Internazionale 23/29 febbraio 2024. Numero 1551. Ucraina: la democrazia muore in guerra

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23/29 febbraio 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1551 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Slavoj Žižek Aleksej Navalnyj unico tra gli eroi

Scienza Rumori che fanno impazzire

Spagna Barcellona si risveglia senz’acqua

Ucraina La democrazia muore in guerra Un reportage di Masha Gessen

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 12,90 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

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23/29 febbraio 2024 • Numero 1551 • Anno 31 “Il folle è un critico culturale postmoderno”

Sommario Forme

23/29 febbraio 2024 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1551 • anno 31

internazionale.it

4,50 €

Slavoj Žižek Aleksej Navalnyj unico tra gli eroi

Scienza Rumori che fanno impazzire

Spagna Barcellona si risveglia senz’acqua

La democrazia muore in guerra Ucraina La democrazia muore in guerra Un reportage di Masha Gessen

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 12,90 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Giovanni De Mauro

È passato poco più di un anno da quando è uscito il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale. Era il 30 gennaio 2023. Da allora ci sono stati 266 episodi, cinquecento interviste, cento ore di ascolto per più di un milione di download al mese. Il Mondo è stabilmente in cima alle classifiche dei podcast d’informazione più ascoltati in Italia e, al di là dei numeri incoraggianti, dal punto di vista editoriale è la conferma che i podcast sono un modo efficace per raggiungere e informare tante persone. La voce di Claudio Rossi Marcelli e Giulia Zoli, che ogni giorno conducono il Mondo, insieme a quella delle giornaliste e dei collaboratori di Internazionale, è diventata una parte fondamentale della nostra informazione quotidiana, completata dalla newsletter che più o meno alla stessa ora del podcast, alle 6.30, arriva alle abbonate e agli abbonati. Questa settimana al Mondo si aggiunge il primo di una serie di nuovi podcast settimanali. Si chiama In copertina e, come suggerisce il nome, è la versione audio dell’articolo di copertina di Internazionale. All’inizio di ogni episodio, il redattore che ha selezionato l’articolo spiega la sua scelta in una breve introduzione. Il podcast In copertina esce ogni venerdì, all’ora di pranzo, ed è riservato a chi ha un abbonamento: può essere ascoltato solo dal sito di Internazionale o, più comodamente ancora, con la nuova app. È un modo diverso per “leggere” Internazionale, sfruttando i tempi della giornata in cui è più difficile mettersi a sedere con una rivista in mano. Si dice che il futuro dei giornali e più in generale dei mezzi d’informazione sarà soprattutto digitale e avrà molte forme diverse. I podcast sono una di queste. u

IN COPERTINA

A due anni dall’invasione russa, gli ucraini sono stanchi e disillusi. Le riforme democratiche sono bloccate e si combatte ancora. L’unico obiettivo è sopravvivere. Il reportage di Masha Gessen uscito sul New Yorker (p. 40). Foto di Lenka Klicperová

SPAGNA

16 Barcellona si risveglia senz’acqua Le Monde RUSSIA

20 Come Aleksej Navalnyj ha cambiato la politica russa Foreign Affairs SUDAN

25 Il sabotaggio dell’economia The East African CUBA

28 Anche gli anziani decidono di andare via El País INDONESIA

30 Le ombre

nel passato del nuovo presidente Asia Sentinel AMBIENTE

32 Il granchio che divora tutto Stefano Liberti per Internazionale LE OPINIONI

36 L’eroismo

38

ingenuo di Aleksej Navalnyj Slavoj Žižek Costringere Israele a scegliere la pace Gideon Levy

VENEZUELA

SCIENZA

50 Un albergo

96 I dispetti

troppo esclusivo De Groene Amsterdammer

che aiutano a crescere The Guardian

SENEGAL

ECONOMIA E LAVORO

56 Migranti

100 Il malcontento

ieri e oggi Die Zeit

passa per i social network The New York Times

SCIENZA

60 Rumori

Cultura

che fanno impazzire Psyche

80

Schermi, libri, suoni

Le opinioni

PORTFOLIO

64 Evitando

le punture Irina Werning RITRATTI

70 Michele Kang. Calcio d’inizio Nrc Handelsblad VIAGGI

72 Sotto i binari di Tokyo Nihon Keizai Shimbun GRAPHIC JOURNALISM

12

Alice Rohrwacher

80

Giorgio Cappozzo

82

Nadeesha Uyangoda

84

Giuliano Milani

88

Claudia Durastanti

101 Stefano Feltri

Le rubriche 4

Dalla redazione di Internazionale

12

Posta

15

Editoriali

95

Poesia

103 Strisce 105 L’oroscopo

74 Cartoline

da Milano Flavio Marziano, Nicola Datena

106 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati

GERMANIA

78 Eccezioni culturali Libération POP

90 I fantasmi delle città cinesi Andrew Kipnis

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Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

3

internazionale.it/sommario

La settimana

SLAVOJ ŽIŽEK A PAGINA 37

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1J4z

Internazionale Kids In edicola dal 28 febbraio ◆ Offendere una persona di continuo, prenderla in giro perché porta gli occhiali o escluderla da un gruppo sono piccole cattiverie che un po’ alla volta possono ingigantirsi e trasformarsi in atti di bullismo. L’articolo di copertina racconta l’esperienza di alcuni adolescenti tedeschi e raccoglie i suggerimenti su come reagire del direttore di una clinica di psichiatria infantile di Berna, in Svizzera. La versione originale è uscita su Dein Spiegel, versione per ragazzi del settimanale tedesco Der Spiegel, ed è tradotta in italiano su Internazionale Kids. In copertina un’illustrazione di Cristina Spanò.

IN COPERTINA

Cosa puoi fare contro il bullismo Podcast

ECONOMIA

PORTFOLIO

Viva i risparmi Se hai dei soldi da parte è meglio tenerli in banca piuttosto che in una scatola sotto il letto.

Questa è la mia stanza Le foto di James Mollison dalle camere di ragazze e ragazzi in giro per il mondo.

TECNOLOGIA

TEST

Un’esplosione di creatività Che succede se un’intelligenza artificiale collabora a un progetto artistico.

Che panino sei Scopri se sei un tramezzino o un croque madame.

SCIENZA

Moon kids Adolescenti nello spazio.

FUMETTI

L’età delle scimmie Quanti anni avresti se fossi uno scimpanzé? ATTUALITÀ

I padroni del gioco C’è un sottile legame tra videogiochi e pubblicità.

Pressioni su Israele Crescono le critiche contro l’esercito israeliano.

Breve storia del petrolio Cominciamo dal 1859.

internazionale.it

Video

Articoli MEDIO ORIENTE

Un momento cruciale per la guerra o per la pace a Gaza Ci sono solo due casi in cui i combattimenti potrebbero fermarsi. SCUOLA

4

DR

◆ In copertina è il nuovo podcast settimanale di Internazionale. All’inizio di ogni episodio il redattore che ha selezionato l’articolo spiega la sua scelta in una breve introduzione. In copertina uscirà ogni venerdì all’ora di pranzo ed è riservato a chi ha un abbonamento: può essere ascoltato solo dal sito di Internazionale o, più comodamente ancora, con la nuova app.

Bisogna dare dignità alle lingue madri In classi sempre più multietniche la lingua può costruire ponti per una comprensione reciproca.

Il ritorno del lupo Dopo essere spariti per quasi un secolo, i lupi sono tornati sulle Alpi. È una buona notizia per la biodiversità europea, ma la concentrazione di branchi in alcune aree è diventata un pericolo, soprattutto per il bestiame. Dal Veneto al TrentinoAlto Adige, si è aperto un dibattito tra chi li considera una minaccia e chi propone di imparare a convivere con questi animali. Il reportage di Niccolò Barca e Tommaso Merighi.

Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

ITALIA

Il triste destino di Terni Da città operaia è diventata un laboratorio della destra. CINEMA

Non è il solito film d’amore Past lives è un’opera magica e non scontata.

Immagini Messa a fuoco Israele 19 febbraio 2024 Soldate israeliane si scattano un selfie in una postazione nel sud d’Israele, alla frontiera con la Striscia di Gaza. Dietro di loro c’è il territorio palestinese, devastato dall’offensiva che va avanti da quasi cinque mesi. Il 18 febbraio Israele ha annunciato che il suo esercito lancerà un’operazione di terra a Rafah se gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza non saranno rilasciati entro l’inizio del Ramadan, il 10 marzo. Secondo le autorità di Hamas l’offensiva israeliana ha causato finora la morte di 29.313 palestinesi. Foto di Tsafrir Abayov (Ap/Lapresse)

Immagini Libertà d’espressione Londra, Regno Unito 20 febbraio 2024 “Nessuno dovrebbe essere in prigione per aver divulgato la verità”: era uno degli slogan della protesta davanti all’alta corte di Londra in cui si è svolto il processo d’appello contro la richiesta di estradizione del giornalista e attivista australiano Julian Assange negli Stati Uniti. Assange, attraverso la sua organizzazione WikiLeaks, nel 2010 rivelò le violazioni dei diritti umani commesse dagli statunitensi nelle guerre in Iraq e Afghanistan e i dubbi di Washington sui governi di alcuni paesi alleati. Gli Stati Uniti lo accusano di spionaggio per aver diffuso segreti militari e diplomatici. La decisione dei giudici britannici sarà resa nota nei prossimi giorni. Foto di Daniel Leal (Afp/Getty)

Immagini Allo stadio Dambulla, Sri Lanka 19 febbraio 2024 Spettatori assistono alla partita di Twenty20 international cricket (T20I) tra l’Afghanistan e lo Sri Lanka allo stadio internazionale Rangiri di Dambulla. Il T20I è una versione del cricket con regole diverse nata nel 2005, in cui le partite durano molto meno di quelle del cricket tradizionale, che possono durare anche diversi giorni. La partita è stata vinta dallo Sri Lanka, dove il cricket è ancora molto popolare, anche se il ministero dello sport ha proclamato sport nazionale la pallavolo. Foto di Ishara S. Kodikara (Afp/Getty)

[email protected] Non guardarmi nel cervello u Ho letto con curioso entusiasmo l’articolo sui progressi e i limiti delle nuove neurotecnologie (Internazionale 1550). Nell’articolo si evidenzia come gli scienziati coinvolti nelle ricerche abbiano da subito preso coscienza delle implicazioni etiche sulla privacy dello “spazio mentale” personale. Una scoperta eccezionale, infatti, non salvaguarda dai possibili usi impropri (vedi energia nucleare) e da possibili conseguenze negative. La plastica, per esempio, che all’inizio sembrava una rivoluzione in termini di praticità ed economicità, ha un impatto su ambiente e salute che non era stato calcolato. Il nostro cervello è “incarnato” in un corpo e quella che chiamiamo coscienza dipende molto dalle interazioni con la parte motoria e l’ambiente. Se in un futuro delegassimo questo aspetto ai comandi cerebrali mediati da macchine, quale potrebbe essere la nostra coscienza? Sembra d’in-

travedere un futuro distopico come nel film Matrix. Dario Alimonti

Fattoria u L’editoriale di Giovanni De Mauro (Internazionale 1549) sul ventesimo anniversario di Facebook si conclude con la speranza di una democratizzazione dei social network. Guardando a questo ventennio “zuckerberghiano” fa impressione scoprire quali siano stati i pensieri che portarono il giovane Mark, chiuso nella sua stanza di Harvard e soprattutto in se stesso dopo essere stato respinto da una ragazza, a ubriacarsi e a sviluppare in una notte di fine ottobre del 2003 l’idea di confrontare, a loro insaputa, alcuni studenti del college con degli animali e tra loro per far scegliere agli utenti il più bello. Se il social più diffuso al mondo nacque da un gesto di puro odio, perché dovremmo stupirci che gran parte del traffico sia sempre più mosso da sentimenti negativi e di astio? Luca Capulli

Scrivimi quando arrivi a casa

Un anno con

u L’articolo di Claudia Torrisi è assolutamente realistico (internazionale.it). La limitazione di libertà che si impone alle donne è grave. Tutte le lotte e le manifestazioni non hanno allentato questa primitiva violenza, che invece sembra quasi rafforzata. Non condividerò mai questa mentalità violenta. Marisa Cannone

Fallimenti in mostra

Errata corrige u Su Internazionale 1550, a pagina 23, Abidjan non è la capitale della Costa d’Avorio, ma la città più importante dal punto di vista economico. La capitale è Yamoussoukro. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it

Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Preoccupazioni relative Mio figlio (dodici anni) ha preso dei soldi dal portafogli della nonna. Ci siamo rimasti malissimo e anche se poi l’abbiamo rimproverato e ne abbiamo parlato, mi resta la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Non gli abbiamo trasmesso il messaggio che rubare è molto grave? –Enea La stanza del figlio è un film di Nanni Moretti del 2001. Racconta il devastante impatto emotivo che la morte di un ragazzo ha sui genitori e sulla sorella, che si ritrovano improvvisamente soli, ognuno alle prese

12

con il proprio dolore. L’ho trovato bellissimo, anche se oggi che ho dei figli non sono sicuro che riuscirei a guardarlo. La cosa che mi è rimasta impressa in questi anni è la prima parte del film, che apparentemente non ha nulla a che fare con il dramma: il ragazzo è stato accusato dalla scuola di aver rubato un fossile dal laboratorio e rischia la sospensione, ma lui nega. I genitori gli credono e prendono le sue difese con gli insegnanti. Quando poi il ragazzo confida alla madre di aver mentito, i genitori sono profondamente amareggiati e preoccupati per il suo comportamento. Con que-

Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

sto stratagemma narrativo Moretti riesce a creare uno spietato contrasto tra quel dispiacere e il dolore immenso che i genitori proveranno dopo, ricordandoci che è importante relativizzare le piccole ansie legate alla vita quotidiana dei figli. Rubare è sbagliato. Ma a dodici anni è comprensibile voler testare i confini di ciò che è lecito. Continuate a parlare con lui del perché è importante essere onesti, ma liberatevi di ogni senso di colpa. Quello che vi è successo è normale amministrazione. [email protected]

Alice Rohrwacher

u Al museo Picasso a Parigi ho visto un’ipnotica mostra dell’artista francese Sophie Calle. I suoi lavori sollevano tante domande. Quanto di un’opera d’arte è nel nostro sguardo? Per Picasso la pittura è una professione da ciechi: il pittore non dipinge ciò che vede ma ciò che sente, ciò che racconta a se stesso riguardo a ciò che ha visto. In fondo al percorso della mostra Calle aveva esposto dei progetti mai realizzati, spiegando i motivi della rinuncia: censurato, autoreferenziale, noioso. Forse tutti dovremmo immaginare una mostra dei progetti falliti. Invece di portarceli dentro con rimpianto potremmo esporli con tenerezza, e magari ammetterne i limiti. Tra i miei progetti irrealizzati c’è quello di un cioccolatino. Dato che ricorrevo ai dolciumi soprattutto quando mi sentivo triste e sola, m’immaginai un cioccolatino che avrebbe accompagnato le separazioni. Si chiamava Il Morso. Nell’involucro doveva contenere dei foglietti con frasi di sdegno e rabbia: “Chiusa la porta si apre un portone”, “Meglio perderlo che trovarlo” oppure, citando Metastasio, “Ancor mi sembri bella / ma non mi sembri quella / che paragon non ha”. Avevo preparato tutto: il modello, la ricetta, la grafica e decine di frasi di sdegno dai proverbi e dalla letteratura. Ma poi m’innamorai, e persi interesse nella cioccolata. Quanto della nostra creatività è in ciò che ci manca?

GIANRICO CAROFIGLIO L’ORIZZONTE DELLA NOTTE

Dopo cinque anni, il ritorno. «Guerrieri è un personaggio meraviglioso». THE TIMES

EINAUDI STILE LIBERO BIG

Editoriali

Fermare la carneficina a Gaza “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Olga Amagliani, Alessandra Bertuccelli, Stefania De Franco, Andrea De Georgio, Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Susanna Karasz, Giusy Muzzopappa, Francesca Rossetti, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Davide Trovò Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Daniele Cassandro, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ikyung Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Ester Corda, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, Via Zanica 92, 24126 Bergamo Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 21 febbraio 2024 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Telefono 02 4957 2022 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati Imbustato in Mater-Bi

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Le Monde, Francia Resta poco tempo per evitare che Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, si trasformi in un inferno. In questa città vicina alla frontiera con l’Egitto è ammassato più di un milione di rifugiati. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che usa la guerra per restare aggrappato al potere, ha promesso per Rafah le stesse devastazioni che hanno trasformato un territorio povero e sovrappopolato in una distesa di rovine. Non gli importa l’orribile bilancio umano (quasi 30mila morti) del rullo compressore israeliano azionato per tentare di cancellare Hamas, responsabile dei massacri del 7 ottobre contro i civili israeliani. La caccia ad Hamas ha preso il sopravvento sulla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza. L’alternativa per ottenere la loro liberazione – il negoziato che a novembre ha mostrato di funzionare – è in stallo. Gli alleati dello stato ebraico si oppongono a prolungare la carneficina, ma con una timidezza che rischia di compromettere il credito morale di cui si vantano. Difficile trovare coerenza nell’azione di Washington, che mentre condanna l’eccessivo numero di vittime tra i palestinesi assicura all’esercito israeliano i mezzi per radere al suolo Gaza. Più passa il tempo e più il calcolo del presidente Joe Biden – lasciar fare Israele

per poi avviare una vasta iniziativa diplomatica – si perde tra le macerie. In primo luogo perché i danni subiti da Hamas sono impossibili da valutare, considerata la natura dell’organizzazione. Poi perché la strategia israeliana di ostacolare gli aiuti umanitari fa già capire quale incubo sarà la ricostruzione. Infine, perché l’opposizione a ogni soluzione politica, e ovviamente a uno stato palestinese, costituisce la base della coalizione di governo israeliana e la garanzia che continuerà a seguire una strategia cieca, già screditata dai fatti del 7 ottobre. La guerra parallela in corso in Cisgiordania lo ricorda ogni giorno. Le poche sanzioni decise negli Stati Uniti o in Europa contro alcuni coloni israeliani violenti non devono trarre in inganno perché i loro ispiratori suprematisti, che coltivano progetti di annessione e pulizia etnica, siedono comunque nel governo israeliano. Rafah può diventare il duplice simbolo del fallimento occidentale e della tragica deriva di Israele. L’unico modo per sradicare davvero Hamas è tracciare un orizzonte politico. Frastornato dalla sua stessa superpotenza militare, lo stato ebraico si accontenta di rispondere ai crimini di guerra del 7 ottobre con altri crimini di guerra, di cui non si vede la fine. ◆ fdl

L’Europa deve aiutare i congolesi Colette Braeckman, Le Soir, Belgio Nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) la violenza dei combattimenti e le sofferenze inflitte ai civili hanno raggiunto livelli sconvolgenti. Il fronte degli scontri si allunga dalla provincia settentrionale dell’Ituri fino al Sud Kivu. L’entrata in scena di nuovi attori riporta alla mente le due “grandi guerre” che hanno sconvolto la Rdc all’inizio degli anni duemila. Il Ruanda, intanto, continua a respingere le accuse degli esperti delle Nazioni Unite, secondo cui il suo governo finanzia i ribelli del movimento M23, in gran parte tutsi congolesi. Dopo le elezioni nell’Rdc, vinte da Félix Tshisekedi grazie a una campagna elettorale nazionalista, nell’opinione pubblica emerge un nuovo radicalismo: le sofferenze degli abitanti dell’est e il silenzio che le circonda sono denunciate da artisti, musicisti, studenti pronti a imbracciare le armi, calciatori. I paesi occidentali sono accusati di usare due pesi e due

misure, perché prestano molta attenzione alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente ma ignorano da venticinque anni le violenze nell’Rdc. A Kinshasa di recente ci sono state proteste verso gli Stati Uniti (accusati di sostenere il Ruanda) e l’Europa. L’Rdc è un tassello essenziale negli equilibri del pianeta, che si parli di crisi climatica, di accesso ai minerali strategici o del potenziale agricolo. Mentre la guerra infuria, la popolazione si sente dimenticata e disprezzata. Il Belgio, l’ex potenza coloniale in Rdc e Ruanda, e presidente di turno dell’Unione europea, è chiamato in causa ancora una volta. Nessuno può cancellare il passato: le tensioni tra ruandesi e congolesi hanno un forte legame con la storia, e le sofferenze di questi popoli hanno radici profonde. Per allontanare lo spettro di una guerra regionale serve uno sforzo diplomatico che coinvolga tutti i paesi interessati. ◆ as Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Attualità SPAGNA

Barcellona si risveglia senz’acqua Sandrine Morel, Le Monde, Francia Il governo catalano ha cercato per mesi di evitare il razionamento dell’acqua, minimizzando il problema. Alla fine è stato costretto a prendere misure drastiche

D

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Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

Stato d’emergenza Seduta in spiaggia tra turisti e persone del posto, Jenny approfitta degli effetti dell’anticiclone che da gennaio sta portando temperature record. Il 1 febbraio, quando è stato annunciato lo stato d’emergenza accompagnato da una serie di restrizioni al consumo di acqua, Jenny è caduta dalle nuvole. “Non pensavo che la situazione fosse così grave”, spiega. Italiana di 48 anni, Jenny lavora in una startup e vive da 24 anni a Barcellona. In Catalogna non piove (o piove troppo poco) ormai da

Da sapere

Consumi quotidiani

Litri di acqua necessari per le attività domestiche Riempire la vasca da bagno 250 Farsi una doccia di cinque minuti 100 Fare la lavatrice con un carico medio 60-90 Lavare i piatti a mano con lavabo pieno 60 Lavarsi le mani o i denti con il rubinetto aperto 18 Lavare i piatti in lavastoviglie 12 Tirare lo sciacquone del water 10 Lavare i piatti in lavastoviglie di classe A+ 9 Lavarsi le mani o i denti con il rubinetto chiuso 2

FONTE: EL PAIS

a lontano l’illusione funziona: il prato appare fitto e rigoglioso. Avvicinandosi, però, si notano le tracce di vernice verde ai piedi delle palme e degli ulivi. A Barcellona l’hotel a cinque stelle Torre Melina, del gruppo Gran Meliá, ha reagito con questo espediente al divieto d’irrigare il prato imposto dal governo catalano per affrontare la siccità che da tre anni colpisce la regione. La pittura copre i ciuffi d’erba secca ingialliti dal sole. “In passato gli irrigatori funzionavano a ciclo continuo”, spiega Ramón Vidal, direttore dell’albergo di lusso che ha 391 camere e ha appena ripreso l’attività dopo quattro anni di ristrutturazioni. “La vernice è biodegradabile e dura tre mesi. È stata un’idea del giardiniere. Il prato artificiale, anche di qualità, non è una soluzione, perché ha comunque bisogno di essere innaffiato”. La trovata può sembrare sorprendente, ma non ha niente da invidiare alla soluzione annunciata il 5 febbraio dalla ministra spagnola per la transizione ecologica Teresa Ribera Rodríguez e dal ministro catalano per l’ambiente e l’agricoltura David Mascort: se non pioverà entro giugno, due navi da carico faranno ogni giorno la spola tra l’impianto di desalinizzazione nel poco utilizzato porto di Sagunto, nella Comunità Valenciana, e quello di Barcellona, dove sono già stati ultimati gli adeguamenti necessari. In questo modo sarà possibile rifornire la città di quarantamila metri cubi d’acqua potabile al giorno, pari al 14 per cento del consumo medio di Barcellona e al 3 per cento di quello dell’agglomerato urbano.

“Non è una soluzione, ma una risposta concreta pensata per strutture essenziali che potrebbero trovarsi in situazioni d’emergenza”, ha precisato Mascort riferendosi agli ospedali. “Il governo di Madrid farà tutto il possibile per garantire la fornitura di acqua potabile”, ha aggiunto Ribera. Tuttavia questi provvedimenti, invece di rassicurare gli abitanti di Barcellona, li preoccupano. Fino a poco tempo fa l’ipotesi che in città potesse davvero mancare l’acqua era impensabile.

più di tre anni. Dall’autunno del 2020 il deficit delle precipitazioni ha superato i 500 millimetri, ovvero l’equivalente di un anno di pioggia in città. “Il quadro è catastrofico”, riassume Sarai Sarroca, direttrice del servizio meteorologico della Catalogna. “Non avevamo mai vissuto una siccità così prolungata ed estesa sul territorio. L’aspetto più preoccupante è l’aumento delle temperature. Un incremento di questo tipo non era previsto prima della seconda metà del secolo. Per non parlare della mancanza di neve sui Pirenei, che solitamente costituisce una riserva per i mesi più caldi”. Le previsioni per la primavera non lasciano spazio all’ottimismo. “Sono molto allarmata”, ammette la meteorologa. “Più che del cambiamento climatico in sé, ho paura del fatto che mancano i meccanismi di adattamento. Dovremmo impegnarci di più per prevedere, reagire e allertare la popolazione”. Sulla carta le autorità catalane hanno cominciato a limitare la fornitura d’acqua già da due anni, in modo progressivo. Ma gli agricoltori hanno continuato a pompare acqua dai pozzi fino a prosciugarli. Nel 2023 gli alberghi hanno potuto riempire le piscine destinate ai 16 milioni di turisti accolti nella regione, un numero di persone che è più del doppio della popolazione locale. Solo una trentina di comuni rurali, sottoposti a interruzioni notturne dell’acqua corrente o riforniti da camion-cisterna, hanno sperimentato concretamente le conseguenze della siccità. A Barcellona i prati sono secchi da un anno, ovvero da quando il sindaco ha vietato l’irrigazione dei giardini oltre il minimo necessario per la sopravvivenza degli alberi. Le grandi fontane ornamentali come quelle di plaza de España e plaza de Cataluña sono rimaste a secco. Nelle spiagge le docce sono chiuse dall’estate scorsa. In città, comunque, la siccità si nota meno che nelle campagne. “Ci preoccuperemo quando non ci sarà più acqua”, dichiara Gael Herman, ballerino e acrobata di 42 anni, nella palestra all’aperto della spiaggia della Barceloneta. “Ho problemi più seri a cui pensare, come il fatto che per l’affitto spendo il 60 per cento del mio stipendio”, si rammarica Victor Rufart, architetto di 26 anni, mentre attraversa il parco della Ciutadella e i suoi prati spogli. Jenny, invece, cerca di dare il suo contributo riducendo il tempo dedicato alla doccia e l’uso della lavatrice.

EMILIO MORENATTI (AP/LAPRESSE)

Barcellona, 26 dicembre 2023

Ma relativizza: “Bevo solo acqua in bottiglia”. Nell’area urbana di Barcellona, l’acqua del rubinetto proviene soprattutto dagli impianti di desalinizzazione ed è famosa per il suo sapore sgradevole. Quasi il 60 per cento dell’acqua consumata in città è imbottigliata. Per proteggere l’economia, la Generalitat de Cataluña (il governo regionale) ha cercato per mesi di evitare un razionamento più rigoroso, anche a rischio di minimizzare il problema. Il 2 febbraio, però, è stata presa la decisione di attivare la fase di “emergenza per siccità” in 202 comuni in cui vivono quasi sei milioni di abitanti. La causa scatenante? La notizia che nel bacino di Ter-Llobregat, da cui dipendono l’area urbana di Barcellona e una parte di quella di Girona, le riserve d’acqua erano scese al di sotto dei cento milioni di metri cubi (16 per cento della capienza), un livello critico. L’agricoltura, a cui si deve il 35 per cento del consumo d’acqua, al momento deve ridurre l’approvvigionamento idrico dell’80 per cento, mentre l’industria (20 per cento del consumo) deve tagliarlo del 25 per cento. Lo stesso discorso vale per le

attività ricreative. Più in generale, i comuni sono invitati a limitare i consumi d’acqua a una media di 200 litri al giorno per abitante. Per i privati è stato introdotto il divieto di riempire la piscina o lavare l’automobile al di fuori delle stazioni autorizzate. Sono inoltre proibite tutte le attività ludiche che comportino uno spreco d’acqua. Le multe in caso di violazioni possono arrivare a tremila euro. L’utilizzo dell’acqua è limitato anche nelle strutture sportive. Il 1 febbraio l’azienda che gestisce il campo di calcio municipale La Satalia, situato nel quartiere barcellonese di Poble Sec, ha comunicato che “in considerazione dell’attuale emergenza non sarà consentito l’uso delle docce dopo gli allenamenti, mentre sarà possibile farle dopo le partite della federazione, pur con una riduzione del 25 per cento d’acqua per spogliatoio”. Il terreno di gioco, invece, potrà essere normalmente innaffiato.

Guadagnare tempo Sulla riva del fiume Llobregat, smagrito e marrone, due golfisti si allenano su un terreno spelacchiato. “È un campo rustico”, ironizza Manuel Gil, pensionato di 62 an-

ni. “Cinque anni fa questa zona era rigogliosa, ma oggi non è più così. È diventata desertica. Nemmeno l’umidità della notte basta a mantenere in vita la vegetazione”. Nonostante le proteste degli ecologisti, negli ultimi tre anni il deflusso minimo vitale dei fiumi (il livello considerato ufficialmente necessario per sostenere la fauna e la flora, oltre che una qualità dell’acqua accettabile) è stato ridotto quasi del 90 per cento. Poco lontano dal campo di golf si trova il canale d’irrigazione Dreta, che in passato era alimentato da un affluente del Llobregat. Dal dicembre 2022 il canale trasporta le acque reflue depurate del comune di El Prat de Llobregat fino ai campi del parco agricolo del Baix Llobregat, che si estende su 3.500 ettari nei pressi dell’aeroporto del Prat e produce frutta e legumi. “È un’acqua più salina. Certe colture, come i pomodori o le albicocche, ne soffrono”, sottolinea Helena Perxacs, direttrice del parco. Ora quest’acqua sarà destinata al consumo umano. Il comune di Barcellona ha deciso di stanziare 14 milioni di euro per aumentare la capacità delle acque freatiche, non potabili, usate per la pulizia Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Attualità

MARC ASENSIO (NURPHOTO/GETTY)

Il fiume Llobregat a El Prat, il 1 febbraio 2024

delle strade e l’irrigazione degli alberi. Queste misure servono per guadagnare tempo in attesa che entrino in funzione i nuovi impianti di desalinizzazione, che avranno una capacità totale di 80 milioni di metri cubi annuali e un costo finale di oltre 450 milioni di euro. Associati a quelli esistenti, ridurranno la dipendenza dall’acqua piovana. Ma c’è un problema: non saranno attivi prima del 2028. “Finora la pianificazione strategica ha fallito, ma il governo regionale addossa la responsabilità ai comuni”, accusa Eduard Rivas, presidente della Federazione dei comuni di Catalogna. “È da sedici anni, dall’ultima siccità, che la Generalitat non investe nella rete. A Dubai e Israele l’acqua non manca”. Sindaco di Esparreguera, un centro urbano di 23mila abitanti a nord di Barcellona, Rivas ha il compito di applicare le restrizioni nel territorio comunale. Finora ha ridotto la pressione nelle condutture durante la notte, ma non nasconde i suoi timori in vista dell’estate, quando “la popolazione raddoppierà”. Il sindaco ricorda che le piscine municipali rappresentano “indispensabili rifugi climatici”. Se il consumo oltrepasserà la soglia fissata dalla Generalitat, il rischio è quello di avere pesanti sanzioni. Dallo scorso autunno circa cento comuni sono stati multati dall’Agenzia catalana per l’acqua. A Begur, per esempio, il consumo medio giornaliero si avvicina ai 500 litri a causa dei residenti più ricchi, che annaffiano continuamente giardini e

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riempiono le loro piscine. A Badalona e a Cabrera d’Anoia, per le perdite nelle tubature sono stati sprecati milioni di litri d’acqua senza che nessuno se ne preoccupasse, fino a quando l’acqua è mancata. “Dato che il 76 per cento della rete idrica è privatizzato, i comuni spesso non fanno controlli adeguati e non costringono le aziende a riparare le tubature”, sottolinea Dante Maschio, portavoce della piattaforma L’acqua è vita e socio dell’organizzazione Ingegneri senza frontiere.

Turisti all’oscuro Tra la popolazione, intanto, cresce la rabbia nei confronti dell’amministrazione regionale. Nel 2008 la Catalogna aveva già dovuto affrontare una grave siccità, tanto che era stato necessario far arrivare una nave cisterna da Marsiglia e attivare alcuni impianti di desalinizzazione. Oggi il governo catalano è accusato da diversi settori economici di non aver costruito le infrastrutture necessarie, mentre gli ecologisti gli imputano di non aver frenato la crescita selvaggia del turismo e dell’agroindustria. “La Generalitat ha fornito l’acqua a tutti quelli che l’hanno chiesta, senza curarsi di quali fossero le risorse disponibili. Abbiamo superato nuovamente il record di turisti, ma continuiamo a esportare più della metà della frutta e della carne che produciamo”, aggiunge Maschio. “Chiediamo l’apertura di un dibattito pubblico, sereno e partecipativo sul modello economico da seguire”. Già inclini a criticare il turismo di massa,

molti abitabnti di Barcellona non digeriscono l’assenza di restrizioni specifiche per il settore, fatta eccezione per il divieto di riempire i serbatoi d’acqua imposto alle navi da crociera (salvo casi particolari). I turisti di solito non sono consapevoli della situazione che sta vivendo la città catalana. “Non me ne sono resa conto, non ho visto avvisi e nessuno me ne ha parlato”, ammette Agustina Delgado, arrivata dall’Argentina. Le campagne di sensibilizzazione sono diffuse su internet, soprattutto da organizzazioni locali. Negli hotel e nelle stazioni della metropolitana sono assenti, mentre in spiaggia gli adesivi che annunciano un “episodio di siccità”, attaccati alle docce, sono scritti solo in catalano. “Temiamo la diffusione di messaggi allarmistici che facciano pensare ai turisti di non poter fare il bagno o la doccia”, spiega Vidal, che ha tutta l’intenzione di riempire le due piscine del suo albergo: “La soluzione alla siccità non può consistere nel tracollo dell’economia”. “Abbiamo già ridotto la pressione delle docce per risparmiare acqua. È stata l’amministrazione a intervenire in ritardo”, accusa Marc Soler, direttore del campeggio Tres Estrellas di Gava, situato nei pressi dell’aeroporto. Per aggirare le limitazioni, il settore cerca soluzioni originali. La Federazione dei campeggi di Catalogna ha proposto di riempire le piscine con acqua di mare. “Ma per farlo servono lavori di adeguamento e investimenti importanti, soprattutto per raddoppiare i sistemi di scarico, perché l’acqua di mare non può essere riversata nelle fogne. In ogni caso è meglio che chiudere le piscine”, spiega Miquel Bocanegra, presidente della federazione. “Barcellona avrà l’acqua. La città è un motore economico del sud d’Europa e una capitale turistica. L’idea che manchi l’acqua è inconcepibile”, taglia corto Mateu Hernández, direttore del consorzio Turismo di Barcellona, di cui fanno parte il comune e la camera di commercio e dell’industria. Ad agosto la città ospiterà la Coppa America, una competizione nautica internazionale molto attesa. Nessuno vuole rovinare la festa. Lunedì 12 febbraio il sindaco Jaume Collboni, in visita al monastero di Pedralbes, ha chiesto ai monaci di pregare per la pioggia. u as

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Europa

MICHAEL PROBST (AP/LAPRESSE)

Un memoriale per Aleksej Navalnyj a Francoforte, Germania, 17 febbraio 2024

RUSSIA

Come Aleksej Navalnyj ha cambiato la politica russa A. Soldatov e I. Borogan, Foreign Affairs, Stati Uniti Il dissidente morto in carcere il 16 febbraio è stato l’unico leader capace di unire le opposizioni e di parlare a tutti i russi. La sua eredità è preziosa per il futuro del paese l 16 febbraio l’annuncio della morte del leader dell’opposizione russa Aleksej Navalnyj in una remota colonia penale nell’Artico ha sconvolto gli osservatori del paese. Navalnyj, che per anni era stato l’avversario più coraggioso del presidente Vladimir Putin e del

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suo sistema di corruzione, stava scontando una condanna a diciannove anni di reclusione per estremismo. Con ogni probabilità, non sarebbe mai stato rilasciato con Putin al potere. Ma a quanto pare nemmeno questo bastava al Cremlino. Stando a quanto comunicato dal servizio carcerario russo, Navalnyj sarebbe crollato a terra dopo una breve passeggiata nel cortile del penitenziario, avrebbe perso conoscenza e sarebbe morto poco dopo. I dettagli devono ancora emergere, ma in una conferenza stampa tenuta il 16 febbraio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso un’opinione condivisa da molti osservatori, in Russia e nel resto

del mondo: “Il responsabile è Putin”. Per quanto spudorata e atroce, la decisione di Putin di uccidere Navalnyj non dovrebbe sorprendere. Per il presidente russo metterlo a tacere una volta per tutte aveva perfettamente senso, anche se i portavoce del Cremlino hanno cercato di negarlo. In fondo Navalnyj era un maestro nell’uso dei social ed era spesso riuscito a battere Putin al suo stesso gioco mediatico, denunciando gli abusi e i misfatti del regime e facendoli conoscere a milioni di persone attraverso YouTube e altre piattaforme online. In questo modo era riuscito a eludere gli sforzi del Cremlino per metterlo

a tacere. Nel dicembre 2020, con una telefonata in cui si spacciava per dirigente dei servizi segreti, aveva perfino ottenuto una confessione dagli uomini assoldati pochi mesi prima dal governo per ucciderlo, avvelenandolo durante un volo tra la città di Tomsk, in Siberia, e Mosca. Ancora più pericolosa per il regime era la straordinaria popolarità di Navalnyj. A differenza di tutte le figure dell’opposizione attive negli ultimi vent’anni, Navalnyj era stato in grado di costruirsi un seguito che andava ben oltre le élite urbane della Russia. Aveva raggiunto persone provenienti da ogni angolo del paese, dagli operai agli ingegneri informatici, dai liberali ai professionisti. Aveva sostenitori devoti tanto in patria quanto all’estero. Ed era riuscito a far appassionare alla politica anche i giovani, che altrimenti ne sarebbero rimasti del tutto esclusi. Per la società russa, confusa, depressa e alla mercé di un regime sempre più repressivo, Navalnyj è stato l’unica figura unificatrice. Ed è rimasto tale fino alla morte, a dispetto di tutte le rigide misure d’isolamento a cui era stato sottoposto dal momento del suo arresto in Russia nel gennaio 2021, dove era tornato dopo le cure in Germania per l’avvelenamento dell’anno precedente. La scomparsa di Navalnyj segna una nuova fase nella spietata ricerca del potere di Putin. Ma presenta anche una sfida difficile per l’opposizione russa, che ora deve capire come mantenere l’unità che Navalnyj aveva creato e come prendere il controllo del movimento che lui si è lasciato alle spalle.

