 30v la voce è usata come glossa di solatro (cf. 2.). 478 Voce usata come glossa di uva chanina (cf. 3.). 479 Loc. usata come glossa di sollatro (cf. 2.).

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 6 Glossario

come testimonia il ms. B. Prima attestazione: fior.a. morella (1337–61, LibroDrittafede, OVI; altre testimonianze, sempre di area fiorentina, si leggono in RicetteRubertoBernardi e CrescenziVolg). Voce presente da Crusca1 (‘Spezie d’erba’). Cf. André (1985, 156), García Gonzáles (2007, 484), Ventura (2009, 706 s.v. de strigno), Zarra (2018, 514). 2. Il lat. solatrum è una probabile contrazione della locuzione solanum atrum ‘solano scuro’ (cf. DEI V, 3531). Prima attestazione: fior.a. (ma in un contesto di genitivi latini) solatri (AntidotNicolaiVolg, OVI; altre testimonianze si rintracciano in UbertinoBrescia, Serapiom, CrescenziVolg, MaestroBartolomeo). Voce presente da Crusca1 (s.v. solatro). Cf. Ineichen (1966, 205), Gleßgen (1996, 826), García Gonzáles (2007, 545), Green (2009, 410), Ventura (2009, 707), Elsheikh (2016 II, 293). 3. Loc. non attestata nei corpora OVI e ReMediA. Il TLIO registra l’agg. canino (§1.3) anche in contesto botanico, ma solo all’interno della loc. cipolla canina, che designa un’ ‘erba simile alla cipolla con radice grossa’ (in Belcalzer). Alcune testimonianze di uva canina si ritrovano in epoca posteriore: di particolare interesse è quella presente in Catani (1766, 242: «Giovanni Serapione sostiene essere lo stesso l’Uva canina e la Vulpina, che il Solatro, o Morella: Mesue però diversamente la discorre. La comune opinione è,480 quod Uva vulpis, seu, Uva Ursi, ac Uva Canina sint Strychnum, idest Solanum, forte a Solamine dictum, quod dolores intensos sopiendo sistat»), che documenta l’associazione, almeno in Giovanni Serapione, tra la morella e la cosiddetta uva canina (loc. che, nel corso dell’Ottocento, pare designare ormai soltanto una particolare specie di uva; cf. Targioni Tozzetti 1809 I, 179 s.v. uva: uva canina). Lo sp. uva canina si registra già nel 1250, all’interno dell’opera Moamín. Libro de los animales que cazan di Abraham de Toledo (CORDE). Cf. anche Gleßgen (1996, 826 nota 539).

480 Il passo latino che segue è tratto dal Lexicon di Stafano Blancardo.

sorba ‘pianta del genere Sorbo (Sorbus domestica L.)’ (66)

[sorbus Forcellini IV, 423]

sorbe genit.lat.: R («medicine da fare incarnare [...] sì come [...] flox sorbe, herba caude») 37r; sorbo m.: B 17r; sorboll[a] f.: V 18r ▲ Col sost. f. sorba s’indica più frequentamente il frutto della pianta, per la quale, invece, si adotta generalmente il sost. m. sorbo: cf. le testimonianze offerte dal corpus OVI; più in generale, il genere m. è tipico dei dialetti italiani, laddove nelle altre lingue si hanno derivati di sorba (Nocentini 2010, 1138). Prima attestazione: fior.a. sorbo (1310, BencivenniSantà, OVI). Voce presente da Crusca (s.vv. sorba ‘frutta nota’ e sorbo ‘albero noto’). La forma sorboll[a] di V (nel ms. al plur. sorbolle) è confermata, sempre in area veneta, dalle due occorrenze testimoniate dal TLIO (s.v. sòrbola): pad.a. sorbole (fine sec. XIV, Serapiom); ven.a. ~ (sm. sec. XIV, GlossariettoBaldelli): si tratta di una variante diffusa in molti dialetti settentrionali (cf. GDLI e DEI V, 3555 s.v. sorbola). Cf. Ineichen (1966, 206 s.vv. sorba e sorbola), André (1985, 243), Nystedt (1988, 272), Cortelazzo (2007, 1276 s.v. sorbolo), García Gonzáles (2007, 445 s.v. hypomelides), Green (2009, 411), Ventura (2009, 772), Elsheikh (2016 II, 295), Zarra (2018, 563).

spongia marina ‘spugna di mare (Aplysina aerophoba Nardo)’ (5 occ.; 76)

[spongia Forcellini IV, 460]

sponga f.: B («bastarave la sponga balneata in lo aceto») 55r; spugna: R 16r; sponga marina: B 7v, 19v, 34v, 52v; sponza marina: V 9r, 20v, 34r; spungna marina: R 74v, 117r, 134r ▲ Prima attestazione: it.a. spungo marino (ante 1321, DanteCommedia, OVI); nella forma femminile, più comune: pad.a. sponga marina/spongia marina (fine sec. XIV, Sera-

III Botanica e farmacologia 

piom, OVI); anche nella loc. con genit.: tosc.a. spugna di mare (pm. sec. XIV, CrescenziVolg, OVI). Cf. Nystedt (1988, 273).

spuma maris ‘schiuma di mare, nome comune del minerale denominato oggi sepiolite, fillosilicato idrato di magnesio’ (2 occ.; 196) [Loc. assente in Du Cange e Forcellini]

spiuma de mar (spuma de mare): V («Rezipe [...] spiuma de mar, schorzo d’uovo») 45v, 57v; spuma de mare: B 47r (2), 60r ▲ Per il lat. spuma, cf. Forcellini (IV 464). Le uniche attestazioni ricavabili dal corpus OVI appartengono a due testi medici: tosc.a. spuma di mare (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. spuma del mare (fine sec. XIV, Serapiom, OVI). Con la loc. spuma maris s’intende qui, verosimilmente, la sepiolite (cf. Green 2009, 289; Ventura 2009, 769: «Lapis est que lito maris, ubi diu mare manet et percutit, et hoc lapis nascens super aliam lapidem et spume maris dicitur»); altrove essa è identificata piuttosto con l’alcionio (cf., in particolare, le considerazioni di Mattioli 1568, 1438: «Lo Alcionio, diceva Plinio [...] si genera in mare da i nidi, secondo che stimano alcuni, de gli alcioni, e ceici augelli: e altri pensano che si faccia della spiuma del mare ingrossata insieme con altre sporcitie: e altri che si faccia del limo del mare, overo d’una certa sua lanugine [...]. sono alcuni altri, che dicono chiamarsi Alcionio non perché si faccia egli de nidi da gli alcioni augelli, ma perché sopra esso raunato insieme dall’onde del mare fanno gli alcioni il nido. Il che ha molto più del verisimile. Chiamansi Alcionio ai giorni nostri nelle spetiarie Spiuma maris, il quale nome è stato preso da Dioscoride, per iscrivere egli, che così lo chiamano nell’isola di Besbico, ove nasce abondantissimo»); si vedano anche Testi (1980, 174) e Sboarina (1997, 367). Più in generale, ancora in epoca recente, la loc. può essere

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riferita semplicemente ai residui lasciati dalle onde del mare (cf. tra gli altri, la definizione di un dizionario ottocentesco come Bory de Saint-Vincent 1831–1843, XV, 587: ‘I marinai, i costigiani e alcuni viaggiatori appellano Spuma di mare tutto quello che le onde gettano sulle rive ; è un miscuglio in generale di Piante marine, di Polipai, o de’ loro rimasugli, aventi spesso un principio di decomposizione’). Per la forma venez. spiuma, si vedano Boerio (1856 s.v. spiuma), REW (§8192), Prati (1968, 65), Cortelazzo (2007, 1299: oltre al sost. spiuma ‘spuma’, si pone a lemma anche la corrispettiva forma verbale spiumàr ‘schiumare’). Cf. Ineichen (1966, 212), Elsheikh (2016 II, 299).

staphisagria ‘pianta erbacea, annuale, appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae (Delphinium staphisagria L.)’ (2 occ.; 212) [Forcellini IV, 472]

stafisage f.: R («ricevi senape, pilatro, stafisage ana parte aguale») 174v; staphisagia: B 51r; stafisagra: R 113r; stafisagria: B 74v; strafuxaria: V 48v, 69v ▲ Il lat. staphisagria rappresenta la forma univerbata dell’originaria loc. staphis agria, tratta dal gr. σταϕίς ἀγρία, alla lettera ‘uva selvatica’ (DEI V, 3613). Dai corpora OVI e ReMediA se ne ricavano tre testimonianze: fior.a. stafissagria (XIV sec., ChirurgiaFrugardoVolg); pad.a. stafisagria (fine sec. XIV, Serapiom); lomb.a. ~ (sec. XIV, MalattieFalconi). Voce presente da Crusca1 (‘Erba da uccidere i pidocchi, strafizzeca’): nella definizione si adotta, peraltro, la distorsione popolare strafizzeca, che in OVI risulta testimoniata già in CrescenziVolg. La forma strafuxaria di V si può confrontare, sempre in area veneta, con il pad.a. strafuxa di Serapiom (OVI; Ineichen 1966, 214), oltre che con le numerose occorrenze rintracciabili in GoogleLibri per i secoli successivi (si veda, tra gli altri, Caracciolo 1589, 776). Cf. Ineichen

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 6 Glossario

(1966, 212), André (1985, 248), Gleßgen (1996, 829), García Gonzáles (2007, 549), Green (2009, 411), Ventura (2009, 752), Elsheikh (2016 II, 276 e 300 s.vv. saphisagria e stafisagria), Zarra (2018, 564).

stercus ‘feci, ecrementi, soprattutto di animali, usate nella composizione di medicamenti’ (13 occ.; 67) [Forcellini IV, 482; cf. → s.v. fimus]

1. letame m.: R («Recipe pece liquida e oglo antico, el letame del colonbo») 134v 2. merda f.: R («ss’el vasello fusse di vetro sia limato di fuori col loto distrettamente, el quale è fatto di capelli humani [...] e di merda d’asino») 62v; ~: V 18v 3. nosa (nossa) f.: V («Medexine chonsolidative [...] sì chomo [...] lonbrizi de tera, merda de chane che manza osse, e nosa de luxerta») 18v, 54v, 56r 4. stercho m.: V («chonzerà e con stercho de chavalo, e può metillo a sechar al solle») 29r, 57v (2), 58r, 63v, 67r, 69r; sterco (stercus): R 38r (2), 126v (2), 131r, 134v (3), 135v, 147r; stercora: B 17v (2), 29r, 57r (2), 59r, 60v (3), 61r, 66r, 70v ▲ 1. Cf. s.v. fimus (1.). 2. Cf. s.v. egestio (4.: sezione 2). 3. Cf. s.v. egestio (5.: sezione 2) 4. Prima attestazione: tosc.a./aret.a.-cast.a. sterco (sec. XIII, BestiarioMor, TLIO). Voce presente da Crusca1. Cf. Sosnowski (2010, 229), Elsheikh (2016 II, 301). Per la forma stercora, cf. anche s.v. egestio (6.: sezione 2).

1.b. stipticitade f.: B («la sua exiccatione è molto grande cum atractione e non cum stipticitade al postuto») 10r (2), 13r, 14r, 15r (5), 17v, 23v (2), 25v, 36v, 54v (2), 64v; stiticità (istiticità; steticcità; stiticcità): R 22r, 22v, 29v, 33v (4), 34r, 50r (2), 54v, 79r, 122r; stiticitade (sticitade; stipicitade): V 11v (2), 14v, 15v, 16v (2), 17r, 24r (2), 52v 1.c. stiticho agg.: V («tuo’ oio stiticho sì chomo oio de smartella e roxado»)481 19r, 52v 2. tenacitade f.: B («la calda piaga fi curata cum li frigidi cosi e che abieno stipticitade, zoè tenacitade») 13r482 ▲ 1.a. Cf. TLIO (s.v. stitichezza ‘lo stesso che stiticità’): attestazioni registrate in PalladioVolg (pm. sec. XIV) e CrescenziVolg (sec. XIV). Voce presente da Crusca1 (s.v. stitichezza). 1.b. Nell’accezione qui presente di ‘proprietà astringente di una sostanza o di un cibo’, il TLIO attesta il solo pad.a. stipticità (fine sec. XIV, Serapiom). Voce presente da Crusca1 (s.v. stiticitade). Cf. Sboarina (2000, 282), Elsheikh (2016 II, 302). 1.c. Il lat. stipticus (Du Cange VII, 600b) viene dal gr. στυπτιϰός. Prima attestazione: fior.a. istitica (fine sec. XIII, TesoroVolg, TLIO s.v. stitico). Voce presente da Crusca1 (s.v. stitico). Cf. Nystedt (1988, 274), Sboarina (2000, 282), Aprile (2001a, 499), Motolese (2004, 294), Tomasin (2010, 74), Elsheikh (2016 II, 302). 2. Nel corpus OVI non si rintracciano testimonianze del termine con riferimento alle proprietà astringenti dei farmaci. Voce presente da Crusca1 nel significato più generico di ‘Astratto di tenace, viscosità’.

stipticitas ‘proprietà di ciò che ha dell’astringente, di ciò che è vasocostrittivo’ (16 occ.; 40)

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini] 1.a. stiticheza f.: V («lo incharnativo bexogna esere molto più forte esechativo chon stiticheza») 16v

481 Lat.: sume oleum vehementis stipticitatis sicut est mirtinum vel rosatum. 482 Voce usata come glossa di stipticitade (cf. 1.b.).

III Botanica e farmacologia 

storax ‘arbusto del genere Stirace (Styrax officinalis L.); balsamo ottenuto da tale pianta per spremitura della corteccia bollita’ (3 occ.; 213) [Du Cange VII, 605c]

storace m.: R («Recipe mirra, storace, el seme del giusquiamo, opio, pepe») 113r, 128r, 133v; ~: B 51r, 57v, 60r; storas (storasse): V 48v, 57r ▲ Il lat. storax è variante più tarda di styrax, dal gr. στύραξ, voce di probabile origine semitica, poiché la resina veniva importata in Grecia dalla Fenicia (cf. DEI V, 3642; DELIN, 1620; Nocentini 2010, 1177). Prima attestazione: mant.a. storax (1299/1309, Belcalzer, TLIO s.v. storace). Voce presente da Crusca1 (s.v. storace). Nella Chirurgia di Bruno lo storax è citato tra gli ingredienti di composti utili al dolore dei denti, nonché alla cura degli apostemi e delle scrofule, ed è soprattutto nella cura di patologie della pelle che il suo uso si riscontra in varie epoche della storia della medicina. Cf. Ineichen (1966, 213), André (1985, 252), Marcovecchio (1993, 828), Gleßgen (1996, 832), Gualdo (1999, 235), Aprile (2001a, 496), García Gonzáles (2007, 551), Green (2009, 411), Ventura (2009, 749), Mazzeo (2011, 347), Castrignanò (2014, 208), Sosnowski (2014, 229), Elsheikh (2016 II, 302), Zarra (2018, 565).

sublimare ‘far passare una sostanza direttamente dallo stato solido a quello aeriforme’ (2 occ.; 115) [Du Cange VII, 631a]

solimar vb.tr.: V («meti la pollvere a solimar») 29r; sollim[are] (soblim[are]): R 62r (2), 62v; sublim[are]: B 29r (2) ▲ Il lat. tardo sublimare è der. di sublimis ‘sublime’, nell’accezione chimica propria del lessico degli alchimisti (cf. DELIN, 1638; Du Cange VII, 631a: ‘Coctione vel igne perpurgare’). Prima attestazione: it.a. solimato

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(1354–55, BoccaccioCorbaccio, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. sublimare). Cf. Elsheikh (2016 II, 293).

sublimatio ‘processo chimico che procura il passaggio diretto di una sostanza dallo stato solido a quello aeriforme’ (116) [Du Cange VII, 631b]

1.a. solimar vb.tr.: V («El modo de solimar la pollver [...]»)483 29r; sublimare: R 62v 1.b. sublimatione f.: B («lo modo de la sublimatione si è questo, zoè che la polveri de li specij da fir sublimati fiza locata in fondo del vasello») 29r ▲ 1.a. Cf. s.v. sublimare. 1.b. Nel corpus OVI, la voce presenta due sole attestazioni, entrambe di area fiorentina: sublimazione (ante 1334, Ottimo; sec. XIV, CrescenziVolg). Voce presente da Crusca1 (s.v. sublimazione). Cf. Marcovecchio (1993, 829).

sulphur ‘zolfo’ (5 occ.; 42) [Forcellini IV, 585]

1. fuliggine f.: R («poscia v’agiugne fuliggine e ffa inpiastro») 134v 2. furfur m.: V («azonzi furfur e fa’ inpiastro») 57v 3. solfere m.: V («non sofrirà la medexina forte chalda, chomo euforbio e solfere») 11v, 20v, 54v, 57v; solfero: B 10v, 57r, 60r, 60v; solfo: R 23v, 42v, 126r ▲ 1. Prima attestazione: aret.a. fuligine (1282, RestArezzo, TLIO s.v. fuliggine). Voce presente da Crusca1 (s.v. filiggine/fuliggine). Cf. Aprile (2001a, 345), Ventura (2009, 454), Elsheikh (2016 II, 160 e 165 s.vv. filigine e fuligine).

483 Lat.: modus autem sublimationis est [...].

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 6 Glossario

2. La forma furfur di V sarà verosimilmente il frutto di una confusione, da collocare già nella tradizione del testo originale, tra i sostantivi latini sulphur e furfur ‘crusca’ o ‘prodotto di desquamazione del cuoio capelluto’. 3. Prima attestazione: roman.a. solfo (uq. sec. XIII, StorieTroiaRomaVolg [ms. A], OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. solfo/zolfo). Anche le forme solfere e solfero, derivate dall’accus. suphure(m) (al contrario di solfo/zolfo, direttamente dal nomin. sulphur), risultano ben attestate nel corpus OVI. Cf. Ineichen (1966, 206), Marcovecchio (1993, 832), Gleßgen (1996, 873), Aprile (2001a, 502), García Gonzáles (2007, 552), Green (2009, 412), Ventura (2009, 711), Castrignanò (2014, 209), Sosnowski (2014, 228), Elsheikh (2016 II, 293 e 341). ♦ Loc. e collocazioni: – sulphur vivum ‘zolfo nativo, di colore grigio, che ha il giallo coperto da impu­ rezze’ (3 occ.; 41) [sulpor vivum Du Cange VII, 653b] solfere vivo m.: V («Lo solfere vivo per la soa sotillitade, se tu confizi chon uno pocho d’ollio ch’el sia a modo de ollio, lo val a le plage de li nervi») 11v, 28v, 29r; solfero vivo: B 10r, 29r, 29v; solfo vivo: R 23r, 62r, 63r ▲ Prima attestazione: fior.a. solfo vivo (ante 1313, OvidioVolgRimAm [ms. B], OVI). Cf. García Gonzáles (2007, 552).

sumac ‘sommacco, pianta appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae (Rhus coriaria L.)’ (5 occ.; 37) [sumach Du Cange VII, 653c]

sumachi (sumac) m.: V («alguna vollta se chuoxe balaustie e sumachi e schorze de pome ingranade») 10v, 20v, 32v, 50r, 53r; sumac (sumaco; summac): R 20r, 42v, 116v; ~ (sumach): B 9r, 19v, 33r, 52v, 55r

▲ Dall’ar. summāq (cf. FEW 19, 164b; DEI V, 3540; DELIN, 1556). Prima attestazione: fior.a. somacco (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); la forma adattata somaco/somacco si rintraccia anche in Bencivenni e in UbertinoBrescia (qui nella grafia sumacho); le forme non adattate sumac/sumach si registrano in BestiarioVolg, UbertinoBrescia e Serapiom. Voce presente da Crusca1 (s.v. sommaco/sommacco). Cf. Ineichen (1966, 215), Pellegrini (1972, 119 e 195), Gleßgen (1996, 834), Gualdo (1996, 220), García Gonzáles (2007, 346 s.v. anagodan), Squillacioti (2008, 42), Ventura (2009, 751), Elsheikh (2016 II, 305), Zarra (2018, 562 s.v. somacco).

terbentina ‘trementina, resina estratta dalle Pinaceae’ (5 occ.; 41) [Du Cange VIII, 866a]

1. largado m.: V («E sal trido; intro con largado, e averzi, mondificha la marza») 53v, 62r 2. terbentina f.: B («Et anchora ge valeno le uve passe [...] lo vedri cum la terbentina apre e mondifica la sanie») 55v, 64v; termentina: R 23r, 124r, 143v; ~: B 10v; tormentina: R 119r; trementina: V 11v (2), 51v ▲ 1. Dal lat. laricātum ‘resina del larice’, lat. mediev. largatus (cf. DEI III, 2169 s.v. largao; Cortelazzo 2007, 693 s.v. largào: «nota anche ai glossari bavaresi-veneziani del XV sec. e abbastanza testimoniata negli odierni dialetti settentrionali»). L’unica attestazione ricavabile dal corpus OVI è il venez.a. largado (1370ca., LeggendaSPieroPolo, OVI). Va segnalato come in B (c. 16v) si legga, autonomamente rispetto al testo latino, la dittologia sinonimica termentina, zoè argato, con quest’ultimo nel ruolo di glossa: la forma argato, da connettere con largado di V, si spiegherebbe come esito di discrezione dell’articolo. Il termine largado si rintraccia anche in opere a stampa dei secoli posteriori (ma è assente nel GDLI): cf., tra gli altri, Calestani (1580, 304: «onza una e meza di largato (questo è termentina) aggiuntovi in fine di muschio»).

III Botanica e farmacologia 

2. Il lat. mediev. terbentina è la variante sincopata del lat. terebinthĭna (resīna), ‘(resina) del terebinto’, a sua volta dall’agg. gr. τερεβίνϑινος (cf. DEI V, 3757 s.v. terebentina; Nocentini 2010, 1262 s.v. trementina). Prima attestazione: fior.a. terbentina/trementina (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI); in OVI, la forma termentina si rintraccia in alcuni testi al di fuori dell’area toscana (RicetteMediche, Serapiom, MascalciaRusioVolg.); si rinvengono, poi, due testimonianze di tormentina (sen.a., dopo il 1303, StatutoGabellaAdd; perug.a., 1363–65, ContiGuiduccinoFratta). Voce presente da Crusca1 (s.v. trementina). Cf. le considerazioni di de Vasconcellos (1959, 416) sulle forme paretimologiche termentina, tormentina, trementina, treventina, riscontrate nel portoghese ma affini a quelle presenti nei nostri mss.: «Quatro tentativas diferentes, antigas, de vulgarizar e tornar plausível o nome erudito de terebentim em português também terebentinha. Claro que só vingaram as claramente influídas por tormento e por tremer». Cf. Ineichen (1966, 217), Gleßgen (1996, 759), Gualdo (1996, 221), Aprile (2001a, 510), García Gonzáles (2007, 556), Green (2009, 412), Ventura (2009, 786), Castrignanò (2014, 209 s.vv. terbentina e termentilla), Elsheikh (2016 II, 314 e 320 s.vv. terbentina e trementina).

terra sigillata ‘composto di alluminio, silice ed ossido di ferro; nota anche col nome di terra armenia, terra bolare’ (37) [Loc. assente in Du Cange e Forcellini]

terra sigillata f.: R («è da comandare o vino overo l’aqua che piova, nella quale terra sigillata bene cotta fusse») 19v; ~: B 9r; tera sizillada: V 10v ▲ Loc. ben documentata nel corpus OVI; prima attestazione: mant.a. terra sigillata (1299/1309, Belcalzer). Chambers (1770–1775 XIX, 377 s.v. terra) distingue tra una terra sigillata fosca e una terra sigillata del gran duca, detta anche terra etrusca o toscana, per la

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quale si rileva l’impiego farmacologico e che, dunque, quasi certamente coincide con quella nominata da Bruno (‘Nella materia Medica è quasi una sorte particolare di bolo, di cui hannovene due spetie, il bianco, vale a dire, ed il rosso [...]. Quivi conservasi comunemente nelle botteghe di quegli Speziali, e vengon prescritte con riuscite nelle febbri di moltissime spezie, come altresì nelle diarree, nelle dissenterie, ed in casi somiglianti’). Cf. Gleßgen (1996, 850), Gualdo (1996, 188), Fumagalli (2000, 206), García Gonzáles (2007, 462 s.v. lempnias), Green (2009, 412), Ventura (2009, 778), Tomasin (2010, 77), Castrignanò (2014, 209), Elsheikh (2016 II, 290 e 314 s.vv. sigillata e terra sigillata).

titimallus ‘titimalo, nome di varie specie di piante del genere Euforbia’ (213) [tithymalus Forcellini IV, 737]

titimaio m.: V («chonfizi la farina de formento chon late de titimaio») 49r; titimale: B 51r; totomalglo: R 113v ▲ Dal gr. τιϑύμαλλος e τιϑύμαλον (cf. DEI V, 3804–3805 s.vv. titimaglio e titimalo: «forma con raddoppiamento frequente nei relitti del sostrato mediterraneo»); i dizionari contemporanei dell’uso pongono a lemma principalmente la forma titìmalo, segnalando, tra le varianti, titimàglio o totomàglio (cf. GDLI). Il TLIO (s.v. titimalo) attesta soltanto il pad.a. titimalo/titimallo (fine sec. XIV, Serapiom), ma altre due testimonianze si ricavano dal corpus OVI: tosc.a. titimallio (sec. XIV, MaestroBartolomeo); sic.a. titimallu (ThesaurusPauperumVolg); si hanno, poi, cinque attestazioni, tutte in area toscana, della forma totomaglio, già documentata all’inizio del Trecento (TrattatoCuraUccelli; Bencivenni) e registrata anche da Zarra (2018, 567). Secondo Dioscoride, col termine τιϑύμαλλος si indicavano sette distinte varietà della pianta. Al pari di quanto si osserva nel Thesaurus pauperum

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 6 Glossario

pisano (Zarra 2018, 567), anche nella Chirurgia di Bruno il succo di titimalo (lac titimalli) è usato come rimedio contro il dolore dei denti. Voce presente da Crusca2 (s.v. titimaglio). Cf. Ineichen (1966, 219), André (1985, 261), Nystedt (1988, 278), Aprile (2001a, 519), García Gonzáles (2007, 559), Ventura (2009, 780), Elsheikh (2016 II, 317).

trociscus ‘preparazione medicinale di sostanze varie in forma di pastiglia tondeggiante’ (6 occ.; 115)

[trociscus Du Cange VIII, 191b; cf. → rubea trociscata (s.v. rubea)] torcisc[o] (torsicc[o] 63r; torscelgli m. pl.) m.: R («sieno conficiati coll’acqua del mare overo acqua salata overo aqua di cennere e fanne torcisci») 62r, 63r, 64r, 113v; torzis[o]: V 29r (2), 29v (2); trocisc[o]: B 29r, 29v (3), 30r, 51r ▲ Il lat. trociscus (e più tardo trochiscus) viene dal gr. τροχίσκος, dimin. di τροχός ‘ruota’, per la sua forma di pastiglia rotondeggiante (cf. DEI V, 3910). Termine ben attestato nel corpus OVI; prima attestazione: tosc.a. torcischi (ante 1294, GuittArezzoRime, TLIO s.v. trocisco). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. trocisco; in Crusca anche nella forma trochisco). Cf. Ineichen (1966, 247), Nystedt (1988, 279), Gleßgen (1996, 696), Gualdo (1996, 189), Sboarina (2000, 265), Aprile (2001, 517), García Gonzáles (2007, 562 s.v. trocos), Green (2009, 413), Mazzeo (2011, 339), Castrignanò (2014, 210), Sosnowski (2014, 230), Elsheikh (2016 II, 321).

turbit ‘turbitto, nome della radice purgativa di una specie di Convolvulo (Operculina turpethum/Convolvulus turpethum L.) (3 occ.; 106)

▲ Dall’ar. turbid (DEI V, 3931 s.v. turbitti). Prima attestazione: fior.a. turbitti (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce assente in Crusca. Cf. la nota etimologica del Ménage, di derivazione rediana come molte altre presenti nelle sue Origini della lingua italiana (Menagio 1685, 487 s.v. turbitti: ‘Molti credono che sien così detti à turbando ventre. S’ingannano. È voce Arabica: e si trova appresso di Avicenna, ed altri Scrittori di quella Lingua: tra’ quali turbit vale lo stesso che il medicamento de’ turbitti. Osservazione Rediana’). La pianta era usata per le sue proprietà purgative ed emetiche. Cf. Ineichen (1966, 221), Gleßgen (1996, 837), García Gonzáles (2007, 563), Green (2009, 413), Ventura (2009, 782), Tomasin (2010, 77), Castrignanò (2014, 211), Elsheikh (2016 II, 322).

tyriaca ‘teriaca o triaca: elettuario composto da moltissimi ingredienti’ (3 occ.; 106) [thiriaca/tyriaca Du Cange VIII, 221a]

teriacce genit.lat.: R («nell’oscire del bangno sia data [...] opiata calda sì come teriacce vel auree») 57v;484 triaca f.: R 57v; triacha (tiracha): B 27r (2), 30v; tiraca (triacha; tiriacha): V 27r (2), 30v ▲ Dal gr . ϑηριακή (ἀντίδοτος) ‘(antidoto) contro le morsicature di animali velenosi’ (der. di ϑηρίον ‘belva, animale velenoso’), passato poi al lat. nella forma dell’agg. theriăcus e del sost. f. theriăca (cf. DEI V, 3758; DELIN, 1734). Il termine è ben attestato nei corpora OVI e ReMediA; prima attestazione: tosc.a. triaca (ante 1294, GuittArezzoLettereProsa, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. triaca). Tra le distorsioni popolari più comuni in area toscana si segnalano anche otrïaca e

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

turbit (turbitti) m.: R («Recipe turbit due parti, polvere di gengiovo») 57v, 133r, 138r; turbit (turbiti): B 26v, 59v, 62v; turbiti: V 27r, 57r, 59v

484 Dato il contesto (teriacce vel auree) dovrebbe trattarsi della semplice conservazione del genit. lat. (tyriacae vel aureae).

