La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta nel quadro delle produzioni della Sicilia occidentale 9781407314679, 9781407344003

A complete analysis of matt-painted pottery from Segesta, Sicily is presented in this volume. The analysis is based on d

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INDICE
PREMESSA
RINGRAZIAMENTI
ABSTRACT
INTRODUZIONE
1. MATERIALI E CONTESTI DI RINVENIMENTO
2. CARATTERISTICHE TECNICHE, FORMALI E DECORATIVE
3. PER UNA SERIAZIONE CRONOTIPOLOGICA
4. ASPETTI FUNZIONALI E INTERAZIONI CULTURALI
5. LA CERAMICA A DECORAZIONE GEOMETRICA DIPINTA IN ALTRI CENTRI DELLA SICILIA OCCIDENTALE: ANALOGIE, DIFFERENZE, SCAMBI
CONCLUSIONI
CATALOGO
APPENDICE
ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA
TAVOLE
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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta nel quadro delle produzioni della Sicilia occidentale
 9781407314679, 9781407344003

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________ Alfonsa Serra collaborates with the Scuola Normale Superiore di Pisa and the University of Palermo. Her main areas of research are archaic pottery in Sicily and metal finds. She has studied matt-painted pottery from sites of western Sicily (Segesta, Entella). She is currently also working on metallurgic workshops in Calabria (Kaulonia).

BAR  S2779  2016   SERRA   LA CERAMICA A DECORAZIONE GEOMETRICA DIPINTA DA SEGESTA

A complete analysis of matt-painted pottery from Segesta, Sicily is presented in this volume. The analysis is based on direct examination of thousands of pottery fragments excavated from different contexts, both public and domestic, and from which the author derives a detailed typological and chronological order. The core of this study is the analysis of the functional aspects of the pottery. The complementary relationships between the Greek imports and the possible derivation of certain forms from the local allogenic pottery are highlighted. The research also focuses on other sites in western Sicily employing both published and unpublished material. The archaeological findings of Segesta can be contextualised in a network of relationships with other nearby centers within which Segesta is considered a political and cultural reference point. In analysing matt-painted pottery this work improves on previous research and contributes new insights into the lives and networks of indigenous inhabitants of Sicily in the late Iron Age and Archaic Era.

B A R

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta nel quadro delle produzioni della Sicilia occidentale Alfonsa Serra

BAR International Series 2779 2016

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta nel quadro delle produzioni della Sicilia occidentale Alfonsa Serra

BAR International Series 2779 2016

First Published in 2016 by British Archaeological Reports Ltd United Kingdom BAR International Series 2779 La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta nel quadro delle produzioni della Sicilia occidentale

© Alfonsa Serra 2016 The Author’s moral rights under the 1988 UK Copyright, Designs and Patents Act, are hereby expressly asserted All rights reserved. No part of this work may be copied, reproduced, stored, sold, distributed, scanned, saved in any form of digital format or transmitted in any form digitally, without the written permission of the Publisher.

ISBN 9781407314679 paperback ISBN 9781407344003 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407314679 A catalogue record for this book is available from the British Library

Cover Image: Matt-painted fragment from Grotta Vanella (Segesta), end of the 7th Century B.C.

All BAR titles are available from: British Archaeological Reports Ltd Oxford United Kingdom Phone +44 (0)1865 310431 Fax +44 (0)1865 316916 Email: [email protected] www.barpublishing.com

INDICE

Premessa Monica de Cesare

v

Ringraziamenti

vii

Abstract

ix

Introduzione

1

1 Materiali e contesti di rinvenimento

7

1.1 La capanna protostorica e le altre evidenze nell'area dell'agora 1.2 Altri rinvenimenti dalla sommità del Monte Barbaro 1.3 Lo scarico di Grotta Vanella 1.4 La casa di contrada Costa Bagarelle 1.5 Il santuario di contrada Mango 1.6 Le fortificazioni di Porta di Valle

7 9 13 16 19 22

2 Caratteristiche tecniche, formali e decorative

23

2.1 La tecnologia e gli impasti 2.2 Le forme e i tipi 2.3 La sintassi decorativa

23 35 53

3 Per una seriazione cronotipologica

65

4 Aspetti funzionali e interazioni culturali

73

4.1 Le funzioni 4.2 Forme di tradizione greca e interazioni culturali

73 76

5 La ceramica a decorazione geometrica dipinta in altri centri della Sicilia occidentale: analogie, differenze, scambi

81

5.1 Erice e i centri della cuspide occidentale 5.2 Entella e i centri della Valle del Belice

81 88

Conclusioni

101

Catalogo

105

Appendice. Studio archeometrico di ceramica arcaica da mensa e dispensa a decorazione geometrica dipinta 145 Giuseppe Montana, Anna Maria Polito Abbreviazioni e bibliografia

153

Tavole

167

iii

PREMESSA

In una delle prime pubblicazioni monografiche sugli Elimi, Giuseppe Nenci auspicava un “itinerario archeologico elimo” per arrivare a una “comprensione globale” di quel mondo ‘indigeno’ della Sicilia occidentale dalle origini misteriose e dibattute, sino ad allora oggetto di pionieristiche ricerche che avevano visto come protagonista soprattutto Vincenzo Tusa (Nenci 1989, 16). Proprio dall’appassionata ed energica azione di Nenci, coniugata con quella di altri ricercatori e degli Enti regionali di tutela, è scaturita una conoscenza più ampia della Sicilia occidentale (si pensi solo al contributo fornito dai saggi scientifici periodicamente raccolti negli Atti dei Convegni sugli Elimi e l’area elima, 1992-), che tuttavia, a dispetto dell’auspicio di quello studioso, ancora è priva di un’adeguata base documentaria proprio per le fasi più antiche (pre e post contatto con le colonie greche), laddove l’attività di indagine sul campo è riuscita a svelare piuttosto le intense fasi di vita ellenistico-romane e medievali. Dal punto di vista della cultura materiale lo studio del comprensorio elimo aveva preso le mosse proprio dall’analisi delle produzioni vascolari locali, sfruttate quale indicatore di ethnos nell’ambito del dibattito sull’origine degli Elimi (così J. Bovio Marconi, V. Tusa e, più di recente, S. Tusa). A tale fase della ricerca è seguita una nuova riflessione e una rinnovata stagione di studi che, attraverso l’analisi di alcuni contesti, ha portato a formulare l’idea di una koiné produttiva siciliana, con singole peculiarità areali ed esiti formali (così A. Di Noto e M. Gargini, rispettivamente per la ceramica incisa e impressa e per quella geometrica dipinta di Entella; inoltre, per Monte Maranfusa, F. Spatafora e L. Campisi; si veda infra, Introduzione). A partire da questo quadro molto parziale, poco ancorato a dati stratigrafici e limitato a circoscritte aree di produzione e dati documentari, gli ultimi anni hanno visto l’avvio di nuove prospettive di ricerca, volte a creare più solide sequenze cronotipologiche e ad indagare, con l’ausilio di più salde basi scientifiche, da un lato le fabbriche, dall’altro i contesti di fruizione di tali classi vascolari. Tale linea e campo di indagine appaiono oggi condivisi da diversi studiosi, che quasi casualmente si sono trovati a focalizzare il proprio interesse sulle ceramiche ‘indigene’ della Sicilia occidentale, a partire da differenti ambiti produttivi (C. Trombi per Monte Adranone; E. Kistler, M. Mohr e S. Fusetti per Monte Iato; C. Blasetti Fantauzzi per Erice e l’Autrice del presente volume per Segesta ed Entella). L’affinamento della ricerca - cui il lavoro di Alfonsa Serra pubblicato in questa sede porta ora un sostanziale contributo - sta evidenziando che non esiste in realtà, dal punto di vista della cultura materiale, uno ‘specifico’ elimo quanto piuttosto uno ‘specifico’ segestano, entellino, ericino, e soprattutto peculiarità legate a comprensori geografici, come la cuspide nord-occidentale dell’isola in cui rientra Segesta (un aspetto ben dettagliato dall’Autrice nel suo volume e argomentato in sintesi nel capitolo conclusivo) e una rete di fitte relazioni che porta, nella fase di contatto con le colonie greche, a far emergere alcuni centri indigeni – tra cui, in primo luogo, Segesta – come luoghi dominanti di mediazione politico-culturale, all’interno di una gerarchia insediativa (de Cesare c.d.s. e infra, Conclusioni; così, per Monte Iato, anche Kistler, Öhlinger, Steiger 2013, 227- 258). Per quanto riguarda poi in generale il dibattuto tema della ‘acculturazione’ delle realtà anelleniche, ovvero delle forme di interazione e degli esiti del contatto tra Greci e ‘indigeni’, nella parte occidentale dell’isola come nella Sicilia tutta, individuati nei più o meno evidenti fenomeni di inclusione di elementi della cultura materiale, la ricerca è riuscita oggi a enucleare anche persistenze di caratteri culturali, che dipingono società dinamiche, pur nella volontà forte di conservare elementi della tradizione (si pensi solo, per la Sicilia occidentale, ai lavori di F. Spatafora sulla cultura abitativa e sull’architettura domestica, e su culti e santuari, pubblicati in varie sedi: e.g. Spatafora 2009, 363-377; Spatafora 2009a, 739-757). Anche tale idea è ora sostanziata dal presente studio, incentrato sul presupposto che le produzioni ‘indigene’, legate a sistemi di vita e tradizioni locali, così nella sfera pubblica come in quella privata, non possano che essere lette attraverso la loro dialettica con le ceramiche di importazione, con le quali, ad un certo punto, si integrano a coprire diversi ambiti funzionali. Il rinnovato interesse per i prodotti vascolari locali, che abbiamo poco sopra ricordato e all’interno del quale si pone il lavoro della Serra, contribuisce quindi in maniera concreta a una migliore conoscenza dei centri anellenici della Sicilia occidentale di età arcaica e protoclassica. Tale tipo di indagini ci ricorda inoltre che le grandi ricostruzioni storiche e le “comprensioni globali”, a cui tutti tendiamo, passano attraverso studi analitici, silenziosi, lunghi e pazienti (oggi i più negletti!) di oggetti (anche seriali), di frammenti, di cocci. Il lavoro di Alfonsa Serra oltre a colmare in parte la lacuna documentaria di cui si è detto e a contribuire in maniera sostanziale all’affinamento e al riassetto della ricerca sulle ceramiche ‘indigene’ della Sicilia occidentale, offre anche un’esemplare testimonianza in questo senso, con un’analisi capillare e approfondita di una classe di materiali segestani, la cosiddetta ceramica a decorazione geometrica dipinta, degna di interesse non solo per gli aspetti tecnologici, formali, decorativi e funzionali (affrontati in dettaglio dall’Autrice nella parte centrale del lavoro: capp. 2-4.1), ma anche in quanto utile indicatore per comprendere la natura e le modalità dei rapporti di interazione culturale di Segesta con l’ambiente greco e con le limitrofe realtà anelleniche dal VII al V sec. a.C. (capp. 4.2-5) v

Il lavoro nasce da un primo studio di un nucleo di questa classe ceramica segestana appartenente al cosiddetto scarico di Grotta Vanella (del quale è in preparazione l’edizione per cura della scrivente), un contesto problematico perché privo di precisi agganci stratigrafici, ma un ottimo banco di prova per sondare il rapporto tra ceramiche locali e importazioni greche (esiti preliminari dell’analisi del deposito in de Cesare, Serra 2012; Serra c.d.s.). L’ampliamento dell’orizzonte di indagine a tutti i contesti segestani e anche ad alcuni campioni da altri ambienti elimi, affrontato dall’Autrice per la tesi di Dottorato presso l’Università di Messina, di cui il presente lavoro costituisce il felice esito, ha consentito alla Serra di offrire alla futura ricerca un profilo inedito, ricco di sfaccettature, non solo di tali produzioni, ma anche, in un’ottica allargata, del centro segestano, profilo che dovrà poi essere incrociato con le ricerche attualmente in corso sugli altri centri produttivi. In particolare il primo dato di rilievo che emerge dallo studio, registrato con l’ausilio di analisi archeometriche condotte da Giuseppe Montana e Anna Maria Polito (Appendice), è quello della presenza a Segesta di ceramiche indigene di altri centri, che documenta una microcircolazione di tali manufatti e apre nuove prospettive alla ricostruzione dei rapporti tra le varie comunità anelleniche. Inoltre si rileva, come già ricordato, una sostanziale omogeneità dei caratteri formali e tipologici delle produzioni dei siti ‘indigeni’ della cuspide nord-occidentale della Sicilia elima, in opposizione a quelli delle produzioni della Valle del Belice; in tale quadro, Segesta, pur gravitando nel primo ambito, sembra mostrare un’apertura anche a stimoli estranei al proprio comprensorio di appartenenza, lasciando intravedere diverse e articolate dinamiche produttive e socio-culturali (cap. 5). A ciò si aggiunge l’evidenza delle imitazioni formali, delle integrazioni, delle assimilazioni funzionali di modelli ellenici, già riscontrata in altri centri indigeni, anche della Sicilia occidentale, ma per Segesta ora reinterpretata criticamente alla luce anche dei contesti e dei materiali di importazione greca ritrovati in associazione alle ceramiche locali. Ne risulta un quadro di grande dinamismo culturale della città elima e di estrema ricchezza del repertorio vascolare locale, ricostruito attraverso l’analisi di circa 10.000 frammenti, di cui quasi 400 quelli selezionati in catalogo; sono documentate, in particolare, da un lato forme di contatto e di permeabilità alla realtà coloniale sin dalla fine del VII-inizi del VI sec. a.C. dall’altro quei fenomeni di conservatorismo e di persistenza della tradizione di cui già abbiamo detto, che dovettero contribuire, attraverso la rielaborazione di selezionati elementi allogeni, alla costruzione di quella che di recente è stata definita una “multicultural, or multilayered identity” della Sicilia anellenica di età arcaica e classica (Giangiulio 2010, 15). Alfonsa Serra ci offre, così, un ritratto meno sfumato della realtà elima, che fa di Segesta un interlocutore attivo, per non dire dominante, nel dialogo interculturale in questo territorio di frontiera, un passo importante verso un “itinerario archeologico elimo”.