Tra le metropoli e la provincia Navalnyj non era certo un profeta, ma negli ultimi dieci anni, insieme a un folto gruppo di sostenitori, era riuscito a trovare il modo per superare quegli ostacoli politici che l’opposizione liberale russa aveva a lungo trovato insormontabili. Dagli anni novanta in poi i liberali russi sembravano condannati a trovare un pubblico pronto ad appoggiare le loro proposte democratiche esclusivamente nelle città più grandi, come Mosca e San Pietroburgo. Solo in quei contesti urbani c’erano persone con una mentalità aperta, interessate alla costruzione d’istituzioni liberali e di uno stato di diritto. Il resto del paese non capiva in cosa consi-

stesse la democrazia. Come praticamente ogni autocrate russo, dagli zar a Stalin, Putin ha alimentato questa spaccatura. Nell’immagine promossa dal Cremlino, “la vera Russia”, cioè il paese al di là delle grandi città, non capiva le libertà occidentali: per questi cittadini liberalismo significava anarchia, cosa che rendeva sempre troppo prematura la concessione di diritti politici di stampo occidentale. I liberali russi erano scollati dal loro stesso paese, diceva il regime. Questa narrazione ufficiale, unita allo scarso seguito dei riformatori liberali, è stata usata per dimostrare che i russi non erano pronti per la democrazia. Così è nata la strategia di Putin della “democrazia controllata”: solo un uomo forte che capisce il paese e può attuare le riforme necessarie. Per certi versi l’esperienza della Russia, dagli ultimi anni del regime sovietico fino agli anni dieci del nuovo millennio, sembrerebbe confermare la versione del Cremlino. Per esempio, anche durante la perestrojka, negli anni ottanta, il movimento democratico era in gran parte concentrato nelle grandi città. E quando alla fine l’Unione Sovietica crollò, un solo partito democratico – Jabloko – riuscì a costruirsi una rete più ampia, capace di coprire diverse regioni del paese. Ma neanche Jabloko superò mai il 20 per cento dei consensi conquistati nel 1990, al suo apice politico. Dopo che Putin salì al potere, quasi venticinque anni fa, l’attività delle forze democratiche nella provincia russa cominciò rapidamente a calare, quasi a fornire un’ulteriore conferma che i democratici russi erano isolati nelle grandi città e distanti dai bisogni e dagli interessi del resto della popolazione. Navalnyj è stata la prima figura dell’opposizione capace di demolire questa narrazione. Mettendo insieme la sua bravura con i social network, innate doti di comunicatore, un’acuta sensibilità per i problemi che i russi hanno più a cuore e la sua abilità di avvocato nel portare alla luce prove precise e circostanziate, Navalnyj ha saputo attaccare il regime di Putin in modi impensabili per i democratici più convenzionali. Pensiamo alla reazione provocata dal documentario diffuso su YouTube nel 2017, On vam ne Dimon (Non chiamatelo Dimon), che illustrava in dettaglio la corruzione del primo miniCONTINUA A PAGINA 22 »

L’analisi

Nazionalista e velleitario n aspetto legato alla morte di Navalnyj di cui bisogna parlare è la sua visione dell’Ucraina e, di conseguenza, la reazione degli ucraini al suo omicidio”, scrive sul social media X Anna Colin Lebedev, politologa francese dell’università di Parigi Nanterre, specialista in paesi postsovietici. “Negli ambienti dell’opposizione russa la morte di Navalnyj ha provocato uno shock. Gli ucraini invece non le hanno dedicato attenzione. Le ragioni sono diverse. La più evidente è che gli ucraini non vogliono partecipare a una gara di sofferenze, in cui la morte di un solo uomo conta più delle centinaia di migliaia di vittime di Putin nel loro paese. Secondo alcuni, inoltre, celebrare Navalnyj vuol dire dare troppa importanza alla Russia e al destino dei russi. Gli altri motivi sono legati al profilo di Navalnyj. Gli ucraini non gli perdonavano l’iniziale ambiguità sull’annessione della Crimea, che dieci anni fa il dissidente russo aveva quasi accettato. In seguito, nel 2017, aveva attenuato la sua posizione, sostenendo la necessità di un referendum sull’autodeterminazione della Crimea. Per gli ucraini un altro passo falso: un modo per legittimare l’annessione in base alla ‘volontà del popolo’. Dopo la condanna al carcere e l’aggressione russa del 2022, Navalnyj aveva criticato la guerra e chiesto il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma questo non è bastato a far cambiare idea agli ucraini, che all’oppositore rimproveravano anche altre colpe. La sua iniziale vicinanza a nazionalisti russi, la partecipazione a manifestazioni estremiste e le posizioni sul popolo russo sono considerate espressioni dell’imperialismo di Mosca. Il Navalnyj nazionalista sarebbe quindi responsabile dell’aggressione all’Ucraina quanto Putin, avendo legittimato l’aggressione del 2014 e sostenuto l’ideologia che ne era alla base. Infine, se per i russi il ritorno in patria di Navalnyj nel 2021 era stato un atto di coraggio, per gli ucraini la figura del dissidente era soprattutto un simbolo di impotenza”. ◆

“U

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Europa stro russo Dmitrij Medvedev, tra i più stretti collaboratori di Putin. Il film, diventato presto virale, aveva aiutato Navalnyj a organizzare proteste in circa cento tra città e paesi in tutta la Russia. Fino a oggi ha collezionato 46 milioni di visualizzazioni. Questa rete di sostenitori, che nessun rappresentante dell’opposizione aveva mai avuto a disposizione, aveva permesso a Navalnyj di dimostrare di non essere, come voleva far credere il Cremlino, l’ennesimo liberale chiuso nella sua torre d’avorio moscovita a meditare riforme irrealistiche. Tuttavia, la forza del dissidente aveva superato di gran lunga il suo messaggio. Fino al 2015, l’anno successivo all’annessione della Crimea alla Russia, si credeva che la propaganda di Putin avesse ampiamente conquistato i giovani, che non potevano ricordare le effimere e tumultuose riforme democratiche degli anni novanta e non avevano mai davvero conosciuto la democrazia. Grazie ad anni d’indottrinamento e regole stabilite dall’alto, c’era la convinzione che Putin avesse tenuto la nuova generazione fuori dalla politica. L’idea più o meno era questa: lasciate la politica a noi professionisti e potrete godervi i benefici portati dall’alto prezzo del

Mare di Barents

FINLANDIA

400 km

Kharp

Mosca

RUSSIA

KAZAKISTAN

petrolio, i lussi occidentali e un miglior tenore. La Fondazione anticorruzione (Fbk) di Navalnyj ha scardinato anche questo mito: i ragazzi e le ragazze si sono uniti alle sue proteste e sono diventati una delle forze trainanti del movimento. Nel 2017 la foto di un agente di polizia che cerca di tirare giù due ragazzini da un lampione in piazza Puškin, nel centro di Mosca, è diventata un simbolo in tutto il paese. Navalnyj non solo ha costruito un’organizzazione politica di opposizione su scala nazionale per la prima volta nella storia della Russia postsovietica, con un ampio seguito e in grado di parlare a strati diversi della società russa. Ha anche

Da sapere Nel carcere dove è morto Navalnyj ◆ Il 25 dicembre 2023, dopo diciannove giorni senza sue notizie, gli avvocati di Aleksej Navalnyj avevano fatto sapere che il loro assistito era stato trasferito nella Struttura correzionale numero 3 (Ik3) del circondario autonomo di Jamalo-Nenets, un carcere noto anche come Lupo polare. “La prigione ha una pessima reputazione”, scrive il giornale online russo Meduza, in esilio in Lettonia. “Si trova a nord del circolo polare artico, nel villaggio di Kharp, costruito dai prigionieri del gulag in epoca staliniana. Nel 2006 Novaja Gazeta scrisse che la struttura ‘funzionava da sempre come colonia penale per criminali pericolosi’. Un collaboratore di Navalnyj l’ha definita ‘una delle prigioni più remote’ della Russia, in cui le

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condizioni sono ‘brutali’. Gli avvocati specializzati nella difesa dei diritti dei detenuti hanno fornito una descrizione simile: ‘La vita per i detenuti è molto dura e tutte le comunicazioni sono bloccate, tranne forse alcune richieste di cure mediche e aiuti materiali’. La colonia penitenziaria si trova nella tundra, in un clima polare. ‘Inoltre il regime speciale è essenzialmente una tortura legalizzata’, dice un avvocato. ‘L’anno scorso il procuratore del circondario autonomo ha rilevato violazioni della sicurezza antincendio e degli standard sanitari. Significa che le situazione era così grave che anche l’ufficio del procuratore ha deciso d’intervenire, nonostante i controlli sulle strutture di detenzione siano fondamentalmente una

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formalità’. È difficile fornire i dettagli dell’assistenza medica su cui possono contare i detenuti nell’Ik-3. Un rappresentante della fondazione Russia behind bars ci ha provato: ‘Di norma, ogni volta che ti rivolgi a loro per una necessità, ti danno solo una pillola per la diarrea’. Anche se non ci sono state segnalazioni ufficiali di torture, i difensori dei diritti umani ritengono che siano praticate. ‘Non ci sono termosifoni per scaldare le celle. Se si cerca di far valere i propri diritti la temperatura della stanza viene portata a 10 gradi. Si sta seduti in questa cella gelata con indosso vestiti sintetici’. Quando ci sono ispezioni la temperatura può arrivare a 25 gradi. Appena gli ispettori se ne vanno, la temperatura viene abbassata”.

affascinato i giovani russi come il Cremlino non è mai riuscito a fare, rappresentando quindi una reale minaccia per la continuità del regime. E tutto ciò è stato ottenuto nonostante la repressione sempre più serrata. Ma forse l’elemento cruciale nella capacità di Navalnyj di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sono stati i social network, che la sua organizzazione ha continuato a usare anche dopo l’arresto dell’oppositore. Il team di Navalnyj ha dimostrato di essere sorprendentemente abile nel superare, volta dopo volta, le nuove sfide tecnologiche che deve fronteggiare chi fa politica nella Russia di Putin. L’inarrestabile presenza di Navalnyj sui social è diventata particolarmente importante dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quando il Cremlino ha preso provvedimenti per mettere a tacere o costringere all’esilio tutte le forze d’opposizione. Il gran numero di arresti appena dopo l’inizio della guerra ha messo in chiaro che in Russia sarebbe stata impossibile qualsiasi contestazione. Eppure i giornalisti russi hanno continuato a parlare ai loro connazionali dall’esilio, nonostante la censura online. E con sorprendente successo: milioni di russi hanno continuato ad affidarsi ai giornalisti fuggiti all’estero per avere informazioni precise sugli sviluppi della guerra in Ucraina o su sconvolgimenti interni come la rivolta del capo della milizia privata Wagner Evgenij Prigožin nel giugno 2023.

Un movimento inarrestabile Alla base di questo spostamento del pubblico verso il giornalismo online c’è l’approccio alla rete perfezionato da Navalnyj nel decennio precedente. Allo scoppio della guerra gli attivisti dell’opposizione in esilio hanno scoperto e adottato molte delle strategie messe a punto dall’organizzazione di Navalnyj. Ben presto tutti i gruppi di opposizione si sono spostati su YouTube e Telegram, seguendo quanto aveva fatto il team di Navalnyj, per esempio quando il dissidente era stato ricoverato in Germania dopo l’avvelenamento del 2020. Queste piattaforme sono presto diventate la vera casa dell’opposizione a Putin, fornendo ai russi del paese come della diaspora i commenti, le inchieste e le notizie quotidiane ormai completa-

Andrej Soldatov e Irina Borogan sono due giornalisti russi in esilio a Londra. Hanno fondato e gestiscono il sito Agentura.ru, che si occupa di questioni di intelligence e sicurezza. Il loro ultimo libro è The compatriots. The russian exiles who fought against the Kremlin (Londra 2022).

Atene, 15 febbraio 2024

UNIONE EUROPEA

Altri cinque anni? LOUISA GOULIAMAKI (REUTERS/CONTRASTO)

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il 19 febbraio che si candiderà per un secondo mandato. Ma secondo la Zeit Von der Leyen ha posizioni troppo deboli: “Non ha avuto problemi, per esempio, ad andare a Tunisi con la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni per presentare un accordo sull’immigrazione messo insieme in fretta e furia. Nei prossimi anni l’Europa si sposterà ulteriormente a destra. Forse Von der Leyen non è la persona giusta”. Di norma il presidente della Commissione fa parte del gruppo politico europeo che ottiene i migliori risultati alle elezioni.

GRECIA

Uguali per legge Il 15 febbraio il parlamento ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso e riconosciuto alle coppie omosessuali il diritto di adozione. La legge era sostenuta dal primo ministro conservatore Kyriakos Mitsotakis. Durante il voto, racconta Kathimerini, erano presenti “decine di esponenti della comunità lgbt+, che per la prima volta provavano la felicità, ora legale, di una conquista collettiva oltre che personale”.

FRANCIA

Partigiani nel Panthéon La Croix, Francia Poeta, comunista, armeno e partigiano, Missak Manouchian è stato tumulato nel Panthéon di Parigi il 21 febbraio, insieme alla moglie Mélinée. Il giorno precedente si era tenuta una veglia a Mont Valérien, alle porte della capitale, “dove fu fucilato insieme ad altri 21 partigiani del suo gruppo. Tutti i loro nomi saranno ora incisi nella cripta del Panthéon. Appartenevano all’unità della resistenza Francs-tireurs et partisans – Main-d’œuvre immigrée, composta in gran parte da stranieri, rifugiati e immigrati. Manouchian si era unito a loro nel febbraio 1943, prima di diventarne il capo militare. Furono tutti arrestati nel novembre 1943, al termine di una sorveglianza durata tre mesi da parte dei servizi segreti” del governo collaborazionista, ricorda La Croix. Con questa decisione, il presidente Emmanuel Macron ha voluto sottolineare che “la Francia è universalismo, apertura e accoglienza”, provando a far dimenticare le polemiche che hanno accompagnato la nuova e restrittiva legge sull’immigrazione. ◆

UGUR YILDIRIM (DIA IMAGES/GETTY)

mente irreperibili sui mezzi d’informazione ufficiali. Perfino dopo il suo arresto, il nome di Navalnyj ha continuato a essere al centro del programma dell’opposizione: non solo perché la sua figura era la più riconoscibile, ma anche per il sostegno compatto che aveva, sia nel paese sia fuori. In realtà molti dei suoi sostenitori non avevano condiviso la sua decisione di tornare in Russia nel 2021, consapevoli che sarebbe subito finito in prigione. Avevano bisogno di un leader da ascoltare e preferivano che Navalnyj rimanesse libero. Anche dal carcere, tuttavia, Navalnyj aveva trovato il modo per comunicare con i suoi militanti, facendo di certo innervosire ulteriormente il Cremlino. In un certo senso la sua morte segna il culmine degli sforzi dello stato russo, durati anni, per eliminare ogni briciolo di opposizione. Per più di vent’anni Putin ha dato all’assassinio politico un posto tra gli attrezzi del mestiere del Cremlino. E lo ha usato contro seccatori come la giornalista Anna Politkovskaja e ficcanaso come l’ex agente dei servizi segreti e poi dissidente Aleksandr Litvinenko. E contro i suoi avversari politici Boris Nemtsov, ucciso a colpi di pistola nel 2015, e Vladimir Kara-Murza, avvelenato per due volte e attualmente in carcere. Navalnyj, sopravvissuto a diversi tentativi di omicidio, era un obiettivo ancora più importante. Anche dopo tutto quello che è successo, è improbabile che le forze scatenate da Navalnyj si disperdano. La sua morte è un colpo terribile per i russi che si oppongono a Putin. E, per quanto sia urgentissimo e necessario per avere voce in capitolo in un futuro postputiniano, sarà difficile trovare una figura capace di unire le opposizioni come aveva fatto lui. Ma Navalnyj ha lasciato in eredità alla Russia la sua organizzazione e i suoi militanti. È questo che conta. I sostenitori di Navalnyj non spariranno. Anzi, potrebbero presto diventare più numerosi che mai. ◆ ab

IN BREVE

Turchia Sono ancora dispersi i nove minatori travolti da una frana il 13 febbraio a Erzincan (nella foto). Alcune ong e organizzazioni professionali hanno chiesto la chiusura della miniera d’oro per una possibile contaminazione da cianuro. Ucraina Le truppe di Kiev si sono ritirate il 16 febbraio da Avdiïvka, la città dell’est assediata dalle forze russe per mesi. La decisione è stata presa per salvare le vite dei soldati, ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelenskyj.

Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Africa e Medio Oriente Persone in coda agli uffici della Zain. Gadaref, Sudan, 6 febbraio 2024

Le tre aziende hanno segnalato che le interruzioni delle linee telefoniche e internet riguardano soprattutto Port Sudan, la città sul mar Rosso adottata dall’esercito come capitale alternativa dopo la distruzione dell’aeroporto principale di Khartoum. In tutto il paese la maggior parte delle banche è fuori servizio, così come i servizi digitali usati per i trasferimenti di denaro e su cui le famiglie sudanesi fanno affidamento per ottenere aiuto dai parenti all’estero.

AFP/GETTY

Come vent’anni fa

SUDAN

Il sabotaggio dell’economia Mawahib Abdallatif, The East African, Kenya Le parti in conflitto in Sudan non esitano a prendere di mira le attività economiche. Dopo gli attacchi alle sedi delle grandi aziende di telecomunicazioni, il paese è in gran parte isolato el tentativo d’indebolire gli avversari, le fazioni in conflitto in Sudan stanno trasformando la guerra in un grande sabotaggio economico, di cui anche l’eventuale vincitore pagherà duramente le spese. A dieci mesi dai primi scontri tra le Forze di supporto rapido (Rsf ) e l’esercito sudanese, la natura del conflitto è cambiata, con le fazioni originarie che hanno raccolto il sostegno di gruppi minori, facendo aumentare gli interessi in gioco. Ma ora il problema più grande è la distruzione di infrastrutture come le antenne per le telecomunicazioni e le strade. Da due settimane i servizi delle tre aziende di telecomunicazioni Sudani (sudanese), Mtn (sudafricana) e Zain (kuwaitiana) “sono inaccessibili in gran par-

N

te delle regioni del paese, e questo sta causando una paralisi quasi completa delle operazioni bancarie e dei servizi doganali nei porti sudanesi”, si legge in un comunicato dell’autorità per le telecomunicazioni, che fa capo alla giunta guidata dal generale Abdel Fattah al Burhan. L’ente accusa le Rsf di aver bloccato i data center della Sudani e della Mtn, e di aver ripristinato invece le comunicazioni in alcune città del Darfur sotto il loro controllo che erano rimaste isolate a causa dei tralicci incendiati, della rete in fibra ottica vandalizzata, della mancanza di corrente e di carburante. Il sabotaggio economico, cioè la decisione di distruggere alcuni servizi di base o impedire che arrivino alle comunità, non è una novità, ma di solito lo usano gruppi d’insorti per promuovere le loro ideologie, come in Somalia e in Kenya dove i miliziani di Al Shabaab hanno distrutto i tralicci per le telecomunicazioni. In Sudan le parti in conflitto si accusano l’un l’altra di aver tagliato le comunicazioni e questa pratica sembra più una punizione per gli abitanti, che il tentativo d’imporre un’ideologia.

Mentre il 95 per cento del Sudan è tagliato fuori dal mondo, crescono i timori per le ricadute umanitarie, sanitarie ed economiche. Secondo alcune stime la guerra ha già spinto 18 milioni di sudanesi sull’orlo della fame, con circa 700mila bambini malnutriti. “Il conflitto ha creato più di sei milioni di sfollati interni, e per metà sono bambini”, ha dichiarato Marie David, direttrice di Care international in Sudan. È “il numero di bambini sfollati più grande del mondo. Già vulnerabili, vedono peggiorare le loro condizioni di vita a causa dei combattimenti. Saltano i pasti e la loro crescita ne risente, e corrono un rischio più alto di contrarre malattie mortali. Si registrano livelli incredibilmente alti di malnutrizione acuta tra i bambini di meno di cinque anni, e centinaia di migliaia di loro rischiano la vita. Senza un intervento rapido, milioni di persone potrebbero morire per la carestia che incombe”. La guerra in Sudan ha spinto a fuggire nei paesi vicini più di due milioni di abitanti, che sono comunque troppi per ricevere un’assistenza adeguata. Jan Egeland, segretario generale del Norwegian refugee council, ha detto che la situazione in Ciad ricorda quella in Darfur vent’anni fa. Ma, osserva Egeland, questa volta nessuno protesta. “Oggi in Ciad abbiamo il triplo dei rifugiati rispetto a quelli che arrivarono nel 2003 e nel 2004. Però non vediamo né indignazione né solidarietà al livello internazionale. Nessuna operazione umanitaria o iniziativa di pace ha avuto un effetto concreto sulle sofferenze dei civili in Sudan o nei campi profughi vicini”, ha affermato. “Le testimonianze dei rifugiati in Ciad raccontano di dolori e violenze inimmaginabili. La guerra sta sconvolgendo un’intera regione nel cuore dell’Africa”. u adg Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Africa e Medio Oriente Ituri Nord Kivu Kinshasa

Bunia

ISRAELE-PALESTINA

SUDAFRICA

Prima del Ramadan

Commerci brutali

Goma

RDC

Il 19 febbraio Città del Capo, in Sudafrica, è stata investita da un odore insopportabile proveniente da una nave (nella foto) arrivata la sera prima. Le autorità sanitarie hanno appurato che si trattava della Al Kuwait, partita dal Brasile e diretta in Iraq, con a bordo diciannovemila capi di bestiame trasportati in condizioni inaccettabili. In città si è riunito un picchetto di protesta contro le esportazioni di animali vivi, scrive il Daily Maverick. Intanto l’Unione africana ha fatto un passo avanti nella protezione degli animali vietando il commercio di pelli d’asino, molto richieste in Cina per preparare un rimedio tradizionale. Secondo un’organizzazione animalista, per questo commercio si abbattono ogni anno sei milioni di asini in tutto il mondo.

Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, 15 febbraio 2024

TANZANIA ANGOLA 500 km

Nella provincia dell’Ituri, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), il 18 febbraio la milizia Codeco (Cooperativa per lo sviluppo del Congo) ha causato almeno dodici morti nell’attacco a una miniera d’oro, rompendo la relativa calma che regnava nell’area da mesi, scrive Africanews. Il giorno dopo a Goma, nella provincia del Nord Kivu, sono scoppiate delle proteste contro il Ruanda, accusato di finanziare i miliziani del movimento M23. I manifestanti hanno anche bruciato le bandiere di paesi occidentali.

TUNISIA

In sciopero della fame Il 19 febbraio in Tunisia Rachid Ghannouchi, 82 anni, leader del partito d’ispirazione islamista Ennahda, ha cominciato uno sciopero della fame in solidarietà con altri sei politici in carcere che la settimana prima avevano adottato questa forma di protesta per denunciare i metodi autoritari del presidente Kais Saied. Nel febbraio 2023 è partita una serie di arresti di esponenti dell’opposizione, accusati di aver complottato contro la sicurezza dello stato. Decine di prigionieri politici sono ancora in cella, scrive Inkyfada, ma sono determinati a proseguire la loro lotta.

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u Il 18 febbraio 2024 Israele ha annunciato che il suo esercito lancerà un’operazione di terra a Rafah se gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza non saranno rilasciati entro l’inizio del Ramadan, il 10 marzo. Il ministro Benny Gantz, che fa parte del gabinetto di guerra del premier Benjamin Netanyahu, ha chiarito che sarà favorito il trasferimento dei civili in modo da “minimizzare per quanto possibile il numero delle vittime”. Ma non è stato detto dove dovrebbero rifugiarsi. u Netanyahu ha incontrato il 18 febbraio i ministri del suo governo e gli alti funzionari dell’apparato di sicurezza per consultazioni in vista del Ramadan. Una fonte presente all’incontro ha detto ad Haaretz che è stata discussa la proposta del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, di estrema destra, per limitare l’ingresso alla moschea Al Aqsa ai palestinesi durante il mese sacro. u La Corte internazionale di giustizia (Cig) ha cominciato il 19 febbraio le udienze nel caso che riguarda la legalità dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967. Sono chiamati a testimoniare 52 paesi, un numero senza precedenti. Le udienze si concluderanno il 26 febbraio e il parere della corte è atteso tra mesi. Il caso è separato dal ricorso presentato alla Cig dal Sudafrica contro Israele per genocidio nella Striscia di Gaza. u Il 20 febbraio gli Stati Uniti hanno messo il veto alla risoluzione proposta dall’Algeria presentata al Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza. È il terzo veto statunitense dall’inizio dell’offensiva militare israeliana nel territorio palestinese. Washington ha presentato al Consiglio di sicurezza una proposta alternativa, che chiede un cessate il fuoco temporaneo “non appena fattibile” e si oppone a un’offensiva di terra israeliana su Rafah. Non è chiaro se e quando sarà votata.

Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

Città del Capo, 20 febbraio NARDUS ENGELBRECHT (AP/LAPRESSE)

Sfida al Ruanda e all’occidente

ABED ZAGOUT (ANADOLU/GETTY)

RDC

IN BREVE

Egitto Il 20 febbraio si è aperto a Roma, in assenza degli imputati, un nuovo processo ai quattro funzionari dei servizi di sicurezza egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore italiano Giulio Regeni al Cairo nel 2016. Guinea La giunta militare guidata dal colonnello Mamady Doumbouya il 19 febbraio ha sciolto il governo di transizione annunciando che ne nominerà uno nuovo. I militari, responsabili del golpe del settembre 2021, hanno promesso di cedere il potere a un esecutivo formato da civili alla fine del 2024.

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Americhe CUBA

Anche gli anziani decidono di andare via Leonardo Padura, El País, Spagna L’esilio fa parte della storia di Cuba. Ora però stanno partendo non solo i giovani che vogliono un futuro migliore, ma i sessantenni, racconta lo scrittore Leonardo Padura l mio amico Eduardo è passato per dirmi che ha tutti i documenti e ha già comprato il biglietto aereo. Tra due settimane lascerà Cuba, quasi certamente per non tornare più: ha venduto la casa, con tutto quello che c’era dentro. Raggiungerà a Lima, in Perù, i suoi due figli, che sono emigrati qualche anno fa. Eduardo ha la mia età e come me ha sempre vissuto nel quartiere Mantilla, alla periferia dell’Avana. La prima immagine che ho di lui risale al primo giorno di scuola del 1960, quando stavamo cominciando le elementari. Mentre ci mettevamo in fila per la cerimonia civile che inaugurava l’anno scolastico – cantavamo l’inno nazionale, facevamo il saluto alla bandiera e ascoltavamo il di-

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YAMIL LAGE (AFP/GETTY)

Santiago de Cuba, 24 settembre 2023

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Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

scorso del preside– una maestra prese Eduardo per mano e lo portò in fondo alla fila dei maschi: era il più giovane ma anche il più alto di tutti. Era stato soprannominato El Colorao, per i suoi capelli rossi e il viso lentigginoso. Anche oggi, con più capelli bianchi che rossi, è sempre El Colorao. È laureato in geografia ed è stato un ottimo professionista. Nel 2022, all’età di 66 anni, è andato in pensione. Prende circa duemila pesos cubani al mese. Ma oggi a Cuba una confezione da trenta uova ne costa tremila. Con la sua pensione Eduardo non può mangiare nemmeno un uovo al giorno. Anche per questo se ne va. Come i suoi figli. È l’ennesimo amico a volare via, come polvere nel vento. Qualche giorno fa ho salutato Kike, un altro vecchio amico. Si è trasferito in Spagna, con la figlia e i nipoti. Lascia un vuoto enorme, sentimentale e pratico. Per me e mia moglie Kike era “l’uomo di casa”: falegname, idraulico, muratore, imbianchino, a volte (contro la sua volontà) elettricista. Risolveva tutti i problemi domestici e le sue mani hanno costruito molti dei nostri mobili: scaffali, tavolo,

sedie, porte in legno. Kike ha 78 anni. È nato pure lui a Mantilla e non aveva mai pensato di andarsene da Cuba, neanche dal quartiere. Invece è partito. La sua pensione era di circa 1.500 pesos, per questo non ha mai smesso di lavorare, qualunque cosa gli capitasse, nonostante i dolori alle ossa. Ho appena scoperto che anche la dottoressa Esperanza se ne va. Eravamo compagni di corso e tantissimi anni fa è stata la mia ragazza. Andrà a Tampa, negli Stati Uniti, dalla figlia che non vede da dieci anni. Eduardo, Kike ed Esperanza sono tra i pochi amici di una vita che mi restavano nel quartiere. Altri sono partiti e altri ancora sono morti. Come polvere nel vento, si sono dispersi e mi hanno lasciato qui, sempre più solo e nostalgico. Ogni persona che se ne va è una perdita, fisica e mentale: ognuna porta con sé ricordi che potevo condividere solo con lei. È in tutto e per tutto un’amputazione.

Stanchezza storica Perché tante persone decidono di emigrare? Perché se ne vanno cubani ormai anziani, che difficilmente riusciranno a guadagnarsi da vivere nei paesi verso cui viaggiano? Partono perché gli affetti lo richiedono, ma anche perché sono stanchi. Una pesante stanchezza storica che si concretizza in un presente diverso dal futuro che ci era stato promesso, quello che ci saremmo meritati dopo anni di lavoro e sacrifici. Vanno via perché qui, nel loro paese, hanno vissuto di quelle che un altro amico del quartiere chiama “donazioni”: il sostegno economico di parenti e amici all’estero. I figli e i nipoti dei miei coetanei non hanno aspettato tanto. In questi anni molti hanno lasciato Cuba per cambiare il loro presente e aspirare a un futuro migliore. Se ne sono andati e continuano a farlo sfruttando qualsiasi scappatoia e scegliendo qualsiasi destinazione. Per illustrare le proporzioni di questo dissanguamento nazionale bastano le cifre fornite di recente dal dipartimento di protezione delle frontiere degli Stati Uniti. Tra l’ottobre e il novembre del 2023 sono entrati negli Stati Uniti in modo irregolare 38.154 cubani. La maggior parte ha attraversato il confine messicano, dopo aver preso la “rotta dei coyote” che dal Nicaragua attraversa l’America Centrale e tutto il Messico. Il viaggio costa circa

REBECCA COOK (REUTERS/CONTRASTO)

Leonardo Padura è uno scrittore cubano nato all’Avana nel 1955. I suoi ultimi libri pubblicati in Italia sono L’uomo che amava i cani (Bompiani 2021) e Come polvere nel vento (Bompiani 2022).

MESSICO

Difendere le istituzioni

Il 16 febbraio si è concluso a New York un processo civile per frode finanziaria contro Donald Trump (nella foto). L’ex presidente era accusato di aver gonfiato il valore degli immobili dell’azienda di famiglia, per ingannare i finanziatori, gli assicuratori e le autorità finanziarie e ottenere tassi migliori su prestiti bancari e polizze. Trump è stato condannato a pagare un risarcimento di 354 milioni di dollari (328 milioni di euro). “Inoltre il giudice ha stabilito che non potrà svolgere attività imprenditoriali né chiedere prestiti nello stato di New York per tre anni”, scrive il New York Times. L’ex presidente ha commentato il verdetto accusando il giudice di essere corrotto e annunciando un ricorso. Al livello economico la sanzione gli costerebbe tra il 14 e il 17 per cento del suo patrimonio (che nel 2021 ammontava a 2,6 miliardi di dollari). Trump deve anche dare 83,3 milioni di dollari alla scrittrice E. Jean Carroll, che ha vinto una causa per diffamazione contro di lui, e deve pagare milioni di dollari per le spese legali nei quattro processi penali in cui è imputato. Favorito nelle primarie repubblicane per scegliere il candidato alle presidenziali, Trump il 24 febbraio dovrà affrontare Nikki Haley nel voto in South Carolina, dove è in vantaggio.

Ricordi e nostalgia L’esilio è stato una parte sostanziale della storia cubana fin dalle origini. Il primo a proclamare la sua appartenenza a Cuba e a immortalarla nei suoi scritti fu il poeta José María Heredia, che nel 1823 fuggì a causa delle sue attività a favore dell’indipendenza. È un destino che ci perseguita nonostante il nostro sbandierato nazionalismo. E anche se, come diceva Milan Kundera, “nessuno lascia il luogo in cui è felice”. L’attuale ondata migratoria è la più consistente della nostra storia nazionale. E senza dubbio è un riflesso dell’insoddisfazione di tante persone che preferiscono i drammi legati all’esilio al vivere in attesa di un futuro luminoso che non arriva mai. Nel mio romanzo Come polvere nel vento ho provato a raccontare le ragioni e gli esiti della diaspora della mia generazione e di quella di coloro che potrebbero essere i miei figli e nipoti. Ma la realtà è spesso più potente e dolorosa della finzione, e oggi assistiamo al dissanguamento di un paese da cui oltre ai giovani se ne vanno persone come i miei vecchi amici. Il loro futuro è molto incerto, soffriranno per la nostalgia e la perdita. Ma avranno la vicinanza dei loro cari e forse un po’ di sollievo dopo tanta stanchezza storica. Spero che portino con sé anche gli affetti del passato e ricordino i caffè che gli ho preparato qui, nella mia casa di Mantilla all’Avana. u fr

STATI UNITI

Multa salata per Trump

Città del Messico, 18 febbraio 2024

DANIEL CARDENAS (ANADOLU/GETTY)

diecimila dollari a persona e il percorso è organizzato da una rete di trafficanti. Altri hanno sfruttato vie legali, come la cosiddetta libertà condizionata umanitaria istituita nel gennaio 2023 dal governo Biden per chi ha uno “sponsor” che lo accolga in territorio statunitense. In generale negli ultimi due anni più di 650mila cubani sono emigrati negli Stati Uniti. Quanti, come i miei amici, sono partiti per la Spagna, il Perù, l’Argentina, la Russia o qualsiasi altro paese? Qualunque sia la cifra, è sconvolgente se paragonata alla popolazione di Cuba: 11,26 milioni di abitanti secondo il censimento del 2021.

“Decine di migliaia di persone (700mila secondo gli organizzatori) il 18 febbraio si sono riunite nella piazza dello Zócalo, a Città del Messico, per chiedere elezioni trasparenti e il rispetto delle istituzioni democratiche del paese”, scrive Milenio. In particolare i manifestanti difendono l’indipendenza dell’Instituto nacional electoral (Ine) e accusano il governo del presidente di centrosinistra Andrés Manuel López Obrador di volerlo indebolire e smantellare. Dal 2018, quando è stato eletto, Obrador sostiene che l’Ine è corrotto e spinge per riformarlo e ridurne il personale. Il 2 giugno in Messico ci saranno le elezioni presidenziali. Obrador non può ricandidarsi – la costituzione messicana autorizza un solo mandato – ma l’alleata del presidente Claudia Sheinbaum, ex sindaca della capitale, ha registrato ufficialmente la sua candidatura proprio il 18 febbraio ed è favorita nei sondaggi. u

DIPLOMAZIA

Brasile e Israele ai ferri corti Il 18 febbraio durante un summit dell’Unione africana ad Addis Abeba, in Etiopia, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha affermato che “quella in corso nella Striscia di Gaza non è una guerra ma un genocidio”. Lula poi ha paragonato l’offensiva israeliana contro il popolo palestinese a Gaza allo sterminio degli ebrei durante il nazi-

smo. Queste parole hanno aperto una crisi diplomatica tra i due paesi: il ministro degli esteri israeliano, Israël Katzha, ha dichiarato Lula persona non grata in Israele fino a quando non si scuserà ufficialmente. In risposta il suo collega brasiliano, Mauro Vieira, ha convocato il 19 febbraio l’ambasciatore israeliano in Brasile. Nell’editoriale la Folha de S.Paulo scrive che “la banalizzazione di temi come il genocidio e l’Olocausto non dovrebbe far parte del repertorio di un capo di stato”.

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Asia e Pacifico

ACHMAD IBRAHIM (AP/LAPRESSE)

Prabowo Subianto, Jakarta, 16 febbraio 2024

tica a Jokowi, che con un gesto di riconciliazione l’ha nominato ministro della difesa nel 2019 dopo averlo sconfitto in modo netto alle presidenziali per la seconda volta. Da quel momento l’ex comandante delle forze speciali ha cercato di cambiare la sua immagine provando a essere più amichevole e accomodante. A quanto pare ci è riuscito, perché alcuni indonesiani hanno dimenticato i suoi trascorsi da militare sospettato di essere coinvolto in crimini contro l’umanità. Secondo gli analisti, alle ultime elezioni Prabowo è stato avvantaggiato dal ricambio generazionale: il 52 per cento degli elettori ha meno di quarant’anni, e molti di loro appartengono alla generazione z, perciò potrebbero non essere consapevoli delle gravi accuse contro Prabowo o considerarle storia passata.

Stabilità incerta INDONESIA

Le ombre nel passato del presidente Ainur Rohmah, Asia Sentinel, Stati Uniti Prabowo Subianto ha vinto le elezioni indonesiane promettendo sviluppo economico e investimenti. Ma il ruolo che ebbe durante la dittatura preoccupa molti on la vittoria di Prabowo Subianto, che alle elezioni presidenziali del 14 febbraio ha surclassato i due avversari, l’Indonesia avrà probabilmente un governo stabile e favorevole agli investimenti, con forti tendenze nazionalistiche e dispotiche. È probabile che Joko “Jokowi” Widodo, che terminerà il suo mandato a ottobre senza essere riuscito a raggiungere molti dei suoi obiettivi, giocherà un ruolo di primo piano in questo esecutivo. Ma difficilmente Prabowo, che cerca di diventare presidente da quarant’anni, seguirà in modo servile le indicazioni del suo predecessore. I mercati si sono ripresi e la rupia indonesiana si è stabilizzata

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Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

dopo che Prabowo ha promesso di portare avanti alcuni dei progetti di Jokowi, tra cui la costruzione della nuova capitale Nusantara, il sostegno alla lavorazione delle risorse minerarie e la creazione di un contesto favorevole agli investimenti per rafforzare lo sviluppo interno. Prabowo ha inoltre detto di voler portare l’Indonesia tra i paesi sviluppati entro il 2045, ridurre il debito pubblico nei prossimi cinque anni, rafforzare l’esercito e fornire pasti e latte gratuiti nelle scuole. Ma, per il suo passato da militare e la sua personalità volubile, in molti temono che Prabowo non baderà più di tanto ai principi democratici.

Una nuova immagine Prabowo è l’ex genero di Suharto, il militare che guidò il paese in modo autoritario fino al 1998. Secondo dati non ufficiali, ha ottenuto più del 55 per cento dei voti, staccando di venti punti il candidato arrivato secondo, Anies Baswedan, e superando ogni aspettativa. È indubbio che Prabowo debba la sua resurrezione poli-

Ci si chiede se Prabowo sarà in grado di portare avanti il suo programma, per non parlare di quello del presidente uscente. Il Gerindra, il suo partito, è arrivato terzo dopo il Golkar, ed entrambi faranno parte del nuovo governo. Tuttavia, il Partito democratico indonesiano di lotta (Pdi-P), da cui Jokowi ha preso le distanze rifiutandosi di sostenerne il candidato a favore di Prabowo, continua a essere la formazione politica con più parlamentari, e sarà all’opposizione. Megawati Sukarnoputri, figlia di Sukarno, il presidente fondatore dell’Indonesia, e leader del Pdi-P, ha un rapporto difficile con Jokowi fin dalla sua prima elezione nel 2014. Se è vero che la valanga di voti dovrebbe garantire stabilità, tutti osserveranno con attenzione Prabowo, tenuto conto del suo ruolo nella repressione durante il regime di Suharto. Sotto scrutinio saranno anche le mosse di Jokowi per mantenere il controllo del potere. Nel precario percorso dell’Indonesia verso la democrazia avviato dopo la caduta di Suharto nel 1998, i presidenti che si sono succeduti fin qui hanno prestato poca attenzione alle ambizioni dei loro predecessori. I principali obiettivi del presidente uscente – cioè la crescita economica, lo sviluppo delle infrastrutture e la costruzione di Nusantara, la nuova remota capitale a 1.200 chilometri di distanza da Jakarta, nella parte indonesiana del Borneo – restano sostanzialmente incompiuti anche se in questi anni il pil

Da sapere Massacri e sparizioni u Il 16 settembre 1983 a Timor Leste, vicino al villaggio di Caraubalo, alcuni uomini del Kopassus, le forze speciali indonesiane, uccisero a freddo un gruppo di guerriglieri e le loro famiglie: 55 persone tra cui donne e bambini. Il giorno dopo ne furono assassinate altre 140. L’Indonesia del generale Suharto, il secondo presidente del paese, aveva invaso la parte orientale dell’isola di Timor nel 1975, subito dopo la dichiarazione unilaterale d’indipendenza della colonia portoghese. All’annessione di Timor Leste a Jakarta era seguita una dura e cruenta repressione delle forze di resistenza. A guidare la squadra del Kopassus c’era un giovane comandante di appena 26 anni, che era entrato nelle forze speciali nel 1976 e pochi mesi prima aveva sposato la secondogenita di Suharto. Era Prabowo Subianto, che negli anni a venire sarebbe diventato generale e poi capo delle forze strategiche di riserva dell’esercito indonesiano (Kostrad). Nel 1996 Prabowo guidò una missione delle forze speciali nella provincia di Papua, dove i suoi uomini fecero una spedizione punitiva contro i civili sospettati di sostenere i separatisti. Nella primavera del 1998, quando Jakarta stava precipitando nel caos dopo il crollo della dittatura di Suharto, Prabowo si distinse ancora una volta per il rapimento e la tortura di studenti e attivisti a favore della democrazia. Per quest’ultimo episodio fu congedato dall’esercito e gli fu revocato il permesso d’ingresso negli Stati Uniti fino al 2019, quando diventò ministro della difesa di Joko Widodo.

PAPUA NUOVA GUINEA

COREA DEL SUD

Scontri tribali

La protesta dei medici

BANGLADESH

Stop ai profughi dalla Birmania Il governo del Bangladesh resiste alle pressanti richieste della Nazioni Unite di accogliere i rohingya in fuga dalla guerra civile in Birmania. Dhaka, che ospita già un milione di profughi della minoranza, sostiene di non poterne ricevere altri, scrive il Friday Times.

Teknaf, 26 novembre 2023

Seoul, 21 febbraio 2024

JUNG YEON-JE (AFP/GETTY)

Almeno 64 persone sono morte in un’imboscata della provincia di Enga, in Papua Nuova Guinea, dov’è in corso un conflitto tra gruppi tribali. L’attacco è avvenuto il 18 febbraio vicino a Wabag, a circa seicento chilometri dalla capitale Port Moresby, scrive The National. La polizia provinciale sostiene che tra le vittime ci sono molti mercenari, uomini che vagano per le campagne offrendosi di aiutare le tribù a regolare i conti con i loro rivali. Gli scontri tribali, spesso provocati da dispute territoriali o accuse di furto, sono frequenti in questa parte del paese, dove la popolazione è più che raddoppiata dal 1980, esercitando una pressione crescente sulla terra e sulle risorse naturali e intensificando le rivalità fra le tribù.

MUNIR UZ ZAMAN (AFP/GETTY)

del paese è cresciuto in media del 5 per cento. Accompagnato dal suo candidato alla vicepresidenza Gibran Rakabuming Raka – primogenito di Widodo – Prabowo ha cercato di apparire rassicurante. “Questa dev’essere la vittoria di tutti gli indonesiani. Ora che la campagna elettorale è finita, dobbiamo essere di nuovo uniti”, ha dichiarato. Ha detto più volte di andare d’accordo con Jokowi, che continua ad avere un consenso fenomenale, con un tasso di approvazione del 76 per cento. Prabowo ha ripetuto più volte di aver tracciato insieme a Jokowi un piano generale per il futuro dell’Indonesia, mostrando una condivisione d’intenti. Molti, però, temono che la sua vittoria possa riportare il paese ai giorni della dittatura, con la soppressione della libertà d’espressione, una corruzione diffusa e il potere nelle mani dell’esercito. u gim

In Corea del Sud è in corso una protesta che rischia di bloccare il sistema sanitario nazionale. Il 20 febbraio più della metà dei medici tirocinanti ha rassegnato le dimissioni e una parte ha chiesto un congedo a tempo indeterminato, costringendo le strutture a posticipare interventi chirurgici e a respingere malati nei pronto soccorso. I giovani medici, scrive il Korea Herald, contestano la decisione del governo di aumentare del 65 per cento il numero dei posti nelle scuole di medicina, che ora accettano tremila studenti all’anno. In questo modo l’esecutivo vuole far fronte alla grave carenza di personale negli ospedali. La Corea del Sud ha un rapporto di 2,5 medici ogni mille abitanti, uno dei tassi più bassi tra i paesi industrializzati. E tra gli stati dell’Ocse è uno di quelli che ha i medici meglio pagati, con uno stipendio medio di 185mila euro all’anno (a fronte di una retribuzione media nel paese di 32mila euro). Il governo calcola che entro il 2035 mancheranno 15mila medici. Secondo i sondaggi, l’80 per cento dei cittadini approva la riforma del presidente Yoon Suk-yeol. u

INDIA

Trattori in piazza Gli agricoltori indiani sono tornati in piazza dopo le grandi proteste del 2020 contro la riforma agraria, durate un anno. Stavolta chiedono al governo prezzi garantiti per i loro prodotti. Il 21 febbraio, dopo il fallimento del quarto round di

colloqui con le autorità, i manifestanti hanno ripreso a marciare verso New Delhi. La polizia ha bloccato gli accessi alla capitale, ma in 14mila sono accampati con 1.200 trattori alle porte della città e assicurano di poter rimanere lì per mesi. Ad aprile in India si terranno le elezioni generali e gli agricoltori sono una parte influente dell’elettorato, scrive Scroll.

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Ambiente

Il granchio che divora tutto Il granchio blu sta mettendo a rischio la biodiversità del Mediterraneo. La Tunisia ha trovato una soluzione, ma i pescatori italiani sono scettici e operaie sono intorno a un tavolo di metallo. Esaminano i crostacei a uno a uno e li sistemano in mucchi diversi a seconda della dimensione. Sul tavolo accanto altre donne tagliano con le forbici gli animali in due e li ripongono ordinatamente in scatole di cartone. “Questi vanno in Corea”, sottolinea con soddisfazione Atif Athmi, direttore esecutivo della fabbrica. “Da quelle parti il granchio blu è considerato una prelibatezza”. Lo stabilimento di lavorazione del gruppo ittico Jaradah, nella zona industriale di Gabès, in Tunisia, è stato inaugurato nel 2020 ed è il più grande del paese. È l’avamposto di una rivoluzione che ha trasformato una catastrofe ecologica in un’opportunità di sviluppo. Athmi elenca numeri da capogiro mentre fa vedere la zona in cui ci sono decine di celle frigorifere: “In piena stagione estiva qui lavorano 1.700 persone, soprattutto donne, organizzate su tre turni.