III Botanica e farmacologia 

utrïaca (la prima posta a lemma in Crusca3,4, la seconda già in Crusca1), che rappresentano, all’interno del corpus OVI, le testimonianze più antiche in assoluto: sen.a. otriacha e utriacha (1277–82, LibroMerc). La triaca era un preparato farmaceutico di antichissima diffusione, ritenuto in possesso di virtù miracolose e rimasto nella farmacia popolare fino all’inizio dell’Ottocento: tra le sue componenti principali vi era la carne di vipera, a cui si attribuivano poteri straordinari (cf., tra gli altri, Boerio 1856 s.v. triaca ‘Composizione medicinale di moltissimi ingredienti, notissima, che si fabbrica specialmente in Venezia e di cui si fa gran commercio in Levante’). Cf. Ineichen (1966, 245), Nystedt (1988, 278), Marcovecchio (1993, 860), Gleßgen (1996, 897), Gualdo (1996, 188), Sboarina (2000, 264–265), Cortelazzo (2007, 1425), García Gonzáles (2007, 559), Green (2009, 394 s.v. cyriaca/tyriaca), Tomasin (2010, 76), Mazzeo (2011, 339), Castrignanò (2014, 210), Sosnowski (2014, 230), Elsheikh (2016 II, 320). ♦ Loc. e collocazioni: – tyriaca maior (213) triaca maggiore f.: R («ponvi la triaca maggiore nella radice de’ denti») 113r; tyriacha maiore: B 51r; turiaga: V 48v ▲ Cf. in OVI, le loc. analoghe: venez.a. tiriaca magna (sq. sec. XIV, LibroSanitate); tosc.a. tiriacha magna (1340/60, FioriMedicina); sic.a. triaca magna (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg).

tutia ‘polvere derivata dalla lavorazione dello zinco e costituita principalmente da ossido di zinco e ossido di cadmio’ (4 occ.; 41)

 845

19v, 30v, 47r; tuzia (tuchie; tutia): R 23r, 23v, 42v, 66r, 104v; tuzia (tucia): V 11v, 12r, 21r, 30v, 45v ▲ Dall’ar. tūtiyā’ ‘zinco’ (cf. DEI V, 3938; Nocentini 2010, 1278). Voce ben attestata nel corpus OVI; prima attestazione: tosc.a. tuzia (inizio sec. XIV, MPolo); presente da Crusca1 (s.v. tuzia). Cf. Ineichen (1966, 221: «La tuzia era un prodotto importante dell’oftalmologia orientale. Essa è descritta anche da Marco Polo»), Sosnowski (2014, 230), Elsheikh (2016 II, 324).

unguentum diaquilon ‘diachilon, tipo di unguento a base di olio d’oliva, protossido di piombo e acqua’ (2 occ.; 232) [diaquilon Du Cange III, 100b]

dyaquilon m.: B («lo dyaquilon è bono, anze è mirabile in la resolutione») 55r; onguento diaquilon: V 53r, 57v; unguento del diaquilon (unguento diaquilon): R 123r, 134r; unguento dyaquilon: B 60r ▲ Dal gr. διάχυλος (neutro διάχυλον) ‘pieno di succhi’ (cf. DEI II, 1274 e 1281 s.vv. diachilon e diaquilonne); in lat. il termine è usato sia come agg. di unguentum sia come sost. Il TLIO (s.v. diaquilon) registra due sole attestazioni: catan.a. dinculogna (1345, CapitoliGabellaSàgati); tosc.a. diaquilon (XIV sec., MesueVolg). Voce assente in Crusca. Cf. Marcovecchio (1993, 269), García Gonzáles (2007, 392 s.v. chilus), Castrignanò (2014, 175), Elsheikh (2016 II, 142).

urtica ‘ortica (Urtica dioica L.), pianta erbacea perenne del genere Urtica’ (254)

[Du Cange VIII, 217c]

[Forcellini IV, 877]

tucia (tucie; tuzia) f.: B («la calcina viva [...] pò fir administrata utelmente; e la tuzia a quello medesmo modo lavata e confecta») 10v (3),

ortica f.: R («questo inpiastro probatissimo [...] sinapin, cioè senape, el seme dell’ortica») 134r; ortiga: V 57v; urtica: B 60r

846 

 6 Glossario

▲ Il lat. urtica è di etimo sconosciuto (cf. DELIN, 1093). Prima attestazione: tosc.a. ortica (1268, AlbBresciaVolgAndrGrosseto, TLIO). Voce presente da Crusca1 (s.v. ortica). Cf. Ernst (1966, 169 s.v. ortica no coca ‘ortica che non cuocia’), Ineichen (1966, 224), André (1985, 276), Aprile (2001a, 421), García Gonzáles (2007, 330 s.v. acalife), Green (2009, 414), Ventura (2009, 799), Elsheikh (2016 II, 233 e 326), Zarra (2018, 540).

vinus ponticus ‘vino amarognolo’ (3 occ.; 29) [ponticus Du Cange VI, 408b]

1. vino acerbo m.: R («togli lo ingranato dolce et cuoci esso nel vino acerbo») 15v 2. vino forte m.: V («chuoxase in vino forte e inpiastra suxo lo luogo chon eso») 9r, 9v, 12r 3. vino bruscho m.: B («lavella [...] cum vino dolce, overo pontico, zoè brusco») 8r, 11r485 4. vino de plano: B («al se tolia lo pomo granato dolce e fiza cocto in lo vino pontico, zoè de plano») 7r486 5. vino pontico (vino pontifico) m.: R («sia cristerizato con vino pontico») 17v, 24r; ~: B 7r, 8r, 11r ▲ 1., 2., 3. Cf. le locuzioni analoghe rintracciabili nel corpus OVI; si legge una sola testimonianza della prima: fior.a. vino acerbo (pm. sec. XIV, CrescenziVolg), per la quale cf. anche Elsheikh (2016 II, 74 s.v. acerbo). È molto diffusa la seconda loc., che appare anche in diversi testi di natura medica: crem.a. forte vino (inizio sec. XIII, UguccLodi); nap.a. vino forte (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis); fior.a. forti vini (1310, BencivenniSantà) ecc. Per la terza loc., cf. bol.a. vin bruschetto (1279–1300, Memoriali); fior.a. vino bruschetto e vino

485 In entrambi i casi, l’agg. bruscho è usato come glossa di pontico (cf. 5). 486 Loc. usata come glossa dell’agg. pontico (cf. 5).

bruscho (1310, BencivenniSantà); ~ (1337–61, LibroDrittafede; 1359–63, LibroSTrinita); vin brusco (pm. sec. XIV, CrescenziVolg). Alla base dell’agg. brusco (dalla corrispondente loc. latina (vinum) bruscum, datata ante 1336 dal DEI I, 618 s.v. brusco) c’è il lat. tardo brūscu(m) ‘pungitopo’, e «il sign[ificato] di ‘pungente’ spiega il passaggio al sapore ‘aspro’: DELIN, 254; cf. TLIO (‘di sapore aspro, detto del vino’). Voce presente da Crusca1 (s.v. brusco ‘Di sapor, che tira all’aspro, non dispiacevole al gusto’). Cf. Aprile (2001a, 266), Castrignanò (2014, 165), Elsheikh (2016 II, 105: vino brusco e vino bruschetto). 4. La loc. vino de plano ‘vino di pianura’, che ricalca la corrispondente espressione latina vinus de plano (rintracciabile in diversi documenti latini in contrapposizione al vinus de montibus ‘vino di collina’), trova una sola testimonianza analoga in OVI: pad.a. vino de pian (1369, LetteraStrasulo). 5. Il lat. ponticus, dal gr. Ποντικός, è agg. di Pontus (Euxinus), gr. Πόντος (Εὔξεινος) (cf. DEI V, 3015; Nocentini 2010, 902: connesso con avestico axšaēna ‘scuro’). La loc. è attestata, all’interno dei corpora OVI e ReMediA, da: nap.a. vino pontico (sec. XIII-XIV, RegimenSanitatis); pad.a. vin pontico (fine sec. XIV, Serapiom). La voce pontico è presente da Crusca1 (‘aspro, brusco’). Cf. Nystedt (1988, 257 s.v. pontico), Tomasin (2010, 66: pontici ‘pungenti, aspri, di frutti’).

viola ‘genere di piante della famiglia delle Violaceae (Viola L.)’ (4 occ.; 152) [Forcellini IV, 1000]

viol[a] f.: B («herbi molificanti, como è malva, folij de violi, radice de althea») 37v, 43r, 70v, 71r; viuola (viola): R 93v, 161v, 164r; violl[a]: V 36v, 66v ▲ Prima attestazione: fior.a. viole (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. viola). Cf. Ineichen (1966, 229), André (1985, 272), Gleßgen (1996, 838),

III Botanica e farmacologia 

Aprile (2001a, 529), García Gonzáles (2007, 567), Ventura (2009, 793), Green (2009, 413), Ventura (2009, 793), Castrignanò (2014, 213), Elsheikh (2016 II, 337), Zarra (2018, 570).

virga pastoris ‘verga del pastore, nome volgare del Polygonum Aviculare L.’ (3 occ.; 195) [Loc. assente in Du Cange e Forcellini]

1. bursa pastoris: V («meti suxo anchora [...] sugo d’uva chanina, e de indivia, e de bursa pastoris») 69r 2. verga pastoris: V («Rezipe sugo de papavaro arosso, sugo de verga pastoris») 45v, 53r; virga de pastore: B 47r,487 55r; virga pastoris: R 122v, 171v; ~: B 73r ▲ 1. La loc. rimanda alla corrispondente loc. latina bursa pastoris, con la quale si indica, però, una pianta diversa dalla virga pastoris: la bursa pastoris, infatti, così denominata, probabilmente, per la forma delle silique, andrà identificata con la Capsella bursa-pastoris L., pianta appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, che in Zarra (2018, 557) è associata alla cosidetta ‘erba sanguinaria’. L’unica attestazione ricavabile dai corpora OVI e ReMediA, anche in tal caso con la conservazione del genit.lat., è il sic.a. bursa pastoris (sec. XIV, ThesaurusPauperumVolg). Cf. Ventura (2009, 300 e 758). 2. Le attestazioni ricavabili dal corpus OVI sono: tosc.a. verga pastore (ante 1361, UbertinoBrescia); pad.a. (ma con conservazione dell’originaria forma latina) virga pastoris (fine sec. XIV, Serapiom); fior.a. (nella forma latina e univerbata) virgapastoris (pm. sec. XIV, CrescenziVolg); sab.a. verga pastore (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg). Cf. DEI (V, 4063 s.v. virgapastoris ‘cardo selvatico’).

487 Qui con l’accompagnamento della glossa zoè de garzone.

 847

Voce presente da Crusca1 (s.v. virgapastoris, tratta da CrescenziVolg); in CrescenziVolg la pianta è identificata esplicitamente col cardo selvatico («Virgapastoris è il cardo salvatico, ed è freddo e secco, e solamente le sue foglie si confanno ad uso di medicina, verdi, e secche»), secondo un accostamento che giunge in epoca moderna: cf. Targioni Tozzetti (1809 II, 44) s.v. dipsacus silvestris, cui si fanno corrispondere nella definizione le forme cardo salvatico, verga del pastore maggiore, verga pastore, virga pastoris. Tale polimorfia di soluzioni nomenclatorie sembra aver indotto a una certa confusione, come si ricava già dalle considerazioni di Mattioli (1568, 699: «Chiamasi il Dissaco volgarmente da gli spetiali Virga pastoris maggiore. Percioché la minore anchora ne dimostrano molto simile a questa [...]. Ma è da avvertire che queste due spetie di Dissaco chiamate Verga di pastore, non sono la Virga pastoris di Serapione, ne manco quella, che scrive Avicenna. Imperoché questa è il vero poligono, overo sanguinaria, che sotto le spetie di maschio, e di femina nel quarto libro scrisse Dioscoride. Et però ho pensato io che non da gli Arabi sia stato dato il nome di Verga di pastore al Dissaco; ma da quelli spetiali, che più si sono confidati nelle loro Pandette, che in tutti gli altri buoni, e approvati autori»). Cf. Ineichen (1966, 229), García Gonzáles (2007, 567), Ventura (2009, 796), Sosnowski (2014, 230).

viridis aes ‘verderame, miscela contenente solfato di rame’ (2 occ.; 94)

[Loc. assente in TLL, Du Cange e Forcellini] verderamo m.: V («Anchora uno altro onguento: tuo’ feza de ollio roxado e axedo puro, e [...] verderamo») 24v; ~: B 24r (2); viridis eris genit.lat.: R 51r (2) ▲ Cf. s.v. flos aeris (2.).

848 

 6 Glossario

viscum ‘pianta cespugliosa appartenente alla famiglia delle Viscaceae (Viscum album L.)’ (224) [Forcellini IV, 1013]

vescovo m.: R («Recipe cera, oleo visci, cioè vescovo, pece uguale parte e resolvelo») 39v, 119r, 143v; vischo: V 19r, 51v, 62r; visco: B 18r, 53v, 64v ▲ Prima attestazione: tosc.a. visco (metà sec. XIII, StefProtonotaro, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. vischio/veschio). La forma vescovo di R, che compare a mo’ di glossa del genit.lat. visci, è confermata dalla testimonianza presente nell’Almansore volgarizzato (Elsheikh 2016 II, 333). Cf. Ineichen (1966, 230), André (1985, 273), Nystedt (1988, 283), Marcovecchio (1993, 923), Gleßgen (1996, 672), Aprile (2001a, 530), Barbato (2001a, 527), García Gonzáles (2007, 568), Zarra (2018, 569).

vitellum (ovi) ‘tuorlo dell’uovo’ (7 occ.; 7) [Du Cange VIII, 359a]

1. rosso de l’uovo (arosso d’uovo; roso d’uovo; rosso): V («meteremo lo rosso de l’uovo de chonpagnia in lo biancho de l’uovo») 21r (2), 30v, 56r, 69r (2); rosumo de ovo (rossumo; rosumo): B 19v (2), 30v, 59r, 73r (3) 2. vitellina dell’uovo (vitellina dell’uova): R («sia confetta ongni cosa colla vitellina dell’uova») 131v, 171v ▲ 1. Cf. le loc. analoghe rintracciabili in OVI e ReMediA: pad.a. rosso de l’ovo/rosume de ovo (fine sec. XIV, Serapiom, OVI; Ineichen 1966, 191); it.sett.a. rosso d’un ovo (sec. XIV, Ricetta, ReMediA); si veda anche il seguente passo da EgidioColonnaVolg («noi vedemo che la natura à ordinata nell’uovo il bianco e’l rosso, cioè il tuorlo e l’albume»). 2. L’unica loc. analoga rintracciabile in OVI e ReMediA è il sab.a. vitella d’ovo/vitello de ovo (fine sec. XIV, MascalciaRusioVolg); GDLI (s.v. vitello2). Voce assente in Crusca. Cf. Nystedt

(1988, 283 s.v. vitello), Marcovecchio (1993, 924), Green (2009, 414), Castrignanò (2014, 214).

vitreare vb.tr. ‘isolare un contenitore per ingredienti medicinali ricoprendolo di sostanza vetrosa’ (116)

[Voce assente in tale accezione in Du Cange e non registrata in Forcellini] inveri[are] vb.tr.: V («Quello che serà de tera die eser inveriado dentro azò che li spiriti non vapori») 29r; invetri[are]: R 62v; invetri[are]: B 29r ▲ Nel corpus OVI si rinvengono due attestazioni di area toscana del part. invetriato (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg; ante 1361, UbertinoBrescia), usato in entrambi i casi con riferimento ai vasi usati nella preparazione di medicamenti, analogamente a quanto si osserva nei nostri volgarizzamenti; GDLI (s.v. vitreare ‘vetrificare, invetriare’, con un’unica testimonianza, proveniente da Anonimo, XVI sec.). Voce presente in Crusca4 (s.v. invetriare), ma piuttosto con l’accezione di ‘ridurre a simiglianza di vetro’. Per la forma vero ‘vetro’ e i suoi derivati nei dialetti veneti (tutti caratterizzati dal consueto sviluppo -tr- > -dr- > r- che si ritrova anche in voci come pare, mare, piera ecc.: Rohlfs 1966–1966, §260), si vedano Prati (1968, 199) e Cortelazzo (2007, 1473). Cf. Elsheikh (2016 II, 187 s.v. invetriato, detto di vasello).

vitreolum ‘vetriolo’ (3 occ.; 76)

[Lemma assente in Du Cange e non registrato in questa accezione in Forcellini] veriol (veriollo) m.: V («tuo’ chalzina viva, sangue de drago, zeso, aloe, inzenso, veriollo») 20v, 29v (2); vitriolo (vitrioli): B 19v, 29v, 30r; vitriuolo (vitrioli) 42v, 63v (2) ▲ La voce del lat. mediev. vitreolum è il neutro sostantivato dell’agg. vitreolus ‘di vetro’, così detto per l’aspetto vetroso dei suoi cristalli: «Vitriole sind die Sulfate (SO4) verschiedener Metalle, insbesondere von Eisen, Kupfer

III Botanica e farmacologia 

und Zink [...]. Das farblose Zinkvitriol war im Altertum unbekannt und konnte vermutlich auch im Mittelalter nicht identifiziert werden» (Gleßgen 1996, 872). Prima attestazione: sen.a. vetriuolo (dopo il 1303, StatutoGabellaAdd, OVI). Voce presente in Crusca3,4 (s.vv. vetriuolo). Per la forma veriol/veriollo di V, tipica dei dialetti veneti (sviluppo -tr- > -dr- > r-: Rohlfs 1966–1966, §260), cf. Ineichen (1966, 224), Prati (1968, 199), Sosnowski (2014, 230). Si vedano anche García Gonzáles (2007, 569), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 333). ♦ Loc. e collocazioni: – vitreolum rubeum ‘solfato di cobalto’ (2 occ.; 68) 1. veriol rosso m.: V («E delle sachrete si è arestologia chonbusta, propiamente chimia, veriol rosso bruxado») 18v, 26r; vitriolo rosso: B 25v 2. vitreolo romano m.: B («E de li secreti si è aristologia brusata, e vitreolo romano brusato») 17v; vitriuolo rosso: R 38v, 54v ▲ 1., 2. L’unica testimonianza analoga rintracciabile in OVI e ReMediA è il tosc.a. vetriuolo romano (ante 1361, UbertinoBrescia, OVI: 7 occorrenze). Le due tipologie di vetriolo non sono identiche: il cosiddetto vetriolo romano indica piuttosto il solfato di ferro.

ydrozacara ‘acqua zuccherata’ (36) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

1. idromel m.: V («[lavatur] con idromel melicrato e simelle ad ese») 10v 2. ydrocachera f.: R («la ferita sia lavata con ydrocachera») 19v;488 ydrozachara: B 9r489

488 È possibile ipotizzare che, nella forma ydrocachera, la prima c sia da correggere in ç, così da restituire la grafia spesso usata nel ms. per rappresentare l’affricata alveolare. 489 Voce accompagnata dalla glossa zoè aqua e zucharo.

 849

▲ 1. Dal lat. hydromeli, a sua volta dal gr. ὑδρομέλι, composto da ὕδωρ ‘acqua’ e μέλι ‘miele’ (cf. lat. idromellum: Du Cange IV, 285b; DEI III, 1925; DELIN, 716), bevanda chiamata anche, con termine latino, mellicras (cf. s.v.) e differente dall’ydrozacara. Prima attestazione: fior.a. ydromel (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. idromele). Voce presente in Crusca3,4,5 (s.v. idromele). Cf. García Gonzáles (2007, 353 s.v. apomel), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 179). 2. Voce composta da ὕδωρ ‘acqua’ e σάκχαρον ‘zucchero’, per la quale non si rintracciano attestazioni in OVI e ReMediA, né nei testi dei secoli successivi; assente in Crusca.

yeralogodion ‘elettuario usato per curare le patologie della voce’ (106) [Lemma assente in Du Cange e Forcellini]

geralogodyon f.: R («sia data geralogodyon vero altre cose con che si purghi la malanconia») 57v; ieralogodion m.: V 27r; yeralogodion: B 27r ▲ Si tratta del cosiddetto Yeralogodion memphytum: il primo termine è composto dal gr. ἱερός ‘sacro’ e λόγος ‘parola’; il secondo termine è stato associato da Goltz (1976, 61) alla città egiziana di Memphis, sulle rive del Nilo. Le uniche attestazioni ricavabili dai corpora OVI e ReMediA sono: fior.a. yera logodion (fine sec. XIII, AntidotNicolai); tosc.a. logodion (ante 1361, UbertinoBrescia). Alcune testimonianze si rinvengono anche nei testi medici dei secoli successivi (cf., tra gli altri, Rossello 1559, II, 37v: «purgarai la materia digesta con ierarrusina, ieralogodion teodoricon, e empericon»). Cf. García Gonzáles (2007, 450 s.v. yera).

ylex ‘elce, leccio’ (3 occ.; 88)

[TLL VII 1, 327]

1. ilize m.: V («de ilize tanto se faza onguento e uxallo») 29r; ylicis genit.lat.: R 48v

850 

 6 Glossario

2. rovere m.: («quelli cosi che laveno li ulcerationi sono como è melle, propriamente cum lo vino et aqua de cendere de rovere») B 22v, 29v, 57r ▲ 1. Prima attestazione: fior.a. elce (ante 1313, OvidioVolg [ms. B], TLIO s.v. elce); nel corpus OVI si hanno anche due testimonianze della forma non sincopata ilice (ante 1333, Simintendi; ante 1334, Ottimo), per la quale cf. anche Elsheikh (2016 II, 180). Voce presente da Crusca1 (s.v. elce ‘Leccio, detto poeticamente’). Cf. André (1985, 130), Green (2009, 415), Elsheikh (2016 II, 180). 2. Prima attestazione: mant.a. rover (1299/1309, Belcalzer, OVI). Voce presente da Crusca1 (s.v. rovere).

yreos ‘altro nome del giaggiolo, termine col quale si indicano alcune specie del genere Iris’ (6 occ.; 62) [ireos TLL VII 2, 379]

ireos (yreos) m.: R («cose humide al corpo si debbono aparecchiare [...], le quali sono strologia, ireos et simile cose») 35r, 37v, 51r (2), 63v, 74r; irios: V 17r, 18v, 24r, 24v, 33v; yreos: B 15v, 17r, 23v, 24r, 29v, 34v ▲ Il lat. mediev. ireos/yreos è il genit. di iris (gr. ἴρις: cf. DEI III, 2104; DELIN, 820: il termine iris «designava già una pianta, i cui colori ricordavano l’arcobaleno, secondo la concorde testimonianza di Dioscoride e di Plinio»). Prima attestazione: fior.a. ireos (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, TLIO s.v. ireos; altre testimonianze si rintracciano in: LibroAdornamentiDonne, UbertinoBrescia, Serapiom, CrescenziVolg). Voce presente in Crusca3,4 (s.v. ireos). Cf. Ineichen (1966, 138), Gualdo (1996, 205), García Gonzáles (2007, 333 s.v. acorus), Green (2009, 415), Ventura (2009, 492), Castrignanò (2014, 214), Sosnowski (2014, 223), Elsheikh (2016 II, 188).

ysopus ‘issopo o isopo, pianta aromatica della famiglia delle Lamiaceae (Hyssopus officinalis L.)’ (2 occ.; 37)

[hys(s)opum/hys(s)opus TLL VI 3, 3162]

isapo (isopi) m.: R («gli sia dato [...] isopi, pissule et simile cose») 20r, 113r; ixopo (ysopo): V 10v, 48v; ysopo: B 9r, 51r ▲ Dal gr. ὕσσωπον/ὕσσωπος, voce di origine semitica (cf. DEI III, 2119 s.v. issopo). Prima attestazione: fior.a. isopo (fine sec. XIII, AntidotNicolaiVolg, OVI; è ben testimoniata anche la variante grafica ysopo). Voce presente in Crusca1 (s.v. isopo). Cf. Ineichen (1966, 139), André (1985, 129), Nystedt (1988, 238), Aprile (2001a, 533), García Gonzáles (2007, 456), Green (2009, 415), Ventura (2009, 489), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 189), Zarra (2018, 524).

ziniar ‘verderame’ (93)490

[Lemma assente in Du Cange e Forcellini; cf. → s.v. viridis aes] çimar m.: R («Pilgla çimar cioè491 fiori d’eris, melle puro») 51r492

▲ Dall’ar. zinǧār. La forma zimar di R, attestata anche in epoca successiva, costituisce un errore di lettura del gruppo -ni-, oltre a confondersi con l’arabismo zimar ‘balaustia’, che rappresenta piuttosto l’ar. ğilnār (cf. Elsheikh 2016 II, 340 s.v. zinyar). La voce del testo latino non viene tradotta nei mss. V e B, e non è testimoniata all’interno dei corpora OVI e ReMediA. L’arabismo ziniar si ritrova anche in qualche

490 Voce oggetto di glossa (id est flos eris) già nell’originale latino. 491 Ms.: cio. 492 La grafia è incerta, e sembra piuttosto essere çimar, per la diffusa confusione di ni con m.