Monica de Cesare Università di Palermo

vi

RINGRAZIAMENTI

Voglio qui ringraziare Maria Caltabiano, coordinatrice della Scuola di Dottorato in Scienze Archeologiche e Storiche dell'Università di Messina nell'ambito della quale nasce il nucleo della presente ricerca, per averne accolto e supportato il progetto, e Monica de Cesare, per la sua costante attenzione e le sue indispensabili indicazioni, oltre che per l'estrema pazienza con cui ha seguito ed incoraggiato il mio lavoro. La realizzazione 1 è stata possibile grazie alla generosa disponibilità della Soprintendenza BB. CC. AA. di Trapani, nelle persone di R. Giglio e di G. Mammina, nonché di R. Camerata Scovazzo, che hanno autorizzato ed agevolato lo studio dei materiali qui analizzati. Le ricerche si sono svolte prevalentemente presso il Parco Archeologico di Segesta, diretto da S. Aguglia, a cui va la mia riconoscenza per aver consentito e favorito, insieme ad A. Ricotta, l'accesso ai materiali custoditi nei locali del parco. Un ringraziamento va anche ad A. Villa, Direttore del Museo Archeologico Regionale di Palermo quando ho intrapreso il mio studio, e a C. Polizzi, nonché alla direzione del Museo Archeologico 'Baglio Anselmi' di Marsala, alla direttrice M.L. Famà e a M.G. Griffo, la cui disponibilità mi ha permesso di visionare i reperti conservati presso le strutture da loro amministrate. Desidero inoltre ringraziare C. Ampolo e M.C. Parra, che mi hanno affidato lo studio della ceramica dipinta dal territorio e dalla Rocca d'Entella, per me prezioso termine di paragone all'interno dell'impianto della presente ricerca. Il buon esito della mia ricerca non sarebbe stato possibile senza il prezioso supporto, emotivo e logistico, di Andrea Russo, Marianna Perna, Lina Marzotti e Mariela Quartararo e l'infinita pazienza di mio padre Antonio e mio fratello Francesco.

1

Autorizzazione alla pubblicazione prot. n. 748 del 24 novembre 2014, rilasciata dal Parco Archeologico di Segesta.

vii

ABSTRACT

The research on the indigenous pottery of Segesta is inserted in a framework that lacks synthetic studies. To date, there are no existing detailed census of the findings or an organic treatment of the morphological, decorative and functional characteristics of the class examined. Matt-painted pottery have found place almost exclusively in synthetic treatments that are included within the publications of singular excavations. The situation of western Sicily is particularly patchy, mainly due to the unfavorable conditions of the contexts investigated, often deficient in stratigraphic information. In Western contexts painted ceramic generally comes from lower chronological layers, where it is either present as residual material, or, on the other hand, is not inserted in a chronology that is wide enough to allow one to appreciate the morphological changes. Studies in western Sicily began in the 1950s as a result of the findings in Segesta. They fluctuated between an ethnic perspective, based on identifying the peculiarities of the typical Elymian vascular production, and the more recent trend to emphasize the specificity of each local production, seen as a peculiar outcome of a koine present in all Sicily during the Iron Age and the Archaic period. This research provides a new viewpoint: on one hand it does not recognize an ethnic value to the specific formal results of the class, on the other hand, however, it highlights the distinct traits of the materials that the same area has in common, specifically the western tip of Sicily, within which Segesta stands as a reference point. The materials analyzed belong to the different excavations that took place in Segesta. The contexts were both public (Grotta Vanella and Mango) and domestic (a proto-historic hut and the 'rock' house). The backbone of this work is the detailed typological order of the class together with the analysis of the motifs and decorative syntax. Therefore, a reconstruction of a rich repertoire of the morphological and decorative materials of Segesta. Frequent references to the local traditions and to the styles of the incised and impressed decoration class are observable. Nevertheless, there are clear elements of Greek origin that refer to a reprocessed and reinterpreted Geometric and Orientalizing Pottery. Most of the materials of Segesta organically fit in with the production framework of western Sicily, characterized by a simple syntax and by repetitive patterns. It is also possible to identify elements that can lead to the production of southern-central Sicily, where there is a greater richness of patterns and a more obvious Greek influence. The presence of such a trend within Segesta may be partly related to the influx of archeological materials that come from other indigenous centres. For the first time a chronology of the class that dates from the late seventh century. B.C. to the first decades of the V is presented, a time lapse during which the production had seemed to have ceased. The core of this Study is the analysis of the functional aspects of the pottery. In this work, the complementary relationships between the Greek imports and the possible derivation of certain forms from the local allogeneic pottery have been highlighted. Furthermore, this analysis underlines the different forms of contact and interaction between Greek cultural realities, which are explicated in different ways and timeframes in both the private and public sphere of the life in Segesta. The morphological, decorative and functional characteristics of the materials of Segesta are placed within the wider area of the western tip of Sicily, divided into two additional areas. This Research also focuses on other anhellenic sites in the so-called Elymian area thanks to the analysis of both published and unpublished material. The archaeological findings of Segesta can be inserted in a network of relationships with the other nearby centers within which Segesta is considered a political and cultural reference point. The support of the archeometric analysis has helped define the lines of a micro-distribution area of indigenous pottery, already hypothesized on a morphological and decorative basis.

ix

INTRODUZIONE

La ceramica a decorazione geometrica costituisce una produzione diffusa durante tutta la media e tarda Età del Ferro in buona parte della Sicilia, eccezion fatta per la sua cuspide nord-orientale.1 Le più antiche attestazioni si hanno nella parte sud-orientale dell'isola già nella seconda metà del IX sec. a.C.2 Tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII sec. a.C. a Monte Saraceno (Siracusano 1996, 38-40), Montagnoli (Castellana 1988-1989, 328, fig. 17) e Monte Finestrelle (Mannino 1987, 115-117; Falsone, Mannino 1997, 625, tav. CXII, 1) compaiono le prime testimonianze di ceramica dipinta nella Sicilia centro-occidentale. La ceramica in esame è caratterizzata dalla presenza di decorazioni dipinte con vernice opaca, che scandiscono la tettonica del vaso con fasci di linee, bande e motivi geometrici più complessi. Le forme comprendono principalmente vasi da mensa e da dispensa, sebbene sia presente una piccola percentuale di contenitori da toeletta e di manufatti con funzioni di carattere cultuale.

Villard e Vallet trattarono la ceramica indigena dipinta in comparazione con la ceramica geometrica greca e con quella siceliota, cogliendone soprattutto i rapporti morfologici e decorativi con quest'ultima, senza soffermarsi ad analizzare in maniera approfondita tutte le caratteristiche delle produzioni indigene. L'interesse per la classe fu inizialmente legato quindi allo studio della ceramica greca, nei confronti della quale le produzioni indigene erano considerate in posizione di subordinazione, in una prospettiva essenzialmente ellenocentrica. Le produzioni locali venivano considerate dunque pressoché unicamente in rapporto alle importazioni greche, e divennero un elemento di dibattito all'interno del più ampio tema dei rapporti precoloniali tra Sicilia e mondo greco. Maggiore attenzione venne da subito accordata ai rinvenimenti della Sicilia centrale ed orientale, area indagata con più intensità, i cui materiali, provenienti spesso da necropoli e dunque in ottime condizioni di conservazione e ben associati ad elementi datanti, si prestavano meglio a studi sistematici. Tra gli studi relativi a singoli contesti ricordiamo qui la pubblicazione degli scavi delle necropoli di Butera a cura di D. Adamesteanu (Adamesteanu 1958), sito che ha restituito abbondantissimo materiale indigeno a decorazione dipinta. Fondamentali nello sviluppo delle indagini sulla classe in tale ambito geografico si sono rivelate le approfondite analisi di R.M. Albanese Procelli sui materiali provenienti dalle necropoli di Calascibetta,3 in cui la studiosa ha presentato un primo compiuto ordinamento tipologico della classe, con fondamentali lineamenti di sviluppo cronologico di forme e tipi. Di poco più recente è il contributo di M. Frasca sulla necropoli indigena di Monte Casasia, in cui si trova una sintesi morfologica e decorativa dei materiali, considerati anche nella loro evoluzione tipologica (Frasca, Pelagatti 1994-1995). È attualmente in corso una più ampia opera di revisione e studio sistematico della ceramica della facies di Licodia Eubea, condotta da M. Camera, i cui contributi finora editi si sono incentrati sul rapporto tra la ceramica dipinta e il repertorio vascolare greco (Camera 2012; Camera 2013a). Nell'analisi di Camera viene sottolineato il peso rilevante dell'influsso ellenico nell'evoluzione della classe ceramica nella Sicilia orientale, il cui adeguamento alla morfologia e alla sintassi decorativa delle coeve produzioni greche diventa un vero e proprio “criterio regolatore”, che porta anche alla nascita di forme ibride e all'abbandono di talune forme tradizionali

Se la produzione di tale classe nell'Italia meridionale è stata organicamente studiata da negli anni '90 dello scorso secolo (Yntema 1990; Herring 1998), mancano per la Sicilia pubblicazioni di respiro altrettanto ampio. La ceramica a decorazione geometrica dipinta rinvenuta nell'isola, sia in centri anellenici che in colonie greche, ha trovato spazio quasi esclusivamente in sintetiche trattazioni inserite all'interno delle pubblicazioni di singoli scavi. Precursore degli studi sulla classe fu, sin dalla fine del XIX secolo, Paolo Orsi, che per primo ne analizzò le forme e gli schemi decorativi, in calce alla pubblicazione della necropoli di Licodia Eubea (Orsi 1898, 346-364). Gli elementi evidenziati dall'Orsi furono soprattutto lo stretto legame con la ceramica geometrica greca, ed in particolare cipriota, la semplicità e ripetitività della decorazione e l'apparente immutabilità di forme e schemi decorativi. Successivamente si occuparono dell'argomento A. Blakeway (Blakeway 1933, 170-208), A. Åkerstrom (Åkerstrom 1943), F. Villard e G. Vallet (Vallet, Villard 1956), che lo inserirono nell'ambito di studi più ampi sulla ceramica geometrica tout court. In particolare 1

2

Una cartina della diffusione della ceramica a decorazione geometrica dipinta è in Trombi 1999, tav. LXXX, mentre la carta di distribuzione dei centri della Sicilia occidentale si trova in Gargini 1991. A Siracusa, già durante la facies di Cassibile, compaiono alcuni vasi a decorazione mista, geometrica e a flabelli: Voza 1973, 82, tav. XVIII; Frasca 1983, fig. 10, n. 44, 584, fig. 13, n. 36. Tra la seconda metà del IX e la prima dell'VIII sec. a.C. si pongono i primi rinvenimenti interamente a decorazione geometrica: Albanese, Bernabò Brea 1982, 438-440, nn. 4-6, fig. 15, A3, da Calascibetta; La Rosa 1989, 36-37, fig. 27, da Villasmundo; Trombi 1999, 282-286.

3

1

Albanese, Bernabò Brea 1982, 560-568, 590-600, 608-619, sulla necropoli di Realmese; Albanese Procelli 1988-1989, 226-385, sulle necropoli di Carcarella e di Valle del Coniglio.

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta (Camera 2012, 123).

caratteristiche originali di una produzione vascolare 'elima'. Si tratta di una via percorsa in primo luogo da Vincenzo Tusa, che nel 1967 presentò al primo congresso di Micenologia una rapida rassegna della ceramica incisa e impressa e di quella dipinta rinvenute fino a quel momento nei recenti scavi di Grotta Vanella (Tusa 1968). Egli ne enumerò le principali forme e i più frequenti motivi decorativi, ricercandone i modelli al di fuori dei confini dell'isola. Per quanto riguarda i vasi a decorazione incisa e impressa, ne rintracciò i precedenti nella ceramica cipriota, allineandosi dunque in qualche modo all'ipotesi della Bovio Marconi. Da questa si distaccò invece nella valutazione della ceramica dipinta. Egli infatti si soffermò in prevalenza su tale classe, analizzandone con particolare attenzione la decorazione, per la quale richiamò confronti con motivi diffusi nella ceramica micenea (in particolare per la figura del toro e le decorazione a tratti paralleli degli orli), individuando anche influenze protogeometriche ed orientalizzanti (effettivamente ben riconoscibili negli ornati a riquadri metopali e a fiori di loto). I tratti orientali ravvisati nella ceramica dipinta, uniti all'uso della policromia, vennero considerati elementi di distinzione etnica di tale produzione. L'analisi dei materiali di Grotta Vanella divenne dunque per Tusa funzionale all'affermazione della validità della teoria sull'origine orientale degli Elimi. Egli arrivò così ad ipotizzare la presenza a Segesta, almeno dal pieno VIII sec. a.C., di un nucleo di popolazione di origine orientale la cui cultura materiale avrebbe mostrato influssi anatolici submicenei, mediati da Cipro. Gli studi su aspetti specifici della produzione ceramica si andarono inserendo dunque nel quadro più ampio del dibattito sull'origine degli Elimi, che vide contrapposti lo stesso Vincenzo Tusa, fautore della tesi dell'origine orientale, e Sebastiano Tusa, che ne affermava invece la provenienza peninsulare. Quest'ultimo riprese in alcuni scritti, a partire dalla fine degli anni '80, la questione della ceramica 'elima', sia incisa che dipinta, giungendo a conclusioni opposte a quelle degli studiosi precedenti (Tusa S. 1988-1989; Tusa, Nicoletti 2003, 1217-1218). Egli infatti individuò nelle ceramiche dell'Età del Ferro della Sicilia più occidentale elementi comuni, sia decorativi che morfologici, alle produzioni daunie di tipo geometrico e subgeometrico, elementi utili a supportare l'ipotesi dell'origine occidentale dei produttori di tali manufatti. Del tutto differente è la prospettiva degli studi più recenti, che hanno presentato nuclei di materiali pertinenti a singoli contesti di scavo, tra cui ricordiamo il granaio ellenistico di Entella (Gargini 1992; Gargini 1995), l'abitato di Monte Maranfusa (Campisi 2003) e le fortificazioni segestane di Porta di Valle (Biagini 2008); questi, abbandonando il taglio etnico dell'indagine, hanno posto l'accento unicamente sulle caratteristiche morfologiche, decorative e funzionali dei rinvenimenti locali. Tramontata definitivamente l'idea dell'individuazione, attraverso l'analisi del dato ceramico,