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50 km

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Venezia Mar Adriatico

Rovigo Po Goro

Delta del Po Sacca di Scardovari

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Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

Possiamo trasformare fino a settanta tonnellate di granchio al giorno”. Il prodotto, cotto o solo congelato, viene confezionato in base alle richieste dei clienti: i coreani amano quello tagliato in due e preferiscono la femmina, mentre in Thailandia è richiesto soprattutto crudo. Lo stabilimento di Zarzis, più a sud, ha una linea di produzione che confeziona la polpa in barattoli, destinati al mercato nordamericano. Oggi in Tunisia sono 51 gli impianti di lavorazione del granchio blu, tutti costruiti negli ultimi cinque anni. Un giro d’affari su cui si sono buttati investitori da ogni parte del mondo: la fabbrica di Gabès appartiene a un’azienda del Bahrein, che ha uno stabilimento simile nel paese del golfo Persico, poi ci sono anche altre fabbriche di imprenditori coreani, turchi e tunisini.

La svolta Il granchio blu è stato avvistato per la prima volta nel golfo di Gabès nel 2014, portato dai cambiamenti climatici che stanno colpendo duramente il mar Mediterraneo. “Il Portunus segnis è arrivato dall’oceano Indiano attraverso il canale di Suez. In un mare più caldo ha trovato un ambiente adatto che gli ha permesso di proliferare”, spiega Jamila Ben Souissi, esperta di specie aliene marine e direttrice di ricerca presso l’Institut national agronomique de Tunisie. Quando è arrivato sulle coste tunisine il crostaceo ha avuto lo stesso impatto di uno tsunami. Ha devastato le riserve ittiche e gettato sul lastrico i pescatori. Non per niente è stato soprannominato Daesh, acronimo arabo con cui si indica il gruppo Stato islamico. Ha lo stesso modo d’agire: fa tabula rasa di tutto ciò che incontra. “All’inizio è stata una tragedia: i granchi hanno mangiato tutto il pesce pregiato e con le loro chele hanno distrutto le reti

FRANCESCO BELLINA

Stefano Liberti per Internazionale

da pesca”, ricorda Sassi Alaya, responsabile del Groupement de développement de pêche (Gruppo per lo sviluppo della pesca), un’associazione che riunisce seicento pescatori della zona di Al Ghanouche, vicino a Gabès. “Molti di noi hanno venduto le imbarcazioni perché non vedevano alcun futuro per la professione”. Poi c’è stata la svolta: nel giro di pochi anni gli stessi pescatori che avevano ceduto le barche ne hanno comprate di nuove e ripreso a lavorare. Il tanto vituperato Daesh era diventato una materia prima molto ricercata da vari stabilimenti per la trasformazione che in quel periodo stavano aprendo un po’ ovunque lungo tutta la costa tunisina. Si è creata così una filiera funzionante che oggi dà lavoro a migliaia di persone: dai pescatori ai commercianti, dagli operai agli operatori della logistica. Secondo il ministero dell’agricoltura,

Un magazzino per stoccare e vendere il pesce. Kerkennah, Tunisia, 2022

ganizzato sulle isole un festival del granchio blu e servito piatti in cui questo nuovo ingrediente sostituiva quelli tradizionali della cucina tunisina”. Le foto nel libro mostrano sandwich o grandi piatti di cous cous in cui al polpo si affianca questo crostaceo tropicale. Per il momento sono esperimenti di nicchia. Il granchio è destinato principalmente all’esportazione, ma non è escluso che in futuro possa trovare maggiore diffusione nel mercato tunisino.

Una tragedia

delle risorse idriche e della pesca marittima, nel 2022 la Tunisia ha esportato 8.116 tonnellate di granchio blu per un valore di 90,5 milioni di dinari (circa 30 milioni di euro), con una crescita del 200 per cento in quattro anni. “Si tratta di un mercato molto promettente. Da quando abbiamo inaugurato lo stabilimento non abbiamo mai smesso di aumentare le quantità”, conferma Athmi. “Stiamo pensando di aprire altre linee con nuovi prodotti, come per esempio il caviale per granchio”. Trasformare la crisi in un’opportunità è stata una felice intuizione del governo tunisino. Nel 2017 è stata elaborata una strategia nazionale per fronteggiare l’emergenza. I pescatori hanno ricevuto delle trappole metalliche per la cattura dei crostacei ed è stata incoraggiata la creazione di impianti di lavorazione, in particolare con incentivi pubblici per l’acqui-

sto della materia prima. La scelta è stata così fruttuosa che oggi ci si trova di fronte a un paradosso: i pescatori, che dieci anni fa erano disperati per l’arrivo dei crostacei, ora chiedono dei periodi di fermo biologico e di stabilire per legge la taglia minima degli esemplari da pescare. Temono che la pesca eccessiva li faccia diminuire, quindi chiedono delle misure di conservazione. Il granchio blu è diventato parte integrante dell’economia della pesca e sta guadagnando spazio anche nella gastronomia tunisina. Ben Souissi mostra con orgoglio il ricettario che ha realizzato insieme alle donne delle isole Kerkennah, un arcipelago al largo di Sfax dove la comunità di pescatori è stata particolarmente colpita dall’arrivo dei crostacei. Si intitola significativamente “Dall’invasione al piatto”: “L’anno scorso abbiamo or-

Dall’altra parte del Mediterraneo, in Italia, l’idea di risolvere il problema attraverso il consumo fa saltare sulla sedia i pescatori. “Abbiamo sentito il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida dire che bisogna mangiare il granchio. Ma temo che non abbia idea delle dimensioni della tragedia che stiamo vivendo”, dice Luigino Marchesini, presidente del consorzio delle cooperative di pescatori di Scardovari, in provincia di Rovigo. Questa laguna sul delta del Po è la principale area di raccolta in Italia delle vongole. I 1.500 soci delle 14 cooperative pescano da anni il mollusco bivalve e fanno ottimi guadagni. La raccolta è organizzata per quote: ogni socio può prelevare dalla laguna venti chili al giorno. In tempi normali bastavano tre ore di lavoro per raggiungere la quota. “Oggi invece non c’è più nulla. In tutta la Sacca di Scardovari siamo passati da 300 quintali al giorno ad appena cinque”. Marchesini mostra su un foglio excel l’entità del disastro. Sulla tabella sono riportate le quantità raccolte mese per mese negli ultimi anni. Si passa dai 10.762 quintali nel dicembre 2022 ad appena 163 del dicembre 2023: “I nostri soci non escono nemmeno più a pescare. Un settore intero si è disintegrato”. La causa di questa tragedia è identica a quella che inizialmente ha sfiancato i pescatori tunisini: il granchio blu. Si tratta di una specie diversa. Il Callinectes sapidus che ha invaso il Polesine è originario degli Stati Uniti meridionali, ma ha caratteristiche simili a quelle della specie del mar Rosso: è molto vorace e ha una capacità riproduttiva impressionante. “Ogni femmina può produrre fino a otto milioni di uova”, spiega Emanuele Rossetti, biologo specializzato nel settore ittico e responsaInternazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Ambiente

PIERO CRUCIATTI (AFP/GETTY)

Pescherecci raccolgono vongole nella Sacca di Scardovari. Rovigo, 11 agosto 2023

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alla temperatura più elevata. “Supponiamo anche che l’alluvione del maggio scorso in Romagna e la grande quantità di acqua dolce arrivata nelle lagune abbia facilitato la proliferazione. Questo spiegherebbe i numeri spaventosi di quest’anno”, sottolinea Rossetti, mostrando come i vari effetti dei cambiamenti climatici in-

Delta del Po Presenza aliena Quantità di granchio blu pescato in Veneto, 2023 Area del Polesine 749 tonnellate (90%)

Area veneziana 82 tonnellate (10%)

FONTE: VENETO AGRICOLTURA

bile qualità del consorzio di Scardovari. “Il Callinectes sapidus si muove tra l’acqua salata e quella dolce: la femmina si riproduce in mare, mentre le larve crescono in acque salmastre. Le lagune di queste zone garantiscono condizioni ottimali con i loro fondali bassi e la compresenza di entrambi gli ambienti”. Ma come ha fatto il Callinectes sapidus ad arrivare dall’oceano Atlantico fino alle acque della laguna? “Probabilmente è stato portato con le acque di zavorra (l’acqua immagazzinata nello scafo della nave per mantenerla stabile) delle navi cargo, che sono uno dei principali vettori di specie aliene”, spiega Ernesto Azzurro, ricercatore all’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Ancona. “La proliferazione di organismi estranei a un luogo, di cui il granchio blu è solo un esempio, è il termometro più evidente dei grandi cambiamenti che stanno attraversando il nostro mare, con cui dovremo fare i conti sempre più spesso”. Come è successo in Tunisia, anche qui il granchio ha trovato un ambiente favorevole grazie

nescano crisi a catena difficilmente prevedibili. Per fronteggiare l’emergenza, il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida sta guardando con interesse all’esperienza tunisina. A ottobre ha visitato il paese nordafricano e ha detto a più riprese che bisognerebbe creare una filiera di trasformazione. I pescatori italiani, però, sono scettici. “Abbiamo 35 anni di attività alle spalle”, dice Marchesini. “Non è che dall’oggi al domani possiamo smettere di raccogliere vongole e trasformare il granchio blu. Una conversione di questo tipo richiederebbe investimenti milionari. Chi ci dice che non è un fenomeno passeggero? E se poi non ci fossero più granchi?”. La realtà è che oggi non ci sono più vongole e non ce ne saranno almeno per il prossimo anno e mezzo. I granchi hanno mangiato tutto il novellame, i molluschi allo stadio giovanile. Un esemplare ha bisogno di un periodo tra i dodici e i quindici mesi per raggiungere le dimensioni adatte alla vendita, quindi tutto il 2024 sarà caratterizzato dalla totale mancanza di

Come i suoi colleghi pescatori Michele Pezzolato è convinto che la situazione sia grave e che si debba agire in fretta

“Ma non sono abbastanza”, sottolinea Vadis Paesanti, pescatore di Goro e vicepresidente di Confcooperative fedagripesca Emilia-Romagna. In questa cittadina in provincia di Ferrara, allungata sul ramo più meridionale del delta del Po, la vongola è oggetto di un vero e proprio culto. È qui che nel 1986 è cominciata la coltivazione della Tapes philippinarum, meglio nota come vongola filippina, che si è adattata perfettamente agli ambienti lagunari e ha portato prosperità a una comunità altrimenti depressa. È stato un biologo di Goro, Francesco Paesanti (nessuna parentela con Vadis), a convincere i pescatori locali a importare il seme di vongola proveniente dall’oceano Indiano e a spargerlo nella Sacca di Goro, creando un’economia che nel giro di pochi anni ha pro-

Commercio Aumenta l’offerta Granchio blu pescato nella Sacca di Scardovari Tonnellate

Prezzo medio al chilo, euro

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FONTE: VENETO AGRICOLTURA

prodotto. “Anche ammettendo di importare il seme da fuori e creare dei luoghi protetti dove far crescere il novellame, avremmo quantità molto ridotte e comunque non prima dell’anno prossimo”, dice ancora Marchesini. Avvolta dalla nebbia invernale, la Sacca di Scardovari ha un aspetto un po’ lugubre. L’impianto di depurazione e confezionamento del consorzio è fermo. Le baracche di legno dei raccoglitori di vongole, che di solito fervono di attività, sono deserte. In giro non c’è un’anima: tutti i pescatori sono a casa in riposo forzato. Vicino alla sua baracca Michele Pezzolato sembra l’ultimo superstite di una catastrofe nucleare. Oltre ad avere la licenza per le vongole ne ha una per la pesca da posta, che si fa con reti verticali calate la sera e recuperate la mattina successiva. Una pesca che non pratica più da alcuni anni, da quando il granchio ha cominciato a distruggere le reti: “Lo abbiamo visto arrivare nel 2017, quando ha depredato i gamberi e altri pesci. L’abbiamo segnalato al consorzio, ma siccome all’inizio non attaccava le vongole pensavano non fosse un problema”. Come tutti i suoi colleghi, Pezzolato è convinto che la situazione sia grave e che si debba agire in fretta. Nel 2023 ha cominciato a catturare i crostacei. Ammassate su un lato della baracca, mostra le nasse metalliche che usa per questa pesca: “In inverno non ci sono molti granchi, ma in primavera e in estate ne prendiamo quintali”. È possibile replicare l’esperienza tunisina, come vorrebbe il ministro Lollobrigida, e creare una filiera di sfruttamento del crostaceo? L’Italia di oggi non è forse allo stadio in cui si trovava la Tunisia sette anni fa? Come Marchesini, anche Pezzolato non la considera una strada percorribile. Anche perché quando ci ha provato si è scontrato con un muro: “L’anno scorso ho cercato, attraverso un intermediario, di vendere il granchio in Corea. Ho proposto come prezzo d’acquisto un euro al chilo, ma mi è stato risposto che era troppo caro”. In un mercato globale, l’esperienza tunisina e la disponibilità di prodotto a un prezzo più basso rappresentano un ostacolo oggettivo allo sviluppo di un’eventuale filiera italiana. Il governo italiano ha stanziato 2,9 milioni di euro come fondo d’emergenza per la cattura e lo smaltimento del granchio e altri dieci milioni di euro per aiutare i produttori.

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dotto in questa cittadina un giro d’affari da 60 milioni di euro all’anno. Il paradosso è che oggi quella ricchezza arrivata con una specie importata rischia di essere spazzata via da un altro organismo alieno. Vadis Paesanti si fa il segno della croce ogni volta che nomina il granchio blu, quasi che lo consideri un castigo divino. E immagina misure draconiane per debellarlo: “Noi abbiamo una flotta di 1.200 barche per la raccolta delle vongole che possiamo riconvertire alla cattura del granchio. Ci serve solo il sostegno economico del governo”. Paesanti calcola un prezzo minimo garantito dallo stato di 1,5 euro al chilo. “Con un investimento di 80 milioni di euro se ne potrebbero pescare 53mila tonnellate. E capire se funziona”. Non si tratterebbe secondo lui di salvare solo i pescatori del delta, ma di svolgere un servizio eco-sistemico e a tutela del settore turistico: “Questi fondi dovrebbero essere stanziati dai ministeri dell’agricoltura, dell’ambiente e del turismo. Perché non è solo un problema di noi vongolari, ma di tutta la zona. Pensate cosa succederebbe se in Germania si spargesse la voce che la riviera adriatica è invasa da un crostaceo aggressivo che può pizzicare i bambini”.

Azioni di mantenimento In Italia, come è già successo in Tunisia, si stanno cercando soluzioni a breve termine per ristabilire un equilibrio ed evitare la distruzione di un settore economico, ma il problema è più ampio. “L’arrivo delle specie aliene è una conseguenza del riscaldamento globale prodotto dall’essere umano. Non possiamo fare altro che mettere in campo azioni di mantenimento”, sottolinea il biologo Ernesto Azzurro. Il punto è proprio questo: come convivere con un ecosistema che cambia e un mare che si scalda a questa velocità? Oltre al granchio blu, quali altre sorprese ci riserverà un Mediterraneo che si tropicalizza? “Troveremo una soluzione. L’essere umano si è sempre adeguato ai mutamenti della natura”, dice ostentando ottimismo il pescatore Michele Pezzolato, mentre si allontana tra la nebbia che avvolge la laguna deserta, in vista di un domani che appare quanto mai incerto. u Stefano Liberti è un giornalista italiano. Il suo ultimo libro è Terra bruciata (Rizzoli 2020). Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Le opinioni

L’eroismo ingenuo di Aleksej Navalnyj Slavoj Žižek l 17 febbraio la madre e l’avvocato di Aleksej Navalnyj sono stati informati che l’oppositore russo era deceduto per una “sindrome da morte improvvisa”: l’assurdità di questa affermazione quasi tautologica (a cui si aggiungono le difficoltà dei familiari per riavere il suo corpo) basta da sola a trasmettere il messaggio. La morte di Navalnyj era stata annunciata da una dichiarazione inquietante subito dopo il suo arresto nel 2021: un portavoce del Cremlino aveva esplicitamente detto che in carcere le persone possono morire e che Navalnyj non avrebbe ricevuto alcun trattamento privilegiato. L’omicidio di Navalnyj ci ricorda qual è la vera natura del regime di Vladimir Putin e, al di là delle solite frasi di circostanza, il primo gesto della comunità internazionale dovrebbe essere dare più aiuti all’Ucraina. La caduta della città di Avdiivka in seguito a un lungo assedio è l’altra faccia della medaglia dell’omicidio dell’oppositore russo. Il compito di tutti noi è esprimere senza riserve piena solidarietà a Navalnyj. Potrebbe essere un problema per quelle persone “di sinistra” che oggi vogliono solo ridurlo a un agente della Nato usato per indebolire il Cremlino. Chiaramente ci sono degli aspetti non chiari: il suo documentario del 2021 sul palazzo di Putin sul mar Nero era fatto in modo così professionale che veniva naturale chiedersi chi ci fosse dietro; nei suoi interventi, inoltre, mancavano quasi completamente delle vere proposte programmatiche. Eppure non abbiamo scelta: Navalnyj si è schierato per la libertà contro la tirannia e ha rappresentato una vera minaccia per il regime russo. Lo dimostra il modo in cui è stato trattato dalle autorità. Vale la pena ricordare che, mentre il documentario sul palazzo di Putin veniva visto da decine di milioni di russi, il presidente si era limitato a negare di possedere quel palazzo, senza citare il suo accusatore per nome. Sulla televisione di stato Navalnyj si era meritato appena un accenno. Il pubblico avrebbe fatto bene a dimenticarsi di lui. E nei giorni scorsi nelle brevi occasioni in cui si è fatto riferimento alla sua morte, è stato usato l’appellativo coniato dal servizio penitenziario: “Il detenuto”. Non è questa una prova del fatto che, come hanno sostenuto alcuni, Navalnyj è stato l’unico esponente dell’opposizione di cui Putin aveva davvero paura? Sì, ma io credo che l’obiettivo della censura non è solo far dimenticare Navalnyj: lo scopo è cancellarlo dallo spazio pubblico. Lui non deve esistere per quello che nella teoria lacaniana è chiamato il “grande

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SLAVOJ ŽIŽEK

è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Libertà, una malattia incurabile (Ponte alle Grazie 2022). Questo articolo è uscito sul settimanale francese L’Obs.

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Altro”, lo spazio pubblico condiviso. Quando ero giovane, negli anni settanta, ci fu un caso simile di censura nella Cecoslovacchia comunista. Martina Navrátilová (all’epoca la più grande tennista del mondo, emigrata in occidente e diventata una nonpersona anche per i mezzi d’informazione sportivi cechi) aveva raggiunto la semifinale di un torneo internazionale, e uno dei maggiori quotidiani sportivi cechi titolò “Ecco i quattro semifinalisti”, per poi citare solo tre nomi: quello di Navrátilová fu semplicemente ignorato. Per quanto strana, quella censura non era senza senso perché l’incongruenza esplicita del titolo puntava verso il quarto nome escluso, che era quindi presente nell’assenza, per usare il lessico strutturalista. Lo stesso vale per Navalnyj: più era innominabile per i mezzi d’informazione pubblici russi, più era presente nell’assenza e tanto più la sua presenza spettrale ha tormentato la vita di migliaia di persone. Ma il vero miracolo è che in quelle condizioni Navalnyj è diventato il leader dell’opposizione, non solo per la sua schiettezza carismatica e il suo candore, ma anche per il suo senso della strategia. Anni fa aveva capito subito che Putin tollerava pochissima opposizione nelle grandi città, quindi si era messo a viaggiare per la Russia mobilitando movimenti locali in tutto il paese fino alla Siberia: era su un volo di rientro dalla Siberia a Mosca quando fu avvelenato nell’agosto 2020. Navalnyj ha mostrato un coraggio che rasentava la perfezione folle. Dopo essere stato avvelenato e poi aver avuto il permesso di trasferirsi in Germania per ricevere cure adeguate, era tornato in Russia, sa-

Si è schierato per la libertà contro la tirannia, e ha rappresentato una vera minaccia per il regime russo

pendo cosa lo aspettava al suo arrivo. A cosa stava pensando? Quali erano le sue speranze? Un comportamento quasi troppo perfetto per essere vero: è qui che incontriamo la (per molti problematica) dimensione teologica della politica. Sei mesi prima di morire, Navalnyj ha rilasciato un’intervista scritta. Ecco la sua risposta alla domanda “In cosa credi?”: “In Dio e nella scienza. Credo che viviamo in un universo non deterministico e che siamo dotati di libero arbitrio. Credo che non siamo soli in questo universo. Credo che i nostri gesti e le nostre azioni saranno giudicati. Credo nel vero amore. Credo che la Russia sarà felice e libera. E non credo nella morte”. Queste affermazioni potrebbero suonare ingenue e perfino incoerenti, ma è proprio per questo che esprimono una presa di posizione politica autentica e radicale. La fede di Navalnyj e il suo scetticismo nei confronti della morte non ci parlano di un dio personale o d’immortalità in senso letterale, ma della fede nel grande Altro, un’entità simbolico-virtuale che registra ed esamina il vero significato delle nostre azioni: tutto quello che succede nelle nostre vite non svanisce semplicemente dopo la morte, c’è un bilancio globale che regola i conti in una sorta di giudizio universale. Perché tanti saggi sono intitolati “trattato politico-teologico”? La risposta è che una teoria diventa teologia quando è parte di un impegno politico soggettivo totale. Come osservava Kierkegaard, io non maturo la fede in Cristo dopo aver confrontato diverse religioni e aver deciso che gli argomenti migliori sono a favore del cristianesimo. Ci sono motivi per scegliere il cristianesimo ma mi appaiono solo dopo che ho preso la mia decisione, vale a dire che per vedere le ragioni della fede è necessario già credere. Lo stesso vale per il marxismo. Non è che sono diventato marxista dopo aver analizzato oggettivamente la storia: la mia scelta di essere marxista (l’esperienza di un posizionamento proletario) me ne fa vedere le motivazioni. In altre parole, il marxismo è il paradosso di una conoscenza “vera”, oggettiva, accessibile solo da una posizione di parte e soggettiva. Per quanto possa sembrare folle, è ciò che stava facendo Navalnyj. Ed è il motivo per cui, in un paese dominato dall’apatia nei confronti della politica, Navalnyj ha incoraggiato l’attivismo: “Se decidono di uccidermi, significa che siamo incredibilmente forti. Dobbiamo usare questo potere per non mollare, per ricordare che siamo una grande forza oppressa da questi brutti ceffi”. Aveva ragione, per questo è innominabile nel discorso pubblico ufficiale. Per dirla con il lin-

In un paese dominato dall’apatia nei confronti della politica, ha incoraggiato l’attivismo: “Se decidono di uccidermi, significa che siamo forti” guaggio lacaniano, nella sua ingenuità Navalnyj non era un folle. Ecco qui un passaggio da L’etica della psicoanalisi di Lacan: “Il fool è un sempliciotto, un ritardato, ma dalla sua bocca escono delle verità che non solo sono tollerate, ma acquisiscono una loro funzione per il fatto che talvolta il fool è rivestito delle insegne del buffone. Quest’ombra felice, questa foolery di fondo, ecco che cosa costituisce ai miei occhi il pregio dell’intellettuale di sinistra”. L’intellettuale di sinistra è un buffone di corte che espone pubblicamente la menzogna dell’ordine esistente, ma in un modo che sospende l’efficacia sociale del suo discorso. Oggi, dopo la caduta del socialismo, il folle è un critico culturale postmoderno che, attraverso le sue procedure ludiche destinate a “sovvertire” l’ordine esistente, in realtà ne è un complemento, dalla cancel culture dei sostenitori della cultura woke ai guardiani occidentali delle “libertà individuali”. Come Julian Assange, Navalnyj non era un buffone che diverte il pubblico con fasulle dichiarazioni “dissidenti” che a lungo termine rafforzano il regime. La Russia di Putin è ancora piena di persone così che vengono tollerate. Navalnyj non era uno di loro e per questo ha pagato il prezzo più alto. Che lo abbia fatto consapevolmente lo rende unico tra gli eroi di oggi. u fdl Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Le opinioni

Costringere Israele a scegliere la pace Gideon Levy arrivato il momento che gli Stati Uniti, e globale sarà minata finché durerà l’occupazione, ed con loro la comunità internazionale, de- è ulteriormente compromessa ogni volta che Israele cidano se il ciclo interminabile di violen- s’imbarca in una nuova guerra. Il mondo riconosce za tra Israele e i palestinesi deve conti- che l’occupazione dei territori palestinesi è dannosa, nuare, oppure se bisogna tentare di farlo ma non ha mai alzato un dito per fermarla. Ora si cessare. Gli Stati Uniti continueranno a presenta un’opportunità per farlo: dopo questa guerdare armi a Israele per poi criticarne l’uso eccessivo, ra Israele sarà più debole e dipendente dall’esterno. oppure sono finalmente disposti a prendere provve- Bisognerà approfittare di questa situazione per camdimenti concreti, per la prima volta nella loro storia? biare le cose, anche per il bene di Tel Aviv. E soprattutto, il più crudele attacco Basta con le parole. Basta con gli israeliano contro Gaza andrà fino in Gli Stati Uniti inutili vertici organizzati dal segretario fondo? Oppure si coglierà l’opportuni- continueranno di stato statunitense Antony Blinken e tà creata dal conflitto per fare un passo a dare armi a Israele con le parole pungenti del presidente avanti verso una pace duratura? Joe Biden. Non portano da nessuna per poi criticarne A nulla servirebbe rivolgere un ap- l’uso eccessivo, parte. L’ultimo presidente sionista, pello a Israele. Il governo di Benjamin oppure sono forse l’ultimo a preoccuparsi di quello Netanyahu, e quello che probabilmente disposti a prendere che sta succedendo nel mondo, deve lo rimpiazzerà, non ha e non avrà mai finalmente agire. Per cominciare, potrebbe impal’intenzione, il coraggio e la capacità rare qualcosa dalle parole semplici e provvedimenti d’innescare un cambiamento. Quando vere di Josep Borrell, capo della politiil primo ministro risponde agli inter- concreti? ca estera dell’Unione europea, che ha venti statunitensi sulla creazione di uno detto: “Se pensi che troppe persone sistato palestinese dicendo di “essere contrario a ini- ano uccise, forse dovresti fornire meno armi per eviziative imposte dall’alto” o che “un accordo sarà rag- tare che tante persone siano uccise”. giunto solo attraverso negoziati”, non si può fare altro La questione, però, non è solo mettere fine alla che ridere e piangere allo stesso tempo. Ridere, per- guerra, ma riguarda soprattutto quello che succederà ché nel corso degli anni Netanyahu ha fatto di tutto quando sarà finita. Se dipendesse da Israele, con quaper far fallire i negoziati. Piangere, perché in realtà è lunque governo, torneremmo al rassicurante grembo Israele a usare la forza: la sua politica nei confronti dei dell’apartheid e alla legge del più forte. Il mondo non palestinesi si basa su una coercizione unilaterale, vio- può accettarlo e non può lasciare la decisione nelle lenta, aggressiva e arrogante. Tutto a un tratto Israele mani dello stato israeliano. Tel Aviv ha risposto e ha è contro le imposizioni? Ci vuole parecchio coraggio detto no. Ora è arrivato il momento per una soluzione a sostenerlo di fronte a tutti. sul modello degli accordi di Dayton del 1995, che deÈ inutile aspettarsi che l’attuale governo israelia- cretarono la fine della guerra in Bosnia Erzegovina. no cambi la sua natura. Sarebbe inutile anche atten- Quella fu una soluzione imperfetta, imposta con la derselo da un esecutivo guidato da Benny Gantz, che forza, che però mise fine a uno dei conflitti più crudefa parte del gabinetto di guerra del primo ministro, o li del novecento. E che, contro ogni previsione, resiste da Gadi Eisenkot, ex capo di stato maggiore, o da da 29 anni. Yair Lapid, leader dell’opposizione ed ex primo miUno stato palestinese potrebbe non essere più nistro. Nessuno di loro è disposto ad ammettere l’e- una soluzione praticabile, dopo che la presenza di sistenza di uno stato palestinese con sovranità e di- centinaia di migliaia di coloni israeliani ha fatto nauritti pari a Israele. Al massimo, in una giornata in cui fragare la possibilità di crearne uno. Ma il mondo sono davvero di buon umore, potrebbero accettare deve mettere Israele di fronte a una scelta chiara: o le la creazione di un bantustan (i territori in Sudafrica o sanzioni o la fine dell’occupazione; o i territori o le in Namibia assegnati ai neri dal governo sudafricano armi; o le colonie o il sostegno internazionale; o uno nell’epoca dell’apartheid). Non è da queste persone stato democratico o uno stato ebraico; o l’apartheid che verrà una soluzione. Meglio lasciare che Israele o la fine del sionismo. si crogioli nel suo rifiuto. Se il resto del mondo si dimostrerà irremovibile, Tuttavia non possiamo permetterci di perdere ponendo le alternative in questi termini, Israele doquesta occasione. Il mondo presto dovrà ricostruire, vrà fare una scelta. È il momento di costringere lo a sue spese, le rovine della Striscia di Gaza, fino alla stato israeliano a prendere la decisione più imporprossima volta che Israele la demolirà. La stabilità tante della sua storia. u fdl

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GIDEON LEVY

è un giornalista del quotidiano israeliano Haaretz, su cui è uscito questo articolo.

A cura di Franco e Franca Basaglia

Morire di classe La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin

Fotografia di Carla Cerati © Carla Cerati / Archivio Elena Ceratti

Un lavoro collettivo che ha segnato una svolta epocale nella gestione della salute mentale e ha portato all’approvazione della legge 180

Ti aspettiamo sul nostro sito www.ilsaggiatore.com e su

In copertina

La democrazia muore in guerra Masha Gessen, The New Yorker, Stati Uniti

A due anni dall’invasione russa, gli ucraini sono stanchi e disillusi. Le riforme democratiche sono bloccate e si combatte ancora. L’unico obiettivo è sopravvivere. Il reportage di Masha Gessen uscito sul New Yorker

TYLER HICKS (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)

I resti di un soldato russo nei pressi di Makarivka, Regione di Zaporižžja, Ucraina, 26 luglio 2023

In copertina tando alla leggenda, la rivoluzione della dignità ucraina è cominciata con un post su Facebook. Nell’autunno 2013, quando il presidente Viktor Janukovič decise di non firmare un accordo che avrebbe rafforzato il rapporto del paese con l’Unione europea, il giornalista d’inchiesta Mustafa Nayyem scrisse un post invitando i suoi concittadini a ritrovarsi in piazza Indipendenza, majdan Nezaležnosti in ucraino, al centro di Kiev. Dopo tre mesi di proteste, Janukovič fuggì in Russia. Oggi piazza Indipendenza è deserta. Il governo ucraino ha imposto il coprifuoco dalla mezzanotte. La legge marziale, in vigore dal febbraio 2022, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, vieta i raduni di massa. Quanto a Nayyem, guida l’agenzia federale per la ricostruzione, che cerca di rimettere in piedi il paese alla stessa velocità con cui i russi lo devastano. In occasione del decimo anniversario della rivoluzione della dignità, lo scorso novembre, invece di partecipare a un comizio commemorativo, Nayyem ha presieduto una cerimonia di altro tipo: la riapertura di un ponte che collega Kiev ai sobborghi occidentali di Buča e Irpin, dove, all’inizio della guerra, i russi hanno compiuto alcune tra le loro peggiori atrocità. Qualche giorno prima dell’inaugurazione ho incontrato Nayyem nel suo ufficio, in un anonimo palazzo governativo tardosovietico. Gli ambienti avevano l’aria di essere stati rinnovati in modo piuttosto ambizioso ma al risparmio, con tende a lamelle verticali, pannelli di plastica e riproduzioni in vinile dei divani di Le Corbusier nella sala d’attesa. Alle pareti c’erano riproduzioni della celebre foto Pranzo in cima a un grattacielo e di un panorama di Manhattan. “New York è la mia città preferita”, mi ha detto. “E questo è il massimo a cui mi ci potrò avvicinare nel prossimo futuro”. Nayyem è nato a Kabul nel 1981, il secondo anno dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. La madre morì tre anni più tardi, dopo aver dato alla luce suo fratello Masi. Quando le truppe sovietiche si ritirarono dal paese, nel 1989, il padre, ex funzionario del governo, si trasferì a Mosca. Due anni più tardi aveva sposato una donna ucraina e trasferito la famiglia a Kiev. Ad appena vent’anni Mustafa Nayyem si è fatto conoscere per le sue inchieste giornalistiche in cui denunciava la

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corruzione ai vertici del governo ucraino. Dopo la rivoluzione della dignità, conosciuta anche come Euromaidan, è stato deputato e ha svolto un ruolo cruciale nella riforma della polizia, notoriamente corrotta e violenta. Prima di accettare l’incarico attuale è stato viceministro delle infrastrutture. Il governo ha istituito l’agenzia per la ricostruzione nel gennaio 2023 con l’obiettivo di restaurare diciotto palazzi residenziali di Irpin, dov’è stato danneggiato o distrutto il 70 per cento delle infrastrutture civili. “Ci diamo tutti da fare per restituire speranza alla popolazione, ma questo fa passare in secondo piano il fatto che siamo un paese in guerra. Il nostro unico vero scopo è sopravvivere”. Quando ci siamo visti, Nayyem si preparava a partire per un viaggio massacrante: doveva raggiungere in auto la città di Odessa, per verificare i danni subiti negli ultimi attacchi, e poi proseguire verso i territori liberati a sudest, per avviare un progetto pilota di ricostruzione di un intero villaggio. “Vai a Charkiv e ti rendi conto che un ponte saltato in aria significa che ci vogliono tre ore in più per spostarsi da un posto all’altro della città”, mi ha spiegato. “E questo può significare la differenza tra la vita e la morte”. Il fratello di Nayyem, Masi, è stato gravemente ferito in combattimento all’inizio della guerra. L’auto che l’ha portato in salvo ha viaggiato su un tratto di autostrada che poco dopo è stato danneggiato. E che è già stato riparato. “Dobbiamo ricostruire tutto, anche se sarà distrutto di nuovo. Non abbiamo scelta”. Si costruisce per il presente, non per il futuro.

Sempre al fronte Oggi c’è una frase molto comune in Ucraina: “Nessuno di noi tornerà da questa guerra”. La gente può emigrare o trasferirsi, ma la guerra è sempre qui. E ci resterà. La frase è vera anche in senso letterale: delle centinaia di migliaia di persone arruolate nei primi giorni dell’invasione, solo quelle gravemente ferite sono state congedate. A ottobre un centinaio di manifestanti ha sfidato la legge IL PODCAST

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marziale scendendo in piazza a Kiev per chiedere un limite alla durata della coscrizione. Il numero esatto delle persone che attualmente prestano servizio militare, così come quello delle vittime e dei soldati da reclutare, sono segreti. Ad agosto il presidente Volodymyr Zelenskyj ha licenziato i responsabili di tutti i centri di reclutamento regionali a causa della diffusa corruzione, alimentata dall’abitudine di pagare mazzette per cercare di evitare l’arruolamento. Eppure, i funzionari continuano a distribuire ordini di arruolamento. A dicembre si è saputo che il ministero della difesa stava lavorando a un piano per reclutare anche gli ucraini residenti all’estero.

Prima di tutto respirare Fino a qualche mese fa tutti in Ucraina sembravano sapere come sarebbe finita la guerra: l’Ucraina avrebbe liberato i suoi territori, Crimea compresa, e questo avrebbe fatto scoppiare la bolla della propaganda russa, provocando il collasso del regime di Vladimir Putin. Ma la tanto attesa controffensiva ucraina, lanciata nella primavera del 2023, non è riuscita a segnare una svolta decisiva. La Russia occupa ancora il 20 per cento circa del territorio ucraino. Quando ho chiesto a Nayyem la sua opinione sulla fine della guerra, mi ha risposto: “Ho paura di pensarci”. Poi ha detto: “Non so cosa potrebbe significare la fine della guerra. Probabilmente non smetterò mai di avere paura che la guerra scoppi di nuovo, in qualsiasi momento. Perché la Russia non ha intenzione di andarsene”. Ho avvertito la stessa stanchezza in diverse altre persone. “Per cosa stiamo combattendo? Per la terra?”, mi ha detto Katerina Sergatskova, una giornalista che ha avviato un programma di formazione sulla sicurezza per chi lavora nell’informazione. “Noi dichiariamo che continueremo a combattere finché l’impero russo non andrà in pezzi. Ma non succederà”. Denys Kobzin, un sociologo di Charkiv in servizio militare effettivo, mi ha raccontato che prima della guerra frequentava dei corsi su come vivere totalmente immerso nel presente. “E ora da quasi due anni vivo esclusivamente nel presente. Divora tutta la tua energia. Non puoi sognare, non puoi immergerti nei ricordi, sei sempre un po’ su di giri. È una vita di incertezza assoluta, come se ti mettessi a correre senza sapere fino a dove dovrai correre. A volte devi accelerare, ma devi prima di tutto pensare a respirare”.

LYNSEY ADDARIO (GETTY)

Un soldato ucraino lancia un drone. Regione di Zaporižžja, 14 settembre 2023

A novembre l’ex segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, che aveva a lungo tentato di promuovere dei negoziati di pace, ha suggerito che la Nato potrebbe accettare un’Ucraina privata dei territori attualmente occupati dalla Rus­ sia. Un’intesa di questo tipo potrebbe di fatto trasformare la linea del fronte in una frontiera e mettere fine ai combattimenti senza aprire negoziati con i russi. Un’idea ragionevole, secondo Nayyem: in fondo, dopo la seconda guerra mondiale la Ger­ mania Ovest è entrata nella Nato mentre la Germania Est era ancora occupata dall’Unione Sovietica. “Sai cosa c’è stato di buono nella seconda guerra mondia­ le?”, mi ha chiesto Nayyem con aria ma­ linconica. “Che è finita”.

Il demone della corruzione A novembre la cerimonia d’inaugurazio­ ne del ponte è stata oscurata da un’altra notizia. Andrij Odarčenko, un parlamen­ tare del partito di Zelenskyj, è stato fer­ mato con l’accusa di aver cercato di cor­ rompere Nayyem. Secondo i pubblici ministeri, Odarčenko aveva offerto a Nayyem una tangente per indirizzare i fondi a un’università di Charkiv che lui stesso era stato incaricato di dirigere. Al­

lertata da Nayyem, l’agenzia anticorru­ zione aveva organizzato un’operazione speciale. Quando è sembrato che Odarčenko si fosse assicurato il finanzia­ mento, Nayyem ha ricevuto diecimila dollari in bitcoin. A quel punto Odar­ čenko è stato arrestato (si è sempre di­ chiarato innocente). Questa era la situazione dell’Ucraina alla fine del 2023: un paese ancora in lotta contro il demone della corruzione, ancora ribelle, eppure visibilmente provato. Nayyem teme che, se la guerra continuas­ se a lungo, l’Ucraina potrebbe diventare sempre più simile alla Russia: autoritaria, corrotta, nichilista. “La Russia è la Russia perché dice che sta ‘combattendo i nazi­ sti’”, ha spiegato, alludendo al falso prete­ sto usato da Putin per invadere l’Ucraina. “E noi rischiamo di diventare la Russia perché i nazisti li stiamo combattendo davvero”. È un luogo comune sostenere che l’U­ craina è in guerra non solo per la sua so­ pravvivenza ma per il futuro della demo­ crazia in Europa e altrove. Nel frattempo, però, nel paese la democrazia è in larga misura sospesa. Le elezioni presidenziali erano previste per il prossimo marzo. Fino alla fine di novembre Zelenskyj sembrava

disposto a farle svolgere, ma alla fine ha deciso diversamente. “È meglio non vota­ re ora: le elezioni sono sempre motivo di divisioni. E noi dobbiamo essere uniti”, mi ha detto Andrij Zagorodnjuk, ex mini­ stro della difesa e attualmente consulente del governo. Oggi tra i quattro e i sei milioni di ucrai­ ni vivono sotto l’occupazione russa, alme­ no altri quattro si trovano nei paesi dell’U­ nione europea, un altro milione vive in Russia e almeno mezzo milione risiede altrove all’estero. Altri quattro milioni so­ no sfollati interni. Queste cifre includono un gran numero di persone diventate maggiorenni dopo l’inizio della guerra e quindi assenti dai registri elettorali. “Le elezioni sono una discussione pubblica”, mi ha detto Oleksandra Romantsova, del Centro per le libertà civili dell’Ucraina, l’istituzione che nel 2022 ha condiviso il premio Nobel per la pace con l’ong russa Memorial e il dissidente bielorusso Ales Bjaljatski. “Ma un terzo della popolazione è impegnato in attività militari. E un altro terzo è sfollato”. Con tutta questa gente esclusa dal di­ battito pubblico, che significato avrebbero le elezioni? E poi c’è anche un problema di ordine pratico, ha aggiunto Romantsova: Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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TYLER HICKS (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)

Le macerie della città di Vuhledar, regione di Donetsk, 24 gennaio 2024

“Le elezioni creano assembramenti di persone”, che la Russia potrebbe facil­ mente bombardare. Il governo attuale non sarebbe dovuto durare più di una legislatura. Volodymyr Zelenskyj – un ex comico protagonista di una serie tv in cui, sull’onda di una diffusa insofferenza per la classe dirigente del pa­ ese, un ingenuo insegnante conquista la presidenza della repubblica – è stato eletto quando l’Ucraina cercava un leader che non facesse il politico di professione. Ze­ lenskyj aveva promesso di restare al pote­ re per un solo mandato. Per le elezioni parlamentari del 2019, successive al suo insediamento alla presidenza, nelle liste del suo partito Servo del popolo c’erano solo candidati senza esperienza politica. “Solo facce nuove” era lo slogan. Il partito ha ottenuto 254 seggi su 450. Oggi, con le elezioni rinviate a data da definire, Zelen­ skyj e i giovani entrati in politica con lui rischiano di diventare come i vecchi fun­ zionari che avevano promesso di sradica­ re: incollati alla poltrona. All’inizio della guerra, quando la Rus­ sia bombardava Kiev quotidianamente, il parlamento ha dovuto valutare se conti­ nuare a riunirsi nella sua sede storica, che ha un tetto di vetro. Ha deciso di farlo, ma

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solo per votare progetti di legge sostenuti da una maggioranza e limitando la discus­ sione degli emendamenti. Di fatto, questo ha spostato il centro dell’attività legislati­ va nell’ufficio del presidente. In questo modo è stata approvata l’introduzione della legge marziale, decisa da Zelenskyj il primo giorno di guerra, e regolarmente rinnovata. La legge marziale consente al governo di decidere chi può entrare e usci­ re dal paese – dall’inizio della guerra gli uomini sotto i sessant’anni di età non pos­ sono andarsene – e di regolamentare il la­ voro dei mezzi di informazione.