III Botanica e farmacologia 

trattato dei secoli successivi: cf., tra gli altri, Della Croce (1583, VI, 30v); si vedano anche le considerazioni sull’identificazione tra ziniar e verderame contenute in Mutoni (1559, 175r: «Ziniar secondo Simone Genovese nò è fior di rame, come si vede nel cap. della rugine del rame, e nel cap. del fiore di rame: Adunque l’unguento Ziniar non deve essere di fior di rame. Ma i moderni generalmente in luoco di fior di Rame pongono Ziniar, cioè verde rame: e nondimeno considerando l’intentione d’Avicenna, e di Serapione, vederai come Ziniar, e fior di rame sono una cosa medesima»). Cf. Testi (1980, 194), Gleßgen (1996, 871).

zinziber ‘zenzero (Zingiber officinale L.)’ (3 occ.; 106) [Du Cange VIII, 431c]

gengiovo m.: R («Recipe turbit due parti, polvere di gengiovo») 57v; zenzero: V 27r, 48v, 57r; zinziber: B 27r, 51r, 59v ▲ Dal gr. ζιγγίβερι o ζιγγίβερις (adattamento di una voce sanscrita: cf. DEI III, 1784 s.v. gengiovo

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e DEI, 4111 s.v. zenzero; DELIN, 1849): oltre al lat. class. zĭngĭber si ha anche la variante più tarda gĭngĭber, alla base della forma toscana gengiovo. Voce molto ben attestata nel corpus OVI; prima attestazione: fior.a. gengiov’ (1274ca., LatiniTesoretto, TLIO s.v. gengiovo). L’esito zenzero (da un precedente zenzevro, con semplificazione -vr- > -r-: Rohlfs 1966– 1969, §260) è un venezianismo dell’italiano, e difatti entra in Crusca solo a partire dalla terza ediz. (s.vv. zenzero, zenzevero, zenzovero): è di particolare interesse il fatto che, a imporsi nell’italiano moderno, sarà proprio la forma veneziana zenzero, e ciò soprattutto grazie al ruolo primario di Venezia nei traffici di spezie durante la prima età moderna. Per un’accurata storia lessicale dei termini romanzi indicanti lo zenzero, cf. Tomasin (2016); per il possibile tramite delle forme italiane nella diffusione del termine in area germanica, si veda Wilhelm (2013, 231–235). Cf. Ineichen (1966, 232), André (1985, 279), Nystedt (1988, 285), Gleßgen (1996, 757), Gualdo (1996, 223), Cortelazzo (2007, 1520), García Gonzáles (2007, 573), Green (2009, 415), Ventura (2009, 809), Tomasin (2010, 81), Castrignanò (2014, 214), Elsheikh (2016 II, 168).

7 Conclusioni L’ampia tradizione, latina e volgare, della Chirurgia magna di Bruno da Longobucco, assieme a quella dei suoi scritti minori (a cominciare dalla Chirurgia parva), rappresenta un ampio repertorio di studio sotto molteplici punti di vista, abbracciando almeno tre vasti campi d’indagine, che qui si è tentato, per quanto possibile, di far procedere in una stretta connessione: a) la storia della medicina medievale; b) la ricostruzione filologica della storia del testo e della sua trasmissione; c) la lingua medica medievale, nella sua duplice veste, latina e volgare (che, come si è ricordato in più frangenti, va concepita come una costruzione all’interno della quale operano due vasi strettamente comunicanti tra di loro). Il presente lavoro ha preso le mosse da una panoramica complessiva sul ruolo di Bruno e della sua Chirurgia magna nel mondo scientifico medievale: sulla base delle ricerche più recenti si è potuta appurare la grande rilevanza del medico calabrese e della sua opera nella medicina del Duecento, e in particolare nel mondo dei primi Studia italiani, dove esso fu adottato come manuale di riferimento accanto ai grandi testi della tradizione greca e araba; anche la composizione interna del trattato rimanda, con ogni probabilità, all’ambiente universitario, essendo esso strutturato come un vero e proprio manuale di studio, nel quale l’autore espone analiticamente la dottrina e la prassi chirurgica partendo dalle nozioni e dagli interventi elementari per giungere ai più complessi, come doveva accadere all’interno delle lezioni impartite da Bruno ai suoi discepoli (in contrapposizione, dunque, alla forma tradizionale a capite ad calcem). L’obiettivo centrale della ricerca è stato di far emergere alcune caratteristiche particolarmente significative della lingua medica medievale. I singoli testimoni volgari della Chirurgia sono stati analizzati tramite un confronto della loro struttura e del loro contenuto, prestando particolare attenzione a tre manoscritti: il MA 501 della Bibl. «Angelo Mai» di Bergamo; il ms. Rossi 147 della Bibl. Corsiniana di Roma; il ms. 591 Med. della Bibl. Civica di Verona. Del ms. MA 501 si è offerta l’edizione del testo e un commento linguistico, che ha messo in luce la forte presenza di caratteri afferenti alla koinè settentrionale quattrocentesca, accanto ad altri tratti (più rari) marcatamente lombardi e anche propriamente bergamaschi (cf, per es., il fenomeno di innalzamento di [e], derivante tanto da ĭ quanto da ē, che è peculiare del bergamasco e tra quelli che permettono di distanziarlo dal bresciano; l’uscita -i nel plurale dei sostantivi femminili, secondo il tipo li doni ‘le donne’; ecc.). Sono state poi analizzate le distinte strategie di traduzione adottate dai tre volgarizzatori: di fianco ad alcuni elementi di differenziazione (riconducibili a obiettivi ed esigenze individuali che spesso appaiono non facilmente delineabili https://doi.org/10.1515/9783110624595-007

Conclusioni 

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con sicurezza), sono emersi molti punti di contatto, che per buona parte coincidono con elementi già messi in luce da studi precedenti dedicati alla lingua medica medievale: una conferma ulteriore, questa, di come anche nel corso del Medioevo, pur in una situazione molto lontana dall’uniformità e univocità della lingua scientifica moderna, non manchino affatto tentativi di muoversi in direzione di un lessico tecnico condiviso o, in altri casi, di tecniche comuni utili ad aggirare certi tecnicismi della tradizione dotta (si veda anzitutto il ruolo di glosse e perifrasi di vario genere, che svolgono un’azione di raccordo fondamentale fra terminologia cólta e volgare). D’altro canto, anche i volgarizzamenti della Chirurgia bruniana hanno testimoniato ampi tratti di continuità col modello latino: ciò rivela di nuovo la necessità di considerare la terminologia latina e quella volgare sullo stesso piano e come parti di uno stesso sistema linguistico, che spesso ricorre a strategie nomenclatorie ed esplicative del tutto coincidenti. Proprio al fine di rendere quanto più possibile evidenti i punti di contatto e quelli di discontinuità fra modello latino e suoi volgarizzamenti, si è deciso di allestire un glossario sinottico che potesse porre in stretta relazione i due piani lessicali. Il glossario, composto da tre sezioni (1. anatomia; 2. fisiologia e patologia; 3. botanica e farmaceutica), rappresenta il cuore della ricerca lessicografica condotta sui tre volgarizzamenti al centro della nostra indagine: muovendo dal lemma latino, dunque, si sono offerti tutti i singoli traducenti adottati dai tre volgarizzatori, così da rilevare le varianti più significative sul piano diatopico e diacronico, garantendo un’osservazione sia delle oscillazioni verticali (rapporto latino-volgare), sia di quelle orizzontali (adozione di traducenti diversi per rendere la medesima voce latina). Tale sezione, dunque, ha consentito da un lato di conseguire una panoramica complessiva delle diverse modalità (o delle eventuali analogie che, come detto, non mancano) con le quali tre diversi traduttori intervengono sullo stesso modello lessicale, nel passaggio dal latino al volgare; dall’altro lato, ha permesso di confermare il notevole contributo che i volgarizzamenti medici medievali possono apportare non solo alla conoscenza del lessico specialistico, ma anche a quella, più generale, degli antichi volgari italiani nella loro veste essenzialmente pratica, lontana dunque da quegli intenti letterari che, in testi di diversa natura, finiscono col rendere meno evidente la presenza di certe tessere linguistiche locali. In attesa di una revisione della tradizione latina (impresa alla quale l’edizione di Hall 1957 ha potuto contribuire solo in parte), cui si spera che i medievisti possano attendere in futuro (al pari di quanto ci si può augurare per gli altri grandi trattati medici e chirurgici del Duecento), le prospettive future di ricerca si presentano estremamente variegate, e potranno riguardare tanto la dimensione latina del testo quanto quella volgare: ai diversi manoscritti latini ancora da studiare si aggiungono quelli italiani (della Chirurgia magna e della Chirurgia parva)

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 7 Conclusioni

che non sono stati presi in considerazione nel nostro lavoro, e inoltre le numerose traduzioni realizzate in altre lingue, che rappresentano un serbatoio di grande interesse, meritevole di approfondimento anzitutto sul piano lessicografico, al fine di delineare con maggiore precisione la storia complessiva del testo, la sua circolazione nello spazio romanzo e il suo ruolo di tramite nella diffusione di un lessico medico condiviso.

8 Bibliografia 8.1 Abbreviazioni delle opere antiche AlbBresciaVolgAndrGrosseto (grosset.a., 1268) = Selmi, Francesco (ed.), Dei Trattati morali di Albertano da Brescia. Volgarizzamento inedito del 1268, Commissione per i testi di lingua, Bologna, Romagnoli, 1873, 26–40 e 62–362. AlbertanoVolg (fior.a., 1300ca.) = [Bastiano de’ Rossi], Tre trattati d’Albertano Giudice da Brescia [...] scritti da lui in lingua latina, dall’anno 1235 infino all’anno 1246 e traslatati ne’ medesimi tempi in volgar fiorentino, Firenze, Giunti, 1610. AlbPiagentinaBoezio (fior.a., 1322/32) = Battaglia, Salvatore (ed.), Il Boezio e l’Arrighetto nelle versioni del Trecento, Torino, UTET, 1929, 3–209. AlmansoreVolg (fior.a., pq. sec. XIV) = Piro, Rosa (ed.), L’Almansore. Volgarizzamento fiorentino del XIV secolo, Firenze, Sismel – Edizioni del Galluzzo, 2011. AndrCappellanoVolg (fior.a., ante 1372) = Battaglia, Salvatore (ed.), Andrea Capellano. Trattato d’amore, Roma, Perrella, 1947. AndrCappellanoVolgRuffini (fior.a., inizio sec. XIV) = Ruffini, Graziano (ed.), Andrea Cappellano. De Amore, Milano, Guanda, 1980. Angiolieri (sen.a., fine sec. XIII) = Cecco Angiolieri, Rime = Marti, Mario (ed.), Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano, Rizzoli, 1956, 119–250. AnonimoGenovese (gen.a., ante 1311) = Cocito, Luciana (ed.), Anonimo Genovese. Poesie, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1970. AntidotNicolaiVolg (fior.a., fine sec. XIII) = Fontanella, Laura (ed.), Un volgarizzamento tardo duecentesco fiorentino dell’Antidotarium Nicolai (Montréal, McGill University, Osler Library 7628), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000. AppuntiAcoppo (sangim.a., ante 1238) = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: 1, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 157–158 [testo: 158]. ATrovareVivoMorto (emil.a., 1375) = De Robertis, Domenico, Cantari antichi, Studi di filologia italiana 28 (1970), 67–175 [testo: 146–175]. BarlaamIosafas (pis.a., primi decenni sec. XIV) = Frosini, Giovanna, Storia di Barlaam e Iosafas. Versione italiana del ms. di Parigi (Bibliothèque Sainte-Geneviève, 3383), Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 6 (2001), 247–318 [testo: 257–318]. Barsegapè (pav.a., 1274) = Keller, Emil (ed.), Die Reimpredigt des Pietro da Barsegapè. Kritischer Text mit Einleitung, Grammatik und Glossar, Frauenfeld, Huber, 1901, 33–71. BartSConcordio (pis.a. > fior.a., 1302/08) = Nannucci, Vincenzo (ed.), Ammaestramenti degli antichi latini e toscani raccolti e volgarizzati per Fra Bartolommeo da San Concordio, Firenze, Ricordi, 1840, 597–635 (pagine dispari). Belcazer (mant.a., 1299/1309) = Ghinassi, Ghino, Nuovi studi sul volgare mantovano di Vivaldo Belcalzer, Studi di filologia italiana 23 (1965), 19–172. BencivenniSantà (fior.a., 1310) = Baldini, Rossella, Zucchero Bencivenni, «La santà del corpo». Volgarizzamento del «Régime du corps» di Aldobrandino da Siena (a. 1310) nella copia coeva di Lapo di Neri Corsini (Laur. Pl. LXXIII 47), Studi di lessicografia italiana 15 (1998), 21–300. BencivenniSfera (fior.a., 1313–14) = Ronchi, Gabriella (ed.), Il «Trattato de la Spera» volgarizzato da Zucchero Bencivenni, Firenze, Accademia della Crusca, 1999 [testo: 97–151]. https://doi.org/10.1515/9783110624595-008

856 

 8 Bibliografia

BestiaireAmours (pis.a., inizio sec. XIV) = Crespo, Roberto (ed.), Una versione pisana inedita del «Bestiaire d’Amours», Leiden, Universitaire Pers, 1972, 69–96. Bestiario (pis.a., fine sec. XIII) = Stahl Garver, Milton/McKenzie, Kenneth, Il Bestiario toscano secondo la lezione dei codici di Parigi e di Roma, Studi romanzi 8 (1912), 1–100 [testo: 17–94]. BestiarioMor (tosc.a./aret.a.-cast.a., sec. XIII) = Romano, Maria, Il «Bestiario moralizzato», in Testi e interpretazioni. Studi del Seminario di Filologia romanza dell’Università di Firenze, Milano-Napoli, Ricciardi 1978, 721–888 [testo: 740–64 (pagine pari), 767, 769, 772–868 (pagine pari)]. BestiarioVolg (sen.a., pm. sec. XIV) = Squillacioti, Paolo, Il bestiario del Tesoro toscano nel ms. Laurenziano Plut. XLII 22, Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano, 12 (2007), 265–353. BibbiaVolg (tosc.a., XIV–XV sec.) = Negroni, Carlo (ed.), La Bibbia volgare secondo la rara edizione del I di ottobre MCCCCLXXI, vol. 1, Genesi, Esodo e Levitico, Bologna, Romagnoli, 1882 (Coll. di opere ined. e rare, 57). BinduccioSceltoTroiaVolg (sen.a., ante 1322) = Gozzi, Maria (ed.), Binduccio dello Scelto. La storia di Troia, Milano, Trento, Luni editrice, 2000 [testo: 81–594]. BoccaccioAmeto (it.a., 1341–42) = Quaglio, Antonio Enzo, Giovanni Boccaccio. Comedia delle ninfe fiorentine (Ameto), in: Branca, Vittore (ed.), Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, vol. 2, Milano, Mondadori, 1964, 678–835. BoccaccioArgomenti (it.a., 1353/72) = Giovanni Boccaccio. Argomenti in terza rima alla Divina Commedia, in: Guerri, Domenico (ed.), Giovanni Boccaccio. Il Comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3, Bari, Laterza, 1918, 235–256. BoccaccioCorbaccio (it.a., 1354–55) = Nurmela, Tauno (ed.), Giovanni Boccaccio. Il Corbaccio, Helsinki, Suomalainen Tiedeakatemia, 1968. BoccaccioDecam (it.a., 1370ca.) = Branca, Vittore (ed.), Giovanni Boccaccio. Decameron. Edizione critica secondo l’autografo hamiltoniano, Firenze, Accademia della Crusca, 1976. BoccaccioEsposizioni (it.a., 1373/74) = Giovanni Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, in: Branca, Vittore (ed.) Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, vol. 6, Milano, Mondadori, 1965 [a cura di Giorgio Padoan]. BoccaccioFilocolo (it.a., 1336–38) = Moutier, Ignazio (ed.), Giovanni Boccaccio. Opere volgari corrette sui testi a penna, Edizione prima, Firenze, Magheri, 1827–1834. BoccaccioNinfale (it.a., 1344/48 (?)) = Pernicone, Vincenzo (ed.), Giovanni Boccaccio. Il Ninfale Fiesolano, Bari, Laterza, 1937, 219–349. BoccaccioTrattatelloChig (it.a., 1359/62) = Giovanni Boccaccio. Trattatello in Laude di Dante [redaz. dell’autografo Chigiano. Secondo compendio], in: Ricci, Pier Giorgio (ed.), Giovanni Boccaccio, Trattatello in Laude di Dante, Alpignano, Tallone, 1969, 105–106. BoccaccioTrattatelloToled (it.a., 1351/55) = Giovanni Boccaccio. Trattatello in Laude di Dante (redaz. dell’autografo toledano), in: Ricci, Pier Giorgio (ed.), Giovanni Boccaccio. Trattatello in Laude di Dante, Alpignano, Tallone, 1969, 3–101. BonagiuntaOrbicciani (lucch.a., metà sec. XIII) = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 1, 260–282, t. 2, 481. BonvesinDeCruce (mil.a., 1270–80) = Isella Brusamolino, Silvia (ed.), Bonvesin da la Riva. De Cruce, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1979. BonvesinVolgari (mil.a., 1270–80) = Contini, Gianfranco (ed.), Le opere volgari di Bonvesin da la Riva, Roma, Società Filologica Romana, 1941.

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

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BreveArteLana (pis.a., 1304) = Bonaini, Francesco (ed.), Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, vol. 3, Firenze, Vieusseux, 1857, 647–649, 651–739 [Spoglio: 651–739] (Testo rivisto e corretto sullo studio linguistico di M. Sessa). BreveMontieri (volt.a., 1219) = Breve di Montieri del 1219 = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: vol. 1, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 41–51 [testo: 42–51]. BreveVillaSigerro (pis.a., ante 1327) = Breve di Villa di Chiesa di Sigerro [= Iglesias (CA)] = Baudi di Vesme, Carlo (ed.), Codex diplomaticus Ecclesiensis, Historiae Patriae Monumenta 17 (1877), Torino, Fratelli Bocca, coll. 5–22, 25–246. [Spoglio: coll. 25–246]. CanzoniereAnon (tosc.occ.a., ante 1369) = Canzoniere italiano inedito del secolo XIV (Beinecke Phillipps 8826), [edizione interna a cura di Roberta Manetti]. CapitoliGabellaSàgati (catan.a., 1345) = Li Gotti, Ettore (ed.), Volgare nostro siculo. Crestomazia dei testi in antico siciliano del secolo XIV, parte 1, Firenze, La Nuova Italia, 1951, 38–40. CatenacciDistichaCatonis (anagn.a., sec. XIII–XIV) = Paradisi, Paola (ed.), I Disticha Catonis di Catenaccio da Anagni. Testo in volgare laziale (secc. XIII ex.-XIV in.), Utrecht, LOT, 2005 [testo: 117–477]. Cavalca (pis.a., ante 1342) = Federici, Fortunato (ed.), La esposizione del Simbolo degli Apostoli di Fra Domenico Cavalca, 2 vol., Silvestri, Milano 1842. CeccoAscoli (asc.a., ante 1327) = Crespi, Achille (ed.), Francesco Stabili (Cecco d’Ascoli). L’Acerba, Ascoli Piceno, Casa Editrice di Giuseppe Cesari, 1927 [testo: 125–399]. CeffiStoriaTroia (fior.a., 1324) = Dello Russo, Michele (ed.), Storia della guerra di Troia di M. Guido delle Colonne. Volgarizzamento del buon secolo, Napoli, 1868. CenneChitarra (aret.a., fine sec. XIII–1336) = Risposta per contrari ai sonetti dei mesi di Folgore da Sangimignano = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 2, 422–434. CeppoPoveri (prat.a., 1298–99) = Serianni, Luca (ed.), Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1977, 173–224. ChioseFalsoBoccaccio (fior.a., 1375) = Warren Vernon, George John (ed.), Chiose sopra Dante. Testo inedito ora per la prima volta pubblicato, Firenze, Tip. Piatti, 1846. ChirurgiaFrugardoVolg (fior.a., pm. sec. XIV) = Zamuner, Ilaria (ed.), Ilaria Zamuner, Il volgarizzamento toscano della Chirurgia di Ruggero Frugardo nel codice 2163 della Biblioteca Riccardiana, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 17 (2012), 245–332. CieloAlcamo (it.merid.a., 1231/50) = Cielo d’Alcamo, Contrasto = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 1, 177–185. CinquantaMiracoli (ven.a., pm. sec. XIV) = Levi, Ezio (ed.), Il libro dei cinquanta miracoli della Vergine, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1917. ContiFraternitaSStefano (assis.a., 1354–62) = Santucci, Francesco (ed.), Conti in volgare della fraternita dei disciplinati di S. Stefano di Assisi (1354–1362), Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria (2003), 333–356 [testi: 335–346]. ContiGuiduccinoFratta (perug.a., 1363–65) = Conti di Guidiccino della Fratta (Estratto dei) = Baldelli, Ignazio (ed.), Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari, Adriatica Editrice, 1971, 372–374. ContoNavale (pis.a., pm. sec. XII) = Conto navale pisano = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 3–6 [testo: 4–6]. ContrastoCristoSatana (pis.a., 1300ca.) = Roediger, Francesco (ed.), Contrasti antichi. Cristo e Satana, Firenze, Libreria Dante, 1887, 31–48.

858 

 8 Bibliografia

Costituto (sen.a., 1309–10) = Lisini, Alessandro (ed.), Il Costituto del comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, 2 vol., Siena, Tip. Sordomuti di L. Lazzeri, 1903. CrescenziVolg (fior.a., pm. sec. XIV) = Sorio, Bartolomeo (ed.), Trattato della Agricoltura di Piero de’ Crescenzi, (...) ridotto a migliore lezione da B. S., 3 vol., Verona, Vicentini e Franchini, 1851–52 [libri I–III, V–XII]. CrescenziVolg [ed. Santa Eugenia] (fior.a., pm. sec. XIV) = Santa Eugenia, Francisco J. (ed.), Rusticano (primo volgarizzamento del quarto libro del Trattato d’agricoltura di Pietro de’ Crescenzi, Thèse de Doctorat, Université de Genève – Faculté des Lettres, 1998, 342–427. Cronica (fior.a., fine sec. XIII) = Cronica fiorentina = Schiaffini, Alfredo (ed.), Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze, Sansoni, 1926, 82–150. CronicaImperadori (venez.a., 1301) = Ceruti, Antonio (ed.), Cronica deli imperadori romani, Archivio glottologico italiano 3 (1878), 177–243 [testo: 178–243]. CuraOcchiPietroIspano (tosc.a., XIV sec.) = Zambrini, Francesco (ed.), Volgarizzamento del trattato della cura degli occhi di Pietro Spano, Bologna, Romagnoli, 1873. DanteCommedia (it.a., ante 1321) = Petrocchi, Giorgio (ed.), Dante Alighieri. La Commedia secondo l’antica vulgata, vol. 2 Inferno, vol. 3 Purgatorio, vol. 4 Paradiso, Milano, Mondadori, 1966–67 [corretto sulle successive edd. 1975 (Concordanze) e 1994 (rist. ediz. Nazionale)]. DanteConvivio (it.a., 1304–07) = Brambilla Ageno, Franca (ed.), Dante Alighieri. Convivio, Firenze, Le Lettere (Società Dantesca italiana. Edizione Nazionale), 1995, 3 vol. [testo: vol. 3, 1–456]. DanteVitaNuova (it.a., 1292–93) = Barbi, Michele (ed.), Dante Alighieri. Vita nuova, Firenze, Bemporad, 1932. Davanzati (fior.a., sm. sec. XIII) = Menichetti, Aldo (ed.), Chiaro Davanzati. Rime, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965. DecimeMugell (mug.a., metà sec. XIII) = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 187–193 [testo: 189–193]. DiatessaronToscano (fior.a., ante 1373) = Todesco,Venanzio/Vaccari, Alberto/Vattasso, Marco (edd.), Il Diatessaron volgare italiano. Testi inediti dei secoli XIII–XIV, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1938, 203–368. DiatessaronVeneto (tosc.-ven., XIV sec.) = Todesco,Venanzio/Vaccari, Alberto/Vattasso, Marco (edd.), Il Diatessaron volgare italiano. Testi inediti dei secoli XIII–XIV, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1938, 1–171. DichiarazionePaxia (savon.a., 1178–82) = Dichiarazione di Paxia (Savona) = Castellani, Arrigo (ed.), I più antichi testi italiani, Bologna, Pàtron, 1976, 173–174. DinoCompagniCronica (fior.a., 1310–12) = Del Lungo, Isidoro (ed.), Dino Compagni e la sua Cronica, vol. 3, Firenze, Le Monnier, 1887. DinoFrescobaldi (fior.a., 1316) = Dino Frescobaldi, Rime = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 2, 616–627. Disputatio (lomb.a., sec. XIII) = Biàdene, Leandro, Contrasto della rosa e della viola, Studi di filologia romanza 7 (1899), 99–131 [testo: 102–114]. DocMercGallerani (sen.a., 1304–08) = Bigwood, Georges (ed.), Les livres des comptes des Gallerani, Ouvrage revu, mis au point, complété et publié par Armand Grunzweig, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1961, 2 vol. [testi: vol. 1, 212–263]. DocMonetieri (fior.a., sm. sec. XIV) = Ginori Conti, Piero (ed.), Constitutum artis monetariorum civitatis Florentiae, Firenze, Olschki, 1939, 38–39, 48–63.