Meno frequenti sono stati gli studi sistematici sulla ceramica proveniente dai siti della Sicilia occidentale, per la quale attualmente manca una sintesi di ampio respiro, con un dettagliato censimento dei rinvenimenti e un'organica trattazione delle caratteristiche morfologiche, decorative e funzionali. 4 Anche i rinvenimenti segestani non sono mai stati analizzati nel loro complesso, nonostante, sin dagli anni '50 dello scorso secolo, abbiano attirato l'attenzione di studiosi quali Jole Bovio Marconi, Vincenzo Tusa e, successivamente, di Sebastiano Tusa, alla ricerca di peculiarità che potessero contraddistinguere una produzione vascolare elima e che avessero, dunque, una valenza etnica. In questa prospettiva5 le evidenze archeologiche sono state spesso accostate alle tradizioni etnografiche note dalle fonti antiche. 6 Jole Bovio Marconi, nel primo contributo sulla ceramica indigena segestana (Bovio Marconi 1950), trattò di un limitato nucleo di frammenti ceramici, sia incisi che dipinti, provenienti da livelli sconvolti, forse originariamente pertinenti a una necropoli.7 L'analisi sommaria di tali materiali la portò ad evidenziare gli elementi di comunanza con le produzioni 'sicule' dell'area orientale dell'isola e dunque a negare la valenza di indicatore etnico per la ceramica dipinta segestana. D'altro canto la Bovio Marconi individuò nella classe a decorazione incisa e impressa la produzione distintiva delle popolazioni stanziate nella Sicilia occidentale, sottolineandone i tratti comuni con la ceramica di area egea, in particolare cipriota. La studiosa ipotizzò così una formazione dell'ethnos elimo derivante dall'inserimento di nuclei di immigrati dal Mediterraneo orientale in un sostrato sicano. In seguito la ceramica dipinta è stata accostata invece a quella incisa e impressa nella ricerca delle 4 5 6

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Ancora inedito è lo studio d'insieme condotto da Caterina Trombi negli ultimi anni sulla ceramica dipinta della Sicilia occidentale. Prospettiva non estranea anche ad altri studi sulla ceramica indigena siciliana, sia dipinta che incisa: Palermo 1981, 125-140; La Rosa 1989, 47-50. Il problema delle origini degli Elimi è stato molto dibattuto e ha visto contrapposti storici, linguisti e archeologi sin dalla seconda metà del XIX secolo. Punti di partenza sono stati i passi di Tucidide (Thuc. 6, 2, 3) ed Ellanico (Hellanic., FgrHist 4 F 79b apud Dionys. Hal. 1, 22, 3), da cui hanno preso le mosse gli studiosi moderni, dividendosi nettamente in due filoni di cui il primo, seguendo la narrazione tucididea di una provenienza 'troiana', ha elaborato la teoria di un'origine orientale del popolo elimo; il secondo invece, rifacendosi alla proposta di Ellanico di una provenienza italica, ha affermato l'origine occidentale delle genti che abitavano la zona più occidentale della Sicilia. Per un'esaustiva disamina della questione si vedano Van Compernolle 1988-1989; Tusa 1988-1989, 52-65; De Vido 1997, 1-19; da ultimo sull'argomento, e in particolare sulla leggenda troiana, Sammartano 1998, 238-246; Sammartano 2003, Sammartano 2006. Si tratta di materiali, attualmente non più rintracciabili, provenienti da uno scavo effettuato nel 1942, in un'area di necropoli di IV-III sec. a.C., le cui sepolture si sarebbero impostate su livelli pertinenti a una precedente fase di frequentazione di età protostorica, probabilmente anche questa costituita dai resti di una necropoli; ivi, 81-82.

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Introduzione di elementi che potessero contribuire a suffragare una delle due tesi tradizionali sull'origine degli Elimi, è emersa chiaramente anche la difficoltà di caratterizzare in senso etnico un determinato territorio, unicamente mediante le evidenze di una classe di materiali. Alcuni studi di dettaglio hanno infatti sottolineato la mancanza di peculiarità 'elime' nelle singole produzioni della Sicilia occidentale, che sono state considerate parte di una koiné formale siciliana caratteristica dell'Età del Ferro, con differenti esiti nei singoli insediamenti. In questa prospettiva si è posta alla metà degli anni '90 Michela Gargini, nel suo studio sistematico dei materiali a decorazione geometrica dipinta provenienti da Entella (Gargini 1992; Gargini 1995). La studiosa ha rilevato l'assenza di differenziazioni nette tra i materiali delle varie aree culturali ed etniche della Sicilia, sottolineando invece i differenti esiti formali e decorativi della ceramica dei singoli siti, all'interno di un medesimo repertorio di tipi morfologici e motivi decorativi. Per prima la Gargini ha rifiutato la definizione ormai tradizionale di ceramica 'elima', sulla base delle rilevanti differenze tra i rinvenimenti dei siti dell'area più occidentale della Sicilia e, di contro, in ragione della mancanza di elementi peculiari e distintivi di tali produzioni rispetto a quelli degli altri centri indigeni dell'isola (Gargini 1995, 122-123). La medesima impostazione critica si ritrova negli studi successivi, tra cui spicca per completezza e sistematicità l'edizione dei rinvenimenti dell'abitato di Monte Maranfusa - recentemente pubblicati da L. Campisi - che costituiscono finora il più cospicuo nucleo di frammenti a decorazione dipinta editi, provenienti da un contesto della Sicilia occidentale (Campisi 2003). Ricordiamo infine un gruppo di materiali segestani provenienti dallo scavo della fortificazione di Porta di Valle, che appare comunque numericamente limitato e tipologicamente meno vario rispetto al campione che esamineremo nell'ambito della presente ricerca (infra, capitolo 1.6). L'idea dell'esistenza di un'originalità nella ceramica della zona a ovest del Platani è stata riproposta da Caterina Trombi, in un sintetico contributo sulla diffusione della ceramica a decorazione geometrica dipinta in Sicilia (Trombi 1999), nel quale la studiosa ha cercato di individuare le peculiarità delle produzioni delle singole zone dell'isola. Per quanto riguarda l'area più occidentale l'autrice ha sottolineato una comunanza di elementi decorativi con le produzioni della vicina Valle dell'Imera, evidenziando tuttavia l'originalità morfologica della produzione 'elima'.8 In generale, dal quadro di sintesi elaborato emerge una precoce diffusione della classe a decorazione dipinta nella Sicilia sud-orientale, 8

che già dalla fine dell'VIII sec. a.C. si mostrerebbe fortemente influenzata dalla ceramica greca. Tale produzione si contrarrebbe drasticamente già dalla seconda metà del VII sec. a.C. Diversamente la Sicilia occidentale sembrerebbe subire l'influenza greca solo a partire dalla seconda metà del VII sec. a.C., risultando caratterizzata da una maggior varietà di forme legate al repertorio vascolare di tradizione indigena. La ceramica matt-painted dagli scavi di Monte Polizzo, infine, ha ricevuto una recente trattazione in cui è stata accostata alle altre classi di produzione locale e d'importazione in un'analisi di taglio prettamente funzionale (Mühlenboch 2008). Nella monografia, che s'incentra sui temi dell'identità e dell'interazione nella Sicilia occidentale partendo dalla realtà locale evidenziata dagli scavi di Monte Polizzo, manca uno studio di carattere tipologico e non è presente un catalogo, mentre particolare rilevanza viene data alla disposizione delle suppellettili all'interno degli ambienti scavati. Fine dell'indagine è infatti quello di ricostruire i rapporti sociali ed economici nell'ambito del centro indigeno. Obiettivi limiti delle indagini sopra citate sono la relativa esiguità quantitativa dei materiali studiati, pertinenti generalmente ad un singolo contesto di scavo, e soprattutto la scarsità di contesti stratigraficamente affidabili, che permettano di articolare lo sviluppo cronologico della classe attraverso l'associazione con ceramica importata. Si tratta infatti di ceramiche che provengono da strati di ambito cronologico più basso, dove costituiscono materiali residuali, oppure che sono inserite in una scansione cronologica troppo ristretta per consentire di apprezzarne i mutamenti morfologici. La presente ricerca si pone dunque nel quadro appena delineato, con l'intento di fornire innanzitutto un ordinamento morfologico e tipologico del materiale segestano, che sia il più possibile ricco ed articolato e che abbia solidi agganci cronologici. D'altra parte volge lo sguardo anche alle produzioni degli altri centri della Sicilia occidentale, con lo scopo di evidenziarne le caratteristiche generali e di mettere in luce il ruolo che dovette rivestire la produzione segestana in tale ambito geografico. Il nucleo principale dei materiali che abbiamo analizzato autopticamente è costituito dai copiosissimi rinvenimenti dallo scarico di Grotta Vanella, ai quali si sono aggiunti vasi a decorazione dipinta provenienti dagli scavi effettuati dalla Scuola Normale Superiore di Pisa nell'area dell'agora, da Vincenzo Tusa nel santuario di contrada Mango e da Rosalia Camerata Scovazzo presso la cosiddetta casa rupestre tardo-arcaica di contrada Costa Bagarelle. A tali analisi si è associata la valutazione dell'edito, costituito dai materiali provenienti dai saggi effettuati da Juliette de La Genière sul pianoro di Monte Barbaro, in zona Badia, relativi anch'essi a strutture tardo-arcaiche, e dall'ampio e articolato scavo presso la fortificazioni di Porta di Valle (infra, capitolo 1) (fig. 1). Il cospicuo numero di frammenti ceramici presi in

In particolare sarebbero attestate nell'area della Valle del Belice forme assenti altrove, quali le ciotole con labbro ingrossato, le brocche globulari a collo troncoconico e le brocche a spalla differenziata, elementi di originalità dovuti anche a contatti con il mondo fenicio. Mancherebbero o sarebbero rari d'altra parte i vasi a fruttiera, le anfore a corpo ovoidale e le tazze attingitoio a fondo concavo, frequenti nella Valle dell'Imera: Trombi 1999, 289-290.

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta visione ha consentito di delineare uno schema tipologico (infra, capitolo 2) che, almeno in alcuni casi, ha rivelato una valenza anche temporale. Innanzitutto sono stati definiti i limiti cronologici della produzione della ceramica a Segesta. All'interno della produzione è stata ricostruita una scansione cronotipologica, articolata per venticinquenni e cinquantenni (infra, capitolo 3). Dopo aver individuato le peculiarità morfologiche, decorative e tecnologiche della produzione segestana, se ne sono ricercate le affinità e le differenze formali e decorative con le produzioni di altri centri non greci della Sicilia occidentale,9 nel tentativo di delineare il quadro generale della classe in tale area, e il rapporto di Segesta con gli altri centri. L'ampliamento dell'indagine ad altri siti della Sicilia occidentale e settentrionale ha contribuito, oltre che alla più dettagliata individuazione di caratteristiche specifiche della produzione segestana, a definire le direttrici di una possibile circolazione locale della ceramica matt-painted siciliana (infra, capitolo 5). L'analisi minuziosa dei rinvenimenti ceramici ha infatti consentito di isolare un nutrito gruppo di frammenti che presentano caratteristiche formali e tecnologiche peculiari, differenti da quelle della maggior parte della ceramica segestana. Tale nucleo di materiali si è rivelato di provenienza allogena, ponendo interrogativi sulle modalità di circolazione e di scambio dei prodotti locali tra i vari centri di produzione.

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Un'ulteriore linea di ricerca ha riguardato la ricezione dei 'modelli' formali e decorativi greci, sia orientali che coloniali. Dal punto di vista morfologico infatti si riscontrano casi di imitazione di forme tipicamente greche quali il cratere a colonnette, le coppe di tipo ionico e gli skyphoi a bande. Di più complessa individuazione sono i singoli motivi decorativi di origine greca che, ripresi e modificati, contribuiscono a formare una sintassi decorativa comunque originale. È da notare come la ripresa di forme di origine greca appaia legata a particolari ambiti funzionali, nello specifico quello del consumo del vino. La questione è stata pertanto affrontata in un'ottica allargata nell'ambito dell'ampio problema dei rapporti di scambi culturali tra mondo greco e comunità indigena. Caratteristiche funzionali e interazione culturale con l'ambiente greco sono stati analizzati alla luce di tutti gli elementi che provengono dai contesti segestani presi in esame, ivi comprese le altre classi ceramiche, di produzione locale e non, associate alla ceramica dipinta (infra, capitolo 4).

A questo proposito sono stati studiati direttamente due importanti nuclei di materiali provenienti da Erice e da Entella (infra, capitolo 5).