Maratona di notizie Subito dopo l’inizio della guerra l’ufficio di Zelenskyj ha sostituito il normale ciclo delle informazioni televisive con un te­ lethon di ventiquattr’ore al giorno dedica­ to alle notizia sulla guerra. Nonostante il nome – “Telemaratona Notizie unite” – il format era stato concepito come una cor­ sa sprint. Nei primi mesi del conflitto la programmazione aveva un chiaro senso di urgenza e di novità. Ora perfino i giorni peggiori – quando la Russia lancia attac­ chi che uccidono civili in tutto il paese – sono uguali a tutti gli altri, con la gente che muore più o meno nello stesso modo

e negli stessi luoghi. È rimasto ben poco da analizzare. “L’unica cosa su cui tutti gli ucraini sono d’accordo è che la maratona delle notizie deve finire,” mi ha detto Ro­ mantsova. Altri mezzi d’informazione controllati dal governo si rivolgono invece al pubbli­ co internazionale. Gleb Gusev, 44 anni, testa rasata e barba cortissima, un tempo dirigeva Babel, un sito di informazione di qualità. Dopo l’invasione ha deciso di unirsi allo sforzo bellico. Insieme a una squadra di quaranta persone realizza vi­ deo destinati ai social network per la Uni­ ted24Media, un’iniziativa presidenziale per divulgare i messaggi del governo ucraino tra il pubblico di lingua inglese. “Per dirla brutalmente, è propaganda”, mi ha detto Gusev. “Volendo essere più sfu­ mati, è pubblicità. Il nostro compito è illu­ strare qualunque messaggio il governo voglia trasmettere”. L’estate scorsa la squadra di Gusev ha promosso la visione del governo di un’U­ craina vittoriosa. “Ma poi la controffensi­ va si è impantanata e abbiamo cambiato marcia”. L’attenzione si è spostata sui pro­ blemi dell’economia e le storie delle per­ sone colpite dalla guerra. Il canale You­ Tube di United24 ha più di 900mila iscrit­

ti, altri 340mila seguono il suo account Instagram. “Il mio istinto di giornalista si ribella,” mi ha detto Gusev. “Ma poi pen­ so: ‘Questo lavoro può fare la differenza’”. La legge marziale ha di fatto bloccato o cancellato alcune delle più importanti riforme democratiche adottate dopo Eu­ romaidan, per esempio la decentralizza­ zione e l’elezione diretta delle ammini­ strazioni locali. Ai sindaci in carica sono subentrate amministrazioni militari. Il risultato è un mosaico di autorità pubbli­ che che varia da regione a regione e da città a città. A novembre, dopo mesi di conflitto tra l’esercito e i consigli comu­ nali sulla riscossione delle imposte sul reddito pagate dal personale militare, Zelenskyj ha firmato una legge che asse­ gna i soldi alla difesa. Oleksandr Solontay, un consigliere co­ munale che si è battuto contro la sostitu­ zione delle amministrazioni civili con quelle militari, si è spesso chiesto se vales­ se la pena di continuare a fare politica: “Se non lottiamo per la democrazia, allora per cosa lottiamo?”. Allo stesso tempo però – ha proseguito – la Russia “sta cercando di cancellarci come nazione. Dobbiamo quindi chiederci se possiamo continuare a parlare di democrazia quando è in gioco la nostra sopravvivenza. Forse non dovrem­ mo perdere tempo per questioni come l’inclusione, i diritti delle minoranze. For­ se dovremmo semplicemente mandare tutti a combattere”.

La svolta necessaria Per Zelenskyj l’autunno del 2023 è comin­ ciato e finito peggio. Lui e i suoi collabora­ tori hanno passato buona parte della guer­ ra barricati nel palazzo presidenziale a Kiev, in via Bankova, circondato da posti di blocco. L’edificio è quasi completamen­ te buio. I sacchi di sabbia ammucchiati davanti alle finestre sono coperti da tende pieghettate. A ottobre, un articolo del set­ timanale Time ritraeva uno Zelenskyj esausto e sempre più isolato, con un’am­ ministrazione demoralizzata dalla na­ scente consapevolezza di non poter vince­ re la guerra. Due giorni dopo l’Economist ha pub­ blicato un breve articolo di Valeryj Za­ lužnyj, comandante in capo delle forze armate ucraine, che elencava cosa sareb­ be servito all’Ucraina per riuscire a metter fine alla guerra: un’aeronautica avanzata, equipaggiamenti più sofisticati e un siste­ ma più efficiente per arruolare e addestra­ re i combattenti. In un’intervista che ac­ compagnava l’articolo, Zalužnyj – l’uomo

più popolare del paese insieme a Zelen­ skyj – riconosceva che le aspettative sulla controffensiva ucraina si erano rivelate troppo ottimistiche. “Il generale Zalužnyj ammette che la guerra è in una situazione di stallo”, recitava il sommario. Quando ho incontrato Zagorodnjuk, il consulente del governo, a novembre, mi ha detto che l’Economist aveva frainteso le dichiarazioni di Zalužnyj. “Uno stallo è quando nessuno può muoversi”, ha affer­ mato. “Noi ci muoviamo sempre, avanti e indietro. Siamo quindi in uno stato di equilibrio”. Interpellato sulle pessimisti­ che previsioni di Zalužnyj, il presidente ha

La legge marziale ha bloccato alcune delle più importanti riforme democratiche contraddetto senza troppa convinzione il suo comandante, dicendo che non era uno stallo. E, in ogni caso, che l’Ucraina non aveva altra scelta: doveva continuare a combattere ( pochi mesi dopo, l’8 febbraio 2024, Zalužnyj è stato destituito da Zelen­ skyj, che ha nominato al suo posto il gene­ rale Oleksandr Syrskyj). A settembre Zelenskyj è andato a Washington, dove all’inizio della guerra era stato accolto come un eroe: la porta­ voce della camera Nancy Pelosi l’aveva paragonato a Winston Churchill, e il con­ gresso aveva approvato un pac­ chetto di aiuti da quasi 45 mi­ liardi di dollari. Questa volta Zelenskyj non è stato invitato a parlare al congresso, dove è fer­ ma la legge sui nuovi finanzia­ menti all’Ucraina. A novembre è andato a Washington Andrij Jermak, il capo dell’ufficio di presidenza, ma anche lui è tornato a mani vuote. Nel frattempo, an­ che gli aiuti promessi dagli altri paesi oc­ cidentali erano in ritardo o non erano ar­ rivati affatto. E parte degli equipaggia­ menti militari consegnati era vecchia o inaffidabile. “È come tirare fuori dal gara­ ge un’auto in ottime condizioni, ma di cinquant’anni fa, e usarla per gli sposta­ menti quotidiani”, mi ha detto Serhij Leščenko, consulente dell’amministra­ zione. “Prima o poi qualcosa si rompe”. Quando l’ho incontrato, Leščenko era appena tornato dal fronte, nel Donbass, dove aveva consegnato tredici droni Ma­ vic. A Kiev si parlava solo di droni. Tutta la fiducia e la speranza che gli ucraini e i so­

stenitori occidentali inizialmente aveva­ no riposto in loro stessi, nel loro spirito combattivo e nell’acume tattico del loro esercito, ora era affidata ai droni. Un co­ noscente che si era arruolato volontario era pilota di droni; un amico giornalista reclutato di recente stava seguendo un corso per diventarlo. Alla stazione di Kiev, mentre stavo per lasciare l’Ucraina, ho in­ contrato un gruppo di americani che lavo­ ravano per un miliardario statunitense intenzionato a lanciare una linea di pro­ duzione di droni in Ucraina. Un drone da cinquecento dollari può distruggere un carro armato o un veicolo corazzato da milioni di dollari. “È una ri­ voluzione tecnologica”, ha affermato Za­ gorodnjuk. “Come con il circo: un tempo c’era il circo normale, poi è arrivato il Cir­ que du Soleil e lo spettacolo è cambiato per sempre”. L’Ucraina ha usato i droni fin dai primi giorni della guerra. Inizialmente erano strumenti di piccola taglia, acqui­ stati con il crowdfunding in occidente. I russi erano in ritardo su questa tecnologia, ma nel frattempo hanno cominciato a pro­ durli su vasta scala, mentre gli ucraini era­ no impegnati nei preparativi per la con­ troffensiva. Ora sono loro ad affannarsi per tenere il passo del nemico.

Un insulto alla realtà Negli ultimi giorni del 2023 la Russia ha lanciato un’ondata di attacchi con missili e droni contro obiettivi civili in tutto il pa­ ese, uccidendo decine di persone. Dopo aver dichiarato pubblicamente per quasi due anni l’impossibili­ tà di un negoziato, alcuni fun­ zionari dell’amministrazione di Zelenskyj hanno cominciato a sostenere che era Mosca a non voler negoziare. A differenza dell’Ucrai­ na, il cui principale obiettivo rimane la li­ berazione dei territori occupati, la Russia – sostenevano – è interessata alla guerra in quanto tale: il suo obiettivo è far girare l’e­ conomia di guerra e la macchina della propaganda. “Questa guerra non finirà con dei negoziati,” mi ha detto Zagorod­ njuk. “Perché Putin dovrebbe voler nego­ ziare?”. Con la controffensiva ucraina che segna il passo e la solidarietà occidentale sempre più incerta, il tempo è dalla parte di Mosca. A dicembre il New York Times ha scrit­ to che il Cremlino stava tastando il terreno per un possibile cessate il fuoco, rivolgen­ dosi però solo a funzionari statunitensi e occidentali, senza negoziare direttamen­ te con Kiev. Un portavoce dell’ufficio di Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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FINBARR O’REILLY (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)

Soldati ucraini durante un’esercitazione nella regione di Donetsk, 4 gennaio 2024

Jermak ha suggerito che queste aperture erano “segnali” inviati alle opinioni pubbliche occidentali. “Si tratta di operazioni informative dei servizi russi oppure di voci non confermate e poi smentite dai fatti, cioè dai bombardamenti sulle città ucraine”, ha detto il funzionario. “Le dichiarazioni russe sulla disponibilità a negoziare sono un insulto alla realtà”. Oggi secondo Kiev qualunque accordo offrirebbe a Mosca l’opportunità di riorganizzarsi e riprendere i combattimenti. “La Russia non combatte per la terra”, mi ha detto Mychajlo Podoljak, consigliere politico di Zelenskyj, “ma per il suo diritto a vivere nel passato”.

Finire il lavoro Cinque mesi prima dell’invasione dell’Ucraina, nel settembre 2021, avevo visto Zelenskyj parlare a una conferenza politica organizzata dal miliardario ucraino Viktor Pinčuk. L’evento, di un lusso ostentato ma in qualche modo progressista, si teneva al museo d’arte nazionale di Kiev. Pinčuk aveva invitato importanti giornalisti occidentali, tra cui Fareed Zakaria della Cnn e Rana Foroohar del Financial Times, per moderare i gruppi di lavoro. Tra i partecipanti c’erano l’ex primo mini-

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stro svedese Carl Bildt, l’ex presidente polacco Aleksandr Kwaśniewski e l’ex presidente ucraino Leonid Kučma, suocero di Pinčuk. Erano previsti pasti raffinati, tutti vegetariani, e i biscotti arrivavano in confezioni monoporzione dove si precisava che erano stati preparati da adolescenti con bisogni speciali. Zelenskyj, che all’epoca era in carica da due anni e mezzo, salì sul palco insieme a Stephen Sackur, conduttore del programma Hardtalk della Bbc. La sua popolarità era nettamente diminuita rispetto alla prima fase del suo mandato. A una domanda di Sackur sulla lotta alla corruzione, Zelenskyj sembrò innervosirsi. “Non mi piace il tono delle sue domande,” disse, accusando poi Sackur di perpetuare una “visione caricaturale” dell’Ucraina, che ignorava i progressi del paese, tra cui la riforma della giustizia e la creazione di un importante settore industriale hi-tech. Mentre Zelenskyj tornava verso la sua auto, un giornalista gli chiese se pensava di ricandidarsi. In quel momento era chiaro che se avesse davvero voluto rispettare l’impegno di combattere la corruzione, Zelenskyj avrebbe dovuto violare la promessa di restare in carica per un solo man-

dato. Così rispose che avrebbe preferito finire quello che aveva cominciato per poi andare in vacanza.

Denaro, potere e burocrazia Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, tra il 1989 e il 1991, gli stati che ne avevano fatto parte diventarono indipendenti e si ricostruirono sopra un particolarissimo tipo di macerie: burocrazie sterminate, economie pianificate e diffusa corruzione. I politologi ungheresi Bálint Magyar e Bálint Madlovics hanno classificato questi regimi in tre categorie: liberaldemocrazie, come gli stati baltici Estonia, Lettonia e Lituania; autocrazie padronali, come la Russia e la Bielorussia; e democrazie padronali, come l’Ucraina. Secondo Magyar e Madlovics l’autocrazia è un “sistema a piramide unica”, mentre la democrazia è “multi-piramidale”. In una democrazia padronale ci sono quindi diversi attori politici, ma le reti concorrenti sono tutte legate al denaro e al potere gestiti da una sola persona, erede del sistema burocratico sovietico. Magyar e Madlovics hanno chiamato queste reti “strutture ostinate”. Parte del problema delle democrazie patronali è che i padroni sono anche i pilastri del sistema politico. “Le riforme

ucraine io le chiamo ‘riforme calcio-in-culo’”, mi ha detto il politico Oleh Rybačuk. “Dai un calcio in culo a qualcuno e le riforme vanno un pochino avanti, ne dai uno a qualcun altro e progrediscono un altro po’”. Tuttavia, il fatto che oggi l’occidente pretenda queste riforme dall’Ucraina – un paese che ha sopportato perdite indicibili nella sua lotta per la democrazia – può sembrare dolorosamente ingiusto. “È difficile costruire meccanismi contro la corruzione nel mezzo di una guerra,” mi ha detto Nayyem. “La corruzione diminuisce quando c’è meno denaro. E quando c’è una guerra girano un sacco di soldi”. Poi ha osservato che le autorità giudiziarie occidentali non hanno ancora ideato un metodo per sequestrare i beni russi all’estero e destinarli all’Ucraina a titolo di riparazioni in tempo reale. “In pratica l’occidente ci sta dicendo che non ha le risorse per sequestrare beni sul suo territorio, a Londra o a New York. E noi, nell’Ucraina in guerra, dovremmo averle per arrestare i corrotti?”. Prima della guerra, Zelenskyj aveva firmato una legge ambiziosa che mirava a proteggere la politica ucraina dall’influenza dei miliardari. La legge istituiva un registro di oligarchi a cui sarebbe stato vietato finanziare le attività dei partiti e presentare offerte per l’acquisto di beni pubblici nelle privatizzazioni. Il politologo Michail Minakov ha scritto che la guerra ha contribuito ad accelerare la de-oligarchizzazione del paese, sia rafforzando la presidenza sia togliendo agli oligarchi parte delle loro fortune. Con gli oligarchi indeboliti, scriveva Minakov all’inizio del 2023, la questione era stabilire quale sistema avrebbe sostituito quello della democrazia padronale: la liberaldemocrazia o l’autocrazia? “Con la centralizzazione del potere, il pieno controllo del governo sui flussi dell’informazione e la legge marziale, la società potrebbe essere pronta ad accettare un regime padronale a piramide unica in cambio della vittoria e di una rapida ripresa economica”, ammoniva Minakov. Poi, però, spiegava che con una vittoria dell’Ucraina – che allora sembrava vicina – l’appoggio a un sistema simile sarebbe durato poco. Anche Zelenskyj, inizialmente un outsider della politica, ha una specie di “rete padronale”. L’ufficio del presidente è guidato da Andrij Jermak, un ex produttore cinematografico di 52 anni. Le persone che hanno a che fare regolarmente con

l’amministrazione parlano di Jermak come se avesse più potere del presidente. Uno dei suoi vice, Oleh Tatarov, è stato accusato di peculato, ma quando le autorità anticorruzione hanno aperto un’indagine, Jermak l’ha difeso pubblicamente e poco dopo l’indagine è stata chiusa. Da allora sono emerse altre accuse, ma Tatarov ha conservato il suo incarico. Jermak non era disposto a tollerare cose che potessero rallentare il lavoro del governo (il suo portavoce ha dichiarato che Jermak non è mai stato implicato in un’indagine su Tatarov). La convinzione che in guerra si debba agire e che i dettagli debbano essere chiariti in seguito ha guadagnato terreno nei palazzi del governo. “Il rischio di autoritarismo rappresentato da Zelenskyj è diverso da quello che conoscevamo in precedenza”, mi ha detto Natalija Gumenjuk, una delle più note giornaliste del paese. “Non cerca di arricchirsi, vuole efficienza. Questo non significa che sia meglio”, ha aggiunto dopo una pausa.

Doppi standard Nel 2021 la conferenza al museo si concluse con una cena di addio nella sala principale. Ma una trentina di ospiti, compresa

“È difficile costruire meccanismi contro la corruzione nel mezzo di una guerra” la sottoscritta e altri giornalisti, furono invitati a raggiungere Pinčuk in un’altra sala. Qui il menu prometteva bistecca e vini dalla collezione del miliardario. “Sono stufo di questa merda vegana”, disse Pinčuk durante un brindisi (il suo staff ha contestato la ricostruzione di questo episodio). Anche se i presenti non erano formalmente tenuti alla riservatezza, Pinčuk dava chiaramente per scontato che nessuno avrebbe fatto parola della sua disinvolta smentita dei valori ufficialmente sbandierati nella conferenza. È così che funzionano le reti padronali: ci sono le regole ufficiali, e poi quelle per i ricchi con i giusti agganci, i quali sanno, sulla base di decenni di esperienza, che la gente gli farà i favori necessari e manterrà i loro segreti. Gli ucraini, in realtà, stanno combattendo la corruzione, anche se ogni arresto amplifica la sensazione che il problema sia enorme e incurabile. Nel settembre

2023, dopo che alcuni giornalisti avevano trovato le prove che il ministero della difesa stava acquistando viveri e capi di abbigliamento a prezzi gonfiati, Zelenskyj è stato costretto a rimuovere il ministro della difesa, Oleksij Reznikov (Reznikov ha definito le irregolarità “errori tecnici” e il governo ha avviato un’indagine). L’Ucraina ha anche trovato gli strumenti per confiscare gli utili delle aziende e usarli per obiettivi pubblici: per esempio, la costruzione di condotte idriche nella zona intorno alla diga di Nova Kachovka, fatta saltare dai russi lo scorso giugno. L’operazione, condotta dall’agenzia di Nayyem, è stata completata in pochi mesi; in tempo di pace ci sarebbero voluti anni. L’agenzia ha semplificato diversi aspetti della procedura burocratica, compresa la revisione ambientale. “È vero, non tutto può essere trasparente in tempo di guerra. E molti ne approfittano”, ha detto Nayyem. “Ne verremo a capo, ma in effetti stiamo perdendo tempo”.

Le casette polacche A novembre ho attraversato il ponte ricostruito alla periferia ovest di Kiev. L’ultima volta che avevo visitato Buča, nel giugno 2022, erano appena state consegnate le case modulari donate dalla Polonia. Sembravano pulite e moderne, ma la gente del posto non si fidava. Gli ucraini si tramandano le case di generazione in generazione. Pensano che una vera casa debba avere le fondamenta ed essere fatta di mattoni. Nayyem la chiama “mentalità da Jimmy”, dal nome del più assennato dei Tre porcellini. Così, quando la sua agenzia si è offerta di sostituire le case distrutte con alloggi in materiali più moderni e leggeri, molti hanno pensato che fosse un pessimo affare. A Buča, in effetti, chi era sopravvissuto all’occupazione russa poteva permettersi di essere esigente. Diversi magnati stranieri erano venuti a visitare le rovine della città, per esempio Howard Buffett, figlio del miliardario Warren Buffett, che ha promesso 500 milioni di dollari per la ricostruzione. A novembre ho percorso in auto via Vokzalna, passando per quella che oggi si chiama piazza Buffett, insieme a Kateryna Ukraintseva, avvocata, attivista e consigliera comunale a Buča. Nella primavera del 2022 questa strada era disseminata di carri armati bruciati e di cadaveri di civili, che spesso erano stati trascinati fuori casa e uccisi. Non c’era una struttura rimasta intatta. Oggi la via è fiancheggiata di case color pastello protetInternazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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In copertina te da recinti di metallo. Tuttavia, mi ha detto Ukraintseva, “molti non hanno i soldi per comprare i mobili”. A Buča, dove in passato abitavano persone della classe media, oggi molti faticano a tirare avanti. I residenti più ricchi hanno lasciato il paese e la disoccupazione è molto alta. Quando ha pubblicato un annuncio per trovare un assistente per il suo studio legale, Ukraintseva pensava di dover assumere un giovane poco qualificato. Invece ha ricevuto numerosi curriculum da avvocati d’esperienza che non riuscivano a trovare lavoro. Il suo studio si occupa soprattutto di diritto d’impresa. Negli ultimi tempi, inoltre, aiuta le donne a destreggiarsi tra le leggi e la burocrazia per rintracciare i corpi dei loro cari e dargli degna sepoltura. In consiglio comunale Ukraintseva è all’opposizione del sindaco, Anatolij Fëdoruk. Come molte persone che ho conosciuto a Buča, lo ritiene almeno in parte responsabile dell’impreparazione della città all’inizio della guerra. Non era stata predisposta una difesa territoriale, non c’erano piani di evacuazione e fino all’ultimo Fëdoruk aveva detto che non ci sarebbe stata nessuna invasione (il sindaco sostiene che le iniziative di difesa e di evacuazione dovevano essere organizzate da autorità superiori). Fëdoruk è sindaco di Buča da 25 anni. “Come Putin!”, ha detto Ukraintseva. Ma non può essere rimosso: con la legge marziale, anche le elezioni comunali sono sospese. Gli abitanti di Buča passano accanto ai prefabbricati polacchi andando e tornando dal mercato. Dalle finestre si vede dentro. In ogni stanza ci sono due letti a castello: forse i progettisti avevano in mente dei single o delle famiglie con bambini, ma in molte casette vivono due coppie. In Ucraina tanti sfollati interni hanno disabilità fisiche o mentali. Volenti o nolenti, gli sconosciuti che dividono le stesse stanze devono occuparsi gli uni degli altri. La guerra ha creato nuova gerarchia socioeconomica. Prima dell’invasione, milioni di ucraini dipendevano dalle rimesse, ma nel 2022 il totale dei soldi inviati dall’estero è diminuito del 5 per cento e, secondo le stime, nel 2023 si è ridotto ancora. Il calo è in gran parte compensato dagli aiuti internazionali. “Sai chi è il più grande nemico della democrazia?”, mi ha chiesto Solontay. “La povertà. Un paese ricco senza democrazia può anche esistere, ma non può esistere un paese povero con la democrazia”. Nessuno deve pensa-

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re di non avere niente da perdere. Eppure, gli sfollati interni formano una nuova sottoclasse sociale. Sono quasi sempre disoccupati e spesso vivono in alloggi pensati per situazioni di emergenza, com’era la guerra prima che cominciasse a sembrare infinita. Il grattacielo dove abita Ukraintseva è stato danneggiato da un colpo di mortaio e saccheggiato dai soldati russi. Da allora è stato riparato. Oggi Ukraintseva dirige le sue operazioni di volontariato da un piccolo ufficio al piano terra. Raccoglie fondi per comprare equipaggiamenti destinati ai militari. Quando sono andata a trovarla, abbiamo raggiunto in auto la stazione dei pullman di Kiev per ritirare dei terminali Starlink spediti dalla Germania. Ukraintseva mi ha fatto vedere le foto dei soldati che aveva aiutato. Alcuni erano morti. Ogni immagine era accompagnata da una storia. Un gruppo di

Se la guerra crea nuove divisioni sociali ed economiche, l’esercito le cancella ragazzi aveva chiesto un amplificatore wifi per potersi connettere a internet con i cellulari. Lei l’ha tirato fuori da un cassetto della scrivania e me l’ha mostrato. “Ma non è sicuro”, ho detto io. “Niente è sicuro”, ha risposto.

Tornare a casa Ho incontrato Denys Kobzin in un birrificio alla periferia di Kiev, pieno di uomini che all’apparenza sembravano impiegati ma che, come Kobzin, in molti casi erano soldati residenti nelle vicinanze che si concedevano una birra prima del coprifuoco. Mi ha confessato di non aver mai veramente capito lo stress post-traumatico finché non ha vissuto la guerra. “La corteccia prefrontale viene sopraffatta”, ha detto. “L’amigdala diventa più forte. Vedi minacce ovunque. È estenuante. Non riesci a concentrarti. Aggiungici la morte di un compagno in battaglia o un problema in famiglia. Non reggi più”. Kobzin ha assistito veterani e soldati. “E sono riuscito a dissuaderne un paio che volevano suicidarsi”, mi ha detto. Chi è rimasto nel paese spesso è critico nei confronti degli ucraini all’estero. “Sono molto arrabbiata con le donne che se ne vanno e lasciano qui i mariti”, mi ha

detto Ukraintseva. “O sei una famiglia o non lo sei. Bisognerebbe affrontare le cose insieme”. I divorzi sono aumentati ed è opinione diffusa che molte donne partite per l’Europa occidentale si siano costruite una nuova vita. “Tutti gli uomini di mia conoscenza che hanno mandato moglie e figli all’estero ora sono divorziati”, ha aggiunto Kobzin. “Il divario tra chi ha combattuto, e combatte ancora, e chi non l’ha mai fatto sta crescendo”. Anche Leščenko, il consigliere di Zelenskyj, la pensa così. “È ora che chi si considera ucraino rientri a casa”, ha detto. “A Kiev le scuole sono aperte e tutte hanno un rifugio antiaereo. I miei amici che continuano a trovare scuse smettono di essere miei amici”. L’unica persona con cui ho parlato che non condivide questo sentimento è il fratello di Nayyem, Masi, un avvocato che si è arruolato volontario. Ha perso l’occhio destro quando il veicolo in cui si trovava è saltato in aria. “È stato psicologicamente molto impegnativo, mi hanno rimosso questa parte del cervello”, mi ha detto toccandosi la fronte sopra l’occhio ferito. “Fatico a controllare le emozioni. Mi agito facilmente. Ho attacchi di panico”. Oggi dirige ancora il suo studio legale, dove lavorano circa trenta avvocati. “Sono felice per chi ha lasciato l’Ucraina portando via i bambini”, mi ha detto. “Così come sono grato a mio padre che mi ha portato qui quando avevo cinque anni per non farmi vedere la guerra”. Se la guerra crea nuove divisioni sociali ed economiche, l’esercito le cancella. “Ho passato gran parte degli ultimi due anni tra persone con cui in tempo di pace non avrei mai potuto immaginare di trovarmi nella stessa stanza”, mi ha detto Kobzin. “Un azero, un armeno, un ebreo, un antisemita, un piccolo criminale e un grande imprenditore. Siamo sempre riusciti a evitare contrasti, in un primo momento perché avevamo tutti in comune un obiettivo superiore, e in seguito perché avevamo creato dei legami profondi. Magari c’è quello che continua a parlare di teorie complottiste antisemite, ma è sempre della famiglia. Domani andremo in battaglia e potremo contare solo l’uno sull’altro”. Della compagnia di cento persone con cui Kobzin era all’inizio della guerra, circa 35 sono state gravemente ferite e più di dieci sono morte. Le altre sono ancora in servizio. Mentre ero in Ucraina, il parlamento, che ha ripreso quasi interamente l’attività dopo il primo anno di guerra, stava esaminando alcuni disegni di legge per legaliz-

L’AUTRICE

Masha Gessen è una scrittrice e giornalista russo-statunitense, di identità non binaria. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è L’uomo senza volto. L’improbabile ascesa di Vladimir Putin (Sellerio 2022).

La testimonianza Una conferenza stampa di Volodymyr Zelenskyj, Kiev, 3 marzo 2022

LYNSEY ADDARIO (GETTY)

zare le unioni tra persone dello stesso sesso e la cannabis per scopo terapeutico. Il primo provvedimento consentirebbe al paese di rispettare alcuni requisiti per l’ingresso nell’Unione europea ed è semplicemente giusto nei confronti delle persone lgbt che prestano servizio nelle forze armate. Il secondo aiuterebbe i veterani che soffrono di stress post-traumatico. A dicembre, il parlamento ha legalizzato la cannabis medica, mentre sulle unioni deve ancora decidere. “Sono tutti segnali che la società si muove nella direzione dell’Europa,” mi ha detto Leščenko. A metà dicembre l’Unione europea ha aperto i negoziati ufficiali per l’adesione dell’Ucraina. Per essere ammesso il paese dovrà soddisfare una serie di criteri politici, economici e giuridici – tra cui la costruzione di istituzioni politiche efficienti, il rispetto dei diritti delle minoranze e la cancellazione della corruzione – che non sono rispettati neppure da alcuni paesi già parte dell’Unione, come l’Ungheria. Secondo un rapporto dell’ong Istituto democratico nazionale (Ndi) un problema cruciale è la mancanza di pluralismo nel campo dell’informazione. Allo stesso tempo, però, l’Ndi ha anche riscontrato un aumento del sostegno ai diritti della comunità lgbt: il 72 per cento rispetto al 28 per cento del 2019. A differenza di molte altre società in guerra, negli ultimi due anni l’Ucraina è diventata più tollerante. “L’Europa è la nostra ideologia”, mi ha detto Solontay. “È un faro. E noi stiamo nuotando verso di lei”. Solontay ha poi aggiunto che, nei suoi sforzi per aiutare le amministrazioni in carica a conservare il potere, si è reso conto che nel paese “c’è sempre più guerra e sempre meno democrazia. E quando la democrazia resiste, è quasi per caso”. Tutte le persone con cui ho parlato in Ucraina negli scorsi mesi hanno detto che non pensano più alla fine del conflitto. Non riescono a immaginarla. E questo il segnale più preoccupante. Dopotutto, la democrazia è la convinzione che il mondo può migliorare. Gli ucraini, però, non si arrendono. “Ho rinunciato alla mia libertà per combattere per la mia libertà”, mi ha detto Kobzin. “E questo vale per quasi tutte le persone che conosco”. ◆ gc

Continuiamo a pedalare Ekaterina Seldereeva, Salidarnasc, Bielorussia ta per cominciare il terzo anno di guerra in Ucraina. E la domanda “come stai?” è più attuale che mai. Da qualche mese i podcast più ascoltati in Ucraina sono dedicati alla psicologia e alla filosofia. Si sente il bisogno di dare un significato alla realtà. “Un paese che sta combattendo una guerra difensiva” è, a prima vista, una definizione abbastanza corretta dell’Ucraina di oggi. Dietro, tuttavia, ci sono persone e destini che con il conflitto sono cambiati radicalmente. E poi ci sono i sentimenti, le emozioni, i pensieri, i sogni, i dispiaceri, i traumi, le esperienze dolorose che ancora non sappiamo come gestire. Prima della guerra i personaggi celebri, i blogger e gli influencer pubblicizzavano prodotti; oggi, invece, pubblicizzano i servizi erogati dalle piattaforme di aiuto psicologico. Ognuno sceglie a seconda dei gusti e del portafoglio. La guerra cambia tutto. Interiormente e mentalmente. Poco tempo fa, a metà gennaio, è stato ricordato il primo anniversario della tragedia di Dnipro, quando un missile russo ha distrutto l’ingresso di un palazzo di nove piani, prendendosi la vita di più di quaranta persone. Un anno fa era impossibile comprendere la portata di quella tragedia. Oggi, invece, anche io vivo in una casa distrutta. Quello che ieri

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sembrava lontano, oggi è qui, a portata di mano. Quando hai la guerra alla porta, tutto cambia. Ti tolgono la terra da sotto i piedi. Ma tu sei viva. E con questa vita devi farci qualcosa. Ognuno di noi ha progetti, sogni, obiettivi. Fa parte della vita. Solo che a causa della guerra questi sono impossibili o eternamente rimandati o durano troppo poco. È come andare su una bicicletta con una ruota in fiamme e l’altra sgonfia, senza il manubrio e con dei bastoni tra i pedali. E in spalla hai uno zaino con dentro tutto ciò che hai raccolto, da cui cade fuori continuamente qualcosa. Perché pedali in salita, e hai le mani legate. A un certo punto tutto sembra insensato. Sei confusa. Ti fermi. Inspiri profondamente. Poi espiri. Ti guardi intorno. E vedi che non sei sola. Siete in tanti. E vi potete aiutare l’un l’altro. Una montagna è già dietro di noi. Senti di nuovo di avere la terra sotto i piedi. Ti puoi fermare e respirare. Rifornire la tua scorta di sangue e riparare la bici. Qualcuno ha ripreso a studiare. A qualcuno è nato un bambino. Qualcun altro ha avviato un’attività. Procediamo così, poco alla volta. Facciamo una pausa. E continuiamo a pedalare. ◆ ab Ekaterina Seldereeva è una giornalista ucraina. Vive a Kryvyj Rih, nel sud del paese. Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Venezuela

PEDRO RANCES MATTEY (ANADOLU/GETTY)

La vista dall’hotel Humboldt. Caracas, gennaio 2022

Un albergo troppo esclusivo Edwin Koopman ed Eva van Roekel, De Groene Amsterdammer, Paesi Bassi

L’hotel Humboldt svetta sopra Caracas. Il suo sfarzo e le sue stanze quasi sempre vuote dimostrano che la ricchezza in Venezuela è nelle mani di poche persone 50

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Mare dei Caraibi Caracas Valencia

Lago di Maracaibo

Ciudad Guayana

San Cristóbal

VENEZUELA COLOMBIA

BRASILE 200 km

a cabina della funicolare si apre di scatto, sembra di essere su una pista da sci. Il tragitto, che parte dal centro di Caracas, dura quindici minuti al massimo e finisce in un altro mondo. Il cemento, le autostrade e i gas di scarico prodotti da benzina di scarsa qualità lasciano il posto a boschi e aria fresca di montagna. Una golf cart con l’autista ci aspetta per percorrere l’ultimo chilometro verso il culmine del lusso venezuelano. All’estremità opposta di un breve viale c’è la facciata dell’hotel Humboldt. Entrando si ha la sensazione di tornare negli

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anni cinquanta. L’arredamento evoca un mondo di formica, colori pastello e gonne di tulle. I soffitti a volta alti sei metri e le finestre a mosaico lasciano entrare la luce di montagna nella hall e nei ristoranti, restaurati spendendo cifre considerevoli. I mobili vintage e i candelabri minimalisti con lampade a forma di disco sono stati rimessi a nuovo con eleganza oppure sostituiti. “È unico al mondo”, dice la direttrice Gladys Zukkin con orgoglio. Dopo aver superato un ritratto a grandezza naturale del naturalista tedesco Alexander von Humboldt, che nell’ottocento esplorò queste zone, la visita guidata prosegue lungo saloni, piste da ballo e un pianoforte a coda Bösendorfer marrone, di valore inestimabile. “Molti venezuelani scoppiano a piangere per l’emozione”, commenta Zukkin. Si emozionano per la bellezza del posto e perché ricordano quando vennero qui con il loro primo amore o per la prima notte di nozze. In cima alla torre, sul balcone di una delle suite, Zukkin sottolinea l’effetto che creano le nuvole: veli di nebbia che si dissolvono all’improvviso aprono degli squarci su Caracas, da un lato, e il mar dei Caraibi dall’altro. La luce del sole viene coperta o filtra, a seconda dei momenti. Chi vuole assistere a questo spettacolo e svegliarsi nel lusso paga trecento dollari a notte, il doppio di quasi tutti gli altri grandi alberghi della capitale che hanno resistito alla crisi economica e all’esodo di milioni di venezuelani.

Vecchi e nuovi ricchi Questa “oasi di relax e divertimento”, com’è presentato l’hotel Humboldt sul suo sito, fa parte del nuovo lusso che da qualche anno è comparso in Venezuela. A Caracas hanno aperto negozi che vendono prodotti pregiati: olio al tartufo, champagne francese e profumi italiani. Nel quartiere della vita notturna, Las Merce-

des, sono spuntati molti ristoranti eleganti e cantieri di condomini prestigiosi. Per le strade circolano auto sportive e Hummer blindati, mentre su un cartellone pubblicitario lungo la strada si vede l’ex presidente socialista Hugo Chávez che dice: “È il momento di essere leali”. Da Avanti, uno dei grandi magazzini più esclusivi del paese, tra le giraffe in plastica a grandezza naturale è esposto anche un televisore Samsung a microled: secondo il commesso è “l’unico in tutta la regione”, e si vende a 115mila dollari. Poco più in là, nella concessionaria Ferrari, sono proposte varie auto dai colori sgargianti. Ce ne sono “abbastanza”, dice il rivenditore, “come nel resto del mondo”. In Venezuela però il prezzo è del 60 per cento più alto rispetto agli Stati Uniti. Non è per questo, tuttavia, che solo in pochi hanno una Ferrari: “Se ne producono in numero limitato, per mantenere l’esclusività”. Il lusso contrasta con l’iperinflazione, la povertà, la scarsità cronica di carburante e un salario minimo di circa cinque dollari al mese. Quasi un quarto dei venezuelani è già scappato dalla povertà e si è rifugiato nei paesi vicini, soprattutto in Brasile e in Colombia, ma anche più a sud e negli Stati Uniti. “Solo il cinque per cento della popolazione può permettersi di andare al ristorante”, dice l’economista Asdrúbal Oliveros. “Metà degli abitanti non ha neanche i soldi per i bisogni più elementari”. Da dove viene allora questa ricchezza? E chi può permettersela? “Non tutti possono comprare questa tv”, spiega il commesso di Avanti, “ma qualcuno c’è, per esempio funzionari del governo o imprenditori”. Poi si corregge: non può dare dettagli sui clienti del negozio. “Sono i nuovi ricchi, spesso con agganci ai vertici, che traggono vantaggio dalla situazione”, dice Oliveros. “Ci sono comunque anche i vecchi ricchi, che conoscono bene certe dinamiche e sanno come approfittarne”. La rivoluzione bolivariana, proclamata nel 1999 da Hugo Chávez, si scagliava contro quella che il leader socialista definiva “l’élite”, cioè i “nemici del popolo”, politici e imprenditori venezuelani che per decenni si erano divisi il potere e i soldi del petrolio. Il paese ha le più grandi riserve di greggio al mondo, ed è anche ricco di gas, diamanti e metalli come oro, ferro, bauxite e coltan. Quando Chávez fu eletto presidente, metà della popolazione era povera e vedeva solo qualche Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Venezuela briciola di quell’enorme ricchezza. Lui fece una promessa: il nuovo Venezuela sarebbe stato di chi non aveva risorse. Il cosiddetto socialismo del ventunesimo secolo avrebbe messo fine alla povertà e alla corruzione. All’inizio il leader socialista riuscì a migliorare notevolmente le condizioni di vita nei quartieri popolari e nell’entroterra. Avviò delle misiones, programmi sociali per distribuire generi alimentari, prodotti di base sovvenzionati dallo stato, cure mediche, assegni familiari e aiuti per l’istruzione. Il tutto pagato con i petrodollari, che in quel periodo arrivavano a palate. Migliaia di medici cubani furono mandati nelle città venezuelane, vennero distribuiti pasti nelle scuole, sussidi, aiuti per i bambini e pensioni per gli anziani. Oggi, vent’anni dopo, tutti i programmi sociali sono bloccati. I soldi sono finiti e la disuguaglianza è aumentata di nuovo. L’odiata vecchia élite ha lasciato il posto a una nuova casta di privilegiati. E il caos economico e politico si è rivelato un ambiente ideale per la corruzione, il riciclaggio di denaro e il nepotismo. Mentre la popolazione soffre perché non ha da mangiare a costi accessibili e per la mancanza di assistenza sanitaria, i funzionari di governo, i leader di partito, gli imprenditori con gli agganci giusti – nel paese sono chiamati enchufados – tengono per sé il potere e i soldi. I militari che controllano le strade e i confini guadagnano una fortuna con il traffico di droga, oro, benzina, armi ed esseri umani. Secondo l’ong Transparency international, da anni il Venezuela è il quarto paese più corrotto del mondo.