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 859

EgidioColonnaVolg (sen.a., 1288) = Corazzini, Francesco (ed.), Del reggimento de’ principi di Egidio Romano. Volgarizzamento trascritto nel MCCLXXXVIII, Firenze, Le Monnier, 1858. ElucidarioVolg (mil.a., inizio sec. XIV) = Degli Innocenti, Mario (ed.), L’Elucidario. Volgarizzamento in antico milanese dell’ «Elucidarium» di Onorio Augustodunense, Padova, Editrice Antenore, 1984 (Medioevo e Umanesimo, 55) [testo: 87–202]. EneasVolg (mess.a., 1316–37) = Folena, Gianfranco (ed.), La istoria di Eneas vulgarizzata per Angilu di Capua, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1956. EneideVolgLancia (fior.a., 1316) = Fanfani, Pietro, Compilazione della Eneide di Virgilio fatta volgare per Ser Andrea Lancia notaro fiorentino, L’Etruria 1 (1851), 162–188, 221–252, 296–318, 497–508, 625–632, 745–760. EneideVolgUgurgieri (sen.a., ante 1340) = Gotti, Aurelio (ed.), L’Eneide di Virgilio volgarizzata nel buon secolo della lingua da Ciampolo di Meo degli Ugurgieri senese, Firenze, Le Monnier, 1858. EsopoVolg (ven.a., XIV sec.) = Branca, Vittore (ed.), Esopo veneto. Testo trecentesco inedito pubblicato criticamente per cura di Vittore Branca, con uno studio linguistico di Giovan Battista Pellegrini, Padova, Editrice Antenore, 1992. FattiCesareVolg (sen.a., fine sec. XIII) = Bianchi, Luciano (ed.), I Fatti di Cesare, testo di lingua inedito del secolo XIV, Bologna, Romagnoli, 1863. FattiRomani (fior.a., 1313) = Marroni, Sergio (ed.), I fatti dei Romani. Saggio di edizione critica di un volgarizzamento fiorentino del Duecento, presentazione di Ignazio Baldelli, Roma, Viella, 2004. FazioUbertiDittamondo (tosc.a., 1345–67) = Corsi, Giuseppe (ed.), Fazio degli Uberti. Il Dittamondo e le Rime, vol. 1, Bari, Laterza, 1952. FilAgazzari (sen.a., ante 1397) = Sanfilippo, Carla Maria, Filippo degli Agazzari. Assempri, in: Varanini, Giorgio/Baldassarri, Guido (edd.), Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento, 3 vol., Roma, Salerno, 1993 [testo: vol. 3, 249–515]. FioreDettoAmore (it.a., uq. sec. XIII) = Contini, Gianfranco (ed.), Il Fiore e il Detto d’Amore attribuibili a Dante Alighieri, Milano, Mondadori, 1984, 2–467. FioreRett (fior.a., ante 1292) = Speroni, Gian Battista (ed.), Bono Giamboni. Fiore di rettorica, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell’Arte medioevale e moderna, 1994, 3–107. FioreRett [red. delta1] (tosc.a., ante 1292) = Speroni, Gian Battista (ed.), Bono Giamboni. Fiore di rettorica, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell’Arte medioevale e moderna, 1994, 149–152. FioriFilosafi (fior.a., 1271/75) = D’Agostino, Alfonso (ed.), Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, Firenze, La Nuova Italia, 1979. FioriMedicina (tosc.a., 1340–60) = Zambrini, Francesco (ed.), Fiori di medicina di maestro Gregorio medicofisico del secolo XIV, Bologna, Romagnoli, 1865 («Scelta di curiosità letterarie», 59). FrBarberinoReggimento (tosc.a., 1318–20) = Baudi di Vesme, Carlo (ed.), Del reggimento e costumi di donna di messer Francesco Barberino [...], Bologna, Romagnoli, 1875. FrBarberinoRime (fior.a., ante 1314) = Sansone, Giuseppe E., Il Canzoniere stilnovistico di Francesco da Barberino, La parola del testo 1 (1997), 2, 219–254 [testo: 234–43, 245–246]. FrButi (tosc.occid., 1385/94) = Giannini, Crescentino (ed.), Commento di Francesco da Buti sopra la «Divina Commedia» di Dante Alighieri, 3 vol., Pisa, Nistri, 1858–1862, vol. 2. GarzoProverbi (fior.a., sm. sec. XIII) = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 2, 296–313.

860 

 8 Bibliografia

GiacLentini (tosc.a., 1230/50) = Antonelli, Roberto (ed.), Giacomo da Lentini. Poesie, vol. 1, Roma, Bulzoni, 1979 [testi: 3–401]. GiacVeronaBabilonia (ver.a., sm. sec. XIII) = De Babilonia civitate infernali = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, I, 638–652. GiamboniLibroViziVirtudi (fior.a., ante 1292) = Segre, Cesare (ed.), Bono Giamboni. Il Libro de’ Vizî e delle Virtudi e Il Trattato di Virtù e Vizî, Torino, Einaudi, 1968, 3–120. GiamboniOrosio (fior.a., ante 1292) = Tassi, Francesco (ed.), Bono Giamboni. Delle Storie contra i Pagani di Paolo Orosio libri VII, Firenze, Baracchi, 1849. GiamboniTrattato (fior.a. ante 1292) = Segre, Cesare (ed.), Bono Giamboni. Il Libro de’ Vizi e delle Virtudi e Il Trattato di Virtù e di Vizi, Torino, Einaudi, 1968, 123–156. GiamboniVegezio (fior.a., ante 1292) = Fontani, Francesco (ed.), Di Vegezio Flavio dell’arte della guerra libri IV, Firenze, Marenigh, 1815. GidinoSommacampagna (ver.a., sm. sec. XIV) = Caprettini, Gian Paolo (ed.), Gidino da Sommacampagna. Trattato e Arte deli Rithimi Volgari, Introduzione e commento di G. Milan [et alii], Vago di Lavagno (VR), La Grafica Editrice, 1993 [testo: 67–186]. GiordPisaAvventuale (pis.a. > fior.a., 1304–05) = Serventi, Silvia (ed.), Giordano da Pisa. Avventuale fiorentino 1304, Bologna, il Mulino, 2006. GiordPisaPredGenesi (pis.a., 1309) = Marchioni, Cristina (ed.), Giordano da Pisa. Sul Terzo capitolo del Genesi, Firenze, Olschki, 1992. GiordPisaPredGenesi2 (pis.a., 1308) = Grattarola, Serena (ed.), Giordano da Pisa. Prediche sul secondo capitolo del Genesi, Roma, Istituto Storico Domenicano, 1999 [testo: 41–188]. GiordPisaPrediche (pis.a. > fior.a., 1304–05) = Manni, Domenico Maria (ed.), Prediche del Beato F. Giordano da Rivalto dell’Ordine de’ Predicatori, Firenze, Viviani, 1739. GiordPisaQuaresimale (pis.a. > fior.a., 1306) = Delcorno, Carlo (ed.), Giordano da Pisa. Quaresimale fiorentino (1305–1306), Firenze, Sansoni, 1974. GiostraVirtùVizi (march.a., fine sec. XIII) = Giostra virtù e vizi = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 2, 322–349. GiovColombini (sen.a., ante 1367) = Bartoli, Adolfo (ed.), Le lettere del Beato Gio. Colombini da Siena, Lucca, Balatresi, 1856. GiovVillani (fior.a., ante 1348) = Porta, Giuseppe (ed.), Giovanni Villani. Nuova Cronica, 3 vol. (I. Libri I–VIII; II. Libri IX–XI; III. Libri XII–XIII), Parma, Fondazione Pietro Bembo/Ugo Guanda Editore, 1990–1991. GlossariettoBaldelli (ven.a., sm. sec. XIV) = Baldelli, Ignazio, Un glossarietto francese-veneto del Trecento, Studi linguistici italiani 2 (1961), 155–162. GlossMonza (sec. X) = Castellani, Arrigo (ed.), I più antichi testi italiani, Bologna, Pàtron, 1976, 39–57 [testo: 41–44]. GoroArezzoGloss (tosc.a., metà sec. XIV) = Pignatelli, Cinzia, Vocabula magistri Gori de Aretio, Annali aretini 3 (1995), 273–339 [testo: 284–316]. GrammLatVolg (ver.a., fine sec. XIII) = De Stefano, Antonio, Una nuova grammatica latinoitaliana del secolo XIII, Revue des langues romanes 48 (1905), 495–529. GuasparinoVinexia (lomb.a.-ven.a., inizio sec. XV) = Castellani, Carlo (ed.), Segreti medicinali di Magistro Guasparino da Vinexia. Antidotario inedito del XIV–XV secolo, Cremona, Athaeneum Cremonense, 1959. GuglielmoPiacenzaVolgA (it.sett., pm. XIV sec.) = Altieri Biagi, Maria Luisa, Guglielmo volgare. Studi sul lessico della medicina medioevale, Bologna, Forni, 1970.

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 861

GuglielmoPiacenzaVolgB (it.sett., 1474) = Guglielmo da Saliceto, Qui finisse la ciroxia de maistro guielmo da piaxenca vulgarmente fata..., Venezia, impresa per maistro Philippo de Piero, 1474. GuidoColonne (tosc.a., pm. sec. XIII) = Guido delle Colonne, Rime = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 1, 97–110. GuidoPisaFattiEnea (pis.a., ante 1337) = Carbone, Domenico (ed.), I fatti d’Enea: libro secondo della Fiorita d’Italia di frate Guido da Pisa, Barbera, Firenze 1868. GuidoPisaFioreItalia (pis.a., 1337ca.) = Muzzi, Luigi (ed.), Guido da Pisa. Fiore d’Italia, Bologna, [Turchi, 1824], 1–232. GuittArezzoLettereProsa (tosc.a., ante 1294) = Margueron, Claude (ed.), Guittone d’Arezzo. Lettere, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1990. GuittArezzoRime (tosc.a., ante 1294) = Egidi, Francesco (ed.), Le rime di Guittone d’Arezzo, Bari, Laterza, 1940 (testo rivisto e corretto con la rec. di Gianfranco Contini, Giornale storico della letteratura italiana 117 (1941), 55–82. Ingiurie (lucch.a., 1330–84) = Marcheschi, Daniela (ed.), Ingiurie, improperi, contumelie ecc. Saggio di lingua parlata del Trecento cavato dai libri criminali di Lucca..., Lucca, Pacini Fazzi, 1983. Intelligenza (tosc.a., sec. XIII–XIV) = Berisso, Marco (ed.), L’Intelligenza. Poemetto anonimo del secolo XIII, Parma, Fondazione Pietro Bembo/Ugo Guanda Editore, 2000 [testo: 3–126]. IscrizioneSMariaCarità (venez.a., 1348) = Alfredo Stussi, Antichi testi dialettali veneti, in: Cortelazzo, Manlio (ed.), Guida ai dialetti veneti II, Padova, Cleup, 1980, 85–100 [testo: 93–94]. JacAlighieri (fior.a., 1322) = Bellomo, Saverio (ed.), Iacopo Alighieri. Chiose all’«Inferno», Padova, Editrice Antenore, 1990 [testo: 85–222]. JacLana (bol.a., 1324–28) = Chiose alla Commedia di Dante Alighieri. Inferno = Biagi, Guido (ed.), La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel secolare commento, vol. 1, Torino, UTET, 1924, 1–790. JacTodi (tod.a., ultimi decenni sec. XIII) = Jacopone da Todi (Jacopo Benedetti), Laude = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 2, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 67–166. Lapidario (trevig.a., pm. sec. XIV) = Tomasoni, Piera (ed.), Il Lapidario estense, Studi di filologia italiana 34 (1976), 131–186 [testo: 138–170]. LatiniRetorica (fior.a., 1260–61) = Maggini, Francesco (ed.), Brunetto Latini. La Rettorica, prefazione di Cesare Segre, Firenze, Le Monnier, 1968. LatiniTesoretto (fior.a., ante 1274) = Di Benedetto, Luigi (ed.), Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, Bari, Laterza, 1941, 3–87. LaudaSTorpè (pis.a., sec. XIII–XIV) = Elsheikh, Mahmoud Salem (ed.), Leggenda di San Torpè, Firenze, Accademia della Crusca, 1977, 55–71. LaudeCort [cod. ASP] (pis.a., fine sec. XIII) = Varanini, Giorgio/Banfi, Luigi/Ceruti Burgio, Anna (edd.), Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, Firenze, Olschki, 1981, vol. 1, tt. 1 e 2 [testo: t. 1, 85–309; t. 2, 353–369]. LaudeInedite (tosc.a., fine sec. XIII) = Barsotti, Salvatore, Laude inedite del secolo XIII, Rivista di Scienze Storiche 2 (1905), 41–48 [testo: 43–48]. LaudePseudoiacoponica (sec. XIV) = Le Poesie Spirituali del B. Iacopone da Todi frate minore [...] con le scolie, et annotationi di Fra Francesco Tresatti da Lugnano, Venezia, Nicolò Misserini, 1617. Leandreride (tosc.a. > ven.a., 1381–82ca.) = Lippi, Emilio (ed.), Giovanni Girolamo Nadal. Leandreride, Padova, Antenore, 1996 (Biblioteca veneta, 17).

862 

 8 Bibliografia

LeggendaAurea (fior.a., sm. sec. XIV) = Levasti, Arrigo (ed.), Beato Iacopo da Varagine. Leggenda Aurea, Volgarizzamento toscano del Trecento, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1924–1926, vol. 3. LeggendaSElisabettaUngheria (tosc.a., metà sec. XIV) = Parenti, Marco Antonio (ed.), Volgarizzamento della vita di Santa Elisabetta di Ungheria langravia di Turingia, Modena, Soliani, 1848, 5–58. LeggendaSMargherita (piac.a. > ver.a., fine sec. XIII), Wiese, Berthold (ed.), Eine altlombardische Margarethen-Legende, Halle, Niemeyer, 1890. LeggendaSPieroPolo (venez.a., 1370ca.) = Brusegan Flavel, Emanuela, La «Legenda di glorioxi apostoli misier sen Piero e misier sen Polo» (codice Venezia, B.M.C. Correr 1497), Quaderni veneti 41 (giugno 2005), 7–108 [testo: 44–75]. LeggendeSacreMagliabech (fior.a., 1373) = Zambrini, Francesco (ed.), Collezione di leggende inedite scritte nel buon secolo della lingua toscana [Magl. II. IV. 56], vol. 1, Bologna, Società Tip. Bolognese e Ditta Sassi, 1855, 135–140. LetteraAndrTolomei (sen.a., 1269) = Lettera di Andrea de’ Tolomei da Bari sull’Alba a messer Tolomeo e agli altri compagni de’ Tolomei, al Castello della Pieve = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 413–420 [testo: 414–420]. LetteraGuiduccio (sangim.a., ante 1253) = Lettera di Guiduccio al padre ser Guido, in: Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: vol. 1, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 195–97 [testo: 196–97]. LetteraPietroBerco (rag.a., 1292–1305) = Lettera di Pietro de Berco al conte e al Minor Consiglio di Ragusa sui danni subiti in un viaggio e sulla questione dell’avaria = Dotto, Diego (ed.), Scriptae venezianeggianti a Ragusa nel XIV secolo. Edizione e commento di testi volgari dell’Archivio di Stato di Dubrovnik, Roma, Viella, 2008 [testo n° 9, 82]. LetteraStrasulo (pad.a., 1369) = Lettera di Lotto Strasulo al suo procuratore = Tomasin, Lorenzo (ed.), Testi padovani del Trecento, Padova, Esedra editrice, 2004, 25–26. LibriAlfonso (fior.a., 1341ca.) = Knecht, Pierre (ed.), I Libri astronomici di Alfonso X in una versione fiorentina del Trecento, Zaragoza, Libreria General, 1965. LibriccioloBencivenni (fior.a., 1262–75) = Libricciolo di crediti di Bene Bencivenni (Primo) = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 291–310 [testo: 293–310]. LibriccioloBencivenni (fior.a., 1277–96) = Libricciolo di crediti di Bene Bencivenni (Secondo) = Castellani, Arrigo (ed.), Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze, Sansoni, 1952, 363–458. LibroAdornamentiDonne (tosc.a., primi decenni sec. XIV) = Manuzzi, Giuseppe (ed.), Libro degli adornamenti delle donne, Firenze, Tip. del Vocabolario della Crusca, 1863. LibroCocina (tosc.a., sec. XIV) = Anonimo toscano. Libro della cocina, in: Faccioli, Emilio (ed.), Arte della cucina. Libri di ricette. Testi sopra lo scalco, il trinciante e i vini dal XIV al XIX secolo, 2 vol., Milano, Ed. il Polifilo, 1966, vol. 1, 19–57 [testo: 21–57]. LibroCuraFebbriManuzzi (fior.a., primi decenni sec. XIV) = Manuzzi, Giuseppe (ed.), Il libro della cura delle febbri, Firenze, Tip. del Vocabolario della Crusca, 1863. LibroCuraMalattie (fior.a., primi decenni sec. XIV) = Manuzzi, Giuseppe (ed.), Libro della cura delle malattie, Firenze, Tip. del Vocabolario della Crusca, 1863. LibroDrittafede, (fior.a., 1337–61) = Scritture inedite dal libro dei Drittafede = Artale, Elena, Scritture inedite dal libro dei Drittafede, Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano 10 (2005), 177–202.

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 863

LibroGialloVelluti (fior.a., 1321–23) = Sapori, Armando (ed.), I libri della ragione bancaria dei Gianfigliazzi, Milano, Garzanti, 1946, 1–54. LibroIacopi (fior.a., 1272–78) = Libro d’amministrazione dell’eredità di Baldovino Iacopi Riccomanni = Castellani, Arrigo (ed.), La prosa italiana delle origini: vol. 1, Testi toscani di carattere pratico, Bologna, Pàtron, 1982, 429–464 [testo: 433–464]. LibroMerc (sen.a., 1277–82) = Astuti, Guido (ed.), Libro dell’entrata e dell’uscita di una Compagnia mercantile senese del secolo XIII, Torino, Lattes, 1934. LibroMinoTesor (pist.a., 1300–01) = Libro di entrate e uscite di Mino tesoriere = Manni, Paola (ed.), Testi pistoiesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1990, 193–293. LibroPietrePreziose (fior.a., inizio sec. XIV) = Libro de le virtudi de le pietre preziose = Narducci, Enrico, Intorno a tre inediti volgarizzamenti del buon secolo della lingua, Il Propugnatore 2, parte 1 (1869), 121–146, 307–326 [testo: 309–326]. LibroSanitàManuzzi (fior.a., primi decenni sec. XIV) = Manuzzi, Giuseppe (ed.), Libello per conservare la sanità con una ricetta inedita di Maestro Taddeo da Firenze, Firenze, Tip. del Vocabolario, 1863. LibroSanitate (venez.a., sq. sec. XIV) = Tomasin, Lorenzo (ed.), Maestro Gregorio. «Liber de conservar sanitate». Volgarizzamento veneto trecentesco, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2010. LibroSegreteCoseDonne (fior.a., primi decenni sec. XIV) = Manuzzi, Giuseppe (ed.), Il Libro delle segrete cose delle donne, Firenze, Tip. del Vocabolario della Crusca, 1863. LibroSidrach (fior.a., ante 1383) = Bartoli, Adolfo (ed.), Il Libro di Sidrach. Testo inedito del secolo XIV, Bologna, Romagnoli, 1868. LibroSpezieria (imol.a., 1350–67) = Gaddoni, Serafino/Bughetti, Benvenuto (edd.), Giornale di una spezieria di Imola nel sec. XIV, Introduzione di Andrea Padovani, Glossario di Alessandro Pancheri, Indici di Silvia Pratella, Imola, University Press Bologna, 1995 [testo: 1–305]. LibroSTrinita (fior.a., 1359–63) = Zazzeri, Roberta (ed.), Ci desinò l’abate. Ospiti e cucina nel monastero di Santa Trinita (Firenze, 1360–1363), Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2003, 4–255. LibruSGregoriu (mess.a., 1315ca.) = Santangelo, Salvatore (ed.), Libru de lu Dialagu de Sanctu Gregoriu traslatatu pir frati Iohanni Campulu de Missina, Palermo, Scuola Tipografica «Boccone del Povero», 1933. LionFrescobaldi (fior.a., 1385) = Lionardo Frescobaldi, Viaggio in Terrasanta = Lanza, Antonio/ Troncarelli, Marcellina (edd.), Pellegrini scrittori. Viaggiatori toscani del Trecento in Terrasanta, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, 169–215. LivioVolg (fior.a., 1323) = Filippo da Santa Croce, Deca prima di Tito Livio = Dalmazzo, Claudio (ed.), La prima Deca di Tito Livio, volgarizzamento del buon secolo, t. 2, Torino, Stamperia Reale, 1845–1846. LotarioDiaconoVolg (tosc.a., sm. sec. XIV) = Contemptu Mundi = Levasti, Arigo (ed.), Mistici del Duecento e del Trecento, Milano-Roma, Rizzoli, 1935, 81–105. Lucidario (pis.a., fine sec. XIII) = Bianchi, Barbara, Il Lucidario del Codice Barbi (BNCF II VIIII 49), Studi mediolatini e volgari 53 (2007), 24–131 [testo: 37–126]. MaestroBartolomeo (tosc.a., sec. XIV) = Artale, Elena/Panichella, Miriam (edd.), Un volgarizzamento toscano della Chirurgia di Ruggero Frugardo, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 15 (2010), 227–298 [testo: 234–298]. MalattieFalconi (tosc.a. > lomb.a., sec. XIV) = Ceruti, Antonio (ed.), Trattato di falconeria, Bologna, Fava e Garagnani, 1870.

864 

 8 Bibliografia

MaramauroExpositione (nap.a. > pad.a.-ven.a., 1369–73) = Pisoni, Pier G./Bellomo, Saverio (edd.), Guglielmo Maramauro. Expositione sopra l’Inferno di Dante Alligieri, Padova, Editrice Antenore, 1998. MascalciaRuffoVolg (sic.a., ante 1368) = De Gregorio, Giovanni, Il codice De Cruyllis-Spatafora in antico siciliano, del sec. XIV, contenente la Mascalcia di Giordano Ruffo, Zeitschrift fur romanische Philologie 29 (1905), 566–606. MascalciaRusioVolg (sab.a., fine sec. XIV) = Aurigemma, Luisa (ed.), La «Mascalcia» di Lorenzo Rusio nel volgarizzamento del codice Angelicano V.3.14, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998. Matazone (lomb.a., sm. sec. XIV) = Matazone da Caligano, Nativitas rusticorum et qualiter debent tractari = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, vol. I, 791–801. MattasalàSpinello (sen.a., 1233–43) = Castellani, Arrigo (ed.), Libro di Mattasalà di Spinello (1233–1243) [edizione a uso interno dell’OVI]. MatteoLibri (bol.a., sm. sec. XIII) = Vincenti, Eleonora (ed.), Matteo dei Libri. Arringhe, Milano-Napoli, Ricciardi 1974, 3–182. MemorialeBonavia (lucch.a., 1373–1416) = Pittino Calamari, Pia, Il memoriale di Iacopo di Coluccino Bonavia medico lucchese (1373–1416), Studi di filologia italiana 24 (1966), 55–428. Memoriali (bol.a., 1279–1300) = Orlando, Sandro (ed.), Rime dei Memoriali bolognesi (1279–1300), Torino, Einaudi, 1981. MeoTolomei (sen.a., inizio sec. XIV) = Bruni Bettarini, Anna, Le rime di Meo dei Tolomei e di Muscia da Siena, Studi di filologia italiana 32 (1974), 31–98 [testo: 49–69]. MesueVolg (tosc.a., sec. XIV) = Mesue. Opera [in italiano], Firenze [Bartolomeo de’ Libri, c. 1492]. MetauraAristotileVolg (fior.a., sec. XIV) = Librandi, Rita (ed.), La Metaura d’Aristotile. Volgarizzamento fiorentino anonimo del XIV secolo. Edizione critica, Napoli, Liguori Editore, 1995, 2 vol. [testo: vol. 1, 157–328]. MiracoleRoma (roman.a., metà sec. XIII) = Monaci, Ernesto (ed.), Le Miracole de Roma, Archivio della Società Romana di Storia Patria 38 (1915), 551–590 [testo: 562–587]. MonumentiLioMazor (venez.a., 1312–14) = Elsheikh, Mahmoud Salem (ed.), Atti del podestà di Lio Mazor, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1999 («Memorie. Vol. 86») [Testo: 17–74]. Moscoli (cast.a., pm. sec. XIV) = Neri Moscoli, Rime = Marti, Mario (ed.), Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano, Rizzoli, 1956, 543–652, 773, 775, 779, 800, 805, 807, 809. MPolo (tosc.a., inizio sec. XIV) = Bertolucci Pizzorusso, Valeria (ed.), Marco Polo. Milione. Versione toscana del Trecento, Milano, Adelphi, 1975. NicRossi (trevig.a., primi decenni sec. XIV) = Brugnolo, Furio (ed.), Il canzoniere di Nicolò de’ Rossi, Padova, Antenore, 1974–1977, 2 vol. [testi: vol. 1]. OmelieSGregorioVolg (tosc.a., sec. XIV) = Barchi, Alemano (ed.), Le quaranta Omelie di S. Gregorio Papa sopra gli Evangeli. Volgarizzamento e testo di lingua italiana..., 4 vol., Brescia, Venturini, 1821. Ottimo (fior.a., ante 1334) = Torri, Alessandro (ed.), L’Ottimo Commento della Commedia, 3 vol., Pisa, Capurro, 1829. Ottimo sec. red. (fior.a., ante 1340) = Grion, Giusto (ed.), Commento volgare ai tre primi canti della Divina Commedia del codice di San Daniele del Tagliamento, Il Propugnatore 1 (1868), 332–355, 435–464 [testo: 334–355, 435–464].

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 865

OvidioVolgArteAm [ms. A] (pis.a., pm. sec. XIV) = Arte d’Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento A) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’«Ars amandi» e dei «Remedia amoris», vol. 1, Firenze, Accademia della Crusca, 1987, 45–137 [testo: 51–137]. OvidioVolgArteAm [ms. B] (fior.a., ante 1313) = Arte d’Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento B) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’ «Ars amandi» e dei «Remedia amoris», 2 vol., Firenze, Accademia della Crusca, 1987, vol. 1, 173–348 [testo: 221–348]. OvidioVolgArteAm [ms. D] (pis.a., pm. sec. XIV) = Arte d’Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento A) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’ «Ars amandi» e dei «Remedia amoris», vol. 1, Firenze, Accademia della Crusca, 1987, 473–550 [testo: 479–550]. OvidioVolgRimAm [ms. A] (pis.a., pm. sec. XIV) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’ «Ars amandi» e dei «Remedia amoris», 2 vol., Firenze, Accademia della Crusca, 1987, vol. 1, 139–169. OvidioVolgRimAm [ms. B] (fior.a., ante 1313) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’ «Ars amandi» e dei «Remedia amoris», 2 vol., Firenze, Accademia della Crusca, 1987, vol. 1, 349–391 [testo: 355–391]. OvidioVolgRimAmComm [ms. B]) (fior.a., ante 1313) = Commento ai Rimedi d’Amore di Ovidio (Volgarizzamento B) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I volgarizzamenti trecenteschi dell’ «Ars amandi» e dei «Remedia amoris», 2 vol., Firenze, Accademia della Crusca, 1987, vol. 2, 833–881 [testo: 839–881]. PalladioVolg (tosc.a., pm. sec. XIV) = Zanotti, Paolo (ed.), Volgarizzamento di Palladio, Verona, Ramanzini, 1810, 1–299 [testo: 1, 5–299]. Panfilo (venez.a., 1250ca.) = Haller, Hermann (ed.), Il Panfilo veneziano, Firenze, Olschki, 1982 [testo: 29–89]. PanuccioBagno (pis.a., sm. sec. XIII) = Brambilla Ageno, Franca (ed.), Le rime di Panuccio del Bagno, Firenze, Accademia della Crusca, 1977. PanzieraTrattati (tosc.occid.a., ante 1330) = Incominciano alcuni singulari tractati di frate Ugo Panziera de’ frati minori [...], Firenze, per Antonio Mischomin, 1492, cc. [1r–2v], I–LXXXXIII [Spoglio: cc. I–LXXXXIII]. PaolinoMinorita (venez.a., 1313/15) = Mussafia, Adolfo (ed.), Trattato de regimine rectoris di Fra Paolino Minorita, Vienna-Firenze, Tendler e Vieusseux, 1868. ParafrasiDecalogo (berg.a., metà sec. XIII) = Parafrasi verseggiata del Decalogo [A nomo sia de Christ ol dì present] = Monaci, Ernesto (ed.), Crestomazia italiana dei primi secoli, nuova ed. riveduta e aumentata a cura di Felice Arese, Roma-Napoli-Città di Castello, Dante Alighieri, 1955, 420–424. ParafrasiGrisostomo (pav.a., 1342) = Stella, Angelo/Minisci, Alessandra (edd.), Parafrasi pavese del «Neminem laedi nisi a se ipso» di San Giovanni Grisostomo [edizione a uso dell’Opera del Vocabolario Italiano], Firenze, Opera del Vocabolario Italiano, 2000. ParlamentiFaba (bol.a., 1243ca.) = Castellani, Arrigo, Parlamenti in volgare di Guido Fava (edizione provvisoria a uso interno dell’OVI), Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano 2 (1997), 231–249 [testo: 232–249]. PassavantiSpecchio (fior.a., 1355ca.) = Polidori, Filippo-Luigi (ed.), Lo Specchio della vera penitenza di Iacopo Passavanti, Firenze, Le Monnier, 1856, 1–187. PassavantiTrattScienza (fior.a., 1355ca.) = Polidori, Filippo-Luigi (ed.), Lo Specchio della vera penitenza di Iacopo Passavanti, Firenze, Le Monnier, 1856, 276–324.