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Introduzione

Fig. 1. Segesta. Pianta generale con l'indicazione dei contesti presi in esame: A scarico di Grotta Vanella; B santuario di Contrada Mango; C casa di contrada Costa Bagarelle; D capanna protostorica nell'area dell'agora; E fortificazioni di Porta di Valle; F saggi de La Geniére in località Badia (rielaborazione da Segesta I 1996).

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1. MATERIALI E CONTESTI DI RINVENIMENTO

1.1 La capanna protostorica e le altre evidenze nell'area dell'agora

età ellenistica, in particolare canalizzazioni per l'acqua piovana, livelli di sistemazione dell'area (US 3118, 3121, 3134, 3135) che hanno restituito anche materiali indigeni di età arcaica (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 668-669). Un'ulteriore testimonianza della frequentazione in età arcaica della zona su cui successivamente sorse l'area pubblica della città ellenistica proviene dagli strati sottopavimentali asportati nell'ambiente medievale D1 durante la campagna di scavo 1992 (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 672-677). Il vano, rettangolare con andamento EW, sorge nella parte centro-occidentale del complesso ed era già stato parzialmente indagato negli anni '50. Al di sotto di un piano di calpestio in malta, conservato a lembi,2 alcuni strati di sistemazione sottopavimentale posti a diretto contatto con la roccia, hanno restituito materiali residuali delle precedenti fasi, tra cui anche ceramica di età arcaica e protostorica. Infine nella zona più orientale dell'abitato, in prossimità del muro perimetrale del complesso medievale, un consistente strato di accumulo (US 3908=US 3911) posteriore all'erezione del muro, ha restituito materiali estremamente eterogenei tra cui si registrano alcuni frammenti di ceramica indigena dipinta ed incisa tra i più antichi rinvenuti a Segesta (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 673-674, 738-747). È opportuno precisare che tutti i nuclei di frammenti indigeni rinvenuti nell'area dell'agora non provengono da contesti stratigrafici affidabili, in quanto si tratta per lo più di materiali residuali. Anche nel caso della ceramica dalla cosiddetta capanna protostorica i pesanti rimaneggiamenti subiti dagli strati in età post-antica hanno pregiudicato l'affidabilità del contesto.

Il contesto I più antichi frammenti segestani di ceramica a decorazione geometrica dipinta a noi noti provengono dalla sommità del Monte Barbaro, dall'area dell'agora ellenistica e romana. Le indagini, condotte sul pianoro sommitale del monte a partire da 1987 dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, hanno portato in luce parte dell'abitato medievale che insisteva su strutture di età ellenistica e romanoimperiale. In particolare la zona orientale e sud-orientale dello scavo (SAS 3), che costituisce la terrazza superiore della sistemazione ellenistica dell'area sovrastante l'agora, ha rivelato vestigia di un'imponente fase medievale, impostata direttamente su edifici pubblici ellenistici (Benelli et alii 1992, 100-103; de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 686-693). Si tratta di un complesso abitativo dalla struttura compatta (fig. 2), un vero e proprio villaggio fortificato, in uso tra il XII e la prima metà del XIII secolo. Alcuni saggi in profondità hanno evidenziato come, nella zona più meridionale dell'insediamento, gli edifici post-antichi siano sorti direttamente su livelli protostorici che, rimaneggiati, vennero a costituire la preparazione sottopavimentale per i battuti medievali. Un primo approfondimento è stato effettuato, durante la campagna di scavo 1990, all'interno dell'ambiente A1. Si tratta di un vano rettangolare, il cui piano pavimentale era costituito da un battuto completamente sconvolto. La sistemazione sottopavimentale (US 3546) inglobava numerose chiazze argillose e ha restituito abbondante ceramica indigena, sia dipinta che incisa. Tale livello copriva direttamente la roccia regolarizzata. Sette buche di palo, intagliate direttamente nel banco roccioso, hanno consentito di attribuire sia i materiali protostorici ed arcaici che i lembi d'argilla ad una capanna quadrangolare sostenuta da pali lignei (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 664-665). Tracce di frequentazione di età arcaica sono state individuate anche in altri punti dell'insediamento medievale, in cui però non erano connesse a coeve evidenze strutturali.1 In particolare nella zona nordorientale, un piccolo vano quadrangolare, l'ambiente G, è stato indagato al di sotto del piano pavimentale. L'indagine ha consentito di individuare sotto strutture di 1

I materiali Le buche di palo e le tracce di argilla riferibili all'elevato della capanna protostorica posta al di sotto dell'ambiente A1 sono tra le rarissime testimonianze che si possiedono dell'abitato della città elima, e sicuramente le più antiche. I materiali indigeni rinvenuti nell'US 3546, immediatamente al di sopra della roccia in cui le buche furono intagliate, sono probabilmente da attribuire alla frequentazione della capanna stessa. Del resto l'antichità della ceramica indigena ivi rinvenuta risulta coerente con una tipologia edilizia che sembra ormai superata nella Segesta di piena età arcaica (Camerata Scovazzo 1997, 208-210; si veda infra, paragrafo 4).

Evidenze strutturali di età tardo-arcaica o protoclassica si hanno più a nord, dove sorge un imponente edificio a blocchi isodomi, databile probabilmente nella prima metà del V sec. a. C.: da ultimo Parra 2006, 108, nota 4.

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Un più recente pavimento in terra battuta era stato individuato al di sotto del crollo dell'elevato ed asportato, de Cesare, Paoletti, Parra, 1995, 672.

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta

Fig. 2. Segesta. Planimetria delle strutture medievali del SAS 3: sono cerchiate le aree di rinvenimento dei materiali indigeni (rielaborazione da de Cesare, Paoletti, Parra 1995).

Lo strato ha restituito numerosi frammenti a decorazione geometrica dipinta, oltre che abbondante ceramica incisa. Si tratta in buona parte di frammenti di vasche e anse a nastro riferibili a tazze-attingitoio di tipo A1 (per il tipo si veda infra, capitolo 2.2), forma questa ampiamente attestata nello scarico di Grotta Vanella e in particolare nelle prime gittate, ovvero nei livelli più vicini alla roccia, in cui è di gran lunga quella preponderante (infra, capitolo 3). Sono inoltre presenti due scodelle, di cui una di piccole dimensioni (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 713, n. 1, tav. CXVII, 5) il cui profilo è

confrontabile con quello di alcune ciotole da Entella e delle scodelle di tipo 8d da Monte Maranfusa. 3 La seconda scodella (de Cesare, Paoletti, Parra 1995, 714, n. 4, tav. CXVII, 8), del tipo A della nostra classificazione, trova anch'essa corrispondenze con gli esemplari maggiormente presenti nello strato a contatto con la roccia dello scarico di Grotta Vanella. I medesimi tipi costituiscono la maggioranza dei pezzi a decorazione geometrica dipinta rinvenuti nei vari 3

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Cfr. Gargini 1995, 124-125, nn. 1, 4, fig. 12; Campisi 2003, 178180, fig. 170.

Materiali e contesti di rinvenimento contesti, non connessi a strutture arcaiche. In particolare sono degni di nota i frammenti residuali dall'US 3908. Anche qui infatti sono attestate tazze-attingitoio insieme a scodelle di tipo A, accostamento che rispecchia fedelmente la composizione dei più antichi livelli di Grotta Vanella. Ancor più interessanti sono tuttavia alcuni frammenti che appaiono più antichi, il cui profilo sembrerebbe precorrere quello di tipi che si troveranno, sviluppati, nella produzione a decorazione geometrica dipinta di piena età arcaica. Analoghe considerazioni possono essere fatte in merito alla decorazione, caratterizzata dall'interessante commistione tra elementi incisi e motivi dipinti. Tra essi è degna di menzione una scodella carenata (n. 106), con orlo estroflesso, che presenta sulla superficie esterna una decorazione incisa a linee orizzontali parallele, mentre all'interno ha un motivo dipinto ad angoli multipli. La forma e la decorazione esterna trovano confronti, anche se non puntuali, in scodelle incise da Monte Maranfusa e da Entella (infra, capitolo 2.2). L'ornato dipinto dell'interno riprende, in una tecnica diversa, motivi propri dell'incisa ed impressa, solo raramente attestati nella restante produzione dipinta segestana (su motivi decorativi e cronologia si veda infra, capitoli 2.3 e 3). Dallo stesso strato proviene un frammento di tazzaattingitoio dipinta con vasca carenata e breve labbro estroflesso (n. 161), il cui profilo si distingue da quello degli altri attingitoi segestani, pur avendone in nuce le caratteristiche morfologiche: labbro estroflesso, vasca carenata, ansa soprelevata. L'interno della vasca, conservato solo in piccola parte, presenta delle bande a raggiera che potrebbero riferirsi ad un motivo ad angoli multipli analogo a quello della scodella incisa e dipinta sopra citata. Sia la scodella che l'attingitoio sono modellati a mano, caratteristica tecnica che sembra confermare l'ipotesi di una datazione alta dei due frammenti, in considerazione del fatto che la quasi totalità della produzione segestana a decorazione geometrica dipinta è realizzata al tornio (infra, capitolo 2.1). Ai due vasi può forse essere accostato un terzo frammento, relativo a una scodella modellata a mano, che presenta al di sotto dell'orlo, ingrossato ed arrotondato, una linea incisa, mentre lo stesso orlo è decorato da una banda bruna dipinta. Quest'ultimo frammento, tuttavia, trovando svariati confronti nelle produzioni a decorazione incisa (ad esempio a Entella), è da includere piuttosto nell'ambito di quest'ultima classe, che non di rado presenta elementi dipinti di carattere lineare, meno articolati dunque rispetto alla decorazione geometrica dipinta della scodella ad orlo estroflesso. L'ipotesi di un orizzonte cronologico alto per la ceramica dipinta proveniente dal SAS 3 è avvalorata anche dall'abbondanza di frammenti di ceramica incisa ed impressa qui rinvenuti, classe questa generalmente poco frequente negli altri contesti segestani. Alcuni di questi frammenti sono stati esaminati da Sebastiano Tusa, il quale vi ha riconosciuto i precursori delle forme che

saranno poi caratteristiche dell'incisa ed impressa segestana almeno dalla fine del VII secolo a.C., proponendone una datazione tra la fine del IX e l'inizio dell'VIII sec. a.C.4 È comunque da sottolineare che non vi sono dati stratigrafici che possano confermare l'ipotesi di cronologia avanzata da Tusa. I materiali provenienti dal SAS 3 dell'agora, in una zona in cui l'insediamento medievale sembra sorgere direttamente su strati di formazione protostorica, ci offrono, pur con il limite dato dalla mancanza di un contesto stratigrafico chiuso, elementi importanti per lo studio delle primissime fasi dello sviluppo della ceramica a decorazione geometrica dipinta segestana.

1.2 Altri rinvenimenti dalla sommità del Monte Barbaro Sulla sommità del Monte Barbaro, poco distante dalla zona in cui venne scavata la cosiddetta capanna protostorica, due saggi, effettuati da Juliette de La Genière nel 1978, portarono alla luce alcuni lembi di strutture riferibili ad abitato di età arcaica. 5 I saggi vennero programmati dalla Soprintendenza Archeologica di Palermo, allora diretta da Vincenzo Tusa, allo scopo di rintracciare le fasi di frequentazione sottostanti alle strutture di età ellenistico-romana emergenti sul pianoro. L'indagine fu intrapresa in concomitanza con lo scavo dello scarico di Grotta Vanella, così da verificare l'ipotesi della collocazione sul Monte Barbaro dell'abitato elimo, documentato dall'enorme deposito in giacitura secondaria lungo le pendici settentrionali del monte stesso (infra, paragrafo 1.3). I rinvenimenti, pur nei limiti dati dalla piccola estensione dei sondaggi,6 confermarono l'ipotesi di partenza, mettendo in evidenza strutture e strati d'uso collocabili nei secoli VI e V a.C. 4

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S. Tusa ascrive alcuni frammenti segestani dall'area dell'agora, assieme ai rinvenimenti di Verderame, ad una fase 'protoelima', che in seguito si sarebbe evoluta nella fase 'elima' vera e propria; rappresentata dalla ceramica incisa ed impressa da Grotta Vanella: Tusa S. 1992. È da sottolineare comunque come la teoria di una caratterizzazione etnica della ceramica incisa ed impressa, e in particolare di alcune sue espressioni come le anse a piastra configurate, sia stata ormai abbandonata in favore dell'idea dell'appartenenza di tali ceramiche ad una koine di gusto e di soluzioni decorative propria della Sicilia centro-occidentale: Spatafora 1996. De La Genière 1988. Nell'anno precedente era stata realizzata una prima trincea esplorativa, in corrispondenza della verticale dello scarico di Grotta Vanella (si veda infra, paragrafo 1.3), che non aveva portato alla luce alcuna struttura, ed aveva restituito materiali databili fino alla prima metà del III sec. a.C.: de La Genière 19761977, 686-687. Evidenti tracce di frequentazione di età arcaica sono state rinvenute nell'ambito degli scavi effettuati presso il teatro negli anni 1993 e 1994, che hanno restituito, insieme a materiali ellenistici, frammenti di ceramica indigena, corinzia ed attica: D'Andria 1997, 436-443, tavv. LXX-LXXI. 4 x 3 m l'estensione del saggio A, che raggiunse in profondità i 4,40 m circa dal piano di campagna; stesse dimensioni ebbe il saggio B, che arrivò al piano di roccia con la rimozione di un interro di minor spessore (1,70 m circa?), di cui però non sono editi dati.