La sua costruzione fu un’autentica dimostrazione di forza: un immenso edificio a duemila metri di altezza in un territorio inaccessibile già durante i lavori esprimeva progresso e sviluppo, ma anche mania di grandezza e arroganza, fu la ciliegina sulla torta: un simbolo di benessere, eccentricità e potere assoluto. La sua costruzione fu un’autentica dimostrazione di forza: un immenso edificio a duemila metri di altezza in un territorio inaccessibile. Un compito quasi impossibile negli anni cinquanta. L’architetto venezuelano Tomás José Sanabria disse che avrebbe avuto bisogno di tre anni e propose un piccolo albergo che si sarebbe mimetizzato nella natura, quasi invisibile da Caracas. “La natura, la danza delle nuvole e il vento saranno i protagonisti”, spiegò, secondo la figlia Loly. Ma l’ego di Pérez Jiménez era troppo grande per accontentarsi di un albergo così sobrio. Il leader venezuelano voleva una torre di vetro appariscente, con molte stanze e che si potesse ammirare dalla valle. E il cantiere doveva durare poco. A Sanabria furono concessi duecento giorni per i lavori: l’albergo fu inaugurato il 29 dicembre. Zukkin racconta qualche aneddoto sull’Humboldt. “Sanabria diceva: ‘Avrà tredici stanze’. E Pérez Jiménez risponde-

Manie di grandezza L’Humboldt ha fama di essere amato dagli enchufados. Invece chi critica il governo di Maduro rifiuta di metterci piede. L’albergo si staglia con imponenza sulla montagna che separa Caracas dalla costa e la sua architettura supera simbolicamente tutte le nuove costruzioni sfarzose della città. Era proprio questa l’intenzione del dittatore Marcos Pérez Jiménez quando nel 1956 ideò l’hotel. Era l’inizio del cosiddetto Venezuela saudita, un periodo di vertiginosa crescita economica in cui i soldi del petrolio inondavano il paese. Pérez Jiménez celebrò il “suo” successo trasformando Caracas: i cavalcavia di cemento, gli enormi complessi residenziali e la più importante università pubblica sono di quel periodo. L’Humboldt, che

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Da sapere

Ondata di repressione

u Il 15 febbraio 2024 il ministro degli esteri del Venezuela, Yván Gil, ha ordinato la chiusura dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e ha dato ai suoi funzionari 72 ore per lasciare il paese. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo l’arresto all’aeroporto di Caracas di Rocío San Miguel, 57 anni, avvocata e attivista per i diritti umani ed esperta di questioni militari. L’accusa è di terrorismo, cospirazione e tradimento per aver cercato di organizzare un attentato contro il presidente Nicolás Maduro. Quest’anno in Venezuela dovrebbero tenersi le elezioni presidenziali. La corte suprema ha respinto il 26 gennaio la candidatura della leader dell’opposizione di centrodestra, María Corina Machado. Bbc

va: ‘Tredici? No, deve averne duecento o trecento’”. Poi, in un salone, indica la poltrona di pelle che Pérez Jiménez aveva scelto per sé, proprio davanti alla pista da ballo. “In discoteca aveva la sua loggia presidenziale”. Zukkin mostra rispetto per “il presidente” che guidò il Venezuela verso la modernità con grandi progetti infrastrutturali. Non usa mai la parola “dittatore” per riferirsi a lui. Negli anni successivi all’inaugurazione, l’élite venezuelana frequentava l’albergo in occasione di feste o per cenare. Loly Sanabria ricorda le donne in pelliccia e gli uomini in completo elegante. “Erano gli anni cinquanta. Se andavi all’Humboldt dovevi vestirti bene, indipendentemente dall’estrazione sociale. Mia madre e le sue amiche indossavano tutte la pelliccia, il cappello e i guanti, un vestito, scarpe con tacchi alti e una borsetta”. Pérez Jiménez non si godette a lungo il suo fiore all’occhiello. All’inizio del 1958 fuggì da una rivolta popolare, portandosi via tredici milioni di dollari dalle casse dello stato. Per il Venezuela fu un bene perché da quel momento si alternarono vari governi democratici, che all’epoca erano un’eccezione in America Latina. Non fu un bene per l’Humboldt. L’albergo restò allo stato, ma la sua immagine rimase legata alla dittatura; la manutenzione fu trascurata e cominciò un lento e inesorabile declino. Secondo Loly Sanabria, l’hotel cadde vittima del rancore politico. “È una cosa tipicamente venezuelana: se io sono verde e vincono i rossi, non voglio più saperne nulla dei verdi. Compreso tutto quello che è stato costruito da loro, anche se è stato pagato con i soldi delle tasse”. Come altri progetti voluti da Pérez Jiménez, l’albergo è ancora considerato un “elefante bianco”, spiega l’architetto venezuelano Gregory Vertullo, che ha diretto il restauro. “Un monumento senza utilità, di pura propaganda politica”. Alcuni presidenti tennero aperte delle zone dell’hotel, ma l’isolamento del luogo scoraggiava qualsiasi investimento. All’inizio degli anni ottanta pernottare qui diventò impossibile. È merito di un immigrato spagnolo se l’Humboldt non andò completamente in rovina: Francisco ‘Paco’ López lavorava come portiere dell’edificio, vivendo da solo in uno degli alloggi per il personale. Girava ogni giorno per l’albergo vuoto, mandando via i ladri che avevano messo gli occhi sui servizi di piatti e altri oggetti di valore. Oggi nell’ingresso c’è un negoziet-

ADRIANA LOUREIRO FERNANDEZ (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)

Un mercato all’aperto a Caracas, 10 gennaio 2023

to dedicato a lui, il famoso eremita. Nel 2009 Chávez ebbe l’idea di riportare l’albergo al suo antico splendore. Il 4 maggio 2018, quasi dieci anni dopo, fu il suo successore Maduro a tagliare il nastro. Il restauro non era ancora concluso ma Maduro aveva fretta: la sua popolarità era molto bassa e, poiché mancavano solo due mesi alle elezioni presidenziali, aveva bisogno di un successo da esibire. In quel periodo il Venezuela stava vivendo una delle crisi più gravi della sua storia, con l’economia che si era contratta di più dell’80 per cento. Ma per il restauro, che risucchiava milioni dalle casse dello stato, i soldi non furono un problema. Non c’era margine per le proteste: pochi mesi prima Maduro aveva soffocato con violenza una rivolta popolare. Il bilancio era stato di 163 morti e quasi tremila persone ferite. Con il controllo dei mezzi d’informazione, del parlamento e dell’esercito, il potere del presidente era assoluto quasi quanto quello di Pérez Jiménez negli anni cinquanta. L’Humboldt era di nuovo un simbolo. Il cerchio si era chiuso. I primi ospiti dell’albergo sono arrivati solo dopo la fase più dura della pandemia di covid-19. La catena alberghiera Marriott, che inizialmente aveva preso in

gestione la struttura, ha rinunciato quasi subito perché temeva che il posto non fosse abbastanza redditizio. Così l’Humboldt è rimasto allo stato.

Senza scuola La cima dell’Ávila è una destinazione amata dagli escursionisti. Nel tratto tra la funicolare e l’albergo di sabato pomeriggio c’è una piacevole confusione. Ci sono pagliacci, musicisti e bancarelle che vendono qualche spuntino. In fondo sventola una gigantesca bandiera venezuelana, che si vede anche dalla città. Diego Cárdenas è l’ex custode della funicolare, anche se non ci è mai salito. “A causa dell’inflazione il mio stipendio si è ridotto a cinque dollari al mese”, racconta. Oggi fa il tassista e carica chi scende da quella funicolare che lui non ha mai preso. Ma guadagna comunque poco. “Come faccio a comprare delle scarpe buone per mio figlio o la maglietta di Messi che desidera tanto? Costa trenta dollari”, dice. Nel ristorante dell’albergo, in un tavolo vicino alla finestra, è seduta Aleida Blanco. Dirige un consiglio comunale lontano dalla capitale ed è una sostenitrice di Maduro. Oggi ha portato i suoi colla-

boratori in gita a Caracas. Ci vengono spesso, dice Blanco, “per la natura”. Secondo lei i prezzi dell’Humboldt sono accettabili, come i problemi del paese. “Sulla crisi circolano solo voci false”, sostiene. La presunta mancanza di benzina in Venezuela secondo lei è una bugia: è solo la conseguenza dell’accaparramento delle risorse e della disinformazione alimentati dell’opposizione. Le sue parole contrastano con le analisi degli esperti. “Il modello economico in Venezuela ha portato un’enorme inflazione e ha fatto crollare lo stato”, afferma Oliveros. Chávez ha centralizzato il potere, ha politicizzato istituzioni come l’esercito e la giustizia, calpestando alcuni princìpi democratici. L’economia è pianificata, ci sono stati espropri e settori come l’industria petrolifera e le istituzioni finanziarie sono stati nazionalizzati. Questo ha prodotto povertà, iperinflazione, disoccupazione e clientelismo. I soldi erano distribuiti ai potenziali elettori. “Già in passato le utopie socialiste hanno promesso maggiore uguaglianza, ma hanno generato una miseria diffusa”, dice l’economista. “In Venezuela i funzionari e i pensionati sono rimasti quasi senza soldi”. Il petrolio, pilastro dell’econoInternazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Venezuela mia, è estratto con il contagocce a causa dell’assenza d’investimenti, dell’incuria cronica e delle frodi sulla distribuzione. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione europea non aiutano il paese a uscire dalla crisi. Proprio come prima della rivoluzione, la situazione è più grave nei quartieri po­ polari di Caracas e nelle zone rurali fuori dalle città, dove mancano acqua, elettri­ cità, gas, generi alimentari e cure medi­ che. Negli ultimi anni la crisi ha raggiunto anche i quartieri più ricchi. Ma lì gli abi­ tanti si arrangiano usando i loro risparmi per scavare pozzi, comprare serbatoi d’acqua e generatori con cui superano i frequenti blackout. Nei quartieri più po­ veri, dove molti sostengono il governo, lo stato interviene, ma la situazione sta peg­ giorando e gli aiuti non bastano. “Il governo fa sempre più fatica ad aiutare chi ha bisogno”, dice Yoel Capri­ les, un leader di quartiere che vive a El Plan, una zona popolare con costruzioni di mattoni rossi ammassate una sull’altra sui pendii visto che i ricchi hanno occupa­ to tutti gli spazi pianeggianti per le loro ville. Capriles, ancora oggi un rivoluzio­ nario convinto, indica una collinetta pie­ na di ruderi: i testimoni silenziosi della catastrofe che nel 2023 ha colpito El Plan. A causa delle forti piogge, una parte di strada è crollata e decine di famiglie sono rimaste senza casa. Il piano superiore del suo minuscolo appartamento è pieno di secchi e bacinel­ le perché l’acqua è razionata. Le interru­ zioni di corrente sono frequenti e la guar­ dia medica manca da un paio d’anni. Ca­ priles se ne fa una ragione, ma quello che gli dà davvero fastidio è la lentezza con cui procedono i lavori per il nuovo edifi­ cio scolastico. Sono otto anni che è in co­ struzione ed è ancora tutto in alto mare. I bambini dividono una piccola scuola con gli alunni del quartiere vicino, quindi fan­ no solo metà dell’orario previsto. “I soldi arrivano a singhiozzo”, dice Capriles. Bastano per i lavori per una set­ timana, poi seguono altri mesi di attesa. La scuola è su tre piani, che ci sono già, ma manca tutto il resto: le finestre, l’elet­ tricità, i tavoli e le sedie. Dal tetto di ce­ mento si vede l’hotel Humboldt, dove Capriles non potrà mai dormire. Nonostante tutto, però, nulla fa pensa­ re che il potere di Maduro vacilli. “La fa­ me e la necessità sono uno strumento di potere importante”, dice Rafael Uzcáte­ gui di Provea, un’organizzazione che si occupa di diritti umani. Gran parte dei

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venezuelani non ha tempo di protestare perché deve pensare a come procurarsi da mangiare o la benzina. “Qui non c’è poli­ tica, solo opportunismo”, aggiunge. All’inizio del 2023 la corruzione è arri­ vata a un livello così alto che il presidente ha dovuto prendere provvedimenti. Ha ordinato il sequestro di quasi quattrocen­ to auto di lusso, diciannove jet privati, 28 ville e sette yacht. Ha sacrificato perfino alcuni amici per mostrare al popolo “che in Venezuela non c’è spazio per la corru­ zione”. Uomini d’affari, funzionari del governo e politici sono stati arrestati o costretti a dare le dimissioni per sospetta sottrazione di fondi pubblici tramite trasferimenti di petro­ lio e criptovalute. Il più noto di questi perso­ naggi è Tareck El Aissami, più volte ministro ed ex vicepresi­ dente che si è occupato di vigilare sul re­ stauro dell’Humboldt. Anni fa gli Stati Uniti lo hanno inserito in una lista dei cri­ minali più ricercati per traffico di droga e riciclaggio di denaro. Da quando lo scorso marzo ha dovuto dimettersi per corruzio­ ne, di lui non si hanno più notizie.

In rovina “Nostro Signore non potrebbe perdonare tutto quello che succede qui”, dice l’auti­ sta della vecchia jeep che s’inerpica su una strada tortuosa verso l’Humboldt. Questi mezzi possono portare fino a dieci persone e sono l’alternativa più economi­ ca per chi vuole dare un’occhiata all’edi­ ficio ma non ha i soldi per prendere la fu­ nicolare. Lungo il tragitto l’autista indica le ville costruite di recente sulle pendici del monte Ávila, tutte di proprietà di politici, militari di alto rango o dei loro familiari. Scorci di ricchezza, nascosti all’occhio degli altri abitanti. “Quella casa è della sorella di Jorge Rodríguez”, dice riferen­ dosi al presidente del parlamento. Poco più avanti si vede una villa mo­

Verso mezzanotte i pochi che hanno cenato prendono la funicolare per tornare in città, lasciando i camerieri e i custodi senza niente da fare

derna, in vetro e alluminio. È la seconda casa di Diosdado Cabello, l’uomo più po­ tente del paese dopo Maduro. All’Humboldt è stato da poco aperto un casinò. Chávez aveva chiuso le sale da gioco perché le considerava un passa­ tempo per pochi, un esempio di decadi­ mento morale e tane della borghesia. Maduro invece le tollera, nella sua ricerca disperata di un po’ di ossigeno per l’eco­ nomia venezuelana. Ma nell’albergo non c’è neanche l’ombra di un giocatore. Ra­ gazze in uniforme aspettano dietro rou­ lette e tavoli da poker. La musica salsa a tutto volume vuole dare l’illusione di di­ vertimento nella sala quasi de­ serta. Nel ristorante, sedie e ta­ voli vuoti sono illuminati dalla luce che arriva dalle montagne. Di sera la hall si anima. In cu­ cina i cuochi arrotolano il sushi. Un gruppo di salsa attira qualche cliente con i pezzi di Juan Luis Guerra, ma i tavoli rimangono quasi tutti vuoti. Tra i pochi ospiti c’è Gerardo Bustamante, un signore che è venuto con i genitori per festeggiare il compleanno del padre. “Quest’albergo mostra il peggio del Venezuela: un’utopia che non esiste”, dice. “Come si fa a defi­ nirlo alla moda e bello? Se le cose andas­ sero bene, sarebbe pieno di venezuelani e turisti”. Ai suoi occhi l’Humboldt rappre­ senta un paese che non c’è più, ed è il sim­ bolo della corruzione e dell’impunità. Mentre altri, in segno di protesta, si mantengono alla larga da questa strava­ ganza, Bustamante ordina un’altra botti­ glia di vino. “Questo posto tra le monta­ gne ti fa sentire in Svizzera, ma appena torni giù capisci che il Venezuela è caduto in rovina”, dice. “La crescita è in calo, come la produ­ zione e i consumi. L’inflazione ha raggiun­ to il 400 per cento”, osserva Oliveros. Di­ versi progetti edilizi nel quartiere Las Mercedes sono stati bloccati. Il destino dei negozi e dei ristoranti di lusso è incer­ to, come quello dell’Humboldt, dove per­ fino nei fine settimana è occupata solo una camera su dieci. Verso mezzanotte i pochi ospiti che hanno cenato prendono la funicolare per tornare in città, lasciando camerieri e cu­ stodi senza niente da fare. Nella direzione opposta, una giovane coppia di sposi che sembra essersi materializzata dal nulla entra nell’albergo quasi deserto. Lo stra­ scico del vestito è sporco di fango per la pioggia torrenziale. I due salgono in ascensore, verso la loro prima notte di nozze. u oa

L’AMORE SI NASCONDE DOVE MENO TE LO ASPETTI

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Senegal

Migranti ieri e oggi Andrea Böhm, Die Zeit, Germania Foto di Carmen Yasmine Abd Ali

Da generazioni gli abitanti di un villaggio senegalese vanno a lavorare all’estero per sostenere le loro famiglie. In quarant’anni le cose sono molto cambiate, ma i giovani sono ancora costretti a partire hi è stato il primo a emigrare della sua famiglia? “Mio nonno, credo”, risponde Demba Lô. “O magari il mio prozio, forse è stato lui il primo”. Demba Lô è seduto nell’ombra del suo negozio, lungo la strada principale di Niomré, nel nordovest del Senegal, dove sotto il sole cocente di mezzogiorno circolano più capre che automobili. Due aiutanti, fradici di sudore, scaricano sacchi di arachidi da un camioncino. Come tutti gli abitanti del villaggio, anche Lô non vede l’ora che arrivi la stagione fresca: la vita diventa più serena e il mare più agitato. Più di cinquanta chilometri separano il villaggio dall’oceano Atlantico, eppure dalle condizioni del mare dipende il numero di figli, padri e mariti che Niomré è destinata a perdere. Nessuno sa bene quando i primi uomi-

C 100 km

MAURITANIA

Venti franchi nel 1984

Saint-Louis

Oceano Atlantico

Niomré Dakar

S E N E G A L GAMBIA

MALI

Tambacounda

Ziguinchor

GUINEA BISSAU

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ni cominciarono ad andare via dalle loro case. In queste zone emigrare fa parte della vita. Dakar, Bruxelles, Saint-Étienne, Lione, Milano, Bilbao: Demba Lô ha lavorato in tutte queste città. “Sempre con i documenti in regola, ovviamente”. Anche se gli manca un dente Lô, 62 anni, ha un bel sorriso. Indossa un caftano blu, in una mano ha due telefoni e nell’altra un tablet. Tra tutti questi dispositivi, ce n’è sempre uno che vibra o squilla. Lô è vicesindaco, grossista di arachidi e fagioli, capocantiere e referente dell’iniziativa “Un’ambulanza per Niomré”. Ha tre mogli e 18 figli. Insomma, è uno a cui servono più canali di comunicazione. Niomré si trova circa duecento chilometri a nordest di Dakar, la capitale del Senegal. Il territorio del comune comprende decine di villaggi per un totale di 18mila abitanti, ma non si sa mai chi c’è e chi invece è all’estero. Il confine con la Mauritania è poco distante. “Molti di noi lavorano lì”, racconta.

GUINEA

Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

Demba Lô ci guida nella città. Dal municipio andiamo a vedere la moschea ristrutturata, proseguiamo verso le nuove bancarelle in muratura del mercato e poi raggiungiamo l’ambulanza, appena arrivata, parcheggiata in un garage, in mezzo alle macchine edili: è una Renault Trafic, ancora con le targhe francesi. Ovviamente non è nuova, ma di seconda mano, anche se è stata tirata a lucido. Sono tutti

investimenti realizzati con le rimesse di chi lavora all’estero, spiega Lô. Tranne l’ambulanza, che lui stesso ha ottenuto da un’ong francese. La passeggiata finisce in un cantiere: con le donazioni della diaspora stanno costruendo una sala comunale. Tre giovani stanno intonacando un muro di mattoni. “Appena avrò messo da parte i soldi, me ne andrò”, dice uno di loro. “Alle Canarie”. Lô lo guarda scuotendo la testa e il ragazzo ricambia lo sguardo con aria di sfida. “Abbiamo un problema con i giovani”, osserva Lô. “Corrono troppi rischi”. “Migrazioni e sviluppo”. La Banca mondiale chiama così quello che succede

Demba Lô, Niomré, Senegal, 27 novembre 2023

a Niomré. È una storia antica, che si ripete ovunque nel mondo: le persone, in cerca di opportunità migliori, si trasferiscono in città o in un paese vicino, dove le cose vanno meglio. O nei ricchi stati del golfo Persico, in Nordamerica, in Europa. Lì trovano da lavorare, spesso facendo quello che la gente del posto non vuole più fare. Poi mandano a casa una parte dei loro guadagni. Secondo la Banca mondiale, nel 2022 nei paesi in via di sviluppo, ma anche in Cina e India, sono arrivati 630 miliardi di dollari di rimesse, più del triplo degli aiuti allo sviluppo stanziati dai paesi ricchi. Cento miliardi di dollari sono arrivati in

Africa, di cui 2,5 miliardi in Senegal. “Senza gli emigrati saremmo messi decisamente male”, dice Demba Lô. Lô ha guadagnato i primi soldi europei un giorno d’estate del 1984: venti franchi per un braccialetto venduto a una turista a Saint-Étienne. All’epoca non c’erano l’euro né l’area Schengen né Frontex né l’obbligo del visto. Lui era all’inizio della sua carriera di commerciante. Negli anni sessanta, dopo l’indipendenza delle colonie, la Francia aveva reclutato migliaia di africani per lavorare nelle fabbriche. Con la distruzione quasi totale dell’agricoltura e dell’allevamento nel Sahel, dovuta alle ondate di siccità de-

gli anni settanta e ottanta, anche Demba Lô, figlio di contadini, andò in Francia. Il suo viaggio fu assolutamente legale: partì con la benedizione dei genitori e una valigia piena di stoffe locali, maschere di legno e bigiotteria. Qualche anno dopo, aveva un permesso di soggiorno e una Renault 12 con cui faceva su e giù per i mercati nei dintorni di Saint-Étienne. A un certo punto aprì un negozio di souvenir africani, poi un altro. Nel 1998, durante i mondiali di calcio in Francia, le attività di Demba Lô fecero affari d’oro con i tifosi. “Fu un anno fantastico”. Un anno in cui in Francia, dove era già stato introdotto l’obbligo del visto per i senegaInternazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Senegal Ndeye Lô, la sorella di Demba Lô, è la direttrice della scuola coranica. Niomré, 27 novembre 2023

lesi, ancora nessuno si chiedeva se gli africani che pulivano gli stadi dopo le partite, che rifacevano i letti negli alberghi e lavavano i pavimenti nelle cucine dei ristoranti avessero i documenti in tasca. Così, a Niomré, molte famiglie costruirono un secondo piano nelle loro case, si permisero qualcosa di meglio da mangiare, di comprare un televisore e di andare in pellegrinaggio alla Mecca.

spinge i giovani a imbarcarsi per tentare un viaggio di 1.500 chilometri verso le isole Canarie. Destinazione Spagna, destinazione Europa. Lô conosce quattro famiglie che negli ultimi anni hanno perso in mare almeno un figlio. In Germania, in Francia e in Italia quando si parla di immigrazione spesso tragedie simili sono presentate come nuovi segni di un assalto dell’Africa

Verso le Canarie

Da sapere

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Largo ai giovani Stime di crescita della popolazione del Senegal, milioni di abitanti, per fasce d’età 30 Più di 65 25 20 Tra i 30 e i 64 15 Tra i 15 e i 29

10 5

Meno di 15 anni

0 1991

2001

2011

2021

2031

2041

FONTE: ISS AFRICA

Per gli economisti della Banca mondiale le persone come Demba Lô sono “fattori di sviluppo economico”, non dei “profughi economici”. In Senegal le rimesse della diaspora contribuiscono al 10 per cento del prodotto interno lordo. Nel vicino Gambia, arrivano quasi al 30 per cento. Una storia di successo. O forse no? Abbiamo incontrato Demba Lô a Niomré alla fine di novembre del 2023, pochi giorni dopo il naufragio di un peschereccio nell’Atlantico. A bordo c’erano probabilmente più di duecento persone, quasi tutte senegalesi. Se ne sono salvate 37. Da mesi continuavano ad arrivare notizie simili. Nella stagione calda, spesso il mare è apparentemente calmo e

all’Europa. È una rappresentazione falsa, che fa comodo ad alcuni politici. In realtà, gli africani costituiscono meno del 15 per cento dei migranti di tutto il mondo e, in gran parte, non lasciano il loro continente. Gli emigrati senegalesi vivono e lavorano per lo più in Costa d’Avorio, Gabon, Mauritania e Marocco. Quelli che cercano di andare in Europa sono senza dubbio in aumento, ma le loro storie parlano di un problema legato più al Senegal che all’Europa. Omar, 21 anni, uno dei muratori al lavoro nel cantiere, sta facendo una pausa. Se riesce ad arrivare alle Canarie, racconta, andrà in Spagna o in Italia. Alto e allampanato, ha le mani piene di calli per il duro lavoro. In cantiere guadagna circa 150 euro al mese. “Così non posso mettere su famiglia o costruirmi casa. E se mio padre o mia madre si ammalano, non posso aiutarli. Cosa penserà la gente?”. Proprio dietro l’angolo, c’è la casa di Demba Lô. A due piani, con un’ampia terrazza, le piastrelle alle pareti e gli arredi eleganti è piuttosto appariscente per gli standard locali. Omar ci passa davanti ogni mattina. Sentendolo parlare, ci rendiamo conto che a Niomré l’emigrazione

non ha portato solo un certo grado di benessere, ma ha fatto nascere anche una specie d’invidia tra le generazioni. In passato la strada per arricchirsi e aiutare le proprie famiglie nei tempi di crisi non presentava grossi ostacoli, mentre oggi i più giovani devono correre dei pericoli. L’Europa ormai è una fortezza. Omar, convinto che sia impossibile, non ha nemmeno provato a ottenere i pochissimi visti temporanei per lavorare nell’agricoltura in Italia o Spagna. Tenterà di salire su uno di quei barconi sovraccarichi che risalgono la costa in direzione del Marocco e poi fanno rotta verso ovest, verso le Canarie. I più sfortunati sono trasportati dalle correnti a Capo Verde, o finiscono nelle statistiche dei dispersi. Secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2023 sono riusciti ad arrivare in Spagna quasi 60mila migranti e rifugiati, la maggior parte percorrendo la rotta atlantica. È a loro che pensa Omar, non ai naufraghi o agli annegati. Per pagare i trafficanti dovrà risparmiare l’equivalente di cinquecento euro. Spesso le famiglie partecipano alla spesa, perché anche a loro conviene: un figlio che trova lavoro in Europa significa soldi e prestigio. Ce l’ha fatta il marito della levatrice, che fa il pasticciere in Italia. Ce l’hanno fatta i mariti delle contadine di Niomré, che nei campi di Almería, in Spagna, raccolgono pomodori. O anche il marito di Fatou Lakhone, 29 anni, venditore a Bilbao. “Ogni mese mi manda più o meno 220 euro”, racconta lei, che con quei soldi paga le rette scolastiche di tre dei quattro figli, le bollette della luce sempre più care, i medicinali, la spesa, i vestiti, le riparazioni.

Duecento euro nel 2024 Ma c’è un rovescio della medaglia. Con i servizi di money transfer chi è rimasto a casa riceve rimesse che vanno dai 150 ai 400 euro al mese. Bastano per tirare avanti, mandare i figli a scuola, assistere le donne incinte, ingrandire le case. I contributi che Demba Lô raccoglie tra gli emigrati del gruppo WhatsApp Taxaw Niomré (Sostenete Niomré) e dall’Associazione degli emigranti bastano a rinnovare le attrezzature per il reparto dedicato a madri e bambini dell’ambulatorio locale o per asfaltare un tratto di strada. Ma non bastano ad aprire fabbriche, negozi e officine, quindi a creare occupazione. Ogni anno circa duecentomila giovani cercano di entrare nel mercato del lavoro senegalese. Il governo del presidente Macky Sall (al potere dal 2012) ha amplia-

to le reti stradali e bancarie, e potenziato il settore energetico. Oggi l’economia ha un buon tasso di crescita. Ma questo non basta a creare nuovi posti di lavoro in un paese dove l’età media è diciott’anni. Inoltre un terzo dei senegalesi al di sotto dei 29 anni non studia e non lavora, e i posti si trovano soprattutto nel settore informale. La situazione è ancora più precaria a causa degli effetti della crisi climatica sull’agricoltura e sulla pesca, che oltretutto subisce la concorrenza dei pescherecci cinesi ed europei attivi al largo della costa. Con ogni probabilità il muratore Omar farà la traversata a bordo di un barcone guidato da un pescatore senegalese. A Niomré nessuno spera nell’aiuto dello stato. “Il governo è il primo dei trafficanti! Lo scriva!”, si sente esclamare tra gli uomini di una certa età che bevono tè nella piazza del mercato. Il presidente Sall ha appena annunciato “misure urgenti” per limitare l’emigrazione irregolare, stanziando aiuti economici, ma a Niomré pensano tutti che siano solo slogan. I miliardi di euro investiti dall’Unione europea per contrastare le cause delle migrazioni, invece di contribuire al tasso di occupazione nei paesi d’origine, spesso sono serviti per rafforzare le frontiere esterne. A pattugliare le spiagge senegalesi c’è anche la guardia civil spagnola, mentre i droni del paese europeo sorvolano le coste. Demba Lô ha aperto un panificio non lontano dal suo negozio. Tutte le mattine alcuni giovani di Niomré preparano centinaia di pagnotte. Ancora non pensano a emigrare. È il contributo di Lô all’economia locale. Certo, qualche centinaio di visti di lavoro per i giovani della sua comunità non guasterebbe, dice Lô: “L’Europa ha bisogno di braccia. E noi ne abbiamo in abbondanza”. Squilla il telefono: è uno dei suoi figli, quello che lavora a Bilbao. “In maniera perfettamente legale”, sottolinea Demba Lô. u sk

Oggi l’economia ha un buon tasso di crescita. Ma questo non basta a creare nuovi posti di lavoro in un paese dove l’età media è diciott’anni

Ultime notizie

Elezioni al più presto l 17 febbraio 2024 a Dakar migliaia di persone hanno potuto partecipare al primo corteo autorizzato dalle autorità dopo che due settimane prima il presidente senegalese Macky Sall aveva annunciato il rinvio delle elezioni presidenziali, previste il 25 febbraio. Il rinvio ha scatenato le proteste dell’opposizione e una serie di appelli internazionali a rispettare il calendario democratico. Nella capitale i manifestanti hanno indossato delle magliette nere con la scritta “Aar sunu élection” (Proteggiamo le elezioni), dal nome della coalizione di gruppi della società civile che si sono uniti per reclamare il rispetto della democrazia. Il consiglio costituzionale senegalese – il più alto tribunale del paese, responsabile tra l’altro della convalida delle candidature alle presidenziali – è stato chiamato il 15 febbraio a giudicare la questione e ha invalidato il rinvio del voto, chiedendo al presidente di organizzare le elezioni al più presto. Il 5 febbraio il parlamento, dopo che i deputati dell’opposizione erano stati allontanati con la forza dall’aula, aveva deciso di spostare le presidenziali al 15 dicembre. Ora Sall dovrà accelerare i tempi. Secondo il filosofo ed economista senegalese Felwine Sarr la decisione del consiglio costituzionale contiene “un messaggio chiaro”: “Si può fermare una deriva autoritaria se ognuno si assume le proprie responsabilità e se i cittadini si mobilitano”, ha dichiarato al settimanale Jeune Afrique. L’importante, secondo Sarr, è che si riesca a organizzare il voto entro la fine di marzo, per avere un nuovo presidente entro il 2 aprile, data in cui scade il mandato di Sall. In Senegal, spiega l’intellettuale, dai tempi dell’indipendenza il sistema politico si è trasformato in un “iperpresidenzialismo” che concentra gran parte dei poteri nella figura del capo dello stato, senza i giusti contrappesi. “In generale in Africa chi detiene il potere cerca di ostacolare sistematicamente la crescita e l’autonomia delle istituzioni che dovrebbero controllarlo”, osserva Sarr. u

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WESTEND61/GETTY

Scienza

Rumori che fanno impazzire Nathaniel Scharping, Psyche, Stati Uniti

Per le persone affette da misofonia alcuni suoni possono risultare insopportabili. Ora la ricerca sta chiarendo le cause di questo disturbo, aiutando chi ne soffre a sviluppare strategie per affrontarlo 60

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uando Megan Davies aveva circa undici anni, per lei le cene di famiglia diventarono una vera tortura. Il motivo erano i rumori che facevano i genitori e i suoi sei fratelli: la masticazione, i risucchi e gli schiocchi con le labbra che capita di sentire a tavola. Cenare insieme significava “sentire rumori che mi facevano accapponare la pelle”, dice. Questa sensazione l’avrebbe accompagnata per i successivi cinquant’anni: suoni comuni, che sono aumentati fino a includere battiti, clic e fruscii, scatenavano in lei attacchi di rabbia e disgusto. Davies, che oggi lavora come epidemiologa a Raleigh, nel North Carolina, è diventata abilissima nell’inventare scuse per sfuggire ad alcune situazioni. Ma le è sempre pesato. “Essere una persona così difficile mi faceva sentire in colpa”, dice. Davies è affetta da un disturbo chiamato misofonia, che provoca emozioni estremamente negative in risposta a specifici suoni, spesso associati al mangiare e alla respirazione. Se soffri di misofonia hai la sensazione che questi suoni ti stiano entrando dentro, insinuandosi nel tuo cervello tanto da sembrare una violazione, dice Sukhbinder Kumar, un neuroscienziato dell’università dell’Iowa che studia questo disturbo. “È un’esperienza molto interiore, molto viscerale”, dice. Si stima che più del 10 per cento della popolazione potrebbe soffrire di un certo grado di misofonia, anche se la gravità dei sintomi può variare parecchio. Qualcuno è infastidito da determinati suoni emessi da determinate persone, mentre per qualcun altro a scatenare il fastidio è una gamma di rumori e situazioni più ampia. Sebbene i collegamenti con altri disturbi non siano ancora chiari, chi soffre di misofonia potrebbe essere anche più soggetto a problemi di salute mentale come l’ansia o la depressione. Nonostante la sua diffusione, fino a poco tempo fa c’erano poche ricerche sulla misofonia. Ma di recente c’è stata un’ondata di interesse scientifico, guidata dal Duke center for misophonia and emotion regulation (Cmer) del North Carolina e finanziata da organizzazioni come il Misophonia research fund. Nel 2022, 15 esperti del settore hanno pubblicato una definizione concordata di misofonia: “Un disturbo che comporta una ridotta tolleranza a suoni specifici o a stimoli associati a quei suoni”. È un passo avanti fondamentale per la ricerca e la cura. Nel frat-

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In diversi casi gli stimoli irritanti innescano una reazione solo quando provengono dal coniuge o quando si è già arrabbiati tempo, gli psicoterapeuti stanno cominciando a offrire trattamenti per la misofonia basati sulla terapia cognitivo-comportamentale, e la consapevolezza del disturbo sta crescendo: esiste perfino un podcast sulla misofonia.

Costretti a imitare L’interesse scientifico sta aiutando a spiegare certi aspetti sorprendenti della sindrome, per esempio perché a volte sembra andare e venire. In alcuni casi i suoni innescano una reazione solo quando sono emessi dal proprio coniuge o quando si è già arrabbiati. La spiegazione, secondo una nuova ricerca, è che la misofonia non riguarda solo i suoni. “È possibile che sia il contesto a determinare la reazione, non solo i suoni stessi”, afferma Mark Zachary Rosenthal, direttore del Cmer. Questa scoperta conferma le ultime ricerche sulle basi neurologiche della misofonia. In uno studio pubblicato nel 2017, Kumar e i suoi colleghi hanno scansionato il cervello di venti persone che soffrivano di misofonia e di 22 soggetti di controllo mentre ascoltavano una serie di suoni, alcuni dei quali scatenavano la misofonia e altri no. Hanno così scoperto schemi diversi di attività cerebrale nelle persone affette da misofonia. “Non era una piccola differenza”, dice Kumar. “Era molto, molto chiaro”. In risposta ai suoni irritanti, le persone che soffrivano di misofonia mostravano, tra le altre cose, un’attività molto più elevata nell’insula anteriore, la regione del cervello coinvolta nell’interocezione, cioè nella percezione di ciò che succede all’interno del nostro corpo, e nell’integrazione delle emozioni con i processi cognitivi. Nelle persone misofone, l’insula anteriore sembrava anche avere una connessione maggiore con le regioni del cervello responsabili delle emozioni e dell’attenzione. Queste connessioni insolitamente forti potrebbero in parte spie-

gare sia la risposta emotiva a determinati suoni sia il motivo per cui, quando si sente un certo suono, a volte si è incapaci di allontanarsi, spiega Mercede Erfanian, una neuroscienziata uditiva dell’Hashir international institute britannico. Nel 2021 Erfanian e Kumar hanno pubblicato un altro studio basato sulle scansioni cerebrali di persone affette da misofonia e di soggetti di controllo mentre ascoltavano suoni che di solito scatenavano una reazione. Curiosamente, non hanno riscontrato nessuna differenza tra i due gruppi nell’attività della corteccia uditiva, ma una maggiore attivazione delle aree cerebrali coinvolte nel controllo della bocca e del viso tra i partecipanti affetti da misofonia. I ricercatori hanno registrato l’attività cerebrale anche mentre i soggetti erano distesi in silenzio. Nelle persone misofoniche, queste misurazioni a “riposo” hanno individuato maggiori connessioni tra la corteccia uditiva e la corteccia visiva e motoria. Sulla base dei risultati che coinvolgono parti della corteccia motoria, Kumar pensa che la misofonia possa essere correlata a un fenomeno psicologico noto come mirroring, cioè l’imitazione inconscia dei movimenti delle persone che ci circondano, come per esempio assumere la stessa postura o replicare i movimenti delle mani di un interlocutore. Per un articolo pubblicato nel 2023 in via preliminare su PsyArXiv, Kumar ha intervistato centinaia di persone affette da misofonia e ha trovato prove del fatto che quelle con sintomi più gravi erano più propense a dire che imitavano le mosse e i suoni emessi dalle persone che producevano i rumori irritanti. Molti dei partecipanti hanno detto che spesso si sentono costretti a imitare qualsiasi azione produca i suoni irritanti e che farlo comporta sollievo, che si tratti di masticare rumorosamente o di battere i piedi. I risultati dell’indagine dimostrano ulteriormente che il disturbo è legato a complessi segnali sociali e motori, dice Kumar. Tuttavia rimangono molte domande senza risposta, per esempio se le persone più inclini al mirroring quando socializzano hanno maggiore probabilità di soffrire di misofonia, o perché alcune si sentono più obbligate a imitare di altre. Se il mirroring può spiegare in parte la misofonia, Kumar pensa che aiuti anche a capire perché chi ne soffre può essere irritato solo da determinate persone. In genere si imitano solo i gesti delle persone a Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Scienza cui ci si sente vicini, proprio come molti soggetti misofoni dicono di essere stimolati solo da chi conoscono. “L’imitazione non è automatica”, afferma Kumar. “Dipende dal rapporto sociale”.

Fuori controllo Un altro mistero riguarda l’origine della misofonia. Prove aneddotiche fanno pensare che il disturbo cominci in giovane età. I risultati di uno studio basato sui dati dell’azienda di sequenziamento genetico 23andMe indicano che la sensibilità ai rumori della masticazione è associata a un locus genetico vicino al gene Tenm2, coinvolto nello sviluppo del cervello, quindi le origini della misofonia potrebbero risiedere almeno in parte nei geni. Ma secondo gli esperti probabilmente c’è anche una forte componente ambientale. Rosenthal, che per formazione è uno psicologo clinico, propone una teoria in più fasi sullo sviluppo della misofonia. Potrebbe cominciare semplicemente come una sensibilità agli stimoli che rende più attenti a determinati suoni o azioni. Se a questo si aggiunge un ambiente in cui è più probabile che compaiano certi stimoli, come cene rumorose, abitazioni sovraffollate o altro, si creano le condizioni per vivere ripetute esperienze spiacevoli. “Tutti i fattori e gli stimoli presenti in quel contesto, nella memoria sono associati a una sensazione sgradevole”, dice. Quindi esperienze molto specifiche e uniche possono far etichettare i fattori scatenanti come insopportabili. Rosenthal cita una paziente con il padre alcolista che la costringeva a guardare la tv insieme a lui dopo la scuola, un’esperienza fastidiosa a cui si aggiungeva il fatto che lui schioccava ripetutamente le labbra. La sensazione di essere intrappolati e torturati è in linea con il modo in cui molte persone affette da misofonia descrivono la loro reazione ai fattori scatenanti, anche se le esperienze formative non sono così estreme per tutti. “Penso che uno dei fattori chiave, se non il più importante, sia la ripetuta sensazione di incontrollabilità di fronte alla stimolazione avversiva”, afferma Rosenthal. Una volta che un’esperienza e un fattore che scatena la reazione sono collegati, la mente può entrare in un ciclo di ipervigilanza che rafforza l’associazione tra il suono e l’esperienza negativa. Le strategie di resistenza che si imparano in quel momento, ma anche il feedback dell’ambiente e delle persone intorno, determinano la futura reazione ai fattori scate-

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Cancellare la connessione tra suoni ed emozioni potrebbe aiutare a superare le situazioni quotidiane che scatenano una reazione nanti, creando le basi per la misofonia. Questo processo di associazione dei suoni a situazioni specifiche suggerisce anche un modo per curare il disturbo, dice Rosenthal. Disimparare la connessione tra suoni ed emozioni, o almeno attutire il feedback, potrebbe aiutare a superare le situazioni quotidiane che scatenano la reazione. Due studi recenti forniscono prove a sostegno di questa idea. Il primo, pubblicato nel 2022 su Frontiers in Psychology, ha dimostrato che le persone affette da misofonia trovavano meno irritanti fattori scatenanti comuni, come il rumore di persone che annusano o mangiano, quando erano associati a cause palesemente non umane, come un video che mostra una scopa strofinata sul pavimento. Da un articolo pubblicato su Frontiers in Neuroscience nel 2023, di cui Rosenthal è coautore, è emerso che chi soffre di misofonia trova gli schiocchi delle labbra meno fastidiosi quando sono associati a immagini incongrue, come un video di qualcuno che lavora un impasto in una ciotola. “Probabilmente la scoperta più interessante è che il contesto, e non solo il suono, può influire sulla reazione”, afferma Rosenthal. “Non è sempre possibile controllare i suoni prodotti dagli altri, ma si può controllare il contesto”.

Cambiare prospettiva Le nuove ricerche suggeriscono la possibilità di trovare trattamenti per la misofonia basati sull’evidenza. Sulla base delle terapie cognitivo-comportamentali esistenti, bisogna prima individuare i comportamenti specifici che i pazienti vogliono cambiare, che si tratti della loro reazione al momento, dell’ansia provocata dall’anticipazione dei fattori scatenanti, di strategie adattative malsane o di altro. Quindi, i terapeuti lavorano con i pazienti per analizzare, comprendere e ridurre le loro reazioni.