866 

 8 Bibliografia

PassavantiTrattSogni (fior.a., 1355ca.) = Polidori, Filippo-Luigi (ed.), Lo Specchio della vera penitenza di Iacopo Passavanti, Firenze, Le Monnier, 1856, 325–355. Pataffio (fior.a., ante 1390) = Della Corte, Federico (ed.), Franco Sacchetti. Il Pataffio, edizione critica, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2005. PatecchioSplanamento (crem.a., primi decenni sec. XIII) = Splanamento de li Proverbii de Salamone = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. 1, 560–583. Pegolotti (fior.a., pm. sec. XIV) = Pagnini, Giovanni Francesco (ed.), Della decima e delle altre gravezze imposte dal Comune di Firenze e della moneta e della mercatura dei fiorentini fino al secolo XVI, Lisbona-Lucca [s.e.], 1765. PetrarcaTrionfoEternità (it.a., 1374) = Trionfo d’Amore (Vat. Lat. 3196) = Romanò, Angelo (ed.), Il codice degli abbozzi di Francesco Petrarca, Roma, Bardi, 1955, 250–253. PiangereAmoroso (tosc.occid.a., sec. XIII–XIV) = Mazzoni, Guido (ed.), Un pianto della Vergine in decima rima, Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 7, 39, 1890–91, 403–24 [testo: 408–424]. PietroPerugia (perug.a., metà sec. XIV) = A dDio non fu già mai tanto soggetto (sonetto) = Bruni Bettarini, Anna, Postille ai poeti perugini del Trecento, Studi di filologia italiana 29 (1971), 147–189 [testo: 176–177]. PistoleSeneca (fior.a., metà sec. XIV) = Bottari, Giovanni (ed.), Volgarizzamento delle Pistole di Seneca e del Trattato della Provvidenza di Dio, Firenze, Tartini e Franchi, 1717. Proverbia (abr.a., sec. XIII) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), I «Proverbia» pseudoiacoponici, Studi di filologia italiana 21 (1963), 5–124 [testo: 26–39]. ProverbiaNatFem (venez.a., uq. sec. XII) = Proverbia que dicuntur super natura feminarum = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 1, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 521–555 [testo: 523–555] PseudoUgucc (lomb.a., pm. sec. XIII) = Istoria = Broggini, Romano (ed.), L’opera di Uguccione da Lodi, Studi romanzi 32 (1956), 5–125 [testo: 53–85]. PucciTreFiglie (fior.a., ante 1388) = Un à tre figlie e vuol maritar l’una sonetto = Bettarini Bruni, Anna (ed.), Studio sul Quadernuccio di rime antiche nel Magl. VII.1034, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 7 (2002), 253–372 [testo: 302]. QuatroPartiteCorpo (fior.a., 1310ca.) = Bénéteau, David P., Segreti, ricette e Virtù del ramerino in appendice alla Santà del corpo di Zucchero Bencivenni secondo il cod. Laur. Plut. LXXIII.47, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 5 (2000), 241–250 [testo: 244–246]. Questioni (tosc.sud-or.a., ante 1298) = Geymonat, Francesca (ed.), «Questioni filosofiche» in volgare mediano dei primi del Trecento, edizione critica con commento linguistico, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2000. QuindiciSegni (pis.a., 1270–90) = Quindici segni del giudizio (I) = Barbi, Michele, D’un antico codice pisano-lucchese di trattati morali (1901), in Barbi, Michele (ed.), La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938, 243–259 [testo: 254–259]. RainLesengrino (ven.a., sec. XIII) = Lomazzi, Anna (ed.), Rainaldo e Lesengrino (versione di Udine), Firenze, Olschki, 1972, 156–182 (col. sinistra). RegimenSanitatis (nap.a., sec. XIII–XIV) = Mussafia, Adolfo (ed.), Mittheilungen aus romanischen Handschriften. I. Ein altneapolitanisches «Regimen sanitatis», Sitzungsberichte der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien 106 (1884), 507–626 [testo: 563–582].

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 867

RegistroSMariaCafaggio (fior.a., 1286–90) = Casalini, Eugenio M. (ed.), Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (REU) 1286–1290. Trascrizione, commento, note e glossario, Firenze, Convento della SS. Annunziata, 1998 [testo: 119–306]. RestArezzo (aret.a., 1282) = Morino, Alberto (ed.), Restoro d’Arezzo, La composizione del mondo colle sue cascioni, Firenze, Accademia della Crusca, 1976, 3–252. Ricetta (it.sett.a., sec. XIV) = Ricetta trecentesca in koinè settentrionale = Lomazzi, Anna (ed.), Rainaldo e Lesengrino, Firenze, Olschki, 1972, 78. RicettariMedici (fior.a., uq. sec. XIII) = Zamuner, Ilaria (ed.), Ricettari medici del codice 52 della Historical Medical Library di New Haven [in preparazione]. RicettarioLaurenziano (sen.a., metà sec. XIV) = Battelli, Guido, Segreti di magia e medicina medievale cavati da un codice del «Tesoro», Archivum Romanicum 5 (1921), 149–172. RicetteLattovari (fior.a., 1310) = Bénéteau, David P. (ed.), Segreti, ricette e Virtù del ramerino in appendice alla Santà del corpo di Zucchero Bencivenni secondo il cod. Laur. Plut. LXXIII.47, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 5 (2000), 241–250 [testo: 246–248]. RicetteMediche (bol.a., pm. sec. XIV) = Longobardi, Monica (ed.), Monica Longobardi (ed.), Un frammento di ricettario del Trecento, L’Archiginnasio 89 (1994), 249–278 [testo: 262–268]. RicetteMedicheTosc (tosc.occid., sec. XIII) = Stussi, Alfredo, Un serventese contro i frati tra ricette mediche del secolo XIII, L’Italia dialettale 30 (1967), 138–155 [testo: 153–155]. RicetteRubertoBernardi (fior.a., 1364) = Giannini, Giovanni (ed.), Una curiosa raccolta di segreti e di pratiche superstiziose fatta da un popolano fiorentino del secolo XIV, Città di Castello, Lapi, 1898, 23–78. RicordanzeMarsili (fior.a., 1353–58) = Guasti, Cesare (ed.), Santa Maria del Fiore. La costruzione della chiesa e del campanile secondo i documenti tratti dall’Archivio dell’Opera secolare e da quello di Stato, Firenze, Ricci, 1887, 72–117. RimeAnonScuolaSic (tosc.a., sec. XIII) = Panvini, Bruno (ed.), Le rime della scuola siciliana, vol. 1, Firenze, Olschki, 1962, 459–623; vol. 2 Glossario, Firenze, Olschki, 1964. RimeFrVannozzo (pad.a., sm. sec. XIV) = Medin, Antonio (ed.), Le rime di Francesco di Vannozzo, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1928. RitmoSAlessio (march.a., sm. sec. XII) = Ritmo su Sant’Alessio = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 1, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 15–28 [testo: 17–28]. RuggApuglieseRime (sen.a., metà sec. XIII) = Ruggieri Apugliese, Rime = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 1, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 883–911. RustFilippi (fior.a., sm. sec. XIII) = Mengaldo, Pier Vincenzo (ed.), Rustico Filippi. Sonetti, Torino, Einaudi, 1971 [testi: 23–137]. SacchettiNovelle (fior.a., sm. sec. XIV) = Pernicone, Vincenzo (ed.), Franco Sacchetti. Il Trecentonovelle, Firenze, Sansoni, 1946. SacchettiVangeli (fior.a. 1378–81) = Chiari, Alberto (ed.), Franco Sacchetti. La battaglia delle belle donne. Le lettere. Le Sposizioni di Vangeli, Bari, Laterza, 1938, 113–288. SBrendano (ven.a. > tosc.a., sec. XIV) = Grignani, Maria Antonietta, Navigatio Sancti Brendani. La navigazione di San Brandano, Milano, Bompiani, 1975, 28–266 (pagine pari). SCaterinaSienaEpist (sen.a., 1367–77) = Dupré Theseider, Eugenio (ed.), Epistolario di santa Caterina da Siena, vol. 1, Roma, Istituto Storico Italiano, 1940. ScongiuroCassinese (cassin.a., sm. sec. XIII) = Baldelli, Ignazio, Medioevo volgare da Montecassino all’Umbria, Bari, Adriatica Editrice, 1971, 98. SenecaProvidentiaVolg (fior.a., sq. sec. XIV) = Volgarizzamento del De providentia di Seneca = Bottari, Giovanni (ed.), Volgarizzamento delle Pistole di Seneca e del Trattato della Provvidenza di Dio, Firenze, Tartini e Franchi, 1717, 421–433.

868 

 8 Bibliografia

SenisioDeclarus (sic.a., 1348) = Marinoni, Augusto (ed.), Dal «Declarus» di Angelo Senisio: i vocaboli siciliani, Palermo, Centro di studi filologici siciliani, 1955 [testo: 19–143]. Serapiom (pad.a., fine sec. XIV) = Ineichen, Gustav (ed.), El libro agregà de Serapiom. Volgarizzamento di frater Jacobus Philippus de Padua, 2 vol., Venezia/Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1962–1966 (vol. 1: 1962; vol. 2: 1966). SermSubalp (fr.-piem., sec. XIII) = Babilas, Wolfgang (ed.), Untersuchungen zu den Sermoni subalpini, München, Hueber, 1968 [testo: 220–281]. SimCascina (pis.a., fine sec. XIV) = Dalla Riva, Fausta (ed.), Simone da Cascina. Colloquio spirituale, Firenze, Olschki, 1982 («Biblioteca di ‘Lettere italiane’». Studi e Testi, XXVI). Simintendi (tosc.a., ante 1333) = Basi, Casimiro/Guasti, Cesare (edd.), Cinque altri libri delle Metamorfosi d’Ovidio [...], vol. 1, Prato, Guasti, 1848; Gli ultimi 5 libri [...], vol. 3, ivi, 1850; Supplemento ai primi 10 libri [e Suppl. agli ultimi 5], ivi, 1848–50, 5–20, 25–26. Sommetta (fior.a., 1284–87) = Hijmans-Tromp, Irene, La Sommetta falsamente attribuita a Brunetto Latini, Cultura Neolatina 59 (1999), fasc. 3–4, 177–243 (Glossario: 239–243) [testo: 201–207]. StatutiComunePopolo (perug.a., 1342) = Elsheikh, Mahmoud Salem (ed.), Statuto del Comune e del Popolo di Perugia del 1342 in volgare, Perugia, Dep. di Storia patria per l’Umbria, 2000 («Fonti per la storia dell’Umbria», 25–27). StatutoGabellaAdd (sen.a., dopo il 1303) = Banchi, Luciano (ed.), Statuti senesi scritti in volgare ne’ secoli XIII e XIV, vol. 2, Bologna, Romagnoli, 1871 («Collezione di opere inedite o rare»), 3–71 [testo: 47–71]. StatutoMercanti (lucch.a., 1376) = Mancini, Augusto (ed.), Lo Statuto della Corte dei Mercanti in Lucca del 1376, Umberto Dorini ed Eugenio Lazzareschi per la Camera di Commercio e Industria di Lucca, Firenze, Olschki, 1927 [testo: 6–200]. StatutoMontagutalo (sen.a., 1280–97) = Polidori, Filippo Luigi (ed.), Statuti senesi scritti in volgare ne’ secoli XIII e XIV, vol. 1, Bologna, Romagnoli, 1863 («Collezione di opere inedite o rare»), 3–53. StefProtonotaro (tosc.a., metà sec. XIII) = Stefano Protonotaro da Messina, Canzoni (Due) = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 1, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 134–139. StorieTroiaRomaVolg [ms. A] (roman.a., uq. sec. XIII) = Monaci, Ernesto (ed.), Storie de Troja et de Roma, altrimenti dette Liber Ystoriarum Romanorum, Roma, Societa Romana di Storia Patria, 1920, 3–334. StorieTroiaRomaVolg [ms. L] (roman.a., uq. sec. XIII) = Storie de Troia e de Roma (cod. Laurenziano) = Ernesto Monaci (ed.), Storie de Troja et de Roma, altrimenti dette Liber Ystoriarum Romanorum, Roma, Società Romana di Storia Patria, 1920, 3–334 (col. sinistra). TesoroVolg (fior.a., fine sec. XIII) = Battelli, Guido (ed.), Brunetto Latini, I libri naturali del «Tesoro» emendati colla scorta de’ codici, commentati e illustrati, Firenze, Successori Le Monnier, 1917, 3–51, 55–72, 75–192. ThesaurusPauperumVolg (sic.a., XIV sec.) = Rapisarda, Stefano (ed.), Il «Thesaurus pauperum» in volgare siciliano, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2001 (Glossario: 167–200). ThesaurusPauperumVolg2 (tosc.a., sec. XIV) = Volgarizzamento del Thesaurus Pauperum di Pietro Ispano, redaz. del ms. II.VI.62 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (inedito).

8.1 Abbreviazioni delle opere antiche 

 869

TomFaenzaTenzoneCino (tosc.a./faent.a., sm. sec. XIII) = Tomaso da Faenza, Sonetti in tenzone con Cino da Pistoia e Onesto (Due) = Orlando, Sandro (ed.), Le rime di Onesto da Bologna, Firenze, Sansoni, 1974, 57–58, 61. TommGiunta (tosc.a., pm. XIV sec.) = Pagnotta, Linda (ed.), Tommaso di Giunta. Il Conciliato d’Amore, Rime, Epistole, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001 [testo: 3–110]. ToriniCollezzione (fior.a., 1363–74) = Hijmans-Tromp, Irene (ed.), Vita e opere di Agnolo Torini, Leiden, Universitaire Pers, 1957, 221–325. TrattatiAlbertanoVolg (pis.a., 1287–88) = Faleri, Francesca (ed.), Il volgarizzamento Bargiacchi dei trattati di Albertano da Brescia [ed. interna]. TrattatiUlrich (venez.a., sec. XIII–XIV) = Ulrich, Jacob (ed.), Trattati religiosi e Libro de li exempli in antico dialetto veneziano, Bologna, Romagnoli, 1891 («Scelta di curiosità letterarie inedite o rare», disp. CCXXXIX). TrattatoCuraUccelli (tosc.a., inizio sec. XIV) = Trattato della cura delle malattie degli uccelli di ratto (Frammento di un) = Mortara, Alessandro (ed.), Scritture antiche toscane di falconeria, Prato, Alberghetti, 1851, 22–25. TrattatoFalconi (tosc.a., inizio sec. XIV) = Trattato de’ falconi ed altri uccelli di ratto = Mortara, Alessandro (ed.), Scritture antiche toscane di falconeria, Prato, Alberghetti, 1851, 1–21. TrattatoGovernoMalattie (tosc.a. > lomb.a., XIV sec.) = Trattato del governo delle malattie e guarigioni de’ falconi, astori e sparvieri = Ceruti, Antonio (ed.), Trattato di falconeria, Bologna, Fava e Garagnani, 1870. TrattatoGovernoUccelli (tosc.a., sec. XIV) = Spezi, Giuseppe (ed.), Due trattati del governo e delle infermità degli uccelli: testi di lingua inediti, Roma, Tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1864 [testo: 1–57]. TrattatoVirtùRamerino (fior.a., 1310) = Bénéteau, David P., Segreti, ricette e Virtù del ramerino in appendice alla Santà del corpo di Zucchero Bencivenni secondo il cod. Laur. Plut. LXXIII.47, Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano 5 (2000), 241–250 [testo: 248–250]. Tristano (ven.a., sec. XIV) = Donadello, Aulo (ed.), Il libro di messer Tristano («Tristano veneto»), Venezia, Marsilio, 1994. TristanoRicc (tosc.a., fine sec. XIII) = Il Tristano Riccardiano edito e illustrato da E[rnesto] G[iacomo] Parodi, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua («Collezione di opere inedite o rare»), 1896. UbertinoBrescia (tosc.a., ante 1361) = Elsheikh, Mahmoud Salem (ed.), Maestro Piero Ubertino da Brescia. Ricette per gli occhi. Conoscimento de’ sogni. Trattato sull’orina. Morsi di cani e loro conoscimento (Manoscritto Riccardiano 2167), Firenze, Ed. Zeta, 1993. UguccLodi (crem.a., inizio sec. XIII) = Contini, Gianfranco (ed.), Poeti del Duecento, vol. 1, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, 597–624 [testo: 600–624]. ValMassimoVolg [red. V1] (fior.a., ante 1336) = De Visiani, Roberto (ed.), Valerio Massimo. De’ fatti e detti degni di memoria della città di Roma e delle stranie genti..., 2 vol., Bologna, Romagnoli, 1867–1868 [testo: 41–402]. ValMassimoVolg [red. Va] (tosc.a., ante 1336) = Lippi Bigazzi, Vanna (ed.), Edizione di lavoro della redazione Va del volgarizzamento di Valerio Massimo. ValMaximuVolg (mess.a., 1321/37) = Ugolini, Francesco A. (ed.), Valeriu Maximu translatatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, 2 vol., Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, Mori, 1967. Vangeli (venez.a., pm. XIV sec.) = Gambino, Francesca (ed.), I Vangeli in antico veneziano. Ms. Marciano it. I 3 (4889), Roma-Padova, Editrice Antenore, 2007 [testo: 3–382].

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 8 Bibliografia

TLIO = Tesoro della Lingua italiana delle Origini, a cura dell’Opera del Vocabolario Italiano del Consiglio Nazionale delle Ricerche, consultabile in rete (http://tlio.ovi.cnr.it.). TLL = Thesaurus Linguae Latinae, Leipzig, Teubner, 1900-. Toscanella, Orazio, Dittionario volgare et latino, Venezia per Comin da Trino da Monferrato, 1568. Tramater = Vocabolario universale italiano, diretto da R. Liberatore, 7 vol, Napoli, Tramater, 1829–1840. Veneroni, Giovanni, Dictionnaire italien et françois, 7 vol., Paris, Compagnie des Libraires, 1749.

9 Tavola delle abbreviazioni a. = antico abl. = ablativo abr. = abruzzese accus. = accusativo agg. = aggettivo alto-ted. = alto-tedesco anagn. = anagnino ar. = arabo aret. = aretino art. = articolo asc. = ascolano assis. = assisano avv. = avverbio c. = carta ca. = circa cal. = calabrese campid. = campidanese cap. = capitolo capp. = capitoli cast. = castellano cat. = catalano catan. = catanese cc. = carte centr. = centrale cit. = citato class. = classico cond. = condizionale cong. = congiuntivo congiunz. = congiunzione crem. = cremonese dat. = dativo der. = derivato det. = determinativo dimin. = diminutivo ediz. = edizione ediz. lat. = edizione latina (Hall 1957) egiz.: egiziano emil. = emiliano es. = esempio ess. = esempi f. = femminile faent. = faentino fior. = fiorentino fr. = francese https://doi.org/10.1515/9783110624595-009

fr.a. = francese antico fras. = verbo fraseologico friul. = friulano fut. = futuro gen. = genovese genit. = genitivo gr. = greco grosset. = grossetano imol. = imolese imper. = imperativo impf. = imperfetto indet. = indeterminativo infin. = infinito ingl. = inglese intr. = verbo intransitivo istr. = istrioto it. = italiano lat. = latino laz. = laziale loc. = locuzione, locuzioni logud. = logudorese lomb. = lombardo longob. = longobardo luc. = lucano lucch. = lucchese m. = maschile mant. = mantovano march. = marchigiano med. = medio mediev. = medievale merid. = meridionale mess. = messinese mil. = milanese mol. = molisano ms. = manoscritto mss. = manoscritti mug. = mugellano nap. = napoletano neogr. = neogreco nom. = nominale nomin. = nominativo occ. = occorrenze occid. = occidentale occit. = occitano

900 

 9 Tavola delle abbreviazioni

ogg. = oggetto or. = orientale p. = persona pad. = padovano parl. = parlato part. = participio partic. = particolare pass. = passato pav. = pavese perf. = perfetto pers. = persiano piac. = piacentino pis. = pisano pl. = plurale pm. = prima metà pol. = polacco pop. = popolare port. = portoghese pq. = primo quarto prep. = preposizione pres. = presente pron. = pronome pronl. = pronominale prov. = provenzale rag. = ragusano ravenn. = ravennate rif. = riferito, riferimento rist. = ristampa roman. = romanesco sab. = sabino sangim. = sangimignanese savon. = savonese

scient. = scientifico sec. = secolo secc. = secoli sen. = senese sett. = settentrionale sg. = singolare sic. = siciliano sint. = sintagmatico sm. = seconda metà sogg. = soggetto sost. = sostantivo sp. = spagnolo spec. = specialmente sq. = secondo quarto s.v. = sub voce s.vv. = sub vocibus ted. = tedesco tod. = todino tosc. = toscano t. = tomo tr. = verbo transitivo triest. = triestino uq. = ultimo quarto v. = voce vb. = verbo ven. = veneto venez. = veneziano ver. = veronese vol. = volume/-i volg. = volgare volt. = volterrano

Indice dei lemmi volgari a modo de verucha 748 abatimento 706 abrevi[arsi] 588 abreviari 588 abrodeno 758 abrotanum 758 abscisio vocis 588 absciticihio 758 absconsio 588 absconsione 588 absinthium 758 acaççia 759 acaccie 758 acaççie 758 acaçe 758 acacia 758 acaçia 759 acaçie 758 acardo 765 acatia 758 acatie 758 accidens 589 accidens animae 589 accidens malum 589 accidentale 589 accidentalis 589 accidente 589 accidente danima 589 accidente de lanima 589 accidente dellanimo 589 accidente reo 589 acetosa 759 acetose 759 acetosità 760 acetositade 760 acetositas 760 acetosus 759 achacia 758, 759 achazia 758 achuitade 590 aclite 608 aclites 608 aclugere 698 acori 760 acorus 760 acost[arsi] 591 acostante 592 acostare 591, 592 acovatamento 581 acqua dallume 766 https://doi.org/10.1515/9783110624595-010

acqua dallumisa 766 acqua della cenere 766 acqua della cennere 766 acqua di cenere 766 acqua rosa 767 acqua rosada 767 acuità 590 acuitade 590 acuitas 590 acutus 590 adeps 760 aderente 592 adhaerens 592 adhaerentia 592 adhaerere 591 adher[ire] 591 adherentia 593 adhurente 593 adhust[o] 594 adhustione 594 adipe 760 adiutorio 521 adiutorium 521 adun[are] 621, 622 adun[arse] 621, 628 adun[arsi] 621 adunante 622 adunanza 626 adunatione 623 adunato 624 adurens 593 adurere 593 adust[o] 761 adustio 594 adusto 761 adustus 594, 761 aeger 595 aegritudo 594 aegritudo calida 595 aegritudo nervosa 695 aegritudo sicca 725 aegrotans 595 aematites 762 aes 762 agiaz[arse] 623 aglaz[arse] 628 aglazad[o] 624 agregatio 596 agresta 762 agresto 762

902 

 Indice dei lemmi volgari

aguità 590 aiutorio 521 ala 521 alargar 645 alargato 646 albedo 596 albugine dellocchio 522 albugo oculi 522 albumen oculi 523 aleffo 760 alefo 760, 836 aleganego 789 alibano 819 alienacione de mente 597 alienatio 597 alienatione de la mente 597 allargahat[o] 646 allargare 645 allef 760 alleffo 760 alleganego 789 allime gameno 763 alloe 762 allum 763 allume 763 allume gameni 764 allumis gameni 764 allutella 764 aloe 762 aloe epatici 763 aloe paticho 763 aloe patico 763 aloes 762 aloes epatici 763 aloes epatico 763 aloes epaticum 763 altea 763 altee 763 alter[are] 597 alteracione de la mente 597 alterad[o] 598 alterare 597 alteratio 598 alteratione 598 alteratus 598 alteza 650 althea 763 alume 763 alume (de) iameno 764 alume çuccarino 764 alume iameni 764 alume zucharina 764 alumen 763 alumen iameni 763

alumen zucarinum 764 aluthel 764 amalado 682, 701 amalato 682, 701 amallado 682, 701 amandol[a] 600 ambulare 598 ambulatio 598 ambulatione 599 ambulativus 599 amidall[a] 600 amidola 600 amidoll[a] 600 amigdal[a] 600 amigdala 600 amigdalatum 764 aminde 600 amindola 600 amissio intellectus 600 ammalato 595 ampul[a] 601 ampulla 601 anacardium 765 anacardo 765 anachardino 765 anari 560 anbrotano 758 anca 523 ancha 523 and[arse] strenzando 629 andamento 556, 599 andamento de la verga 557 andare 598, 599, 639 andare a ssella 609 andare costrignendo 629 andare del corpo 609 andare inançi 599 anedo 765 anegrura 695 anelito 675 anelitus tremante 675 aneto 765 anetum 765 anex[o] 601 anexi 765 angoscia 601 angossa 726 anguignagli 547 anguignale 548 anguignalla 547 anguina 547 anguinagla 547 anguinai[a] 548 anguinaia 547

Indice dei lemmi volgari 

anguini[a] 548 angustia 601 aniso 765 anisum 765 annexus 601 ano 523 anoglosa 770 anpolla 764 ans[are] 602 antimonii 766 antimonio 766 antimonium 766 antipanize 740 antistine 549 antrace 602 antrax 602 antraze 602 anus 523 anxietas 602 anzipreso 785 apasionad[o] 606 aperdere linteleto 600 api 766 apiccat[o] 601 apio 766 apium 766 apoplesia 603 apoplexia 603 apositione 772 apostem[are] 605 apostem[arse] 603, 605 apostema 603 apostema ambulativum 599 apostema calda 604 apostema caldo 604 apostema calida 604, 690 apostema calidum 604 apostema carnosa 616 apostema carnoso 616 apostema carnosum 616 apostema chalda 604 apostema chaldo 604 apostema discorrant 599 apostema dura 604 apostema duro 604 apostema durum 604 apostema fredda 605 apostema frigido 605 apostema frigidum 605 apostema melancolicum 690 apostema melanconico 690 apostemari 605 apostematio 605 apostematione 605

apostematos[o] 606 aposteme calda 604 aposteme caldo 604 aposteme duro 604 aposteme freddo 605 aposteme malinconico 690 apostemo caldo 604 apostemos[o] 606 apostemosus 606 apostiem[are] 605 apostiem[arse] 603, 605 apostiema 603 apostiema chalda 604 apostiema melenchonica 690 apostumacion 603 apostumacion chalda 604 apostumacione 603 apostumad[o] 606 apostumado 603 apostumar 603 apostumare 605, 709 apostumox[o] 606 apozare 591 appi 766 appio 766 apponaco 820 appostema 603, 605 appostema carnoso 616 appostema fredda 605 appostematione 603 apposteme caldo 604 aqua 766 aqua aluminis 766 aqua aluminosa 766 aqua cineris 766 aqua citrina 620 aqua de (la) cendere 767 aqua de alume 766 aqua de la cinere 767 aqua de lume 766 aqua de zenere 767 aqua di cennere 766 aqua fistulare 767 aqua fistularis 767 aqua rosada 767 aqua rosarum 767 aqua rosata 767 aqua roxada 767 aqua ruoxa 767 aqua salismarina 767 aqua salmacina 767 aqua salmacinia 767 aqua salsa marina 767 aquaregna 708, 751