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta Il saggio A (figg. 3-4) interessò una zona posta 350 m a S del teatro, in corrispondenza di una struttura muraria post-antica. Al di sotto di uno spesso interro con materiali che andavano da età medievale al V sec. a.C., vennero individuati due muri, posti ad angolo retto, pertinenti a due fasi differenti (de La Genière 1988, 287-290, tavv. CLXXI-CLXXII). La struttura con direzione NE-SW apparve più antica, impostandosi direttamente sulla roccia. Era costituita da piccole pietre accuratamente disposte e legate da marna (de La Genière 1988, 304). Ad essa si appoggiavano, ad E e a W, due strati che appianavano le irregolarità della roccia e che J. de La Genière ritenne essere contemporanei all'edificazione del muro stesso. Gli strati restituirono materiale databile entro il 530-520 a.C., orizzonte cronologico in cui dunque si inserirebbe l'edificazione del muro. Pertinenti a questa prima struttura erano due piani di calpestio; il primo, ad E del muro, era un battuto di terra, mentre il secondo, a W, un acciottolato. Ambedue furono datati al 520 a.C circa. Il pavimento in terra battuta era a sua volta coperto da un interro, con materiali databili lungo l'intero arco del VI sec. a.C., su cui s'impostava la seconda struttura muraria, con andamento perpendicolare alla prima, alla quale si appoggiava. L'erezione del secondo muro si pone quindi alla fine del VI-inizi del V secolo a.C. A questa seconda fase era pertinente un ulteriore battuto pavimentale, di cui la studiosa non fornisce indicazioni relative a materiali e cronologia. Il saggio B (figg. 5-6) venne effettuato in località Badia, zona pianeggiante posta 400 m a SW del teatro, al di sotto di un lastricato ben conservato già visibile in superficie. L'indagine ha portato in luce lembi di strutture databili a partire dal III secolo a.C.,7 eccezion fatta per un acciottolato anteriore poggiante direttamente sulla roccia, di cui però non è stato possibile stabilire il momento di messa in posa. La maggior parte della ceramica arcaica proveniva da uno strato interpretato dalla de La Genière come il riempimento della fossa di fondazione o di una trincea di riparazione della spalletta meridionale di una canaletta in muratura. Tale strato ha restituito unicamente materiale di produzione locale, misto a tracce di elevato di strutture (argilla mista a paglia); mancavano del tutto vasi d'importazione, così come non erano presenti elementi posteriori all'età arcaica, sebbene sulla base della ricostruzione stratigrafica degli scavatori la formazione dello strato dovesse porsi per lo meno nel III secolo a.C. Il restante materiale indigeno, presente in abbondanza, era mescolato a frammenti più tardi e poté unicamente testimoniare l'originaria presenza di un insediamento in età arcaica, sconvolto dalla frequentazione posteriore del sito. Lo strato 8 del saggio A, accumulo coevo all'erezione del primo muro arcaico (530-520 a.C.), ha restituito insieme ad alcuni frammenti a decorazione incisa ed impressa una scodella dipinta con 7

orlo a breve tesa pendulo (tipo D1) ed alcuni frammenti di brocche nella sua parte più superficiale; la ceramica d'importazione era costituita da un cratere laconico, un orlo di anfora corinzia di tipo A ed una kylix attica (de la Genière 1988, 301-302, nn. 110-120, tavv. CXCIIICXCIV). Nella parte più bassa, a diretto contatto con la roccia, lo strato conteneva un orlo di bacino di tipo A, un orlo di olla di tipo D ed un'anfora di tipo C. Insieme ad altro materiale indigeno a decorazione incisa ed impressa erano presenti alcuni frammenti di coppe di tipo B2 (de La Genière 1988, 302-303, nn. 121-134, tavv. CXCIVCXCVI). Il più recente strato 6', ovvero la preparazione sottopavimentale del battuto pertinente al muro più recente, è stato datato dalla de La Genière al 500 circa. 8 La ceramica indigena dipinta che ha restituito era costituita da un attingitoio di tipo A1 e da alcune pareti di brocche. Degno di nota è inoltre un secondo attingitoio, senza decorazione e modellato a mano, il cui profilo è simile ma non identico a quello degli attingitoi di tipo A1, distinguendosene in particolare per il labbro e per la carenatura della vasca meno accentuati.9 Accanto ai frammenti ceramici sono stati rinvenuti anche alcuni pesi da telaio. Pesi da telaio erano presenti anche all'interno della strato coevo al battuto sottopavimentale, posto però ad E del muro arcaico e probabilmente relativo ad un esterno (de La Genière 1988, 300-301, nn. 96-109, tavv. CXCI-CXCII). Insieme ai pesi lo strato ha restituito un bacino di tipo A e l'orlo a tesa di una grossa anfora. Il materiale d'importazione era costituito da coppe di tipo B2, un piede di skyphos di tipo corinzio, due frammenti di kylikes attiche a figure nere ed un piede di coppa in bucchero. Nonostante l'esiguità del materiale a decorazione geometrica dipinta rinvenuto, questo si dimostra particolarmente interessante ai fini dello studio della classe, in quanto proveniente da strati non disturbati ed associato a ceramica d'importazione che fornisce indicazioni cronologiche abbastanza precise. Differente è la situazione dei reperti rinvenuti nel saggio B, che sembrerebbero non essere in deposizione primaria, ma giacenti in strati di formazione ellenistica derivati dalla messa in posa di strutture sorte in un'area già occupata dall'insediamento di età arcaica, o di età ancora precedente. Frequente è infatti la ceramica d'impasto e a decorazione incisa ed impressa; inoltre il saggio è ubicato nelle vicinanze della capanna protostorica rinvenuta sotto l'insediamento medievale. Tra i frammenti a decorazione dipinta degni di nota vi è una coppa che imita le produzioni di tipo subgeometrico coloniale (de La Genière 1988, 309-310, n. 163, tavv. CCV-CCVI), ampiamente attestate nella Segesta arcaica. 8

Si tratta di una canaletta, di cui sono state individuate le spallette in muratura ma non scavato il riempimento, e di un'ulteriore canalizzazione con condutture in terracotta posta ad W della prima; de La Genière 1988, 306-307, tavv. CLXXIII-CLXXIV.

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La studiosa distingue nell'ambito dello strato 6' il battuto, che ha restituito un frammento di piede di coppa di tipo C, e la sua preparazione, in cui i materiali d'importazione sono costituiti da frammenti di coppe di tipo B2; de La Genière 1988, 297-298, tav. CLXXXVII-CLXXXVIII. Il profilo è simile a quello di una tazza-attingitoio dipinta dal santuario di contrada Mango, infra, n. 171.

Materiali e contesti di rinvenimento

Fig. 3. Segesta. Scavi in località Badia: sezione EW del saggio A (da de La Genière 1988).

Fig. 4. Segesta. Scavi in località Badia: pianta schematica del saggio A (da de La Genière 1988).

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta

Fig. 5. Segesta. Scavi in località Badia: sezione schematica del saggio B (da de La Genière 1988).

Fig. 6. Segesta. Scavi in località Badia: pianta del saggio B (da de La Genière 1988).

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Materiali e contesti di rinvenimento I restanti frammenti indigeni sono relativi a tazzeattingitoio e scodelle di tipo A1, coerenti quindi con i rinvenimenti della poco distante capanna protostorica (supra, 1.1).

R. Ambrosini. In tale occasione vennero effettuati anche saggi nella zona pianeggiante che si trova al di sotto del pendio del Monte Barbaro, con risultati non dissimili da quelli ottenuti con gli scavi praticati nello scarico di Grotta Vanella propriamente detto (Tusa 1970, 247). Le sole informazioni note in merito alla strategia di scavo sono relative a una trincea aperta durante la campagna del 1974-75 che, a fine scavo, mostrò in sezione l'esistenza di più strati che seguivano l'andamento del pendio (de La Geniére, Tusa 1978, 11). Degna d'interesse si rivelò la presenza di strati più o meno omogenei di ciottoli, che sembravano dividere l'una dall'altra le varie gittate di terreno misto a ceramica. Ciò fece pensare che l'accumulo si fosse costituito diacronicamente, con una successione di più scarichi distanziati tra loro nel tempo. Nella parte bassa della trincea, inoltre, fu individuato uno spesso strato di terreno misto a cenere e carbone. Nel 1977 tale trincea venne approfondita ulteriormente in due punti, fino a mettere in luce la roccia. Tali sondaggi furono effettuati da Juliette de La Genière, che già da tempo collaborava con Tusa nella classificazione e nello studio dell'abbondantissimo materiale ceramico proveniente dallo scarico. I due approfondimenti rivelarono la presenza di un interro di ben 4,5 m, costituito da terra mista a cenere e carbone senza apparenti differenze al suo interno, poggiante su di un ultimo strato giallastro a contatto con la roccia; ambedue i livelli erano ricchi di materiale ceramico. Seguendo l'ipotesi dei numerosi butti successivi, si pensò che tali strati fossero relativi alla distruzione del più antico insediamento indigeno sul Monte Barbaro. Insieme ai frammenti vascolari vennero rinvenuti resti del rivestimento di pareti in pisè, riferiti a strutture abitative. In seguito allo spoglio preliminare della ceramica rinvenuta, V. Tusa e la de La Genière fissarono la cronologia del primo insediamento nell'arco della seconda metà del VII sec. a.C. (de La Geniére, Tusa 1978, 14-15). La prima sommaria e generale analisi dei materiali di Grotta Vanella e di quelli rinvenuti nei saggi effettuati su Monte Barbaro suggerì l'esistenza di una soluzione di continuità dell'insediamento durante il IV sec. a.C., evidenziata dalla mancanza di ceramica riferibile a tale periodo sia nello scarico che negli strati in deposizione primaria (de La Genière 1976-1977, 682-683; de La Genière 1997, 1035-1036). Per parte dei rinvenimenti di Grotta Vanella inoltre venne ipotizzata un'originaria destinazione votiva.14 I dati ricavabili dagli scavi effettuati tra la fine degli

1.3 Lo scarico di Grotta Vanella Il contesto Il più cospicuo nucleo di materiali indigeni mai rinvenuti a Segesta proviene dallo scavo dello scarico di Grotta Vanella. Tale località si trova lungo le pendici nord-orientali del Monte Barbaro, a mezza costa, sulla verticale della zona più elevata del monte stesso. Le indagini archeologiche sono state condotte dalla Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale. Il primo saggio di scavo, di piccole dimensioni, 10 venne aperto nel 1957 per volontà del soprintendente Vincenzo Tusa, in margine all'attività svolta in quegli anni presso il santuario di contrada Mango (infra, 1.5). Infatti, messa in luce l'area sacra e le vie di comunicazione che la collegavano al pianoro sommitale del monte, si pose il problema della localizzazione dell'abitato della Segesta pre-ellenistica. Si decise dunque di effettuare un piccolo scavo nella zona di Grotta Vanella, da dove provenivano abbondanti reperti di superficie, soprattutto ceramica di età arcaica e classica. Da questo primo saggio venne ricavata una tale quantità di frammenti ceramici sia d'importazione che indigeni da rendere realistica l'ipotesi del rinvenimento di ciò che restava dell'abitato indigeno arcaico.11 Nel 1959 vennero iniziati gli scavi sistematici a Grotta Vanella, che terminarono nel 1982.12 Il rinvenimento di numerosi frammenti di ceramica a vernice nera con iscrizioni in alfabeto greco e in lingua anellenica 13 portò nel 1970 al coinvolgimento nello studio della cattedra di Glottologia dell'Università di Palermo, nella persona di 10 Tusa parla di un saggio di m 4 per 2, condotto fino ad una profondità di 3 m dal piano di calpestio: Tusa 1957, 88. 11 Nella relazione pubblicata su Kokalos Tusa parla di “una quantità notevolissima di frammenti di ceramica sia indigena, dipinta e graffita, che greca, protocorinzia, corinzia, a figure nere e a figure rosse, oltre ad alcuni piedi di vasi con iscrizioni di notevole interesse” ed ipotizza che tale materiale non fosse in giacitura primaria bensì precipitato dalla sommità del monte. Lo studioso postula infine l'esistenza di un abitato indigeno sul pianoro sommitale, collegato al santuario di contrada Mango ed in uso tra VIII-VII e V sec. a.C., la sua distruzione avrebbe anche segnato la fine della frequentazione dell'area sacra: Tusa 1957, 88-89. 12 Gli scavi avvennero negli anni dal 1959 al 1968, dal 1974 al 1978 e nel 1982; non ricevettero mai compiuta pubblicazione. 13 In una serie di articoli dati alle stampe tra il 1960 ed il 1984 Vincenzo Tusa diede notizia di tali rinvenimenti. Gli articoli furono pubblicati nella rivista Kokalos, VI, 1960, 34-48; XII, 1966, 207220; XIII, 1967, 233-248; XIV-XV, 1968-1969, 462-467; XVI 1970, 223-249; XXI, 1975, 214-224; XXVI-XXVII, 1980-1981, 808-852; XXX-XXXI, 1984-1985, 581-583. La bibliografia completa sulle indagini a Grotta Vanella in de Cesare 2009, 649, nota 3.

14 Tale ipotesi si basò sul rinvenimento dei frammenti con iscrizioni, accompagnati da terrecotte raffiguranti figure femminili. La presenza di oggetti d'uso tipicamente femminile, uniti a reperti relativi ad un differente ambito – alcune armi, una statuetta di guerriero in bronzo – sono stati interpretati come testimonianze dell'esistenza su Monte Barbaro di un luogo di culto dedicato ad una divinità femminile, ma con sfera d'influenza connessa anche ad ambiti maschili; si veda de La Genière 1976-1977; di recente sull'argomento De Vido 2006, 157-158; de Cesare 2009; de Cesare, Serra 2012, 261, 265-266; de Cesare c.d.s.