Questo tipo di terapia mirata ha cambiato la vita di Davies. Ha scoperto Rosenthal e il Cmer nel 2019, e alla fine del 2020 ha cominciato una serie di sedute di un’ora alla settimana con un terapeuta. Le strategie che ha imparato hanno trasformato situazioni un tempo intollerabili in sfide gestibili. Un esercizio utile è cambiare l’interpretazione dei fattori scatenanti. Per esempio, se qualcuno masticava rumorosamente una gomma, in precedenza Davis pensava che era un maleducato. Ora cerca di vedere in modo diverso la situazione. Forse quella persona non si rende conto dell’effetto del suo comportamento, o “forse ha la bocca molto secca oppure ha mal di gola, e la gomma l’aiuta”, dice. Gli studi clinici sull’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale per la misofonia non sono stati ancora pubblicati, ma Rosenthal dice che il Cmer sta progettando un piccolo studio randomizzato che comincerà nel 2024. Le prime indicazioni sono promettenti. “Sta funzionando molto, molto bene”, spiega. “Riscontriamo miglioramenti costanti”. I ricercatori del Cmer stanno anche esplorando altre possibilità di trattamento, come la neurostimolazione, che consiste nel colpire regioni specifiche del cervello con piccole scosse elettriche. Rosenthal sottolinea che anche se la conoscenza della misofonia è aumentata servono altri progressi. Per esempio, non esiste ancora una diagnosi ufficiale né un codice di classificazione internazionale che consenta di raccogliere statistiche ufficiali e semplifichi la copertura assicurativa del trattamento. Ma chi soffre di misofonia può comunque ottenere assistenza e cure su misura. Un tempo gli psicoterapeuti sottovalutavano il malessere delle persone che ne erano affette perché il disturbo non aveva un nome, e le accusavano di inventarsi tutto. Oggi persone come Davies hanno finalmente a disposizione gli strumenti per fare qualcosa di più che sopportare il loro disagio. Davies dice di aver recentemente superato quello che chiama “l’esame finale”: un convegno accademico di tre giorni. Mentre una volta lasciava le sale conferenze se i suoni la irritavano troppo, ora cerca di osservare e mettere a fuoco le sue reazioni. “È sorprendentemente efficace”, afferma. “Ora non devo più rinunciare a qualcosa per paura di un suono”. u bt

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La musica che gira Memorie dell’età d’oro discografica

LIM – Tascabili

La musica che gira traduce il celebre The music goes round: un affascinate resoconto autobiografico in cui Fred Gaisberg, il primo produttore discografico della storia, ripercorre molte delle straordinarie esperienze della sua carriera. Un libro fondamentale per ricostruire la vicenda della musica su disco, che questa nuova edizione italiana riporta finalmente alla luce.

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Portfolio

Evitando le punture In America Latina i casi di dengue, trasmessa dalle zanzare, sono in aumento. La fotografa Irina Werning documenta alcune strategie usate in Argentina per prevenire i contagi a febbre dengue è una malattia tropicale, causata da un virus, che si trasmette agli esseri umani attraverso la puntura di zanzare infette del genere Aedes, soprattutto della specie Aedes aegypti. È endemica nelle regioni tropicali e subtropicali, cioè è sempre presente in queste fasce climatiche, visto che

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gli insetti che la trasmettono non riescono a sopravvivere alle temperature invernali delle zone temperate. Negli ultimi mesi il numero dei casi di dengue è aumentato molto in America Latina. Soprattutto in Brasile, che secondo il ministero della salute nel 2024 potrebbe essere investito da un’ondata che oscilla tra i 4,2 e i 5 milioni di infezioni. Anche l’Argentina ha registrato numeri

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Sopra: Milo e Lara, di 13 e 15 anni, hanno contratto una forma lieve di dengue. Si proteggono con una zanzariera per evitare di essere punti e contagiare altre persone. A sinistra, la madre, Veronica. superiori alla media, con 40mila casi tra la metà del 2023 e l’inizio di febbraio del 2024, e 29 morti. Secondo gli esperti ci sono vari fattori che stanno favorendo l’epidemia, tra cui il fenomeno meteorologico ricorrente chiamato El Niño, che provoca un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano Pacifico centro-meri-

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dionale e orientale, influenzando il clima di tutta l’America Latina, e non solo. Un altro fattore è, in generale, il cambiamento climatico, che con l’aumento delle temperature favorisce la diffusione delle zanzare. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il virus della dengue, che si stima causi tra i 100 e i 400 milioni di infezioni all’anno, sta rapidamente diventando un problema sanitario globale. Nel 2023 la fotografa argentina Irina Werning ha documentato i metodi usati nel suo paese per prevenire e controllare i contagi, e la diffusione e riproduzione delle zanzare che trasmettono il virus. Tra

queste strategie ci sono anche i vaccini. Il più recente ed efficace sembrerebbe quello sviluppato da un’azienda farmaceutica giapponese, la Takeda, che nel 2022 è stato autorizzato nell’Unione europea e in Italia. È usato anche in Brasile e in Argentina, ma al momento il numero di dosi disponibili è scarso, quindi le autorità sanitarie hanno deciso di dare la precedenza ad alcune categorie. ◆ Irina Werning è una fotografa argentina che vive a Buenos Aires. Questo lavoro è stato prodotto in collaborazione con il Pulitzer center.

Qui accanto: larve di zanzare femmine separate dai maschi attraverso un procedimento manuale in cui si usa l’acqua. Le femmine sono in genere di dimensioni più grandi. Sopra: Aldana è un biologo del centro studi di Buenos Aires sulle zanzare. La ricerca a cui lavora consiste nel collocare barattoli neri pieni d’acqua in duecento

punti della città. Ogni settimana i barattoli sono esaminati al microscopio per determinare il numero di larve che si sono schiuse. Il monitoraggio ha rivelato che la zanzara Aedes aegypti si sta adattando a temperature più basse, quindi in futuro le regioni europee potrebbero sperimentare la comparsa di malattie trasmesse da questa specie. A pagina 64: du-

rante una disinfestazione. Questo intervento permette di eliminare solo il 20 per cento delle zanzare adulte. A pagina 65: Ingrid, 45 anni, nel letto con la sua famiglia. Si protegge con una rete antizanzare. Le donne incinte, che emettono più anidride carbonica e hanno una temperatura corporea un po’ più elevata, attirano particolarmente le zanzare.

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Qui accanto: Nina, 19 anni. Dopo aver contratto la dengue ci ha messo mesi per recuperare del tutto le forze; accusava stanchezza e depressione. In alto, a sinistra: zanzare Aedes aegypti sottoposte a radiazioni in un laboratorio. Il processo si usa per sterilizzare gli esemplari maschi, che sono marcati con una polvere fluorescente e poi rilasciati nel loro ha-

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bitat e ricatturati per capire quanto vivono. La quantità di radiazioni è superiore a ottanta volte la dose letale per un essere umano. A destra: Dante, 23 anni, posa con il suo diario scritto nel periodo in cui è stato ricoverato per un’epatite mentre aveva contratto la dengue. “Vorrei vaccinarmi, ma è troppo costoso”, dice. Sotto, a sinistra: rimedi contro le zanzare. Il bud-

get annuale che le persone spendono nel mondo per difendersi dalle zanzare supera gli undici miliardi di dollari e continua ad aumentare. A destra: la pelle di una donna punta dalle zanzare. Solo gli esemplari femmina pungono perché hanno bisogno di sangue per produrre le uova. Mentre si nutrono, iniettano la loro saliva nella pelle, provocando irritazioni e prurito.

Sopra: Diego, 30 anni, è un biologo che lavora nel centro studi di Buenos Aires sulle zanzare. Il centro organizza corsi nelle comunità per promuovere la prevenzione contro i contagi, per esempio, eliminando i siti di riproduzione degli insetti, come l’acqua

stagnante in contenitori e pneumatici. Accanto: Santi, 15 anni, ha avuto la dengue nel 2020. La madre Gabriela è preoccupata: “Sto cercando di risparmiare per vaccinarlo. Non posso permettermelo per tutta la famiglia, ma per lui è fondamentale, perché è

più a rischio. Le seconde infezioni di dengue aumentano le possibilità di contrarre la forma grave”. La dengue provoca disturbi simili all’influenza, con febbre e dolori. Può anche essere asintomatica, ma in rari casi, nelle forme più gravi, può essere mortale.

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Ritratti

Michele Kang Calcio d’inizio Danielle Pinedo, Nrc Handelsblad, Paesi Bassi. Foto di Lexey Swall È un’imprenditrice statunitense di origine sudcoreana che ha deciso d’investire nel calcio femminile. Con la ricchezza accumulata ha comprato tre squadre professionistiche in tre paesi diversi ino a qualche anno fa Michele Kang non sapeva nemmeno chi fosse Lionel Messi. I suoi amici ci scherzano ancora su, ha detto la scorsa estate al New York Times, prima di aggiungere con un’alzata di spalle: “Però sapevo chi era Pelé”. Da allora la donna d’affari ha imparato molto. In poco tempo è diventata una delle più grandi finanziatrici del calcio femminile internazionale e oggi è proprietaria di tre club professionistici in tre paesi. Michele Kang ha 64 anni ed è nata a Seoul, in Corea del Sud. Da piccola i suoi genitori le insegnarono che chi s’impegna al massimo in quello che fa non deve porsi dei limiti. Ma per una ragazza, a quel tempo, le cose in Corea del Sud non erano così facili. Anche se le donne potevano studiare, nella maggior parte dei casi finivano a fare le segretarie. “Il problema è che non sono mai stata brava ad accettare quello che una donna può o non può fare”, dice. Kang ha studiato economia aziendale a Seoul e, forte della lezione dei genitori, ha cominciato a pensare più in grande. Grazie al loro sostegno finanziario, ha studiato economia a Chicago, negli Stati Uniti. Successivamente ha ottenuto un master a Yale. Nel 2008 ha fondato la Cognosante, un’azienda tecnologica attiva nei settori della sanità, delle istituzioni pubbliche e della sicurezza. In poco tempo è riuscita a conquistare molti clienti, tra cui il dipartimento della difesa e l’intelligence

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statunitensi. Dato che la Cognosante non è quotata in borsa, il reddito di Kang rimane un’incognita, ma l’imprenditrice naviga sicuramente in ottime acque. Lo si capisce dal prezzo della sua casa a Washington: nel 2019 ha acquistato per circa otto milioni di euro una villa di oltre mille metri quadrati con sauna, piscina, palestra e teatro. Lo scorso anno l’ha rimessa in vendita per 13,5 milioni. All’inizio Kang non credeva che la Cognosante avrebbe avuto successo, perché nell’anno della crisi finanziaria le prospettive per le startup non erano promettenti. Allora ha elaborato tre piani b: diventare cameriera in un ristorante a tre stelle, esperta di Power Point o montatrice di mobili Ikea. Ma grazie alla sua mentalità non convenzionale, che in seguito le sarebbe tornata utile anche nel calcio femminile, non è stata costretta a ripiegare sulle alternative. Anche se da bambina a Seoul giocava a calcio, Kang ha scoperto la passione per questo sport solo anni dopo, quando la nazionale femminile statunitense ha vinto i mondiali del 2019 in Francia. Ha seguito la finale contro i Paesi Bassi e ha apprezzato i dibattiti sulla parità di genere. “È il calcio ad avermi trovata, non viceversa”, ha dichiarato al quotidiano El País. Nel 2019, quando ormai Kang era una

Biografia ◆ 1959 Nasce a Seoul, in Corea del Sud. ◆ 2008 Si laurea in economia a Yale, negli Stati Uniti. Pochi mesi dopo fonda la Cognosante, un’azienda tecnologica attiva nel campo della sanità. ◆ 2019 Dopo aver assistito alla finale dei mondiali di calcio femminile tra Stati Uniti e Paesi Bassi, decide d’investire in quel mondo. ◆ 2020 Compra le quote della squadra Washington Spirit. ◆ 2023 Compra la squadra britannica London City Lionesses.

rispettata donna d’affari, i proprietari del club statunitense Washington Spirit l’hanno contattata per chiederle se voleva investire sul loro progetto. Dopo aver approfondito per sei mesi la conoscenza di proprietà e giocatrici, alla fine si è decisa. In poco tempo Kang è diventata una specie di confidente per le calciatrici, che le hanno raccontato di aver subìto abusi emotivi e verbali dall’allenatore britannico Richie Burke. Dopo l’allontanamento di Burke nel 2021, Kang ha cercato di rilevare le quote degli altri azionisti. All’inizio il suo piano non stava andando in porto, poi le giocatrici le sono venute in soccorso. “È Michele la persona di cui ci fidiamo”, hanno dichiarato in una lettera aperta a Steve Baldwin, che deteneva le quote di maggioranza. “Lei mette sempre al primo posto le esigenze e gli interessi delle giocatrici. Sa ascoltare”. Si è rivelata una mossa efficace: Kang ha acquistato il Washington Spirit per 32 milioni di euro, una cifra senza precedenti per un club femminile.

Lettera aperta Da quando è nato, più di dieci anni fa, il campionato di calcio femminile statunitense ha avuto delle difficoltà a causa della mancanza d’investitori e dello scarso interesse da parte degli appassionati di sport, spiega Ella Brockway, cronista sportiva del Washington Post. Presto si è capito che Kang non era solo interessata a fare soldi. La sua posizione di outsider le ha permesso di vedere con chiarezza i problemi del settore. Le richieste delle giocatrici non erano tenute in considerazione. Era sorpresa dal fatto che fossero trattate come una versione meno prestigiosa dei calciatori. Per quanto riguarda alimentazione, preparazione atletica o questioni mediche, ogni singolo aspetto dello sport più popolare al mondo si basava sulle esperienze degli uomini.

THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO

Michele Kang a Washington, 1 giugno 2023

A dispetto dello scarso rendimento sul campo del Washington Spirit, Kang ha dato prova di autentica dedizione alla squadra. Ha voluto uno stadio più grande, ha assunto una famosa preparatrice atletica e ha convinto Jonatan Giráldez, l’allenatore del Barcelona Femení, la squadra femminile del Barcellona, a trasferisi oltreoceano alla fine di questa stagione. “Il suo arrivo significa che Kang è alla ricerca del successo commerciale, ma anche sportivo”, afferma Natalie Louise Smith, che insegna management dello sport all’East Tennessee state university. Qualche mese prima dell’ok dell’allenatore spagnolo, che potrebbe vincere il terzo scudetto in tre anni con il Barcelona Femení, Kang ha colto tutti di sorpresa comprando la quota di maggioranza della squadra femminile dell’Olympique Lyonnais, valutata 50 milioni di euro (questa operazione richiede ancora l’approvazione di alcune autorità in Francia e negli Stati Uniti). E, come se non bastasse, alla fine del 2023 ha acquistato per una somma che non è stata resa pubblica il London City Lionesses, una squadra che gioca nella serie b femminile inglese.

“Nel calcio maschile c’è il City Football Group, una rete che gestisce club in diversi paesi”, spiega Smith. “Che io sappia, Kang è l’unica a possedere più di una squadra femminile”. Quando le chiedo come faccia l’imprenditrice a far fruttare questi investimenti, l’esperta spiega che ci sono vari modi. I club possono acquisire maggior valore, per esempio grazie agli sponsor e ai diritti di trasmissione, e se Kang dovesse venderli avrebbe più che recuperato il capitale. “Forse però si è solo innamorata dello sport”, aggiunge. L’acquisto di tre club in tre paesi nell’arco di due anni è una cosa che desta più di un sospetto nel mondo dello sport. A maggior ragione dal momento che Kang ha dichiarato d’intravedere opportunità in questo senso anche in America Latina, Asia, Africa, Italia, Germania e Spagna. Pierre Ferracci, presidente del Paris Fc, la seconda squadra della capitale francese, si chiede se l’imprenditrice sudcoreana non stia cercando d’imporre il modello calcistico statunitense ai club europei. Un’accusa che lei nega: secondo Kang i club europei possono imparare da quelli statunitensi e viceversa.

Il modello Kang non ha ancora raggiunto il pieno sviluppo, spiega Smith. Ma è evidente che rispetto al sistema attuale, in cui le squadre femminili giocano sotto la bandiera di quelle maschili, presenta un importante vantaggio: le donne non sono le prime a subire ridimensionamenti in caso di problemi finanziari. “Di solito è così che va a finire”, spiega Smith. Kang crede che il calcio femminile possa essere una fonte di ricavi. Quello che fa, dice, non ha nulla a che vedere con la beneficenza. L’unione di più club in una rete permette investimenti sugli impianti per gli allenamenti, ricerca scientifica, analisi dei dati, scoperta dei talenti e programmi di preparazione atletica. “Volevo sviluppare ulteriormente lo sport femminile”, ha dichiarato l’anno scorso Kang all’emittente sportiva Espn dopo l’acquisto dell’Olympique Lyonnais. E ha aggiunto: “Non c’è differenza rispetto alla Silicon valley o a qualsiasi altro settore: possiamo parlare quanto ci pare del bisogno di sostenere il calcio femminile, ma se nessuno stacca un assegno e mette in gioco le sue risorse, non si andrà mai da nessuna parte”. u dt Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Viaggi

Sotto i binari di Tokyo Yasuteru Okamoto, Nihon Keizai Shimbun, Giappone

fine giornata molti impiegati e imprenditori di Tokyo si ritrovano nei locali costruiti sotto i ponti ferroviari della città a parlare di lavoro o della loro vita privata bevendo un bicchiere. L’origine di questa cultura così particolare si deve a un ristorante di oden (una zuppa invernale a base di pesce e verdure). Siamo alla stazione di Yūrakuchō (un quartiere commerciale nel centro della capitale), sulla linea ferroviaria Yamanote, di proprietà della East Japan railways. All’uscita Hibiya, in direzione del quartiere di Shimbashi, sono tanti i ristoranti e i bar lungo la ferrovia. È qui che è stato aperto negli anni venti il ristorante di oden Iwasaki, il primo ristorante sotto i binari. Il proprietario, Zenemon Iwasaki, in un’intervista riportata nel libro di Naganobu Ogasawara Jitsugyō kingoishi (Gioielli commerciali), racconta che aveva avuto

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RUSSIA

COREA DEL NORD Mar del Giappone/ Mare orientale

COREA DEL SUD

GIAPPONE Kantō Tokyo

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un ristorante ad Asakusa (un quartiere popolare di Tokyo), che però fu distrutto nel forte terremoto del 1923 che colpì la regione del Kantō (dove si trova la capitale giapponese). Iwasaki, scoraggiato e senza soldi, ebbe l’idea di riaprire la sua attività sotto un ponte ferroviario, in uno spazio inutilizzato “dove si poteva avviare un’attività senza pagare”. Iwasaki chiese semplicemente l’autorizzazione di affittare il posto all’autorità competente, l’azienda governativa delle ferrovie. Nelle foto d’epoca si può vedere sotto l’arcata in mattoni un’insegna con la scritta “Uozen” (zen è il primo carattere del nome di Zenemon, uo significa pesce). Con il passare del tempo il ristorante diventò popolare. All’epoca a Yūrakuchō c’erano le redazioni dei giornali ed era soprannominato il “quartiere della stampa”. Il ristorante di Iwasaki, aperto ventiquattro ore al giorno, dava da mangiare ai giornalisti che lavoravano lì la mattina presto e la sera tardi.

Fumo e scintille Poi però successe qualcosa che mise il ristorante nei guai. Dopo la seconda guerra mondiale, con la creazione nel 1949 della Società delle ferrovie nazionali giapponesi, le concessioni per aprire dei locali sotto i binari furono rinnovate, ma a quel punto erano molto ambite dai commercianti che cercavano di sopravvivere in quel periodo così caotico. Iwasaki perse la sua perché “non era abbastanza forte per competere con gli imprenditori più in vista dell’epoca”, osserva Hiroshige Iwasaki, 81 anni, nipote di Zenemon. Iwasaki rappresenta la terza generazione di ristoratori e oggi ha un locale con menù a prezzi fissi in un vicolo vicino alla stazione di Yūrakuchō. Il primo viadotto ferroviario del Giappone fu costruito tra le stazioni di Shimbashi e Ueno, passando da quella di Yūrakuchō. Come si può leggere sul sito della Kajima (l’azienda costruttrice del viadotto), prima del 1909 in questa zona

LUTZ JAEKEL (LAIF/CONTRASTO)

Il primo ristorante aperto ai piedi di un viadotto ferroviario risale al 1923. Da allora i locali in posizioni simili si sono moltiplicati

non c’era la ferrovia. Il quartiere di Nihonbashi (che ora è attraversato dal viadotto) era lo snodo degli scambi commerciali. Ma il trasporto delle merci era diventato complicato e con l’inaugurazione del porto di Tokyo i carri trainati da cavalli non furono più sufficienti. Per questo il governo decise che bisognava passare al trasporto su rotaia. Alcuni cittadini tuttavia fecero notare che la costruzione di una ferrovia nel centro avrebbe tagliato la città in due, disturbando la vita quotidiana dei suoi abitanti, la circolazione delle persone e delle auto. Inoltre all’epoca i treni a carbone erano fonte di fumo e scintille. “E poiché le abi-

I dintorni della stazione di Yūrakuchō, Tokyo, Giappone, 14 settembre 2017

tazioni della zona erano soprattutto di legno, si temeva che quelle scintille potessero provocare degli incendi”, spiega Ichirō Kobayashi, giornalista, specializzato in architettura. Per eliminare il rischio fu costruito un viadotto ferroviario, che dimostrò tutta la sua solidità durante il grande terremoto del 1923.

Mattoni rossi Nel dopoguerra l’uso degli spazi sotto i binari si estese ad altri settori. Nel 1961, nell’elenco di chi aveva aperto un’attività intorno alla stazione di Yūrakuchō c’erano delle compagnie di taxi e di logistica petrolifera. La prospettiva di approfittare

di questi luoghi di grande affluenza ha poi attirato anche teatri, caffè, sale di pachinko (un gioco d’azzardo molto popolare) e parrucchieri. C’è anche chi, però, preferisce non stare troppo in questi sottopassi bui e umidi. Negli ultimi anni sono state lanciate diverse iniziative per cambiare la loro immagine. Oggi sotto la ferrovia che collega le stazioni di Yūrakuchō e di Shimbashi si trova il centro commerciale Hibiya Okuroji, inaugurato nel settembre 2020. Qui i mattoni rossi, simbolo della rivoluzione industriale, sono usati insieme al cemento, un materiale inorganico che illumina gli spazi riflettendo le luci e

creando un’atmosfera raffinata che corrisponde all’immagine del quartiere di Hibiya, facendo quasi dimenticare di essere sotto un viadotto. La East Japan railways prosegue nel suo impegno per la ristrutturazione degli spazi sotto i binari per “dare il suo contributo alla società, tenendo conto delle caratteristiche della città”, spiega l’azienda. Molto probabilmente con la diffusione dello smart working saranno valorizzati anche i locali sotto i binari nelle zone residenziali. In futuro l’uso che sarà fatto di questi spazi, considerati ancora oggi bui e pericolosi, potrà variare in base alle esigenze della popolazione. u adr Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Graphic journalism Cartoline da Milano

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Flavio Marziano, disegnatore e avvocato, è nato a Catanzaro nel 1966 e vive a Bologna. La sua ultima storia Gli appunti di Pavarini è uscita nel libro collettivo RiparAzioni (Sigaretten 2023). Nicola Datena è nato a Potenza nel 1989 e vive a Milano. È avvocato e attivista per i diritti dei migranti. Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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È in arrivo il nuovo Internazionale Kids! In questo numero: cosa puoi fare contro il bullismo, breve storia del petrolio, quanti anni avresti se fossi uno scimpanzé, viva i risparmi, il legame tra videogiochi e pubblicità e molto altro Ogni mese articoli, giochi e fumetti dai giornali di tutto il mondo per bambine e bambini

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Cultura

Germania

JENS KALAENE (PICTURE ALLIANCE/GETTY)

Papis Loveday alla serata di apertura della Berlinale, 15 febbraio 2024

Eccezioni culturali David Le Guillermic, Libération, Francia Tra proteste e boicottaggi, il festival del cinema di Berlino comincia in un clima politico molto teso iniziativa può far sorridere e chissà se sarà in grado di fare la differenza in un festival che si preannuncia burrascoso: la TinyHouse, piccolo chalet costruito nel centro della Berlinale in Potsdamer Platz, ha accolto i cinefili desiderosi di parlare del conflitto tra Israele e Hamas in modo “intimo e personale”. Tutto ciò perché la violenza del dibattito pubblico, la moltiplicazione di atti antisemiti dopo il 7 ottobre e l’offensiva israeliana a Gaza hanno assunto in Germania, per evidenti ragioni storiche, un’intensità particolare. Teatro di uno

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scontro frontale tra una politica della memoria connaturata nella repubblica federale e un’acuta coscienza delle discriminazioni, questa 74a edizione del Festival internazionale del film di Berlino, più che mai in sintonia con lo spirito del tempo, rappresenta un evento ad alto rischio.

Proteste sul tappeto rosso Già la cerimonia di apertura del 15 febbraio è stata caratterizzata da diverse azioni contro il partito di estrema destra Afd, i cui successi elettorali obbligano il paese a fare i conti con il passato. Mentre una ventina di artisti manifestavano in un’iniziativa antifascista vicino al Berlinale Palast, l’indossatore senegalese Papis Loveday esibiva sul tappeto rosso un manifesto con la scritta “No racism! No Afd!”. Qualche giorno prima i direttori della Berlinale, Mariette Rissenbeek e Carlo

Chatrian (alla loro ultima edizione alla guida del festival), consapevoli della tribuna ideale che avrebbe offerto il festival, hanno replicato in modo ecumenico alla diffusione di una lettera aperta firmata da una parte dello staff che chiedeva un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi e criticava “l’inerzia del settore culturale” di fronte alle sofferenze della popolazione di Gaza. “La nostra simpatia va a tutte le vittime delle crisi umanitarie in Medio Oriente e altrove”, hanno dichiarato Rissenbeek e Chatrian. “Prendiamo posizione contro tutte le forme di discriminazione e ci impegniamo per la comprensione interculturale”. A questa necessità di creare un dialogo sul conflitto ha risposto in modo opportuno la presentazione, fuori concorso, di No other land. Questo film di amicizia e resistenza in Cisgiordania è stato realizzato da un collettivo israelo-palestinese, applaudito a lungo in occasione della proiezione, il 17 febbraio. Il collettivo ha chiesto di nuovo un cessate il fuoco mentre in platea ci sono stati vivaci scambi tra spettatori in favore di una Palestina libera e una minoranza che chiedeva la pace. Pochi giorni dopo il massacro compiuto da Hamas, il cancelliere Olaf Scholz ricordava che la sicurezza di Israele è “per la Germania una ragione di stato”, mentre una campagna di manifesti del

ANNEGRET HILSE (REUTERS/CONTRASTO)

Pheline Roggan alla serata di apertura della Berlinale, 15 febbraio 2024

Bundestag riaffermava la solidarietà incondizionata della camera bassa allo stato ebraico. Tuttavia questa linea ufficiale, adottata da molte importanti strutture culturali, non è condivisa in modo unanime. E ben presto è stato chiesto di aderirvi a chi per disaccordo politico, per scelta del silenzio o anche per impegno in favore della pace è entrato in aperto disaccordo con i parlamenti regionali, importanti fonti di finanziamento. Così in un’atmosfera molto polarizzata sono stati cancellati diversi eventi: alla Fiera del libro di Francoforte è stata annullata la cerimonia di consegna di un premio all’autrice palestinese Adania Shibli, annullata anche la mostra a Saarbruck della fotografa sudafricana Candice Breitz per le sue dichiarazioni contro la politica israeliana, e addirittura il famoso club Berghain di Berlino è rimasto coinvolto in una polemica con il dj franco-libanese Arabian Panther. La proposta del senatore Joe Chialo di vincolare tutti i beneficiari di fondi pubblici a una clausola “antidiscriminatoria” è stata rapidamente derubricata. A livello internazionale la petizione anonima Strike Germany chiede il boicottaggio delle istituzioni culturali tedesche che “mirano a sopprimere la libertà di espressione, in particolare quella di esprimere solidarietà nei confronti della Palestina”. Ed è proprio per questo che i

registi Ayo Tsalithaba e Suneil Sanzgiri hanno ritirato i loro film dalla sezione sperimentale della Berlinale, Forum expanded.

L’invito della discordia All’inizio di febbraio un altro scandalo ha finito per complicare ancora di più la situazione. La direzione del festival ha ritirato l’invito al gala di apertura a cinque rappresentanti dell’Afd al senato di Berlino, che in un primo momento erano stati invitati al gala di apertura, ribadendo il

Da sapere Un film sbagliato? u Secondo il Berliner Zeitung la scelta della direzione del festival di ritirare l’invito ai senatori dell’Afd è inopportuna e dà l’impressione di assistere a “un film sbagliato”. Giulia Lorenz, sul settimanale Die Zeit, sottolinea che “il problema è più grande di un festival”, anche se si tratta di una rassegna tradizionalmente molto politicizzata. In generale però l’idea è che la mossa dei dirigenti della Berlinale sia quantomeno controproducente. Secondo Verena Mayer, del quotidiano Suddeutsche Zeitung, la cosa migliore sarebbe stata lasciare la risposta al cinema e cita Jasmine Trinca, che fa parte della giuria del festival: “Perché non provare a pensare che cinque fascisti seduti in sala possano ampliare il loro orizzonte?”, ha detto l’attrice italiana durante una conferenza stampa.

“suo impegno in favore di una società libera e tollerante contro l’estremismo di destra”. Il contesto non poteva essere più infiammabile dopo settimane di grandi manifestazioni in tutta la Germania in difesa di una democrazia minacciata dal partito di estrema destra. L’Afd ha denunciato questa esclusione, mentre la ministra della cultura Claudia Roth ha espresso i suoi dubbi sulla reale efficacia del provvedimento nel contrastare un partito democraticamente rappresentato in parlamento. Anche la giuria, presieduta da Lupita Nyong’o, non si è discostata molto dalla posizione ufficiale, e il regista Christian Petzold ha osservato che la mobilitazione civile contro l’Afd era molto più importante della presenza di qualche deputato tra il pubblico. A riprova delle divisioni di un paese disorientato, le rivendicazioni settoriali sfruttano la visibilità offerta dal festival. Così la potente unione dei sindacati del settore dei servizi (ver.di), ha denunciato le condizioni di lavoro nell’industria cinematografica e quelle dei tassisti, molto critici contro Uber, sponsor della Berlinale. Questi ultimi hanno inoltre previsto di proiettare Taxi driver in un veicolo a otto posti mentre il 20 febbraio Martin Scorsese sarà a Berlino per ricevere un Orso d’oro alla carriera. u adr Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Cultura

Schermi Documentari

In rete Supervisore autonomo

Blocconove ZalabView Miriam e Kevin sono cresciuti tra le case popolari di Niguarda, periferia di Milano. Il sogno di lasciare il quartiere si scontra con le difficoltà del cammino verso l’età adulta. Bobi Wine. The people’s president Disney+ Ritratto del musicista e leader dell’opposizione ugandese nato nei bassifondi di Kampala, realizzato durante la campagna presidenziale del 2021. Wine usa la sua popolarità per contrastare il regime dittatoriale e difendere gli oppressi. Moda. Una rivoluzione italiana Sky Documentaries, sabato 24 febbraio, ore 21.15, Now Documentario in quattro puntate sulla storia della moda italiana dai primi decenni del novecento a oggi, un secolo durante il quale stilisti e marchi hanno messo in discussione regole, costrizioni e tabù. Ti dico un segreto? Netflix Matthew Hardy è un molestatore seriale britannico condannato nel 2022 alla pena detentiva più lunga nella storia del Regno Unito per cyberstalking. Le sue vittime e i rappresentanti delle forze dell’ordine raccontano come è stato assicurato alla giustizia. War and justice Arte.tv Dalla nomina del procuratorecapo Luis Moreno Ocampo ai suoi venticinque anni di attività, la storia della Corte penale internazionale, e dei progressi e limiti nell’applicazione del diritto internazionale.

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Serie tv Constellation Apple Tv+, 8 episodi Lentamente ma inesorabilmente, Apple Tv+ sta diventando un punto di riferimento per gli appassionati di fantascienza. O almeno streaming di fantascienza senza marchi particolarmente noti (tipo Star wars). In Constellation, Jo (Noomi Rapace) è l’astronauta di un piccolo equipaggio che

lavora sulla stazione spaziale internazionale. A bordo c’è anche un misterioso dispositivo della Nasa che, una volta attivato per condurre dei test, scatena l’inferno. Un thriller spaziale che mette a dura prova sul piano narrativo con linee temporali multiple e prospettive incrociate. Visivamente spettacolare. The Verge

Parlando dei “pericoli” legati all’intelligenza artificiale, l’amministratore delegato della OpenAi, Sam Altman, ha detto che dovremmo temere non tanto dei “robot assassini che camminano per strada”, ma dei possibili “sottili disallineamenti sociali”. Durante una conferenza a Dubai, ha ribadito la sua proposta di creare un organismo simile all’Agenzia internazionale per l’energia atomica che supervisioni in modo autonomo gli avanzamenti della tecnologia. “Siamo ancora in un momento in cui il dibattito è necessario e salutare”, ha detto Altman, “ma a un certo punto, nei prossimi anni, dovremo muoverci verso un piano d’azione condiviso da tutto il mondo”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

L’arte impossibile Fingendo di vivere in un’epoca incline al dibattito, anche la provocazione del sottosegretario Alessadro Morelli, secondo cui in tv si dovrebbero allontanare artisti che si esprimono senza contraddittorio, potrebbe avere cittadinanza intellettuale. Le sue parole hanno un’eco marziale, certo, ma se vivessimo in un’altra epoca, appunto, qualcuno abile di pensiero potrebbe trovarci la tesi di Pasolini che non perdonava alla tv la sua natura autoritaria, l’essere sempre catte-

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dratica anche quando pretende di apparire democratica. In quest’epoca forse non saremmo d’accordo neppure con Pasolini, perché avremmo troppo a cuore la libertà d’espressione per dettagliare sul modo con cui viene esercitata. Il fatto è che in tv, gli artisti appaiono spesso fuori misura, in abiti troppo stretti o in una stanza che non è la loro. L’ambizione universalista dell’arte è mortificata dal tempo effimero della scaletta. Giulio Carlo Argan esortava gli artisti a entrare in

Rai per “sabotarla” con le loro forme contemporanee. Ma oltre a Giosetta Fioroni, Pino Pascali e Mario Sasso, poco accadde. Lucio Fontana, nel 1952, in piena sperimentazione, fu sedotto da questo oggetto che emetteva luci bianche e nere e dava nuova linfa allo “spazialismo”, taglio catodico tra finzione e realtà. Ma non si andò oltre la teoria. La tv ha sempre avuto nostalgia dell’arte e degli artisti, amori impossibili, oggetti tra i pochissimi che è incapace di divorare. u

I consigli della redazione

Past lives Celine Song, in sala

La natura dell’amore Monia Chokri, in sala

La zona d’interesse

Film La zona d’interesse Di Jonathan Glazer. Con Christian Friedel, Sandra Hüller. Regno Unito/Polonia 2023, 105’. In sala ●●●●● Un’avvertenza. Ci sono film – la maggioranza – che dopo una buona prima impressione, cominciano a svanire inesorabilmente appena lasciato il cinema. Poi ce ne sono altri – pochissimi – che da subito colpiscono come un fulmine e lasciano cicatrici permanenti, spostando per sempre il paradigma di visione. Il magistrale e agghiacciante La zona d’interesse, per me, fa parte della seconda categoria. Come concorderanno molti appassionati di cinema, l’esperienza rara fornita da questo tipo di pellicole è amplificata dal senso di scoperta che si ha quando non si sa niente del film che siamo andati a vedere. Quindi: i lettori che vogliono rimanere nella posizione privilegiata di non sapere nulla del film di Jonathan Glazer, possono tranquillamente mettere da parte questa recensione. Ma andiamo avanti. Probabilmente descrivere La zona d’interesse come un adattamento dell’omonimo romanzo di Martin Amis è fuorviante. In effetti il film è un’entità non convenzionale a

sé, che con il libro di Amis condivide il titolo e il luogo di ambientazione: Auschwitz. O meglio la casa di un nazista di alto rango appena fuori dal muro di cinta del campo di sterminio. Rudolf Höss (Christian Friedel), sua moglie Hedwig (Sandra Hüller) e i loro cinque figli si godono sani e felici picnic in riva al fiume o idilliache giornate nel rigoglioso giardino della loro villa. Non vediamo mai oltre le mura che separano le amate rose di Hedwig dalla fabbrica di morte. Attraverso l’incredibile e coinvolgente sonoro curato da Johnnie Burn il rumore ambientale evoca gli orrori che avvengono all’interno del campo con un’intensità soffocante, così come sembra soffocante la cappa di fumo che si alza dai camini delle fornaci. A completare il corredo sonoro Glazer ritrova la compositrice Mica Levi, che con la sua colonna sonora accompagna inquietanti immagini notturne che ci fanno uscire dall’inconsapevolezza della famiglia Höss. Un’infinità di dettagli narrativi (per esempio il modo in cui il “lavoro” del padre influenza i giochi dei figli) completano il senso di terrore che permea l’intero film. Poco appariscenti ma impeccabili i due interpreti principali. Wendy Ide, The Observer

Night swim Di Bryce McGuire. Con Wyatt Russell, Kerry Condon. Stati Uniti 2024, 116’. In sala ●●●●● Night swim sarà anche il primo film a mettere in scena una piscina stregata, ma la sua trama è totalmente intercambiabile con decine di horror di quel particolare sottogenere in cui padri amorevoli diventano cattivissimi dopo una possessione che ha a che fare con la compravendita di una proprietà immobiliare. In questo caso Wyatt Russell lotta per la vita contro una creatura demoniaca, e una goffa sceneggiatura, nei panni di un giocatore di baseball costretto al ritiro che si trasferisce in una nuova casa con la sua famiglia. Scopriranno nel modo peggiore che la piscina naturale nel giardino della casa potrebbe essere alimentata da una sorgente maledetta che esaudisce i desideri a caro prezzo. Cominciate a preoccuparvi se il vostro papà comincia a dire frasi tipo: “La piscina è la cosa più bella che mi sia mai capitata”. Joey Shapiro, Chicago Reader NEWSLETTER Schermi è la newsletter settimanale di Piero Zardo su cosa vedere al cinema, in tv e sulle piattaforme di streaming. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

DR

COURTESY OF A24

Bob Marley. One love Di Reinaldo Marcus Green. Con Kingsley Ben-Adir, Lashana Lynch. Stati Uniti 2024, 107’. In sala ●●●●● Bob Marley era un enigma, un idealista affascinante e imperfetto, come tanti fuoriclasse. Nato in povertà a Nine Mile, in Giamaica, il giovane Marley non aveva una grandissima voce ma un desiderio ostinato di farsi ascoltare. Si è forgiato diventando la voce della sua isola e oltre. Dalla sua morte, nel 1981 a 36 anni, la sua eredità è stata passata al setaccio. La sua generosità ha bilanciato il suo atteggiamento nei confronti delle donne? L’infanzia difficile giustifica il fatto di essere stato un cattivo padre? I suoi proclami di pace e unità sono davvero serviti a qualcosa? E ha senso aspettarsi che l’abbiano fatto? Tutte queste domande sono in qualche modo pertinenti, ma la biografia frammentata e insoddisfacente Bob Marley. One love di Reinaldo Marcus Green non se le pone proprio. Si limita a glorificare il Marley dei poster. Se non altro, per chi non ha mai visto Bob Marley in azione, Kingsley BenAdir è una buona riproduzione. Amy Nicholson, The New York Times

AlRawabi school for girls Stagione 2, Netflix

Night swim Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Cultura

Libri Tecnologia

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista belga Vanja Luksic.