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904 

 Indice dei lemmi volgari

aquosus 606 arame 762 araxa 830 arca del peyto 576 archana 759 ardere 593 ardor 607 ardore 607 arefiadare apena 731 arefiadare speso 675 arellasad[o] 715 arena 607 arendere 659, 753 arepleno 702 arestiloggia 768 arestollogia 768 arestologia 768 argenti vivi 767 argento vivo 767 argento vivo morzato 768 argento vivo studado 768 argentum vivum 767 argentum vivum extinctum 768 argill[are] 768 argillare 768 ari[o] azidente 589 aristoglogi[a] 768 aristollogia 768 aristollogia longa 769 aristologgia 768 aristologia 768 aristologia longa 769 aristologia redonda 769 aristologia rotunda 769 arixegallo 831 armigodolato 764 armoniaco 769 armoniacum 769 armoniago 769 armonicho 769 arnagloxa 770 arnoglosa 770 arnogloss[a] 770 arnoglossa 770 aromacità 770 aromacitas 770 aromaticitade 770 aroseza 718, 719 arosor 718 arosso duovo 848 arossore 718 arosura delli ochi 720 arrossic[are] 719 arseneci gialli 771

arseneci rossi 771 arsenicho citrino 771 arsenici citrini 771 arsenico 771 arsenico rosso 771 arsenicum 771 arsenicum citrinum 771 arsenicum rubeum 771 arsidico 771 arsindaco 771 arsindaco citrino 771 arsineci citrini 771 arsinicho 771 arsinicho citrino 771 arsinicho rosso 771 arsinicho zitrino 771 arsinici citrini 771 arso 761 arsura 607 artaria 525, 578 arteria 525 arterialis 526 artetica 608 artia 525 artiçiale 526 artitia 525 artizia 525 arubea 831 arubea torzischata 832 aruda 832 arundine 771 arundo 771 arzento vivo 767 asa 772 asam 772 ascara 655 ascella 526 aschires 608 aschites 608 aschonsione 588 aschoxion 588 asclite 608 asclites 608 asclitice 608 ascondimento de la voce 588 ascunsione 588 ascurta[rse] 588 asell[a] 573 asella 526 asenço 758 asenzo 758 asma 609 asongia 773 asoti[are] lo rezimento 734

Indice dei lemmi volgari 

asotiare lo arezimento 734 asottiglare 734 asottiglare (lo) riggimento 734 asottiglare (lo) rigimento 734 aspandere 651 asper[are] 659 asperitade 609 asperitas 609 aspresa 609 aspreza 609 asprezz[a] 609 aspro 609 assa 772 assa fetida 772 assell[a] 573 assell[are] 609 assellare 609 assenzo 758 assiduatio 772 assiduatione 772 assiduus 610 assotiglare 714, 734 assottigl[are] lo reggimento 734 assottilglare (lo) riggimento 734 assumptio 773 assumptione 773 astall[arse] 591 astologia 768 astrelogia 768 astrenz[erse] 633 astretura de refiadare 675 astrilogia 768 astrologia 768 astrologia longa 769 astropar 698 asun[arse] 596, 621 asunado 624 asunamento 596 asungia 773 aurea 773 auree 773 aust[o] 761 avegnire 631 avesig[arse] 748 axungia 773 azetoxa 759 azidental 589 azidentalle 589 azidente 589 azidente de lanima 589 azongia 773 azonzere insenbre 591 azonzimento 593

bagnare 796 balausti[a] 774 balaustia 774 ballausti[a] 774 ballaustr[a] 774 ballaustri[a] 774 balne[are] 831 balusti[a] 774 barba 569 barbozo 559 barbuzo 559 basilica 582 bassato 640 bater 706 batere 706 batimento 706 baxilicha 582 bdelio 774 bdellium 774 bedelio 774 bellico 579 benedeta 774 benedetta 774 benedicta 774 benedita 774 bevand[a] 828 bevanda 828 beveraggio 828 biacha 783 biancheçça 596 biancheçça dellocchio 523 biancheza 596 biancho 596 biancho de lochio 523 biancho de logio 522, 523 bias[are] 689 biguello 579 bissola 567 bissola de lancha 567 bituro 775 biusgamento 687 blacha 783 bludone 553 bocca 563 boccha 564 bocha 563, 564 bocha de la piaga 563 bocha de la vesica 564 bocha della piaga 564 bocha della ulzera 564 bocio 610 boleo 775 boli armenico 775

 905

906 

 Indice dei lemmi volgari

boligollo 579 bolio armenico 775 bolio arminico 775 bolla doloros[a] 611 bolligollo 579 bollir 647 bollo armenicho 775 bollo armeno 775 bollo arminicho 775 bolo 775 bolo armenico 775 bolo armeno 775 bolo arminico 775 bolo armonico 775 bolus 775 bolus armenicus 775 bomito 753 bonigollo 579 borf[are] 806 borsa 527, 576 borsa agli intesticugli 527 borsa de li choioni 527 borsa de li testiculi 527 borsa degli intesticogli 527 borsa negli stesticugli 527 bossolo 567 bossolo dellanca 567 botero 775 botio 610 botiro 775 botium 610 bozi 610 bozin 610 bozio 610 brancha 611 branci 611 brancile 611 brancus 611 branzi 611 brisol[a] 747 brocatione 797 brocco 796 brusare 593 brusato 761 brusore 607 brustolado 761 brutura 649 bruxado 761 bruxar 593 bruxor 664 bubo 611, 612 bubone 612 buco 543 budela 549

budeli sotilli 550 budella 549 budelle 549 budelle grosse 551 budelle sotille 551 budelle sotille menude 551 budelli 549 budelli grossi 551 budelli magri 550 budelli minuti 551 budelli setili 550 budelli setilli 551 budello 549 budelo 549 budelo del chullo 524 bugnone 740 bursa 527 bursa pastoris 847 bursa testicolorum 527 buso 563 buso de la fistula 563 buso de la oregia 543 buso de la piaga 564 buso de li denti 543 buso de lo naso 560 buso de logio 543 buso del dente 543 buso pizeno 568 buso pizeno de la pelle 568 buso pizin[o] de la pelle 568 buso pizinin[o] della pelle 568 busto 528 butare fora 659 butero 775 butiro 775 butirum 775 buturo 775 buxo 563 buxo de la fistolla 563 buxo de la horechia 543 buxo de la verga 557 buxo del dente 543 cadimento 603, 726 cagi[are] 622 cagiato 624 cagione (delle cose) di fuori 617 cagione antecedente 616 cagione che va inançi 617 cagione che viene inanzi 617 cagione dalla parte dentro 617 cagione delle cose dentro 617 cagione dello lato dentro 685 cagione di fuori 617, 662

Indice dei lemmi volgari 

cagione materiale 617 cagione primetiva 617 cagione primitiva 617 calamenti 776 calamento 776 calamentum 776 calamo aromatico 776 calamus aramatico 776 calamus aromaticus 776 calcagnio 527 calcaneo 527 calcaneum 527 calcangno 527 calce 776 calcina 776 calcina lavata 777 calcina non extinta 777 calcina non morta 777 calcina non spenta 777 calcina viva 777 calcis vive 777 caldeçça 612, 613 caldeçça extrana 661 caldezza 612, 613 caldezza grande 738 caldo 612, 613 calidità 612 caliditade 612 caliditade subtile 736 caliditade superflua 738 caliditas 612 caliditas extranea 661 caliditas subtilis 736 caliditas superflua 738 caliditate extranea 661 callosus 613 calor 613 calor accidentalis 590 calore 613 calore accidentale 590 calx 776 calx abluta 777 calx non extinta 777 calx viva 777 camamilla 777 camfora 778 cammamilla 777 camomilla 777 camphora 778 cancer 613 cancer absconditus 614 cancro 613 cancro ascoso 614 cancro nascos[o] 614

cancrosus 614 canfera 778 canfora 778 canna 771 canphora 778 cantarell[a] 778 cantaride 778 cantaris 778 capacità 614 capacitade 614 capacitas 614 capagità 614 capari 778 capo 528, 534 capo de la spala 571 capo delle spalle 571 cappari 778 capparis 778 caput 528 caput spatulae 571 carbonculo 615 carbunculus 615 carne 537 carne callosa 613 carne calosa 613 carne che pute 711 carne putrida 712 carne superchia 738 carne superflua 738 carnosità 615 carnositade 615 carnositas 615 carnoso 615 carnosus 615 caro callosum 613 caro putrida 711 caro superflua 738 carpuncolo 615 cartilagine 529 cartilaginos[o] 529 cartilaginoso 529 cartilazine 529 cartillaginos[o 529 cartillaginosus 529 cartillago 529 casone antecedente 616 casone de dentro 617, 685 casone de fora 617, 662 casone efficiente 617 casone extrinseca 662 casone intrinseca 685 casone materiale 617 casone primitiva 618 cassia liega 779

 907

908 

 Indice dei lemmi volgari

cassia lignea 779 castoreij 779 castoreo 779 castoreum 779 castorio 779 castoro 779 castrat[o] 656 cataplasm[are] 780 cataplasma 779 cataplasmare 780 cataracta 616 catartico imperiale 780 catarticum imperiale 780 catarticum inperiale 780 cateratta 616 catharacta 616 catharaico inperiale 780 catharo 717 cathimia 786 cauda equina 780 caude equine 780 caulis 780 causa 616 causa antecedens 616 causa efficiens 617 causa exterior 617 causa extrinseca 662 causa interior 617 causa intrinseca 685 causa materialis 617 causa primitiva 617 cavato 628 cavatura 618 caverna 618 cavigia 529 cavilgla 529 cavilla 529 cavolo 780 cazere per terra 727 cecatrice 618 cece 783 cederno 786 celabro 530 celidonia 781 cellula 529 celula 529 cennamo 785 centaura 781 centaura minore 782 centaurea 781 centaurea minor 782 centaurea minore 782 cepa 782 cephalica 583

cerchio del bellico 580 cerchio del fondamento 524 cerebrum 530 cerot[o] 782 ceroto 782 cerotum 782 cerusa 783 cervello 530 cervelo 530 cervice 531 cervix 531 cesero 783 cetrino 619 chà la ferita antica 741 ch’è nell’osso 509, 700 chalchagno 527 chalcina lavada 777 chald[o] 626 chaldeza 612 chaldo 612 chalidità 612 chalidità superflua 738 chaliditade 612, 613 chaliditade sotille 736 challamento 776 challamo ramaticho 776 challiditade 612 challor 613 challore 613 challura 612 chalor 612, 613 chalor azidentale 590 chalor azidentalle 590 chalura 612 chalzina 776 chalzina non studada 777 chalzina viva 777 chamamilla 777 chanchro 613 chanchro aschoxo 614 chanchrox[o] 614 chanfora 778 chanphara 778 chantarell[a] 778 chantone 577 chanzer 613 chapari 778 charbonchullo 615 charbonculo 615 charne 537, 615 charne challoxa 613 charne putrida 712 charne ria 738 charne superflua 738

Indice dei lemmi volgari 

charnoxitade 615 charnoxo 615 chartilazinoxo 529 chasia linea 779 chastorno 779 chatarata 616 chatarchico inperiale 780 chatarticho inperialle 780 chavechia 529 chaverna 618 chavitade 627 chavo 528 chaxò da la parte de fuora 617 chaxò da la parte dentro 617 chaxon antezedente 616 chaxon dalla parte (de) dentro 685 chaxon dalla parte de fuora 662 chaxon de dentro 617 chaxon de fuora 617 chaxon dentro 617 chaxon materialle 617 chaxon premitiva 618 chaxon primitiva 618 chaxone antezedente 616 chaxone che fa 617 chaxone de fuora 617 chaxone dentro 617 chazere 628 chazere in angosa 727 chazere in angossa 726 che allarga 645 che bruxa 593 che chore 687, 718 che corre 636 che declina 640 che è apreso 592 che faza chonchavitade 628 che geta aquaregna 752 che geta asà marza 722 che geta molta marza 722 che larga 645 che mord[a] 693 chè nellosso 700 che non sente 683 che se tene 592 che va 639 che vene in li pectinaculi 548 che viene fuora 636 chiavatura 552 chimia 786 chimo 618 chimomia 784 chimonia 784 chimus 618

chiodo 620 chiudere 698 chius 536 choagulad[o] 622 choda chavalina 780 chodega 537 choion 576 choion[e] 576 choioni 585 cholchotar 787 chold[o] 620 cholericho 626 choll[arse] 808 chollerio 787 chollo 531, 532 chollo de la vesicha 532 chollo de la vesiga 564 chollofonia 787 cholloquintida 787 chollor de blancheza 596 chollor negro 695 chollor verde 749 chollora 625 chollora fogoxa 625 chollora negra 625 chollora zitrina 620 cholofonia 787 cholora negra 625 chomedo 536, 546 chomin 784 chomino 784 chonchav[o] 627 chonchavità de la fistolla 665 chonchavitade 627 chonfeto 788, 795 chonfic[ere] 789 chonfiz[ere] 789 chonplesion 627 chonplesione 627 chonplexion 627 chonpllesion 627 chonpllesione 627 chonpllessione 627 chonsollida maiore 789 chonstrenzere 591, 629 chontinuanza 630 chontinuitade 630 chontinuo 610 chonvert[irse] 630, 631 chonvertid[o] 631 chonzel[are] 622 chonzellado 624 chopi rossi 792 choracione 634

 909

910 

 Indice dei lemmi volgari

choramell[a] 555 chorda 575 chorelativ[o] 636 chorente 636 chorere 636, 639 chorn[o] del chullo 528 chornea 533 chorod[ere] 631 chorona 533, 534 choronp[erse] 634 choroto 634 choroxione 631 chorpo 539 chorpo secho 725 chorpo umedo 678 chorpo umido 678 chorso 637 chorso de lagreme 637 chorso della sangue 637 chorsso 641 chorsso de lagreme 637 chorucion 634 chorucione 634 chorupcion 634 choruxion 631 choruxione 634 chosa 534 chosa vischoxa 805 chossa 534 chossa che viene dai nervi 695 chossa choroxiv[a] 632 chossa grossa 673 chosta 534 chosto 790 chraneo 528, 534 christallina 535 chrosta 636 chrud[o] 636 chucurbite 791 chul 523 chullo 523, 524 chullo de driedo 531 chulo 531 churar 657 cibaria grossa 673 cibo crosso 673 cibo grosso 673 cibo vescoso 753 cibo viscoso 753 cibus grossus 673 cibus viscosus 752 cicatrice 618 cicatrix 618 cicer 783

cicero 783 cicorea 784 cicoria 784 cidonia 781 cigola 782 çimar 850 çimea 757 cimine 784 cimino 784 ciminum 784 cimolea 784 cinamomo 785 cinamomum 785 cipari 785 ciperi 785 cipero 785 ciperus 785 cipolla 782 cipolla verde 782 cipressi 785 cipresso 785 cipressus 785 çirbo 587 circo de lo biguello 580 circuito de lo culo 524 circuitus ani 524 circuitus umbilici 580 cisero 783 citrinitade 619 citrinitas 619 citrino 619 citrinus 619 citro 786 citrum 786 clanclo 613 claudicatio 620 clav[o] 621 clava 621 clavo 621 clavus 620 climia 786 clodo 620 cluz[ere] 698 coadunare 621 coagul[are] 622 coagulans 622 coagulare 622 coagulatio 623 coagulatus 624 coccia 534 cocomeri 792 cocotar 787 codega 537 codenna 537

Indice dei lemmi volgari 

cogiel[are] 628 coitus 624 cola 803 colcotar 787 colera 625 colera abrasata 625 colera citrina 620 colera fogata 625 colera ignea 625 colera nigra 625 colera rosa 626 colera rossa 626 colera rubea 626 coleric[o] 626 colericus 626 colirio 787 colla 803 colla de li pessi 803 colla lavata 804 collectio 626 collera 625 collera citrina 620 collera nera 625 collerc[o] 626 collirio 787 collirium 787 collo 532 collo de la vesica 532 collo della vescica 532 colloquintida 787 collora 625 collora ardente 625 collora nera 625 collora rossa 625, 626 collora rubea 626 collum 532 collum vesicae 532 colo 532 colofonia 787 colofonie 787 colophonia 787 coloponia 787 coloquintida 787 colui che sostiene 701 comino 784 commess[o] 601 complesion humida 678 complexio 627 complexio sicca 725 complexione 627 complexione humida 678 complexione sicca 725 compositione 627 compressione humida 678

compressione seccha 725 conbito 536 concavità 627 concavitade 627 concavitade de la ulceratione 743 concavitade de logio 580 concavitas 627 concavitas fistulae 665, 755 concavitas ulceris 743 concavitas vulneris 755 concavo 628 concavus 628 conchavità 627 conclavità 627 concravità 627 confect[o] 788 confectio 788 confectio spissa 731 confectione 788 confectione grossa 731 confectione spessa 731 confectus 788 confeti[are] 789 confetione 788 confett[are] 789 confettato 788 conficere 789 confici[are] 789 confinzere 789 congel[are] 628 congel[arse] 628 congelare 628 congelat[o] 629 congelatus 629 congiel[are] 628 conglutinatio auri 788 conglutinatione de oro 788 congregare 621 congregatione 596 coniunctiva 532 coniuntur[a] 552 conno 586 conplesion secha 725 conplessione 627 conplessione secca 725 conponer 789 conpresione 627 conpressione 627 consalica maggiore 790 consolica maggiore 790 consolica minore 790 consolida maggiore 790 consolida maior 789 consolida maiore 790

 911

912 

 Indice dei lemmi volgari

consolida minor 790 consolida minore 790 constrictio 629 constringere 629 constrinz[ere] 629 constrinzimento 629 consumatione 630 consumptio 630 consumptione 630 continuatio 630 continuatione 630 continuo 610 conversio 630 conversione 630 conversus 631 convert[ire] 631 convert[irse] 631 convert[irsi] 630, 631 convertere 631 convertid[o] 631 convertito 631 conzell[are] 628 copa 531 coppa 531, 546 cord[a] 533 cord[a] grande 575 corda 533 cornea 533 cornea tunica 533 cornia tunica 533 corno 528 corno di capo 528 cornu capitis 528 coroditade 692 corona 534 coropt[o] 634 coroto 634 corottione 634 corpo secco 725 corpo sicco 725 corpo umido 679 corpus humidus 678 corpus siccum 725 correre 641 corrodere 631 corromp[ere] 633 corromp[ersi] 634 corronpere 633 corronpimento 634 corropto 634 corrosio 631 corrosione 631 corrosivus 632 corrossione 631

corrotione 634 corrotto 634 corrugari 633 corrump[erse] 634 corrumpere 633 corruptio 634 corruptione 634 corrupto 634 corruptus 634 corrussione 631 corruttione 634 corruxione 634 corruzione 634 corruzzione 634 corso 637 corso alle lagrime 637 corso delle lagrime 637 cortex 634 coruptione 634 coruttione 634 corvessione 630 cosa agiunta 594 cosa che debe venire fora 660 cosa che ssi die fare 617 cosa corosiv[a] 632 cosa corosiva 632 cosa da insire 660 cosa da nuocere 696 cosa malsana 721 cosa niscosta 588 cosa opiata 819 cosa sopra avenuta 594 coscia 534, 535 cose dentro 548 costa 534 costo 790 costrignere 629 costringere 629, 716 costringnere 591 costum 790 cotenna 537, 566 cova cavalina 780 covatamento 581 coxa 534 coxia 534 coyto 624 crancro 613 craneo 733 craneum 534 crapa 528, 534 crepare 635 crepatione 635 crepitatio 635 cribellare 791

Indice dei lemmi volgari 

cristalina 535 cristallina 535 cristallinum 535 crivel[are] 791 crivell[are] 791 crocus 791 cronico 635 cronicus 635 crosso 673 crosta 634, 636, 655 crud[o] 636 crudus 636 crus 535, 536 crusta 636 cubitus 536 cucurbita 791 culo 524 cuoio 537 cupezza 627 cuporosso 792 cuprum rosarum 792 curatione 828 curcum[a] 792 curcuma 792 curratione 634 currens 636 currente 636 currutio 634 currutione 634 cursibile 636 cursibilem facere 637 cursibilis 636 curso 637 curso de li lacrimi 637 curso de lo sangue 637 cursus 637 cursus lacrimarum 637 cursus sanguinis 637 cute 537 cutis 537 cymolea 784 cymolena 784 da insire 660 dactil[o] 792 dactilus 792 datall[o] 792 datil[o] 792 dattil[o] 792 de brisoli 748 de cancer 614 de dentro 685 de fora 661 de fuora 662

de la melanchonia 690 de le arterie 526 de li inguini 548 de losso 700 de molta quantitade 673 de sangue 720 debelitade 638 debelitato 638 debelleza 638 debellitade 638 debilit[arse] 637 debilità 638 debilitade 638 debilitado 638 debilitari 637 debilitas 638 debilitato 638 debilitatus 638 debolezza 638 declin[are] 638, 639, 640 declinacione 639 declinant 640 declinante 640 declinare 638, 639 declinatio 639 declinatione 639 declivat[o] 640 declive 640 declivis 639 decoctione 813 decorimento 641 decorivele 667 decrepito 641 decrepitus 641 decursus 641 dedo menemelo 539 defectus appetitus 641 degier[ere] 643 degistione 644 deglutire 642 deistion 643 deistione 643 delio 774 delle inguinaie 548 dellio 774 densus 642 dentorno lo bonigollo 580 dentro 685 dentro al corpo 549 dentro lo chorpo 549 descendente 640 desend[ere] per riema 718 deslenguamento 808 desollv[ere] 646

 913

914 

 Indice dei lemmi volgari

despumado 793 destenperad[o] 793 destenperar 793 destill[are] 647 devent[are] roso 719 dezuno 547 di fuori 662 diadragantum 793 diafiamma 538 diaflama 538 diaflamma 538 diafragma 538 diaframma 538 dialtee 794 dialtia 794 diamoron 834 diapenidion 792 diclinare 638, 639 diclinat[o] 640 didamo 539 didimo 539 didimus 539 diedraganti 793 dierer 643 diesto 644 difetto allo apitito 641 diger[ire] 642 digerere 642 digest[o] 644 digestio 643 digestione 643, 644, 649, 749 digestire 643, 644 digestit[o] 644 digestiva 649 digestus 644 digiest[o] 644 digito grosso 568 digitus 539 digitus index 539 digitus minor 539 digitus parvus 539 digno 644 dilarg[are] 645 dilatans 645 dilatare 645 dilatat[o] 646 dilatatio 645 dilatatione 646 dilatatus 646 dindimo 539 discor[ere] 636 discorenza 668 discorimento 599 discorr[ere] 598

discorrando 718 discorrente 687 discorrimento 648 discreatione 659 disolvere 646 dispart[irse] 709 dispumatus 793 dispurgare 753 dissolutio 646 dissolutione 646 distemper[are] 793 distemperare 793 distemperato 794 distemperatus 793 distenper[are] 793 distenperato 794 distilatione 805 distill[are] 647 distillare 647 distillatio 647 distillatione 647, 797 dito grosso 568 dito minore 539 dito piccolino 539 dito pizeno 539 dito secondo 539 divia 798 dizerere 643 dolceza 691 dollor 601 dollore della chossa 722 dolor capitis 528 dolore ┌del┐ capo 528 dolore de gotta 608 dolore de la testa 528 dolore de zonturi 608 dorso 539 dorsum 539 dosso 539, 546, 650, 669 dovent[are] roso 719 dragaganti rosso 794 draganti 794 draganti rossi 794 draganto 794 dragantum 794 dragantum rubeum 794 dragraganti 794 drizare 655 dura mare 540 dura mater 540 dura matre 540 dureza 647 durezza 647 durities 647

Indice dei lemmi volgari 

duro 647, 680 dyadraganti 793 dyafragma 538 dyaltea 794 dyapenidion 792 dyaquilon 845 ebuli 794 ebulitione 647 ebulli 794 ebullitio 647 ebulo 794 ebulus 794 effusio 648 effusione 648 egestio 649 egretitudine 594 elebori albi 795 eleboro biancho 795 elebro bianco 795 electuario 795 electuarium 795 elevatione 650 elleboro bianco 795 elleborus albus 795 ellectuari[o] 795 emanatio 650 ematithes 762 ematitis 762 embroc[a] 796 embroc[are] 796 embroca 796 embrocare 796 embrocatio 797 embrocatione 796, 797 emigranea 650 eminencia 650 eminentia 650, 651, 683 emissio 651 emittere 652 emorosagia 652 emoroyda 653 emoroys 653 emorreis 653 emorrios 653 emorroide 653 emorroyde 653 emorroys 653 empiastro 798 empistomus 653 emplastratio 798 emplastratione 798 emplastro 798 emplastrum 798

 915

emprostono 654 enacione 680 enbrecatio 797 enbrocatione 797 endivia 798 enfiadura 740 enfiatione 683 enguin[a] 548 enpiastro 798 enpigloto 541 enprotostonus 654 entro allo corpo 549 entro dal chorpo 549 enula 794 epar 540 epigloto 541 epiglottis 541 epilensia 654 epilenzia 654 epistonosos 653 epithem[are] 799 epithim[are] 799 epithimo 799 epithimum 799 epitimi 799 epo 766 erigi 655 eris 762 erisipila 676 erisipilia 676 erisipilla 676 erixipilla 676 ermodatali 805 ermodatalli 805 ernia 676, 677 ernia achoxa 606 ernia acosa 606 ernia aquoxa 606 ernia carnosa 616 ernia charnoxa 616 ernia chon la qualle va zò le budelle 677 ernia dello intestinale 677 ernia di carnosità 616 ernia fredita 676 ernia frodita 676 ernia frondiosa 676 ernia per ventosità 677 ernia ventosa 677 ernia ventoxa 677 escara 655 eschara 655 escitura 660 esechacione 725 esential[e] 656