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta anni '50 e l'inizio degli anni '90 sulla sommità e lungo le pendici del Monte Barbaro, dunque, consentono di ipotizzare l'esistenza di un abitato e di un santuario sul pianoro sommitale del rilievo, con attestazioni a partire dalla fine del VII sec. a.C., se non addirittura precedenti (la 'capanna protostorica', supra, paragrafo 1.1). Tale insediamento avrebbe subito una o più distruzioni ed i suoi resti sarebbero stati gettati di volta in volta dalla sommità finendo per ricoprire una vasta zona lungo il pendio del monte e attenuando così l'asprezza del rilievo. Dei saggi effettuati in passato dalla Soprintendenza a Grotta Vanella sono attualmente visibili tre profonde trincee (fig. 7). Nonostante il terreno incolto e la scarsa visibilità, le sezioni di scavo mostrano chiaramente l'esistenza di diversi strati ben distinguibili l'uno dall'altro che seguono l'andamento del pendio.

al 420-410 a.C. I rinvenimenti di ceramica dipinta costituiscono il 68% di tutti i materiali di produzione locale da Grotta Vanella, contro il 23% della ceramica ingubbiata ed acroma, mentre solo il 2% è costituito da incisa ed impressa ed il restante 7% da ceramica d'impasto, quasi tutta da fuoco (fig. 8). I materiali provenienti dallo scarico formano l'intelaiatura su cui si basa l'intero ordinamento tipologico di seguito presentato (infra, capitolo 2.2). Fatte salve rarissime eccezioni, infatti, in tale contesto è attestata pressoché la totalità delle forme e dei tipi attualmente noti della classe in ambito segestano. La varietà morfologica si affianca inoltre ad una grande varietà della decorazione, pur nel quadro di schemi decorativi alquanto ripetitivi propri della ceramica dipinta della Sicilia occidentale. Degni di nota risultano soprattutto i frammenti con decorazione figurata (alcuni già editi in Tusa 1997, 1322, tav. CCLXX), tra cui un esemplare con figure umane inserite in un contesto narrativo (n. 391). Le modalità di scavo del deposito, unite alla carenza della documentazione, non consentono purtroppo di ricavare utili indicazioni al fine di precisare la cronologia dei materiali indigeni. È stato comunque possibile individuare alcuni limitati settori dello scavo in cui le ceramiche d’importazione in associazione mostrano un orizzonte cronologico coerente e riferibile agli ultimi decenni del VII - inizio del VI secolo a.C.,17 a differenza della restante parte del deposito, caratterizzata da una notevole mescolanza di materiali inseribili nell’ampio arco cronologico di tre secoli (fine VII – fine IV sec. a.C.), con preponderanza di materiale importato rispetto alle classi di produzione locale. Si tratta dei rinvenimenti pertinenti allo scavo compiuto nel 1977 da J. de La Genière, nella parte più profonda dell’interro, a contatto con la roccia. Tali livelli d’interro, che mostrano una proporzione tra ceramica importata e di produzione locale differente rispetto alla restante massa dei rinvenimenti,18 presentano una maggior coerenza cronologica, e dunque una maggior affidabilità 'stratigrafica'. Da tali materiali si son prese le mosse per cominciare a delineare una seriazione cronotipologica della classe a decorazione geometrica dipinta. Sono presenti nei livelli più bassi dell'interro forme e tipi ricorrenti, che delineano un quadro di minor varietà morfologica rispetto alla restante parte del deposito, con la rilevante presenza di tazze-attigitoio, di scodelle ad orlo introflesso (tipo A) e ad orlo arrotondato e vasca carenata (tipo H). Sono inoltre frequenti le oinochoai nonché le anforette e le anfore con orlo a breve tesa (tipo A).

I materiali Gli scavi effettuati nello scarico di Grotta Vanella hanno portato in luce un'enorme massa di materiale ceramico,15 la cui revisione generale ha condotto a modificare in parte le conclusioni a cui Vincenzo Tusa e Juliette de La Genière erano giunti in merito alla composizione del deposito archeologico e ai suoi limiti cronologici. Ad un più dettagliato esame infatti le proporzioni tra classi ceramiche di produzione locale e importate, calcolate sull'insieme di tutti i materiali dello scarico, si sono rivelate invertite rispetto a quanto indicato nelle pubblicazioni preliminari, che riportavano dati relativi ai soli materiali dei livelli più bassi dell'interro, con un'evidente preponderanza delle seconde rispetto alle prime. 16 La classe di gran lunga più attestata risulta essere la vernice nera, il cui studio, tuttora in corso, ha condotto ad abbassare il limite cronologico inferiore dello scarico. Sono infatti presenti ceramiche databili con certezza al IV sec. a.C. (de Cesare, Serra 2012, 265-267, fig. 471), che portano a rivedere l'ipotesi della de La Genière secondo cui, dopo una rarefazione delle presenze nella seconda metà del V sec. a.C., l'accumulo di materiali sarebbe cessato del tutto intorno 15 La ceramica da Grotta Vanella è stata solo parzialmente edita attraverso sintetici resoconti: Tusa 1968; de La Genière 1976-1977, 680-685; de La Genière, Tusa 1978, 11-15. Maggior attenzione è stata rivolta in passato ai frammenti iscritti, studiati anche in funzione del problema all'origine degli Elimi: Durante 1961; Schmoll 1961; Parlangeli 1967; Ambrosini 1968-1969; Lejeune 1969; Agostiniani 1977; Agostiniani 1989; Biondi 1992; Biondi 1997; Biondi 2000; Agostiniani 2006. La revisione dell'intero deposito è attualmente in corso a cura di Monica de Cesare. Nell'ambito di tale revisione sono stati censiti ed inventariati circa 60.000 frammenti relativi ad elementi diagnostici (orli e fondi; più di 100.000 i rinvenimenti nella loro globalità). Una notizia preliminare, ancora parziale, dei dati desunti è in de Cesare, Serra 2012; de Cesare c.d.s. Sulla ceramica figurata de Cesare 2009; sintetiche notazioni sulla ceramica indigena in Serra c.d.s. 16 Le proporzioni calcolate sulla base di circa un terzo della totalità dei materiali rinvenuti sono di 38% di ceramica locale contro il 62% di ceramica importata: de Cesare, Serra 2012, 262.

17 Le poco numerose importazioni sono costituite da coppe a filetti d'imitazione, cui si aggiunge una coppa di tipo ionico B 1, del tutto assenti sono invece le coppe B 2, per altro abbondantissime nella restante parte dell'accumulo. Ad esse si aggiungono poi frammenti di ceramica corinzia (due alabastra riferibili al Corinzio Antico). 18 La proporzione è di solo 5% di materiali importati a fronte del 95% di produzioni locali.

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Materiali e contesti di rinvenimento

Fig. 7. Segesta. Scavi in località Grotta Vanella: pianta schematica e sezione delle trincee attualmente visibili (rilievo di C. Cassanelli).

Fig. 8. Percentuali delle classi ceramiche di produzione locale dallo scarico di Grotta Vanella. 15

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta Estremamente rare le scodelle con orlo triangolare e vasca leggermente carenata (tipo B), le più diffuse nella restante parte del deposito. I tipi qui menzionati potrebbero dunque configurarsi come i più antichi della produzione a decorazione dipinta segestana (si veda anche supra, 1.1). Interessante, infine, è l'abbondanza di vasi potori di tradizione indigena che trova corrispondenza nell'esiguità di importazioni, interamente riferibili a tale categoria funzionale, con proporzioni ribaltate dunque rispetto a quelle calcolate sul complesso dei rinvenimenti di Grotta Vanella (de Cesare, Serra 2012, 263). Utili come riscontro delle ipotesi di cronotipologia avanzate sono anche i reperti, sia indigeni che greci, provenienti dall'ultima campagna di scavo, avvenuta nel 1982. Infatti, sebbene anche in questo caso non sia possibile avvalersi di veri e propri dati stratigrafici, le indicazioni presenti sulle cassette consentono di riconoscere i vari livelli dell'interro (indicati come 'tagli' e numerati da I a XVII) da cui provengono i materiali. Tale distinzione, per quanto grossolana, trova riscontro nella cronologia dei materiali d'importazione, che si caratterizzano per una maggiore arcaicità nei tagli più bassi, con netta preponderanza della ceramica corinzia, e per recenziorità nei tagli più superficiali, con una cronologia di fine VI – primi decenni del V sec. a.C. È possibile inoltre notare una differenza tipologica anche nella ceramica locale, con maggior frequenza delle scodelle di tipo A e di tipo H nei livelli inferiori (infra, capitolo 3).

5318),20 il cui scavo si è rivelato interessante per datare la frequentazione della struttura, pur nell'esiguità dei materiali rinvenuti. Lungo le pareti perimetrali della zona a monte corre una canaletta intagliata nella roccia (US 5307). Una buca di palo è posta approssimativamente al centro dell'ambiente I (US 5310), mentre una seconda probabile buca si trova all'esterno dello stesso vano (US 5321), ricavata nella parete perimetrale orientale, possibile indizio di un elevato ligneo (Bechtold, Favaro 1995, 1130). Lo scavo della casa 'rupestre' ha messo in luce una fase insediativa che gli scavatori hanno posto tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C., ed una fase di abbandono, che comincia nel pieno V sec. a.C. e si conclude con l'obliterazione della struttura, ricoperta da ultimo dai detriti di versante (US 5302, US 5303 ed US 5305, con materiali databili al IV-III sec. a.C.). Di questa seconda lunghissima fase, ai fini della presente ricerca, interessa soprattutto il primo momento, relativo all'abbandono delle strutture. Al periodo di frequentazione della casa (Bechtold, Favaro 1995, 1131) si riferisce l'US 5314, strato d'uso individuato nella fascia settentrionale dell'ambiente III, ricco di materiale ceramico e frammenti di tegole, con una particolare concentrazione di pesi da telaio e frammenti di vasi nell'angolo N. L'US 5328 è lo strato d'uso scavato invece negli ambienti I e II. L'abbandono (Bechtold, Favaro 1995, 1132) è testimoniato dal riempimento della canaletta US 5308 e dal secondo livello di riempimento del silos (US 5315, 5316) e si data a partire dal pieno V sec. a.C. L'obliterazione dell'edificio è rappresentata infine da strati con materiali che vanno dal V alla seconda metà del III sec. a.C. (US 5309, 5313 e 5304). L'area non presenta tracce di frequentazione in periodi successivi all'abbandono della casa: questa favorevole situazione ha consentito di indagare un contesto, sia pur periferico rispetto all'abitato segestano, che ha conservato preziose indicazioni cronologiche, altrove perdute. 21

1.4 La casa di contrada Costa Bagarelle Il contesto I reperti più integri relativi all'abitato di età arcaica provengono dalle pendici sud-occidentali di Monte Barbaro, nella località Costa Bagarelle, in prossimità di Porta di Mango (Camerata Scovazzo 1997, 209-210). Si tratta di un'abitazione parzialmente tagliata nella roccia, che costituisce uno dei pochi contesti stratigraficamente affidabili relativi alla Segesta di età tardo-arcaica.19 La struttura (figg. 9-10) è costituita da due parti ottenute regolarizzando il pendio roccioso, che presentano tra di loro un dislivello di circa 60 cm e sono raccordate attraverso un gradino (US 5320). La parte a monte, il cui calpestio è a quota più elevata, è articolata in due vani (ambienti I e II) mediante un tramezzo in muratura (US 5319, in blocchi di calcare sbozzati e legato da limo argilloso). Il più ampio ambiente III, posto a valle, presenta nell'angolo occidentale un silos piriforme (US

I materiali I materiali provenienti dalla casa 'rupestre' di Costa Bagarelle consentono di ricavare fondamentali indicazioni cronologiche sulla classe ceramica qui presa in esame, pur trattandosi di frammenti di numero relativamente esiguo. Lo studio dei reperti non può dunque prescindere dalla ricognizione approfondita di altre classi ceramiche oltre all'indigena geometrica 20 Un silos di forma analoga è stato rinvenuto in un'altra abitazione di età arcaica riutilizzata in età tardo-ellenistica ubicata sul versante nord-occidentale del Monte Barbaro (SAS 5): Camerata Scovazzo, Favaro 1991, 870; Bechtold, Favaro 1995, 1131; Camerata Scovazzo 1997, 209, 217-219. 21 L'abitato arcaico doveva sorgere in gran parte sul Monte Barbaro, e le tracce più evidenti, costituite soprattutto da tagli nella roccia, si trovano sulla cosiddetta acropoli S e nell'avvallamento tra le due acropoli; Camerata Scovazzo 1997, 209.

19 Lo scavo è stato condotto nel 1990, sotto la direzione di R. Camerata Scovazzo, ed è edito solo attraverso una relazione di scavo: si veda Bechtold, Favaro 1995.