Biografie istantanee

Gabriele Guidi Mimara. Exegi monumentum OvePossibile, 300 pagine, 22 euro ●●●●● “È un romanzo di finzione. Personaggi reali ed eventi storici, alla pari di alcuni documenti, sono riproposti in chiave narrativa”, annuncia una nota all’ inizio del primo libro di Gabriele Guidi , regista, sceneggiatore e produttore, stregato dalla storia di Ante Topić Mimara. Il racconto è surreale. Due personaggi si trasformano in un unico protagonista: Mimara. Un nome inventato da Ante Topić (1898-1987), che forse non si chiamava neanche così. La cosa sicura è che è esistito e fu uno dei più grandi collezionisti d’arte al mondo. La curiosità per l’arte gli venne forse grazie a un frate conosciuto quando, da piccolo, fu affidato ai francescani di Spalato. Da giovane andò a Roma e conobbe il pittore Antonio Mancini, che diventò per lui un prezioso insegnante. L’amicizia, o almeno la conoscenza, di politici importanti come Göring e Tito e soprattutto una straordinaria personalità gli aprirono porte in tutti i continenti. Non è chiaro se sia stato solo un abile manipolatore o anche un bravissimo falsario. In ogni caso, questo ladro gentiluomo era un personaggio geniale ed enigmatico. Si può comunque visitare il museo Mimara di Zagabria, dove si trova gran parte della sua ricca e particolarissima collezione. u

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Quando una persona famosa muore compaiono immediatamente libri che ne raccontano la vita, scritti dall’intelligenza artificiale Pochi giorni dopo la morte di Joseph Lelyveld, ex direttore editoriale del New York Times, suo fratello Michael è andato online per vedere com’era ricordato. Accanto ai necrologi ha trovato anche delle biografie, alcune disponibili su Amazon il giorno stesso della morte di Joseph. Tra questi libri ce n’era uno con un sottotitolo improbabile che lo definiva “l’uomo che si è fatto largo attraverso la storia fumando”. Secondo GptZero, un programma in grado d’individuare testi generati con l’intelligenza artificiale, le probabilità che il libro

UCG/GETTY

Italieni

sia prodotto dalle macchine sono del 97 per cento. È solo uno dei tanti casi di biografie istantanee, più o meno impresentabili, che compaiono su Amazon o su Kindle Unlimited. Amazon non ha voluto diffondere i dati delle vendite, ma ha ritirato alcuni di questi

libri dal commercio e ha spiegato che è molto difficile risalire a editori o autori. Cercando su Google “Lori M. Graff ”, presunta autrice di un paio di queste biografie, salta fuori il necrologio di una donna morta nel 2016. The New York Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

Riflessi del successo Melissa Panarello Storia dei miei soldi Bompiani, 208 pagine, 18 euro Il nuovo romanzo di Melissa Panarello racconta la storia di un riflesso, di una donna che si abbottona, si riflette appunto, con una metà tanto simile e tanto diversa da lei. Una scrittrice di successo, Melissa, incontra Clara. La incontra quando questa non è più l’attrice che la interpretava nel film tratto da un suo famoso libro. Ne resta affascinata, ossessionata, resta imbrigliata nella storia

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di Clara, che in qualche modo è anche la sua. Le tracce che le due seguono per ricomporre le rispettive identità sono i soldi: qualcosa che quando è nelle tasche delle donne si porta dietro da sempre l’idea della poco di buono, mentre quando è tra le mani degli uomini… be’ quello lo sappiamo. Ma come dice nelle primissime pagine Clara: “Puttana è un mestiere, non un insulto!”. Panarello si muove sul filo dell’autofiction e della metanarrazione, e anche quello è un gioco di

specchi da cui scaturiscono considerazioni sul ruolo della scrittura e sul suo rapporto con il successo, quindi con il denaro. Storia dei miei soldi parla in maniera diretta: più che infrangere un tabù – quello dei soldi, appunto, che mi pare oggi meno innominabile – trovo molto ben riuscito e interessante il modo in cui si ripercorre il legame tra il denaro e l’affetto materno, la famiglia, la cultura, l’ideologia, la brutalità di una certa industria. u

I consigli della redazione

Tore Renberg La mia Ingeborg Fazi

Il romanzo

Isolamento e privilegio Elizabeth Strout

DAVID LEVENSON (GETTY)

Elizabeth Strout Lucy davanti al mare Einaudi, 232 pagine, 19 euro ●●●●● Lucy Barton, la voce narrante di vari romanzi di Elizabeth Strout (un po’ come Harry Angstrom, il “Coniglio” di John Updike), è combattuta sull’idea di trasferirsi di punto in bianco da Manhattan al Maine. In questo romanzo ellittico e delicato Barton è stupita dal dilagare in città della pandemia di covid-19 che infetta, e in qualche caso uccide, diversi suoi conoscenti. È in lutto per la scomparsa del secondo marito, un violoncellista classico morto l’anno prima, quando il primo marito e suo carissimo amico, lo scienziato William Gerhardt, la convince a rifugiarsi in una villa in affitto sulla costa del New England battuta dal vento. William vuole semplicemente metterla al sicuro dal virus mentre lei, una scrittrice di successo, non capisce perché mai dovrebbe lasciarsi alle spalle amici e impegni di lavoro. Questo romanzo potrebbe facilmente cadere nella categoria “problemi di chi vive in paesi ricchi”, ma Lucy comincia a capire molte cose appena si stabilisce con William nella nuova casa: “Era come un paese straniero per me”, dice. La villa è cadente ma spaziosa e accogliente, Lucy fa lunghe passeggiate e s’incontra con i vicini indossando la mascherina. Tutto sommato è contenta ma non legge né scrive: guarda al telegiornale i medici sfiniti dai turni interminabili con addosso camici fatti di sacchi

della spazzatura spillati insieme. New York le sembra lontana, sfocata come Giove visto da un telescopio. Strout scrive con stile discorsivo ed evoca quei primi mesi di confinamento con candore e immediatezza. L’umore di Lucy oscilla tra alti e bassi come un pendolo e quando, dopo un litigio sciocco, William le dice di avere un cancro alla prostata, lei si riempie di dolorosi sensi di colpa. Lucy comincia a credere di essere fuori asse con il resto del mondo, una tensione che Strout riesce a rendere in modo molto sottile: non c’è scampo dalla claustrofobia del covid o dai guai della sua famiglia. Alla fine ne esce una satira sottile sull’autoreferenzialità egoista delle classi privilegiate in un momento in cui sarebbero necessari sacrifici e riflessione. “Non ho idea del perché certe persone siano più informate di altre”, osserva Lucy. E nell’isolamento riesce finalmente a riflettere sul suo privilegio. Hamilton Cain, The New York Times

Nicolás Jaar Isole Timeo

Ia Genberg I dettagli Iperborea, 160 pagine, 17 euro ●●●●● I dettagli comincia a Stoccolma, con una donna di mezza età senza nome colpita da un virus non ben definito. La febbre alta la porta a rovistare nei suoi ricordi fino a evocare una narrazione in quattro capitoli, incentrati su una figura importante dei suoi vent’anni. Questi ritratti vanno e vengono nella sua coscienza febbricitante mentre “il tempo si ripiega su se stesso”. Il primo capitolo è dedicato a Johanna, ricca e ambiziosa, il primo amore della narratrice che l’aveva accudita negli anni novanta quando si era presa la malaria. I capitoli seguenti parlano di Niki, la sua selvatica coinquilina dell’università; di Alejandro, un musicista con cui ha un’intensa e breve storia d’amore; e di Brigitte, un personaggio che in modo indiretto l’ha resa più cauta nelle relazioni. Se ogni dettaglio di questi personaggi viene analizzato, Genberg dice pochissimo della protagonista della storia; eppure la sua figura emerge piano piano, riflessa nei suoi rapporti con gli altri. È l’immagine di una donna bisessuale che, anche se intelligente e dotata di buon senso, si lascia trascinare dalla routine e dai capricci delle persone intorno a lei. I dettagli è stato un best seller in Svezia e se da una parte c’è molto sapore locale nelle descrizioni dei caffè e dei locali di Stoccolma, dall’altra il racconto puntuale delle relazioni tra persone giovani, ricostruito come un lungo sogno febbrile, dà a questo romanzo breve ed efficace un respiro davvero universale. Christian House Financial Times

Mimmo Cangiano Guerre culturali e neoliberismo Nottetempo Kim Fu Mostri meno noti del ventunesimo secolo Racconti, 245 pagine, 18 euro ●●●●● La dozzina di racconti nel nuovo libro della scrittrice sinocanadese Kim Fu mostra affinità con diversi generi: l’horror, la fantascienza e il fantasy. Con voce esperta e ironica Kim Fu racconta eventi bizzarri e realtà distopiche. Sono storie che ci accompagnano in modo provocatorio ma anche divertente, in disturbanti descrizioni del matrimonio, dell’infanzia, del dolore e dello spirito dei tempi bui in cui viviamo. Il primo racconto, sotto forma di dialogo, riporta il colloquio di un operatore di un simulatore olografico con un cliente che vorrebbe parlare con un genitore defunto. In un altro una ragazzina di nome Liddy si ritrova dei segni orrendi sulle caviglie che i suoi amici prendono per sintomi della tigna, prima di appassionarsi al “nuovo mondo nascosto” delle strane mutazioni di Liddy, finché la sua metamorfosi non sarà completa. Spesso molto tormentati, i personaggi di Fu sono sempre in grado di trovare surreali soluzioni ai loro problemi. Per esempio la protagonista di un altro racconto è l’impiegata di una piattaforma di shopping online che per sfuggire a un fidanzato violento e manipolatore subaffitta una casa isolata e scopre di poter usare a proprio vantaggio un’invasione di insetti. I “mostri” di Kim Fu sono intelligenti, pieni di risorse e possono offrire un balsamo alle ansie di questi tempi postpandemici. La sua notevole raccolta di racconti ci ricorda che il mondo in cui viviamo potrebbe essere molto peggiore. Brett J. Grubisic, The Toronto Star

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Cultura

Libri La famiglia mostra le migliori caratteristiche della narrativa di Sara Mesa, che esplora in modo intelligente i silenzi e le zone grigie dei suoi personaggi. La vita dentro la casa è scandita da regole ed è piena di cose non dette. E anche se nessuno alza mai la voce la violenza si avverte in ogni dettaglio della routine quotidiana. La famiglia è un romanzo corale ma può essere letto anche come una saga che si cristallizza in scene brevi e significative. Al centro della storia, che va avanti e indietro nel tempo, c’è la tensione tra amore e danno: la presunta ricerca del bene da parte dei genitori può anche ferire profondamente i figli. È un romanzo che illumina gli angoli più oscuri dell’immagine idealizzata della casa e della famiglia che, secondo l’autrice, “riproduce meccanismi di controllo e potere presenti nel resto della società”. Andrés Gómez, La Tercera

Laurent Petitmangin Quello che serve di notte Mondadori, 132 pagine, 18 euro ●●●●● Il narratore è un padre vedovo che ha cresciuto i figli da solo, diviso tra l’orgoglio di vederli crescere e la nostalgia per gli anni che passano troppo in fretta. Il più piccolo ha in mente studi ambiziosi a Parigi, mentre il maggiore continua il suo apprendistato all’Institut universitaire de technologie. All’età di 22 anni comincia ad attaccare manifesti a favore del partito di estrema destra Front National, cosa che fa precipitare in una rabbia silenziosa il padre, ferroviere e attivista nella sezione locale del partito socialista. Ed è l’inizio di una tragedia. L’ area geografica è la Lorena, con l’orizzonte bloccato per i giovani che crescono in questa regione senza più miniere e fabbriche. La forza di questo romanzo è la chiarezza di una lingua che suona sempre naturale. Meryem Sebti, Le Monde

Non fiction Giuliano Milani

La materia della memoria Andrea Levi Genetica dei ricordi Il Saggiatore, 192 pagine, 17 euro C’è un paradosso che faceva osservare Francis Crick, uno dei due scopritori della doppia elica del dna: com’è possibile che la durata della memoria umana possa essere di anni (ricordiamo la nostra infanzia) mentre tutte le molecole del nostro corpo, comprese quelle del cervello, durano ore, giorni o al massimo mesi? La risposta è in questo libro scritto da un neurobiologo che unisce il rigore della ricerca di prima

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mano con il piacere di trovare le metafore giuste per raccontarla. Levi comincia propedeuticamente con la descrizione di un “arcipelago” composto da isole che sono i vari tipi di memoria (breve, operativa, lunga, dichiarativa), per poi passare a descrivere la “mappa” delle aree cerebrali e le dinamiche delle “onde”, cioè dei meccanismi neurologici implicati dai ricordi. Solo a quel punto, dando conto di esperimenti antichi e recenti compiuti su animali come lumache e topi, mostra come il

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cervello riscriva continuamente sensazioni e percezioni in modo da provarle o percepirle nuovamente, e spiega i meccanismi (molecolari, genetici) che permettono alle tracce lasciate da questi eventi riscritti di consolidarsi e riconsolidarsi in permanenza in modo da poter essere richiamate anche dopo molto tempo. Così rivela nuovi paradossi: ogni ricordo è una creazione e nella memoria svolgono ruoli importanti la selezione, l’oblio e la deformazione di ciò che abbiamo vissuto. u

Francia JOEL SAGET (AFP/GETTY)

Sara Mesa La famiglia La nuova frontiera, 224 pagine, 17,50 euro ●●●●● Martina non riesce a capire alcune regole della sua nuova famiglia. Perché non si può leggere o chiacchierare nelle camere da letto? Perché il padre è rimasto così sconvolto a vedere il suo diario chiuso con un lucchetto? “Qui non ci sono segreti!”, le ha detto. E se è un avvocato così importante come dice perché passa i pomeriggi a casa? Perché non hanno una televisione a colori come tutti gli altri? E soprattutto perché non possono uscire a giocare in strada con gli altri bambini? Martina, la nipote undicenne appena adottata, ha l’intuizione che tutti in quella casa stiano fingendo. Dal figlio maggiore Damián Junior, fino a Rosa e al piccolo Aquilino. Anche la mamma, che accetta tutte le regole e nasconde i suoi veri desideri, e ovviamente il papà.

Régis Jauffret Dans le ventre de Klara Récamier Régis Jauffret (Marsiglia, 1955) lavorava da tempo su Klara Pölzl, la donna che diede alla luce Adolf Hitler. In questo romanzo parla della gestazione del führer, tra il luglio del 1888 e l’aprile del 1889. Bastien François Retrouver Estelle Moufflarge Gallimard Il 28 ottobre 1943, Estelle Moufarge fu deportata ad Auschwitz. Decenni dopo, Bastien François (Parigi, 1961) scopre che questa adolescente viveva vicino a dove abita lui e ne ricostruisce la storia. Victor Malzac Créatine Scribes Un uomo racconta la sua storia: la solitudine dell’adolescenza, la difficoltà con le ragazze, la relazione con un padre invadente e una madre trasparente, una provincia immobile. Victor Malzac è nato a Châtenay-Malabry nel 1997. Léna Pontgelard Une si moderne solitude Le Panseur Dopo aver perso il bambino tanto desiderato, Marie e Léon sono divisi tra il lutto e la speranza. Troveranno una via di mezzo. Léna Pontgelard è nata nel 1992 e vive a Parigi. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

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Cultura

Libri Ragazzi Una lettura che dà gioia Kate Milford La casa dai vetri verdi Salani, 448 pagine, 18 euro La neve, il mistero, una casa quasi incantata. E la leggenda su un contrabbandiere come ciliegina sulla torta. Ingredienti non originali, ma la scrittura dolce, curiosa e coraggiosa di Kate Milford, cittadina di Brooklyn e del mondo, rende tutto un po’ più credibile. Le vicende raccontate da Milford sono quelle dei coniugi Pine e di Milo, il loro figlio di dodici anni un po’ detective. Infatti, se all’inizio il libro sembra quasi traghettarci in un’estate tranquilla e soporifera, nell’arco di poche pagine si trasforma in qualcosa che più misterioso non si può. E la locanda gestita dai signori Pine torna a essere quel luogo strano, di affari loschi, proprio come quando era la dimora del contrabbandiere. Improvvisamente è invasa da oscuri personaggi, quasi una processione di gente tutta particolare, ognuno con i suoi segreti e con la voglia matta di sgraffignare tutto quello che si può. Davanti a tutto questo Milo, insieme a Meddy, la figlia della cuoca, comincia subito a indagare. Come segugi i due ragazzi danno la caccia a ciò che non si sa e non si è mai saputo. Una storia avvincente. Senza voler rivelare altro della trama e meno che mai del finale, si può senz’altro dire che Kate Milford ha nei polpastrelli la magia delle trame perfette. E per chi legge è una felicità perpetua. Igiaba Scego

Ricevuti Chiara Valerio Chi dice e chi tace Sellerio, 288 pagine, 15 euro Un’indagine su una donna trovata morta in casa in un paese di provincia, tra silenzi e dicerie, fa emergere un passato insospettabile. Un ritratto di donne in continua mutazione. Niccolò Zancan Antologia degli sconfitti Einaudi, 144 pagine, 16,50 euro Cronache di persone povere e impoverite che affrontano un presente senza prospettiva.

Fumetti

Formazione distopica Christophe Dabitch, Piero Macola Lagune Coconino press, 224 pagine, 24 euro Ennesima opera su migranti e scafisti, il libro di Piero Macola veicola poesia visiva dalle potenti atmosfere e allo stesso tempo una poesia dell’antropologia umana, cioè della verità insita nei volti fin dai tratti somatici. Ma, lavorando per la prima volta con uno sceneggiatore (il francese Dabitch), il veneziano Macola, con il suo segno dal tocco leggero e delicato, racconta i meandri delle paludi di Venezia come il veneziano Hugo Pratt raccontava il labirinto della giungla amazzonica con i suoi arcipelaghi nascosti: una vera (ri)esplorazione dei luoghi. Con al centro un ragazzo figlio di pescatori in cerca del padre, Lagune è un romanzo di for-

mazione in una Venezia parzialmente distopica. Il Mose si è trasformato in un muro che inghiotte i migranti e il futuro dei veneziani, di fatto prigionieri. Si combinano perfettamente l’intelligenza fine della sceneggiatura di Dabitch e la grande sensibilità di Macola negli acquarelli: il rossiccio della terra arcaica si confonde con la ruggine di un mondo in disfacimento che sembra situarsi prima del postapocalittico La terra dei figli e dei ragazzi sull’orlo della guerra civile di Appunti per una storia di guerra, entrambi di Gipi. In realtà siamo nell’oggi, sull’orlo del precipizio, ma trasfigurato. I turisti girano ancora, come sempre. Solo che sotto è tutto marcio. L’umanità, però, riprende il largo nel finale. Perché è un’opera sulla presa di coscienza. Francesco Boille

Francesco Codello L’illusione meritocratica Elèuthera, 120 pagine, 13 euro La meritocrazia è irrealizzabile perché si basa su una premessa falsa, ovvero sulla parità delle condizioni di partenza. Ma è anche indesiderabile perché trasforma la disuguaglianza in un fatto naturale. Malachy Tallack Il grande nord Iperborea, 256 pagine, 18,50 euro L’autore parte dalle isole Shetland, arcipelago a nord della Gran Bretagna, per un viaggio intorno al mondo lungo il sessantesimo parallelo nord. Maddie Mortimer Mappe dei nostri corpi spettacolari Il Saggiatore, 464 pagine, 20 euro Il corpo di una donna raccontato in profondità insieme alla vita quotidiana di Lisa, Harry e della loro figlia adolescente Iris.

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Cultura

Suoni Audio La stagione delle pantere

Dal Cile

Franchesca Ramsey e Conscious Lee Black history, for real Wondery JoAnne Deborah Byron è nata alla fine degli anni quaranta a Flushing, quartiere a nord di New York nell’area degradata del Queens. Nonostante le difficoltà, grazie al supporto di una zia frequenta il college, dove diventa attivista per i diritti civili e prende il nome di Assata Shakur, abbandonando il vecchio cognome “da schiava”. La sua passione politica la porta a unirsi prima alle Black panther e poi al più radicale movimento Black liberation army. Nonostante il maschilismo imperante nell’organizzazione, Assata comincia subito a partecipare alle attività armate, come rapine in banca per autofinanziarsi, furti ai danni di spacciatori e assalti a veicoli della polizia o a beni del governo. Dopo l’arresto del capo del movimento, Assata diventa la leader del gruppo e coordina una serie di attacchi, o almeno di questo l’accusano la polizia e l’Fbi. Il 2 maggio del 1973 Shakur viene coinvolta in una sparatoria in New Jersey, nella quale muore un agente di polizia. Viene arrestata e condannata all’ergastolo, ma quattro anni dopo sarà fatta evadere dai vecchi compagni e vivrà il resto della sua vita a Cuba. La prima stagione di Black history, for real si concentra sulla biografia delle protagoniste femminili delle Black panther, come la zia di Tupac Shakur o Elaine Brown, unica donna a guidare l’organizzazione. Jonathan Zenti

Ana Tijoux ha pubblicato un disco dopo dieci anni di silenzio

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Ana Tijoux ci ha appena regalato un nuovo album, Vida, il primo in dieci anni. E penso che sia una cosa significativa, non solo perché il disco arriva dopo la pausa più lunga nella carriera dell’artista, che era all’apice della popolarità, ma anche perché questa interruzione è coincisa con un grande cambiamento nel panorama musicale. Circa dieci anni fa Spotify è stato lanciato in America Latina. Lo streaming ha preso il sopravvento e ha imposto la tacita regola che è meglio pubblicare spesso nuove canzoni per rimanere rilevanti all’interno dei ti-

PILAR CASTRO EVENSEN

Il ritorno di un’icona

Ana Tijoux rannici algoritmi delle playlist. Certo, nel frattempo Ana Tijoux non è rimasta del tutto silenziosa: ha pubblicato singoli, collaborazioni, è andata in tour e ha perfino scritto un libro. Ma, ricordiamocelo, è stata una delle migliori rapper sulle scene internazionali in un’epoca in

cui il rap in spagnolo era un oggetto misterioso alle orecchie del pubblico globale anglofono: erano i giorni prima di Despacito, di Bad Bunny, di Rosalía. Nel bene e nel male, Tijoux sembra aver mancato quel momento di gloria. Con Vida, però, la rapper francese di origine cilena non sembra interessata a riaffermare la sua pretesa al trono o nel competere con le giovani generazioni. Percorre una strada nuova, in cerca di uno spazio sicuro per il pubblico maturo, più interessato a canzoni piene di sentimento con messaggi profondi rispetto a rime buone per un balletto di quindici secondi su TikTok. Juan Data , Sounds and Colours

Canzoni Claudia Durastanti

Una rara fiducia Ognuno ha un punto d’origine nel proprio rapporto con la musica: in alcuni casi si nasce punk o emo per morire diversi. Nei casi che invidio, invece, si resta in prossimità di quel punto, procedendo per variazioni minime e inseguendo riverberi familiari che diventano un’identità musicale. Sentendo il primo brano di Bloom, il disco dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger! uscito per To Lose La Track (già scrivere questo nome mi scaraventa in uno spazio consolatorio) mi chiedo da dove vengo io. O meglio, me lo ricordo. Il brano s’intitola

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Memory ed è un’immersione totale nelle acque che stavano sulle copertine dei dischi anni novanta, tra Nirvana e Slint, quando ti tuffavi che eri una cosa solissima al mondo e poi nello scintillio dell’acqua intravedevi qualcuno che ti era simile. E la malinconia diventava una forma bella di resistenza. Nel caso dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, attivi dal 2006 e con molte incursioni americane nel loro destino (si veda l’artwork curato da Keeley Laures, una fioritura che si scioglie), l’idea di resistere ha più di un significato: innanzitutto c’è

l’integrità di presentare canzoni dai suoni analogicamente torbidi ma precisi dal punto di vista sentimentale. Forse uno dei difetti della produzione digitale è aver invertito il rapporto: tutto chiaro in superficie, e una grande confusione interiore. C’è solo contentezza quando per un attimo si torna a contatto con il proprio punto d’origine, e Bloom non solo permette questa esperienza, ma fa sentire una cosa rarissima di questi tempi: la fiducia. Verso la band che suona, e per come lo fa. u

Classica Scelti da Alberto Notarbartolo

Seiji Ozawa Anniversary Decca

Rinaldo Alessandrini e Concerto Italiano Monteverdi: tutti i madrigali Naïve Little Simz

William Doyle Springs eternal Tough Love ●●●●● Ormai sono più di dieci anni

che William Doyle, cantautore originario di Bournemouth, pubblica musica. E dopo aver messo da parte lo pseudonimo East India Youth si è ritagliato uno angolino tutto suo, con un art pop pastorale e filosofico. Questa evoluzione è culminata nei suoi due album Your wilderness revisited, del 2019, e Great spans of muddy time, del 2021, splendidi e inquieti. Il nuovo lavoro, intitolato Springs eternal, è un oggetto un po’ più strano: la qualità non varia da canzone a canzone, come succede di solito, ma all’interno della canzone stessa. Prendiamo il singolo Now in motion. È un brano ben eseguito in cui il musicista britannico dimostra ancora una volta il suo talento melodico, però qui la sua vocalità delicata non funziona. Salvo che poi, negli ultimi trenta secondi, in cui esplode in un’impennata alla Hot Chip, tutto s’incastra alla perfezione. Il disco brilla invece nelle parti strumentali: A long life è uno dei pezzi migliori per il suo ininterrotto esercizio di sintetizzatori e trame glitch, mentre Garden of the morning si addice meglio alla voce di Doyle rispetto ai pezzi più movimentati. Sembra che

l’artista abbia voluto correre dei rischi, che però non l’hanno ripagato abbastanza da creare un grande album come gli era successo in passato. Joe Creely, The Skinny Éric Le Sage, Frank Braley Hahn: Le ruban dénoué e altri pezzi Éric Le Sage e Frank Braley, pianoforti; Sandrine Piau, soprano Sony Classical ●●●●● I dodici valzer per due pianoforti che compongono Le ruban dénoué (Il nastro sciolto) di Reynaldo Hahn (18741947) sono più interessanti di quel che farebbero pensare i

loro titoli “poetici”, cose tipo Le decisioni indolenti del fato o Danza d’amore e di dolore. Certo, ogni tanto si sfiora un tono mondano, ma la delicatezza della scrittura e la chiarezza del discorso li rendono un’opera originale. È da notare che queste affascinanti composizioni furono scritte nel 1915 dal fronte, durante la prima guerra mondiale, come antidoto al veleno del conflitto. Pour bercer un convalescent (Per cullare un convalescente) è dello stesso periodo: Hahn lo dedicò al suo amico Henri Bardac, che si stava riprendendo dalle ferite. Caprice mélancolique è invece molto precedente: evoca i salotti proustiani, ma non diventa mai lezioso, proprio come la melodia su una poesia di Victor Hugo che chiude il Ruban, cantata da Sandrine Piau. Éric Le Sage e Frank Braley, raffinati conoscitori della musica francese del periodo, sanno coniugare la scioltezza del discorso, la qualità di un suono sempre sensuale e la finezza armonica. Jacques Bonnaure, Classica NEWSLETTER Musicale è la newsletter settimanale di Giovanni Ansaldo su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

PARRI THOMAS

Little Simz Drop 7 Awal ●●●●● Little Simz, uno delle artiste più audaci del rap britannico, ha lanciato progetti eccellenti con costanza dall’inizio degli anni venti, e anche prima. Ora è tornata con Drop 7, nuovo capitolo della serie dei suoi ep Drop. Stavolta Little Simz sembra più sicura che mai delle sue capacità. Rispetto al rappato veloce di successi del passato come Venom, suona più rilassata e a suo agio. La traccia di apertura, Mood swings, segue questa scia e offre una performance fluida. Supportato da un sottofondo elettronico e da percussioni che rimandano all’Africa occidentale, è il brano migliore ed è un assaggio dei luoghi musicali in cui la rapper sembra voler approdare. Altri pezzi come Fever introducono toni più pop, mentre Power, che dura solo 55 secondi, fa pensare alle origini della sua carriera. Nella conclusiva Far away, invece, Little Simz si avvicina al canto come non mai e chiude con l’ep con un tono insolitamente caldo. Drop 7 dimostra perché Little Simz è considerata una delle migliori artiste del rap contemporaneo. Fondendo insieme techno, hip hop e influenze africane ha creato un miscuglio ipnotico a base di percussioni potenti e ritmi rilassati da club, che difficilmente potrebbe suonare meglio di così. James Evenden, The Indiependent

DANIKA MAGDELENA

Album

Christophe Rousset Louise Bertin: Fausto Bru Zane

William Doyle Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Pop I fantasmi delle città cinesi

Andrew Kipnis ll’undicesimo piano di un grattaciecone, la voce della donna non si è placata. lo alla periferia di Hong Kong, una “Vieni a trovarmi. Dove sei?”. donna di 86 anni viveva da sola in Daili è salita su una scaletta per annaffiare le begoun appartamento piccolo e decrepinie. to. I suoi familiari andavano a tro“Mi sento sola. Non passi mai”. varla raramente. Sua figlia si era Daili ha versato un po’ d’acqua nel vaso. sposata a Macao e si era trasferita lì con il marito e la “Ho bisogno del tuo aiuto, adesso!”. famiglia. Suo figlio era morto due anni prima, e suo “Ok”, ha risposto Daili. nipote studiava all’università nel Regno Unito. Si è sporta dal parapetto, è saltata ed è morta dopo Una sera di settembre, la donna ha provato a camun volo di undici piani. biare una lampadina, è caduta e si è rotta il bacino. La polizia ha stabilito che era un suicidio e l’apNon riusciva a muoversi, e nessuno l’ha sentita chiepartamento è stato aggiunto all’elenco online delle dere aiuto. Dopo due giorni è morta dicase infestate della città. Il proprietario sidratata. Ci sono voluti altri tre giorni Si dà per scontato non ha potuto fare altro che abbassare perché il fetore diventasse insopporta- che chi vive in l’affitto del 30 per cento, sperando che bile e i vicini chiamassero le autorità. città sia meno il successivo inquilino non credesse ai La polizia ha portato via il corpo e ha superstizioso di chi fantasmi. avvisato la famiglia. È stato organizzato vive in campagna. Quando uno studente universitario un piccolo funerale. di Hong Kong mi ha segnalato questa Invece, credere Poche settimane dopo, il proprieta- all’esistenza dei storia, che ho tradotto dal cinese e legrio ha fatto pulire a fondo l’appartagermente modificato, non sapevo se fantasmi è parte mento e ha provato a rimetterlo in affitfosse vera o no. Su internet si trovano integrante della to. Dato che la vecchia inquilina non era molte storie del genere su fantasmi, morta per omicidio o suicidio, l’immo- vita urbana maledizioni e morti non naturali. Anbile non è finito su nessuna delle liste che se non sono ricostruzioni fattuali, delle case stregate di Hong Kong. Per attirare nuovi trovo che riflettano le esperienze e le ansie di molte affittuari, il proprietario ha abbassato leggermente il persone che vivono nella Cina urbana: genitori anziacanone, e lo sconto è bastato a convincere una stuni rimasti senza famiglia nei loro ultimi anni di vita, dente universitaria di nome Daili, appena arrivata fantasmi che perseguitano gli sconosciuti (a volte dal continente. spingendoli perfino a togliersi la vita) e un rapporto La prima notte nell’appartamento, Daili ha visto sempre più stretto tra paura dei fantasmi e mercato in sogno il volto sfocato di una vecchia signora. Al immobiliare. momento non ha dato peso alla cosa, e la mattina doPuò sembrare controintuitivo: è opinione comune po si è tenuta occupata andando a comprare delle che credere ai fantasmi sia una superstizione, un repiante. Tornata a casa, ha appeso un vaso di begonie taggio della società tradizionale che la Cina si è laa un gancio attaccato al balcone del piano di sopra. sciata alle spalle in nome del progresso. Si dà per La notte successiva la vecchia inquilina le è apparscontato che chi vive in città sia meno superstizioso di sa di nuovo in sogno. E così tutte le notti, con il volto chi vive in campagna. Invece, credere all’esistenza che, sogno dopo sogno, diventava sempre più dettadei fantasmi è parte integrante della vita urbana. Angliato. A volte la donna le parlava, chiedendole di che se in Cina la paura dei fantasmi ha una lunga stoandarla a trovare: “Perché non passi da me? Dove ria, ho il sospetto che queste credenze si siano trasforsei? Perché non torni?”. mate e siano aumentate durante il processo d’inurbaI sogni si ripetevano tutte le notti e Daili non riumento. E che, a loro volta, queste paure alterino la vita sciva a dormire. A volte, per non restare sveglia a letsociale e lo spazio urbano intrecciandosi con la comto, usciva sul balcone ad annaffiare le piante o a guarmemorazione dei defunti e la loro rimozione. dare la luna. Nelle città cinesi contemporanee il fatto di credeUna notte il sogno è stato particolarmente vivido, re ai fantasmi assume forme ambigue. Anche se non ma anche quando Daili si è alzata ed è uscita sul baltutti lo ammettono apertamente, molti cinesi che ho

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ANDREW KIPNIS

è un antropologo. Insegna all’università cinese di Hong Kong. Questo articolo è uscito sulla rivista culturale online Aeon con il titolo The haunting of modern China.

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GABRIELLA GIANDELLI

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Pop

Storie vere Negli Stati Uniti, un aereo delle linee JetBlue decollato da Fort Lauderdale, in Florida, e diretto a Boston, nel Massachusetts, ha fatto un atterraggio di emergenza quando il personale di bordo ha segnalato un problema con un passeggero. La polizia ha provveduto ad arrestare l’uomo, poi il volo ha ripreso il suo tragitto. Il passeggero molesto aveva messo in allarme i compagni di viaggio spiegando che lui era il diavolo.

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frequentato in decenni di ricerca etnografica a Nanchino, Shanghai, Jinan e Hong Kong si comportavano come se l’esistenza dei fantasmi fosse scontata. Prendevano precauzioni speciali quando andavano al cimitero o visitavano una camera ardente; dicevano che gli edifici abbandonati sembravano stregati; non volevano parlare della morte o averci nulla a che fare; evitavano di prendere in affitto o comprare appartamenti che potevano essere “infestati”. Mi occupo di ricerca antropologica in Cina dalla fine degli anni ottanta. Allora vivevo in una zona rurale della provincia di Shandong, ed era un’epoca in cui pochissimi stranieri avevano l’opportunità di visitare un villaggio cinese. Ero andato a studiare i modelli d’interazione sociale tra le famiglie dei villaggi, ed è stato lì che ho avuto modo di assistere per la prima volta alle pratiche funebri rurali, che sono relativamente simili in tutta la Cina. Quando qualcuno muore, di solito la salma rimane in casa dentro una bara (a volte di legno di cedro, oggi spesso refrigerata) per qualche giorno, tra la morte e il funerale. Amici e parenti vengono a renderle omaggio, lasciano un dono e fanno le condoglianze alla famiglia. La cerimonia funebre la organizzano e la conducono i discendenti più anziani. Dopo le esequie, il corpo viene o sepolto intatto nel villaggio, oppure viene prima cremato e poi sepolto. Per tutto il tempo che ho trascorso nelle campagne cinesi, non ho mai sentito nessuno lamentarsi perché un vicino teneva una salma in casa. Né ho mai sentito dire a qualcuno che i campi dove la gente lavorava – e dove erano sepolti i loro parenti – erano “infestati”. Davo per assodato che le pratiche funebri e le credenze sui defunti fossero simili anche nelle città. In realtà, però, non sapevo quasi nulla dei funerali urbani. Dopo aver vissuto nella provincia di Shandong, avevo partecipato solo a qualche funzione per amici e parenti (mia moglie è di Nanchino). Tutto è cambiato quando ho avviato un progetto di ricerca sui funerali nelle città cinesi. Nel 2013 ho cominciato a intervistare persone che lavoravano nel settore delle pompe funebri della Cina urbana e a visitare camere ardenti e cimiteri di molte città cinesi, soprattutto Nanchino e Hong Kong. Ho scoperto che le pratiche funerarie cittadine erano molto diverse. In generale, sembrava che nelle campagne le persone avessero meno paura della morte, dei cadaveri e dei luoghi di sepoltura rispetto a chi viveva in città. A Nanchino, Shanghai e Hong Kong, quando c’è un decesso il cadavere viene portato via dalla casa o dalla stanza dell’ospedale e portato o all’obitorio dell’ospedale o in una camera ardente. Al funerale ci pensano dei professionisti del settore anziché dei familiari. Dopo la funzione, il corpo viene cremato e le ceneri vengono sepolte in un cimitero o in un colombario lontano dal centro della città: a Shanghai mi ci sono volute più di due ore sui mezzi pubblici per raggiungere il cimitero di Fu Shou Yuan. Quando descrivevo le pratiche funebri alle persone che abitavano nelle grandi città – dove tutti vivo-

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no in appartamento – molte le trovavano sgradevoli. A Nanchino, un uomo era particolarmente disgustato dall’idea di custodire un corpo in un appartamento, anche se chiuso in un feretro refrigerato e inodore. Queste pratiche, diceva, portavano sfortuna e discredito alla gente che viveva nel palazzo. Inoltre, aggiungeva, tenere un cadavere all’interno di un condominio era illegale. Effettivamente, quando ho chiesto delucidazioni ai funzionari pubblici di Nanchino e Hong Kong, mi hanno confermato che chiunque trovi un cadavere in ambito domestico è tenuto a darne immediata notizia al governo e che il governo, a sua volta, ne organizza appena possibile la rimozione. Nelle città più grandi della Cina, anche annunciare pubblicamente un decesso è contro la legge. Alcuni miei studenti della Chinese university of Hong Kong, originari di piccoli villaggi della Cina centrale, mi hanno raccontato di funerali in cui si allestivano tende fuori dalle case per accogliere chi avrebbe partecipato alla funzione. A Shanghai o Tianjin queste iniziative non sono più permesse. A Nanchino ho visto mettere dei piccoli altari domestici con le foto dei defunti al posto delle salme; amici e parenti venivano in processione a rendere omaggio. Ma tra il viavai costante degli ospiti e i simboli di lutto esposti sulla porta, spesso gli altri inquilini si accorgevano che qualcuno era venuto a mancare nel palazzo. Quindi, anche se era una pratica comune, alcuni la trovavano inopportuna. Come mi ha detto una donna in un’intervista: “Come può una famiglia essere tanto maleducata da annunciare un evento infausto come un decesso nel proprio palazzo?”. Nelle città più grandi che ho visitato, comprese Shanghai e Pechino, mi è stato detto che nessuno mette l’altare in casa. A Tianjin, che ha più di quindici milioni di abitanti, ho visto un cartellone ufficiale su cui era scritto il divieto di allestire altari in un appartamento. Se i vicini segnalavano alle autorità che qualcuno nel palazzo aveva violato la norma, quella persona doveva pagare una multa salatissima. A quanto pare, più la città è grande più è probabile che i vicini non vogliano sapere di una morte nel loro palazzo e più è probabile che rendere pubblico un lutto sia illegale. Una decina d’anni fa, intervistando alcuni addetti alle pompe funebri, ho scoperto che all’avversione urbana per l’annuncio di un lutto corrisponde un atteggiamento di diffidenza verso le visite ai luoghi associati alla morte. I professionisti del settore spesso spiegavano alle famiglie come contrastare l’energia dei fantasmi – considerata yin nella dicotomia yin/yang – che pervade luoghi come camere ardenti e cimiteri. Questa energia yin può essere contrastata con pratiche yang, come bere liquidi caldi e zuccherini, frequentare luoghi pieni di gente o camminare sul fuoco. A Shanghai e altrove vengono creati percorsi per camminare sul fuoco all’uscita delle camere mortuarie. Dopo aver assistito a un funerale a Nanchino, ho visto un addetto delle pompe funebri accendere un

GABRIELLA GIANDELLI

piccolo falò di sterpaglie su una piattaforma di metallo che aveva sistemato nel parcheggio. Prima di andarsene, i partecipanti camminavano sul fuoco per assorbire l’energia yang e contrastare lo yin che deriva dalla prossimità con i morti. In campagna non avevo mai visto niente di simile. Nelle grandi città della Cina, evidentemente, la gente ha più paura che nelle zone rurali delle salme e dei luoghi di sepoltura. Anche il solo pensiero che ci sia stato un decesso nell’appartamento di un vicino li disturba. La rapida urbanizzazione sembra accentuare la paura della morte. Questa paura, a sua volta, porta alla rimozione delle infrastrutture collegate alla morte dalle zone urbane. La rapida espansione delle città e dei relativi confini ha imposto una continua ricollocazione delle camere mortuarie e dei crematori pubblici, con relativo dissotterramento di numerosi cimiteri. Ho chiesto il perché a un funzionario di Nanchino, che mi ha risposto: “La gente ha ancora paura dei fantasmi. I prezzi degli immobili vicini ai cimiteri e alle camere mortuarie sono regolarmente più bassi rispetto a quelli delle zone centrali. Quindi, per tutelare il valore degli stabili, l’amministrazione municipale cerca sempre di tenere i luoghi di sepoltura lontani dal centro della città”. Una volta ho raccontato a un funzionario dell’ufficio pratiche funebri di Nanchino di un mio parente statunitense che ha fatto disperdere le sue ceneri nel suo parco preferito. Mi ha risposto: “Non possiamo consentire che si smaltiscano le ceneri dei genitori nei parchi pubblici. La gente ha paura dei fantasmi. Nessuno a Nanchino andrebbe nei parchi se sapesse che ci sono i fantasmi: per questo disperdere i resti di una cremazione in un parco è contro la legge, anche se non inquinano l’ambiente e sono indistinguibili dal resto della polvere”. A Hong Kong la paura dei morti è la stessa della Cina continentale, ed è una paura che influisce perfino sulla gestione e la regolamentazione delle camere mortuarie (ovvero i luoghi dove possono svolgersi i riti funebri). Oggi ci sono solo sette camere mortuarie autorizzate e circa 120 imprese di pompe funebri legalmente riconosciute, che organizzano i funerali ma non hanno gli spazi fisici per ospitarli. Solo le agenzie che hanno cominciato prima degli anni duemila, quando è entrata in vigore la nuova legge, possono fare pubblicità alla loro attività, esporre feretri in negozio e custodire urne cinerarie. Queste imprese hanno una licenza per i servizi funebri detta di tipo A. Quelle che hanno una licenza di tipo B non possono custodire ceneri né esporre bare se un esercizio commerciale, uno studio professionale o un proprietario di casa nelle vicinanze è contrario. Le imprese che hanno una licenza di tipo C hanno restrizioni ancora più severe e non possono usare la parola “funebre” nelle insegne su strada. La logica è la stessa di cui mi hanno parlato le persone a Nanchino: se un vicino ha paura della morte o dei cadaveri, o teme che la paura altrui possa abbassare il valore della sua impresa o della sua proprietà, ha il diritto di imporre restrizioni all’attività di un’a-

genzia di pompe funebri. In pratica, significa che le attività imprenditoriali di tutti i possessori di licenze di tipo B e C sono soggette a restrizioni. Attualmente, quasi tutte le imprese di Hong Kong con licenza di tipo A sono nella zona residenziale di Hong Om, e molti appartamenti hanno finestre che affacciano su un’agenzia di pompe funebri, con la relativa insegna. Questi appartamenti si affittano a meno di quelli con una vista diversa. A Hong Kong, come ci ricorda la storia del suicidio di Daili, ci sono siti con l’elenco degli “alloggi infestati” dove si sono verificate morti insolite. Anche questi appartamenti si vendono e si affittano a prezzi scontati. Ma perché la Cina urbana moderna ha tanta paura dei fantasmi? Ci sono quattro fattori da considerare: la separazione della vita dalla morte nelle città; l’avvento di una società e di un’economia di estranei; la simultanea idealizzazione e contrazione della famiglia; un numero sempre maggiore di edifici abbandonati o fatiscenti. È importante sottolineare che tutti e quattro i fattori sono un prodotto dell’urbanizzazione. È l’urbanizzazione che crea i fantasmi. C’è infine un quinto fattore, distinto dagli altri, che contribuisce alla spettralità della Cina moderna: la politica della repressione. Il primo fattore è la separazione sempre più evidente tra la vita e la morte. Di solito chi vive in città non muore a casa, ma in ospedale, dove il personale sanitario fa di tutto per nascondere i corpi dei defunti. Anche nei casi in cui la morte non avviene in ospedale, la salma viene subito portata via e custodita in Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Pop HOLGER KÜLS

è un autore e maestro elementare tedesco nato nel 1963. Vive a Verden, cittadina protestante della Bassa Sassonia. Noto per i suoi libri di pedagogia, negli ultimi anni ha pubblicato tre raccolte poetiche. Il testo è tratto dall’ultima, Kumulus aus Nordwest (“Cumulo da nordovest”, GeestVerlag 2021). Traduzione dal tedesco di Dario Borso.

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una camera mortuaria. Il risultato è che molti abitanti delle grandi città cinesi non hanno mai visto un cadavere. Il progressivo spostamento dei cimiteri e delle camere mortuarie nelle periferie non fa che accentuare questa distanza. Meno le persone hanno a che fare con la morte, più la morte diventa spaventosa. Per molti, il solo fatto di menzionarla è infausto. Ancora più importante, secondo me, è il secondo fattore: l’avvento di una società e di un’economia di persone estranee. Nel mondo rurale i parenti sono sepolti tutti insieme, mentre nei cimiteri urbani ci sono perfetti sconosciuti tumulati uno di fianco all’altro, come nei grandi condomini, dove spesso i vicini neanche si conoscono. Nella Cina urbana il concetto di fantasma (indicato con gui, un termine che si riferisce a spiriti maligni di vari tipi ma, forse metaforicamente, anche a persone o animali maligni) è direttamente legato al concetto di estraneo. I familiari defunti diventano antenati, gli estranei defunti diventano fantasmi. I fantasmi possono compiere il male e devono essere temuti. Nella storia che ho raccontato all’inizio, il fantasma dell’anziana signora ha spinto Daili al suicidio. Durante le cerimonie di sepoltura nei cimiteri urbani di Nanchino, l’officiante presenta il defunto ai suoi nuovi vicini sperando che gli spiriti della porta accanto non si comportino da fantasmi. L’economia urbana è un’economia di estranei. Nelle città acquistiamo prodotti e servizi da persone che non conosciamo, sperando che ci trattino in modo onesto e rispettoso. E soprattutto, nelle città della Cina i funerali li gestiscono degli estranei che maneggiano i corpi nelle camere mortuarie e nei crematori, lavorano negli obitori degli ospedali e nei cimiteri, e vendono fiori e oggetti funebri alle bancarelle. Come in molte altre parti del mondo, i lavoratori del settore sono stigmatizzati. Hanno difficoltà a trovare un partner e spesso si sposano tra loro. Evitano di stringere le mani ai clienti. Se incontrano degli sconosciuti mentono sulla loro occupazione e dicono ai figli di fare lo stesso se qualcuno chiede informazioni sul lavoro dei genitori. La stigmatizzazione dei lavoratori del settore delle pompe funebri va di pari passo con la paura dei fantasmi nei cimiteri. Un confronto su come è considerato il sesso in Cina ci aiuta a inquadrare meglio il problema: una donna che ha rapporti sessuali con il marito è considerata un’onesta cittadina, una che ha rapporti sessuali con degli sconosciuti in cambio di denaro è vista come un elemento contaminato e contaminante. Analogamente, chi aiuta a organizzare il funerale di un parente in un villaggio è una persona per bene, mentre in città chi lo fa per soldi va evitato come la peste. Dare sepoltura agli antenati è un dovere filiale, seppellire uno sconosciuto e interagire con il fantasma della sua energia yin vuol dire esporsi alla contaminazione spirituale. Proprio perché sono stigmatizzate, sia la prostituzione sia le pompe funebri sono forme d’impiego non troppo remunerative. Entrambe si muovono lungo il confine imbarazzante che separa la sfera familiare dall’economia monetizzata degli estranei.