916 

 Indice dei lemmi volgari

eser solizito 728 esere 638 esere asunado 623 esere livido 686 esere pleto 639 esitura 660 espina 572 essentialis 656 essenzial[e] 656 essere cagiato 623 essere lassata 714 essere livido 686 essere spesso 684 euforbi 799 euforbij 799 euforbio 799 euforbium 799 eufrasia 815 eunuchus 656 evacatione 657 evachuacion 657 evachuacione 657 evachuar 657 evachuatori[o] 658 evacu[are] 657 evacuare 657 evacuatio 657 evacuatione 657 evacuatorio 658 evacuatorius 658 evaucatione 657 evomere 659 exasperare 659 excreatio 659 exitura 660 expuere 660 exscitura 660 extenuato 660 extenuatus 660 extraneo 661 extraneus 661 extrinsec[o] 662 extrinsecus 661 faba 800 fadiga 672 faex 662, 800 faex arenosa 662 far partire 646 fare 789 fare bolloline 748 fare chorer 637 fare corsiv[o] 637 fare currere 637

fare fioco 737 fare goboxitade 671 fare la inbroca 796 fare la nbroca 796 fare marzire 709 fare puçça 710 fare putore 710 fare puzza 710 fare rosso 719 farina che volla in li mollini 830 farina de mollino 830 farina volatia 830 farsi lequido 808 fastiggio 594, 721, 729 fava 800 febre 663 febre acuta 590 febricitans 663 febris 663 febris acuta 590 feccia arrenosa 662 fece 662 feculent[o] 663 feculentus 663 fele 662 femena 624 fen greco 800 fen griego 800 feniculo 800 feniculum 800 feno greco 800 fenochio 800 fenugrecum 800 ferita 742 ferita antica 742 ferita antica che pute 712 ferita antica concavat[a] 742 ferita antica corrissiv[a] 633 ferita antica corrossiv[a] 633 ferita antica dandare inançi 600 ferita antica malanconic[a] 691 ferita antica molto corros[a] 633 ferita antica profonda 744 ferita antica putrida 712 ferita antica sorda 744 ferita cava 743 ferita celata 698 ferita concava 744 ferita corrosiva 633 ferita de malanconachi 691 ferita humida 679 ferita oculta 698 ferita profonda 744 ferita puççolente 713

Indice dei lemmi volgari 

ferita putrida 712 ferita sordida 744 ferita vecchia 742 fermità 682 fervor 664 fervore 664 fevera 663 feza 662, 800 feza plena de sabia 663 fiado 675 fiato 675, 730 fiato spesso 675 fidego 540 fieno greco 800 fievra 663 fievre 663 fievre achuta 590 fievre aguta 590 figado 540 figato 540 fimus 801 fiore de ramo 801 fiori deris 801 fiori heris 801 fir congellato 628 fir largada 714 fir rosso 719 fir ulcerato 741 fistola 664 fistola che non va dentro 665 fistola che va dentro 665 fistola dentro 665 fistolla 664 fistolla che va 665 fistula 664 fistula che non passa 665 fistula che passa 665 fistula la qual pasa 665 fistula non passant 665 fistula non penetrans 665 fistula non penetrant 665 fistula passant 665 fistula penetrans 665 fistula penetrant 665 fit[o] 592 flamate 538 flametic[o] 666 flegma 665 flegma grossa 673 flegma grossum 673 flegmatico 666 flegmaticus 666 flegmon 666 flema 665, 666

flema grossa 673 flematic[o] 666 flematich[o] 666 flemma 666 flemma grossa 673 flemon 666 flemone 666 floris eris 801 flos aeris 801 flos eris 801 flusso del sanghue 667 flusso del sangue 667 fluxibilis 667 fluxibilitas 668 fluxo 650, 666, 668 fluxo de le lagreme 667 fluxo de li humori 667 fluxo de li lacrimi 667 fluxo de lo sangue 652, 667 fluxo de lo ventro 667 fluxo de sangue 667 fluxo de ventre 667 fluxo del sangue 652, 667 fluxo delle lagrime 667 fluxo delli omori 667 fluxu de lo sangue 667 fluxus 666 fluxus humorum 667 fluxus lacrimarum 667 fluxus sanguinis 667 fluxus ventris 667 focho persico 679 focil grando 542 focil pizollo 542 focile 542 focile grande 542 focile magnum 542 focile parvum 542 focile pizeno 542 fogo persicho 679 fogo persigo 679 foio 668 folio 668 folium 668 fondamento 524 fondamento della persona 524 fondi 728 fondi del peti 576 fondo 728 fondo della persona 524 fontana del chullo de driedo 542 fontanella 542 fontanella colli 542 fontanella del collo 542

 917

918 

 Indice dei lemmi volgari

forame 543, 544 forame de’ denti 543 forame del dente 543 foramen 543 foramen auris 543 foramen dentis 543 foramen oculi 543 forca 545 forcella 545 forcha 545 forcholla 545 forcill[a] 542 forcilla grande 542 forcilla piccola 542 forcille 542 forcola 542, 545 formato di malanconia 690 formica 668 formica ambulativa 599 formica deambulativa 599 formicha 668 formicha ambulativa 599 formiga 668 foro 543 forzella 545 fractura occulta 698 fralaxia 700 frebbe 663 frebbe aguta 590 freddeçça 668 freddezza 668 fredeçça 668 fredura 669 frema 666 fremon 666 fremone 666 frid[irse] 669 fridura 669 frigideçça 668 frigiditade 668, 678 frigiditas 668 friziditade 669 frusco del sangue 667 frusso del sangue 667 frussu di sangue 667 frusto dellosso 544 frustolo 544 frustolo dosso 544 frustr[o] 544 frustrum 544 frustulum (ossis) 544 fuliggine 841 fuoco persico 679 fuogo persigo 679

furcella 545 furcula 545 furfur 841 gabano 801 gala 802 galbana 801 galbano 801 galbanum 801 galet[a] 802 gall[a] 802 galla 802 gallet[a] 802 galone 523, 571 gamba 536, 577 ganassa 555 ganba 534, 536, 577 gangol[a] 671 gariofol[o] 802 gariofolum 802 garofall[o] 802 garofol[o] 802 gattività 594, 729 gegiunio 547 gelat[o] 629 genboso 670 gengi[a] 545 gengiovo 851 genu 545 geralogodyon 849 gerapighera 802 gerapigra 802 gestione 643, 649 get[are] 796 get[are] suxo 806 gherofan[o] 802 giallezza 619 gibbatus 669 gibbositade 669 gibbositas 669 gibbosus 670 giera 802 gimbositade 669 gingiva 545 ginocchia 545 ginocchio 545 giobbosità 669 giobolità 669 giobolo 669 giomboso 670 gionbosità 669 giontura 552 gipsi 803 gipso 803

Indice dei lemmi volgari 

gipsum 803 gitar suxo 648 giuntura 552 giusquiame 806 gland[a] 671 glandoll[a] 671 glandox[a] 671 glandula 671 glandulla 671 gllotidor 546 glotidor 546 glotino 803 glotior 546 glotiore 546 gluten 803 glutina 803 glutina de pesse 803 glutinacionis aurj 788 glutinatione de oro 788 glutino 803 glutino albutino 803 glutinum alboti 803 glutinum albotim 803 glutinum piscium 803 gluttinum 803 gluttinum piscium 803 gobba 651, 669 gobbo 670 gobboso 670 gobito 536 gobo 670 gobosità 670 gobox[o] 670 goboxitade 651, 670 gola 546 golla 546 goma 804 goma arabica 804 goma rabicha 804 gombeto 536 gombetto 536 gomerabico 804 gomerabio 804 gomito 536 gomm[a] 804 gonbito 536 gorgulatione 674 goso 610 gosso 610 gota de li galoni 722 gozzo 610 gramolla 555 granatum 804 granatum acetosum 759

grando 672 grandula 671 graseza 702 grassa 761 grassa de li budelli 587 grasseçça 702 grasso 702, 761, 773 graveza 672 gravezza 672 gravitade 672 gravitas 672 grevezza 672 grongollar 674 gropat[o] 601 gropo 572 groppo 541 (intestine) grosse 551 groseza 672, 673, 702 groso 673 grosseza 651, 672, 673 grossezza 673 grossities 672 grosso 673 grossus 673 gruogo 791 guastare 710 guma 804 gummi 804 gummi arabica 804 gummi arabici 804 gurgulatio 674 gurgulatione 674 gurguttation[e] 674 guttur 546 guzo 546 hanelitus 675 hanelitus frequens 675 hanelitus spissus 675 hemoroyd[a] 653 herba de tinctori 831 herisipila 676 hermafrodita 676 hermodactil[o] 805 hermodactilus 805 hermofrodita 676 hermofrodito 676 hernia 677 hernia aquosa 606 hernia carnosa 616 hernia de li budelli 677 hernia entestinale 677 hernia ex carnositade 616 hernia frondito 676

 919

920 

 Indice dei lemmi volgari

hernia intestinalis 677 hernia per ventositade 677 hernia piena de vento 677 herpes estiomeno 677 herpes estiomenus 677 heunuc[o] 656 homero 546 homore 679 homore aquidoso 607 homore grosso 673 homore malanconico 690 homore vescoso 753 horificio 563 humerus 546 humidezza 678 humidità 678 humidità sottile 735 humiditade 678, 686 humiditade estranea 661 humiditade putrida 712 humiditade radicale 713 humiditade subtile 735 humiditas 678 humiditas extranea 661 humiditas putrida 712 humiditas radicalis 713 humiditas subtilis 735 humidus 678 humor 679 humor acutus 591 humor aquosus 607 humor grossus 673 humor melancolicus 691 humor viscosus 753 humore 679, 717 humore acuto 591 humore aquoso 607 humore grosso 673 humore melanconico 691 humore viscoso 753 hun[irsi] 621 idromel 849 idropexia 756 idropisia 756 idropixia 756 idropiz[o] 756 idruopico 756 ieiunio 547 ieiunum 547 ieralogodion 849 ignis persicus 679 ilize 849 immoll[are] 648

impiastro 798 implirse 715 inadattilo 805 inanitio 680 inbroca 796 inbrocca 797 inbroccatione 797 inc[ire] 718 incarbuncolo 615 incenso 819 inchanchrid[o] 614 inchorpor[are] 789 indebilitado 638 indebol[ire] 637 indegnacione 682 indiest[o] 681 indigestibilis 680 indigestio 681 indigestione 681 indigestus 681 indignatio 682 indignatione 682 indigno 681 indivia 798 indragantum 793 infermità 594, 682 infermità calda 595 infermità secca 725 infermo 595, 682, 701 infiactione 683 infiado 651, 683 infiadura 651, 683, 740 infiamatione 683 infiammagione 683 infiatione 683 infiatura 740 infiazone 683 infiazzone 683 infirmato 682 infirmitade 594, 682, 692, 701 infirmitade calda 595 infirmitade nervosa 695 infirmitade sicca 725 infirmitas 682 infirmo 595, 682, 701 infirmus 682 infistollid[o] 664 inflado 670 inflamatione 683 inflammatio 683 inflatio 683 inflatione 651, 683, 740 inflatura 651, 683, 740 inflaxon 683, 740

Indice dei lemmi volgari 

inflaxone 683, 740 infusione 797 inghiot[ire] 642 ingiost[ire] 642 ingistione 681 inglot[ire] 739 inglotire 642 ingobbato 669 ingranato 804 ingrosar 680 ingrosar lo rezimento 680 ingross[are] 680 ingross[are] lo regimento 680 ingrossare 680 inguen 547 inguinaia 548 inguinalis 548 inguine 548 innacione 680 inpastar 793 inpiastr[are] 780, 799 inpiastro 796, 797, 798 inpieçça 702 inpistotum 653 inplastratione 798 inpostemare 605 inpostrocon 654 inradichad[o] 601 insensibile 683 insensibilis 683 insire 649, 650, 660 inspes[are] 684 inspes[arse] 684 inspes[ire] 680 inspess[irse] 623 inspis[arse] 684 inspissare 684 instillatio 805 instopato 699 insurimento 696 interiora corporis 548 interiore 549 interiori del corpo 549 intestico[lo] 576 intesticu[lo] 576 intestina 549 intestina gracilia 550 intestina grossa 551 intestina minuta 551 intestina subtilia 551 intestine 549 intestine minute 551 intestini 549 intestini gentili 550

intestino 549 intestinum 549 intollerantia 684 intorno lo bonigollo 580 intrinsecus 685 introito 551 introitum 551 inveri[are] 848 invetri[are] 848 inviscatio 805 inviscatione 805 inzenso 819 iposarca 757 ipoxarcha 757 ireos 850 irios 850 irrorare 806 isapo 850 iscitura 660 isitura 660 ismon 586 isofago 586 isopi 850 istiticità 840 itropex[o] 756 itropexia 756 itropix[o] 756 itrupic[o] 756 iunctura 552 iunipero 817 iusquamo 806 iusquiamo 806 iusquiamum 806 ixopo 850 la boce è fioca 588 la che se tiene 593 labia 552, 755 labia ulcerum 743 labia vulneris 755 labra 552, 553 labra della ferita 743 labri 552, 553 labri de li ulcerationi 743 lac acetosum 759 lacerto 553 lacertos[o] 554 lacertosus 554 lacertus 553 lacrimale 554 lacrimalis 554 lacto acetoso 759 lagremal 554 lagremalle 554

 921

922 

 Indice dei lemmi volgari

lagrimal 554 lagrimale 554 lagrimalle 554 laleganego 789 lapis 685 lapis asper 685 lapis ramosus 685 largad[o] 646 largado 842 largamento 646 largare 645, 646 largato 646 largeza 646 largo 646 late azetoxo 759 lattovario 795 lattovaro 795 latus 807 laudamo 807 laudani 807 laudano 807 laudanum 807 lavacione 797 lavanda 797 lavri 552, 553 lazerto 553 legamento 554 legare 623 leneçça 686 lenitas 686 lens 807 lente 807 lenticchi[a] 807 lentigia 807 lesena 577 leseno 577 lesia 767 letame 801, 840 letargiro 809 letoario 795 levamento 651 levitade 686 libano 819 lieveçça 686 ligamento 554 ligamentum 554 limadura 808 limatura 808 liquefactio 808 liquefactione 808 liquiditade 686 liquiditas 686 liquiritia 808 lisia 767

litargirio 809 litargiro 809, 811 litargirum 809 litirgiario 809 litoagiro 809 litragirij 809 litragirio 809, 811 litragiro 809, 811 livēre 686 lividità 687 lividitade 687 lividitas 687 livido 687 lividus 687 ljeve 686 loco 557 logo principale 559 longo 635 longulla 745 loxuria 624 lubricans 687 lubricante 687 lubricitade 687 lubricitas 687 lubrigante 687 lubrigità 687 lumbus 554 lume 763 lume de l’ogio 569 lume iameni 764 lunella 580 luogo nervoso 560 lupino 809 lupinorum 809 lupinus 809 lupo 688 lupus 688 lutella 764 luto de terra 784 luxuria 624 machulla 688 macula 688 magranza 650 magrato 661 magrictione 680 mal 594 mal de chavo 528 mal[o] accidente 589 mal[o] azidente 589 malachia 594 malagevole a digestire 680 malanconia 690 malatia 594, 682

Indice dei lemmi volgari 

malato 682, 701 malattia 594, 682, 701 malba 810 malbavischo 810 male 594, 692, 696 malicia 594, 689, 701 malicie 689 malitia 689, 692 malizia 689 mall[o] azidente 589 mallatia 594, 682, 689, 692, 701 mallatia chalda 595 mallatia secha 725 mallicia 689 mallizia 689 malo accidente 589 malo azidente 696 malum granatum 804 malva 810 malvavischio 810 malvavischo 810 malvavisco 810 malvaviscus 810 mamella 555 mamil[a] 555 mamilla 555 manchaflato 609 manchamento d’apetito 641 manchare 630 mand[are] 652 mand[are] fora 652 mand[arsi] dentro 621 mandibula 555 mandoll[a] 600, 764 mandorl[a] 600 mandorlato 764 mania 689 manzar sotille 734, 735 marc[ire] 710 marchaxita 788 marcia 708, 721, 751 marcia corrosiva 633 margine del chullo 524 margine del culo 524 margine del fondamento 525 margino del fondamento 525 margo ani 524 maroeda 653 marz[irse] 721 marza 708, 709, 721, 729 marza putrida 709 marza sotille 736 marza subtile 736 marzire 710

marzox[o] 722 masa 738 mascella 555 masela 555 masella 555 masteg[are] 689 masticare 689 masticatio 689 mastice 810 mastichi 810 mastici 810 masticie 817 masticis 810 mastix 810 mastixi 810 mastrice 810 mastyx 810 materia 751 materia acuta 590, 591 materia aguta 591 materia humida 679 materia rea 751 materia sotille 736 materia sottile 736 materia spessa 731 materia spissa 731 materia subtilis 736 materia sutile 736 materia umida 678, 679 maturacion 644 maturare 643 maturarsi 644 mazzi 549 mazzo 549 meat[o] 556 meato 556 meato della verga 557 meatus 556 meatus urinales 557 meatus virgae 557 medexina 779 medexina chorosiv[a] 632 medexina chorosiva 632 medexina umida 679 medexine vischox[e] 753 medicamen corrosivum 632 medicamen humidum 679 medicamen putrefactivum 711 medicamento humido 679 medicina 798 medicina corosiva 632 medicina corrisiv[a] 632 medicina corrosiva 632 medicina humida 679

 923

924 

 Indice dei lemmi volgari

medicina opiata 819 medicina putrefactiva 711 medicina viscosa 753 medola 557 medolla 557 medula 557 medulla 557 mel[a] gran[a] 804 mel[a] granat[a] 804 mel[a] granat[a] acetos[a] 759 melancolia 690 melancolic[o] 690 melancolicus 690 melanconia 690 melanconico 690 melenchonia 690 melichrato 811 melicrate 810 melicrato 811 meliloto 811 melinchonia 690 melioco 811 mellenchonia 626, 690 mellenchonicho 690 mellicras 810 mellicrate 811 melliloto 811 mellilotus 811 mellinchonia 626 mellioto 811 membri 557 membri de lomo 585 membro 557, 558 membro duro 558 membro meno nobile 558 membro molle 558 membro nobile 558 membro non nobile 558 membro principale 558, 559 membro principale overo nobile 559 membro radicale 714 membro secco 726 membro sicco 726 membro tosto 558 membrum 557 membrum durum 558 membrum ignobile 558 membrum molle 558 membrum nobile 558 membrum principale 559 membrum principale vel nobile 559 membrum radicale 714 membrum siccum 726 memite 811

memitte 811 memoria 750 menar 687 menbra 558 menbra seche 726 menbre seche 726 menbri 558 menbro 558 menbro che non è nobelle 558 menbro ignobil[e] 558 menbro molle 558 menbro nobelle 558, 559 menbro nobelle prinzipalle 559 menbro nobile 558, 559 menbro principal 559 menbro principale overo nobile 559 menbro prinzipale 559 menbro prinzipale over nobelle 559 menbro prinzipalle 559 menbro secho 726 menbro zentille 558 menstrua 691 menstrui 691 mentus 559 menuti 811 merda 649, 840 merdasengi 811 merolla 557 mesed[are] 789 meter suxo 772 metere 768 metere dentro 805 metere intorno 799 metere suxo 780, 799 metridatum 812 mettere di fuori 652 micranea 650 migrana 650 milfolio 812 mille foglia 812 millefolium 812 milleloto 811 millifuollia 812 milza 572 mirac 559 mirach 559 mirolla 557, 734 mirra 812 mirre 812 mirti 813 mirto 813 mirtus 813 missione 651 mitridato 812

Indice dei lemmi volgari 

moleza 691 molle 692, 735 molleçça 691 molleza 686, 691 mollezza 691 mollicie 692 mollificatione 686 mollities 691 morbo 692 morbus 692 mord[ere] 692 mordicamento 692 mordicatio 692 mordicatione 692 mordicativus 693 mordich[are] 693 mordichacione 692 mordichativo 693 mordifichativo 693 morece 653 moreci 653 morella 837 morroyde 653 mortina 813 moscol[o] 560 motus involontarius 693 motus volontarius 694 movico 753 movimento 753 movimento de vollontade 694 movimento no voluntario 693 movimento voluntario 694 movito 753 movito del sangue 754 mucilagine 813 mucillagine 813 mucillago 813 mumia 814 muscellaggine 813 muscellino 818 muscholl[o] 560 muscilagine 813 muscillaggine 813 musculo 553, 560 musculus 560 mustilagine 813 mutato 598 muzilazene 813 muzillazene 813 nacta 694 nadeg[a] 560 nadega 560 nalba 810

narcisco 814 narciscus 814 nare 560 naris 560 narise 560 narisse 560 narixe 560 narsisci 814 narstrucci 814 narvoll[a] 746 narzischo 814 naso 560 nastruzo 814 nasturcium 814 nasturicio 814 nata 694 natic[a] 560 natis 560 natta 694 natura 586 nausea 694 nausia 694 naxo 560 ’nbrocca 610 nbrocca 797 ’nbrocha 797 negreza 695 negro 695 negrura 695 nenufar 815 nerbo 560 nerbos[o] 695 nereçça 695 nero 695 nervo 560 nervoso 695 nervosus 695 nervoxo 695 nervuox[o] 695 nervus 560 neufai 815 neufar 815 ’nfermo 595, 682, 701 ’ngrossare (lo) regimmento 680 nigella 815 niger 695 nigredo 695 nigreza 695 nitro 815 nitros[o] 696 nitrosus 696 nitrum 815 noce moscad[a] 816 noce muscata 816

 925

926 

 Indice dei lemmi volgari

nocimento 696 nocumento 696 nocumentum 696 nodisità 697 nodo 696, 697 nodo caude 561 nodo de la cova 561 nodo de lo pede 561 nodo de lo spinale 572 nodo del pe’ 561 nodo del piede 561 nodosità 697 nodositade 697 nodositas 696 nodus 561, 697 nodus caudae 561 nodus pedis 561 nogumento 692 noli me tangere 697 non paylire 681 non paylivel[e] 681 non poter soffrire 684 non potere tollere 684 nonboll[o] 554 nosa 649, 801, 840 nossa 649, 840 noxe muschada 816 noximento 696 ’npiastro 798 ’ntestine 549 nuca 562 nucha 562 nux muscata 816 occipitium 562 occultus 698 ocipicio 562 odorifer[o] 771 oglio de gilglo 817 oglio di mortina 818 oglio laurino 817 oglio pulegino 818 oglio rosado 818 oglio sanbucino 819 oglio sissamino 819 oglo del ginepro 817 oglo delle mandorle 816 oglo di camamilla 816 oglo di mortina 818 oglo di mulscelnino 818 oglo liliaci 817 oglo miritino 818 oglo muscellino 818 oglo rosado 818

oglo violato 819 oio de chamamilla 816 oio de mandolle 816 oio de pollizuol 818 oio de smartella 818 oio de zenevro 817 oio de zio 817 oio de zio biancho 817 oio laurino 817 oio mirtino 818 oio musollino 818 oio muzollini 818 oio sanbusino 819 oio sisamino 819 oio viollado 819 oisofago 586 olceratione 741 oleo de alchana 817 oleo de amandola 816 oleo de camomilla 816 oleo de mastice 817 oleo de mirto 818 oleo de pilizolo 818 oleo de sisamino 819 oleo laurino 817 oleo mirtino 818 oleo muscalino 818 oleo sambucino 819 oleo violato 819 oleum 816 oleum amigdaleon 816 oleum camomillinum 816 oleum de alcanna 816 oleum de lilio 817 oleum iuniperi 817 oleum laurinum 817 oleum liliaceum 817 oleum masticinum 817 oleum mirtinum 818 oleum muscellinum 818 oleum pulegii 818 oleum rosatum 818 oleum sambucinum 819 oleum violae 819 oleum violatum 819 olibano 819 olibanum 819 olibanus 819 olio de lilio 817 olio de smartela 818 olio liliaco 817 olio rosado 818 olio rosato 818 olo rosado 818

Indice dei lemmi volgari 

olzeracione 741 omero 546 omore 679 omore achoxo 607 omore aguto 591 omore aquidos[o] 607 omore grosso 673 omoreci 653 oncione 797 onglela 745 onglella 745 onguento 782 onguento diaquilon 845 ongulla 745 onpicosmo 653 onto sotille 775 ontuoxitade 745 onzere 780 opiata 819 opil[are] 698 opilacion 699 opilatione 699 opilato 699 opill[are] 698 opillad[o] 699 opillare 698 opillat[o] 699 opillatio 699 opillatione 699 opillatus 699 opio 820 opium  820 opoponaci 820 opoponaco 820 opoponago 820 oppil[are] 698 oppilatione 699 oppoponaco 820 oppoponacum 820 oppopunacis 820 orbi 821 orbigli[o] 821 orecchia 543 orificio 563 orificio della fistola 563 orificium 563 orificium fistulae 563 orificium vulneris 563 origano 820 origanon 820 orina 746 orina sotille 736 orinare 746 orisipila 676

orminiaco 769 orobi 821 orobo 821 orobus 821 ortica 845 ortiga 845 os 564 os (cancri) 564 os (vulneris) 564 os callosum 613 os vesicae 564 osimel 821 osimile 821 ossa capitis 528 ossa del capo 528 ossevel 821 ossi de la testa 529 ossimelo 821 osso 534, 540 osso calloso 703 osso de la testa 529, 534 osso del capo 528 osso del chavo 529 osso piccholo 544 osso stritolato 544 osso trito 544 ossoso 700 ossuos[o] 700 ossuosus 700 osuoxo 700 ottone 762 oxexello 544 oximelle 821 oximellum 821 oxizacara 822 oxizachera 822 ozelat[o] 629 ozizachera 822 pad[ire] 642 padella 570 palado 564 palato 564 palatum 564 pallma 564 palma 564, 822 palpebra 565 palpebra de soto 565 palpebra di sotto 565 palpebra inferior 565 palpebrea 565 palpebria 565 palpier de soto 565 palpier[a] 565

 927

928 

 Indice dei lemmi volgari

palpiero 565 panicholl[o] 566 panichollo 565, 574, 581 panichollo che choverze le budelle 574 panicolo 565 paniculo 565 paniculo de dentro 574 pannicolo 565 panniculo 565, 574 panniculo che è apresso li budelli 574 panniculo de li budelli 587 panniculus 565 panno 565, 574, 581, 700 panno del core 538 pannus (oculorum) 700 pano 700 pano de li hochi 700 pantafillo 823 papavaro arosso 822 papavaro roso 822 papaver rubeus 822 papaver rufus 822 papaveris rubei 822 papavero rosso 822 papavero ruffo 822 papavero rufi 822 papelbra 565 par[ire] 638 paralisia 700 paralisis 700 parlasino 700 parte de dentro 549 parte de dreto de la testa 562 partessell[a] 544 pasion 701 pasione 701 passamento 556 passamento de la virga 557 passio 701 passio aquosa 607 passione 701 passione aquosa 607 passione dacqua 607 passulae 822 patella 570 patiens 701 patiente 701 paylire 642, 643, 644 pè de chorbo 824 pece 826 pece greca 826 pece grecha 826 pece navale 826 peci[o] de li ossi 544

pecten 566 pecten pedis 566 pectinaculo 548, 566 pectine 566 pede de corvo 824 pegola 826 pegola greca 826 pegola navale 826 pegolla greca 826 pegolla navale 826 pelle 537, 566, 579, 619 pellexell[a] 566 pellicol[a] 567 pellicula 566 pelsinela 567 pelsinella 567 pend[ere] 640 pendente 671 pendere 639 peneti 823 penidij 823 penidium 823 penniti 823 pensare 749 pentafilon 823 pepe 825 per azidente 589 perd[erse] 727 perdere la voxe 588 perdere lo ‘ntendimento 601 perdere lo intellecto 600 perdimento 603, 726 perditione del core 726 peresemollo 824 persegaria 823 persege 824 persiccaria 823 persicum 824 pes corvi 824 pesca 824 peschie 824 pesco 824 petenechio 566 peteneio 566 petersemo 824 petersolluno 824 petrosilinum 824 pettegnone 566 pettignone 566 petto del piè 566 pettognone 566 pever 825 pevere 825 pevero 825