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Materiali e contesti di rinvenimento dipinta, necessaria sia per l'individuazione di dati cronologici che per l'eventuale distinzione funzionale tra manufatti di classi diverse. Di fondamentale importanza sono i rinvenimenti dagli strati d'uso US 5314 e 5328, in cui i frammenti a decorazione geometrica dipinta sono accostati a ceramica a vernice nera sia attica che coloniale, ceramica a bande, coppe di tipo ionico, kotylai di tipo corinzio. Dall'ambiente III proviene il più cospicuo numero di reperti, in buona parte ricostruibili. Tra gli esemplari a decorazione geometrica dipinta si trovano tre scodelle carenate (tipo I: nn. 107-109), dal profilo molto simile a quello delle tazze attingitoio di tipo A1, da cui si differenziano principalmente per la mancanza dell'ansa. È da sottolineare come il tipo sia stato individuato con certezza unicamente nella casa 'rupestre', mentre frammenti simili provenienti da altri contesti sembrano in massima parte da attribuire ad attingitoi (sulle differenze tra le due forme infra, capitolo 2.2). Ha confronti poco numerosi e non stringenti in altri contesti segestani anche un bacino con orlo a tesa ed anse soprelevate a doppio bastoncello (n. 155), quasi interamente ricostruito. Numerosi frammenti relativi ad una brocca (n. 279), solo parzialmente ricomponibile, consentono di ricostruire il profilo di questa forma, altrimenti attestata a Segesta solo da esemplari estremamente frammentari (infra, capitolo 2.2). Accanto ai materiali indigeni si trovano vasi di produzione sia coloniale che attica costituiti da forme potorie, tra cui tre piccole kotylai di tipo tardo-corinzio e una coppa di tipo ionico B2 (Bechtold, Favaro 1995, 1133-1136). Interessante è la concentrazione di 24 pesi da telaio rinvenuti nell'angolo N dell'ambiente III, indicanti con grande probabilità una delle attività domestiche che dovevano svolgersi nel vano più grande dell'abitazione. Lo strato d'uso scavato negli ambienti I e II (US 5328) è meno ricco di materiali, che si presentano in condizioni molto frammentarie (Bechtold, Favaro 1995, 1138-1139). La ceramica indigena dipinta è costituita da un orlo di anfora di tipo B e da un piede ad anello di grosso vaso, probabilmente chiuso. In cattivo stato di conservazione è anche la ceramica di produzione non locale, tra cui sono da annoverare un frammento di exaleiptron di tipo corinzio decorato a linguette, di produzione coloniale, un orlo di coppa a bande, un piede di coppetta, un piede di skyphos attico e, infine, un becco di lucerna. La revisione integrale dei materiali da noi effettuata ha consentito di porre la datazione di tutti gli strati d'uso dell'ambiente tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. Negli strati 5313, 5315, 5316, 5308, attestanti il primo periodo di abbandono dell'area, i frammenti indigeni a decorazione dipinta22 sono meno frequenti e in

proporzioni minoritarie rispetto alla ceramica greca e coloniale. Quest'ultima è costituita in buona parte da vernice nera di produzione attica,23 a cui si accostano alcuni frammenti di fabbrica coloniale. 24 L'insieme dei rinvenimenti consente di datare entro la metà del V sec. a.C. l'abbandono dell'area, sulla base soprattutto dei cupskyphoi attici e della stemless cup (Bechtold, Favaro 1995, 1132-1133, 1136-1137). I posteriori strati di obliterazione, costituiti in buona parte da materiali scivolati dal versante del monte, restituiscono invece abbondante ceramica a decorazione geometrica dipinta, rilevante unicamente per l'analisi di carattere tipologico. Dalle US 5300, 5302 e 5304 provengono numerose scodelle di tipo B e B1 e bacini di tipo A, che sono tra i tipi maggiormente attestati a Segesta; non mancano tipi meno frequenti come frammenti di scodelle G. Infrequenti le forme chiuse, costituite da una brocca, un'anfora di tipo A e due olle. Attestati anche i crateri: probabilmente a questa forma di derivazione greca si devono attribuire due frammenti di orli a tesa. Dallo strato più superficiale, infine, proviene un orlo di bacino indigeno acromo di produzione entellina. Un primo dato generale di notevole interesse è costituito dal rapporto quantitativo tra materiali importati e manufatti prodotti localmente, che appare evidentemente sbilanciato a favore dei primi. Tra gli stessi materiali di produzione locale la ceramica acroma è preponderante rispetto alla dipinta. Tale elemento si combina con le indicazioni cronologiche fornite dalle fasi di uso e di primo abbandono del contesto. Infatti negli strati d’uso databili tra la fine del VI sec. a.C. e gli inizi del V sono stati rinvenuti vasi a decorazione dipinta quasi interamente ricostruibili, e quindi evidentemente coevi alla formazione dello strato. Invece ben differente è la situazione dei successivi strati d’abbandono, in cui frammenti di tale classe ceramica appaiono solo sporadicamente, e spesso sono del tutto assenti. Solamente nei più superficiali livelli di obliterazione, costituiti da detriti di versante, la ceramica dipinta torna ad essere abbondante. Queste evidenze, combinate con informazioni desunte da altri contesti segestani, forniscono l'intelaiatura per una prima scansione cronologica della classe (infra, capitolo 3).

materiali indigeni non decorati vale la pena menzionare un orlo di olla ed un'ansa a nastro probabilmente pertinente ad una grossa brocca (US 5316). 23 Si tratta dell'ansa di una stemless cup / delicate class, di un orlo di forma aperta (US 5308), di buona parte di un cup skyphos, del bocchello di una lekythos (US 5316), del frammento di un orlo estroflesso di cup skyphos (US 5313): Bechtold, Favaro1995, 11311133, 1136-1137. 24 Un frammento di orlo di skyphos, un piede di coppa di tipo C (US 5316): Bechtold, Favaro 1995, 1136-1137.

22 Sono presenti un frammento di orlo di anfora di tipo A, un frammento di orlo a breve tesa di brocca (US 5316) e, unica forma in buona parte ricostruibile, una scodella carenata (US 5313) analoga a quelle rinvenute nello strato d'uso US 5314. Tra i

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta

Fig. 9. Segesta SAS 8: pianta generale (rielaborazione da Bechtold, Favaro 1995).

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Materiali e contesti di rinvenimento

Fig. 10. Segesta SAS 8: sezioni (rielaborazione da Bechtold, Favaro 1995).

1.5 Il santuario di Contrada Mango

dell'area da questo delimitata. Fu rinvenuto un muro di peribolos (fig. 11) parzialmente controterra, conservato su tutti e quattro i lati. A S e a W il recinto è costituito da doppi filari di blocchi in travertino perfettamente squadrati, alternati in diatoni ed ortostati, mentre i lati N ed E da filari singoli posti a diatoni. L'ingresso si trovava probabilmente sul lato orientale.26 All'interno del recinto in origine doveva sorgere un tempio periptero dorico, alle cui fondazioni sono probabilmente da riferirsi alcuni lembi di strutture murarie in situ.27 I numerosi elementi architettonici superstiti (rocchi di colonne, capitelli, blocchi di trabeazione) hanno consentito di definire un orizzonte cronologico della metà del V sec. a.C. per

Il contesto Un altro contesto degno d'interesse è quello del cosiddetto santuario arcaico di contrada Mango, indagato tra il 1953 e il 1961 da Vincenzo Tusa. 25 L'area sacra si trova alla base delle pendici meridionali del Monte Barbaro, in una zona pianeggiante, delimitata ad oriente dal torrente Pispisa. Il santuario è collegato da un ripido sentiero con gradini intagliati nella roccia (Tusa 1961, 3233) alla sommità del monte, dove in età arcaica e classica doveva sorgere l'abitato segestano. Le indagini si svolsero attraverso la realizzazione di trincee, che misero in luce l'imponente recinto sacro, e di piccoli sondaggi in profondità, sia lungo il muro perimetrale che all'interno

26 La struttura occupa un'area rettangolare, ha orientamento EW, con lati lunghi di 83,40 m e brevi di 47,80 m; Tusa 1961, 34; Tusa 1992, 621. 27 Ibidem; lo studioso attribuisce inoltre ad una struttura precedente al grande tempio dorico due ulteriori blocchi in calcarenite rinvenuti in situ.

25 Tusa 1957, 79-93; Tusa 1961, 31-48; Tusa 1992, 617-625. Per una bibliografia completa sul santuario di contrada Mango si veda inoltre de Cesare 2009, 650, nota 8.

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta l'edificio templare.28 V. Tusa, d'altra parte, aveva posto l'edificazione del muro di temenos nel VI sec. a.C., sulla base di alcuni saggi di scavo che avevano rivelato la presenza di ceramica indigena dipinta ed incisa, senza alcuna traccia di ceramica greca, nei riempimenti delle fosse di fondazione.29 L'indagine nell'area del santuario riprese nel 1968, con lo studio geologico portato avanti da R. Catalano e G. Maniaci dell'Università di Palermo (Catalano, Maniaci 1992), su invito di V. Tusa. Lo studio è consistito in un rilievo topografico e in un accurato rilievo geologico, cui ha fatto seguito l'analisi autoptica della stratigrafia visibile nelle sezioni dei vari saggi di scavo. Lo studio litostratigrafico dell'area del santuario ha condotto gli studiosi a ricostruire la pianta dell'edificio templare, di cui si è conservata traccia sul terreno unicamente attraverso trincee di fondazione delle strutture, diventate poi in realtà trincee di spoliazione, data l'asportazione pressoché totale dei blocchi architettonici. I risultati dell'indagine hanno confermato l'esistenza di un tempio di tipo greco, già ipotizzata sulla base dei numerosissimi elementi architettonici, con pianta a cella tripartita in naos, pronaos ed opistodomos, e peristasi.

La frammentarietà delle notizie sugli scavi del santuario arcaico, mai definitivamente editi, trova corrispondenza nell'esiguità di informazioni che si hanno sui materiali rinvenuti, studiati solo in minima parte. 30 A chi scrive è stato possibile prendere in visione un numero limitato di reperti, in quanto buona parte dei materiali non sono attualmente fruibili per lo studio. Questo fattore ha reso ancor più complesse le analisi e le valutazioni conclusive, già fortemente limitate dalla mancanza della documentazione di scavo. Non è stato possibile desumere indicazioni di carattere cronologico dallo studio congiunto della ceramica indigena e greca, studio che tuttavia può fornire alcune informazioni sugli aspetti funzionali delle nostre ceramiche. L'importanza del materiale ceramico rinvenuto nel santuario di contrada Mango, infatti, è data in particolare dalla sua provenienza da un contesto di sicura funzione santuariale. Le forme più attestate sono le scodelle (tipi A, B, D) e i bacini (tipo A); più rare, ma comunque ben attestate,

sono le forme chiuse: anfore, anforoni, olle e brocche. Sono dunque presenti sia vasi da mensa che da dispensa. Tra i vasi potori e da mescita troviamo diverse brocche e tazze-attingitoio. Le percentuali di attestazione delle varie forme di ceramica indigena dipinta rispecchiano quelle della generalità dei rinvenimenti segestani, mentre divergono le percentuali tra le diverse classi; infatti la gran massa di manufatti indigeni attualmente visibili è costituita da vasi non decorati e modellati a mano. 31 Pur nella relativa esiguità dei frammenti a decorazione geometrica dipinta rinvenuti è stato comunque possibile individuare alcune singolarità morfologiche e tipologiche, probabilmente da connettersi proprio all'ambito sacrale. Degna di menzione è la presenza del fondo di un attingitoio (n. 171) che, pur rientrando nella tipologia delle tazze-attingitoio di tipo A1, abbondanti nello scarico di Grotta Vanella, mostra differenti proporzioni tra le varie parti del vaso ed una sintassi decorativa che si distacca da quella, estremamente ripetitiva, degli esemplari segestani finora noti. Inoltre degno di nota è un grosso vaso aperto con orlo a tesa e profonda vasca arrotondata (n. 209), di cui sono pervenuti due esemplari molto frammentari, che non trova confronto in altri rinvenimenti segestani. Il tipo può essere accostato a quelli che C. Trombi definisce genericamente 'vasi globulari', individuandone la diffusione nella Sicilia centrale e centro-orientale nel VI sec. a.C.32 Ancor più interessanti sono le analogie morfologiche – corpo globulare ed orlo estroflesso a superficie piana – con dinoi di produzione coloniale rinvenuti anche in centri anellenici come Colle Madore. 33 L'impossibilità di ricostruire il profilo completo del nostro vaso impedisce di definirne l'appartenenza ad una precisa forma funzionale, tuttavia gli elementi di somiglianza col dinos-cratere dal sacello tardo-arcaico di Colle Madore sono significativi proprio per la provenienza di quest'ultimo da ambito cultuale, che potrebbe indicare un’affinità di funzione tra i due vasi (infra, capitolo 4). Anche nel contesto del santuario di Mango sono individuabili frammenti di provenienza sicuramente non segestana, in particolare un orlo di scodella di fabbrica entellina, la cui superficie abrasa impedisce di comprendere se sia decorata o meno; tale testimonianza contribuisce ad arricchire il quadro delle presenze allogene tra la ceramica indigena segestana.

28 Mertens 2006, 408-409; Mertens pone il tempio di Mango, sulla base delle misurazioni degli elementi architettonici conservati, a metà tra i templi siciliani dello stile severo e quelli ormai pienamente classici; localizza inoltre a Selinunte la provenienza delle maestranze che lavorarono all'edificazione del tempio. 29 In particolare lo strato II, che Tusa ritiene anteriore alla costruzione del peribolos, ha restituito ceramica che lo studioso definisce “cocciame d'impasto”, attribuendolo a “fabbrica siciliana dei secoli VIII-VI”; Tusa 1961, 37-38. 30 Sui metalli rinvenuti nel santuario si veda Di Noto 1997; le altri classi di materiali non hanno ancora trovato una compiuta pubblicazione. Alcuni elementi architettonici sono stati preliminarmente editi in La Porta 1992 e in Mertens 2006, 408-409. Note di sintesi sulla ceramica indigena da ultimo in Serra c.d.s. a.

31 Bisogna comunque precisare che ogni valutazione di carattere quantitativo è limitata dall'impossibilità di visionare la globalità dei rinvenimenti. 32 Trombi 1999, tav. LXXXVII, S1, tavv. XCI-XCII. La studiosa segnala la presenza di vasi di forma globulare, che sono probabilmente da interpretare come olle, nelle aree della Valle dell'Imera e dei Monti Erei. 33 Tardo 1999, 179-180. Il dinos-cratere di Colle Madore, del resto, proviene dal sacello tardo-arcaico ed è dagli editori messo in relazione con attività cultuali legate alle acque: Vassallo 1999, 5051.

I materiali

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Materiali e contesti di rinvenimento

Fig. 11a-c. Segesta. Santuario di contrada Mango: strutture emergenti ed elementi architettonici erratici.