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Poesia

Chiesa del Redentore Come mi guarda Gesù ha un che di mite le braccia aperte su fatiche e fardelli è il sermone su venuta e ristoro monotono daccapo l’ufficio divino dura fino in eterno amen occasione per pensieri mondani circa il calcio al campetto prima dietro la vecchia ferrovia dirimpetto alla chiesa per esempio Holger Küls

Collegato a questo concetto è il terzo fattore che sta dietro la paura dei fantasmi nella Cina urbana: l’idealizzazione della famiglia. Man mano che il paese si urbanizza e si modernizza, non solo il contatto con gli estranei diventa predominante, ma la dimensione delle famiglie e dei nuclei familiari si riduce. A differenza del contesto rurale, dove l’intero mondo sociale è fatto di rapporti di parentela più o meno lontani, l’universo sociale di chi vive in città è fatto di pochi parenti stretti e una comunità più ampia di estranei e conoscenti. Più le famiglie si restringono, più il contrasto tra chi è parente e chi non lo è diventa cruciale. La famiglia diviene un luogo idealizzato d’interazione morale, il mondo degli estranei è il luogo dove si va incontro allo sfruttamento, alla truffa e al tradimento. Ma se la famiglia si restringe troppo, l’individuo rischia di ritrovarsi completamente isolato e diventa un fantasma, come l’anziana signora della storia. Con l’urbanizzazione, anche il modo di guardare i fantasmi è cambiato. Solo nelle città i fantasmi sono identificati con gli sconosciuti. Nella società rurale tradizionale, i fantasmi erano spesso parenti o affini che erano stati maltrattati in vita e non avevano avuto una degna sepoltura. Lo scopo del funerale era proprio assicurarsi che un parente defunto diventasse un antenato e non un fantasma. Quando l’intero universo sociale di un individuo s’identifica con la

GABRIELLA GIANDELLI

famiglia, il bene e il male si collocano all’interno della famiglia stessa. Nel contesto urbano, invece, queste due sfere possono essere separate: la famiglia può essere immaginata come puramente buona, tutto il male viene dagli estranei. Un secolo fa, nella Cina rurale non si tenevano funerali per i neonati o per i bambini piccoli, e i loro corpi finivano in pasto agli animali. Erano considerati spiriti maligni, una sorta di fantasmi che si erano insinuati nel ventre della madre e che sarebbero tornati se avessero ricevuto una degna sepoltura. Nella Cina urbana contemporanea, invece, perdere un bambino è una delle cose più dolorose che si possa immaginare. In onore dei bambini si organizzano i funerali più ricchi e le loro tombe sono quasi sempre le più sfarzose. I bambini morti rappresentano solo l’amore delle loro famiglie, non sono mai associati al male. La famiglia è sacra, gli estranei (e i loro fantasmi) sono pericolosi. Il quarto fattore collegato alla paura dei fantasmi nelle città cinesi è la presenza di fabbriche, edifici e quartieri abbandonati. Questi luoghi un tempo erano pieni di vita, ma negli ultimi anni i piani di rinnovamento urbanistico hanno costretto residenti e lavoratori ad andarsene. Vuoti e spesso fatiscenti, ricordano ai pochi che rimangono (o che vivono nei paraggi) la perdita d’intere comunità e dei loro stili di vita. Tra le zone destinate alla riqualificazione ci sono aree rurali, ma anche località un tempo abitate e con pochi edifici. Dopo la riqualificazione, queste zone diventano nuovi quartieri, più sviluppati in verticale e più densamente popolati. Le comunità locali protestano o tentano di farlo, ma le loro proteste sono subito soffocate. I fantasmi non sono solo gli estranei, ma anche persone o cose che non meritano di essere ricordate, almeno agli occhi dell’autorità. Dato che il loro ricordo è soppresso, questi spiriti devono perseguitare attivamente i vivi per avere un riconoscimento. La repressione politica del loro ricordo, particolarmente presente in Cina, li rende ancora più spettrali. E questo ci porta al punto finale: il collegamento tra la paura dei fantasmi e la politica della memoria e della paura. I piani di rinnovamento urbanistico sono solo una delle tante occasioni che possono dare luogo a proteste antigovernative, e agli occhi di Pechino questo tipo di resistenza deve essere sempre repressa. Il regime comunista immagina che il suo spirito vivrà per sempre, mentre tutti gli altri sono nemici spettrali, estranei da mettere al bando. In quest’ottica, i fantasmi del passato oggi ripudiato del partito – il grande balzo in avanti, la rivoluzione culturale o il massacro di piazza Tiananmen – non devono mai più essere nominati. A mio avviso, però, l’impulso totalitario del regime comunista di mettere al bando tutti gli spiriti tranne quello del partito non fa che accrescere la paura dei fantasmi. Dovremmo imparare a convivere con i nostri fantasmi, anziché reprimerli. Nelle città la paura dei fantasmi non è il retaggio di un antico passato rurale. È un fenomeno prodotto

dal processo di urbanizzazione e amplificato dalla politica. La separazione della vita dalla morte, l’avvento di una socialità di estranei, l’idealizzazione della famiglia e il suo allontanamento dalla dimensione collettiva, la distruzione di intere comunità di vita e produzione e la repressione della memoria sono tutti fattori che contribuiscono alla paura dei fantasmi nelle città. È una paura raccontata attraverso storie di tutti i tipi, che parlano di spiriti risvegliati dall’abbandono delle famiglie, di distruzione delle aree urbane da riqualificare, di morti ingiuste provocate da una società di estranei, come quelle di Daili e dell’anziana signora. Queste storie non ci raccontano solo che la fine delle famiglie e delle comunità allargate aumenta la probabilità di morire da soli, ma che la nostra dipendenza sempre maggiore dagli sconosciuti in ogni aspetto della vita ci rende più vulnerabili. Nelle città cinesi, cimiteri e camere ardenti si visitano solo quando è necessario e i cadaveri si vedono raramente, se non mai. La morte, però, s’insinua a forza nel nostro spazio privato. La sua comparsa improvvisa e indesiderata la rende ancora più spettrale. Più la vita urbana si sviluppa in base all’interazione con gli sconosciuti, con persone o entità il cui viavai è un mistero assoluto, più i fantasmi infestano le nostre città. Mentre interi quartieri vengono rasi al suolo e ricostruiti, mentre l’economia urbana viene stravolta e riconvertita all’infinito, mentre il ritmo del cambiamento sociale cresce e la repressione politica non si ferma, i ricordi che ci perseguitano non fanno che moltiplicarsi. u fas Internazionale 1551 | 23 febbraio 2024

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Scienza Lo studio, condotto su nove bonobo, quattro oranghi, quattro gorilla e diciassette scimpanzé, non è abbastanza grande per poter rilevare grosse differenze tra le specie, però adulti e giovani avevano strategie diverse. Se punzecchiare si è rivelata la forma di provocazione più diffusa in entrambi i gruppi, i giovani colpivano con forza o dimenavano una parte del corpo verso la vittima, mentre gli adulti erano più delicati e preferivano solleticare e sottrarre oggetti.

Due gorilla

MAX BLOCK

La mamma non si tocca

ETOLOGIA

I dispetti che aiutano a crescere Ian Sample, The Guardian, Regno Unito Uno studio ha rivelato che i piccoli di scimpanzé, gorilla e orango si divertono a provocare gli adulti proprio come fanno i bambini. Forse è un modo per imparare le dinamiche sociali econdo uno studio sulle grandi scimmie antropomorfe, gli esseri umani non sono gli unici a sopportare interminabili dispetti e scherzetti dei loro piccoli, più deboli ma decisi a sfidare la sorte. Filmando scimpanzé, oranghi, bonobo e gorilla gli autori hanno infatti scoperto che sono maestri in questa discutibile arte e manifestano un’incredibile varietà di atteggiamenti giocosi, e a volte aggressivi, che vanno da gesti impertinenti e sciocchi a dispetti estremamente irritanti. Grazie a 75 ore di riprese negli zoo di San Diego, negli Stati Uniti, e Lipsia, in Germania, gli scienziati hanno documentato 142 casi in cui giovani, quasi sempre fra i tre e i cinque anni di età, tormentavano in modo evidente i loro compagni. Le

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scimmie punzecchiavano, davano colpetti e scappavano, offrivano oggetti e li ritraevano, spintonavano, avvicinavano il muso a quello degli altri, tiravano i peli – un dispetto diffuso soprattutto tra gli oranghi, che hanno il pelo lungo – strattonavano, facevano il solletico e lasciavano dondolare oggetti davanti agli altri. Nei due zoo i ricercatori hanno contato diciotto tipologie di dispetti. Oltre un quinto di questi si basava sul fattore sorpresa, per esempio avvicinarsi da dietro o quando la vittima guardava altrove. “Non sappiamo perché lo facciano, eppure si comportano proprio così”, ha detto Isabelle Laumer del Max Planck institute of animal behavior di Costanza, in Germania. “Sono dispetti provocatori, intenzionali e di solito unilaterali: partono da un’iniziativa di un esemplare e l’altro li subisce per tutta l’interazione”. Come succede in genere con le provocazioni, non reagire a una botta inaspettata o trovarsi improvvisamente davanti il muso di un altro innescavano la ripetizione dello stesso gesto nell’84 per cento dei casi, oppure una catena di dispetti sempre più elaborati.

“L’aspetto interessante è che abbiamo riscontrato somiglianze con i bambini”, ha detto Laumer. “Quando i bambini fanno uno scherzo alla mamma la guardano in faccia per controllare la sua reazione. Si comportano così anche i piccoli delle grandi scimmie”. I bambini cominciano a mostrare atteggiamenti scherzosi a partire dagli otto mesi, prima ancora di esprimersi a parole, e secondo gli scienziati è un modo per testare i limiti sociali e rafforzare i rapporti. In base allo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, la maggior parte delle giovani scimmie prendeva di mira gli adulti ma spesso risparmiava i genitori. Ovviamente c’erano eccezioni: il gorilla Denny ha molestato più volte i suoi, forse perché non c’erano molti altri gorilla, e l’orango Aisha è diventata brava a sbattere una corda sul muso del padre che si faceva gli affari suoi. Per capire il motivo di questi comportamenti servirebbero studi più approfonditi. Ma dato che sono evidenti nei nostri cugini primati più prossimi, per Laumer è possibile che i dispetti, e le abilità cognitive a loro associate, risalgano almeno a tredici milioni di anni fa, cioè all’ultimo antenato comune a esseri umani e scimmie moderne. “I dispetti sono stati studiati in relazione all’umorismo, ma possono anche aiutare a capire le interazioni sociali”, ha spiegato Marina Davila-Ross, che studia evoluzione della comunicazione all’università di Portsmouth, nel Regno Unito. “Se per esempio una giovane scimmia ne punzecchia un’altra e quella non reagisce, la prima capisce fino a che punto può spingersi e ottiene informazioni vitali per crescere all’interno di un gruppo sociale e comprenderne le gerarchie”. u sdf

SALUTE

Abortire a distanza

Il fumo cambia la risposta

Uno studio statunitense conferma che l’aborto farmacologico tramite la telemedicina è sicuro ed efficace. Gli autori hanno esaminato più di seimila cartelle elettroniche di donne che si sono rivolte a tre cliniche virtuali per chiedere la pillola abortiva. Il 97,7 per cento delle interruzioni di gravidanza si è concluso senza successivi interventi, il 98,8 per cento senza eventi avversi gravi, scrive Nature Medicine. Le visite mediche si sono svolte da remoto con videochiamate oppure scambio di sms. Le donne, incinte da meno di dieci settimane, hanno ricevuto per posta il mifepristone, che blocca il progesterone (l’ormone della gravidanza), e il misoprostolo, che provoca le contrazioni uterine. Dopo l’assunzione sono state contattate per un follow up clinico. Questo sistema facilita l’accesso all’interruzione di gravidanza, che negli Stati Uniti è limitato dalle iniziative dei movimenti antiabortisti.

Nature, Regno Unito Secondo uno studio pubblicato su Nature il fumo influisce sulla risposta immunitaria in modo simile ad altri fattori, per esempio l’età. Gli autori volevano capire perché la risposta immunitaria varia così tanto tra gli individui. Hanno quindi coinvolto nel programma Milieu Intérieur mille volontari sani, uomini e donne della regione francese della Bretagna di età diverse ma con un patrimonio genetico omogeneo. Questo ha permesso di semplificare l’individuazione di eventuali componenti genetiche nella risposta immunitaria. I ricercatori hanno studiato come le cellule del sangue rispondono a virus, microrganismi e molecole estranee misurando la produzione di citochine, proteine coinvolte nella risposta infiammatoria. Fumare e aver fumato in passato influiva su questo dato, come altri fattori, per esempio l’indice di massa corporea. Secondo i ricercatori il fumo potrebbe modificare a lungo termine l’attivazione di alcuni geni, probabilmente attraverso la metilazione del dna, cioè una modifica chimica. Lo studio dovrebbe essere ripetuto su un campione di persone più eterogeneo. ◆

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IN BREVE

© MPE, J. SANDERS FÜR DAS EROSITA-KONSORTIUM

ECOLOGIA

Riforestazione dannosa Con l’African forest landscape restoration initiative (Afr100) 34 paesi africani si sono impegnati a ripristinare 133,6 milioni di ettari di foresta entro il 2030. Uno studio pubblicato su Science però ha rilevato che 70 milioni di ettari di aree designate sono occupati da praterie e savane, avvertendo che piantarvi alberi potrebbe danneggiare l’ecosistema. Afr100 chiarisce che i progetti non dovrebbero riguardare le praterie.

WEI XIN (CC BY-SA)

SALUTE

ASTRONOMIA

La radiografia del cosmo La mappa a raggi x dell’universo più dettagliata mai realizzata (nell’immagine in due possibili rappresentazioni) conferma il modello standard della cosmologia. Il telescopio spaziale eRosita ha catalogato circa 900mila fonti di raggi x, tra cui buchi neri e cluster di galassie. Studiando la massa di questi ultimi, i ricercatori dell’Istituto Max Planck per la fisica extraterrestre hanno misurato l’evoluzione dell’universo, ottenendo risultati in linea con le previsioni teoriche. Il progetto eRosita, frutto di una collaborazione tra Germania e Russia, è stato sospeso nel 2022 a causa dell’invasione dell’Ucraina.

Biologia L’aroma del tè dipende in parte dalla varietà della pianta e in parte dai microrganismi presenti nel suolo, afferma uno studio pubblicato su Current Biology. Dalla comunità microbica naturale che vive sulle radici delle piante con aroma migliore è stata ricreata una comunità sintetica, che applicata sulle radici di piante del tè comuni (nella foto) migliora la qualità del prodotto. Salute Un esame del sangue potrebbe aiutare a valutare il rischio di sviluppare la demenza in assenza di sintomi. Una ricerca pubblicata su Nature Aging ha preso in esame circa 1.500 proteine del sangue in più di 50mila persone. Quattro proteine sembrano essere legate allo sviluppo della demenza. I risultati dello studio dovranno essere confermati prima che l’esame possa essere usato per la diagnosi precoce.

ARCHEOLOGIA

Il muro sommerso Un muro lungo quasi un chilometro è stato trovato nel mar Baltico al largo della costa tedesca, a 21 metri di profondità. Secondo uno studio pubblicato su Pnas la struttura risale a undicimila anni fa, quando l’area si trovava al di sopra del livello del mare prima di essere sommersa alla fine dell’ultima era glaciale. Probabilmente serviva per indirizzare le renne e facilitarne la caccia. È possibile che in Europa siano esistite altre strutture simili e che siano state distrutte dalle attività umane.

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Il diario della Terra MIKE HILL (GETTY)

Il nostro clima

Amazzonia in bilico

Correnti L’oceano Atlantico (nella foto) si sta avvicinando a un limite il cui superamento destabilizzerebbe l’intero clima globale. Il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Amoc) è un sistema di correnti che trasporta acqua calda dalle regioni tropicali all’Atlantico nordorientale. Dal 1950 la sua intensità è calata del 15 per cento a causa dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e dell’Artico, che rilascia acqua dolce nell’oceano. Secondo uno studio pubblicato su Science Advances il declino potrebbe portare all’arresto dell’Amoc in meno di cento anni, con effetti disastrosi: il livello del mare salirebbe in alcune aree, il clima dell’Europa diventerebbe molto più freddo e secco, mentre l’emisfero meridionale si riscalderebbe.

Il morbillo preoccupa l’Oms Frane Almeno 25 persone sono morte e otto sono rimaste ferite in una frana provocata dalle forti nevicate nella provincia del Nurestan, nel nordest dell’Afghanistan. Vulcani Il cratere principale del vulcano Sakurajima, nel sud del Giappone, ha eruttato per la prima volta dal 2020. Alluvioni Alcune aree della città di Zlitan, nel nordovest della Libia, sono state evacuate a causa dell’affioramento di acqua dal sottosuolo, che danneggia le fondamenta degli edifici e le coltivazioni. Le ori-

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ALEXANDRE MENEGHINI (REUTERS/CONTRASTO)

Radar

gini del fenomeno non sono ancora state chiarite. Morbillo L’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l’allarme sulla rapida diffusione del morbillo nel mondo. Nel 2023 sono stati confermati trecentomila casi, il 79 per cento in più rispetto all’anno precedente, ma in realtà potrebbero essere più di nove milioni. Secondo l’Oms la causa è il calo della copertura vaccinale legato alla pandemia di Covid-19. Coralli Secondo la National oceanic and atmospheric administration, l’ondata di caldo dell’estate del 2023 ha danneggiato gravemente i progetti di ripristino della barriera corallina della Florida. In 64 siti nell’arcipelago delle Florida keys, solo il 22 per cento dei coralli ripiantati è sopravvissuto alle temperature delle acque,

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che hanno raggiunto i 38 gradi. I coralli nativi potrebbero aver subìto perdite simili. Tigri La Cambogia ha annunciato che entro il 2024 avvierà la reintroduzione della tigre del Bengala (nella foto) nella riserva naturale di Tatai, con il trasferimento di quattro esemplari provenienti dall’India. La popolazione locale di tigri, decimata dal bracconaggio, è stata dichiarata estinta nel 2016. NEWSLETTER Pianeta è la newsletter settimanale di Gabriele Crescente con le ultime notizie sulla crisi climatica e sull’ambiente. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

◆ La foresta amazzonica potrebbe raggiungere il punto di non ritorno già nel 2050, scrive la rivista Nature. A partire da metà secolo, tra il 10 e il 47 per cento della foresta pluviale potrebbe trasformarsi in un altro tipo di ecosistema, con conseguenze imprevedibili. Gli scenari delineati hanno però un ampio margine di incertezza. La foresta amazzonica contribuisce a circa metà delle piogge nella regione. Inoltre ospita più del 10 per cento della biodiversità del pianeta, immagazzina grandi quantità di carbonio e contribuisce a stabilizzare il clima globale. Un gruppo di ricerca internazionale ha analizzato lo stress idrico che colpisce la regione e le sue cause, prima tra tutte l’aumento delle temperature legato al cambiamento climatico. Gli autori hanno identificato i fattori di rischio, come gli episodi di siccità estrema, gli incendi e la presenza di strade, ma anche quelli protettivi, come i parchi naturali e le comunità indigene. Lo studio si è basato su dati storici, osservazioni dirette e proiezioni. La foresta è stata suddivisa in aree in base alle condizioni ecologiche, climatiche e antropiche, e ai diversi fattori di disturbo. In questo modo è stata tracciata una mappa delle zone più vulnerabili, che si concentrano soprattutto nella parte meridionale e centrale e in una regione a nordest. Queste informazioni potrebbero essere usate a livello locale per limitare gli elementi di disturbo, ma resta necessario combattere il cambiamento climatico a livello globale.

Il pianeta visto dallo spazio 01.06.2023

Il bacino della Zungaria, in Cina

Sollevamento di Luliang

Nord

Dune

Strati di sedimenti

Torrente

EARTHOBSERVATORY/NASA

Depressione

◆ Questa immagine mostra una parte del bacino di Zungaria, una depressione stretta tra i monti Altai a nordest e la catena del Tian Shan a sudovest, caratterizzata da strati di rocce sedimentarie alterati dai movimenti tettonici. Nella foto, scattata intorno alle 9 di sera da un astronauta a bordo della Stazione spaziale internazionale, il lato occidentale delle dune sabbiose è illuminato dal tramonto. La stazione spaziale internazionale offre una prospettiva unica per

fotografare la Terra grazie alla sua orbita equatoriale inclinata, che permette di ottenere immagini in diverse condizioni di luce. In questo modo gli astronauti possono sottolineare caratteristiche che risultano più visibili a certe ore del giorno, soprattutto dettagli piccoli come le dune. Le aree più scure che si vedono nell’immagine sono le ombre proiettate da banchi di nuv0le fuori campo a nordovest. La fascia rossiccia al centro della foto segna una cesura

Un astronauta a bordo della Stazione spaziale internazionale ha fotografato questa regione alla luce del tramonto, che fa risaltare meglio le dune sabbiose



nella topografia della zona. Gli strati di sedimenti più antichi che fanno parte del sollevamento di Luliang, a nord, digradano verso una depressione a sud. Alle altitudini più basse l’erosione ha creato canali che si trasformano in torrenti con le precipitazioni. A nord e a sud invece lunghe dune sabbiose coprono il substrato roccioso. Sotto la superficie, strati ricchi di materia organica contengono fossili e vasti giacimenti di carbone, petrolio e gas.–Nasa

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Economia e lavoro gestione patrimoniale a Pechino, ha investito sui mercati azionari cinesi per quasi dieci anni, ma a novembre ha cominciato a scommettere all’estero. Prima sperava che i giganti cinesi di internet, come Alibaba e Tencent, sarebbero diventati aziende da mille miliardi di dollari. “Quel sogno è andato in frantumi”, racconta, dopo la repressione contro il settore tecnologico scatenata dal governo nel 2020.

Shanghai, Cina, 11 aprile 2023

VCG/GETTY

Esternazioni decise

CINA

Il malcontento passa per i social network Li Yuan, The New York Times, Stati Uniti Gli investitori colpiti dal crollo della borsa sono riusciti a sfogare online la loro delusione aggirando la censura. Hanno usato i commenti a un post sulla protezione delle giraffe ome molti cinesi, anche Jacky sperava di guadagnare bene con la borsa e comprare un appartamento in una grande città. Nel 2015, però, ha perso trentamila dollari e nel 2021 ottantamila. Così ha cominciato a investire in fondi cinesi registrati sul mercato azionario statunitense. È un momento difficile per gli investitori in Cina, dove nel 2023 i principali titoli della borsa hanno perso più dell’11 per cento e sono scesi ulteriormente anche quest’anno. Molti investitori si sono rivolti ai mercati esteri, ottenendo risultati migliori. Investire in borsa è sempre rischioso, ma i cinesi hanno anche a che fare con un governo che non ammette alcun dibattito pubblico su quello che sta succedendo. Di recente, però, hanno trovato un modo

C

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per sfogare la loro frustrazione senza incappare nella censura di Pechino. Alcuni hanno cominciato a lasciare commenti sotto un innocuo post sulla protezione delle giraffe, pubblicato dall’ambasciata statunitense in Cina sul social network Weibo, lamentandosi per gli scarsi rendimenti dei loro portafogli. Dal 2 febbraio il post ha ricevuto quasi un milione di like. Molti commenti, inoltre, esprimevano ammirazione per gli Stati Uniti e insoddisfazione per il loro paese. “I risultati dei diversi mercati azionari riflettono le distanze tra gli Stati Uniti e la Cina in termini di potenza nazionale, tecnologia, umanità e senso di benessere”, ha scritto un utente. I commenti dimostrano una crescente sfiducia dell’opinione pubblica cinese verso il mercato azionario, le prospettive economiche del paese e la capacità di governare del Partito comunista. “Le reazioni vanno oltre la semplice delusione per i soldi persi in borsa”, spiega Jacky, un analista che oggi guadagna la metà rispetto a due anni fa. “Servono a sfogare tutte le frustrazioni accumulate nella loro vita”. Leo, che lavora per una società di

In passato la sezione dei commenti dell’account Weibo dell’ambasciata statunitense era una sorta di sacco da boxe online per i nazionalisti, che incolpavano gli Stati Uniti dei problemi del loro paese. Ora la chiamano “il muro occidentale” che tiene al riparo gli investitori cinesi. “Con la protezione del governo degli Stati Uniti”, c’è scritto in un commento, “le giraffe sono diecimila volte più felici degli investitori in borsa”. In una società sotto stretto controllo come quella cinese è raro vedere esternazioni così decise. I commenti potrebbero anche essere un campanello d’allarme se l’economia non dovesse riprendersi subito. Anche se sono bombardate dalla propaganda e intimidite dal governo, le persone potrebbero continuare a contestare Pechino e a trovare modi creativi per farlo. È sempre difficile capire quello che pensa l’opinione pubblica cinese. Nessuno osa criticare in pubblico il governo. Perfino i commenti critici sull’economia sono censurati e sanzionati. Ecco perché Jacky e Leo mi hanno chiesto di essere indicati con nomi inglesi. Tuttavia gli sfoghi online di gruppi numerosi di persone possono offrire degli indizi su ciò che pensa l’opinione pubblica. Evidenziano quanto disapprovi la censura e nutra dei dubbi sulla direzione in cui Xi sta portando il paese. A volte arrivano informazioni preziose da fonti inattese. Un recente studio del Canton public opinion research center ha restituito un’immagine piuttosto cupa di Guangzhou, una metropoli di quasi 19 milioni di abitanti e importante snodo per la tecnologia, la manifattura e i commerci. Da un sondaggio condotto nel 2023 su mille abitanti è emerso che “l’economia e la società stavano affrontando difficoltà e pressioni mai viste prima”. Nel rapporto si leggeva che, a causa della disoccupazione e dei redditi in calo, la fi-

ARGENTINA

MATERIE PRIME

Aumenta la povertà

Chi specula sul cacao

A gennaio il tasso di povertà in Argentina ha raggiunto il livello record del 57,4 per cento, il più alto degli ultimi vent’anni. Lo sostiene uno studio della Pontificia universidad católica argentina. Secondo il rapporto, spiega la Reuters, la situazione è stata aggravata dalle scelte del presidente Javier Milei, che a dicembre ha deciso di svalutare il peso – sceso del 54 per cento rispetto al dollaro statunitense – provocando forti rincari dei prodotti importati. Milei ha anche ridotto i sussidi ai servizi di trasporti e all’energia. Alla fine del 2023 il tasso di povertà era al 49,5 per cento. NEWSLETTER Economica è la newsletter settimanale a cura di Alessandro Lubello che racconta cosa succede nel mondo dell’economia. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

Hermankono-Garo, Costa d’Avorio

SIA KAMBOU (AFP/GETTY)

ducia nell’economia era scesa ai livelli del 2015, l’anno del crollo dei mercati cinesi. La soddisfazione per la crescita del settore privato è scesa sotto il 30 per cento, il livello più basso dal 2008, cioè da quando viene fatto lo studio. La maggior parte dei residenti ha detto di non prevedere un aumento dei propri redditi nel 2024. Più del 20 per cento è convinto che perderà il lavoro. Alla fine il sondaggio è stato censurato. Non sono risultati sorprendenti per gli investitori. Jacky ha perso il suo lavoro in un fondo d’investimento nel 2022 e ha dovuto accettare uno stipendio molto più basso nel settore manifatturiero. Leo ha un passato da nazionalista. La prima crepa nella sua fiducia, racconta, si è aperta nel 2021, quando il governo ha perseguitato le aziende tecnologiche. La seconda è arrivata nel dicembre del 2022, quando Pechino ha interrotto all’improvviso la politica “zero covid”, senza preparare la popolazione con vaccini o farmaci. Leo aggiunge che gli abitanti di Pechino come lui erano tra i più convinti sostenitori del Partito comunista, perché avevano tratto beneficio dall’espansione della città e dalla crescita del paese. Ma nel giugno 2023, quando si è ritrovato con un gruppo di suoi ex compagni di scuola, ha scoperto che due di loro, una coppia, si preparavano a emigrare in Canada. In occasione di un nuovo incontro, a gennaio, alcuni compagni gli hanno detto di aver aperto dei conti a Hong Kong che, a differenza della Cina continentale, ha banche connesse con il sistema finanziario globale. E gli hanno chiesto come convertire i loro risparmi in dollari statunitensi e trasferirli. “Si preparavano al peggio”, dice. “Nessuno prendeva più in giro i due emigrati in Canada. Anzi, li invidiavano”. Gli ho chiesto cosa dovrebbe cambiare per convincerlo a investire di nuovo nella borsa cinese. Ha risposto che i problemi più gravi sono ancora lì: l’implosione del settore immobiliare, gli enormi debiti delle amministrazioni locali e una popolazione che invecchia in fretta. Vorrebbe che il governo allentasse la presa sulle imprese private e smantellasse le diramazioni del Partito comunista all’interno delle aziende. Fino a quel momento terrà i suoi soldi all’estero. Che consigli darebbe a chi investe? “Scappate più in fretta che potete, anche a costo di rimetterci”. u gim

Il recente rialzo del prezzo del cacao è stato aggravato dall’azione decisa dei fondi speculativi, che dalla fine del 2022 hanno comprato una grande quantità di contratti futures (accordi per l’acquisto di un bene a un prezzo stabilito ma con consegna in data futura) con scadenza a marzo, per un valore complessivo di 8,7 miliardi di dollari. Come spiega il Financial Times, grazie alla costante crescita del prezzo del cacao, che il 16 febbraio a Londra aveva raggiunto le 4.757 sterline alla tonnellata e a New York i 5.888 dollari, i fondi sono destinati a incassare enormi profitti. Il rincaro del prodotto è legato agli scarsi raccolti nell’Africa occidentale. u

Micro Stefano Feltri

Risparmiare sul clima Mentre l’Unione europea approva nuove regole per spingere le agenzie di rating a valutare la sostenibilità ambientale degli investimenti, negli Stati Uniti tre grandi investitori scelgono di privilegiare solo i ritorni finanziari invece degli obiettivi di decarbonizzazione. I rating Esg – una valutazione che certifica la solidità di chi emette un titolo o di un fondo dal punto di vista dell’ambiente, dell’impegno sociale e della gestione aziendale – dovrebbe-

ro permettere di distinguere le aziende che s’impegnano davvero da quelle che fanno greenwashing, una tecnica di marketing con cui si costruisce un’immagine schierata a favore dell’ecologia. Negli Stati Uniti i repubblicani contestano il principio stesso che gli investimenti debbano considerare i fattori ambientali: una commissione del congresso considera collusivi gli accordi sulla decarbonizzazione, che violerebbero le leggi anti-

trust e sarebbero dannosi per i consumatori. Dopo la convocazione al congresso la State Street Global Advisors, la Jp Morgan e la BlackRock hanno lasciato l’alleanza Climate action 100+, nata nel 2017 per salvare il clima con la finanza: i tre gruppi finanziari valuteranno solo i rendimenti, non l’impatto ambientale. La transizione è costosa per tutti, e chi ha risparmi – come i contadini in piazza – non vuole più pagarne i costi. u

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il podcast quotidiano di

GIOVEDÌ 22 FEBBRAIO 2024

LUNEDÌ 19 FEBBRAIO 2024

L’obiettivo degli Stati Uniti in Medio Oriente con Alessio Marchionna editor di Stati Uniti di Internazionale

Cosa resterà dell’esperienza politica di Aleksej Navalnyj con Marta Allevato giornalista dell’Agi

La Tunisia ha risolto il problema del granchio blu con Stefano Liberti giornalista

La Francia vuole sospendere lo ius soli a Mayotte con Stefania Mascetti editor di Europa di Internazionale

MERCOLEDÌ 21 FEBBRAIO 2024

VENERDÌ 16 FEBBRAIO 2024

Perché la pianura Padana è così inquinata con Federico Grazzini meteorologo

In Pakistan c’è un accordo sul governo ma il paese resta nel caos con Junko Terao editor di Asia di Internazionale

In Corea del Sud migliaia di medici si sono dimessi per protesta con Junko Terao editor di Asia di Internazionale

Cos’è la dengue e perché in Brasile è un’emergenza con Elena Boille vicedirettrice di Internazionale

MARTEDÌ 20 FEBBRAIO 2024

Ogni giorno due notizie scelte dalla redazione di Internazionale con Claudio Rossi Marcelli e Giulia Zoli

Ultimo appello per Julian Assange con Pierfrancesco Romano caporedattore di Internazionale In Europa sono tornati i concerti nazirock con Leonardo Bianchi giornalista di Facta

Dal lunedì al venerdì dalle 6.30 sulle principali piattaforme di ascolto internazionale.it/ilmondo

Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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IL MEDIOEVO E FINITO DA SECOLI.

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L’oroscopo

Rob Brezsny A differenza dei decreti papali, i miei proclami non sono infallibili. A differenza di Nostradamus e di molti indovini moderni, non penso di avere il potere di decifrare con certezza cosa ci aspetta. Uno dei miei motti è: “Il futuro è incerto. Il nostro destino è sempre mutevole”. Per favore, tienilo a mente quando leggi i miei oroscopi. Considera la possibilità di adottare lo stesso atteggiamento mentre vai per il mondo, in particolare nelle prossime settimane, quando il tuo percorso sarà dettato soprattutto dai tuoi creativi atti di volontà. Decidi ora di cosa parlerà il prossimo capitolo della tua vita. Puoi farne quello che vuoi.

ARIETE

Con i suoi trenta film il grande regista dell’Ariete Akira Kurosawa si è guadagnato la fama di magnifico narratore. Il momento chiave del suo sviluppo di artista di profonda intelligenza emotiva fu quando aveva 13 anni. Il fratello maggiore Heigo lo portò a vedere le conseguenze del terribile terremoto di Kantō. Akira avrebbe voluto scappare davanti a quella devastazione, ma Heigo lo costrinse a guardare perché voleva che imparasse ad affrontare la paura. Penso che voi Arieti siate più bravi degli altri segni in questo difficile compito. Nelle prossime settimane spero che userai questa abilità. Potresti rimanere sorpreso dal coraggio che ti darà.

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

TORO

“Quando la montagna non ti ascolta, rivolgi una preghiera al mare”, diceva il pittore del Toro Cy Twombly. “Se dio non risponde, rivolgi le tue suppliche alla dea”, dico io alla mia amica del Toro Audrey. “Se la mente non ti fornisce soluzioni utili, fa’ appello al cuore”, mi consiglia il mio mentore del Toro. Nelle prossime settimane questo consiglio dovrebbe tornarti utile. È arrivato il momento di essere diligente, implacabile, ingegnoso e instancabile nel perseguire ciò che desideri. Continua a chiedere finché non troverai una fonte che te lo fornirà. GEMELLI

Il filosofo dei Gemelli Ralph Waldo Emerson ci ha offerto un consiglio perfetto per te: “Anche se viaggiamo per il mondo in cerca del bello, dobbiamo por-

tarlo con noi, altrimenti non lo troveremo”. Io aggiungerei che nelle prossime settimane avrai davvero bisogno di entrare in comunione con una grande quantità di bellezza, che renderà più rapida la tua guarigione e aumenterà la tua istruzione. Cerca tutte le persone, i luoghi e le cose belle che riuscirai a trovare. E coltiva la bellezza che è dentro di te con fantasia. Come? Scoprirlo è il tuo compito. CANCRO

Scommetto che presto sognerai di volare su un tappeto magico. Anzi, nei prossimi mesi potrebbe essere un sogno ricorrente. Entro giugno potresti essere stato su un tappeto volante più di dieci volte. Di cosa sto parlando? Credo faccia parte di un progetto che la vita ti incoraggia a cominciare. È un invito a concederti ulteriori voli di fantasia per aprire la tua anima a potenze misteriose e per dare alla tua vita immaginaria il permesso di essere più selvaggia e libera. Conosci l’espressione “la sfiga capita”? Sei pronto a sperimentare la sua variante: “La magia capita”. LEONE

Il 22 febbraio gli antichi romani celebravano la festività dei caristia. Era un momento di riconciliazione. Le persone cercavano di risanare fratture e risolvere vecchi dissidi. Si offrivano scuse e si negoziavano tregue. In linea con gli attuali presagi astrali, Leone, ti consiglio di far rivivere questa tradizione. È un ottimo momento per avviare la tua crociata diretta a unificare, armonizzare, ripristinare, riparare e alleviare. Ti sfido a

dare priorità all’amore piuttosto che all’ego! VERGINE

La mia amica poeta Jafna dice che abbiamo a disposizione solo due tipi di amore: troppo e troppo poco. O siamo privati della quantità e della qualità dell’amore che desideriamo, oppure dobbiamo fare i conti con un eccesso di amore che non corrisponde a quello che desideriamo. Ma prevedo che questo non sarà un grande problema per te nelle prossime settimane. Avrai un particolare talento per dare e ricevere la giusta quantità di amore, né troppo né troppo poco. E l’amore che darai e riceverai sarà quello giusto. BILANCIA

Se durante una lettura dei tarocchi mi appare la carta del diavolo, non mi preoccupo e non ho paura che mi possa succedere qualcosa di brutto. Al contrario, è di buon augurio. Significa che è arrivato o arriverà presto nella mia vita un problema o un enigma interessante che potrebbe rendermi più saggio, più gentile e più libero. La carta del diavolo significa che ho bisogno di una sfida per sviluppare una capacità o per imparare qualcosa. Applica questo principio per reagire alla carta del diavolo che ho appena estratto per te. SCORPIONE

Un fittone è la spessa radice centrale da cui si diramano le numerose radici di una pianta. In genere cresce dritto verso il basso e può arrivare a una profondità maggiore dell’altezza della pianta stessa. Ora immagina delle radici metaforiche che ci mettono in contatto con le nostre fonti di nutrimento interiore. Ci permettono di raggiungere tesori nascosti di cui potremmo essere solo parzialmente consapevoli. Immagina che nei prossimi mesi il tuo fittone germoglierà e scenderà più in profondità per assorbire nuovi nutrienti. Ti invito a infondere in questa bellissima visione un’ondata d’amore per te stesso e per la meravigliosa vitalità che assorbirai.

SAGITTARIO

L’ecologo comportamentale Dan Charbonneau ha osservato le abitudini di formiche, api e altri insetti sociali e dice che per la maggior parte del tempo molti di loro si limitano a oziare. In effetti, per la maggior parte degli animali è così. La psicologa Sandi Mann ci esorta a prendere spunto dalla loro rilassatezza. “Abbiamo creato una società in cui temiamo la noia e abbiamo paura di non fare nulla”, afferma. Ma questa dipendenza dall’attività frenetica limita la nostra inclinazione a sognare a occhi aperti, il che a sua volta inibisce la nostra creatività. Te lo dico, Sagittario, perché sospetto che tu sia in una fase in cui per te oziare sarà molto salutare. Libera e coltiva i tuoi sogni a occhi aperti, per favore! CAPRICORNO

“L’istruzione è una cosa ammirevole”, scriveva Oscar Wilde, “ma è bene ricordare che non si può insegnare nulla che valga la pena di conoscere”. Se rifletto sul tuo futuro nelle prossime settimane, sono decisamente in disaccordo con lui. Sono sicuro che potrai imparare molte cose che vale la pena di conoscere da maestri di ogni tipo. È vero che alcune lezioni potrebbero essere casuali, non ufficiali e non impartite da insegnanti tradizionali. Ma questo non ne diminuirà il valore. Ti invito a comportarti come se fossi effettivamente iscritto a scuola per 24 ore al giorno, sette giorni su sette fino all’equinozio. ACQUARIO

Marte e Venere stanno attraversando l’Acquario. Questo significa che le sincronicità intesseranno magia nel tuo destino. Ecco alcune possibilità: flirt latenti che finalmente si accendono; discussioni placate dalla decisione di fare l’amore; confusione tra amore e libidine o meravigliose sinergie tra amore e libidine; intricati discorsi d’amore, schermaglie romantiche e scambi sulla natura del desiderio; avventure alla frontiera del sesso; opportunità per coltivare nuovi interessanti tipi di intimità.

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internazionale.it/oroscopo

PESCI

COMPITI A CASA

Quale consiglio utile vorresti dare alla persona che sarai tra un anno?

CHAPPATTE, SVIZZERA

L’ultima

Due anni di guerra in Ucraina. Vladimir Putin: “Oh, non avresti dovuto”. PAZ&RUDY, ARGENTINA

FONTDEVILA, SPAGNA

“Julian Assange è stato accusato e arrestato per crimini di guerra”. “Per averli commessi?”. “No, per averli divulgati, ovvio”.

Aiuti per l’Ucraina. “E qualcosa da mangiare non ce l’avete portato?”.

SIPRESS

KAP, FRANCIA

“E dopo anni e anni di dati che confermavano i cambiamenti climatici cominciammo a dire: ‘Dov’è il problema? I cambiamenti climatici ci sono sempre stati’”.

“Stupiscimi”.

Le regole Uccelli 1 Questo tema delle regole ti fa ridere? Cresci. 2 Non è vero che i piccioni sono topi con le ali. Sono ratti con le ali. 3 Non sfidare il gabbiano reale che troneggia sulla tua auto: vincerà lui. 4 I pappagalli hanno l’intelligenza di un bambino di quattro anni. E più di certi adulti. 5 In un’aia che si rispetti non bastano le galline: prendi un pavone!

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