Indice dei lemmi volgari 

pexillij 829 peyto 584 pez[o] de li ossi 544 pezeto (d’osso) 544 pezola de l’osso 544 pezolet[a] de osso 544 pezoletta de osso 544 pezollet[o] (d’osso) 544 pia mater 567 piaga 543, 742 piaga antica 742 piaga ascosa 698 piaga che vene de fora 742 piaga de fora 742 piaga humida 679 piaga mal curata 742 piaga piena de marza 744 piaga putrida 712, 713, 742 piaga puzulent[a] 744 piaga puzulenta 712 piaga umida 679 piaga vecchia 742 piantaggine 826 piantazene 770 piççicore 704 pichàr 704 picor 704 piè di corbo 824 pienitudine 702 pieno 716 pieno de feza 663 pieno de marza 722 pieno de ossi 700 pieno de sangue 720 pieno di magli omori 702 piera 685 piera aspra 685 piera ramoxa 685 pietra 685 pietra asper[a] 685 pietra ramos[a] 685 pilatro 825 pilensia 654 pilglare troppo 715 pili[arse] 591 pilicholl[a] 567 pilium 827 pilizolo 829 pillexia 654 pillol[a] 825 pillol[a] aure[a] 825 pillul[a] 825 pillul[a] aure[a] 825 pilul[a] 825

pilula 825 pilula aurea 825 pinguedo 702 pinidion 792 piper 825 pipero 825 piratro 825 piretro 825 piretrum 825 piroll[a] 825 piroll[a] aure[a] 825 piscis (anchae) 567 pissul[a] 822 pittamo 799 pix 826 pix graeca 826 pix navalis 826 piza 704 pizàr 704 pizor 704 plaga putrida 712 planta del pe’ 566 planta del pede 566 plantago 826 plantana 770, 826 plantazene 826 plectoricus 702 plenazo 702 pleneza 702 plenitudo 702 pleno 702, 716 pleto 669 pletorico 702 pleuresia 703 pleuresis 703 plleneza 702 plurito 704 pocione 828 poleggio 829 polipo 703 polipus 703 polium 827 pollex 568 pollic[e] 568 pollio 827 pollipo 703 pollmon 569 pollmone 569 pollver da mollino 830 pollver de farina de mollino 830 polmon 569 polmone 569 polsatio 707 polseggiare 706

 929

930 

 Indice dei lemmi volgari

polseza 707 polso 525, 707 polte 829 polvere chapitalle 830 polvere de la testa 830 polvere de molino 830 polvere del molino 830 pom[a] granad[a] 804 pom[a] ingranad[a] 804 pom[a] ingranad[a] agr[a] 759 ponsione 707 pontia 829 pontura 707 ponzimento 707 popila 569 popilla 569 popola 555 poponago 820 poppola 555 porcelacha 827 porcelaga 827 porcellana 827 porito 704 porizuol 829 poro 568 poro sarchoides 703 poro sarchoidos 703 poro sarcoide 704 poro sarcoyde 704 poro sorchoidos 703 poros 568 porre 772 porro 568, 747 porro sarcoides 704 porro sercoides 704 portulaca 827 portulace 827 porus 568 porus sarcoydes 703 porzelana 827 porzellana 827 pos capister 562 postema 603, 605 postema calda 604 postema chalda 604 postema che va 599 postema dura 604 postematione 605 posteme 603 postiema 603, 660 postiema challda 604 postiema charnoxa 616 postiema dura 604 postiema freda 605

postiema la qual va 599 postiron 524 postula 709 postumacion 603, 605 postumacione 603, 605, 660 postumacione chalda 604 poter mangiare 750 potio 828 potione 828 potus 828 pozio 828 praepucium 568 preda 607, 685 preda aspera 685 preda ramosa 685 prepucio 568 principio 563 profondo 628 pronostico 654 prudere 705 pruna 704 pruno 704 prurico 704 prurito 704 pruritus 704 psilii 829 psilio 829 psilium 829 psillium 829 ptisis 705 puçça 751 pulegium 829 pulmo 569 pulmone 569 puls 829 pulsatio 706 pulsatione 706 pulso 707 pulsus 706 pulsus cordis 707 pult[e] 829 pulthia 779 pulve capitale 830 pulvere de molino 830 pulvis capitalis 830 pulvis molendini 830 punctio 707 punctura 707 puntura 705, 707 punzione 707 pupila 569 pupilla 569 purgare 657 purito 704

Indice dei lemmi volgari 

purpureitas 708 purpuritade 708 pus 708 pustolla 709 pustula 709 putredine 708, 709, 710 putredo 709 putredo subtilis 736 putref[arse] 710 putrefacere 709 putrefacient[e] 711 putrefacion 710 putrefacione 710 putrefact[o] 711 putrefactio 710 putrefactione 710 putrefactivus 711 putrefactus 711 putrefare 710 putrefat[o] 711 putrefatione 710 putrefativ[o] 711 putrefatt[o] 711 putrefatto 711 putrido 711 putridus 711 putrifatione 710 putritudine 709, 751 puza 708, 709, 721, 729 puzura 708, 709, 711, 721, 729 puzza 708, 709, 711, 721, 729 puzza sottile 736 quadrello 807 quella che se tene 593 quello che ha la fevera 663 quinançia 713 quinantia 713 quinanzia 713 radicalis 713 radice 569, 714 radice de lo dente 570 radice de’ denti 570 radix 569, 714 radix dentis 570 radixe 569, 714 radixe del dente 570 ragia 830 ragun[arsi] 621 ragunamento 596 ragunare 596 ragunato 624 ralargare 646

ramo 762 ranolla 714 ranula 714 ranulla 714 rarific[are] 714 rarificare 714 ras[edersi] 684 rasina 830 raun[arsi] 621, 622, 623 raunato 624 raxa 830 realgar 831 redalgar 831 rede 587 refiadare forte 675 regalicia 808 reggimento grosso 673 regimen grossum 673 regimen ingrossare 680 regimen subtiliare 734 regimento grosso 673 regolizia 808 relaxari 714 relaxatus 715 rellas[arse] 714 rema 717 ren 570 rencura 728 rene 570 reni 570 repietione 715 replectione 715 repleno 716 repletio 715 repletione 715 repleto 716 repletus 715 replexione 715 replezione 715 repllecione 715 replleto 715 requilizia 808 resepilia 676 resina 830 resipilia 676 restologia longa 769 retegn[ere] 716 retegn[erse] 717 retegn[irse] 717 reten[ere] 716 retentio 716 retentione 716 retign[irse] 717 retignimento 716

 931

932 

 Indice dei lemmi volgari

retinēre 716 retir[arse] 633 reuma 717 reumatizans 718 reumatizare 718 ricevere 773 riema 717 riempimento 715 rilassat[o] 715 rio azidente 589 ripieno 716 ripletione 715 risalgallo 831 risipilia 676 ristrolagia 768 riten[ersi] 628, 717 ritenere 716 ritruopico 756 rixipilla 676 robigl[ia] 821 rodere 631 rognon[e] 554 rorare 831 ros 718 rosata 718 roseza 718, 719 roso duovo 848 rosor 719 rosseza 718, 719 rosseza de la facia 719 rossezza 718, 719 rossicante 718 rossicare 719 rossich[are] 719 rosso 848 rosso de luovo 848 rossor 718, 719 rossor de la faza 719 rossore 718, 719 rossore in la faza 719 rossumo 848 rosumo 848 rosumo de ovo 848 rotula 570 rotulla 570 rotura aschoxa 698 rotura occulta 698 rotura ochulta 698 rovelia 821 rovere 850 roveya 821 roxada 718 roxegamento 631 roza 831

rubea 831 rubea torciscat[a] 832 rubea torscicata 832 rubea trociscata 832 rubedo 718 rubedo faciei 719 rubescere 719 rubor 719 rubor oculorum 719 ruda 832 ruotola 570 rut[a] 832 ruta 832 saba 834 saccho 570 sacculus 570 sachadello 571 sacheto 571 sachetto 571 sacho 570 sacolo 571 sacorcolla 835 saculo 571 sal armoniacum 770 sal armoniago 770 sal gemmae 832 sal nitri 833 sal trido 815 sald[arse] 619 sale armoniaco 770 sale chiaro di gemino 832 sale de gema 832 sale de nitro 833 sale nitro 833 sale orminiaco 770 salgema 832 salgeme 832 salgemme 832 saliva 720 salnitrio 833 sals[o 696 salvia 833 sanadalis 833 sanbugo 834 sandal[o] 833 sandall[o] 833 sandalum 833 sangloto 728 sanguanox[o] 720 sangue acuto 591 sangue aguto 591 sangue choroxivo 632 sangue colerico 591, 626

Indice dei lemmi volgari 

sangue collerico 626 sangue corosivo 632 sangue de draco 833 sangue de drago 833 sangue di dragone 834 sangue dragone 834 sangue grossa 674 sangue grosso 674 sangue malegno 626 sangue melanconico 674, 691 sangue melenchonicho 691 sangue melenconico 691 sangue mellenchonica 691 sangue negro 695 sangue nero 695 sangue nigro 695 sangue sotille 736 sangue sottile 736 sangue speso 674, 731 sangue spesso 731 sangue sutile 736 sanguenolent[o] 720 sanguenox[o] 720 sanguine[o] 720 sanguinente 720 sanguineo 720 sanguineus 720 sanguino 720 sanguinolento 720 sanguinolentus 720 sanguinos[o] 720 sanguinox[o] 720 sanguis acutus 591 sanguis colericus 626 sanguis corrosivus 632 sanguis draconis 833 sanguis grossus 674 sanguis melancolicus 691 sanguis niger 695 sanguis spissus 731 sanguis subtilis 736 sania 721 sanie 721 sanie subtile 736 sanies 721 sanies corrosiva 633 sanies subtilis 736 sanios[o] 722 sanioso 722 saniosus 722 sansuci 834 sansucij 834 sansuco 834 sansucus 834

sapa 834 sarapin 836 sarapino 836 sarcacola 835 sarchachola 835 sarchacholla 835 sarcocola 835 sarcocolla 835 sbatere 706 sboyentamento 664 scabbia 655 scavitola 655 schaio 521, 526, 573, 577 schena 536 schiena 536, 570, 571 schiros 723 schiuma limata doro 788 schiuma limata doro ragunata 788 schiumat[o] 793 scholopendria 835 schorza 634 schotomia 723 schrovola 724 schrovolla 724 schurta[rse] 588 scia 571 sciatica passio 722 scitura 660 ’scitura 662 ’senglozo 728 scliros 723 sclumat[o] 793 scolopendi[a] 835 scolopendria 835 scotomia 723 scrophula 724 scruofola 724 sebel 724 seccità 725 secheza 725 sefiros 723 selar 609 semperviva 836 senape 837 senavera 837 senavra 837 senavro 837 sencial 656 senfiros 723 sengiozo 728 senpreviva 836 sensibile 724 sensibilis 724 sensibilitade 724

 933

934 

 Indice dei lemmi volgari

sensibilitas 724 sensibiltà 724 sentimento 725 sephiro 723 sephiros 723 sephyros 723 sepum 836 serapin 836 serapino 836 serapinum 836 serare 698 serat[o] 699 sercocolla 835 sevo 836 seya 521 sezitade 725 sferd[ire] 623 sferdid[o] 598 sguratione 659 siatica passione 722 sibel 724 siccità 725 siccitade 725 siccitas 725 siccus 725 sicitade 725 sictietade 725 sifac 574 sifach 574 silip 829 sillio 829 sinancia 726 sinantia 726 sinanzia 726 sinapin 837 sinapis 837 sincopis 726 sincopismo 726 sincopiz[are] 727 sincopizare 727 sincopo 726 singhiozo 728 singhiozzo 728 singloto 728 singultus 728 sino 728 sinus 728 siphac 574 siro acetoso 759 siropo acetoso 759 siropo azetoxo 759 sirupo acetoso 759 sirupum acetosus 759 sisamo 837

sisamum 837 situra 660 smania 689 smartella 813 soblim[are] 841 socorcolla 835 sodditello 577 soditello 574, 577 sofeg[are] 737 sofrano 791 sofriscanza 739 solatro 837 solatrum 837 solfere 841 solfere vivo 842 solfero 841 solfero vivo 842 solfo 841 solfo vivo 842 solicitudine 728 solicitudo 728 solimar 841 sollatro 837 sollecitudine 728 sollim[are] 841 somenza de lomo 730 somenza virile 730 sonza 761, 773 sonzia 761, 773 soppost[a] 828 sopravenire sincopis 727 sorba 838 sorbe 838 sorbo 838 sorboll[a] 838 sorcocolla 835 sordezza 729 sordicie 729 sorditia 729 sorditie 729 sordities 729 sordizes 729 sostignire 739 sotiado 661 sotiar lo rezimento 734, 735 sotiare 734 sotil 735 sotilare 734 sotillitade 737 soto el schaio 574 soto la asell[a] 574 soto la assell[a] 574 sotoasell[a] 574 sottigl[are] 734

Indice dei lemmi volgari 

sottiglare (lo) riggimento 734 sottiglezza 736 sottile 735 sottilglare 734, 735 (intestine) sottili 551 sottilità 737 sottilitade 737 sotto il ditello 574 spacio del culo 525 spala 546, 571 spalla 546, 571 spalladrapo 782 spargere 648 spasimo 726, 729 spasmo 729 spasmo dopio 739 spasmus 729 spatula 571 spaxemar 729 spaxemo 729, 739 sperma 730 spess[ire] 684 spicha 783 spimox[o] 732 spina 571, 572 spinal della schena 572 spinale 540, 572 spirito 730, 731 spirito animalle 731 spirito dellanimale 731 spirito vitale 731 spiritus 730 spiritus animalis 731 spiritus attractio 730 spiro 730 spissitudine 731 spissitudo 731 spisso 642 spissus 731 spiuma de mar 839 spiumato 793 splen 572 splene 572 splenza 572 spllenza 572 splurimento 705 spond[a] del dosso 573 spondil del chollo 573 spondil del dosso 573 spondile 572 spondile ┌de lo┐ dosso 573 spondile de lo dorso 573 spondile del collo 573 spondile del dosso 573

spondilio 572 spondilio de li costi 573 spondilium 572 spondilium colli 573 spondilium costarum 573 spondilium dorsi 573 spondille 572 spondille del dosso 573 spondole del collo 573 sponga 838 sponga marina 838 spongia marina 838 sponza marina 838 spruff[are] 806 spudar 660 spugna 838 spuma de mare 839 spuma maris 839 spumoso 732 spumosus 732 spungna marina 838 spurgare lo stomaco 753 sputare 660 sputo de sangue 754 squinancia 713, 732 squinantia 732 squinanzia 732 stado 732 stafisage 839 stafisagra 839 stafisagria 839 staphisagia 839 staphisagria 839 stare 717 starnatare 732 starnutare 732 starnuto 732 stato 732 status 732 stenper[are] 793 stercho 801, 840 sterco 801, 840 stercora 649, 801, 840 stercus 840 sternut[are] 732 sternutatio 732 sternutatione 732 steticcità 840 stetine 549 sticitade 840 stillatione 805 stipicitade 840 stipticitade 840 stipticitas 840

 935

936 

 Indice dei lemmi volgari

stiriloggia 768 stiticcità 840 stiticheza 840 stiticho 840 stiticità 840 stiticitade 840 stomacho 573, 584 stomachus 573 stomaco 573 stomecho 573 stomego 573 storace 841 storas 841 storasse 841 storax 841 stracciat[o] 554 stracciatur[a] 553 strafuxaria 839 stran[o] 661 strangossare 726 stranuare 732 stranudare 732 stranudo 732 stranutacione 732 strarnutare 732 strentura de lo fiato 675, 731 strenz[erse]  623 strenzere 629, 717 stretura a lo refiadar 675 strictura hanelitus 675 strignere 629, 698 strinzere 629 strologia 768 strolongia longa 769 strolongia rotunda 769 stropad[o] 699 stropar 698 subascella 573 subasella 574 sublim[are] 841 sublimare 841 sublimatio 841 sublimatione 841 substantia 733 substantia carnosa 733 substantia craneata 733 substantia de crappa 530 substantia de preda 733 substantia lapidea 733 substantia medulare 734 substantia medullaris 734 substantia ossuosa 733 substantia velata 734 substantia velativa 734

substantia vellativa 734 substanzia carnosa 733 subtili[are] lo regimento 734 subtiliare 734 subtiliatio 735 subtiliatio regiminis 735 subtiliatione 735 subtiliatione de lo regimento 735 subtilis 735 subtilitade 735, 737 subtilitas 736 suffocatio 737 suffocatione 737 sugamento 648 sugna 773 sugo 760 sulphur 841 sulphur vivum 842 sumac 842 sumach 842 sumachi 842 sumaco 842 sumitade 651 summac 842 sun[are] 622 sunamento 626 sunge 773 sungna 773 superchio 738 superfluità 662, 737 superfluitade 737 superfluitas 737 superfluitate 737 superfluo 737, 738 superfluus 738 superfruità 737 sustancia 733 sustancia de charne 733 sustancia de la medolla 734 sustancia del chraneo 530, 733 sustantia 733 sustantia di pietra 733 sustanza 733 sustanzia 733 sustanzia della pietra 733 sutiliare 735 sutilitade 737 suttigliare 735 suttilità 737 svudar 657 syphac 574 tamix[are] 791 tana 543

Indice dei lemmi volgari 

tegnir[se] 591 tempesta 672 tempia 575 tempus 575 ten[ersi] 717 tenacitade 840 tenere 717 tenereza 692 tenitos 575 tenon 575 tenpano 575 tenparo 575 tenpia 575 tenpla 575 tera sizillada 843 terbentina 842 teriacce 844 termentina 842 terra sigillata 843 testa 528 testichollo 576 testicolo 576 testiculo 576 testiculus 576 testidine 549 testin 549 testine 549 testudine 738 testudo 738 tesudo 738 tetano 739 tetanus 739 tetina 555 thorax 576 tibia 577 tignire 614 timpanides 740 tinpano 575 tiraca 844 tiracha 844 tiriacha 844 tirtilico 577 tisica 705 tisico 705 tisis 705 titilico 577 titillicus 577 titimaio 843 titimale 843 titimallus 843 toccatura 577 tochare 591 tollerantia 739 tollere 739

tonac[a] 579 tonega 579 tonega che à nome uvea 580 tonega chornea 533 tonica dalla parte della cornia 533 tonica della cornea 533 toniga 579 toniga chornea 533 torace 576 toraze 576 torbed[o] 740 torbid[o] 740 torcisc[o] 844 tormentina 842 torscelgli 844 torsicc[o] 844 torzis[o] 844 tosse 705 tostezza 647 totomalglo 843 trachea arteria 578 tractura 602 tranghiot[ire] 739 trangot[are] 739 trangot[are] v 642 transglutire 739 trapassato 641 trazere 657 trementina 842 triaca 844 triaca maggiore 845 triacha 844 trocisc[o] 844 trociscus 844 tropo 738 troppo 738 tuchie 845 tucia 845 tucie 845 tumor 740 tumore 740 tunic[a] 579 tunica 579 tunica cornea 533 tunica uvea 580 turato 699 turbare 597 turbid[o] 740 turbidus 740 turbit 844 turbiti 844 turbitti 844 turiaga 845 tutia 845

 937

938 

 Indice dei lemmi volgari

tuzia 845 tympanites 740 tyriaca 844 tyriaca maior 845 tyriacha maiore 845 ulcera 741, 742 ulcera puzolenta 712 ulcerare 741 ulceratio 741 ulceratione 741, 742 ulceratione concav[a] 744 ulceratione concavata 744 ulceratione corodente 744 ulceratione corosiva 633 ulceratione discorrant[e] 600 ulceratione melanconica 691 ulceratione profunda 744 ulceratione putrida 712 ulceratione puzulenta 744 ulceratione sordid[a] 744 ulcerato 741 ulceratus 741 ulcero 741 ulcus 742 ulcus ambulativum 600 ulcus concavum 744 ulcus corrodens 744 ulcus corrosivum 633 ulcus melancolicum 691 ulcus profundum 744 ulcus putridum 712 ulcus sordidum 744 ulibano 819 ulula 580 ulzera 742 ulzera anbulando 600 ulzera che geta marza grosa 744 ulzera che zeta aquaregna 752 ulzera chonchava 744 ulzera choroxiva 633 ulzera fina su lo fondi 744 ulzera fistoxa 664 ulzera marzox[a] 744 ulzera melenchonicha 691 ulzera profonda 744 ulzera putrida 633, 712 ulzera[rse] 741 ulzeracione 741 ulzerado 741 umbilicus 579 umero 521, 536, 546 umidità 678 umidità putrida 712

umidità radicale 713 umidità sotille 735 umidità strania 661 umiditade 678 umiditade strania 661 umor 679 umor de la melenchonia 691 umor grosso 673 umore 679 umore achoxo 607 umore vischoxo 753 unbilco 579 unbilico 579 unctuositade 745 unctuositas 745 unghia 745 ungla 745 unglela 745 ungolla 745 unguento del diaquilon 845 unguento diaquilon 845 unguento dyaquilon 845 unguentum diaquilon 845 ungula 745 unic[o] 656 untione 797 untosità 745 uomo malato 595 urina 746 urina sottile 736 urina subtilis 736 urina sutile 736 urla 580 urlla 580 urtica 845 uscire 636, 652 uscire del sanghue 637 uscire fuore 643 usungna 773 uv[a] passit[a] 822 uva chanina 837 uva passa 822 uva secha 822 uvae passulae 822 uvea 580 uvla 580 uvola 580 uvula 580 vachu[are] 657 vachuacione 657 vachuar 657 vachuator 658 vachuatorio 658

Indice dei lemmi volgari 

vacuare 657 vacuatione 657, 680 vanezare 597 variol[a] 746 variola 746 vasello 764 vedri 815 vedro 815 vegnire arosso 719 vegnire fora 651 vegnire fuora 652 vegnire infuora 651 vegnire rosso 719 vegnire speso 684 velame 581 velamen 581 velamento 581 vena 582 vena artia 525 vena artitia 525 vena artizia 525 vena basilica 582 vena basilicha 582 vena batant[e] 583 vena baxilicha 582 vena cefalica 583 vena cephalica 583 vena che à pollso 583 vena che bate 583 vena che ha lo pulso 583 vena che non à polso 584 vena che non bate 584 vena chomuna 582 vena de la testa 582, 583 vena de tera 786 vena del capo 583 vena del figado 582 vena non batante 584 vena non pulsatilis 584 vena pulsante 525 vena pulsatilis 583 vena zefalicha 583 vena zefallich 583 vena zefallicha 583 venbro 558 venbro principale 559 vene moroides 653 veneno 751 venenos[o] 752 venire livido 686 venire meno 727 venire zoso 647 venter 584 ventosità 746

ventositade 746 ventositas 746 ventre 584, 587 ventricholl[o] 584 ventricholl[o] del zervello 585 ventricolo del celabro 585 ventricul[o] 584 ventricul[o] del cervelo 585 ventriculus 584 ventriculus cerebri 584 ventro 584 ventusitate 746 ventuxità 746 ventuxitade 746 verderame 801 verderamo 847 veredità 749 vereditate 749 verga 568, 585 verga pastoris 847 veridità 749 veriol 848 veriol rosso 849 veriollo 848 verm[e] 746 vermio 746 vermis 746 vermo 746 verola 747 verruca 747 vertizene 723 vertù di digestire 749 vertù digestiva 749 vertù imaginativa 750 vertude 751 vertude apetitiva 750 vertude chogitativa 749 vertude deistiva 749 vertude imaginativa 750 vertude spolsiva 750 vertude spulsiva 750 veruc[a] 747 veruca 747 verucale 748 verucalis 748 verucha 747 verz[a] 781 verzo 781 vescia 585 vescica 585 vescicare 748 vescicatione 748 vescicato 748 vescicha 585

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940 

 Indice dei lemmi volgari

vescosità 752 vescosività 752 vescoso 752 vescovo 848 vesica 585, 747 vesicari 748 vesicatio 748 vesicatione 748 vesicato 749 vesicatus 748 vesicha 585 vesig[arse] 748 vesiga 585, 748 veste 579 via 543, 556 via de la urina 557 via de la virga 557 vignir rosso 719 vil[o] 585 vill[o] 585 villus 585 vino acerbo 846 vino bruscho 846 vino cocto 835 vino coto 835 vino de plano 846 vino forte 846 vino pontico 846 vino pontifico 846 vinus ponticus 846 viol[a] 846 viola 846 violent[o] 752 violl[a] 846 virga 585 virga de pastore 847 virga pastoris 847 viridis aes 847 viridis eris 847 viriditade 749 viriditas 749 virilia 585 virolent[o] 752 virtù 751 virtude 751 virtude cogitativa 749 virtude expulsiva 750 virtude in cazar fora 750 virtude memorativa 750 virtude pensativa 749 virtude ymaginativa 750 virtus 749 virtus cogitativa 749 virtus digestiva 749

virtus expulsiva 750 virtus imaginativa 750 virtus in appetendo 750 virtus in expellendo 750 virtus memorialis 750 virtute digestiva 749 virtute in recivere 750 virtute paylita 749 virulent[o] 752 virulentus 752 virus 751 vischo 848 vischoxitade 752 vischoxo 752 visco 848 viscositade 752 viscositas 752 viscoso 752 viscosus 752 viscum 848 visig[arse] 748 visiga 585 vitellina delluova 848 vitellina delluovo 848 vitellum (ovi) 848 vitreare 848 vitreolo romano 849 vitreolum 848 vitreolum rubeum 849 vitrioli 848 vitriolo 848 vitriolo rosso 849 vitriuolo 848 vitriuolo rosso 849 viuola 846 voladro 796 vollativa 830 volontà nei movimenti 694 volt[arse] 639 vom[ire] 659 vomic[are] 659 vomico 753 vomitus 753 vomitus sanguinis 754 votagione 658 votamento 658 votare 657, 658 votatione 658 voto 658 voyd[are] 657 vulnera putrida 713 vulneratio putrida 712 vulneratione putrida 713 vulnus concavum 755

Indice dei lemmi volgari 

vulnus crudum 756 vulnus humidum 679 vulnus nervorum 756 vulnus occultum 698 vulnus putridum 713 vulva 586 vuod[are] 657 ydrocachera 849 ydropic[o] 756 ydropicus 756 ydropisia 756 ydropisis 756 ydrozacara 849 ydrozachara 849 ydruopic[o] 756 yeralogodion 849 yerapigra 802 ylex 849 ylicis 849 yposarca 757 yposayca 757 yreos 850 ysmon 586 ysmonam 586 ysofago 586 ysophagus 586 ysopo 850 ysopus 850 zafaran 791 zafarano 791 zall[o] 619 zalura 619 zedoaria 781 zefer 783 zelabro 530 zelebro 530 zellebro 530 zemboso 670 zenamomo 785 zendonia 781 zenochio 545 zentaura 781

zentaurea menore 782 zentauria menore 782 zenzero 851 zenziv[a] 545 zerot[a] 782 zerot[o] 782 zeroto 782 zervello 530 zeso 803 zet[are] 652 zevola 782 zevolla 782 zexere 783 zibo groso 673 zibo grosso 673 zibo vischoxo 753 zigola 782 zillol[a] 529 zimera 757 zimia 757 zinamomi 785 zinamomo 785 ziniar 850 zinogio 545 zinziber 851 zinziv[a] 545 zipari 785 zipero 785 zirbi 587 zirbo 587 zirbus 587 zirchulo del chullo 524 zirot[o] 782 zitrina 620 zitrino 619 zocharea 784 zoncho[lo] 544 zonctur[a] 552 zontura 532, 552 zopegare 620 zoto 620 zotron[e] 786 zucha 791

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