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La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta 1.6 Le fortificazioni di Porta di Valle

questa fase sono alcuni strati d'uso (US 5833, 5814, 5829, 5828), utili per la definizione cronologica della ceramica indigena. Da questo punto di vista può inoltre essere interessante lo strato US 5831, di limo argilloso compattato, da interpretarsi come calpestio di parte del piano terra della torre. I materiali indigeni, presentati da C. Biagini su base unicamente tipologica,34 sono caratterizzati da una relativa povertà morfologica, pur nell'ampiezza del contesto analizzato. La massima parte di essi trova riscontri precisi in esemplari da altri scavi segestani; fanno eccezione i bacini di tipo II (bacini con ampio orlo a tesa, vasca a profilo convesso ed ansa a bastoncello obliqua che si ricongiunge all'orlo: Biagini 2008, 148, nn. 9-13, tavv. II-III), confrontabili con un bacino da Entella.35 In quest'ambito possono risultare significative anche alcune assenze, che potrebbero assumere una valenza cronologica, come ad esempio le scodelle di tipo H, alla cui probabile appartenenza alle fasi più antiche della produzione si è già accennato. Le proporzioni tra le forme a Porta di Valle sono ribaltate rispetto alla generalità dei rinvenimenti segestani, per la prevalenza delle forme chiuse, rappresentate per la maggior parte da anfore/hydriai da mensa, mentre di gran lunga meno numerose, con un rapporto di 1/3 circa, sono le forme aperte, all'interno delle quali quella più diffusa è il bacino (Biagini 2008, 145). Eccezion fatta per le oinochoai trilobate, sono del tutto assenti le imitazioni greche di vasi potori e da mescita, che quindi sono attestati unicamente nei tipi di tradizione locale rappresentati dalle tazze-attingitoio. Alla monotonia morfologica corrisponde un'analoga povertà decorativa, che riprende la schematica sintassi ritenuta tipica delle produzioni della Sicilia occidentale (Trombi 1999, 286-287), con l'assenza di motivi fitomorfi, di elementi di derivazione greca e di immagini zoomorfe, ben attestati invece nei materiali da Grotta Vanella. Peculiarità della ceramica indigena dipinta rinvenuta presso le fortificazioni di Porta di Valle sembra dunque essere una scarsa varietà sia morfologica che decorativa, le cui ragioni potrebbero risiedere sia in fattori di carattere cronologico, trattandosi perlopiù di materiali ascrivibili ad una ben precisa fase, piuttosto tarda, della produzione, sia in fattori legati al contesto e quindi al tipo di utilizzo dei manufatti. Quest'ultimo elemento potrebbe forse giustificare l'assenza di vasi potori d'imitazione greca, presenti sia nel santuario di contrada Mango che nello scarico di Grotta Vanella, in due ambiti quindi in cui la funzione delle suppellettili doveva essere cultuale.

Nella trattazione dei contesti segestani da cui proviene ceramica a decorazione geometrica dipinta un posto di riguardo spetta alla fortificazione di Porta di Valle, i cui materiali non sono stati oggetto di osservazione autoptica da parte di chi scrive, in quanto già compiutamente editi nella monografia riguardante il contesto (Segesta III 2008; si vedano inoltre Favaro 1997; Polizzi 1997). Il complesso è qui dunque considerato come contesto di riferimento, e i materiali, il cui ordinamento tipologico si deve a Chiara Biagini (Biagini 2008), forniscono i primi e più immediati confronti per i frammenti a decorazione geometrica dipinta analizzati nel presente lavoro. Lo scavo diretto da Rosalia Camerata Scovazzo tra il 1990 e il 1993 ha interessato la piccola valle posta alle pendici nord-occidentali di Monte Barbaro, in cui venne messa in luce una delle principali porte d'accesso alla città, aperta nella cinta muraria inferiore. L'indagine ha consentito di ricostruire le numerose fasi di frequentazione dell'area (Favaro 2008, 30-72), dall'insediamento di età arcaica (I fase), alla prima porta tardo-arcaica (II fase), alla successiva fortificazione dell'accesso avvenuta in età classica (fasi III a-c), alla sua chiusura e trasformazione in bastione fortificato (fase IV) e all'arretramento della cinta muraria (fase V), fino al riuso parziale nel I secolo a.C. (fase VI) ed all'impianto di attività legate alla produzione dell'olio nel II secolo d.C., dopo la costruzione della cinta muraria superiore (VII fase). Le fasi più interessanti ai fini della nostra ricerca sono le prime tre, che vanno dal VI all'inizio del IV sec. a.C., contemporanee quindi al periodo centrale e finale della produzione della classe a decorazione geometrica dipinta. Le più antiche tracce di insediamento (Favaro 2008, 30-31) sono riferibili a un contesto abitativo di cui rimangono una buca di palo (US 5635) e dei focolari databili tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C. (US 5634, 5626, 5623). Altri labili resti di strutture (US 5866), connesse a strati d'uso (US 5889, 5867) e focolari (US 5863), hanno come terminus ante quem l'inizio del V sec. a.C., a cui si data lo strato di argilla che sigilla il contesto. L'abitato venne abbandonato intorno alla fine del VI sec. a.C., con la costruzione della prima fortificazione, che consisteva in una porta di struttura molto semplice costituita dal ripiegamento all'interno dei due setti murari. Il corridoio d'ingresso doveva essere in origine bipartito da un montante centrale (Favaro 2008, 32-41). Gli strati d'uso di questa seconda fase non si sono conservati e i limiti cronologici vengono dati dal terminus post quem dell'insediamento precedente e dalle successive modificazioni, che cominciarono alla metà del V sec. a.C., con la costruzione della torre W (fase III/A: Favaro 2008, 32-41). La prima delle due torri che fiancheggiano l'apertura della porta tardo-arcaica è conservata nel suo impianto originario solo per parte dei due paramenti meridionale ed occidentale. Pertinenti a

34 La studiosa afferma in premessa al proprio lavoro l'impossibilità di ottenere indicazioni cronologiche dai materiali presentati, a causa della provenienza da strati superficiali o comunque tardi: Biagini 2008, 143. 35 Si tratta di un frammento inedito dall'area del vallone orientale.

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2. CARATTERISTICHE TECNICHE, FORMALI E DECORATIVE

2.1 La tecnologia e gli impasti Lo studio della ceramica a decorazione geometrica dipinta rinvenuta a Segesta si è basato sull'osservazione diretta di circa 10.000 frammenti, provenienti per massima parte dallo scarico di Grotta Vanella e in misura minore dal santuario di Contrada Mango, dagli scavi dell'agora sul Monte Barbaro e dalla casa 'rupestre' di contrada Costa Bagarelle. All'interno di tale massa di reperti sono stati selezionati e analizzati nel dettaglio 781 frammenti, scelti in base alle loro proprietà diagnostiche sia a livello morfologico, sia a livello decorativo, sia a livello tecnologico. Il gran numero di reperti presi in visione ha consentito di delineare un quadro generale della ceramica segestana ricco ed articolato, all'interno del quale risaltano talune caratteristiche d'insieme che, pur con le dovute eccezioni, configurano la classe come omogenea e di livello qualitativo mediamente più basso rispetto alle produzioni di altri centri della Sicilia occidentale. La tecnica di foggiatura utilizzata è la lavorazione al tornio,1 con rare eccezioni di modellazione a mano (nn. 106, 161), mentre per i grossi vasi da dispensa è facilmente ipotizzabile la realizzazione con la tecnica a colombino. Le linee di tornitura sono nettamente visibili soprattutto sulla superficie interna delle forme chiuse di dimensioni medio-piccole, mentre il trattamento superficiale esterno, e interno nel caso dei vasi aperti, le ha solo in parte camuffate. Tale trattamento, infatti, nella maggior parte degli esemplari è costituito da una semplice lisciatura non troppo accurata. Talvolta è riconoscibile un ingobbio poco spesso, di colore chiaro bianco (10YR8/1, 10YR8/2), rosato (7.5YR8/2, 7.5YR8/4), marrone chiaro (10YR8/3, 10YR7/3) o grigio chiaro (10YR7/2) - che riveste entrambe le superfici nelle forme aperte, mentre le forme chiuse lo hanno solo all'esterno e su parte della superficie interna del collo. Più di frequente il rivestimento manca e le superfici appaiono schiarite, assumendo tonalità simili a quelle dell'ingobbio vero e proprio. Le cause di tale fenomeno, definito da Cuomo di Caprio come “ingobbio fantasma”, sono da ricercarsi nella particolare composizione chimica dell'impasto argilloso,2 che in cottura provoca una colorazione esterna molto chiara. Due soli esemplari (nn. 59 e 172) presentano evidenti tracce di politura a stecca. Sulle superfici così trattate si sviluppa la decorazione di

tipo geometrico o lineare, generalmente di colore bruno o grigio scuro e meno frequentemente rosso più o meno cupo e verde-marrone (infra, paragrafo 2.3). Frequenti sono le imperfezioni, come fessurazioni, bolle e calcinelli. L'aspetto del corpo ceramico in frattura è piuttosto variegato e ha come caratteristiche comuni una certa grossolanità e un alto numero di inclusi, pur con evidenti differenze e non rare eccezioni, che hanno condotto all'individuazione di vari gruppi di impasto. Una prima distinzione degli impasti è stata effettuata sulla base dell'osservazione autoptica, con l'ausilio di una lente a dieci ingrandimenti. Criteri distintivi per l'individuazione sono stati la durezza e la tessitura del corpo ceramico, la frequenza considerata in percentuale, 3 le dimensioni, la qualità e l'aspetto degli inclusi; ulteriore e solo secondario elemento di distinzione è stato il colore della superficie e del nucleo del corpo ceramico. Questi criteri hanno consentito di individuare preliminarmente 22 classi di impasto, a cui si aggiungono 6 sottoclassi, che verranno di seguito elencate con le loro caratteristiche di dettaglio.4 Gli impasti più diffusi risultano le classi 2, 1 e 3, che nella loro totalità, insieme alle sottoclassi, comprendono il 41% dell'intero campione esaminato. Tali impasti sono ampiamente attestati in pressoché tutte le forme di dimensioni piccole e medie. Maggiormente diffusi tra le forme da dispensa di grandi e medie dimensioni sono invece gli impasti della famiglia 8. Caratteristici di buona parte delle classi sono i clasti bianchi, più o meno tondeggianti, di dimensioni varie, che possono raggiungere anche diversi mm, soprattutto se in superficie. Si tratta di inclusi calcarei, presenti nell'argilla probabilmente per via naturale. Sono inoltre visibili generalmente inclusi di colore grigio, sia di aspetto angoloso che tondeggiante; meno frequente è la mica, abbondante in alcuni frammenti d'impasto più depurato di cui è stata accertata la fattura non segestana. Attestati in concentrazioni molto differenti tra le diverse classi d'impasto sono granuli tondeggianti di colore bianco lattescente, facilmente identificabili come quarzo. Ai quattro tipi di inclusi menzionati, presenti pressoché in tutte le classi, si aggiungono altri clasti, di aspetto vario, visibili solo in alcune di esse: si tratta di resti di microfossili, piccoli granelli di colore rosso scuro, inclusi puntiformi neri, chamotte ed impronte in negativo di

1

3

2

Sulla foggiatura al tornio, e sulle definizioni imprecise di 'tornio lento' e 'tornio veloce' si veda Cuomo di Caprio 2007, 175-205; sulla lavorazione a colombino e successiva rifinitura a 'tornio lento' ivi, 169-170; si veda inoltre Levi 2010, 79-85, con metodi per l'identificazione delle tecniche di foggiatura. In particolare sono gli impasti ricchi di calcite ed ossidi di ferro, oppure in cui è presente del cloruro di sodio, a schiarirsi in cottura: Cuomo di Caprio 2007, 311-312.

4

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Per definire attraverso l'osservazione autoptica la percentuale della frequenza degli inclusi sono state utilizzate le carte di comparazione contenute in Mattew, Woods, Oliver 1991, 240-263. Le schede presentate riassumono nel dettaglio la caratteristiche macroscopiche delle singole classi d'impasto. Nelle sezioni relative alla descrizione degli inclusi si è preferito ipotizzarne, ove possibile, il tipo, pur mantenendo l'incertezza su un'interpretazione basata sull'osservazione autoptica.

La ceramica a decorazione geometrica dipinta da Segesta frustuli vegetali. Nella maggior parte dei casi la tessitura è piuttosto grossolana, con frequenti piccole fessure. La colorazione dei corpi ceramici è molto varia e caratterizzata spesso da un'evidente discontinuità cromatica, con nucleo di colore grigio e strati esterni, di vario spessore, nelle tonalità del rosa, del rosso e del

marrone. Si tratta del fenomeno denominato “cuore nero” (Cuomo di Caprio 2007, 101; Levi 2010, 123), che evidenzia un'insufficiente ossigenazione dell'interno del corpo ceramico, dovuto ad un troppo rapido innalzamento della temperatura oppure ad un raffreddamento troppo veloce.

Catalogo delle classi d'impasto Impasto 1 (tav. 1, 1)

Colore superficiale: Colore nucleo: Durezza: Tessitura: Frequenza inclusi: Dimensione inclusi:

L'impasto è diffusamente attestato; è caratteristico delle forme da mensa, in particolare scodelle e bacini; presente anche in vasi da dispensa di piccole e medie dimensioni (olle), nonché in forme legate al consumo delle bevande, anche d'imitazione greca (anfore, oinochoai, tazze-attingitoio, skyphoi). reddish yellow (7.5YR6/6; 2.5YR6/6) gray (2.5YR5/0; gley 2 5PB5/1) molto dura (appena scalfibile con punta in acciaio) tessitura compatta, con piccoli vacuoli e fessure 10% circa dimensione prevalente